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EDITORIA LI

L’Europa e l’ombrello nucleare

Quando il fisco estorce e punisce

I Padri Ricostituenti

Jacques Chirac è contento per avergettato le basi della “force de frap-” a uso delle nuove generazioni postlliste, e se n’è andato a Washingtonr trattare con Bill Clinton senza sco-odi complessi di inferiorità. Ora leuppe francesi, come osserva il Wa-ington Post, possono servire senzamplessi sotto bandiera e comandoato in Bosnia. Anche gli ecolo-pacifi-

di Greenpeace, dopo tante contesta-oni, applaudono la Francia per averedotto il programma nucleare inizial-ente previsto all’atollo di Mururoa er il sostegno al bando nucleare gene-le nel ‘96. I paesi della Estasia accol-no con benevolenza il beau geste di

arigi. L’Italia tira un sospiro di sollie-, perché finalmente è archiviato ilntenzioso sul voto contrario alle Na-oni Unite, un ostacolo formidabile, fi-

a ieri, nelle relazioni bilaterali fran--italiane.Tutti contenti. Ma la difesa europea?

e polemiche sulla decisione di Chirac

interrompere la moratoria nuclearecisa da François Mitterrand (nel ‘92 elo nel ‘92, bisogna ricordarlo) sembra-dare ragione agli euroscettici, che da

mpre dubitano della possibilità dimpiere un passo verso l’unione poli-

l ministro Augusto Fantozzi annunciache con il '95 finisce “l'emergenza fi-ale”, perché dai condoni si passerà aincordati. Sempre sulla base di red-ti presuntivi, si intimerà ai lavoratori

utonomi di versare altri due milionier evitare le visite del fisco dalle qua-

per la confusione in cui versa la le-slazione tributaria, si sa che neppuren Francesco uscirebbe indenne.Dov'è la differenza? Che questa vol-nel mirino ci sarebbe “soltanto” unrzo dei lavoratori autonomi, quellie in assenza di computer e commer-alisti non hanno adeguato le loro di-

iarazioni dei redditi ai soliti cervel-tici “parametri presuntivi”. Ma se l'e-ergenza è finita perché non si fa in-ce la riforma fiscale? Perché primasogna raggiungere “un assetto ragio-

evole delle entrate”, che il ministroon ci dice e forse non sa quale sia, eoi bisogna “ritarare” l'amministrazio-e su una eventuale riforma. Quantompo ci vuole? Non si sa, ma secondoantozzi l'amministrazione “a tutt'oggion ha ancora digerito la riforma del71”. Con ritmi di assimilazione cosìloci ci vorranno almeno altri venti-

Ai Padri Costituenti (Alcide De Ga-speri, Pietro Nenni, Palmiro To-

atti) che si apprestavano a ricostrui-l’Italia uscita a pezzi dalla secondaerra mondiale, erano chiare le possi-lità di azione: si doveva fare una Co-tuzione, lanciare un piano di lavori

ubblici, evitare esasperazioni nei con-tti sociali, pacificare il Paese supe-ndo i traumi della guerra civile. Laelta se imboccare una via socialista o

na via liberaldemocratica venne ri-andata.Anche a Silvio Berlusconi, a MassimoAlema e a Gianfranco Fini (i Padri Ri-stituenti) sono abbastanza chiari gliiettivi dell’oggi: dare un assetto mag-

oritario e federalista alle istituzioni,rantire il processo di unificazione eu-pea e, a questo fine, privatizzare il si-ema economico, finire la ridicola guer-civile sulla televisione e far qualcosar riportare nel suo ambito la magi-

ratura, nonostante l’attivismo del par-o dei giudici. Ugualmente chiaro è ciòe va rimandato: se lo sviluppo italia-debba essere guidato da una logica

berista o socialdemocratica.Quello che distingue i Costituenti dilora dai Ricostituenti di oggi è il co-ggio dei primi: questi entrarono senzaitazione nel governo di coalizione erantirono così, con la loro faccia, l’av-o del processo di fondazione della Re-

pubblica. Oggi i padri della Patria sonopiù pudichi. La ricetta di D’Alema, ac-cettata parzialmente da Berlusconi, diripetere più o meno il governo corpora-tivo di Lamberto Dini (alla Difesa un uo-mo dell’esercito, agli Interni l’ex Capodella polizia, all’Industria un uomo del-l’Enel, al Bilancio e alle Finanze dueuomini dell’Imi, agli Esteri la dinastiaFiat e così via), fa rimpiangere che Fininon si sia portato anche il segretario delPds a Fiuggi, per decorporativizzarlo al-meno un po’.

Fare un governo senza i partiti signi-fica fare un governo senza i partiti elet-ti dal popolo, ma con i partiti che ri-spondono alle grandi lobbies. Un con-sociativismo tra Imi e Mediobanca, duesplendide istituzioni italiane che do-vrebbero però essere sempre sottoposteal vaglio del libero mercato, è più dan-noso del consociativismo tra Dc e Pci.Non lo si può sottoporre neanche al vo-to. Il potere a Bankitalia, con un ma-nuale Cencelli ancora più scrupoloso diquello della Dc dei giorni d’oro (tantiposti ai ciampiani, ai diniani, ai fazisti)rappresenterebbe una tragicommediaper il Paese: la banca centrale è un for-midabile contropotere, ma come supre-mo regolatore della vita politico ed eco-nomica generale diventa una specie diPcus (il Partito Comunista dell’UnioneSovietica, quello di Breznev).

di fazioni ed ereditò da Azeglio Ciampi unistituto di emissione che presentava una si-tuazione contraddittoria. Per un verso Ban-ca d’Italia rimaneva una struttura di alto li-vello tecnico e professionale. Per altro ver-so Banca d’Italia era uscita segnata dalloscontro interno.

San Tommaso e Lord Keynes

Avendo alle spalle queste vicende burra-scose si può dire che Antonio Fazio sia riu-scito in questi anni a riconquistare un’ au-tonomia dell’istituto di emissione dalle va-rie forze politiche e anche a scegliere una li-nea di politica monetaria ed economicamolto precisa. Certamente Antonio Faziodal punto di vista culturale non è un “figliodi nessuno”: in molte delle sue riflessioni eanche in quella sorta di enciclica annualeche il Governatore della Banca d’Italia pro-nuncia in occasione dell’Assemblea dell’i-

stituto sono rinvenibili le tracce di un pen-siero cattolico insieme antico e modernoche si è “abbeverato” sia a san Tommaso siaa Lord Keynes. In ogni caso, oggi, in via Na-zionale c’è un Governatore realmente in-dipendente, che non è legato nè alla tradi-zionale cordata filopidiessina e scalfarianadell’Ufficio studi della Banca, nè all’an-dreottismo di Dini, nè a Mediobanca e allaFiat. L’attuale Governatore, naturalmente, ètutt’altro che infallibile e anzi qualche vol-ta ( come in occasione di un repentino au-mento del saggio di sconto di qualche tem-po fa ) può anche commettere quelli chemolti hanno giudicato gravi errori, ma restauno dei difensori più rigorosi dell’autono-mia dell’istituto che dirige.

Le banche al centro dell’economia

Certo un osservatore malizioso potrebbe no-tare che il difendere la propria autonomianon esime Fazio dal partecipare a quellasorte di partito di Banca d’Italia che uniscetutti i dirigenti usciti da via Nazionale aqualunque scuola economica appartengano:pronti a difendere una concezione dello svi-luppo economico centrata sulle banche, conscarsa attenzione a tutti gli altri soggetti chesul mercato gestiscono le risorse finanzia-

rie, contribuendo così a irrigidire un’econo-mia italiana già scarsamente flessibile.

Roma. Ancora oggi il Governatore dellaBanca d’Italia Antonio Fazio polemizza conil presidente Lamberto Dini, ormai dimis-sionario, e sostiene la necessità di una ma-novra aggiuntiva intorno ai 15 - 20 mila mi-liardi da realizzarsi nei primi mesi del1996. E’ un promemoria per Antonio Mac-canico. Con il governo Berlusconi Fazionon era stato più tenero e si era confronta-to su due questioni cruciali: la nomina deldirettore generale di Banca d’Italia e l’im-postazione della legge finanziaria. In en-trambe le occasioni Fazio non aveva ri-sparmiato né le critiche né la rigida difesadelle propria autonomia.

Questa posizione di autononomia netta emarcata, il Governatore ha continuato a te-nere nei confronti del governo Dini. Tutta lavita di questo governo è stata segnata da unapolemica talora esplicita, talora sotterranea,fra l’esecutivo e l’istituto di emissione.

La posizione sostenuta dalla Banca d’I-talia non è stata seccamente deflattiva emonetarista. L’istituto di emissione non haraccolto la richiesta della Confindustria diridurre subito il tasso di sconto. Così Fazioha spiegato la filosofia alla base delle suescelte: “Perché la discesa dei tassi di inte-resse continui con decisione è necessariomirare a condurre, con ampio margine disicurezza, il fabbisogno del Tesoro aldisot-to dell’annunciato limite di 110 mila mi-liardi... La politica monetaria rimane fermasull’obiettivo di portare l’inflazione al disotto del 4% nella media del 1996, mirandoad un’ ulteriore decelerazione negli annisuccessivi”.

In effetti Banca d’Italia ha una politicamonetaria e creditizia caratterizzata dauna calcolata “doppiezza”. Sul terreno deltasso di sconto, e conseguentemente di tut-ti i tassi pagati da imprese e privati, finoranon c’è stata nessuna riduzione. In sostan-za quando lo Stato e le banche sono credi-tori, i tassi rimangono elevati. Allorchè,però, lo Stato è debitore (e cioè quandoemette titoli di Stato) Banca d’Italia ridu-ce i tassi, sia quelli a breve che quelli a lun-go termine. Evidentemente questo è possi-bile perché i mercati finanziari riconosco-

no un miglioramento della situazione eco-nomica. Il che significa che esiste fin d’oralo spazio per una qualche riduzione del tas-so di sconto. Banca d’Italia ritiene, però,che sarebbe sbagliato abbassare la guardiain una situazione caratterizzata tuttora dal“combinato disposto” di un alto tasso di in-flazione accompagnato a pesante instabi-lità politica.

Rigoroso con sindacati e ConfindustriaAnche sul terreno dei rapporti con le for-

ze sociali, la posizione di Antonio Fazio ècaratterizzata da una sostanziale autono-mia. Non a caso Fazio ha ricordato allaConfindustria che fra le principali causedell’inflazione c’è proprio l’aumento ecces-sivo dei prezzi dei prodotti industriali. Peraltro verso, ai sindacati il Governatore haribadito che è indispensabile moderare lerichieste salariali: “Sarebbe un grave erro-re ricercare la correzione delle modifichenella distribuzione dei redditi degli ultimidue anni attraverso un’ accelerazione deiredditi di lavoro. Si riaccenderebbe l’infla-zione, si ridurrebbe la competitività, si fre-nerebbe ugualmente lo sviluppo produtti-vo”.

E’ con questi comportamenti che Fazio siè conquistata una fama di persona autono-ma e autorevole in un momento e in unPaese nei quali queste qualità non sono ri-conosciute più quasi a nessuno.

Antonio Fazio è diventato Governatoredella Banca d’Italia quando l’istituto diemissione era reduce da un’autentica di-sfatta avvenuta nel corso del 1992, duranteil governo Amato. Su ispirazione di TomasoPadoa Schioppa, il Governatore Azeglio

 ANNO I NUMERO 6 - PAG 3 IL FOGLIO QUOTIDIANO MARTEDÌ 6 FEBBRAIO 1996

Come Fazio ha difeso il potere di BankitaliaU NA GUIDA AUTOREVOLE, UNA LITURGIA DA I NIZIATI, UN PARTITO TRASVERSALE, UNA CULTURA, UNO STILE

d’Italia bruciò quasi tutte le sue riserve e ,malgrado ciò, la lira andò incontro ad unaforte svalutazione.

La vicenda indebolì in modo decisivo lacandidatura di Padoa Schioppa che venivaconsiderato, e soprattutto si considerava,come il naturale delfino di Azeglio Ciampi.

Padoa Schioppa, oltre che essere ritenu-to uno dei cervelli più fini dell’istituto divia Nazionale, era diventato ( fin dai tempiin cui Luciano Barca era uno dei massimiconsiglieri di Enrico Berlinguer) un inter-

locutore privilegiato del Pci. Tramite LuigiSpaventa il rapporto del Pci con Padoa

te di Banca d’Italia. Il candidato a Governa-tore di questi ambienti era proprio PadoaSchioppa. L’operazione aveva il sostegnodel Governatore uscente, Azeglio Ciampi,che era diventato nel frattempo Presidentedel Consiglio. La vittima designata era l’al-lora direttore generale di Banca d’ItaliaLamberto Dini. Senonché, grazie anche aglieffetti della sconfitta sulla lira, l’operazioneriuscì solo in parte: fu bloccata la promo-zione dell’ “odiato” Dini, che rimase diret-tore generale, ma non passò Padoa Schiop-

pa come Governatore.Antonio Fazio emerse da questo scontro

Il nuovo Governatore è stato scelto dopo la Caporetto della lira ed èriuscito ad affermarsi sopra le fazioni che per un lungo periodo hannosegnato la vita dell’istituto di via Nazionale. Le polemiche con il governoBerlusconi, quelle con il governo Dini. Ora è la volta di Maccanico

Ciampi aveva impegnato l’istituto di emis-sione su una linea monetaria molto rigidafondata sul mantenimento dei livelli dicambio allora esistenti. La scelta della di-fesa della lira veniva considerata come unasorta di linea del Piave. Purtroppo non sitrattava del Piave, ma di Caporetto. Banca

Schioppa, con Pierluigi Ciocca, con lo stes-so Ciampi era diventato molto forte.

Ciampi voleva Padoa Schioppa

E il Pds, sponsor tra gli altri Vincenzo Vi-sco, Alfredo Reichlin, Filippo Cavazzuti,ereditò il vecchio rapporto con quella par-

Che cosa spinge Romano Prodi a con-sultare un monaco ultraottantenne? E checosa muove questo monaco a definire Ber-lusconi, D’Alema e Fini: “maschere tragi-che”? Giuseppe Dossetti è un vinto dellapolitica, un dottrinario animato dagliideali evangelici, che nel 1951, ha abban-donato il partito per ritirarsi in convento.Resistente, fondatore della Dc, protagoni-sta dei lavori della Costituente, avversariodi De Gasperi, è il testimone vivente di unproblema storico che è in primo luogo undilemma filosofico: instaurare una demo-crazia economica, sociale e politica ispi-rata ai principi cristiani.

Problema storico, perché nell'Italia deldopoguerra la democrazia repubblicanadoveva, secondo Dossetti, sostituire l'uni-versalità della nazione, travolta nel crollodel fascismo, con una universalità più im-pellente, quella di un cristianesimo, con-correnziale e superiore al comunismouscito vincitore dalla guerra. Dilemma fi-losofico, quello che si interroga sulle com-patibilità possibili fra la visione relativi-sta della democrazia laica e i valori rive-lati della tradizione cattolica.

La politica di Dossetti s’ispira al perso-nalismo di Emmanuel Mounier e dei cat-tolici della rivista francese Esprit, autorinegli anni 30 di una critica in chiave cri-stiana e anticapitalistica del liberalismoborghese; incentrata sulla commistione disolidarismo sociale, attenzione alla comu-

nità e rigenerazione morale: nessuna de-mocrazia politica è infatti possibile, senon diviene anche una democrazia so-stanziale. Il riformismo di Dossetti deglianni postbellici ha propositi molto alti:“La politica della Dc”, da un articolo del1946, riportato negli Scritti, “non deve es-sere una politica di abilità o di compro-messi, ma una politica di convinzioni, per-seguite pur nella necessaria elasticità tat-tica, con la più intransigente fermezza ecol metodo più rigoroso. II partito cattoli-co è una forza che deve operare come unatotalità di aspirazioni e di iniziative, ca-paci d'investire tutto l'uomo in ogni suaconnessione sociale “. Volontarismo, pri-mato delle riforme (contro il tatticismo ela pedagogia dei fatti di De Gasperi), perDossetti si tratta innanzitutto ricostituireun autentico mondo di fini, capace di ar-ginare l’individualismo liberale dilagantenell'Italia postbellica. La divergenza con

De Gasperi è nettissima, nutrita da unaopposta interpretazione del ruolo dellaDC all'interno della società nazionale, masoprattutto di una concezione antiteticadei rapporti fra partito, istituzioni, gover-no del paese: liberaldemocratica e rispet-tosa delle autonomie nel leader trentino,tendenzialmente integralista o quantome-no organicistica in Dossetti. De Gasperiinoltre rappresenta troppo l’idea che fral’Italia nuova e quella prefascista, non cidebba essere la rottura che lui invece au-spica. Siamo insomma agli antipodi. NegliScritti ritroviamo elaborate le linee por-tanti di gran parte delle successive posi-zioni della sinistra democristiana. Manon c’è solo questo. Fra le pagine dell’an-ziano prete, si può cogliere anche, l’anti-cipazioni di certe suggestioni, avanzate direcente dalla sinistra cattolica più impe-gnata nelle situazioni di frontiera. Atten-zione però. Chi s’aspetta di trovare negli“Scritti” dossettiani un che di pretesco ouno stile da omelia resterà deluso.

Stupisce infatti nell'analisi di questospecialista del diritto ecclesiastico, chia-mato “da un caso fortuito” alla militanza,la destrezza con cui passa indifferente-mente dalla politica contingente allegrandi tematiche dello stato moderno, dalliberalismo al totalitarismo. Abilità ideo-logica a parte, resta in sospeso il quesitoiniziale: che cosa spinge Romano Prodi aconsultare questo monaco?

LIBRI

Giuseppe Dossetti

SCRITTI POLITICI

448 pp. Marietti, Lire 37.000

cinque anni. Sulla base dell'aurea mas-sima fantozziana secondo cui “ chi pa-ga di meno evade di più”, le attenzionidel fisco vanno ai lavoratori autonomia reddito più basso, quelli che hannomeno possibilità di usufruire di servizifiscali professionali e che quindi sonopiù indifesi dalle insondabili comples-sità tributarie.

I contribuenti vantano un creditoverso il fisco, almeno un credito di sem-plificazione e di rispetto: alcune cate-gorie come quelle artigiane hanno vistoin pochi anni moltiplicarsi le richiestefiscali e contributive. Secondo le loro

organizzazioni, un quinto delle aziendeindividuali saranno espulse dal merca-to per l'accanimento fiscale, trasfor-mando in disoccupati altri trecentomi-la lavoratori. Anche Fantozzi affermache “l'occupazione ha bisogno di menotasse”, ma intanto minaccia i lavoratoriautonomi di accertamenti mirati se nonsborseranno le cifre del concordato. Unfisco che agisce in questo modo sembraun racket: non c'è da meravigliarsi se icontribuenti si sentono vittime di un'e-storsione contro la quale serpeggia latentazione della rivolta fiscale.

tica europea. Non c’è unione politicasenza una politica estera e di difesa co-muni, politiche la cui mancanza è statacosì clamorosamente avvertita e de-nunciata di fronte alla tragedia bosnia-ca. Difesa europea vuol dire anche di-fesa convenzionale, ed esiste un piccolonucleo di difesa franco-tedesco a cui l’I-talia ha chiesto di aderire; ma è decisi-vo l’ombrello nucleare sul continente,tanto più importante in vista del disim-pegno americano, considerato ormaiinevitabile, e in considerazione dellosplendido isolamento degli inglesi, peri quali è sempre l’Europa che si isoladalla Gran Bretagna e non viceversa.

Ecco tema per la presidenza italianadell’Unione europea e per il futuro ti-tolare degli esteri. Nessuno osa porre ilproblema dell’integrazione europeadell’unica forza nucleare disponibile,quella francese. E certo non si fannopassi avanti con gli isterismi di unaparte del movimento ambientalista,che ha dimenticato gli esperimenti nu-

cleari diffusi in giro per il mondo e hascoperto il fungo nell’atollo contrent’anni di ritardo, o le chiusure dapiccola grande potenza del presidentefrancese, che ama evidentemente gio-care da solo.