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GIULIA MALLONE IL SECONDO WELFARE IN ITALIA: ESPERIENZE DI WELFARE AZIENDALE A CONFRONTO WP-2WEL 3/13 In partnership con

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GIULIA MALLONE

IL SECONDO WELFARE IN ITALIA: ESPERIENZE DI WELFARE AZIENDALE A CONFRONTO

WP-2WEL 3/13

In partnership con

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© 2013 Giulia Mallone e 2WEL • Centro Einaudi

Giulia Mallone si è laureata in Scienze internazionali e istituzioni europee presso l’Università degli Studi di Milano, e ha conseguito la laurea magistrale in Econo- mics and Political Science (MA) presso la stessa Università con una tesi sulle espe-rienze di welfare aziendale e territoriale in Italia dal titolo Beyond the Welfare State: Occupational Welfare in Italy. Dall’aprile 2011 fa parte del gruppo di ricerca del pro-getto Percorsi di secondo welfare; da ottobre 2012 è iscritta al programma di dot-torato di ricerca in Labour Studies presso la Graduate School in Social and Poli- tical Sciences dell’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato recentemente Il welfare aziendale in Italia: una risposta ai nuovi bisogni sociali? (in M. Bray e M. Gra-nata, a cura di, L’economia sociale: una risposta alla crisi, 2012), Secondo welfare e imprese: quali prospettive? (con F. Maino, in «La rivista delle politiche sociali», 2012, n. 3) e Rise in Occupational Welfare Benefit Schemes (con F. Maino, in «European Industrial Relations Observatory On-line», febbraio 2012).

e-mail: [email protected] Il progetto Percorsi di secondo welfare, diretto da Franca Maino (Dipartimento di Scienze sociali e politiche, Università di Milano) con la supervisione scientifica di Maurizio Ferrera (Centro Einaudi e Università di Milano), è realizzato dal Centro Einaudi in partnership con ANIA, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariplo, Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, Fondazione Cassa di Risparmio di Pado-va e Rovigo, Fondazione con il Sud, KME Group, Luxottica e Corriere della Sera. Avviato nel maggio 2011 con l’obiettivo di ampliare e approfondire il dibattito sulle trasformazioni dello stato sociale in Italia, il progetto guarda in particolare alle mi-sure e alle iniziative cosiddette di «secondo welfare» (realizzate cioè da soggetti pri-vati: imprese, fondazioni, associazioni, enti del terzo settore). L’attività è costruita a partire da una raccolta sistematica di dati volta a caratterizzare e monitorare le espe-rienze in corso. Ricognizione e analisi dell’esistente sono infatti essenziali per pro-muovere valutazioni d’impatto capaci di fornire uno stimolo non solo al dibattito ma alla concreta promozione del secondo welfare. Nell’autunno 2011 è stato aperto un sito web – www.secondowelfare.it –, raggiun-gibile anche dal sito www.centroeinaudi.it. È attiva una newsletter informativa e, dalla fine del 2012, viene pubblicata una serie di Working Papers. Un rapporto finale uscirà nell’autunno del 2013.

2WEL, Percorsi di secondo welfare • Centro Einaudi Via Ponza 4 • 10121 Torino

telefono +39 011 5591611 • e-mail: [email protected] www.secondowelfare.it • www.centroeinaudi.it

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INDICE

IL SECONDO WELFARE IN ITALIA: ESPERIENZE DI WELFARE AZIENDALE A CONFRONTO

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1. Introduzione 5

2. La crisi del welfare state tradizionale e il «secondo welfare» 5

3. Le imprese nel secondo welfare 6

4. Il ruolo degli attori nel cambiamento istituzionale 8

5. Il welfare aziendale in Italia: casi a confronto 5.1. Luxottica 5.2. KME 5.3. SEA Aeroporti Milano 5.4. ATM Azienda Trasporti Milanesi

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6. L’analisi dei processi: il ruolo degli attori nel cambiamento istituzionale 13

7. Interessi, istituzioni, idee: lo schema interpretativo 17

8. Riflessioni conclusive 19

Riferimenti bibliografici 20

PAROLE CHIAVE

welfare, secondo welfare, welfare aziendale, PMI, governi locali, conciliazione famiglia-lavoro

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ABSTRACT

IL SECONDO WELFARE IN ITALIA: ESPERIENZE

DI WELFARE AZIENDALE A CONFRONTO I sistemi di welfare dei paesi europei sono stati sottoposti, a partire dagli anni Set-tanta, a una serie di pressioni di carattere economico e sociale che ne hanno dram- maticamente minato i presupposti e le prospettive di medio e lungo periodo. L’Ita- lia, insieme agli Stati dell’Europa meridionale, presenta ancora oggi un sistema di welfare disfunzionale in termini di distribuzione dei costi per aree di intervento e categorie di beneficiari. È in questo contesto che si sviluppa il dibattito sul «secon-do welfare», un welfare privato che non si sostituisce allo stato sociale ma ne inte-gra i servizi cercando un «incastro virtuoso». Un ruolo importante nello sviluppo del secondo welfare è occupato da aziende e parti sociali. Se i progetti di welfare aziendale su base territoriale iniziano a essere studiati e implementati per dare la possibilità alle PMI di offrire servizi di welfare ai propri dipendenti, le esperienze più diffuse e consolidate sono quelle portate avanti all’interno delle grandi imprese. L’analisi empirica si concentra proprio sulle grandi realtà aziendali, cercando da un lato di «mappare» i benefit più utilizzati e identificare le aree invece scoperte, dal- l’altro di ricostruire i processi che favoriscono il cambiamento attraverso lo studio del comportamento degli attori coinvolti. Le conclusioni prestano infine particola-re attenzione alle dinamiche che guidano il cambiamento, evidenziando come le diverse combinazioni di fattori scatenanti e facilitanti portino a risultati più o meno soddisfacenti in termini di assetto e governance dei sistemi.

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IL SECONDO WELFARE IN ITALIA: ESPERIENZE DI WELFARE AZIENDALE A CONFRONTO

1. INTRODUZIONE

La necessità di «ricalibrare» il welfare state pubblico, resa ancor più impellente dal-la recente crisi economica, spinge i governi europei a implementare politiche di contenimento dei costi che si scontrano drammaticamente con l’aumento dei bisogni sociali della popolazione. In questo contesto, altri soggetti hanno fatto il proprio ingresso nell’arena del welfare per contribuire con risorse – economiche, ma anche organizzative e relazionali – all’integrazione dei servizi lasciati scoperti dallo Stato che «si ritira». Un dibattito, quello sul «secondo welfare», che marca con forza la distinzione tra privatizzazione dei servizi e costruzione di un nuovo siste-ma di governance in grado di coinvolgere al tempo stesso attori pubblici e privati. Tra i soggetti del secondo welfare spicca, per capacità finanziarie e gestionali, il mondo imprenditoriale, attraverso l’offerta di welfare aziendale per i lavoratori. Questo paper, che prende in considerazione quattro casi di grandi imprese italiane che hanno introdotto sistemi di benefit per i dipendenti, è finalizzato a compren-dere le dinamiche e i diversi ruoli degli attori coinvolti nell’implementazione dei programmi di welfare aziendale. Grazie alla ricostruzione dei processi aziendali che hanno portato al cambiamento – svolta attraverso numerose interviste con rappre-sentanti sindacali e datoriali – è possibile individuare una serie di fattori che di volta in volta causano, influenzano, e talvolta impediscono il cambiamento istitu-zionale. 2. LA CRISI DEL WELFARE STATE TRADIZIONALE E IL «SECONDO WELFARE»

Dopo la grande espansione del welfare state nei paesi europei, iniziata con la fine della seconda guerra mondiale e alimentata dalla straordinaria crescita economica di quegli anni, la crisi energetica degli anni Settanta ha segnato l’inizio del periodo che Paul Pierson (2001) ha definito dell’«austerità permanente». Una fase caratte-rizzata dalla necessità di contenere la spesa pubblica, ma allo stesso tempo dal- l’emergere di nuovi rischi sociali derivanti da profondi cambiamenti culturali, de-mografici ed economici. I governi europei hanno dovuto esercitarsi in quella che

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Maurizio Ferrera e Anton Hemerijck (2003) hanno chiamato la «ricalibratura» dei propri sistemi di welfare, senza però compromettere la relazione con gli elettori. Mentre alcuni, primi tra tutti i paesi nordici, sono riusciti a combinare politiche rigorose con un welfare generoso e di stampo universalistico, altri, tra cui l’Italia, stanno ancora cercando di correggere gli squilibri di un sistema di protezione sociale disfunzionale in termini di copertura e ripartizione della spesa per settori (Ferrera 2010a). La crisi che dal 2008 ha colpito duramente le economie europee ha poi contribuito all’espansione dei nuovi rischi sociali (Greve 2012). Basti considerare che il tasso di disoccupazione – al 10,8 per cento in Italia – raggiunge tra le donne il 12 per cento e per i giovani addirittura il 35,9 per cento (fonte: Istat, dati giugno e marzo 2012), testimoniando come queste categorie siano svantaggiate e sottotutelate nel mondo del lavoro, a fronte di una popolazione anziana che cresce più che nel resto d’Eu- ropa. Secondo l’Eurostat gli ultraottantenni – che nel 2030 saranno in Italia l’8 per cento della popolazione, contro una media europea del 6,5 per cento – già oggi necessitano di cure mediche che non sempre riescono a ottenere a causa dei costi, della mancanza di strutture facilmente accessibili e delle lunghe liste di attesa (da-tabase EU-SILC). È in questo panorama che si è sviluppata, sui quotidiani e nel dibattito pubblico, l’idea di un «secondo welfare» alimentato dalla cooperazione dei diversi soggetti, pubblici e privati, che vivono e operano sul territorio e nelle co-munità locali. Contributi come quelli pubblicati sul «Corriere della Sera» a firma di Dario Di Vico (2010a, 2010b) e di Maurizio Ferrera (2010b, 2012) hanno dato inizio alla riflessione circa l’opportunità di promuovere un nuovo welfare mix carat-terizzato dall’ingresso di attori privati come fondazioni, volontariato, sindacati, associazioni datoriali, assicurazioni, cooperative e aziende nell’«arena del welfare»1. Mezzi aggiuntivi che possono, in partnership con gli enti locali e attraverso un forte radicamento territoriale, contribuire a dare risposte a nuovi e vecchi bisogni, specialmente di fronte all’arretramento del welfare state pubblico (Ferrera e Maino 2012). 3. LE IMPRESE NEL SECONDO WELFARE

Tra i protagonisti del secondo welfare un ruolo importante può essere rivestito dalle imprese, che hanno potenzialità in termini di risorse economiche e organizza-tive per implementare quelle politiche aziendali a favore della sostenibilità – sociale e ambientale – che rientrano oggi nell’ampio concetto di corporate social responsibility (European Commission 2001). Il welfare aziendale è generalmente inteso come l’insieme di benefit e servizi, for-niti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorati-

1 Per approfondire i concetti di welfare mix e privatizzazione del welfare cfr. Ascoli e Ranci (2002).

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va, che vanno dal sostegno al reddito familiare, allo studio e alla genitorialità, alla tutela della salute, fino a proposte per il tempo libero e agevolazioni di carattere commerciale2. Spazio crescente all’interno delle aziende, ma anche nelle ammini-strazioni pubbliche, è occupato dalla sfera del work-life balance

3. Le politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro – questione che colpisce drammatica-mente le donne italiane – iniziano ad acquisire rilevanza all’interno del dibattito pubblico. Le lavoratrici, «divise» tra lavoro e compiti di cura dei figli e – sempre più spesso – dei genitori anziani, si trovano ancora troppo frequentemente costret-te a rinunciare al posto di lavoro a causa della mancanza di un’offerta adeguata di servizi4. Tanti sono gli studiosi che, da Richard Titmuss (1958) in poi, hanno ipotizzato gli effetti perversi dell’espansione del welfare occupazionale, che copre cioè i lavo- ratori sulla base del settore industriale di appartenenza. Misure di welfare offerte ad alcuni in virtù dello status professionale possono infatti favorire lo sviluppo di un welfare state pubblico residuale destinato solo agli indigenti, e aumentare così quella frammentazione sociale tra insiders e outsiders che in Italia è già accentuata. Proprio per questo è necessario che l’iniziativa privata in campo sociale sia effica-cemente inserita in un quadro normativo che consenta quello che Ferrera (2005) chiamerebbe l’«incastro virtuoso» delle diverse soluzioni all’interno di un modello di governance multi-attore e multilivello, che non può tuttavia fare a meno della par-tecipazione del pubblico come supervisore, coordinatore e regolatore. Elemento centrale per la diffusione del welfare aziendale sono infatti le politiche fiscali: gli articoli 51 e 100 del Testo unico delle imposte sui redditi dispongono sgravi e age-volazioni che rendono l’offerta di beni e servizi da parte del datore di lavoro più conveniente del tradizionale aumento in busta paga. In aggiunta al ruolo dello Sta-to, il coinvolgimento delle parti sociali è necessario per la diffusione di una nuova idea di welfare e servizi alla famiglia come legittima integrazione del salario, spe-cialmente in questo momento di grave crisi finanziaria. L’intervento dei rappre- sentanti dei lavoratori conferisce legittimità al sistema, ed è garanzia di continuità rispetto a quelle che erano, nella tradizione industriale italiana, politiche aziendali concepite più spesso come «dono» di stampo paternalistico5. Pratiche che in passa-to erano riconducibili alla volontà della proprietà di fidelizzare i dipendenti – spes-so nel tentativo di «addolcire» le maestranze più combattive di fronte a processi di riorganizzazione del lavoro – sono entrate oggi nella contrattazione collettiva e aziendale. Tra le diverse formule adottate, la crisi ha favorito lo sviluppo di solu-zioni parzialmente «autofinanziate», che coinvolgono i dipendenti in prima perso- 2 Per una definizione di welfare aziendale si vedano anche Titmuss (1958) e Greve (2007). 3 Per approfondire il tema della conciliazione famiglia-lavoro in Italia si rimanda a Graziano e Mada-ma (2011). 4 La rilevanza del tema della conciliazione a livello nazionale è stata recentemente dimostrata dal- l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del Piano nazionale per la famiglia. Il piano costituisce un primo tentativo di fornire linee di indirizzo omogenee in merito alle politiche familiari ispirato alle numerose iniziative dell’Unione Europea nel segno della valorizzazione della famiglia (Canale 2012; Vi-sentini 2012; Gatti, Omodei e Papetti 2012). 5 Per approfondire il fenomeno del paternalismo industriale in Italia si rimanda ad Amatori (1980) e Benenati (1993, 1999).

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na nel raggiungimento di livelli di produttività, cui sono associati bonus «in welfa-re» come convenzioni e voucher per prestazioni mediche e socio-sanitarie di assi-stenza a minori, anziani e disabili, nonché sostegno al reddito familiare sotto forma di polizze assicurative e rimborsi scolastici. La conversione del premio di risultato in beni e servizi incentiva da un lato il coinvolgimento attivo dei lavoratori nel rag-giungimento di determinati obiettivi aziendali, dall’altro sfrutta le agevolazioni for-nite dalla normativa fiscale. Lo sviluppo del welfare aziendale è, in ultima analisi, il risultato dell’interazione di diversi attori – primi tra tutti imprese, istituzioni e parti sociali – all’interno di dinamiche spesso complesse e in un panorama di relazioni industriali non sempre fertile per lo sviluppo di strumenti di welfare alternativi. 4. IL RUOLO DEGLI ATTORI NEL CAMBIAMENTO ISTITUZIONALE

La letteratura accademica che studia la relazione tra le preferenze degli attori eco-nomici e sociali e i processi di policy-making ha evidenziato l’esistenza di diverse dinamiche – da cui dipendono diversi risultati in termini di policy – e ha mostrato l’influenza di una molteplicità di stakeholders, ciascuno dei quali portatore di pro- pri interessi e preferenze, che possono collaborare o confrontarsi nell’arena del welfare. Iniziativa e influenza dei soggetti e dei gruppi di interesse sono state ampiamente considerate nel tentativo di spiegare i processi di espansione e retrenchment del wel-fare state. Secondo Paul Pierson (1994, 2001) l’espansione del welfare state ha generato nuovi gruppi di interesse, come i beneficiari e i dipendenti pubblici, che giocano un ruolo cruciale nello scoraggiare i tagli al welfare, indipendentemente dal fatto che vengano suggeriti da esponenti di destra o di sinistra. Il neoistituzio-nalismo propone infatti l’idea che il cambiamento istituzionale sia path-dependent, e cioè influenzato dall’eredità delle istituzioni già esistenti. Le scelte passate incidono quindi sulle decisioni presenti e future proprio perché il funzionamento del ciclo elettorale e la tendenza alla mobilitazione dei gruppi interessati inducono i politici a valutazioni di breve periodo. Altri autori hanno spiegato la centralità delle divisioni politiche e ideologiche (Al-lan e Scruggs 2004, Korpi e Palme 2003). La teoria delle risorse di potere legge le politiche di welfare come un’arena di conflitto tra gruppi legati a diverse tradizioni politiche e di classe, ponendo l’accento sul ruolo determinante della coscienza ope-raia e sindacale nello sviluppo del welfare state (Korpi 2006). L’approccio employer-centered si concentra al contrario sul contributo politico degli imprenditori nella formazione del welfare state, erroneamente ignorato per focalizzarsi esclusivamen-te sulle interazioni tra Stato e sindacato «come se ci trovassimo in un mondo im-maginato senza aziende» (Mares 1997, 300). E anche laddove gli interessi delle

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imprese siano stati presi in considerazione, si è trattato di affermare a priori l’av- versione degli imprenditori per qualsiasi sviluppo nel campo della protezione sociale (Mares 2003). È importante invece ricordare che l’influenza dei compor- tamenti e delle preferenze del settore produttivo sulle scelte politiche – come ad esempio negli studi sulla dipendenza strutturale dello Stato dal capitale – è stata in più occasioni riscontrata (Swank 1992, Przeworski e Wallerstein 1988). Alcuni studiosi hanno infine interpretato un dato assetto politico ed economico come il risultato degli interessi che hanno prevalso in quella specifica circostanza, delle istituzioni preesistenti, del potere generativo delle idee all’interno dei rapporti tra gli attori coinvolti (cfr. Hall 1997, Kaelberer 2002, Horowitz e Heo 2001). Se da un lato la letteratura sulla formazione del welfare state non ha affrontato ade-guatamente il ruolo del mondo imprenditoriale, l’approccio employer-centered non si è soffermato sulla natura del coinvolgimento imprenditoriale, omettendo ad esem-pio di distinguere il consenso dall’iniziativa. Le «tre i» – interessi, istituzioni, idee – possono invece contribuire all’analisi del cambiamento istituzionale inteso come prodotto dell’interazione fra le tre dimensioni comunicanti. L’analisi empirica dei quattro casi scelti si presta a questa ultima interpretazione, e sembra confermare l’idea del cambiamento istituzionale come prodotto di fattori scatenanti e incenti-vanti. Questi possono essere identificati proprio negli interessi, intesi come necessità e strategie aziendali, nelle istituzioni, definite come l’eredità delle strutture preesi-stenti, e nelle idee, che si diffondono e che variano in base al clima aziendale e alle diverse influenze culturali presenti. La figura 1 presenta lo schema interpretativo elaborato per l’analisi dei processi di creazione e modernizzazione dei sistemi di welfare aziendale.

Figura 1 • Interessi, istituzioni, idee: uno schema interpretativo

Lo schema evidenzia come il cambiamento, il cui elemento scatenante è costituito dagli interessi degli imprenditori, sia agevolato e al tempo stesso condizionato nel risultato finale dall’esistenza di istituzioni preesistenti, e spinto infine dalla presen-za di diverse influenze culturali. La parte conclusiva della ricerca cercherà di appli-care l’interpretazione offerta ai quattro casi trattati.

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5. IL WELFARE AZIENDALE IN ITALIA: CASI A CONFRONTO

L’analisi empirica si basa sull’esperienza di quattro grandi imprese italiane al fine di ricostruire i processi di costituzione e rinnovamento dei rispettivi sistemi di wel- fare aziendale alla luce delle interazioni tra i diversi attori coinvolti nonché di de-scrivere e valutare i risultati finali in termini di nuovi assetti di governance. Mentre Luxottica e KME sono imprese private accomunate dall’influenza paternalistica e dalla predominanza del ruolo dell’imprenditore, ATM e SEA nascono come azien- de pubbliche per la fornitura di servizi alla cittadinanza e condividono la tradizione di welfare bilaterale e di coinvolgimento sindacale.

5.1. Luxottica

Uno dei primi esempi di offerta di welfare collegata ai risultati aziendali è costituito dall’ormai famosissimo «pacchetto welfare» destinato ai dipendenti del gruppo Luxottica. A differenza dei più tradizionali sistemi di benefit – modulati in base alla posizione ricoperta e per lo più destinati ai ruoli dirigenziali – il welfare azien-dale di Luxottica nasce dalla volontà di integrare i salari più bassi coprendo i biso-gni primari delle famiglie di operai e impiegati. Il pacchetto – che comprende il «carrello della spesa», la polizza di assicurazione sanitaria, il rimborso dei libri di testo e diverse borse di studio – è elaborato all’interno di un Comitato di Gover-nance composto in misura paritetica da azienda e parti sindacali, e le risorse a di-sposizione sono stabilite sulla base di un indicatore collegato all’aumento della qualità nella produzione. L’indice di qualità concordato dai membri del Comitato di Governance conferma il successo dell’iniziativa: dall’introduzione del sistema di welfare aziendale nel 2009 a oggi la qualità della produzione ha continuato a mi-gliorare attraverso riduzione degli scarti, minore assenteismo e maggiore attenzio-ne all’efficienza dei processi6. L’ultimo contratto integrativo aziendale, firmato il 17 ottobre 2011, presenta poi nuove misure di work-life balance per i dipendenti degli stabilimenti produttivi: la «banca ore», il permesso di paternità retribuito fino a cinque giorni, più flessibilità nella gestione della presenza e part-time. Il «job sharing familiare» prevede poi per il coniuge e i figli la possibilità di sostituire il dipendente per un periodo, così da permettergli di assentarsi per studio, lavoro stagionale o motivi di salute e persona-li senza sacrificare la capacità reddituale del nucleo familiare. Il contratto rileva l’esigenza di migliorare ulteriormente la performance aziendale con più innovazio-ne, attenzione ai processi, flessibilità nella turnistica. È evidente la volontà del ma-nagement di «dare qualcosa in cambio» ai propri dipendenti di fronte alla richiesta di una significativa riorganizzazione del ciclo produttivo, e di alimentare quel clima costruttivo tra azienda e rappresentanti dei lavoratori che da tempo caratterizza le relazioni industriali del gruppo Luxottica. Si tratta di una strategia lungimirante di trasformazione dell’approccio paternalistico in un sistema condiviso, che favorisca

6 Per approfondire il funzionamento e i risultati del programma welfare di Luxottica si rimanda a Salomoni (2011) e Mallone (2011, 2012).

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il coinvolgimento attivo della forza lavoro al raggiungimento dei risultati e faccia percepire i cambiamenti in atto come legittimi anziché imposti unilateralmente. Se da un lato l’inclusione del welfare in un accordo sindacale vincola l’azienda all’im- pegno preso ben più che nel caso di iniziativa unilaterale, dall’altro la condivisione con i rappresentanti dei lavoratori è necessaria perché questi ultimi recepiscano i termini della contrattazione come frutto di negoziazione: un elemento essenziale per l’impresa quando l’introduzione di welfare aziendale è accompagnata, o addi-rittura causata, dall’implementazione di misure di ristrutturazione aziendale.

5.2. KME

Una situazione molto diversa per condizioni e risultati raggiunti è quella di KME, azienda fondata con il nome di SMI nel 1886. Gli stabilimenti dell’antica Società Metallurgica Italiana sono tuttora considerati tra gli esempi più riusciti del feno-meno dei «paesi-fabbrica», insediamenti produttivi attrezzati, per volontà della proprietà, a fornire tutti i servizi necessari alla vita dei dipendenti e delle loro fami-glie. Ancora oggi a Campo Tizzoro, piccolo centro in provincia di Pistoia, si tro-vano le strutture che ospitavano le scuole, i luoghi ricreativi, i servizi sanitari e le abitazioni per i dipendenti fatti costruire dai proprietari, all’epoca la famiglia Or-lando. L’antica tradizione paternalistica della città-fabbrica costituisce una solida base di partenza per l’ammodernamento del sistema di welfare aziendale, trascurato negli ultimi decenni a seguito della diffusione dei servizi sul territorio e della facilità de-gli spostamenti. È stato con l’arrivo di Enzo Manes, a capo del gruppo KME dai primi anni Duemila, che si è concretizzata l’intenzione di utilizzare quell’eredità di «attenzione alle persone». L’apertura di Dynamo Camp – un campo estivo per bambini affetti da patologie gravi e croniche sorto all’interno di una vecchia fab-brica del gruppo, e per la cui realizzazione le strutture di KME sono state impe-gnate per circa un anno fornendo costante supporto finanziario, logistico e ammi-nistrativo – ha costituito il primo passo. Dynamo Camp, operativo dal 2007, rappresenta oggi un riuscitissimo esempio di imprenditoria sociale sostenibile e qualificante per il territorio circostante e la sua comunità. Il successo del progetto ha alimentato riflessioni circa l’opportunità di rinnovare strutture e servizi a bene-ficio dei lavoratori che si sono però presto scontrate con la realtà delle relazioni industriali del gruppo. Nonostante il management avesse da tempo preso a studia-re nuove iniziative di welfare – alcune già predisposte a titolo sperimentale negli uffici di Firenze –, nessuna di queste ha raccolto il consenso formale dei rappre-sentanti sindacali. Le proposte di welfare da parte dell’azienda hanno infatti coinci-so con l’aggravarsi della crisi economica, che ha colpito in maniera diretta le realtà degli stabilimenti. Se per i sindacati, con la FIOM maggioritaria negli impianti, la scelta di non appoggiare l’offerta di servizi ai dipendenti è motivata dalla diffidenza verso la strategia aziendale e dalla paura che KME voglia costruirsi un «alibi» per non intervenire su altri fronti, il management ha invece dimostrato di comprende-re la delicatezza del tema, decidendo di non forzare l’implementazione unilaterale del welfare. Nonostante le eccellenti premesse in termini di tradizione aziendale,

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«accese» dall’arrivo di Manes alla guida del gruppo, la difficile relazione con i sin-dacati non ha reso possibile lo sviluppo di una governance condivisa e ha anche avu-to ripercussioni indirette sul comportamento aziendale.

5.3. SEA Aeroporti Milano

Come spesso avveniva nelle società pubbliche, i programmi di welfare per i dipen-denti SEA – la società fondata nel 1948 per la gestione del sistema aeroportuale milanese – hanno iniziato a essere istituiti, dagli anni Settanta in poi, attraverso ac-cordi tra azienda e sindacati. Alcuni benefit venivano erogati direttamente in azien- da, altri affidati ai due CRAL (Circoli Ricreativi Aziendali Lavoratori) e gestiti dai rappresentanti dei dipendenti.Il susseguirsi degli accordi – che hanno disposto anche la Cassa Sanitaria, il Fondo Pensioni, il part-time per le mamme e la flessibi-lità degli orari, nonché i permessi extra per ragioni di salute (arricchiti da una serie di benefit offerti dall’azienda) – ha alimentato un sistema di welfare complesso e talvolta «disordinato» di cui era ormai diventato difficile ricostruire tappe e moda- lità istitutive. L’occasione per la ristrutturazione del sistema – a seguito della map-patura dei servizi in essere e della somministrazione di un questionario per indivi-duare i bisogni dei lavoratori – si è presentata nel 2008, quando la società è stata scossa dall’improvviso de-hubbing di Alitalia. L’evento, che ha causato una netta ri-duzione del traffico aereo e ha forzato l’attuazione di una vasta e dolorosa riorga-nizzazione aziendale, ha posto chiaramente la necessità di individuare un sistema più efficiente e dunque in grado di offrire di più in un momento di grave incertez-za economica per i lavoratori. Il lungo e talvolta deciso confronto con i sindacati, iniziato nel 2009, ha portato nel settembre 2011 alla firma di un contratto integra-tivo aziendale che rinnova radicalmente il sistema di welfare attraverso la creazione di una governance congiunta per la gestione dei servizi per i dipendenti, i pensionati e i familiari a carico. Grazie al rinnovamento del sistema e all’istituzione dell’Asso- ciazione NoiSea per la gestione unica del welfare, i dipendenti beneficiano di un sistema di prestazioni che, a differenza delle iniziative per il benessere dei lavorato-ri introdotte e gestite unilateralmente dall’azienda, è ben più solido e difficile da modificare in caso di eventi come un cambio alla guida della compagnia. Con l’accordo del 2011 i sindacati hanno accettato la fusione dei CRAL all’interno della nuova Associazione, mentre l’azienda ha mantenuto nella nuova gestione congiun-ta anche le iniziative unilateralmente introdotte nel corso degli anni. L’unico nodo ancora da sciogliere riguarda l’accordo tra SEA e sindacati per la determinazione del finanziamento aziendale alla nuova Associazione, in fase di definizione da di-versi mesi.

5.4. ATM Azienda Trasporti Milanesi

ATM Azienda Trasporti Milanesi è una società per azioni, di proprietà del Comu-ne di Milano, nata nel 1931 per la gestione del trasporto pubblico in città e provin-cia. Già negli anni Venti, con la vecchia Azienda Tranviaria Municipale, i dipen-denti disponevano di strutture come la Cassa Speciale di Previdenza e la Cassa di Soccorso e Malattia. In quegli stessi anni il Sindacato Tranvieri Urbani iniziava a

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organizzare le prime colonie estive per i lavoratori, finché nella seconda metà degli anni Settanta azienda e sindacati hanno firmato gli accordi costitutivi di Ge.S.A.I. (Gestione Servizi Assistenziali Integrativi) e G.T.L. (Gestione Tempo Libero) per l’offerta di servizi socio-sanitari e ricreativi. Nel 1997 le parti hanno concordato sull’opportunità di fondere le due gestioni in un’unica organizzazione per l’ammi- nistrazione dei servizi e degli immobili di proprietà dell’azienda destinati ai lavora-tori. Il processo si è concluso con la creazione, nel dicembre del 1997, della Fon-dazione ATM, presieduta da un consiglio di amministrazione composto da quattro membri eletti dai lavoratori e tre nominati dall’azienda. Sono automaticamente iscritti tutti i lavoratori e i pensionati aderenti al fondo sanitario aziendale, insieme con i familiari a carico. Nonostante la Fondazione copra una vasta gamma di bisogni – dalle spese sanita-rie e nelle strutture di degenza alla consulenza legale e psicologica e fino all’abita- re –, l’allora presidente dell’azienda Elio Catania ha spinto il Dipartimento Risorse Umane a continuare a lavorare sui temi del welfare e della conciliazione famiglia-lavoro. ATM ha così realizzato negli anni successivi numerosi servizi come l’asilo nido aziendale, campagne di prevenzione medica e piani di flessibilità per i genito-ri. L’impegno di Catania è culminato nel 2005 con la costituzione di una specifica funzione dedicata ai servizi sociali all’interno del Dipartimento HR, composta da diverse figure professionali tra cui alcuni psicologi, molto apprezzati all’interno del team. Le iniziative studiate dal team multidisciplinare rientrano nell’amministra- zione esclusiva dell’azienda: una situazione delicata, che ha causato qualche attrito con i rappresentanti sindacali. La strategia di empowerment seguita dal management si basa infatti su un «patto di reciprocità» che lega l’azienda al singolo dipendente, il quale accetta l’aiuto necessario a risolvere il propri problemi economici e/o fa-miliari – che possono sfociare in situazioni drammatiche come l’abuso di alcol e droghe – in termini di investimento aziendale sull’individuo come risorsa umana. Il focus sul singolo si scontra con l’ideologia tipica del sindacato, che mira a ottenere diritti diffusi ed esigibili da tutti i lavoratori (o almeno da intere categorie). La stra-tegia aziendale punta invece alla diffusione di una più «flessibile» e «sostenibile» idea dei benefici, non statici e acquisiti bensì legati al ciclo di vita e ai bisogni tran-sitori degli individui. Un’idea che, nonostante il grado di discrezionalità del mana-gement difficilmente accettabile da parte dei rappresentanti dei lavoratori, non è a oggi sfociata in un conflitto, grazie probabilmente a quelle buone relazioni indu-striali coltivate nell’ambito della gestione condivisa della Fondazione ATM.

6. L’ANALISI DEI PROCESSI: IL RUOLO DEGLI ATTORI

NEL CAMBIAMENTO ISTITUZIONALE Il paper ha analizzato i sistemi di welfare aziendale implementati in quattro grandi imprese italiane. Due, Luxottica e KME, sono società private e sviluppate a livello internazionale, mentre le altre due, ATM e SEA, nascono come aziende pubbliche per la fornitura di servizi alla cittadinanza. Risultati diversi sono influenzati, se non

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determinati, dall’interazione degli attori, ciascuno dei quali è portatore di propri in- teressi e preferenze. Il successo di Luxottica nell’implementare il «pacchetto welfare» è l’esito di un in-sieme di fattori tra cui la marcata attitudine paternalistica della proprietà, la relati-vamente debole influenza dei sindacati in azienda e contestualmente l’assenza di una radicata cultura sindacale. Caratteristiche che, unite al forte legame emotivo tra l’azienda e la comunità di riferimento, hanno consentito di portare a termine il cambiamento, innescato da una necessità di riorganizzazione aziendale. È interes-sante osservare come nel caso di Luxottica il perpetuarsi di un approccio paterna- listico basato sull’attaccamento emotivo dei lavoratori alla figura del proprietario Del Vecchio sia agevolato dall’incontro tra la «giovane» cultura sindacale e la pecu-liarità dell’insediamento produttivo, unito alla popolazione locale in un legame di gratitudine reciproca e senso di appartenenza. L’attaccamento emotivo e personale tra lavoratori/comunità locale e proprietà è a sua volta motivo di insicurezza per le rappresentanze sindacali che non avvertono l’appoggio delle maestranze, essendo queste ultime più sensibili alle richieste aziendali. La scarsa forza contrattuale ha in ultima istanza portato i sindacati ad adottare uno spirito cooperativo, partecipando a un programma di welfare che sarebbe con ogni probabilità stato implementato anche senza il loro contributo. Ci si può certo chiedere il perché della volontà aziendale di coinvolgere le parti sindacali. Il clima di collaborazione e buone rela-zioni industriali di cui il gruppo beneficia è stato senza dubbio valorizzato dalla scelta di trasformare l’elargizione di un «dono» di stampo paternalistico in un si-stema condiviso e partecipato, che responsabilizza ogni lavoratore circa il proprio operato. Una lettura più approfondita evidenzia poi come il coinvolgimento delle parti sin-dacali nella definizione di livelli di produttività e criteri di valutazione dell’operato costituisca il presupposto necessario per l’applicazione di un sistema legato ai risul-tati di produzione. L’accordo bilaterale assicura l’impegno condiviso da entrambe le parti a contribuire alla sostenibilità di lungo periodo del progetto, e allo stesso tempo pone le basi per una riorganizzazione aziendale che sarebbe più difficile da attuare – e senza dubbio impopolare – sotto forma di imposizione unilaterale. La necessità di miglioramenti all’interno del ciclo produttivo ha fatto da miccia per l’istituzionalizzazione di un sistema di benefit nato dalla volontà della proprietà di «dare qualcosa» ai lavoratori in un momento di difficoltà. Nel caso di Luxottica, la scelta di istituire un sistema di welfare aziendale è stata il prodotto di due spinte parallele: da un lato, la volontà dell’imprenditore di mostrare il proprio supporto ai lavoratori in un periodo di crisi economica, e, dall’altro, il progetto di un «circolo virtuoso della qualità» in grado di generare risorse attraverso un miglioramento complessivo della produttività. L’incontro tra motivazione personale e necessità aziendali è stato infine reso possibile dalla partecipazione dei sindacati nel «suggel-lare» lo scambio. KME presenta una antica tradizione di paternalismo industriale che, anche se tra-scurata negli anni più recenti, rimane viva nella memoria del gruppo. Un’eredità

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che Enzo Manes ha cercato di sfruttare per costruire un nuovo sistema di welfare aziendale, ispirato dal successo dell’esperienza del Dynamo Camp. Mentre però quest’ultimo progetto deriva da un’iniziativa liberalmente predisposta da Manes, il quale ha successivamente scelto di coinvolgere l’azienda e i suoi dipendenti, l’intro- duzione di benefit per i lavoratori si colloca sempre – anche se attuata unilateral-mente – nell’ambito delle relazioni industriali del gruppo, si inserisce nel processo di negoziazione tra le parti. L’instabilità derivante da un passato di relazioni indu-striali conflittuali, acuita dalle recenti conseguenze della crisi economica sugli stabi-limenti italiani, ha causato uno stallo nella predisposizione del nuovo sistema per i dipendenti. È significativa la scelta del management, che ha spontaneamente deci-so di annullare la sperimentazione di iniziative già allo studio anziché forzarne l’attuazione in maniera unilaterale, per non creare ulteriori occasioni di attrito con il fronte sindacale. È altresì importante notare che l’azienda, analogamente a quan-to riscontrato in altri casi, ha più volte lamentato la scarsa sensibilità e l’assenza di interesse da parte dei sindacati a discutere di welfare aziendale, sempre subordina-to alla richiesta di retribuzione monetaria. Nonostante la «spinta emotiva» data dal-la lunga tradizione di paternalismo industriale della vecchia SMI, KME non è a oggi riuscita a portare a termine il progetto di rinascita del welfare aziendale a cau-sa del mancato appoggio della parte sindacale, particolarmente attiva all’interno de- gli stabilimenti. SEA e ATM condividono lo stesso passato di aziende pubbliche caratterizzate da una governance bilaterale delle iniziative di welfare. In anni recenti entrambe hanno sfruttato quell’eredità per l’ammodernamento dei rispettivi sistemi, sempre all’inse- gna della condivisione con i rappresentanti dei lavoratori. L’associazione NoiSea e la Fondazione ATM sono le sole responsabili della fornitura di beni e servizi ai di-pendenti, e costituiscono – a differenza di iniziative per il benessere dei lavoratori introdotte e gestite unilateralmente dall’azienda – realtà ben più difficili da sman-tellare in caso di eventi come un cambio ai vertici, che potrebbe altrimenti risultare in un calo dell’impegno aziendale rispetto ai temi del welfare. L’evento scatenante del cambiamento in SEA Aeroporti Milano è stato, come già detto, il de-hubbing di Alitalia a Malpensa, che ha drammaticamente ridotto i voli e le entrate della compagnia. È stato allora che management e sindacati hanno con-venuto circa l’inevitabilità di una ampia ristrutturazione aziendale che non avrebbe potuto non coinvolgere quella imponente, e per alcuni aspetti obsoleta, «macchina del welfare» che si era costituita negli anni con la sovrapposizione inerziale di ac-cordi e servizi. Quella che potrebbe sembrare una mera riorganizzazione dei costi è andata invece configurandosi – assicurano entrambe le parti – come un’opportu- nità di rinnovamento dei benefit per soddisfare i bisogni, nuovi e crescenti, della popolazione aziendale. La riorganizzazione dell’offerta di welfare non comporta una riduzione dei costi a carico dell’azienda, anche se la definizione del nuovo budget non è a oggi ancora stata conclusa. La maggiore preoccupazione della parte sindacale, condivisa dall’amministratore di SEA Giuseppe Bonomi, è stata quella di assicurare un sistema di gestione condivisa e al tempo stesso il più possibile

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indipendente, così da scongiurare il rischio che un cambio ai vertici del gruppo si possa in futuro tradurre in una riduzione dell’impegno verso i lavoratori. Con la costituzione della nuova associazione, infatti, qualsiasi diminuzione delle risorse o modifica dell’assetto esistente dovranno essere concordate da entrambe le parti. È evidente come l’eredità dell’assetto bilaterale del welfare per i dipendenti abbia giocato nel caso di SEA un ruolo di rilievo rispetto alla definizione del nuovo si-stema, tracciato in larga misura su una linea di continuità rispetto all’esistente. È altresì importante evidenziare come il processo di cambiamento istituzionale sia stato causato da un evento improvviso che ha sconvolto l’equilibrio aziendale, e reso possibile da condizioni favorevoli come la strategia di management «illumi- nato» di Bonomi e le buone relazioni industriali. Queste ultime si sono rivelate cruciali nella gestione del periodo di crisi seguito al de-hubbing: le sigle sindacali maggioritarie – CGIL, CISL e UIL – non solo hanno mantenuto un atteggiamento cooperativo di fronte ai pesanti sacrifici richiesti ai lavoratori, ma hanno anche di-sposto l’ingresso delle sigle minori all’interno del nuovo sistema di governance, così da favorire una più ampia condivisione degli obiettivi. ATM Azienda Trasporti Milanesi ha seguito un percorso, analogo a quello di SEA, che ha portato l’azienda e i sindacati alla costituzione della Fondazione ATM già nel 1999. Nonostante sia la Fondazione a gestione bilaterale a essere responsa-bile dell’offerta dei servizi di welfare per dipendenti, pensionati e familiari a carico, nel corso degli anni successivi il management di ATM ha implementato diverse iniziative di welfare facenti capo al Dipartimento HR. La scelta dell’azienda, che già finanzia la Fondazione in base ad accordi con i rappresentanti sindacali, può trovare diverse spiegazioni. Da un lato, mentre la Fondazione si rivolge alla gene-ralità dei dipendenti, ai pensionati e ai familiari a carico, le iniziative di welfare aziendale interne ad ATM intervengono sui bisogni dei soli dipendenti, e hanno quindi una platea di beneficiari differente. Secondariamente, queste iniziative han-no uno scopo ben diverso: mentre la Fondazione persegue come obiettivo il be-nessere delle famiglie coinvolte, ATM si propone di porre rimedio ai disagi dei la-voratori che influiscono, in ultima analisi, sulla performance aziendale. Si tratta dunque di una lungimirante politica mirata alla salvaguardia del capitale umano, fattore di produzione cruciale per una società di servizi. Come nel caso di SEA, la ristrutturazione del welfare aziendale culminata con la costituzione della Fonda-zione ATM è stata resa possibile dalla tradizione di gestione condivisa dell’offer- ta di welfare e dall’influenza dei sindacati nei processi decisionali. A differenza di SEA, tuttavia, il management di ATM – spinto dalla convinzione di Elio Catania – ha adottato una strategia «a doppio binario»: ha cioè progressivamente affiancato ai servizi finanziati in base ad accordi con le parti sindacali una serie di iniziative gestite unilateralmente per risolvere problemi specifici dei lavoratori che possono avere ripercussioni sulla performance aziendale. Iniziative che, non richiedendo l’appoggio sindacale, si configurano in maniera più flessibile, lasciando all’azienda più «margine di manovra» rispetto alle azioni da intraprendere e ai tempi di imple-mentazione. Mentre i sindacati «tollerano», ma spesso non condividono tali inizia-tive, evidenziandone il vantaggio per l’azienda più che per l’insieme dei lavoratori,

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il management sottolinea la difficoltà di giungere a scelte condivise a causa della loro eccessiva lentezza nel documentarsi e deliberare rispetto alle proposte delle Risorse Umane. Nel caso di ATM, una traiettoria di parziale continuità rispetto al- l’assetto precedente ha portato alla coesistenza di due sistemi paralleli. 7. INTERESSI, ISTITUZIONI, IDEE: LO SCHEMA INTERPRETATIVO L’analisi empirica ha mostrato come gli interessi aziendali – sotto forma di necessi-tà di riorganizzazione della produzione ma anche come precisa strategia del mana-gement – siano l’elemento scatenante del cambiamento. Il quadro si completa poi con l’analisi delle istituzioni, intese come l’eredità lasciata dagli assetti di governance preesistenti, e delle idee volte ad agevolare, se non addirittura a rendere possibile, il cambiamento. Idee che si traducono nell’influenza della cultura aziendale e sinda-cale sui comportamenti e sulla predisposizione dei soggetti coinvolti alla ricerca di soluzioni nuove. A questo proposito è interessante constatare che le imprese carat-terizzate da una cultura di gestione bilaterale tendono a presentare un maggiore potere negoziale dei sindacati, e in generale un clima più partecipativo. All’altro estremo si trovano le imprese che godono di un attaccamento radicato alla figura dell’imprenditore/della famiglia o al brand aziendale, il che si accompagna solita-mente a una minore influenza dei sindacati a fronte di un atteggiamento più proat-tivo da parte del management, attitudine che spesso richiama radici paternalistiche e si appoggia al sentimento diffuso di attaccamento e gratitudine da parte della comunità locale. Un aspetto importante del cambiamento riguarda poi le modalità con cui esso vie-ne attuato. L’analisi empirica ha evidenziato la scelta di due percorsi diversi, quello condiviso con le rappresentanze sindacali e quello portato avanti unilateralmente dall’azienda, che implicano livelli molto differenti di coinvolgimento delle parti ne-gli assetti finali. Come evidenziano le esperienze di SEA e ATM, la partecipazione di azienda e sindacati è a sua volta cruciale rispetto alle prospettive di sopravviven-za, mantenimento e sviluppo nel lungo periodo dei sistemi implementati. Strutture di gestione condivisa sono infatti più difficili da smantellare senza l’accordo di en-trambe le parti. Come nota finale, è opportuno osservare la scelta di diversi stru-menti di attuazione. Alcune aziende prediligono un approccio bottom-up, basato sulla scelta da parte degli stessi beneficiari attraverso la distribuzione di questionari in busta paga e/o l’organizzazione di focus groups e momenti di incontro. Altre in-vece affidano il compito della scelta dei benefit ai propri responsabili delle Risorse Umane, che si confrontano con le esigenze dei lavoratori «attraverso» i loro rap-presentanti sindacali. I quattro casi empirici analizzati condividono però lo schema interpretativo mo-strato nella figura 2. È sempre individuabile infatti un evento scatenante che «ac-cende la miccia» per la modifica dello status quo. Si può trattare di uno shock eso-geno – un evento destabilizzante di natura esterna che influisce sull’assetto interno

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(nel caso di Luxottica e SEA si è trattato della crisi economica, e della conseguente necessità di riorganizzazione interna) – o di un cambiamento endogeno – una spinta che viene dall’interno dell’azienda (per KME e ATM è stato infatti un cam-bio di strategia aziendale maturato all’interno del management).

Figura 2 • Lo schema interpretativo applicato ai casi I soli fattori scatenanti non assicurano però il raggiungimento di un nuovo assetto istituzionale. Elementi facilitanti dei processi rimangono, come abbiamo visto, la presenza di sistemi preesistenti che costituiscano una base su cui costruire il nuovo in una traiettoria path-dependent e un’eredità in termini di cultura aziendale e/o di coinvolgimento sindacale che generino stimoli nuovi e siano terreno fertile per la crescita di nuove idee e la ricerca di nuove soluzioni. 8. RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Mentre le modalità di attuazione e la scelta del sistema di gestione variano a se-conda delle caratteristiche aziendali, si possono osservare elementi comuni sia al- l’interno dei processi di cambiamento istituzionale sia rispetto alle misure imple-mentate. La figura 3 fornisce una mappatura sintetica dei servizi offerti più di fre-quente dalle aziende, evidenziandone la rilevanza rispetto alle diverse fasi della vita dell’individuo. È interessante notare che – fatta eccezione per la previdenza com-plementare e per qualche progetto ancora allo studio sul tema della non autosuffi-cienza – la maggioranza dei benefit riguarda il supporto alle famiglie con figli e la tutela della salute, concentrandosi dunque sulle prime due fasi della vita. Anche ri-spetto al grande tema della conciliazione tra vita familiare e lavorativa l’offerta è

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molto variabile in termini di impegno aziendale, andando dalle convenzioni con le strutture al contributo economico, per arrivare fino a programmi di flessibilità la-vorativa per i genitori.

Figura 3 • Una mappatura dei benefit lungo il ciclo di vita Per quanto riguarda le dinamiche degli attori coinvolti, sarebbe opportuno esten-dere l’analisi, così da poter testare su un campione più ampio lo schema interpreta-tivo utilizzato. Limitandoci ai casi trattati, l’osservazione ha evidenziato gli elemen-ti che caratterizzano i processi di cambiamento istituzionale verso la creazione e ristrutturazione di sistemi di welfare aziendale. L’interpretazione fornita ha infine consentito di ricostruire il ruolo degli attori all’interno di questi processi, e di iden-tificarne il contributo rispetto ai risultati finali.

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