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E cco le bramate candide dune. Eccole, finalmen- te nostre e nostre solamente, una sera serena, fino a che il sole esce di scena. Eccole, ancor più bianche, in una mattina che il sole stenta a scalda- re. Non c’è niente, a De Hoop, forse lo spruzzo di qualche balena venuta qui a partorire e, al di là del- le alte curve color panna, una fitta macchia verde che corona l’orlo dell’oceano. Eppure è difficile allonta- narsene. Non c’è nulla, qui, e il luogo è alquanto ino- spitale, ma si sente... si capisce che il vuoto, qui co- sì percepibile, non è assenza, ma è la presenza po- tenziale di ogni forma, di ogni vita. E, finalmente, smettiamo di voler controllare e spiegare e ci ar- rendiamo al mistero. “La mente è come un paracadute: funziona solo se è aperta”, ha notato Einstein. Ma quanto deve essere aperta la mente del viaggiatore per capire le mille personalità del Sudafrica? Qui, alla De Hoop Nature Reserve, ci seduce quell’”ignoto amor”, “quell’amor ch’è palpito dell’universo intero, misterioso, altero” (Alfredo, “La Traviata”, atto I). Ma il Sudafrica è pie- no di simili rivelazioni, e si ritorna con la sicurezza, che dal cuore s’è fatta strada fino alla mente, che “c’è un’intelligenza e un potere in tutta la natura e in tut- to lo spazio che sono sempre creativi e che rispon- dono con infinita sensibilità” (Geneviève Behrend). Inconsciamente ponevamo a quelle dune il nostro in- terrogativo, e l’anima nostra si beava dell’implicita risposta, silenziosa ma chiarissima al nostro cuore. Era un dialogo subliminale tra noi, appartenenti a una cultura la cui energia non riesce più a convo- gliarsi in realizzazioni permanenti, e l’assoluto, do- ve “gli elementi di tempo e spazio sono completa- mente assenti” (Thomas Troward). Nella volatilità dei nostri giorni, nel cui tumulto tutto si suicida get- tandosi in un passato che non abbiamo mai il tempo di mettere in prospettiva, questo viaggio merita di as- surgere a punto fermo, perché nei suoi tanti volti il Sudafrica ci ha presentato l’intero spettro della vita, rivelandoci come l’intero globo ci sostenti. E non solo noi. Il bufalo avanzava con una manciata di steli in bocca, macinandoli con apparente indiffe- renza, ma sul groppone abbiamo ben notato le scor- ticature e il sangue. Ha attraversato la strada, inta- sata in quel punto dalle auto che erano state avver- tite di una “scena di caccia”, ed è sparito nella bo- scaglia che digradava verso una pozza d’acqua. Le auto parevano incollate all’asfalto e difatti, dopo qualche minuto, ecco la leonessa, magra, i garretti escoriati, percorrere la medesima pista lentamen- te, come ubriaca dalla fame, dalla stanchezza o dal- la malattia e, a seguire, il leone, altrettanto incerto sull’esito dello scontro, il cui risultato non sapremo mai. Al Kruger la politica dei ranger è di lasciare che la natura segua il suo corso e, per quanto ci dis- piaccia, a noi visitatori è solo concesso di essere spettatori. Testimoni d’una scena semplice che pe- rò, vissuta in prima persona, ci rivela l’interdipen- denza di tutte le forme di vita come nessun docu- mentario del National Geographic può fare. Gli ani- mali al Kruger non danno appuntamenti, ed ogni av- vistamento è pura fortuna. Un elefante con zanne lunghe come il primo che abbiamo incontrato, cin- que minuti dopo aver pagato l’ingresso alla Phala- borwa Gate, non lo avremmo più visto. Un vecchio solitario, probabilmente, e scontroso, ma più ci ha preoccupato quello che, ore dopo, muoveva a passi decisi verso di noi – tutti abbiamo una foto del gi- gante minaccioso – noi increduli che non fosse, co- me tutti gli animali del Kruger, abituato alle vettu- re. Altri elefanti ancora hanno mostrato segni di im- pazienza, fermandosi magari sul ciglio della strada studiando da che parte affrontare i nostri Toyota Quantum che, col fiato sospeso, rimanevano immo- bili, per poi decidere che si trattava forse di ferraglia già morta e, annoiati, proseguivano da altra parte il loro giorno. Tutto in Sudafrica vive, e vive grazie all’acqua. L’ac- qua stessa è spettacolo al Blyde River Canyon, dove pinnacoli, cascate e peculiari erosioni ci hanno ri- empito gli occhi il primo giorno di viaggio. La se- quenza delle attrazioni ha meritato sulle guide il no- me di Panorama Route, e l’avevamo inaugurata con la visita all’Alanglade House Museum, la magione del governatore inglese del villaggio di cercatori d’o- ro di Pilgrim’s Rest, che s’era fatto innalzare una re- sidenza in mattoni come gli autoctoni non ne aveva- no mai costruito in vita loro. Per essere una “prima”, il risultato è stato eccellente: mentre gli schiavi del sogno aureo sgobbavano sulla costa della collina prospiciente, i signori non si facevano mancar nul- la. Gli scavi continuano, ma il processo di estrazio- ne del metallo è condotto secondo procedure mo- derne. Non scava più invece l’acqua alle Bourkes’ Luck Potholes, dove i mulinelli creati dall’incontro del fiume Blyde e del fiume Treur perforarono nei millenni la roccia come trapani giganti, affidando al- l’erosione il completamento di incredibili sculture psichedeliche. L’acqua ora scorre tranquilla in ca- scatelle, e ci si chiede quanto ci abbia messo a crea- re il profondo solco del canyon. Il tramonto ci ha sor- presi alle Three Rondawels, tre formazioni cilindri- che che ripetono la forma delle capanne tradiziona- li. Il silenzio, lo spazio, la perfetta solitudine e l’in- consapevole magnificenza del luogo ci hanno indot- to a una mezz’ora di adorazione, e ci siamo staccati solo perché la strada per Phalaborwa era ancora lunga. All’interno del Kruger dorme chi prenota con mesi di anticipo, ma si possono trovare sistemazioni pia- cevoli anche fuori. E’ il caso della Timbavati Safari Lodge, con graziose capanne in muratura e soffitto in paglia, a pochi chilometri dalla Orpen Gate. Al di là della piscina, dietro al bar – a cui mancava solo la spina per la birra per dar l’impressione d’esser sta- to portato in volo dagli angeli direttamente dall’In- ghilterra – un recinto di canne protegge la zona ri- storante. La cena è a buffet, con due tipi di carne, va- rie verdure e perfino polenta. Non abbiamo ancora finito di mangiare che irrompono dei ragazzini e dei giovani in pelli d’animale e piume, brandendo lance e archi, cantando, ballando e accennando movenze di lotta e di caccia. Sebbene le tribù siano state mol- te e non sempre in buoni rapporti tra loro, la cultu- ra dominante della zona è zulù, e questo è il nostro primo assaggio. Ne avremo più ampia dimostrazio- ne più a sud, a Eshowe, dove non ci siamo potuti per- mettere le capanne a cinque stelle della catena al- berghiera di lusso Protea, ma dove almeno abbiamo potuto assistere ad una descrizione della vita in un villaggio tradizionale, riprodotto lì in miniatura, e partecipare a una vera e propria festa come si cele- brava nelle comunità nelle grandi occasioni, dove ognuno metteva in mostra le proprie capacità mi- gliori: gli uomini con lunghe lance e scudi, le donne con coloratissimi vestiti di perline. Il nostro cicero- ne, un ragazzotto dall’ottimo inglese, e i suoi com- 30 Da un Sudafrica, gr. Pin Testo e foto di Renzo Pin AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO Sudafrica 5.555 Km in Sudafrica “ho visto cose che voi non credereste”

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Ecco le bramate candide dune. Eccole, finalmen-te nostre e nostre solamente, una sera serena,fino a che il sole esce di scena. Eccole, ancor più

bianche, in una mattina che il sole stenta a scalda-re. Non c’è niente, a De Hoop, forse lo spruzzo diqualche balena venuta qui a partorire e, al di là del-le alte curve color panna, una fitta macchia verde checorona l’orlo dell’oceano. Eppure è difficile allonta-narsene. Non c’è nulla, qui, e il luogo è alquanto ino-spitale, ma si sente... si capisce che il vuoto, qui co-sì percepibile, non è assenza, ma è la presenza po-tenziale di ogni forma, di ogni vita. E, finalmente,smettiamo di voler controllare e spiegare e ci ar-rendiamo al mistero.“La mente è come un paracadute: funziona solo se èaperta”, ha notato Einstein. Ma quanto deve essereaperta la mente del viaggiatore per capire le millepersonalità del Sudafrica? Qui, alla De Hoop NatureReserve, ci seduce quell’”ignoto amor”, “quell’amorch’è palpito dell’universo intero, misterioso, altero”(Alfredo, “La Traviata”, atto I). Ma il Sudafrica è pie-no di simili rivelazioni, e si ritorna con la sicurezza,che dal cuore s’è fatta strada fino alla mente, che “c’èun’intelligenza e un potere in tutta la natura e in tut-to lo spazio che sono sempre creativi e che rispon-dono con infinita sensibilità” (Geneviève Behrend).Inconsciamente ponevamo a quelle dune il nostro in-terrogativo, e l’anima nostra si beava dell’implicitarisposta, silenziosa ma chiarissima al nostro cuore.Era un dialogo subliminale tra noi, appartenenti auna cultura la cui energia non riesce più a convo-gliarsi in realizzazioni permanenti, e l’assoluto, do-ve “gli elementi di tempo e spazio sono completa-mente assenti” (Thomas Troward). Nella volatilità

dei nostri giorni, nel cui tumulto tutto si suicida get-tandosi in un passato che non abbiamo mai il tempodi mettere in prospettiva, questo viaggio merita di as-surgere a punto fermo, perché nei suoi tanti volti ilSudafrica ci ha presentato l’intero spettro della vita,rivelandoci come l’intero globo ci sostenti.E non solo noi. Il bufalo avanzava con una manciatadi steli in bocca, macinandoli con apparente indiffe-renza, ma sul groppone abbiamo ben notato le scor-ticature e il sangue. Ha attraversato la strada, inta-sata in quel punto dalle auto che erano state avver-tite di una “scena di caccia”, ed è sparito nella bo-scaglia che digradava verso una pozza d’acqua. Leauto parevano incollate all’asfalto e difatti, dopoqualche minuto, ecco la leonessa, magra, i garrettiescoriati, percorrere la medesima pista lentamen-te, come ubriaca dalla fame, dalla stanchezza o dal-la malattia e, a seguire, il leone, altrettanto incertosull’esito dello scontro, il cui risultato non sapremomai. Al Kruger la politica dei ranger è di lasciare chela natura segua il suo corso e, per quanto ci dis-piaccia, a noi visitatori è solo concesso di esserespettatori. Testimoni d’una scena semplice che pe-rò, vissuta in prima persona, ci rivela l’interdipen-denza di tutte le forme di vita come nessun docu-mentario del National Geographic può fare. Gli ani-mali al Kruger non danno appuntamenti, ed ogni av-vistamento è pura fortuna. Un elefante con zannelunghe come il primo che abbiamo incontrato, cin-que minuti dopo aver pagato l’ingresso alla Phala-borwa Gate, non lo avremmo più visto. Un vecchiosolitario, probabilmente, e scontroso, ma più ci hapreoccupato quello che, ore dopo, muoveva a passidecisi verso di noi – tutti abbiamo una foto del gi-

gante minaccioso – noi increduli che non fosse, co-me tutti gli animali del Kruger, abituato alle vettu-re. Altri elefanti ancora hanno mostrato segni di im-pazienza, fermandosi magari sul ciglio della stradastudiando da che parte affrontare i nostri ToyotaQuantum che, col fiato sospeso, rimanevano immo-bili, per poi decidere che si trattava forse di ferragliagià morta e, annoiati, proseguivano da altra parte illoro giorno.Tutto in Sudafrica vive, e vive grazie all’acqua. L’ac-qua stessa è spettacolo al Blyde River Canyon, dovepinnacoli, cascate e peculiari erosioni ci hanno ri-empito gli occhi il primo giorno di viaggio. La se-quenza delle attrazioni ha meritato sulle guide il no-me di Panorama Route, e l’avevamo inaugurata conla visita all’Alanglade House Museum, la magionedel governatore inglese del villaggio di cercatori d’o-ro di Pilgrim’s Rest, che s’era fatto innalzare una re-sidenza in mattoni come gli autoctoni non ne aveva-no mai costruito in vita loro. Per essere una “prima”,il risultato è stato eccellente: mentre gli schiavi delsogno aureo sgobbavano sulla costa della collinaprospiciente, i signori non si facevano mancar nul-la. Gli scavi continuano, ma il processo di estrazio-ne del metallo è condotto secondo procedure mo-derne. Non scava più invece l’acqua alle Bourkes’Luck Potholes, dove i mulinelli creati dall’incontrodel fiume Blyde e del fiume Treur perforarono neimillenni la roccia come trapani giganti, affidando al-l’erosione il completamento di incredibili sculturepsichedeliche. L’acqua ora scorre tranquilla in ca-scatelle, e ci si chiede quanto ci abbia messo a crea-re il profondo solco del canyon. Il tramonto ci ha sor-presi alle Three Rondawels, tre formazioni cilindri-che che ripetono la forma delle capanne tradiziona-li. Il silenzio, lo spazio, la perfetta solitudine e l’in-consapevole magnificenza del luogo ci hanno indot-to a una mezz’ora di adorazione, e ci siamo staccatisolo perché la strada per Phalaborwa era ancoralunga.All’interno del Kruger dorme chi prenota con mesidi anticipo, ma si possono trovare sistemazioni pia-cevoli anche fuori. E’ il caso della Timbavati SafariLodge, con graziose capanne in muratura e soffittoin paglia, a pochi chilometri dalla Orpen Gate. Al dilà della piscina, dietro al bar – a cui mancava solo laspina per la birra per dar l’impressione d’esser sta-to portato in volo dagli angeli direttamente dall’In-ghilterra – un recinto di canne protegge la zona ri-storante. La cena è a buffet, con due tipi di carne, va-rie verdure e perfino polenta. Non abbiamo ancorafinito di mangiare che irrompono dei ragazzini e deigiovani in pelli d’animale e piume, brandendo lancee archi, cantando, ballando e accennando movenzedi lotta e di caccia. Sebbene le tribù siano state mol-te e non sempre in buoni rapporti tra loro, la cultu-ra dominante della zona è zulù, e questo è il nostroprimo assaggio. Ne avremo più ampia dimostrazio-ne più a sud, a Eshowe, dove non ci siamo potuti per-mettere le capanne a cinque stelle della catena al-berghiera di lusso Protea, ma dove almeno abbiamopotuto assistere ad una descrizione della vita in unvillaggio tradizionale, riprodotto lì in miniatura, epartecipare a una vera e propria festa come si cele-brava nelle comunità nelle grandi occasioni, doveognuno metteva in mostra le proprie capacità mi-gliori: gli uomini con lunghe lance e scudi, le donnecon coloratissimi vestiti di perline. Il nostro cicero-ne, un ragazzotto dall’ottimo inglese, e i suoi com-

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Da un Sudafrica, gr. PinTesto e foto di Renzo Pin

AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDOSudafrica

5.555 Kmin Sudafrica

“ho visto cose che voi non credereste”

(04-113) Articoli+Tac_Articoli Estivo 2010 19/10/10 15.37 Pagina 30

pagni, che si sono esibiti in una gara di lancio del gia-vellotto contro il teschio di un elefante appeso al re-cinto di tronchi, è bello, alto e pasciuto. Forse i suoiconsanguinei che, pochi chilometri più in là, conti-nuano a dipendere dalla terra per la loro sopravvi-venza, non hanno una vita così facile. E mentre os-serviamo le ragazze lanciare le gambe in aria quan-to più in alto possibile su un ritmo pleistocenico, ciaccorgiamo che non riusciamo a entrare in sintoniacon questa cultura troppo grezza, e che i nostri mon-di non avranno che quella serata in comune. In viag-gio, una sorta di sesto senso aumenta le percezioni,ma non riusciamo comunque ad uscire abbastanzada noi stessi per partecipare e capire.Un trucco per mettersi sulla stessa lunghezza d’on-da è far leva sugli istinti, e le numerose donne delgruppo non hanno saputo frenarsi davanti ad un asi-lo infantile in Lesotho. La maestra è stata tanto gen-tile da concedere una mezz’ora alla nostra visita ina-spettata – credo la nostra offerta l’abbia poi com-pensata dello scompiglio causato – e veramente ipiccoli negretti erano così belli che anche a me è ve-nuta la tentazione di rubarne uno e di portarmelo acasa. Adorabile è dir poco: quegli occhi innocenti,quella fiducia completa, il figlio che non ho mai avu-to e due volte disperatamente desiderato, la magiadella vita davanti agli occhi nella sua ineffabile sem-plicità: come resistere? Gli arazzi, che erano il mo-tivo della sosta a Teyateyaneng, sono passati in se-condo piano. Abbiamo comunque visitato le tessitri-ci, nel loro laboratorio davanti all’asilo, ed ho purecomprato un arazzo raffigurante degli impala intor-no ad una pozza d’acqua mentre un grande baobab– pallido come una presenza spettrale – osserva de-gli orici in corsa sullo sfondo. Esotico? Dipende conquali occhi lo si guarda. Giorno dopo giorno, via viache vedevamo gli animali nel loro ambiente, si svi-luppava in noi un’abitudine alla loro presenza, sa-pevamo di condividere il medesimo territorio, la me-desima esistenza – un essere hic et nunc che, seb-bene con forme diverse e secondo altre coordinate,ci accomunava: la partecipazione alla stessa vita. Ecosì quella scena di fili di lana – lana che porta an-cora l’odore della sua pecora – mi è familiare anchese l’ho vissuta solo per pochi giorni: in viaggio si ècompletamente calati nel presente e le impressionidel momento e, dopo, i ricordi, sono amplificati.Impala – inaspettatamente, visto che costellano lasavana come da noi le macchie nere di gomma damasticare i nostri marciapiedi – non ne abbiamo vi-sti alla Hluhluwe Game Reserve, e nemmeno, il gior-no prima, alla Mlilwane Game Reserve. In compen-so, a Mlilwane li abbiamo mangiati a cena – e la lo-ro carne è deliziosa, prevedibilmente simile al no-stro agnello. E Hluhluwe ci ha regalato la vista del-l’ultimo “big five” che ci mancava: il rinoceronte. In-fatti, sebbene col binocolo, il “big five” più difficile da

vedere, il leopardo, lo avevamo visto al Kruger. Im-mobile, sull’erba di un’isola del fiume Sabie, sven-tagliava a tratti la coda come un gatto nervoso. Ilponte era gremito e per vederlo ho osato uscire dalpulmino.Oltre al giro alla Mlilwane, a piedi o in mountain bi-ke, lo Swaziland ci ha regalato l’esperienza di un pe-culiare sito per matrimoni e feste ispirato allo stileorganico e variopinto di Gaudì, la “House on Fire”, eil vitalissimo mercato settimanale di Manzini, la ca-pitale. Ad alcuni di noi la vista di alcune matrone spa-paranzate sui banchi, dimensioni da balena incinta,non uscirà più dalla mente. Non s’è osato, ovvia-mente, fotografarle: la reazione avrebbe potuto es-sere devastante. Ma, più che quelli di Manzini o delmercato d’artigianato della Ezulwini Valley, sono isouvenir di Baobab Batik e di Swazi Candles quelliper cui vale la pena fare spazio in valigia. Batik di gu-sto raffinato fatti a mano – il negozio è anche labo-ratorio e la commessa è anche artista – e candeled’ogni forma e colore, con relativi profumi: è il mo-mento di tirar fuori la carta di credito. A questo pro-posito, vale la pena scegliere con cognizione di cau-sa il taglio da dare ad un viaggio in Sudafrica. “Chefar degg’io? Gioire, di voluttà nei vortici perire” (Vio-letta, “La Traviata”, atto I). Sì, come Violetta possia-mo darci alla pazza gioia, perché il costo a terra diun viaggio in Sudafrica, anche fatto in tutta comodi-tà come il nostro, rimane contenuto. Le restrizionisono imposte non dai prezzi ma dalle distanze: in tresettimane abbiamo percorso più di 5.500 chilometrie tanto di quel paese è stato visto dal finestrino. Maquando scendevamo abbiamo fatto di tutto: un mor-ning game drive (avvistamento animali in automez-zo speciale) la mattina presto allo Hluhluwe, un nightgame drive all’Isimangaliso Wetland Park, un giro inbarca a caccia (fotografica) di coccodrilli e di ippo-potami sull’estuario a St. Lucia... Sappiamo di grup-pi che hanno anche fatto il bagno nelle acque del-l’Oceano Indiano a Cape Vidal, lo stesso del famosoprofumo al pino silvestre, ma la temperatura, il ven-to e – dettaglio non trascurabile – la presenza occa-sionale di squali ci hanno dissuaso. Invece, volentie-ri siamo andati a vedere le pitture rupestri a Giant’sCastle e ci siamo avventurati in un trek al Golden Ga-te Highlands National Park, dueparchi nella bella catena mon-tuosa dei Drakensberg. I piace-volissimi chalet invitavano a so-spendere il nostro pellegrinag-gio e a fermarci per una vacan-za residenziale. Spazi, grandispazi, e uno sciacallo dallagualdrappa alla ricercadel pasto quoti-diano in un cam-po ocra come il

suo pelo: solo la gualdrappa nera sul dorso ci ha per-messo di localizzarlo. Cosa poteva trovare in quel-l’infinito vuoto?Le distanze sono un elemento importante quando siprogramma un giro del Sudafrica. Abbiamo appenafatto in tempo ad arrivare a Malealea, il nostro pied-à-terre in Lesotho, per visitare il villaggio o per fareuna passeggiata panoramica. Il paese è poverissi-mo, ma il lodge è il catalizzatore delle attività del vil-laggio, offrendo alla gente la possibilità di lavorareper i servizi ai turisti. La sera, prima di cena, si esi-biscono due gruppi: un coro e un gruppo rock. Pez-zenti possono essere, ma sanno come si fanno le co-se, e hanno la buona volontà per farle bene. Allog-giavamo attorno ad un grande cortile alberato, inquelle che sembravano le casette dei nani, con ten-dine colorate alle piccole finestre e le coperte del ca-so (1.850 metri d’altitudine, nel loro inverno). Il ge-neratore viene spento alle 22, e il bar del lodge hapermesso agli alcolizzati del gruppo di fraternizza-re fino a tarda ora, mentre i più anziani prendevanorifugio sotto le trapunte. L’accoglienza organizzata egenerosa dà a Malealea un’aria di casa, e le coltiva-zioni a terrazze sono uno spettacolo. “Si ridesta inciel l’aurora, e n’è forza di partir” (Tutti, “La Travia-ta”, atto I), dopo aver ripacchettato i bagagli alla lu-ce delle pile, visto che la corrente viene riaccesa so-lo alle 9. E le distanze oggi ci obbligano a una gior-nata intera in pulmino. In verità quest’aurora è oscu-rata da minacciose nubi viola, e per strada incontre-remo sprazzi di sereno, di nuovo nubi, pioggia, gran-dine grossa così, folate di neve e di nuovo sereno. Ilprato della fattoria che ci farà da casa per questanotte è coperto da un dito di neve ghiacciata. Ma, dinuovo, il benvenuto è straordinario, e possiamo ve-dere come vivevano i ricchi coloni olandesi. La cena,preparata personalmente dalla padrona di casa, èottima – l’unica differenza è che il sufflé di zucca, colquale loro amano accompagnare le verdure, è tal-mente dolce che lo scambiamo per dessert. I mobi-li sono ingombri di merletti e di vecchie foto di fami-glia, un pianoforte e la zona soggiorno completanola lunga sala da pranzo. Fanno corona alla casa prin-cipale le ex-stalle ed altre costruzioni, tutte ristrut-turate per accogliere i rari turisti: siamo qui perchéla fattoria Doornberg era l’unica struttura vicino aNieu Bethesda in grado di ospitare tutte e sedici le

persone del gruppo. Lafermata era assai curio-sa: a metà del secolopassato, una matura si-gnora del paesino, solada lunga data, aveva de-ciso di dedicarsi allabellezza. Finita di deco-rare la casa, ha popola-to il piccolo giardino

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AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO Sudafrica

Il faro diCapoAgulhas

Zebre e Ippopotami al Parco nazionale Kruger

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con una infinità di personaggi di cemento e vetro: unluogo davvero singolare, specchio della fantasia fer-vida e febbrile di quest’artista sui generis, che ci ri-corda che meraviglie che cerchiamo a volte le sco-priamo negli esseri umani: le persone con cui vivia-mo sono in realtà misteriose e remote. La salva-guardia delle diversità, dei linguaggi e delle culturedi nicchia è l’unica difesa contro la globalizzazione.La Owl House, dopo decenni di abbandono, è statariconosciuta come eredità culturale e viene ora va-lorizzata per la sua visionarietà.Altrettanto singolare è la vicina Valle della Desola-zione, una muraglia perfettamente verticale di roc-cia bruna che si erge al di là d’un profondo burrone.Meno interessante la visita della vicina Graaff-Rei-net, graziosa cittadina con alcuni edifici coloniali benconservati. Unica, e indimenticabile, invece l’espe-rienza di toccare e giocare con due cuccioli di leone,uno tigrato e l’altro bianco, presso uno strano posto,un mix di coffee shop, emporio turistico e alleva-mento predatori sulla strada verso l’Addo ElephantPark. Altro tipo di cuccioli da rubare… Ad Addo ilgruppo s’è diviso: una metà ha affrontato la rigiditàd’un morning game drive, imbacuccati con tutto quelche c’era di caldo, e premiati dall’avvistamento diuna famiglia di leoni. L’altra metà ha preferito visi-tare il parco in pulmino, ed anche loro hanno fattodegli interessanti avvistamenti di elefanti. Un’orettasulla spiaggia di Jeffrey’s Bay per vedere i famosi su-pertubes – ma i surfisti non riuscivano a decollare,forse per il vento contrario – per poi chiudere la gior-nata in bellezza col brivido di volare da una chiomaall’altra della foresta di Tsitsikamma, imbracati ditutto punto, nel Canopy Tour. Ma lo Tsitsikamma Na-tional Park è soprattutto il punto di partenza per duedei più famosi trek del Sudafrica, percorsi di sei gior-ni ciascuno. Noi abbiamo camminato le prime oredell’Otter trail – non facile ma immensamente gra-tificante. La rabbia con cui l’oceano si scaglia controle saldissime rocce che escono come lastre verti-calmente dalla riva, il cielo plumbeo, la verginità diquel luogo hanno cambiato qualcosa dentro di noi.“La vera scoperta non consiste nel trovare nuovi ter-ritori, ma nel vederli con nuovi occhi” (MarcelProust). Vai allo Tsitsikamma e davvero ti rifai gli oc-chi.Allo Tsitsikamma inizia anche la famosa GardenRoute, una panoramica strada costiera, lungo laquale il paesino di Knysna ci offre le sue famoseostriche per pranzo mentre, più all’interno, ci aspet-tano le Cango Caves, una delle dieci maggiori attra-zioni del Sudafrica. Avrei voluto visitarle seguendo ilpercorso “avventuroso”, ma le foto in internet dei vi-

sitatori cheavanzano a for-za di gomitilungo stretticunicoli hannofatto optare ilgruppo per ilpiù tranquillopercorso stan-dard. E di nuo-vo andiamo adormire in unafattoria, e di nuo-vo una cena squisi-ta, con un bisteccone distruzzo degno degli asados argentini. Non dimenti-cherò mai l’arrivo: appena hanno sentito i pulminiparcheggiare davanti al caseggiato, i padroni sonousciti con un vassoio e 16 bicchierini d’un liquore fat-to in casa. In questo periodo di difficoltà economi-che, debbono aver aspettato il nostro arrivo con lastessa impazienza che avevamo noi di riposarci in unposto accogliente. La notte, il cielo era terso e pie-no di stelle. Abbiamo tentato più volte, nel corso delviaggio, di identificare le costellazioni, chiedendocise si potessero vedere anche quelle del nostro cie-lo, ma la geografia che veramente vale non è quellache viene insegnata a scuola… Il giorno successivosiamo andati a visitare i genitori, forse, del cucciolobianco di leone che ci eravamo spupazzati. Li abbia-mo trovati sdraiati, annoiatissimi, nel recinto di unparco tematico inteso a promuovere scambi di ani-mali rari tra gli zoo del mondo. Le passerelle so-praelevate ci hanno permesso un’ottima visuale de-gli splendidi esemplari di animali rari – pipistrelli dafrutta egiziani, uno strano facocero, giaguari, leo-pardi, condor… e il museo di Swellendam ci ha datouna panoramica della civiltà contadina dei coloniolandesi e inglesi della punta del continente. Seb-bene remota rispetto alla nostra cultura, è comun-que un piacere calarsi nell’anima di questa terra.“L’osservazione pura, non turbata da volontà o fina-lità alcuna, l’esercizio fine a se stesso di vista, udito,odorato, tatto, è un paradiso di cui i più raffinati dinoi hanno profonda nostalgia, ed è in viaggio che ri-usciamo a perseguirla nel modo migliore e più pu-ro”, ha scritto Hermann Hesse. Un piacere soddi-sfatto dal museo Drostdy di Swellendam che è, nelsuo genere, uno dei più belli e completi del Sudafri-ca. Dalle sue candide mura alle candide dune dellaDe Hoop Nature Reserve sono meno di tre ore, mavia via che ci si avvicina i conducenti debbono staresempre più attenti alle buche dello sterrato. Le orealla De Hoop rimangono nella memoria come stac-cate dal resto del viaggio, quasi fosse una parentesiultraterrena. La situazione era mistica: priva d’ognicosa ma piena di una forza che tutti noi sentivamo.Noi! Chi ci ha disciplinato nella conoscenza del mon-do e di noi stessi? In assenza di veri maestri (e in pre-senza di una moltitudine di falsi profeti), provvede ilviaggio.Ma De Hoop era l’ultimo atto della nostra identifica-zione con l’oceano, con gli animali, con i vasti spazidel Sudafrica. Già la visita a Kassiesbaai, il quartie-re dei pescatori di Arniston, colle sue ristrutturatecasette candide e fotogeniche, cominciava a ripor-tarci nell’artefatto, nell’intenzionale. E Cape Agul-has è solo il punto più meridionale del continente, enon ha nulla dell’entusiasmante crudezza dello Tsit-

sikamma. Foto di rito col gruppo, visita albellissimo faro, e l’addio, il giorno dopo, agli ani-

mali, affidato alle balene di Hermanus e ai pinguinidi Betty’s Bay. All’avvicinarci a zone più popolate,l’albero della vita che ci aveva nutrito con la poesia(avevamo un fotografo-poeta tra noi), con l’amore(forse!), la natura, il sole, la bellezza, la luna, l’ar-monia, le stelle, la vita, le risate, la speranza, gli uc-celli, l’amicizia, l’humour, si trasformava nell’albe-ro della conoscenza, coi suoi frutti amari. D’ora inora percepivo ricomparire il mio muro di protezione,mentre scivolavo nuovamente nella mia maschera,nel mio ruolo. Lì per lì non ce ne siamo resi conto,ma il brindisi che abbiamo fatto alla cantina Har-tenberg – tutto il territorio di Stellebosch è un tripu-dio di vigne e storiche aziende vinicole – è stato l’ad-dio al Sudafrica selvaggio, e il ritorno a sentirci insi-gnificanti sassolini sul fondo del mare della vita.Le costruzioni storiche lungo la costa orientale del-la Penisola del Capo ci fanno ridere, noi che abbia-mo tremila anni di storia, ma le cabine sulla spiag-gia di Muizenberg, dove Agatha Christie si cambia-va negli anni ’20, quando trovava una mezza giorna-ta per andare a fare surf, sono ancora coloratissime,ed è un piacere perverso perdersi nelle antichità deinegozi di rigattiere di Kalk Bay. Io ho comprato al-cuni long playing che avranno forse la mia età e un’e-dizione ancor più vecchia dell’opera completa diOscar Wilde: prima o poi voglio imparare a parlaree a scrivere. Snobbiamo i pinguini di Boulders ed en-triamo nel Parco della Punta del Capo. La penisolatermina con due speroni, e la camminata dalla Pun-ta del Capo, col vecchio faro in cima, e il Capo di Buo-na Speranza, una mezz’ora più a ovest, è uno dei mo-menti che più rimane impresso per le dimensionidello spettacolo della montagna e dell’oceano. Ten-tiamo di imboccare la panoramica Chapman Peak’sDrive, che alcuni gruppi erano riusciti a percorrerenonostante fosse interrotta, ma la strada è sbarra-ta e ci obbliga a un lungo giro per raggiungere la co-sta occidentale della penisola. Ecco i Dodici Aposto-li, i picchi neanche tanto ben riconoscibili che si af-facciano sull’Atlantico. Sui massi granitici dellaspiaggia di Clifton scattiamo le ultime foto al sole,che va nelle Americhe.Forse serve più di un giorno a Città del Capo per ca-pirne la bellezza che tutti decantano. A me ha fattol’impressione di un mélange non riuscito di magni-loquenza coloniale, di imprendibili fortezze bancariee di comune edilizia popolare tra cui compaionopreoccupanti tratti contemporanei. Bella è la pre-senza, imponente ma non incombente, della TableMountain, che oggi è opportunamente sgombra dinubi e, con un piccolo sforzo della nostra mascotteportafortuna (abbiamo bucato solo due volte, e se

Leone bianco al Cango Wildlife Ranch

ShakalandGara di lancio del giavellotto

AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDOSudafrica

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AntefattoGaleotta fu la Tanzania: Gigi e Ida siconoscono, si scelgono e decidonodi sposarsi. Ma Gigi non rimase so-lo folgorato da Ida: vista la sua primazebra dal vivo, la sceglie come animaletotemico. Gli amici di viaggio, quindi, so-no messi a dura prova: il regalo di noz-ze deve essere una pelle di zebra! La re-sistenza della componente “animalista”del gruppo e costretta a cedere. Il nido d’amore del-la novella coppia, infatti, e nato sulla pelle di zebra.“Prima venne la zebra, poi la mansarda, luogo elet-to di dimora del nobile animale. Sulla mansarda, poi,abbiamo costruito la futura casa.” Non abbiamo giu-stificazione alcuna: dobbiamo procurarci la pelle. Lacaccia alla zebra si risolve felicemente senza alcunmutuo (avete idea di quanto costa una pelle di zebravera?). Oggi la pelle di zebra allieta la mansarda de-gli sposi fra lo sconcerto, per non dire il disgusto, diamici e parenti. Vinta la prima sfida (“non pensavoche ce l’avreste mai fatta!” confessa Gigi), ecco su-bito pronta la seconda: il viaggio di nozze! Riusci-ranno i nostri reduci dalla Tanzania ad affrontare an-che lo Zambia della nuova linea safari di AnM, unaprima in un paese poco conosciuto e poco turistico?E fu cosi che un viaggio nuovo, che attraversa tregrandi paesi dell’Africa Australe via terra (Sudafri-ca, Botswana e Zambia) diventa il viaggio di nozze diGigi ed Ida, condiviso con altri sedici avventurieri,buona parte dei quali ignari dell’occasione straordi-naria cui hanno modo di partecipare. Un itinerariointenso, un viaggio che non si puo dimenticare dalpunto di vista emotivo. I parchi rappresentano unavera e propria “full immersion” in una natura anco-ra incontaminata, con spazi immensi e poco turismo.E il gruppo che accompagna gli sposi rappresentatutta l’Italia, dall’estremo sud, Catania, al confinecon la Svizzera, il Lago Maggiore.

1°- Sabato 08 agosto Italia-Dubai- JohannesburgL’appuntamento con tutto il gruppo e a Dubai, alle

2:30 di notte al gate, in partenza per Joburg.Noi “romani” abbiamo caricato le

tende e i ma-terassini ,ormai in vo-

lo per la de-stinazione finale. Un giro rapido di presen-

tazioni e ... via, verso la seconda tappa della nostratraversata. Certo che volare Emirates e un vero sbal-lo: uno per lo shopping al duty free (Gigi il tecnolo-gico s’illumina e censisce gli acquisti da fare al ri-entro); due per i film, la musica e i giochi elettroni-ci di cui ciascuno e titolare nel lungo volo.2°- Domenica 09 agosto

Johannesburg - Pretoria – Bela Bela (167 Km / 2h50’) (p. 14:00 - a 19:15)

Arriviamo puntualissimi a Joburg e alle 10:50 toc-chiamo terra. Arrivano anche tutti i bagagli. Le for-malita sono rigorose ma veloci. Solo la dogana miblocca con il mio carico di tende e materassini nuo-vi. Gli addetti vogliono la certezza che li porteremoindietro al rientro, altrimenti ci chiedono di pagarele tasse doganali in entrata. Un po’ di discussione edi tempo e alla fine, siamo fuori. Un timido fogliettodi carta a quadretti con scritto a biro Sonia ... ci se-gnala (ma solo per chi e dotato di ottima vista, datala dimensione del foglio e la grafia incerta) che sia-mo attesi. Ci aspetta Titus, detto Shumba (Leone) ilnostro autista per quindici giorni. Eh si, quindicigiorni! Perche la ricevuta della Cassa Trasporti cheha Shumba e per quindici giorni e non per quattor-dici, come da contratto. Non vedo molte possibilitaalternative: la ricevuta e fatta. Mss. Wilma da Hara-re, proprietaria del truck, non sente ragioni di scon-ti e/o riduzioni. Raccolgo la prima cassa e con il con-senso del gruppo, pago ¤. 300 in CC d’aggiunta allacassa trasporti.

Una full immersionin una natura incontaminata

conspazi immensie poco turismo

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non è fortuna questa….), si libera anche del forte ven-to permettendoci la salita in funivia, per l’ultimo pae-saggio da cartolina. Il pomeriggio, chi va alla Rob-ben Island, un tributo ad una storia che il Sudafricasta lavorando per cambiare, chi fa un giro della cit-tà alla ricerca di quegli introvabili cappellini dellaCoppa del Mondo per i parenti, e la sera all’Acqua-rio, il gioiello del Victoria & Alfred Waterfront. E’ lamoda dell’architettura contemporanea: Barcellonae Lisbona, per menzionare solo i porti più vicini a noi,hanno recentemente recuperato il loro affaccio sulmare con la riqualificazione di Port Vell e di Barce-loneta e la creazione del Parque das Nações rispet-tivamente. Città del Capo ha fatto lo stesso rivitaliz-zando le strutture in disuso della baia, e senza ne-cessità di un’Olimpiade. In realtà, poco lontano dalWaterfront, abbiamo visto operai lavorare giorno enotte al nuovo stadio per le partite del 2010. Ospita-re un evento di portata mondiale significa, per unpaese sviluppato, un’occasione di rinnovamento, eper uno emergente il raggiungimento della maggio-re età, l’entrata nel consesso delle nazioni che con-tano. Il Sudafrica ha fatto molta strada dall’abolizio-ne dell’apartheid nel 1992 ma le città rimangono an-cora pericolose – per questo abbiamo accuratamen-te evitato sia Johannesburg che, a malincuore, Dur-ban, dove avremmo trovato mercati odorosi e templiindù. E pure a Città del Capo, dopo una certa ora, èmeglio non avventurarsi. Forse, quando torneremo,troveremo un paese più libero anche per i bianchi.Per il momento, forse non potremo, con Roy Batty,il replicante impersonato da Rutger Hauer in “Bla-de Runner”, proclamare: “Ho visto cose che voi noncredereste: navi d’assalto bruciare non lontano dal-la spalla di Orione, ho osservato raggi-C brillare nelbuio vicino alla Porta di Tannhauser – tutti questi mo-menti sarebbero perduti nel tempo come lacrimenella pioggia”, ma il Sudafrica ci ha sorpreso conmomenti altrettanto incredibili e indelebili. “I veriviaggiatori son quelli che partono per partire e ba-sta: cuori lievi, simili a palloncini, qualsiasi cosa pos-sa succedere non si tirano indietro e dicono sempre‘Andiamo’, e non sanno perché”, ha scritto CharlesBaudelaire. “Andiamo”, annunciamo sempre con unsorriso, e quando torniamo è difficile trovar le paro-le giuste per raccontare. “Com’è grande il mondo al-la luce delle lampade! Agli occhi del ricordo, com’èpiccolo!”: è così piccolo, che tutti i 5.555 km percor-si in Sudafrica stanno tutti nella mia memoria, vivi-di come un sogno più lungo della notte. Solo, non viso comunicare le emozioni di quella strada: dovete

percorrerla di persona.

AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE Zambia | Botswana

L'intero gruppo a Capo Agulhas

Da un Zambia Botswana SafariTesto di Sonia ParisiFoto di Parisi e Fiori

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