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Joaquín Llobell La genesi della sentenza canonica * Premessa................................................1 Introduzione............................................2 A. La formazione della decisione giudiziaria...........3 1. La genesi della decisione giudiziaria. La motivazione «coram proprio iudice»..............................3 2. La «quaestio facti».................................6 a) Il «favor veritatis» e la certezza morale.......6 b) La libera valutazione delle prove..............11 3. La «quaestio iuris»................................13 a) Le norme costitutive del matrimonio, l’«aequitas canonica» e l’«epikeia»........................13 b) Il valore normativo della giurisprudenza rotale 16 4. La collegialità della decisione....................25 5. La formazione della decisione in seconda od ulteriore istanza............................................28 B. La motivazione «coram partibus» della decisione giudiziaria........................................32 6. Cenni storici sull’obbligatorietà della motivazione nell’ordinamento canonico..........................32 7. La concezione endoprocessuale ed extraprocessuale della motivazione..................................37 8. La funzione endoprocessuale della motivazione......38 9. La funzione extraprocessuale della motivazione.....41 * In P.A. BONNET - C. GULLO (a cura di), Il processo matrimoniale canonico , ed. 2, Città del Vaticano, 1994, pp. 695-734.

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Joaquín Llobell

La genesi della sentenza canonica *

Premessa.................................................................................................................... 1

Introduzione.............................................................................................................. 2

A. La formazione della decisione giudiziaria.........................................................3

1. La genesi della decisione giudiziaria. La motivazione «coram proprio iudice».3

2. La «quaestio facti»...........................................................................................6

a) Il «favor veritatis» e la certezza morale...................................................6

b) La libera valutazione delle prove...........................................................11

3. La «quaestio iuris».........................................................................................13

a) Le norme costitutive del matrimonio, l’«aequitas canonica» e l’«epikeia»13

b) Il valore normativo della giurisprudenza rotale .....................................16

4. La collegialità della decisione.........................................................................25

5. La formazione della decisione in seconda od ulteriore istanza........................28

B. La motivazione «coram partibus» della decisione giudiziaria.........................32

6. Cenni storici sull’obbligatorietà della motivazione nell’ordinamento canonico32

7. La concezione endoprocessuale ed extraprocessuale della motivazione..........37

8. La funzione endoprocessuale della motivazione.............................................38

9. La funzione extraprocessuale della motivazione.............................................41

SOMMARIO: Premessa. Introduzione. A.– La formazione della decisione giudiziaria. 1.– La genesi della decisione giudiziaria. La motivazione coram proprio iudice. 2.– La quaestio facti. a) Il favor veritatis e la certezza morale; b) La libera valutazione delle prove. 3.– La quaestio iuris. a) Le norme costitutive del matrimonio, l’aequitas canonica e l’epikeia; b) Il valore normativo della giurisprudenza rotale. 4.– La collegialità della decisione. 5.– La formazione della decisione in seconda od ulteriore istanza. B.– La motivazione coram partibus della decisione giudiziaria. 6.– Cenni storici sull’obbligatorietà della motivazione nell’ordinamento canonico. 7.– La concezione endoprocessuale ed extraprocessuale della motivazione. 8.– La funzione endoprocessuale della motivazione. 9.– La funzione extraprocessuale della motivazione.

Premessa

Il presente studio ha una struttura formale, rispecchiata dai diversi titoletti, simile a

quella del saggio pubblicato nella prima edizione del volume che lo ospita (Sentenza:

motivazione e decisione). Tuttavia, nel correggerlo per la seconda edizione, mi è sembrato

* In P.A. BONNET - C. GULLO (a cura di), Il processo matrimoniale canonico, ed. 2, Città del

Vaticano, 1994, pp. 695-734.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 2

doveroso introdurre molte modifiche sia di stile che sul merito del discorso. La stesura

originale riproduceva una relazione tenuta nel novembre 1987 in un corso organizzato

dall’Arcisodalizio della Curia Romana alla “Sala dei cento giorni” del Palazzo della

Cancelleria Apostolica; perciò tra le modifiche, quelle meno importanti, riguardano la

soppressione delle espressioni caratteristiche di una conferenza, presenti nella precedente

versione. Da allora, inoltre, ho avuto occasione di approfondire e di precisare alcune delle

impostazioni tecniche e concettuali adoperate nella prima edizione, che mi è sembrato

onesto esporre per iscritto. Perciò ho ritenuto giusto dare un titolo diverso al presente

articolo, sebbene sia consapevole che ci sarebbero altri cambiamenti e aggiornamenti da

introdurre. Benché non sia in grado di avvertire il lettore delle modifiche, continue e

consistenti lungo tutto il lavoro, posso indicare tuttavia che ha maggiore portata quella

riguardante il valore normativo della giurisprudenza rotale.

Introduzione

Lo studio degli aspetti più sostanziali della sentenza – la genesi della decisione e la

funzione e la struttura della motivazione – nel ristretto spazio del capitolo di un libro su

tutte le tematiche – organiche, soggettive, procedurali, ecc. – riguardanti il processo di

nullità del matrimonio, obbliga a realizzare un’energica scelta circa l’obiettivo che si

pretende raggiungere 1. La scelta è stata quella di analizzare – da una prospettiva piuttosto

accademica che tiene però conto dei problemi pratici presso i tribunali ecclesiastici –

alcune questioni significative per l’armonico combaciamento della dimensione tecnica del

processo di nullità del matrimonio con l’altra dimensione che è quella pastorale. Saranno

quindi tralasciate le problematiche meramente formali che, se pur sono essenziali per il

retto svolgimento della potestà giudiziaria, raggiungono il loro scopo soltanto se poggiano

su quei concetti ermeneutici basilari.

L’esposizione è incentrata sui processi dichiarativi di nullità matrimoniale. Come è

risaputo, il codice regola il nucleo di questi processi nella sezione relativa al giudizio

contenzioso ordinario, al quale rimandano le norme generali del capitolo sulle cause per la

dichiarazione di nullità del matrimonio, tanto in senso positivo (cfr. can. 1691), quanto

mediante un precetto negativo (cfr. cann. 1656 § 2 e 1690) che esclude il processo

1 Per una recente sintetica trattazione dell’oggetto di questo studio, cfr. M.F. POMPEDDA, Decision-

sentence in marriage trials: considerations of the concept and principles for rendering an ecclesiastical

sentence, in Studio Rotale. Quaderni, 5 (1990), pp. 73-99.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 3

contenzioso orale quale alveo nel quale possa scorrere una causa di nullità matrimoniale 2.

Tuttavia, anche se il legislatore abbia rifiutato i tentativi di configurare il processo

matrimoniale come analogatum princeps del processo canonico, è evidente che le

problematiche concernenti le cause matrimoniali hanno avuto un notevole influsso lungo

tutta la genesi normativa del processo contenzioso ordinario 3.

Nell’esposizione sono state adottate categorie classiche nella scienza giuridica civile

per l’analisi di alcune questioni. In quanto tali concetti corrispondono ad un livello di

«ragione naturale» – che dobbiamo considerare come uno dei supporti irrinunciabili della

scienza canonica – formano anche parte del patrimonio giuridico del popolo di Dio 4.

A. La formazione della decisione giudiziaria

1. La genesi della decisione giudiziaria. La motivazione «coram proprio iudice»

Il can. 1611, 3º recita: “sententia debet exponere rationes seu motiva, tam in iure

quam in facto, quibus dispositiva sententiae pars innititur”. Con il laconico stile

normativo, è proposta un’affermazione fondamentale: la parte strettamente dispositiva

della sentenza, alla quale fanno riferimento gli altri tre paragrafi dello stesso canone, deve

incontrare diretta giustificazione in ragioni concrete ed oggettive, capaci di essere

trasmesse ai destinatari della decisione nella sua motivazione. Tali destinatari non sono

soltanto le parti processuali e il tribunale di appello; ogni sentenza giudiziaria

sull’esistenza di un vincolo matrimoniale possiede infatti un evidente interesse sociale per

la Chiesa e per la comunità civile. I motiva, indica il codice, devono permettere di

comprendere la coerenza della decisione giudiziaria, la razionalità intrinseca ed estrinseca

della stessa.

La motivazione stricto sensu, che possiamo denominare coram partibus, deve

riflettere adeguatamente la motivazione coram proprio iudice che logicamente e

cronologicamente la precede 5. Quindi, lo schema della motivazione coram partibus

2 “Processus contentiosus oralis non dat satisdationes («garanzie» [sic]), quae processui matrimoniali

propter vinculum sacramentale necessariae sunt. (...) Immo, consultores unanimiter, ad praecavendos

abusus hac in re, ad can. 1608, addere proponunt § 2 (...) [l’attuale can. 1656 § 2]” (Communicationes, 16

[1984], pp. 76-77). Cfr. L. MADERO, El proceso contencioso oral en el “Codex Iuris Canonici” de 1983 , in

Ius Canonicum, 24 (1984), pp. 197-291, in particolare pp. 265-273.

3 Cfr. Communicationes, 16 (1984), p. 53.

4 Cfr. infra nota 68 e le considerazioni che l’affiancano.

5 Cfr. J. LLOBELL, Historia de la motivación de la sentencia canónica, Zaragoza, 1985, pp. 55-60.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 4

proposto dal legislatore – in iure ed in facto – è utile per analizzare il complesso itinerario

intellettuale e volitivo dal giudice intrapreso per giungere alla sentenza. Questa logica

dinamica, riflessa universalmente nella prassi giurisprudenziale nell’emissione della

sentenza, ricorda la tendenza dei teorici classici del diritto a paragonare l’itinerario

decisionale del giudice con gli schemi della logica aristotelica, la cui espressione

emblematica è costituita da un sillogismo, di cui sia propositio maior la norma astratta,

propositio minor l’individuazione del fatto giuridicamente qualificato, e conclusione

l’applicazione della legge alla fattispecie 6. Questa nota affermazione, particolarmente

grata ai filosofi politici – più che ai giuristi – dell’illuminismo, per essere operativa, per

poter camminare, ha bisogno di due punti di appoggio. Uno sarebbe l’esistenza di norme

chiare ed onnicomprensive, capaci di dare una risposta a qualsiasi questione. L’altro, senza

il quale lo schema sillogistico non potrebbe progredire, è la configurazione – a livello

costituzionale – della figura del giudice come chi deve applicare la legge al singolo caso.

Spesso, nell’illuminismo si cade in un’impostazione meccanicistica del ruolo del giudice,

bocca della legge, la «macchina sillogizzante», come diceva ironizzando il Calamandrei in

uno scritto dal quale traspare l’evoluzione del pensiero del gran giurista 7.

Effettivamente, è molto comune nella scienza giuridica civile cadere in un

progressivo e ciclico disincanto e scetticismo, come accade per esempio dopo l’entusiasmo

e l’ottimismo del periodo illuminista, basati su un diritto naturale agnostico – lo ius

naturale esse etiam si daremus non esse Deus di Ugo Grozio –, incapace di resistere agli

impatti dell’etica coerentemente fondata sul principio di immanenza. L’euforia torna in

questi ambienti giuridici quando pensano d’aver scoperto la pietra angolare che offre

sicurezza al sistema 8. Successivamente, allorquando si riscontra l’instabilità di tale

scoperta, dall’euforia si passa nuovamente alla critica più acre di qualsiasi capacità umana

6 Cfr. P. CALAMANDREI, La genesi logica della sentenza civile, in Studi sul Processo Civile, Padova,

1930, vol. 1, pp. 1-51; ID., La crisi della motivazione, in Processo e democrazia, Padova, 1954, pp. 95-118;

F. CARNELUTTI, Appunti sulla motivazione, in Rivista di Diritto Processuale, (1951), pp. 88-90; A.

PALERMO, Il processo di formazione della sentenza civile, Milano, 1956, pp. 35-56; B. PELLINGRA, La

motivazione della sentenza penale. Profili strutturali, Milano, 1974, pp. 5-86; M. TARUFFO, La motivazione

della sentenza civile, Padova, 1975, pp. 149-205; J. WRÖBLEWSKI, Motivation de la décision judiciaire, in

CH. PERELMAN - P. FORIERS (a cura di), La motivation des décisions de justice, Bruxelles, 1978, pp. 111-

135.

7 Cfr. P. CALAMANDREI, Giustizia e politica: sentenza e sentimento, in Opere giuridiche, vol. 1,

Napoli, 1965, p. 644; J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 48-51.

8 Si pensi, ad esempio, alla Gründnorm kelseniana. Cfr. C.J. ERRÁZURIZ M., La teoría pura del

Derecho en Hans Kelsen, Pamplona, 1986, pp. 329-423, 464-491 e 548-571; ID., El Derecho Canónico en

clave positivista, in Ius Canonicum, 25 (1985), pp. 29-56.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 5

di conoscere la verità e di trasmetterla ad altri in modo conforme a questa realtà oggettiva,

e si disprezza in conseguenza qualsiasi applicazione del sillogismo al compito decisionale

del giudice. Ad ogni modo, una parte importante della dottrina, introducendo sfumature e

correttivi, continua a ritenere imprescindibile la classica costruzione aristotelica 9.

L’impostazione sillogistica trova i due punti di appoggio per poter camminare con

garbo nel sistema giuridico canonico. La Chiesa riscopre alla luce della fede, nel deposito

rivelato e nell’assistenza dello Spirito Santo, non solo una conoscenza soprannaturale, ma

la guarigione – parziale però sufficiente – delle potenze naturali. Senza esimere il giurista

dall’impegno coraggioso per far fruttificare i talenti naturali che Dio gli ha concesso,

possono essere individuate nell’ordinamento della Chiesa norme pienamente oggettive,

anche se sono suscettibili di essere comprese meglio in tutta la loro potenzialità. Ciò

accade, in particolare, in quelle materie che hanno come riferimento la legge divina

naturale e positiva, come avviene con molti contenuti giuridici essenziali dell’istituzione

matrimoniale. D’altro lato, il compito del giudice canonico, senza esercitare alcun tipo di

applicazione meccanicistica della norma, deve consistere nella responsabile e coerente

applicazione di queste norme oggettive, il cui contenuto d’origine divina non è sottoposto

all’arbitraria disposizione degli uomini.

Per tutto ciò, e con le sfumature necessarie – catena di sillogismi; valore delle norme

di esperienza, il cui midollo logico non è facilmente schematizzabile in un sistema; ecc. –,

si può parlare di una struttura sillogistica della genesi della decisione giudiziaria, le cui

premesse vengono determinate dalla quaestio iuris e dalla quaestio facti, e la cui

conclusione sarà la parte dispositiva della sentenza (cfr. can. 1611) 10. Il codice sostiene

9 Cfr. G. KANIAK, Der juristische Syllogismus, in Österreichische Zeitschrift für öffentliches Recht

und Völkerrecht, 35 (1984), pp. 143-154; C.I. MASSINI, La prudencia jurídica. Introducción a la

gnoseología del Derecho, Buenos Aires, 1983, pp. 73-86.

Sulla trascendenza del rifiuto del sillogismo è utile riportare ora un brano della critica di Maritain a

Cartesio: “Dietro i banali attacchi delle Regualae [di Cartesio] contro il sillogismo, bisogna vedere uno

zelo tenace di rigettare il lavoro di paziente produzione della certezza, che costituisce la vita della ragione

in quanto tale (...). Rifiuto logico di singolare portata! Toccare il sillogismo, è toccare la natura umana.

Impaziente delle servitù del travaglio discorsivo, Cartesio si accanisce in realtà contro la potenzialità della

nostra intelligenza, cioè contro ciò che propriamente fa che sia una ragione. Così, per curiosa avventura, il

primo movimento del razionalismo è di misconoscere la ragione, di fare violenza alla sua natura, di

ricusare le condizioni normali della sua attività” (J. MARITAIN, Tre riformatori (Lutero, Cartesio,

Rousseau), 6ª ed., Brescia, 1983, p. 98).

10 Cfr. C. DE DIEGO-LORA, Consideraciones de método en relación con la elaboración de las

sentencias, in Ius Canonicum, 16/32 (1976), pp. 173-188; R. NAVARRO-VALLS, Los fundamentos de la

sentencia canónica, in Ius Canonicum, 15/30 (1975), pp. 303-329.

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tale impostazione logica, quando propone lo studio della filosofia tomista per la

formazione dei giudici canonici 11. Questa dottrina afferma la capacità umana di conoscere

la realtà oggettiva – con sforzo e possibilità di errare –, e il potere di esprimere in modo

coerente e trasmissibile ad altri l’itinerario seguito fino all’identificazione della verità.

Premesso questo, si possono delineare le due attitudini fondamentali del giudice per

giungere ad una giusta decisione: ricerca della verità rispetto alla quaestio facti, e fedeltà

nell’interpretazione ed applicazione della norma nella quaestio iuris, come riassumeva il

Pontefice nell’Allocuzione alla Rota del 1980:

“L’oggettività tipica della giustizia e del processo (...) nella quaestio facti si concretizza nella aderenza alla verità, nella quaestio iuris si traduce nella fedeltà” 12.

2. La «quaestio facti»

a) Il «favor veritatis» e la certezza morale

L’esigenza legale secondo cui la sentenza deve essere fondata ex actis et probatis

(cfr. can. 1608 § 2) implica un’indubitabile manifestazione dei principi processuali

dell’indipendenza giudiziaria e dell’uguaglianza e dello ius defensionis delle parti. Nel

caso che ci interessa, questi principi – tra altre conseguenze – proibiscono di fornire

informazioni al giudice che rimangano fuori dagli atti della causa; tali informazioni

devono poter essere conosciute – sotto pena di nullità – dalle parti prima della conclusio in

causa 13.

L’attenzione agli acta et probata del processo canonico – e ancor più nelle cause

matrimoniali – implica primariamente la necessità di adeguare la realtà giuridico-formale

con la realtà oggettiva, con la verità storica e ontologica. Perciò il codice esige

espressamente la fondazione ex actis et probatis quando prevede qualche mitigazione –

solo apparente – del carattere contraddittorio del processo, per esempio quando qualcuna

delle parti rimanda iudicis scientiae et conscientiae (cfr. can. 1606). Codesta impostazione

della sentenza manifesta la rilevanza sociale latente della decisione giudiziaria, e non solo

11 Cfr. can. 251 sulla formazione dei candidati al sacerdozio. Il fatto che i laici possano partecipare

alla funzione giudiziaria della Chiesa (cfr. can. 1421 § 2) non è un limite a questa impostazione logica,

giacché i suddetti laici dovranno avere il titolo di licenziati in diritto canonico, il che implica lo studio

della filosofia perenne nella quale s’include la dottrina tomista come si affermò nella stesura del codice

(cfr. Communicationes, 14 [1982], p. 52).

12 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 4 febbraio 1980, in F. BERSINI, I discorsi del

Papa alla Rota, Città del Vaticano, 1986, n. 412. Cfr. nn. 391-417.

13 Cfr. cann. 1604, 1598-1600 e 1678.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 7

né primariamente le sue conseguenze nel foro della coscienza 14. Infatti, la funzione

giudiziaria è associata necessariamente al concetto di ingiustizia presunta, desumibile

dall’esistenza di un contraddittorio. È evidente, inoltre, che l’attribuzione del contenuto

giuridico dell’istituzione matrimoniale ad una situazione che di coniugale solo possiede

l’apparenza, suppone una grave ingiustizia – per i coniugi e per il corpo sociale – che il

processo matrimoniale cerca di individuare per rimediarla 15. Comunque, sarebbe

ugualmente ingiusto quel sistema che portasse ad identificare di fatto il fallimento del

matrimonio con la sua nullità; o che esigesse tali capacità (psicologiche, morali, ecc.) per

contrarre il matrimonio sacramento da far diventare incapace, almeno relativamente, una

percentuale importante dei nubendi.

Il problema centrale che il giudice si pone quando cerca di individuare la quaestio

facti, è quello di come acquisire la certezza che il materiale apportato sia sufficiente per

ricostruire il contenuto del consenso espresso e la capacità dei contraenti di donare il

minimum del loro io coniugale, necessari perché tale donazione possa dare luogo ad una

realtà ontologicamente matrimoniale. La risposta del legislatore si articola intorno ai

concetti di favor matrimonii (cfr. can. 1060) e di certezza morale (cfr. can. 1608),

soprattutto nella prescrizione del suo § 4: “Iudex qui certitudinem adipisci non potuit,

pronuntiet non constare de iure actoris et conventum absolutum dimittat”. San Gregorio

Magno prescriveva la certezza morale con toni forti: “Graue satis est et indecens, ut in re

dubia certa detur sententia” 16. Questa connaturale esigenza dell’ordinamento canonico per

il giudice, nel momento di dare vita alla sua decisione vincolante per le parti, è stata

sintetizzata con luminose parole: “Alla ragione politica del diritto romano, il diritto

canonico sostituisce una ragione di moralità: l’ius constitutionis è messo da parte, per dar

luogo, mi si permetta l’espressione, all’ius veritatis” 17. Questo ius veritatis canonico

14 Cfr. SINODO DEI VESCOVI 1967, Principia quae Codicis Iuris Canonici recognitionem dirigant, n. 2,

in Communicationes, 1 (1969), p. 79; Codex Iuris Canonici. Praefatio. La Commissione manifestò

ripetutamente la valenza sociale delle cause di nullità del matrimonio sia nei lavori propri, sia in diversi

rapporti (cfr. P. FELICI, Synodus Episcoporum 1980. Relatio circa laborem a Commissione Codicis Iuris

Canonici recognoscendo peractum et peragendum, et de iure familiae in Schemate Codicis Iuris Canonici ,

21 ottobre 1980, in Communicationes, 12 (1980), p. 232; ID., Synodus Episcoporum 1980. Disceptatio

circa relationem habitam de opera Signaturae Apostolicae, in Communicationes, 12 (1980), pp. 449-450).

15 Cfr. Communicationes, 10 (1978), p. 211; Synodus Episcoporum 1980. Disceptatio circa relationem

habitam de opera Signaturae Apostolicae, cit., p. 448; Communicationes, 16 (1984), pp. 56 e 57.

16 C. XI, q. III, c. 74.

17 P. CALAMANDREI, La teoria dell’«error in iudicando» nel diritto italiano intermedio , in Studi sul

Processo civile, vol. 1, Padova, 1930, p. 156. È utile trascrivere l’intero paragrafo del Calamandrei, per

l’importante valore testimoniale che possiede: “Il diritto canonico, al di sopra di questa rigorosa autorità

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 8

genera un sistema di autoprotezione che può essere qualificato come favor veritatis 18.

Codesto principio costitutivo del processo canonico dà luogo alla cosiddetta “concezione

istituzionale”, tipizzata da Pio XII nel 1944 e ripresa da Giovanni Paolo II, secondo la

quale tutti i soggetti intervenienti nel processo sono tenuti (giuridicamente e non solo

moralmente) ad agire pro rei veritate 19.

Il concetto di certezza morale del can. 1608 fu delimitato da Pio XII nel celebre

discorso alla Rota del 1942 20. Giovanni Paolo II ha ricordato nel 1980 che, anche nella

legislazione del postconcilio, l’interpretazione piana della certezza morale è quella

autentica 21, superando i dubbi e le perplessità di talune impostazioni che, forse favorite da

alcune norme particolari già derogate 22, tentarono di far prevalere il diritto a celebrare un

nuovo matrimonio qualora il precedente fosse fallito e vi fosse qualche motivo per

della cosa giudicata, poneva l’efficacia della verità e considerava come immorale il conservare forza

obbligatoria a un giudizio che portava in sé stesso i chiari segni della propria erroneità e della propria

ingiustizia: se notoriamente la prima sentenza è ingiusta e contraria alla verità, bisogna di nuovo giudicare

sull’oggetto già deciso, scrive Innocenzo IV, quia veritas valet et invalescit (Ad c. 6 «de frig. et malef.»,

IV, 15, n. 6). Così alla ragione politica del diritto romano, il diritto canonico sostituisce una ragione di

moralità: l’ius constitutionis è messo da parte, per dar luogo, mi si permetta l’espressione, all’ius veritatis.

Abbia o non abbia il giudice, nel commettere l’errore di giudizio, varcato i limiti del potere giurisdizionale,

la suprema giustizia non permette che il litigante sia leso da una pronuncia nella quale è palese l’errore: e

la legge che, per il rispetto della cosa giudicata, si inducesse a far osservare irritrattabilmente una

pronuncia contenente un vizio indubitabile, verrebbe essa stessa a macchiarsi della falsità che inquina la

pronuncia, e diverrebbe strumento dell’errore ai danni della giustizia e della verità” ( ibid.).

18 Cfr. J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 55-83 e 169-170.

19 Cfr. PIO XII, Discorso alla Rota Romana del 2 ottobre 1944, in F. BERSINI, op. cit., nn. 19-32;

GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 4 febbraio 1980, cit., n. 393; ID., Discorso alla Rota

Romana del 18 gennaio 1990, n. 5, in AAS, 82 (1990), pp. 872-877; J. LLOBELL, Gli avvocati

nell’ordinamento canonico, in questo stesso volume, § 3.

20 PIO XII, Discorso alla Rota Romana dell’1º ottobre 1942, in F. BERSINI, op. cit., nn. 20-31.

21 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 4 febbraio 1980, in F. BERSINI, op. cit., n.

407.

22 Cfr. CONSILIUM PRO PUBLICIS ECCLESIAE NEGOTIIS, Novus modus procedendi in causis nullitatis

matrimonii approbatur pro Statibus Foederatis Americae Septemtrionalis, 28 aprilis 1970, art. 21 (X.

OCHOA, Leges Ecclesiae post Codicem Iuris Canonici editae, vol. 4, Romae, 1974, n. 3848; I. GORDON - Z.

GROCHOLEWSKI, Documenta recentiora circa rem matrimonialem et processualem, vol. 1, Romae, 1977,

nn. 1405-1428). Vedi una completa relazione bibliografica su queste norme in Z. GROCHOLEWSKI,

Declaration of the Apostolic Signatura on the competence of Ecclesiastical Tribunals in the United States

of America, in Monitor Ecclesiasticus, 104 (1979), pp. 142-143, nota 1. Cfr. CONSILIUM PRO PUBLICIS

ECCLESIAE NEGOTIIS, Novus modus procedendi in causis nullitatis matrimonii approbatur pro Conferentiae

Episcopalis Australiae territorio, 31 augusti 1970 (X. OCHOA, Leges Ecclesiae cit., vol. 4, Romae, 1974, n.

3895), art. 21; F. HARMAN, Certitudo moralis praesupposita in normis processualibus tribunalibus Statuum

Foederatorum Americae necnon Australiae concesis, in Periodica, 61 (1972), pp. 379-393; P.A. BONNET,

De iudicis sententia ac certitudine morali, in Periodica, 75 (1986), pp. 61-100, in particolare pp. 90-92.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 9

ipotizzare la sua nullità. Detti atteggiamenti contrapponevano, facendolo prevalere, il favor

libertatis (cioè il diritto alle nuove nozze data la possibilità della nullità) al favor

matrimonii. Le parole di Pio XII sulla certezza morale richiesta per dichiarare la nullità del

matrimonio sono ben conosciute; basta riportare qui il brano posto in rilievo da Giovanni

Paolo II nel citato discorso del 1980:

“Tra la certezza assoluta e la quasi-certezza o probabilità sta, come tra due estremi, quella certezza morale (...). Essa, nel lato positivo, è caratterizzata da ciò, che esclude ogni fondato o ragionevole dubbio e, così considerata, si distingue essenzialmente dalla menzionata quasi-certezza; dal lato poi negativo, lascia sussistere la possibilità assoluta del contrario, e con ciò si differenzia dall’assoluta certezza. La certezza, di cui ora parliamo, è necessaria e sufficiente per pronunziare una sentenza” 23.

Da queste parole si evince che il giudice soltanto potrà emettere la sua sentenza pro

nullitate quando possa onestamente dire che, ex actis et probatis, non sia deducibile alcun

motivo ragionevole a favore della validità del matrimonio (cfr. can. 1608 § 4). E ciò senza

lasciarsi dominare da «scrupoli di certezza», di fronte ai quali anche Pio XII prevenne

seguendo la regula iuris delle Decretales di Bonifacio VIII: “eum, qui certus est, certiorari

ulterius non oportet” 24. Dichiarare la nullità con la sola probabilità, anche se con

abbondanti motivi a favore di essa, costituirebbe una condotta gravemente illecita; bisogna

quindi che il giudice escluda “ogni fondato e ragionevole dubbio” circa la possibilità della

validità del vincolo matrimoniale per i precisi capi di nullità allegati dalle parti e

oggettivati dal giudice nella formula del dubbio (iniziale o successiva) 25. Dichiarare invece

la nullità soltanto perché vi sono motivi a favore di una tale posizione, senza escluderne

però i dubbi ragionevoli a favore della validità del vincolo, comporta accettare una prassi

che secondo Giovanni Paolo II, significherebbe introdurre il divorzio nella Chiesa:

“Di conseguenza a nessun giudice è lecito pronunziare una sentenza a favore della nullità di un matrimonio, se non ha acquisito prima la certezza morale sull’esistenza della medesima nullità. Non basta la sola probabilità per decidere una causa. Varrebbe per ogni cedimento a questo riguardo quanto è stato detto saggiamente delle altre leggi relative al matrimonio: ogni rilassamento ha in sé una dinamica impellente: «cui, si mos geratur, divortio, alio nomine tecto, in Ecclesia tolerando via sternitur» (Lettera del Cardinale Prefetto del Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa al Presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti, 20 giugno 1973)” 26.

23 In F. BERSINI, op. cit., n. 407; PIO XII, Discorso alla Rota Romana dell’1º ottobre 1942, in F.

BERSINI, op. cit., n. 25.

24 VI° regula iuris 31. Cfr. PIO XII, Discorso alla Rota Romana dell’1º ottobre 1942, cit., n. 30.

25 Cfr. cann. 1513, 1514, 1620, 8º, 1641, 1º, 1677 §§ 2-4, 1682-1684.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 10

b) La libera valutazione delle prove

Il giudice deve valutare liberamente le prove – acta et probata – che costituiscono la

struttura della certezza morale 27, tenendo conto però anche del sistema delle presunzione,

per primo quella del favor matrimonii (cfr. can. 1060): “Probationes autem aestimare

iudex debet ex sua conscientia, firmis praescriptis legis de quarundam probationum

efficacia” (can. 1608 § 3). Essendo state soppresse dal nuovo codice le presunzioni iuris et

de iure, le prescrizioni legali circa gli strumenti di prova non sono se non aiuti, derivati

dall’esperienza, per la libera acquisizione della certezza morale 28. Tale ragionamento serve

anche per il processo documentale; anche in esso è necessaria la certezza morale che è

raggiungibile facilmente nella misura in cui si verificano le fattispecie descritte dal can.

1686.

La certezza morale è una situazione psicologica del giudice che comunque trascende

la sua soggettività. La certezza morale possiede un’oggettività capace di essere trasmessa

alle parti ed ai tribunali superiori per mezzo della motivazione, ben inteso che tale

oggettività risiede non in ciascuno di questi mezzi, ma nella capacità oggettiva che tutti gli

indizi e prove presi insieme hanno di produrre la certezza morale in qualsiasi persona

competente nella materia e di sano giudizio 29. Quindi “non si ha (la certezza morale

richiesta dall’ordinamento canonico), se vi sono per la realtà del contrario, motivi che un

sano, serio e competente giudizio dichiara come, almeno in qualche modo, degni di

attenzione, e i quali per conseguenza fanno sì che il contrario (cioè la validità del

26 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 4 febbraio 1980, in F. BERSINI, op. cit., n. 408.

Cfr. CONSILIUM PRO PUBLICIS ECCLESIAE NEGOTIIS, Epistula ad Conferentiam Episcopalem Statuum

Foederatorum Americae Septemtrionalium, 20 giugno 1973 (X. OCHOA, Leges Ecclesiae, cit., vol. 5,

Romae, 1980, n. 4209). “In hunc locum inserere debemus grave et spinosum problema de causis nullitatis

matrimonii: non quod eae comparandae sint causis divortii, sed quia haud raro tali levitate proponuntur et

iudicantur ut processibus divortii assimilari queant” (P. FELICI, Synodus Episcoporum 1980. Relationem

coram Summo Pontifice de opere Signatura Apostolicae in causis matrimonialibus pro tuenda familia , 6

ottobre 1980, n. 4, in Communicationes, 12 [1980], p. 215). Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO

DELL’INTERPRETAZIONE DEI TESTI LEGISLATIVI [PCITL], Acta et documenta PCCICR. Congregatio Plenaria

diebus 20-29 octobris 1981 habita, Typis Polyglottis Vaticanis, 1991, pp. 98-127 e 230-278.

27 Cfr. T. GIUSSANI, Discrezionalità del giudice nella valutazione delle prove , Città del Vaticano,

1977, pp. 127-161.

28 Cfr., ad esempio, le indicazioni del can. 1679. Cfr. anche Communicationes, 11 (1979), pp. 103-104

e 263.

29 Cfr. Communicationes, 11 (1979), p. 263.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 11

matrimonio) debba qualificarsi come non soltanto assolutamente possibile, ma altresì, in

qualche maniera, probabile” 30.

Il sistema di libera valutazione della prova (cfr. can. 1608 § 3), del quale il diritto

della Chiesa si sente orgoglioso a ragione, non ha nulla a che vedere con la costruzione

arbitraria della fattispecie 31. Perciò il legislatore ha rifiutato le proposte tendenti a limitare

il materiale istruttorio che il tribunale inferiore deve rimettere al superiore, tanto

nell’appello ordinario (cfr. can. 1634 § 3) come nel compimento dell’obbligazione imposta

al tribunale che emana una prima sentenza pro nullitate (cfr. can. 1682 § 1) 32. Il tribunale

superiore deve poter controllare – e farlo responsabilmente – l’itinerario decisionale che

era terminato nella nullità. Tale itinerario deve essere esaminato non solo in base ai dati

offerti nella motivazione, ma da tutti gli acta et probata apportati nel processo. Il precetto

tende a proteggere il contenuto strettamente giudiziario della necessaria doppia sentenza

conforme pro nullitate (cfr. can. 1684), giacché il decreto di ratifica ha il valore

sostanziale di sentenza. L’anzidetta conformità della sentenza non può che riguardare

l’unico elemento individualizzante delle diverse azioni e delle correlative sentenze di

nullità di un concreto matrimonio, cioè la causa petendi (cfr. can. 1641, 1º). Gli altri

elementi dell’azione (e della rispettiva sentenza congruente) non possono infatti che

coincidere, essendo necessariamente identici gli altri due elementi che identificano

l’azione (e la sentenza), vale a dire, le parti private (cioè i coniugi, tranne nelle eccezionali

fattispecie di cui ai cann. 1674, 2º e 1675) e il petitum (il loro unico possibile vincolo

30 PIO XII, Discorso alla Rota Romana dell’1º ottobre 1942, in F. BERSINI, op. cit., n. 27. Cfr. ibidem,

n. 26; Z. GROCHOLEWSKI, Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e sentenza canonica, in

Apollinaris, 59 (1986), pp. 199-200; I. GRAMUNT - L.A. WAUCK, Moral Certitude and the Collaboration of

the Court Expert in Cases of Consensual Incapacity, in Studia Canonica, 20 (1986), pp. 69-84. Sulla

certezza morale nella procedura delle cause dei santi, cfr. J.L. GUTIÉRREZ, La certezza morale nelle cause

di canonizzazione, specialmente nella dichiarazione del martirio, in Ius Ecclesiae, 3 (1991), pp. 645-670.

31 Cfr. T. GIUSSANI, op. cit., pp. 201-204; M.F. POMPEDDA, Il processo canonico di nullità di

matrimonio: legalismo o legge di carità?, in Ius Ecclesiae, 1 (1989), pp. 440-447; ID., La questione

dell’ammissione ai sacramenti dei divorziati civilmente risposati, in Notitiae, 28 (1992), pp. 472-483.

32 Cfr. Communicationes, 16 (1984), p. 75.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 12

matrimoniale) 33. Tutte queste cautele legali derivano dalla condizione di causa favorabilis

attribuita dal diritto canonico al presunto vincolo matrimoniale 34.

3. La «quaestio iuris»

a) Le norme costitutive del matrimonio, l’«aequitas canonica» e l’«epikeia»

Come abbiamo ricordato, Giovanni Paolo II, seguendo il magistero e la legislazione

precedenti, riferisce il favor veritatis e il concetto di certezza morale prevalentemente alla

quaestio facti. Per la quaestio iuris esige invece dal giudice un atteggiamento che riassume

in una sola parola: fedeltà. Questa sfumatura, che potrebbe essere ritenuta meramente

linguistica data la affinità concettuale fra verità e fedeltà, è invece particolarmente

significativa. Poiché qualcosa è vera, si deve essere fedeli nel custodirla. D’altra parte, la

fedeltà degenerebbe in ostinazione qualora una proposizione fosse scoperta falsa e,

tuttavia, si continuasse a mantenere la posizione iniziale. Il fatto è che il Papa non applica

il concetto di certezza morale alla quaestio iuris, rendendo opportuna la riflessione su

talune conseguenze deducibili.

Descrivere l’atteggiamento primordiale del giudice rispetto alla quaestio iuris

tramite il concetto di certezza morale, implicherebbe l’aprioristica accettazione

dell’indeterminatezza della norma, cioè che essa possa essere considerata suscettibile di

interpretazioni tanto diverse quanto le posizioni di ipotetiche parti che tentano – nella loro

specifica missione processuale di ricostruzione della quaestio facti – di affermare la

validità e la nullità dello stesso matrimonio. Dinanzi ad una norma tanto ampia – se un

precetto di questa indole fosse suscettibile di rientrare nel concetto di norma –, il giudice

disporrebbe di un tale margine di autonomia per identificare la quaestio iuris, che più che

identificare la norma ed applicarla al caso singolo mediante la necessaria interpretazione

(cfr. can. 16 § 3), la dovrebbe ricreare. In questo compito veramente legislativo, il giudice

33 Cfr. i canoni citati nella nota 25; C. GULLO, La «nova causae propositio», in Il processo

matrimoniale canonico, Città del Vaticano, 1988, pp. 376-378; J. LLOBELL, Note sulla congruenza e la

conformità delle sentenze di nullità del matrimonio, in Ius Ecclesiae, 2 (1990), pp. 543-564; ID.,

Recensione a S. Gherro (a cura di), “Studi sul processo matrimoniale canonico” , in Ius Ecclesiae, 4

(1992), pp. 698-699; P. MONETA, La nuova trattazione della causa matrimoniale, in Ius Ecclesiae, 3

(1991), pp. 479-497 e in S. GHERRO (a cura di), Studi sul processo matrimoniale canonico, Padova, 1991,

pp. 19-42.

34 Cfr. cann. 1060 e 1608 § 4; PIO XII, Discorso alla Rota Romana dell’1º ottobre 1942 e GIOVANNI

PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 24 gennaio 1981, in F. BERSINI, op. cit., nn. 12-14 e 431,

rispettivamente.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 13

potrebbe servirsi delle circostanze culturali dell’ambiente nel quale vivono i coniugi non

per conoscere la realtà – quaestio facti – circa la quale applicare la norma, il che sarebbe

giusto, ma per integrarle nella stessa configurazione della legge, come di solito fa il

positivismo giuridico relativizzando ogni concetto etico. Questa ultima posizione, nelle

materie di diritto divino naturale e positivo, è illegittima per qualsiasi autorità umana,

ecclesiastica o civile, inclusi i massimi rappresentanti di ciascuna delle tre funzioni in cui

si suole distinguere il governo sociale 35, in quanto ciò comporterebbe l’intrinseca

mutabilità del diritto divino.

Da questa impostazione gnoseologica metafisica, che muove dalla “valutazione della

giuridicità della norma con riferimento alle esigenze ontologiche dell’uomo” 36, che

funzione corrisponderebbe all’aequitas canonica? L’aequitas canonica è pietra miliare

dell’ordinamento giuridico della Chiesa e criterio fondamentale che deve impregnare

completamente l’ordinamento canonico (cfr. cann. 19 e 1752), in modo peculiare la

funzione giudiziaria (cfr. can. 221 § 2) 37. Per tanto, questo “elemento umano correttivo e

fattore di equilibrio nel processo mentale che deve condurre il giudice a pronunciare la

sentenza” 38, implicherà innanzi tutto – nell’analisi della quaestio iuris – un squisito

rispetto della legge divina. Solo a partire da questo responsabile atteggiamento, il giudice

potrà contribuire efficacemente alla salus animarum dei coniugi, come ricorda Giovanni

Paolo II, nell’es. ap. Familiaris consortio (cfr. nn. 79-84). Detta impostazione è

riscontrabile nella costante giurisprudenza rotale; una sentenza del 1935 – condivisa

dall’attuale Decano della Rota Romana – diceva infatti, senza nulla togliere alla carità e

all’umanità consustanziali alla disciplina ecclesiale: “non è possibile trovare spazio

all’equità là dove la prescrizione della legge è espressa e chiara, nam lex canonica per se

aequa est. Anzi, ogni arbitraria invocazione dell’equità, in contrapposizione all’espresso e

35 Cfr. cann. 1056, 1057 e 1141; Communicationes, 11 (1979), pp. 266-277. In questo senso non

possono essere invocate le peculiarità che la funzione giudiziaria possiede nel sistema del common law.

36 G. LO CASTRO, L’uomo e la norma, in Ius Ecclesiae, 5 (1993), pp. 159-194, in particolare § 6.

37 Cfr. P. FEDELE, Equità canonica, in Enciclopedia del Diritto, vol. 15, Milano, 1966, pp. 158-159;

M.F. POMPEDDA, L’equità nell’ordinamento canonico, in S. GHERRO (a cura di), Studi sul primo libro del

“Codex iuris canonici”, Padova, 1993, pp. 1-33. Dopo il Concilio Vaticano II è riscontrabile una

particolare sensibilità verso l’aequitas canonica (cfr. PAOLO VI, Discorso alla Rota Romana dell’8

febbraio 1973, in F. BERSINI, op. cit., n. 307; Communicationes, 1 [1969], p. 79; GIOVANNI PAOLO II,

Discorso alla Rota Romana del 18 gennaio 1990, cit., n. 3). Per una recente e ampia trattazione, cfr. O.

BUCCI, Per una storia dell’equità, in Apollinaris, 63 (1990), pp. 257-317; nelle pp. 287-317 l’A. offre una

esauriente bibliografia.

38 PAOLO VI, Discorso alla Rota Romana dell’8 febbraio 1973, in F. BERSINI, op. cit., n. 310.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 14

chiaro dettato della legge, è una equità «insana» («bizzarra») che può essere qualificata

come «iniquità»” 39.

L’aequitas canonica, quindi, dovrà essere manifestata nel tentare responsabilmente

ogni mezzo per convalidare il matrimonio, quando ciò sia possibile e conveniente 40; nella

fiducia, costantemente fatta presente ai coniugi, circa la possibilità di vivere secondo la

legge di Dio con l’aiuto della grazia, il che è garanzia di felicità terrena ed eterna; ecc.

Talvolta sarà necessario riscoprire la profonda dimensione pastorale che ha in sé la

fortezza, per ricordare alle parti l’assoluta indissolubilità del matrimonio rato e consumato

(cfr. can. 1141) e l’obbligo di adeguare la condotta personale a tale norma. Queste

disposizioni devono essere presenti nel giudice durante tutto il processo e, in modo

speciale, nella fase decisionale. Così, gli sarà più facile non incorrere nel comprensibile –

dato il carattere drammatico che presentano frequentemente le cause di nullità – però grave

errore di confondere l’aequitas canonica con l’epikeia. Non è lecito infatti sospendere

l’applicazione della legge matrimoniale di natura divina mediante il ricorso

all’interpretazione benigna della la mens legislatoris, cioè all’epikeia 41.

b) Il valore normativo della giurisprudenza rotale 42

Giovanni Paolo II, ripetutamente, si è riferito alla difficile delimitazione di alcune

norme sostantive matrimoniali, come i concetti di perturbazioni psichiche che invalidano il

39 Coram Morano, 6 aprile 1935, n. 8, in SRRD, 27 (1935), pp. 197-206 (la traduzione è nostra).

“Licet aequitas admittenda sit, atque semper admissa sit a S. R. Rota tamquam «admirabile

temperamentum quod ex perfecta ratione omnia moderatur». (...) Iudices tamen debent pronunciare

secundum eam aequitatem quae ex lege scripta deducitur” (coram Heiner, 19 giugno 1911, n. 16, in

SRRD, 3 (1911), pp. 274-292). Cfr. E. FIORE, Conversazione a Palermo del Decano della Rota Romana , in

Atti del Tribunale ecclesiastico regionale Siculo in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario

1991-92, Palermo, 1992, pp. 15-17.

40 Cfr. can. 1676. “Nonnulli (paucissimi tamen) dixerunt hunc canonem inutilem esse vel quia

coniugum communio, proh dolor!, iam rescissa est quando devenitur ad declarationem nullitatis petendam,

vel quia non videtur opportunum tale onus iudici imponere. Consultores autem volunt canonem retinere,

sive quia permultis organis consultationis norma placuit, sive quia in luce ponitur interesse Ecclesiae pro

stabilitate vinculi matrimonialis, omnibus modis fovenda ac tuenda. (...) Aliquis Consultor proponit ut in

canone dicatur: «... ad matrimonium forte convalidandum» (omnibus placet)” (Communicationes, 11

[1979], pp. 260-261).

41 Sull’epikeia, cfr. CH. LEFEBVRE, Épikie, in Dictionnaire de Droit Canonique, vol. 5, Paris, 1953,

col. 364-375.

42 Cfr. J. LLOBELL, Perfettibilità e sicurezza della norma canonica. Cenni sul valore normativo della

giurisprudenza della Rota Romana nelle cause matrimoniali, in PONTIFICIO CONSIGLIO PER

L’INTERPRETAZIONE DEI TESTI LEGISLATIVI, Symposium Internationale Iuris Canonici “Ius in vita et in

missione Ecclesiae”. In Civitate Vaticana, 19-24 aprilis 1993, sub prelo.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 15

consenso matrimoniale (cfr. can. 1095), o quello di dolo (cfr. can. 1098), o quell’altro di

errore che condiziona la libertà (cfr. can. 1099) 43. In tutti questi casi, il Pontefice

considerava che si correva “il rischio di interpretazioni innovative imprecise o incoerenti”

44. Il Papa sembrava ammettere dunque interpretazioni innovative che potevano essere

legittime nella misura in cui non fossero imprecise o incoerenti. D’altra parte, tali

interpretazioni – riguardo materie direttamente dipendenti dal diritto divino – non

potevano essere realizzate attraverso l’impiego del concetto di epikeia, giacché ciò

comporterebbe la natura evolutiva del diritto naturale, evoluzione ontologica – diversa da

quella gnoseologica – che è metafisicamente impossibile 45. Le interpretazioni innovative

sarebbero possibili invece tramite la capacità di approfondire i contenuti della norma

immutabile e fondamentale che regge l’istituzione matrimoniale: consensus facit

matrimonium 46. Comunque sarebbe forse ingenuo o addirittura presuntuoso tentare di

configurare un concetto di consenso matrimoniale – e delle capacità che lo consentono –

essenzialmente diverso da quello utilizzato dal magistero, dalla dottrina e dalla

giurisprudenza durante secoli 47. Detto concetto “tradizionale” non sembra possa essere

radicalmente dissimile da quello attuale, con gli arricchimenti provenienti dalla psicologia

e dalla psichiatria nonché dalla riflessione canonistica impostata secondo la cosiddetta

antropologia cristiana 48. A questo proposito, Giovanni Paolo II ricorda un criterio

43 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 26 gennaio 1984, in F. BERSINI, op. cit., n.

503 e Discorso alla Rota Romana del 30 gennaio 1986, in AAS, 78 (1986), pp. 921-925.

44 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 30 gennaio 1986, cit., n. 5.

45 “Senza cedere ad una superficiale mentalità permissiva [sarebbe l’epikeia] che non tiene nel dovuto

conto le inderogabili esigenze del matrimonio-sacramento” (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota

Romana del 30 gennaio 1986, cit. n. 5).

46 GIOVANNI PAOLO II si referisce in termini molto lodativi al compito svolto a tale scopo da PAOLO

VI: splendido magistero sul consenso essenza del matrimonio (Discorso alla Rota Romana del 4 febbraio

1980, in F. BERSINI, op. cit., n. 413).

47 “In conseguenza di questa psicologia angelista, la filosofia esigerà un criterio di certezza tale che, a

qualsiasi istante, ci basti ispezionare il campo delle nostre rappresentazioni con vera volontà di non volerci

ingannare, per evitare l’errore. (...) Sempre, nel caso limite, una scienza istantanea; o, per lo meno, una

scienza facile e spedita, che sarà tanto migliore quanto carpita più presto e con meno operai. (...) Non c’è

tempo da perdere; egli [Cartesio] è un uomo frettoloso (come tutti i moderni). (...) Se il cartesianismo s’è

mostrato nell’ordine intellegibile un così selvaggio devastatore del passato, è perché ha cominciato col

disconoscere, nell’individuo stesso, l’essenziale dipendenza intrinseca del nostro sapere attuale rispetto al

nostro passato, che fa sì che il nostro possesso della verità, per via umana, sia necessariamente e di per sé,

una cosa stranamente lunga e laboriosa” (J. MARITAIN, Tre riformatori, cit., pp. 101-102).

48 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 5 febbraio 1987, passim, in AAS, 79

(1987), pp. 1453-1459; ID., Discorso alla Rota Romana del 25 gennaio 1988, nn. 4-5, in AAS, 80 (1988),

pp. 1178-1185; ID., Discorso alla Rota Romana del 23 gennaio 1992, n. 3, in AAS, 85 (1993), pp. 140-143.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 16

ermeneutico di capitale importanza (non comunque il primo) per il retto sviluppo

dell’intero sistema canonico: il compito interpretativo-creativo dei tribunali della Chiesa

solo corrisponde ai tribunali apostolici, la cui giurisprudenza “è sempre stata e deve

continuare ad essere (...) un sicuro punto di riferimento” 49. Codesta riserva pontificia

manifesta una lapalissiana “centralizzazione” 50

La “giurisprudenza rotale” possiede quindi un’importanza notevole per analizzare

l’atteggiamento dei tribunali canonici nel momento decisionale riguardante la quaestio

iuris. Da un lato, il giudice deve essere radicalmente fedele alle norme che regolano gli

elementi in fieri che permetteranno la nascita del matrimonio in facto esse. Dall’altro, la

determinazione “istituzionale” di questa norma “metafisica” 51 esige ulteriori precisazioni

del testo codiciale nei casi ai quali Giovanni Paolo II si riferisce esplicitamente – cann.

1095, 1098 e 1099 52 – e in qualche altro caso, sempre con carattere restrittivo dato il

“centramento legislativo” vigente 53. Da questo puntuale “decentramento” voluto dal

Pontefice in favore della Rota, il compito giudiziario di questo tribunale raggiunge un

certo carattere normativo, in quanto diventa modello per le fattispecie toccanti lacune di

legge che possono essere sussunte in quell’insieme di sentenze rotali capace di essere

qualificato come “giurisprudenza rotale”, secondo i criteri di seguito analizzati.

Accogliendo il magistero di anteriori pontefici 54, Giovanni Paolo II ha portato a

termine un “salto qualitativo” nella considerazione del valore nomopoietico della

giurisprudenza della Rota Romana 55. Fino all’autunno 1987, momento in cui fu redatta la

49 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota Romana del 30 gennaio 1986, cit., n. 7.

50 Cfr. J. LLOBELL, Centralizzazione normativa processuale e modifica dei titoli di competenza nelle

cause di nullità matrimoniale, in Ius Ecclesiae, 3 (1991), pp. 432-435.

51 Cfr. G. LO CASTRO, L’uomo e la norma, cit., §§ 4 e 5.

52 Cfr. i discorsi alla Rota del 1984 e del 1986 citati.

53 Cfr. cann. 360, 1075-1077; cost. ap. Pastor bonus, art. 18; Regolamento Generale della Curia

Romana, 4 febbraio 1992, art. 110; J. LLOBELL, Centralizzazione normativa, cit., pp. 432-435.

54 Cfr. PIO XII, Discorso alla Rota Romana del 3 ottobre 1941, in F. BERSINI, op. cit., n. 6; GIOVANNI

XXIII, Discorso alla Rota Romana del 19 ottobre 1959, in F. BERSINI, op. cit., n. 129; PAOLO VI, Discorso

alla Rota Romana del 12 febbraio 1968, in F. BERSINI, op. cit., nn. 221, 225 e 226; Discorso alla Rota

Romana del 29 gennaio 1970, in F. BERSINI, op. cit., nn. 247 e 248; Discorso alla Rota Romana del 28

gennaio 1971, in F. BERSINI, op. cit., nn. 272, 273 e 278; Discorso alla Rota Romana del 31 gennaio 1974,

in F. BERSINI, op. cit., nn. 331 e 338; Discorso alla Rota Romana del 9 febbraio 1976, in F. BERSINI, op.

cit., n. 372; Discorso alla Rota Romana del 28 gennaio 1978, in F. BERSINI, op. cit., nn. 383 e 388.

55 “Nomopoietico”, cioè “normativo” (da nomos, norma, e poieo, produrre). Cfr. GIOVANNI PAOLO II,

Discorso alla Rota Romana del 24 gennaio 1981, in F. BERSINI, op. cit., n. 433; Discorso alla Rota

Romana del 26 febbraio 1983, in F. BERSINI, op. cit., nn. 469, 470, 480 e 483; Discorso alla Rota Romana

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 17

prima versione di questo saggio, i riferimenti pontifici su tale mansione della

giurisprudenza rotale erano riscontrabili prevalentemente in documenti di natura non

legislativa (in particolare nei discorsi alla Rota); da allora il magistero di Giovanni Paolo II

in materia ha raggiunto sviluppi normativi stricto sensu, comunque ancora insufficiente

operativamente, sviluppi che erano stati auspicati nella nostra precedente trattazione

dell’argomento alla stregua delle proposte fatte da illustri canonisti 56. Più recentemente il

Pontefice è tornato sulla questione nel Discorso alla Rota Romana del 1992, con accenti

che difficilmente possono essere ritenuti non vincolanti per i tribunali (non esclusi i

normali turni rotali), malgrado la natura non legislativa del documento. La succinta analisi

dei detti sviluppi posteriori al Discorso alla Rota Romana del 1987 risulta abbastanza

eloquente.

Il m.p. Sollicita cura, 26 dicembre 1987, istituì il Tribunale di appello del Vicariato

di Roma. Tra le cause segnalate dalla pars motiva della stessa norma per l’erezione del

nuovo tribunale, interessa sottolineare la volontà del legislatore di risparmiare alla Rota

Romana il lavoro proveniente dal fatto di essere l’unico tribunale di appello del Tribunale

regionale del Lazio, in modo da potenziare il compito della Rota riguardo alla Chiesa

universale, compito che implicitamente – alla luce del magistero pontificio precedente –

intereserebbe pure la accennata funzione nomopoietica 57. Il legislatore ha accolto così una

puntuale proposta del Segretario della Segnatura Apostolica 58.

del 26 gennaio 1984, in F. BERSINI, op. cit., nn. 500-504; Discorso alla Rota Romana del 30 gennaio 1986,

cit., nn. 5-7; Discorso alla Rota Romana del 5 febbraio 1987, cit., n. 10.

56 In particolare è da segnalare lo studio monografico sulla questione realizzato da M.F. POMPEDDA,

La giurisprudenza come fonte di diritto nell’ordinamento canonico matrimoniale , in Studio Rotale.

Quaderni, 1 (1987), pp. 47-72. Cfr. Z. GROCHOLEWSKI, I tribunali apostolici, in Le nouveau Code de Droit

Canonique. Actes du V e Congrès International de Droit Canonique. Ottawa 19-25 août 1984 , Ottawa,

1986, vol. 1, pp. 467-468. L’argomento, classico tra la dottrina, era stato ampiamente preso in

considerazione da diversi autori in La norma en el Derecho Canónico. Actas del III Congreso internacional

de Derecho Canónico. Pamplona, 10-15 de octubre de 1976, vol. 1, Pamplona, 1979, pp. 197-212 e 987-

1133.

57 «Ut Tribunal Apostolicum Rotae Romanae magis magisque in luce ponatur in exercitio sui muneris

erga universam Ecclesiam idemque munus efficacius explere valeat, ac proinde eximatur di munere agendi

in gradu appellationis omnes causas in quibus appellatur a sententia in prima instantia a tribunali

Regionali Latii...» (GIOVANNI PAOLO II, m.p. Sollicita cura, 26 dicembre 1987, pars motiva, in AAS, 80

(1988), pp. 121-124). Per un commento al m.p., nel quale sono considerate le diverse vicissitudini dei

tribunali con sede presso il Vicariato di Roma, cfr. J. LLOBELL, Il tribunale di appello del Vicariato di

Roma, in Ius Ecclesiae, 1 (1989), pp. 257-277.

58 «Altro ostacolo allo svolgimento del ruolo della Rota Romana è costituito dal fatto che i processi,

presso detto tribunale apostolico, durano assai a lungo (...). L’ostacolo di cui stiamo accennando appare

inoltre aggravato per il già menzionato affidamento alla Rota romana del giudizio di seconda istanza di

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 18

L’art. 126 della cost. ap. Pastor bonus, 28 giugno 1988, indica che la Rota Romana

«unitati iurisprudentiae consulit et, per proprias sententias, tribunalibus inferioribus

auxilio est». L’innovazione è stata apprezzata dalla dottrina 59 che, tuttavia, ha sottolineato

che il disposto della cost. ap. Pastor bonus ha bisogno, per essere operativo, di ulteriori

sviluppi di natura legislativa. In particolare, è stata accennata la necessità di precisare il

concetto di giurisprudenza rotale e di stabilire tramite quali mezzi la sentenza di un

tribunale inferiore (o di un turno della Rota) che violasse tale giurisprudenza potrebbe

essere impugnata 60.

Giovanni Paolo II è tornato sulla questione, in fine, nel menzionato Discorso alla

Rota Romana del 1992:

«È a tutti noto che l’interpretazione giudiziale – in forza del can. 16 § 3 – non ha valore di legge e obbliga esclusivamente le persone o concerne le cose per cui la sentenza è stata pronunciata (...). Ancora e proprio nell’ambito della interpretazione della legge canonica, particolarmente ove si presentano o sembrano esservi “lacunae legis”, il nuovo codice – (...) can. 19 (...) – pone con chiarezza il principio per cui, fra le altre fonti suppletorie, sta la giurisprudenza e prassi della Curia Romana. Se poi restringiamo il significato di tale espressione alle cause di nullità del matrimonio, appare evidente che, sul piano del diritto sostantivo e cioè di merito, per giurisprudenza deve intendersi, nel caso, esclusivamente quella emanata dal Tribunale della Rota Romana. In questo quadro è quindi da intendere anche quanto afferma la Costituzione Pastor Bonus, ove attribuisce alla stessa Rota compiti tali per cui essa “unitati iurisprudentiae consulit et, per proprias sententias, tribunalibus inferioribus auxilio est” (art. 126)» (n. 4).

Le parole del Papa, pur nella loro chiarezza, non chiudono comunque lo spazio a

diverse considerazioni problematiche.

tutte le cause – veramente numerose – del Tribunale regionale del Lazio e del Tribunale diocesano di

Roma. Detto affidamento, oltre ad aver raddoppiato il lavoro della Rota Romana, l’ha parzialmente

degradata a tribunale locale di secondo grado, a scapito della sua missione universale. (...) In ordine allo

sbrigamento del lavoro, la Rota Romana in primo luogo dovrebbe essere esonerata dell’essere tribunale

necessario di seconda istanza per tutte le cause di nullità matrimoniale della regione del Lazio in Italia (e

per le altre definite in prima istanza dal foro diocesano di Roma)» (Z. GROCHOLEWSKI, I tribunali

apostolici, cit., pp. 467-468).

59 Cfr., ad es., S. BERLINGÒ, Dalla perizia alla consulenza nel processo matrimoniale canonico, in S.

GHERRO (a cura di), Studi sul processo matrimoniale canonico, Padova, 1991, p. 4; Z. GROCHOLEWSKI, I

tribunali, in P.A. BONNET e C. GULLO (a cura di), La Curia Romana nella cost. ap. Pastor bonus, Città del

Vaticano, 1990, p. 414; R. RODRÍGUEZ-OCAÑA, El Tribunal de la Rota y la unidad de la jurisprudencia , in

Ius Canonicum, 30 (1990), pp. 423-448. Sul valore della giurisprudenza, vedi infra il paragrafo La funzione

endoprocessuale della motivazione.

60 Cfr. R. RODRÍGUEZ-OCAÑA, op. cit., pp. 445-448.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 19

Riguardo al concetto di giurisprudenza rotale è stata suggerita l’opportunità di

utilizzare più frequentemente le decisioni videntibus omnibus 61 quando sia riscontrabile

una diversa impostazione tra le sentenze dei normali turni rotali. In modo simile ha agito la

Rota Romana nella sentenza coram Serrano, videntibus novem iudicibus, del 27 gennaio

1986, per decidere sulla retroattività del decreto della Congregazione per la dottrina della

fede del 13 maggio 1977, riguardante il quesito “Utrum ad copulam coniugalem requiratur

necessario eiaculatio seminis in testiculibus elaborati”, al quale fu risposto in senso

negativo 62. Un tale sistema assimilerebbe l’operato della Rota a quello delle corti civili di

cassazione 63. Per esempio, in Italia vi sono casi in cui la Corte di cassazione pronuncia a

«sezioni unite» (nove giudici) quando, tra altri motivi, si tratti di giudicare su una

questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici della stessa Corte 64.

Nell’ordinamento canonico sembra comunque necessario armonizzare una siffatta

impostazione del ruolo della Rota Romana con quell’altro affidato alla Segnatura

Apostolica sia riguardo le stesse sentenze rotali che riguardo quelle altre dei tribunali

inferiori (cfr. can. 1445 § 1, 1º e § 3, 1º; cost. ap. Pastor bonus, artt. 122, 1º e 124, 1º),

come pure è stato rilevato dalla dottrina 65. D’altra parte, benché la giurisprudenza della

Rota sia indicata dal Discorso del 1992 come prevalente sull’attività degli altri dicasteri

romani per riempire le lacune di legge, non sembra che detta prevalenza voglia significare

qualche riduzione delle mansioni della Segnatura, precisamente per il motivo segnalato

dallo stesso Pontefice: la Rota è l’unico dicastero con competenza ordinaria per giudicare

61 Cfr. R. RODRÍGUEZ-OCAÑA, op. cit., pp. 446; SACRA ROMANA ROTA, Normae S. Romanae Rotae

Tribunalis, 29 giugno 1934, art. 135 § 1, in AAS, 26 (1934), pp. 449-491; PONTIFICIA COMMISSIO CODICI

IURIS CANONICI RECOGNOSCENDO, Schema canonum de modo procedendi pro tutela iurium seu de

processibus, Typis Polyglottis Vaticanis, 1976, can. 286.

62 Cfr. S. CONGREGAZIONE DELLA DOTTRINA DELLA FEDE, Decretum circa impotentiam quae

matrimonium dirimit, 13 maggio 1977, 2º quesito, in AAS, 69 (1977), p. 426; sentenza coram Serrano, 27

gennaio 1986, in Il Diritto Ecclesiastico, 1-2 (1988), pp. 50-113; P.A. BONNET, Il decreto della S.

Congregazione per la dottrina della fede del 13 maggio 1977 ed il suo valore dichiarativo , in Il Diritto

Ecclesiastico, 1-2 (1988), pp. 50-86; C. GULLO, Irretroattività del decreto «circa impotentiam», in Il

Diritto Ecclesiastico, 1-2 (1988), pp. 86-112.

63 Secondo questa premessa, i compiti della cassazione civile spetterebbero, nell’ordinamento

canonico, alla Segnatura Apostolica (in particolare alla sua “prima sezione”) e alla Rota Romana.

Sull’equiparazione della prima sezione della Segnatura alla cassazione, cfr., ad es., Z. GROCHOLEWSKI, I

tribunali, cit., p. 403.

64 Cfr. C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, 5ª ed., vol. 2, Torino, 1985, § 75, pp. 348-

351.

65 Cfr. C. DE DIEGO-LORA, in Estudios de derecho procesal canónico, vol. 4, Pamplona, 1990, pp. 225-

246; R. RODRÍGUEZ-OCAÑA, op. cit., pp. 442-445.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 20

sul merito nelle cause di nullità del matrimonio 66. Infatti, quando la Segnatura riscontra

nelle sentenze rotali o dei tribunali inferiori qualche motivo atto a giustificare un nuovo

giudizio sul merito in una causa di nullità del matrimonio, tale causa è rinviata alla Rota

per il giudizio sul merito 67. Le espressioni del Pontefice nel Discorso del 1992 escludono

sicuramente dalla funzione nomopoietica la giurisprudenza dei tribunali non appartenenti

alla Curia Romana.

Comunque, se la funzione di promuovere l’uniforme interpretazione della legge

canonica affidata alla Rota Romana dalla cost. ap. Pastor bonus non è espletata soltanto

nel caso singolo, tramite l’appello o la nova causae propositio, la quale presuppone

almeno due sentenze precedenti conformi (cfr. can. 1444 § 1, 1º e 2º), ma – la funzione

unificatrice – è portata a termine anche tramite il particolare valore nomopoietico della sua

giurisprudenza – che il magistero pontificio le affida nelle fattispecie di lacuna di legge –,

allora diventa essenziale stabilire con precisione il concetto di “giurisprudenza rotale”. A

tale scopo – che muove da un piano tecnico-dogmatico – può essere utile ricavare qualche

istituto della cassazione civile, benché la funzione unificatrice della giurisprudenza ad

opera della Rota non sia identificabile con quella svolta dalla cassazione civile, giacché

quest’ultima ha come finalità il controllo della puntuale applicazione della legge mentre,

invece, la Rota creerebbe la legge per riempire la tale lacuna 68. Pare infatti giusto l’utilizzo

in sede canonica degli istituti civili che hanno lo stesso scopo (cioè, nella fattispecie che ci

occupa, i mezzi atti a precisare e a “promulgare” una “norma” che deve essere applicata ad

altri casi simili), quando nell’ordinamento ecclesiale sia riscontrabile una reduplicativa

66 La Segnatura Apostolica non giudica mai sulla nullità del matrimonio con potestà ordinaria; sì può

dichiarare la nullità del matrimonio in via amministrativa (cfr. R. BURKE, La procedura amministrativa per

la dichiarazione di nullità del matrimonio, in I procedimenti speciali nel diritto canonico, Città del

Vaticano, 1992, pp. 93-105; Z. GROCHOLEWSKI, La facoltà del Congresso della Segnatura Apostolica di

emettere dichiarazioni di nullità di matrimonio in via amministrativa, in P.U. GREGORIANA, Investigationes

theologico-canonicae, Roma, 1978, pp. 211-232; ID., Dichiarazioni di nullità di matrimonio in via

amministrativa da parte del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, in Ephemerides Iuris

Canonici, 37 (1981), pp. 177-204). In qualche eccezionale occasione la Segnatura ha agito in via

giudiziaria tramite l’opportuna commissione pontificia (cfr., ad es., la sentenza coram Staffa, 29 novembre

1975, in Apollinaris, 49 (1976), pp. 31-48).

67 Cfr. SEGNATURA APOSTOLICA, Normae speciales in Supremo Tribunali Signaturae Apostolicae ad

experimentum servandae, 25 marzo 1968, artt. 58 § 3 e 67, in Enchiridion Vaticanum, Bologna, 1984, vol.

8, pp. 522-587; M.F. POMPEDDA, La giurisprudenza come fonte di diritto, cit., p. 54.

68 Recentemente è stata analizzata la legittimità della tecnica dell’equiparazione: “Per interpretare e

completare la norma umana occorre rivolgere costantemente l’attenzione alla realtà stessa delle situazioni

da risolvere, per cercare in esse ciò che è giusto” (C.J. ERRÁZURIZ M., Circa l’equiparazione quale uso

dell’analogia in diritto canonico, in Ius Ecclesiae, 4 (1992), p. 215; cfr. passim).

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 21

lacuna di legge, vale a dire qualora venisse a mancare la determinazione dell’istituto atto a

rendere efficace la norma suppletoria dell’originaria lacuna.

La Corte di cassazione (italiana) è formalmente un giudice unico e supremo, così da

assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge» (R.D. n. 12 del

1941 [legge sull’ordinamento giudiziario], art. 65). A questo scopo la Corte di cassazione

– oltre il giudizio in “sezioni unite” accennato – condensa in «massime» le sue decisioni,

tramite il cosiddetto ufficio del «massimario». Queste massime non sono vincolanti per

futuri giudizi, ma hanno un enorme influsso, anche in considerazione del fatto che proprio

alla cassazione la questione potrebbe in definitiva essere sottoposta 69. La Rota pubblica

una raccolta delle proprie sentenza, cinque anni dopo la data delle rispettive decisioni;

alcune riviste canonistiche offrono in tempi più brevi, con gli opportuni permessi e cautele,

qualche sentenza per sottolineare taluni aspetti ritenuti d’interesse dal ponente della

sentenza, dalla redazione del periodico o dall’autore della “nota sentenza”; poi, esiste un

attualizzato massimario della giurisprudenza rotale, di carattere privato 70; inoltre alcuni

uditori hanno pubblicato raccolte delle sentenze in cui sono stati ponenti (ad esempio

coram Serrano e coram Pinto). Tuttavia, la mansione normativa affidata alla Rota sembra

rendere necessario qualche mezzo autorevole, atto ad indicare con precisione la lacuna di

legge riscontrata e il modo concreto di riempirla. Per risolvere detta necessità potrebbero

servire le sentenze videntibus omnibus, simili a quelle delle “sezioni unite” della

cassazione italiana, o la creazione presso il tribunale apostolico dell’ufficio del massimario

71.

Per quanto concerne i mezzi d’impugnazione della sentenza per violazione della

“giurisprudenza rotale” è necessario qualche chiarimento preliminare. Il valore

nomopoietico affidato dal Pontefice alla Rota sembrerebbe essere limitato al “piano del

diritto sostanziale e cioè di merito” (Discorso alla Rota Romana del 1992, n. 4). Tuttavia,

la coerenza del sistema ermeneutico, nonché i riferimenti pontifici nei Discorsi citati,

consentono di allargare il valore nomopoietico della giurisprudenza rotale anche alla legge

processuale, là dove fosse identificabile una lacuna di legge.

69 Cfr. C. MANDRIOLI, op. cit., § 74, pp. 339-342.

70 Cfr. i quattro volumi di F. DELLA ROCCA, Diritto matrimoniale canonico. Tavole sinottiche, Padova,

1963, 1982, 1987 e 1992.

71 Forse sarebbe da valutare se, data la natura normativa di tali interventi della Rota, non sia opportuno

un qualche intervento del Pontificio Consiglio dell’interpretazione dei testi legislativi, simile a quello

previsto dall’art. 156 della cost. ap. Pastor bonus.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 22

Da codesta doppia natura della legge lacunosa (di merito e di rito) possono essere

dedotti i rispettivi istituti impugnativi delle sentenze di nullità del matrimonio. In sede di

appello e di nova causae propositio 72 – nelle cause sullo stato delle persone non è possibile

la restitutio in integrum, mancandone il presupposto del giudicato (cfr. cann. 1643 e 1645

§ 1) – potrebbe essere invocata la violazione della “giurisprudenza rotale” di merito,

violazione che potrebbe essere stata commessa sia dai tribunali inferiori che da un turno

della stessa Rota 73. La natura nomopoietica della giurisprudenza rotale sul processo

consentirà invece la querela di nullità contro la sentenza che la violasse (cfr. cann. 1620 e

1622). Codesta seconda giurisprudenza sarà particolarmente utile per la precisazione della

violazione del diritto di difesa capace di rendere nulla la sentenza, fattispecie non

sufficientemente delimitata dal codice 74.

La giurisprudenza rotale avrà quindi valore vincolante per i casi simili, regolati dalla

legge in modo lacunoso sia dall’ordinamento latino che orientale 75, quando riunirà i

seguenti requisiti:

a) Autenticità derivante dall’inequivocabile autorevole dichiarazione (forse

della stessa Rota) di essere pronunciata in un preciso senso per riempire una puntuale

lacuna di legge. In assenza di tale formale garanzia, bisognerà ricercare se vi sia

uniformità morale da parte delle decisioni rotali 76. Una tale uniformità sarà

riscontrabile – in senso positivo – quando provenga dall’attività di distinti ponenti e

turni; e – in senso negativo – quando non ci sia un atteggiamento discordante da

parte delle decisioni rotali.

72 Sulla nova causae propositio, cfr. C. GULLO, La «nova causae propositio», cit., pp. 365-388.

73 In senso diverso, cfr. R. RODRÍGUEZ-OCAÑA, op. cit., p. 447.

74 Cfr. G. ERLEBACH, La nullità della sentenza giudiziale “ob ius defensionis denegatum” nella

giurisprudenza rotale, Città del Vaticano, 1991, passim.

75 Cfr. cost. ap. Pastor bonus, proemium nn. 11-13, artt. 58 § 2 e 128, 1º; GIOVANNI PAOLO II,

Discorso al Sinodo dei Vescovi nella presentazione del «Codice dei Canoni delle Chiese Orientali» , 25

ottobre 1990, nn. 3-5 e 8, in Ius Ecclesiae, 3 (1991), pp. 344-355; cost. ap. Sacri canones, in AAS, 82

(1990), pp. 1038-1039; P. GEFAELL, La presentazione del codice orientale, in Ius Ecclesiae, 3 (1991), pp.

354-355. Benché il CCEO non ha un canone parallelo al 1444 § 1, 1º del CIC, il can. 1062 § 4 del CCEO –

col rinviare al can. 1059 – riconosce che la Rota Romana è tribunale ordinario di appello anche per le

chiese orientali.

76 M.F. POMPEDDA, la denominava «orizzontale» (La giurisprudenza come fonte di diritto, cit., p. 49).

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 23

b) Attualità di questa giurisprudenza, poiché è noto che, nello straordinario

sforzo della Rota per sviscerare le esigenze di validità e capacità consensuale, si sono

adottati alcuni criteri successivamente modificati dallo stesso Tribunale apostolico.

c) Provvisorietà del carattere normativo della giurisprudenza rotale. La natura

nomopoietica cesserebbe nel momento in cui sia dato un intervento specificamente

legislativo circa l’oggetto concreto 77. Con tale intervento del legislatore non si

darebbe più la condizione indispensabile per la forza nomopoietica autonoma della

giurisprudenza rotale, cioè l’esistenza di una lacuna di legge 78. Un caso significativo

al riguardo è stato offerto dal decreto della Congregazione della dottrina della fede

sull’impotenza matrimoniale testé accennato; Paolo VI manifestò esplicitamente la

natura provvisoria della giurisprudenza rotale in riferimento a questo intervento

normativo 79.

A conclusione di queste considerazioni sul valore della giurisprudenza rotale, che

non intendono trattare esaurientemente la questione né precludono di ritornare

sull’argomento con più attenzione, potrebbe essere segnalato che quando il giudice (anche

gli uditori rotali) troverà una lacuna di legge (di merito o di rito) dovrà chiedersi, nella

quaestio iuris, se sull’argomento vi sia “giurisprudenza rotale”, come manifestazione della

fedeltà alla norma che caratterizza tale momento decisionale.

77 Sulla natura dell’attività del Pontificio Consiglio dell’interpretazione dei testi legislativi, cfr.

GIOVANNI PAOLO II, m.p. Recognitio iuris, 2 gennaio 1984, in AAS, 76 (1984), pp. 433-434; cost. ap.

Pastor bonus, art. 155; J. HERRANZ, Il Pontificio Consiglio della Interpretazione dei Testi Legislativi , in La

Curia Romana nella cost. ap. «Pastor bonus», cit., pp. 472-474; Javier OTADUY, Naturaleza y función de la

Comisión Pontificia para la interpretación auténtica del CIC, in Ius Canonicum, 24 (1984), pp. 749-767.

78 Sul valore della “costante giurisprudenza” rotale, cfr. S. GHERRO, Principi di diritto costituzionale

canonico, Torino, 1992, pp. 73-77. Sembra chiaro che questa giurisprudenza “non può non essere

considerata in sede di elaborazione di altre pronuncie del magistero ordinario; che non può non costituire,

altresì, un punto di riferimento per quelle del magistero straordinario” (ibidem, p. 74). Tuttavia, il punto di

riferimento non condizionerà il magistero del Pontefice. Dello stesso autore vedi anche Normazione

canonica e Popolo di Dio, in S. GHERRO (a cura di), Studi sul primo libro del «Codex iuris canonici»,

Padova, 1993, pp. 91-110.

79 “L’elemento più rilevante (della giurisprudenza rotale) resta la vostra confermata disponibilità a

seguire le indicazioni del Magistero: a questo proposito, il «Decreto» emanato, nel maggio scorso, dalla

Sacra Congregazione per dottrina della fede e da Noi esplicitamente approvato, appare un «test»

particolarmente significativo” (PAOLO VI, Discorso alla Rota Romana, 28 gennaio 1978, in AAS, 70

(1978), pp. 183-184).

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 24

4. La collegialità della decisione

Il legislatore ponderò attentamente l’opportunità che le cause di nullità matrimoniale

potessero essere decise da un giudice unico. Come conseguenza di questa riflessione,

considerando la difficoltà intrinseca di dette cause e la necessità di tutelare l’importante

bene pubblico che le stesse implicano, fu stabilito che dovessero essere giudicate da un

tribunale collegiale 80. Sono state ammesse due uniche eccezioni – previste nei cann. 1425

§1, 1º b) e 1425 § 4 – che non consentono, data la loro natura, l’inversione del principio

generale, come di fatto era accaduto nell’applicare alcune norme di diritto particolare 81.

In primo luogo è stata esclusa la necessità del tribunale collegiale nel processo

documentale, sia nella prima che nella seconda istanza (cfr. cann. 1686 e 1688). In questa

ipotesi le norme non tolgono né la necessità della certezza morale né il principio della

libera valutazione delle prove. Soltanto prevedono alcune circostanze nelle quali il giudice

potrà riuscire ad avere la certezza sulla quaestio facti e ad individuare la norma applicabile

– quaestio iuris – con più facilità. Perciò, se il giudice di seconda istanza ritiene che non

sono riscontrabili i requisiti legali per poter adoperare il processo documentale 82 non avrà

altra opzione che rinviare la causa al tribunale di prima istanza, che giudicherà secondo il

tramite ordinario. Allora riprenderà l’obbligo della collegialità dell’organo giudiziario.

La seconda eccezione all’esigenza della collegialità ha una portata più ristretta, oltre

che essenzialmente provvisoria. Nel caso in cui sia impossibile – con impossibilità fisica o

morale – costituire un tribunale di prima istanza, mai di seconda, la rispettiva conferenza

80 Cfr. Communicationes, 10 (1978), p. 244; Communicationes, 16 (1984), p. 58.

81 Cfr. CONSILIUM PRO PUBLICIS ECCLESIAE NEGOTIIS, Novus modus procedendi in causis nullitatis

matrimonii approbatur pro Statibus Foederatis Americae Septemtrionalis, 28 aprile 1970, cit. art. 3;

CONSILIUM PRO PUBLICIS ECCLESIAE NEGOTIIS, Epistula Conferentiae Episcopali Statuum Foederatorum

Americae Septemtrionalis, 22 maggio 1974 (X. OCHOA, Leges Ecclesiae cit., vol. 5, Romae 1980, n. 4289);

P. FELICI, Synodus Episcoporum 1980. Relatio circa laborem a Commissione Codicis Iuris Canonici

recognoscendo peractum et peragendum, cit., in Communicationes, 12 (1980), p. 232. Nella Relatio del

1981 un Padre propose la possibilità del giudice unico nella seconda istanza, allorquando nella prima così

fosse stato fatto. La Commissione motivò la non ammissione della proposizione nel seguente modo:

“Abusus in concessione de qua in can. 1377 § 4 [l’attuale can. 1425 § 4] et levitas cum qua, quibusdam in

locis, iudices unici nullitatem matrimonii declarant, necessarium reddunt exigentiam tribunalis collegialis

in gradu appellationis, ita ut saltem maior possibilitas detur per collegiale examen errores iudicis unici

corrigendi” (Communicationes, 16 [1984], p. 58).

82 L’inesistenza di tali requisiti comprometterebbe la validità della sentenza (cfr. SEGNATURA

APOSTOLICA, decreto del 7 luglio 1989, in Decreti sulla commissione, la proroga e altre questioni

riguardanti la competenza dei tribunali nelle cause di nullità matrimoniale , n. 10, in Ius Ecclesiae, 2

(1990), pp. 732-734).

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 25

episcopale potrà liberamente permettere che sia un unico giudice a conoscere della causa 83.

Tal giudice dovrà essere chierico e – nella misura in cui sia possibile – essere affiancato da

un assessore col quale consultarsi per la decisione e da un uditore che, oltre la mansione

istruttoria, potrà anche svolgere un’altra di consulenza (cfr. can. 1428).

Però la collegialità della decisione esige molto di più che la mera assegnazione della

causa a un turno pluripersonale. Esige anche una collaborazione mutua e responsabile, sia

per analizzare la quaestio facti che per trovare la corrispondente norma sostantiva nella

quale poterla sussumere. Tale esigenza è indicata nei cann. 1426 § 1 e 1609 § 2: ogni

giudice deve presentare alla sessione decisionale un «progetto scritto» di sentenza, nel

quale la parte dispositiva sia adeguatamente motivata tam in iure quam in facto.

Il codice, inoltre ha introdotto una norma che espressamente pretende tutelare il vero

senso della collegialità, che non è altro che evidenziare una volta di più il favor veritatis

dell’ordinamento canonico e la necessità della fedeltà alla legge matrimoniale sostantiva. Il

can. 1609 § 4 permette infatti al giudice che non condivide la decisione del tribunale di

esigere che, quando saranno inviati al tribunale superiore tutti gli atti del processo, sia

allegato anche il suo progetto motivato di sentenza; beninteso che tale invio sarà realizzato

solo se il giudice lo richiederà, non per il mero fatto di essere data una votazione finale

non unanime 84. Logicamente, il non essere d’accordo con la decisione maggioritaria – si

dia o non la petizione di invio del voto non conforme – non esime il giudice dalla

responsabilità solidale che rende la sentenza frutto di tutto il collegio (cfr. can. 1610 § 2).

Tale voto particolare non rientra negli atti che devono essere pubblicati dal tribunale di

appello prima di dare la propria sentenza (cfr. cann. 1598 § 1 e 1455 § 2) 85.

83 Cfr. cann. 1425 § 4 e 1441. Oltre a questo controllo, corrisponde primariamente alla Segnatura

Apostolica rectae administrationis iustitiae invigilare (...); promovere et approbare erectionem tribunalium

(can. 1445 § 3, 1º e 2º). Cfr. cost. ap. Pastor bonus, art. 124. “(...) in bonum animarum servitium praestet

per rectam iustitiae administrationem. (...) ut iustitiae in universa Ecclesia administratio, praesertim quoad

rem matrimonialem, celerior atque accuratior evadat, pro salute animarum, quae in gravissimo interdum

versantur periculo, nisi status personalis quam citissime ac recte definiatur” (SEGNATURA APOSTOLICA,

Litterae Circulares ad Praesides Conferentiarum Episcopalium de Tribunalium Ecclesiasticorum statu et

activitate, 28 decembris 1970, n. 5, in X. OCHOA, Leges Ecclesiae cit., vol. 4, Romae, 1974, n. 3937). Cfr.

SEGNATURA APOSTOLICA, Normae pro tribunalibus interdioecesanis vel regionalibus aut interregionalibus

erigendis et ordinandis, 28 decembris 1970, in X. OCHOA, Leges Ecclesiae cit., vol. 4, Romae, 1974, n.

3936.

84 Cfr. Communicationes, 11 (1979), p. 140; R. BACCARI, Una specie di «dissent» introdotta dal nuovo

C.I.C., in Z. GROCHOLEWSKI - V. CÁRCEL ORTÍ (curantibus), «Dilexit iustitiam». Studia in honorem Aurelii

Card. Sabattani, Città del Vaticano, 1984, pp. 285-292.

85 Cfr. infra i cenni in occasione della nota 146.

Page 26: 022SENTI

LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 26

5. La formazione della decisione in seconda od ulteriore istanza

L’ordinamento canonico fa un costante sforzo per conciliare diverse esigenze

processuali che, se fossero assolutizzate, potrebbero vanificare l’intera funzione

giudiziaria. Perciò esclude da un canto l’istituto della res iudicata per le cause sullo stato

delle persone, anche se una o le due parti si siano sposate canonicamente dopo la doppia

sentenza conforme pro nullitate 86. Allo stesso tempo e logicamente, le norme canoniche

offrono la possibilità alla doppia decisione giudiziaria 87 di produrre gli effetti cercati dalle

parti nel chiedere la dichiarazione di nullità, cioè di essere eseguibile (cfr. can. 1684) 88.

Qui ci interessa sottolineare soltanto che la necessaria seconda decisione giudiziaria non è

un mero tramite formale se si vuol essere coerenti con la voluntas legislatoris. Non può

infatti essere chiamata decisione giudiziaria qualsiasi provvedimento di un organo di

giustizia; la decisione giudiziaria deve possedere il contenuto minimo che costituisce la sua

essenza, cioè la dichiarazione atta ad adeguare la verità formale (oggetto della parte

dispositiva della sentenza) alla realtà oggettiva, muovendo da una posizione giuridica di

autentica indipendenza rispetto alle parti processuali e agli altri organi giudiziari. Ebbene,

l’ordinamento canonico esige due vere decisioni giudiziarie conformi affinché la

dichiarazione pro nullitate in una causa di nullità del matrimonio sia eseguibile. Tale realtà

è affermata espressamente nel testo del codice quando, per esempio, regola la nova causae

propositio per impugnare la duplex sententia conformis (cfr. can. 1644); o quando equipara

il decretum ratihabitionis alla seconda sentenza (cfr. can. 1684 § 2).

La necessità delle due decisioni giudiziarie conformi fu esplicitamente affermata

inoltre da molteplici interventi dell’autorità nel corso del periodo di stesura del codice. Da

codesti interventi si evinceva con assoluta chiarezza la natura strettamente giudiziaria del

86 Nella Relatio del 1981 un Padre propose: “Nova paragraphus adiungatur [all’attuale can. 1684]:

«Non admittitur nova causae propositio si pars novum matrimonium canonicum iniverit». Incongruum

esset partes ad novum matrimonium admittere, simul vero viam apertam relinquere novae causae

propositionis de prioris matrimonii nullitate”. E ricevette la seguente risposta: “Admitti nequit. Agitur «de

iure naturali» et esset contra praescriptum can. 1595 [l’attuale can. 1643]” (Communicationes, 16 [1984],

p. 76). Cfr. cann. 1492 e 1643; SEGNATURA APOSTOLICA, sentenza coram Staffa, 29 novembre 1975, la

quale fu altisone publicata (P. FELICI, Synodus Episcoporum 1980. Relationem coram Summo Pontifice de

opere Signatura Apostolicae, cit., p. 216), vgr. sull’Apollinaris, 49 (1976), pp. 31-48, o in X. OCHOA,

Leges Ecclesiae cit., vol. 5, Romae, 1980, n. 4419.

87 Una sola quando le parti rinunciano all’appello nel processo documentale (cfr. can. 1687).

88 Sui problemi posti nel vigente ordinamento canonico dalla natura essenzialmente provvisoria di

qualsiasi decisione sullo stato delle persone, cfr. J. LLOBELL, Centralizzazione normativa processuale, cit.,

pp. 454-459; ID., Il giudicato nelle cause sullo stato delle persone. Note sulla dottrina di Carmelo de

Diego-Lora, in Ius Ecclesiae, 5 (1993), pp. 283-313.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 27

decretum ratihabitionis introdotto dal m.p. Causas matrimoniales che, perciò, deve essere

motivato 89. Inoltre, quando la Commissione studiò la redazione del futuro can. 1682, un

consultore propose la distinzione di due questioni: se la sentenza che dichiarasse per la

prima volta la nullità matrimoniale dovesse essere sottomessa a un nuovo esame; e, nel

caso in cui la risposta fosse affermativa, quale sarebbe stato il modo di garantire il

compimento di tale necessità 90. Dopo un’animata controversia, tanto nella sessione del

1979 come nella Relatio del 1981 91, la Commissione concluse che dalla prospettiva

giuridica, pastorale e pratica era conveniente il secondo esame giudiziario della prima

sentenza pro nullitate. Per facilitare l’economia processuale, la seconda decisione potrà

adottare la forma di decreto quando, alla luce degli appelli delle parti e del responsabile

studio degli atti, il tribunale di appello abbia certezza morale sull’opportunità di ratificare

la sentenza pro nullitate di prima istanza, senza dover istruire nuove prove (cfr. cann. 1639

§ 2 e 1682 § 2) 92.

Le formalità per favorire la desiderata rapidità processuale sono state quindi snellite

in sede legislativa, senza snaturare il carattere strettamente giudiziario della seconda

decisione che dovrà essere dettata sempre da un tribunale collegiale (cfr. can. 1425 § 4) 93.

Tuttavia, il tribunale di seconda istanza dovrà ripercorrere l’itinerario conoscitivo che

portò alla prima decisione pro nullitate. Bisogna sottolineare che ripercorrere implica

tornare a fare una strada, che diventerà più semplice allorquando siano stati rimossi alcuni

degli ostacoli che avrebbero rallentato il procedere. Lo snellimento normativo introdotto

non esime però dallo sforzo di valutare tutti gli atti e le prove dalle quali potrà essere

89 Cfr. nota 123; SEGNATURA APOSTOLICA, Litterae Circulares ad Praesides Conferentiarum

Episcopalium. Animadversiones fiunt Ordinariis locorum circa rectam iustitiae administrationem a

propriis Tribunalibus et circa patentes auferendos abusus, 24 luglio 1972, in X. OCHOA, Leges Ecclesiae,

cit., vol. 5, Romae, 1980, n. 4152, art. 5 §§ a) e b); PONTIFICIA COMMISSIO DECRETIS CONCILII VATICANI II

INTERPRETANDIS, Responsum ad propositum dubium, 14 febbraio 1974, in Communicationes, 6 (1974), p.

148; Communicationes, 11 (1979), pp. 265-267; Communicationes, 16 (1984), pp. 73-75; C. GNAZI,

Giurisprudenza rotale sul m.p. “Causas matrimoniales”, in Il Motu proprio “Causas matrimoniales” nella

dottrina e nell’attuale giurisprudenza, Roma, 1979, pp. 107-172. Una completa relazione bibliografica

sulla dottrina – fino il 1977 – può trovarsi in I. GORDON - Z. GROCHOLEWSKI, Documenta recentiora circa

rem matrimonialem et processualem, cit., n. 1260. Per i decreti amministrativi, cfr. G. LOBINA, La

motivazione dei decreti amministrativi, in Monitor Ecclesiasticus, 108 (1983), pp. 279-294.

90 Cfr. Communicationes, 11 (1979), p. 265.

91 Cfr. Communicationes, 16 (1984), pp. 73-75; PCITL, Acta et documenta PCCICR. Congregatio

Plenaria diebus 20-29 octobris 1981 habita, cit.

92 Cfr. Communicationes, 11 (1979), pp. 265-267.

93 Cfr. Communicationes, 10 (1978), p. 244.

Page 28: 022SENTI

LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 28

desunta sia l’identificazione della norma applicabile che la necessaria certezza morale,

anche se più rapidamente essendo stata espletata la fase istruttoria nella prima istanza.

Perciò la forma della decisione può essere quella del decreto 94.

Il can. 1683 evince ancora una volta il carattere pastorale del processo matrimoniale,

cioè la sua netta determinazione di offrire ogni strumento giuridico – senza travisarli – per

fare più saldo il favor veritatis; perciò consente la possibilità di addurre un nuovo caput

nullitatis in fase d’appello, contro la disposizione generale del can. 1639 § 1. In questo

modo si è cercato di risparmiare tanta attività dell’organo giudiziario e delle parti, costante

preoccupazione dell’ordinamento canonico dal tempo delle Decretali 95, accentuata negli

ultimi anni 96. Codesta nuova decisione in grado di appello ha la natura e le esigenze di una

sentenza – mai decreto – di prima istanza, come conseguenza di costituire ogni capo di

nullità una diversa azione giudiziaria 97. Inoltre, trattandosi di un tribunale di seconda

istanza, non potrà essere attuata la dispensa consentita dal can. 1425 § 4 (giudice unico),

benché il tribunale potrà servirsi di tutta la capacità d’iniziativa offerta dal can. 1452,

rispettando allo stesso tempo le diverse manifestazioni dello ius defensionis 98. Nella

formazione e nella motivazione del provvedimento sul nuovo capo di nullità, che dovrà

94 Cfr. L. MADERO, Tiempo y Proceso. En torno a los derechos fundamentales dentro del proceso

matrimonial, in I diritti fondamentali del cristiano nella Chiesa e nella Società. Atti del IVº Congresso

Internazionale di Diritto Canonico. Fribourg (Suisse) 6-11.X.1980, Fribourg, 1981, pp. 581-593.

95 Cfr. Saepe, Clem 5, 11, 2; Dispendiosam, Clem 2, 1, 2.

96 Per un’esauriente informazione sull’attività amministrativa e legislativa in tale senso, cfr. F.

D’OSTILIO, I processi canonici. Loro giusta durata, Roma, 1989.

97 Cfr. nota 33.

98 Cfr. G. ERLEBACH, La nullità della sentenza giudiziale “ob ius defensionis denegatum” nella

giurisprudenza rotale, cit., passim; S. GHERRO, Il diritto alla difesa nei processi matrimoniali canonici, in

Il diritto alla difesa nell’ordinamento canonico. Atti del XIX Congresso canonistico. Gallipoli - settembre

1987, Città del Vaticano, 1988, pp. 1-16; ID., Ancora sul diritto alla difesa nel processo matrimoniale

canonico, in S. GHERRO (a cura di), Studi sul processo matrimoniale canonico, Padova, 1991, pp. 71-89; C.

GULLO, Il diritto di difesa nelle varie fasi del processo matrimoniale, in Il diritto alla difesa

nell’ordinamento canonico, cit., pp. 29-50; A. JACOBS, Le droit de la défense dans le procès en déclaration

de nullité de mariage, in Revue théologique de Louvain, 22 (1991), pp. 30-40; J. LLOBELL, Aspetti del

diritto alla difesa, il risarcimento dei danni e altre questioni giurisdizionali in alcune recenti decisioni

rotali, in Ius Ecclesiae, 1 (1989), pp. 587-611; ID., La conferma del decreto di dimissione del religioso a

norma del can. 700. Note sull’ermeneutica degli istituti rivolti all’attuazione del diritto di difesa , in Ius

Ecclesiae, 4 (1992), pp. 235-252; M.F. POMPEDDA, L’assenza della parte nel giudizio di nullità di

matrimonio. Garanzie del contraddittorio e del diritto di difesa, in ASSOCIAZIONE CANONISTICA ITALIANA,

Studi di diritto canonico matrimoniale e processuale, vol. 4, Roma, 1986; P. SILVESTRI, Evoluzione del

concetto di “diritto di difesa”, Roma, 1991; S. VILLEGGIANTE, Il diritto di difesa delle parti nel processo

matrimoniale canonico, in ASSOCIAZIONE CANONISTICA ITALIANA, Studi di diritto canonico matrimoniale e

processuale, vol. 2, Roma, 1984.

Page 29: 022SENTI

LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 29

avere la forma di sentenza, l’aequitas canonica consente di poter seguire una via media tra

la sentenza di prima istanza e il decreto di ratifica 99.

L’autonomia decisionale del tribunale di seconda istanza deve essere affermata

ugualmente nel considerare l’obbligo di trasmettere al tribunale di appello omnia acta,

senza che sia sufficiente inviare solo gli acta utilia, omettendo gli acta superflua

“secundum iudicium discretionale iudicis et defensoris vinculi”; questo obbligo fu imposto

non senza discrepanze nel seno della Commissione per la stesura del codice 100. Riguardo

alla quaestio iuris e alla quaesti facti il dovere di fedeltà e il favor veritatis si imposero in

sede legislativa; adesso dobbiamo sforzarci di proteggerli in sede giurisprudenziale e

dottrinale.

B. La motivazione «coram partibus» della decisione giudiziaria

6. Cenni storici sull’obbligatorietà della motivazione nell’ordinamento canonico

La dottrina processuale considera la motivazione della sentenza come la

manifestazione dell’«iter logico attraverso il quale il giudice perviene alla decisione» 101, «il

rendiconto, scritto nella sentenza, dei motivi di fatto e di diritto che hanno portato il

giudice a quella conclusione. (La motivazione) è il tramite indispensabile per introdurre il

lettore dentro il pensiero del giudice» 102.

La sottomissione alla giurisdizione ecclesiastica, data l’incidenza su materie

spirituali delle sue sentenze e la peculiare forza coercitiva della potestà ecclesiale – di

natura prevalentemente morale –, ha un carattere di libertà molto superiore a quello

riscontrabile negli ordinamenti civili. Se vogliono essere efficaci, cioè essere strumenti per

la salvezza delle anime alle quali sono rivolte, le sentenze canoniche devono convincere.

Perciò la Chiesa si preoccupa di ottenere l’accettazione delle parti; perciò pone uno

speciale impegno nell’assicurare la conformità del contenuto delle risoluzioni giudiziarie

con la giustizia materiale. Al contempo, ricorre a procedimenti tecnici affinché questa

giustizia materiale raggiunga un rivestimento formale, giacché non ci muoviamo ad un

livello di coscienza ma di relazioni giuridiche che, d’altra parte, possiedono indubitabili

ripercussioni morali. Queste formalità hanno come scopo fondamentale quello di

99 Cfr. Communicationes, 11 (1979), p. 268.

100 Cfr. Communicationes, 16 (1984), p. 75.

101 F. DELLA ROCCA, Appunti sul processo canonico, Milano, 1960, p. 128.

102 P. CALAMANDREI, La crisi della motivazione, cit. p. 97.

Page 30: 022SENTI

LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 30

assicurare alle parti che, come frutto dell’adempimento di una serie di requisiti, il giudice è

giunto a conoscere con certezza il merito della questione e la sua decisione è conforme alla

verità, cioè giusta. Ebbene, questo elemento logico offre al giudice la sua certezza morale

e alle parti fiducia nella giustizia della decisione, nella misura in cui hanno potuto

conoscere l’iter che ha portato il tribunale ad emettere una determinata sentenza. Da questa

fiducia, in una proporzione non trascurabile basata sulla motivazione, dipenderà la

corrispondente accettazione della decisione che, non dimentichiamolo, potrebbe

condizionare la salvezza dell’anima del dissenziente.

Coerentemente con queste affermazioni – come abbiamo cercato di dimostrare 103 –

l’obbligo di motivare la sentenza appare nell’ordinamento canonico sin dalle sue prime

manifestazioni formali. Infatti la necessità della motivazione è presente – oltre che nelle

indicazioni sanzionatrici riscontrabili nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 18, 15-17) e dai

primi concili ecumenici – già in una norma consuetudinaria precedente alle Decretales di

Gregorio IX. Questa consuetudine, modificata da una seconda consuetudine sancita da

Innocenzo III nel capitolo Sicut nobis (a. 1172) 104, esigeva la motivazione della sentenza in

modo esauriente: “exprimere in sententia omnia quae iudicem movent”. Il problema risolto

da Innocenzo III, nell’aderire alla seconda consuetudine, faceva riferimento alla quantità

della motivazione piuttosto che alla sua possibilità: non era necessario exprimere omnia. Il

capitolo sanciva pure che la difettosa motivazione non costituiva un capo autonomo di

nullità della sentenza. La ragione che offriva la decretale si basava sul principio

ermeneutico del favor iudicis: “propter auctoritatem iudiciariam praesumi debet omnia

legitime processisse”. Infatti, nell’ordinamento canonico classico – e anche sul vigente – si

poteva descrivere una tensione tra due esigenze giuridiche fondamentali: la ratio e

l’imperium. La ratio generava il favor veritatis; dall’imperium scaturiva invece il favor

iudicis 105.

Pochi anni dopo la promulgazione del capitolo Sicut nobis dalla bolla Rex pacificus

di Gregorio IX (a. 1234), il Concilio I di Lione (a. 1245) stabilì la necessità della

motivazione delle sentenze penali di natura eminentemente medicinale – quelle cioè che

103 Cfr. J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 103-177.

104 “(...) Quum autem in plerisque locis, in quibus copia prudentum habetur, id moris exsistat, quod

omnia, quae iudicem movent, non exprimantur in sententiis proferendis, vobis taliter respondemus, quod,

quum ex depositionibus testium praedictorum constiterit vobis, sententiam a iudice suo fuisse prolatam,

propter auctoritatem iudiciariam praesumi debet, omnia legitime processisse” (X 2, 27, 16).

105 Cfr. J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 55-102 e 169-170.

Page 31: 022SENTI

LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 31

infliggevano una censura di scomunica, di sospensione o d’interdetto –, sotto pena di

nullità della decisione e sotto minaccia di forti sanzioni per il giudice che non giustificasse

adeguatamente la sua risoluzione 106. Il testo conciliare consente di evincere conclusioni

applicabili non soltanto alle sentenze penali, permettendo così di cogliere una

soddisfacente riflessione canonica sul ruolo razionalizzante della motivazione della

sentenza da parte dei giuristi che intervennero nella stesura dei testi conciliari. Purtroppo,

dal profilo della ricostruzione testuale, le Decretali di Bonifacio VIII frazionarono il brano

del Concilio, rendendo difficile capire correttamente la voluntas concilii 107. Inoltre, il

Concilio I di Lione collegò la motivazione coram proprio iudice (momento di formazione

della decisione) con la motivazione coram partibus (motivazione stricto sensu). Suggeriva

infatti che la mancanza di motivazione coram partibus era dovuta all’insufficiente certezza

morale sulla quaestio facti o alla frettolosa considerazione della norma giuridica

applicabile (quaestio iuris): “quam grave sit excommunicationum sententias sine

maturitate debita fulminare”. In questo modo, nel XIII secolo, troviamo già

un’impostazione della motivazione come l’espressione esplicativa per le parti dell’iter

logico che porta il giudice alla sentenza, tale come è definita dalla dottrina contemporanea.

Le Decretali, quindi, non vietarono la motivazione né raccomandarono di non

motivare tout court la sentenza, come per molti secoli è stato affermato dalla stragrande

maggioranza della dottrina canonica. Questa communis opinio doctorum, magari sbagliata,

aveva come fondamento un’insufficiente analisi sia dei capitoli Sicut nobis e Quum

medicinalis, sia del pensiero in materia di Enrico di Segusio, cardinale Ostiense

106 “Quum medicinalis sit excommunicatio, non mortalis, disciplinans, non eradicans, dum tamen is, in

quem lata fuerit, non contemnat: caute provideat iudex ecclesiasticus, ut in ea ferenda ostendat se prosequi

quod corrigentis fuerit et medentis. Quisquis igitur excommunicat, excommunicationem in scriptis

proferat, et causam excommunicationis expresse conscribat, propter quam excommunicatio proferatur.

Exemplum vero huiusmodi scripturae teneatur excommunicato tradere infra mensem, si fuerit requisitus;

super qua requisitione fieri volumus publicum instrumentum vel literas testimoniales confici sigillo

authentico consignatas. Si quis autem iudicum huiusmodi constitutionis temerarius extiterit violator: per

mensem unum ab ingressu ecclesiae et divinis officiis noverit se suspensum. Superior vero, ad quem

recurritur, sententiam ipsam sine difficultate relaxans, latorem excommunicato ad expensas et omne

interesse condemnet, et alias puniat animadversione condigna, ut poena docente discant iudices, quam

grave sit excommunicationum sententias sine maturitate debita fulminare. Et haec eadem in suspensionis et

interdicti sententiis volumus observari. Caveant autem ecclesiarum praelati et iudices universi, ne

praedictam poenam suspensionis incurrant; quoniam, si contingeret eos sic suspensos divina officia exequi

sicut prius, irregularitatem non effugient iuxta canonicas sanctiones, super qua non nisi per summum

Pontificem poterit dispensari” (Quum medicinalis, VIº 5, 11, 1).

107 Allo stesso brano conciliare appartengono i capitoli Pia consideratione (VIº 2, 12, 2), Quum aeterni

(VIº 2, 14, 1), Cordi nobis (VIº 2, 15, 1) e Sollet a nonnullis (VIº 5, 11, 2).

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 32

(scomparso nel 1271). Su questa materia può essere ricostruita infatti una catena

ininterrotta tra quasi tutta la dottrina canonica posteriore all’Ostiense, a partire dal suo

Commentarium in Decretales 108. In quest’opera l’Ostiense segnalava che la motivazione

non era necessaria ad validitatem: “Iudex (...) potest causam exprimere si vult, sed non

cogitur, quia et si non exprimat nihilominus tenet sententia”. Questo principio aveva,

secondo l’Ostiense, sei eccezioni riguardanti altrettanti tanti tipi di sentenza. Comunque,

tenendo conto della possibilità di motivare male la decisione e delle conseguenze che tale

errore potrebbe avere per l’efficacia della sentenza, l’Ostiense raccomandava al giudice di

omettere la motivazione con una espressione colorita che, senza particolare analisi critica,

è diventata tipizzante dell’atteggiamento dell’ordinamento canonico classico in materia:

“immo et fatuum est exprimere atque periculosum, quia de facili mala posset exprimi, et

bona subticeri, et sic non valeret sententia”. Tuttavia, l’Ostiense studiò la motivazione

della sentenza, in modo più approfondito e sistematico che nel Commentarium, nella

Summa aurea 109. In quest’opera modificò il principio della non obbligatorietà della

motivazione – consentita dal capitolo Sicut nobis –, nel tipizzare ben diciotto occasioni – e

lasciava espressamente spazio ad altre – in cui era necessario motivare, sotto pena di

nullità della sentenza. Inoltre non qualificava fatuum il fatto di motivare, anche se indicava

che “non est tutum assignare causam in sententia” 110. Purtroppo, su questo argomento, la

Summa aurea è stata misconosciuta per molti secoli dai processualisti canonici e secolari.

In questo modo, i canonisti offrirono una comoda giustificazione alla dottrina civile per

spiegare la normativa contraria alla motivazione della sentenza da parte delle legislazioni

statuali 111.

Comunque, di fatto la motivazione si trova presente – benché in modo assai

eterogeneo – in ogni momento della storia della sentenza canonica, in modo particolare a

108 Cfr. In secundum decretalium librum commentaria, Venetiis, 1581, «De sententia et re iudicata»,

cap. 16, p. 162 vo. Per l’analisi di questa dottrina, cfr. J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 142-

160.

109 Summa Domini Henrici Cardinalis Hostiensis, Lugduni, 1537, (ed. Scientia, Aalen, 1962), pp. 122

in re.-122 vo.

110 Summa, cit., p. 122 in re.

111 Cfr. T. SAUVEL, Histoire du jugement motivé, in Revue de Droit Public, 71 (1955), pp. 6-53, in

speciale pp. 16-22; M. TARUFFO, L’obbligo di motivazione della sentenza civile tra diritto comune e

illuminismo, in Rivista di Diritto Processuale, 29 (1974), pp. 265-295; ID., La motivazione della sentenza

civile, cit., pp. 319-324. Questa opinione influisce pure sulla dottrina canonica recente (cfr. PH. GODDING,

Jurisprudence et motivation des sentences, du moyen âge à la fin du 18 e siècle, in CH. PERELMAN - P.

FORIERS (a cura di), La motivation des décisions de justice, cit., pp. 37-67).

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 33

livello dei tribunali apostolici 112. Ricordiamo che tante Decretali non erano altro che

sentenze che poterono acquistare valore normativo generale soltanto nella misura in qui

esprimevano nella loro motivazione la quaestio facti e la quaestio iuris, cioè erano

motivate tam in iure quam in facto (cfr. can. 1611, 3º). Quindi, quando Gregorio XVI,

Leone XIII, san Pio X e il codice pio-benedettino 113 esigerono la motivazione sotto pena di

nullità della sentenza, facevano riferimento a precedenti canonici piuttosto che alle

codificazioni secolari, benché non ci fosse una adeguata consapevolezza di questa realtà.

La normativa sulla motivazione raggiunse una quota di formalizzazione

particolarmente significativa nel Principio VII che il Sinodo dei Vescovi del 1967 propose

come direttiva della nuova codificazione: “Requiritur autem ut, in processu sive iudiciali

sive amministrativo, recurrenti vel reo manifestentur omnes rationes quae contra ipsum

invocantur” 114. Comunque, il ciclo genetico della storia del diritto canonico che consente

qualche sentenza non motivata, formalmente aperto con la consuetudine predecretalista

sancita da Inocenzo III, ancora non è giunto al suo termine. È risaputo che, secondo la

vigente normativa, la Segnatura Apostolica non deve motivare le sue sentenze sotto pena

di nullità 115. Tuttavia, la ratio legis, la deroga da parte del can. 1622, 2º del vigente codice

dei cann. 1605 e 1894, 2º del codice precedente e la consuetudine imposta dallo stesso

Supremo Tribunale sembrano indicare una obbligatorietà non sancita da nessun precetto

irritante. Questa situazione sembra che sarà definitivamente risolta dalla futura lex propria

della Segnatura Apostolica 116.

7. La concezione endoprocessuale ed extraprocessuale della motivazione

A questo punto del nostro studio, può essere utile l’utilizzazione di due concetti

coniati dalla dottrina civile nell’analizzare la concezione della motivazione da parte del

dispotismo illuminato tedesco – concezione endoprocessuale – e dell’illuminismo italiano

112 Cfr. M. LEGA, S. Romanae Rotae Decisiones seu Sententiae. Praefatio, in SRRD, 1 (1909), pp. VI-

LII; J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 163-166.

113 Cfr. J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 136-141.

114 Communicationes, 1 (1969), p. 83. Codesta indicazione non appare nella prefazione del codice.

Sull’importanza dei Principi nella loro stesura del 1967, cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota

Romana 18 gennaio 1990, cit., n. 3.

115 Cfr. Normae speciales in Supremo Tribunali Signaturae Apostolicae ad experimentum servandae , 25

marzo 1968, artt. 55 § 1 e 122 § 2; can. 1402; cost. ap. Pastor bonus, art. 125.

116 Cfr. Z. GROCHOLEWSKI, I tribunali apostolici, cit., pp. 472-477; ID., Supremo Tribunale della

Segnatura Apostolica e sentenza canonica, cit., pp. 205 e 208-209.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 34

e francese – concezione extraprocessuale – 117. Dal primo livello, tecnico-giuridico, con la

motivazione si pretendeva semplificare, razionalizzare ed unificare la funzione giudiziaria

da una prospettiva interna rispetto ai propri organi giudiziari. Dal secondo,

prevalentemente politico, si cercava invece di sottomettere l’attività giurisprudenziale al

controllo popolare per mezzo della pubblicazione delle rationes decidendi. Benché sia

ovvia l’incoerenza tra lo scopo assegnato alla motivazione dal legislatore rivoluzionario e

l’impostazione del giudice come bouche de la loi adoperata dai filosofi illuministi, i primi

costituenti giustificarono la necessità del controllo popolare delle sentenze, tramite la

motivazione, argomentando che nel nuovo ordine sociale erano ancora poche le leggi

chiare che avrebbero consentito ai giudici di applicarle automaticamente, lasciando troppo

spazio ai tribunali nella scelta della norma applicabile 118.

Nelle cause canoniche matrimoniali possono essere pure individuate queste due

dimensioni della motivazione, con un significato profondamente distinto da quello che

possiedono nel diritto civile, grazie al carattere unificante che il favor veritatis conferisce a

quanti intervengono nel processo canonico 119. Il livello endoprocessuale canonico è da

rapportare alla funzione della motivazione come elemento tendente all’accettazione della

decisione giudiziaria dalle parti e dal tribunale superiore che – ex officio o ad istanza di

parte – deve esaminare una decisione precedente. A questo stesso ordine apparterrebbe il

ruolo della motivazione delle sentenze dei tribunali apostolici e il loro valore esemplare

per i tribunali inferiori o, addirittura, normativo 120.

Il livello extraprocessuale canonico, differenziato da quello endoprocessuale

formalmente soltanto, è da collegare invece con la funzione della motivazione come

motivo autonomo per la interposizione della querela nullitatis (cfr. can. 1622, 2º) per

mancanza dei minimi requisiti di coerenza logica tra le prove addotte nel giudizio dalle

parti o ex officio (oggetto della la motivazione stricto sensu) e la pars dispositiva della

sentenza.

117 Cfr. M. TARUFFO, La motivazione della sentenza civile, cit., pp. 328-392 e 455-470.

118 Cfr. J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 50-51.

119 Cfr. PIO XII, Discorso alla Rota Romana del 2 ottobre 1944, cit.

120 Cfr. coram Brennan, 9 luglio 1959, in SRRD n. 125/1959; coram Canals, 3 luglio 1962, in SRRD n.

69/1962; L.M. DOMÍNGUEZ, Significado normativo de la jurisprudencia: ciencia del derecho o decisión

judicial?, 2 vol., Madrid, 1984; C. GULLO, Giurisprudenza e politica giudiziaria ecclesiastica, in Il Diritto

Ecclesiastico, 94/2 (1983), pp. 436-451; J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 119-121; M.

SOMERHAUSEN, La motivation et la mission normative du juge, in CH. PERELMAN - P. FORIERS (a cura di),

La motivation des décisions de justice, cit., pp. 23-36.

Page 35: 022SENTI

LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 35

8. La funzione endoprocessuale della motivazione

Poiché la motivazione possiede un’evidente contenuto teleologico razionalizzante 121,

la sua stesura viene prescritta in modo particolareggiato dal codice. Il giudice unico (cfr.

can. 1610 § 1) si potrà servire dell’ausilio dell’assessore e dell’uditore (cfr. can. 1425 § 4)

non soltanto nella fase decisionale, ma anche nel cercare di addurre le ragioni giustificanti

della sentenza in modo intelligibile per le parti e i loro avvocati 122. Nel tribunale

collegiale, il ponente, nello stendere la sentenza, disporrà di un materiale prezioso per

incatenare logicamente le premesse dalle quali trarre la conclusione, se gli altri membri del

collegio avranno adempiuto il loro obbligo di motivare per iscritto i loro progetti di

sentenza (cfr. can. 1609 § 2). Il compito del ponente avrà una natura ancora più collegiale

se nella discussione orale (cfr. can. 1609 §§ 3-5) i rispettivi abbozzi di decisione sono stati

arricchiti da ulteriori ragionamenti che fanno più salda la certezza morale circa la quaestio

facti e identificano con precisione maggiore la norma da applicare. In ogni caso, prima di

approvare la stesura definitiva, la legge offre una nuova opportunità ad ogni giudice per

rifinire il lavoro del relatore (cfr. can. 1610 § 2).

Notevole interesse possiede la funzione endoprocessuale della motivazione del

decretum ratihabitionis della sentenza che dichiara la nullità in prima istanza (cfr. can.

1682) 123. Il testo del can. 1617 non offre possibili interpretazioni riduttive, allorquando

prescrive la necessità di motivare “decreta quae mere ordinatoria non sint” 124.

121 “Evidentemente, tutto ciò comporta una riformulazione della c.d. «essenza» della giurisdizione, di

cui la motivazione appare un connotato necessario, in senso radicalmente diverso dalle definizioni che

fanno perno sulla decisione come manifestazione di volontà del giudice e vedono in questa, e non anche

nella giustificazione del dictum giudiziale, il principium individuationis della giurisdizione” (M. TARUFFO,

La motivazione della sentenza civile, cit., p. 458). Cfr. C. DE DIEGO-LORA, Prólogo, in J. LLOBELL,

Historia de la motivación, cit., pp. 11-12.

122 Quello che non sarà lecito è che sia l’avvocato a motivare la sentenza (cfr. Communicationes, 16

[1984], p. 66).

123 Oltre le indicazioni della nota 89, cfr. O. DI JORIO, Adnotationes in m.p. “Causas matrimoniales”,

in Periodica, 65 (1976), pp. 372-383; L. DEL AMO, Decretos nulos por falta de motivación en el m.p.

“Causas matrimoniales”, in Revista Española de Derecho Canónico, 32 (1976), pp. 321-347; B. FILIPIAK,

La motivazione del decreto di cui al m.p. “Causas matrimoniales”, VIII, § 3 e IX, § 1 , in Ephemerides Iuris

Canonici, 32 (1976), pp. 194-200; C. GULLO, Contributo all’interpretazione dell’art. VIII del m.p. “Causas

matrimoniales”, in Studi di Diritto Canonico in onore di Marcello Magliocchetti , vol. 2, Roma, 1975, pp.

753-769, in speciale pp. 766-769; J.M. PINTO, De nullitate decreti ratihabitionis ob non expressa motiva

vel ob appellationis concursum ad normam m.p. “Causas matrimoniales”, in Periodica, 62 (1973), pp.

551-562; ID., De exprimendis rationibus in ratihabitionis decreto, in Periodica, 64 (1975), pp. 195-204.

124 Sulla motivazione dei decreti giudiziari, cfr. M. TARUFFO, La motivazione della sentenza civile, cit.,

pp. 393-398.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 36

Considerazione a parte merita la clausola irritante annessa al mancato compimento di tale

precetto: vim non habent. Seguendo le regole di una sana ermeneutica che cerca di

integrare in un sistema coerente le diverse istituzioni affini, non sembra possibile attribuire

a tale espressione – nel caso che ci interessa – un valore diverso da quello della nullità

sanabile con la quale il can. 1622, 2º sanziona la carenza di motivazione della sentenza.

La motivazione può essere fatta in modo autonomo e in modo riflesso, rinviando alla

motivazione della decisione pro nullitate emessa in prima istanza 125. Se un tale rinvio è

realizzato, lo si dovrà indicare in modo esplicito nel decretum ratihabitionis (cfr. can.

1617). La Commissione di riforma del codice, rispondendo a chi intendeva eliminare dal

testo legale questa motivazione mediata perché insufficiente, segnalò che la ratio del

permettere il rinvio era l’economia processuale senza vanificare perciò il precetto della

motivazione, che indubbiamente si connette alle esigenze inderogabili dell’esercizio della

funzione giudiziaria più fondata sulla ratio che sull’imperium: “nempe decretum semper

rationes contineat” 126. Pertanto, potrà essere dichiarata la nullità prevista nel can. 1622, 2º

(livello extraprocessuale della motivazione) quando un decreto sia privo di qualsiasi

riferimento alla motivazione precedente; anche quando rimandi ad una motivazione

inesistente nella sentenza di prima istanza, la cui nullità non fu invocata dalle parti né

corretta dal giudice che la emanò (cfr. can. 1626 § 2) 127.

Quando in sede d’appello sia introdotto un nuovo caput nullitatis (cfr. can. 1683), la

concezione endoprocessuale esige che, giacché la legge considera tale fattispecie come una

prima istanza (che potrà essere confermata attraverso un decreto mediatamente motivato),

le rationes decidendi della prima decisione del nuovo caput debbano possedere tutte le

esigenze sostanziali e formali. Diversamente si incorrerebbe in una catena di rinvii vuoti di

contenuto, il che costituirebbe un’autentica frode al precetto che obbliga di giustificare la

decisione giudiziaria. L’ordinamento si difende da questa possibilità fraudolenta per mezzo

della nullità, rientrando quindi nell’ambito extraprocessuale della motivazione.

D’altra parte, la motivazione è l’elemento della sentenza sullo stato delle persone che

offrirà una via per la richiesta della restitutio in integrum contro decisioni giudiziarie

125 Sulla motivazione per relationem e implicita, cfr. Decreto del Tribunale d’appello del Vicariato

dell’Urbe, coram Magliocchetti, 17 marzo 1960, in Il Diritto Ecclesiastico, 71/2 (1960), pp. 329-341; M.

TARUFFO, La motivazione della sentenza civile, cit., pp. 422-437.

126 Communicationes, 11 (1979), p. 143.

127 Cfr. V. GAROFOLI, Mancanza di motivazione e mancanza di dispositivo nella sentenza cumulativa,

in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 16 (1973), pp. 946-952.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 37

pregiudiziali o incidentali rispetto alle quali l’ordinamento non concede l’appello e che,

sebbene muovono nell’ambito di una causa incapace di diventare giudicato, possono

tuttavia diventare res iudicata in quanto riferite a questioni direttamente processuali, come

può essere la decisione di rifiutare un’eccezione di incompetenza relativa richiesta secondo

giustizia dal demandato 128. Il collegamento fra le due prime fattispecie – almeno – che

giustificano la restitutio in integrum (cfr. can. 1645) e la motivazione è tanto evidente

come quello esistente tra le rationes decidendi e i nova et gravia probationes vel

argumenta che consentono la nova causae propositio (cfr. can. 1644) 129.

9. La funzione extraprocessuale della motivazione

La questione fondamentale sulla funzione extraprocessuale della motivazione,

riguardante la querela di nullità di cui al can. 1622, 2º, è la delimitazione del concetto di

128 Cfr. cann. 1460 § 2, 1641, 4º, 1645 § 2, 3º; coram Stankiewicz, 10 ottobre 1985, in Monitor

Ecclesiasticus, 111 (1986), pp. 297-303. Nei nn. 3-7 cita giurisprudenza della Rota sulla materia. Una

posizione diversa può trovarsi nella sentenza del Tribunale d’appello del Vicariato dell’Urbe, coram

Ochoa, 4 dicembre 1970 (cfr. Il Diritto Ecclesiastico, 81/2 (1970), pp. 4-29, in speciale pp. 21-22). Cfr. E.

BERNARDINI, Considerazioni in tema di competenza e “restitutio in integrum”, in Il Diritto Ecclesiastico,

81/2 (1970), pp. 4-28; C. DE DIEGO-LORA, Estudios de Derecho Procesal Canónico, vol. 2, Pamplona,

1973, pp. 261-264 e 282-344; ibidem, vol. 3, Pamplona, 1990, pp. 423-433; ibidem, vol. 4, Pamplona,

1990, pp. 27-28, 193-196, 220-222. Quando fu proposta la soppressione di questi rimedi dal futuro 1460 §

2, ed il ritorno alla stesura del can. 1610 § 2 del codice del 1917, la commissione codificatrice rispose:

“Suppressio nihil facit, quia remedia iuris non prohibentur etiam suppressa clausula, sicuti non

prohibebantur in iure Codicis, non obstante silentio can. 1610 § 2 CIC” (Communicationes, 16 [1984], p.

60).

129 La giurisprudenza rotale ha sviluppato il concetto delle prove atte a giustificare la nova causae

propositio: «Nova autem et gravia argumenta (...) iurisprudentia Nostri Fori late interpretari solet. Itaque

nomine argomentorum veniunt non solum probationes (...) quae sententiae vel decreti sunt extrinsecae (...),

sed etiam facta intrinseca sententiae vel decreti. In factorum autem numero haec generatim referuntur: (...)

gravis negligentia vel error sive in iure sive in facto impugnatae sententiae vel decreti (...), praesertim vero

perversio factorum “quae Judicum mentem in edenda sententia a veritate agnoscenda prorsus abduxerit”

(S.T. Sign. Apost., decis. d. 31 maii a. 1919; AAS, 11, 1919, p. 297). Quae facta necessario postulant

admissionem recursus tamquam “remedium erroribus, qui forte, esto sine dolo, in praeteritum irrepserunt”

(decis. coram Doheny, d. 20 maii a. 1957; vol. 49, p. 436, n. 2; decr. coram Agustoni, d. 9 februarii a.

1977, n. 5; decr. coram Palazzini, d. 21 iunii a. 1977, p. 4)» (coram Stankiewicz, decreto 16 maggio 1980,

in Il Diritto Ecclesiastico, 91/2 (1980), pp. 196-202, n. 7). «Attamen pari ratione constat actum igitur esse

de censuris demonstrantibus vel facta fuisse a suo sensu detorta vel acta non fuisse sufficienter perpensa.

(...) Illae proinde sistant oportet (...) in probando iudicum argumentationes nullomodo adhaerere actis

causae immo ab istis infici everti» (coram Ewers, Decano, decreto 23 maggio 1981, in Il Diritto

Ecclesiastico, 92/2 (1981), pp. 91-95, n. 6). Cfr. C. GULLO, La «nova causae propositio», cit., pp. 376-378.

Sulla funzione della motivazione per poter dichiarare la conformità aequipollenter di due sentenze

pro nullitate per capi diversi, cfr. J. LLOBELL, Note sulla congruenza e la conformità delle sentenze di

nullità del matrimonio, cit. e P. MONETA, La nuova trattazione della causa matrimoniale, cit. e la

giurisprudenza ivi segnalata.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 38

motivazione sufficiente. In effetti, solo delimitando il minimum di motivazione richiesta

dalla norma per considerare soddisfatta la sua funzione razionalizzante – livello

endoprocessuale –, potrà essere stabilito quando entrerà in funzione il meccanismo

protettore dell’istituzione – livello extraprocessuale –.

Il Graziani, contribuì significativamente allo studio della motivazione della sentenza

nel descrivere in un penetrante lavoro il concetto di motivazione insufficiente. A tale

scopo, utilizzava la categoria di punto decisivo, presa dalla scienza processuale italiana 130.

Tuttavia, il diritto canonico classico offriva una risposta, precedente di molti secoli questo

concetto coniato dai giuristi contemporanei, tramite gli istituti dell’error causalis e

dell’error expressus 131.

Tali categorie giuridiche classiche, da un lato, evidenziavano la prassi canonica della

motivazione della sentenza, unica sede materiale possibile di tali errores. Dall’altro,

offrivano una risposta valida per i nostri giorni in ordine alla configurazione della

motivazione sufficiente. Secondo un’impostazione tautologica, sarebbe “sufficiente” quella

motivazione che impedisce la dichiarazione di nullità della sentenza o decreto perché

adempie i minimi requisiti richiesti dal can. 1622, 2º. Inoltre, bisogna ammettere

l’esistenza di una tradizione assai uniforme ed antica che imposta la motivazione come un

obbligo piuttosto formale e retorico, di contenuto ristretto, impostazione che è stata

accettata da parte della dottrina 132, secondo la quale la motivazione non avrebbe alcun

ruolo per la configurazione della res iudicata 133; né per la conformità tra due sentenze,

perché solo sarebbe da prendere in considerazione la parte dispositiva 134; è ritenuta pure

130 Cfr. E. GRAZIANI, Difetto e insufficienza di motivazione, in Il Diritto Ecclesiastico, 71/2 (1960), pp.

329-341.

131 Cfr. J. LLOBELL, Historia de la motivación, cit., pp. 96-102. Il Concilio I di Lione, nello stesso brano

al quale appartiene il capitolo Quum medicinalis, e che nelle Decretali di Bonifacio VIII era trascritto dopo

questa decretale, era adoperato tale concetto collegato alla nullità della sentenza: “ intolerabilem errorem in

sententia fuisse patenter expressum” (Sollet a nonnullis, VIº 5, 11,2).

132 Cfr. R. LEGUERRIER, Défaut de motivation et nullité de la sentence, in Studia Canonica, 4 (1970),

pp. 209-224; J.J. GARCÍA FAILDE, Nuevo Derecho Procesal Canónico, Salamanca, 1984, pp. 214-215.

133 Cfr. coram Prior, 17 giugno 1920, in SRRD, n. 17/1920; coram Jullien, 30 maggio 1941, in SRRD,

n. 41/1941; coram Staffa, 17 giugno 1949, in SRRD, n. 51/1949; coram Raad, 9 febbraio 1978, in

Bollettino bis, n. 25/1978.

134 “Ut duae sententiae sint conformes sufficit ut eadem sit pars dispositiva. Non requiritur ut eadem

sint argumenta quibus pars dispositiva innititur” (coram Pasquazi, 17 marzo 1957, in SRRD, n. 51/1957, p.

202). Cfr. coram Parrillo, 11 agosto 1930, in SRRD, n. 52/1930.

Page 39: 022SENTI

LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 39

sufficiente la motivazione le cui ragioni siano state dimostrate false o incoerenti 135.

Comunque ci sono altre decisioni rotali che consentono di allargare il concetto di

motivazione sufficiente a quello da noi proposto 136.

Infatti, il contenuto di questa motivazione sufficiente disegnata dalla giurisprudenza

maggioritaria non coincide con quella configurata dal can. 1611, 3º. L’impostazione

meramente formale della motivazione non offre invero una risposta soddisfacente alla

questione dell’autonomia della querela di nullità di cui al can. 1622, 2º. Senza volerlo,

potrebbero essere messi i presupposti che consentirebbero di vanificare il precetto e il

ruolo intimo della motivazione 137. Sembra necessario perciò trovare un’impostazione che

consenta di distinguere la querela nullitatis – che la norma prevede sia richiesta allo stesso

giudice che ha emesso la sentenza (cfr. can. 1624) – dalla revisione del merito in sede di

appello – momento nel quale è consentito di proporre anche la querela nullitatis (cfr. can.

1625) –. Perciò, nel ricercare un criterio oggettivo che possa vincolare il giudice che deve

decidere la querela nullitatis per il motivo di cui al can. 1622, 2º, senza svuotare di fatto

questo caput nullitatis sententiae, il Graziani proponeva che la motivazione si evincesse

insufficiente sempre che avesse obliterato un punto decisivo; cioè quando non giustificasse

– implicitamente almeno – tutti gli aspetti oggetto della controversia. Vale a dire, quando

quel punto, considerato in astratto e senza esaminare l’interna giustizia del provvedimento

(funzione che riguarda l’appello), fosse rilevante per la decisione 138.

La tradizione “formalistica” della giurisprudenza rotale può essere riscontrata ancora

recentemente 139. La sentenza, infatti, è ritenuta nulla per difetto di motivazione soltanto

allorquando non offre alcuna giustificazione o quando ci troviamo di fronte alla cosiddetta

motivazione suicida 140. La Segnatura Apostolica adopera invece un concetto di

“motivazione sufficiente” notevolmente diverso dall’impostazione formale criticata 141.

135 Cfr. coram Pasquazi, 17 marzo 1957, cit.; coram Masala, 31 maggio 1969, in SRRD, n. 124/1969.

136 Cfr. coram Felici, 15 dicembre 1949, in SRRD, n. 87/1949; coram Felici, 5 agosto 1950, in SRRD,

n. 85/1950.

137 Cfr. E. GRAZIANI, op. cit., pp. 339-340.

138 Cfr. E. GRAZIANI, op. cit., pp. 335 e 339-340; M. TARUFFO, La motivazione della sentenza civile,

cit., pp. 450-453.

139 Cfr. coram Huot, 30 aprile 1987, in SRRD, n. 68/1987. In certo senso la sentenza distingue tra

motivazione coram partibus e coram proprio giudice, tuttavia senza farle coincidere.

140 Cfr. M. TARUFFO, La motivazione della sentenza civile, cit., p. 467.

141 Cfr., ad es., Decretum, 4 maggio 1974, in Periodica, 64 (1975), pp. 249-251; Decisio, 23 febbraio

1974, in Periodica, 64 (1975), pp. 222-233, in particolare, pp. 225-227 e 229-230.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 40

Giovanni Paolo II ha accennato alla prassi di alcuni tribunali locali che omettono ogni

motivazione, rendendo la sentenza una mera dichiarazione di volontà 142. Siffatta prassi non

soltanto costituisce una palese violazione del diritto di difesa ma fa smarrire l’intera

rationabilitas del sistema giudiziario canonico.

A partire da questo livello endoprocessuale, sarà “motivazione sufficiente” perché la

sentenza sia valida – livello extraprocessuale – solo quella motivazione coram partibus che

prende in considerazione, almeno implicitamente, ciascuno dei mezzi probatori apportati,

sempre che gli stessi possiedano un minimo di fumus boni iuris, cioè la capacità d’incidere

nella sentenza 143. Un tale obbligo è prescritto dalla legge per la prova periziale (cfr. can.

1579 § 2), perché l’ordinamento presume l’esistenza di quel fumus boni iuris, come

manifestazione di rispetto per gli esperti tecnici su una determinata materia oggetto della

dichiarazione periziale 144. Comunque il can. 1579 § 2 non introdurrebbe eccezione alcuna

alla legge (allora sarebbe sottoposto ad un’interpretazione ristretta a norma del can. 18),

ma piuttosto farebbe una esplicazione del contenuto generale delle rationes decidendi in

facto prescritte dal can. 1611, 3º: il giudice è obbligato a spiegare – motivare – perché e

come valuta le dichiarazioni dei periti. L’indicazione “iudex non peritorum tantum

conclusiones, etsi concordes, sed cetera quoque causae adiuncta attente perpendat” (can.

1579 § 1) è da inserire in un contesto nel quale il perpendat – motivazione coram proprio

iudice – è collegato direttamente con le rationes decidendi che costituiscono la

motivazione coram partibus, applicabile quindi ad ogni elemento del contraddittorio, non

soltanto alla prova periziale. Questa interpretazione larga della motivazione, che

consentirebbe di dichiarare “insufficiente” la motivazione che omettesse l’analisi, pur

succinta, di una prova qualificabile di “decisiva” senza dover giudicare il merito della

sentenza – funzione che non spetta alla querela di nullità, bensì all’appello o alla nova

142 Cfr. Discorso alla Rota Romana, 26 gennaio 1989, n. 7, in AAS, 81 (1989), pp. 922-927; F.

DANEELS, De iure defensionis. Brevis commentarius ad allocutionem Summi Pontificis diei 26 ianuarii

1989 ad Rotam Romanam, in Periodica, 79 (1990), pp. 258-260.

143 Una difficoltà pratica per l’uso della querela di nullità per motivazione insufficiente proviene dalla

natura sanabile della relativa nullità. Inoltre, spesso la parte ricorrente preferirà rivolgersi al tribunale di

appello affinché giudichi in seconda istanza o tramite la nova causae propositio, per non dover affidare la

causa al tribunale inferiore (competente se la sentenza fosse dichiarata nulla), situazione che il ricorrente

vuole normalmente evitare.

144 In ogni modo, GIOVANNI PAOLO II ha ricordato di recente che il rispetto verso il lavoro dei periti,

non implica che le loro relazioni “vengano acriticamente accettate dai giudici ecclesiastici” (Discorso alla

Rota Romana del 5 febbraio 1987, cit., n. 5).

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 41

causae propositio – ci sembra sia riscontrabile in qualche decisione rotale 145. Tale

impostazione della motivazione non implica tuttavia che il suo contenuto debba riferire

tutto quanto è stato detto dai giudici in sede di decisione, col rischio di violare l’obbligo

del segreto 146.

Le precedenti riflessioni corrispondono alla quaestio facti. Le ragioni della quaestio

iuris dovranno senz’altro seguire lo stesso criterio di congruenza della motivazione, senza

pretendere di realizzare studi esaurienti su argomenti collaterali e senza cercare di offrire

un’attualizzata informazione sullo status quaestionis nella giurisprudenza e nella dottrina.

Basterà indicare con precisione le norme applicate, le quali – spesso nelle cause

matrimoniali – avranno bisogno di essere integrate con la giurisprudenza rotale, nelle

circostanze e con le condizioni sopra accennate. Il principio di completezza della

motivazione non contrasta con le ovvie esigenze di brevità e di chiarezza del discorso del

giudice. Ne discende l’opportunità di abbandonare l’uso di motivazioni cariche di obiter

dicta e di divagazioni dottrinali, per adottare un modello di motivazione più semplice e

lineare. Il problema non è, però, di una riduzione quantitativa delle motivazioni, bensì di

una trasformazione qualitativa della struttura di essa, che può essere al contempo chiara e

sintetica, oltre che completa 147.

Per concludere queste riflessioni sulla funzione extraprocessuale della motivazione –

in particolare nelle cause di nullità del matrimonio – è opportuno accennare al precetto del

can. 1614 che introduce l’obbligo di indicare i mezzi per impugnare la sentenza. Il primo

progetto al riguardo prevedeva tale obbligo come § 5 dell’attuale can. 1612. La

Commissione codificatrice preferì invece stabilire questo nuovo requisito nel can. 1614 nel

quale è stata dichiarata la carenza di valore della parte dispositiva della decisione

giudiziaria fino a quando sia pubblicata insieme alla motivazione 148. Poi, nell’analisi

dell’attuale can. 1617, fu proposto da un consultore di includere detta prescrizione anche

per i decreti. La Commissione non lo accettò poiché considerò che le materie risolte

tramite i decreti “non pertinent ad partes substantiales processus” 149. La ratio di tale

esclusione porta, secondo una logica coerente, ad ammettere che il decretum ratihabitionis

dovrà indicare le possibili vie per impugnarlo; tale decreto non può essere assimilato

145 Cfr. coram Egan, 23 marzo 1974, in SRRD, n. 41/1974.

146 Cfr. sopra i cenni in occasione della nota 85; coram Pinto, 9 novembre 1984, in SRRD, n. 148/1984.

147 Cfr. M. TARUFFO, La motivazione della sentenza civile, cit., p. 452.

148 Cfr. Communicationes, 11 (1979), p. 142.

149 Cfr. Communicationes, 11 (1979), pp. 143-144.

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LA GENESI DELLA SENTENZA CANONICA 42

infatti a quelli altri riguardanti aspetti incidentali della vicenda giudiziaria. Il decretum

ratihabitionis è, natura sua, una seconda decisione conforme con la sentenza precedente;

perciò i mezzi atti ad impugnarlo sono soltanto la querela di nullità e la nova causae

propositio. In questo modo, il legislatore riconosce espressamente che la motivazione della

sentenza canonica possiede una funzione extraprocessuale che ridonda al servizio della sua

dimensione endoprocessuale, che peraltro è quella prioritaria, in quanto rivolta

direttamente a cercare l’adesione interna delle parti al provvedimento ecclesiale e a

consentire l’ulteriore giudizio del tribunale superiore sul merito, in sede di appello o di

nova causae propositio. Possiamo affermare, dunque, che la motivazione in senso stretto,

coram partibus, come quell’altra coram proprio iudice – che si identifica con il momento

decisionale nel seno dell’intimità del tribunale o della coscienza del giudice unico –

costituiscono due fondamentali momenti processuali nei quali il favor veritatis canonico –

nella sua dimensione più tecnica – sviluppa la sua funzione di diakonia in favore della

salus animarum.