00470238215701 cap 17# -...

34
Welfare state di Kees van Kersbergen e Philip Manow Contenuti del capitolo 1 Introduzione 2 Che cos’è il welfare state? 3 La nascita del welfare state 4 L’espansione del welfare state 5 Variazioni tra i sistemi di welfare sviluppati 6 Gli effetti del welfare state 7 Le sfide e le dinamiche dei welfare state contemporanei 8 Conclusione Guida per il lettore Il sistema di welfare (di seguito welfare state) è importante per la nostra com- prensione della politica democratica nelle società moderne, esattamente come conoscere la politica moderna è cruciale per comprendere le cause, le fonti di variazione e le conseguenze degli interventi sociali dello stato nei mercati e nelle famiglie. Il capitolo si focalizza sui temi cruciali, quali la nascita, l’espansione, la variazione e la trasformazione del welfare state; quindi spiega che studiare il welfare state significa necessariamente entrare nel dibattito su alcune delle que- stioni più importanti e ricorrenti della scienza politica comparata e della econo- mia politica.

Transcript of 00470238215701 cap 17# -...

Page 1: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare statedi Kees van Kersbergen e Philip Manow

Contenuti del capitolo1  Introduzione2  Che cos’è il welfare state?3  La nascita del welfare state4  L’espansione del welfare state5  Variazioni tra i sistemi di welfare sviluppati6  Gli effetti del welfare state7  Le sfide e le dinamiche dei welfare state contemporanei8  Conclusione

Guida per il lettore

Il sistema di welfare (di seguito welfare state) è importante per la nostra com-prensione della politica democratica nelle società moderne, esattamente come conoscere la politica moderna è cruciale per comprendere le cause, le fonti di variazione e le conseguenze degli interventi sociali dello stato nei mercati e nelle famiglie. Il capitolo si focalizza sui temi cruciali, quali la nascita, l’espansione, la variazione e la trasformazione del welfare state; quindi spiega che studiare il welfare state significa necessariamente entrare nel dibattito su alcune delle que-stioni più importanti e ricorrenti della scienza politica comparata e della econo-mia politica.

Page 2: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica2

1 Introduzione

Perché il welfare state è interessante per la scienza politica comparata? Perché rappresenta la trasformazione singola più importante delle democrazie capitali-ste avanzate nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Capire il wel-fare state è cruciale per capire la politica moderna, esattamente come compren-dere la politica moderna è cruciale se si vogliono comprendere le cause della formazione e dello sviluppo del welfare state, così come i suoi diversi effetti so-ciali ed economici. Inoltre, studiare il welfare state ci mette a confronto con alcu-ne delle questioni più importanti e durature della scienza politica.

Attraverso differenti prospettive normative, l’economia politica classica (John Stuart Mill e Karl Marx) era convinta che capitalismo e democrazia fossero in-compatibili. Tuttavia, i sistemi statali di welfare dell’Occidente dimostrano che capitalismo e democrazia in realtà possono funzionare assieme, anche con con-seguenze positive per entrambi. Un’alta spesa sociale non necessariamente ha effetti dannosi sulla competitività economica, come dimostra la combinazione di un welfare state generoso e un’economia di mercato competitiva in un paese come la Svezia. La «lotta di classe democratica» (si veda Lipset 1960: 220; Korpi 1983) consente un benefico compromesso di classe e il welfare state sembra es-serne la realizzazione più importante.

La scienza politica ha studiato le origini, la crescita e le crisi del welfare state, testando varie teorie della mobilitazione politica e dello sviluppo. Chi e che cosa erano centrali in questo processo: le classi sociali, il movimento dei lavoratori, le eredità storiche delle strutture statali, le guerre, lo sviluppo economico, le pres-sioni demografiche, gli interessi dei datori di lavoro? Le diverse strutture politi-che, gli attori e le lotte sono responsabili per le differenze nella dimensione, nel tipo e nella qualità dei welfare state? Gli scienziati politici hanno anche studiato l’impatto del welfare state (le sue prestazioni) per vedere in quale misura la po-litica conti per la società e l’economia. La politica (ad esempio, la forza dei mo-vimenti e dei partiti politici oppure la composizione dei governi) conta per il ti-po di politiche sociali ed economiche (output) realizzate in un paese? E queste politiche influenzano le variabili sociali ed economiche (esiti) come lo sviluppo economico, la disoccupazione, la disuguaglianza e la povertà?

Infine, vi è anche un interesse pratico nello studio del welfare state. Molte persone prestano attenzione se vivono in una società in cui il rapporto tra il de-cile del reddito più alto e di quello più basso sia attorno al 5,7 (Stato Uniti) op-pure attorno al 2,5 (Germania) (Smeeding e Gottschalk 1999). Inoltre, molte persone prestano attenzione se vivono in una società in cui la tassazione e i tra-sferimenti del welfare state riducono la povertà del 13 (Stati Uniti) o dell’82 per cento (Svezia; si veda Iversen 2006). Lo studio del welfare state affronta questio-ni fondamentali di giustizia sociale, nozioni basilari di una buona società e livelli non tollerabili di disuguaglianza ed esclusione sociale. Ciò presenta anche un 

Page 3: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 3

lato tecnico: dati gli obiettivi politici certi (come il pieno impiego), ci piacerebbe sapere come raggiungere al meglio questo obiettivo. Accurati studi comparati circa il funzionamento dei programmi di protezione sociali ci forniscono questo sapere pratico sul «come fare per».

PUNTI CHIAVE

• Ilwelfarestateèilprodottodell’interazionetrauguaglianzapolitica(democrazia)edi-suguaglianzaeconomica(capitalismo).

• Ilwelfarestaterappresentaunatrasformazionefondamentaledelledemocraziecapi-talisteavanzatenelperiodosuccessivoal1945.

• Lascienzapoliticatentadispiegarel’emergere,losviluppoeleconseguenzedeiwel-farestate,maaffrontaanchetemifondamentalidigiustiziasocialeebuonasocietà.

2 Che cos’è il welfare state?

Che cosa si intende quando si parla di welfare state? Harold L. Wilensky descri-veva «l’essenza del welfare state» come «gli standard minimi, tutelati dal gover-no, di reddito, nutrimento, salute, abitazione e istruzione, assicurati a ogni citta-dino come diritto politico e non come carità» (Wilensky 1975: 1). Qui il sistema di welfare è prima di tutto uno stato democratico che, in aggiunta ai diritti civili e politici (si vedano Marshall 1950 e il Box 1), garantisce la protezione sociale come un diritto collegato alla cittadinanza. La maggior parte degli scienziati politici tende a pensare secondo le linee stato-centriche patrocinate da Wilen-sky e concorda che le politiche sociali debbano essere viste come «linee di azio-ne statale per ridurre l’insicurezza sul reddito e fornire standard minimi di red-dito e servizi e, pertanto, in grado di ridurre le disuguaglianze» (Amenta 2003: 92). Gli stati-nazione che dedicano «la maggior parte dei propri sforzi burocra-tici e fiscali in queste direzioni erano e sono considerati come “welfare state”» (Amenta 2003: 92).

Il vantaggio delle definizioni stato-centriche è di essere nette e di fornire operazionalizzazioni lineari per la ricerca empirica: il welfare state, il suo svi-luppo e la sua espansione sono misurati in termini di spesa pubblica sociale, espressa come percentuale del totale della spesa dello stato o del prodotto in-terno lordo (PIL). Tuttavia, vi sono molti inconvenienti in questo approccio. Un’attenzione esclusiva sulla politica sociale tende a trascurare il fatto che lo stato sia un’istituzione importante, ma non l’unica, che fornisce servizi di welfa-re. Inoltre, non è semplice tracciare una linea chiara tra politiche sociali e altre politiche che promuovono il welfare. Infine, non tutte le politiche sociali pro-muovono realmente il welfare, anche se questa potrebbe essere la loro inten-zione (Hill 2006: Capitolo 1).

Gøsta Esping-Andersen (1990) ha criticato l’attenzione esclusiva sulla spesa 

Page 4: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica4

sociale pubblica e dello stato, sostenendo che il welfare state «non può essere compreso solo in termini di diritti che garantisce» e dell’ammontare di denaro che spende. È difficile concepire che «nessuno abbia combattuto per la spesa in sé». Quel che si ha bisogno di conoscere è invece per quale obiettivo è impiega-to il denaro. Inoltre, dobbiamo evitare di studiare l’attività del welfare state se-paratamente perché «dobbiamo anche prendere in esame in che modo le attivi-tà dello stato siano intrecciate con il ruolo del mercato e della famiglia nella previdenza sociale» (Esping-Andersen 1990: 21). È la specifica miscela istitu-zionale tra mercato, stato e famiglia che caratterizza come una nazione fornisce lavoro e welfare ai suoi cittadini, e varie nazioni lo fanno in modalità molto differenti. La questione di quanto spenda uno stato (costo del welfare) è molto meno rilevante delle questioni che chiedono (1) su cosa lo stato spende le pro-prie risorse pubbliche, (2) come influenza la distribuzione delle risorse e delle possibilità di vita in modi diversi dalla spesa (ad esempio, tramite le spese fisca-li; attraverso il welfare state «nascosto» – Howard 1993; Hacker 2002) e (3) quali altre istituzioni sociali svolgono un ruolo nella previdenza sociale.

Come hanno sostenuto Fritz Scharpf e Vivien Schimdt (2000: 7), tutti i welfa-re state

… forniscono l’istruzione primaria e secondaria gratuita e tutti forniscono assistenza sociale per evitare la povertà estrema. Al di là di questo, i modelli dell’«età dell’oro» differiscono fondamentalmente l’uno dall’altro lungo due dimensioni: quanto gli obiettivi di welfare sono perseguiti attraverso la regolamentazione dei mercati del lavoro e dei rapporti di lavoro oppure attraverso il «welfare state formale» o i trasfe-rimenti e i servizi finanziati pubblicamente, e quanto ci si attende che i servizi «di cura» siano forniti in modo informale nella famiglia o attraverso servizi professionali.

Il mercato, lo stato e la famiglia possono tutti essere i principali fornitori di wel-fare (Esping-Andersen 1990, 1999, 2002). L’interazione specifica tra queste isti-tuzioni nella fornitura di lavoro e welfare è chiamata «regime di welfare». Si tratta di un sistema complesso di gestione dei rischi sociali, dove ciascuna istitu-zione rappresenta un principio radicalmente differente nel farlo: «All’interno della famiglia, il metodo dominante di allocazione, presumibilmente, è quello della reciprocità […] I mercati sono governati dalla distribuzione tramite il lega-me del contante e il principio dominante di allocazione nello stato prende la forma della ridistribuzione potestativa» (Esping-Andersen 1999: 35-6). Ciò che fa un’istituzione influenza ciò che possono, vogliono o dovranno fare le altre. Esping-Andersen fornisce un succinto esempio:

… una famiglia tradizionale con l’uomo lavoratore avrà meno richieste di servizi so-ciali pubblici o privati rispetto a un nucleo familiare con entrambi i coniugi lavoratori. Tuttavia, quando le famiglie forniscono servizi a se stesse, il mercato ne è direttamente influenzato perché vi sarà meno offerta di lavoro e minori sbocchi per i servizi. A sua volta, se lo stato fornisce asili nido più economici, sia le famiglie sia il mercato cambie-

Page 5: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 5

ranno: vi saranno meno casalinghe, più partecipazione della forza lavoro e un nuovo moltiplicatore delle domande causate dalla maggiore propensione dei nuclei familiari a doppio reddito nell’acquistare servizi (1999: 36).

Certi rischi della vita diventano potenzialmente rischi sociali e soggetti alle lotte politiche (1) perché sono condivise da molte persone e, pertanto, influenzano il welfare della società nel suo complesso (ad esempio, una perdita di reddito do-vuta a disabilità e/o vecchiaia), (2) perché sono interpretati come una minaccia per alcuni strati della società (ad esempio, la povertà che causa la protesta e le rivolte contro l’élite al governo) e (3) perché i rischi sono al di là del controllo di ogni individuo (ad esempio, la disoccupazione in una società di mercato). Que-ste sono condizioni specifiche per cui i rischi divengono rischi sociali; il perché e il come ciò accada è stato il tema di decenni di ricerca.

PUNTI CHIAVE

• Iwelfarestatefornisconoaicittadinil’istruzionegratuitaeliproteggonocontrol’estre-mapovertà.Aldilàdiquestaprotezionesocialeminima,iwelfarestatedifferisconori-guardoallagenerositàeallaportatadellaprotezionesocialecontroirischidimalattia,invalidità,disoccupazioneevecchiaia.

• Lostatononèlasolaistituzionechefornisceservizidiwelfare.• Ilmercato,lostatoelafamigliasiinfluenzanol’unl’altrorispettoaquantoassumono

dellafunzionedifornirelavoroewelfare.Essiformanounregimediwelfare,ilqualeèunsistemacomplessoperlagestionedeirischisociali.

Box 1 – I tre elementi della cittadinanza secondo Marshall

Propongodidividerelacittadinanzaintreparti.Questetreparti,oelementi,lechiameròpartecivile,politicaesociale.L’elementocivileècompostodeidirittinecessariallalibertàindividuale:libertàdellapersona,libertàdiparola,pensieroefede,ildirittoallaproprietàeaconcluderecontrattivalidi,eildirittoallagiustizia.[…]Conl’elementopoliticomiriferiscoaldirittodipartecipareall’eserciziodelpoterepoliticocomemembrodiunorganismoinvestitodell’autoritàpolitica,oppurecomeunelettoredeimembriditaleorganismo.[…]Conl’elementosocialeintendol’insiemecompleto,daldirittoaunminimodibenessereeconomicoedisicurezzaaldirittoallacondivisionefinofondodelpatrimoniosocialeeaviverelavitadiessereumanocivilesecondoglistandardprevalentiinunasocietà.Èpossibileassegnare,senzaesercitaretroppaviolenzaall’accuratezzastorica,ilperiodoformativonellavitadiciascunodeglielementiaunsecolodifferente:idiritticivilialXVIIIsecolo,idirittipoliticialXIXeidirittisocialialXX.

(Marshall1965:78e81)

Page 6: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica6

3 La nascita del welfare state

Che cosa guida la nascita e lo sviluppo del welfare state? Possono essere identi-ficate tre prospettive teoriche: (1) un approccio funzionalista, (2) una spiegazio-ne con la mobilitazione di classe e (3) una letteratura che evidenzia l’impatto delle istituzioni dello stato e l’autonomia relativa delle élite burocratiche.

3.1 Approccio funzionalista

«Il welfare state è una risposta ai problemi creati dall’industrializzazione capita-lista»: la teoria funzionalista vede il welfare state come una risposta dello stato ai crescenti bisogni dei suoi cittadini. Questi bisogni emergono con la scomparsa dei tradizionali mezzi di sussistenza e dei tradizionali legami di mutua assistenza (in famiglia, attraverso le gilde o la carità) e con l’espansione dei rischi della moderna società industriale: infortuni sul lavoro, disoccupazione ciclica, incapa-cità di guadagnarsi da vivere a causa di malattia o vecchiaia.

In una società che si modernizza rapidamente, le domande di protezione contro i nuovi rischi divengono pressanti. Nel soddisfare tali richieste, la porta-ta dell’intervento dello stato aumenta notevolmente e la natura dello stato vie-ne trasformata. Secondo Peter Flora e Arnold Heidenheimer (1981: 23):

Con la trasformazione strutturale dello stato cambiano anche la base della sua legitti-mità e le sue funzioni. Gli obiettivi della forza o della sicurezza esterne, della libertà economica interna e l’eguaglianza di fronte alla legge sono sempre più sostituiti da una nuova ragione d’essere: la fornitura di servizi sociali garantiti e il trasferimento di denaro secondo una modalità standardizzata e di routine che non sia limitata all’assi-stenza dell’emergenza (Flora e Heidenheimer 1981: 23).

La maggiore richiesta di sicurezza socio-economica proviene da un sistema di capitalismo industriale che sposta masse di persone e li rende dipendenti dai capricci del mercato del lavoro, distruggendo così le tradizionali forme di prote-zione sociale. L’industrializzazione ha comportato rapidi cambiamenti nelle con-dizioni di lavoro, l’emergere di un libero contratto di lavoro e la perdita della sicurezza del reddito. Gli sviluppi del welfare state sono relativi ai problemi del disordine sociale e alla disintegrazione causata dallo sviluppo industriale capita-lista (Flora e Alber 1981: 38). La modernizzazione è stata vista come causa della disintegrazione sociale. Il welfare state è intervenuto per risolvere i problemi dell’integrazione sociale.

Questa teoria si attendeva la convergenza delle politiche: nazioni differenti che avrebbero adottato politiche sociali ed economiche simili. Se i welfare state differivano riguardo alla copertura che forniscono e ai benefici che garantisco-no, le cause della variazione erano considerate «cronologiche», ossia spiegate da un differente tempismo nell’industrializzazione e nella modernizzazione nei vari paesi. Queste differenze dovrebbero scomparire nel lungo periodo.

Page 7: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 7

3.2 Mobilitazione di classe

«Lo sviluppo del welfare state fu guidato dalla lotta di classe democratica»: la mobilitazione di classe e le teorie dei gruppi di interesse evidenziarono che gli attori politici collettivi, come i movimenti laburisti, i gruppi di interesse speciali e i partiti politici richiedono e combattono per ottenere politiche sociali nell’in-teresse della loro clientela. Il welfare state viene quindi visto come l’esito di una lotta tra classi sociali e le loro organizzazioni politiche, ciascuna con la propria base di potere.

In un’economia di mercato in cui il reddito deriva dalla vendita della propria forza lavoro, siccome niente impedisce al lavoro di essere «commerciabile» esso diventa una minaccia esistenziale per il lavoratore: disoccupazione, malattia, invali-dità dovuta a incidenti o vecchiaia ecc. Il mercato non poteva né far fronte diretta-mente a questo nuovo tipo di rischi sociali (ad esempio, attraverso assicurazioni private), né fornire i beni collettivi necessari a risolvere questi problemi. Pertanto, se molti dei nuovi rischi derivavano dal trattare il lavoro come una merce, il compi-to principale del welfare state sembrava collocarsi nella demercificazione del lavo-ro, ossia nel garantire il sollievo temporaneo del lavoro dalla pressione derivante dal vendere se stesso sul mercato del lavoro. Un tale effetto della demercificazione, grazie all’intervento del welfare state, è nell’interesse stesso dei lavoratori, pertanto sembra lineare identificare il movimento laburista come la principale forza politica trainante dietro la formazione e lo sviluppo del welfare state.

Questi approcci non evidenziavano la convergenza, bensì la variazione tra i welfare state: più potente era il movimento laburista, più il welfare state tendeva a essere elaborato. Le cause per la variazione sono «sincroniche», ossia ci si at-tende che persistano nel lungo termine, o almeno tanto a lungo quanto persisto-no i differenziali di forza.

3.3 Istituzioni statali e burocrazia

Il welfare state ha seguito le orme dello stato-nazione»: le teorie istituzionaliste alla fine puntano a quelle norme e regolamentazioni del policy-making (demo-cratico) e delle strutture dello stato che operano in relativa autonomia dalle 

Box 2 – La comparsa del welfare state

Ilwelfarestatemodernoèun’invenzioneeuropea,allostessomododellostato-nazione,dellademocraziadimassaedelcapitalismoindustriale.Essonacqueinrispostaaipro-blemicreatidall’industrializzazionecapitalista,fuguidatodallalottadiclassedemocrati-caeseguìleormedellostato-nazione.

(Flora1986:xii)

Page 8: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica8

pressioni sociali e politiche in quanto determinanti principali all’emergere e allo sviluppo del welfare state.

L’approccio evidenziava l’aspetto della «costruzione dello stato» nei welfare state (Skocpol 1985, 1992; Skocpol e Orloff 1986). Quando per la prima volta i paesi dovettero fronteggiare i problemi sociali generati dalle moderne società industriali, acquisì importanza se la loro élite burocratica fosse relativamente autonoma, come in Giappone (Garon 1987) o in Svezia (Heclo 1975), o se la mancanza di autonomia burocratica portasse alla «politicizzazione» nella for-mazione dei primi welfare state e al clientelismo del welfare. Ad esempio, la se-vera critica che il movimento progressista statunitense avanzò contro il clienteli-smo politico nelle pensioni dei veterani a lungo delegittimati e la tardiva prote-zione sociale statale negli Stati Uniti (Skocpol 1992). Questo esemplifica l’im-portanza della sequenzialità storica. Che cosa è arrivato per primo: la formazio-ne di una burocrazia weberiana o di una democrazia di massa (Kamens 1986)? Se ci si concentra su come lo stato si sia fatto carico della responsabilità per i suoi cittadini, è più semplice riconoscere che i primi programmi di welfare state non erano sempre esclusivamente diretti ai lavoratori, ma spesso verso altre ca-tegorie sociali i cui rischi non coincidevano con la classe sociale – come i soldati o le madri (Skocpol 1992; si veda anche Pedersen 1990, 1993).

La letteratura ha fatto propri i contributi precedenti ignorando in gran parte il fatto che, per essere demercificati, bisogna prima essere mercificati (Pedersen 1990; Lewis 1992; Orloff 1993; Sainsbury 1994, 1996; O’Connor et al. 1999; Mor-gan 2002, 2003, 2006). La demercificazione in quanto concetto analitico ignorava il fatto che molte donne rimanessero in primo luogo escluse dal mercato del la-voro. A dispetto della rivendicazione secondo cui la produzione di welfare deb-ba essere analizzata nel contesto della triade stato, mercato e famiglia (Esping-Andersen 1990), la famiglia ha di fatto occupato un ruolo minore nelle analisi successive. È stata la critica femminista verso le letteratura sulla mobilitazione di classe che ha introdotto concetti quali «de-familizzazione» che discuteva co-me e in quale misura la previdenza statale di welfare potesse sostituire quei ser-vizi sociali tradizionalmente forniti dalla famiglia (Esping-Andersen 1999).

Le intuizioni della scuola istituzionalista corrispondono bene alle prime os-servazioni della letteratura della modernizzazione, ossia che in realtà spesso so-no stati i paesi meno democratici, dove il suffragio non era ancora esteso, i pio-nieri nella costruzione del welfare state. Inoltre, non sempre i paesi più avanzati economicamente erano alla guida nell’introduzione di programmi pubblici di protezione sociale. Sono, piuttosto, le prime strategie preventive da parte delle élite dello stato che anticipano le agitazioni dei lavoratori a spiegare gran parte del ruolo pionieristico di nazioni non ancora pienamente democratiche ed eco-nomicamente meno avanzate come la Germania e l’Austria alla fine del XIX secolo. Qui i diritti sociali non erano garantiti da estesi diritti politici e di parte-cipazione dei lavoratori, ma erano una sorta di compensazione per la mancanza di tali diritti (Flora e Alber 1981; Alber 1982).

Page 9: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 9

L’approccio delle risorse di potere e la letteratura istituzionalista reagirono al fatto che il legame causale tra industrializzazione (o, più in generale, moderniz-zazione) e sviluppo del welfare state non fosse sempre elaborato correttamente dal punto di vista teorico e non frequentemente confermato dal punto di vista empirico (si vedano Cutright 1965; Wilensky e Lebeaux 1965; Pryor 1968; Rim-linger 1971; Kerr et al. 1973; Jackman 1975; Wilensky 1975). Per dimostrare la grande varietà esistente tra i welfare state occidentali, la Figura 1 colloca i paesi in due dimensioni: in base al momento cronologico in cui tali paesi hanno intro-dotto il primo programma fondamentale di assicurazione sociale e in base al momento economico, ossia secondo il livello di sviluppo e prosperità economica, in cui tali paesi hanno introdotto questo programma.

Come mostra la Figura 1, non c’è una relazione chiara tra il livello della mo-dernità, dell’industrializzazione oppure del PIL pro capite e la relativa «precoci-tà» o «tardività» nella formazione del welfare state. I paesi anglosassoni (Regno Unito, Stati Uniti, Canada) introdussero programmi di protezione sociale relati-vamente tardi ed ebbero un livello relativamente elevato di sviluppo economico. Con loro vi sono i paesi protestanti-liberali come i Paesi Bassi o la Svizzera, che 

Fonte: Schmidt (1998: 180) e Maddison (1995: 194-201); si veda anche Wagschal (2000: 49)

Figura 1 – Livello di sviluppo economico nel momento dell’introduzione dei primi fondamentali programmi di protezione sociale

PIL pro capite (in dollari Geary-Khamis)

1.000 2.000 3.000 4.000 5.000 6.000 7.000

Anno di introduzione

1930

1920

1910

1900

1890

1880

$ 2.860

1902

I II

SWZ

POR GRE

CANUSA

NTL AUS

ITA SPA

FIN NOR

SWEDEN

AUT

GER

FRA NZL

BELUK

JAP

IV III

Page 10: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica10

si qualificano anch’essi come ritardatari nel welfare (Manow 2004). La Germa-nia e l’Austria sono stati pionieri nel welfare in senso cronologico, ma alcuni paesi introdussero i primi programmi di assicurazione sociale a un livello molto inferiore di sviluppo economico rispetto a essi (ad esempio, Giappone, Portogal-lo, Finlandia e Italia).

Tuttavia, le forze politiche e sociali che possono essere ritenute responsabili per la costruzione precoce o tardiva del welfare state possono anche spiegare i differenti percorsi degli ulteriori sviluppi del welfare state? Questa è la doman-da per il prossimo paragrafo.

PUNTI CHIAVE

• Ilwelfarestateèstatointesocomelarisposta(funzionale)aiproblemisocialigeneratidallamodernizzazione,comerisultatodeiconflittipoliticitracapitaleelavoronellemodernesocietàcapitalisteecomeelementocentralenellacostruzionedeimodernistati-nazione.

• Nonvièunaconnessioneovviatraillivellodellosviluppoeconomicoodellademocra-tizzazionediunasocietàelosviluppodelrelativowelfarestate.

• Approccidifferentihannoobiettiviesplicativioproblemidifferenti:l’approcciofunzio-nalistatentadispiegarelaconvergenzadeimoderniwelfarestate;l’approcciodellerisorsedipotereel’approccioistituzionalistatentanodiprendereinesamelevariazio-niduraturetraiwelfarestate.

4 L’espansione del welfare state

4.1 L’impatto della socialdemocrazia

Negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo un nuovo approccio criticava la logica della tesi dell’industrializzazione e dell’opinione del votante mediano se-condo cui la politica democratica in quanto tale possa spiegare l’espansione del welfare state (Jackman 1975, 1986). L’obiettivo teorico era dimostrare come la politica contasse per i differenti percorsi dei welfare state che i paesi avevano seguito nel periodo post-bellico, focalizzandosi in particolare su come le diffe-renze nella composizione dei governi politico-partitici spiegassero le differenze nell’espansione del welfare state. Ad esempio, Christopher Hewitt (1977) soste-neva che il governo socialdemocratico fosse una condizione necessaria per l’espansione e per esiti egualitari. L’importanza esplicativa della politica partiti-ca era sottolineata anche dalle fallite previsioni dei modelli economici basati sul teorema del votante mediano. Allan Meltzer e Scott Richard (1981) introdusse-ro un modello il quale prediceva che la ridistribuzione del welfare state sarebbe cresciuta con l’incremento della disuguaglianza nel reddito. Con la tipica distri-buzione del reddito asimmetrica a destra, il reddito del votante mediano è al di 

Page 11: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 11

sotto del reddito medio, così egli dovrebbe sviluppare un interesse verso la ridi-stribuzione – un interesse che dovrebbe diventare più forte con la crescita della disuguaglianza nei redditi. Tuttavia, non sono le società altamente diseguali a ridistribuire di più. Al contrario, paesi come la Svezia e la Norvegia hanno en-trambi una struttura di redditi e salari già altamente compressa e un welfare state generoso, e paesi come gli Stati Uniti combinano un distribuzione disegua-le del reddito pre-tasse con un welfare state piuttosto residuale.

Molti studi hanno corroborato l’effetto causale della forza socialdemocratica sulla prestazione del welfare state e hanno scoperto le condizioni sotto le quali questi movimenti erano realmente in grado di rifrangere l’operare del mercato attraverso i programmi di protezione sociale. La demercificazione era risultata essere la più forte se la sinistra era forte (Stephens 1979) e la destra era divisa (Castles 1978). Inoltre, i tentativi socialdemocratici di espandere il welfare state erano i più efficienti se il partito era supportato da un movimento sindacale for-te e coerente (Stephens 1979; Higgins e Apple 1981).

Gli studi quantitativi transnazionali hanno ampiamente testato la tesi per cui la forza lavoro politicamente organizzata (socialdemocrazia) era responsabile principalmente per la trasformazione sociale del capitalismo (Hewitt 1977; Ste-phens 1979; Korpi 1983, 1989; Hicks e Swank 1984; Esping-Andersen 1985a; Griffin et al. 1989; Alvarez et al. 1991; Hicks 1999; si vedano anche Huber e Ste-phens 2001). La principale scoperta della letteratura è stata: più la massa della popolazione è organizzata come lo sono i salariati all’interno di un movimento socialdemocratico, più tende a essere elevata la qualità (universalismo, solidarie-tà, ridistribuzione) degli assetti di welfare e, come risultato, più è elevata l’esten-sione dell’uguaglianza. Pertanto, un welfare state sviluppato era interpretato come prova di un decisivo spostamento nell’equilibro di poteri a favore della classe lavoratrice e della socialdemocrazia (si veda Shalev 1983).

Fin dal primo studio di Hewitt (1977), vi erano notevoli prove in favore dell’ef-fetto socialdemocratico sulla distribuzione del reddito (Björn 1979; Stephens 1979; Hicks e Swank 1984; Swank e Hicks 1985; Muller 1989; Hage et al. 1989). Eppure, per diverse ragioni la distribuzione del reddito era una variabile proble-matica: per ragioni tecniche, i dati aggregati disponibili fino all’arrivo dello Study Income Luxembourg (Mitchell 1990; Smeeding et al. 1990) non erano realmente comparabili; per ragioni teoriche, la distribuzione del reddito era problematica nella misura in cui i tipi di programmi universalistici e generosi di welfare asso-ciati alla politica socialdemocratica di successo tendevano a perdere il loro effet-to ridistributivo perché favorivano sempre più la classe media (LeGrand 1982; Goodin e LeGrand 1987; Esping-Andersen 1990; Korpi e Palme 1998).

Qualche prova suggeriva che l’effetto socialdemocratico era più evidente se rapportato alle caratteristiche istituzionali dei welfare state (Korpi 1989; Myles 1989; Esping-Andersen 1990; Palme 1990; Kangas 1991). Tuttavia, dato che la ricerca si è spostata nella direzione di studiare le proprietà istituzionali e quali-tative dei welfare state, essa si è anche allontanata dal tipo «più o meno» oppu-

Page 12: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica12

re «più grande è, meglio è» della concezione lineare socialdemocratica. Lo stu-dio di Kangas (1991: 52) sulla spesa sociale e sui diritti conclude quindi che «i più grandi non sono necessariamente i migliori, ma i migliori raramente sono i più piccoli».

4.2 Il neo-corporativismo e l’economia internazionale

Altri hanno sostenuto che l’efficacia politica dei partiti di sinistra nel demercifi-care il lavoro e promuovere l’espansione del welfare state dipendeva anche più strutturalmente da un sistema di rapporti industriali centralizzato e neo-corpo-rativo (Cameron 1978, 1984; Schmidt 1983; Scharpf 1984, 1987; Hicks et al. 1989).

David Cameron (1978, 1984) suggeriva che l’associazione tra una forte social-democrazia e i welfare state fosse legata alla posizione di un paese nell’econo-mia internazionale. La vulnerabilità che economie piccole e aperte avevano af-frontato aveva favorito l’espansione dell’economia pubblica così tanto da ridur-re l’incertezza tramite le garanzie sociali, il pieno impiego e una gestione più at-tiva dell’economia da parte del governo. Peter Katzenstein (1985) sosteneva che la reale catena causale appariva essere quella per cui piccole nazioni aperte svi-luppavano strutture corporative democratiche come modo per potenziare il con-senso interno, facilitare gli aggiustamenti economici e mantenere la competitività internazionale. Mentre il corporativismo democratico era promosso dalla pre-senza di forti movimenti laburisti socialdemocratici, Katzenstein pensava a Sviz-zera e Paesi Bassi per suggerire che essi non costituissero una condizione neces-saria (si veda anche Keman 1990; Garrett 1998).

Più probabilmente la socialdemocrazia promuoveva l’espansione del welfare state se la sua forza parlamentare era accompagnata da forti meccanismi per la costruzione del consenso sia nella polity sia nell’economia (Schimdt 1983; Ke-man 1988; Hicks et al. 1989). L’intermediazione neo-corporativa venne a giocare un ruolo importante nel mantenere le politiche di welfare durante i periodi di crisi economica: la battaglie per la ridistribuzione che scoppiano quando declina lo sviluppo erano gestite meglio con le organizzazioni di interesse «onnicom-prensive». Alexander Hicks e Duane Swank (1984) e Edward Muller (1989) sug-gerivano che la forza dei partiti di sinistra (e l’apertura economica) influenzasse direttamente la distribuzione del reddito, mentre la sindacalizzazione e la centra-lizzazione della contrattazione sui salari avevano effetti indiretti decisivi fornen-do la base elettorale alla socialdemocrazia.

Alla fine degli anni Ottanta, la letteratura giunse all’accordo che partiti e sin-dacati da soli avevano un piccolo effetto, e il successo della socialdemocratizza-zione richiedeva una configurazione con forti partiti di sinistra al governo soste-nuti da un movimento sindacale centralizzato e onnicomprensivo (Alvarez et al. 1991; Garrett 1998). Solo nelle economie «coerentemente» liberali, in cui un de-bole movimento laburista s’imbatteva in un dominio politico dei partiti conser-vatori, oppure nelle economie coerentemente socialdemocratiche, dove un forte 

Page 13: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 13

movimento laburista andava a braccetto con i governi di sinistra, ci si attendeva che politiche macroeconomiche, contrattazione sui salari e spese di welfare fun-zionassero bene nel completarsi a vicenda. Dall’altro lato, ci si attendeva che «economie incoerenti» funzionassero molto meno bene quando governi di de-stra che perseguivano politiche economiche neo-liberali s’imbattevano in una forte resistenza sindacale, causando lotte industriali, o quando il tentativo di ge-stione macroeconomica dei governi di sinistra era ostacolato da sindacati parti-colaristici e frammentati che si rivelavano incapaci di farsi coinvolgere in una concertazione salariale. Il dibattito odierno riguardo all’impatto della globaliz-zazione sulla sostenibilità dei generosi programmi di welfare riflette sotto molti aspetti il precedente dibattito corporativo sulle vulnerabilità economiche nelle economie aperte e il concomitante bisogno di compensazione di welfare (si veda sotto e il Capitolo 14).

4.3 Ridistribuzione dei rischi

In una delle sfide più importanti alla letteratura, Peter Baldwin (1990) rifiutava il legame causale tra socialdemocrazia e politiche sociali solidaristiche nel loro insieme. Baldwin mostrava che, mentre la crescente uguaglianza poteva essere stata un tratto caratterizzante dei moderni welfare state, essa non era stata il suo obiettivo. Il welfare state riguardava più che altro la ridistribuzione dei rischi piuttosto che la ridistribuzione della ricchezza: l’uguaglianza si riferiva alla ridi-stribuzione dei rischi. La teoria del rischio e della distribuzione consentiva il ri-fiuto di ciò che Baldwin chiamava la causa laburista (ossia la mobilitazione di classe) per la sua stretta attenzione alla classe lavoratrice come la sola categoria a rischio. L’intuizione critica era che la classe poteva coincidere, ma raramente era così, con una categoria a rischio. Il punto di vista laburista assumeva che le politiche di welfare potessero essere spiegate in termini di vittoria della classe lavoratrice sulla borghesia.

Ciò che storicamente aveva determinato la solidarietà delle politiche sociali non fu la forza della classe lavoratrice ma, al contrario, il fatto che «gruppi diver-samente privilegiati scoprirono che essi condividevano con gli svantaggiati un co-mune interesse alla riallocazione del rischio» (Baldwin 1990: 292). In modo analo-go, Heclo e Madsen (1986) e Therborn (1989) sostenevano che i principi di solida-rietà ed eguaglianza che caratterizzano la socialdemocrazia svedese avevano me-no a che fare con il socialismo che non con la tradizione storica svedese. L’impli-cazione era che il modello svedese fosse inapplicabile altrove (Milner 1989).

4.4 Democrazia cristiana e dottrina sociale cattolica

Uno dei problemi fondamentali del modello socialdemocratico era che diversi paesi (ad esempio, i Paesi Bassi o la Francia) perseguivano l’eguaglianza e ave-vano un grande welfare state senza il patrocinio di un forte movimento laburista 

Page 14: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica14

socialdemocratico (Castles 1978, 1985; Stephens 1979; Wilensky 1981; Skocpol e Amenta 1986). Sia l’incapacità di spiegare le prime riforme del capitalismo dalle élite statali conservatrici e liberali, sia il fatto che altri partiti politici agivano come attori favorevoli al welfare, resero chiaro che il processo politico di costru-zione ed espansione del welfare state aveva bisogno di essere riconsiderato. Una risposta venne da coloro che mostrarono come la democrazia cristiana (il catto-licesimo politico) costituisse un equivalente funzionale o un’alternativa alla so-cialdemocrazia rispetto all’espansione del welfare state (Wilensky 1981; Schmidt 1982). Per John Stephens (1979: 100) «sembrava possibile che gli aspetti antica-pitalistici dell’ideologia cattolica – come le nozioni di salario equo e proibizione dell’usura – così come la generale attitudine positiva della Chiesa cattolica verso il welfare per i poveri potessero incoraggiare la spesa governativa per il welfa-re», di conseguenza non si poteva far coincidere la forza del lavoro con la forza della socialdemocrazia. I partiti cristiano-democratici che si collocavano al cen-tro godevano di un considerevole supporto da parte della classe lavoratrice ed erano comunemente sostenuti dai potenti sindacati cattolici (si veda van Ker-sbergen 1995).

La costellazione politica era altamente favorevole allo sviluppo del welfare state.

4.5 Tendenze secolari

Evidenziare l’agenzia politica contro gli approcci funzionalisti ha il pericolo di cadere nell’altro estremo di negare quanto dello sviluppo del welfare sia in-fluenzato da processi secolari al di là del controllo dei singoli attori politici. Al-cuni di essi includono:

1. L’invecchiamento demografico: una più lunga aspettativa di vita e un basso tasso di nascite conducono all’invecchiamento demografico e all’incremento della domanda di spesa sociale per la salute, le pensioni e le cure. I progressi medici sono costosi e impongono uno sforzo crescente per la spesa sanitaria.

2. Il morbo di Baumol: la produttività incrementa più lentamente nei servizi che nel settore manifatturiero, ciò significa che i servizi (sociali) incrementeranno in importanza economica. Contemporaneamente, le economie con un settore più ampio di servizi cresceranno a un passo più lento (Pierson 2001).

3. La deindustrializzazione: ossia la perdita di posti di lavoro nell’agricoltura e nell’industria incrementa la domanda di compensazione al welfare state (pro-tezione del posto di lavoro; ri-qualificazione; politiche attive del mercato del lavoro) (Iversen e Cusack 2000).

4. La legge di Wagner: così denominata dal nome dell’economica tedesco Adol-ph Wagner (1835-1917), predice una quota di spese pubbliche sempre mag-giore nelle economie industriali sviluppate, la quale causa una tendenza seco-lare verso una maggiore spesa pubblica in tutte le economie sviluppate.

Page 15: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 15

5. «La politica del profitto» (si veda Buchanan 1977): la politica mira ad espan-dere la spesa pubblica per massimizzare il proprio «reddito politico» e au-mentare le proprie prospettive di rielezione.

6. La maturità del programma, il «feedback positivo» e gli effetti di cricca (clic-que) − ciascun programma di welfare alleva i propri sostenitori. Una volta introdotto, è quasi impossibile abbandonare una schema welfaristico in un momento successivo (Pierson 1994, 1998; Huber e Stephens 2001).

Mentre tutti i welfare state avanzati hanno a che fare con queste sfide secolari, le loro vulnerabilità e opportunità nell’affrontarle variano a seconda del loro as-setto istituzionale.

PUNTI CHIAVE

• L’impattopoliticodeipartitidisinistrasulwelfarestatedipendedallosviluppodiunsistemadirapportineo-corporativoecentralizzatocheconsentedirafforzareilcon-sensointerno,facilitarelaregolamentazioneeconomicaemantenerelacompetitivitàinternazionale.

• Criticheimportantialmodellosocialdemocraticoolaburista:(1)ilwelfarestateriguar-dailridistribuireirischisocialielaclasselavoratriceèsolounacategoriaarischio;(2)visonopaesicheperseguonol’eguaglianzaeunwelfarestatesviluppato,manonhannounfortemovimentolaburistasocialdemocratico.

• Visonoaltriattoriafavoredelwelfarestate(adesempio,lademocraziacristiana)eimportantiprocessinonpolitici(adesempio,l’invecchiamentodemografico)chenepromuovonol’espansioneelosviluppo.

5 Variazioni tra i welfare state sviluppati

Ogni welfare state è una combinazione «unica» di regolamentazioni e istituzioni. Tuttavia, nella scienza non siamo interessati all’unicità, ma alla comparabilità e alla variazione sistematica. Per comparare i welfare state, si possono distinguere alcune semplici dimensioni di variazione. Esse comprendono: (1) il welfare state è finanziato tramite tasse o tramite contributi? (2) Ogni cittadino è protetto o, piut-tosto, ogni lavoratore (e i suoi dipendenti) è assicurato? (3) I benefici sono un di-ritto, guadagnato tramite precedenti contributi ai programmi di assicurazione so-ciale o collegato allo status della cittadinanza, oppure i benefici dipendono dalla comprovata necessità, ossia sono condizionati alla prova dei mezzi? (4) I benefici sono uniformi (tariffa piatta) o riflettono il reddito precedente, ossia si tratta di pensioni o sussidi temporanei di disoccupazione che sostituiscono il salario oppu-re mirano a mettere in sicurezza uno standard «minimo» di vita?

Che i sistemi di welfare presentino una varietà limitata può essere in parte spiegato dal fatto che scegliere una particolare soluzione istituzionale in una di-

Page 16: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica16

mensione restringe allo stesso tempo l’insieme di scelte nelle altre. I sistemi di welfare avanzati rappresentano pacchetti o gruppi di risposte normative e istitu-zionali ai problemi sociali della società moderna. Vi sono solo molte possibili opzioni per proteggersi contro i rischi sociali e le varie misure protettive non possono essere liberamente combinate.

Si prenda come esempio il finanziamento del welfare state: se il welfare state è finanziato dal gettito fiscale, l’idoneità dovrebbe essere legata allo status dei cittadini (con o senza la prova dei mezzi), ma non al rapporto di lavoro. Tuttavia, questo vorrebbe anche dire che è improbabile che i benefici riflettano il reddito precedente, bensì una nozione sociale di uno standard (minimo) di vita social-mente giusto e accettato. Al contrario, in un welfare state finanziato tramite con-tributi le deduzioni proporzionali dal libro paga giustificano benefici differen-ziati che riflettano la lunghezza del periodo di contribuzione precedente e il li-vello dei contributi pagati. Se la protezione sociale è principalmente collegata al rapporto di lavoro, sembra essere una soluzione «naturale» assicurare coloro che non hanno impiego come lavoratori dipendenti (ad esempio, moglie e bam-bini) tramite il membro della famiglia che ha un lavoro dipendente.

In quanto insiemi di soluzioni normative e istituzionali ai problemi sociali i sistemi di welfare possono essere analizzati come modelli o regimi. Già alla fine degli anni Cinquanta Richard M. Titmuss (1958) suggeriva di distinguere fra:

•  Modello residuale di welfare, in cui la protezione sociale «entra in gioco dopo il crollo del mercato privato e della famiglia in quanto canali «naturali» per il soddisfacimento dei bisogni sociali» (Flora 1986: xxi).

•  Modello dei meriti e dei rendimenti, in cui i diritti e i benefici di welfare sono legati al rapporto di lavoro e riflettono «merito, prestazione lavorativa e pro-duttività» (ibid.).

•  Modello ridistributivo istituzionale, in cui le istituzioni sociali di welfare sono una parte integrante della società, fornendo «servizi universalistici al di fuori del mercato in base al principio del bisogno» (ibid.).

Ovviamente, vi è una notevole sovrapposizione tra la tipologia di welfare state di Titmuss e i Three Worlds of Welfare Capitalism di Esping-Andersen (1990). In questo testo, Esping-Andersen distingue fra tre regimi.

5.1 Regime liberale anglosassone

In un regime liberale, i benefici tendono a essere bassi e a tasso fisso. Essi preve-dono la prova di mezzi o sono diretti a gruppi chiaramente delineati nella socie-tà. Il welfare state è finanziato in maniera predominante dal gettito fiscale. Una protezione sociale più completa deve essere acquistata individualmente sul mer-cato (ad esempio, assicurazione sulla vita o piani pensionistici privati), dato che il welfare state protegge solo il piccolo gruppo dei maggiormente bisognosi. La 

Page 17: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 17

spesa pubblica per la protezione sociale è bassa dal punto di vista comparato. Questo regime di welfare è da ricercarsi dove i partiti conservatori sono sovente al governo, negli Stati Uniti e nel Regno Unito e, in qualche misura, anche in Australia e Nuova Zelanda (si veda sotto).

5.2 Regime socialdemocratico scandinavo

Il regime socialdemocratico scandinavo è anch’esso finanziato perlopiù tramite il gettito fiscale, ma a differenza del modello liberale i benefici sono garantiti senza la prova dei mezzi. I benefici rappresentano un diritto dei cittadini e ten-dono a essere molto più generosi: si tratta di «un welfare state che vuole pro-muovere un’uguaglianza secondo gli standard più elevati» (Esping-Andersen 1990: 28), di conseguenza i livelli della spesa pubblica tendono a essere molto maggiori. I regimi socialdemocratici forniscono anche servizi di welfare per la cura, la salute, l’istruzione; il welfare state stesso diviene un fondamentale dato-re di lavoro che crea molti posti di lavoro femminili (Huber e Stephens 2000). Questo regime lo si ritrova principalmente nei paesi scandinavi, in cui i partiti socialdemocratici sono forti e spesso partecipano al governo, dove i livelli di sindacalizzazione sono elevati e la destra politica è divisa.

5.3 Regime conservatore continentale

Infine, il regime continentale conservatore si avvicina al modello della «realizza-zione della prestazione» di Titmuss.

Qui i diritti sociali non sono basati sullo status del cittadino ma sul rapporto di lavoro. Il welfare state è finanziato tramite contributi anziché tramite tasse. Coloro che non hanno un impiego sono coperti dal coniuge o dai familiari che invece hanno un impiego. I benefici di welfare si differenziano a seconda del reddito e all’insieme dei contributi versati al fondo dell’assicurazione sociale. Il welfare state conservatore ha trasferimenti forti e servizi snelli. Basato sui prin-cipi dell’occupazione, il welfare state conservatore mostra un alto grado di frammentazione dei programmi. I gruppi occupazionali più importanti (colletti bianchi e colletti blu, funzionari pubblici, liberi professionisti, lavoratori auto-nomi ecc.) hanno tutti i propri piani assicurativi (si veda la Tabella 1).

La tipologia dei welfare state di Esping-Andersen è divenuta estremamente influente e ha orientato con successo la ricerca fino ai giorni nostri. Nello studio dello sviluppo dell’occupazione nell’economia dei servizi (Scharpf 1997b), o di proposte politiche differenti tra pieno impiego, budget equilibrati ed eguaglian-za del reddito (Iversen e Wren 1996), oppure di modelli di disuguaglianza nel reddito tra i paesi OECD (Korpi e Palme 1998), l’euristica «tre mondi» era di frequente confermata.

Tuttavia, la voluminosa letteratura riguardo alla tipologia di welfare state di Esping-Andersen (si vedano Arts e Gelissen 2002) ha discusso se dovessero 

Page 18: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica18

Box 3 – I regimi di welfare state di Esping-Andersen

[Nelwelfarestateliberale]predominanol’assistenzainbaseallaprovadeimezzi,mode-stitrasferimentiuniversalisticiomodestipianidiassicurazionesociale.Ibeneficisoddi-sfanoprincipalmenteunaclientelaabassoreddito,disolitolaclasselavoratrice,idipen-dentidellostato.[…]Asuavolta,lostatoincoraggiailmercato,passivamente–garan-tendosolounminimo–oattivamente–dandosussidiapianidiwelfareprivati[…]Nei[…]welfarestatefortemente«corporativi»econservatori,l’ossessioneliberaleperl’effi-cienzadimercatoelamercificazionenonèmaistatapredominantee,inquantotale,laconcessionedeidirittisocialinonèquasimaistataunaquestionecontestata.Ciòchedominavaeralapreservazionedelledifferenzedistatus;pertanto,idirittieranocollegatiaclasseestatus.Questocorporativismoerainclusoinunacostruzionestataleperfetta-menteprontaasostituireilmercatocomefornitorediwelfare;quindileassicurazioniprivateeibenefitdellefrangeprofessionaligiocanounruolodeltuttomarginale[…]Ilterzo[…]gruppodiregimiècompostodaqueipaesiincuiiprincipidell’universalismoedellademercificazionedeidirittisocialieranoestesiancheallenuoveclassimedie.Po-tremmochiamarloiltipodiregime«socialdemocratico»poiché,inquestenazioni,laso-cialdemocraziaerachiaramentelaforzadominantedietroleriformesociali.[…]Isocial-democraticiperseguironounwelfarestatechepromuovesseun’eguaglianzadaglistan-dardpiùelevati.[…]Questomodellotagliafuoriilmercatoe,diconseguenza,costruisceunasolidarietàessenzialmenteuniversaleinfavoredelwelfarestate.Tuttibeneficiano,tuttisonodipendentietuttipresumibilmentesisentirannoobbligatiapagare.

(Esping-Andersen1990:26-8)

Tabella 1 – I tre mondi del capitalismo di welfare di Esping-Andersen

I regimi di welfare di Esping-Andersen (modelli di welfare di Titmuss)

«Liberale» (modello residuale)

«Conservatore» (modello dei meriti e dei rendimenti)

«Socialdemocratico» (modello ridistributivo istituzionale)

Esempio principale Stati Uniti, Regno Unito Germania Svezia

Demercificazione Bassa Media Alta

Diritti sociali Basati sui bisogni Legati all’occupazione Universali

Fornitura di welfare Servizi misti Trasferimenti Servizi pubblici

Benefici Benefici piatti Legati ai contributi Ridistributivi

Fonte: Ebbinghaus e Manow (2001: 9)

essere aggiunti regimi addizionali. Alcuni aggiungono un distinto regime di wel-fare sud-europeo (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), alcuni trattano i due wel-fare state agli antipodi (Australia e Nuova Zelanda) come casi speciali (Castles 1989; Castles e Mitchell 1992; Ferrera 1996, 1997).

Page 19: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 19

5.4 Europa meridionale

Il regime di welfare dell’Europa meridionale si distingue dal resto degli stati con un regime di welfare conservatore-continentale per:

•  la perdurante assenza di un piano di assistenza sociale uniforme a livello na-zionale;

•  il dominio della spesa pensionistica sul totale della spesa sociale;•  mercati del lavoro altamente segmentati con i più elevati standard di prote-

zione per i «pochi felici» nel settore statale e nelle imprese pubbliche, in com-binazione con ampi segmenti di bassa protezione nel settore privato, cui si aggiunge l’occupazione non regolamentata nell’economia sommersa;

•  infine, sistemi sanitari nazionali che sono piuttosto atipici rispetto ai regimi di welfare conservatori dell’Europa continentale.

5.5 Australia e Nuova Zelanda

I sistemi di welfare di Nuova Zelanda e Australia rappresentano un tipo («radi-cale») a sé (Castles 1989, 1996; Castles e Mitchell 1992). Mentre il targeting gioca un ruolo di primo piano in essi, le norme sull’idoneità non sono particolarmente restrittive. Inoltre, la protezione sociale pubblica in entrambi i paesi opera spes-so «attraverso il mercato», specialmente tramite l’arbitraggio statale dei conflitti industriali, assicurando un’alta protezione dell’occupazione e salari compressi, ciò che rende l’intervento e la ridistribuzione post-hoc del welfare spesso non necessari.

La tipologia di Esping-Andersen era basata su indici di demercificazione pro-pri e impiegava i dati del 1980. Di recente, Lyle Scruggs e James Allan (2006a) hanno riaperto la discussione replicando lo studio originale di Esping-Andersen con nuovi dati (si vedano i siti internet alla fine del capitolo e la Tabella 2). Essi hanno scoperto che diversi paesi sembrano essere stati mal collocati e che la coerenza all’interno dei gruppi di paesi sia meno di quanto assunto da Esping-Andersen. Tuttavia, i due studiosi si spingono troppo oltre nel concludere che vi 

PUNTI CHIAVE

• Iwelfarestateavanzatirappresentanopacchettiogruppidirispostenormativeeisti-tuzionaliaiproblemisocialieairischidellasocietàmodernacomeladisoccupazione,lamalattia,l’inabilitàallavorodovutaavecchiaiaeinvalidità.

• Laletteraturadistinguedatreacinquedifferentiregimidiwelfare:(1)unregimean-glosassoneliberale;(2)unregimesocialdemocratico,rintracciabileinScandinavia;(3)unmodelloconservatore,tipicodell’Europacontinentale;(4)unregimeeuropeomeri-dionalee(5)untipo«radicale»rintracciabileinAustraliaeNuovaZelanda.

Page 20: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica20

sia un limitato sostegno empirico alla classificazione dei regimi. Questo perché in molte istanze la loro replica non conferma l’analisi originale e perché, come essi prontamente ammettono, non hanno finora incluso la stratificazione, ossia l’altra importante dimensione su cui è basata la tipologia di regimi di Esping-Andersen. Nondimeno, il loro è un contributo critico molto gradito che miglio-rerà in modo significativo la qualità del dibattito.

6 Gli effetti del welfare state

Dove gli economisti (politici) si sono interessati prima di tutto a come lo stato (il settore pubblico in generale) abbia influenzato il comportamento economico (sviluppo economico, partecipazione nel mercato del lavoro, investimenti ecc.), la ricerca nella scienza politica comparata si è concentrata sul welfare e ha teso ad assumere un approccio più ampio nello studio degli effetti delle politiche so-ciali. Dal punto di vista teorico, essi si sono ispirati a T. H. Marshall (1950; si veda il Box 1). Il suo concetto di cittadinanza sociale non solo sottolinea i diritti sociali, ma anche come la concessione di tali diritti strutturi e ristrutturi la stratificazio-ne e i rapporti di status nella società. Le questioni principali riguardano se il welfare state (1) modifichi la disuguaglianza sociale; (2) allevi la povertà; (3) ri-duca i rischi sociali e (4) se welfare state differenti hanno conseguenze diverse per la stratificazione sociale.

6.1 (Dis)uguaglianza e ridistribuzione

Quando si parla di disuguaglianza e povertà, si parla di divisioni e stratificazioni sociali che causano una distribuzione differenziata dei rischi sociali. La stratifi-cazione sociale rilevante nelle nostre società riguarda lo status o i gruppi occu-pazionali, le classi sociali, il genere, l’etnia. È probabile che le politiche sociali, il loro progetto e contenuto, siano influenzate dalla differenziazione prevalente nella società e possano o meno influenzare la stratificazione e la disuguaglianza sociali. La ricerca tratta la questione se le politiche sociali strutturino, causino, riproducano, rafforzino o moderino la disuguaglianza sociale.

Si suppone che classe, genere ed etnia, quali concetti, catturino sistematica-mente come la società sia strutturata tanto che certi gruppi di persone sono chia-ramente privilegiati o svantaggiati in termini di posizione lavorativa, reddito, ricchezza, status, abilità, istruzione e soprattutto potere. Ci si attende che queste caratteristiche strutturali determinino in larga misura le possibilità di vita degli individui all’interno di questi gruppi e siano affiliate a molti altri aspetti, come la salute, la felicità, il tasso di decessi, lo stile di vita, la cultura, la preferenza politi-ca ecc.

Riguardo alla classe, il dibattito è se e in quale misura sia possibile «fuggire» dalla propria classe.

Page 21: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 21

Tabella 2 – Punteggi sulla demercificazione nei «Three Worlds of Welfare Capitalism»

Risultati degli indici di generosità dei benefici

Disocc. Malattia Pensione Demerc. totale

Disocc. Malattia Pensione Demerc. totale

Australia 4,0 4,0 5,0 13,0 Stati Uniti 7,4 0 11,3 18,7

Stati Unitia 7,2 0 7,0 13,8 Giappone 4,5 6,2 9,4 20,0

Nuova Zelanda

4 4,0 9,1 17,1 Australia 5,0 5,0 10,1 20,1

Canada 8 6,3 7,7 22,0 Italia 3,2 7,3 10,0 20,5

Irlanda 8,3 8,3 6,7 23,3 Irlanda 6,9 6,2 8,3 21,4

Regno Unito 7,2 7,7 8,5 23,4 Regno Unito 7,2 7,2 8,5 22,9

Italia 5,1 9,4 9,6 24,1 Nuova Zelanda

5,0 5,0 13,3 23,3

Giapponea 5,0 6,8 10,5 27,3 Canada 7,2 6,4 11,4 25,0

Francia 6,3 9,2 12,0 27,5 Austria 6,9 9,7 11,2 27,8

Germania 7,9 11,3 8,5 27,7 Francia 6,3 9,5 12,0 27,8

Finlandia 5,2 10,0 14,0 29,2 Finlandia 4,9 10,0 13,0 27,9

Svizzera 8,8 12,0 9,0 29,8 Germania 7,5 12,6 8,7 28,8

Austria 6,7 12,5 11,9 31,1 Paesi Bassi 10,6 9,7 11,5 31,8

Belgio 8,6 8,8 15,0 32,4 Svizzera 9,2 11,0 12,0 32,2

Paesi Bassi 11,1 10,5 10,8 32,4 Belgio 10,2 8,6 14,0 32,9

Danimarca 8,1 15,0 15,0 38,1 Danimarca 8,6 12,6 11,8 32,9

Norvegia 9,4 14,0 14,9 38,3 Norvegia 8,5 13,0 11,9 33,4

Svezia 7,1 15,0 17,0 39,1 Svezia 9,4 14,0 15,0 38,4

Media 7,1 9,2 10,7 27,2 7,1 8,6 11,3 27,0

Deviazione standard

1,9 4,0 3,4 7,7 2,1 3,5 1,9 5,8

Coefficiente di variazione

0,27 0,44 0,32 0,28 0,29 0,41 0,17 0,21

Correlazione con punteggi originali

0,87 0,95 0,70 0,87

Correlazione tra programmiDisoccupazione – Malattia = 0,44Disoccupazione – Pensioni = 0,23Malattia – Pensioni = 0,72Alfa di Cronbach = 0,72

Correlazione tra programmiDisoccupazione – Malattia = 0,45Disoccupazione – Pensioni = 0,36Malattia – Pensioni = 0,30Alfa di Cronbach = 0,59

a Il punteggio «Demerc. totale» corrisponde all’ammontare nella Tabella 2.2 di Esping-Andersen (1990), non è una somma di punteggi di programmi.

Fonte: Adattato da Scruggs e Allan (2006a: 68)

Page 22: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica22

Quanto è forte la chiusura di classe? Sia all’interno di una generazione sia fra le generazioni, è rara la mobilità? Le politiche sociali sono in grado di abbattere le barriere alla mobilità e di ridurre la chiusura? Più in generale, gli individui sono serrati in una posizione sociale e i privilegi o gli svantaggi di tali posizioni sono trasferiti da una generazione all’altra? Gli interventi del welfare state so-stengono la mobilità sociale e spezzano la chiusura? Oppure, se tali interventi non hanno grandi effetti, vi è forse un impatto sulle possibilità di vita associate a classe, genere o etnia? Le politiche sociali riducono le disuguaglianze sociali op-pure in pratica riproducono le differenze o persino le rinforzano? I differenti regimi di welfare (ri)strutturano le divisioni sociali in modo differente?

6.2 Universalismo vs targeting

Molti individui naturalmente associano le politiche sociali e il welfare state con la ridistribuzione e l’eguaglianza. Tuttavia, è importante capire che la ridistribu-zione non implica sempre maggiore eguaglianza: risparmiare denaro durante i periodi di relativa prosperità (ad esempio, quando si ha un lavoro) per i periodi di necessità (ad esempio, quando si è anziani e in pensione) è una forma di ridi-stribuzione, ma non porta a una maggiore eguaglianza. 

La ridistribuzione non è necessariamente dai  ricchi ai poveri. Rispetto all’eguaglianza, la questione è se le politiche sociali indirizzate verso gruppi spe-cifici (ad esempio, la classe lavoratrice, le donne e i migranti) abbiano l’effetto di ridurre le disuguaglianze o se l’universalismo nelle politiche sociali, ossia «il for-nire un servizio o un beneficio singolo e relativamente uniforme per tutti i citta-dini indipendentemente dal reddito o dalla classe» (Hill 2006: 192) in realtà ope-ri meglio.

Regimi di welfare differenti variano precisamente riguardo a ciò, con il mo-dello socialdemocratico che è un sistema universale e i regimi liberali i più forte-mente mirati. Inoltre, in tutti i regimi, ma specialmente nel regime conservatore, le disuguaglianze sociali e le differenze di status sono riprodotte intenzional-mente nei sistemi di welfare, attraverso paini di assicurazione sociale legati ai guadagni e all’occupazione. Le disuguaglianze sono riprodotte – ma in misura minore – anche negli schemi universalistici, perché gli individui benestanti, con istruzione elevata, maggiori abilità e competenze sono meglio in grado di avvan-taggiarsi dei servizi universali (sanità, istruzione) rispetto agli individui più po-veri e meno istruiti.

Secondo il valore nominale, sembra che il targeting sia in ultima istanza mi-gliore per i poveri o per i meno abbienti, in primo luogo perché le politiche so-ciali sono progettate esclusivamente per coloro che ne hanno maggiore bisogno. La ridistribuzione tramite targeting, inoltre, è giusta ed efficiente perché non spreca le risorse trasferendo denaro alle persone che non necessitano di aiuto. Tuttavia, il targeting è una specie di «strategia di Robin Hood» («rubare» ai ric-chi per dare ai poveri) che va contro i ricchi e li spinge a defezionare rispetto al 

Page 23: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 23

sistema. Come spiegato da Walter Korpi e Joakim Palme (1998: 672): «Discrimi-nando in favore dei poveri, il modello di targeting crea un conflitto di interessi a somma zero tra i lavoratori poveri e i benestanti e le classi medie che devono pagare per i benefici ai poveri senza riceverne alcun beneficio».

Un’alternativa è il modello egualitario semplice con benefici forfettari per tut-ti, dando relativamente di più ai poveri rispetto ai benestanti. Tuttavia, anche questo sistema (noto anche come sistema di Beveridge) propone incentivi per la classe media per uscirne e cercare assicurazioni private. Infine, vi un’evangelica strategia di Matteo («Poiché a chiunque ha sarà dato e ne avrà in abbondanza: ma da colui che non ha sarà tolto anche ciò che ha») sulle prestazioni legate ai guadagni che danno relativamente di più ai ricchi rispetto ai poveri. L’effetto Matteo è più pronunciato nei servizi, ad esempio nell’istruzione (superiore), da cui i ricchi traggono profitto molto più dei poveri, non solo perché ricevono il servizio, ma anche perché l’istruzione incrementa notevolmente le capacità di guadagno.

Quando si comparano empiricamente i regimi di welfare state, troviamo il paradosso della distribuzione: «Più i benefici sono indirizzati solo ai poveri e più si è interessati a creare eguaglianza tramite trasferimenti pubblici a tutti, meno è probabile che si riducano povertà ed eguaglianza» (Korpi e Palme 1998: 681-2). I modelli globali che combinano un semplice sistema egalitario con la strategia di Matteo sono i sistemi più ridistributivi che hanno anche un elevato livello di supporto e legittimità politica.

Come dev’essere spiegato questo? Korpi e Palme forniscono una risposta:

Conferendo una sicurezza di base a tutti e offrendo benefici chiaramente legati ai guadagni a tutti gli individui economicamente attivi, […] il modello globale conduce i gruppi a basso reddito e i cittadini più benestanti all’interno delle medesime strutture istituzionali. A causa di benefici legati ai propri guadagni, è probabile che riduca la richiesta di assicurazioni private. Quindi, ci si può attendere che il modello globale produca gli esiti più favorevoli in termini di formazioni di coalizioni interclassiste che includano i lavoratori manuali e le classi medie. Fornendo benefici sufficientemente elevati per gruppi a reddito elevato così da non spingerli a uscirne, nelle istituzioni inglobanti la voce dei cittadini benestanti non aiutava solo essi stessi, ma anche gruppi a basso reddito (Korpi e Palme 1998: 672).

In modo analogo, Timothy Smeeding (2005) mostra che i regimi di welfare state a targeting, specialmente negli Stati Uniti, hanno i livelli più elevati di povertà e diseguaglianza. Anche Smeeding sostiene che quando la distanza tra i ricchi e i meno abbienti diviene troppo grande i ricchi fuoriescono per soddisfarsi da soli: fanno assicurazioni private, acquisiscono le migliori cure sanitarie e si assicurano che i loro bambini ricevano la migliore istruzione possibile. Ciò riproduce e per-sino rinforza le divisioni sociali. Come sostiene Smeeding (2005: 980): «una più elevata disuguaglianza nei redditi produce livelli inferiori di quei beni pubblica-mente condivisi che stimolano una maggiore uguaglianza d’opportunità e una 

Page 24: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica24

più elevata mobilità verso l’alto: assicurazione sul reddito, uguali opportunità nell’istruzione e un accesso più equo a cure sanitarie di qualità elevata».

La ricerca empirica recente (ad esempio, Kenworthy 1999; Korpi e Palme 2003; Brady 2005; Scruggs e Allan 2006a) sottolinea l’impatto differenziale dei vari regimi di welfare state riguardo a eguaglianza e povertà. Benché alcuni (ad esempio, Brady 2005: 1354) trovino che il welfare state, indipendentemen-te dal periodo o dal tipo che si studia, riduca fortemente la povertà, sembra esserci un consenso per cui l’universalismo in particolare produce gli effetti più pronunciati. I meccanismi dietro a ciò sono molteplici (si veda Hill 2006: 192-4). Ad esempio, benefici e servizi positivi (specialmente l’istruzione e la sanità) che si orientano agli standard dei benestanti sono positivi per i poveri e incre-mentano la mobilità sociale. Inoltre, sistemi frammentati, indirizzati o partico-laristici (ossia, sistemi separati per gruppi separati) rinforzano realmente la disuguaglianza e possono avere come conseguenza che lo stato o la politica vengano associati con la promozione della disuguaglianza, causando gravi pro-blemi di legittimità.

In aggiunta, la fornitura universale di servizi protegge sia i poveri sia i bene-stanti da attacchi improvvisi ai loro budget (ad esempio, la sanità), così che i poveri ottengono il servizio che altrimenti sarebbero costretti ad abbandona-re, mentre il reddito dei benestanti è protetto cosicché essi non diventino po-veri. Infine, alcuni trasferimenti universali, come i benefici per l’infanzia e le detrazioni per le famiglie, servono la società nel suo complesso, anche per que-gli individui che non hanno figli perché i figli di altri individui contribuiranno alla loro pensione.

La questione della disuguaglianza si esprime in maniera predominante in termini di posizione di reddito e mercato e affronta soprattutto la questione di classe. Le critiche femministe puntavano a una debolezza generale dell’analisi di classe, ossia che fosse in difficoltà nel trattare la posizione di classe delle don-ne, in particolare delle casalinghe non attive nel mercato del lavoro. Per com-prendere il funzionamento dei regimi in termini di mercato, stato e famiglia, si ha anche la necessità di sviluppare strumenti teorici che conferiscano un senso alla dimensione del genere della stratificazione sociale e come le politiche so-ciali presuppongono e influenzano le relazioni tra uomini e donne (si vedano Bussemaker e van Kersbergen 1994).

Le politiche sociali spesso davano per scontato la distribuzione del lavoro tra uomini e donne e tendevano a rinforzarla. Per la posizione delle donne, è cruciale se queste ultime abbiano diritto ai benefici in quanto individui o se i diritti siano legati alle famiglie in cui gli uomini sono spesso gli unici percettori di reddito. Inoltre, le donne hanno differenti tipi di rischi e bisogni (si pensi ad esempio genitori single). Di conseguenza, gli esiti degli interventi del welfare state in termini di eguaglianza e povertà e in termini di comportamento del mercato del lavoro sono nettamente differenti per uomini e donne. Ad esem-pio, nell’Unione Europea (eccetto in Finlandia e Svezia) il rischio di povertà 

Page 25: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 25

per le donne è considerevolmente più grande che per gli uomini, benché il welfare state riduca il rischio di povertà altrove (European Commission 2004: 188).

Nell’età dell’oro del welfare state (anni Sessanta e Settanta), la sicurezza e la ridistribuzione dei redditi non erano considerate semplicemente una questione di giustizia sociale, ma anche di efficienza macroeconomica. Le spese del welfare state potevano essere viste come parte della gestione della domanda keynesiana che aiutava a massimizzare la prestazione economica, in particolare lo sviluppo economico e la prevenzione della disoccupazione di massa. Inoltre, molti dei programmi di welfare state contribuiscono all’offerta di lavoro. I posti di lavoro e i programmi del welfare state (come la cura dell’infanzia, il congedo parentale, i benefici per malattia) hanno giocato un ruolo cruciale nell’aumentare l’offerta di lavoro femminile. Oppure, per dirla diversamente, il welfare state ha aiutato le donne a entrare nel mercato del lavoro in una misura che senza di esso sarebbe stata impossibile. Il welfare state facilita anche la ricostruzione economica e l’adattamento offrendo «semplici» vie d’uscita per lavoratori in esubero in indu-strie non competitive tramite piani di disabilità e pre-pensionamenti.

PUNTI CHIAVE

• Ilwelfarestateèdiperséunsistemadistratificazionesociale:puòcontrastare,ripro-durreorafforzareledisuguaglianzesociali(classe,genere,etnia).

• L’impattodellepolitichesocialisullapovertàesulladisuguaglianzavariaenormemen-teperregime,dovequellosocialdemocraticouniversalistaèilpiùridistributivoeilre-gimeliberalebasatosultargetingilmenoridistributivo.

• Paradossalmente,piùibeneficisonoindirizzatiesclusivamenteaipoveriepiùlepoliti-chepubblichesonoideatepercreareuguaglianzatramitetrasferimentiugualipertutti,menoèprobabilechepovertàedeguaglianzasiriducano.

• Gliuominibeneficianopiùdelledonnedegliinterventidelwelfarestateperridurrel’eguaglianzaelapovertàepermigliorarelepropriepossibilitànelmercatodellavoro.

7 Le sfide e le dinamiche dei welfare state contemporanei

Oggi il welfare state è sotto pressione da molti lati: invecchiamento della popo-lazione, sviluppo economico fiacco, disoccupazione di massa, cambiamenti delle strutture familiari, trasformazione dei modelli del ciclo di vita, mercati post-in-dustriali del lavoro, erosione dei sistemi di intermediazione degli interessi e del-la contrattazione collettiva, ascesa di nuovi rischi e necessità e pressioni interna-zionali (globalizzazione) (si veda Schwartz 2001). Specialmente la letteratura sulla globalizzazione iniziava dall’assunto che un mercato sempre più interna-zionalizzato avrebbe forzato i welfare state generosi del mondo occidentale in un comune movimento verso il basso (si veda il Capitolo 14).

Page 26: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica26

7.1 Globalizzazione: efficienza vs compensazione

Tuttavia, sembra che le economie avanzate dei paesi OECD abbiano conservato la loro abilità di «tassare e spendere» a un livello sorprendente. Quel che è più notevole dal punto di vista delle prime predizioni pessimistiche è che il welfare state di base sia sopravvissuto (Kuhnle 2000) anziché dimostrare di aver fatto il suo tempo. Ciò ha portato a un dibattito al momento non ancora risolto tra, da un lato, quei ricercatori i quali pensano che la globalizzazione sia in effetti una sfida importante che potenzialmente sta minando le fondamenta economiche delle politiche sociali, quantomeno rendendo proibitiva la soluzione efficienza-uguaglianza tuttora possibile nell’era keynesiana e, dall’altro lato, quegli studiosi secondo i quali le sfide e le minacce al welfare state come l’invecchiamento sono essenzialmente endogene e hanno poco a che fare con la globalizzazione.

Il dibattito odierno riguardo all’impatto della globalizzazione riflette sotto molto aspetti il precedente dibattito corporativo: alcuni sostengono che i merca-ti internazionalizzati e l’intensificata competizione economica abbiano reso in-sostenibili gli elevati livelli di spesa per il welfare (ipotesi dell’efficienza); altri sostengono che la compensazione del welfare state per coloro che sono svantag-giati dall’apertura dell’economia sia stata storicamente una pre-condizione so-ciale e politica per il regime commerciale liberale post-bellico (ipotesi della com-pensazione) (Rodrik 1996; Rieger e Leibfried 1998, 2001; Glatzer e Ruescheme-yer 2005).

Secondo i sostenitori dell’ipotesi della compensazione l’apertura dell’econo-mia e un regime commerciale liberali si basano sulla promessa politica interna che compensa tramite il welfare state i perdenti dell’integrazione economica. La minaccia che l’economia internazionalizzata pone ai generosi regimi ridistributi-vi è quella per cui essa rischia di minare la legittimità politica e sociale dell’aper-tura economica stessa. Con pressioni verso il basso sui welfare state avanzati, l’apertura dell’economia sta mettendo in pericolo le autentiche pre-condizioni politiche e sociali su cui si basa. Al momento mancano chiare prove empiriche degli effetti della «corsa verso il basso» comunemente attribuiti alla globalizza-zione. Inoltre, il legame causale tra apertura economica e protezione sociale do-mestica non è ancora stato stabilito in modo convincente (Iversen e Cusack 2000).

Inoltre, pare tuttora possibile implementare politiche economiche e sociali che ridistribuiscono la ricchezza e il rischio in modo da proteffere le potenziali vittime del mercato globale. Tali politiche possono essere positive per lo svilup-po economico, poiché forniscono beni collettivi che il mercato non può produr-re; ciò riguarda in special modo gli investimenti nel capitale umano e nelle infra-strutture. È soprattutto la letteratura sulle «varietà di capitalismo» che sottoli-nea l’importante contributo del welfare state ai regimi ad alta intensità di produ-zione (Hall e Soskice 2001a; Iversen e Soskice 2001). I lavoratori investono in quelle speciali abilità da cui dipendono i regimi ad alta intensità di produzione 

Page 27: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 27

nelle economie di mercato coordinate solo quando essi hanno una garanzia che i loro investimenti daranno un beneficio nel lungo termine. Generosi sussidi di disoccupazione che possano prendere in esame il precedente livello salariale e che possono essere corrisposti per periodi di tempo relativamente lunghi, così come generose norme sui pre-pensionamenti, assicurano che gli investimenti in speciali qualifiche non saranno persi anche in caso di disoccupazione. Allo stesso tempo, istituzioni globali del mercato del lavoro sono cruciali per evitare che gli impiegati sfruttino le politiche della protezione sociale e degli investimenti au-mentando le rivendicazioni salariali. Inoltre la stabilità sociale, politica ed eco-nomica di una nazione si rivela essere sempre più importante per le decisioni di investimento, in particolare per quegli investitori costretti a prendere decisioni in condizioni di incertezza e ad alto rischio (Garrett 1998: 130). Certezza e pre-vedibilità sono molto apprezzati in un’economia globale sempre più volatile e incerta (ma si vedano Huber e Stephens 2001; Stephens 2005: 63).

Dopo oltre dieci anni di dibattito circa gli effetti della globalizzazione sui ge-nerosi welfare state dell’Occidente, le ipotesi in competizione possono essere chiaramente distinte (Glatzer e Rueschemeyer 2005):

1. L’ipotesi della compensazione sostiene che i mercati tendono a disturbare le forme tradizionali della sicurezza sociale e a creare la necessità di politiche compensative che governi (democratici) possono fornire. Inoltre, le politiche sociali possono anche essere attività produttive in quanto stimolano una mi-gliore istruzione, una migliore formazione e una forza lavoro più in salute e contribuiscono allo sviluppo di una società meno conflittuale e più equa.

2. L’ipotesi dell’efficienza sostiene che la globalizzazione ostacola le politiche sociali. La competizione internazionale forza i governi nazionali a ridurre i costi ridimensionando tasse e politiche sociali. Poiché ciò che conta è la quota di costo dei salari per unità di prodotto, la competizione nel mercato mondia-le richiede un continuo miglioramento della produttività. Una ulteriore con-seguenza per le politiche sociali è che la globalizzazione incrementa il potere dei flussi di capitale sul lavoro e sul governo nazionale a causa della minaccia credibile del ritiro degli investimenti.

Geoffrey Garrett e David Nickerson (2005) hanno testato queste ipotesi in un’analisi comparata quantitativa. Esaminando la relazione tra spesa del gover-no, integrazione internazionale dei mercati e democratizzazione nei paesi a me-dio reddito, essi hanno scoperto una relazione positiva fra esposizione al merca-to mondiale e «grande» governo, ma hanno anche individuato che una prece-dente e rapida rimozione sui controlli dei capitali inibisce l’espansione dell’eco-nomia pubblica. Il risultato più importante, tuttavia, è che in questo processo la politica conta enormemente, in quanto la spesa pubblica è cresciuta solo nei pa-esi che sono diventati democrazie. Quindi, la «conseguenza della democratizza-zione e della globalizzazione, i due cambiamenti radicali nei paesi a medio red-

Page 28: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica28

dito fin dagli anni Ottanta, è stata quella di accelerare, anziché ritardare, la cre-scita della spesa pubblica in quei paesi» (Garrett e Nickerson 2005: 48).

Una conclusione simile per cui «la politica conta» è raggiunta da Huber e Stephens (2001) e ancora Stephens (2005) in uno studio sul welfare state nei paesi nord-occidentali. L’apertura dei commerci conduce all’espansione del wel-fare state solo sotto la leadership cristiano-democratica o socialdemocratica, ma non quando i partiti della destra laica sono al potere. I welfare state cristiano-democratici o socialdemocratici non erano solo compatibili con la competizione sul mercato mondiale ma, «nella misura in cui essi consentivano di frenare i sa-lari e fornivano beni collettivi apprezzati dai datori di lavoro, come la formazio-ne della forza lavoro, le politiche sociali generose contribuivano realmente alla competitività» (Stephens 2005: 70). Sono le impennate nella disoccupazione e i deficit di budget che causano i tagli alla spesa pubblica. Il restringimento del welfare state è dovuto alla globalizzazione solo nella misura in cui una crescente disoccupazione sia un effetto della globalizzazione. Tuttavia, questi effetti sono mediati dalla politica. Per quanto l’economia internazionalizzata indebolisca i welfare state, è nel processo di indebolimento che si trova la sua legittimazione politica e sociale.

Gli studi più recenti indicano che la politica e le istituzioni interne hanno no-tevoli conseguenze su come le pressioni della globalizzazione si fanno sentire nelle politiche sociali e nel welfare state. La globalizzazione non sempre indebo-lisce il welfare state. In condizioni politiche favorevoli, la crescente apertura può implicare lo sviluppo del welfare state, ma se tali condizioni sono assenti anche l’ipotesi della compensazione non riesce a essere convincente. Ciò rende gli esiti delle politiche di policy più dipendenti dalle prime lotte politiche. Gli esiti del welfare state sono soprattutto il risultato di una complessa interazione tra forze economiche internazionali e politica e istituzioni domestiche.

Le traiettorie attuali dello sviluppo delle politiche sociali si baseranno principalmente sulle condizioni all’interno dei paesi. I welfare state sono in prima istanza modellati dalla ricchezza delle nazioni, da rapporti stato-società e stato-economia e dai rapporti di forza all’interno dei paesi. Se questi fattori sono fondamentalmente mutati a causa dell’apertura internazionale dell’economia, dovremmo attenderci cambiamenti fon-damentali nelle politiche sociali di welfare (Glatzer e Rueschemeyer 2005: 215).

Anche alla luce delle pressioni internazionali, le politiche e le istituzioni dome-stiche restano cruciali per comprendere lo sviluppo delle politiche sociali.

7.2 Difesa del welfare: la politica del ridimensionamento

Le critiche sul tema della globalizzazione enfatizzano che i welfare state si sono rivelati notevolmente resistenti al cambiamento, nonostante le crescenti sfide che affrontano. Le sfide sono impressionati e il ridimensionamento e la riforma sono reali e importanti, tuttavia non si è osservato semplicemente la radicale 

Page 29: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 29

revisione o il crollo del welfare state che alcune delle teorie più speculative sulla globalizzazione si attendevano. Così, è stato formulato un nuovo, interessante enigma: com’è possibile che alla luce di tutte le pressioni al cambiamento le isti-tuzioni fondamentali del welfare state persistano (si vedano Green-Pedersen e Haverland 2002)?

Paul Pierson (1996: 178), che ha analizzato le politiche di ridimensionamento a livello dei singoli programmi, sosteneva che «gli attacchi frontali al welfare comportano rischi elettorali eccezionali» e che il ridimensionamento non do-vrebbe essere frainteso come l’immagine riflessa dello sviluppo del welfare sta-te. L’espansione del welfare ha di solito generato una politica popolare del cre-dito che rivendicava diritti sociali estesi e maggiori benefici per un numero cre-scente di cittadini, mentre le politiche di austerità sono un’offesa per gli elettori e le reti degli interessi organizzate. In altre parole, la riforma del welfare state tende a indurre un contraccolpo negativo e questo è stato impiegato per spiegare l’impressionante inerzia dei programmi sociali.

Il welfare state post-1945 ha prodotto anche un contesto istituzionale intera-mente nuovo. Una volta che i programmi di welfare, come gli alloggi popolari e le cure sanitarie, erano stati istituiti in modo solido, questi crearono il proprio bacino di clienti e di interessi professionali in modo specifico rispetto al pro-gramma. Di conseguenza, «l’emergere di potenti gruppi attorno a programmi sociali poteva rendere il welfare state meno dipendente da partiti politici, movi-menti sociali e organizzazioni del lavoro che espandevano in primo luogo i pro-grammi sociali» (Pierson 1996: 147); essi diventavano potenzialmente veto player nel gioco del ridimensionamento. Programmi sociali specializzati nelle aree di policy come gli alloggi popolari, le cure sanitarie, l’istruzione, l’assistenza pubbli-ca, la sicurezza sociale e la gestione del mercato del lavoro si sono infatti svilup-pati in domini di policy istituzionalmente separati e funzionalmente differenziati. Pertanto, un generale indebolimento dei partiti cristiano-democratici e socialde-mocratici e del movimento sindacale – i principali sostenitori politici dell’espan-sione del welfare state – non necessitava di tradursi in un proporzionale indebo-limento delle politiche sociali. La vecchia politica del welfare state è stata rim-piazzata da una nuova politica di difesa del welfare state. I bacini di clienti e di interessi professionali si sono sviluppati in potenti difensori dello status quo del welfare state e in principali fonti di controversie politiche riguardo alle riforme.

Sostenuti da legami forti e popolari a politiche specifiche, le reti professionali di policy sono in grado di radunare poteri di veto sostanziali contro gli sforzi ri-formisti. Inoltre, data la salienza politica e la popolarità delle politiche sociali, non è semplice trasformare una preferenza politica a favore dello «smantella-mento del welfare state» in un messaggio elettoralmente attraente. Spostare gli obiettivi dall’espansione al ridimensionamento impone «perdite tangibili su gruppi concentrati di elettori in cambio di guadagni incerti e diffusi» (Pierson 1996: 145). In media, «i difensori del ridimensionamento affrontano quindi uno scontro tra le loro preferenze di policy e le loro ambizioni elettorali» (Pierson 

Page 30: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica30

1996: 146). In un lavoro successivo, Pierson (2001b: 428) sottolinea che regimi di welfare differenti costituiscono assetti differenti per la «nuova politica» di rifor-ma del welfare state e riconosce che, in conseguenza di ciò, egli potrebbe avere sottostimato la continua salienza politica per la politica del welfare state della forza lavoro organizzata in alcuni regimi.

Per l’austerità e il ridimensionamento la politica e le classi sociali tradizionali possono contare sempre di meno, poiché una logica istituzionale, anziché politica, governa l’adattamento dei welfare state. Se questo è il caso, allora ha senso vol-gersi ancora alla prima generazione di ricerca «pre-politica» come fonte di ispira-zione per comprendere gli sviluppi correnti nella ristrutturazione del welfare sta-te. L’approccio della «logica dell’industrializzazione», ad esempio, suggerirebbe che l’invecchiamento della popolazione, uno dei collaterali dell’industrializzazio-ne, sia stato chiaramente uno dei fattori fondamentali che governano il ridimen-sionamento e la ristrutturazione recenti del welfare state. In questo senso, la vec-chia teoria è tuttora rilevante per le analisi correnti. Tuttavia, il cambiamento at-tuale è tanto socio-economico quanto demografico, anche solo a causa degli esi-stenti impegni istituzionali massicci verso le pensioni (Myles e Quadagno 2002: 51). Anche lo sviluppo post-industriale ha un insieme di «collaterali» nuovi, di cui i più importanti sono la crescente partecipazione femminile al mercato del lavo-ro, il cambiamento delle strutture familiari e i declinanti tassi di fertilità.

Vi è un’altra modalità tramite cui si può apprendere dall’approccio della «lo-gica dell’industrializzazione». Il rapido sviluppo economico non solo aveva cre-ato il bisogno dell’intervento del welfare state, ma anche le risorse per farlo. Elinor Scarbrough (2000) ha sottolineato come le tendenze associate allo svilup-po industriale (urbanizzazione, individualizzazione, cambiamenti nelle strutture familiari, crescente affidamento sul lavoro salariato) siano tuttora di primaria importanza e, quindi, rinforzano in modo continuo le necessità oppure generano nuove domande. Contemporaneamente, il benessere, il continuo (benché più lento) sviluppo economico e la ancora notevole capacità amministrativa dello stato, tutto ciò fornisce le risorse e i mezzi per il welfare state.

Scarbrough sostiene anche che i welfare state rappresentano tuttora appropria-te strategie per le élite per l’incorporazione politica e sociale rispetto a sviluppi come l’internazionalizzazione, la quale rinforza la minaccia dell’esclusione sociale. Vi sono «buone ragioni per presumere che l’intervento dello stato per assicurare qualche grado di sicurezza ed equità tra i cittadini rimane centrale per la coesione sociale e l’ordine politico» (Scarbrough 2000: 240). Il ruolo centrale che il welfare state svolge nell’integrazione sociale e nella costruzione della nazione è sottoline-ato da diversi studi recenti (ad esempio, Ferrera 2005; McEwen e Moreno 2005).

Nell’analisi di Esping-Andersen (1999), la post-industrializzazione conduce a seri scambi, in particolare tra la protezione di coloro che sono all’interno del mercato del lavoro e la creazione di opportunità per coloro che ne sono al di fuori e, più in generale, tra occupazione ed eguaglianza. Iversen e Wren (1998) identificano anche un trilemma post-industriale tra (1) vincoli di budget, (2) pa-

Page 31: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 31

rità salariale e (3) sviluppo dell’occupazione, dove solo due su tre di questi obiet-tivi di policy possono essere perseguiti con successo in modo simultaneo:

Dato che vincoli di budget precludono ogni rapida espansione dell’impiego nel setto-re pubblico, i governi che hanno sposato tale disciplina devono accettare una bassa parità nei guadagni per stimolare la crescita nell’impiego del settore privato, oppure affrontare una bassa crescita nell’occupazione complessiva. In alternativa, i governi possono perseguire parità nei guadagni e un’alta occupazione, ma possono farlo solo a spese dei vincoli di budget (Iversen e Wren 1998: 513).

7.3 Il welfare state che cambia

Come concettualizzare e operazionalizzare al meglio il cambiamento, la riforma e il ridimensionamento del welfare state? Questo «problema della variabile dipen-dente» (si vedano Green-Pedersen 2004; Kühner 2007) necessita di essere chiarito prima di rispondere alla domanda riguardo a quanto i welfare state siano realmen-te cambiati a partire dagli anni Ottanta. Alcuni (ad esempio, Pierson 1996), sulla base di dati di spesa aggregati, in particolare sui trasferimenti, hanno concluso che non vi sia stato un radicale smantellamento degli assetti di welfare state. Tuttavia, nell’analizzare l’organizzazione del settore pubblico, in particolare la fornitura di servizi sociali e lo sviluppo dell’impiego pubblico, Clayton e Pontusson (1998) han-no osservato che le riforme attuali (ridimensionamento) tendevano ad avere un’inclinazione anti-servizi che non era stata colta nello studio dei trasferimenti.

Pierson (2001) sosteneva che il cambiamento del welfare state non potesse essere misurato lungo una singola scala. Questo ridurrebbe il problema di ridi-mensionare e riformare il welfare state a una dicotomia «meno» contro «più» e «intatto» contro «smantellato», che è un’ingiustificata semplificazione teorica. Pierson propose di analizzare tre dimensioni di cambiamento del welfare state:

•  Rimercificazione: il tentativo di «restringere le alternative di partecipazione al mercato del lavoro, restringendo l’idoneità o tagliando i benefici» (Pierson 2001: 422), ossia rinforzando la frusta del mercato del lavoro.

•  Contenimento dei costi: il tentativo di mantenere budget equilibrati attraver-so politiche di austerità, incluse la riduzione del deficit e la moderazione delle tasse.

•  Ricalibrazione: «le riforme che cercano di rendere più consistenti i welfare state contemporanei rispetto a obiettivi contemporanei e domande di previ-denza sociale» (Pierson 2001: 425).

Pierson (2001) afferma poi che ciascun regime (socialdemocratico, liberale o conservatore) è caratterizzato dalla propria «nuova politica» specifica riguardo alla riforma del welfare state. Nel regime liberale, è meno probabile che gli elet-tori siano attaccati al welfare state: qui la rimercificazione è il tratto cruciale 

Page 32: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica32

della riforma del welfare state. Nel regime socialdemocratico, gli elettori sono molto attaccati e dipendenti dal welfare state; la rimercificazione non è molto inserita nell’agenda politica delle riforme ma, anche solo per le pure dimensioni del settore pubblico, lo è il contenimento dei costi. Il regime conservatore è il modello più inadeguato dei tre mondi dei capitalismi di welfare, ragione per cui la ricalibratura e il contenimento dei costi sono le due dimensioni riformiste che dominano; qui i temi riguardano come stimolare la crescita dei posti di lavoro nel settore sottosviluppato dei servizi e come contenere l’esplosivo costo di pen-sioni, disabilità e salute.

PUNTI CHIAVE

• Tuttiiregimidiwelfarestateaffrontanovariesfideeminacceinterneeinternazionali,mahannomostratounanotevolecapacitàdisopravvivere.

• Latesipercuilaglobalizzazionecostringeisistemidiwelfarearidimensionarsisem-braconvincente,maleproveempirichenonchiudonoildiscorso.

• Lapoliticaeleistituzioniinternecontanotuttorariguardoacomelepressionisulwel-farestatesonotradotteerespinte;ladisoccupazioneèunaminacciaimportante,men-trel’invecchiamentoponeunapressionemaggioresullasostenibilitàfinanziaria.

• Lariformadelwelfarestatesembraesserespecificaperregime:quelloliberaledàprioritàallarimercificazione,quelloconservatoresiconcentrasullaricalibraturaeilregimesocialdemocraticosipreoccupadelcontenimentodeicosti.

8 Conclusione

Le analisi istituzionali ed elettorali hanno fatto molta strada nello spiegare per-ché i welfare state siano stati in grado di resistere a radicali cambiamenti o rifor-me. Tuttavia, vi sono molti esempi empirici di cambiamenti sostanziali che sem-brano di grande importanza alla luce della teoria istituzionale tradizionale. Così, come e a quali condizioni è possibile eludere i meccanismi di sclerosi e resisten-za? Alcuni hanno avanzato delle risposte descrivendo meccanismi istituzionali specifici oppure condizioni politiche sotto le quali sia possibile una riforma so-stanziale (ad esempio, Kitschelt et al. 1999; Levy 1999; Bonoli 2000, 2001; Ross 2000; Green-Pedersen 2001; Kitschelt 2001; Swank 2001; Vis e van Kersbergen 2007), altri suggeriscono che i fattori ideativi, i discorsi (ad esempio, l’inquadra-mento) e l’apprendimento di policy possono prevalere sulla resistenza elettorale e istituzionale contro fondamentali riforme di policy (si vedano, Cox 2001; Green-Pedersen e Haverland 2002; Schmidt 2002; van Kersbergen 2002; Starke 2006). Nel decennio successivo o giù di lì, i ricercatori documenteranno empiricamente come i welfare state siano mutati in varie dimensioni, quali sono state le rispetti-ve cause e quali effetti o conseguenze seguono a tali cambiamenti.

Il welfare state resterà interessante nella scienza politica comparata, perché 

Page 33: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Welfare state 33

continuerà a influenzare profondamente la qualità di vita dei cittadini. La rifor-ma del welfare state è un processo politico in cui le lotte per il potere sono crucia-li, non solo per comprendere perché e come avvengono le riforme, ma anche per cogliere ciò a cui è interessata la politica stessa: chi ottiene cosa, dove e come. In questo senso, lo studio del welfare state continuerà a offrici questioni essenziali e senza fine nell’ambito della scienza politica comparata e dell’economia politica.

Domande

1.  Perché il welfare state è un tema importante per la scienza politica compa-rata?

2.  Perché un’attenzione esclusiva sul welfare state è fuorviante quando si ten-ta di capire come una nazione fornisca lavoro e benessere?

3.  Che cosa rende sociale un rischio?4.  I partiti di sinistra che hanno promosso l’espansione del welfare state sono 

anche i principali difensori del welfare state?5.  Quali processi non politici hanno stimolato lo sviluppo del welfare state?6.  Perché più si indirizzano i benefici solo verso i poveri e più si è interessati 

alla creazione di eguaglianza tramite trasferimenti pubblici a tutti, meno è probabile che si riducano povertà ed eguaglianza?

7.  Il welfare state riduce la povertà e la disuguaglianza?8.  Perché la globalizzazione non conduce necessariamente al ridimensiona-

mento del welfare state?9.  Perché i welfare state sono così resistenti?10.  Quali sono i tre mondi del capitalismo di welfare?

Ulteriori letture

Baldwin, Peter (1990) The Politics of Social Solidarity: Class Bases of the Euro-pean Welfare State 1875-1975 (Cambridge: Cambridge University Press). Un’analisi storica, meravigliosamente scritta, di come la solidarietà si sia pro-dotta entrando dalla «porta sul retro» e delle più importanti sfide imposte al modello socialdemocratico nello sviluppo del welfare state.

Esping-Andersen, Gøsta (1990) The Three Worlds of Welfare Capitalism (Ox-ford: Polity Press). Uno studio classico che introduce la tipologia dei regimi di welfare, un lavoro centrale di riferimento.

Flora, Peter, e Heidenheimer, Arnold J. (eds) (1981) The Development of Wel-fare States in Europe and America (New Brunswick, NJ e London:  Transac-tion Books. Uno dei primi lavori, ma tuttora molto rilevante, nella tradizione della teoria della modernizzazione, molto ricco di dati storici.

Hacker, Jacob S. (2002) The Divided Welfare State: The Battle over Public and

Page 34: 00470238215701 cap 17# - archivio.diocesidicremona.itarchivio.diocesidicremona.it/main/file/DOWNLOAD/SocioPolitico_2014... · formazione e dello sviluppo del welfare state, così

Scienza politica34

Private Social Benefits in the United States (New York: Cambridge University Press). Un’analisi molto informativa sulle politiche sociali statunitensi.

Huber, Evelyne, e Stephens, John D. (2001) Development and Crisis of the Wel-fare State: Parties and Politics in Global Markets (Chicago e London: Univer-sity of Chicago Press). Un libro molto comprensibile che combina compara-zioni quantitative e analisi di casi dettagliati e che dà la migliore panoramica attualmente disponibile sullo sviluppo dei welfare state.

Korpi, Walter (1983) The Democratic Class Struggle (London: Routledge and Kegan Paul). Lo studio che ha fondato in modo solido l’approccio socialde-mocratico/delle risorse del potere allo sviluppo del welfare state. 

O’Connor, Julia S., Orloff, Ann Shola, e Shaver, Sheila (1999) States, Markets, and Families: Gender, Liberalism and Social Policy in Australia, Canada, Great Britain and the United States  (New York: Cambridge University Press). Un’analisi del regime liberale da una prospettiva di genere.

Pierson, Paul (1994) Dismantling the Welfare State? Reagan, Thatcher, and the Politics of Retrenchment (Cambridge: Cambridge University Press). Perché è stato impossibile smantellare, anche per coloro che ci hanno veramente prova-to, il welfare state? L’argomento classico della nuova politica sul welfare state.

Rimlinger, Gaston V. (1971) Welfare Policy and Industrialization in Europe, Ame-rica and Russia (New York: John Wiley & Sons). Uno studio storico ancora rile-vante su come l’industrializzazione sia legata all’emergere del welfare state.

Scharpf, Fritz W., e Schmidt, Vivien A. (eds) (2000) Welfare and Work in the Open Economy, I From Vulnerability to Competitiveness, II Diverse Respon-ses to Common Challenges (Oxford: Oxford University Press). Un libro note-vole che raccoglie sofisticati saggi teorici e apprezzabili studi di paesi su come i welfare state si adeguino all’ambiente sociale ed economico in mutamento.

Siti internet

www.sp.uconn.edu/~scruggs/wp.htm  Il dataset di Scruggs sui diritti del welfare state.www.lisdatacenter.org  Database del Luxembourg Income Study.www.ssa.gov/international/links.html  Sicurezza sociale in altri paesi, sicurezza sociale online.www.ilo.org  Sito dell’Organizzazione internazionale del lavoro.www.oecd.org  Pagina internet dell’OECD.www.bertelsmann-stiftung.de  Le pubblicazioni e gli studi della fondazione Bertelsmannstiftung sulle rifor-

me delle politiche sociali.