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Aperture Una “legge di principi” per consolidare il nuovo modello di pianificazione Federico Oliva, p. 3 Pianificazione intercomunale a cura di Barbara Marangoni, Elena Marchigiani, p. 5 Piano e sovracomunalità in Italia Fabrizio Bottini, p. 7 Domanda e ostacoli Gabriele Pasqui, p. 9 Il laboratorio lombardo, tra aporie, potenzialità e limiti Valeria Fedeli, p. 12 Piani in forma associata: esperienze in Emilia-Romagna Giulia Angelelli, Luisa Ravanello, Giovanni Rinaldi, p. 14 Forme di associazionismo a Pian del Bruscolo Roberta Tartufi, p. 16 Il caso della Val di Cornia Camilla Cerrina Feroni, Alessandro Grassi, p. 18 Toscana in bilico: qualche speranza dall’Isola d’Elba Mauro Parigi, p. 21 Percorsi di intercomunalità in Campania Daniela De Leo, p. 22 Sardegna: quando il sud avanza più del nord Alessandra Casu, p. 25 Sviluppo rurale in Europa a cura di Sonia Prestamburgo, p. 29 Lo spazio rurale nel contesto della nuova metropolizzazione Patrizia Nazio, p. 32 Politiche rurali integrate in Liguria Federica Alcozer, p. 34 Roma nella politica di sviluppo rurale Alfonso Pascale, p. 37 Il parco agricolo della Toscana centrale Daniela Poli, p. 38 Sviluppo rurale e paesaggio in Toscana David Fanfani, Adalgisa Rubino, p. 41 Il paesaggio rurale per lo sviluppo delle imprese verdi Fabio Converti, p. 43 Politiche e piani in Sicilia ESPERIENZE DI AGENDA 21 LOCALE Una risposta condivisa di qualità urbana Mariarosaria Fallone, p. 45 Le pratiche di partecipazione promosse dal Comune di Palermo Marilena Orlando, p. 46 STRATEGIE INNOVATIVE Sun & Wind: la casa bioclimatica mediterranea Ornella Amara, p. 48 Equal Valorenatura nella Provincia di Palermo Maria Pietrobelli, p. 49 La valle del fiume Oreto a Palermo Vincenzo Todaro, Dario Gueci, p. 50 L’esperienza del Prusst di Palermo Giuseppe Abbate, p. 52 Una Stu per l’Albergheria Benedetto Romano, p. 53 Mobilità sostenibile e qualità ambientale in Sicilia Ferdinando Corriere, p. 54 POLITICHE URBANE Palermo, tra recupero e deregulation Pierluigi Campione, p. 57 La periferia in centro Marilena Orlando, p. 59 Ambiente e territorio L’attuazione del piano paesaggistico della Sardegna Sebastiano Bitti, p. 61 Aree protette e pianificazione d’area vasta in Toscana Daniele Mazzotta, p. 63 IL PPSES DELLA PROVINCIA DI PRATO Un percorso tra conoscenza, tutela e sviluppo Elisabetta Cancelli, p. 66 La conoscenza Elisabetta Cancelli, Savina Mazzantini, p. 68 una finestra su: Barcellona a cura di Marco Cremaschi, p. 71 Il piano di trasformazione urbana 22@Barcelona Fabrizio Guzzo, p. 71 Santa Caterina e Sant Pere Cristina Tartari, p. 74 La Ley de Barrios di C. T., p. 77 Opinioni e confronti Inchiesta sui “contributi Bucalossi” Paolo Avarello, p. 79 I crediti edilizi per la qualità del territorio aperto: il caso di Montebelluna Ezio Micelli, p. 81 Riforma urbanistica a cura di Sandra Vecchietti Le questioni di fondo Pierluigi Properzi, p. 83 Inu La Vas nel Dlgs 152 Inu, Gruppo di studio nazionale, p. 86 Assurb Riflessioni sulla classe di laurea in Scienze della pianificazione Domenico Patassini, Gino Cesare Mauro, p. 90 Sisifo e i pianificatori territoriali/urbanisti Beppe Vitale, Giuseppe De Luca, p. 91 Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 93 Sommario Sommario

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Aperture

Una “legge di principi” per consolidare ilnuovo modello di pianificazioneFederico Oliva, p. 3

Pianificazione intercomunale

a cura di Barbara Marangoni,Elena Marchigiani, p. 5

Piano e sovracomunalità in ItaliaFabrizio Bottini, p. 7

Domanda e ostacoliGabriele Pasqui, p. 9

Il laboratorio lombardo, tra aporie,potenzialità e limitiValeria Fedeli, p. 12

Piani in forma associata:esperienze in Emilia-RomagnaGiulia Angelelli, Luisa Ravanello,Giovanni Rinaldi, p. 14

Forme di associazionismo a Pian del Bruscolo Roberta Tartufi, p. 16

Il caso della Val di CorniaCamilla Cerrina Feroni,Alessandro Grassi, p. 18

Toscana in bilico:qualche speranza dall’Isola d’ElbaMauro Parigi, p. 21

Percorsi di intercomunalità in CampaniaDaniela De Leo, p. 22

Sardegna: quando il sud avanza più del nordAlessandra Casu, p. 25

Sviluppo rurale in Europa

a cura di Sonia Prestamburgo, p. 29

Lo spazio rurale nel contesto della nuovametropolizzazionePatrizia Nazio, p. 32

Politiche rurali integrate in LiguriaFederica Alcozer, p. 34

Roma nella politica di sviluppo ruraleAlfonso Pascale, p. 37

Il parco agricolo della Toscana centraleDaniela Poli, p. 38

Sviluppo rurale e paesaggio in ToscanaDavid Fanfani, Adalgisa Rubino, p. 41

Il paesaggio rurale per lo sviluppo delleimprese verdiFabio Converti, p. 43

Politiche e piani in Sicilia

ESPERIENZE DI AGENDA 21 LOCALE

Una risposta condivisa di qualità urbanaMariarosaria Fallone, p. 45

Le pratiche di partecipazione promosse dalComune di PalermoMarilena Orlando, p. 46

STRATEGIE INNOVATIVE

Sun & Wind:la casa bioclimatica mediterraneaOrnella Amara, p. 48

Equal Valorenatura nellaProvincia di PalermoMaria Pietrobelli, p. 49

La valle del fiume Oreto a Palermo Vincenzo Todaro, Dario Gueci, p. 50

L’esperienza del Prusst di PalermoGiuseppe Abbate, p. 52

Una Stu per l’AlbergheriaBenedetto Romano, p. 53

Mobilità sostenibile equalità ambientale in SiciliaFerdinando Corriere, p. 54

POLITICHE URBANE

Palermo, tra recupero e deregulationPierluigi Campione, p. 57

La periferia in centroMarilena Orlando, p. 59

Ambiente e territorio

L’attuazione del piano paesaggisticodella SardegnaSebastiano Bitti, p. 61

Aree protette e pianificazioned’area vasta in ToscanaDaniele Mazzotta, p. 63

IL PPSES DELLA PROVINCIA DI PRATO

Un percorso tra conoscenza, tutela e sviluppoElisabetta Cancelli, p. 66

La conoscenzaElisabetta Cancelli, Savina Mazzantini, p. 68

una finestra su: Barcellona

a cura di Marco Cremaschi, p. 71

Il piano di trasformazione urbana22@BarcelonaFabrizio Guzzo, p. 71

Santa Caterina e Sant PereCristina Tartari, p. 74

La Ley de Barriosdi C. T., p. 77

Opinioni e confronti

Inchiesta sui “contributi Bucalossi”Paolo Avarello, p. 79

I crediti edilizi per la qualità del territorioaperto: il caso di MontebellunaEzio Micelli, p. 81

Riforma urbanistica

a cura di Sandra Vecchietti

Le questioni di fondoPierluigi Properzi, p. 83

Inu

La Vas nel Dlgs 152 Inu, Gruppo di studio nazionale, p. 86

Assurb

Riflessioni sulla classe di laurea in Scienzedella pianificazione Domenico Patassini,Gino Cesare Mauro, p. 90

Sisifo e i pianificatori territoriali/urbanistiBeppe Vitale, Giuseppe De Luca, p. 91

Libri ed altro

a cura di Ruben Baiocco, p. 93

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comunale in una componente strutturale,in una operativa per le trasformazioni ein una regolativa per la gestione dell’esi-stente appare ormai consolidata, almenonell’esperienza regionale. Sarà comunqueopportuno insistere perché la legge defi-nisca questo aspetto fondamentale inmodo circostanziato e inequivoco, intro-ducendo anche la possibilità per leRegioni di non rendere obbligatorio talemodello, in particolare per i piccolicomuni. Riprendendo anche la “novità”(perché per la prima volta chiaramenteesplicitata dalla nostra elaborazione) del-l’equiparazione tra vincoli pubblici ediritti privati, entrambi legati alla sca-denza quinquennale. Se i caratteri deglistrumenti sono ormai ben definiti, valecomunque la pena di ricordarli breve-mente e di insistere perché siano cosìprecisati. il Piano Strutturale ha un carat-tere programmatico generale a tempoindefinito, non prescrittivo e non confor-mativo dei diritti proprietari, escludendocosì il pagamento dell’Ici; definisce unoscenario futuro e contiene il quadroconoscitivo necessario per operare ogniscelta; le previsioni residue del predentiPrg (il “residuo di piano”) non sono nécancellate, né confermate, ma sospese eaffidate al m omento operativo. il PianoOperativo riguarda le trasformazioniurbanistiche; è prescrittivo e conformati-vo dei diritti proprietari; ha una scadenzaquinquennale per le previsioni pubblichee per quelle private. Il Regolamentourbanistico – edilizio riguarda la gestionedell’esistente; è prescrittivo e conformati-vo (diritti esistenti) e ha validità a tempoindefinito.

Una “legge di principi” per consolidare il nuovomodello di pianificazioneFederico Oliva

degli “enti separati” (dalle Soprintendenzealla Autorità di Bacino), partecipazioneche poi obbligherà gli stessi enti a rispet-tare le scelte sottoscritte. La legge deveinoltre affermare con grande nettezza laresponsabilità pubblica del governo delterritorio: le scelte devono essere decise eoperate dalle istituzioni elette democrati-camente e giudicate dal voto degli eletto-ri. Nell’attuazione è invece indispensabileil ruolo degli operatori privati, chepotranno utilizzare le normali possibilitàofferte dalle componenti operative delpiano, ma che dovranno anche esseresempre di più coinvolti in un approcciodi concorrenza concorsuale, in particolarenei grandi interventi di trasformazione,per garantire al massimo l’interesse pub-blico, che è la condizione fondamentaledella scelta pianificazione. Dovrà comun-que essere anche definita con chiarezza lapartecipazione dei privati nella realizza-zione delle dotazioni territoriali e delleinfrastrutture: il nuovo modello attuativoperequativo comporta una partecipazionedeterminante dei privati alla realizzazionedella “città pubblica”, perché le cessionicompensative sono garantite dalle attua-zioni private e accrescono “automatica-mente” il demanio comunale di aree. Perevitare che tale ingente patrimonio vengacondannato al degrado e all’abbandono,è necessario garantire la possibilità diefficaci realizzazioni “a scomputo” diattrezzature e infrastrutture pubbliche,rispettando naturalmente la soglia diimporto massima, che rende obbligatoriala gara.

Gli strumenti della pianificazione

La necessaria tripartizione del piano

Finalità e caratteri della legge

Il dibattito sulla “legge di principi” per ilgoverno del territorio, cresciuto negliultimi messi per iniziativa dell’Inu (i dueconvegni di Roma in settembre e Firenzein novembre, il dibattito interno presentesul nostro sito web) ha messo in luce conchiarezza finalità e caratteri della legge,oltre a definirne i contenuti fondamenta-li. Si tratta di un provvedimento indi-spensabile per completare il processo diriforma in atto, proteggendo le leggiregionali riformiste già approvate e sti-molando quelle ancora da approvare.Deve essere una legge sintetica ed essen-ziale, oltre che priva di caratteri inutil-mente descrittivi regolativi; ma deveanche essere efficace, per sostituire inte-gralmente l’attuale ordinamento, e perconsentire alle Regioni di produrre leggimigliori, che consolidino le innovazionigià acquisite e ne introducano ulteriori.La “legge di principi” non deve inoltriridursi alla riforma delle competenze edelle responsabilità della pianificazione,ma deve tendere verso un approcciocomplessivo di governo del territorio. Ilnodo fondamentale da sciogliere riguardala “copianificazione”, vale a dire la neces-sità di superare le tante “pianificazioniseparate” che hanno fino ad ora impeditoun razionale ed efficace governo del ter-ritorio, con l’affermazione dell’unicità edell’unitarietà del soggetto decisore e conl’obiettivo quindi del “piano unico”, allevarie scale e ai vari livelli istituzionali.Non sarà quindi sufficiente affermare lanecessità del coordinamento delle variecompetenze, ma sarà necessario prevede-re la partecipazione obbligatoria e orga-nica al processo di formazione del piano

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Urbanistica INFORMAZIONI

vi e prestazionali. Lo Stato tuttavia, pergarantire i livelli essenziali delle prestazio-ni concernenti i diritti civili e sociali, devefissare un limite minimo per tali dotazio-ni. La soluzione più adeguata sarà quelladi indicare nella legge i parametri essen-ziali per articolare la quantità di suolo dacedere gratuitamente con la perequazione(o da acquisire con l’esproprio) per levarie dotazioni territoriali, escludendo tut-tavia rigide prescrizioni come nella vigen-te normativa, ma relazionandole alle con-dizioni insediative a cui le stesse dotazionidevono essere riferite. Fra le dotazionipubbliche va compresa l’Edilizia residen-ziale in Affitto sociale, da considerare atutti gli effetti come un servizio sociale;come alle altre dotazioni pubbliche, ancheall’Eras sarà attribuita una quota di edifi-cabilità di proprietà comunale, che ovvia-mente non è sottratta all’edificabilità pri-vata, ma è ad essa aggiuntiva. Sarannocosì modificate le modalità utilizzate nelpassato, rendendo prassi generalizzata ladiffusione dell’ edilizia sociale in tutti gliinterventi di trasformazione.

La fiscalità urbanistica

Affrontare alla radice la fiscalità localecome uno degli strumenti di governo delterritorio, può apparire come una prospet-tiva troppo complessa perché possa essererisolta nei tempi necessari e nelle condi-zioni politiche attuali. Vanno quindiaffrontate e risolte alcune questioni, carat-terizzando maggiormente questo strumen-to in termini “di scopo”. In particolare:l’applicazione dell’Ici deve essere previstasolo sulle previsioni conformative delPiano operativa e del Regolamento urba-nistico - edilizio e non su quelle program-matiche del Piano strutturale, che nonpossono essere in alcun modo trasformatein diritti; deve essere reintrodotta la nontassabilità dei trasferimenti volumetricinell’applicazione della perequazione;devono essere definiti incentivi e disin-centivi fiscali per sostenere interventi diriqualificazione e di manutenzione dellacittà esistente. Con queste posizioni e conqueste proposte, l’Inu intende stimolare leforse politiche a presentare al più prestoun testo utile ed efficace, in vista diun’approvazione che non può esseremancata in questa Legislatura.

regionali e dalle finalità che sono postealla base della pianificazione.

La perequazione

La perequazione è ormai entrata stabil-mente nelle leggi regionali riformistecome modalità ordinaria di attuazionedelle trasformazioni previste dal Pianooperativo e come strumento più conve-niente per l’acquisizione delle aree pubbli-che, mentre l’esproprio assume il caratteredi misura straordinaria. Saranno i Comunia scegliere quale strumento utilizzare perrealizzare le proprie previsioni, trascuran-do ogni forzatura ideologica e pensandoal migliore interesse pubblico da persegui-re. La “legge di principi” dovrà comunqueuscire dalle formulazioni generiche chespesso contraddistinguono le leggi regio-nali, più attente alla tecnica della pere-quazione che alla sua sostanza giuridica,per chiarirne alcuni elementi fondamenta-li e consolidarla giuridicamente. In parti-colare: la perequazione sarà utilizzatalasolo negli interventi di trasformazione; idiritti edificatori potranno essere trasferitida un ambito all’altro solo in base alleindicazioni del Piano strutturale, interes-sando solo aree di cui è prevista la tra-sformazione; tali trasferimenti non sonotassabili, riservando la tassazione alla finedel processo di trasformazione; i dirittiedificatori sono attribuiti in proporzioneai valori catastali degli immobili e gliinterventi possono essere avviati con lamaggioranza assoluta di tali valori; ilComune può riservarsi una quota di talidiritti, aggiuntivi rispetto a quelli assegna-ti ai privati, da esercitare sulle aree pub-bliche, esclusivamente per il perseguimen-to delle proprie attività istituzionali. Unaparticolare attenzione dovrà essere inoltrededicata alla perequazione territoriale, perincentivare la formazione e l’operativitàdei Piani Strutturali Intercomunali, perfacilitare le scelte concordate per la ridu-zione delle esternalità negative sul pae-saggio e sull’ambiente e per garantire lenecessarie risorse per la realizzazione dellereti infrastrutturali brevi, anche medianteprocessi di valorizzazione immobiliare.

Le dotazioni pubbliche

Le dotazioni territoriali riguardano indub-biamente le leggi regionali, sia per gliaspetti quantitativi, sia per quelli qualitati-

Il “residuo di piano”

La soluzione del problema del “residuo dipiano”, deve rappresentare un’altro obiet-tivo importante della “legge di principi”,per rimuovere un ostacolo assai rilevanteall’affermazione del nuovo modello strut-turale – operativo. A monte di ogni sceltava chiarito cosa debba essere considerato“residuo” e quindi a quali condizioni giu-ridicamente fondatequesto possa essereadeguatamente trattato. Il primo aspettocomporta una definizione attendibile di“diritto edificatorio”, mai presente in nes-suna proposta di legge, strettamente lega-ta alle modalità di trattamento, vale a direciò che può essere cancellato, compensatoe confermato. Il secondo aspetto, cioé laselezione dello stesso “residuo”, potrebbeessere affidata alla Valutazione ambientalestrategica, un processo che accompagnal’intera formazione del piano e che puògarantire la validità della conferma, dellariduzione, della soppressione o della com-pensazione delle previsioni residue.Risolvere questo problema, oltre a dareslancio al nuovo modello di pianificazio-ne, chiuderebbe anche una polemica cheha fortemente condizionato l’urbanisticaitaliana degli ultimi anni.

La pianificazione d’area vasta

La pianificazione d’area vasta, regionale eprovinciale, deve assolvere un ruoloessenzialmente di tipo strutturale e strate-gico, riservando il ruolo operativo aglialtri livelli istituzionali, evidenziandonecosì la complementarietà e la non sovrap-posizione. La pianificazione regionaledovrebbe essere inoltre collegata con laprogrammazione dei fondi strutturali,europei e nazionali, in modo da poter cor-relare le previsioni degli strumenti con lerealizzazioni; e dovrebbe anche esserecoordinata con la programmazione nazio-nale i cui aspetti territoriali riguardanoresponsabilità esclusive dello Stato. Lapianificazione d’area vasta dovrà comun-que essere affidata alla responsabilitàesclusiva delle Regioni, sia per quantoriguardo l’ormai indispensabile livellodella città metropolitana, sia per quantoriguarda la geometria variabile della pia-nificazione territoriale, necessaria peraffrontare nel modo più efficace il proces-so di metropolizzazione, in base allasituazione specifica dei diversi territori

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Pianificazione intercomunale

dell’eccezionalità. In sostanza, l’annosa ricerca di unacongruenza tra competenze e confiniamministrativi, strumenti di pianifica-zione, processi di isituzionalizzazione edisposizioni normative finalmente sem-bra riconoscere la natura in primispolitica di un progetto locale di territo-rio. Un progetto che, superando mererivendicazioni localistiche, si fondi sul-l’evoluzione del concetto di autonomia,nell’ambito del quale le istituzionilocali acquistino un ruolo più attivoattraverso la costruzione di inediticontesti relazionali e occasioni perdefinire azioni e visioni condivise.

Le domande della pianificazioneintercomunale

Proprio perché la condivisione di fun-zioni in materia di pianificazione (e diprogrammazione) territoriale è tra lescelte che, influendo sulla sfera fiscale,toccano più da vicino l’autonomiadecisionale dei singoli comuni, essanon può concretizzarsi che a valledella costruzione di un patto politicotra le amministrazioni e tra queste e lesocietà locali. È del resto il carattereintrinsecamente volontario della piani-ficazione intercomunale ad affidarnel’efficacia alla definizione di accordistabili e chiari tra i soggetti interessati,chiamati non solo a individuare regoledel gioco e campi operativi, ma soprat-tutto a condividere – per un temposufficiente all’implementazione deglistrumenti di governo intercomunale –la responsabilità della gestione delbene pubblico. Percorsi, questi ultimi,che oggi trovano ulteriori ragioni in un

A oggi, tra gli effetti diretti della rifor-ma delle autonomie locali si annoveraprincipalmente la gestione associata diquei servizi di base, duramente messiin discussione dai tagli alla spesa pub-blica e dalla limitata autonomia fiscaledei piccoli e piccolissimi comuni.Eppure l’influenza che indirettamente iprovvedimenti emanati dagli anni ’90hanno avuto sull’attivazione di percor-si di pianificazione intercomunale nonpuò essere sottovalutata. L’ingresso apieno titolo dei comuni nella gestionedi azioni e politiche di scala sovraco-munale, unitamente alle crescentiresponsabilità attribuite ai sindaci,hanno infatti contribuito alla rotturadei tradizionali rapporti gerarchici trale istituzioni preposte al governo delterritorio, assegnando ai singoli comu-ni e alle loro associazioni un maggiorpeso all’interno delle arene decisionali.Ma non solo. Se dalla legge urbanisticadel ’42 (e ancor prima), il dibattitodisciplinare sul tema della sovracomu-nalità si è spesso incentrato, da unlato, sull’attribuzione al piano di unruolo supplente rispetto all’organizza-zione amministrativa, dall’altro, sull’in-dividuazione di un ente intermedio traregione e comuni (di volta in voltariconosciuto nel comprensorio o nellaprovincia), oggi trova legittimità istitu-zionale lo spostamento dell’attenzioneverso processi dalla natura più squisi-tamente intercomunale. In questo,assumendo come un possibile motoredi percorsi di pianificazione ordinariaquel volontarismo – connotante appun-to l’intercomunalità – che per più dicinquant’anni l’ha relegata nel campo

Pianificazione intercomunalea cura di Barbara Marangoni*, Elena Marchigiani**

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Da quasi due decenni il dibattito sullariforma delle autonomie locali avviatocon la L 142/1990 e ripreso dal Tuel(Dlgs 267/2000) ha riportato al cen-tro della riflessione il tema dell’inter-comunalità. Un quadro di forme asso-ciative differenziate per durata tem-porale, funzioni, livello di formalizza-zione? convenzioni, consorzi e unioni?non solo ha tratteggiato nuove rela-zioni di sussidiarietà orizzontali tra icomuni (da supportare, almeno nellafase iniziale, con finanziamenti regio-nali), ma le ha investite di un ruolostrategico nel processo di revisionedei rapporti con gli enti sovraordinati.Tuttavia, al 2005, delle 257 unioniistituite a livello nazionale soltanto 11riguardavano la gestione associata difunzioni in materia di pianificazioneterritoriale. Il divario registrabile traquesti dati e la maggiore consistenza(ancorché non particolarmente cospi-cua) dei processi avviati negli ultimianni porta a una semplice considera-zione: a fronte di una domanda emer-gente, quella delle unioni è solo unadelle vie per la costruzione di stru-menti intercomunali di assetto delterritorio. Più numerosi sembrano ipercorsi ‘altri’, dei quali questa sezio-ne ricostruisce una prima, incompleta,geografia.

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Urbanistica INFORMAZIONI

zione e messa in valore delle sue risor-se, all’esistenza di reti di attori (pubbli-ci o privati) capaci di interagire nelladefinizione di programmi comuni, allaforza e al sostegno politico assegnato atali programmi. In particolare, i contri-buti raccolti in questa sezione permet-tono di individuare tre famiglie diesperienze.La prima corrisponde a quello chepotrebbe essere definito un percorso inparte sussidiato. L’occasione per svi-luppare processi di pianificazioneintercomunale è promossa dagli entisovracomunali (regioni e ancor piùprovince), che organizzando conferen-ze, tavoli e forum interistituzionalisupportano l’attivazione di procedi-menti di co-pianificazione, i cui esitispaziano dalla produzione di documen-ti di programmazione a quella di veri epropri piani d’area. Gli obiettiviappaiono molteplici: radicare nel terri-torio le occasioni di sviluppo date dallaprogettazione integrata e dalla pro-grammazione negoziata; redimere,soprattutto all’interno di contestimetropolitani, conflittualità e disequili-bri, tramite la costruzione di strumentidi pianificazione strategica d’areavasta; ridefinire il ruolo delle province,quali enti preposti all’attivazione diprocessi permanenti di dialogo tra icomuni. La seconda famiglia si connota per unpercorso più propriamente tecnico-strumentale. La possibilità di rideclina-re anche alla scala intercomunale le trecomponenti del piano riformista (strut-turale, regolamentare, operativa) offreuna via concreta e dalle ricadute pro-cedurali più vicine a quelle della piani-ficazione ordinaria. In genere si trattadi esperienze che denunciano un radi-camento nella storia dei comprensori,laddove la presenza di accordi politiciconsolidati ha talvolta permesso l’av-vio di sperimentazioni nel campo delleprocedure gestionali e della compensa-zione territoriale.La terza famiglia sembra seguire per-corsi dal carattere più informale. Inalcuni casi la produzione di agende epiani strategici si colloca all’interno diprocessi più squisitamente definibilicome ‘dal basso’, nell’ambito dei qualiamministrazioni e sindaci decidono diintraprendere processi condivisi di pro-

intercomunale implica infatti la costru-zione di programmi di lavoro e proces-si di dialogo tra una molteplicità diattori, da definire caso per caso.Indipendentemente dal risultato finaledel processo (sia esso un’agenda strate-gica, un piano strutturale, ecc.), lanatura dello strumento elaboratodovrebbe poi risultare profondamentedifferente dal piano comunale toutcourt. L’esigenza di rispettare, purall’interno di forme associative, l’auto-nomia dei singoli comuni comporta laproduzione di strumenti flessibili e divalenza strategica, al cui interno unachiara definizione di obiettivi e indiriz-zi condivisi in sede politica si accom-pagni sia all’attivazione di progetti eazioni comuni, sia alla possibilità daparte delle singole amministrazioni dimantenere un giusto livello di discre-zionalità nel governo del proprio terri-torio. Ovvia conseguenza di tutto ciò èla necessità di far ricorso a meccanismidi compensazione territoriale, tesi agarantire un’equa ridistribuzione dicosti di attuazione e introiti fiscali.Una questione, quest’ultima, tantonodale quanto di difficile risoluzione.

Le molte forme e ragioni della piani-ficazione intercomunale

Quella che si configura come una rin-novata stagione della pianificazioneterritoriale intercomunale spesso trovatuttavia negli strumenti legislativirecentemente emanati a livello regio-nale o un semplice riferimento allapossibilità di costruire percorsi associa-ti, o addirittura una palese disattenzio-ne. Con ogni probabilità è però propriol’assenza di una chiara presa di posi-zione normativa da parte delle singoleregioni ad avere generato una pluralitàdi processi tra loro profondamente dif-ferenziati, laddove né la scala di inter-vento, né la forma degli strumenti acui si ricorre, né ancora la tipologia diistituto preposto alla loro costruzione egestione appaiono riconducibili amodelli dati a priori. Elemento caratte-rizzante i nuovi percorsi della pianifi-cazione intercomunale è infatti il lorodefinirsi a partire da condizioni speci-fiche, di volta in volta legate a doman-de di sviluppo che attraversano undato territorio, a istanze di conserva-

repertorio di domande al plurale, lequali tratteggiano uno sfondo rilevanteper i processi di riforma istituzionale incorso. In primo luogo le domande emergentidal territorio, laddove dinamiche inse-diative e socioeconomiche disegnanoconfini spaziali sempre meno corri-spondenti a quelli amministrativi deisingoli comuni e sempre più riferibili aquadri di relazioni che acquistanomaggior senso se letti alla scala dell’a-rea vasta. Parallelamente, le istanze diterritorializzazione delle politiche pub-bliche supportate negli ultimi anni daifinanziamenti emanati a livello euro-peo e nazionale, coniugandosi a unarinnovata nozione di sviluppo locale,hanno fornito alle amministrazionicomunali nuove opportunità di costrui-re e partecipare a reti attoriali e pro-cessi di governance sempre più com-plessi e multilivello. Spesso, in questicasi, la definizione di forme di associa-zionismo appare connessa non soloall’obiettivo di intercettare (e controlla-re) quote più sostanziose di fondistraordinari almeno in parte dirottabilisugli esigui bilanci ordinari, ma anchealla volontà di configurare progetti ingrado di rilanciare la competitività delterritorio, o ancora all’esigenza di con-trastare scelte promosse da altri sog-getti (stato, regione, provincia, attoriprivati…) in quanto giudicate portatricidi impatti e ‘disvalori’.La possibilità di attuare economie discala, di razionalizzare e ridistribuirerisorse e qualità all’interno di spazidell’abitare ormai allargati, l’opportu-nità di prefigurare strategie di sviluppodalla portata più ampia si scontranotuttavia con criticità di natura cultura-le e tecnica. L’intraprendere percorsi dipianificazione intercomunale non puòinfatti prescindere da una capacità dilavorare insieme che, pur trovandooggi in altri processi di cooperazione(dalla riorganizzazione del welfarelocale alla programmazione negoziata)un fertile terreno di sperimentazione,fatica a tradursi in pratiche ordinariedi governo del territorio. Sono neces-sarie competenze tecniche (la cuicarenza è peraltro ovviabile ricorrendoa consulenze esterne), ma soprattuttocompetenze gestionali: forse più dialtre forme di pianificazione, quella

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Pianificazione intercomunale

Una delle difficoltà principali chel’urbanistica italiana incontra nell’o-perare alla scala sovracomunale deri-va dall’essersi sviluppata e affermataal di fuori del sistema amministrati-vo in cui si trova poi ad agire1

nale interessato dal corridoio di mobili-tà. Schiavi distingue anche due possibi-li percorsi decisionali: uno gerarchico,con un’autorità superiore di promozio-ne, coordinamento, attuazione; unsecondo più propriamente intercomu-nale e orizzontale, attraverso l’associa-zione delle amministrazioni municipaliinteressate. Sono così individuati dueambiti, non necessariamente alternativi,entro i quali la pianificazione si misuraalla pari coi processi di diffusione inse-diativa. Schiavi porta ad esempio i bri-tannici joint committees fra ammini-strazioni locali; in contemporanea conle sue riflessioni si stanno sviluppandoin Gran Bretagna i primi studi diRaymond Unwin su quello che sarà ilGreater London Plan, mentre oltreocea-no Thomas Adams coordina i lavori perla regione di New York4.

Circoscrizioni, amministrazioni locali:un ostacolo alla pianificazione?

La nascita del problema sovracomunalecoincide più o meno con lo strutturarsidella sua potenziale soluzione, ovverocon l’affermazione istituzionale dellapianificazione urbanistica. Si chiudeinfatti rapidamente nella seconda metàdegli anni ’20 il processo di organizza-zione professionale-corporativa degliarchitetti-urbanisti, e cominciano lastagione dei concorsi di piano regolato-re e il lungo dibattito sulla legge urba-nistica. Porrei l’accento su ‘architetti-urbanisti’ perché, come abbastanzanoto, è questa la componente che pre-vale, sopra (e in parte contro) i rappre-sentanti delle discipline amministrative,socioeconomiche, insomma di tutto

Piano e sovracomunalità in ItaliaFabrizio Bottini*

La sovracomunalità italiana nasce unabella mattina di sole del 1924, frarombo di motori e risate di elegantisignore. Dopo il taglio del nastro diseta, l’automobile reale seguita dalcodazzo delle altre vetture imbocca ilnastro d’asfalto, puntando dritta anord-ovest verso la linea blu dellemontagne, ormai a portata di mano. Ediventano a portata di mano anchetutti i territori tagliati dal tracciato del-l’inaugurata Autostrada dei Laghi(prima autostrada del mondo), dallaperiferia di Milano, attraverso la primae seconda fascia del suburbio più omeno già industriale, sino a località ex-remote, ora possibile luogo di residenzaanche per chi lavora nel capoluogo.Non a caso di lì a pochi mesi CesareChiodi farà inserire nel bando di con-corso per il piano regolatore di Milanol’obbligo di considerare anche il territo-rio extraurbano nel pensare il sistemainsediativi2.Ma è Alessandro Schiavi a cogliere inpieno le implicazioni del nuovo nastrod’asfalto, tanto diverse da quelle deibinari ferroviari e tranviari3. Ora la cittàproietta in modo diffuso i suoi effettisu un vasto territorio, le cui trasforma-zioni assumeranno ritmi inediti. Da quila necessità di estendere il piano rego-latore urbanistico al bacino sovracomu-

grammazione e pianificazione del terri-torio, al fine di acquistare nuova capa-cità istituzionale tramite la costruzionedi inediti spazi progettuali e decisiona-li.Ciascuna di queste famiglie ancora evi-denzia – come del resto sottolineano itesti qui presentati – notevoli marginidi difficoltà e incertezza, che solo unasperimentazione continua e convintapotrà forse ridimensionare.

* Dottore di ricerca in Progettazione urbana, territo-riale e ambientale.** Ricercatrice in Urbanistica.

Riferimenti bibliografici e siti webBottini F. (2003), Sovracomunalità 1925-1970,Milano.Fedeli V. (2005), “Autonomie locali alla ricerca distrategie”, in Innocenti R., Ristori S., Ventura F. (acura di), Mutamenti del territorio e innovazioni neglistrumenti urbanistici, Milano.Fedeli V., Gastaldi F. (a cura di) (2004), Pratiche stra-tegiche e pianificazione, Milano.Talia M. (2006), “La questione metropolitana e ilgoverno del territorio”, in Properzi P. (a cura di),Rapporto dal territorio 2005

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Urbanistica INFORMAZIONI

introduttiva di Bruno Zevi alCongresso sui piani intercomunali del1956: “Se manca l’ente mediano trastato e comune, se manca la regionebisogna sostituirla, dall’alto e dalbasso”9. Ma si tratta, ancora una volta,di una parziale confusione, rispetto siaalle funzioni del piano sul territorio,sia ai suoi obiettivi. La disciplina assu-me di nuovo un ruolo supplente eparallelo a questioni come l’istituzionedell’ente regione, la revisione dei con-fini, l’organizzazione di un ente inter-medio fra la regione e il comune. Nonè un caso quindi che il piano piemon-tese del 1946 si muova fra la dimen-sione vasta della regione costituziona-le, quella intermedia dellaprovincia/comprensorio, e proposte diorganizzazione spaziale definite a scalamen che comunale, come gli insedia-menti lineari lungo l’asse della Padanasuperiore (curiosamente ripresi moltianni dopo in aree e chiave diversadallo schema del Piano intercomunalemilanese di Corna Pellegrini, alternati-vo alla “turbina” di De Carlo10). Ancoraal convegno dell’Istituto nazionale diurbanistica del 1956 basta scorrere ivari interventi per ritrovare da un latogli obiettivi originali della pianificazio-ne intercomunale così come inseritaall’art. 12 della Legge urbanistica (assi-milabili a un piano comunale), e quelliper dirla con Zevi di “sostituzione dal-l’alto e dal basso” della pianificazionedi coordinamento.Ancora un ruolo ‘supplente’ rispetto alriordinamento amministrativo, purnella straordinaria coerenza interna eprecisione di obiettivi socioeconomici espaziali, tenta di svolgere il Codicedell’Urbanistica11, con cui si apre l’ulti-ma stagione di dibattito, parallela aquella della programmazione economi-ca che si concluderà con l’avvio delleregioni a statuto ordinario. Al centrodel sistema è ancora il “comprensorio”,spazio ideale definito (sin dal primodibattito degli anni ’20) soprattuttodalle premesse e dalle finalità dellapianificazione territoriale. Tali premes-se e finalità ancora una volta nonhanno fatto però i conti con il sistemaorganizzativo e circoscrizionale su cuiruota invece l’urbanismo di matricetecnico-amministrativa, parzialmenteispirato alla scuola francese. E non è

Le ‘gerarchie’ della legge urbanistica

Nel testo approvato della Legge Gorladel 1942 è vero che si formalizzano ledue dimensioni e articolazioni – gerar-chica e partecipativa – della sovraco-munalità, ma da un lato resta aperta aqualunque ipotesi la definizione delbacino di coordinamento territoriale(regionale, provinciale, intermedio, …),dall’altro l’intercomunalità dell’art. 12nasce più che altro dall’oggettivaimpossibilità di procedere secondoaggregazioni successive di comuni con-termini a quello maggiore. In un modoo nell’altro, la doppia dimensione delpiano sovracomunale viene comunquestabilita per legge. L’intercomunalità‘orizzontale’ e partecipativa trova inol-tre spazio nel piano elaborato da unconsorzio di piccoli comuni nel nordMilano, col coordinamento di LuigiDodi7, senza alcun bisogno di ricorrereo rincorrere mutamenti istituzionali,addirittura qualche mese prima dellalegge del 1942.A specificare alcuni contenuti dell’altromodello, quello gerarchico/pervasivo,arriverà nel dopoguerra per prima l’im-postazione metodologica degli studi sulpiano piemontese redatti nel 1946 dalgruppo di Astengo8.Pur riconoscendo il nuovo quadrodemocratico e delle autonomie locali, ilpiano non sfugge ad un approccio incui prevale una razionalità esclusiva-mente disciplinare, anche se mitigatada considerazioni complesse.Il territorio, in piena coerenza con le‘scatole cinesi’ della legge del 1942, siarticola così in comprensori omogeneiattorno a un nucleo ordinatore, e lostesso riferimento a circoscrizioni esi-stenti come quelle provinciali si accom-pagna alle abbondanti premesse peruna serie di revisioni, circoscrizionali edi competenza.In altre parole, sembra che sia il territo-rio (e le sue articolazioni amministrati-ve) a doversi adattare al piano, e nonviceversa.

Comuni, regioni, enti intermedi …pensati su misura per la pianificazione

Una buona sintesi delle due questioniconvergenti – sovracomunalità e inter-comunalità – è offerta dalla relazione

quanto garantisce funzionamento cor-rente agli organismi di sviluppo e attua-zione di qualunque piano: a maggiorragione dei piani articolati su varie cir-coscrizioni. Si assiste da qui in poi auna e vera e propria divaricazione fragli aspetti tecnici e funzionali, gli obiet-tivi spaziali della pianificazione territo-riale (ben rappresentati dalle tavole‘regionali’ dei concorsi) da un lato, larealtà amministrativa dell’articolazioneinterna degli uffici e dei limiti di circo-scrizione dall’altro. Naturalmente questosecondo aspetto continua a rimanere alcentro dell’attenzione, soprattutto perchi è orientato più alle questioni istitu-zionali e gestionali della pianificazione,che non alla definizione di particolariobiettivi e assetti spaziali.Paradigmatico in questo senso è unarticolo di Virgilio Testa5 parallelo alsuo lavoro di relatore del primo proget-to di legge urbanistica nazionale, chepur timidamente introduce la dimensio-ne sovracomunale. Il lungo saggio diTesta passa in rassegna numerosi e arti-colati modelli di lettura e intervento, daquelli più affini al modello gerarchicoall’italiana (formalizzato dal Giovannoninel 19286 e, attraverso gli schemi per iconcorsi, poi istituzionalizzato nel1942), sino ai complessi intrecci diagenzie pubbliche, circoscrizioni ammi-nistrative e soggetti privati delle asso-ciazioni volontarie anglo-americane. Laconsapevolezza scientifica fatica però atradursi in riflessione istituzionale, se insede di dibattito legislativo prima sidiscetta su un ruolo non chiarissimo peri piani “regionali/intercomunali” (sic),poi nel progetto di legge presentato (erapidamente ritirato) tra il 1932 e il1933 dal ministro Di Crollalanza sitorna ad una vaga formulazione dibacini urbanistici sovracomunali, senzaspecificarne né la dimensione, né l’arti-colazione amministrativa e decisionale.I contenuti del piano sovracomunaleanticipano di fatto quelli del piano ter-ritoriale della legge del 1942, ma sem-bra per il momento scomparsa la lucidaseparazione/articolazione individuataimmediatamente da Schiavi, e poi ana-lizzata da Testa: un percorso discenden-te di coordinamento; uno orizzontalepiù elastico e partecipativo, diverso ecomplementare nei contenuti e negliobiettivi.

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Pianificazione intercomunale

Solo lavorando congiuntamente suidiversi problemi (normativi, fiscali,tecnici e politici) che ne ostacolano lasperimentazione, è possibile consoli-dare la prospettiva della costruzionedi piani urbanistici intercomunali

dano sia le scelte insediative di servizie infrastrutture alla scala dell’areavasta, sia i loro impatti territorialilocalizzati; di procedere all’identifica-zione di aree, corridoi, ambienti e pae-saggi di naturalità, che necessariamen-te travalicano i confini amministrativi;di lavorare in forma transcalare all’i-dentificazione e alla costruzione diprogetti urbani e territoriali connessi a‘grandi fatti’ insediativi.In presenza di una domanda di regola-zione e gestione del territorio semprepiù articolata e multidimensionale, lapercezione dell’impossibilità di gover-nare le dinamiche di trasformazione ascala comunale comporta una attenzio-ne crescente – e per alcuni aspetti ine-dita – alle relazioni spaziali che inter-corrono tra un ambito territoriale pre-sidiato e regolato entro confini istitu-zionalmente definiti e un contesto chesi costruisce ‘a geometria variabile’, inrapporto a diversi temi di progettazio-ne e settori di politiche.Oltre a queste cause interne, nel corsodegli ultimi anni è emersa una serie dimotivazioni esogene, che ha ulterior-mente contribuito a costruire e conso-lidare le istanze di attivazione di per-corsi di pianificazione intercomunale.Alcune di tali motivazioni sono note esono state ampiamente analizzate. Sipensi alla rilevanza dei processi diriorganizzazione istituzionale delloStato che, dalla Legge 142/1990 alTesto unico degli enti locali e al nuovoTitolo V della Costituzione, hannoridefinito sulla base di principi di sus-sidiarietà verticale le modalità digoverno del territorio, fornendo stru-

Domande e ostacoliGabriele Pasqui*

La pianificazione territoriale (e insenso più stretto) urbanistica interco-munale rappresenta certamente un ter-reno rilevante di ricerca e sperimenta-zione che, pur radicandosi in una sto-ria lunga, nel corso degli ultimi anniha visto ridefinire e rideclinare il pro-prio senso entro pratiche inedite.Per riflettere su questo campo di espe-rienze è utile in prima istanza chiedersida quali fattori (esogeni ed endogenialle pratiche urbanistiche di governodel territorio e, in particolare, di rego-lazione degli usi dei suoli) sia venutaemergendo una nuova domanda diintercomunalità.Dal punto di vista dei fattori internialle pratiche urbanistiche, l’intercomu-nalità ha sempre rappresentato un ter-reno rilevante di ricerca e sperimenta-zione, anche in ragione della necessa-ria intersezione tra dimensioni locale esovralocale della regolazione degli usidei suoli e della produzione di esterna-lità spazialmente differite ad esse con-nesse, che più volte Luigi Mazza hasottolineato nei suoi contributi teorici. D’altra parte, una nuova domanda diintercomunalità sembra essere oggispecificamente sollecitata dall’esigenzadi intercettare, nei piani urbanistici,istanze di programmazione che riguar-

certo un caso se, puntualmente, quan-do a regioni avviate i comprensori ini-zieranno a prendere le forme concretedella loro (breve) esistenza fisica, pun-tuale dalle pagine di Urbanistica arri-verà la sconfessione di Astengo: “si ècolti da capogiro di fronte al disinvoltosfoggio … di nuovi e non definiti stru-menti”12.Un “capogiro” sintomo di un forse ine-liminabile (e non solo in Italia) duali-smo fra organizzazione storica dellecircoscrizioni amministrative, ed evolu-zione della cultura di piano. Un duali-smo forse attenuabile reinserendo apieno titolo e dignità nel dibattito sulpiano le questioni circoscrizionali e distruttura interna degli enti preposti allasua concreta gestione.

* Gestore il sito http://mall.lampnet.org.

Note 1. Questo testo restituisce un’esposizione sintetica dialcune tesi sostenute in Bottini F. (2003),Sovacomunalità 1925-1970, Milano.2. Cfr. Chiodi C. (1925), “Come viene impostato dallacittà di Milano lo studio del suo nuovo Piano diampliamento”, Città di Milano, luglio-agosto.3. Cfr. Schiavi A. (1925), “Le autostrade e l’urbanismo”,La Casa, giugno.4. I primi studi di Unwin sono efficamente riassunti apartire dal 1920 nelle battute introduttive del“Preamble” di Patrick Abercrombie al suo GreaterLondon Plan, HMSO, London 1945; per il Piano di NewYork (oltre ai due volumi ripubblicati negli anni ’70dalla Arno Press) e il ruolo di Adams si veda SimpsonM. (1985), Thomas Adams and the Modern PlanningMovement, Mansell, London-New York (capp. 6 e 7).5. Cfr. Testa V. (1933), “Necessità dei piani regionali eloro disciplina giuridica”, Urbanistica, n. 3.6. Cfr. Giovannoni G. (1928), “Questioni urbanistiche”,L’Ingegnere, gennaio.7. Si tratta di un piano poco noto e affatto studiato. Leuniche tracce contemporanee sono in Albertini C.(1942), “Verso un Piano regionale”, La Casa, dicembre.8. Astengo G., Bianco M., Renacco N., Rizzotti A.(1947), “Piano regionale piemontese”, Metron, n. 14.9. Zevi B. (1956), “L’organizzazione del VI Congresso diUrbanistica”, in Istituto nazionale di urbanistica, Lapianificazione intercomunale, Roma.10. Cfr. Romano M. (1967), “L’esperienza del Pianointercomunale milanese”, Urbanistica, n. 50-51 (Tav. 5,Una proposta di sviluppo Lineare).11. Istituto nazionale di urbanistica (1960), Il Codicedell’Urbanistica, Roma.12. Astengo G. (1971), “Alcuni fatti”, Urbanistica, n. 57.

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Urbanistica INFORMAZIONI

Innanzitutto, la pianificazione urbani-stica intercomunale deve potersi dis-piegare entro un quadro legislativochiaro, che permetta ai comuni cheintendono spingersi in questa direzio-ne di attivare un processo tecnica-mente ed economicamente sostenibile.Per fare solo un esempio, la nuovalegge regionale lombarda per il gover-no del territorio permette sì la realiz-zazione di Piani di governo del terri-torio a scala intercomunale, ma ponenelle proprie Linee guida vincoli allaproduzione di elaborati tecnici (conrelativi formati) che sembrano poteressere rispettati esclusivamente alladimensione del singolo comune (o, alpiù, di un gruppo limitato di piccolicomuni). Generalmente non sembraesistere una cultura tecnica e giuridicain grado di offrire, ai comuni chevogliano sperimentare la pianificazio-ne intercomunale (soprattutto per areesufficientemente ampie e complesse),le risorse normative adatte a incenti-vare tali forme di cooperazione. Sitratta dunque di mettere a punto dis-positivi legislativi, che pongano effet-tivamente le amministrazioni comu-nali in condizione di promuoverepiani di governo del territorio a livel-lo intercomunale, attraverso la previ-sione di procedure e di prodotti adattia rispondere alle esigenze specifica-mente poste dall’intercomunalità. In secondo luogo, la regolazioneurbanistica costituisce un cardinedella finanza locale. La possibilità disperimentare efficacemente pianiurbanistici intercomunali dipende dal-l’intersezione con una efficace politicaintercomunale di distribuzione e redi-stribuzione territoriale dei vantaggi edegli svantaggi, anche attraversomeccanismi compensativi. Su questoterreno, come testimoniano diversiservizi di Urbanistica Informazioni,sono stati fatti passi avanti importan-ti; ma non bisogna dimenticare chesolo una maggiore autonomia fiscale,e in generale finanziaria, delle ammi-nistrazioni locali (che l’ultima leggefinanziaria purtroppo erode ulterior-mente) può consentire di identificareforme efficaci di contrattazione escambio, che permettano di distribuireequamente sul territorio costi e bene-fici.

zione urbanistica sovracomunale,incardinate nell’azione di governo e dipianificazione di enti sovraordinati,dalle pratiche di pianificazione interco-munale; intendendo queste ultimecome esito dell’attivazione, da partedelle amministrazioni comunali, diprocedure di condivisione ‘dal basso’delle scelte di governo del territorio.La prima famiglia di esperienze, ricon-ducibile sia al quadro dei tentativi dipianificazione provinciale sia all’inter-no di altri strumenti di governo delterritorio (piani d’area, piani di coordi-namento di parchi e fiumi, etc.), ricorrea dispositivi di razionalizzazione dellescelte di ordine sovracomunale, tesi ainvitare e incentivare i comuni a lavo-rare insieme e a cooperare. Gli incenti-vi, come è noto, possono essere didiversa natura: quel che conta è che sitratta comunque di pratiche che nonmettono in gioco direttamente la fun-zione di governo del territorio comu-nale.Per intercomunalità, invece, è opportu-no intendere una modalità di azionecongiunta tra amministrazioni comu-nali che, volontariamente e sulla basedi un quadro legislativo che lo consen-ta, sono in grado di costruire dispositi-vi e strumenti di governo ordinario delterritorio, nei quali ogni singolo comu-ne mette a disposizione del livellointercomunale stesso le proprie compe-tenze e la propria sovranità.Su quest’ultimo fronte, come giàaccennato, le difficoltà sono formida-bili. Anche quando le amministrazionicomunali sono in grado i lavorareinsieme su un numero rilevante dipolitiche di settore (dalla gestioneassociata dei servizi al welfare; dallaprogrammazione dello sviluppo territo-riale all’ambiente), e persino di speri-mentare forme di condivisione di sce-nari di sviluppo (costituendo soggettiad hoc, quali le agenzie di sviluppo, oattivando pratiche di pianificazionestrategica), la costruzione di piani digoverno del territorio di carattereintercomunale è un processo cheincontra ostacoli spesso insormontabili.

Perché è difficile

Le ragioni di questa difficoltà sonoriconducibili a quattro famiglie.

menti e dispositivi per la sperimenta-zione di forme di intercomunalità.A questo tema, esplorato in modoesauriente nel contributo di ValeriaFedeli contenuto nell’ultimo Rapportodal territorio 2005 pubblicato dall’Inue curato da Pierluigi Properzi, se nesono aggiunti altri.Innanzitutto, la crescente rilevanza diuna spinta istituzionale e legislativa(a livello regionale e nazionale) versola costruzione di processi di program-mazione intercomunale, in relazioneai servizi di welfare locale (si pensi alpeso che ha avuto in questi anni l’at-tivazione dei Piani di zona istituitidalla Legge 328/2000) e ai servizipubblici territoriali (dai rifiuti all’e-nergia, dall’acqua alle piattaformelogistiche per la produzione).In secondo luogo, la sperimentazionedi progetti territoriali di sviluppo,finanziati con risorse europee, nazio-nali o regionali (dai Patti territoriali aiProgetti integrati territoriali, dalle ini-ziative comunitarie Interreg e Leaderad una esperienza ampiamente discus-sa in Urbanistica Informazioni comequella dei Prusst), che spesso hannorafforzato e consolidato la coopera-zione tra amministrazioni locali. Interzo luogo, lo sviluppo di politichesettoriali (relative a infrastrutture emobilità, turismo, beni culturali, indu-stria, e così via), che hanno spessoveicolato la sperimentazione di pro-getti e programmi di scala intercomu-nale finalizzati alla loro stessa defini-zione, attuazione e gestione.La spinta endogena ed esogena all’in-tercomunalità è stata in definitivapiuttosto forte, ed ha prodotto espe-rienze anche molto significative sulfronte delle politiche.Assai meno copiosa, e per certi aspettiancora embrionale, sembra inveceessere la capacità delle amministra-zioni comunali di sperimentare dav-vero forme di pianificazione urbani-stica intercomunale, attinenti allefunzione e alle competenze di gover-no del territorio in senso stretto.

Intercomunalità e sovracomunalità

Per riflettere su questa difficoltà è inprimo luogo opportuno distinguerenettamente le esperienze di pianifica-

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Urbanistica INFORMAZIONI

possibile lavorare anche distintamen-te, purché però si comprenda l’intrec-cio tra questi diversi aspetti, cheinsieme configurano il campo d’azio-ne all’interno del quale si può rendereutile ed efficace una pratica certamen-te utile ma assai complessa.

* Professore, dipartimento di Architettura ePianificazione, Politecnico di Milano.

In terzo luogo, per fare piani interco-munali è necessario imparare a lavo-rare insieme, innanzitutto dal puntodi vista delle strutture organizzative edelle competenze interne alle ammini-strazioni. Come è noto, soprattutto neicomuni medi e piccoli, gli uffici tecni-ci non sempre sono attrezzati, dalpunto di vista della strumentazionetecnica e dell’impianto culturale, aduna difficile attività di cooperazione ecoordinamento. Dunque, l’attivazionedi azioni di capacity bulding, rivolte aconsolidare competenze amministrati-ve e tecniche nei comuni (a partire, adesempio, dalla promozione di formestabili di gestione associata di alcunefunzioni degli uffici tecnici), appareuna condizione necessaria per rendereefficace la sperimentazione di pianiintercomunali. Ovviamente, questoproblema riguarda anche i tecnici e iconsulenti esterni alle amministrazio-ni, che molto spesso non sannomaneggiare gli strumenti più utili pergestire questo tipo di pianificazione.In quarto luogo, la pianificazioneintercomunale richiede non solo capa-cità tecniche, ma anche leadershippolitica. In questa fase, nella quale laspinta propulsiva della prima stagionedei sindaci sembra essersi esaurita, iproblemi di guida strategica dei pro-cessi intercomunali, specialmente inun settore delicato di intervento comequello del governo del territorio,appaiono particolarmente acuti e gra-vosi. Proprio perché, diversamentedalle pratiche di pianificazione sovra-comunale, i piani intercomunali sononecessariamente volontari e devonodefinire i propri confini, l’assenza diuna forte leadership politica lasciaquesti processi orfani dell’opportunaregia strategica. Su quest’ultimoaspetto è più difficile pensare di lavo-rare per via legislativa: si tratta piut-tosto di consolidare la capacità dicooperazione già maturata in altricampi, sostenendo dal punto di vistapolitico e culturale tale prospettiva.In definitiva, per potere dispiegarepienamente le opportunità offertedalla pianificazione urbanistica inter-comunale serve l’attivazione congiun-ta di quattro condizioni: regole piùchiare; risorse; capacità tecnica; regiapolitica. Su ciascuna condizione è

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Progetto Conspace.Esperienze per la nuovapianificazione del Venetoa cura di Franco Albertie Luca Lodatti

“È con questa esperienza, unitamentealle altre già effettuate e alle prossimeche verranno, che la Regione Venetointende dare il proprio contributo per lacostruzione di un’Europa delle Regioniche assuma come elemento fondanteuna comune visione strategica su temiche abbisognano di una risposta comu-ne, come la gestione e promozione delpatrimonio storico e naturale, lo svilup-po territoriale, il policentrismo e lamobilità”.

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Pianificazione intercomunale

Forme di pianificazione d’area edesperienze di pianificazione strategi-ca offrono materiali per rideclinarein maniera non tradizionale il rap-porto tra intercomunalità e pianifi-cazione territoriale

Il contesto lombardo può costituire uncaso significativo, per quanto paradossa-le, per la riflessione sul rapporto traintercomunalità e pianificazione territo-riale. Pochi tratti possono essere utili apresentarlo criticamente:1. un numero ormai significativo diesperimenti di intercomunalità, di diver-sa natura, portata, contenuti e significa-to. La Lombardia, con 54 unioni dicomuni (dati Anci-Camelot, 2005), sicolloca al primo posto nella classificanazionale: un primato parziale, se guar-dato dal punto di vista della percentualedi amministrazioni comunali interessate(solo quasi il 12%), ma che la collocacomunque a notevole distanzadall’Emilia-Romagna, che vanta nel2005 solo 9 unioni. Appare recuperatoanche lo svantaggio rispetto ai dati rela-tivi a processi di associazionismo comu-nale diversi dall’unione: se un tempoinfatti l’Emilia-Romagna vinceva di granlunga la sfida della intercomunalità pro-prio grazie alle altre forme di associazio-nismo da essa promosse, le mappe ela-borate dall’Irer evidenziano ormai ancheper la Lombardia la crescente rilevanzadel fenomeno delle gestioni associatedifferenti dalle unioni, spesso legate amodalità di coalizione su progetto didiversa natura.2. esperimenti a cui corrisponde un

In effetti la recente riformulazione delquadro legislativo regionale (Lr 12/2005)ha introdotto rilevanti, e contestate,modifiche in termini di contenuti obbli-gatori del Piano di governo del territorioe contemporaneamente ridimensionato ilruolo assegnato alla province. E questosenza prestare nessuna specifica atten-zione alla promozione di forme di piani-ficazione intercomunale al di là delPiano territoriale regionale d’area, aven-te finalità di inquadramento finanziarioe di coordinamento delle scelte delleamministrazioni locali, la cui elaborazio-ne è prevista per approfondire alla scalaadeguata gli effetti socioeconomici einfrastrutturali di interventi di importan-za regionale che interessino territoriintercomunali significativi.

Il contesto milanese: un’eccezione o laregola?

Se questo è lo sfondo, ragionando su uncaso come quello milanese, possiamoaggiungere qualche elemento che com-plica il quadro delle aporie e contribui-sce però a metterne in luce alcuni limitie potenzialità. Se negli anni ‘60 il Pianointercomunale milanese (Pim), con lacostituzione del consorzio volontario deicomuni, è risultato fondativo sul temadella pianificazione territoriale, oggiappare evidente quanto esso abbia anti-cipato la difficoltà di coniugare inmaniera diretta e biunivoca la questioneistituzionale e il tema del governo delterritorio. Una difficoltà in cui la rifles-sione disciplinare è spesso caduta, finen-do per rincorrere una ipotesi normativadel concetto di intercomunalità contrap-posta ad un riferimento dinamico pro-

Il laboratorio lombardo, tra aporie,potenzialità e limitiValeria Fedeli*

investimento istituzionale ancora debole.Se la Regione Lombardia è tra quelle lacui riflessione su questo tema ha pro-mosso esperimenti importanti saliti allecronache disciplinari nazionali (bastipensare ai comprensori), gli ultimi anni,a partire dalla adozione del Tuel (Testounico degli enti locali), sembrano segna-re una ben diversa stagione. La Regioneha infatti a lungo tardato ad applicare ilTitolo V e ad emanare appropriate formedi sostegno finanziario alla intercomu-nalità, rimanendo legata più all’ingegne-ria istituzionale e a ridosso di questionidi efficienza nella produzione di servizi.Fino al 2003 essa ha semplicementedisciplinato i contributi da concedere alfine di premiare unioni di piccoli comu-ni, con problemi di offerta minima diservizi ai propri cittadini. Con la Lr6/2001 ha poi lavorato alla definizionedi livelli ottimali di esercizio delle fun-zioni dei comuni di minori dimensioni eal programma di individuazione degliambiti territoriali. Solo con l’ultimariformulazione della normativa, i contri-buti vengono riconosciuti anche adaggregazioni municipali di altra natura,andando sia all’attivazione di progettiesplorativi, sia a sostegno di esperienzerecentemente avviate o consolidate. 3. assenza di un’attenzione specifica aitemi della pianificazione del territorio.Nessuno stretto legame viene intessutoin maniera programmatica tra governodel territorio e intercomunalità.Nonostante nell’assegnazione dei contri-buti per l’intercomunalità, urbanistica egoverno del territorio siano tra le fun-zioni più importanti da premiare, l’inve-stimento appare più che altro simbolico.

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Urbanistica INFORMAZIONI

sovranità-territorialità. Una rottura chepassa per quelle che De Certau avrebbedefinito le condizioni inevitabili di unsapere tattico più che strategico: nonsiamo infatti di fronte a soggetti dotatidi un potere chiaro e isolabile in funzio-ne delle proprie volontà, né di un luogoe di un tempo identificati e circoscritti sucui esercitare le scelte; ma piuttosto diattori che giocano in assenza sia di unluogo proprio che conferisca loro auto-nomia, sia di un orizzonte temporaledefinito. Si tratta di un gioco del piùdebole, tutto a ridosso del luogo e delpotere dell’altro, in cui ci si muove alloscoperto, spesso senza difese e senza unavisione d’insieme, approfittando delleoccasioni. Dove è proprio l’assenza diuno spazio di potere dato a richiederel’azione e, al tempo stesso, a renderlaassolutamente non scontata, anzi spessocontestata (cfr. De Certau, 2001, pp. 71-75). Potremmo infatti dire che molticomuni lombardi sono oggi impegnati inun ‘fare incursioni nello spazio altrui’, avolte in termini conflittuali (costruendola propria attorialità a ridosso di unanuova geografia che si sottrae alla logicadella sovranità territoriale), a volte intermini collaborativi (accettando diinterrogarsi a vicenda sugli effetti delleproprie scelte). Nel fare ciò, come nelfare altrettante ‘incursioni nel tempo’(bucandolo con le vision e tornando aricucirlo con i progetti e le norme), essifiniscono per lasciarsi alle spalle – spes-so senza accorgersene – sia il modello dipianificazione sia quello di intercomuna-lità che leggi e piani continuano adinseguire. È proprio per questo che unatrattazione del tema proposto da questasezione appare tutt’altro che facile, etrova utili spunti non tanto in quello chei primi paragrafi hanno provato a sinte-tizzare, quanto piuttosto nelle suggestio-ni che quest’ultimo cerca di fornire.

* Assegnista di ricerca, Dipartimento di Architettura ePianificazione, Politecnico di Milano.

Riferimenti bibliografici Balducci A. (2003), “Policies, plans and projects.Governing the city-region of Milan”, DISP, n. 152.Campos Venuti G. (1976), Un’alternativa urbanistica perMilano, Milano De Certau M. (2001), L’invenzione del quotidiano,Edizioni Lavoro, Roma.Gualini E. (2003), “The Region of Milan”, in Salet W.,Thornley A., Kreukels A. (eds.), MetropolitanGovernance and Spatial Planning, Spon Press, London.

Ptcp non è ancora stato fissato e ricono-sciuto per legge.Se si indagano le ragioni di questa len-tezza si scoprono alcune questioni ricor-renti: la difficoltà dei comuni nel ritro-varsi in forme stabili di cooperazione; lacomplessità di alcuni processi decisionaliin corso in alcuni territori, che fa delpiano un campo di discussione di pro-blemi e conflitti spesso non trattabili; latemuta, e al tempo stesso necessaria-mente poco chiara, valenza normativadei Piani d’area. Tutto ciò a fronte diuna percezione, altrettanto diffusa nelleamministrazioni locali, della necessità didare forma e continuità alle esperienzedi intercomunalità, che tuttavia fa iconti con la fatica di costruire e consoli-dare coalizioni di attori inedite (comequelle formate da sindaci), e con ilsovraccarico simbolico connotante alcu-ne di queste sperimentazioni (spessointerpretate dai comuni come occasioniuniche di riconoscimento del propriostatuto di attore); a questo si aggiungela consapevolezza del persistere di ungap tra dimensione volontaristica edimensione normativa con cui un pro-cesso di pianificazione di solito si con-clude. Questioni e criticità, quelle fin quirichiamate, che anche le sperimentazionidi maggiore successo si trovano adaffrontare.

Dai piani d’area ai piani strategici:spazi di innovazione?

Esplorando esperienze simili attivate inaltri campi (anche diversi dalla pianifica-zione del territorio) si scopre tuttaviache, pur con sfumature diverse, molte diesse stanno operando uno spostamentoda una cornice un po’ stretta di ipotesidi pianificazione d’area intesa in formatradizionale, verso forme di piano cheosservatori e protagonisti stentano ariconoscere/definire come tali, rispettoalle quali è oggi in corso un fenomenodi rinominazione che segnala al tempostesso il disagio e l’innovazione. In parti-colare, le forme di pianificazione strate-gica intercomunale (dal Nord Milano,all’Alto milanese, alla Brianza, per arri-vare al Progetto strategico di cui laProvincia di Milano si è fatta promotri-ce) testimoniano importanza e contrad-dizioni della rottura degli stretti binomipianificazione-governo del territorio,

cessuale e aperto. Se tale equivoco hatrovato nelle vicende del Pim la propriaparabola esplicativa (cfr. Campos Venuti1976; Balducci 2003; Gualini 2003), lepiù recenti esperienze di pianificazioned’area avviate in relazione al Piano ter-ritoriale di coordinamento provinciale(Ptcp), e il diffondersi di forme di piani-ficazione strategica, testimoniano che,da un lato, le contraddizioni sono anco-ra vive e che, dall’altro, le risposte alladomanda di intercomunalità finisconoper essere rintracciabili, a fatica, e nonsenza contraddizioni, in un campodiverso da quello che si continua a col-tivare. L’Assessorato provinciale allaPianificazione del territorio, con ilDocumento di indirizzo e linee guida perl’adeguamento del Piano territoriale dicoordinamento provinciale vigente, tornaoggi ad assegnare uno specifico ruolo aiPiani d’area, promossi in maniera speri-mentale nella prima fase di ideazionedell’attuale Ptcp in risposta a quantoprevisto dalla allora vigente Lr 1/2000.Con essi si intendeva garantire il coin-volgimento dei comuni nella costruzionedel proprio strumento di governo delterritorio, chiamandoli a fare parte dellaConferenza dei comuni (con diritto diparere preventivo sul Ptcp) e di Tavoliinteristituzionali intesi come “sede di co-pianificazione a carattere permanente”(art. 8). Nel susseguirsi di tre giunte –che hanno interpretato con maggiore ominore consapevolezza, e interesse, gliesiti di questa possibilità a carattereessenzialmente volontaristico – la vicen-da ha iniziato soltanto di recente a pro-durre alcuni risultati. Necessariamentecontradditori. Solo alcuni territori hannosuperato la fase dello Studio d’area, ecioè quella che, dopo la sottoscrizione diun accordo politico tra amministrazioneprovinciale e comuni coinvolti, lavora aricostruire programmaticamente il qua-dro delle problematicità e delle risorse.Quattro Studi d’area sono ad oggi com-pletati, quattro avviati e due sono infase di avvio; un solo Piano d’area èstato completato, uno avviato e duesono in fase di avvio. La terza stagione,da poco inaugurata, di nuovi finanzia-menti provinciali ai comuni a sostegnodell’iniziativa sta contribuendo a rilan-ciare l’operazione, anche se i Piani d’a-rea rimangono comunque strumenti dinatura volontaria, il cui rapporto con il

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Pianificazione intercomunale

Un primo bilancio sul tema dell’in-tercomunalità, che in Emilia-Roma-gna negli ultimi anni è stato larga-mente affrontato grazie all’esperien-za dei piani urbanistici comunaliredatti in forma associata.

Nel corso degli ultimi anni il tema del-l’intercomunalità in Emilia-Romagna siè riaffermato, in diverse e significativeesperienze di pianificazione urbanisticaassociata, come risposta alla consape-volezza della dimensione sovracomu-nale della pianificazione locale. Questatendenza, tutt’ora in atto trova, da unlato, un richiamo originario nei casi dipianificazione di carattere comprenso-riale, attivata attivati negli anni ‘70, inrispostaper far fronte all’esigenza dipianificare e coordinare l’attuazionedelle trasformazioni urbanistiche ad unlivello intermedio tra quello regionalee quello comunale, dall’altro, è espres-sione di rinnovate esigenze ed obiettividella pianificazione riferibili al mutatocontesto disciplinare che, con la recen-te riforma, ha visto il superamento deltradizionale sistema a cascata e l’affer-marsi del principio di sussidiarietàanche nel campo della pianificazioneurbanistica e territoriale. Il contesto normativo di riferimento, apartire dal quale è andata via viamaturando l’esperienza della pianifica-zione intercomunale, è rappresentatodalla prima legge urbanistica regionale(L.r.Lr 47/1978) che istituisce i com-prensori, ma è solo con la recenteL.r.Lr 20/2000 Disciplina regionalesulla tutela e l’uso del territorio e con

diativi ed infrastrutturali di rangosovracomunale, concertandone la com-patibilità e la eventuale attuazione coni soggetti istituzionali e le amministra-zioni di volta in volta cointeressati datali esternalità.

L’articolazione del fenomeno

Il fenomeno dei piani associati, intesocome pianificazione unitaria tra piùamministrazioni di pari livello, coin-volge ad oggi, in Emilia-Romagna, il47% dei comuni, corrispondente acirca il 31% della popolazione.Si tratta di un fenomeno piuttosto arti-colato, anche dal punto di vista delledimensioni delle associazioni di comu-ni, che vanno da realtà attorno ai125.000 abitanti fino alle più piccolecon 2.500-3.000 abitanti. In particola-re è possibile riconoscere tre tipologiedi associazione. La prima, compren-dente le associazioni più grandi, ècostituita da una città superiore ai30.000 abitanti, epicentro di un siste-ma locale del lavoro, e da una parteconsistente dei suoi comuni di cintura.La seconda tipologia è costituita daagglomerati di piccoli comuni (il piùdelle volte sotto i 10.000 abitanti), conun unico centro maggiore (tra i 30.000ed i 15.000 residenti); alcune di taliassociazioni sono a loro volta ‘satelliti’di un capoluogo di provincia (comeaccade, ad esempio, a Bologna, doveperaltro le associazioni, assieme alcomune capoluogo, partecipano aforme volontarie di coordinamentometropolitane). La terza tipologia, infi-ne, raccoglie associazioni costituite dapiccoli o piccolissimi comuni con

Piani in forma associata: esperienze in Emilia-RomagnaGiulia Angelelli, Luisa Ravanello, Giovanni Rinaldi*

la la sua legge di finanziamento L.r.Lr11/2001 Disciplina delle forme associa-tive e altre disposizioni in materia diEnti enti Localilocali, che prendonofortemente piede i piani urbanisticiredatti in forma associata. Con la L.r.Lr20/2000, in particolare, si introduce lapossibilità di associarsi per la redazio-ne di piani mediante la sottoscrizionedi un Accordo territoriale tra comuni.La Leggelegge, in realtà, non dettanorme che formalizzano un livello dipianificazione intermedio (tra quelloprovinciale e comunale), ma riconoscela necessità di pianificare a livello ade-guato specialmente laddove il Pianopiano territoriale di coordinamentoprovinciale prevede forme di coopera-zione tra comuni, con particolare rife-rimento agli ambiti che presentanoun’elevata continuità insediativa, o neicasi in cui le scelte pianificatoriecomunali comportano significativieffetti di rilievo sovracomunale e sirendono necessarie politiche di inte-grazione funzionale (artt. 13 e A-4 ). Da questo punto di vista, la Leggelegge regionale punta a costruire, tra idiversi livelli di pianificazione, proce-dure in grado di consentire un equili-brio tra autonomia e sussidiarietà, e dipromuovere l’instaurarsi di rapporti dicooperazione e coordinamento tra glienti dello stesso livello. Ciò al fine, daun lato, di evitare che il livello supe-riore faccia ciò che può essere effica-cemente svolto da quello inferiore e,dall’altro, di valutare, alla scala piùappropriata, le azioni dei piani urbani-stici che possono presentare esternalitàsui sistemi territoriali, ambientali, inse-

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Urbanistica INFORMAZIONI

abitative e dei servizi, ecc. -, –,rischiando di determinare un sovradi-mensionamento delle previsioni inse-diative degli ambiti di trasformazionenei comuni con piani regolatori piùrecenti.Una disomogenea disponibilità di resi-dui, inoltre, può determinare, neidiversi comuni, atteggiamenti differen-ziati rispetto ai tempi di conclusionedel procedimento di approvazione delPsc, prolungando i tempiquelli di for-mazione dei conseguenti strumenti diattuazione. Ne conseguono gravi len-tezze pianificatorie, se non inadem-pienze, da parte di singoli enti localinel dare attuazione coordinata a sceltee a progetti comuni.La dimensione atemporale del Psc (chederiva dalla sua natura non conforma-tiva dei diritti edificatori) esige, al con-trario, un coordinamento, anche neltempo, delle fasi attuative del Pianostrutturale associato, al fine di assicu-rare l’armonica e puntuale messa inopera delle previsioni, con particolareriferimento al coordinamento della rea-lizzazione di infrastrutture, servizi edella distribuzione dei pesi insediativitra comuni. Alcune associazioni hanno sceltovolontariamente di procedere allagestione e all’attuazione in forma asso-ciata anche dei Piani operativi comu-nali (Poc), nell’intento di programmarele trasformazioni e ridurre le competi-zioni interne tra i comuni della stessaassociazione. Pari attenzione è stataposta anche ai Regolamenti urbanisticiedilizi (Rue), redatti in forma associatanell’ottica di uniformare norme, para-metri e tempi di gestione, seguire lineecomuni nelle procedure concorsuali, edi ridurre anche le differenze di lin-guaggio tra le amministrazioni chescelgono di pianificare in manieracoordinata.Ciononostante si avverte l’esigenza, pernon vanificare gli sforzi della pianifi-cazione associata, di un preciso obbli-go normativo volto a far sì che, a par-tire dalla chiusura della Conferenza diPianificazionepianificazione, i singolicomuni approvino (più o meno simul-taneamente) il Psc e quindi il Rue ed iPoc secondo modalità coordinate, inmodo da assicurare una programma-zione temporale precisa e certa di

riale condiviso e alla formulazione distrategie di pianificazione e azioniconcertate, le pratiche urbanistiche inatto dimostrano come di fatto nonrisultino valorizzati fino in fondo glistrumenti e gli spazi di autonomiadisciplinati dalla L.r.Lr 20/2000. In particolare, se la Legge legge indivi-dua nell’insieme degli strumenti1 enelle procedure, gli elementi attraversoi quali rispondere ad obiettivi di sussi-diarietà e adeguatezza, la pratica mettein luce come la formazione dei pianiassociati risenta, talvolta, del perpe-tuarsi di logiche localistiche, nonriuscendo a contenere i diffusi mecca-nismi competitivi per l’acquisizione dipeso insediativo nei confronti deitracomuni contermini. Si tratta di uUnatteggiamento, quest’ultimo, che dan-neggia la formazione delle scelte di unpiano, che così rischia di diventare lasommatoria di piccoli interessi locali,slegati da una visione unitaria del ter-ritorio e da un approccio volto agarantire la sostenibilità anche neldivenire delle trasformazioni.Questa situazione vede sicuramente trale proprie cause il fatto che gli effettisulla fiscalità locale innescati dal pianosi manifestano solo a scala comunale,in un quadro di attuazione asimmetricadel nuovo Titolo V della Costituzione,rispetto al quale deve ancora essereaffrontato il tema del federalismofiscale. L’inadeguatezza dei vigentisistemi fiscali giunge persino a deter-minare difficoltà nei trasferimentifinanziari tra amministrazioni e nellagestione di finanziamenti per studi eprogetti.Un ulteriore elemento, che ha reso piùcomplesso lo sforzo volto a coordinaree a rendere coerenti le politiche urba-nistiche dei comuni associati, è costi-tuito dall’eterogeneità dei piani regola-tori vigenti nei diversi comuni, princi-palmente connessa alla loro età e, con-seguentemente, alla consistenza deiloro cosiddetti ‘residui’ (quote insedia-tive non attuate). Ciò Tale situazionecostringe ad adattare per ogni singolocomune lo spazio di manovra delPiano strutturale (Psc), rendendo tal-volta non omogeneo l’impatto dellenovità introdotte dalla recente Llegge -– come la perequazione, il nuovomodello di zonizzazione, le politiche

caratteristiche dimensionali moltosimili.Emerge, quindi, con evidenza che leprime motivazioni per la redazione diun piano associato sono, da un lato, larealizzazione di economie di scala nel-l’affrontare un processo che è vistocome impegnativo anche dal punto divista economico e delle risorse profes-sionali (esigenza percepibile soprattuttonei piccoli comuni, per i quali puòanche essere l’unica motivazione) nel-l’affrontare un processo che è vistocome impegnativo anche dal punto divista economico e delle risorse profes-sionali e,), dall’altro, la costruzionedelle basi per la definizione di sistemiterritoriali locali più coerenti, in gradodi superare le limitazioni proprie diuna visione strettamente circoscrittadai confini amministrativi (una que-stione tanto più sentita quanto più ilcomune ‘centrale’ è grande).Quest’ultimo aspetto, in particolare, èrisulta evidente se si osserva che ipiani associati ricalcano solo in partepreesistenti forme di aggregazionecomunale (secondo la definizione chene dà la L.r.Lr 11/2001). , ma più spes-so raggruppano comuni che apparten-gono a geometrie associative più anti-che o, ancora, comuni già partecipantiad un’aggregazione con comuni “isola-ti”. Non capisco questa ultima parte

Opportunità e fattori di complessità

L’analisi del complesso di talidelleesperienze a oggi avviate consente difare il punto su come la pianificazionein forma associata abbia potuto avva-lersi degli strumenti generali messi adisposizione dalla Legge legge regiona-le e, quindi, di focalizzare l’attenzionesul grado di utilizzazione delle oppor-tunità offerte dalla normativa vigente esugli elementi di criticità incontrati daparte delle pratiche urbanistiche incorso. Premesso, come già anticipato, che leesperienze di pianificazione associatanascono dalla consapevolezza dell’in-sufficienza della dimensione localenella della pianificazione rispetto aisistemi territoriali e ambientali di areavasta, e dalla scelta delle pubblicheamministrazioni coinvolte di arrivareall’elaborazione di un progetto territo-

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Pianificazione intercomunale

Da alcuni anni cinque amministra-zioni della provincia di Pesaro eUrbino hanno avviato la costruzionedi programmi e progetti per uno svi-luppo sostenibile e integrato del ter-ritorio intercomunale

Tavullia, con una superficie di 128,9 kmquadrati e 27.199 abitanti.È questa una delle più vivaci aree pro-duttive della provincia, dotata anche diun ricco patrimonio storico, artistico eambientale.Qui si colloca il “distretto del mobile”pesarese, che ha ormai assunto anche alivello nazionale un ruolo di primopiano. L’intera provincia è caratterizzatada un fortissimo decentramento produt-tivo, che oggi impone di ripensare imodi e i luoghi sia del lavorare sia del-l’abitare, e che nell’area dei comuni dellaBassa Val del Foglia – di cui ci stiamooccupando – ha prodotto una vistosacrescita sia dei residenti che degliaddetti3. Parallelo e conseguente è statolo sviluppo delle frazioni di fondovalledegli antichi castelli: queste si sonoandate ad espandere lungo la vecchiastrada Urbinate, ormai declassata a stra-da di collegamento interno.I centri di Osteria Nuova, Morciola,Montecchio, Bottega, pur appartenendoamministrativamente ognuno ad uncomune diverso4, oggi si estendono sullavecchia strada senza soluzione di conti-nuità, costituendo una nuova città linea-re. Con il Piano territoriale di coordina-mento provinciale sono state indicate leprime linee di pianificazione, improntatead una visione basata sulla sussidiarietàe sulla cooperazione tra le istituzioni cheha collocato Pian del Bruscolo fra leAree da assoggettare ad iniziative con-certate di programmazione. Semprel’amministrazione provinciale, nel 2001,ha predisposto Schemi di riferimento perla riqualificazione della Bassa ValFoglia, aventi come principali tematiche

Forme di associazionismoa Pian del Bruscolo Roberta Tartufi*

“Ha da Oriente la Marca, da Occidente laRomagna da Settentrione il mareAdriatico…Contiene sette città, tutte conantichi e assai ricchi Vescovadi, e molteterre nobili, e tante castella cinte dimura: che passano il numero di 400,oltre molte altre”1.La bella descrizione del territorio delDucato di Urbino fatta dall’Ortelio nelTheatro del Mondo, rappresenta ancoramolto bene questa parte della Provinciadi Pesaro e Urbino che, come leggiamonel Piano territoriale di coordinamentoprovinciale, “…ci fa pensare a un esem-pio più unico che raro di territorio aforma di città e di città a forma di terri-torio”2.La Città Futura, così com’è chiamatodagli amministratori il territorio di Piandel Bruscolo compreso e amministratoda ben cinque comuni, si colloca dun-que all’interno di una cultura urbanaben consolidata.

Un percorso verso la costruzione distrategie condivise

Dietro al nome fascinoso, che forseinconsciamente vuole evocare la famo-sissima Città Ideale conservata adUrbino, si riuniscono i comuni diColbordolo, Monteciccardo,Montelabbate, S. Angelo in Lizzola e

opere ed interventi di trasformazioneprecisa e certa.Un ultimo aspetto, infine, trattato daalcuni piani in forma associata è quel-lo della compensazione territorialeapplicata all’area vasta. Se la compen-sazione territoriale teoricamente puòcomprendere sia la condivisione dell’e-qua distribuzione degli introiti fiscali edei costi di realizzazione (previstaesplicitamente dalla Leggelegge), sia iltrasferimento dei diritti edificatoriall’interno dei territori dell’associazio-ne, a prescindere dai confini comunali,le esperienze fino ad ora condotte,hanno, in realtà, sperimentato solo laprima delle due forme. L’attuazioneL’attuazione di tale forma di tale formaè stata assicurata principalmente attra-verso l’applicazione di meccanismi dicompensazione finanziaria intercomu-nale e, in particolare, dalla tramite lacostituzione del cosiddetto ‘fondo dicompensazione’, spesso però slegatodal piano urbanistico e vincolato inve-ce ad Accordi accordi territoriali tema-tici attuativi dei Ptcp. Come in altricasi, tale situazione è, ancora unavolta, determinata principalmente dailimiti imposti da un sistema dellafiscalità locale che non prevede, maanzi ostacola, un approccio realmenteintercomunale per la pianificazioneurbanistica e territoriale.

* Servizio Coordinamento e Promozione della pianifi-cazione urbanistica, Regione Emilia-Romagna.

Note1. È proprio nel piano in forma associata che il livelloanalitico-valutativo connesso all’elaborazione delQuadro conoscitivo e della Valutazione di sostenibilitàterritoriale ed ambientale (Valsat) trova la miglioreespressione, in quanto tale forma di pianificazioneconsente di avvicinarsi di più alla reale scala deifenomeni da analizzare e degli effetti delle trasforma-zioni da valutare.

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Urbanistica INFORMAZIONI

Comuni o loro delegati, figure professio-nali presenti all’interno dei singoli enti);un Comitato urbanistico consultivo; unUfficio tecnico urbanistico territorialedell’unione. Oggi, a tre anni dalla firmadel protocollo d’intesa, alcuni puntifermi per il decollo della Città Futurasono stati fissati. In particolare con ilprogetto PASSO (Programma Ambientaledi Sviluppo Sostenibile), sviluppato dalServizio Pianificazione strategica delComune di Pesaro d’intesa con l’Unione,sono state poste le basi per la definizio-ne di una strategia di riqualificazioneurbanistica dell’assetto insediativo diPian del Bruscolo.Le azioni così prefigurate dovrannoobbligatoriamente passare attraverso larevisione di tutti gli strumenti urbanisti-ci e, nel rispetto delle singole peculiaritàcomunali, giungere alla proposta di unavisione strategica d’insieme dell’interoterritorio.Infine, l’Unione proprio negli ultimi mesiha posto le basi per la costituzione di unLaboratorio strategico ed interdisciplina-re della Città Futura, selezionando quin-dici giovani professionisti residenti nelterritorio.Tra i giovani vi sono alcuni neolaureatidel corso di laurea in Tecnico del territo-rio dell’Università di Urbino che, daqualche anno, ha scelto come area per leesercitazioni progettuali proprio il terri-torio della Città Futura. Importante è ilcollegamento fra le diverse realtà cheinsistono sul territorio e in particolarefra gli ambiti produttivi e quelli dellaricerca: solo in questo modo la sfidalanciata dagli amministratori può, ununa rinata stagione di pianificazioneintercomunale quale quella odierna, por-tare a risultati positivi e permanenti.

* Professore a contratto, Università degli studi di Urbino“Carlo Bo”.

Note1. Ortelio A. (1608), Il theatro del Mondo, edizione ita-liana a cura di Pigafetta F., Anversa, 1608.2. Aa.V.v (a cura di) (1999), Il Piano territoriale di coor-dinamento della Provincia di Pesaro e Urbino, inUrbanistica Quaderni, n. 19, p. 112.3. A questo proposito si veda R. Martufi (2000), “Gliambienti insediativi locali: valle del Foglia e valle delMetauro”, in Pavia R. (a cura di), Marche figure e luoghidella trasformazione, Fratelli Palombi Editori, Roma, pp.60-79.4. La frazione di Osteria Nuova è in comune diMontelabbate; le frazioni di Morciola e di Bottega sonoin comune di Colbordolo; la frazione di Montecchio èin comune di Sant’Angelo in Lizzola.

la riorganizzazione del verde urbano auna scala territoriale, l’individuazione diaree strategiche, il ridisegno della viabi-lità veicolare e dei percorsi ciclopedona-li. Nel 2002 è stato quindi approvato ilPiano provinciale di sviluppo ecososteni-bile, contenente suggerimenti circa lacostituzione di forme di coordinamentointercomunale finalizzate a migliorarecomplessivamente i livelli qualitatividell’assetto urbanistico, ambientale,sociale ed economico. Tutti questi passi sono stati preliminarialla firma, il 28 Maggio 2003, di unProtocollo d’intesa presso il Castello diMonteciccardo, con il quale le cinqueamministrazioni si sono impegnate acostruire insieme la Città Futura e avalorizzare il territorio dell’Unione deicomuni della Bassa Val Foglia, definen-do strategie e obiettivi condivisi.

Laboratori di intercomunalità

La strumentazione urbanistica oggivigente, seppure relativamente recente,non è tuttavia ispirata ad una visionestrategica di scala intercomunale; vice-versa, ciascun piano interpreta i bisognie formula le relative scelte, rimanendochiuso nell’ambito dei soli confinicomunali. Nonostante ciò, alla cittadi-nanza alcuni servizi sono già forniti informa associata; tra di essi i servizi sco-lastici, l’Informagiovani, la polizia muni-cipale ed amministrativa, lo Sportellounico per le attività produttive, ilSistema bibliotecario e gli impianti spor-tivi. Fondamentale, per il decollo dellaCittà Futura, sarà però l’impegno dirisorse finanziare per l’attivazione distudi di approfondimento sulle proble-matiche sociali ed economiche dell’areae, parallelamente, per la costruzione distrategie comuni di sviluppo improntateai principi della sostenibilità, da inten-dersi quale necessario passo preliminarealla redazione di programmi e/o progettidi riqualificazione urbanistica, ambien-tale ed infrastrutturale.Il protocollo di Monteciccardo, per ilraggiungimento di tali scopi, aveva delresto già individuato un organigrammaoperativo articolato in: un Gruppo tecni-co di coordinamento (costituito da undirigente dell’Area Urbanistica eTerritorio della Provincia, segretari odirettori generali dell’Unione e dei

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TEMI DELLE SEZIONI PRINCIPALI

EditorialeIl piano non basta (P. Avarello).

Sezione Problemi, politiche, ricercheInnovazione e competitività nelle regioni del Centro-Nord (a cura di M. Cremaschi). Interventi di A. Caporale,M. Cremaschi, N. Avlija, M. Bellandi, A. Califfi, A.P. Di Risio,F. Gastaldi, G. Fassino, P. Elisei, M. Bressan, A. Dei, D.Fanfani.

Sezione Progetti e realizzazioniUn progetto urbano per la Romanina (a cura di M.Marcelloni). Interventi di M. Marcelloni, C. Mariano, F.Rossi, E. Auriemma, L. V. Ferretti, Y. Tsiomis, E. Preger, S.Stanghellini, B. Gabrielli, Manuel Salgado (intervista a), F.Oliva.

Sezione Profili e praticheBaimixijie: un progetto di recupero urbano per Pechino (F.Rubeo). La rinascita del boulevard: progettare le strade perla città “vivibile” (Y. Rofè). Analisi comparata dei centrifieristici di Milano e New York (G. Fossa. R. D. Yaro). Poteree autorità nella città che cambia (C. Bianchetti). LudovicoQuaroni: temi precoci per l’urbanistica (P. Gabellini). Larisorsa suolo come leva delle trasformazioni urbane (L.Gaeta).

Sezione Metodi e strumentiCittà museo e museo della città: riflessioni su un’utopia(A. M. Colavitti, G. Deplano).

Sezione RecensioniDue nuove guide per Milano (B. Bonfantini)

N. 130 (maggio-agosto 2006) Pagine 128, illustrazioni b/n e colori, €27

PER INFORMAZIONI: INU EDIZIONI, PIAZZA FARNESE 44 – 00186 ROMA

TEL. 06/68195562, FAX 06/68214773E-MAIL [email protected]

URBANISTICA 130

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Pianificazione intercomunale

In Val di Cornia la complessità e laforte integrazione delle dinamichesocioeconomiche, insediative e dellecomponenti ambientali ha prodottol’attivazione di un coordinamentointercomunale nelle scelte di pianifi-cazione territoriale

È ormai da oltre un trentennio cheperdura, se pure con fasi alterne, unalunga e consolidata esperienza di pia-nificazione territoriale coordinata tra icomuni della Val di Cornia, collocatasulla costa meridionale della provinciadi Livorno. Una lunga stagione che,attraversando le diverse vicende del-l’urbanistica italiana, ricorrendo aidiversi strumenti istituzionali e di pia-nificazione disponibili, ha condotto direcente all’adozione di un unico Pianostrutturale d’area.La scelta di promuovere un processo dicoordinamento delle politiche urbani-stiche e territoriali ha tratto originedalla consapevolezza, già sviluppatadagli amministratori degli anni ’70, diuna forte integrazione delle dinamichesociali, economiche e insediative, edalla conseguente richiesta di azioni digoverno tra loro congruenti da partedei comuni dell’area. È maturato quindi l’obiettivo comunedi ricercare un nuovo equilibrio terri-toriale, capace di dare risposta allecomplesse dinamiche e diversità terri-toriali presenti in una zona di forteindustrializzazione, di alta produttivitàagricola e di sensibile peso turistico,dove permangono risorse ambientali epaesaggistiche di grande pregio.

ti gli obiettivi, ritenuti realistici, daraggiungere entro il 1990:- limitare l’esodo dalle campagne, con-seguente alla tendenza allora in atto,che portava a prevedere la creazione dinuovi posti di lavoro nel terziario enell’industria;- individuare le più importanti opere diinteresse pubblico ritenute strategicheper la realizzazione del programmaeconomico prefissato;- prevedere il tipo e il numero di atti-vità produttive e i posti di lavorogenerati in relazione al numero deiprevedibili nuovi insediamenti nel ter-ritorio. Nel 1978, quale risultato dellaConferenza economica, si giunge quin-di alla stesura di un Documento pro-grammatico, che definisce gli obiettividi politica urbanistica, le modalità concui questi dovranno essere raggiunti, idimensionamenti ripartiti per settore esuddivisi per comune. Il Documentodelinea in sostanza le linee strategichedei futuri Piani regolatori generalicoordinati, che sul finire del 1979saranno adottati dai consigli comunalie nei primi anni ’80 approvati dallaRegione Toscana. Successivamente icomuni procedono, sempre in formacoordinata, all’elaborazione di alcunipiani di settore e dei piani particola-reggiati relativi ai parchi pubblici terri-toriali. È in quegli strumenti di pianificazione,redatti ancora ai sensi della L1150/1942 ed in assenza di un quadronormativo nazionale e regionale atten-to alla tutela del paesaggio e dellerisorse ambientali, che risiede la genesi

Il caso della Val di CorniaCamilla Cerrina Feroni*, Alessandro Grassi**

Questo ha generato nel tempo un pro-cesso di crescente identificazione ecoesione intercomunale sancita, nel1998, dall’istituzione, ai sensi della Lr77/1995, del Circondario della Val diCornia (unico esempio nella RegioneToscana, insieme a quello della Vald’Era nell’empolese).In particolare, tre fasi fondamentalipossono essere distinte nel lungo per-corso di coordinamento:- i piani regolatori generali coordinatidegli anni ’70-’80 (coordinatore archi-tetto Carlo Melograni);- i piani regolatori generali coordinatidegli anni ’90 (coordinatore architettoRomano Viviani);- la nuova stagione della pianificazio-ne coordinata, in attuazione della Lr5/1995 e della successiva Lr.r. 1/2005(consulente scientifico architetto VezioDe Lucia).

I piani degli anni ’70-’80

Nel 1975, i Comuni di Piombino,Campiglia M.ma, San Vincenzo eSuvereto decidono di redigere quattroPiani regolatori generali coordinati, inmodo che ogni singola scelta insediati-va risulti la conseguenza di obiettivi,indirizzi ed elaborazioni di caratteresovracomunale. A tal fine vengonoindividuati organismi e metodi di lavo-ro atti a garantire il coordinamentodell’iniziativa, nei suoi aspetti politici,amministrativi e tecnici, quali ilComitato politico, il Comitato tecnico el’Ufficio di piano.A seguito di una fase conoscitiva, con-clusasi con una Conferenza economicacomprensoriale (1976), vengono defini-

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Comuni di Piombino, Campiglia M.mae Suvereto si impegnano così allaredazione di un Piano strutturaleunico, confermando la scelta di proce-dere alla stesura di nuovi strumenti dipianificazione in forma coordinata. IComuni di Sassetta e San Vincenzo siripropongono invece di promuovere unconfronto complessivo con gli altricomuni, eventualmente operandomodifiche ai rispettivi piani, al fine diperseguire una maggiore integrazionecon le scelte di pianificazione delCircondario.Va inoltre rimarcato come, già primadella sottoscrizione dell’intesa, i comu-ni abbiano creato le condizioni orga-nizzative e istituzionali necessarie ariavviare la nuova fase di pianificazio-ne coordinata, attraverso l’istituzionenel 1997 di un Ufficio urbanisticacomprensoriale, confluito nel 1999 nelCircondario della Val di Cornia. Unulteriore tassello si aggiunge nel 2002quando, avvalendosi di quanto stabili-to dalla Lr 40/2001, i comuni decidonodi gestire in forma associata, tramite ilCircondario, le funzioni inerenti la pia-nificazione urbanistica generale eattuativa di iniziativa pubblica. Il percorso di formazione del Pianostrutturale d’area viene avviato formal-mente nell’aprile del 2005, quando ? inlinea con quanto stabilito dalla Lr5/1995 ? i Consigli comunali approva-no un documento preposto a delinearegli obiettivi di lunga durata per ilgoverno del territorio e la ricognizionedel quadro conoscitivo disponibile. Perla redazione del Piano, l’Ufficio urba-nistica comprensoriale viene affiancatoda un gruppo interdisciplinare di spe-cialistici e da un consulente scientifico.Il Piano è quindi adottato dai Comunidi Piombino, Campiglia M.ma eSuvereto nel luglio-agosto 2006.A livello di contenuti, in linea con iprincipi innovativi sanciti dalla legisla-zione regionale, la sfida che ha impe-gnato il Piano strutturale d’area èquella di una pianificazione territorialedi matrice ambientale, che ponga alcentro lo sviluppo sostenibile e, nellospecifico, l’integrità dell’ecosistema,l’efficienza dell’economia, l’equitàsociale e spaziale. Tutto ciò in un con-testo territoriale dove convivono laToscana del paesaggio rurale e collina-

generali coordinati tenendo contoanche dell’evoluzione legislativa deli-neatasi soprattutto in materia di piani-ficazione paesistica e ambientale.Cogliendo le opportunità offerte dalmutato quadro normativo (L 431/1985,Lr 52/1982, D.c.r. 296/1988, Lr 4/1990)i comuni decidono infatti di dare aipiani regolatori (che formalmente assu-mono la denominazione di variantigenerali) una specifica valenza paesi-stico-ambientale, riconosciuta successi-vamente anche dal Piano territoriale dicoordinamento provinciale. I nuovi Piani coordinati vengono adot-tati dai Comuni di Campiglia M.ma,Piombino e Suvereto tra la fine del il1994 ed il 1995, e successivamenteapprovati dalla Regione Toscana tra il1996 ed 1998. Diversamente i Comunidi San Vincenzo e Sassetta, che inizial-mente avevano aderito al coordina-mento, poi intraprendono percorsi dipianificazione differenti. Il Comune diSan Vincenzo sceglie, successivamenteall’entrata in vigore della Lr 5/1995, dielaborare il Piano strutturale approvatomediante accordo di programma conRegione e Provincia. Il Comune diSassetta opta invece prima per la reda-zione di alcune varianti urbanisticheparziali e poi, obbligato dalla Lr5/1995, avvia il procedimento per laredazione del Piano strutturale. In que-gli anni si regista quindi la prima‘smagliatura’ nell’azione di coordina-mento dei comuni della Val di Cornia,cui cercherà successivamente di ovvia-re l’intesa sottoscritta tra i comunistessi e la Provincia di Livorno.

La nuova stagione della pianificazio-ne coordinata

È alla luce della nuova stagione di pia-nificazione regionale apertasi con la Lr5/1995 (successivamente modificatacon Lr 1/2005) che matura l’idea dellaformazione di un unico Piano struttu-rale d’area, sancita con la sottoscrizio-ne di un protocollo d’intesa in ottem-peranza a quanto stabilito dall’art. 39della Lr 5/1995. Un articolo chedemanda appunto a intese tra provinceed comuni la definizione della tempi-stica per la redazione dei piani struttu-rali.Nell’intesa, siglata nel marzo 2001, i

del progetto territoriale oggi noto comeSistema integrato dei parchi della Valdi Cornia. Sulla base delle scelte dipianificazione compiute dai piani rego-latori generali coordinati, ai sensi del-l’art. 22 della L 142/1990, i comuni nel1993 costituiscono una specifica socie-tà mista pubblico-privato, alla quale èaffidata la missione statutaria di realiz-zare e gestire in forma integrata quelsistema di parchi, che rappresenta tut-tora una delle realtà più innovative edinamiche del territorio.

I piani coordinati degli anni ‘90

A partire dal 1986 prende avvio unanuova fase del coordinamento affidataall’Associazione intercomunale 25 Valdi Cornia, istituita nel 1979 ai sensidella L 37/1979. Viene a tal fine costi-tuita una struttura decisionale-operati-va formata dall’Assembleadell’Associazione intercomunale, dallaCommissione assetto del territorio, dalComitato tecnico di coordinamento edall’Ufficio di piano.L’obiettivo dei comuni è cercare di darerisposte ai nuovi problemi che si pre-sentavano in quegli anni: la forte crisidel settore siderurgico e la ricerca disoluzioni per la diversificazione dellosviluppo, la disoccupazione giovanile,la tutela e la valorizzazione dell’am-biente, il potenziamento del sistemainfrastrutturale, la promozione dell’a-gricoltura e del turismo, la gestionedelle criticità ambientali. Nel 1991, dopo una fase di acquisizio-ne e aggiornamento delle conoscenze,ai sensi dell’art. 8 della Lr 74/1984, lecinque amministrazioni approvano l’at-to che per la prima volta codifica lapossibilità di attivare azioni di coordi-namento territoriale tra i comuni.L’Atto di coordinamento – un verostrumento di pianificazione territorialea cui saranno chiamati a conformarsi isuccessivi piani regolatori – contienegli indirizzi strategici di assetto territo-riale, sostanziati in una normativariguardante essenzialmente tre settoridi pianificazione: ambiente e paesag-gio, infrastrutture di comunicazioni etrasporto, insediamenti residenziali eproduttivi.Successivamente, i comuni procedonoalla stesura dei nuovi Piani regolatori

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Urbanistica INFORMAZIONI

quelle individuate come “aree critiche”.In parallelo alla formazione del Pianostrutturale d’area ? cui seguirà l’elabo-razione di un unico Regolamento urba-nistico per i Comuni di Piombino,Campiglia M.ma e Suvereto ? e al suc-cessivo riallineamento dei Piani strut-turali di San Vincenzo e Sassetta, ilCircondario già dal 2000 ha attivatoun percorso di Agenda 21 locale,cogliendo l’occasione per sperimentaredirettamente l’applicazione dellaDirettiva europea 42/2001 (relativa alla

Valutazione ambientale strategica dipiani e programmi). Ma non solo. Ilpercorso di Agenda 21 locale è statotramutato in un più ampio progettodenominato Vas-Vas (Valutazioneambientale strategica per una Val diCornia sostenibile), finanziato dallaRegione Toscana.

* Architetto, responsabile del Settore Urbanistica,Comune di Piombino.** Architetto, responsabile del Settore Urbanistica,Comune di Campiglia M.ma; coordinatore UfficioUrbanistica comprensoriale.

re, i centri storici, le emergenzearcheologiche di Populonia e SanSilvestro, le grandi multinazionali del-l’industria siderurgica e dell’energia, unporto di rilievo nazionale. In questoquadro, il Piano assegna priorità all’at-tuazione delle trasformazioni afferentialle aree maggiormente caratterizzateda degrado, che versino in condizionidi marcata sottoutilizzazione oppureospitino funzioni incongrue sotto ilprofilo ambientale, paesaggistico, urba-nistico con particolare riferimento a

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XXI Conferenza AESOP-Association of European Schools of Planning

“PLANNING FOR THE RISK SOCIETY”Napoli, 11-14 luglio 2007

La prossima Conferenza dell’AESOP (Association of European Schools of Planning), organizzata e promossa dal Dipartimento diUrbanistica dell’Uni-versità “Federico II”, si terrà a Napoli dall’11 al 14 luglio 2007 e avrà come titolo “Planning for the Risk Society.Dealing with uncertainty challenging the future”. La Conferenza, preceduta dal consueto PhD Workshop (Paestum 7-10 luglio 2006), sarà articolata in 14 sessioni tematiche paralleleentro le quali sarà possibile presentare un proprio contributo.

Per maggiori informazioni, per inviare un proprio abstract per la conferenza o per il PhD Workshop e saperne di più si veda l’indirizzowww.aesop2007napoli.it Per contatti: [email protected]

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Pianificazione intercomunale

Verso un percorso di coordinamento

Queste vicende, seppure non seguendoun percorso sempre lineare, hannocomunque gettato le basi per processidi coordinamento. Mentre, infatti, glisforzi regionali in questa direzionehanno portato all’elaborazione di undocumento preliminare finalizzato adavviare la definizione di un atto diprogrammazione strategica da cui fardiscendere l’adeguamento o la forma-zione dei Piani strutturali degli ottocomuni dell’Elba, ad oggi si è pervenu-ti alla sottoscrizione di una convenzio-ne per la gestione associata degli stru-menti di pianificazione dei Comuni diPortoferraio, Rio nell’Elba, Capoliveri,Campo nell’Elba, Marciana (Comunigovernati dal centrosinistra). Si trattadi primi segnali di mutamento, anchese il fatto che solo cinque degli ottocomuni abbiano aderito alla gestioneassociata dei Piani strutturali dimostra,ancora una volta, sia la difficoltà poli-tica, amministrativa e disciplinare dellapianificazione sovracomunale, sia lascarsa efficacia dei Piani territoriali dicoordinamento. Difficoltà ancor piùevidenti nel momento stesso in cui,anche per debolezze della classe politi-ca (come dimostrano tante altre vicen-de toscane), occorrerebbe impedire chei comuni subiscano le pressioni degliinteressi locali, e, in particolare, ilricatto connesso all’opportunità diriscuotere i contributi di urbanizzazio-ne e l’Ici, che rappresentano una dellefonti essenziali di finanziamento delloro operato. Ciononostante il segnalepositivo dato dalla volontà di affronta-re alcune questioni comuni assume

stata in seguito rivolta alle previsioni disviluppo urbano dei Piani strutturali,considerate eccessive prima ancora chetali strumenti avessero concluso l’iter dipianificazione (solo un terzo dei comunidell’Elba – Rio nell’Elba, Portoferraio,Marciana Marina – hanno adottato iRegolamenti urbanistici) la questionedibattuta attiene alla difficoltà di inter-pretazione/definizione di quale debbaessere il dimensionamento dei Pianistrutturali, anche se, in alcuni casi, sonostate utilizzate proditoriamente proce-dure che prevedevano, come nel casodei Piani per l’edilizia economica epopolare, una semplificazione dei pro-cessi di formazione e approvazione. Èindubbio che vi è stata carenza di coor-dinamento, che le previsioni insediativesono state il prodotto di casualità e diconflitti con il sistema degli interessilocali e non solo, ma è altrettanto veroche è mancata una reale capacità diguida, legata alle caratteristiche insitenel vigente Piano territoriale di coordi-namento provinciale, pur elaboratoseguendo i contenuti previsti nella Lr5/1995. Va comunque ricordato che laproposta di variante per l’adeguamentoal Piano di indirizzo territoriale e diaggiornamento biennale dello stessoPiano territoriale di coordinamento,pervenuta alla seconda Conferenza diprogrammazione ossia alle soglie del-l’approvazione, è rimasta sulla cartaproprio a causa di una palese ostilitàdei comuni verso un piano che definivacon chiarezza obiettivi, indirizzi gestio-nali e parametri per l’individuazione dilimiti allo sviluppo insediativo.

Dalle vicende urbanistiche che hannocaratterizzato l’esperienza dell’Elbaderiva l’individuazione delle criticitàe delle opportunità future per la pia-nificazione intercomunale

L’Isola d’Elba, per le vicende che hannosegnato il 2004 e gli anni immediata-mente precedenti – e che hanno con-dotto a reiterati interventi della magi-stratura (è ora prossima la fase dibatti-mentale di più procedimenti, afferentiipotizzati reati in materia di urbanisti-ca ed edilizia) –, è stata assunta comeparadigma dei problemi della pianifica-zione comunale ed intercomunale, delmalgoverno del territorio, dell’ineffi-cienza dell’architettura di competenze epoteri definita dalle disposizioni legis-lative. Tali problematicità sono insitenella stessa difficoltà di coordinare lepolitiche territoriali e gli strumenti diotto realtà comunali, paradossalmenteproprio in un contesto in cui la presen-za di enti di governo sovracomunalequali la Provincia, la Comunità monta-na, l’Ente parco nazionale dovrebbe alcontrario favorire e sviluppare le atti-vità di coordinamento.

Il caso Elba

Il caso Elba, ossia la critica alla crescitainsediativa costituita negli ultimi anniin prevalenza da seconde case, affondale radici in piani e varianti per lo piùapprovati con procedure antecedenti aquelle stabilite dalle leggi urbanistichetoscane di più recente generazione (Lr5/1995 e Lr 1/2005). La stessa critica è

Toscana in bilico: qualche speranza dall’Isola d’ElbaMauro Parigi*

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Pianificazione intercomunale

Conversazione-intervista conFrancesco Domenico Moccia**

Un possibile quadro dell’intercomu-nalità nella Regione Campania èricostruito attraverso una conversa-zione con l’assessore provincialeall’Urbanistica, attualmente impe-gnato nella stesura del nuovo Pianoterritoriale di coordinamento dellaProvincia di Napoli

ti è stata collegata alla sua capacità dispesa, oltre che alla performance nellagestione dei fondi strutturali. L’attivitàamministrativa è così diventata ele-mento fondamentale, costringendo leistituzioni a confrontarsi con la capa-cità di programmare, pianificare e pro-gettare, nella consapevolezza che unquadro programmatorio e pianificato-rio (economico e territoriale) costitui-sce il necessario supporto alla proget-tazione. Proprio perché obiettivo cardi-ne era ‘lo sviluppo’, in tali esperienzeun particolare rilievo è stato assegnatonon solo al progetto di sviluppo in sé,ma anche ai processi di sua costruzio-ne, implementazione e gestione nel-l’ambito di politiche pubbliche.

DDL Oggi, alla base della pianificazio-ne territoriale è senza dubbio il siste-ma degli accordi intercomunali. Qualisono a tuo avviso gli aspetti caratteriz-zanti questa situazione?FDM L’elemento più potente delle rela-zioni intercomunali è certamente l’a-spetto soggettivo: la capacità di coor-dinamento e di alleanza da parte deicomuni è stata a oggi più incisiva diqualsiasi politica calata dall’alto.Regione e province e si sono derespon-sabilizzate rispetto a questioni di lorospecifica competenza. Per lungo tempoè così mancata l’individuazione digrandi progetti regionali, di servizi dilivello provinciale e d’area vasta, men-tre si è assistito alla costruzione diforme fertili di intercomunalità, nellequali il protagonismo dei comuni (al dilà della innovata capacità rappresenta-tiva attribuita ai sindaci dalla riforma

Percorsi di intercomunalità inCampaniaDaniela De Leo*

DDL Per ricostruire un quadro dell’in-tercomunalità in Campania forsedovremmo iniziare con il riconoscernele radici più significative in tutta unaserie di esperienze, che hanno saputoesprimere una forza politica originale eche sono state in grado di connotare lapiù recente fase di pianificazione terri-toriale.FDM In Campania, la lunga esperienzain materia di intercomunalità parte daiPatti territoriali. È al loro interno chene sono state fatte le prime prove,basate sul coordinamento di comunitàe risorse locali. Questo tipo di espe-rienze, avvenute sotto il cappello dello‘sviluppo locale’, hanno fortementecontribuito a saldare la programmazio-ne con la pianificazione territoriale.Lungo la traiettoria dell’innovazione –dai programmi europei (a partire daUrban) ai Programmi operativi regio-nali (Por) – sono stati introdotti sial’approccio integrato, sia l’attenzionealla sfida del tiraggio finanziario. Lavalutazione della politica dell’ammini-strazione destinataria dei finanziamen-

una peculiare rilevanza, anche perchéprima ancora di giungere alla forma-zione di un piano unico si voglionodefinire in maniera coordinata gliobiettivi strategici per l’isola, determi-nare i parametri di sostenibilità delletrasformazioni ammissibili, coordinarealcune politiche. Politiche come adesempio quelle abitative (rimandandola loro attuazione quasi esclusivamenteal Peep, per garantire l’accesso allacasa ai residenti in presenza di unmercato condizionato fortemente dalladomanda turistica), quelle per l’usodella fascia costiera e la ricettività turi-stica. Politiche, infine, come quellerivolte alla realizzazione dell’armaturadi infrastrutture e dei servizi essenzialiquali le reti idrica e per la produzioneenergetica, lo smaltimento rifiuti, ladepurazione dei reflui, il trattamentodegli inerti, e ancora i porti, gli appro-di turistici o gli altri servizi per la nau-tica da diporto. Si può quindi dire chel’Elba si avvia a voltare pagina.

* Dirigente Area Urbanistica ed Edilizia, Comune diPortoferraio.

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DDL Quali orientamenti in tema diintercomunalità è possibile rintracciarenei contenuti del Piano territorialeregionale e del Piano territoriale dicoordinamento della Provincia diNapoli, oltre che nella ‘nuova’ norma-tiva regionale (Lr 16/2004)? A questaultima hai in particolare dedicato lacura del volume Campania. Norme peril governo del territorioii, nel qualesvolgi alcune osservazioni critiche,anche in relazione al tuo ruolo isti-tuzionale di assessore provincialeall’Urbanistica.FDM Nel libro sostengo che la leggeha delle ambiguità, che comunque cos-tituiscono un indispensabile ingredi-ente del dialogo sociale e delladefinizione di nuovi accordi.Innanzitutto, così com’è non è possi-bile prevederne gli effetti, ma piuttostosarà importante osservare come verràinterpretata. Pertanto segnalo quelliche ritengo essere gli elementi innova-tori del testo, al fine di spingere versouna lettura della legge stessa comeun’occasione per un effettivo cambia-mento. Il riconoscimento di forme diintercomunalità è previsto solo all’in-terno del Piano territoriale di coordi-namento provinciale, ma anche qui citroviamo a dover affrontare un proble-ma centrale: la valenza paesistica delPtcp, definita nella Lr 16/2004, è infat-ti entrata in crisi a seguito del decretomodificativo del Codice del paesaggio(n. 157 del 24 marzo 2006), approvatonell’ultimo scorcio della scorsa legis-latura. Il Piano, con tutte le sue valen-ze – tolta appunto quella paesistica,che ora maggiormente si impone dal-l’alto – svolge una vera e propria fun-zione di coordinamento, laddove glienti di settore e territoriali si con-frontano dentro il Piano stesso.Quest’ultimo si configura quindi piùcome un foro di interazione tra sogget-ti, che come un disegno autonoma-mente elaborato dalla Provincia. Anzi,gli stessi consiglieri provinciali sifanno promotori di incontri con i sin-daci sulla base delle proprie circo-scrizioni elettorali, assumendo il com-pito di gestire e coordinare il protago-nismo dei comuni e mettendo in sec-ondo piano l’esercizio autonomo dellaloro potestà. La Regione, da parte sua,attraverso l’istituzione delle Conferenze

della quale interessanti punti di forzasono i Patti di reciprocità: la Regione,oramai, sta incominciando a indivi-duare nelle Agenzie – anche a detri-mento di altre istituzioni – gli organidi attuazione della prossima program-mazione, con il pericolo però di ‘salta-re’ enti come le province, al fine disemplificare il rapporto con i comuni.Dal momento che le Agenzie svolgonoil ruolo di enti di gestione, la Regioneguarda in sostanza ad esse come a unostrumento efficace per l’attuazione deipropri programmi.

DDL Se la forza della Regione è legataall’erogazione dei finanziamenti, quelladelle province – e, in particolare dellaProvincia napoletana – è certamente dinatura più politica, consistendo nellamediazione tra la città capoluogo e ipiccoli comuni. Una mediazione che,specie nelle controversie territoriali (daquelle riguardanti la gestione deiRifiuti solidi urbani alla localizzazionedi impianti non desiderati), vedeNapoli rivestire il ruolo di attore fortee le amministrazioni minori di attorideboli. Come l’ente provinciale hainterpretato, in tempi più recenti, ilsuo ruolo? FDM Per quanto riguarda nello specifi-co la Provincia di Napoli, la coalizionedei piccoli comuni è stata orientataalla costruzione di forze alternative.Tale processo è stato cavalcato dallaProvincia stessa, al fine di rafforzare econtrapporre il proprio ruolo a quellodel comune capoluogo. Nell’estremasegmentazione dei sistemi territorialiregionali – tra loro poco relazionati efortemente competitivi – tessere rela-zioni non significa infatti solo dareforza ai sistemi locali, ma anchecostruire un ruolo di leadership metro-politana, di cui i sistemi locali hannoun estremo bisogno. L’attività di met-tere insieme e creare rapporti, fare dainterfaccia tra reti locali e reti globalirappresenta del resto il compito speci-fico – seppure ancora piuttosto debole– che si deve svolgere a livello metro-politano. Non sussiste infatti solo ilproblema del decentramento, ma purequello dell’accentramento in termini dicostruzione e guida di relazioni traistituzioni territoriali locali.

degli enti locali) è stata una mollapotente, che ha finito per determinarelo stile della pianificazione sovraco-munale. Nonostante ciò, non si riescetuttavia ancora a concepire la legitti-mazione di un’istituzione di livellosuperiore a quello delle singole ammi-nistrazioni comunali; un limite, que-st’ultimo, che impedisce il riconosci-mento degli interessi di comunità esi-stenti (come quella metropolitana), chepure manifestano una identità condivi-sa. Così, ad esempio, nel momento incui si procede alla definizione delPiano strategico operativo per ilVesuvio, le decisioni vengono presesulla base della consultazionedell’Assemblea dei sindaci che, inqualche modo, oscura qualsiasi altroattore, come imprese, sindacati, asso-ciazioni ambientaliste e terzo settore.In questo ritengo che la sovracomuna-lità non abbia ancora acquisito unapersonalità autonoma, ma sia piuttostoancora semplicisticamente interpretatacome la sommatoria di soggetti diversi.Va però sottolineato come in alcunicasi virtuosi, dove si sono consolidativalori condivisi, con il tempo abbianoiniziato a svilupparsi processi di istitu-zionalizzazione. È però un percorsodifficile e lungo, che richiede la tena-cia di particolari attori, disposti innan-zitutto a riconoscersi in una missionedi questo tipo. Laddove ciò non avvie-ne, l’intercomunalità si sfalda, è episo-dica, occasionale e non prende corpo.Al contrario, dove questo accade, e lesoggettività riescono a organizzarsi,nascono formule interessanti come leAgenzie di sviluppo.DDL Si può quindi affermare che ipercorsi di intercomunalità più signifi-cativi siano partiti dai Patti territoria-li, siano stati sperimentati all’internodei Sistemi locali di sviluppoi, per poicrescere significativamente dentro ilPor 2000-2006 e approdare a formeconsolidate di organizzazioni come leAgenzie. Che ruolo hanno oggi questiorganismi rispetto a Regione e provin-ce? FDM Alle Agenzie è affidato, in modoradicale, l’assorbimento di una serie dicompiti che i comuni non sono, attual-mente, in grado di svolgere e che dele-gano quindi assai volentieri. Si trattadi un’attività variegata, all’interno

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amministrative – esplicitamente intro-ducendo elementi di strategia, al fine difarne convergere i contenuti con quellidel Progetto strategico di Napoli. Ècomunque da sottolineare come l’aspet-to della pianificazione strategica cheprende maggiormente piede sia oggi laconcertazione e la partecipazione, ecome rimanga comunque debole la suaspecificità quale strumento per pro-muovere la competitività territoriale. Iritardi e le incapacità di affrontare ade-guatamente i temi della competizionederivano da un’atavica debolezza delsistema delle imprese, oltre che dall’as-senza di competenze tecnico-scientifi-che che siano in grado di proporre edaffrontare simili problematiche.

* Dottore di ricerca, Dipartimento di Urbanistica,Università degli studi “Federico II” di Napoli.** Assessore Urbanistica, Provincia di Napoli.

Note1. I Sistemi locali di sviluppo (Sls) sono esito dellastoria di dieci anni di programmazione negoziata(Patti territoriali, Contratti d’area, Gal, ecc.), di pro-cessi di auto definizione e auto programmazione real-izzati nelle fasi di istituzione dei 2 parchi naturalinazionali e degli 8 parchi regionali, e di perime-trazione di Comunità montane, Distretti industriali,ecc. Gli Sls possono essere oggi definiti come la cel-lula base organizzativa della Campania, essendo statiriconosciuti (in numero di 45) quale futuro riferimen-to territoriale per tutte le pianificazioni e program-mazioni regionali. Essi potranno, al fine di perseguireparticolari politiche di scala maggiore, aggregarsi inmacrosistemi (due o più Sls), oppure ridurre il proprioperimetro. In questo, le unioni di comuni avranno ilvincolo di non produrre accavallamenti inaggregazioni che risultino incoerenti con gli Sls cosìcome autodefiniti.2. Cfr. Moccia F. D., Parisi G., Laudadio F. (2006) (acura di), Campania. Norme per il governo del territo-rio, Il Sole 24 Ore, Milano.

largamente utilizzato quale strumentoessenziale per la costruzione di coal-izioni e vision territoriali. Quali rap-porti possono essere riconosciuti tratali strumenti e la definizione di per-corsi di intercomunalità? FDM Attualmente in Campania vi èuna grandissima diffusione di taliforme di pianificazione, come dimostra-no i Progetti strategici in corso di ela-borazione nei cinque capoluoghi pro-vinciali. Si tratta di processi appenainiziati, ma il vizio che già mostrano èquello di essere piani strategici di areemetropolitane e non di città. A Napolistiamo rimediando a tale carenza conl’intesa sottoscritta da Comune,Provincia e Regione, e siamo appenapartiti con il primo dibattito pubblicosul tema. Nel Ptcp stiamo poi – non-ostante le comprensibili difficoltà

di pianificazione, ha codificato il coin-volgimento dei soggetti istituzionali didiverso livello, introducendo unanorma generale di partecipazione eindividuando una lista di associazionida invitare alle Conferenze.Naturalmente, in questi contesti icomuni continuano a esercitare unaforza maggiore di quella delle associ-azioni (sebbene queste abbiano lacapacità di influenzare l’opinione pub-blica). Infine, la Regione ha stabilito ilricorso a forme di intercomunalitànella costruzione dei parchi e deglienti parco, attribuendo loro il compitodi attuare programmi locali su tem-atiche specifiche.

DDL Il metodo della pianificazionestrategica, nelle sue molteplici versionie approssimazioni, viene sempre più

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Pianificazione intercomunale

tori sono stati effettuati incontri preli-minari in ogni sede provinciale (che,nel complesso, hanno visto oltre 1.000partecipanti), seguiti da altrettantiforum con gli attori istituzionali esocioeconomici. Assieme a focus tema-tici, questi incontri hanno costituito lafase di ascolto e analisi del territorio(cui hanno preso parte, in totale, circa1.600 attori), condensata in unDocumento d’area per ogni provincia,che è stato poi sottoposto a discussionee approvazione da parte degli stessiforum. È da rilevare che la quota piùestesa di partecipanti ai forum (oltre il30%) è rappresentata dai soggetti pri-vati, seguita dagli amministratoricomunali; dal punto di vista dellaripartizione geografica, il maggiornumero di partecipanti si incontra delbacino minero-metallurgico in crisi delSulcis-Iglesiente e nel grande com-prensorio agricolo del MedioCampidano: la domanda e l’offerta diprogettazione territoriale sembrano, insintesi, essersi spostate dal livello isti-tuzionale centrale e dalle città princi-pali verso il territorio.Per raggiungere gli obiettivi di svilup-po sono state individuate tre tipologieprogettuali, differenziate in baseall’ambito di riferimento: le Azioni disistema, i Progetti integrati di svilupporegionale e i Progetti integrati di svi-luppo territoriale. Il loro insieme costi-tuisce il Quadro unitario della proget-tazione integrata, che rappresenta loschema di riferimento per la predispo-sizione dei singoli progetti integrati. Le Azioni di sistema – che costituisco-no una forma di sostegno ai progetti,

Con l’avvento della nuova programma-zione negoziata attraverso i Progettiintegrati territoriali, l’esperienza – con-divisa stavolta con altre regioni – si èconsolidata, nonostante le difficoltà ela frammentazione delle responsabilitàlegate alle “misure” dei Programmioperativi regionali (Por), alle carenze diqualità, selettività ed integrazione delleproposte progettuali, alla mancataattuazione degli interventi di formazio-ne e dei progetti presentati dalleimprese, alla lamentata insufficienzadella comunicazione fra gli attori delterritorio e l’amministrazioneregionale2.

La nuova progettazione integrata

Con il rinnovo della Giunta regionalesi è dato luogo a una revisione inter-media del Por e del Complemento diprogrammazione ed è stata avviata unanuova strategia di programmazioneterritoriale e di progettazione integrata.Tra gli obiettivi: la ricerca di un meto-do per la redazione dei futuri program-mi economici; il sostegno ai territori;l’avvio di processi di cooperazione isti-tuzionale e di partenariato tra gli attoridello sviluppo locale; maggiori qualitàprogettuale, integrazione e valorizza-zione.Sono stati così istituiti tavoli regionalie provinciali di partenariato istituzio-nale e socioeconomico; l’amministra-zione regionale ha mantenuto la ‘cabi-na di regia’, mentre sono stati apertiotto laboratori di progettazione inte-grata provinciali3 Per l’elaborazione ela condivisione della nuova strategiaregionale e per l’istituzione dei labora-

La pianificazione intercomunale, cheha stentato in Sardegna nel campodegli strumenti urbanistici, potrebbeconoscere una nuova stagione con laprogettazione integrata e la pianifi-cazione strategica

Nonostante l’esiguità di molte pianteorganiche comunali (che fa sì che gliuffici tecnici siano spesso consortili trapiccoli comuni), le significative espe-rienze maturate da chi ha formatogenerazioni di pianificatori inSardegna (Fernando Clemente, impe-gnato nel Piano intercomunale bolo-gnese e nell’insegnamento pressol’Ateneo cagliaritano) e il tentativo –da parte del Comprensorio di Cagliari –di dare forma a un Piano territoriale dicoordinamento per il capoluogo regio-nale negli anni ‘80, la pianificazioneintercomunale in Sardegna non haincontrato il favore delle amministra-zioni, se non in tempi recenti e graziea piani senza contenuti regolativi. Illivello intercomunale di pianificazionesi è dispiegato essenzialmente nei pro-getti per lo sviluppo.Un primo momento di costruzione direticoli di cooperazione tra più comunisi è avuto con i Piani integrati d’area,strumenti innovativi introdotti con laLr 14/1996 che, inaugurando la pro-grammazione negoziata1, sul pianofinanziario hanno operato fino al2005. In questa fase, un ruolo impor-tante era giocato dalle amministrazioniprovinciali, che svolgevano una sortadi regia e pre-istruttoria dei piani pre-sentati.

Sardegna: quando il sud avanza più del nordAlessandra Casu*

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Urbanistica INFORMAZIONI

Al momento, sono alla firma i proto-colli di partenariato di progetto che,raggruppando diverse schede-progettoattinenti a temi consimili, saranno sot-toscritti dai differenti soggetti propo-nenti, pubblici e privati, i quali infuturo daranno vita ai percorsi di svi-luppo territoriale secondo una sempremeno formale aggregazione di territoried enti locali.

La pianificazione strategica

Con la misura 5.1 del Por – destinataalle aree urbane – e con i Fondi per learee sotto-utilizzate stanziati dal Cipe,

tenariato con gli enti locali – hannopresentato schede-progetto, che sonostate poi esaminate dai laboratori pro-vinciali e raggruppate in ipotesi ditavoli partenariali tematici. Gli otto ambiti provinciali evidenzianodifferenti peculiarità e progettualità: se,in generale, tutti mostrano attenzionealla filiera agro-alimentare e alle rela-zioni fra aree costiere e montane all’in-terno di un sistema di offerta turisticaintegrata, il settore secondario riemergecon ipotesi di crescita dell’artigianatoin provincia di Cagliari e di una diver-sa industrializzazione per Sulcis-Iglesiente e Medio Campidano.

con lo scopo di promuovere il territorioe le sue risorse in maniera integrata –sono al momento tre: “Territori diSardegna”, “Sistemi innovativi di acco-glienza dei turisti nelle aree rurali emontane” e “Grandi attrattori turistici”,mirate a un solo settore, sia pure ‘tra-sversale’, come il turismo. I Progetti integrati di sviluppo regiona-le intendono sostenere la competitivitàe l’attrattività della regione a livellonazionale e internazionale, agendosecondo quattro assi tematici: - industria, artigianato e servizi (settorio comparti del lapideo e delle pietreornamentali e naturali, del sughero,della cantieristica e nautica, dell’arti-gianato tipico e tradizionale, delle ini-ziative imprenditoriali innovative, delsistema logistico intermodale per il tra-sporto delle merci);- filiere e produzioni agroalimentari edella pesca (vitivinicola, olivicolo-olea-ria, lattiero-casearia, di carne e deriva-ti, del mandorlo, florovivaistica, ortico-la, del pane; dell’acquacoltura, dellearee umide e della pesca stessa);- turismo sostenibile e valorizzazionedel patrimonio ambientale e culturale(rete ecologica regionale, parchi e com-pendi forestali regionali, itinerari diSardegna);- inclusione sociale, legalità esicurezza, per la costruzione di percorsiinnovativi in grado di erogare serviziqualificati e rispondenti ai reali bisognidella popolazione e delle categoriesvantaggiate, di promuovere l’integra-zione sociale e diffondere la culturadella legalità e della sicurezza.I Progetti integrati di sviluppo territo-riale nascono con l’obiettivo di accre-scere lo sviluppo socioeconomico dispecifici ambiti territoriali (le provin-ce). La loro organizzazione tematica èsimilare a quella di scala regionale,vedendo però – grazie a bandi ad hoc– il tema dell’inclusione sociale decli-nato con un’attenzione specifica adaree urbane e reti di comuni e allo svi-luppo delle aree rurali e montane.Alla prima fase di definizione dellestrategie di sviluppo dei singoli ambititerritoriali ha fatto seguito il bando perle “manifestazioni di interesse” ai pro-getti integrati, con scadenza al 16 giu-gno 2006: oltre 14.000 soggetti, siapubblici che privati – di norma in par-

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Urbanistica INFORMAZIONI

nelle città minori l’area vasta costitui-sce il livello di riferimento su cuiproiettare il piano strategico comunale,nelle aree urbane delle due città mag-giori (Cagliari e Sassari) la Regione hafinanziato la redazione dei piani strate-gici comunali di tutti i centri aderential livello intercomunale, producendouna moltiplicazione del numero diconsulenti, comitati, tavoli istituzionalie tecnici. In particolare, nell’area vastacagliaritana, mentre i singoli Comuniprocedono secondo differenti stati diavanzamento, avvengono incontriregolari dei tavoli tecnici e dei consu-lenti con attività indipendenti dai pianicomunali, ma ad essi sovraordinate.Nell’area vasta sassarese, invece, illivello di elaborazione dei piani strate-gici comunali è pressoché uniforme,mentre langue quello intercomunale6:mancano indicazioni metodologichechiare per la definizione di percorso etemi e l’approccio che alcune ammini-strazioni vorrebbero adottare consistenella semplice lettura e sintesi dei settedocumenti strategici di livello comuna-le, senza condivisione di alcune que-stioni cruciali come la mobilità, lagestione dei servizi ambientali e diarea vasta, la ricerca e la formazione,le scelte di sviluppo. Per una curiosa nemesi, in questo casoin Sardegna il nord avanza meno delsud.

* Ricercatore in Urbanistica, Dipartimento diArchitettura e Pianificazione, Università degli studi diSassari-sede di Alghero.

Note1. Cfr. Regione Autonoma Sardegna-Centro regionaledi programmazione, Documento di Programmazioneeconomico-finanziaria. Schema di indirizzo delle poli-tiche territoriali e ambientali, Cagliari 1999; InuSezione Sardegna, 2° Rassegna Urbanistica regionale,catalogo della mostra, Cagliari 1999.2. Cfr. i rapporti del Formez all’interno del progettoSprint, in particolare l’Indagine ai managers dei pro-getti integrati.3. Con la Lr 9/2001 alle Province di Cagliari, Nuoro,Oristano e Sassari si sono aggiunte Olbia-Tempio,Carbonia-Iglesias, Ogliastra e Medio Campidano.4. Calasetta, Carloforte, Giba, Masainas, Narcao, Nuxis,Perdaxius, Piscinas, Portoscuso, San Giovanni Suergiu,Santadi, Sant’Anna Arresi, Sant’Antioco, Tratalias eVillaperuccio.5. Bitti, Dorgali, Mamoiada, Oliena, Oniferi, Orani,Orgosolo, Orotelli, Orune, Sarule.6. A fine ottobre 2006, a una prima riunione dei sin-daci ha fatto seguito un solo incontro con i referentiscientifici dei singoli piani.

la Regione sarda ha finanziato la reda-zione dei Piani strategici. A fine 2005è stato emanato il bando per l’ammis-sione delle proposte; nel 2006 i lavoridi redazione sono iniziati in tutte learee urbane individuate dall’ammini-strazione regionale: l’area metropolita-na di Cagliari, l’area vasta di Sassari, icapoluoghi di Oristano, Nuoro, Olbia eCarbonia, i Comuni di Alghero in pro-vincia di Sassari, Quartu S. Elena eSelargius in provincia di Cagliari. La Regione ha poi individuato gliambiti intercomunali di pianificazione,chiamando le amministrazioni localiinteressate a stipulare gli accordi preli-minari. Con la sottoscrizione di unapposito protocollo d’intesa tra iComuni di Cagliari, Assemini,Capoterra, Decimomannu, Elmas,Monserrato, Quartu S. Elena,Quartucciu, Selargius, Sestu – ai qualisi sono aggiunti Maracalagonis, Pula,Sarroch, Settimo S. Pietro, Sinnai eVilla S. Pietro, a completamento dellaprima e della seconda corona dellaconurbanazione cagliaritana – è statocostituito il Forum permanente deglienti locali dell’area vasta di Cagliari,una struttura stabile per le iniziative dipianificazione strategica, programma-zione territoriale e sviluppo locale. IComuni appartenenti al Forum hannoassunto l’impegno di procedere nell’e-laborazione dei propri piani secondodue livelli di analisi distinti, ma stret-tamente interconnessi: il primo riguar-dante i singoli comuni dell’area vasta;il secondo attinente alle tematiche diinteresse sovracomunale da affrontarein modo integrato. Un protocollo simi-le ha coinvolto i sindaci di Sassari,Alghero, Castelsardo, Porto Torres,Sennori, Sorso e Stintino; Carbonia haconcordato con altri 15 comuni delbasso Sulcis4 un percorso ancora unavolta a due livelli (comunale per lasola città capofila, di area vasta con glialtri comuni); altrettanto ha fattoNuoro con altri 11 comuni del circon-dario5; Olbia pare procedere senzaaccordi intercomunali; Oristano, aven-do bandito la gara per l’affidamentodell’assistenza tecnica solo nello scorsosettembre, è in netto ritardo. Le differenze sostanziali tra i diversiambiti stanno proprio nell’approccioalla pianificazione intercomunale: se

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PhD Workshop 2007AESOP

Association of EuropeanSchools of Planning

Paestum, 7-10 luglio 2007“Call for Abstract”

Nei giorni che precedono la XXIConferenza AESOP (Napoli, 11-14luglio 2007) si terrà il PhDWorkshop nel quale, un seleziona-to gruppo di dottorandi provenien-ti da tutta Europa, si incontrerà aPaestum per discutere delle propriericerche in corso sotto la supervi-sione di A. Balducci, J. Forester, K.Kunzmann, L. Mazza e M. Neuman.

Per partecipare è sufficiente inviareun abstract della propria ricercaattraverso la pagina dedicata al PhDWorkshop nel sito della Conferenzawww.aesop2007napoli.it

Per ulteriori informazioni:[email protected]

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Volume nazionalePagine 262, illustrazioni a colori€ 36 � acquista

Volumi regionaliEmilia-Romagna, € 9 � acquistaLazio, in lavorazione � prenotaPiemonte, € 10 � acquistaUmbria, € 9 � acquistaVeneto, in lavorazione � prenota

Modalità di pagamento prescelta:

� c.c.p. n. 16286007 intestato a “Inu Edizioni Srl, Piazza Farnese 44 - 00186 Roma”� contrassegno al postino� bonofico bancario IBAN IT95F050400337500000010739V� carta di credito del circuito Visa/Mastercard n. .................................., scadenza ..................................� prego emettere fattura

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Sviluppo rurale in Europa

offerti dalla pianificazione della città edel territorio e dalla progettazione delpaesaggio ai diversi stadi di competen-za decisionale. Quelli che si intendonoindagare, dunque, sono, nello specifico,i rapporti strutturanti che tali politichee strategie intrattengono con gli stru-menti della programmazione comuni-taria e della pianificazione territoriale.Questo scenario si coniuga a una piùampia discussione sulla formulazionedi politiche e strategie innovative perun corretto governo del territorio soste-nibile e di tipo partecipato, dei sistemiurbani e della gestione della qualitàdello spazio in senso lato, laddove ilrinnovato interesse per il sistema dellecittà e dei suoi rapporti con le risorsedei territori rurali supporta la visioneoperativa che sta alla base del dibattitoin corso a livello comunitario sugliindirizzi e le modalità di utilizzo fina-lizzato dei Fondi strutturali per laNuova programmazione della Politicadi sviluppo rurale 2007-20132.In particolare, l’attività di pianificazio-ne territoriale, urbanistica e paesisticacostituisce la sede, tecnica e politica,per realizzare un efficace strumento diconoscenza, indirizzo e gestione diver-sificata per le trasformazioni nell’usodel territorio in un orizzonte di indagi-ne di area vasta in grado di coniugareadeguatamente le esigenze di sviluppoeconomico-sociale e di salvaguardiadelle risorse ambientali, in particolarmodo a livello locale3.Tutti questi diversi approcci presup-pongono l’assunzione di una chiave dilettura territoriale, tesa a collocare ilruolo e le problematiche delle attività

Nell’attualità, il riconoscimento dell’e-sistenza di una nuova ruralità, intesanon tanto nella sua tradizionale moda-lità di interpretazione del contestolegato alla realtà del mondo rurale,come spazio e/o insieme di luoghi dellamera attività di produzione agricola,quanto piuttosto nell’identificazionedelle sue moderne dimensioni di soste-nibilità e multifunzionalità costituisceil necessario punto di partenza percomprendere la natura e la consistenzadella profonda evoluzione intervenutaa livello di impostazione teorica,approccio normativo-isituzionale e direalizzazione di concreti piani e pro-grammi e precise azioni di interventomultilivello finalizzati alla diffusionedi processi di sviluppo integrato delterritorio rurale.Nell’analisi dell’evoluzione e dellavalorizzazione del ruolo multifunzio-nale del settore primario nella suaduplice offerta funzionale (produttivaed ambientale) diviene rilevante rico-noscere nell’approccio teorico di riferi-mento alle tematiche della sostenibilitàe della multifunzionalità dell’agricoltu-ra una chiave di interpretazione ingrado di coniugare le moderne esigen-ze di sviluppo e valorizzazione econo-mico-produttiva delle tipicità territoria-li con gli obiettivi di qualità e tutelaecologico-ambientale1.A ciò si aggiunga, da un lato, la neces-sità di analizzare l’entità delle conse-guenti ripercussioni a livello territoria-le di tali scelte operative, nonché, dal-l’altro, di valutare la possibilità dicostruire inediti livelli di confronto erapporti di relazione con gli strumenti

Sviluppo rurale in Europaa cura di di Sonia Prestamburgo

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Gli interventi agro-ambientali previ-sti da Agenda 2000, dalla recenteRevisione a Medio Termine dellaPolitica agricola comune (Pac) edalla Politica di sviluppo ruralecostituiscono il presupposto perpoter interpretare le trasformazioninell’uso dello spazio e del territoriorurale.Questo approccio si inserisce nel-l’ambito dell’attuale discussione sullepolitiche e le strategie per un corret-to governo del territorio e sulla pro-gettazione e gestione della qualitàdello spazio, ove l’interesse per ilsistema delle città e le istanze disostenibilità paesistico-ambientalesupportano la visione operativa deldibattito sugli indirizzi e le modalitàdi utilizzo mirato dei Fondi struttu-rali per la Nuova programmazione2007-2013.In tal senso, la sezione propone alcu-ni contributi riguardanti riflessionied esperienze di progetti, politiche estrategie di sviluppo delle aree ruralicaratterizzati dai criteri guida disostenibilità e multifunzionalitàambientale, al fine di comprendere irapporti esistenti con gli strumentidella programmazione comunitaria edella pianificazione territoriale.

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Urbanistica INFORMAZIONI

zio e del paesaggio ed alla protezionedell’ambiente, anche nei confronti dellecalamità naturali, all’accessibilità dellearee rurali, al mantenimento di meto-dologie di produzione tradizionali, almiglioramento del reddito, all’occupa-zione e allo sviluppo di nuove attivitàlegate al territorio rurale, nonché afornire risposte alla richiesta sempremaggiore di qualità, sicurezza alimen-tare e benessere degli animali. In talsenso, “la multifunzionalità può esseredunque definita come un set di benipubblici prodotti in modo congiuntocon le commodities”6. Tali funzioni nonrappresentano semplicemente deglieffetti collaterali indiretti di quellaprincipale, ma partecipano direttamen-te ed attivamente all’essenza stessadell’attività del settore agricolo.Dunque, “… la multifunzionalità non èriconducibile a una mera pluriattività,cioè a un insieme eterogeneo di attivitàaziendali rivolte alla diversificazionedel reddito, ma rappresenta la conse-guenza di una progettualità orientata auna gamma di obiettivi integrati …”.Fondamentale diviene allora la figuradell’agricoltore e della sua nuova fun-zione di produttore di beni e servizi diorigine agricola, di custode delle risor-se ambientali e delle tradizioni locali,nonché di “architetto” e “difensore”dello spazio e del paesaggio rurale eparte attiva responsabile nella fornituradi nuovi servizi ambientali (presidiodel territorio, recupero delle aree mar-ginali, delle aree degradate, serviziricreativi, turismo verde e sostenibile,agricoltura integrata e biologica, agri-turismo, fattorie didattiche, artigianatoetc.).In assoluta sintonia con queste consi-derazioni si pone il documento di pro-grammazione dell’Ue sullo Svilupporurale 2007-2013 fondato su quattropunti fondamentali e segnatamente:Asse 1 - miglioramento della competi-tività del settore agricolo e forestale;Asse 2 – miglioramento dell’ambientee dello spazio rurale; Asse 3 - diversi-ficazione dell’economia rurale e qualitàdella vita nelle aree rurali; Asse 4 –Leader. I Regolamenti di interesse sonodue e precisamente: 1) Regolamento(Ce) n. 1290/05 (finanziamento dell’in-tera Pac con l’introduzione di duenuovi strumenti a carattere finanziario:

più essere considerata sufficiente.Il territorio è, infatti, l’insieme dellespecificità naturali, geografiche, cultu-rali e socio-economiche che definisco-no una regione. Tale insieme è unico egenera un sistema complesso di com-portamenti e strategie individuali e digruppo, di obiettivi e interazioni, che,in ultima istanza, definiscono le poten-zialità di sviluppo di lungo periodo diuna regione.Ne segue che, nell’odierno, il processodi “riscoperta” e “rigenerazione” del-l’appartenenza alla moderna ruralità sirealizza attraverso la compenetrazionee l’interazione di spazi e di attività ete-rogenee, urbane e agricole, ove lediverse componenti di origine si fon-dono e concorrono alla realizzazione diprogetti di sviluppo a prevalente con-notazione territoriale.Da quanto finora ricordato, si evinceche la gamma di prodotti che l’agricol-tura può e deve offrire direttamente oindirettamente al consumatore vaampliandosi, aumentando la partecipa-zione delle aziende agricole all’offertadi servizi legati al tempo libero, al turi-smo verde e rurale e all’ambiente, con-tribuendo così alla formazione ed allasalvaguardia del paesaggio agrario.In tal modo, le due funzioni dell’agri-coltura portano ad una diversa intera-zione con l’economia e con il territo-rio; mentre la funzione produttivatende ad accentuare l’integrazione nel-l’economia attraverso rapporti interset-toriali ed è pressoché indifferente allespecificità locali (paesaggistiche o disalubrità del territorio), la funzioneambientale svolge un ruolo attivo nellacostruzione dell’ambiente, la cui ade-guatezza rappresenta una condizioneirrinunciabile per la qualificazione deiprodotti e dei servizi dell’agricolturache vi partecipa. Da qui la riprova del-l’interpretazione multidimensionaledelle attività agricole, nelle quali siconiugano vecchie e nuove istanze diprogetto e di intervento in un continuoprocesso di evoluzione e di adegua-mento di queste ultime alle necessitàdelle moderne società organizzate.Se la produzione di alimenti e fibrerappresenta il nucleo irrinunciabiledell’attività agricola di base, essa con-tribuisce alla conservazione, allagestione e al modellamento dello spa-

agricole in relazione all’assetto econo-mico e sociale locale, non limitando gliinterventi ai soli ambiti rurali, macoinvolgendo fattivamente tali ambitinella definizione delle scelte e dellestrategie attinenti alla pianificazione eal governo del territorio nel suo com-plesso.A tale riguardo, è noto come le proble-matiche connesse allo sviluppo del ter-ritorio rurale ed alla tutela dell’am-biente siano, ormai da tempo, tra letematiche più rilevanti del dibattitoeconomico, politico e sociale condottoa livello nazionale ed internazionale.Le indicazioni emerse dalleDichiarazioni di Lisbona (marzo 2000)e Göteborg (giugno 2001) individuanonel recupero della competitività, nellasalvaguardia ambientale e nella crea-zione di un modello si sviluppo a forteconnotazione di sostenibilità le azionidi maggior rilievo per il rilancio dellacrescita delle aree rurali. E ancora, laConferenza di Salisburgo (novembre2003) pone l’attenzione su elementiquali il miglioramento della qualitàdella vita e la promozione della diver-sificazione delle iniziative economichenelle zone rurali. Sul fronte operativo,recenti segnali di innovazione proven-gono dagli interventi “agro-ambientali”predisposti, a suo tempo, nell’ambitodel documento di riforma della Politicaagricola comune (Pac), Agenda 20004;dalla più recente nuova Revisione amedio termine della Pac, approvata nelcorso del 20035 e, come già accennato,dalla rinnovata Politica di svilupporurale nella Nuova programmazione2007-2013 proposta dall’Unione euro-pea.In proposito, si noti come l’evoluzionedel concetto di spazio e, per quantoqui interessa, di spazio rurale abbiaportato alla definizione di una molte-plicità di modelli di sviluppo a livellolocale, la cui specificità deriva dallecaratteristiche intrinseche del territorio,inteso sia come spazio di interazionetra elementi economici, sociali e cultu-rali, che quale nodo di un particolaresegmento del processo produttivo glo-bale. La semplice individuazione delterritorio rurale, quale “insieme com-plesso” e la sua conseguente “limita-zione” all’interno di semplici, singoledefinizioni, affatto esaustive, non può

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piamento totale degli aiuti diretti dalla produzione.6. In base alle recenti normative europee e ai docu-menti di studio delle Commissione Europea emerge unconcetto di multifunzionalità dell’agricoltura incen-trato sulle seguenti categorie principali di funzionifinalizzate ad assicurare un equilibrio stabile tra pre-senza antropica e territorio: funzioni economiche edoccupazionali: sicurezza alimentare (food safety, foodsecurity); generazione di reddito e occupazione nellearee rurali; tutela ambientale, sia in termini di mante-nimento della qualità dell’ambiente, di conservazionedel paesaggio, di presidio del territorio, salvaguardiaidrogeologica, di conservazione della biodiversitàdegli ecosistemi; funzioni sociali: valorizzazione dellerisorse, delle tradizioni locali, nonché dei tessutisocioculturali rurali, promozione di sviluppo.7. I principi di base della Nuova Politica riguardano:a) la plurifunzionalità dell’agricoltura; b) l’imposta-zione plurisettoriale e integrata dell’economia rurale;c) la flessibilità degli aiuti allo sviluppo rurale; d) latrasparenza nell’elaborazione e nella gestione dei pro-grammi anche da un punto di vista burocratico edamministrativo. Le strategie di intervento prendono inconsiderazione i seguenti elementi: 1) analisi territo-riale; 2) approccio Bottom-up; 3) partenariato pubbli-co-privato; 4) approccio integrato; 5) sistema a rete;6) cooperazione; 7) carattere innovativo.Le indicazioni di carattere finanziario sono orientatea: 1) accompagnare e completare la riforma dellaPAC, assicurando coerenza con i suoi strumenti diintervento; 2) contribuire alle priorità politichedell’UE: gestione sostenibile delle risorse naturali,innovazione e competitività nelle zone rurali, coesio-ne economica e sociale.

flittualità ed incertezza. Ne segue che il significato disviluppo sostenibile dell’ambiente dovrebbe esserequello di migliorare la qualità della vita ed il benesse-re in modo durevole nel tempo, attraverso un “pro-cesso di partecipazione”, che coinvolge tutti gli attori(pubblici, sociali e privati) presenti nel sistema, adogni livello, come creazione e mantenimento di ele-menti di esternalità positive. In questo senso si puòparlare di sviluppo sostenibile, quale sviluppo sosteni-bile partecipato e di approccio di governance agro-ambientale).2. Il ruolo, gli strumenti e gli obiettivi della governan-ce trovano origine nella moderna visione delle moda-lità di relazione e di partecipazione delle società ai“modelli di scelta ed ai processi di governo e control-lo” (Bottom/Up vs. Bottom/Down decisional model;participation and sharing of decisions and responsibi-lity vs. command and control attitude and methodetc.). Ne emerge un preciso schema di cooperazioneattiva, di governance che interagisce con una strutturadella società affidabile ed informata. Più specificata-mente, il contributo offerto dalla valutazione dell’im-patto dello sviluppo sostenibile presente nei piùrecenti documenti comunitari incentrati sui principaliobiettivi delle politiche sociali, economiche edambientali dell’Unione Europea (stabilità socio-econo-mica, diffusione e rafforzamento della democrazia,sicurezza, tutela degli ecosistemi ambientali, equitànella distribuzione di risorse e ricchezza etc.) si com-pleta in un’ottica di indagine di tipo multidimensio-nale. L’obiettivo della governance si rivela dunquequello di determinare, ove possibile, un’area, un “ter-ritorio comune” di indagine e di incontro, che ospiti ipostulati della governance e che offra alle Autorità digoverno istituzionali ad ogni livello ed ai i cittadini (alivello individuale e/o collettivo) uno strumento peruna gestione razionale, allargata e sostenibile dellospazio, delle risorse ambientali e del paesaggio, comeazione di partecipazione e condivisione più ampiadelle scelte e delle responsabilità dei cittadini e delleorganizzazioni alla definizione e valutazione dellepolitiche di progetto e di intervento sul territorio.3. Ci si riferisce agli strumenti di pianificazione edintervento di tipo regionale, quali, ad esempio, i Pianiterritoriali Regionali, i Progetti territoriali operativi, iPiani paesistici e così via, in abbinamento alle infor-mazioni fornite dalle attuali tecniche di indagine econoscenza territoriale (i Sistemi informativi territo-riali, la cartografia di base e tematica etc.).4. Con la pubblicazione del documento programmati-co di Agenda 2000 (luglio 1999), le politiche di svi-luppo rurale divengono il secondo pilastro dellaPolitica agricola comunitaria (Pac); essa punta allarealizzazione di un “contesto coerente e durevole” diprogrammazione ed intervento che garantisca il futu-ro e la valorizzazione delle zone rurali e favorisca lasalvaguardia e la creazione di posti di lavoro al setto-re. Con Agenda 2000 le misure agro-ambientalidiventano parte integrante del pacchetto delle politi-che per lo sviluppo rurale (Regolamento Ce n.1259/1999, regolamento orizzontale che introduce iprincipi di condizionalità ambientale e modulazionedegli aiuti diretti). Ciò che si afferma è la definizionedi un modello di agricoltura europeo (Mae) basatosulla multifunzionalità dell’agricoltura e sulla centra-lità delle aree rurali per la diversificazione e la valo-rizzazione delle attività di sviluppo economico degliagricoltori, attraverso l’integrazione tra le politicheagrarie e quelle agro-ambientali.5. Cfr. European Commission, Mid-Term Review of theCommon Agricultural Policy, MTR, (CAP), COM(2003), n. 23, final. In proposito, il processo di revi-sione conferma e rafforza alcuni punti di rilevanteinteresse, quali: 1) la certificazione ed il sostegno allaqualità ed alla salubrità delle produzioni agricole edagroalimentari; 2) la gestione sostenibile delle areerurali; 3) le politiche agro-ambientali; 4) il disaccop-

il Fondo europeo agricolo di Garanzia,Feaga ed il Fondo europeo agricolo perlo Sviluppo rurale, Feasr, i quali, a par-tire dal 2007, sostituiranno le attualidue sezioni del Fondo europeo agricolodi Orientamento e Garanzia); 2)Regolamento (Ce) n. 1698/05 (pretta-mente rivolto agli obiettivi, alle moda-lità di programmazione ed attuazionedella politica di sviluppo rurale) (7).La promozione di un reale progetto disviluppo sostenibile sottintende, tantol’esigenza di preservare la quantità e laqualità delle risorse ambientali dispo-nibili, quanto la definizione dei costi edei benefici socio-economici di breve,medio e lungo periodo, del trade-offtra produzione e conservazione del-l’ambiente. In tal senso, la Nuova poli-tica di sviluppo rurale tende a superarei limiti derivanti dalla non coincidenzatra spazio agricolo e fondiario e spaziorurale, attraverso l’integrazione dellescelte e dei programmi di interventocondivisi e sostenibili con obiettivistrategici in grado di sviluppare lepeculiarità territoriali delle diverse areerurali, contribuendo all’affermazioneproprio di quel modello di agricolturaeuropeo basato sulla multifunzionalitàdell’agricoltura e sulla centralità dellearee rurali per la diversificazione e lavalorizzazione delle diverse attività disviluppo del territorio.Programmazione e pianificazione dellearee rurali e del territorio, dunque,appaiono necessariamente unite in uncontesto decisionale che si presentatrasversale, all’interno del quale il pro-getto ed il corretto utilizzo dello spazioe delle risorse agricole ed ambientali,la promozione di strategie sostenibili emultifunzionali di trasformazione esviluppo del territorio e delle aree rura-li assumono il ruolo di fattori fonda-mentali di rilancio e valorizzazione perl’intero sistema.

*Professore straordinario, Facoltà di Architettura,Università degli Studi di Trieste.

Note1. È ormai opinione diffusa che la moderna nozionedi sviluppo sostenibile, vista nell’insieme delle suedimensioni (socio-culturale, economica, ecologico-ambientale e normativo-istituzionale) assuma, al suointerno, la volontà di integrare il processo di evolu-zione e di adattamento dei sistemi ambientali, capaci-tà questa che si esplicita nella precisa possibilità dimantenere nel tempo efficienza, equità e tutela dellerisorse naturali, seppure in condizioni di estrema con-

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Sviluppo rurale in Europa

Una proposta metodologica per lagestione integrata e lo svilupposocio-economico delle aree ruraliperi-urbane

Lo spazio “urbano-rurale” è costituitodagli spazi tra la città e la campagna,dalle aree rurali peri-urbane, caratte-rizzate da una elevata frammentazionedella trama agricola, che, per effettodell’urbanizzazione crescente tende adivenire interstiziale e residuale, dallearee sulle quali la competizione tra lefunzioni determina fenomeni di tra-sformazione ed abbandono, dalle areedi periferia urbana, dalle aree di mar-gine ove si localizzano attività econo-miche, produttive e commerciali, chenon trovano spazio nelle zone già for-temente insediate. Al suo internoprendono spesso forma i fenomeni piùinnovativi e incidenti anche in terminidi sviluppo per il territorio nel suocomplesso e, per il suo valore paesag-gistico ed ambientale, questo spaziopuò rappresentare una risorsa strategi-ca per migliorare la qualità del sistemaurbano. Al tempo stesso esso è quelloin cui si riscontrano le più forti con-traddizioni e quello generalmentemeno soggetto all’attenzione del pia-nificatore e del programmatore.Grazie al Progetto Extramet, beneficia-rio di un finanziamento comunitariodel Programma di CooperazioneTransnazionale Interreg III B Medocc,alcune regioni europee dell’area medi-terranea hanno rivolto la loro atten-zione a queste aree. Il progetto vedecoinvolti 9 partner europei – Liguria

zione e nella gestione del territorio“extramet”. Gli elementi emersi dalconfronto in ambito transnazionalesono molteplici. Il primo riguarda ilproblema della definizione concettualee spaziale delle aree “urbane-rurali”,con la conseguente difficoltà di terri-torializzare le politiche e le strategie diintervento e di selezionare e perime-trare le aree su cui intervenire. Ilsecondo spunto di riflessione riguardal’importanza strategica di individuareun modello di governance adeguatoper tali aree. Un terzo elementoriguarda la difficoltà di innescare ilprocesso riformatore proposto per lepolitiche di sviluppo rurale. Difficoltàquesta dovuta al permanere di atteg-giamenti politici ed economici forte-mente settoriali e alla ancora diffusaincapacità delle pubbliche amministra-zioni di lavorare in modo intersetto-riale e integrato. Un ulteriore spuntodi riflessione riguarda, infine, l’impor-tanza del coinvolgimento delle aziendeagricole nel processo di elaborazionedi un programma integrato di valoriz-zazione per le aree rurali peri-urbane.Quale patto è possibile siglare tra ilmondo agricolo/rurale e la comunitàlocale per il riequilibrio dei sistemiurbani in un processo di sostegnoreciproco?

Processo di riforma della Pac

La riforma delle politiche di svilupporurale introdotta per il nuovo periododi programmazione apre un importan-te confronto sul tema delle aree ruralinei contesti metropolitani. La recenteriforma della Pac ha fortemente modi-

Lo spazio rurale nel contesto della nuovametropolizzazionePatrizia Nazio*

(capofila), Piemonte, Campania,Sardegna, Murcia, Hérault, EcoHumanus Alentejo, Tessaglia,Macedonia e Tracia – ed è finalizzatoa mettere a punto e sperimentaremetodologie innovative rivolte allospazio “urbano-rurale”, definito spazio“extramet”.Attraverso l’introduzione di approcciinnovativi alla gestione del territorio,si intendono sperimentare strumenti ingrado di integrare la pianificazioneterritoriale con la programmazioneeconomica e finanziaria, anche allaluce dei nuovi orientamenti della poli-tica agricola comunitaria (PAC), cheprevedono nuove strategie di sviluppoper le aree rurali peri-urbane e nuovefunzioni per le aziende agricole. Perdare attuazione a tali orientamenti,vanno individuate forme di interventocapaci, sia di generare nuove opportu-nità economiche per le aziende agrico-le, sia di favorire il miglioramentodella qualità e sostenibilità ambientaledei sistemi urbani.

Problematiche comuni e alcuneriflessioni

È da queste considerazioni che nascela necessità di capire e studiare lo spa-zio “urbano-rurale” e di assegnargliuna precisa funzione nello sviluppodel territorio.Il ricco confronto stimolato in questaed altre sedi mette in luce alcune pro-blematiche e spunti di riflessionecomuni ai diversi contesti e rappresen-ta, senza dubbio, un primo importantepasso verso la possibilità di introdurreun reale cambiamento nella pianifica-

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Urbanistica INFORMAZIONI

menti di pianificazione, amministrativie finanziari si intende procedere attra-verso il coinvolgimento dei responsa-bili del governo del territorio e degliattori che intervengono direttamentenella gestione delle aree rurali. Latipologia dello strumento al quale siintende pervenire è un “Programmaintegrato”, poiché l’obiettivo della spe-rimentazione è l’elaborazione di unostrumento in grado di integrare la pia-nificazione territoriale con la pro-grammazione economica e finanziaria.Esso è il risultato di una proposta con-divisa tra i comuni, le organizzazioniprofessionali e le associazioni di cate-goria, i singoli operatori rurali, gli entiparco, le associazioni locali, laProvincia di Torino.Con riferimento agli obiettivi che ver-ranno definiti nel corso del processo dielaborazione del Programma integrato,il soggetto collettivo, composto dasoggetti pubblici e privati, dovrà ope-rare per garantire successivamente larealizzazione delle azioni individuate eper promuovere altre iniziative coeren-ti con gli obiettivi condivisi. Si inten-de promuovere in questo modo unmetodo di lavoro basato sulla coope-razione tra istituzioni, attori locali eoperatori rurali.L’elaborazione di un Programma inte-grato di questo tipo deve tener contodelle scelte progettuali già program-mate e compiute dagli enti territoriali.Per definire il quadro progettuale loca-le occorre analizzare gli strumentiurbanistici generali e settoriali edeffettuare studi specifici, utilizzandoanche i molteplici dati esistenti pro-dotti dalla Regione e dalla Provincia.Le analisi consentono di realizzare unabase di conoscenza utile alla successi-va fase di approfondimento riguardoai temi nodali emersi.Alla fase di analisi preliminare seguela realizzazione da parte del gruppo dilavoro di un’analisi SWOT relazionaleper focalizzare i temi nodali, indivi-duare i fabbisogni e aprire il processodi costruzione di una vision territoria-le e di strategie di sviluppo, attraversoil costante confronto con i soggettiterritoriali, le Amministrazioni locali egli agricoltori. Una volta definite lavision e le strategie condivise, verran-no individuate le possibili azioni, gli

politiche di sviluppo rurale viene pro-posto un approccio innovativo e inte-grato, mutuato dall’esperienza dell’ini-ziativa comunitaria Leader.L’iniziativa, introdotta nel 1994, aveval’obiettivo di generare processi si svi-luppo a lungo termine nelle regionieuropee attraverso l’attuazione di stra-tegie integrate di elevata qualità e ori-ginali in materia di sviluppo durevolee attraverso la creazione di partenaria-ti e reti di scambi di esperienza.Dimostratasi particolarmente efficacenelle politiche di sviluppo rurale, que-sta iniziativa non viene più considera-ta come separata dai Psr, ma comeapproccio metodologico per attuare itre assi strategici individuati. Vieneinoltre introdotta la possibilità di dareoperatività ai Psr attraverso i progettifinalizzati, di tipo plurimisura (due opiù interventi attuati in stretta connes-sione), di tipo pluriaziendale (interven-ti singoli o plurimi attivati in sinergiada più imprese, anche con modalità difiliera) o, ancora, di tipo territoriale.Questi elementi, introdotti a livellocomunitario nella futura politica disviluppo rurale, possono giocare unruolo cruciale per lo spazio ruraleperi-urbano e il progetto Extrametrappresenta un’occasione per speri-mentare gli approcci metodologici eattuativi proposti attraverso la speri-mentazione condotta a livello locale.

Proposta metodologica innovativa

Il Progetto Extramet intende mettere apunto una metodologia innovativa perdefinire strategie e priorità condivise emodalità di intervento specifiche perla gestione e la valorizzazione del ter-ritorio rurale peri-urbano. La metodo-logia elaborata si inserisce nel quadrodella futura politica di sviluppo ruralee di finanziamento del settore agricoloda parte dell’Unione Europea e vienesperimentata attraverso l’applicazionead un caso concreto, rappresentativodel contesto territoriale di ciascunpartner. La proposta elaborata dallaRegione Piemonte, come esito delleanalisi e delle valutazioni di un grup-po di lavoro interdisciplinare, saràsperimentata in quattro comuni dell’a-rea metropolitana torinese. Per aumentare l’efficacia degli stru-

ficato il quadro del sostegno all’agri-coltura e al mondo rurale in genere. Siè così proposto un vero e proprio pro-cesso riformatore orientato alla defini-zione di un nuovo modello di agricol-tura multifunzionale legata alla gestio-ne attiva del territorio. Il RegolamentoCe n. 1698/05 per lo sviluppo ruraleintroduce elementi innovativi, sia inmerito alle strategie e agli obiettivi,sia al metodo attuativo per perseguirli. In primo luogo, viene introdotto l’ap-proccio strategico. Per garantire unareale sinergia tra le politiche nella pre-disposizione dei singoli programmi disviluppo rurale (Psr), gli Stati membrie le Regioni devono elaborare unastrategia coerente con gli obiettivi e lepriorità generali definite a livelloeuropeo e con le altre politiche e azio-ni per la crescita e l’occupazione. Laspesa agricola non è quindi solo stret-tamente vincolata alle politiche dimercato, ma si inserisce in una strate-gia di sviluppo economico e territoria-le più generale. Il Regolamento pro-muove un nuovo modello di agricoltu-ra attraverso “l’introduzione o la pro-secuzione dell’applicazione di metodidi produzione agricola compatibili conla tutela e con il miglioramento del-l’ambiente, del paesaggio e delle suecaratteristiche, delle risorse naturali,del suolo e della diversità genetica”. Siintende così destinare maggiori risorsealle politiche di sviluppo rurale e al ri-orientamento dell’attività agricolaverso la fornitura di beni e servizipubblici, quali la salvaguardia dell’am-biente, la cura del paesaggio rurale e ilmantenimento dei terreni agricoli. Insecondo luogo, i tre assi strategici perle politiche di sviluppo rurale, da cuidiscendono le misure di intervento (lacompetitività del settore agricolo eforestale, dell’ambiente e dello spazionaturale, la qualità della vita nellezone rurali e la diversificazione delleattività economiche) sono “orienta-menti” complementari e non alternati-vi, a cui si potranno attribuire “pesi”differenti a seconda degli specificicontesti territoriali.Correlando strettamente le misure allestrategie più generali da perseguire, siintroduce un possibile mutamento nelquadro degli interventi ammissibili. Interzo luogo, per dare attuazione alle

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narrAZIONIValorizzare i centri storici

minoriOrvieto, 9 febbraio 2007

Palazzo dei Sette, Sala delGovernatore

L’appuntamento annuale aOrvieto per riflettere sullepolitiche e le esperienze

Il convegno è organizzato dal“Master ACT, valorizzazione egestione dei centri storiciminori”, Fondazione centrostudi “Città di Orvieto”, DIPTUUniversità di Roma “LaSapienza”, Monti&Taft

Per informazioni:w3uniroma1.it/arcorvieto

Sviluppo rurale in Europa

In vista del prossimo periodo di pro-grammazione 2007-2013 la Liguria stadefinendo i propri strumenti per inte-grare l’agricoltura con altre forme disviluppo territoriale

Secondo questo approccio, i contenutidel nuovo Psr sono articolati in treobiettivi-assi, più un quarto asse meto-dologico:- migliorare la competitività dell’agri-coltura e della silvicoltura, sostenendo-ne la ristrutturazione, lo sviluppo el’innovazione;- migliorare l’ambiente e lo spazionaturale, sostenendo la gestione delterritorio;- migliorare la qualità della vita nellezone rurali, sostenendo la promozionedi attività economiche diversificate.Il quarto asse è il cosiddetto “metodoLeader”, ovvero l’approccio assuntodalla terza generazione del Programmadi iniziativa comunitaria Leader+, nelperiodo di programmazione 2000-2006, che ha rappresentato un’espe-rienza significativa nella realizzazionedi azioni bottom-up e con un fortecoinvolgimento del partenariato locale.Esso rappresenta un approccio trasver-sale, applicabile anche agli altri obiet-tivi, secondo particolari caratteristiche.In sintesi esse riguardano: la capacitàdi costruire strategie integrate di svi-luppo locale, mirate a territori bendefiniti; la capacità di coinvolgerepartnership pubblico-private (i Gal1), acui viene riconosciuto potere decisio-nale; l’incentivazione alla costruzionidi reti locali e sovra-locali di coopera-zione.Oltre all’approccio metodologico emer-gono diversi elementi di innovazionein merito all’integrazione delle politi-che si sviluppo rurale. Ad esempio,l’asse 2 prevede interventi miratiall’”utilizzo sostenibile dei terreni agri-

Politiche rurali integrate in LiguriaFederica Alcozer*

La Regione Liguria sta predisponendoil nuovo Piano di sviluppo rurale,parallelamente al Disegno strategicoregionale. Dal punto di vista formaleed istituzionale, relativamente al Psr, ilregolamento è stato pubblicato sullaGazzetta ufficiale dell’Unione europeae si è aperto il percorso che, attraversoconsultazioni, riflessioni ed elaborazio-ni, porta alla stesura del nuovo Piano.Cofinanziato dal Fondo europeo agri-colo per lo sviluppo rurale (Feasr),dallo Stato italiano e dalla RegioneLiguria, il nuovo Psr costituirà lo stru-mento principale per lo sviluppo delleattività agricole e rurali per i prossimisette anni. Rispetto al periodo in via di conclusio-ne (2000-2006), questa fase di pro-grammazione dovrebbe caratterizzarsiper un approccio strategico, a livelloeuropeo, nazionale e regionale. A livel-lo europeo, gli orientamenti strategicicomunitari sullo Sviluppo rurale deli-neano le priorità strategiche per treassi tematici. A livello nazionale, ilPiano strategico adatta le priorità Uealla situazione nazionale, assicurandocoerenza e complementarietà con lealtre politiche (Fondo sociale europeo -Fse e Fondo europeo per lo svilupporegionale - Fesr). Infine i Programmiregionali di sviluppo rurale assumono itre assi e li articolano in misure, defi-nendone i relativi limiti e condizioni.

strumenti attuativi (una gamma dipossibili strumenti finanziari, ammini-strativi, gestionali, etc.), i soggettiattuatori, un soggetto promotore-faci-litatore per l’assistenza all’attuazionedel Programma integrato. Infine, pergarantire l’efficacia e la qualità degliinterventi verranno elaborate specifi-che linee guida.Le riflessioni sul tema delle aree ruraliperi-urbane avviate dal gruppo dilavoro transnazionale si avvarrannoanche dell’esito delle sperimentazionicondotte a livello locale, attraverso i“progetti pilota” per arrivare, alla con-clusione del progetto nel giugno del2007, a definire linee condivise ecomuni di intervento.

*Collaboratore della Regione Piemonte.

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stati approvati solo a luglio 2006 iRegolamenti per i fondi strutturali Fsee Fesr) sia per confronti/scontri nazio-nali e regionali.La predisposizione del Dsr è stata affi-data ad un Comitato di Pilotaggiocomposto dalle Strutture che svolgonoil ruolo di “Autorità di Gestione” ocoordinamento regionale degli attualiProgrammi Obiettivo 2, Obiettivo 3,Interreg e, ovviamente, il Programmadi sviluppo rurale2, integrato dalleStrutture di programmazione strategi-ca, Pianificazione territoriale e monito-raggio e valutazione degli investimenti.Nel mese di ottobre 2005 è stata predi-sposta una prima bozza del documen-to, con alcune proposte e integrazionida parte di Assessorati della Regioneed Enti territoriali; che è stato inviatoal Ministero della Economia e delleFinanze dopo una comunicazione inGiunta regionale. Non si è ancora per-venuti ad una bozza conclusiva.Almeno nelle intenzioni, la dimensioneterritoriale assume un ruolo centralenel processo di definizione delDocumento strategico ligure 2007-2013, in primo luogo perché il territo-rio, inteso in senso non solo fisico-geografico ma soprattutto relazionale,costituisce il capitale su cui si fondanoi processi di sviluppo. In secondoluogo, la dimensione territoriale èquella in cui convergono le diversedimensioni funzionali – economica,sociale, infrastrutturale, ambientale,paesistica, culturale, ecc. – epossono/devono trovare una lorocoerenza sintetizzabile nel concetto disostenibilità. Intendiamo in questosenso il nuovo grande obiettivo, inseri-to nella proposta di Costituzione euro-pea, della “coesione territoriale”, al dilà di qualche permanente ambiguitàdel termine nei documenti ufficiali:essa non è altro che la dimensione ter-ritoriale della sostenibilità.Il metodo della pianificazione territo-riale è inteso soprattutto nell’accezioneche tale metodo assume per la RegioneLiguria, nella legislazione vigente enelle più recenti esperienze di pianifi-cazione regionale. Questo significaprocedere attraverso un percorso diconoscenza e definizione di obiettivi,mirato alla scelta tra opzioni diverse,alla selezione tra gli elementi di cono-

presentare e pubblicare le proprie inte-grazioni e osservazioni per il Psr 2007-2013. A maggio 2006 si è dato avvioalle attività di animazione e di prepa-razione dei progetti integrati sui temiprioritari. Nei mesi estivi è stata pre-sentata una bozza del piano di svilup-po rurale 2007-2013 e si stanno defi-nendo nel dettaglio delle strategie ditransizione dal 2006 al 2007, per arri-vare ad essere operativi con l’aperturadegli sportelli dai primi mesi del 2007.A partire da un documento di indirizzocon le proposte dell’AssessoratoAgricoltura e Protezione civile, in cuisono stati individuati i tempi per lacostruzione e l’avvio del programma, lelinee guida generali, le priorità, tenen-do conto dei contributi presentati dalpartenariato locale (con riferimento a:procedure, contenuti del piano, osser-vazioni di carattere organizzativo), si èarrivati alla stesura di una bozza delPiano di sviluppo rurale 2007-2013,dello scorso agosto 2006.Tra i numerosi contributi inviati alforum sono di particolare interesse leosservazioni presentate dalle ComunitàMontane, che per loro natura e ruoloesprimono il punto di vista territorialeed integrato, anche se non tutte hannoancora acquisito una capacità operati-va e attuativa nella direzione auspica-ta. Sono ugualmente interessanti leposizioni dei Parchi liguri, che sottoli-neano la necessità di politiche di svi-luppo rurale diversificate, multifunzio-nali e integrate nelle aree protette econ l’individuazione degli enti parcocome potenziali soggetti attuatori ditali politiche, in particolare per la tute-la e riqualificazione del patrimonioprurale, per l’incentivazione di attivitàturistiche rurali, per lo sviluppo localedi iniziative di promozione delle pro-duzioni agricole locali, per la creazionedi attività specifiche di educazioneambientale legate al mondo rurale.Questa necessità di integrare politichedifferenti, così strettamente legate alterritorio regionale, ha accomunatoanche l’elaborazione del Disegno stra-tegico regionale (Dsr) con il quale ilPsr ha avuto una importante occasionedi condivisione e confronto. Il limite diquesto confronto sta nella maggiorelentezza nei lavori del Dsr rispetto alPsr, sia per motivi comunitari (sono

coli” e “dei terreni forestali”, attraversomisure per lo sviluppo di interventiagro-ambientali, investimenti non pro-duttivi, imboschimento di terreni agri-coli, impianto di sistemi agro-forestalisu terreni agricoli, imboschimenti disuperfici non agricole, e altro. Molte diqueste azioni, non direttamente legateallo sviluppo dell’agricoltura produtti-va, ma all’ambiente non erano previstenel precedente periodo di programma-zione.Parallelamente, nell’asse 3 l’approcciomultifunzionale e territoriale emergenella previsione di interventi miratialla “diversificazione dell’economiarurale”, attraverso misure di diversifi-cazione in attività non agricole, crea-zione e sviluppo di micro-imprese insettori non agricoli, incentivazione diattività turistiche. Inoltre una partico-lare attenzione è riservata alla “qualitàdella vita” nelle aree rurali, attraversola previsione di servizi per l’economiae la popolazione, lo sviluppo e il rin-novamento dei villaggi, la tutela e laqualificazione del patrimonio rurale.Per quanto riguarda il processo, laRegione Liguria ha avviato già dalloscorso anno un confronto e una con-sultazione con il parternariato in meri-to alla costruzione del nuovo Psr, conl’obiettivo di conoscere e verificare leesigenze dei soggetti territoriali intema di agricoltura e sviluppo rurale.I soggetti coinvolti sono stati indivi-duati tra enti locali e territoriali, asso-ciazioni economiche e sociali, organiz-zazioni non governative. Questi sonosuddivisi in: “partenariato diffuso”,composto da soggetti con competenzeistituzionali e portatori di istanze dicarattere ambientale e civile (province,camere di commercio, comunità mon-tane, comuni, organizzazioni professio-nali, sindacali, ordini professionali,associazioni ambientaliste); “partena-riato privilegiato”, composto da sog-getti direttamente connessi ai temi delPsr, quali enti locali, organizzazioniprofessionali agricole, associazionidelle cooperative di settore, oltre adalcuni dipartimenti regionali.Il confronto si è organizzato attraversotre seminari (novembre, dicembre 2005e marzo 2006) e attraverso la costru-zione di un forum su Internet, in cuitutti gli interlocutori hanno potuto

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attuazione alle strategie individuate.Proprio in questo senso occorre indivi-duare un tema territoriale “forte”, digrande valenza strategica e raccogliereintorno ad esso tutti quei progetti, pub-blici e privati, che sono in grado dicreare convergenza di consensi e dirisorse, concorrendo alla stessa strategiadi sviluppo e di coesione territoriale.Ad oggi, non è ancora stabilito quantospazio sarà effettivamente dato alladimensione della progettazione integra-ta all’interno del Dsr, ma è certo chequesta ha assunto un ruolo di rilievonel Psr, che lo definisce come complessodi azioni di diversi settori (progettointegrato territoriale) o di diversi seg-menti produttivi (progetto integrato difiliera) o di diverse componenti nell’am-bito di un tema (progetto integratotematico), con l’intento di raggiungereobiettivi prefissati di sviluppo del terri-torio, attraverso un sistema coerente diazioni che “devono avere un risultatocomplessivo significativamente superio-re alla somma delle singole azioni”.

È evidente che la politica regionale disviluppo rurale sta ponendo le basiaffinché ci possano essere sensibiliripercussioni a livello territoriale. Lacapacità di avviare confronti e intera-zioni con gli strumenti di pianificazionealle diverse scale (regionale, provinciale,locale) rimane una sfida che nella regio-ne Liguria dobbiamo ancora dimostraredi sapere cogliere con successo.

*Dottore di ricerca, Facoltà di Architettura, Universitàdegli Studi di Genova.

Note1. I GalAL, Gruppi di azione locale, sono organismidotati di una propria strategia integrata di sviluppolocale; le parti economiche e sociali devono rappre-sentare almeno il 50% a livello decisionale. Essi pos-sono essere gruppi già consolidati con le precedentiesperienze di Leader o Leader+, oppure nuovi gruppi;possono avere personalità giuridica oppure eleggere alloro interno un capofila amministrativo e finanziariocapace di gestire fondi pubblici.2. Al tavolo del Comitato di Pilotaggio ha fornito uncontributo critico significativo e collaborativo ilSettore Agricoltura nella persona del Dott. RiccardoJannone.3. Per approfondimenti si rimanda agli scritti diFranco Lorenzani, Gianni Gaggero e Paolo Rocco, IlPtr della Regione Liguria, in Urbanistica Quaderni.

scenza e tra fenomeni in atto e in dive-nire, alla definizione di gerarchie, scaledi priorità, tempistiche. Significa arriva-re ad uno strumento “tecnico” che con-senta di decidere, disegnando le strate-gie per lo sviluppo del territorio regio-nale, innescando una dinamica traobiettivi e progetti, più che proporrelimiti o prescrizioni.Il metodo adottato nel Piano territorialeregionale (Ptr) porta a riconoscere, perun sistema territoriale, un ruolo e unobiettivo di sviluppo; per raggiungerequesto obiettivo vengono individuatedelle strategie che si riferiscono a diver-si settori di intervento; le strategie indi-viduate si riferiscono ad una progettua-lità esistente sul territorio, selezionata infunzione delle opportunità esistenti opotenziali, in funzione delle strategie. La stessa metodologia dellaPianificazione3 prefigura che in faseattuativa si proceda alla realizzazionedei “progetti integrati”, ovvero progettiche perseguono l’obiettivo di sviluppodi ciascun ambito territoriale, dando

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Sviluppo rurale in Europa

ti, al fine di orientare le azioni dei pri-vati e delle amministrazioni localiverso obiettivi comuni e condivisi. Sitratta di consentire un’azione di coor-dinamento non episodica, dettata cioèda eventi eccezionali da coordinare,ma continua, volta quindi a seguireprogressivamente la costruzione diun’economia, una società e un ambien-te che rappresentino realmente lamigliore manifestazione della ruralitàcontemporanea.

I distretti rurali e agroalimentari

Con la recente approvazione delRegolamento attuativo è operante la Lr23-1-2006 n. 1, che istituisce i distrettirurali e agroalimentari di qualità stabi-lendo una triplice finalità: favorire losviluppo rurale, valorizzare le vocazio-ni naturali del territorio e consolidarel’integrazione tra i diversi settori pro-duttivi in ambito locale; con questosottolineando, conseguentemente, lostretto legame tra le politiche distret-tuali e quelle di sviluppo rurale. A siffatta indicazione strategica fannoseguito nella legge regionale altri dueaspetti di notevole importanza. Ilprimo aspetto riguarda la possibilitàper i distretti rurali di caratterizzarsianche per la presenza di zone indivi-duate ai sensi della Lr 22-12-1999 n.40 “Programmazione integrata per lavalorizzazione ambientale, culturale eturistica del territorio” e di percorsirealizzati ai sensi della Lr 3-8-2001 n.21 “Disciplina delle strade del vino,dell’olio d’oliva e dei prodotti agro-ali-mentari tipici e tradizionali”. Il secondoaspetto, fortemente innovativo, concer-

blicamente per lo sviluppo rurale siripercuotano su un bacino di popola-zione molto più ampio di quello diret-tamente coinvolto nel territorio ruraledella Regione; in più, proprio su questabase, l’inserimento della Capitale rendepossibile integrare negli strumentiattuativi dello sviluppo rurale anchepolitiche e soggetti finanziatori chehanno abitualmente come riferimentoesclusivo il territorio urbano dellaRegione.

La progettazione integrata

Per evitare una dispersione “a pioggia”delle risorse, il Psr ha previsto tra glistrumenti attuativi il “progetto integra-to”: un sistema di intervento che, par-tendo dalle esigenze del territorio,riesce a fondere in una prospettivaunitaria le differenti politiche e i diver-si attori coinvolti. Tale strumento èparticolarmente adatto per realizzare icomplessi interventi nell’area metropo-litana di Roma: dalla valorizzazionedei prodotti locali, che per le lorocaratteristiche tipiche e la vicinanza almercato finale si dimostrano adatti asoddisfare i bisogni dei consumatoriromani, senza porsi in concorrenza conaltre realtà, alla fornitura di servizisociali mediante l’utilizzo di processiagricoli per integrare e talvolta suppli-re l’offerta di servizi, a cui i cittadinioggi possono accedere; il tutto nelquadro di una gestione del paesaggio edel patrimonio culturale che ne assicurila tutela mediante interventi di valoriz-zazione. La progettazione integrata presupponeuno scambio di conoscenza e di inten-

Nel predisporre il Piano di svilupporurale (Psr) 2007-2011, la RegioneLazio ha deciso per la prima volta ditener conto delle peculiarità dellearee agricole del Comune di Roma

Questa scelta strategica discende dall’i-dea che i comportamenti e le azionidella città di Roma riguardo le areeverdi, i terreni coltivati e quelli boschi-vi, estesi su una superficie di oltre 51mila ettari vadano necessariamente aripercuotersi sull’intera organizzazionee gestione del territorio rurale delLazio. Si è quindi ritenuto che le azionidi governo della campagna rurale dellaRegione non debbano più prescindereda quanto avviene all’interno del terri-torio urbano di Roma e dai cambia-menti del sistema economico e socialedell’area metropolitana romana.Conseguentemente, la presenza dellaCapitale, come centro di produzione dibeni e servizi, di cultura e di azioni digoverno non rappresenta più nel Psrsemplicemente un “vuoto” non rurale,ma viene considerata come un insiemedi forze che si propagano influenzandoi comportamenti di coloro che vivonoe agiscono nel territorio circostante,fino ad estendersi a tutta la Regione edanche più oltre.Tuttavia, gli strumenti di attuazionedel Psr sono ipotizzati in modo taleche il sostegno alle azioni riguardantila città di Roma non graverà esclusiva-mente sulle risorse pubbliche destinateallo sviluppo rurale. In altre parole,l’inserimento di Roma serve per evi-denziare come le azioni sostenute pub-

Roma nella politica di sviluppo ruraleAlfonso Pascale*

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Sviluppo rurale in Europa

Lo strumento del parco agricolo nonprevede una dimensione spaziale conun confine, ma predispone un utiliz-zo integrato di strumenti di pianifi-cazione finalizzato alla valorizzazionedegli spazi rurali

ne e così via. Il paesaggio, in partico-lare quello peri-urbano, sta assumendoil ruolo di un nuovo “servizio pubbli-co”, che risponde al bisogno socialeemergente che porta alla non separa-zione fra città e campagna. Un esem-pio di questa nuova condizione è datodallo spazio sempre crescente che invarie parti del mondo stanno ottenen-do gli orti sociali, vere e proprie «infra-strutture verdi della città» (Donadieu eFleury, 2003), in cui si sperimentanoattenzioni diverse che vanno dallaquella estetica a quella pedagogica aquella ecologica, che sfocia nellariconquista del “selvaggio”, del terzopaesaggio. Quest’ultima concezionenon è infatti attualmente “più pensataalla scala del giardino privato, condot-to dal paesaggista-giardiniere, ma aquella del territorio urbano pubblico,gestito da paesaggisti, ecologi, orticol-tori”. Questa nuova sensibilità permeaanche i documenti di programmazionedella regione Toscana, come quelliredatti per l’adeguamento del Pit, incui, anche se con toni troppo genericie non legati alla dimensione territorialespecifica, viene individuato il sistemadella “moderna ruralità”, ricercando«una nuova partnership, basata su diun rapporto equilibrato tra città esistemi rurali in cui favorire forme disviluppo endogeno basate sulla diversi-ficazione in relazione alle risorse loca-li»1. Questo breve scritto riferisce di unaricerca nazionale finanziata dalMinistero dell’Università che intendemettere a punto un nuovo strumentointegrato e complesso di progettazione

Il parco agricolo dellaToscana centraleDaniela Poli*

Nell’attuale condizione di “dismissionedei paesaggi agrari storici” ci imbattia-mo in forme paesistiche con diversastabilità e diversi gradi di strutturalità,che hanno perso la loro funzione origi-naria, legata alla cultura e all’econo-mia di un tempo. Si originano figureinedite, nate dall’intersecarsi di ele-menti tipici del mondo rurale conquelli della recente urbanizzazione,spesso insensibile ai problemi dell’i-dentità paesistica. La sfida contempo-ranea è come gestire questa difficile,ma potenzialmente fruttuosa, relazione.La stagione del piano vincolistico, checorrelava troppo strettamente le formedel paesaggio a quelle del monumentoo del centro storico ha mostrato, datempo, la sua inefficacia. Diventa allo-ra centrale operare con strumenti inno-vativi, originati da una diversa costru-zione del problema (Donadieu, 1994).Nella nuova Politica agricola comuni-taria (Pac), ad esempio, viene invocatala multifunzionalità dell’agricoltura, incui l’economia rappresenta solo unodegli elementi caratterizzanti assiemealla salvaguardia ambientale, alla sal-vaguardia del patrimonio storico, allavalorizzazione estetica del territorio, alcoinvolgimento della popolazione nellagestione attiva del territorio, al reinse-rimento sociale di settori di popolazio-

ne la possibilità di riconoscere nelperimetro di un distretto rurale anchele aree agricole peri-urbane che, pur incontesti di forti dinamiche insediativeextragricole, presentino uno spiccatointeresse agricolo di carattere multi-funzionale coerente con le politiche disviluppo rurale e con le tradizioni e levocazioni naturali del territorio. In base a questa normativa, il Comunedi Roma e i Comuni dell’area metropo-litana romana hanno la possibilità dipromuovere, con le rappresentanzesociali, un distretto rurale: è questaun’ulteriore opportunità in mano alleforze locali per programmare ed attua-re interventi realizzabili solo in unambito di area vasta.

*Presidente della “Rete Fattorie Sociali”, Roma.

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tivo, che tende alla conurbazione, chedel sistema paesistico, con la semplifi-cazione delle funzioni e dell’apparatovegetale. La rete della città policentrica dellaToscana centrale è costituita dalla pia-nura alluvionale dell’Arno - il parcometropolitano dell’area di Firenze - ilparco agricolo della piana di Prato, learee del vivaismo di Pistoia e Pescia, ilbosco di crinale del Montalbano, learee collinari della vite e dell’olivo diVinci e Cerreto Guidi, il padule diFucecchio, i boschi delle Cerbaie, imonti Pisani. Ogni nodo dovrà esserevalorizzato nella sua specificità (ecolo-gica, produttiva, paesistica, energetica,fruitiva) e messo in relazione con glialtri e gioca un ruolo puntuale neldisegnare la per ridefinire un’identitàmorfologica complessiva dell’interosistema.Sviluppando esperienze già in atto inmolte parti del mondo (negli Usa, inCanada, in Francia, in Spagna, etc.),ma anche in Italia (parco sud Milano3,Brianza milanese, Prato, Roma,Palermo, Napoli) si è previsto nell’areacentrale della città dell’Arno l’utilizzodello strumento del “parco agricolo”.Nell’accezione della ricerca, questo

dio, viceversa, sono riscontrate forticriticità ambientali, insediative, paesi-stiche, sociali, che preludono ad unabanalizzazione sia del sistema insedia-

e gestione degli spazi aperti: Il parcoagricolo: un nuovo strumento di piani-ficazione territoriale degli spazi aperti2.La sede fiorentina ha scelto come casodi studio la regione urbana dellaToscana centrale costituita da unacomplessa e articolata rete policentricadi nuclei urbani con l’obiettivo di con-ferire nuovo senso di urbanità a que-st’area, per degli aspetti marginale,proprio partendo dalla valorizzazionedella relazione fra territorio aperto erete urbana. All’interno del sistema regionale, laToscana centrale (la media e bassaValle dell’Arno) si presenta come il ter-ritorio più urbanizzato, dove sonoavvenuti i più intensi processi di indu-strializzazione. Essa comprende l’areametropolitana di Firenze, Prato,Pistoia, i sistemi territoriali di Lucca,Pisa, collegati a Firenze lungo la valledell’Arno (Pontedera, Santa Croce,Empoli, Signa). Quest’area configurauna corona di città medie e piccole,un’“ellisse” che si differenzia da altrisistemi territoriali, immersi in vastisistemi rurali, collinari e montani, incui l’elemento della ruralità è ancorapreservato (come Siena, Arezzo eGrosseto). Nel sistema oggetto di stu-

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Vista sull’area del parco agricolo e fluviale nella zona di Limite sull’Arno (Fi) (foto di A.Magnaghi)

L’ “ellisse del sistema urbano della Toscana centrale” (elaborazione di G.Ruffini)

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Urbanistica INFORMAZIONI

come rete ecologica minore, connettivadelle “core area” regionali; riqualificareil sistema fluviale della valle dell’Arnoe dei suoi affluenti come sistema con-nettivo della città policentrica(Magnaghi, 2006). Il paesaggio, quindi,anche in un’area a forte caratterizza-zione turistica, che rischia uno snatu-ramento in termini di “svendita” alturista non si limita alla salvaguardiadella dimensione prettamente morfolo-gica, ma ritrova una centralità produt-tiva che dà conto del nuovo bisogno dibeni alimentari sani e prodotti inmaniera equa e solidale, in cui potersperimentare molte delle innovazioniprovenienti dal nord Europa in cui ilpaesaggio peri-urbano rappresenta, altempo stesso, un momento di elevatasocialità per tutte le età, condizionieconomiche e di salute e uno strumen-to per costruire collettivamente unanuova estetica del quotidiano.

*Ricercatore, Dipartimento di Urbanistica ePianificazione del Territorio, Università degli Studi diFirenze.

Note1. Documento preliminare, ai sensi dell’art. 48 dellostatuto della regione Toscana, sullo stato dei lavoriper l’adeguamento del Pit regionale di cui all’art. 48della legge regionale n. 1/2005. 2. PRIN 2005-2007 coordinato dal prof. AlbertoMagnaghi (università degli Studi di Firenze) con lesedi coordinate del Politecnico di Milano (prof. G.Ferraresi); dell’ Università degli Studi di Genova (prof.D. Moreno); dell’Università degli Studi di Palermo(prof. B. Rossi Doria). 3. Il parco agricolo Sud-Milano è il primo istituito inItalia con Legge regionale 24/1990 della RegioneLombardia e riguarda 46000 ettari di terreo coltivato.

strumento supera la visione vincolisti-ca dell’area protetta, tipica del parconaturalistico. Esso non prevede cioèuna dimensione spaziale dotata di unconfine fisso, che separa l’interno dal-l’esterno, ma viceversa intende predi-sporre una modalità di utilizzo integra-to di strumenti di pianificazione (terri-toriale, economica, ambientale, sociale,etc.), finalizzata alla valorizzazionedegli spazi rurali. Nella ricerca il termi-ne “parco” allude quindi ad un labora-torio territoriale, dove precipitano spe-rimentalmente le ipotesi di progetto.Nella nostra area sono state individua-te sette sistemi territoriali che tengonoconto di aspetti morfologici, ambienta-li, paesaggistici, dell’uso del suolo edelle formazioni geologiche: olivetiterrazzati del versante est delMontalbano, aree boscate del crinaledel Montalbano, sistema delle vallecolead oliveto terrazzati nel versante ovestdel Montalbano, pianura alluvionale avigneto, pianura alluvionale a semina-tivo, area forestale delle Cerbaie, areeperi-urbane. In questa area si possono riscontrarealcuni obiettivi progettuali per mante-nere la struttura policentrica dell’inse-diamento, garantendo un innalzamentocomplessivo della qualità dell’abitare ilterritorio: impedire la saldatura deglispazi urbanizzati dei nodi urbani delsistema, costituendo un “cuore verde”centrale e dei “corridoi verdi” agricoli,boscati, fluviali, che connettono ilcuore verde con i sistemi collinari emontani esterni all’”ellisse”; evitarel’abbandono delle coltivazioni legatoalla riforma delle politiche agricoleeuropee, attivando piani di svilupporurale; riorganizzare gli spazi agro-forestali con funzioni multisettoriali diqualità: produzioni agroalimentari (lefiliere del vino, dell’olio e del tartufo,prodotti ortofrutticoli tipici); sviluppodel turismo rurale (agriturismo); manu-tenzione e restauro dei paesaggi storicidella collina toscana; produzione dienergia da coltivazioni erbacee elegnose (siepi, boschi); fruizione delterritorio rurale da parte degli abitantidelle città (scambi alimentari e cultura-li diretti, escursioni sportive, ricreative,paesistiche, ecc); riutilizzo a tal finedelle infrastrutture storiche interpode-rali; riqualificazione degli spazi rurali

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VALORIZZAZIONE EGESTIONE DEI CENTRI STORICI MINORIAmbienteCulturaTerritorio, azioni integrate

Sono aperte le iscrizioni al bando 2007-2008per accedere al sesto corso del Master universi-tario di secondo livello ACT - Valorizzazione eGestione dei Centri Storici Minori -AmbienteCulturaTerritorio, azioni integrateorganizzato dall’Università degli Studi di Roma“La Sapienza” – Prima Facoltà di Architettura“Ludovico Quaroni” e dalla Fondazione per ilCentro Studi “Città di Orvieto”.

Il testo del bando con la modalità di iscrizioneed i programmi dei corsi precedenti sono con-sultabili presso il sito web:w3.uniroma1.it/arcorvieto

Il Master ha lo scopo di formare esperti nelmetodo della programmazione integrata nell’ot-tica della pianificazione strategica applicata aicentri storici. Consente inoltre di acquisire unapratica che riguarda anche altri ambiti territo-riali di applicazione e quindi offre un quadro diformazione molto richiesto dal mercato, siadalle amministrazioni che dalle società di con-sulenza del settore. Questa pratica viene speri-mentata oltre che nel laboratorio anche neglistage, opportunamente scelti sia rispetto alleesigenze del corsista che rispetto all’aperturaverso il mercato del lavoro.

Presentazione della domanda di ammissioneLa domanda di ammissione al Master dovràpervenire al seguente indirizzo: Prof.ssaManuela Ricci. Direttore Master ACT-VALORIZ-ZAZIONE E GESTIONE DEI CENTRI STORICIMINORI presso DIPTU – Via Flaminia 72 –00196 Roma, entro e non oltre le ore 12.00 del5 marzo 2007. I candidati, unitamente allaspedizione della domanda, dovranno inviareanche la comunicazione dell’avvenuta spedi-zione al seguente indirizzo di posta elettronica:[email protected]

Facilities e borse di studioIl Centro studi “Città di Orvieto” offre ai fre-quentanti il Master opportunità di alloggio epasti in regime di convenzione, al fine di age-volare la loro permanenza in Orvieto. È prevista, tramite graduatoria, l’assegnazio-ne di n. 1 borsa da Euro 1.500,00 e di n. 7 borseda Euro 1.000,00 messe a disposizionedall’Università “La Sapienza” di Roma e din. 8 borse da Euro 500,00 messe a disposizionedal Centro studi, da assegnare con i criteri spe-cificati nel bando. A tal fine, i candidatidovranno presentare apposita richiesta di acces-so alla borsa di studio.

Per informazioni:Prof.ssa Manuela Ricci 335/8015744;Arch. Roberta Lazzarotti 328/4311477;Arch. Ferruccio Della Fina 347/5775373sito web: w3.uniroma1.it/arcorvieto

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Sviluppo rurale in Europa

vista in quanto fra gli obiettivi specifi-ci del Pit stesso viene inserito quellorelativo “alla rappresentazione diimmagini locali, (…), come attitudiniterritoriali uniche di unici ambientiregionali, in modo da assicurare unamaggiore articolazione delle politicheterritoriali e di una migliore integrazio-ne delle stesse con gli atti della pro-grammazione di settore per i diversiambiti della Toscana” (Giunta regiona-le Toscana, 2005, cit. pag.8). Questoenunciato così importante, che trovaperaltro conferma nei primi studi alle-gati all’avvio del procedimento, sem-brava dunque preludere ad un raffor-zamento, nella parte statutaria del PIT,del modello identitario di governo delterritorio per sistemi territoriali locali,e ad una “esplorazione interpretativa”in grado di orientare con maggiorepertinenza e specificità le politiche disettore compresa quella per lo svilupporurale. In realtà, con il documento successivodi “avanzamento dei lavori” sul Pit2,ma anche con la progressiva definizio-ne del documento per il Piano regiona-le di sviluppo 2006-2010 (Prs), il docu-mento fondante le politiche di pro-grammazione regionale, la lettura persistemi territoriali locali, volta anche alsuperamento del modello dei s.e.l.(sistemi economici locali), sembrasegnare un deciso punto di arresto. Infatti, malgrado venga evidenziata lanecessità, anche in relazione alla defi-nizione della nuova Pac, di “definirestrategie per lo sviluppo del territoriorurale strettamente legate con la valo-rizzazione delle identità e delle risorse

individuazione, all’interno del Pit, diquattro specifici “sistemi territoriali diprogramma” (Toscana dell’Arno,dell’Appennino, della Costa eMeridionale) che, seppure in terminimolto, generali, restituivano “immagi-ni” locali diversificate cui ricondurre ecalibrare le diverse azioni di settore. In questo contesto è stato possibileottenere, seppure in maniera limitata,un qualche impatto e incidenza delmodello integrato di governo del terri-torio rispetto ad alcuni aspetti legatiallo sviluppo rurale.Con la nuova Lr 1/05, sostitutiva dellaLr 5/95, seppure in continuità con essa,con l’apertura della nuova fase di pro-grammazione regionale 2006-2010 econ l’avvio della revisione del Pit siapre, in effetti, una nuova fase per ilgoverno del territorio.In questa fase di avvio emergono conforza alcuni elementi:- riproposizione del modello integratodi governo definito con la Lr 1/05 erafforzamento delle relazioni con ladimensione della programmazione;- valore di piano paesistico attribuitoal Pit e agli altri due strumenti digoverno del territorio (Ptcp e Pianostrutturale comunale) ed “assorbimen-to” della risorsa territorio rurale nelcontesto della categoria di paesaggio;- approvazione coordinata (procedi-mento unificato) di politiche, piani eprogetti anche settoriali che abbianouna rilevanza territoriale.L’avvio del procedimento per la reda-zione del nuovo Pit e gli studi prelimi-nari che lo accompagnano1 rivestonoqualche interesse dal nostro punto di

L’assenza di un riferimento, nellastrumentazione in costruzione, asistemi territoriali locali, pone deidubbi sull’efficacia del modello inte-grato di governo del territorio e delladimensione rurale

La prospettiva di un governo “integra-to” del territorio, anche per quello cheattiene il rapporto fra pianificazione epolitiche di sviluppo rurale è ormai alcentro dello stile di governo regionaletoscano.Affrontare questo tema, dunque, nellafase attuale, significa da un lato rende-re conto di alcuni elementi acquisiti eprincipi fondanti l’azione di governo e,dall’altro, osservare uno specifico statodi avanzamento di questo processoche, come spesso accade, presentaqualche incoerenza e punto problema-tico.La Lr 5/95 esprimeva in forma chiara esistematica l’intendimento di passareda una concezione settoriale dell’urba-nistica e della pianificazione ad unmodello integrato in cui le diversepolitiche di settore potessero esserecalibrate rispetto alle diverse capacitàed identità territoriali costitutive dispecifici “statuti dei luoghi” e coordi-nate in maniera tale da evitare recipro-che sovrapposizioni ed usi impropri edantieconomici di risorse. Nel caso dellepolitiche per lo sviluppo rurale questotrovava una esplicita espressione all’in-terno del Piano di indirizzo territorialeregionale (Pit) sia nella trattazione spe-cifica che il territorio rurale trovavacome “risorsa essenziale” sia nella

Sviluppo rurale e paesaggio in ToscanaDavid Fanfani*, Adalgisa Rubino**

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Urbanistica INFORMAZIONI

lità paesistiche e attività agricole. La valenza paesistica del nuovo Pit siriferisce infatti ad un profilo che carat-terizza molti Ptcp già approvati dellediverse province toscane ai sensi dellaLr 5/95. La maggior parte dei Ptcp fariferimento all’articolazione regionalema quasi sempre è stata perseguita l’e-sigenza di procedere ad una scomposi-zione che derivasse dalle peculiarità edidentità dei paesaggi e delle formed’uso. L’individuazione dei sistemiambientali, delle unità di paesaggio daparte del Ptcp e la successiva articola-zione in microabiti effettuata dai pianicomunali assume importanza anche inrelazione all’avvio di azioni ditutela/trasformazione appropriati all’i-dentità e alle specificità rurali.Malgrado ciò, va tuttavia rilevato comele caratteristiche descritte del Pit infase di elaborazione ed un profilo delPiano regionale di sviluppo rurale,sostanzialmente incentrato sulladimensione di impresa e non di siste-ma locale rurale, rendano estremamen-te problematico in Toscana un “recupe-ro” a livello locale di un soddisfacentecoordinamento fra governo del territo-rio ed azioni e politiche di valorizza-zione rurale ed agro ambientale.

*Ricercatore, Università degli Studi di Firenze.**Dottoranda, Università degli Studi di Firenze.

Note1. Regione Toscana, Giunta Regionale, Lr 3 Gennaio2005, n.1., Avvio del procedimento per l’adeguamentodel piano di indirizzo territoriale regionale (Luglio2005)2. Regione Toscana (Maggio 2006), Documento preli-minare, ai sensi dell’art. 48 dello Statuto della regio-ne Toscana, sullo stato dei lavori per l’adeguamentodel Piano di Indirizzo territoriale regionale di cui all’art. 48 della legge regionale 1 del 2005. 3. Anche monitoraggi e ricerche di carattere generaleportano in realtà a riconoscere situazioni molto piùvarie nella dimensione della ruralità Toscana, si vedaper esempio: Lanzani A.(2003), I paesaggi Italiani, pp.178-189, Meltemi, Roma. Sulla “pluralità” dei territorirurali e sulla necessità di azioni specifiche si incentra-no del resto anche recenti documenti comunitari. Siveda per esempio sul tema strategico, per la Toscana,della multifunzionalità dell’agricoltura periurbana:CESE, Parere del Comitato economico e sociale euro-peo sul tema dell’agricoltura periurbana, Bruxelles,Settembre 2004.

del territorio, assume all’interno dellapianificazione regionale. Così comeindicato dal Codice Urbani, infatti, ilPiano Paesistico ha il compito di arti-colare il territorio in ambiti di paesag-gio in base ai quali stabilire valori eobiettivi di qualità. L’avvio del procedi-mento per la redazione del nuovo Pitandava in questa direzione afferman-do, nella parte statutaria, la necessitàdi verificare ed eventualmente ridefini-re i sistemi delle 4 toscane, ancheattraverso l’acquisizione degli appro-fondimenti effettuati dai Piani territo-riali di coordinamento provinciale, e diarticolarli in sub-sistemi territoriali.Nel documento si afferma che il rico-noscimento di tali elementi “non piùcome risultato delle aggregazioni dalbasso delle diverse specificità economi-che industriali del territorio, ma comeesito della storia dei luoghi permette ditrattarli anche come momento struttu-rante le forme del paesaggio regionale,ricercando in essi criteri per l’indivi-duazione degli ambiti paesaggistici,isolandone le caratteristiche e le regoleevolutive” (Giunta regionale Toscana,2005, cit. pag. 47) sancendo di fatto laricongiunzione tra le politiche di tra-sformazione del territorio e quelle ditutela del paesaggio e consentendo diprefigurare le strategie integrate per losviluppo sostenibile della regione.Purtroppo tale relazione tende a sfu-mare quando nel successivo documen-to preliminare si conferma la indivi-duazione dei due soli elementi giàricordati, “la città della Toscana e lamoderna ruralità toscana” (Documentopreliminare, 2005, cit. pag. 16). Ècomunque importante sottolineare cheil Pit dovrà definire i criteri per l’indi-viduazione degli ambiti di paesaggio ilcui riconoscimento definitivo e la rela-tiva disciplina spetta alle province che,insieme ai piani di livello comunale,integrano, in una filiera di responsabi-lità, lo Statuto del Pit e concorronoalla definizione delle azioni di governodel territorio e del paesaggio. In questo contesto, quindi, la valenzapaesistica che il nuovo Pit attribuisceai diversi livelli di pianificazione puòforse supportare una azione di indiriz-zo territoriale delle diverse misure edazioni di sviluppo rurale specie in rela-zione al riconosciuto rapporto tra qua-

locali, (…), che possono costituireorientamento per la tutela attiva delpaesaggio, la valorizzazione del ruoloeconomico dell’agricoltura ed il riferi-mento per la programmazione dellemisure di finanziamento” (Documentopreliminare, 2005, cit. pag. 3), in real-tà, nello stesso documento, lo spessoredelle identità locali trova debole enun-ciazione all’interno della prima ipotesicostituiva dello Statuto del territoriodel Pit.Infatti, qui la “rappresentazione strut-turale del territorio”, in piena conso-nanza con il Prs (piano regionale disviluppo) 2006-2010, trova espressioneattraverso due macrosistemi territoriali,sostanzialmente non locali, riferiti a“la città della Toscana”, la “modernaToscana rurale”. In particolare, laseconda categoria tende a cogliere unarilevante dimensione caratterizzantedello spazio rurale toscano riconduci-bile alla forte influenza e valorizzazio-ne determinata su di esso dal fenome-no urbano e tuttavia non esaustivadelle sue differenze. Nel medesimodocumento, peraltro, appare una “stra-tegia per la qualità del territorio rura-le” che in realtà è in gran parte fonda-ta sul sistema delle “reti ecologiche edi grandi sistemi ambientali” intesi,prevalentemente, come sistema dellearee protette regionali. Sembra problematico, a questo livellodi approfondimento e rappresentazionedel “rurale” in toscana3, poter identifi-care nel Pit , nel suo quadro conosciti-vo e nei suoi indirizzi, uno strumentoadeguato per costituire da guida edorientamento alle diverse misure epriorità individuate dal Piano di svi-luppo rurale regionale e da quelli dilivello provinciale.A questa difficoltà si aggiunge, peral-tro, la diversa “fasatura” temporale dielaborazione del Pit e del Psr. Mentre ilprimo si trova, infatti, ancora, comeabbiamo visto, in una situazione dielaborazione intermedia, il piano disviluppo rurale è già all’esame deicompetenti uffici comunitari e se neprevede l’approvazione entro l’anno. La semplificazione delle articolazionidel territorio toscano in due macroam-biti inoltre si ripercuote anche sullavalenza di piano paesistico che il Pit,insieme agli altri strumenti di governo

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Sviluppo rurale in Europa

dunque, individuare le opportunità e lesfide per i soggetti economici ruraliche derivano dall’evoluzione del siste-ma economico sovra-regionale, dalcambiamento degli stili di vita e dellesensibilità collettive.Una prima opportunità risiede neglielementi di complementarietà fra learee urbane e quelle rurali che si pos-sono intravedere nello scambio innan-zitutto tra servizi avanzati presentinelle prime e servizi ricreativi e spaziresidenziali disponibili nelle seconde.Inoltre, un’altra opportunità risiede neiflussi finanziari che già si dirigonoverso le zone rurali, principalmente nelramo immobiliare, provenienti sia dal-l’esterno della regione che dall’interno.Tali investimenti consentono il recupe-ro di complessi colonici e una maggio-re presenza sul territorio ai fini resi-denziali e produttivi (agricoltura e turi-smo). Una forte occasione di sviluppo per learee rurali, non ancora sufficientemen-te sfruttata nelle sue potenzialità, è lapossibile sinergia fra l’offerta turisticadelle grandi città d’arte e delle zonebalneari e quella delle aree rurali.I luoghi balneari e le città d’arteattraggono il maggior numero di per-sone, ma è in forte crescita il turismodiretto verso le aree di campagna. Unelemento di possibile conflitto nellosviluppo del turismo nelle aree rurali el’agriturismo risiede nella necessità diraggiungere un equilibrio tra la ripro-duzione delle risorse alla base dell’at-trazione turistica e la loro valorizzazio-ne economica. Infatti, quello che sipuò definire il problema della sosteni-

economico-agrari. Si tratta, infatti, diaree in cui le attività antropiche, spes-so quelle agricole, nel corso degli annihanno modellato il territorio e lecomunità locali che vi abitano: quioggetto di protezione non è solo ilpatrimonio naturale, ma anche quelloprodotto dall’uomo. In tali aree, l’esigenza di coniugare leazioni di protezione dell’ambiente conquelle di promozione di uno svilupposostenibile rappresenta un percorsoobbligato. Le problematiche di protezione del-l’ambiente e del paesaggio si interseca-no, infatti, in modo molto stretto con itemi dello sviluppo rurale, della qualitàdella vita e dello sviluppo socio-econo-mico delle collettività locali. Si trattadi temi che da alcuni anni sono al cen-tro dell’attenzione tanto sul pianoscientifico quanto sul piano operativodelle politiche pubbliche.Il riferimento, in particolare, è ai con-cetti di aree rurali e di sviluppo ruralee di agricoltura sostenibile e multifun-zionale che già da diversi anni sonopresenti nel dibattito tra gli economistiagrari, che hanno cercato di chiarirne isignificati e mettere a punto degli stru-menti di analisi e di valutazione, conl’obiettivo di individuare delle azioni dipolitica idonee a promuovere percorsidi sviluppo sostenibile nelle aree rurali. La presente analisi intende fornireindicazioni utili per la definizione diidonei strumenti di politica per pro-muoverne la sostenibilità e la multi-funzionalità delle attività rurali e diallevamento, in linea con le peculiaritàdel suo contesto rurale. E’ opportuno,

La nuova politica di sviluppo ruraleeuropea tende ad offrire risposteconcrete ai problemi ed alle aspetta-tive della società odierna, assicuran-do lo sviluppo armonico di tutte lezone rurali d’Europa

Nell’ultimo ventennio si è progressiva-mente diffusa la consapevolezza dell’e-sistenza di una molteplicità di modellidi sviluppo a livello locale in cui ilconcetto di ruralità ha riacquistato unruolo centrale ed imprescindibile.Di tale esigenza si è fatta certamentepromotrice l’Ue che, attraverso unlungo iter legislativo, ha inteso rilan-ciare la funzione del territorio ruralecome spazio di interazione tra attività(agricoltura, artigianato, turismo, com-mercio, servizi) e soggetti economici,afferenti al tessuto produttivo, e com-ponenti sociali del territorio.In particolare, dove l’agricoltura occu-pa una porzione rilevante del territorio,anche se ha un ruolo marginale sotto ilprofilo strettamente economico, puòessere decisiva per la gestione del terri-torio e la conservazione del paesaggio,purché non si prescinda dal contestorurale, ovvero dall’insieme delle attivi-tà connesse direttamente e indiretta-mente al settore primario. Queste areecaratterizzate da un elevato grado diantropizzazione (presenza diffusa sulterritorio dei segni delle attività antro-piche, passate e presenti, e in partico-lare dell’attività agricola) e che presen-tano i tratti tipici della ruralità, sonosempre più spesso l’oggetto di studi

Il paesaggio rurale per lo sviluppodelle imprese verdiIl paesaggio rurale per lo sviluppodelle imprese verdiFabio Converti*

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tali difficoltà fornendo alcuni strumen-ti per la gestione sostenibile delle areerurali, nel tentativo di coniugare l’esi-genza di tutela dell’ambiente con lefinalità economiche della produzioneagricola. Il problema della crescente sfida fra gliusi alternativi delle risorse è uno deipunti critici del modello di svilupporurale sostenibile. Al fine di renderepiù trasparenti le interazioni econo-mia-ambiente anche per il si pone lanecessità di tenere conto nei bilancid’impresa degli aspetti di contabilitàambientale delle maggiori spese, in ter-mini di perdita di risorse e di misure disalvaguardia ambientale derivanti,soprattutto a medio e lungo termine,dalla trasformazione produttiva insenso ecologico. In questi termini lerisorse naturali dovrebbero essere con-siderate parte del capitale d’impresa efattore limitante la produzione, di cui ènecessario tenere conto come di qual-siasi altra componente del processoproduttivo. In tal senso si va afferman-do il concetto della multifunzionalità edel carattere sistemico della nuovaimpresa agricola singola od associata,non più semplice unità produttiva dicibo, ma capace di incidere positiva-mente sul territorio in termini di servi-zi che vanno dalla salvaguardia del-l’assetto idrogeologico alla conserva-zione del paesaggio e dei beni cultura-li, alla costruzione di basi solide e nondistruttive. Questa stessa impresa deveessere in grado di tessere rapportidiversi, più paritari con le altre attivitàproduttive, alle quali fornirà anchealcuni prodotti non alimentari (daglioli per l’energia, alle plastiche intera-mente biodegradabili, ai lubrificanti,coloranti, fibre, additivi di vario tipo,prodotti farmaceutici, ecc.).

*Dottorando di Ricerca, Università degli Studi diNapoli Federico II, Facoltà di Ingegneria.

sibilità ambientale dell’opinione pub-blica che si è tradotta in una serie diiniziative a tutela delle risorse naturali(aria, acqua, foreste ecc.) e che staindirizzando anche le più recenti poli-tiche in campo agricolo. Tale sensibili-tà può essere sviluppata soprattutto frale più giovani generazioni, favorendoun rapporto più equilibrato con l’am-biente naturale o antropizzato che cicirconda, dando valore a quei compor-tamenti che vanno in questa direzione,così come avveniva, quasi inconsape-volmente, nelle antiche comunità rura-li. Questa nuova sensibilità ambientale sipuò tradurre in opportunità e sfide peril mondo agricolo alle quali occorrerispondere con soluzioni innovative,dirette al mercato, tendenti al miglio-ramento della qualità, “amichevoliverso l’ambiente”, ad impostazionesistemica. Occorre perciò che sianoaffrontati problemi come: qualità ediversificazione di colture e prodotti,sistemi di produzione “sostenibili” edeconomici, mezzi di lotta biologica,produzioni polifunzionali (capaci cioèdi dare contemporaneamente prodottialimentari e non), filiere di prodottinon alimentari, nuovi prodotti ad altovalore aggiunto, metodi “sicuri” di tra-sformazione alimentare, sviluppo dimodelli aziendali integrati per un recu-pero delle aree rurali.Elemento di conflitto nei rapporti fraagricoltura e salvaguardia del territorioriguarda la gestione del paesaggiorurale, considerato a lungo tempoesclusivamente come sede dell’attivitàdegli operatori del settore primario, cheè però diventato negli ultimi annioggetto dell’interesse diffuso della col-lettività. Infatti, sovente in esso sonocomprese risorse ambientali, quali areedi pregio naturalistico e zone di note-vole bellezza paesaggistica che vannoadeguatamente tutelate. Nel recentepassato il tentativo di salvaguardare ivalori extra-produttivi degli ambitiagricoli si è concretato in meccanismivincolistici, che quasi sempre si sonorilevati generatori di conflittualità, inquanto ritenuti lesivi degli interessidegli operatori del settore. Le novità strategiche degli ultimi anni,a livello di politica agraria dell’Ue,hanno permesso di superare in parte

bilità dello sviluppo vede un trade-offfra la conservazione del “core produtti-vo” (rappresentato da una salda identi-tà storico-culturale associata ad unambiente molto sensibile) e l’amplia-mento delle relazioni consoggetti/organizzazioni esterne (turisti,tour-operator) indispensabili per ilmaturare dell’organizzazione del pro-cesso produttivo, ma portatori di pres-sioni e di input potenzialmente disgre-gatori e divergenti rispetto ai meccani-smi di rigenerazione del sistema locale. Questo tema viene, a volte, semplifica-to nel difficile rapporto tra turismo dimassa e turismo rurale, tra salvaguar-dia delle produzioni e delle tradizioniagricole e sviluppo turistico.Opportunità e conflitti possono deriva-re anche dal cambiamento degli stili diconsumo, con riferimento soprattuttoal mercato di prodotti alimentari e diservizi turistici. Il consumo è, infatti,condizionato sempre più da un insiemedi variabili ampio e articolato, doveaccanto ai tradizionali fattori di naturasocio-economica tende ad aumentare ilruolo delle variabili di natura socio-culturale. Insieme agli aspetti più stret-tamente economici sopra trattati pos-sono essere ricordati anche alcunifenomeni che riguardano l’atteggia-mento culturale nei confronti dell’am-biente rurale. La “sostenibilità” di determinati per-corsi evolutivi delle aree rurali puòessere analizzata includendo gli aspetticulturali connessi anche all’uso del ter-ritorio; infatti le tradizioni civicherurali delle comunità di campagnahanno consentito uno sviluppo suffi-cientemente equilibrato degli insedia-menti residenziali e produttivi accantoad una consuetudine alla gestione deifondi in proprio possesso. Tali tradizioni potrebbero essere messein difficoltà dal diffondersi di stili divita diversi, legati anche al formarsi diuna nuova struttura di origine socialedelle popolazioni nelle aree rurali (siparla apertamente di rural-urbani, cioèi nuovi residenti nelle campagne cheprovengono dalle città), conseguente aquei flussi migratori che vedono unospostamento di popolazione dalla cittàalla campagna. Il possibile conflittoculturale può essere ridimensionato sesi considera l’innegabile crescente sen-

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Politiche e piani in Sicilia

sentanti sociali, la partecipazione allenotizie e ai dati, che riguardano la citta-dinanza tutta; la fiducia nella responsa-bilizzazione diffusa delle scelte sonostrumenti di crescita dei cittadini.Cittadini ben preparati costituiscono unpatrimonio indiscutibile per il futuro delterritorio.”Una indagine svolta dal centro di ricer-che FocusLab nel 2004 ha preso inesame l’universo degli Enti Pubblici ita-liani impegnati formalmente in processidi Agenda 21.All’ inizio del 2004, su 2030Amministrazioni Europee aderenti, 852sono Italiane. Il grande balzo di adesio-ni, in Italia, si è verificato dal 1999 (51Enti) al 2003, con una crescita di oltre800 adesioni.Ciò è avvenuto, soprattutto, grazie aidue bandi (2000 e 2002) di co-finanzia-mento per le A21 locali in Italia emanatidal Ministero dell’Ambiente; per parteci-pare era necessario aderire ufficialmente,con Delibere di Giunta e di Consiglio,alla Carta di Aalborg, impegnandosi arealizzare su scala locale i principi-obiettivi di riferimento della CampagnaEuropea Città Sostenibili.Sono 709 i progetti che hanno rispostoal primo bando (46 da comuni, 24 daprovince, 13 da enti di gestione areeprotette, 13 da comunità montane, 15 daconsorzi, aggregazioni o associazioni), dicui 229 al nord (32,2%) 169 al centro(23,9%), 311 nel Mezzogiorno (43,9%).Di questi 548 sono i progetti risultatiidonei e 111 quelli ammessi a co-finan-zimento.La Sicilia ha aderito al bando con 77progetti (43 dai comuni, 19 da aggrega-

finalizzate a migliorare la qualità urba-na, le amministrazioni pubbliche dis-pongono di un quadro comune di nor-mative, politiche ambientali e strumentiispirati a quei concetti di sviluppo soste-nibile entrati a far parte della pianifica-zione, ma la cui applicazione non si èancora rivelata così scontata: se l’insie-me dei provvedimenti vigenti in materiae legati ai principi di sostenibilità, gliaccordi e le convenzioni a livello mon-diale e europeo, le carte di intenti sotto-scritte dalle nazioni accompagnanoormai la pianificazione, la traduzionedei documenti in politiche e soprattuttol’attuazione di queste, si scontra ancorae spesso, con numerose difficoltà e conle singole realtà locali; in particolare inalcune aree del nostro paese ci si con-fronta ancora con contesti critici all’in-terno dei quali, a fronte delle intenzionidichiarate dalle amministrazioni pubbli-che di attuare politiche e processi, non sitrova facilmente la volontà di gestire eportare fino in fondo tali politiche.La Dott.ssa Spadoni, nell’ambito di unconfronto in merito ai processi diAgenda 21 Locale in atto nella realtàsiciliana osserva: “L’esperienza direttanello scenario nazionale mi permette didire che laddove il processo di Agenda21 Locale ha radicato, si è assistito adun miglioramento delle performanceambientali; l’ente ha con cognizione dicausa azionato interventi con maggiorsicurezza, potendo confidare su un qua-dro di riferimento certo e condiviso; (...)I principi della governance e dei processidi agenda 21 locale ben si sposano conl’accessibilità in senso ampio: l’aperturadell’ente locale alla gestione dei rappre-

Esperienze di Agenda 21 Locale

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Una risposta condivisadi qualità urbanaMariarosaria Fallone*

La crescita complessiva della qualitàurbana accompagnata dal miglioramen-to della qualità della vita dei cittadini diogni età all’interno dello spazio pubblicocostituisce oggi un importante obiettivoqualora si voglia affrontare il tema dellatrasformazione dell’ambiente urbano intermini di innovazione e riqualificazio-ne.Dovrebbe essere matura la consapevo-lezza della necessità di garantire allacollettività alcuni diritti volti ad assicu-rare a tutti la fruibilità del territorio,patrimonio comune; ciò al fine di attri-buire nuovamente un senso allo spaziourbano determinando una partecipazio-ne non retorica alla vita pubblica e nonfinalizzata alla sola ricerca di consenso;tale consapevolezza che dovrebbe costi-tuire metodo e stile di governo, rappre-senta la condizione minima necessaria,ma non sufficiente, per elevare il livellogeneralizzato di attenzione e spingereverso una crescita dell’accessibilità com-plessiva della città. E’ necessario raccordare tra loro, inmodo organico e strutturato, ambitidisciplinari e funzionali troppo spessoseparati, mettere insieme e armonizzarela ricchezza derivante dai diversiapprocci, integrare le competenze di chiguarda la città nella sua complessità conquelle di chi la esamina e la vive neisuoi frammenti.Per dare voce alle esigenze dei cittadiniportando avanti, contestualmente, azioni

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Comunità Europea.Nel 1999 la città di Palermo riceve ilpremio il Primo Premio “CittàSostenibili 1999” per il “Parco agricolodi Palermo” della borgata di Ciaculli,progetto indirizzato alla valorizzazionedelle risorse sul territorio e alla riquali-ficazione ambientale e paesaggistica,alla fruibilità e accessibilità dell’area,alla tutela della biodiversità, all’avviodi un rapporto tra ricerca scientifica edattività produttiva e all’individuazionedi strumenti giuridici per la gestionedell’area.La città ha partecipato inoltre al pro-getto “Eurocities”, portato avanti dauna rete di metropoli europee nell’o-biettivo di migliorare la qualità di vitadegli abitanti delle grandi città attra-verso scambi di esperienze, progetti diinteroperatività e collegamenti tra lecittà.Nel 2001, su disposizione delCommissario Straordinario GuglielmoSerio, la città di Palermo aderisce allaCarta di Aalborg - Carta delle cittàeuropee per uno sviluppo durevole esostenibile - approvata nel corso dellaConferenza europea sulle città sosteni-bili svoltasi nella città danese il 27maggio 1994. La nuova maggioranza di centro-destra,insediatasi nel 2001, ha continuato ilprocesso portato avanti dalla preceden-te giunta. In questi anni il Comuneapprova la Politica ambientale che indi-vidua tra le azioni l’attuazione diAgenda 21 Locale; approva ilProgramma di Agenda 21 Locale; costi-tuisce il Gruppo Agenda 21; aderiscealla Campagna delle Città Italiane perla Protezione del Clima; partecipa alProgetto Life Dialogo per la individua-zione di indicatori di sostenibilità con-divisi tra le città partecipanti.Nel 2002 il Comune di Palermo parteci-pa al secondo bando emanato dalMinistero dell’Ambiente, finalizzato adiffondere i processi di Agenda 21Locale in Italia e a favorire l’attuazionedi quelli già in corso.Il progetto, per la cui realizzazione èprevisto un periodo complessivo di 18mesi, prevede l’attivazione del processoattraverso tre principali fasi: azioni dicoinvolgimento di soggetti locali; costi-tuzione del Forum permanente diAgenda 21 Locale; redazione della

Le pratiche di parteci-pazione promosse dalComune di PalermoMarilena Orlando*

Da alcuni anni il tema della qualitàurbana è oggetto di attenzione da partedelle amministrazioni locali, le cui poli-tiche dovrebbero muovere verso lariqualificazione dell’ambiente e deglispazi urbani, la corretta gestione dellerisorse ambientali come strategie di unosviluppo sostenibile a livello locale, lacreazione di forme di sostegno dellacoesione sociale. L’accessibilità, intesa in chiave sosteni-bile come diritto dei cittadini di rag-giungere e fruire gli spazi della città, ein senso ampio come eguale possibilitàdi accesso ai processi decisionali in attonei contesti locali, costituisce una tappaimportante nel processo di migliora-mento generale dell’ambiente urbano enel mantenimento della vitalità econo-mica. Contestualmente il tema della parteci-pazione si ritrova frequentemente alcentro del dibattito sulle politiche urba-ne miranti al perseguimento di obiettividi qualità. Urbanisti e politici si con-frontano sull’argomento, chiedendosiquali criteri debbano essere seguiti perdefinire ambiti decisionali, soggetti etempi per aprire alla partecipazionealcuni momenti dei processi decisioni,in che misura l’approccio partecipativomodifichi le procedure tradizionali,ridefinisca i ruoli dei diversi soggetticoinvolti.Agenda 21 Locale, per la sua natura diprocesso volontario, multisettoriale epartecipativo che attua le problemati-che di sviluppo sostenibile di livellolocale, costituisce uno strumento chepuò conciliare il perseguimento diobiettivi di qualità urbana con la pro-mozione di politiche rivolte al coinvol-gimento e all’accoglienza della comuni-tà locale per il raggiungimento diobiettivi condivisi di sostenibilità.Nella città di Palermo l’avvio di unprocesso di Agenda 21 Locale ha origi-ne alla fine degli anni novanta con lagiunta del sindaco Leoluca Orlando,sensibile alle politiche di svilupposostenibile promosse a vari livelli dalla

zioni di comuni, 7 da province, 7 da entiparco, 1 non meglio identificato), di cui58 idonei e 3 co-finanziati. Con il secondo bando, emanato al finedi diffondere ulteriormente i processi diAgenda 21 Locale in Italia, favorendol’attuazione di quelli già in corso, sonopervenuti al Ministero 802 progetti (78dai comuni, 13 dalle province, 1 da entidi gestione aree protette, 16 da comuni-tà montane, 8 da consorzi, aggregazionio associazioni); di questi 185 sono statiritenuti idonei e 117 co-finanziati.Questa volta la Sicilia è seconda soloalla Campania (107 richieste) con 89richieste pervenute, quasi tutte idonee; 7gli enti siciliani finanziati: al primoposto il Comune di Enna, all’ultimo ilComune di Palermo; in mezzo ilConsorzio Intercomunale Tindari-Nebrodi e i comuni di Barcellona Pozzodi Gotto, Montevago, Piazza Armerina eNiscemi.Così conclude la Dottoressa VivianaSpadoni: “... in questo momento laregione ha in mano un potenziale diopportunità veramente elevato per rag-giungere standard di sostenibilità chepossano colmare parzialmente il terrenoperduto rispetto alle regioni del centro edel nord. Per raggiungere questo risulta-to è necessario comunque che gli entilocali facciano uno sforzo di confrontocon i cittadini realizzando un’intesaforte sul territorio. La natura volontari-stica dei processi di Agenda 21 Localecomporta il rischio che questi percorsi siriducano a puri esercizi di comunicazio-ne e che non giungano alla stesura diPiani di Azione Locali. Solo l’attivitàdelle istituzioni può contenere responsa-bilmente tale rischio.

* Dottoranda in Pianificazione Urbana e Territoriale,Dipartimento Città e Territorio, Università degli Studi diPalermo.

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Sanità, Centro Storico) sta individuandole scelte politiche fino ad ora portateavanti dall’amministrazione al fine didefinire i punti di partenza da cui atti-vare il dialogo in occasione dei forum.Un terzo forum dovrebbe riguardare latematica dell’educazione ambientale. Intale direzione, il gruppo Agenda 21Locale sta sperimentando una collabo-razione con il Dipartimento Città eTerritorio, che ha avviato un forum inalcune aree campione del centro storicodi Palermo.Contestualmente l’amministrazione staportando avanti la Relazione sulloStato dell’Ambiente (RSA), alla qualesono destinati gran parte degli investi-menti previsti nel progetto di Agenda21 Locale. Per la redazione dell’RSA sisono selezionati due fenomeni ritenutiparticolarmente rappresentativi dellacomplessità ambientale ed urbana: iconsumi, calcolabili attraverso il meto-do dell’impronta ecologica, indicatorecomplesso legato ai consumi di mate-ria, energia e risorse da parte dellapopolazione; la vivibilità del centrourbano che coinvolge il sistema dellamobilità sostenibile, indagato tramite laquestione della ottimizzazione dellalogistica e della distribuzione dellemerci nell’ambito del nucleo individua-to dalla zona a traffico limitato.Nello spirito partecipativo di Agenda 21locale, tale fase di indagine sull’am-biente urbano, finalizzata alla raccoltae alla sistematizzazione dei dati sul-l’ambiente fisico, sociale ed economico,dovrebbe procedere parallelamente alprocesso di avanzamento del forum,che affronta i problemi del territorio inun’ottica di condivisione attraversopriorità di azione. Pur nella consapevolezza che Palermo èuna realtà complessa e difficile dagestire, le opportunità di confronto conla collettività, attraverso l’attivazione diun processo di Agenda 21 Locale,potrebbero costituire per l’amministra-zione una occasione per sviluppare unavisione condivisa su possibili strategiemiranti al miglioramento della qualitàurbana come obiettivo essenziale nel-l’ambito di uno sviluppo sostenibilelocale.Ci si chiede se, allo scadere del proget-to, quindi del finanziamento da partedel Ministero, l’amministrazione conti-

Relazione sullo Stato dell’Ambiente nelterritorio di Palermo. La Segreteria tec-nica e il Comitato promotore del forumcostituiscono due strutture che si occu-pano di dare avvio al processo diAgenda 21 Locale mediante forme dipartecipazione e consultazione che per-mettano la accessibilità da parte di tuttii cittadini; si occupano rispettivamentedi promuovere adeguate forme dicomunicazione e informazione e diverificare i possibili temi da trattare nelcorso dei forum.Il progetto è partito formalmente nel-l’ottobre 2004; l’unità operativaAgenda 21 Locale si è costituita adicembre 2004. Tra febbraio e giugno2005 si sono svolte le riunioni infor-mative che hanno coinvolto attraversopiù incontri i diversi settori dell’ammi-nistrazione e altre istituzioni,l’Università, gli Ordini professionali, isindacati, le scuole, i commercianti egli imprenditori, le associazioni divolontariato e gli ecologisti, al fine diindividuare i potenziali stake holders(67 tra istituzioni, associazioni, ordiniprofessionali). Il 19 ottobre 2005 si è svolto il primoForum plenario, si è costituito ufficial-mente il Forum permanente di Agenda21 Locale, che ha raggiunto una parte-cipazione maggiore rispetto a quellaottenuta nel corso delle riunioni infor-mative (97 stake holders). Soltanto 36 isoggetti che hanno sottoscritto ilRegolamento del forum, con cui ognicomponente si è impegnato formalmen-te a partecipare con continuità ai lavoridel forum, contribuendo “…alla defini-zione di azioni di sviluppo sostenibileper il miglioramento ambientale, socia-le ed economico del territorio”, rispet-tando “…le posizioni degli altri parteci-panti al Forum, con un approccio voltoalle sinergie più che alle frammentazio-ni”.Gli argomenti da trattare nel corso deisuccessivi forum tematici sono in corsodi definizione da parte del Comitatopromotore che, in linea con gli esiti delprimo forum, ha prescelto come temi lamobilità e il verde nello spazio urbano.In merito a tali argomenti, il comitato(attualmente composto dai settoriAmbiente, Urbanistica, Lavori Pubblici,Pubblica Istruzione, Attività Produttive,Servizi Sociali, Statistica, Igiene e

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nuerà a portare avanti il processo diAgenda 21 Locale, che dovrebbe evol-vere verso la redazione del Pianod’Azione Locale oltre che verso l’acqui-sizione di una metodologia di lavoroorientata alla promozione di processipartecipativi per la definizione di sceltepolitiche condivise.

*Assegnista di ricerca del Dipartimento Città eTerritorio, Università degli Studi di Palermo.

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Politiche e piani in Sicilia

Sun & Wind:la casa bioclimaticamediterraneaOrnella Amara*

Il progetto Sun & Wind proposto dalComune di Palermo si candida a dive-nire modello di possibile intervento perun’azione di sviluppo sostenibile, conl’obiettivo specifico di integrare ladimensione ambientale nella pianifica-zione e valorizzazione del territoriomediante l’utilizzo di tecniche e metodiinnovativi integrati che influiscano econtribuiscano allo sviluppo della poli-tica ambientale comunitaria e degliEnti Locali, riutilizzando l’edilizia esi-stente, (anche se di pessima qualità e,spesso, costruita in abuso e non rispet-tando le norme vigenti) e migliorando-ne, da un lato, la qualità estetica e pae-saggistica, e dall’altro implementandole sue “performances”energetiche.La proposta progettuale esprime anchela volontà di condividere con tutti gliEnti Pubblici che governano il territo-rio, una politica tesa alla costruzionedi un sistema normativo che regoli edia indicazioni su interventi tecnici emetodologici del costruire, recuperandoil “sapere tecnico costruttivo” dell’ar-chitettura del Mediterraneo, che ancoraoggi, rappresenta un perfetto esempiodi architettura bioclimatica, e redigen-do una normativa della “buona praticadel costruire” che possa diventareattuativa prima a scala territorialelimitata, la valle del fiume Oreto, (scel-ta come area campione in quanto pur

creando così manodopera e operatorispecializzati ai vari livelli e futurobacino e indotto lavorativo ).Il progetto prevede una serie di azioniquali:- il coinvolgimento di tutti gli attorilocali ( attraverso azioni informative edi coinvolgimento sulla capacità dirisparmio energetico delle tecnichecostruttive della cultura mediterraneasaranno messe in atto per singoli citta-dini, scuole, forze produttive e sociali,forze politiche e sindacali,laFormazione delle maestranze e dei tec-nici locali, l’esame del vigente quadronormativo nazionale e regionale e con-fronto con la corrispondente normativadei Paesi Partners;- l’attivazione di uno sportello infor-mativo sulle risorse economiche messea disposizione dallo Stato e dellaRegione negli ultimi anni per suppor-tare lo sviluppo delle tecnologie di uti-lizzazione delle fonti rinnovabili, delrisparmio energetico e per la tuteladell’ambiente. La creazione di un database del repertorio edilizio presentenell’area campione;- la stesura di Linee Guida della buonapratica del costruire che terrà contodelle tipologie del costruito presente edarà indicazioni sull’impiego di idoneetecnologie ed opportuni criteri di pro-gettazione sia per le nuove costruzioniche per il recupero energetico di quelleesistenti;- la proposta di inserimento delle Lineeguida della buona pratica del costruirenelle Norme Tecniche di Attuazione delPrg dei Comuni di Palermo, Altofonte eMonreale;

Strategie innovative

essendo un’area a forte valenzaambientale, è anche, purtroppo, forte-mente compromessa ), poi a scala pro-vinciale e infine a scala regionale, conuna proposta di legge che interessitutto il territorio siciliano e che poipossa essere esportata in altri paesi delMediterraneo che abbiano caratteristi-che storiche, sociali, climatiche e lessi-cali vicine alle nostre. Soggetto propo-nente e beneficiario del progetto è ilComune di Palermo, AssessoratoAmbiente, Servizio Ambiente edEcologia, Gruppo Parchi e Riserve.Il progetto si sta svolgendo in partena-riato con tutti gli Enti locali chesovrintendono al territorio oggetto del-l’intervento (Comune di Altofonte,Comune di Monreale, ProvinciaRegionale di Palermo-AssessoratoProvinciale Ambiente, Regione Sicilia –Assessorato Regionale TerritorioAmbiente) con i Paesi europei del baci-no del Mediterraneo (Municipalità diToledo, Spagna, Atene – Grecia Areacampione Isola di Sifnos Cicladi ) con iquali si sta sviluppando l’idea di pro-getto, le metodologie di intervento econ i quali si valuteranno insieme irisultati. Con l’Università degli Studi diPalermo – Facoltà di Ingegneria -Istituto Dream di Fisica Tecnica,Facoltà di Agraria, Istituto diColtivazioni Arboree. Con SoggettiPrivati ed associazioni di categoria,Ance Associazione NazionaleCostruttori Edili - Assindustria ),Panormedil ( Scuola di formazione peraddetti all’edilizia, che avrà l’importan-te ruolo di formare maestranze specia-lizzate nel bioclimatico mediterraneo,

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Urbanistica INFORMAZIONI

opera nei servizi legati all’ambiente edalla sua fruizione;- creare, oltre che consolidare, impresesociali che abbiano il proprio corebusiness nei servizi identificati;- agevolare l’ingresso nel mercato dellavoro delle figure deboli identificate;- rafforzare il sistema economico lega-to alle filiere della ricettività turistica abasso impatto e della mobilità per l’ac-cesso e la movimentazione all’internodelle aree protette;- creare una rete locale di concertazio-ne capace di assumere la sostenibilitàsociale ed ambientale come variabiliprivilegiate nei processi di sviluppo;- creare un sistema di certificazioneche rafforzi non solo l’economia socia-le ma anche il complesso sistema eco-nomico locale.L’area di intervento (18.485 Ha, e 31Comuni) ospita un patrimonio storico-ambientale di valore i cui elementi dieccellenza sono rappresentati da unsistema di tutela che comprende 10Riserve Naturali, 17 Sic e 12 Zps ed èinteressata dai due Pit della Provinciadi Palermo - Alto Belice Corleonese eValle del Torto e dei Feudi (fig. n. 1).Allo stato attuale l’avanzamento delprogetto consente di disporre dei prin-cipali risultati delle attività di indaginee ricerca sulle potenzialità del territo-rio, oltre all’avvio di parte delle attivitàdi diffusione e di animazione locale,finalizzate alla creazione della retelocale.Dal punto di vista metodologico si evi-denzia un aspetto ritenuto di particola-re importanza, ovvero l’aver utilizzatocome punto di partenza ineludibile perl’individuazione delle potenzialitàoccupazionali e di sviluppo, il contattocon i soggetti locali direttamente inte-ressati.La domanda attuale e le aspettative delterritorio sono state analizzate utiliz-zando come strumento di indagineprincipale l’intervista diretta, svoltacon il supporto di un apposito questio-nario3 rivolto ai soggetti gestori dellearee protette. Queste indagini sonostate integrate con ulteriori contatticon altri enti rappresentativi qualiresponsabili dei Pit, enti pubblici, etc.Rimandando ad altre sedi la descrizio-ne più analitica dei risultati delle atti-vità del progetto fin qui svolte, nel

Equal Valorenaturanella Provincia diPalermoMaria Pietrobelli*

Il sistema delle Aree naturali protette(Anp), espressione di una rete “fisica”sul territorio, capillare ed articolata alivello locale, nazionale ed internazio-nale, rappresenta una fonte ricchissimadi occasioni, stimoli ed opportunità perlo sviluppo di una cultura e di unaeconomia che considerino i valoriambientali e le risorse naturali comeuno dei possibili motori di sviluppo deiterritori interessati, stanti gli obiettividi tutela e conservazione.Se la strada per la coniugazione dellatutela e conservazione delle risorsenaturali con le esigenze di sviluppoeconomico e sociale è ancora lunga, èdoveroso prendere atto che il mondodelle Anp ha acquisito uno spazio dirilievo nel dibattito sulla sostenibilitàdello sviluppo, e che vi sono numeroseazioni in materia. I Governi, leAmministrazioni, le Associazioni, inrete con i soggetti gestori dei Parchi,operano per promuovere e sostenerepolitiche ed azioni che consentano alleAnp di sviluppare le proprie potenziali-tà e le vocazioni in esse insite, inte-grandosi a pieno titolo nelle politichedi sviluppo del territorio e quindi deisuoi strumenti di governo, ed anzi“rilanciando sui parchi, secondo unamoderna concezione della tutelaambientale, costruendo uno dei pilastrifondamentali di un futuro di qualitàper l’intero Paese”1. Gli Enti Parco,anche a causa del sempre più ridottoafflusso di finanziamenti ordinari daparte dello Stato, si stanno velocemen-te inserendo nel circuito della pro-grammazione comunitaria e delle rela-tive linee di finanziamento ed è inquesto ambito che rientra il Progetto“Valorenatura – Nuova economiaambientale nelle aree ad alto valoreambientale”, in corso di realizzazione,sviluppato nell’ambito del programmacomunitario Equal tramite la RegioneSiciliana2. In sintesi gli obiettivi del progettoValorenatura sono:- rafforzare l’economia sociale che

- la progettazione e la realizzazione deiprototipi;- la proposta di attivazione di forme diincentivazione economica e/o la de-fiscalizzazione per coloro che utilizze-ranno la metodologia costruttiva previ-sta dalle Linee guida della buona prati-ca del costruire attraverso diverseforme di incentivi economici da pro-porre a tutti i cittadini interessati arealizzare nuove costruzioni o a inter-venire sulle costruzioni esistenti con lametodologia di risparmio energeticoprevista dal progetto. E’ inoltre prevista la creazione di unarete dei Comuni della ProvinciaRegionale di Palermo, di un Networknazionale e transnazionale, con partico-lare attenzione ai paesi dell’area medi-terranea con i quali è già attivo unoscambio di intese e di esperienze. Lastesura di un disegno di legge da pre-sentare all’Assemblea Regionale checontempli le Linee guida sulla buonapratica del costruire, il Bilancio energe-tico del prototipo e la diffusione deirisultati ottenuti La certificazione diD.A.P. (Dichiarazione ambientale pro-dotto) di elementi edilizi tipici dell’areadel MediterraneoE poiché l’architettura ha la capacità dievocare i luoghi, di renderli riconoscibi-li, di suggerire l’appartenenza ad unospecifico territorio, la metodologia “Sun & Wind “ potrà essere riproposta indiversi contesti, variando le superficiesterne ed il modo in cui vengono trat-tate, i materiali e le forme, nel rispettodel luogo e della tradizione di apparte-nenza, mantenendo però i criteri gene-rali che improntano il progetto stesso.Così come l’agricoltura che evoca ecostruisce il paesaggio sarà utilizzataper riproporre e rivisitare tecniche diorticoltura ed albericoltura, rivisitandoquella tradizione dalla quale nascono “ igiardini ” di agrumi, o gli spazi ombrosidelle case mediterranee, interni o esternialla casa stessa, costruendo un ideale“margine”che sfuma il limite tra il siste-ma urbano ed il sistema rurale, e contri-buendo altresì in sinergia con il sole edil vento alla realizzazione di un sistemaper climatizzare le nostre abitazioni conmetodi naturali ed il più possibile abasso impatto energetico.

*Architetto presso il Comune di Palermo.

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rizza, si è espresso con molta forza,dimostrando un grande dinamismo eduna grande volontà di portare avanti leproprie opzioni e di collaborare attiva-mente per orientare i processi di svilup-po in atto, a partire dal riequilibrio edall’azione sul mercato del lavoro.

* Architetto, Cras srl – Centro ricerche applicate per losviluppo sostenibile.

Note1. Cfr. posizioni di Federparchi pubblicate nella rivistaParchi n. 46 del 2005.2. Promosso e realizzato dalla partnership compostada: Ideazione srl – capofila – AAPIT (AziendaAutonoma Provinciale per l’Incremento Turistico diPalermo, Cras srl (Centro ricerche applicate per lo svi-luppo sostenibile), WWFRP srl (WWF Ricerche eProgetti). Siti web: www.valorenatura.it www.crassrl.it.3. 69 domande a risposta aperta, divise in 4 sezionitematiche: gestione e pianificazione, risorse ambien-tali e naturalità, servizi per la fruizione, viabilità emobilità.

La valle del fiumeOreto a Palermo Vincenzo Todaro, Dario Gueci*

La Lr 98/81 per la istituzione di parchi eriserve naturali, integrata e modificatadalla Lr 14/88, da una parte ha consen-tito la salvaguardia di oltre il 12% diterritorio, dall’altra ha escluso dall’azio-ne di tutela significative aree di interes-se naturale e culturale che svolgono unruolo fondamentale nei caratteri deipaesaggi locali e come tali andrebberoriconosciute e valorizzate con specificistrumenti di protezione.La questione assume una particolarerilevanza in quegli ambiti territoriali“locali”, come alcune aree urbane operiurbane, che presentano condizionidi naturalità e che al contempo sonoprossime a contesti antropizzati, per lequali le azioni integrate di conservazio-ne necessitano di un coinvolgimentodiretto delle comunità locali. Si tratta di un tema attuale che in alcu-ne regioni (Lombardia, Toscana, Lazio) èstato trattato con norme specifiche,mentre in Sicilia, non risulta adeguata-mente affrontato. Rispetto a tale que-stione riveste un certo interesse il casodella valle del fiume Oreto a Palermoper la quale è da tempo stata avanzatal’idea di realizzazione di un “parco flu-viale”.

su questi temi. Richiesta di una struttu-razione integrata più organica dell’of-ferta turistico-naturalistica;- servizi di gestione ordinaria affidati inprevalenza ad associazioni locali.Estremamente diffuso e manifesto l’in-teresse ad instaurare forme di collabo-razione con soggetti locali per lagestione di servizi ordinari, specializzatie dedicati;- richiesta di rafforzamento ed ottimiz-zazione del sistema dell’accessibilità edella movimentazione interna alle aree,di collegamento tra aree diverse;- inadeguatezza del sistema di traspor-to pubblico locale, di aree di interscam-bio, di servizi di interesse collettivo cheintegrino funzionalità e rispetto del-l’ambiente. Grande attenzione al recu-pero del sistema ferroviario funzionanteo dimesso. Condivisione del ruoloimprescindibile della mobilità nell’am-bito delle politiche di sviluppo dellafruizione delle aree.Gli elementi citati offrono spunti perconsiderazioni di grande interesse; ilproseguimento delle attività del proget-to, consentirà di definire le azioni e lemisure più idonee per valorizzare leconsiderazioni ed esigenze espresse dalterritorio, che, nonostante la marginali-tà economica e sociale che lo caratte-

seguito si riportano schematicamentealcuni dei principali input derivanti dalprogetto:- forti differenze, per quanto riguardala gestione e la pianificazione delle areenaturali protette considerate, a causadella natura amministrativa – moltodiversificata - degli Enti gestori.Diversa strutturazione degli enti coin-volti nella gestione delle aree, nellaesternalizzazione di alcune attività,nella suddivisione delle competenze delpersonale. Incompletezza e disarticola-zione della strumentazione pianificato-ria e gestionale;- presenza di risorse ambientali e stori-co archeologiche di indubbio pregionon inserite in circuiti di visita cono-sciuti né organizzati, né tantomenopromossi. Fortissima esigenza di raffor-zare il network locale;- potenzialità turistiche non coordinatetra loro, con circuiti di visita esistentidi grande pregio ma non valorizzati.Diffusa la volontà di collaborare connetwork adiacenti quali quello dellestrutture ricettive, delle piccole imprese,degli enti locali, etc.;- carenza nei servizi alla fruizione evi-dente a tutti gli enti gestori, soprattuttoin tema di accessibilità e strutturazioneinterna delle aree. Grande dinamismo

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Progetto Equail Valerenatura: area di intervento

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Regione, al fine di favorire l’acquisizio-ne da parte delle province regionali edei comuni dei terreni destinati alla for-mazione di parchi urbani e suburbani[…] può concedere contributi per lespese di acquisizione, di impianto e digestione». Si tratta esclusivamente dirisorse finanziare eccezionali oltre allequali non è previsto un sistema organi-co e strutturato di normative finalizzatealla istituzione e gestione di parchi dicarattere locale. D’altro canto si continua a sostenereche il patrimonio ambientale, inteso nelsenso più ampio del termine, sia solo dicompetenza di politiche settoriali. Oggila questione ambientale è un’altra, ecoinvolge tutti, regione, province,comuni e semplici cittadini, ad ognilivello ed ognuno in relazione alle pro-prie competenze. Occorre attivare pro-cessi di coinvolgimento e partecipazionedal basso, in grado di valorizzare e tute-lare soprattutto quelle parti di territorioche, pur non avendo caratteri di natura-lità tali da “meritare” forme di tutela piùstrutturate, meritano comunque un’at-tenzione particolare. In tal senso risultano interessanti leesperienze condotte in Lombardia conla Lr 86/83 “Piano regionale delle areeregionali protette” che ha attribuito aiComuni la facoltà di istituire Parchilocali di interesse sovracomunale (Plis).Si tratta di aree protette per le qualisono i Comuni stessi, nell’ambito dellapianificazione urbanistica, a stabilire lenorme di salvaguardia e le modalità digestione. In particolare “l’individuazio-ne dell’area da destinare a Plis deveessere prevista dallo strumento urbani-stico comunale o da una sua variante[…], le destinazioni urbanistiche com-patibili con il parco sono quelle corri-spondenti alle zone “E” e “F”. Con ilriconoscimento normativo, i Plis entra-no a far parte del sistema regionaledelle aree protette con un apparatovincolistico “lieve” di tipo locale che,all’interno della pianificazione urbani-stica, è presente come espressione diuna esplicita volontà delle amministra-zioni comunali. L’elemento più interes-sante del Plis è, dunque, il suo caratte-re di volontarietà; infatti, proprio per-chè proposto direttamente dai Comuni,la sua istituzione si pone entro un per-corso di riappropriazione identitaria

all’interno del processo di revisionedegli strumenti urbanistici, l’assenza diun coordinamento tra i piani ha prodot-to un trattamento disomogeneo nellaregolamentazione dell’area (relativosoprattutto alle zone agricole) e nelladefinizione del perimetro del Parco cherischia di compromettere ulteriormentela natura unitaria del bacino fluviale. Sirende pertanto necessario un processodi concertazione che conduca ad unanuova perimetrazione coerente –avviatanel marzo 2005 con la formazione di unTavolo tecnico al quale partecipano,oltre ai tre Comuni interessati, laRegione e la Provincia di Palermo- checostituisca la base per il successivo iterdi istituzione, pianificazione e gestionedel Parco e che fornisca gli indirizziutili per il coordinamento di tutte lepolitiche attive sul territorio (Life,Contratto di Quartiere, Prusst etc.). Allo stato attuale il modello di Parcoperiurbano proposto dallo Studio di fat-tibilità muove in direzione di una figu-ra, di uno strumento e di un relativoorgano di gestione da riconoscere all’in-terno del quadro normativo regionalesulle aree protette. Se per alcuni aspetti tale scelta apportaun contributo utile al rinnovo del qua-dro disciplinare di riferimento, essasegue tendenzialmente il tradizionalepercorso di istituzione di figure “specialidi protezione”, lasciando irrisolte unaserie di problematiche relative soprattut-to alla regolamentazione organica dellavalle all’interno degli strumenti urbani-stici, al coordinamento tra questi ed alloro inquadramento normativo nel con-testo di riferimento regionale: tutte que-stioni che necessitano di ulteriori e spe-cifici approfondimenti.

Parchi urbani e periurbani: quali pro-spettive?

Le problematiche relative al riconosci-mento istituzionale di parchi urbani eperiurbani in Sicilia risultano ancoradeboli e non chiaramente strutturateall’interno delle pratiche di governo delterritorio. La stessa Lr 98/81, integratacon la Lr 14/88 cita i parchi urbani esuburbani esclusivamente in riferimentoai possibili contributi che i Comuni pos-sono ottenere per l’acquisto dei terreni.All’art. 38, infatti, la legge recita: «La

Il Parco del fiume Oreto

Il Parco del fiume Oreto, inteso comerisposta al degrado generato dal pro-cesso di crescita urbana meridionale diPalermo che ha “travolto” fisicamente ilfiume senza stabilire un “dialogo” conesso, muove dalla volontà di recuperodella valle -ricadente nei territoricomunali di Palermo, Monreale edAltofonte- e dalla necessità di una suaintegrazione, sia in termini fisici chefunzionali, con la città ed il territorio.In particolare, l’individuazione dellafigura del parco fluviale trova unaprima definizione nello studio coordi-nato da I. Pinzello che, partendo da unprocesso attento di conoscenza del ter-ritorio, elabora una proposta progettua-le che affida al fiume il ruolo di “corri-doio verde” di connessione tra città eterritorio. Tale proposta, che individuaall’interno del Parco una parte agrico-lo-naturalistica ed una parte urbana,prevede la salvaguardia degli elementinaturali, il recupero dell’ambiente edelle architetture, e la realizzazione diattrezzature di carattere scientifico-didattico e ricreativo. Al suo interno,da una parte vengono messe in discus-sione le visioni parziali e discutibilidegli strumenti urbanistici all’epocavigenti (per il Prg di Palermo del 1962la parziale copertura del fiume; per ilPrg di Monreale del 1980 la costruzio-ne di seconde e terze abitazioni susuolo agricolo di pregio; per ilProgramma di Fabbricazione diAltofonte del 1977 l’edificazione anchein prossimità del fiume) e dall’altra siintende porre fine al processo di degra-do in atto, frutto di una pressioneantropica incontrollata (abusivismo). Di recente si è manifestata una sensibi-lizzazione dei tre Comuni rivolta da unaparte alla rivalutazione del fiume Oretoall’interno dei nuovi strumenti urbani-stici, e dall’altra alla elaborazione diuno Studio di fattibilità del Parcodell’Oreto1 avente come obiettivo lavalutazione della sostenibilità giuridico-amministrativa, territoriale-ambientaleed economico-finanziaria della propostadi Parco.Se, però, la figura del Parco viene espli-citamente riconosciuta (“Parcodell’Oreto” per il Prg di Altofonte,“Parco urbano” per quello di Palermo)2

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nari tra cui emerge a nord-est il montePellegrino. Si articola in sette macroin-terventi, ciascuno dei quali comprendeinterventi pubblici e privati. In ciascunambito è diverso il rapporto in percen-tuale tra interventi pubblici e privati,con una percentuale più alta di inter-venti pubblici in quegli ambiti urbanidove si rilevano livelli minimi di quali-tà e dove è quindi necessario costruirele condizioni per promuovere l’interes-se degli investimenti privati. Mentre èmaggiore la percentuale di interventiprivati laddove le condizioni infra-strutturali e dell’insieme di attività disupporto definiscono un tessuto urba-no maturo e con valori fondiari di uncerto rilievo. La scelta operatadall’Amministrazione comunale di farcoincidere l’ambito del Prusst con l’in-tero territorio comunale è stata in real-tà dettata da una precisa volontà poli-tica che mirava a non penalizzare queisoggetti privati i cui interessi ricadeva-no fuori da un eventuale ambito piùcircoscritto. L’estremo dilatarsi dell’areadi intervento ha però fatto perdereincisività allo stesso Prusst, che nell’ot-tica di una riqualificazione complessi-va, si è trovato a dover gestire propo-ste di intervento da parte dei privatiestremamente eterogenee, dislocate inmaniera casuale sia in aree urbane chein aree agricole.Il lungo iter trascorso tra la emanazionedel bando di gara, la formazione delprogramma, l’approvazione e l’attuazio-ne, se nel caso dagli interventi pubblicinon ne ha pregiudicato l’attuazione inquanto i finanziamenti stanziati sonorimasti disponibili, ha invece costituitoun grave handicap per gli investitoriprivati per i quali il fattore tempo costi-tuisce una variabile di primaria impor-tanza. Non bisogna dimenticare infattiche un qualsivoglia imprenditore, nel-l’impegnare risorse finanziarie deveessere certo di un ritorno economicodell’investimento nei tempi prestabiliti,certezza che nel Prusst di Palermo èstata fortemente messa in dubbio dallalentezza dei percorsi burocratici. A con-ferma di quanto detto risulta che è statoaperto più di un contenzioso con ilComune da parte di privati, che dopovarie lungaggini burocratiche, hannodovuto attendere ancora un altro annoper l’approvazione definitiva del pro-

L’individuazione e la regolamentazione,così, della figura di Pli all’interno del-l’apparato normativo urbanistico comu-nale può assumere sia una rilevanzastrategica in relazione alla tutela edintegrazione del sistema delle aree verdiurbane con le aree naturali di interesseterritoriale, sia un carattere operativonel superamento del tradizionale iterprocedurale proprio delle politiche disettore.

*Dottorandi in Pianificazione Urbana e Territoriale,Dipartimento Città e Territorio, Palermo.

Note1. Delibera Cipe 106/99. Vincita di concorso banditodal Comune di Palermo: Esosfera spa e Cras srl diRoma.2. PRG di Altofonte, N.T. A. art. 29, Delibera C.C. n69/03. Variante Generale al Prg di Palermo, N.T. A., art.23, Presa d’atto 7/2004.3. Il riferimento ai Plis è già presente nello Studio diFattibilità del Parco dell’Oreto.4. Disegno di Legge “Norme per il Governo del territo-rio”, approvato dalla Giunta di Governo in data2/8/2005.

L’esperienza delPrusst di PalermoGiuseppe Abbate*

L’amministrazione comunale diPalermo, ha promosso il Prusst relativoall’intero ambito comunale, avente perobiettivi: la realizzazione di attrezzatu-re pubbliche o di uso pubblico; ilpotenziamento della struttura produtti-va e turistico alberghiera; il recuperodel patrimonio edilizio esistente, ad usoresidenziale e per le attività artigianali,industriali, ricettive e ricreative. Il Prusst di Palermo è stato finanziatonel dicembre 2000 per circa 2 miliardidi vecchie lire, e successivamente conspecifico decreto ministeriale, l’importodel finanziamento è stato incrementatodi circa 800 milioni di lire. Con lo stes-so decreto è stato previsto un ulteriorefinanziamento di circa 4 miliardi di lireper il concorso alla progettazione e rea-lizzazione di interventi infrastrutturali odi recupero anche non previsti nelPrusst, da concertare con il Ministero. Il Prusst di Palermo interessa l’interoterritorio comunale corrispondente allavasta pianura costiera (16.800 ha)attraversata a sud-est dal fiume Oreto eper il resto circondata da rilievi colli-

del territorio, come strumento di tutelache parte “dal basso”3.In un territorio complesso e frammenta-to dall’urbanizzazione come quello sici-liano, la possibilità di individuare ParchiLocali Intercomunali (Pli) può rappre-sentare lo strumento con il quale avvia-re processi che vanno dalla tutela dibiotopi minori alla riorganizzazionestrategica dei sistemi naturali a scalaterritoriale. Si tratta di un’occasione perle amministrazioni locali utile a delinea-re una strategia di gestione del territoriobasata sul riconoscimento di specificivalori, sulla condivisione di obiettivicomuni, sull’accordo tra diverse istanzeeconomiche, turistiche, sociali eambientali. Risulta necessario, però,porre particolare attenzione a nonincentivare, senza regole e politiche di“sistema”, queste tipologie di parchi; ilrischio, infatti, è quello di attivare pro-cessi deregolamentativi, simili a quelligenerati dai programmi complessirispetto agli strumenti urbanistici ordi-nari, tali da compromettere la già “deli-cata” condizione delle aree protette sici-liane.

Una proposta

Nell’ottica di una integrazione tra tema-tiche ambientali e strumenti di pianifi-cazione ordinaria, assume una partico-lare rilevanza il piano urbanisticocomunale che, oltre a svolgere la fun-zione di regolamentazione e trasforma-zione dell’uso del suolo, deve costituireun valido strumento di tutela dell’am-biente. Tale questione in Sicilia risultaattuale nell’odierna fase di revisionedella normativa regionale sul governodel territorio. Oltre al riconoscimentodei Parchi Locali Intercomunali (Pli)nella normativa regionale sulle areeprotette, quindi, risulta necessaria laloro strutturazione normativa all’internodella futura legge urbanistica in quantofigure direttamente relazionate al pianocomunale. All’art. 32.3 (Piano urbanisti-co comunale) del Ddl4 presentato, i Plipotrebbero trovare regolamentazioneattraverso la specifica delle modalità perla individuazione e la perimetrazionedelle aree di interesse ambientale dilivello locale (comunale e/o intercomu-nale) per le quali il Piano detti normeordinarie di salvaguardia.

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un iter privo di tempi certi come si èrivelato quello relativo all’attuazionedel Prusst di Palermo, nonchè ad effet-tuare chissà quali investimenti in uncontesto territoriale in piena crisi eco-nomica come appare quello palermita-no e siciliano in genere, con l’aggra-vante della costante presenza dellamafia, che condiziona pesantementequalunque attività.

* Dottore di ricerca in Pianificazione urbana e territo-riale, Università degli Studi di Palermo.

Una Stu perl’AlbergheriaBenedetto Romano*

Le Società di trasformazione urbanasono nuovi strumenti di urbanisticaoperativa che gli enti locali hanno adisposizione per intervenire nelle areeurbane consolidate, in attuazione deglistrumenti urbanistici vigenti. Ad oggisono diverse le Stu costituite e già ope-rative in Italia e una soluzione delgenere potrebbe essere seguita perriqualificare l’Albergheria, quartiere sto-rico di Palermo che da diverso tempovive una situazione di degrado edilizioe sociale, individuando una modalità diutilizzo residenziale di diversi immobilidell’area particolarmente degradati,abbandonati o caratterizzati da un’esi-gua presenza di residenti stabili, perdestinarli a due categorie di utenti: glistudenti universitari fuori sede e glianziani autosufficienti. Nonostante irecuperi edilizi attuati dai privati inquesti anni grazie ai contributi a fondoperduto (ex Lr 25/93) erogati dalComune, rimane ancora oggi molto altoil numero di immobili che attendono diessere riqualificati ed è grazie all’inseri-mento della nuova utenza di studenti eanziani che il processo di recupero, spe-cialmente lungo l’asse di viaAlbergheria, che attualmente presentanumerose unità edilizie in stato diavanzato degrado, può prendere slan-cio. La maggiore dotazione di parcheggipubblici, di verde pubblico e di attrez-zature per attività socio-culturali nonpuò che favorire l’appetibilità dellazona e migliorare la qualità della vitadegli abitanti stabili e prevedere un’in-

esempi più eclatanti si può citare laproposta della Curia di Palermo che haespresso la volontà di realizzare lanuova sede della Facoltà Teologica conannesso campus universitario in un’areaperiferica del tutto inadeguata ricadentein pieno verde agricolo. A seguito della constatazione che ben14 proponenti privati, si rifiutavano didare corso alle procedure tecnico-amministrative per l’approvazione degliinterventi, il Comune di Palermo si ètrovato costretto a notificare le relativedeterminazioni dirigenziali di presad’atto della rinuncia. Ma dal punto divista finanziario, procedendo a unaverifica e a un confronto tra gli importirelativi al totale degli interventi pubbli-ci e a quello degli interventi privati nonrisultava più rispettato il rapportorichiesto dal bando allegato al Dm1169/98 in cui è specificato che gliinvestimenti per interventi privati devo-no coprire almeno un terzo dell’investi-mento complessivo. Di conseguenzal’Amministrazione comunale rischiavadi dover procedere alla restituzione delfinanziamento concesso a suo tempodal Ministero dei Llpp, in relazione alpunteggio acquisito per la sua colloca-zione nella graduatoria nazionale, paria circa 7 miliardi delle vecchie lire. Perovviare a tale inconveniente il Comunedi Palermo non ha potuto far altro chepredisporre, attraverso una delibera diGiunta (n. 31 del 15/02/06) un nuovoavviso pubblico per il reperimento dinuove iniziative private. L’esperienzamaturata dal Servizio Prusst in questiultimi anni ha permesso di mettere apunto un avviso ben strutturato, chenel porre una serie di paletti a garanziadi tutta l’operazione, mira a scoraggiareeventuali proposte da parte di impren-ditori improvvisati, come ad esempioche “possono partecipare al programmai soggetti che intendono attuare l’inter-vento proposto dalla fase di realizzazio-ne alla fase di gestione per un periododi almeno dieci anni”, e allo stessotempo opera una prima selezione tra idiversi soggetti proponenti ammettendosolo quelli che rispondono a determina-ti requisiti.In attesa di conoscere l’esito di taleiniziativa si resta comunque scettici nelcredere che possano essere molti gliimprenditori interessati ad affrontare

prio progetto da parte del consigliocomunale; in altri casi, i privati, scorag-giati da tempi così lunghi, hanno prefe-rito abbandonare le opportunità offertedal Prusst decidendo di investire altro-ve. A scoraggiare ulteriormente gli investi-tori privati ha influito la decisione del-l’amministrazione comunale, che condeliberazione di Gm 480/2002, hadeterminato un non previsto contributostraordinario minimo, in aggiunta aglioneri concessori di cui alla legge 10/77,ovvero al costo di tutte le opere diurbanizzazione funzionali all’interventoproposto, da far corrispondere a ciascunprivato, a seconda dell’entità e dellanatura degli interventi proposti invariante.A distanza di un triennio si iniziano avedere completati solo una decina dei64 interventi pubblici inseriti nel Prusstdi cui, è bene precisare, alcuni eranogià in fase di realizzazione prima anco-ra dell’attivazione di tale programma eultimati grazie alle risorse finanziariemesse a disposizione dal ministerocompetente. E’ il caso, ad esempio, deitormentati lavori relativi al restauro delcomplesso conventuale di S. Anna rica-dente nel Mandamento Tribunali, final-mente ultimati dopo un iter progettualedurato più di vent’anni. Per quantoriguarda invece lo stato di attuazionedegli interventi privati, la situazioneappare più sconfortante. Su 77 inter-venti privati, 14 sono stati ritirati daiproponenti, dei restanti, ad oggi, nesono stati approvati meno della metà, enon ne è stato realizzato nessuno. Tale esperienza ha comunque messo inluce, in primo luogo, l’impreparazionedegli uffici tecnici comunali nel gestiredal punto di vista organizzativo e pro-gettuale un nuovo modello di pianifica-zione negoziata e complessa come ilPrusst, ma soprattutto l’arretratezza cul-turale della classe imprenditoriale paler-mitana che di fatto ha interpretato etradotto il Prusst in un’operazione divalorizzazione immobiliare senza prece-denti, come si evince da molte propostepervenute presso gli uffici dellaRipartizione urbanistica, in cui vengonoipotizzati gli interventi più fantasiosi eremunerativi per il privato ma nell’as-soluto dispregio di uno ipotetico “svi-luppo sostenibile” del territorio. Tra gli

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Mobilità sostenibile equalità ambientale inSiciliaFerdinando Corriere*

Le condizioni di inefficienza e di diffu-sa criticità che penalizzano oggi i tra-sporti terrestri, marittimi e aerei inSicilia, l’elevato livello di inquinamentoambientale loro connesso e l’alto costodegli spostamenti di persone e merciimpongono ormai urgenti miglioramen-ti dei trasporti collettivi, un’opportunaopera di risanamento e ottimizzazionedella rete esistente (valorizzazione delleattuali “risorse”), e l’attuazione di inter-venti strategici di integrazione dellediverse modalità di trasporto.

Rete stradale

I volumi di traffico si concentranosoprattutto lungo le autostrade e neitratti di strade statali prossimi alle trearee più urbanizzate (Palermo, Messinae Catania) e nelle zone costiere. Per iltrasporto passeggeri, nella Regione cir-cola l’8% dei veicoli circolanti in Italia,di cui l’82% composto da autovetture, il7% da motocicli e solo lo 0,2% daautobus. Insieme alla Sardegna, laSicilia è la regione con maggiore ali-quota di traffico su strada, interno dellaRegione stessa, connotandosi chiara-mente come “sistema chiuso”. I chilo-metri mediamente percorsi per il tra-sporto merci interno sono 175,4.Numerose le soluzioni di continuitàfisiche della rete, e vi sono aspetti criti-ci anche riguardo l’accessibilità dei nodiprincipali e la ridefinizione, in terminidi sicurezza e potenziamento, di impor-tanti arterie statali come laPalermo–Agrigento e laCaltanissetta–Gela.Già il Piano generale dei trasporti (Pgt)segnalava che le tratte della rete Snit(Sistema nazionale delle infrastrutturedi trasporto) siciliana, formati da stradea due corsie, avevano tutti caratteristi-che molto scadenti, evidenziando leprincipali criticità in termini di perico-losità e grado di saturazione, in partico-lare sul tronco stradaleCatania–Augusta. In generale, si evi-denzia che le tratte stradali che connet-

re dell’operazione rispetto al resto deglioperatori privati interessati. La Stuavrebbe come scopo la realizzazione diun nuovo Piano ParticolareggiatoUrbanistico elaborato dal Comune, dalmomento che il precedente è scadutonel 2003. La sua missione può essereinterpretata in due modi: in un primocaso, la società procede ad acquisire gliimmobili e le aree del progetto, a ren-derli idonei alla riqualificazione urbani-stica, e infine a realizzare gli immobilidestinati alla commercializzazione ealla comunità; una simile soluzioneavrebbe il vantaggio di un maggiorecontrollo sulla realizzazione del proget-to e l’aumento della quota di valoreprelevata dai promotori del progetto daparte della Stu; la seconda possibilitàprevede un ruolo più limitato dellasocietà nell’ambito delle sole fasi diacquisizione e riqualificazione degliimmobili e, in questo caso, il progettopotrebbe essere realizzato attraverso unprocesso meno omogeneo e la societàcederebbe gli immobili agli operatoriprivati. Nel caso in questione si preferi-sce la prima ipotesi, cioè quella dellaStu come soggetto del mercato immobi-liare. In questo modo la società acquisi-rebbe gli immobili da riqualificaredirettamente dai privati proprietari cheentrerebbero a fare parte della composi-zione societaria, facendo confluire gliimmobili in conto capitale. La Stu sioccuperebbe quindi anche della realiz-zazione e della vendita degli immobilitrasformati agli utenti, o direttamente,tramite imprese edili facenti parte delcapitale sociale, o tramite operatoriesterni da selezionare preferibilmentecon gara ad evidenza pubblica, come èsuccesso a Macerata nel caso della Stu“Nuova via Trento s.p.a.”. In questomodo la Stu permetterebbe di superarel’inerzia dei proprietari, coinvolgendolifattivamente nel progetto, e consenti-rebbe il recupero edilizio e socialedell’Albergheria, attraverso interventiunitari e contestuali di dimensionimedio-grandi che sappiano manifestarele qualità abitative e ricettive dell’interaarea, migliorando i servizi e le attrezza-ture presenti e garantendo, nello stessotempo, una qualità della vita superioreper i residenti.

* Ingegnere.

teressante integrazione sociale tra i“nuovi” e i “vecchi”. In questo modol’obiettivo della Stu sarebbe quello diinterrompere il processo di abbandonoda parte dei residenti e la condizione didisaffezione da parte dei proprietaridegli immobili dell’Albergheria, daparecchio tempo in atto. Le variabililegate ad un’importante trasformazionedella città, che potrebbe diventare unesempio per l’intero ambito urbano,sono numerose e il loro possibile campodi variazione è eloquente. I soggetticoinvolti nella trasformazione dell’areapossono essere divisi nelle seguenticategorie: le amministrazioni pubbliche,le aziende pubbliche e i privati proprie-tari degli immobili. Il progetto deveessere guidato dal settore pubblico e ilComune deve giocare un ruolo fonda-mentale nella pianificazione, nella pro-gettazione e nella realizzazione dell’in-tervento. Le prime valutazioni sul valo-re degli investimenti pubblici e privatiattivabili dal progetto potrebbero forni-re un ordine di grandezza dell’interesseche potrebbero avere i promotori privatinell’ambito di questo processo di tra-sformazione urbana. Si prevede che ipromotori privati e/o i proprietari degliimmobili coinvolti nel progetto entrinonel capitale sociale della costituendaStu insieme al Comune di Palermo; ciòcomporterebbe il vantaggio di una ridu-zione dei capitali necessari alla riquali-ficazione dell’area in quanto le areesarebbero conferite senza che allasocietà spetti alcun onere. In tal modo iproprietari degli immobili avrebbero unruolo anche nelle scelte gestionali delsoggetto incaricato della trasformazione(controllato a maggioranza pur sempredal Comune). Appare opportuno coin-volgere la proprietà fondiaria privataattraverso il dispositivo della perequa-zione urbanistica oppure attraverso l’in-gresso della proprietà fondiaria nellasocietà di trasformazione urbana. Inentrambe le soluzioni, la proprietàavrebbe la possibilità di ricavare unimportante capital gain, alla fine dellatrasformazione delle aree e non all’ini-zio, con un notevole beneficio per laStu in termini di gestione del debito edel rischio del progetto. Un secondoaspetto rilevante per l’efficacia dellariqualificazione dell’Albergheria risiedenel ruolo economico del soggetto gesto-

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- inadeguatezza delle catene logistichepresenti sul territorio.

Il sistema aeroportuale

Tutte le linee di tendenza di incrementodella domanda e di criticità nel traspor-to aereo in Sicilia sono state conferma-te nei fatti, e aggravate, dalla mancanzadi interventi o di indirizzi strategici asostegno dell’offerta. Per gli aeroportiminori, invece, è necessario attivareprocedure a sostegno della domanda delservizio (previste dal Regolamento dellaComunità europea) per i collegamentiche svolgono ruoli di rotte “sociali”,imponendo l’onere di “servizio pubbli-co”.Poiché un aeroporto ha costi di costru-zione e di gestione molto alti, chedevono essere ripagati da altrettantoalti benefici (ricavi e/o servizi per l’u-tenza), e poiché il trasporto aereo èconcorrenziale, nel rapportocosti/tempi, solo per tratte oltre 400Km, ne consegue che un aeroporto deveservire un’area con un raggio non infe-riore a 200 Km, e diventare nodo diuna rete di trasporti intermodali a ser-vizio dell’intero bacino. Tale considera-zione evidenzia altre criticità del siste-ma aeroportuale siciliano, dovute allacarenza di reti efficienti viarie e ferro-viarie per i due poli aeroportuali diCatania e Palermo. D’altra parte l’esi-genza di valorizzare il patrimonio esi-stente spinge ad affiancare allo svilup-po dei due poli principali anche un piùrazionale sfruttamento degli altri esi-stenti, e dunque una specializzazione diTrapani-Birgi, la salvaguardia “sociale”di quelli di Pantelleria e Lampedusa, e ilrecupero all’aviazione civile della pistadi Comiso.

Il sistema intermodale

Attualmente solo il terminale diCatania, per quanto riguarda la superfi-cie, rispetta le indicazione della EIA (3);non sono però ancora attive struttureinterportuali o auto-portuali in grado dioffrire servizi integrati per lo scambiodi merci tra diverse modalità di traspor-to (v. L 240/90) (4) e la mancanza ditali strutture limita la razionalizzazionedel trasporto, influenzando scelte eorientamenti degli operatori del traspor-

cità relativa al trasporto merci, legataalle sagome dei carri che attualmentepossono percorrere la rete siciliana.Laddove infatti nel centro-nord d’Italiale caratteristiche delle infrastruttureconsentono il passaggio di ampie sago-me, da Napoli–Marcianise verso Sudesistono sagome (PC22 o PC32), chenon consentono il passaggio di contai-ner marittimi (high cube) su carri piana-li ordinari (2). In Sicilia soltanto gli iti-nerari nazionali (ME–PA,ME–CT–SR–Gela) sono considerati abi-litati al transito dei carri combinati,mentre le restanti tratte sono adibitesolo al transito di carri di tipo tradizio-nale, limitando sensibilmente lo scam-bio di merci con la parte occidentaledell’isola. Anche se l’attraversamento dello Strettocostituisce oggi un elemento di discon-tinuità della rete ferroviaria, e incide inmodo negativo sulla potenzialità dellatratta (con una capacità di traghetta-mento di soli 396 metri lineari per cia-scuna corsa), è tuttavia possibile ridurretali difficoltà con la riorganizzazione el’adeguamento del sistema di traghetta-mento. Basti pensare che due navi dinuova generazione consentono di tra-sferire 24 treni/giorno di 600 vagoni.Un sistema di attraversamento delloStretto basato su nove navi al giornoconsentirebbe quindi una capacità diquasi 220 treni/giorno, pari a una lineaa doppio binario elettrificata. È eviden-te, infine, che tali criticità condizione-ranno negativamente anche le poten-zialità dei previsti impianti interportualidi Termini Imerese e Bicocca.

Il sistema portuale

Le principali criticità per il trafficomarittimo, d’altronde ben rilevate dalPrt, possono essere così sintetizzate:- profondità dei fondali inadeguate;- carenza di attrezzature e spazi a terra,in particolare per i terminal del trafficocontainer e per il traffico Ro-Ro (siste-mi di gating e per la pesatura dei veico-li;- carenza di dotazione di sistemi avan-zati per il controllo del traffico, ancheai fini della sicurezza;- carenza di collegamenti con le reti ditrasporto terrestre e conseguenti proble-mi di accessibilità;

tono i capoluoghi di provincia, inSicilia, non hanno caratteristiche geo-metriche omogenee. In particolare, il“nodo Palermo” costituisce una soluzio-ne di continuità tra le autostrade A19-20 e A29, dovuta alla saturazione diViale Regione Siciliana, che ormai assu-me funzioni di attraversamento urbano.

Rete ferroviaria

L’attuale configurazione della rete non ècerto idonea ad assicurare un efficientee trasporto moderno, e oltre alla suaarretratezza, possono essere segnalatealcune criticità specifiche:- i sistemi di esercizio sulle linee sonoassai difformi: si passa da tratti chefunzionano ancora con il blocco telefo-nico, a quelli gestiti con il blocco elet-trico manuale, o con il “controllo deltraffico centralizzato”; poiché è eviden-te che le limitazioni di un singolo trattopregiudicano le potenzialità di unaintera linea, tale disuniformità, su alcu-ne linee, è una delle cause di criticitàper la qualità dei servizi che è possibileattivare;- la discontinuità formata dello Strettodi Messina, con la necessità di scom-porre i convogli ferroviari, impediscel’utilizzo della rete Eurostar, i cui con-vogli non sono scomponibili. Le lineeMessina–Palermo e Messina–Cataniasono soggette a traffici elevati, di cui siprevede, nei prossimi anni, una crescitaoltre l’attuale capacità attuale dellelinee stesse.Dalle analisi dei traffici ferroviari dilunga distanza (merci e passeggeri),condotte nell’ambito degli studi per ilPiano direttore regionale dei trasporti(Prt), è emerso inoltre che la loro cresci-ta potenziale sarebbe fortemente limita-ta dal persistere di tratte a binario sin-golo. Già oggi i traffici ordinari impe-gnano la linea Messina–Palermo al 90%della potenzialità, mentre per laMessina–Catania il rapportotraffico/potenzialità convenzionale èaddirittura pari a uno (1). Il migliora-mento del sistema di attraversamentodello Stretto richiede dunque un ade-guato miglioramento anche delle prin-cipali linee ferroviarie, per esplicareappieno i suoi effetti positivi sui colle-gamenti tra la Sicilia e il Continente.Il Pgt evidenzia inoltre anche una criti-

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verso un più stretto e organico rapportocommerciale tra i porti italiani, in lineacon la graduale evoluzione del sistemaeconomico europeo verso un sistemaneo-industriale di produzione e consu-mo integrato nell’economia mondiale.Nei prossimi anni tale tendenza condur-rà a una forte crescita dei traffici in ori-gine dal Pacifico e dall’Atlantico, e labattaglia concorrenziale per la logisticasi svilupperà soprattutto per il controllodei traffici nei grandi flussi transocea-nici. In questa ottica l’integrazionemodale nei porti costituirà un fattorecompetitivo di vantaggio decisivo.Ancora, si pone l’esigenza di una revi-sione strategica del ruolo degli inlandterminal, che diventeranno non più solopunti di interscambio modale, ma ancheluoghi per attività a valore aggiunto,strettamente integrati con il disegnologistico del trasporto.Si sottolinea infine che, in assenza degliinterventi strategici sopra delineati,anche l’onerosa previsione dell’attraver-samento stabile dello stretto di Messinanon potrà produrre gli attesi effetti dimiglioramento complessivo e di effi-cienza del sistema dei trasporti, mentreun complessivo “disegno logistico”,nella direzione sopra delineata, è l’unicaopzione in grado di produrre effettibenefici, di gran lunga superiori a quelliconseguibili con la sola realizzazionedel “ponte”, contribuendo in mododecisivo a ridurre la marginalità econo-mica della Sicilia in rapporto alle dina-miche economiche nazionali e sovrana-zionali.

* Dipartimento Città e territorio, Università di Palermo

Note1. Regione Sicilia, Piano regionale dei trasporti e dellamobilità – Piano attuativo del trasporto merci e dellalogistica, Dicembre 2003, pp. 150-156. Nel Pgt è ripor-tata un’analisi del grado di saturazione (misurato dalrapporto flussi/capacità) delle linee ferroviarie italiane.Per alcune tratte della rete ferroviaria si evidenzianolivelli prossimi alla saturazione: così la lineaCatania–Messina (> 0,9) e Cefalù–Palermo; sulla trattaCatania Centrale–Catania Acquicella la capacità resi-dua è nulla.2. Ministero Infrastrutture e trasporti, Piano generaledei trasporti e della logistica, Gennaio 2001.3. Regione Sicilia, Piano regionale dei trasporti ... cit.,pp. 154-156.4. La L 240/90 definisce interporto “un complessoorganico di strutture e servizi integrati e finalizzatiallo scambio di merci tra le diverse modalità di tra-sporto, comunque comprendente uno scalo ferroviarioidoneo a formare o ricevere treni completi e in colle-gamento con porti, aeroporti e viabilità di grandecomunicazione”.

per il turismo e il commercio;- ottimizzazione e potenziamento dellarete ferroviaria, e sua integrazione congli altri sistemi modali, in particolareper il trasporto merci;- riqualificazione delle reti infrastruttu-rali e completamento della viabilitàextraurbana primaria;- promozione e incentivazione dellafruizione ecologica delle infrastruttureviarie urbane, con il potenziamentodella rete a servizio delle “utenze debo-li” (pedoni e ciclisti) e infrastrutture ditrasporto speciali (sistemi Val, tapis-roulant, ascensori e scale mobili, etc.),studiate anche in relazione alle esigenzedei diversamente abili;- promozione dei collegamenti via mareanche per gli spostamenti urbani(“metropolitane del mare”).Questo disegno di promuovere l’integra-zione sistemica delle infrastrutture e deitrasporti nei diversi ambiti territorialidovrà coniugarsi con una serie di ini-ziative che devono essere coordinate, alfine di conseguire i seguenti obiettivi diintermodalità:- promuovere e incentivare il trasportointermodale terra-mare, favorendo ildiffondersi dei container e di altre unitàdi trasporto intermodale (Uti, cassemobili, semirimorchi, ecc.);- promuovere la crescita del Tcsr, neilimiti di compatibilità tecnica ed econo-mica del sistema ferroviario esistente;- promuovere i collegamenti dei princi-pali porti con la rete autostradale e fer-roviaria;- predisporre interventi normativi cheagevolino l’attuazione delle linee pro-grammatiche, in particolare nel settoredei lavori pubblici; di società di gestio-ne delle infrastrutture di trasporto; diomogeneizzazione delle tariffe dei ser-vizi pubblici; di imprese di logistica,MTO, terminaliste, ecc.;- promuovere il traffico merci e la logi-stica integrata, con l’obiettivo di incre-mentare il traffico ferroviario, aumen-tando in modo significativo i ricavi. Sitratta di una scelta imprenditoriale, lacui esecuzione richiede tuttavia anchemisure di politica dei trasporti, per nonscoraggiare il ricorso al trasporto ferro-viario, favorendo i modi di trasportoconcorrenti.La revisione radicale del modello deltrasporto merci per ferrovia passa attra-

to verso la modalità stradale.Il Prt evidenziala la penalizzazione deltrasporto merci, per l’assenza di unarete di infrastrutture logistiche (inter-porti e centri merci) in cui assicurarel’integrazione fra i modi di trasporto, etutti i servizi complementari. Sullepotenzialità del trasporto intermodaleincidono inoltre: le già segnalate caren-ze della rete ferroviaria; la polverizza-zione delle imprese di autotrasporto e lemaggiori difficoltà delle piccole impre-se, per motivi vari, a convertirsi dallatecnica “tutto strada”, a quella del tra-sporto combinato, che richiede maggio-re capacità organizzativa ed è pertantomeno flessibile.L’utilizzazione di diverse modalità ditrasporto integrate, in alternativa al“tutto strada”, consentirebbe tuttavia diaumentare i livelli di sicurezza dellacircolazione e la qualità dell’ambiente,con adeguata considerazione anche deiproblemi di trasporto di merci pericolo-se. Ai già evidenziati fattori di criticitàinfrastrutturali, che non permettono disoddisfare la domanda di trasportointermodale, si aggiungono ulteriorifattori limitanti legati a: ridotte capaci-tà dei terminal; indisponibilità di tracceorarie idonee per il passaggio dei treniintermodali, congestione delle aree por-tuali e limitazioni alle tipologie di unitàdi carico trasportabili.

Le strategie proponibili

Anche alla luce degli “obiettivi chiave”del Prt, occorre che la Regione Sicilianasi doti di uno strumento che dettagliuna apposita metodologia, fondata suadeguate basi scientifiche, per la reda-zione dei piani di mobilità sostenibile.La situazione in atto manifesta ulterioricarenze e disfunzioni, in riferimento aiseguenti aspetti di funzionalità delsistema dei trasporti:- riassetto del trasporto pubblico locale(Tpl) e riequilibrio dell’offerta;- razionalizzazione della fruizione delleinfrastrutture aeroportuali e promozionedi un’adeguata politica tariffaria, chetenga conto della posizione di margina-lità dell’Isola per gli spostamenti sulunga distanza;- miglioramento di efficienza ed effica-cia della rete di collegamenti via mare,e quindi delle infrastrutture portuali,

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Politiche e piani in Sicilia

re riconducibili a bandi di caratterenazionale o alla programmazione com-plessa con fondi strutturali (Pru, Prusst,Contratti di Quartiere, Società di trasfor-mazione urbana) ha mostrato il limiteconcettuale ed operativo di produrresoluzioni puntuali, non incisive sui com-plessi problemi delle periferie siciliane.Pesa, indubbiamente, l’assenza di unalegislazione regionale aggiornata sia disettore sia generale, finalizzata a unariforma complessiva della materia: nonmancano in tal senso esempi “vicini”,quali la legge urbanistica della RegioneCalabria che dedica un intero titolo aglistrumenti attuativi per la riqualificazione,indicandone contenuti, modalità e proce-dure.

Caltanissetta: vecchi problemi, fabbiso-gni presunti, nuove soluzioni

Caltanissetta appartiene alla folta catego-ria dei centri medi siciliani in cui la per-dita dell’identità sociale ed economica èleggibile attraverso le vicende urbanisti-che e gli effetti da esse prodotti: abban-dono del centro storico da parte delleclassi medie, espansione edilizia a mac-chia d’olio, nascita di nuovi quartierianonimi e dequalificati. Città del grano esuccessivamente città dello zolfo,Caltanissetta inizia sin dagli anni ’50-’60a fondare sull’attività edilizia il propriomodello di sviluppo, divenendo città delmattone grazie alla complicità tra forzepolitiche dominanti, grandi proprietariterrieri e imprese costruttrici.L’espansione urbana avviene in manierairrazionale ma scientificamente studiatanei suoi aspetti speculativi: generalmentesecondo “assi” dettati dalla proprietà dei

difficile praticabilità. Nelle ultime genera-zioni di Piani Regolatori siciliani emergo-no con forza i concetti di “ricucitura fisi-ca” e di “recupero del patrimonio edili-zio”; principi quasi obbligatori, in unquadro che registra andamenti dellapopolazione stazionari o persino indecremento e che insieme presenta unmancato soddisfacimento degli standardurbanistici per le attrezzature collettiveed un livello inadeguato delle infrastrut-ture a rete, in primis della viabilità. IPiani Regolatori, tuttavia, nei loro itercomplessi e annosi registrano un conti-nuo superamento delle previsioni daparte di politiche e di interventi in dero-ga per i quali non è prescritta, né prati-cata, alcuna correlazione con le previsio-ni urbanistiche in corso. Si tratta essen-zialmente di due categorie di azioni:quelle dettate dall’esigenza dello sviluppoeconomico - vero e proprio ricatto dere-golamentatorio sul territorio siciliano –che hanno prodotto di recente insedia-menti produttivi e commerciali in varian-te; e quelle promosse dalle cooperativeedilizie per mezzo dei programmicostruttivi. Forti di una legislazioneregionale che garantisce continui flussi difinanziamenti e possibilità di deroga aglistrumenti urbanistici per l’assegnazionedelle aree da parte dei Comuni, le coope-rative rischiano di determinare in manie-ra silente e apparentemente indoloreulteriori periferie.Di contro alle pressioni di tali presuntifabbisogni, le strategie per il recupero delpatrimonio abitativo esistente nella cittàstorica e la riqualificazione dei quartieriperiferici non decollano con il necessariovigore: la fioritura di programmi di setto-

Palermo, tra recuperoe deregulationPierluigi Campione*

Il concetto di “periferia” nei medi centrisiciliani si presta a numerose interpreta-zioni, differenti da quelle che vedonoclassicamente convergere negli stessi luo-ghi la marginalità morfologica rispettoalle città consolidate, le condizioni didegrado fisico e i fenomeni di disagiosocio-economico. In Sicilia il termine puòricevere svariate declinazioni che gene-ralmente si traducono in ambiti diversi:esiste la periferia come frutto delleespansioni urbane degli anni ’60 e ’70 delsecolo scorso, generalmente disegnate daPiani regolatori sovradimensionati eattuate garantendo l’aumento della rendi-ta fondiaria ai proprietari di suoli. Esistela periferia come prodotto di politicheabitative pubbliche che, forti di finanzia-menti e di poteri di deroga, non hannotrovato significativi raccordi con gli stru-menti urbanistici ordinari e soffrono diurbanizzazioni tardive e carenti. Esiste,inoltre, la periferia come area urbana abassa densità, connotata essenzialmenteda edilizia stagionale che erode progres-sivamente le aree periurbane, ormai privedi attività agricole. Esiste, infine, la peri-feria come luogo del degrado fisico einsieme del disagio socio-economico, chesi concentra nei quartieri storici dellacittà al di là dei grandi assi sui quali siatttestano funzioni commerciali e istitu-zionali. Le strategie messe in atto per lecittà siciliane dalle mille periferie appaio-no, in assenza di un valido quadro legis-lativo, tanto varie quanto complesse e di

Politiche urbane

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Urbanistica INFORMAZIONI

nici, poco avvezzi alla progettazione eall’esecuzione di opere di restauro eristrutturazione; anche in tal caso, lasfida avrebbe comportato una “riconver-sione” delle professionalità, garantendoaltresì la riattivazione di alcuni settoridell’artigianato locale. Nel 2004 la deca-denza dei Programmi costruttivi.

La periferia in centroMarilena Orlando*

Se per periferia intendiamo una parte dicittà caratterizzata da degrado sociale,marginalità, fatiscenza del patrimonioarchitettonico, carenza di servizi e infra-strutture, scarsa sicurezza sociale, non èdifficile affermare che il centro storico diPalermo è ancora un’area periferica.La sua centralità, infatti, fisicamente esi-stente in virtù della sua storia e della suaposizione, è ancora da costruire dalpunto di vista del suo ruolo nel contestourbano e territoriale. Il centro storico èdotato di un piano particolareggiato cheha disciplinato gli interventi a partire dal1993 e che ha avviato il processo direcupero anche in assenza di politichepubbliche sistematiche in questa direzio-ne. Il Piano prevedeva il ritorno di50.000 abitanti, di incrementare il com-mercio e l’artigianato, di promuovere ilterziario pubblico e culturale, di salva-guardare la popolazione residente e leattività radicate nel centro storico affin-ché la città storica acquisisse una nuovavitalità. Tuttavia lo strumento urbanisti-co non è bastato ad indirizzare corretta-mente le politiche pubbliche, che spessosembrano essere il risultato di scelteestemporanee e di un mancato coordina-mento tra soggetti coinvolti e risorse.

Le politiche pubbliche in atto

L’amministrazione comunale nel mese dimarzo 2006 ha approvato il sesto bandoper il finanziamento di interventi privati,imprese e società immobiliari per unaspesa di circa 20 milioni di euro. Il rego-lamento di attuazione destina i fondisolo ad opere da eseguire in una interaunità edilizia; se la stessa ricade tra gliedifici destinati all’intervento pubblico,viene data priorità al privato se nonsiano già stati avviati i procedimenti di

nale di centrosinistra, in ossequio alledirettive di piano e forte delle prescrizio-ni esecutive, ha avviato sin dal 2002 unprocesso per ricondurre i programmicostruttivi all’interno dei due quartieristorici interessati da pianificazione attua-tiva; offrendo alle cooperative non aree,ma immobili da recuperare – in rispon-denza alle indicazioni di piano - con lagaranzia di agevolazioni fiscali e azionipubbliche di supporto, peraltro previstedalle leggi in materia. Si è provveduto,pertanto, a verifiche di carattere tecnico,tipologico e relative alla consistenza ealla disponibilità del patrimonio ediliziosu cui poggiare la previsione degli allog-gi insediabili; parallelamente, si è datoavvio ad un meccanismo concertativo trasoci delle cooperative e associazioni disettore, Soprintendenza ai Bbcc.,Assessorato Regionale ai Llpp. Il processoè stato peraltro sostenuto da tutte leforze politiche della città e ha inizial-mente registrato l’entusiastica adesionedelle Cooperative. Contestualmente, veni-vano significativamente rigettati dalComune alcuni programmi costruttivi diiniziativa privata localizzati in aree peri-feriche e in variante alle previsioni dellostrumento urbanistico. Le verifiche tecniche giungevano a indi-viduare la possibilità di insediare 250alloggi, nei quartieri storici (principal-mente nel quartiere della Provvidenza)da realizzare mediante ristrutturazioneedilizia e - in pochi casi - mediantedemolizione e ricostruzione ma nelrispetto della morfologia del tessuto edella volumetria preesistente. Le princi-pali resistenze e difficoltà, più che dinatura tecnica, si sono rivelate di carat-tere socio-culturale: i quartieri presenta-no, infatti, una popolazione essenzial-mente composta da ceti deboli e disagiatied extracomunitari. La mescolanza traresidenti vecchi e nuovi e l’integrazionetra differenti classi ed etnie, che avrebbeprevedibilmente generato una rigenera-zione sociale ed una riattivazione dell’e-conomia locale, si è subito configuratacome una sfida affascinante ma moltodifficile, alla stregua di una piccola rivo-luzione culturale per i cittadini abituatida decenni all’omologazione sociale degliabitanti, propria dei quartieri perifericipost-bellici. Non secondarie si sonomostrate le difficoltà insite nell’operazio-ne per le imprese costruttrici e per i tec-

suoli, con un aumento della renditagarantito dalle urbanizzazioni preventi-vamente realizzate a mezzo di avampostiedificatori pubblici. Il risultato di decennidi politiche speculative è leggibile neidati dell’ultimo censimento Istat (2001)che evidenziano essenzialmente unabassa densità abitativa - persino inferiorealla media regionale - sia riferita al cen-tro urbano che all’intero territorio comu-nale; parallelamente i dati registrano lapresenza di oltre 28.000 abitazioni (perquasi 120.000 vani) di cui solo 22.000occupate (ovvero circa 96.000 vani) dicontro ad una popolazione di 61.000abitanti: si realizza un altissimo rapportotra vani ed abitanti, e una quantità rile-vante di vani vuoti. Soltanto negli ultimidue decenni si è manifestata la volontàdi porre un freno all’attività edilizia; inprimo luogo, tendendo a garantire il sod-disfacimento dei fabbisogni abitativi gra-zie al recupero del patrimonio esistente eescludendo ipotesi di ampliamento delperimetro urbano, come emerge dalledirettive per il Piano Regolatore appro-vate dal Consiglio comunale agli inizidegli anni ’90. Le periferie vecchie enuove sono state nel contempo interes-sate da progetti volti alla realizzazione diattrezzature, servizi e infrastrutturazionie in alcuni casi da programmi complessi(quali il recente Contratto di quartiereper il Villaggio Santa Barbara, insedia-mento extraurbano realizzato dagli anni’40 per i lavoratori delle miniere dizolfo). Riguardo alla città storica, essa èstata oggetto negli anni ’80 di unavariante del piano regolatore generale,con il carattere di Piano di Recupero perl’intero centro storico, in epoca piùrecente il centro storico è stato oggettodi prescrizioni esecutive per i quartieristorici Angeli e Provvidenza contenutenel nuovo Prg ora vigente.Il quadro, tuttavia, è stato complicato daiprogrammi costruttivi delle CooperativeEdilizie. Già alla fine degli anni ‘80 ilmeccanismo dei Programmi in varianteha determinato a Caltanissetta la nascitadi una “periferia satellite” in area origi-nariamente destinata a zona mista arti-gianale: il quartiere San Luca, tristemen-te noto alle cronache locali per la pro-lungata assenza di infrastrutture e diattrezzature, nonché per la contiguità adun depuratore e a pericolosi tralicci del-l’alta tensione. L’Amministrazione comu-

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a mare, operazione che si scontra con ledifficoltà dovute alla molteplicità deisoggetti coinvolti e alla complessità degliinterventi che include. Il Comune infattista attuando il Programma di interventiper il recupero del mare e della costa,approvato nel 2002, per una spesa di135 milioni di euro, con una partecipa-zione di capitali privati per circa 66milioni. Per il fronte a mare della cittàstorica il programma prevede il disinqui-namento del porto della Cala e la con-fluenza degli scarichi fognari di oltre 180mila abitanti verso un depuratore esi-stente lungo la costa est. Sono previstialtresì un canale navigabile nell’area delForo Italico e il parco archeologico delCastellammare sul Molo Trapezoidale. Ilcanale navigabile come traccia dellacosta ottocentesca e la sistemazione del-l’area archeologica facevano parte delleprevisioni del PPE e si completavano conla proposta di un sistema di parcheggisotterranei ed una nuova viabilità velocein galleria, necessaria per ricostituirequel dialogo tra città storica e mareinterrotto ormai da molto tempo. Il posi-zionamento dei collettori fognari sembraperò precludere la strada alle previsionidel PPE. E’ in fase di completamento lasistemazione a verde pubblico dellagrande area costiera antistante il ForoItalico, iniziata dall’amministrazioneOrlando, in cui però non c’è traccia delcanale che dovrebbe essere realizzato adopera dell’Autorità Portuale. L’area del Castellammare è oggetto discavi a fasi alterne ad opera dellaSoprintendenza a partire dal 1988.Nell’ottobre 2004 la Giunta Comunale haapprovato il progetto esecutivo e allafine dello scorso anno sono stati appalta-ti i lavori. Per concludere, sembra chestia per iniziare l’attività dell’Officina delPorto, una struttura che dovrebbe final-mente riuscire a coordinare l’operato ditutti i soggetti coinvolti e in cui giovaniprofessionisti insieme a noti architetti(Fuksas, Irace, Perrault) progetteranno ilfronte portuale.L’amministrazione comunale è però inscadenza e questo virtuoso, quanto pococredibile scenario, potrebbe essere messoin crisi dai risultati della prossima torna-ta elettorale.

* Dottore di ricerca e Assegnista presso il DipartimentoCittà e Territorio, Università degli studi di Palermo.

due terzi dell’edilizia storica a Palermo èdi carattere monumentale; che molti edi-fici di pregio sono ancora oggi abbando-nati al degrado o ospitano funzioni ina-deguate; che alcuni presentano ancoragli squarci dei bombardamenti bellici.La riconversione di questo patrimonio anuove destinazioni di tipo culturalepotrebbe contribuire a riqualificare por-zioni consistenti del centro storico, espo-nendo e valorizzando tutte le collezioni,fondi e materiale documentario sepoltinei depositi. Tuttavia la mancanza diconcertazione tra i diversi soggetti pub-blici competenti e la carenza di appositifinanziamenti rende difficile la program-mazione degli interventi. A ciò siaggiunga l’assenza di un piano organico,che valuti le carenze delle attuali sediespositive, che analizzi le caratteristichefisiche e strutturali, lo stato della pro-prietà e l’effettiva adattabilità di alcuniedifici monumentali a nuove funzioniculturali. L’amministrazione attuale si stamobilitando invece per la realizzazionedi alberghi di lusso in molti edificimonumentali del centro storico, predi-sponendo apposite varianti al piano, chehanno suscitato svariate proteste, in per-durante assenza di uno studio che verifi-chi le effettive potenzialità turistichedella città. Tra le altre iniziative moltodiscutibili che l’amministrazione comu-nale ha a cuore, si deve ricordare ilrestauro scenografico delle facciate degliedifici sugli assi principali della città sto-rica, finanziato con 30 milioni di eurodalla Regione. Il restyling delle facciatedi corso Vittorio Emanuele e viaMaqueda, desta molte perplessità inquanto non affronta i gravi problemi didissesto statico delle parti strutturali edelle coperture, ivi comprese le infiltra-zioni d’acqua piovana, che affliggono lamaggior parte degli edifici del centrostorico e pertanto si configura come l’en-nesimo sperpero di somme considerevoliche sarebbe più utile impiegare per inter-venti in grado di dare risposte al proble-ma abitativo e alla riqualificazione deglispazi pubblici, spesso occupati da cumulidi macerie. L’amministrazione ha affron-tato di recente anche il problema delleattività commerciali nel centro storico, incondizioni assai precarie, senza conse-guire per la verità, risultati degni di nota. L’attenzione dell’amministrazione si èrivolta anche alla sistemazione del fronte

espropriazione. Il regolamento dovrebbemettere fine a tutte le controversie verifi-catesi in occasione del precedente bando,per il quale si era manifestata unasovrapposizione tra le unità edilizie percui i privati avevano ricevuto il finanzia-mento e gli edifici selezionati dalComune per edilizia residenziale conven-zionata o sovvenzionata.Gli interventi di edilizia residenziale pub-blica nel centro storico, infatti, hannoavuto fino ad ora scarso successo.A parte l’Amministrazione Comunale cheha realizzato alcuni interventi, l’IstitutoAutonomo Case Popolari è l’unico sog-getto attuatore che ha concretizzatoalcune opere: a partire dal 1994 ha rea-lizzato 4 interventi (39 alloggi, 31 botte-ghe), 12 progetti sono in attesa dell’iniziodei lavori (106 alloggi, 56 botteghe), 4 incorso di esecuzione (64 alloggi, 23 botte-ghe). L’Iacp ha portato avanti inoltrealcuni interventi di recupero destinati aresidenza universitaria: ha concluso iprimi due cantieri (122 posti letto); dueinterventi sono in corso d’esecuzione(202 posti letto), sette in fase di progetta-zione (445 posti letto). Le cooperativeedilizie non hanno realizzato alcunaopera. Alla legge regionale n. 33 del18.05.96 che consentiva alle stesse direalizzare programmi costruttivi attraver-so il di recupero di immobili, è seguita laprima Delibera di Consiglio Comunaleche destinava immobili a questo scopo.Complessivamente 10 cooperative hannopresentato programmi costruttivi per larealizzazione di un totale di 365 alloggi.Successivi atti deliberativi hanno modifi-cato le localizzazioni a seguito di ricorsida parte di privati, vinti per vizi di legit-timità nelle procedure. Le ultime delibere,nell’obiettivo di fare ordine, hanno con-fermano tutte le vecchie localizzazioni edato una scadenza ai proprietari perintervenire. Sul fronte del patrimonioarchitettonico monumentale gli ultimirestauri, gran parte dei quali sono duratilunghi anni, hanno riportato in vita ilgrandioso complesso dell’Oratorio deiBianchi, adibito a sede espositiva,l’Archivio storico comunale, le architet-ture settecentesche di Villa Giulia, le scu-derie di Palazzo Cefalà divenute galleriad’architettura, il convento di Sant’Annadestinato a museo d’arte contemporanea. Il recupero dei “contenitori storici” è untema molto rilevante se si considera che

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delle coste e il numero di turisti chepossono contenere. Osservando le cose più obiettivamente,esistono in Sardegna risorse ancora piùscarse e preziose. La più scarsa inassoluto è la risorsa umana: un ridottonumero di abitanti, soprattutto di gio-vani. Farne il cuore di un modernomodello di sviluppo significa persegui-re un processo di arricchimento di cia-scun ambito territoriale, limitando dra-sticamente l’eccessiva mobilità internadella popolazione. Ma significa soprat-tutto lavorare su processi economici abasso consumo di risorse: gestione ecustodia, più che intermediazione etrasformazione. Significa affermare unprincipio altrove accettato: il massimolivello di trasformazione di un territo-rio è quello che la comunità locale è ingrado di sostenere. Le iniziative econo-miche, basate sul consumo di risorsenon riproducibili come il territorio,sono limitate alla potenzialità dellaforza lavoro locale.

Il coinvolgimento della popolazione

L’opinione pubblica non appare suffi-cientemente informata. Anche all’inter-no della classe dirigente sarda il livellodi conoscenza del piano paesaggisticoè, purtroppo, inadeguata alla rilevanzadel tema. Da un lato è prevalso unatteggiamento di chiusura, di rivendi-cazione di una sorta di competenzaesclusiva da parte di alcuni dei sogget-ti deputati; simmetrica chiusura hannomostrato vasti strati della società civi-le, in cui ha prevalso un atteggiamentovagamente fideistico, quasi che la pro-fonda condivisione dei principi genera-

L’attuazione del piano paesaggistico della SardegnaSebastiano Bitti

non è meno importante del “dove” odel “come”. In questa fase, disporre dielementi certi sulla dimensione delletrasformazioni territoriali ammissibilidiventa un prerequisito indispensabileper passare da un unico centro di deci-sioni ad un sistema a rete che progettisviluppo locale.Occorre un netto salto in avanti, supe-rando le metodiche tradizionali divalutazione per arrivare ad un approc-cio maggiormente integrato. In questosenso sarebbe forse opportuno affian-care all’analisi della sostenibilitàambientale, economica e sociale ancheuna valutazione sui livelli di sostenibi-lità culturale. Il turismo è, infatti,innanzitutto un fenomeno di scambiodi saperi, di esperienze e di costumiche arricchisce la cultura del visitatoree dell’ospite. Concetto nitidamente evi-denziato nel pensiero autonomistasardo che animava il Piano diRinascita e che oggi appare invecesempre più marginale e desueto.Assumere questo approccio porta ariconoscere l’esistenza di due soglie perlo sviluppo turistico, di minima e dimassima.

Economie locali e capacità di carico

È anche in relazione agli abitanti di unluogo che occorre domandarsi se ilcarico turistico è giusto, per non con-dannarli a un nuovo isolamento cultu-rale, che può nascere dalla marginalitàcome dall’accerchiamento. L’unità dimisura della capacità di assorbimentodi una determinata pressione turisticanon può essere la mera capienza fisicadi un sito, la sabbiosità o rocciosità

Il quadro pianificatorio generaleL’attuazione di una politica di salva-guardia attiva del paesaggio presuppo-ne l’esistenza di strumenti di orienta-mento condivisi ed omogenei, inseritiin una moderna e adeguata cornicenormativa. La Sardegna necessita di unprogetto sostenibile e condiviso nelsettore turistico, ma non ha un ade-guato e aggiornato quadro territorialee programmatorio generale in cui ela-borarlo. Il Ppr sconta in questo caso lasua “temerarietà”, il suo affacciarsi perprimo sul terreno degli strumenti digoverno regionale degli assetti e delletrasformazioni. L’assenza di un PianoTerritoriale – di cui sono dotate altreregioni – non appare come una peccaformale o una lacuna, ma come unamancata presa d’atto di principi fonda-mentali ormai ampiamente condivisi,quale il superamento del modello disviluppo basato sul totale consumodelle risorse territoriali in funzione diuna illimitata crescita del reddito odella popolazione. La linea di lavoro sinora adottata ècertamente originale ed interessantesotto il profilo organizzativo: procede-re con il Ppr alla individuazione deivalori paesaggistici sul territorio(metodi e ambiti di trasformabilità),mentre parallelamente si determinacon il gruppo di lavoro sul turismosostenibile il meccanismo di valutazio-ne sui possibili gradi di intensità dellatrasformazione ammissibili. Si avverteinfatti la mancanza di una determina-zione preliminare delle grandezze ingioco; vi sono aspetti e ricadute di unpiano per valutare i quali il “quanto”

Ambientee territorioAmbientee territorio

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Urbanistica INFORMAZIONI

di tipo “geografico” – che indaga lamorfologia degli ambienti e dei manu-fatti che compongono il paesaggio edil flusso delle loro interazioni recipro-che – si passa ad una lettura di tipo“storico” – che si sforza di valutarel’attuale assetto del territorio come l’e-sito di un complesso di fatti dotati diuna specifica rilevanza culturale, giuri-dica, politica e sociale: la cronaca,insomma, dell’evoluzione del contrattosociale che nel tempo ha legato lediverse componenti della società localee la stessa al suo territorio. Non sitratta solo di una verifica tecnica pun-tuale di fattibilità ed effettiva applica-bilità dei diversi indirizzi generali (cuiperaltro gli Enti locali non possonocomunque sottrarsi), quanto di com-prendere perchè paesaggi di apparente,assoluta amenità richiamino invecealla memoria collettiva lontane, maancora terribili e tristissime, vicendeche pure sono parte fondamentaledella cultura locale. I Comuni, in questa fase attuativa,possono e devono svolgere un ruolofondamentale per un corretto processodi definizione dei diversi livelli di tute-la e delle relative prescrizioni generalie specifiche. Si tratta di un passaggiodi straordinaria delicatezza che dasempre oscilla tra due opposti rischi:da un lato il pericolo che, nella fase diconcertazione locale, possano perderenitidezza e vigore quei sacrosanti prin-cipi di diffusa salvaguardia e rigorosatutela del paesaggio che costituisconol’anima e il fondamento di legittimitàgiuridica del Piano paesaggistico, comeil riconoscimento del valore paesaggi-stico unitario e integrale del sistemacostiero sardo; dall’altro, il rischio cheuna norma unitaria, anche articolataper ambiti tipologici (il complessodunale, la sughereta, etc.), inneschiprocessi di omogeneizzazione dei sin-goli paesaggi costieri e dell’interno chepongano a rischio il valore più caratte-ristico e prezioso del paesaggio sardo:la sua conformazione “cantonale”, pertessere di mosaico, che Le Lannouaveva da subito individuato, insiemealla irregolarità dei cicli meteorologicie alla bassa densità di popolazione,come uno dei tratti più fortementedistintivi ed originali dell’Isola.

li e degli indirizzi fondamentali con-senta di delegare le concrete scelteoperative. Occorre constatare che il Pprnon è scaturito da un processo di par-tecipazione così diffuso e profondocome sarebbe stato auspicabile. Eraforse un prezzo inevitabile da pagarese si tiene conto, oltre che degli atteg-giamenti appena richiamati, anche del-l’urgenza, derivante dalla lunga stagio-ne di vuoto normativo più voltedenunciato da Inu Sardegna.

L’attuazione alle diverse scale

La fase di attuazione del Ppr non puòconsistere in semplici prese d’atto eadeguamenti in conformità, ma in pro-cessi politico-amministrativi che leg-gano e governino l’intero e articolatopanorama degli interessi pubblici eprivati in gioco. Nella rete di tutela deibeni sono presenti alcune “smagliatu-re” cui bisogna porre rimedio imme-diato; nel processo di applicazione edattuazione sono presenti nodi critici, intermini sia di metodo che di merito:occorre lavorare a una loro composi-zione, che metta in sicurezza i valorifondamentali di questo importanteprocesso di riappropriazione delladimensione culturale, paesistica e terri-toriale. E occorre che tutti i soggettiinteressati possano concorrere in modoresponsabile e trasparente. In questosenso è fondamentale che la prossimastagione di pianificazione garantisca lapossibilità di adeguati, tempestivi edefficaci processi di copianificazione traenti e di conseguenti, puntuali ecoerenti processi di feed-back tra idiversi strumenti di pianificazionegenerali, di settore e locali, a partiredagli strumenti di area vasta.La gran parte degli indirizzi e moltedelle prescrizioni debbono essere calatipuntualmente nei diversi ambiti terri-toriali, per acquisire l’efficacia di unavisione condivisa e l’efficienza di unaproposta effettivamente adeguata alcontesto. Passare dalla scala 1:25.000(su cui è redatto il Piano Paesaggistico)alla scala di 1:5.000 o 1:2.000 deiPiani urbanistici comunali non signifi-ca operare un mero ingrandimento, mapassare a una più approfondita e arti-colata lettura delle singole componentidel quadro territoriale. Da una lettura

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Un doveroso completamento

È urgente procedere all’emanazione diuna nuova legge urbanistica; il nuovoPiano Paesaggistico è un elementonecessario, ma non sufficiente per unacorretta gestione del territorio sardo:molti dei suoi strumenti più innovativied importanti, come ad esempio lacopianificazione, sono privi di efficaciain assenza di un quadro normativo che lirecepisca e li disciplini. Un immediatorimedio parziale può certo consisterenell’emanazione di specifiche norme diaccompagnamento del Piano, ma è asso-lutamente indispensabile dotarsi di unostrumento legislativo adeguato allarecente evoluzione del quadro normativonazionale e comunitario. Si tratta di pas-sare da una legge urbanistica tradiziona-le – finalizzata a regolare l’intensità disfruttamento delle risorse – ad unamoderna legge di governo del territorioche coordini l’insieme delle politiche,delle azioni e degli interventi che hannoricadute territoriali. In questo senso sem-brano ormai maturi i tempi per portare auna sintesi organica alcune delle piùimportanti azioni poste in essere dallaRegione nello scorso biennio. Per esem-pio l’azione di costruzione dal basso diuna nuova stagione della programma-zione regionale, attuata attraverso iLaboratori territoriali, abbisogna di unquadro di riferimento che consenta, areaper area, di elaborare criteri di selezione,di calibrare incentivi e disincentivi eco-nomici, di elaborare strumenti che evi-denzino e privilegino gli interventi piùadeguati alla salvaguardia attiva deivalori paesaggistici ed ambientali.Occorre, insomma, che politiche attivatein diverse aree geografiche, settori diattività e campi d’azione amministrativavengano coordinate nel modo più apertoe diretto in funzione di quella che è stataassunta come la principale risorsa: ilpaesaggio. È necessario dunque inserirsinel dibattito nazionale intorno allanuova proposta di legge urbanistica, cheassume questo insieme di temi come ilnuovo campo di lavoro non più eludibi-le, per passare da una pianificazioneintesa come mera scrittura di regole a unben più complesso ed articolato dispie-gamento di politiche coordinate e fina-lizzate al (buon)governo del territorio.

*Presidente Inu Sardegna.

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“protezione della natura” come princi-pio cardine preminente; si parte cioèdall’assunto che la porzione di territo-rio che si sottopone a pianificazionespeciale (parchi e riserve regionali eprovinciali e aree naturali protette diinteresse locale, con i piani dei parchied i regolamenti delle riserve e con iPiani Pluriennali di SviluppoEconomico e Sociale) è antropizzato oin termini letterali, se vi si sono sedi-mentate risorse culturali e attività eco-nomiche, o anche solo in termini“edonistici”, se l’uomo risulta fruitoredei valori paesistici di quel territorio.Tuttavia la promozione delle attivitàeconomiche, pur garantita, è recessivarispetto alla conservazione e riqualifi-cazione delle risorse in quanto quelleattività devono essere compatibili: ilprincipio non è quindi antropocentricoma non è più solo biocentrico, il sog-getto di diritto sono le risorse, di ori-gine naturale e/o artificiale. Gli effetti della Lr 49/95, attuata attra-verso successivi Programmi regionali,sono stati sicuramente molto soddisfa-centi: la Toscana conta ad oggi 3 par-chi nazionali, 3 regionali e 3 provin-ciali, 41 riserve naturali, 31 riservestatali e 48 Anpil, con una coperturadi circa il 10% del territorio regionale2.Se però si guarda alla strumentazionedi piano di queste aree si scopre che, afronte di più o meno compiuti pianidei parchi, piani di sviluppo per parchie riserve e regolamenti delle riserve, lamaggior parte delle Anpil risultanoprive di strumentazione regolativa.Prima di giungere a conclusioni affret-tate va ovviamente evidenziata non

Aree protette e pianificazione d’area vasta in ToscanaDaniele Mazzotta*

antropocentrico, con uno spostamentodi ruoli: la natura da oggetto di dirittoa soggetto di diritto1, anche indipen-dentemente dall’uomo, cioè dalla pia-nificazione ordinaria antropocentricaalla pianificazione speciale biocentricae sovraordinata alla prima. La L394/91 infatti è esplicitamente finaliz-zata a garantire e promuovere “la con-servazione e la valorizzazione delpatrimonio naturale del paese”, inten-dendo per patrimonio naturale “le for-mazioni fisiche, geologiche, geomorfo-logiche e biologiche, o gruppi di esse,che hanno rilevante valore naturalisti-co e ambientale”; solo in seconda bat-tuta, nelle aree da sottoporre a tutelain quanto portatrici di quei valoriambientali, sarà possibile gestire unaintegrazione tra uomo e natura:“anche mediante la salvaguardia deivalori antropologici, archeologici, sto-rici e architettonici e delle attivitàagro-silvo-pastorali e tradizionali”.Il recepimento regionale, in Toscana,della L 394/91 appartiene a quell’in-sieme di norme che nel 1995 hannoconfigurato il modello toscano digoverno del territorio: la Lr 5/95, la Lr64/95 e, appunto, la Lr 49/95 sullearee protette, finalizzata a “garantirela conservazione e riqualificazione del-l’ambiente, del paesaggio, del patrimo-nio storico-culturale e naturalisticodella Regione; la promozione delleattivita’ economiche compatibili, delleattivita’ ricreative, della ricerca scien-tifica, della divulgazione ambientale,nonche’ della gestione faunistica”. Sitratta, come si vede, di un’accezionemolto più complessa di quella della

La natura non ha fatto di proprietàprivata né il sole né l’aria e neppurela fluida acqua. E’ a un benepubblico che mi sono accostata,e ciò nonostante vi chiedo didarmene come si chiede un favore.Ovidio, Metamorfosi, Libro VI, 350-352

Al principio delle sue MetamorfosiOvidio descrive la creazione dellaNatura e, all’interno di questa,dell’Uomo ed il loro progressivo cor-rompersi dall’età dell’oro sino all’etàdel ferro. Braudel, nelle Memorie delMediterraneo, attribuisce all’asprezzadella natura mediterranea la responsa-bilità di aver forgiato il carattere del-l’uomo e dato origine alla sua tecnica.Leopardi, nell’Elogio degli uccelli, giànon vede che natura antropizzata (“…una grandissima parte di quello chenoi chiamiamo naturale, non è; anzi èpiuttosto artificiale…”) e tale la rap-presenta Sereni nella sua famosaStoria del paesaggio agrario italiano.Come dire: dall’uomo “dentro” lanatura all’uomo “nonostante” la natu-ra sino all’uomo “contro” la natura.Tale ultima, innegabile, visione hainformato la cultura ambientalista econservazionista dell’ultimo quarto delsecolo scorso e, senza scomodare isoftlaw instruments delle dichiarazionidi principio universali, ha portato inItalia alla formazione della Legge qua-dro sulle Aree protette del 1991, ante-ponendo, in termini giuridici, un prin-cipio biocentrico al consueto principio

Ambiente e territorio

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solo la non obbligatorietà dei regola-menti delle aree protette di interesselocale ma anche la previsione di talistrumenti all’interno di atti regionali diindirizzo3, privi della necessaria cogen-za normativa. Tuttavia è altrettantoevidente da un lato che definire unperimetro d’interesse senza prevedervianche minimi strumenti regolativi è,quanto meno, illogico e da un altroche un’indubbia difficoltà sulla stradadei regolamenti delle Anpil è rappre-sentata dalla loro frequente sovraco-munalità, laddove la Lr 49/95 indivi-dua il Comune quale soggetto gestore.D’altronde se si sposta il punto divista più in alto e si guarda alle areeprotette come “sistema” si scopre chela pianificazione d’area vasta ha moltoda dire in merito. Così si esprime loSsse, lo Schema di sviluppo dello spa-zio europeo come orientamento per lepolitiche regionali, adottato a Potsdamnel 1999, nel paragrafo dedicato alla“Conservazione e sviluppo delle risorsenaturali”:The objective of a Community-widenetwork of protected areas– “Natura2000”– incorporated in the HabitatDirective and other environmentaldirectives is a very promisingapproach, which has to be harmonisedat an early stage with regional devel-opment policy. Concerted protectionmeasures for areas which belong tothe network must be drawn up andfine-tuned in line with spatial devel-opment perspectives. […] newapproaches should be taken to har-monise nature protection and spatialdevelopment. In the preservation ofnatural heritage protected areas andother ecologically valuable areas, animportant service for the whole ofsociety is provided. Protection regula-tions and development restrictionsshould not be allowed to have a nega-tive impact on the living conditions ofthe population.

Analogamente Il Documento dellaRegione Toscana di Avvio del Pianod’indirizzo territoriale4, nel definire ilcontesto di riferimento normativo,conoscitivo e metodologico per l’ade-guamento del Pit alla nuova Lr 1/2005,sostitutiva della Lr 5/95, individua lequattro strategie di rango regionale

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Note1. Cfr. Paolo Francalacci, Le aree naturali protette.Lineamenti e strutture, Rimini, 1999.2. Regione Toscana, Segnali ambientali in Toscana2006. Indicatori ambientali e quadri conoscitivi perla formazione del Piano Regionale di AzioneAmbientale 2007-2010, Firenze, 2006.3. Deliberazione del Consiglio Regionale Toscano n.154 del 23.11.2004 - 4° Programma Regionale per leAree Protette 2004-2007.4. L’Avvio di Procedimento per il nuovo Pit è avve-nuto con Dgr 759 del 25/07/2005.5. Si veda anche: Antonello Nuzzo, Aspettando ilnuovo Piano di Indirizzo Territoriale, Toscana Parchi,anno IV, n.12, p.24.6. Cfr. Duccio M. Traina, Regioni e governo del terri-torio dopo la riforma del Titolo V della Costituzione,in Massimo Morisi e Annick Magnier (a cura di),Governo del territorio: il modello Toscana, Bologna,2003.

se, che il Pit potrebbe aiutare a faremergere.D’altronde le modifiche del Titolo Vdella Costituzione6, ed il loro recepi-mento in Toscana, nell’ambito delgoverno del territorio, grazie alla Lr1/2005, configurano, nei nuovi rappor-ti equiordinati tra gli enti, un momentodi incerta ristrutturazione istituzionalenell’ambito della quale la ricerca iden-titaria del “ruolo” rischia di non muo-versi necessariamente lungo i canalidella “leale collaborazione”. Il modelloche la Regione Toscana sembra propor-re, anche all’interno del nuovo Pit e aldi là del generale principio di sussidia-rietà, è quello del riconoscimento del“rango” degli interessi da tutelare o, ingenerale, da esprimere: regionale,sovracomunale e quindi provinciale ecomunale. In un tale contesto, lettonell’ottica della citata legge regionaleche tende da un lato al raccordo siner-gico tra pianificazione territorialestrutturale, programmazione e pianifi-cazione di settore e dall’altro ad ungoverno “per risorse”, analogamente aquanto affermato dalla Lr 49/95, ripor-tare l’intero arco del percorso istitutivoe gestionale delle aree protette nell’al-veo della pianificazione strutturaleprovinciale (ad esclusione del regimespeciale degli Enti Parco) sembrerebbeuna scelta in grado di contribuire aduna maggiore chiarezza nei rapportiinteristituzionali in materia di areeprotette. In questo ambito di area vastaquindi ragionare localmente in terminidi Sistema per le Aree Protette, pianifi-candone la tutela e lo sviluppo inmaniera coordinata e sinergica, con-sentirà al livello provinciale non solodi muoversi in coerenza con le grandistrategie di scala europea e regionale,ma ad anticipare l’attuazione, per leproprie competenze ed il proprio terri-torio, di un network ambientale chericonnetta i nodi dispersi delle isole dibiodiversità diffuse sul territorio comu-nitario, esaltandone il ruolo di riequili-brio ambientale.

*Successivamente alla redazione dei presenti articoliil PPSES della provincia di Prato è stato adottatocon D.C.P. n.89 del 22/11/2006.

*Responsabile del Piano territoriale di coordinamento,del Sit e dell’Osservatorio sul Governo del Territoriodella Provincia di Prato.

che concorreranno alla formazionedella parte strategica dello strumentoregionale, legata a filo doppio con ilPiano regionale di sviluppo e con iPiani di settore regionali, strategiederivate esplicitamente dai temiaffrontati in sede di pianificazioneeuropea. Una delle quattro strategie,che dovranno poi essere declinatelocalmente al livello di pianificazioneprovinciale e comunale e di settore,riguarda il sistema delle aree protette,esplicitando il seguente obiettivo(Documento di avvio del procedimentoper l’adeguamento del Pit, luglio 2005,pp.7-8):le reti ecologiche ed i grandi corridoiambientali: finalizzato al riconosci-mento del sistema delle aree protettecome risorsa di rango regionale perrafforzare, in collaborazione con lealtre regioni e le istituzioni locali larete delle continuità ambientali e i ter-ritori montani con particolare riferi-mento all’Appennino tosco-emiliano.Al di là del richiamo al sistema dellearee protette nel loro complesso, comesi vede, tuttavia la strategia, e soprat-tutto la sua declinazione nel seguitodel Documento, sbilancia fortemente iltema sul fronte “montano”, eclissandoil ruolo delle reti ecologiche e dellearee protette nei territori collinari e dipianura5. Sarebbe più opportuno scin-dere gli aspetti strettamente montanida quelli riferiti alle reti ecologiche edalle aree protette, eventualmente intro-ducendo una nuova strategia di rangoregionale, sviluppando in tal modoesplicite azioni orientate ai territorimontani così come esplicite azioniorientate alle reti ecologiche ed allearee protette, in linea con la Dgr 1148del 21 ottobre 2002 e con il 4°Programma regionale per le aree pro-tette 2004-2007. Giova ricordare ilparticolare interesse provinciale per iltema in esame, tema rispetto al qualele province svolgono una serie di fun-zioni loro attribuite dall’art.3 della Lr56/2000 e dalla Lr 49/95, funzioni cheil Pit potrebbe ulteriormente imple-mentare. Si tratta in fondo di un ruolodecisamente di rango sovracomunale,nell’ambito del quale le province, al dilà del grande lavoro di conoscenza etutela ambientale già svolto, hannoancora riserve di potenzialità inespres-

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nire una forma di gestione unitaria edintegrata del sistema.Dal punto di vista programmatico larisposta non può che collocarsi nellostrumento che naturalmente si offreallo scopo, ovvero il Piano plurienna-le di sviluppo economico e sociale delsistema delle aree protette provinciali,previsto dalla normativa regionale inmateria di aree protette. Per meglio inquadrare le prospettiveentro cui si colloca Il Piano in oggettoè utile ricordare che tale strumento èprevisto dalla Legge Quadro sulle areeprotette limitatamente ai Parchi,essendo finalizzato alla promozione diforme di sviluppo economico e socialecompatibili con gli obiettivi della con-servazione, in riferimento ai contenutidel Piano e del Regolamento per ilparco.La Lr Toscana sulle aree Protette (Lr49/95) ha poi esteso anche alleRiserve provinciali la necessità di pre-disporre il Piano di sviluppo economi-co e sociale, confermandone la naturaed il riferimento alla disciplina delRegolamento delle Riserve (ma nondel Piano, che per le Riserve non èprevisto); la natura e gli obiettivi delpiano sono stati inoltre oggetto diappositi indirizzi regionali secondo iquali le Province si devono far caricodi estendere tale strumento, oltrechèalle riserve provinciali, anche alle areeProtette di competenza Comunale, lecosidette “Anpil”, in un ottica di“Sistema provinciale di aree Protette”. Il Piano di Sviluppo provinciale checosì viene a configurarsi si trova peròprivo dei fondamentali riferimenti in

Il Ppses della Provincia di Prato

anche molto vicino ai maggiori inse-diamenti di Prato e Montemurlo. Alle prime due aree protette, Areanaturale protetta di interesse locale(Anpil) del Monteferrato e RiservaProvinciale di Acquerino-Cantagallo,si sono aggiunte infatti due ulterioriAnpil, (Alto Carigiola e Monti dellaCalvana), ed altre tre sono attualmen-te in fase di istituzione, essendo pro-poste già recepite a livello regionale(Artimino, Pietramarina, Cascine diTavola).Una tale evoluzione, sia in terminiquantitativi che qualitativi, producen-do un notevole incremento d’interessee di attività sulle aree protette, ha alcontempo evidenziato la necessità diuna seria riflessione circa le prospetti-ve e le potenzialità di uno sviluppo ditanta parte del territorio provincialeche possa essere realmente compatibi-le con le ragioni della tutela: è emersal’urgenza di rispondere in manieraintegrata, sia in termini programmati-ci che operativi, alle diverse esigenzee problematiche riferite alle specificitàdelle singole aree ed al sistema nelsuo complesso.In merito alle problematiche gestionalila risposta che si sta formulando alivello provinciale, sulla scorta delleesperienze di gestione coordinata atti-vate sulle aree protette di prima isti-tuzione, è fortemente connotata nelsenso dell’unitarietà a livello di siste-ma provinciale: è stata per questorecentemente stipulata un’intesa tra laProvincia, tutte le Amministrazionicomunali e la Comunità Montana, ilcui obiettivo è proprio quello di defi-

Un percorso tra cono-scenza, tutela e sviluppoElisabetta Cancelli*

L’elaborazione del Piano di sviluppodelle aree protette della Provincia diPrato1 si colloca all’interno del per-corso inaugurato dall’Amministrazioneprovinciale nel 1998, con l’istituzionedelle prime due aree protette, e strut-turatosi, nel corso dei successivi ottoanni attraverso una serie di azioniintegrate orientate alla conoscenza,alla tutela ed allo sviluppo del territo-rio provinciale e dei suoi valori. La scelta dell’Amministrazione didedicare energie e risorse alla risco-perta ed alla valorizzazione delleidentità territoriali nelle diverse com-ponenti naturalistica, storico-testimo-niale del paesaggio, delle economie,trova diffusamente riferimento nellaprogrammazione generale della pro-vincia, in cui le specificità del territo-rio costituiscono altrettanti elementidi un sistema integrato, ma al con-tempo diversificato di sviluppo di cuiè parte anche il sistema delle areeProtette provinciali.In tale contesto il Sistema delle areeprotette provinciali si è evoluto, attra-verso tre fasi di programmazioneregionale2, sino ad assumere una con-formazione particolarmente significa-tiva in termini di relazioni interne edesterne al territorio provinciale, occu-pando quasi il trenta per cento delterritorio, interessando tutti i comunidella Provincia, e più di un terzo delconfine provinciale, e collocandosi

Ambiente e territorio

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Urbanistica INFORMAZIONI

ficamente orientati rispetto alle carat-teristiche proprie dei vari elementi delsistema in materia ditutela delle risor-se del territorio, fruizione compatibile,sviluppo delle attività economiche eproduttive tradizionali e compatibili- la “banca progetti” condivisa, comeselezione delle progettualità attive sulterritorio e riferimento per l’imple-mentazione dei progetti integrati, sucui attivare opportune forme di parte-cipazione, anche come percorsi tema-tici di Agenda21 locale.Ciò che contraddistingue l’esperienzapratese rispetto alla struttura delPiano di sviluppo economico e socialedelineata nelle apposite linee guidaregionali3 consiste essenzialmente nel-l’inserimento di una sezione cartogra-fica, sia di quadro conoscitivo che diprogetto, e di una sezione di naturadisciplinare, con cui, in attuazionedegli indirizzi del Piano territoriale dicoordinamento provinciale, si defini-scono elementi di coordinamento perla disciplina delle singole aree.La scelta di arricchire il Piano di svi-luppo di contenuti più propri di unPiano e di un Regolamento del Parco,come la presenza di una cartografiaconoscitiva e progettuale dedicata,nonché di elementi disciplinari, oltre-ché capace di agevolare successivefasi gestionali, corrisponde alla neces-sità di ovviare alla mancanza, giàricordata, di una pianificazione e diuna disciplina specifica per la tuteladi tali aree, configurando un quadrodi riferimento integrato a cui riferireuno sviluppo socio-economico com-patibile con la tutela dei valori checaratterizzano il sistema.La definizione di progetti integrati disistema, infine, verso i quali far con-vergere ed in cui strutturare organica-mente le progettualità selezionatenella banca progetti costituisce unulteriore elemento che conferisce alPiano la necessaria flessibilità edaggiornabilità, e che potrà essere par-ticolarmente utile nella gestione amedio-lungo termine dello stesso.

* Referente per le Aree Protette e la Tutela dellaBiodiversità della Provincia di Prato.

Note1. Il Piano pluriennale di sviluppo economico esociale delle aree protette della Provincia di Prato havisto la Relazione preliminare d’indirizzo approvata

di Coordinamento Provinciale, dandoluogo ad una struttura di Piano cheintegra fortemente gli aspetti dellaconoscenza, della tutela e dello svi-luppo, conferendo ad ognuno di essi ilruolo di obiettivo, ciascuno articolatoin modo funzionale al conseguimentodi uno sviluppo economico e socialedel territorio delle aree Protette com-patibile con le esigenze della tutela.Gli obiettivi generali del Piano, comedefiniti nella Relazione preliminare diindirizzo, approvata nel dicembre2005, sono: 1. definire una identità del Sistemacondivisa, in riferimento alle specifici-tà caratteristiche delle diverse aree;2. definire specifici elementi di indi-rizzo per il mantenimento dei valoriidentitari del Sistema, per la loro frui-zione ed il loro utilizzo compatibile eper l’attuazione delle forme di con-trollo;3. definire gli elementi programmaticiper uno sviluppo economico e socialedel sistema che concorra al manteni-mento ed al rafforzamento dei suoivalori identitari.Questi tre macro obiettivi sono statisviluppati in obiettivi specifici o azio-ni che conferiscono al Piano unastruttura articolata in:- un quadro conoscitivo comprendenterelazione analitica, cartografia temati-ca georiferita (in scala 1:25.000 per ilsistema provinciale nel suo complessoe in scala 1:10.000 per ciascuna areaprotetta), e schedatura delle emergen-ze naturalistiche e dei manufatti- una relazione generale comprenden-te definizione delle caratteristiche,potenzialità e ruolo dei sottosistemi edelle singole aree, motivazioni edintenzionalità del Piano- una sezione cartografica di Progetto,ove si individuano i diversi “luoghi”del Sistema, i luoghi della conserva-zione, i luoghi della fruizione, i luoghidello sviluppo, cui riferire una disci-plina di Sistema- una sezione disciplinare di Progetto,ove sono definiti gli elementi ed indi-rizzi per il coordinamento degli stru-menti regolamentari e gestionali dellesingole aree, riferita ai diversi “luo-ghi” del sistema- i progetti integrati di sistema, riferitial quadro disciplinare definito e speci-

termini di indirizzi e disciplina per laconservazione e tutela delle aree pro-tette del sistema, poiché né per leRiserve, né per le Anpil è previsto unPiano del genere, e per queste ultimeneppure un regolamento, e d’altrondeneppure il Piano territoriale diCoordinamento provinciale comprendetale dettaglio.Ciononostante, una tale evoluzionedel Piano, e la recente conferma comeAtto di Governo del territorio da partedella Lr 1/2005, lo rende senz’altroun’ottima occasione per fornire quelquadro di indirizzo integrato necessa-rio ad orientare e favorire uno svilup-po socio-economico del territoriocompatibile con la tutela dei valoriche esso reca.Tale circostanza è rafforzata per lapresenza all’interno del Piano, di unasezione di natura propriamente pro-gettuale, definita “banca-progetti”,intesa come riferimento per l’attiva-zione di finanziamenti, di partenariatied in generale di sinergie, nonchéstrumento utile a ridurre quella dis-persione di energie e risorse che natu-ralmente si associa ad una progettua-lità frammentata.Con la consapevolezza delle potenzia-lità di questo Piano, della sua attuali-tà nella risposta alle problematichecorrenti, e sulla scorta della recente efruttuosa esperienza di Agenda21 pro-vinciale, l’Amministrazione ha poifatto la scelta, assai significativa, diporre la partecipazione come premessadel Piano: è stato attivato uno specifi-co forum tematico aperto a tutti isoggetti interessati e dedicato sia allaformulazione di Linee Guida per l’ela-borazione del Piano, che alla raccoltadelle progettualità presenti sul territo-rio.I principali portatori d’interesse, indi-viduati tra le istituzioni e l’associazio-nismo ambientalista e sociale, opera-tori dei settori agricolo e turistico,hanno così prodotto un quadro diriferimento condiviso in merito alleproblematiche della tutela e dello svi-luppo ed una proposta di alcune idee-guida per la formazione e l’orienta-mento e la struttura del Piano.Le indicazioni emerse dal forum sisono così affiancate al quadro disci-plinare definito dal Piano territoriale

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Urbanistica INFORMAZIONI

Sistema provinciale delle aree protette.Sono state prodotte distinte cartografietematiche, in scala 1:25.000, riferite alSistema delle aree protette provincialinel suo complesso e contestualizzatorispetto al sistema della viabilità e del-l’accessibilità: la lettura per temi dellaconsistenza, dislocazione ed effettivafruibilità dei valori presenti nellediverse aree protette diventa cosìanch’essa un importante supporto peril processo di definizione del potenzia-le ruolo di ciascuna area nell’ambitodel sistema. La sezione cartografica del Quadroconoscitivo si completa poi di singolecartografie dedicate a ciascuna areaprotetta, realizzate in scala 1:10.000,come sintesi dei temi, cartografici edalfanumerici, sviluppati.Nell’affrontare l’analisi delle emergenzedi carattere geo-ambientale sono statiselezionati gli elementi ritenuti piùsignificativi dal punto di vista paesag-gistico, di risorsa ambientale e turisticae sono quindi stati articolati nelleseguenti categorie: Fonti e sorgenti,Forre, Cascate e Marmitte, Grotte,Geositi, Doline, Campi carreggiati,Picchi, Creste, Biancane, aree estrattiveed Affioramenti ofiolitici. Una specificaoperazione di schedatura è stata realiz-zata limitatamente alle Fonti.Le emergenze vegetazionali, localizzatetramite Gps e l’utilizzo di ortofoto,sono invece state trattate secondoun’articolazione comprendente:- habitat di interesse conservazionisti-co, ai sensi della normativa comunita-ria, nazionale e regionale per la tuteladella Biodiversità3, i cui dati sono deri-vati dalle campagne di indagine pro-mosse in collaborazione con leIstituzioni Universitarie, già condotte etutt’ora in corso;- aree di notevole interesse botanico,ovvero che presentano caratteristichepeculiari all’interno del territorio pro-vinciale, desunte dai dati già disponi-bili nell’ambito del Sit provinciale;- alberi monumentali.Per ciò che riguarda l’individuazionedei manufatti di valore è stata realizza-ta una individuazione preliminare dellerisorse, suddivisa per aree protette, eper Comuni, attribuendo a ciascunoggetto un numero ed individuandolocartograficamente: le categorie prese in

dei valori del territorio delle aree pro-tette, con organizzazione del dato inarchivi geograficamente riferiti, secon-do gli standard e le specifiche tecnichedel Sit provinciale.Ai fini di questa operazione, le infor-mazioni ed i dati già disponibili trami-te il Quadro conoscitivo del Ptc pro-vinciale, sono stati opportunamenteprecisati, verificati ed arricchiti tramitegli esiti delle ulteriori indagini giàsvolte sul territorio provinciale e dellearee Protette ed integrate con appro-fondimenti realizzati specificamenteper l’elaborazione del Piano1, compren-denti:- ricognizione sullo stato della pianifi-cazione regionale e comunale sullearee protette;- aggiornamento ed implementazionedei dati relativi agli aspetti socio-eco-nomici già disponibili;- approfondimenti comprendenti larealizzazione di banche dati Gis orien-ted, con l’articolazione del dato inparte geografica e parte alfanumerica,relativamente ad emergenze geo-ambientali, emergenze vegetazionali,manufatti di valore, reti per la fruizio-ne.La ricognizione dei vigenti strumentidella pianificazione comunale, restitui-ta anche con apposita cartografia, ètesa ad individuare gli elementi, siavegetazionali che geoambientali chearchitettonici, sottoposti a disciplina diparticolare tutela e gli elementi indicatiper lo svolgimento di attività finalizza-te alla fruizione e allo sviluppo, qualiattività sportive, ricreative, ricettive esimili. Tale ricognizione, evidenziandola percezione a livello locale delle areeprotette, costituisce un passaggio digrande rilevanza affinché il Piano diSviluppo possa essere opportunamente“contestualizzato” e capace di dialoga-re con le previsioni degli strumenti edelle discipline attivi sulle aree protet-te. D’altronde, l’analisi degli aspettisocio-economici condotta secondo iltracciato dalle Linee guida regionali2,comprendendo analisi circa il popola-mento, le tendenze demografiche, leattività economiche e produttive, i ser-vizi ambientali offerti, è il presuppostoed il riferimento fondamentale perdefinire il possibile campo dello svilup-po economico e sociale compatibile del

con Dcp n.81 del 7/12/2005 e l’Avvio delProcedimento, ai sensi della Lr 1/2005, approvatocon Dgp n. 48 del 27/2/2006. Il Gruppo di Lavoro èstato costituito nell’ambito dell’Assessorato allePolitiche del Territorio (Assessore Nadia Baronti) edell’Area pianificazione e gestione del territorio(Direttore Aldo Ianniello) con il Dirigente del servi-zio governo del territorio Carla Chiodini comeResponsabile del Procedimento, Elisabetta Fancelli,Savina Mazzantini e Daniele Mazzotta comeProgettisti e Daniela Quirino, Marco Bagnoli e CinziaBartolozzi come Collaboratori.2. Il II°, il III° ed il IV° Programma regionale trien-nale per le aree Protette di cui all’art. 4 della Lr 11Aprile 1995, n. 49 “Norme sui parchi, le riservenaturali e le aree naturali protette di interesse loca-le”.3. “Linee Guida per la Formazione dei Piani plurien-nali di sviluppo economico e sociale delle aree pro-tette” approvate con Dgr Toscana n. 1156/1999.

La conoscenzaElisabetta Fancelli*,Savina Mazzantini**

La conoscenza come obiettivo è unelemento che caratterizza fortemente ilPiano di sviluppo economico e socialedelle aree protette della Provincia diPrato in formazione: la Relazione pre-liminare di indirizzo del Piano, appro-vata nel dicembre 2005, si pone infatticome primo grande obiettivo la defini-zione di una identità del sistema con-divisa, ovvero il passaggio dalla cono-scenza dei valori delle singole aree allaconsapevolezza delle loro potenzialitàquali elementi di identificazione. Tale“identità” del sistema diventa il riferi-mento per il conseguimento degli altridue macro-obiettivi del Piano, ovverola definizione degli elementi disciplina-ri e la definizione degli elementi pro-grammatici che possano tracciare unosviluppo delle aree Protette compatibilecon la loro tutela. In ciò è assai signi-ficativo il fatto che la definizione del-l’identità del sistema corrisponda aduno degli indirizzi più sentiti del per-corso di partecipazione promosso tra-mite il forum tematico di Agenda21,appositamente dedicato al Piano mede-simo e finalizzato alla definizione diLinee guida proprio per l’elaborazionedi questo strumento di settore. Con talipresupposti è stato strutturato unQuadro conoscitivo precisamenteorientato, sempre nella Relazione preli-minare d’indirizzo, allo scopo di forni-re un quadro identificativo esauriente

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Urbanistica INFORMAZIONI

parte di una pluralità di soggetti graziealla condivisione del dato. L’attuazionedel piano di sviluppo tramite l’attiva-zione della banca progetti potrà esserecostantemente monitorata e valutatagrazie a questa impostazione delleconoscenze. Un ulteriore elemento che completa ilQuadro conoscitivo del Piano è costi-tuito dalla redazione di schede di pae-saggio dedicate alle singole aree pro-tette, schede che ne offrono una letturadi grande immediatezza.In esito a tale percorso conoscitivo, enon volendo qui scendere nel dettagliodella caratterizzazione di ciascuna areaprotetta, preme evidenziare come l’im-magine complessivamente restituita delSistema delle aree protette provincialevoglia essere una lettura contestualedell’insieme dei valori in termini dirisorse naturali ed antropiche, nonchédelle reciproche relazioni che li rendo-no elementi di potenziali “reti”. E’ apartire da tale operazione che è quindipossibile passare a definire, nellasezione progettuale, forme e terminiper l’attivazione di quelle sinergie trale reti o sistemi individuati, capaci difavorire lo sviluppo socio-economicosostenibile del territorio delle aree pro-tette della Provincia di Prato.

* Referente per le aree Protette e Tutela dellaBiodiversità della Provincia di Prato.**Referente per i Rapporti con la PianificazioneComunale della Provincia di Prato.

Note1. Le elaborazioni cartografiche e gli approfondimentidi natura geo-ambientale sono stati curati dal dottoregeologo Daniela Quirino; gli approfondimenti dinatura vegetazionale dal forestale Marco Bagnoli; gliapprofondimenti sui manufatti di valore dall’architet-to Cinzia Bartolozzi, i database relazionali alfanume-rici sono stati sviluppati dall’ingegnere LorenzoCipriani.2. “Linee guida per la formazione dei Piani plurienna-li di sviluppo economico e sociale delle aree protette”approvate con Dgr Toscana n. 1156/19993. Dir. 92/43/Cee, “Habitat”: conservazione degli habi-tat naturali e seminaturali, della flora e della fauna,dal Dpr 357/97 “Regolamento di attuazione direttiva92/43/Cee, Habitat” e dalla Lr 56/2000 “Norme per laconservazione e la tutela degli habitat naturali eseminaturali, della flora e della fauna selvatiche”4. Progetto di informatizzazione e georiferimento deidati sulle specie animali e vegetali protette dellaProvincia di Prato, finalizzato alla diffusione pubblicadei dati, all’implementazione del Sit Provinciale,all’acquisizione di elementi conoscitivi perl’Osservatorio permanente provinciale sul governo delterritorio. Curato dal Sistema informativo territorialeprovinciale.

considerazione sono state le strutturedella produzione, le emergenze archi-tettoniche, le strutture per l’agricoltura,la castanicultura, l’alpeggio, le cascine,i borghi, i luoghi del sacro, la viabilitàdi interesse storico, i ponti, i residui distrutture belliche. Dato il numero ele-vato di risorse storicamente ed archi-tettonicamente rilevanti, sono stateanalizzate in dettaglio solo quelle piùsignificative o funzionali agli intentidel piano, producendo una schedaturaparticolarmente accurata ed arricchitacon documenti ed iconografie d’archi-vio.Infine, il quadro conoscitivo del Pianocontiene un’analisi delle reti per lafruizione del sistema provinciale dellearee protette che comprende i principa-li elementi, reti e strutture di servizioper l’accesso e la percorrenza all’inter-no delle diverse aree: rete di collega-mento, strutture specializzate e retiinformative. Tale elaborato conoscitivodiscende da un progetto provinciale dipiù ampio respiro denominato “Cartadel Patrimonio” teso alla realizzazionedi un percorso che attraversi il territo-rio provinciale e crei opportuni colle-gamenti tra le emergenze storiche,naturalistiche e culturali di ciascunaporzione, in modo da valorizzare lediversità dei distretti subterritoriali. Intermini metodologici è senz’altro dasottolineare la scelta di connotare ilQuadro Conoscitivo del Piano con unaorganizzazione del dato in forma didatabase relazionale georiferito, che neconsente il raffronto e la lettura incro-ciata con qualsiasi genere di dato terri-toriale. Tale metodo, già positivamente“testato” nell’ambito del Sit. provincia-le grazie al progetto “ARCA”4 di geori-ferimento dei dati sulle specie vegetalied animali protette, conferisce flessibi-lità e capacità di implementazione deiquadri conoscitivi risultando un impor-tante supporto per i diversi processi dipianificazione settoriale, comunale eprovinciale; prova ne è il fatto che icontenuti del progetto “ARCA” medesi-mo costituiscono, in modo esaustivo esenza ulteriori elaborazioni, la sezionedel Quadro Conoscitivo del Piano dedi-cata alla biodiversità. La georeferenzia-zione dei dati consente inoltre di atti-vare processi valutativi basati su daticerti e di immediata reperibilità, da

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Lo spazio europeo a livello localea cura di Igor Jogan eDomenico Patassini

Quale sarà nel prossimo futurol’influenza esercitata dalle istitu-zioni europee sulle pratiche dipiano a livello locale? Questovolume si propone di avviare unariflessione da prospettive diversee su oggetti specifici: dalle varia-bili di sistema (strumenti, compe-tenze) all’attuazione dei progetti,dalle problematiche di caratteremetodologico a quelle propriedelle politiche di valorizzazionedell’informazione tecnica e geo-grafica.

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INU Edizioni Volumi

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OMAGGIO A ROMANO VIVIANI

Commemorare Romano Viviani è per me un grande onore e al contempo una personale difficoltà perché negli ultimi dieci anni ho diviso – per suaospitalità – lo spazio di lavoro e condiviso molte giornate e sovente il quotidiano desinare. Ciò mi ha permesso di lavorare da molto vicino con luie con lui condividere riflessioni, lavori, ricerche.

Romano, nasce a Bangkok (Tailandia) il 15 dicembre 1927, dove risiedeva la famiglia. Suo padre (Corrado, più noto col nome tailandese di SilpaBhirasri) era scultore e architetto reale ed in seguito fondatore della Scuola di Architettura e poi dell’Università locale che, per questo, porta il suonome: Silpakorn University.Studia Architettura prima a Roma e poi a Firenze, dove si laurea nel 1952.È professore di caratteri distributivi degli edifici e poi di Urbanistica all’Università di Firenze, dove è stato anche direttore dell’Istituto di RicercaArchitettonica. E’ stato promotore e primo presidente del Consiglio Europeo degli Architetti, consigliere della Regione europea nell’Unione inter-nazionale Architetti, presidente dell’ordine degli architetti della Toscana, e vice presidente nazionale, consigliere della Triennale di Milano, nonchémembro effettivo dell’Istituto nazionale di Urbanistica e Presidente onorario della Sezione Toscana.Oltre all’attività di studio e ricerca di livello universitario, ha svolto un’ampia attività di studio e di formazione nel campo dell’urbanistica, nazio-nale e internazionale, all’interno dell’Ordine degli Architetti e una parallela attività professionale in tutti i livelli della pianificazione, da quella ter-ritoriale fino a quella attuativa ed esecutiva.Nella sua ultra cinquantennale esperienza di ricerca, studio e professione ha redatto o collaborato a dieci piani di area vasta, quarantaquattro pianiregolatori generali, ventidue piani attuativi. Ha quasi sempre trasferito questa sua pratica in riflessioni a stampa e libri, che hanno via via esplo-rato tutti i temi e gli argomenti disciplinari negli ultimi quattro decenni.Ha avuto anche responsabilità amministrative nell’area centrale della Toscana ed è stato membro per più di un ventennio della CommissioneTecnico-Amministrativa della Regione Toscana.

«Fare Urbanistica? Prima di tutto cultura e poi politica», amava ripetere. In queste poche parole può racchiudersi l’esperienza di vita e di lavoroaccademico, professionale e politico di Romano. Scomparso improvvisamente, martedì 21 novembre all’età di 79 anni, nel pieno di una intensaattività di lavoro come pianificatore: aveva appena visto adottare il Piano strutturale e relativo Regolamento edilizio e urbanistico di Gioia Tauro,era occupato all’aggiornamento del Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Siena, alla redazione dei Piani strutturali e relativiRegolamenti Urbanistici di Sassetta, Capoliveri, Monteverdi, del Regolamento Urbanistico di Signa, al Piano particolareggiato del centro storico diAnghiari, all’avvio del Quadro conoscitivo di Palmi; ma anche di una selezionata attività di progettista, l’ultimo in ordine di tempo l’ampliamentodella Fiera di Massa Carrara (inaugurata qualche settimana addietro); nonché di una altrettanto intensa attività di esploratore “sul campo” – comeamava definirla – sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. «Urbanistica è politica» e «il piano lo strumento per darle senso». Concepiva, infatti, il piano come un processo cooperativo interistituzionale chetramite azioni specifiche doveva tendere a correggere il tessuto economico e sociale esistente, più che la forma della città e del territorio.Rivendicando, in tal modo, una sorta di “politicità” essenziale nell’operare tecnico, di “olivettiana” memoria. Se urbanistica è politica, di conse-guenza, il piano non può che essere pubblico. Questo il suo più forte messaggio che lo accosta ai grandi pensatori del Novecento, proiettandoloal futuro. Solo il piano pubblico, infatti, può affrontare le questioni dell’equità distributiva e della regolamentazione del mercato, di quello edili-zio prima di tutto. Il piano pubblico, nella visione di Romano, non era altro che un progetto implicito di governo del territorio, non solo di urba-nistica, che si rendeva esplicito mediante la trasposizione dell’azione privata.Proprio per questo, continuava a dire, l’attenzione deve essere rivolta verso «la cultura politica e l’apparato amministrativo», sono questi che svol-gono un ruolo essenziale nella costruzione del progetto implicito, che danno cittadinanza alle idee di trasformazione, che «conservano attiva-mente» e «costruiscono» i paesaggi e il territorio e controllano il passaggio al progetto esplicito. Nella visione di Romano, la disciplina, gli stru-menti, il sapere tecnico stratificato hanno certo un peso e un ruolo significativo nella definizione delle politiche pubbliche e nel loro trasferimen-to in piani, programmi e progetti, ma è la sensibilità della cultura delle classi dirigenti, dei politici e degli amministratori che dà vibrazione e gambeal governo pubblico delle città e dei territori.Questo è il percorso che Romano ha praticato e che lascia a noi, alla maniera dei grandi maestri, come insegnamento.

Giuseppe De Luca

Romano Viviani (Bangkok 1927 - Firenze 2006)

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una finestra su:

costruzione dell’Auditorium diBarcellona e del Teatro Nazionale dellaCatalogna, la ristrutturazione e riutiliz-zo, come centro commerciale (Glòries),della vecchia fabbrica della Olivetti; e,più di recente, con l’aperturadell’Avenida Diagonal fino al frontemarittimo, la realizzazione di un cen-tro per conferenze ed esposizioni (l’a-rea del FORUM 2004) e lo sviluppo delcomplesso, per uffici e residenze, diDiagonal-Mar. Questi progetti insiemeal piano Sagrera-Sant Andreu – cheriguarda la prossima riqualificazione diun’ampia area destinata ad ospitare lafutura stazione del Treno ad AltaVelocità – compongono i tasselli dellastrategia del Comune di Barcellona diridisegnare spazio e funzioni del setto-re nord-est della città. Il piano22@Barcelona, che rappresenta la piùgrande operazione di riqualificazioneurbana attualmente in corso nella cittàcatalana, costituisce una parte inte-grante di questa strategia di trasforma-zione urbana (figura 1). L’obiettivo del 22@Barcelona è di tra-sformare le vecchie aree industriali diPoblenou in un moderno distretto pro-duttivo, all’interno del quale attivitàcorrelate alla knowledge-based eco-nomy si integrano con funzioni di tiporesidenziale, commerciale e di svago.Incentivare lo sviluppo di funzioniproduttive avanzate – attraverso unanuova organizzazione dello spazio e lacreazione di moderne infrastrutture – efacilitare le relazione tra mondo pro-duttivo e sistema della ricerca costitui-scono i principali vettori attraverso cuiil progetto 22@Barcelona intende per-

a cura di Marco Cremaschi

Il piano di trasforma-zione urbana22@BarcelonaFabrizio Guzzo*

Il quartiere di Poblenou

Il piano di riqualificazione urbana22@Barcelona riguarda una vastaarea, di quasi 200 ettari, compresaall’interno dell’antico quartiere indu-striale di Poblenou, situato nel settorenord-est della città di Barcellona (figu-ra 1). Primo importante centro industrialedella penisola iberica, l’area diPoblenou fu nominata, durante ildiciannovesimo secolo, la Manchestercatalà a causa della rilevante presenzanel quartiere di imprese tessili. Duranteil secolo successivo, la localizzazionedi nuove imprese, nel campo dell’indu-stria meccanica, della chimica e dell’a-gro-alimentare, favorisce l’ispessimentoe la diversificazione del tessuto produt-tivo del barrio. La metà degli anni ses-santa del novecento segnano l’iniziodel processo di deindustrializzazionedell’area, che determina un indeboli-mento radicale del tessuto produttivolocale, il progressivo abbandono dellearee industriali e il declino della strut-tura fisica urbana. La rigenerazione di Poblenou ha iniziosul finire degli anni ottanta, con il rin-novamento del fronte marittimo e lacreazione dell’area Vila Olimpica-Nuova Icària, in occasione dei GiochiOlimpici del 1992. Il processo diammodernamento prosegue poi con la

Barcellona è stata un modello percome ha curato lo spazio pubblico, enon (solo) il commercio; per laconvivenza, e non la ghettizzazione,dei gruppi sociali; perché hapromosso il recupero, e non (solo)l’espansione o la demolizione. Ma Barcellona è diventata unmodello anche per altri motivi: habrillantemente superato il passatoindustriale ed è venuta creandosiuna nuova base produttiva; hasaputo poi finalizzare le Olimpiadi ei grandi eventi ai progetti urbani,rinnovando il fronte mare; e infine,ha costruito un piano strategico disuccesso, sia un po’ formalista. Ma, afferma Oriol Nello, docente eresponsabile della pianificazionecatalana, la città è un modellosoprattutto perché alimenta la‘speranza’ dei suoi cittadini,diventando più ricca, ma menodiseguale. In Catalogna le politiche urbanesembrano incrociare coesione esviluppo in modo equilibrato: sefosse così, la lezione di Barcellonasarebbe allora che le città possonofare la differenza.

Barcellona

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Urbanistica INFORMAZIONI

Il Piano intende dotare il distretto diun sistema infrastrutturale avanzato emoderno funzionale alle esigenze delleattività produttive che si intende atti-rare nell’area4.Un altro aspetto particolarmente inte-ressante del processo di trasformazioneriguarda, infine, l’intenzione di preser-vare il consistente patrimonio storicoindustriale di Poblenou. A tal propositoè stato redatto un piano specifico, ilPlan Especial del PatrimonioIndustrial, che prevede la conservazio-ne e la ristrutturazione di oltre un cen-tinaio di vecchi stabilimenti industriali,che saranno utilizzati per ospitarenuove funzioni.Complessivamente il piano22@Barcelona intende generare, nelgiro di 15-20 anni, oltre 3 milioni dim? di nuova superficie da destinare afunzioni produttive, più di 100 milaposti di lavoro, un numero considere-vole di residenze in regime di protezio-ne sociale, nuovi spazi e strutture pub-bliche (tabella 1).

Conclusioni

Il piano 22@Barcelona rappresentauno scenario complesso, caratterizzatodagli interessi dei principali promotoriimmobiliari di Barcellona, dalle spe-ranze e preoccupazioni dei residenti diPoblenou e dal ruolo centrale dellafunzione regolatrice del governo loca-le, che ha efficacemente limitato glieccessi di una riqualificazione urbanaspeculativa, stabilendo obiettivi e prio-rità per lo sviluppo futuro dell’area. Ad una più giusta distribuzione deicosti e benefici correlati al processo diriqualificazione e ad un’adeguata pre-servazione dell’identità del quartiere hacontribuito, fino ad ora, in modo rile-vante anche l’azione delle associazionidi quartiere, dei residenti e di gruppi diintellettuali, che già in passato aveva-no respinto con successo proposte diriqualificazione dell’area eccessivamen-te speculative5. Proteste per una mag-giore considerazione della dimensionesociale del processo di trasformazionesono state avanzate in modo energiconella fase di pianificazione e approva-zione di alcuni progetti esecutivi del22@Barcelona, com’è ad esempioaccaduto nel caso del Piano Eix-

consolidati (di cui non è prevista lademolizione).Le norme che regolano il processo diriqualificazione dell’area stabilisconoun articolato sistema di incentivi emeccanismi di redistribuzione perattrarre funzione economiche elevate,favorire la localizzazione di centri diricerca e formazione, costruire nuovestrutture pubbliche ed edilizia residen-ziale sociale e agevolata e potenziarela dotazione di spazi e strutture pub-bliche. In particolare, per facilitare l’attrazionedi attività produttive avanzate - cherientrano nella nuova classificazione,attività @2, introdotta dalla variante alPRM - il piano 22@Barcelona attribui-sce un indice di edificabilità più eleva-to per le iniziative di promozioneimmobiliare che destinano una quotadello spazio trasformato a questo tipodi attività. Con l’obiettivo di rafforzare la presen-za di funzioni elevate all’interno deldistretto e facilitare l’interazione tra ilmondo produttivo e il sistema univer-sitario e dei centri di ricerca e sviluppotecnologico, il piano stabilisce, inoltre,che il 10% del suolo generato dal pro-cesso di trasformazione debba essereconcesso al settore pubblico e destina-to ad accogliere strutture definite 7@,che comprendono sedi universitarie,laboratori di ricerca e trasferimentotecnologico, centri di formazione eincubatori di impresa. Il processo di riqualificazione deldistretto 22@Barcelona tende anche aconsolidare la funzione abitativa dell’a-rea. La variante al PRM legalizza efavorisce l’ammodernamento di 4,614alloggi abusivi, costruiti in passatoall’interno di zone con una destinazio-ne d’uso del terreno per sole attivitàindustriali, e promuove la costruzionedi nuova edilizia residenziale agevolata(3,500 – 4,000 alloggi)3, la realizzazionedi hotel e appartamenti per locazione abreve termine, ad uso aziendale, e l’am-modernamento e di alcuni stabilimentiindustriali per la creazione di loft.Un Piano Speciale per le Infrastruttureè stato, inoltre, approvato prima dell’i-nizio del processo di trasformazione inmodo da assicurare l’impegno e il con-tributo delle iniziative private per larealizzazione del sistema programmato.

seguire la riattivazione della funzioneeconomica della zona. Lo scopo delpiano, tuttavia, non si esaurisce nellatrasformazione fisica dell’area e nellapromozione di nuove funzioni produt-tive. Il disegno strategico di sviluppodel distretto 22@Barcelona perseguealtresì obiettivi di equità e coesionesociale, nonché la conservazione dell’i-dentità e la promozione dell’unicità delquartiere, attraverso la tutela e valoriz-zazione di una parte consistente delpatrimonio industriale esistente.

Caratteristiche innovative del22@Barcelona

L’approvazione, nel 2000, della varian-te al Piano Regolatore Metropolitano(PRM) dà il via al processo di trasfor-mazione dell’area. Discostandosi dallaconcezione monofunzionale del PRMvigente, la variante sostituisce la vec-chia classificazione 22° (esclusivamenteattività industriali) con la nuova classi-ficazione 22@ - da cui deriva il nomedel piano – che introduce una destina-zione d’uso del suolo mista, in cui fun-zioni produttive (non inquinanti), resi-denziali, commerciali (escluso grandicentri commerciali) e attività per iltempo libero possono coesistere(Ajuntament de Barcelona, 2000). All’interno del piano è possibile distin-guere tre tipi principali di interventi diammodernamento. La prima tipologiariguarda la trasformazione di aree defi-nite attraverso iniziativa pubblica, checompone più del 40% del totale dellasuperficie del distretto [email protected] particolare, la variante al PianoRegolatore per l’area ha individuato seizone, considerate di importanza strate-gica per l’intero processo di trasforma-zione di Poblenou, la cui trasformazio-ne è affidata all’elaborazione, da partedel Comune di Barcellona, di sei PlansEspecials de Reforma Interior (PERI –Piani Speciali di Riforma Interiore)1. Ilsecondo tipo di interventi concerne latrasformazione di aree non definite inprecedenza, che possono essere svilup-pate attraverso iniziativa privata,secondo norme e regole stabilite nellavariante al Piano Regolatore. Infine, laterza tipologia, riguarda la trasforma-zione di blocchi, residenze e immobiliindustriali esistenti all’interno di fronti

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Il 22@Barcelona sostiene, inoltre,nuovi processi di sviluppo e diversifi-cazione dell’economia locale e l’ispes-simento delle relazioni tra tessuto pro-duttivo e mondo della ricerca, comeindicato nella strategia “Barcellonacittà della conoscenza” e nel primoPiano Strategico Metropolitano (2003). Infine, il piano è in sintonia con gliobiettivi delle politiche in camposociale e culturale, attraverso la pro-mozione di nuova edilizia residenzialeagevolata, la creazione di strutturepubbliche e spazi verdi, la tutela evalorizzazione del patrimonio architet-tonico industriale, con lo scopo di pre-servare e rafforzare l’identità socio-culturale e l’unicità dell’area.A cinque anni dall’avvio del processodi trasformazione, però, alcuni deicaratteri innovativi del piano stentanoancora ad affermarsi. In particolare,solo la metà delle nuove localizzazioniimprenditoriali rientrano nella catego-ria delle attività @ - mettendo in dub-bio la capacità del progetto di creareun distretto di funzioni economicheavanzate - e ancora poche risultano lestrutture pubbliche e gli alloggi inregime agevolato realizzati. Per quanto riguarda il primo aspetto, ètuttavia necessario evidenziare che unavalutazione più attendibile potrà essereeffettuata tra qualche anno, allorchéarriveranno nuove imprese, le strutture7@ (centri di ricerca, università, centriper il trasferimento tecnologico e per laformazione, ecc.) avranno cominciato asvolgere la propria funzione e le strate-gie previsti per ogni “motore” deldistretto saranno entrate in una faseoperativa. Per quanto concerne laseconda problematica, la lentezza concui è avanzato il processo di trasforma-zione, fino al 2005, ha reso più lungal’attesa relativa alla produzione dinuove strutture pubbliche e alloggi inregime agevolato, la cui realizzazionedipende dalla concessione di una partedel suolo trasformato dai privati al set-tore pubblico. Questo ha accresciuto lapreoccupazione e il malumore dei resi-denti e sollevato il dubbio sulla possi-bilità di realizzare un processo di tra-sformazione urbana equilibrato (chetenga in adeguata considerazione leesigenze relative a spazi e infrastruttu-re pubbliche), prescindendo da un

funzionale dell’area metropolitana econ il quadro complessivo delle politi-che urbane. Il disegno del piano è in linea con lastrategia di riqualificazione urbana dicreazione di “Nuove Aree diCentralità”7, attuata dal Comune diBarcellona sin dai primi anni ottanta.

Llacuna6 e del progetto di riqualifica-zione dell’area dove sorge l’antica fab-brica di Can Ricart, che hanno portatoil governo municipale a rivedere i pro-getti originali di trasformazione. Ad una prima analisi, il 22@Barcelonarisulta coerente e bene integrato con ilprocesso di ristrutturazione fisica e

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I numeri del 22@barcelona

Considerata la complessità del progetto e la volontà di mantenere il controllo sull’inte-ro processo di riqualificazione, l’amministrazione comunale ha creato, come già avve-nuto con altri progetti di trasformazione urbana (Giochi Olimpici, riqualificazione dellezone di Ciutat Vella, Eixample e Nou Barris), la società municipale di diritto privato,22@Barcelona SA, di proprietà pubblica1. Secondo i dati forniti dalla società 22@Barcelona SA, al 2005, la riqualificazione riguar-dante il 50% del suolo delle vecchie aree industriali risultava approvata e messa in ese-cuzione attraverso 40 piani di trasformazione, di cui 31 promossi dal settore privato, peri quali si stima la creazione di 1,240,420 m2 di nuovo spazio per attività produttive,113,239 m2 per strutture e spazi pubblici e 2,262 nuovi alloggi in regime agevolato(Ajuntament de Barcelona, 2005). Oltre 220 sono attualmente le imprese e le istituzioni localizzate (o che sono in procin-to di farlo) nel distretto urbano del 22@(2) Del totale delle imprese, poco più del 50%corrisponde ad attività @ (ICT, bio-medicina, media-marketing-comunicazione) e larestante parte riguarda invece sedi di differenti istituzioni e associazioni, hotel e risto-ranti, imprese operanti nel campo della finanza, delle assicurazioni, della formazione edella moda e società immobiliari (Peiròn, 2006). Infine, la trasformazione effettuata finoad ora ha permesso, tramite la concessione del 10% del suolo trasformato da parte deipromotori privati al settore pubblico, la creazione di nuovi spazi per strutture 7@, alcu-ne delle quali sono (e saranno) ospitate all’interno di vecchi stabilimenti industrialiristrutturati (foto 1).Al fine di tradurre le caratteristiche più innovative presenti nella strategia di trasforma-zione urbana in risultati concreti e rafforzare i rapporti di collaborazione tra i diversiattori (imprese, istituzioni, residenti ecc.), la società 22@Barcelona Sa ha individuato, direcente, i cosiddetti “7 motori” di sviluppo del distretto 22@Barcelona, per ognuno deiquali è in via di definizione un piano di sviluppo.

Superfice totale dell’area 198.26 ettari (117 blocchi)Terreno 22@ 1,159,626 m2

Nuovo spazio totale potenziale circa 4,000,000 m2

Offerta di nuovo spazio per attività produttive 3,200,000 m2

Legalizzazione delle residenze abusive esistenti 4,614Stabilimenti industriali da preservare 114

Costruzione di nuove case in regime di 3,500 – 4,000 (di cui almeno il 25%protezione sociale deve essere destinato all’affitto)

Nuovi spazi verdi 75,000 m2Spazio per nuove strutture pubbliche 145,000 m2

Nuovi posti di lavoro 100,000 – 130,000 Investmento piano inftrastrutturale 162.3 milioni di EuroPotenziale immobiliare 10 miliardi di Euro

Fonte: Ajuntament de Barcelona 2004

Note1. L’istituzione di questa società consente una gestione del processo più flessibile ed efficace, evitando la segmen-tazione del progetto tra i differenti dipartimenti municipali, e garantisce al tempo stesso un migliore controllo sullacorretta trasformazione dell’area. La 22@Barcelona SA funziona, inoltre, come anello di congiunzione tra promo-tori immobiliari e le imprese che intendono localizzare le proprie attività all’interno del distretto.2 Delle 220, 44 sono le imprese di nuova localizzazione, mentre la restante parte riguarda rilocalizzazioni diistituzioni e imprese già presenti all’interno della città di Barcellona (T-Systems, Grupo Agbar, Alstom,Barcelona Televisiò, ecc.).

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quasi impraticabile e totalmente insi-cura l’intera città storica.Come accade in ogni processo storico,anche a Santa Caterina diversi elemen-ti di crisi e novità sono andati accaval-landosi disegnando un quadro ambien-tale di riferimento complesso, nel qualeda un lato si è assistito a radicali cam-biamenti sociali (l’arrivo massiccio dinuova immigrazione e l’invecchiamen-to della popolazione esistente) e dal-l’altro a fattori congiunturali che pena-lizzando la situazione esistente sem-brano trasformarsi in opportunità per ilfuturo.Già nel 1985, con l’approvazione delPERI (Piano speciale di riforma interio-re) del settore storico orientale, e poinel 1987 con l’avvio del programmaresidenziale pubblico ARI (Area diriabilitazione integrata) esteso a tuttol’ambito della città storica, la munici-palità di Barcellona aveva investito ilquartiere di Santa Caterina con unastagione di progetti e risorse. Un lentoe cadenzato calendario degli interventiha caratterizzato gli ultimi venti annidi vita del quartiere, penalizzando laqualità della vita degli abitanti costret-ti ad una continua cantierizzazione deiloro spazi vitali, rendendo obsoleto unprogramma funzionale basato sulle esi-genze di allora, e congelando situazio-ni sociali in continuo divenire.

Santa Caterina eSant Pere Cristina Tartari*

Vecchi programmi per nuoviproblemi

L’area di Santa Caterina e Sant Pere sitrova nel settore orientale del distrettodella città vecchia di Barcellona, edoccupa un’estensione di 35,13 ettaricon una popolazione di 15.008 abitanti(censimento 2003), cui occorre aggiun-gere una quota d’immigrazione irrego-lare non censita, per lo più di originelatinoamericana, magrebina e subsaha-riana, che a tutti gli effetti producezone omogenee di concentrazione cul-turale, facilmente distinguibili dalrestante tessuto sociale del quartiere.L’area è delimitata a nord-est e nord-ovest dalla maglia ottocentescadell’Eixample di Cerdà, a sud-est dallacalle Princesa che confina con il quar-tiere della Ribera, e a sud-ovest con laVia Laietana confine con il quartiereGotico (figura 1).E’ un quartiere di fondazione medieva-le, come tale caratterizzato da unastruttura urbana densa e intricata chetrovava nelle istituzioni ecclesiastiche,quali la chiesa di Sant Pere de lesPuel.les, il centro della vita sociale ecollettiva. Al pari degli altri distretticittadini, anche a Santa Caterina lavita economica si era specializzata inun determinato settore commerciale: inquesto caso, vista la presenza di unadiffusa rete idrica oggi completamentetombata, prevalse l’industria tessile.Oggi, il quartiere di Santa Caterinasconta una situazione di depressione edegrado urbano che lo contraddistin-gue dagli altri barrios della città stori-ca, già in massima parte riqualificati eavviati ad un lento processo di trasfor-mazione urbana. Nel quartiere Gotico,nel Raval e poi ancora nella Ribera lapermanenza della funzione residenzia-le, puntuali ma diffusi progetti diriqualificazione dello spazio pubblico,la presenza di attività culturali eccel-lenti, la valorizzazione economica deltessuto commerciale e la forte pressio-ne turistica hanno sconfitto fenomenidi ghettizzazione e delinquenza urbanache per tutti gli anni ‘80 hanno reso

investimento consistente da parte delsettore pubblico. Se si esclude, infatti,la partecipazione del Comune alle spesedi ri-urbanizzazione, come avviene intutte le altre parti della città, la muni-cipalità non contribuisce infatti al pro-cesso di riqualificazione urbana, chedipende per intero dall’iniziativa priva-ta, che a sua volta risente dell’anda-mento del mercato immobiliare, deicicli economici nazionali e internazio-nali e delle dinamiche dei settori pro-duttivi avanzati, che la strategia del22@Barcelona intende attrarre.

*Dottorando presso il Dipartimento di Sociologia eScienza Politica dell’Università della Calabria.

Note1. La municipalità decide modalità e caratteristiche disviluppo di queste aree, la cui trasformazione è affi-data successivamente ai promotori immobiliari.2. Le attività@ sono definite come “emergenti attivitàrelative ai nuovi settori delle TIC, così come quelleattività che, indipendentemente dal settore economicoa cui appartengono, sono collegate alla ricerca,design, editoria, cultura, multimediale o gestione didatabase e conoscenza” (Ajuntament de Barcelona,2000: 47). Il 22@Barcelona stabilisce che i proprietaridel suolo per beneficiare appieno dei diritti di costru-zione devono prevedere che almeno il 20% del pro-gramma funzionale delle nuove promozioni debbaincludere queste attività @ (Ajuntament deBarcelona, 2005: 5). 3. Con lo scopo di preservare il tessuto sociale tradi-zionale del quartiere, l’associazione dei vicini e ilComune di Barcellona hanno raggiunto un accordoche prevede che il 33% del totale delle nuove residen-ze costruite in regime agevolato dovranno esseredestinate agli attuali residenti di Poblenou.4. Il Piano Speciale delle Infrastrutture riguarda lasostanziale riurbanizzazione dell’area (35 km di stra-de), con la creazione di nuove infrastrutture, sistemienergetici che prevedono l’utilizzo di energia rinnova-bile, reti di telecomunicazione avanzate, nuovi sistemidi distribuzione dell’acqua, raccolta differenziata deirifiuti, riorganizzazione del sistema dei trasporti e viadiscorrendo. I costi di urbanizzazione, associati alPiano delle Infrastrutture ( 167,5 milioni), sono sud-divisi come segue: 60% promotori privati, 30% socie-tà di servizi urbani e 10% Comune di Barcellona. 5. Verso la fine degli anni sessanta, un solido movi-mento urbano, composto dalle associazioni di quartie-re e dalla comunità intellettuale barcellonese, spinse ilgoverno locale a rigettare un piano di trasformazionedell’area, dai chiari intenti speculativi, presentatodalla società privata Ribera SA, finalizzato alla crea-zione di un complesso residenziale di lusso (Marrero,2003; Oliva, 2003).6. La protesta delle associazioni di quartiere è esplosasul PERI Eix-Lacuna a causa dell’assenza di parteci-pazione dei residenti nella fase di pianificazione e dalil forte impatto visivo di alcuni edifici previsti nelprogetto. Le lamentele delle associazioni hanno spintoil Comune a ritirare il PERI e rielaborare una nuovaversione del progetto con la maggiore partecipazionedei residenti. 7. Nel 1987, il Comune di Barcellona pubblica ildocumento Árees de Nova Centralitat (ANC), all’inter-no del quale si individuano 12 Aree di NuovaCentralità ritenute strategiche per lo sviluppo futurodella città (Ajuntament de Barcelona, 1987).

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Figura 1. Foto aerea con individuazione dell’ambi-to di progetto (fonte: Ajuntament de Barcelona)

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di Enric Miralles e Benedetta Tagliabue,che ha incontrato diversi ostacoli sullavia della realizzazione (figura 2).Già nel programma funzionale del PERIdegli anni ’80, la riconfigurazione delmercato, situato in una posizione bari-centrica rispetto al tessuto residenzialecircostante e prossimo alla via di comu-nicazione che collega il settore orientalecon il barrio Gotico (Avenida FrancescCambó), assunse un significato chiaveper dotare il quartiere di una centralitàpubblica dal forte valore simbolico.Oggi che l’opera è ultimata, dopo 5 annidi cantiere, essa rappresenta a tutti glieffetti il perno delle trasformazioniurbane del quartiere, il suo cuore civico.La fabbrica del mercato occupa un’areadi circa 5.000 mq e oltre alle attivitàcommerciali ospita, nella parte del lottopiù prossima al tessuto residenziale,anche un blocco di abitazioni ad altadensità. Aldilà del valore formale dell’o-pera architettonica tout court, sembrainteressante leggere quest’intervento dadue punti di vista: da un lato è il tassel-lo principale di un progetto urbano piùcomplesso che ha investito e investiràl’intero sistema degli spazi pubblici,ovvero destinati alla vita collettiva, delquartiere; dall’altro rappresenta il piùimportante volano di promozione dellavita economica e commerciale di SantaCaterina, un elemento di dinamicità inun contesto di forte stagnazione.

La nuova centralità: il mercato diSanta Caterina

L’opera principale attorno alla quale sista trasformando l’identità del quartiereè senz’altro il rinnovamento del mercatocentrale di Santa Caterina, un interven-to complicato che si è protratto a lungoper il ritrovamento di importanti repertiarcheologici di epoca romana e per laparticolarità del progetto architettonico

Inoltre, nel 1997 nasce l’associazioneper il Piano Integrale del Casco Antico(PICA), con l’obiettivo principale diraggruppare tutti i rappresentanti pub-blici, privati e del settore sociale (oggisono 46 entità) che vogliano sviluppa-re strategie e progetti per migliorare lecondizioni economiche e sociali dellacittà storica dotandola di nuove ediversificate funzioni.Per il convergere di tutte queste misu-re, solo parzialmente attuate, la muni-cipalità ha deciso di avviare un nuovoprocesso di inversione economica e dirigenerazione complessiva del quartie-re, grazie all’approvazione della leggecatalana 2/2004 per la riqualificazionedelle aree degradate che richiedonoparticolare attenzione, un programmadi azioni che tenga conto dei vecchiprogetti ma sia impostato a partiredalle esigenze attuali.Per farlo, il nuovo progetto di rigene-razione integrale del quartiere si basasulla ricostruzione attenta e approfon-dita dello stato di fatto, ricomposto inun quadro sinottico delle condizionisociali e urbane di Santa Caterina, apartire dal quale individua gli obiettivi,le priorità, le azioni e quindi le risorseeconomiche che occorre mettere incampo per potere parlare di un pro-gramma di interventi realmente com-plesso (tabella 1).

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Figura 2. L’ingresso alle abitazioni e al mercato

Tabella 1. I numeri di Santa Caterina e Sant Pere (fonte: Ajuntament de Barcelona)

Patrimonio immobiliare privato1.141 edifici per 8.637 abitazioniStato di conservazione10% (114 edifici) necessita di interventi di risanamento integrale19,63% (224 edifici) non dispone di acqua corrente e utilizza serbatoi sulle coperture80,13% (734 edifici) non dispone di ascensoriValore catastale medioSanta Caterina: 463,44 € Barcellona: 644,80€

Descrizione della popolazioneDensità di popolazioneSanta Caterina: 1,73 Barcellona: 2,09 ab/alloggio ab/alloggioVariazione della popolazione 1998 –2003Santa Caterina: +13,93% Barcellona: +5,12%Popolazione giovane e anziana (<15 anni e >65): 30,07% Popolazione inattiva economicamenteSanta Caterina: 29% Barcellona: 15%Livello di scolarizzazione:63,95% al di sopra dei 10 anni non ha il diploma di scuola media

Descrizione del deficit ambientale e urbanisticoAttuazioni del PERI: 45,20% degli interventi previstiDotazione di parcheggi: 3 parcheggi di cui 2 privati (solo 11% degli edifici residenziali dispone di un posto auto)Dotazione di servizi collettivi: unico quartiere del centro storico senza centro civico

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partendo dal mercato, si può sfruttareun effetto di “rilancio” del quartiere edelle sue potenzialità pubbliche, sia dalpunto di vista della fabbrica urbana chedal punto di vista della vivacità econo-mica del tessuto sociale.

Il programma complesso e integratodi rigenerazione urbana

Il programma messo a punto dallaMunicipalità e parzialmente finanziatodalla Generalitat grazie alla L. 2/2004,ruota attorno alla definizione di alcunepriorità che devono superare i vecchiproblemi e affrontare quelli nuovi inun’ottica di coesione alle scelte e dicoerenza degli interventi. I punti di forza del progetto, già in fasedi esecuzione, intendono: favorire l’inte-grazione tra gli abitanti e potenziare lepossibilità di sviluppo del quartieredotandolo di uno spazio pubblico cen-trale e importante nella trama urbanacomplessiva; recuperare suolo percostruire i servizi collettivi mancanti;promuovere le attività economiche loca-li; risanare il patrimonio immobiliareprivato per favorire l’avvicinamento dinuovi abitanti (magari di rango socio-economico più elevato rispetto allamedia attuale) e innalzare la qualitàdella vita degli abitanti attuali, soprat-tutto anziani. Partendo da questi obietti-vi generali, il programma si articola inun quadro di azioni e interventi multidi-sciplinari e mette a punto il modellogestionale e attuativo degli stessi.Occorre sottolineare che il progetto èstata sottoposto, durante il percorso didefinizione, ad un processo consultivo-partecipativo che ha visto coinvolti leassociazioni di vicinato, gli attori econo-mici commerciali e le realtà che operanonel sociale, sino ad arrivare alla generalecondivisione delle priorità.Sommariamente, gli interventi riguarda-no:

madri) sono residenti locali che acqui-stano beni di prima necessità. Da unabreve e fulminea indagine in loco,intervistando alcuni compratori, sembradi evincere che nonostante gli anni dicantiere e la ristrutturazione complessi-va, i prezzi mediamente non sianovariati. Chi abita nel quartiere, e nor-malmente sono persone dal redditomedio-basso, ancora si serve del merca-to “sotto casa”. Anche la conclusione diquest’opera e il suo utilizzo a pienoregime, hanno spinto l’amministrazionecomunale a investire su Santa Caterina:

Il progetto che mantiene le facciate delmercato originario, poggiandovi soprauna copertura ondulata rivestita con ele-menti di ceramica colorata, razionalizzalo spazio interno destinato ai banchetticommerciali, ma soprattutto sviluppa inmaniera articolata il tema degli ingressie delle relazioni che si instaurano tra lospazio delle strette strade medievali cir-costanti e i varchi dello spazio pubblicocoperto interno al lotto del mercato. Daquesto punto di vista appare interessanteleggere la soluzione ibrida di ingressoalle abitazioni che si trasforma anche iningresso secondario al mercato e in unpiccolo passaggio pubblico di attraversa-mento e connessione da una stradaall’altra del quartiere. Aggirandosi per ibanchetti del mercato, diversamentedalla famosa Bouqueria, l’altro grandemercato della città storica ormaiimmancabile meta turistica, ci si accor-ge che la maggior parte degli avventori(immigrati, persone anziane, giovani

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Tabella 2 I costi del programma integrato (fonte: Ajuntament de Barcelona)

Costo totale 14.616.000 €- Creazione di nuovo spazio pubblico 2.500.000 €- Risanamento e dotazione di impiantistica nel patrimonio immobiliare privato 1.500.000 €- Costruzione-ristrutturazione di edifici pubblici 10.526.000 €- Altri programmi di valorizzazione economico-commerciale 90.000 €

A carico della municipalità 7,2 mil (49,03%)A carico della Generalitat 7,4 mil (50,07%)

Figura 3/3a. Vista aerea e planimetria del progetto di riqualificazione del Pou de la Figuera(fonte: Ajuntament de Barcelona)

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processo di regressione urbanistica,dovuto al decadimento progressivo delpatrimonio immobiliare, alla persistentemancanza di servizi pubblici, alla man-canza o insufficienza di qualità neglispazi pubblici, nelle opere di urbanizza-zione primaria, nella rete viaria e deisottoservizi;- aree nelle quali si riscontrano anoma-lie demografiche, dovute alla perdita oall’invecchiamento della popolazione,come ad una crescita accelerata che nonpuò essere assorbita dalle consuetedinamiche di sviluppo urbano;- aree nelle quali si riscontrano cronicie gravi problemi di carattere sociale,economico e ambientale;- aree nelle quali persistono deficitsociali e urbani, nonché problematichedi sviluppo locale.La legge stabilisce inoltre che sarà datapriorità ai contesti urbani e territorialiricompresi in: città e nuclei storici,distretti residenziali monofunzionali,aree periferiche ad alta densità residen-ziale che non soddisfano gli standardurbani minimi di abitabilità. Si definiscono inoltre i campi di attua-zione nei quali i progetti devono preve-dere interventi: si tratta di una cornicemultidisciplinare di azioni affinché leamministrazioni locali siano spinte apresentare proposte come programmicomplessi e integrati di interventi. Lecategorie d’azione sono:- riqualificazione dello spazio pubblicoe implementazione di spazi verdi;- risanamento e dotazione di spazi col-lettivi nel patrimonio immobiliare;- previsione di servizi pubblici destinatialla collettività;- dotazione di tecnologie dell’informa-zione e comunicazione nel patrimonioimmobiliare;- attuazione di interventi sostenibili,soprattutto per quanto riguarda l’effi-cienza energetica, il risparmio dellarisorsa idrica, il riciclaggio dei rifiuti;- equità di genere nell’uso degli spazi edei servizi collettivi pubblici;- programmi locali di sviluppo socialeed economico;- attuazione di interventi che favorisca-no l’accessibilità con conseguente elimi-nazione delle barriere architettoniche.Infine il terzo e ultimo capitolo stabili-sce il regime giuridico del fondo difinanziamento, che è gestito dal

sando per le Olimpiadi, sino ad arrivarealle ingenti, gigantesche e a volte“rumorose” operazioni di trasformazio-ne dell’inizio del XXI secolo promossedell’amministrazione locale, questavolta è il governo centrale dellaCatalogna a lanciare, con questa legge esu tutto il territorio della regione, lasfida dei programmi complessi e inte-grati, avviando così “una politica che sipone l’obiettivo prioritario della difesadel “diritto alla città”, cioè il diritto deicittadini a vivere in territori favorevolialla convivenza, multifunzionali, in cuispazio e attività pubbliche siano un fat-tore di sviluppo personale e di coesionesociale”.

* Architetto professionista, vive e lavora a Bologna.

La Ley de Barriosdi C. T.

La legge n.2 del 4 giugno 20041, Ley deBarrios, promulgata dalla Generalitat(regione autonoma) di Catalogna, per laRiqualificazione di quartieri, aree urba-ne e centri minori che richiedono parti-colare attenzione, ha inteso mettere adisposizione dei comuni catalani unnuovo strumento per attuare programmicomplessi e integrati di riqualificazioneurbana dei loro territori. Il caso di SantaCaterina a Barcellona bene esemplificala tipologia dei progetti promossi dallalegge che si articola in tre capitoli.Il primo stabilisce la creazione di unfondo per finanziare i programmi inte-grati complessi sui quartieri e sulle areeurbane che richiedono speciale attenzio-ne. Possono richiedere finanziamentitutti i comuni della Catalogna. Il fondo,che attinge ai bilanci annuali correntidella Generalitat, è il principale stru-mento innovativo per mettere in atto gliobiettivi di rigenerazione urbana conte-nuti nella legge.Il secondo capitolo definisce quali sonogli ambiti urbani suscettibili di essereconsiderati ad attenzione speciale aglieffetti della legge e quali sono i campidi azioni all’interno dei quali i progettidevono rientrare. Le situazioni contem-plate, generalmente a destinazione resi-denziale, prevedono:- aree nelle quali si è assistito ad un

- la creazione di un nuovo spazio pub-blico tramite la risistemazione del Poude la Figuera, un paseo centrale alquartiere (figura 3);- il risanamento degli edifici privati tra-mite la dotazione di nuove reti impian-tistiche, di impianti comuni a forterisparmio energetico e di ascensori. Inquesto caso, i finanziamenti ottenutitramite questo programma, si affianca-no a quelli già previsti dal piano per laresidenza (Plan d’Habitatges) e intendo-no invertire la rotta rispetto ad un mer-cato locale dove prevale la locazione (incontrotendenza rispetto a Barcellona) eche ha visto la proprietà privata sfrutta-re una posizione di rendita e le fortiinversioni pubbliche senza investiredirettamente nel miglioramento del pro-prio patrimonio;- la costruzione di servizi pubblici, inparticolare l’ultimazione del centro civi-co nel convento medievale di SantAgustí e l’acquisizione di un edificioesistente per trasformarlo in una scuolaper adulti;- la realizzazione di una campagna dipromozione e valorizzazione economicadelle attività esistenti, tramite la defini-zione di itinerari e di un’immagine“commerciale” del quartiere.La gestione dell’intero programma è acarico della municipalità, che utilizzacome braccio operativo il Foment deCiutat Vella, impresa privata a capitalepubblico.I tempi di attuazione e i costi di realiz-zazione sono regolati dal Programma diAttuazione del Distretto (PAD), che in 4anni (2004-2008) è in grado di innesca-re trasformazioni urbane con una talemassa critica da invertire la tendenzaattuale dominata da forti fattori didegrado.Al costo totale del programma, pari a14,616 mil di euro, il governo catalanopartecipa con risorse per circa 7,4 mil dieuro, pari al 50,07% degli investimenticomplessivi (tabella 2).Nella capitale catalana, dopo SantaCaterina e Sant Pere, hanno ottenutofinanziamenti anche i progetti per ilquartiere di Roquetes, del Poble Sec, diCiutat Meridiana e di Trinitat Vella. Barcellona continua così ad essere uncampo di sperimentazione urbanistica eprogettuale. Dai piccoli progetti di ago-puntura urbana degli anni ‘80-’90, pas-

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mente redistribuiti: 49% per la riqualifi-cazione e dotazione di spazi pubblici,10% per le parti ad uso collettivo degliedifici, 20% per la costruzione di edificipubblici, 1% per la dotazione di tecno-logie dell’informazione e comunicazio-ne, 4% per interventi con un alto tassodi sostenibilità ambientale, 2% perfavorire equità di genere, 8% per pro-grammi di sviluppo sociale ed economi-co, infine 6% per favorire condizioni diaccessibilità e abitabilità degli immobili.Il finanziamento della legge per tutto ilperiodo 2004-2007 dovrebbe promuove-re progetti per un ammontare comples-sivo di opere pari a 800 milioni di euro,di cui beneficeranno circa 60 comunitàlocali2.Questa “legge dei quartieri”, grazie aiprogetti complessi che promuove, asso-miglia molto ai programmi europeid’ultima generazione: incalza cioè leamministrazioni locali affinché indivi-duino le parti più deboli dei loro territo-ri, dove negli ultimi anni si sono con-centrate situazioni di sovraffollamento,di crescita demografica associata all’im-migrazione, di degrado sociale e fisico eper questi contesti vulnerabili promuo-vano un quadro multidisciplinare epoliedrico di azioni volto a districare laconflittualità delle problematiche agen-do sul valore civico della città pubblicama anche sui valori economici delpatrimonio immobiliare privato. In unoslogan, si potrebbe affermare che il pro-gramma non intende dare “sostegno aiquartieri con problemi” ma “sostegno aiquartieri con progetti”.

Note1. La “Ley de mejora de barrios, areas urbanas yvillas que requieren una atencion especial” hapoi trovato applicazione nel regolamento esecu-tivo del Dls. 369 del 7 settembre 2004, grazie alquale si applicano le indicazioni contenute nellalegge.2. Cfr. Oriol Nel·lo (2005), (2006)

Riferimenti bibliografici e siti internet Ajuntament de Barcelona (1987), Árees de NovaCentralitat, Barcelona.Ajuntament de Barcelona (2000), Modificaciò delPGM per a la renovaciò de les arees industrialsdel Poblenou: districto de activitas 22@BCN,Barcelona.Ajuntament de Barcelona (2004), The22@Barcelona project, Barcelona, giugno.Ajuntament de Barcelona (2005), Projecte d’in-tervenció integral als barris de Santa Caterina iSant Pere, Sector Casc Antic de la ciutat vella deBarcelona

si raccolga il più largo consenso attornoa forme integrate di sviluppo, rigenera-zione e coesione urbana.Ad oggi, sono stati pubblicati 3 bandi eavviati progetti in tutto il territoriodella Catalogna per un ammontarecomplessivo di circa 550 milioni dieuro, comprendenti anche il contributodelle amministrazioni locali. Nel 2004sono stati finanziati 13 progetti con uninvestimento medio per progetto di 15,4mil di euro, nel 2005 e nel 2006 sonostate accettate rispettivamente 17 pro-poste con un investimento medio di11,8 mil di euro. Il governo dellaCatalogna ha messo a bilancio per iprimi 3 bandi circa 300 mil di euro.Dei 47 progetti già finanziati e in corsodi attuazione “solo” 5 rientrano all’in-terno del territorio comunale diBarcellona, gli altri sono diffusi su tuttoil territorio catalano e riguardanosoprattutto entità urbane medio-piccole(figura 4).Gli investimenti sono stati così diversa-

Dipartimento di Politica territoriale eOpere pubbliche della Generalitat.I progetti e le conseguenti richieste difinanziamento, che possono andare dal50% al 75% del costo complessivo delprogetto e non possono superare i 20milioni di euro, saranno valutate da unacommissione integrata di cui farannoparte: tecnici della Generalitat, tecnicidell’amministrazione locale richiedentee personalità esterne del mondo accade-mico. Le proposte finanziate dovrannoessere attuate nel tempo massimo di 4anni e saranno monitorate da specifichecommissioni di valutazione, composteda tecnici della Generalitat, del Comune,rappresentanti delle associazioni localidi vicinato, attori economici e socialiche lavorano sul territorio. Ogni com-missione dovrà redigere un report perio-dico di sviluppo e verifica del progetto.Come si vede, tra gli obiettivi dellalegge vi è anche quello di promuovereazioni trasversali e politiche di coopera-zione tra enti e autorità locali, affinché

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Figura 4. Individuazione delle comunità finanziate dal programma nella regione catalana (fonte: Gene-ralitat de Catalunya)

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in relazione ai diversi tipi di attività,con deliberazione del Consiglio comu-nale” (art. 10/2).È anche noto come la stessa “leggeBucalossi” prevedesse:a). Un particolare regime per gli inter-venti di edilizia residenziale conven-zionata (“ivi compresi quelli sugli edi-fici esistenti”): versamento dei solicontributi alle spese di urbanizzazione,ovvero, per questi, la “diretta esecuzio-ne delle opere di urbanizzazione” (art.7), sulla base di una convenzione-tipo(di cui all’art. 8).c). Che i contributi relativi alle urba-nizzazioni fossero corrisposti “all’attodel rilascio della concessione” e che “Ascomputo della quota dovuta il conces-sionario può obbligarsi a realizzaredirettamente le opere di urbanizzazionecon le modalità e le garanzie stabilitedal Comune” (art. 11/1).d). Che la quota di contributo commi-surato al costo di costruzione, determi-nata al rilascio della concessione, fosseinvece “corrisposta in corso d’opera,con le modalità e le garanzie stabilitedal Comune” (art. 11/2).e). I programmi pluriennali di attuazio-ne (art. 13).f). Che i proventi dei contributi fosserovincolati a essere utilizzati per la “rea-lizzazione delle opere di urbanizzazio-ne primaria e secondaria, al risana-mento di complessi edilizi compresi neicentri storici, ... all’acquisizione dellearee ... per la realizzazione del pro-grammi pluriennali ...” (art. 12).L’obbligo di corrispondere i “contributiBucalossi” è stato confermato dal Dprn. 380 del 6 giugno 2001 (T.U. Edilizia,

Inchiesta sui “contributi Bucalossi”Paolo Avarello*

strumenti urbanistici vigenti”.c). Oneri commisurati al costo dicostruzione (art. 6). “Il costo di costru-zione ... è determinato annualmente,con Decreto del Ministro per i lavoripubblici, sulla base del costo dell’edili-zia agevolata” (L. 1179/65), con lo stes-so “ sono identificate classi di edificicon caratteristiche superiori ... per lequali sono determinate maggiorazioni... in misura non superiore al 50%”. “Ilcontributo ... comprende una quota didetto costo, non superiore al 10% ...che viene determinata dalla Regione infunzione delle caratteristiche e delletipologie delle costruzioni e della lorodestinazione e ubicazione” (modificheintrodotte con L. 94/82).” “Nel caso diinterventi su edifici esistenti il costo dicostruzione è determinato in relazioneal costo degli interventi stessi ... indi-viduati dal Comune in base ai progettipresentati per ottenere la concessione.”Per le “opere o impianti non destinatialla residenza” è previsto:a). “costruzioni o impianti destinati adattività industriali o artigianali direttealla trasformazioni di beni ed alla pre-stazione di servizi”, per cui è previstosolo il “contributo pari all’incidenzadelle opere di urbanizzazione ... tratta-mento e smaltimento di rifiuti ... siste-mazione dei luoghi ove ne siano alte-rate le caratteristiche.” (art. 10/1).b). Per la “costruzioni o impianti desti-nati ad attività turistiche, commercialie direzionali” sono invece previstientrambi i contributi, ma quello relati-vo al costo di costruzione è riferito al“costo di costruzione documentato” e“non superiore al 10% ... da stabilirsi

Da qualche tempo il tema dei “contri-buti Bucalossi” emerge sempre più difrequente, quando si parla di urbanisti-ca e/o di fiscalità locale, insieme aquello dell’Ici, per altro assai più com-plesso, e di fatto legato sostanzialmen-te alla “questione del catasto” e del suo“trasferimento” ai comuni, tutt’ora irri-solta. È ovvio comunque che si parli diquesti temi, considerando il notevoleampliamento delle competenze e fun-zioni assegnate ai comuni con le rifor-me degli anni ‘90, e la tendenza, inve-ce, a ridurre i trasferimenti statali(anche con l’ultima finanziaria), conte-nendo comunque le aliquote addizio-nali Irpef loro destinate. Una evidentetenaglia, che di fatto ha represso ancheil legittimo sdegno per il recente svin-colo finanziario, seppur parziale (perora), dei “contributi Bucalossi” daicapitoli di bilancio e dalle finalità acui gli stessi erano istituzionalmentedestinati. Prima di affrontare questitemi, tuttavia, è forse opportuno qual-che richiamo di memoria sul tema.Come è noto la L 10/77, detta“Bucalossi”, a fronte del rilascio della“concessione edilizia” dalla stessa isti-tuita, prevedeva la corresponsione alComune di un “contributo commisura-to all’incidenza delle spese di urbaniz-zazione nonché al costo di costruzio-ne” (art. 3); più precisamente, formatoda:a). Oneri di urbanizzazione (art. 5), sta-biliti dal Consiglio comunale “in basealle tabelle parametriche che laRegione definisce ... per classi diComuni”, e anche in relazione “alledestinazioni di zona previste negli

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gli interventi per cui è prevista solo laDia, le regioni individuino “le tipologiedi intervento edilizio assoggettate acontributo di costruzione definendocriteri e parametri per la relativa deter-minazione” (art. 22/4). Ma quanteregioni hanno legiferato in materia?Al di là di questi temi, ma certo nonsenza rapporto con gli stessi, sembracomunque utile ricostruire, e non solostoricamente, le vicende dei “contributiBucalossi”, che con tutta evidenza sisono giocate, soprattutto negli ultimianni, tra leggi/disposizioni regionali eprassi comunali/locali più o meno vir-tuose. Disegnando comunque un pano-rama che i primi sondaggi hanno rive-lato piuttosto variegato e confuso, mache certamente deve essere accurata-mente studiato e valutato, se si vuoleavanzare qualche ragionevole propostadi riforma, o almeno di riassetto dellemodalità di alimentazione di questocespite dei comuni, che come è ovvioassume grande rilevanza anche suglistrumenti urbanistici e, soprattutto,sulla loro credibilità.Da questo punto di vista le domandeessenziali riguardano, regione perregione: come si sono comportate leregioni, quale è stata la prima impo-stazione, quale la frequenza degliaggiornamenti e di eventuali revisionidell’impostazione originaria (precisan-do le date), in particolare negli ultimianni, quanto i valori dell’ultimoaggiornamento, riguardo i costi,approssimano effettivamente quellireali, con quali criteri sono stati utiliz-zati i margini di discrezionalità con-sentiti (definizione delle aliquote)riguardo gli oneri commisurati ai costidi costruzione. Per quanto riguardainvece i comuni, comune per comune:soprattutto quanto sono stati utilizzatii margini di discrezionalità consentiti,e quanto frequente/esteso sia il ricorsoal sistema delle “opere a scomputo” ecome gestito.

* Direttore di Urbanistica.

Chi scrive e l’Inu saranno grati a chivorrà collaborare a questa inchiesta,inviando dati e opinioni a [email protected], indicando in oggetto:“Bucalossi”.

sostanziale fallimento dei programmipluriennali di attuazione, che avrebbe-ro dovuto, se correttamente intesi,costituire un quadro di coerenza tral’uso degli introiti “Bucalossi” e pro-grammazione delle urbanizzazioni.Ma considerazioni analoghe si potreb-bero fare anche per la banalizzazione,e il sostanziale svuotamento di conte-nuti (non sempre, ma quasi), degliancora obbligatori “Programmi trien-nali delle opere pubbliche”. Diversainvece la questione dei “programmicomplessi”, che in qualche mododovrebbero incorporare nella loro ela-borazione, previa concertazione/con-trattazione tra i soggetti interessati, ilcomune anzitutto, i costi, o almenoparte dei costi dei beni pubblici daprodurre attraverso il loro stesso svi-luppo.Tra i provvedimenti legislativi, invece,in particolare quelli relativi ai tre “con-doni”, intervenuti a scadenza quasidecennale, risultati particolarmentepesanti in alcune regioni, e in molticomuni, che hanno creato notevolimargini di incertezza circa il tratta-mento amministrativo dei casi ricor-renti, e quindi anche nella applicazionedei “contributi Bucalossi”. Nei contestidi abusivismo diffuso, inoltre, haassunto quasi sempre dimensioni pato-logiche il frequente ricorso al meccani-smo delle “opere a scomputo”, comun-que ampiamente diffuso anche in altesituazioni, pensato di fatto per inter-venti “unitari” (lottizzazioni, comparti,piani attuativi in genere), ma spessoapplicato invece “a pioggia”, ovveroper singoli lotti/interventi, magari conil corredo di equivoche dichiarazioni di“funzionalità” degli addetti ai controlli.Sempre in ambito legislativo, e ancorasolo per esempio, l’introduzione, relati-vamente recente, della “dichiarazioned’inizio attività” (Dia), per una partenon residuale degli interventi”, che difatto sostituisce il “permesso dicostruire”, a cui è legata la correspon-sione dei contributi. Ciò anche se giàla L. 443/01 prevedeva che le regionipotessero individuare, con legge, qualiinterventi, in via di massima realizza-bili con la sola Dia, dovessero inveceessere assoggettati a “concessione” o“autorizzazione” edilizie; e anche se ilgià citato Dpr 380/01 prevede che, tra

entrato in vigore nel gennaio 2003, pereffetto del Dl. 20.6.2002, n. 122), chetra l’altro modifica la dizione di “con-cessione” in “permesso di costruire” etrasla quasi letteralmente alcune com-petenze già ministeriali alle regioni,stabilendo che:a). “il rilascio del permesso di costruirecomporta la corresponsione di un con-tributo commisurato all’incidenza deglioneri di urbanizzazione nonché delcosto di costruzione, ...” (art. 16/1).b). “il costo di costruzione per i nuoviedifici è determinato periodicamentedalle regioni con riferimento ai costimassimi ammissibili per l’edilizia age-volata, definiti dalle stesse regioni anorma della lettera g) del primocomma dell’art. 4 della L. 5 agosto1978, n. 457.” E che “Con lo stessoprovvedimento le regioni identificanoclassi di edifici con caratteristichesuperiori ... per le quali sono determi-nate maggiorazioni ... non superiori al50%.” (art. 16/9);c). Inoltre che “Nei periodi intercorrentitra le determinazioni regionali, ovveroin assenza di tali determinazioni, ilcosto di costruzione è adeguatoannualmente, ed autonomamente [sic,ndr.], in ragione dell’avvenuta varia-zione dei costi di costruzione accertata... ” (dall’Istat).d). E tuttavia, recependo la L. 537/93,prevede anche/invece lo aggiornamentoquinquennale, in conformità alle relati-ve disposizioni regionali, in relazioneai riscontrati e prevedibili costi delleopere di urbanizzazione primaria,secondaria e “generale” (art. 16/6);e). E che “Il contributo ... comprendeuna quota di detto costo, variabile dal5% al 20%, determinata dalle regioniin funzione della caratteristiche ...”(etc. come già nella L. 10/77, ma conun massimo raddoppiato).Fin qui una sintesi sommaria dellaevoluzione “storica” della disciplinarelativa ai “contributi Bucalossi”, percome la stessa si è potuta ricostruire.Resta tuttavia da segnalare come alcu-ne vicende, e anche alcuni provvedi-menti legislativi, successivi all’impo-stazione originaria, del 1977, abbianodeterminato l’insorgere di diverse que-stioni, alcune delle quali di fatto nonancora, o solo parzialmente risolte. Traqueste “vicende”, per esempio, il

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di ripristino agricolo/ambientale, allostesso viene riconosciuta gratuitamenteuna superficie edificabile produttivaindividuata dall’Amministrazione, checonsenta l’ampliamento fino ad unmassimo del 100% della preesistenteattività da trasferire.L’intervento di ripristino e bonifica delterritorio e il trasferimento dell’attivitàsono subordinati alla preventiva stipu-la di una convenzione tra il Comuneed i proprietari del manufatto, nellaquale si stabiliscono: le modalità diripristino ambientale e bonifica del ter-reno su cui insiste l’attività ricadentein zona impropria che dovrà avvenireattraverso la demolizione di tutti imanufatti produttivi presenti all’inter-no dell’ambito di proprietà; la localiz-zazione del lotto di compensazioneurbanistica; l’impegno del titolare dinon trasferire la proprietà del lottoproduttivo per almeno 10 anni; l’obbli-go di realizzare, entro 10 anni dall’av-venuto trasferimento del lotto di com-pensazione, la nuova attività produtti-va pena la restituzione del lottoall’amministrazione comunale; infine,le modalità di cessione delle aree ripri-stinate al Comune.Le aree destinate a ricevere le volume-trie sono acquisitedall’Amministrazione attraverso il mec-canismo perequativo impiegato nelpiano regolatore. In particolare, levolumetrie a destinazione produttivapossono essere ricollocate nelle areedestinate ad attività produttive misteindustriali e commerciali di espansionecon creazione di ambiti di riserva,mentre il trasferimento di volumetrie

I crediti edilizi per la qualità del territorio aperto:il caso di MontebellunaEzio Micelli*

tuisce già un adeguato incentivo adaderire alle norme dello strumentourbanistico; e quelle localizzate inzona agricola o in ambiti caratterizzatida pregio ambientale e paesaggisticoper le quali invece lo strumento urba-nistico promuove un’azione di ripristi-no rurale attraverso l’attribuzione didiritti edificatori.Il trasferimento di tali attività prevededue fattispecie : le attività produttivedi maggiore estensione vengono trasfe-rite in una localizzazione diversa daquella attuale e la compensazione con-siste in un’area e in una volumetria ditipo produttivo (Attività incompatili datrasferire con compensazione industria-le ex Art. 28 comma 3.2.1 delle NTA),mentre le attività produttive minorivengono chiuse e la proprietà vienecompensata con una volumetria desti-nata a funzioni residenziali (Attivitàincompatili da trasferire con compen-sazione residenziale ex Art. 28 comma3.2.2 delle NTA).L’attribuzione dei diritti edificatori èconfinata ad un numero limitato diinterventi mirati: le attività incompatililocalizzate in zona non urbana da tra-sferire con compensazione industrialesono 16 attività di media – grandemetratura per una superficie copertacomplessiva di 11.783 mq, mentre leattività incompatili da trasferire concompensazione residenziale compren-dono 6 attività di piccolo taglio peruna superficie coperta complessiva di1.001 mq.Nel caso di compensazione con areaindustriale, qualora il proprietario delmanufatto intenda aderire al progetto

Il comune di Montebelluna, secondocentro per abitanti della Provincia diTreviso, ha intrapreso nel corso del2004 una variante al proprio pianoregolatore generale allo scopo di riqua-lificare alcune parti del proprio territo-rio aperto compromesse negli anni dal-l’urbanizzazione diffusa e in particola-re dallo sviluppo di insediamenti indu-striali in zona impropria.Da un punto di vista urbanistico iltema posto era quello della reversibilitàdei processi di trasformazione urbana:è possibile immaginare soluzioni pro-gettuali e attuative in grado di ripristi-nare condizioni di qualità insediativacon il concorso dei privati senza tutta-via riconoscere le rendite d’attesa (senon in modesta parte) formatesi nelcorso degli anni? A questo quesitol’amministrazione ha cercato di darerisposta anticipando la soluzione nor-mativa proposta dalla Regione Venetocon la Lr 11/2004 che istituisce il cre-dito edilizio, sviluppando un modellogestionale basato sull’estensione deiprincipi perequativi già sanciti nelpiano regolatore generale approvato.L’obiettivo dell’amministrazione consi-ste nell’impiego di uno strumento fles-sibile per la soluzione di un problemacircoscritto: i manufatti industriali ecommerciali in zona impropria che, inragione del contesto in cui si trovano,generano diseconomie tali da rendereopportuna una loro rilocalizzazione. Le attività incompatibili soggette a tra-sferimento sono state classificate indue tipologie: le attività produttivelocalizzate in aree urbane, per le qualiil cambio di destinazione d’uso costi-

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bile è resa possibile dalla flessibilitàcomunque contenuta di utilizzo deicrediti, e ciò consente al piano diridurre l’aleatorietà dei valori implici-tamente attribuiti attraverso l’attribu-zione del credito. Nel caso esaminato, lo strumento deltrasferimento dei diritti assume la con-figurazione di uno strumento selettivoe mirato, che assicura obiettivi di rilie-vo per la comunità senza la pretesa disovvertire le regole della pianificazionetradizionale, ma integrandole con rela-zioni sinergiche con gli altri strumentidell’urbanistica consensuale, perriprendere la felice espressione diUrbani.

*Università IUAV di Venezia.

residenziali può avvenire nelle zoneresidenziali di espansione soggette aprequazione urbanistica.Qualora tuttavia la proprietà sia ingrado di produrre soluzioni alternative,esse potranno essere valutate e accetta-te dall’amministrazione che comunquedispone di un patrimonio fondiario dautilizzare per insediare i diritti edifica-tori.Il caso del comune trevigiano consentealcune considerazioni di rilievo.L’amministrazione locale ha impiegatoil credito ante litteram come strumentodi accompagnamento agli altri stru-menti di gestione del piano, e in parti-colare alla perequazione urbanistica.Nessuna intenzione dunque di sovver-tire le regole della pianificazione tradi-zionale, in favore di un mercato deidiritti in cui alla volontà dell’ammini-strazione si sostituisca l’interazione tradomanda e offerta, ma una valutazionecirca la possibilità di porre rimedio adalcuni mali ambientali – precisamenteindividuati e limitati quantitativamente– attraverso strumenti capaci di deter-minare l’adesione dei privati, in strettaintegrazione con la strumentazionetradizionale.Il modello implicitamente sotteso allaattribuzione dei crediti edilizi è quellodi un utilizzo libero entro precisi ambi-ti. Se da un lato l’amministrazione nonvincola ex ante l’utilizzo della volume-tria a precise aree di impiego dellevolumetrie, d’altro lato specifica conprecisione i possibili ambiti di utilizzo.La credibilità dello strumento è inoltreassicurata dalla possibilità di disporredi un patrimonio fondiario proprio sulquale far “atterrare” i diritti edificatoriin mobilità, rinunciando ad un generi-co riferimento alle opportunità offertedal mercato immobiliare.Le aree pubbliche per l’impiego deidiritti sono peraltro acquisite permezzo della perequazione: esse sonol’esito dell’impiego di un altro stru-mento di gestione che si rivela cosìsinergico nell’attuazione del program-ma di riqualificazione ambientale.Sotto il profilo dei valori, l’ammini-strazione ha stabilito l’attribuzione deicrediti in funzione del valore del mer-cato fondiario: il credito compensa lacessione del suolo e il valore del capi-tale edilizio residuo. Una stima attendi-

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Politiche urbane,Napoli: storia bisogniopportunitàdi Francesco Forte

Attraverso le immagini si rendo-no possibili correlazioni tra sta-gioni vissute, alimentando l’idea-zione necessaria per l’innovazio-ne creativa di politiche urbane.L’argomentazione scritta ha ilruolo di delineare la griglia diriferimento utile nel dare sensoalle immagini, nel contesto di unatesi volta a comunicare il drammaurbano che si ritiene avvolga lacittà, l’innovazione possibile nellepolitiche urbane, sollecitandosperanza.

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Riformaurbanistica

una riproposizione della pianificazionecome soluzione dirigistica (e politica-mente elitaria) a fronte delle insuffi-cienze e della irresponsabilità dei sog-getti eletti; tuttalpiù sono gli strumentiutilizzati e spesso deformati che noncorrispondono più (o rispondono trop-po , direbbero altri) alle nuove proble-matiche poste dalla incerta costruzionedi progetti di sviluppo da parte dellesocietà locali in una società globale.Partire però da queste “insufficienze”in una logica (micro)riformista, soloincrementale e adattativa comportadue problemi : non entrare nel meritodella natura reale della nuova doman-da di governo, presupponendola e noninvestigandola nelle sue componenti enelle sue contraddizioni e, cosa menosignificativa ma non priva di conse-guenze, almeno per il mondo discipli-nare, mantenere (limitando il dibattitoagli strumenti) uno spazio di ambigui-tà e rappresentare una posizionesostanzialmente debole rispetto allainvadenza di posizioni massimalisteche, arroccate sull’etica e sulla conser-vazione (delle cose e di se stessi)lucrano, loro si, una rendita di posizio-ne.Si tratta allora di affrontare il nodocentrale. Il governo del territorio (cir-conlocuzione forse da ridefinire inrelazione piuttosto a governo - gover-nance e governement - che a territorio)si fa “anche” con la pianificazione? econ quale pianificazione? Per risolverequali problemi?Dietro a questa domanda ci sono lequestioni che dividono le politichepubbliche nelle tradizionali caratteriz-

dimensione (il traffico, l’inquinamento)in una narrazione eroica e al contempofrustrante della disciplina.

Affrontare oggi i contenuti di unalegislazione per il governo del territo-rio, senza partire da un analisi appro-fondita dei problemi che caratterizzanoil “mal governo del territorio” puòessere un errore o di contro una sceltavoluta.La parte politicamente massimalistanon potendo più ricorrere alla analisimarxista della lotta di classe per soste-nere l’urbanistica dell’esproprio propo-ne: il “consumo di suolo”, come prin-cipale problema (ma ne avrebbe potutoindividuare un altro : l’inquinamento oil fabbisogno abitativo). In realtà essoè una conseguenza e non una causa enon si può dare per scontato che essoderivi solo da una inefficace compres-sione della rendita da parte dell’urba-nistica. Di contro una parte dei rifor-misti insiste sulla “crisi dell’urbanisti-ca” pensando che una riforma deglistrumenti sia sufficiente a risolvere iproblemi della disciplina e conseguen-temente quelli della città e del territo-rio, tra cui consumo di suolo ed inqui-namento.

Utilizzo questa schematizzazione pertornare sulla questione di un necessa-rio aggiornamento delle analisi sul“malgoverno del territorio” perché diquesto si è trattato e mi sembra, da unlato riduttivo ma dall’altro eccessivo,addebitarlo in capo alla “crisi” dell’ur-banistica come si tende a fare, né daquesto può derivare automaticamente

a cura di Sandra Vecchietti

Le questioni di fondoPierluigi Properzi

La ripresa dei lavori parlamentari hariproposto il tema della legge “urbani-stica” e sono già state (ri)presentatediverse proposte di legge, più per“prendere posto” nelle futura discus-sione che per una reale urgenza.Non è oggi certa, né la natura delprovvedimento legislativo, né la suareale finalità, si parla anche di leggedi iniziativa regionale, ma lo stessoministro competente potrebbe proporreun testo al governo (anche se nonappare probabile), così come apparemolto complessa la stessa definizionein Commissione di un testo unificato A questa incertezza politica. determi-nata da un riformismo statico e spessosolo ideologico, corrisponde una paral-lela e visibile difficoltà della discipli-na. La difficoltà, o meglio le contrap-posizioni disciplinari, concorrono inquesto contesto a rendere meno chiarala necessità di una riforma, masoprattutto non se ne percepisce conchiarezza l’eventuale finalità.Sull’urbanistica e governo del territoriole posizioni disciplinari (e quelle poli-tiche) trovano infatti una loro differen-ziazione piuttosto relativamente alletecniche (strumenti, procedure) chealla loro coerenza alla soluzione deiproblemi.Sono proprio i problemi, apparente-mente evidenti, ad essere invece pocoanalizzati, o meglio si da per scontatala loro storica immanenza (la rendita)o la loro soverchiante e irrisolvibile

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raggiungimento di una massa critica,che ha coinvolto sia la dimensioneproduttiva che quella bancaria haampiamente utilizzato il notevolepatrimonio pubblico, prevalentementein una logica di cassa (più che di pri-vatizzazione), ma anche in una logicadi (ri)produzione di valore.Questo è avvenuto nella indifferenzanon tanto rispetto ai piani, consideratiin termini del tutto residuali, se nonfunzionali essi stessi alla produzione divalore, quanto rispetto a qualsiasi stra-tegia pubblica. E’ mancata in questosenso una politica delle città e del ter-ritorio.Cosa, dove e come dismettere. Si èproceduto senza una analisi di fabbi-sogni pubblici, pronti a ricercare sulmercato quello che si era appena ven-duto, demandando le procedure a sog-getti societari e con modesti utili perlo stato. Di contro ne è derivata la crescita diuna aggressiva e spregiudicata nuovagenerazione finanziaria che partendodal mattone e con la convivenza delsistema bancario ha “dinamicizzato” laBorsa, ma ha disorientato ogni proces-so di sviluppo basato su produzione eoccupazioneIntorno a questa effimera stagione sisono organizzati nuovi processi di usodel territorio legati essenzialmente alladimensione macro dei consumi, effi-meri essi stessi (parchi a tema – iper-mercati – outlet, ecc.) ma con enormeconsumo di suolo, spesso al di fuori diqualsiasi pianificazione , abili nell’in-serirsi nella competitività tra i comunisull’onda dell’ICI e degli oneri di urba-nizzazione.

E’ la competitività tra enti che rappre-senta il futuro scenario per la verificadella utilità della pianificazione comeparte del governo del territorio.Discariche, cave, eolico, ipermercati,gassificatori, autoparchi, aeroporti diterzo livello, porti turistici, attraversa-menti e nodi intermodali con il lorocarico di “sviluppo” e di impatti,saranno i temi intorno ai quali lesocietà locali si confronteranno . Ilpiano è uno degli strumenti possibiliper rendere questo confronto utile edemocratico, ma non ce ne sono moltialtri.

ciali, Regioni senza Quadri regionali.Sarebbe troppo facile concludere conuna consolatoria equazione: nientepiani – niente sviluppo per il compia-cimento degli urbanisti.Penso che i termini possono ancheessere invertiti, i piani non si fannoperché non c’è sviluppo, e lo svilupponon c’è perché i modelli di svilupposinora proposti (ma poi cosa sono?)non hanno funzionato nelle lorodimensioni macroeconomiche, non c’èperché in quelle parti del paese funzio-na un processo diverso, governato daculture separate: opportunistiche,familistiche a volte alternative allostato, che non può trovare una dimen-sione confermativa nel piano, per suanatura pubblico, competitivo concerta-tivo, .Due corollari. Il PRG di tradizione hafunzionato solo in qualche caso e limi-tatamente alla parte regolativa deisuoli e dei cicli edilizi, con la suavischiosità e con tutto il suo bagagliodi causidicità privatistica e di impoten-za vincolistica. Di contro ha funziona-to male, ma ha assorbito ogni velleitàprevisiva dei piani tradizionali e ordi-nari, la cosiddetta programmazionecomplessa, derivata in vario mododalla “nuova programmazione” diCiampi e Barca, costituendo così undoppio binario : i cicli edilizi spalmatisulle trame residuali di Prg di annata,la loro negazione (con la conseguenteproduzione di ulteriore valore fondia-rio) attraverso nuove previsioni diassetti sempre in alternativa ai primi.In qualche modo si è istituzionalizzatala variante con procedure celeri e dipresunto pubblico interesse (lo svilup-po) per rianimare cicli edilizi asfittici.Lo sviluppo ha tentato di nuovo lastrada del mattone, fermandosi spesso(e per fortuna) alla sola valorizzazionefondiaria, per la sua indubbia facilità,ma anche per una necessità di accu-mulazione cui non è estraneo il retro-grado e frammentato mondo bancarioitaliano.Più complessa è stata la affermazionedi una natura essenzialmente “finan-ziaria” dello sviluppo che ha caratte-rizzato negli ultimi anni lo sviluppo(mancato) del paese.L’obiettivo di una progressiva concen-trazione di risorse finanziarie per il

zazioni neoutilitariste e neocontrattualie che caratterizzano anche le lorodiverse ibridazioni.Ma c’è anche la necessità di una rifles-sione disciplinare, sulla coerenza diqueste politiche alle diverse conforma-zioni che la società italiana va assu-mendo nella riconfigurazione delleistituzioni.

Lo sviluppo, perché poi di questo sitratta, sostenibile, socialmente coeso,coerente al territorio, che la vulgataeuropea ci propone è comunque fattodi Pil e di occupazione, e noi non cre-sciamo (Pil ‘95 = 116, Pil 2005 = 105,media 25 paesi =109) mentre gli altricrescono con tassi doppi (Spagna eGrecia) o tripli (Irlanda). Questo avvie-ne inoltre con forti differenziazioniinterne. Una parte del paese appartienealla fascia alta delle classifiche comu-nitarie, ma rischia di uscirne per unadiminuzione di competitività (collega-menti, logistica, investimenti esteri),l’altra va verso condizioni di margina-lità crescente (vedi Rapporto Svimez2005 – solo Abruzzo, Sardegna, Siciliain crescita).Una tripartizione Nord - Centro - Sudche si è andata sempre più caratteriz-zando , pur con le proprie differenzia-zioni interne, e che corrisponde amodalità di governo del territorioanch’esse diverse, pur nella omoge-neizzazione che è derivata dal prevale-re della Legge statale del ’42 sulle suc-cessive leggi regionali. Di questa parti-zione geografica da ampio conto ilRapporto dal Territorio INU/2005 chedescrive le differenze tra una Italia chefa piani ed una che non ne fa (il sudcon le isole). All’interno di questaprima frattura le regioni del centro,compreso l’Abruzzo, escluso il Lazio,che praticano da tempo la pianifica-zione a tutti i livelli istituzionali delgoverno del territorio si differenzianoa loro volta da un Nord che interpretala pianificazione secondo i diversimodelli “regionali” (Veneto,Lombardia, Piemonte) coerenti airispettivi processi di sviluppo ed all’u-so del territorio che ne è derivato,molto diversi quindi tra loro.Partiamo dal sud: comuni nella gene-ralità con piani vecchi (approvati daoltre 10 anni), assenza di piani provin-

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mia i propri sistemi di governo del ter-ritorio in base alle proprie tradizionied ai principi desumibili dalla legisla-zione statale, lasciando allo stato cen-trale le sue tutele separate.Un processo autoritativo, all’italiana,con poco dispendio di energie, pocheconflittualità e molte concentrazioniseparate di poteri interdittivi.Ripercorrere oggi la stessa strada,senza ricostruire intorno ai problemiun sistema di alleanze, che parta dauna loro analisi condivisa, può essereun errore non solo tattico.

Il testo è stato elaborato con riferimento ai seminaripromossi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica sullalegge di principi per il governo del territorio (21 sett- 17 nov.2006) – Vedi Documento sul sitodell’Istituto www.inu.it

to pubblico privato, che deve superarela dimensione dello “scambio inegua-le”.Le Regioni hanno sperimentato questanuova urbanistica riformista introdu-cendola nelle loro leggi, ma anchemolti Comuni, pur in assenza di unanormativa di riferimento, hannocomunque avviato processi perequati-vi, hanno introdotto nuove modalitàstrategiche, hanno individuato coeren-ze strutturali con altri piani, hannoricercato nuovi strumenti attuativi persupplire alla carenza di risorse. Questoè avvenuto spesso anche con insucces-si e con errori, ma ha comunque defi-nito nei fatti il portato riformista del“modello INU”.

Alla più generale domanda di riformasono però state date, dai governi che sisono succeduti dal ’95 ad oggi, rispo-ste parziali e prive di coerenza; unariforma zoppa del sistema elettoralemaggioritario, poi riassorbita da unfalso proporzionale, una frettolosariforma costituzionale incentrataessenzialmente sulle competenze epoco convincente anche per chi l’ave-va proposta, resuscitata dal referendumabrogativo dell’intervenuta devolution;una riforma delle autonomie locali,anch’essa riveduta e corretta, enfatiz-zata dai provvedimenti Bassanini ealla ricerca di una efficienza (apparen-te) del sistema più che della sua effica-cia.Uno sfondo legislativo confuso e spes-so contraddittorio - si pensi alla natu-ra concorrente del governo del territo-rio ed alle separate tutele dello statoche non ha contribuito certo ad unapositiva conclusione dell’iter dei testilegislativi (Lorenzetti e Lupi), nonapprovati nelle due passate legislaturebenché ampiamente discussi in com-missione .Alle mancate approvazioni ha contri-buito però in termini più sostanziali, laconvinzione diffusa che si trattasse ditemi non legati, né in termini di effi-cienza, né in termini di efficacia allosviluppo; anzi che le nuove forme didestrutturazione dei processi autoritati-vi introdotte dalla Bassanini sarebberobastate per risolvere il problema allaradice e che le Regioni avrebberopotuto attuare in sostanziale autono-

Sull’utilità sembra che ci sia unasostanziale convergenza, legata ad unasperimentazione parziale, ma significa-tiva, dei processi di governance che sisono tentati in questi anni essenzial-mente sulle iniziative Dicoter e che sistanno sperimentando nelle“Piattaforme Territoriali” dell’allegatoal DpeF recentemente presentato.Sulla democraticità il discorso è piùcomplesso e ripropone i temi dellapartecipazione, della delega, ma anchee soprattutto quelli della concorrenza edelle garanzie delle minoranze in unasocietà globale e conflittuale.Una società complessa, sempre piùcomplessa nell’espansione del suocorpo centrale, nella separatezza dellasua parte più opulenta e nelle segmen-tazioni dei nuovi esclusi. Una societàche produce nuove forme di uso e diconsumo dei suoi territori e delle suecittà.

Le ultime analisi di questi processisono distanti nel tempo e di tipoessenzialmente morfologico (il ricono-scimento delle loro nuove forme). Leinterpretazioni delle loro cause, in ter-mini sociologici ed economici, trascu-rano di contro la dimensione spazialee quella territoriale; il territorio stessoe la città non costituiscono da tempouna dimensione di ricerca multidisci-plinare. Quella pluralità, che è implici-tamente richiamata nella stessa neces-sità di un suo “governo”, viene nellasostanza negata da una introversioneche sta contagiando anche il nostromondo disciplinare.In questi anni l’Istituto Nazionale diUrbanistica ha prodotto molte rifles-sioni su questi temi, fornendo sia solu-zioni tecniche che indirizzi di ordinepolitico strategico; non ha trovatomolti interlocutori nel dibattito disci-plinare, ma ha di contro propostoalcune soluzioni dei problemi piùricorrenti: la separazione dei contenutiprevisivi da quelli regolativi nei pianicomunali che non può essere banaliz-zata nella scissione degli strumenti, laperequazione per una partecipazioneequa alla costruzione della città, chenon può ridursi all’uso di un bilancinoda farmacista, la concertazione strut-turata tra enti, che non può esaurirsiin dichiarazioni buoniste, il partenaria-

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ce, con numerosi esempi direcepimento regionale che,stante l’inerzia del legislato-re statale, hanno seguito piùo meno esplicitamente ildettato europeo. La procedura di Vas conte-nuta nel TU che qui com-mentiamo, oltre a contrav-venire alla direttiva2001/42/Ce e alle successiveindicazioni europee per ilrecepimento5, non segueun’interpretazione “filologi-ca” della norma europea, laquale auspicherebbe di per-venire ad un unicum proce-durale per integrare le con-siderazioni ambientali all’in-terno degli iter propri deidiversi piani e programmi.Il TU sembra viaggiare suun binario differente, predi-ligendo l’accentramento delmomento “valutativo”, vin-colante, presso un soggettoestraneo alle procedure pro-prie dellapianificazione/programma-zione. Il nodo centrale e più con-troverso della formalizzazio-ne della Vas nel TU riguardaquindi la codifica della pro-cedura di valutazioneambientale stessa, che anostro avviso qui si confi-gura come un aggravio degliiter pianificatori e program-matori. In contraddizione con l’e-nunciato dalla direttiva, laquale sancisce essenzial-mente la natura endoproce-dimentale della valutazioneambientale di piani e pro-grammi, il TU introduce (art.12, c. 2), in stretta analogiacon la procedura per lavalutazione di impattoambientale prevista dallanormativa italiana, un “giu-dizio” da emanarsi da partedi un’autorità “altra” rispettoal soggetto che redige ilpiano o il programma. Se, però, per “valutazione”si deve intendere quanto

ta presso alcune Ngo3 diStati Membri Ue (l’Italia nonha partecipato) circa la qua-lità della trasposizione delladirettiva Vas nelle legisla-zioni nazionali. Da tale rap-porto emerge l’effettiva dif-ficoltà riscontrata da moltiStati nel recepire la Vas,pervenendo ciascuno, ovvia-mente, a soluzioni legislati-ve differenti (recepimentoparziale o totale attraversomodifiche a leggi esistenti oattraverso leggi specifichesulla Vas). In generale, sideduce però come moltiPaesi Europei, recepita ladirettiva, stiano portandoavanti ulteriori riflessionicirca il rapporto tra le defi-nizioni contenute nelladirettiva Vas e le proprierealtà normative nazionali.In diversi casi si studianopossibili perfezionamentidelle metodologie di valuta-zione – anche con lineeguida generali e settoriali -ed in generale delle proce-dure di integrazione del-l’ambiente nella pianifica-zione/programmazione. L’aggiornamento sulle espe-rienze condotte nei varipaesi Ue è fondamentale.Lo scambio di informazionicirca l’applicazione delladirettiva negli Stati membriè inserito all’art. 12, cheprevede che entro il 21luglio 2006 la Commissioneeuropea invii una primarelazione sull’applicazionedella direttiva Vas alParlamento europeo e alConsiglio, eventualmentecorredata di proposte dimodifica del suo testo4. L’Italia si presenterà a que-sto importante appuntamen-to da un lato con un recepi-mento nazionale (mancato)della direttiva Vas -peraltrotardivo rispetto al termineobbligatorio del 21 luglio2004 indicato nella direttivamedesima- e dall’altro, inve-

Vas secondo la direttivaeuropea vs. interpretazionedel Testo Unico Il testo unico sull’ambiente(di seguito TU), come è noto,ha avuto una genesi nonfacile, contraddistinta dal-l’assenza di un vero coin-volgimento costruttivo, daparte del legislatore delega-to, di istituzioni locali eassociazione culturali suitemi che, direttamente oindirettamente, hanno note-vole incidenza sul territorio. Il Dlgs 152/2006 è statopromulgato dal Presidentedella Repubblica il 3 aprile2006.La presente trattazioneintende fornire un punto divista critico relativamenteall’atteso (ma ahimé disatte-so) necessario recepimentonell’ordinamento italianodella direttiva 2001/42/Ceche, lo ricordiamo, ècomunque in vigore negliStati Membri dell’Ue già dal21 luglio 2004.Molti paesi europei, a caval-lo della scadenza suindicata,hanno introdotto nelle pro-prie normative nazionali lenecessarie modifiche di ade-guamento al dettato delladirettiva Vas.Su questo tema nel 2005 loEuropean EnvironmentalBureau ha pubblicato gliesiti di un’indagine2 condot-

Il presente documento costi-tuisce l’esito delle riflessioniche il gruppo di studio haelaborato seguendo costante-mente1 le varie fasi di pre-parazione del decreto inesame, a partire dall’emana-zione della legge di “Delegaal Governo per il riordino, ilcoordinamento e l’integra-zione della legislazione inmateria ambientale e misuredi diretta applicazione” (L308/2004) sino alla sua ste-sura definitiva, pubblicatanella GU n. 88 del 14 aprile2006, includendo le diverseversioni preparatorie divul-gate sul sito del comitatodella legge delega(www.comdel.it). Dopo la redazione del pre-sente documento-maggio2006-, è stata posticipata al31 gennaio 2007 (art. 1-septies, Dl 12 maggio 2006,n. 173) l’entrata in vigoredella parte seconda del Dlgs152/2006, comprendenteanche la Vas.Ci auspichiamo che, ancheattraverso questo contributoalla riflessione, si possafinalmente instaurare unrapporto con le Istituzioni dicollaborazione culturale escientifica circa l’integrazio-ne obbligatoria delle proce-dure della valutazioneambientale nella pianifica-zione.

InuInu

La Vas nel Dlgs 152

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(art. 6) potrebbe inveceassumere il ruolo di autoritàambientale, di volta in voltacoinvolta dalleAmministrazioni che debba-no redigere piani o pro-grammi, o anche individuatacome garante della qualitàdei rapporti ambientali aisensi della dir. art. 129.In tale direzione parrebbeesprimersi l’art. 16 (Vas insede statale-avvio del proce-dimento), che impone l’inviodel piano e del rapportoambientale, oltre che aiMinisteri dell’Ambiente e deibeni Culturali (e alle regioniterritorialmente interessate)anche alla suddetta commis-sione10.Di certo l’attribuzione, prefi-gurata dal TU, alla commis-sione stessa di una funzioneanaloga all’attuale “commis-sione Via” (valutazione eso-gena) risulta di non facilecomprensione se rapportataallo spirito, nel TU nonrecepito, della direttivaeuropea. Significherebbe,permanendo il “giudizio dicompatibilità” esterno all’i-ter proprio dei piani o pro-grammi, contravvenire alladirettiva stessa.La scelta di introdurre nelTU una valutazione a poste-riori parrebbe originare dauna non corretta traduzionedella direttiva 2001/42/Cedall’inglese (o francese) all’i-taliano.Nel testo italiano, l’art. 2recita, come richiamato:

b) per “valutazione ambien-tale” s’intende l’elaborazionedi un rapporto di impattoambientale, lo svolgimentodi consultazioni, la valuta-zione del rapporto ambien-tale e dei risultati delle con-sultazioni nell’iter decisio-nale e la messa a disposizio-ne delle informazioni sulladecisione a norma degli arti-coli da 4 a 9;

Nella versione inglese:(b) ‘environmental assess-

ment’ shall mean the prepa-ration of an environmentalreport, the carrying out ofconsultations, the takinginto account of the environ-mental report and theresults of the consultationsin decision-making and theprovision of information onthe decision in accordancewith Articles 4 to 9;

Parimenti, nella versionefrancese:b) “évaluation environne-mentale”: l’élaboration d’unrapport sur les incidencesenvironnementales, la réali-sation de consultations, laprise en compte dudit rap-port et des résultats desconsultations lors de la prisede décision, ainsi que lacommunication d’informa-tions sur la décision, confor-mément aux articles 4 à 9;

L’impianto originale deltesto (inglese e francese)afferma che il rapportoambientale deve essere tenu-to in considerazione all’in-terno delle procedure di pia-nificazione/programmazionee che la valutazioneambientale costituisce parteintegrante di un unico pro-cedimento. Come d’altrocanto richiamato dallo stes-so art. 8, c.1 del TU, rubri-cato appunto “integrazionedella valutazione ambientalenei procedimenti di pianifi-cazione”. Forse a causa della non cor-retta traduzione, nel conte-sto in esame, della locuzione“tenere in considerazione”con “valutazione”, il legisla-tore delegato italiano si èsentito in dovere di intro-durre un soggetto esternoche valutasse le valutazionidel piano? Questa interpretazione, loribadiamo, porterebbe ad un

tato”. Le Regioni sono obbli-gate, secondo l’art. 22 delTU, a disciplinare con pro-prie leggi e regolamenti leprocedure per la valutazioneambientale strategica deipiani e programmi, trovandonell’attesa immediata appli-cazione lo schema di proce-dura individuato nella parteII del TU (quindi anche l’art.12 che disciplina il giudiziodi compatibilità ambientale).Questo nodo, altamente cri-tico, deve essere immediata-mente oggetto di seria rifles-sione, e si devono necessa-riamente considerare glieffetti derivanti dall’operati-vità di un siffatto rigidoimpianto sull’attività ammi-nistrativa degli enti locali.La miope interpretazione delTU si colloca a nostro avvi-so in un’ottica lontana dalleintenzioni della direttivaeuropea, la quale intendeintrodurre maggiore atten-zione per i temi ambientaliall’interno della pianifica-zione/programmazione, purprescrivendo (dir. art. 12,par. 2) che lo Stato membroassicuri degli standard qua-litativi per i rapportiambientali (comunicandoalla Commissione qualunquemisura adottata in materiadi qualità di tali relazioni).Gli obiettivi della direttivavanno perseguiti attraversoun iter di “valutazioneambientale” intrinseco alprocedimento stesso, noninvece apponendo un impri-matur dall’alto, quasi unbollino verde caratterizzatoda una certa (ed inevitabile)discrezionalità lasciata alsoggetto valutante, su pro-cedimenti in cui la commis-sione interverrebbe a poste-riori senza avere la titolaritàdel procedimento pianifica-torio/programmatorio8.In sede statale, la commis-sione tecnico-consultiva perle valutazioni ambientali

stabilito dall’art. 5. comma1°, lett. a) del TU, ovvero“l’elaborazione di un rap-porto di impatto ambientaleconseguente all’attuazionedi un determinato piano oprogramma da adottarsi oapprovarsi, lo svolgimentodi consultazioni, la valuta-zione6 del rapporto ambien-tale e dei risultati delle con-sultazioni nell’iter decisiona-le di approvazione di unpiano o programma e lamessa a disposizione delleinformazioni sulla decisio-ne”, risulta poco ragionevo-le, letta in questa chiave,l’ingerenza di un attoreesterno che a posteriori (art.12, c. 2) interviene in unprocedimento la cui titolari-tà spetta ad altro soggetto,ovvero quello istituzional-mente preposto all’elabora-zione del piano/programma7. Tale intervento esterno vienedemandato nel TU all’autori-tà preposta alla valutazioneambientale (art. 12, c.2), chein sede statale è individuatanella “commissione tecnico-consultiva per le valutazioniambientali” (art. 6). Essa hail compito di “esprimersi suirapporti ambientali”, esami-nando e valutando (art. 12,cc. 1,2) la documentazionepresentata dall’autorità cheredige il piano/programmae, entro sessanta giorni,emettere il giudizio di com-patibilità ambientale, conte-nente un “parere ambientalearticolato e motivato checostituisce presupposto perla prosecuzione del procedi-mento di approvazione delpiano o del programma”.Sempre in analogia con laprocedura di Via, la com-missione tecnico-consultivapuò imporre delle prescrizio-ni, subordinando il giudiziodi compatibilità all’adozionedi “specifiche modifiche edintegrazioni della propostadi piano o programma valu-

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re veramente molto ampieed escludere per intero unadi tali aree sarebbe unalacuna rilevante nell’ambitodi applicazione.”Con il significato di parti-zione amministrativa mini-ma è stato inteso il termine“locale” in Gran Bretagna,dove l’uso della Vas è previ-sto anche per i local plan12

che, pur in un contesto dipianificazione urbanisticanotevolmente diverso dalnostro, possono essere con-siderati vicini ai nostri pianiurbanistici di livello comu-nale.Analogo orientamento si èavuto in Francia13, dovel’applicazione è prevista per“plans, schémas, pro-grammes et autres docu-ments de planification adop-tés par l’Etat, les collectivi-tés territoriales ou leursgroupements”.Può essere utile ricordareche i piani urbanisticicomunali rientrano a pienotitolo tra i piani concernentila “destinazione dei suoli”(dir., art. 3, par. 2, lett. a) eche tale indicazione è stataassunta dallo stesso TUall’articolo 7, c. 2, lett. a,punto 1. Inoltre, a secondadei casi, possono presentaretutte le caratteristiche essen-ziali da considerare nellaprocedura di screening (alle-gato 2 della direttiva) perl’eventuale esclusione di unpiano o programma. Inoltre, il requisito sine quanon che contraddistingue ipiani e programmi da sotto-porre a valutazione ambien-tale secondo la Direttiva,cioè quello di definire “ilquadro di riferimento perl’autorizzazione di progettiper i quali è richiesta laprocedura di Via (cfr. dir.,art. 3, par. 2, lett. a) o sem-plicemente “per l’approva-zione di progetti” (cfr. dir.,art. 3, par. 4), è un requisito

che non può non riguardareanche i piani di livellocomunale.Sembra inoltre decisamenteambiguo che, in un medesi-mo testo di legge vi sianodue diverse categorie dipiani e programmi per iquali l’esclusione dall’assog-gettamento avviene, in uncaso, per via esplicita (pianie programmi per scopi didifesa, ecc.) e nell’altro inmodo implicito (piani dilivello comunale).Pertanto una loro eventualeesclusione che, ne siamocerti, non corrisponde allospirito della direttiva comu-nitaria e potrebbe costituiremateria per una proceduradi infrazione da parte dellaCommissione europea,dovrebbe quantomeno esse-re esplicitata, così comeavviene per i piani e pro-grammi di cui all’art. 7, c. 3,punto 8.

Alla luce di quanto espostopossiamo affermare che il“recepimento” della Vascodificato nel TU presentanotevoli lacune sia metodo-logiche che culturali, lequali, se non corrette pertempo, rischiano di produrrericadute negative sull’interoterritorio nazionale.Su questo nodo cruciale ciauspichiamo che l’attualecompagine governativavorrà ulteriormente riflette-re, pervenendo anche, final-mente, alla definizione diefficaci “forme di consulta-zione <...> delle associazioninazionali riconosciute per laprotezione ambientale <...>”,peraltro già previste dall’art.1 lett. g, della legge-delegan. 308/2004.

Inu, Gruppo di studio nazionale,“Valutazione ambientale di piani eprogrammi ex direttiva 2001/42/Ce -Vas”

Note1. Il gruppo di studio Inu ha seguito le

Trattandosi però della con-dizione di adozione oapprovazione, va rammenta-to che quest’ultima, perquanto riguarda i pianiurbanistici comunali, purcon significative differenzeda regione a regione, spettain molti casi alle province,prefigurando quindi la pos-sibilità che i piani comunalinon vengano esclusi dal-l’applicazione della norma.I livelli di piano a cui fariferimento la direttivacomunitaria (nazionale,regionale e locale), cosìcome enunciati, trovanoragione d’essere nel fattoche la direttiva è rivolta atutti gli Stati Membri dellaUe, la cui gestione ammini-strativa fa riferimento a par-tizioni territoriali che si fon-dano su criteri diversi dastato a stato. Pertanto, sem-brerebbe ragionevole presu-mere che l’accezione del ter-mine “locale” possa essereintesa nel senso di suddivi-sione amministrativa mini-ma del territorio. D’altro canto, i problemiderivanti dall’uso del termi-ne “locale” nell’ambito delladirettiva comunitaria eranogià stati rilevati nel docu-mento predisposto nel 2003dalla Commissione europea11

dove, al punto 3.34, si rilevache:“Si incontra una simile dif-

ficoltà nel decidere il signi-ficato di “locale”. Il linguag-gio usato nella direttiva nonstabilisce un legame chiarocon le autorità locali ma iltermine ‘livello’ implica uncontrasto con, ad esempio, ilivelli nazionali o regionali.La frase completa (‘piccolearee a livello locale’) chiari-sce che tutta la zona di unaautorità locale non potrebbeessere esclusa (a meno chenon fosse piccola). In alcuniStati membri le aree delleautorità locali possono esse-

appesantimento degli iterpianificatori/programmatori,e metterebbe in discussionela piena titolarità delleamministrazioni competentinella redazione dei piani eprogrammi soggetti a Vas.La direttiva europea, invece,come già interpretato innumerose leggi regionali direcepimento, imporrebbe unripensamento delle procedu-re di pianificazione/pro-grammazione, modulando, aseconda dei casi specifici,l’inserimento di momentiobbligatori di attenzione alletematiche ambientali e allapartecipazione, necessaria,del pubblico e degli stake-holder, coinvolgendo nelprocesso di piano le autorità(dir. art. 6, par. 3) “che, perle loro specifiche competen-ze ambientali, possono esse-re interessate agli effetti sul-l’ambiente dovuti all’appli-cazione dei piani e dei pro-grammi”.

Vas e pianificazionecomunaleUn’altra questione su cui ènecessario fare chiarezzariguarda l’ipotesi di esclu-sione dei piani di livellocomunale dall’assoggetta-mento alla procedura di Vas.Nel TU si legge, infatti (art.4, comma 1, lett. a, punto 3)che la norma costituisceattuazione della direttiva2001/42/Ce, con l’obiettivodi promuovere l’utilizzodella Vas nella stesura dipiani e programmi statali,regionali e sovracomunali.Contestualmente, l’art. 5, c.1, lett. d) fornendo la defini-zione di “piani e program-mi” ai fini della parteseconda del TU, fa riferi-mento agli atti amministra-tivi adottati o approvati daautorità statali, regionali olocali senza specificare ilsignificato del termine“locale”, appunto.

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Practical guidance on applyingEuropean Directive 2001/42/EC “onthe assessment of the effects of certainplans and programmes on the environ-ment”, 200513. Ordonnance n. 2004-489 du 3 juin2004 portant transposition de la direc-tive 2001/42/Ce du Parlement européenet du Conseil du 27 juin 2001 relative àl’évaluation des incidences de certainsplans et programmes sur l’environne-ment.

vicende legate all’elaborazione del testounico in materia ambientale, garanten-do informazione e divulgazione inmerito all’interpretazione della Vas nelcontesto italiano, con articoli suUrbanistica Informazioni (si veda il n.200/2005) e con un intero dossier dedi-cato alle esperienze italiane di applica-zione di Vas (Dossier n. 88/2006).2. European Environmental Bureau,Biodiversity in Strategic EnvironmentalAssessment-Quality of national trans-position and application of the strate-gic environmental assessment (SEA)directive, dicembre 2005. 3. Non-governmental organizations4. In particolare, la Commissionevaglierà la possibilità di estenderel’ambito d’applicazione della direttivaad altri tipi di piani e programmi.Successivamente verrà elaborata unanuova relazione di valutazione ognisette anni.5. Commissione Europea, Attuazionedella Direttiva 2001/42/Ce concernentela valutazione degli effetti di determi-nati piani e programmi sull’ambiente,2003.6. A questo termine si dovrebbe sosti-tuire considerazione, traduzione mag-giormente affine alle locuzioni origina-li inglese taking into account e prise encompte francese. 7. Cfr. Fidanza, Alessandra, Alcunequestioni sulla valutazione ambientaledi piani e programmi, UI n. 200/2005:“La titolarità del procedimento di pia-nificazione, arricchito dei punti pre-scritti dalla direttiva, rimane ai soggettiche ne sono istituzionalmente investiti,i quali, anche attraverso adeguateforme di partecipazione e cooperazio-ne, devono consultare le autorità “che,per le loro specifiche competenzeambientali, possono essere interessateagli effetti sull’ambiente dovuti all’ap-plicazione dei piani e dei programmi”(art. 6, 3)”.8. Cfr. Laniado, Eliot, Le linee guida delprogetto Enplan, in: La rivistadell’Urbanistica n. 3 Supplemento aiQuaderni della Regione Piemonte:”Laprocedura di Va di piani e programmi(P/P) è interna all’ente che predisponeil P/P, in quanto l’adozione/approva-zione è un atto di responsabilità politi-ca. C’è perciò un rischio di autoreferen-zialità. La trasparenza delle procedure edei contenuti del P/P, la partecipazionee la consultazione dei soggetti, cheesprimono pareri obbligatori ma nonvincolanti, costituiscono l’antidoto perlimitare tale rischio”. 9. L’individuazione di un soggetto chepossa garantire uno standard qualitati-vo minimo per i rapporti ambientali ènecessario e doveroso. Ma l’ingerenzadel soggetto esterno nel procedimentodeve fermarsi alla garanzia che talistandard – che prima vanno individua-ti- siano rispettati. 10. Mentre, art. 16, alle Province terri-torialmente interessate spetta la solasintesi non tecnica.11. Cfr. nota 512. A Practical Guide to the StrategicEnvironmental Assessment Directive.

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Urban Centredel Comune di Venezia,

Urbanistica INFORMAZIONI

INU Veneto

SEQUENZE URBANE: l’archivio dei filmati (e altro) digoverno e trasformazione del territorio

L’Urban Centre del Comune di Venezia, URBANISTICAinformazioni e l’INU Veneto, promuovono l’archivio e ilcentro di documentazione sulle esperienze di comunicazioneurbana attraverso la produzione di filmati e prodottimultimediali.

Il progetto nasce dalla considerazione che per la prima voltail filmato si affaccia sulla scena delle “tecniche urbanistiche”non più e non solo come “rappresentazione”, “fotografia” deipiani e dei progetti, ma come strumento (ancora molte voltesolo sperimentale) di comunicazione, di esplorazione di temi,di confronto di esperienze ed in alcuni casi anche diprogetto.

Con questa iniziativa si intende indirizzare una specificaattenzione ad uno strumento, il filmato, tradizionale ma cheviene sempre più utilizzato in modo innovativo conl’obiettivo dichiarato di fare rete, di scambiare esperienze.

Le pubbliche amministrazione e quanti hanno prodottofilmati relativi alle tre sezioni in cui si sta strutturandol’archivio:- marketing urbano (progetti di città e progetti di impresa)- progetti e piani di trasformazione urbana- documentari su città e territoripossono (se vogliono) inviarne copia all’Urban Centre diVenezia dove saranno catalogati resi pubblici allaconsultazione e diventare oggetto di specifiche rassegne edeventi

I video possono essere inviati al seguente indirizzo:Omar TommasiD.C. Sviluppo del territorio ed ediliziaServizio Trasformazioni UrbaneCannaregio 239630100,Venezia

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della classe, sono costituitidalla formazione nei settoritipici e qualificanti dellapianificazione territoriale,urbanistica, ambientale e delpaesaggio, della topografia ecartografia, ma anche inquelli economico-estimativi,del diritto urbanistico e delleopere pubbliche, in modo daformare una professionalitàin grado di affrontare leproblematiche di interessedal punto di vista non solopuramente tecnico, maanche multidisciplinare. Taliobiettivi possono essereesplicitati nell’acquisizionedi:- una adeguata preparazio-ne culturale scientifica dibase;- una buona preparazioneinterdisciplinare di basesulle tematiche urbanistiche,paesaggistiche, ambientali,cartografiche e topografiche;- un’appropriata prepara-zione culturale economica egiuridica di base;- un’adeguata preparazionenel campo delle tecnologieinformatiche nel campo ter-ritoriale e ambientale; - un’adeguata preparazioneingegneristica di base nelcampo delle opere edilizie,con riferimento agli aspetticostruttivi, strutturali edarchitettonici;- un’adeguata preparazionedi base nel campo dellecostruzioni stradali edidrauliche;- conoscenza di alcuniaspetti di economia applica-ta (urbana, regionale, delturismo, etc) e dell’estimorurale ed edilizio;- conoscenza di alcuni pro-fili dell’ordinamento giuridi-co nel campo privatistico,amministrativistico e penali-stico in urbanistica, in edili-zia ed in tematiche ambien-tali ed agrarie, e della con-seguente capacità di appli-care concretamente la relati-

pianificatore territoriale eambientale.Dovendo circoscrivere ilcampo di interesse alla clas-se di laurea in Scienze dellapianificazione territoriale,urbanistica, paesaggistica eambientale – L 21 – giàclasse 7, è utile ribadire chegli obiettivi formativi quali-ficanti si riferiscono alleconoscenze di base per ana-lizzare i processi di trasfor-mazione della città e del ter-ritorio; alle competenze teo-riche e pratiche per l’analisidelle forme e delle relazionifunzionali dell’ambiente fisi-co e dei suoi processi evolu-tivi; alle conoscenze di baserelative alla pianificazione eprogettazione urbanistica,territoriale, ambientale; allacapacità di analizzare ilmonitoraggio e la gestionedi progetti complessi e diprogrammi di opere pubbli-che; alle conoscenze di baseper valutare gli effetti delleazioni di pianificazione sulcontesto insediativo,ambientale, paesaggistico,sociale ed economico; allacapacità di utilizzare effica-cemente, almeno una linguadell’Unione Europea, oltreall’italiano, nell’ambito spe-cifico di competenza e perlo scambio di informazionigenerali.La normativa in vigore con-sente ai laureati della classe7 oggi L21, l’accesso, previosuperamento dell’appositoEsame di Stato, a diversialbi professionali [ordine deidottori agronomi e dottoriforestali (settore agronomo eforestale, sezione B); ordinedegli architetti, pianificatori,paesaggisti e conservatori(settore pianificazione,sezione B); agrotecnico;geometra; perito agrario;perito industriale (sezioneedilizia)].In considerazione di ciò, gliulteriori obiettivi specifici

La consapevolezza che losviluppo del territorio e latutela dell’ambiente costitui-scono una delle più impor-tanti sfide di questomomento storico, determinala necessità di formare tipo-logie professionali nuove,trasversali rispetto ai tradi-zionali percorsi formativi,capaci di gestire i delicatiprocessi di trasformazionedel territorio e vivacementesensibilizzate alle logiche inatto. Con la riforma universitariache individua due livelli for-mativi, il cosiddetto 3+2,(oltre ai dottorati di ricerca eai master), vengono intro-dotte la classe di laureatriennale in Urbanistica eScienze della Pianificazioneterritoriale (classe 7, oggiL21) e quella specialistica inPianificazione territorialeurbanistica e ambientale(classe 54S, oggi LM48) con-sentendo, con successivoprovvedimento legislativo(Dpr 328/2001), l’iscrizioneai rispettivi albi professiona-li, portando a compimentoun lungo percorso di ricono-scimento professionale dellafigura dell’urbanista e del

L’ultimo decennio è statointeressato da profondi esignificativi mutamenti neisettori della formazione uni-versitaria, delle professioni,della ricerca scientifica etecnologica, determinando,conseguentemente, unanuova “architettura” dellaformazione all’interno delleUniversità italiane e dell’e-sercizio di talune professio-ni. Un processo ancora incorso che vede, oggi, unarideterminazione delle classidi laurea triennali e magi-strali, che sancisce modifi-che ed accorpamenti, conl’obiettivo di razionalizzare ipercorsi formativi e renderlisempre più aderenti almondo del lavoro.A questo punto risultaquanto mai opportuno enecessario fare alcune consi-derazioni richiamando l’at-tenzione di fronte ad unduplice cambiamento, da unlato i mutamenti riferibilialla didattica, dall’altroquelli relativi all’ordinamen-to professionale, in partico-lare in riferimento alla pia-nificazione e progettazioneterritoriale, urbanistica eambientale.

ASSOCIAZIONE NAZIONALE URBANISTIPIANIFICATORI TERRITORIALI E AMBIENTALI

Membro effettivo del Consiglio Europeo degli Urbanistiwww.urbanisti.it

Riflessioni sulla classe di laurea inScienze della pianificazioneDomenico Patassini, Gino Cesare Mauro

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nico (C.d.S., Sez. IV, n.1087/1996). Non ultimo per importanza,ma solo per ragioni tempo-rali, il costante richiamodelle autorità comunitarie alrispetto dei princìpi di libe-ralizzazione e concorrenzanell’offerta dei servizi pro-fessionali, anche di quelliaventi rilevanza pubblica,egregiamente compendiatonella Relazione sulla concor-renza nei servizi professio-nali del febbraio 2004COM(2004) 83 dell’alloracommissario Mario Monti.Il fattore sostanziale dellasvolta regolamentare alpieno riconoscimento deipianificatoriterritoriali/urbanisti è rap-presentato dal superamentodel vecchio ordinamentodegli studi universitari basa-to sulle facoltà ed i corsi dilaurea a cui succede ilmodello del cosiddetto 3+2,che riconosce piena dignitàscientifica rispettivamentealla Classe di laurea 7(Urbanistica e scienze dellapianificazione territoriale eambientale) e di laurea spe-cialistica 54/S(Pianificazione territorialeurbanistica e ambientale).E’ stato un traguardo note-vole a cui tuttal’Assurbanisti, e parte delmondo accademico, ha pro-fuso impegno ed attenzionenel contribuire a delineare icampi formativi caratteriz-zanti e tipizzanti del laurea-to in urbanistica.Ciò ha rappresentato natu-ralmente il quadro di riferi-mento per delineare in per-fetta coerenza con gli obiet-tivi formativi i campi diintervento professionale,sinteticamente trasfusi nel-l’articolato di interesse spe-cifico del Dpr 328/01. Tuttodovrebbe volgere al meglio,da questo momento per ipianificatori/urbanisti.

Ma non è così perché partedella cultura professionale,facente capo ai vecchiOrdini professionali, cercanopermanentemente di fararretrare e confondere ilquadro normativo, approfit-tando, forse, del disinteressee della distrazione dellaburocrazia ministeriale. Unsolo esempio vale a chiariretutto: nella prima propostadi revisione del regolamentoper gli esami di Stato appro-vato dal Consiglio deiMinistri nel marzo 2006 (edancor oggi non pubblicatosulla Gazzetta Ufficiale), persostenere l’esame di statoper l’esercizio della profes-sione di pianificatore territo-riale/urbanista, incredibil-mente, solo in via subordi-nata era necessario possede-re la laurea della classe54/S. Versione immediata-mente modificata solo dopol’appello dell’Assurbanistipresso il Presidente dellaRepubblica per evitare dis-parità di trattamento, nellaformazione e nella profes-sione, in violazione delleregole costituzionali dellapiena parità nella vita socia-le, culturale, economica eprofessionale. Le stesse “anomalie” siriscontrano adesso nelloschema di Decreto ministe-riale che modifica ulterior-mente le Classi dei Corsi distudio universitarie. Lamodifica ha riguardato nonsolo la numerazione delleclassi, ma anche la loro tito-lazione e contenuto discipli-nare: la laurea triennale n. 7è diventata Laurea n. 21 conquesto nuovo titolo Scienzedella pianificazione, urbani-stica, paesaggistica edambientale; mentre la laureaspecialistica 54/s è diventatala Laurea Magistrale LM-48,mantenendo lo stesso titolodi prima, Pianificazione ter-ritoriale, urbanistica e

Sisifo e i pianifi-catori territoria-li/urbanistiBeppe Vitale,Giuseppe De Luca

La rivisitazione del preesi-stente ordine monoprofes-sionale degli architetti avve-nuta con il Dpr 328/01 hasignificato, nel panoramaordinistico italiano, una verae propria modernizzazionenon solo lessicale (comequalcuno aveva inizialmentecreduto o voluto credere),ma sostanziale. Essa, infatti,ha inciso nella “demografia”professionale, in quanto hasegnato la nascita del primoordine interprofessionale,pariteticamente rappresenta-tivo, di architetti, pianifica-tori, paesaggisti e conserva-tori. Quel provvedimento – sep-pur di natura regolamentare– non ha fatto parte di unprocesso lineare, ma è statodeterminato da una serie dicostanti pronunce giurispru-denziali, sia del giudiceamministrativo che di quelloordinario, dall’indagine anti-trust sugli ordini professio-nali, che rappresentò laprima vera e propria denun-cia di dominanti impegnateposizioni solamente a porrepaletti ostativi alle attivitàprofessionali fino a queltempo non tipizzate all’in-terno di alcun ordine profes-sionale e quindi esercitabilinon solo da chi fino ad allo-ra le aveva praticate, ma amaggior ragione dagli urba-nisti che ancorché nonmonopolisti, posseggono lapiù vicina competenza tecni-ca e la maggiore esperienzain materia, in modo dagarantire il soddisfacimentodell’interesse pubblico gene-rale ad una pianificazioneadeguata sotto il profilo tec-

va specifica normativa indi-spensabile nell’eserciziodella professione.

Questa prospettiva determi-na la necessità di tendereverso una nuova culturadella progettazione, basatasull’acquisizione di compe-tenze specifiche che, unita-mente a quelle tradizional-mente intese, consenta diavere una compiuta cono-scenza dei processi di con-trollo e di trasformazionedel territorio e del suogoverno. Il tutto in un’otticadi sviluppo basato sul coin-volgimento delle societàlocali, sulla determinazionedei reali bisogni e aspirazio-ni che dal territorio emergo-no, allargando l’orizzonte indirezione di settori scientifi-ci e professionali affini.

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del terzo settore operanti perle trasformazioni e il gover-no della città, del territorio edell’ambiente”.Dicitura similare è già pre-sente nelle declaratorie delleLauree Magistrali LM-3Architettura del Paesaggio eLM-4 Architettura eIngegneria Edile-Architettura; la sua assenzanella declaratoria della LM-48 Pianificazione territorialeurbanistica e ambientalepotrebbe generare ingiustedifferenziazioni e diversitàdi trattamento in figure pro-fessionali che trattano atti-vità similari.Il Governo del territorio e lapianificazione territoriale eurbanistica (cuore di riferi-mento della LM-48) appar-tengono alla sfera degliinteressi pubblici generali,per questo i Corsi di Laureache preparano laureatimagistrale della Classe 48,così come della precedenteClasse specialistica 54/s edei precedenti Corsi diLaurea in Urbanistica e inPianificazione territoriale eurbanistica, si preoccupanodi formare figure professio-nali altamente sensibili equalificate per il benecomune e con elevataresponsabilità per i fatti, lepolitiche e gli strumentiordinativi e regolativi per ilgoverno del territorio e dellacittà”.Per concludere questo breveresoconto, va anche dettoche il carattere esclusiva-mente pubblicistico dell’ur-banistica contenuto nellapur sempre vigente leggefondamentale del 1942 o inquello che oggi si definiscegoverno del territorio,(Titolo V della Costituzione)come declinato nelle varieleggi regionali, fa scaturiredirettamente alla prestazioneprofessionale esercitata daiPianificatori

territoriali/Urbanisti il carat-tere di interesse generale,recentemente ribadito dallastessa Corte dei Conti in unapronuncia della 2^ Sez.Giurisdizionale Centrale (n.109 del 2005), per cui leagende del ministrodell’Università e dellaRicerca e del Ministro dellaGiustizia dovrebbero forseporsi il nodo dell’opportuni-tà di creare un autonomoOrdine professionale degliUrbanisti/Pianificatori, cheaccanto al compito priorita-rio di qualificazione e certi-ficazione permanente dellaprofessione abbia quello dirappresentarne le esigenze; enelle more, ridefinire leregole elettive dell’Ordinedegli Architetti,Pianificatori, Paesaggisti eConservatori per garantire lapresenza di tutte le categorieprofessionali come esigenzadi effettiva democrazia par-tecipativa e rappresentativanelle relazioni esterne edinterne.

e ambientale, crea figureprofessionali capaci adintervenire nella pianifica-zione territoriale e urbanisti-ca; in quella che la culturadi derivazione anglosassonedefinisce urban and regionalplanning, col solo campo diintervento comune agliarchitetti rappresentatodall’urban design.L’iniziativa dell’Assurbanistiha trovato immediata ecopresso le sedi dei percorsiformativi delle Facoltà diArchitettura. Ha iniziato aprendere posizione la sede diEmpoli dell’Università diFirenze, per poi estendersialle sedi di Venezia-IUAV,Reggio Calabria, Roma 1,Milano e Torino Politecnico,Palermo e Napoli. Tutte hanno inviato unaprotesta agli organi ministe-riali e parlamentari.Questo il tenore della presadi posizione comune.In riferimento allo Schemadi cui all’oggetto, ilConsiglio di Corso di Laurea,prendendo in considerazionela declaratoria degli obiettiviformativi qualificanti il lau-reato della classe LM-48, haevidenziato una manchevo-lezza nella figura del laurea-to magistrale che, qualorapermanga, potrebbe genera-re involontarie confusioni ediversità di trattamento nel-l’esercizio della libera pro-fessione e nell’attività pub-blica.Si chiede perciò la seguenteintegrazione:“Gli ambiti di attività tipicidel laureato magistrale sonocostituiti dalla libera profes-sione e da attività e funzio-ni di elevata responsabilità(quali il coordinamento ela direzione di gruppiinterdisciplinari nel gover-no del territorio e nellapianificazione territorialee urbanistica), in istituzio-ni, enti pubblici, privati e

ambientale.Le novità, tuttavia, nonsono solo nella diversa dis-tribuzione delle materiecaratterizzanti (di cui parle-remo in un prossimo nume-ro), quanto anche nelladeclaratoria contenente gliobiettivi formativi qualifi-canti della classe, che sem-bra creare una paradossalesubordinazione professionaledei pianificatoriterritoriali/urbanisti rispettoad altre professioni tecnichesia consolidate (come quelladegli architetti), che direcente istituzione (comequella dei paesaggisti) allor-quando prevede, grossolana-mente, solo per questi ultimilo svolgimento di funzionidi “elevata responsabilità ecoordinamento” in seno alleistituzioni ed enti pubblici. E’ evidente che si tratta diun maldestro tentativo diridimensionare una figuraprofessionale che ha, invece,acquisito autonoma rappre-sentatività professionalecaratterizzandosi sempre piùcome presenza di eccellenzaformativa, che ha saputocreare ulteriore valoreaggiunto dall’originariodisegno del cursus studio-rum concepito da GiovanniAstengo. Per questo motivo è statoimmediatamente interessatosia il Ministro dell’Universitàe della Ricerca che gli orga-ni tecnici e consultivi dellostesso ministero e le com-missioni di Camera e Senatoper colmare tale manchevo-lezza che altri (e sono tantie ben strutturati) avrebberopreso come documento diindirizzo generale, per dareuna involuzione di contro-tendenza alla naturaleespansione dell’offerta for-mativa e professionale che,relativamente ai corsi dilaurea afferenti la pianifica-zione territoriale urbanistica

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Librie altrove il quadro conoscitivosulle politiche francesi perle periferie risulta a trattieccessivamente approssima-tivo, tanto più laddovemolti dispositivi e program-mi si accreditano oggi nelnostro Paese ostentandorichiami ad esperienze efiloni di azione che inFrancia appartengono ormaial passato. In secondoluogo, appare utile esplora-re alcuni nodi critici che larivolta delle periferie fran-cesi ha fatto emergere e checi riguardano. Riguardanoquanti sono a vario titoloimplicati nel disegno e nel-l’attuazione di politicheurbane e sociali che insisto-no sui quartieri in crisi.Una prima annotazione chesegnaliamo è che JacquesDonzelot insiste a richiama-re, come ineludibile, il fattoche a monte del degradodelle periferie, in Francia, cisono le ‘Politiques de laville’ che il governo centra-le ha promosso da più di 25anni. Come dire, si proponeuno sguardo sui problemiurbani che fa immediata-mente i conti con i disposi-tivi di governo e le pratichedi azione pubblica che sisono elaborati per il lorotrattamento. E’ questo unlivello di riflessione chinterroga in modo diretto edesplicito le politiche per lacittà e il modo in cui alter-nativamente si sono rivelateora riparatorie, laddovehanno mirato a ricomporreprecipitazioni locali di pro-cessi strutturali di largaportata (la disoccupazionegiovanile, ma ancor più, leistanze poste dai soprannu-mero, ovvero da coloro chenon trovano collocazionealcuna nelle forme e artico-lazioni di un assetto socialeche il mercato del lavorocontemporaneo rende pro-gressivamente polarizzato)

caccia degli aspetti comuni,o comparabili tra i problemidi degrado della Banlieuedei Grands Ensembles, equelli delle aree urbane incui in Italia si manifestano idisagi dell’abitare, che sianoi nostri più modesti e varie-gati quartieri pubblici o icentri storici. La rivistaEsprit ha dedicato in questianni un’attenzione costantealle nuove inflessioni che lepolitiques de la ville inFrancia hanno disegnatosulle e per le periferie, nelquadro di un costante impe-gno ad alimentare ed arric-chire un qualificato dibatti-to sul modo in cui l’azionepubblica si articola inFrancia in corrispondenzadi processi di cambiamentosociale. Tra gli osservatori ericercatori più attenti ecostanti, Jacques Donzelotha animato in questi anni ildibattito culturale e politicoattraverso la proposizionedi numerosi saggi critici chein maniera spesso pocoortodossa hanno trattato ilmodo in cui politiche suiluoghi e politiche sulle per-sone trattano – e talvoltariproducono – le istanze cheprecipitano sul territoriodella città. I due suoi volu-mi più recenti - che quiproponiamo alla lettura -restituiscono in modo com-plementare uno sguardo cri-tico e problematico di talipolitiche. Un primo volume(pubblicato nel 2003 e cura-to con Catherine Mével eAnne Wyvekens) si intitolaFaire Societé e trova corri-spondenza nel successivo,Quand la ville se défait,pubblicato nel 2006.Essendo che tali volumi nonsono ancora stati tradotti initaliano, queste note più cheuna recensione intendonoproporre piuttosto un invitoad avvicinarsi alla letteratu-ra francese sul tema, laddo-

distanza. Ad un anno dallarivolta delle periferie inFrancia, siamo alle presecon interrogativi, ipotesi e‘distinguo’. I moti e il dibat-tito che hanno sollevatosono una sollecitazione ariprendere le fila e a volgerelo sguardo oltralpe peraggiornare e affinare il qua-dro di obiettivi, filosofie diazione, politiche e strumentiche in questi venticinqueanni hanno contrassegnatol’azione pubblica sulle peri-ferie francesi. Una tempesti-va traduzione italiana diuna ricerca curata daLagrange e Oberti hacominciato a dare alcunerisposte documentate1, uninserto di prossima pubbli-cazione nel numero didicembre di AnimazioneSociale propone un ulterioreprospettiva da cui guardarea ciò che accade oltralpe2.E’ certo emersa l’esigenza diporre l’attenzione a cosa staaccadendo nelle nostre‘periferie’, riproponendo untema tra i più consumati elogori sul piano delle retori-che e che rimandano a pro-blematiche complesse e lar-gamente irrisolte. Certo èche i due contesti nazionali,quanto a periferie, sonomolto diversi, e che se siguarda al caso francese,non è certo per andare a

Fare società quando lacittà si disfa

Testi e riflessioni a propo-sito delle politiche per leperiferie in Francia

Donzelot J. con C. Mevel eA. Wyvekens, (2003), Fairesocieté. La politique de laville aux Etats-Unis et enFrance, Seuil, Paris. Donzelot, J. (2006) Quandla ville se défait. Quellepolitique face à la crise desbanlieues?, Seuil, Paris.

Da qualche tempo a questaparte la parola banlieue si èimpadronita della stampa,non solo francese. Banlieuenon è solo la porzione peri-ferica di una città, ma portacon sé altre accezioni ealtre immagini: è il rischioincombente del disordine, lacittà fragile, la concentra-zione di criticità, la disoc-cupazione e il lavoro preca-rio, habitat degradato epopolazioni straniere, pre-senza di giovani sfaccendatiche sembrano esibire la loroinutilità sociale, visibilitàdelle pratiche delinquenzia-li, persone in “soprannume-ro”, ridondanti rispettoall’offerta del mercato dellavoro, l’assenza delle isti-tuzioni, la difficoltà neltrattare i problemi, la

a cura di Ruben Baiocco

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Urbanistica INFORMAZIONI

ne di destinatari passivi,tanto più in un contestourbano in cui si evidenzia-no segnali progressivamenteevidenti di scollamento. InQuand la ville se defait,Donzelot segnala come taledisarticolazione della cittàproduce una riorganizzazio-ne spaziale contrassegnatada dinamiche di segregazio-ne alimentate da una inter-posta distanza (in luogo delconflitto sociale di untempo) in corrispondenza diuna tendenziale tripartizio-ne delle grandi città in cor-rispondenza di processi dievoluzioni concomitanti.Mentre si assiste alla rele-gazione progressiva deigruppi di popolazione piùpoveri in quartieri di edili-zia residenziale pubblica, leclassi medie scelgono la viadella suburbanizzazione inambiti peri urbani e i grup-pi più agiati divengono gliattori di processi di gentrifi-cation che nelle porzionicentrali dei nuclei storicivedono una progressivaqualificazione del patrimo-nio architettonico e di valo-rizazione immobiliare dellostock residenziale. Propriosu questo disegno di unadiversa geografia socialedella città. Le politiche perle periferie più recentimanifestano un caratterefortemente demiurgico lad-dove mirano a promuoveremixité sociale per decreto eprocedendo sostanzialmentead una demolizione siste-matica di edifici nei grandiquartieri al fine di poteredificare quantità di alloggiche siano in grado di riequ-librare la composizionesociale dei quartieri innal-zando il loro status. Le politiche avviate a parti-re dal 2003 attraverso lacostituzione dell’ANRU,Agence Nazionale de laRénovation Urbaine, preve-

dono la realizzazione di 250mila nuovi alloggi in affittosociale, la ristrutturazionedi 400 mila, la demolizionedi 250 mila e la realizzazio-ne di infrastrutture pubbli-che e di attrezzature urba-ne. Il programma insiste suquartieri individuati come“sensibili” e selezionaticome ambiti di interventoprioritario in un quadro dilivello nazionale; l’ANRU,promuove interventi secon-do una filosofia di azionecentrata sul principio dimixité sociale (ovvero diarticolazione della composi-zione sociale) che costitui-sce l’argomentazione preva-lente di interventi che pre-vedono la demolizione diuna parte del patrimonio ela costruzione di nuoviinsediamenti residenzialiper soggetti di ceto medio.Uno dei nodi problematicipiù rilevanti si evidenzia incorrispondenza del fatto chel’azione promossa dalle sin-gole municipalità tende arispondere a logiche e siste-mi di convenienza localemirando ad attrarre gruppidi popolazione di cetomedio ed alto e a scaricarealtrove (e “dove ?” rimaneper Donzelot un interrogati-vo senza risposta alcuna)gruppi di popolazione pove-ra o in difficoltà. Nella let-tura proposta da Donzelot,il periodo che si apre con il2000 vede la progressivapropensione al passaggiodalla rigenerazione urbana(che prestava forte attenzio-ne ai processi che concorro-no a generare forme di dis-agio sociale e degradourbano e alla capacità deiprogrammi di intervento dicontrastarli) al rinnovourbano (con una forte spo-stamento dell’attenzionesulle dimensioni fisico fun-zionali dei tessuti urbani).I tratti i tratti essenziali e i

cezione comunitaria dellavita sociale, in Francia sonofondate su una concezionerepubblicana di cittadinanzaastratta.Donzelot sottolinea che unnodo critico rilevante stanella centralità che nellepolitiche urbane e abitativeha mantenuto l’interventosulle strutture, sugli spazifisici degli insediamenti(‘place’) e nella complemen-tare scarsa considerazionenei confronti delle popola-zioni che li abitano (‘peo-ple’), oggetto di interventisociali separati, in capo adaltre politiche, quelle strictusenso sociali. Queste a lorovolta hanno proceduto conlo stampo tradizionale disistemi di servizi che opera-no in base a categorie diutenti e alla presa in caricodi casi, prescindendo daicontesti di vita delle perso-ne- ivi compresi i contestifisici - non considerandolicioè come parte dei proble-mi di loro competenza. Da questo punto di vista, lerivolte (che costituiscono losfondo sul quale si articolail secondo volume) vengonolette (sia pure in un conte-sto segnato da forti stru-mentalizzazioni politichestrumentali ad una competi-zione elettorale per laPresidenza della Repubblicache domina ormai da tempoqualsiasi terreno di politi-che) come una forma diprotesta, contro i trattamen-ti – e i maltrattamenti – dicui gli abitanti delle ‘cités’si sono sentiti da troppotempo oggetto. Ad esseremesso in discussione è statoproprio il fatto (che sia purea fronte di una ingiunzionegeneralizzata alla promo-zione di attività di parteci-pazione dei cittadini fattaper decreto) di essere tratta-ti come oggetto di politichee interventi, cioè la posizio-

ora corresponsabili di quelpassaggio che Donzelotsegnala come un movimen-to da una società caratteriz-zata dal conflitto (di classe)ad una società il cui assettoè caratterizzato da tendenzealla separazione (intesa cer-tamente in senso fisico, dilocalizzazione e distribuzio-ne territoriale) tra popola-zioni. Disegnato questo scenariodi riferimento, il richiamocritico maggiore che vieneavanzato in Faire Societé èche una comparazione traFrancia e Stati Uniti mettein evidenza come i processidi integrazione e di inclu-sione sociale negli StatiUniti fanno appello a politi-che di promozione dellamobilità sociale degli indi-vidui (“remettre les gens enmouvement”), mentre inFrancia tali politiche vedo-no dominare le istanze ditrattamento dei luoghi(secondo il motto “refaire laville sur place”) entro poli-tiche che agiscono in virtùdi forme di discriminazionepositiva che evidenziano emettono sotto osservazionei luoghi più difficoltosi,selezionati generalmente alivello centrale e fatti bersa-glio di politiche che risento-no costantemente di undisegno dello stato centralee che sempre di più richie-dono l’attivazione deigoverni locali. Detto diffe-rentemente, quella che ilvolume mette in evidenzanella comparazione tra l’e-sperienza delle CommunityDevelopment Corporationsstatunitensi e le politiquesde la ville francesi è unaopposizione people/placesche definisce la tensione tradue poli, tra politiche cheagiscono sui luoghi e politi-che che agiscono sugli indi-vidui e che mentre negliUsa fanno leva su una con-

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François Ascher, Les nou-veaux principes de l’urbani-sme, éditions de l’aube, LeMoulin du Chateau, La Tourd’Aigues 2001, pp. 104, ill.b/n, euro 12,50.

Il libro di Ascher raccogliele riflessioni proposte ad unciclo di conferenze intitolateRencontre du nouveau siècleed organizzate dalla“Mission prospective duConseil régional Nord-Pas-de-Calais”. Già dal titolo diqueste conferenze, si capisceche l’enfasi è posta tutta sulcambiamento, su ciò che dinuovo si presenta all’atten-zione degli studiosi.Ed è, infatti, di “mutazionicontemporanee” che il librosi occupa, mostrando comeesse conducano non tantoalla fine ed al dissolvimentodella città in un’urbanizza-zione generalizzata e diffu-sa, quanto ad un ‘ritornodella città’, ad una nuovarivoluzione urbana, la terzadopo quella della città clas-sica e quella della cittàindustriale. Quali sfide que-sta nuova condizione urba-na ponga all’urbanisticacostituisce il principaleinterrogativo cui Aschercerca di rispondere, formu-lando alcuni principi attornoai quali il nouvel urbanismesi articola.Ascher utilizza la maggiorparte del libro per descriverela terza modernità, un pro-cesso di trasformazione cheinveste in primis la società,la quale risulta essere sem-pre più razionale, individua-lista e differenziata nei pro-fili di vita che rendono sem-pre meno percepibile l’ap-partenenza degli individui agruppi sociali, facendoleassumere il carattere dell’ipertesto, in altre parole unasocietà in cui non è veroche si siano indeboliti ilegami sociali, in quanto

essi risultano essere sola-mente meno stabili mamolto più numerosi e varifacendo degli individui chela compongono dei multi-appartenenti. A questanuova condizione socialesembra corrispondere ancheuna nuova forma dell’eco-nomia, sempre più legataall’urbano e sempre più tesaa trasformare la città e ilterritorio in spazi produttivi. Per Ascher le trasformazioniche caratterizzano la città dioggi sono l’esito della rivo-luzione urbana conseguentea questa nuova fase dellamodernità. Cinque sono iprincipali caratteri che con-traddistinguono la città dellaterza modernità dalle prece-denti: - il processo di metapolizza-zione, in altre parole la for-mazione di vaste conurba-zioni dilatate, discontinue,eterogenee e multipolari; - la trasformazione dei siste-mi di mobilità urbana, sem-pre più rapidi, cui corrispon-de una città sempre piùmobile e telecomunicante edin cui i rapporti tra persone,beni ed informazioni sonoanimati da eventi che esigo-no la loro presenza simulta-nea; - la ricomposizione socialedelle città, dove la sempremaggiore individualizzazio-ne della vita urbana portaad una trasformazione nel-l’organizzazione delle attrez-zature e dei servizi pubbliciche va nella direzione diuna maggiore capacità dirispondere ad un panoramadi bisogni sociali diversifica-ti;- la ridefinizione delle rela-zioni tra interessi individua-li, collettivi e generali cherichiede una rifondazionedell’architettura istituzionaleterritoriale e un rinnova-mento delle modalità di fun-zionamento della democra-

interventi di rénovation,con la brutalità dei bulldo-zer, con l’incertezza chedilaga tra chi sta per perde-re il proprio alloggio – inmolti casi tra le poche cer-tezze e punti fermi rimastiin traiettorie di vita difficili– senza sapere dove e comesarà rilocalizzato.Certamente tale brutalità èun’implicazione di pro-grammi e decisioni che nonsono mai state condottecercando e costruendo ilconsenso locale. Il passo ariconoscere una corrispon-denza stretta, una contigui-tà, tra condizioni di esclu-sione urbana, esclusionesociale e l’essere “sur-numéraires” è breve (laddo-ve i “soprannumero” -secondo la definizione diRobert Castel - sono lette-ralmente coloro “sans placereconnue dans la société”(Castel, 1996; 2004). Inquesta direzione apparerilevante riconoscere, neimoti delle banlieues ma,soprattutto, nel dispiegarsidelle politiche e delle for-mule di costruzione e ditrattamento dei problemi itratti di una possibile ri-articolazione del problemabanlieues in termini di que-stione innanzitutto socialepiuttosto che non già solourbana (e, tanto meno,urbanistica).

Massimo Bricocoli

Note1. Cfr. Lagrange H., Oberti M., (2006),La rivolta delle periferie. Precarietà eprotesta giovanile: il caso francese,Bruno Mondatori, Milano.2. Il riferimento è all’inserto“Banlieues. Quando le politiche sono ilproblema” di prossima pubblicazionenel numero di dicembre 2006 dellarivista Animazione Sociale; curato dachi scrive con Ota De Leonardis, l’in-serto raccoglie contributi di JacquesDonzelot, Liliana Padovani e RenaudEpstein.

principi ispiratori delleattuali politiche per le ban-lieues francesi:- i contenuti: da una varie-tà di azioni sulle persone(programmi di natura socia-le) e sui luoghi, progressi-vamente si è passati da unaccento sui luoghi, sullatrasformazione fisica deglispazi e degli immobili(secondo il mandatodell’Anru, Agenzia naziona-le per la rénovation urbai-ne),- la filosofia, che semprepiù fondata sul principiodella mixité sociale: il rin-novo si fa in nome dellapromozione di una maggiorarticolazione della composi-zione sociale nei quartieri,- la “messa in opera”, chefa sempre più riferimento eappello all’iniziativa locale,all’iniziativa degli ammini-stratori locali, segnando ilpassaggio da un metodocontrattuale stato-comuniad un metodo che fa strettoriferimento (attraverso laformula e il dispositivo delbando) ai soggetti di livellolocale chiamati a svilupparee presentare progetti inconformità e corrisponden-za alle linee guida del pro-gramma.I moti dello scorso autunnonon si sono rivolti in formadiretta a questa politica dirénovation ma, questa è l’i-potesi avanzata, certamentei programmi attualmente incorso hanno contribuito adesasperare la popolazionedei quartieri implicati.Donzelot segnala che “ilmotivo dell’esplosione èforse da individuare nellabrutalità delle parole delministro - “racaillle” - enella brutalità dei modidella polizia, su questo vocie posizioni sono assaidiverse. Ma è certo che talebrutalità è entrata in riso-nanza con la brutalità degli

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ed estesa compagnia. Tuttavia, dopo avere lettoquesto libro, fin troppo ras-sicurante nello stabilire deinessi così forti tra terzamodernità, rivoluzione urba-na e nuova-urbanistica,viene da chiedersi se in que-sti anni, in cui forse troppoci siamo lasciati affascinaredalle mutazioni sociali edeconomiche e dalle retorichead esse conseguenti, nonabbiamo trascurato di inda-gare la capacità o anchel’incapacità che l’urbanisti-ca, come molti altri campi disaperi e pratiche, ha avutodi crescere su se stessa, ela-borando nuovi approcci enuovi strumenti di governodel territorio. Un punto di vista diversosull’urbanistica, che forseperò avrebbe potuto ancheaccorgersi di tanti inutilicambiamenti.

Maria Chiara Tosi

Note1 Cfr. Lagrange H., Oberti M., (2006),La rivolta delle periferie. Precarietà eprotesta giovanile: il caso francese,Bruno Mondatori, Milano.2 Il riferimento è all’inserto “Banlieues.Quando le politiche sono il problema”di prossima pubblicazione nel numerodi dicembre 2006 della rivistaAnimazione Sociale; curato da chi scri-ve con Ota De Leonardis, l’inserto rac-coglie contributi di Jacques Donzelot,Liliana Padovani e Renaud Epstein.

sapere avviare processi diadattamento delle città alladiversità dei bisogni espressida una società sempre piùindividualizzata; deve sapereanche concepire i luoghi infunzione delle nuove prati-che sociali, passando daglispazi semplici agli spazimultipli; deve sapersi con-frontare con una società for-temente differenziata in cuil’interesse generale ha sem-pre più carattere procedura-le; deve anche saper riquali-ficare i compiti dei pubblicipoteri; deve saper risponderealla varietà di gusti edomande passando daun’architettura funzionalead un disegno urbanoattraente; deve saper pro-muovere una nuova qualitàurbana; ed infine, deveriuscire a adattare la demo-crazia alla terza rivoluzioneurbana, sostituendo ilgoverno urbano con lagovernance metropolitana. L’urbanistica cambia a fron-te di una grande trasforma-zione del contesto che devegestire: questa è l’organizza-zione discorsiva adottata daAscher in questo libro.Infatti, la sequenza dei capi-toli e dei paragrafi raccontala trasformazione dellasocietà, dell’economia edella città così da far emer-gere come necessario ilcambiamento dell’urbanisti-ca. In altri termini, nelleargomentazioni di Aschernon si avverte la necessitàdi un cambiamento dovutoanche ed in parte ad unariflessione e ricerca internaall’urbanistica, una necessitàche possa emergere ancheper maturazione e affina-mento di questo campo disaperi e pratiche. Naturalmente Ascher non èil solo ad utilizzare questomodo di giustificare il cam-biamento dell’urbanistica,anzi si può dire sia in buona

zia in generale e dellademocrazia locale in parti-colare; un profondo cambia-mento dei modi di definizio-ne degli interessi collettivi edella costruzione delle deci-sioni pubbliche; infine, unadeguato trattamento dellenuove forme di segregazionesociale; - la presenza del rischiocome carattere distintivodella modernità, che oggiassieme al principio di pre-cauzione costituisce unodegli elementi determinantidel contesto entro cui simuovono i poteri pubblici,gli urbanisti, i pianificatori etutti gli attori privati impli-cati nella gestione dellecittà. Sono questi cambiamentinell’evoluzione dei bisogni,nei modi di pensare e d’agi-re, nei legami sociali, nellosviluppo di tecnica e scien-za, nel mutamento di naturae di scala dei rapporti traattori collettivi a richiedereuna trasformazione dell’ur-banistica. Per gestire questadiversa condizione sociale eurbana è necessario un néo-urbanisme, definito in que-sto modo per distinguerlodal paléo-urbanisme dellaprima modernità e dall’urba-nisme della seconda rivolu-zione moderna. Ascher, nell’ultimo capitolodel libro, tenta una defini-zione dei dieci principi diquesta nuova-urbanistica. In primo luogo deve saperelaborare progetti in uncontesto incerto, passandodalla pianificazione urbanaalla gestione strategica; insecondo luogo deve saperprivilegiare gli obiettivi inrapporto ai mezzi utilizzan-do regole performative; poideve saper integrare i nuovimodelli di performance trat-tando adeguatamente lacomplessità della città edelle sue reti; inoltre, deve

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CopianificazioneWord Urban Forum diVancouver

ERRATA CORRIGE

La redazione si scusa conGiulio Spiazzi, autore di tuttele immagini nel servizio sulla XBiennale di Architettura (UI209), per non aver menzionatoil suo nome a causa di un dis-guido tecnico.

Urbanistica DOSSIER91Il progetto Equal“spazi e tempinel lavoro”

a cura diRaffaella Radoccia

Urbanistica DOSSIER92Al più presto la legge diprincipi per il governodel territorio

a cura diCarolina Giaimo

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