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Pescara città relazionale Silvia Cataldo, p. 35 Le ragioni del Piano per la città di Lecce Francesco Palazzo, p. 37 Cagliari: costruiamo insieme il nostro futuro Alessandra Lai, p. 39 A sud delle politiche urbane a cura di Daniela De Leo, p. 41 I progetti città: tra innovazione e pragmatismo Marco Magrassi, p. 42 Città e risorse comunitarie: una strada tutta in salita Walter Tortorella, p. 47 I servizi per i cittadini del mezzogiorno Monica Brezzi e Francesca Utili, p. 49 Le scelte regionali per le città Anna Paola Di Risio, p. 51 L’esperienza siciliana Vincenzo Todaro, p. 55 Aperture Per il nuovo piano Francesco Sbetti, p. 3 Agenda Il problema dell’attuazione Angela Barbanente, p. 4 …si discute: nelle città italiane il clima è già cambiato Edoardo Zanchini, p. 6 Piani urbanistici, prove di innovazione a cura di Marisa Fantin, p. 9 Piano urbanistico di San Giovanni Valdarno (AR) Vito Disabato, p. 10 Il Piano di assetto del territorio di Feltre (BL) Michela Rossato, Antonella Galantin, p. 12 Il nuovo piano urbanistico di Bolzano Peter Morello, Francesco Sbetti, p. 15 Il Regolamento urbanistico di Pietragalla (PZ) Roberto Lo Giudice, p. 20 Il Piano di governo del territorio di Mozzate (CO) Massimo Giuliani, p. 22 Il Regolamento urbanistico di Scandicci Lorenzo Paoli, Enrico Amante, p. 24 Pianificazione strategica: una formula di successo a cura di Stefano Sampaolo, p. 27 Dal primo al secondo Piano strategico di Torino Elisa Rosso, p. 29 Il Piano strategico di Trento al 2010 Alessandro Franceschini, p. 31 Il fare pianificazione strategica nell’area veneziana Turiddo Pugliese, Dennis Wellington, p. 33 una finestra su: Manchester a cura di Marco Cremaschi, p. 57 Rigenerazione urbana a Manchester David Fanfani, Carlos Machado e Moura, p. 57 Inghilterra: un portfolio di piani Francesco Casagrande, p. 60 Opinioni e confronti Il Nuovo Piano Federico Oliva, p. 63 Un Piano tutto nuovo Giuseppe Campos Venuti, p. 67 Quando l’economia critica la pianificazione Ezio Micelli, p. 71 Crediti urbanistici Perequazione e natura del piano Ezio Micelli, p. 75 Eventi A Bologna “la civiltà dei superluoghi” Vittoria Crisostomi, p. 77 Una mostra per salvare le foreste del mondo Pamela De Pasquale, p. 79 L’Inu Congresso Inu, p. 79 La questione urbana nella nuova programmazione comunitaria Chiara Bagnetti, Riccardo Guarnello, p. 82 La festa dei centri minori Manuela Ricci, p. 84 Assurb a cura di Daniele Rallo, p. 87 Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 88 Indice Indice

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Pescara città relazionaleSilvia Cataldo, p. 35

Le ragioni del Piano per la città di LecceFrancesco Palazzo, p. 37

Cagliari: costruiamo insieme il nostro futuroAlessandra Lai, p. 39

A sud delle politiche urbanea cura di Daniela De Leo, p. 41

I progetti città: tra innovazione e pragmatismoMarco Magrassi, p. 42

Città e risorse comunitarie: una stradatutta in salitaWalter Tortorella, p. 47

I servizi per i cittadini del mezzogiornoMonica Brezzi e Francesca Utili, p. 49

Le scelte regionali per le cittàAnna Paola Di Risio, p. 51

L’esperienza sicilianaVincenzo Todaro, p. 55

AperturePer il nuovo pianoFrancesco Sbetti, p. 3

AgendaIl problema dell’attuazioneAngela Barbanente, p. 4

…si discute:nelle città italiane il clima è già cambiatoEdoardo Zanchini, p. 6

Piani urbanistici,prove di innovazionea cura di Marisa Fantin, p. 9

Piano urbanistico di San GiovanniValdarno (AR)Vito Disabato, p. 10

Il Piano di assetto del territoriodi Feltre (BL)Michela Rossato, Antonella Galantin, p. 12

Il nuovo piano urbanistico di BolzanoPeter Morello, Francesco Sbetti, p. 15

Il Regolamento urbanistico diPietragalla (PZ)Roberto Lo Giudice, p. 20

Il Piano di governo del territorio diMozzate (CO)Massimo Giuliani, p. 22

Il Regolamento urbanistico di ScandicciLorenzo Paoli, Enrico Amante, p. 24

Pianificazione strategica: una formula di successo a cura di Stefano Sampaolo, p. 27

Dal primo al secondo Piano strategicodi TorinoElisa Rosso, p. 29

Il Piano strategico di Trento al 2010Alessandro Franceschini, p. 31

Il fare pianificazione strategica nell’areaveneziana Turiddo Pugliese,Dennis Wellington, p. 33

una finestra su: Manchestera cura di Marco Cremaschi, p. 57

Rigenerazione urbana a ManchesterDavid Fanfani, Carlos Machado e Moura, p. 57

Inghilterra: un portfolio di pianiFrancesco Casagrande, p. 60

Opinioni e confrontiIl Nuovo PianoFederico Oliva, p. 63

Un Piano tutto nuovo Giuseppe Campos Venuti, p. 67

Quando l’economia criticala pianificazioneEzio Micelli, p. 71

Crediti urbanistici Perequazione e natura del pianoEzio Micelli, p. 75

Eventi A Bologna “la civiltà dei superluoghi”Vittoria Crisostomi, p. 77

Una mostra per salvare le forestedel mondoPamela De Pasquale, p. 79

L’InuCongresso Inu, p. 79

La questione urbana nella nuovaprogrammazione comunitariaChiara Bagnetti,Riccardo Guarnello, p. 82

La festa dei centri minoriManuela Ricci, p. 84

Assurba cura di Daniele Rallo, p. 87

Libri ed altro a cura di Ruben Baiocco, p. 88

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AgendaAgendane che la riduzione del gap sopra accennato dovrebbe impe-gnare di più urbanisti e amministratori, utilizzando a talfine l’intera gamma di strumenti disponibili per l’attuazionedelle politiche pubbliche. Usando le categorie del seminalelavoro di Hood2, le fondamentali risorse a disposizione deigoverni per l’attività politico-amministrativa sono autorità,mezzi finanziari, organizzazione e centralità. Ognuna diqueste risorse è chiaramente essenziale per consentire aigoverni di orientare comportamenti e attività sociali e istitu-zionali verso i desiderati assetti futuri. Per il governo regio-nale, le risorse di autorità discendono dal potere legislativo,oltre che regolamentare e pianificatorio; le risorse finanzia-rie, nel caso della Puglia derivanti in misura crescente dallafonte comunitaria, possono essere distribuite in forma disovvenzioni, agevolazioni, incentivi; l’organizzazione attienealla capacità di dotarsi di strutture tecniche e amministrati-ve atte allo svolgimento dei compiti di governo sia medianteil miglioramento di quelle esistenti sia creandone di nuove;la centralità è legata alla densità e ampiezza delle relazioniintrattenute con i diversi attori istituzionali e sociali: altrilivelli di governo ed enti pubblici, popolazioni, associazioni,imprese.E’ mia impressione che i governi, nel quadro di una perdu-rante disattenzione verso l’attuazione, concentrino ancoratroppe attenzioni sulle prime due risorse sopra indicate,ossia su autorità e finanze, trascurando le altre o non usan-dole in modo coerente, con conseguenze assai negative sullacapacità attuativa e l’efficacia dell’azione politico-ammini-strativa. Nel governo del territorio, poi, la routine ammini-strativa è ancora largamente sbilanciata verso l’uso di stru-menti regolativi trascurando anche le potenzialità di unimpiego sinergico delle risorse finanziarie per indurre idestinatari delle norme a conformarvisi. Le ragioni di talimancanze sono molte. Esse vanno dalla crescente interpre-tazione della politica come mero discorso, all’ignoranzadella molteplicità degli strumenti sui quali si può far levaper garantire la messa in opera delle politiche, dalle resi-stenze al cambiamento dovute a consolidati frames cogniti-vi, consuetudini operative e relazioni di potere, alle difficol-tà pratiche di integrare le quattro categorie di Hoods in con-testi decisionali caratterizzati da particolarismi politici e set-torialità organizzative. In Puglia stiamo provando a tener conto delle opportunità edifficoltà legate all’integrazione di strumenti diversi nell’a-zione di governo. Questo nella consapevolezza che in unasocietà pluralista qual è quella contemporanea e in unaregione ove i comportamenti sregolati sono assai diffusi glistrumenti autoritativi non possono essere sufficienti a modi-ficare i comportamenti di enti e individui orientandoli versola tutela dei valori ambientali, sociali e culturali e ad arre-stare la spinta all’espansione urbana in favore della riquali-ficazione delle città e dei territori, specie di quelli più degra-dati e inospitali. Tale consapevolezza è alimentata dall’os-servazione ‘dal basso’ dei processi attuativi grazie all’attivitàdialogica e di approfondimento con rappresentanti delleamministrazioni e della società che quotidianamente ciimpegna, dalla quale emergono non solo le difficoltà diattuazione che leggi e piani incontrano nella pratica, ma

Sul tema dell’attuazione gli urbanisti si interrogano spesso.La mia attuale esperienza di governo, comprensibilmente, miporta sovente a riflettere sull’argomento da una prospettivain parte simile in parte diversa da quella che ero solita assu-mere da ricercatrice. L’impegno di realizzare un programmaamministrativo che non prevede soltanto la formazione distrumenti legislativi, regolamentari e pianificatori, ma cheimplica anche (come dovrebbe essere ovvio ma spesso nonaccade nella pratica) il reale conseguimento dei fini da talistrumenti perseguiti, ad esempio consistenti nel migliora-mento della qualità della vita degli abitanti o nella tuteladel paesaggio quale fattore di promozione e sviluppo socialeed economico, rende necessario porsi in modo molto serio ilproblema dell’attuazione. I classici temi di ricerca del rapporto fra teoria e pratica,elaborazione e messa in opera, decisione e relativi esiti,nelle condizioni di incertezza e limiti di tempo, risorse econoscenze connaturati all’azione di governo, assumonouna luce diversa. Non si tratta di cedere all’angustia degliorizzonti temporali imposti dai ritmi dei mandati elettorali,così rinunciando a dare il necessario respiro all’azione digoverno. Al contrario. Quanto più ambiziosi sono gli obiet-tivi, quanto più radicali sono le discontinuità politiche egestionali che si ritengono necessarie per fare uscire moltearee della Puglia da una lenta ma inesorabile deriva civile eculturale oltre che sociale ed economica, tanto più forte è ilrischio di disattendere impegni e deludere aspettative. Talerischio è strettamente legato all’insufficiente attenzione pre-stata al problema dell’attuazione. Questo, peraltro, assumecruciale rilevanza in un Paese nel quale il gap fra prescri-zioni e indirizzi dettati da leggi, piani, programmi e praticheconcrete è particolarmente ampio, come puntualmentesegnalato dalla letteratura internazionale1. Ed è ancor piùcritica in una regione nella quale, nel campo del governodel territorio, i comportamenti sociali sono sovente sregolatie quelli amministrativi sono largamente dominati dalla logi-ca della conformità e del mero adempimento burocratico,ignorando gli impatti effettivi generati dai dispositivi nor-mativi e dalle previsioni dei piani sui territori che ne sonoinvestiti. L’esperienza di governo sta rafforzando in me la convinzio-

Angela Barbanente*

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Il problema dell’attuazione

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anche la scarsa efficacia o addirittura gli effetti perversi chespesso producono. Peraltro, restituire credibilità e autorevolezza alla RegionePuglia nel governo del territorio è sfida non da poco: perlungo tempo l’urbanistica regionale si è distinta per i ritardiinsopportabili nell’attività di controllo, l’applicazione diregole e norme inattuali e spesso farraginose, l’elaborazionedi leggi, piani e atti di indirizzo avvenuta nel chiuso dellestanze dell’amministrazione senza alcuno sforzo di com-prenderne l’adeguatezza rispetto a problemi e domandelocali.In questa situazione, solo un uso sapiente di tutti gli stru-menti disponibili può farci sperare di vincere la sfida: dun-que, l’utilizzo delle risorse comunitarie a supporto di inizia-tive e comportamenti che vanno nella direzione desideratadi tutela e uso del territorio, il miglioramento delle strutture

organizzative della pubblica amministrazione regionale edegli enti locali mediante percorsi formativi e di sostegnooperativo, il rafforzamento delle relazioni istituzionali esociali per acquisire e diffondere conoscenze sui valori delpaesaggio-ambiente e sulle nuove domande sociali, cercan-do di modificare i comportamenti di individui e organizza-zioni attraverso una miscela sapiente di strumenti tecnici,argomentazione politica e persuasione morale.

* Assessore all’Assetto del Territorio, Regione Puglia.

Note1. Merita di essere citata l’espressione secca ed efficace usata da P. Newman e A.Thornley per spiegare le ragioni della mancata costituzione delle aree metropolita-ne istituite dalla legge n. 142/1990: “In the Italian case it has to be pointed outthat the formal system of laws does not necessarily guide actual practices”, inUrban Planning in Europe, Routledge, London, 1996, p. 52. 2. C. C. Hood, The Tools of Governments, Chatham House, New Jersey, 1986.

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INU Emilia-RomagnaIstituto Nazionaledi Urbanistica

Premio “Franco Tinti” INU Emilia-Romagna

Franco Tinti (1948-2007) si è laureato in architettura a Firenzenel 1973 e poco dopo, nel 1975, fu fra i fondatori diTecnicoop.In questa cooperativa di tecnici di varie discipline especializzazioni ha operato per tutta la sua vita professiona-le, fino alla sua morte, una vita dedicata interamente, conimpegno, passione e rigore etico, alla pianificazione urbani-stica e territoriale al servizio delle amministrazioni comunalie provinciali.

L’Istituto Nazionale di Urbanistica - Emilia-Romagna bandisceun concorso per premi di Laurea e di Dottorato al fine di dif-fondere tra le nuove generazioni lo studio e l’attività di ricer-ca sulle trasformazioni insediative e sul processo di pianifica-zione nella regione Emilia-Romagna.

Coerentemente con la missione istituzionale dell’INU, il Premioha lo scopo di sostenere e di valorizzare il contributo di giova-ni ricercatori all’affermazione di una nuova cultura tecnico-progettuale che, nell’ambito delle discipline associate piùdirettamente al governo del territorio, sappia adottare conrigore e originalità il metodo dell’analisi critica e della interdi-sciplinarietà. Tale contributo culturale, prodotto da laureandi edottorandi di qualsiasi Ateneo, deve avere un forte riferimen-to tematico alle peculiarità della regione Emilia-Romagna, delsuo territorio, delle sue città.

La domanda di ammissione al concorso, da redigere in cartalibera, dovrà essere spedita a mezzo plico postale postacelere,unitamente alla documentazione allegata, entro il termineperentorio del 30 aprile 2008 al Presidente dell’INU Emilia –Romagna, Via San Vitale 32, 40125 Bologna, Tel. e Fax051/223386 e-mail [email protected]

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...si discute:...si discute:

Nelle città italiane il climaè già cambiato

sone e ripensare i tessuti urbani - rapporto tra aree libere e edi-fici, il modo di costruire e i materiali, gli apporti della vegeta-zione, dell’acqua, dei venti e delle ombre - in modo da mitigaregli effetti del caldo e aiutare la naturale capacità di traspirazionedei suoli.

Le città e il caldo record del 2007

Sono nove le città monitorate da Legambiente per la sua inda-gine sui mutamenti climatici. Da Palermo a Torino, passandoper Trieste, Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli, tutte, conla sola eccezione di Bari, hanno fatto registrare un caldo recordnei primi sei mesi del 2007. Un dato particolarmente preoccu-pante, anche se analizzato alla luce dell’aumento medio inItalia, dove negli ultimi 50 anni la temperatura è cresciutamediamente di 1,4° C. Ben 6 città su 9 infatti hanno vistoaumenti superiori, con punte massime a Milano e a Trieste,dove da gennaio a giugno la temperatura è stata di 3 gradi piùalta a quella del trentennio di riferimento (1961-90). Nel com-plesso, come mostrano i dati dei primi sei mesi dell’anno sonole aree urbane del nord a subire l’impatto più consistente di unclima in costante cambiamento, con aumenti non inferiori ai2,3 gradi, mentre al sud e al centro il surriscaldamento, seppurcon minore intensità, è stato comunque evidente. Non è un casose una delle anomalie termiche più rilevanti del 2007 è stataquella di Napoli, dove nel mese di gennaio la temperaturamedia è stata di 4,9 gradi superiore a quella del 1961-90. Il qua-dro che ne emerge, con l’eccezione di Bari dove mediamente il2007 è stato più fresco di 1,2° C rispetto alla media, è quello di

Da Trieste a Palermo, le città italiane evidenziano un progressi-vo aumento delle temperature e sono sempre più esposte aicambiamenti climatici. Come dimostra uno studio realizzato daLegambiente in collaborazione con l’Osservatorio meteorologicodi Milano Duomo, le aree centrali delle città si stanno surriscal-dando con un’intensità maggiore di quanto non accada nellearee circostanti. Se negli ultimi 50 anni la temperatura mediaannuale su tutto il territorio nazionale è aumentata di 1,4°C,nelle aree urbane l’aumento è stato maggiore per via del traffi-co, del calore prodotto dagli impianti di riscaldamento e clima-tizzazione, del cemento e asfalto che catturano le radiazionisolari e bloccano la traspirazione dei suoli. E’ successo in modoevidente durante tutto il 2007. Lo scorso aprile al centro diMilano si sono registrate temperature non diverse da quelle delCairo e le cose non sono andate tanto diversamente a Roma eFirenze, mentre a Trieste centro ha fatto lo stesso caldo che aMarrakech. Nessuno sconto neanche per il sud dove il caldo si èconcentrato nella seconda metà di giugno, con massime recordche a Napoli, Catania, Bari e Palermo hanno contribuito ad unaumento della mortalità in alcuni casi del 50 per cento. Conosciuto come “isola di calore”, il fenomeno del caldo in cittàpuò comportare, in determinate ore del giorno, temperature finoa 6 gradi superiori a quelle delle aree extra-urbane e provocarein concomitanza con eventi meteorologici estremi conseguenzeparticolarmente pesanti. E’ il caso dell’ondata di calore che hainvestito l’Europa nell’estate del 2003 e che in Italia ha provoca-to oltre 20 mila decessi in più rispetto alla norma, quasi tutticoncentrati nelle città. Quattro anni fa, come nel caso del caldorecord dello scorso inverno, si è trattato di eventi meteorologicieccezionali, eppure secondo i climatologi quello che oggi è ano-malo potrebbero diventare la norma di qui al 2100. E’ quantoindicano gli scenari sul clima dei prossimi 80 anni realizzatidall’Ipcc, l’organo dell’Onu che raggruppa oltre 2000 esperti deicambiamenti climatici. Nell’area del Mediterraneo, secondo ilrapporto pubblicato lo scorso aprile, la temperatura media neimesi estivi potrebbe salire di oltre 5 gradi entro la fine del seco-lo, mentre anche in uno scenario più ottimistico si assisterebbea un aumento medio superiore ai 3°C. Questi problemi sono giàoggi al centro dell’agenda politica in molte città europee perindividuare le strategie più efficaci per ridurre gli effetti piùdrammatici in termini di impatti del caldo sulla salute delle per-

Edoardo Zanchini*

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Tab. 1 - L’anomalia del 2007. Temperature medie tra gennaio e giugno

Fonte: Legambiente.

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una realtà urbana che subisce pesantemente gli impatti dei cam-biamenti climatici in atto e lo fa in modo più accentuato rispet-to al resto del territorio (Tab. 1). Se le città si surriscaldano le causa non sono, per ora, nei muta-menti climatici. A concorrere ad un aumento generalizzato delletemperature è un aspetto troppo spesso sottovalutato: il caloregenerato dall’urbanizzazione e dalle attività umane in città. E’ ilcosiddetto fenomeno dell’isola di calore che comporta tempera-ture costantemente superiori a quelle che si registrano nelle areelimitrofe, rurali o semi rurali, e che è dovuto alle maggiori capa-cità delle aree urbane di catturare le radiazioni solari e conser-vare il calore. Palazzi, strade e una fitta concentrazione di mate-riali edili lasciano poco spazio alla traspirazione del terreno econtribuiscono a fare delle città degli immensi serbatoi a cieloaperto di calore. Quello tra aree edificate e temperature è unnesso via via più stretto quanto più intensa è l’urbanizzazione,l’impermeabilizzazione sei suoli, i materiali con cui sonocostruiti strade e palazzi. Uno dei parametri usati per compren-dere meglio questo fenomeno è quello dell’albedo, cioè la capa-cità di un determinata superficie di riflettere la luce, e quindi direspingere le radiazioni solari. Mentre nelle aree rurali un albe-do dell’ordine del 20-30 per cento corrisponde ad una maggiorecapacità dell’ecosistema di respingere le radiazioni, nelle areeurbane il livello è più basso fino a valori del 5 per cento in casodi superfici asfaltate. Inoltre l’illuminazione, il riscaldamento, opiù in generale il condizionamento della temperatura, e i tra-sporti hanno impatti non trascurabili sul clima cittadino siadirettamente, a causa del calore che deriva dalla produzione dienergia e che si va a sommare a quello naturale, sia indiretta-mente a causa dell’inquinamento. In particolare lo smog agiscesull’isola di calore come una cappa che se da un lato aumentala capacità di assorbire le radiazioni solari, dall’altro impedisceun ricambio e un raffreddamento dell’aria, modificando i cicliatmosferici e il microclima cittadino. L’isola di calore è già oggiun fenomeno rilevante e per lo più costante durante tutto ilcorso dell’anno. Durante i primi mesi del 2007, le temperaturedel centro di Milano, rilevate dall’osservatorio di piazza delDuomo, sono state mediamente superiori di un grado rispetto aquelle dell’aeroporto di Linate. Gli scarti maggiori si sono regi-strati nei mesi di febbraio, marzo e aprile, che sono stati anche imesi più caldi rispetto ai valori normali. Nel mese di aprile, piùcaldo di ben 5,5 °C rispetto al valore 1960-1991, la differenzatra città e periferia si è mantenuta su uno scarto medio di 1,5°C, mentre a maggio è tornata su 1°C. Anche a Roma le tempe-rature rilevate al centro, dall’Osservatorio del collegio romanosono state costantemente superiori a quelle delle aree extra-urbane, Aeroporto di Ciampino. A marzo, quando contempora-neamente si è assistito a un calo clamoroso delle precipitazioni,lo scarto rispetto alle aree “periferiche” è stato di 1,8°C. I datirilevati per la città di Palermo sono esemplificativi dell’impor-tanza che può avere la collocazione geografica nel mitigare glieffetti dell’isola di calore. Nel capoluogo siciliano l’azione ter-moregolatrice del mare ha agito compensando lo squilibrio cli-matico centro-periferia. Anche qui tuttavia ci sono stati scartievidenti, soprattutto ad Aprile e a Maggio, mese in cui la diffe-renza tra le temperature di e quelle di Punta Raisi, è statamediamente di 0,7°C. Dalla Tabella qui sotto risulta evidente chel’estate torrida del 2003, quella che ha provocato un aumento

sensibile dei decessi in tutta Italia, ha avuto impatti molto piùgravi al centro che nelle aree periferiche, più vicine ad areeverdi e meno densamente costruite (Tab 2 ). In generale l’effetto dell’urbanizzazione sulle temperature ècostante durante tutto l’arco dell’anno, dall’estate all’inverno.Considerando invece le 24 ore di uno stesso giorno gli impattimaggiori dell’isola di calore si verificano durante le ore notturne.E’ di notte infatti che il calore assorbito dalle costruzioni durantetutto l’arco della giornata viene lentamente rilasciato e si regi-strano, sia in inverno che d’estate, le differenze più sostanziosetra le temperature del centro e quelle delle aree extra-urbane. Ciò comporta però un circolo vizioso, per cui all’alba del giornoseguente gli ambienti cittadini sono nuovamente sottoposti alleradiazioni solari senza il sollievo delle ore notturne, che invece,come accade nelle aree extra-urbane, sono essenziali per rinfre-scare l’ambiente. Come illustra uno studio dell’Apat, il numerodelle notti tropicali nell’arco di un anno è aumentato sensibil-mente in tutta Italia. Dal 1961 al 2005 si calcola un incrementodel 50 per cento delle notti in cui fanno più di 20 gradi. Dal1981 in poi però questo aumento diventa vertiginoso con unlivello che non scende praticamente mai sotto la media. Ancheun fenomeno di breve durata ma particolarmente intenso puòprovocare danni di rilievo e il caldo eccezionale che si è abbattu-to sull’Italia negli ultimi dieci giorni di giugno di quest’anno ne èuna dimostrazione. Per diverse città del centro-sud alla fine digiugno è scattato l’allarme della Protezione Civile che ha indica-to il livello massimo di pericolo, (3, in rosso). Allarme che tutta-via non è riuscita a evitare conseguenze. I soli 10 giorni di cani-cola, secondo quanto riferito dal Ministero della salute, avrebbe-ro contribuito ad aumentare la mortalità in 4 città sulle 32 tenu-te sotto controllo. A Bari, in primo luogo, dove si è registrato unincremento del 51 per cento dei decessi rispetto alla norma, maanche a Catania (+ 35%), a Napoli (+ 21%) e a Palermo (+ 22%).Secondo uno studio reso noto lo scorso marzo dal gruppo diricerca europeo Canicola, l’ondata di calore del 2003 ha provoca-to in Europa un numero di decessi molto maggiore di quantoinizialmente diagnosticato. Oggi si calcola che siano circa 70mila le vittime della calura estiva che ha investito il continente edi questi ben 20.089 nella sola Italia. In termini assoluti quindi,al contrario delle iniziali valutazioni, l’Italia insieme alla Franciaè stato uno dei paesi più colpiti dal fenomeno.

*Rresponsabile urbanistica Legambiente.

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Tab. 2 - Ondata di calore dell’estate del 2003. Differenza tra centro e periferia tra giugno e agosto

Media delle Media delle Differenza °Ctemperature temperatureCentro °C Periferia °C

Torino 26,6 24,3 2,3Bologna 23,4 23,0 0,4Firenze 23,3 23,0 0,3Napoli 25,1 22,8 2,4Bari 24,0 22,0 2,0Milano 28,2 27,3 0,9Roma 28,2 27,1 1,1Palermo 28,1 26,9 1,3Fonte: Legambiente.

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Urbanistica QUADERNICollana di monografie

sulle attività di pianificazioneCollana di monografie

sulle attività di pianificazione

DAL 1995, TITOLI DISPONIBILI

Il progetto preliminare del Prg di Reggio Emilia

La proposta dell’Inu per la riforma urbanistica apartire dalla formazione della Legge del 1942

Prospettive perequative per un nuovo regimeimmobiliare

Consorzio del lodigiano. Trent’anni dipianificazione territoriale

Studi per il Pit delle Marche

Programma di riqualificazione della darsena diRavenna

Pip Regione Valle d’Aosta

Programma di riqualificazione della fasciaferroviaria del Comune di Modena

Il Prg di Piacenza

G. Mascino e Ancona

Piano dei tempi della città di Pesaro

Ppc della Provincia di Pesaro - Urbino

Pit della Regione Marche

Variante al Prg di Belluno

Ptp della Provincia di Venezia

Ptc della Provincia di Rimini

Ptc della Provincia di Macerata

Regione Veneto. Piani d’area vasta: Tonezza - Fiorentini, Quadrante Europa, Auronzo - Misurina, Fontane Bianche

Variante al Prg di Cremona

Preliminare al Prg di Vicenza

Pianificazione comunale in Toscana

Regione Veneto. Piani di area vasta: Delta del Po

Ptc della Provincia di Siena

La pianificazione del sistema delle aree protette delComune di Roma.

Ptc della Provincia di Terni

1999 - 2003, SERIE ARCHIVIO

Il piano strutturale di Cesena

Il Prit Emilia Romagna 1998-2010

Riqualificazione della strada statale Marecchiese inProvincia di Rimini

Cesena: Prg e tutele ambientali

I parchi di riordino delle attività economiche nellaprovincia di Rimini

Aree di protezione ambientale nella provincia diRimini

sconto del 20% sul prezzo di copertina per i lettori di Urbanistica Informazioni

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Direttore Massimo Olivieri

TITOLI RECENTI

N. 39 – 2003 (a cura di M. Fantin)Variante al Piano regolatore per i centri storici del Comune di Vittorio VenetoPagine 124, illustrazioni b/n e colori, € 21,00

N. 40 - 2004 (a cura di S. Bolletti e G. F. Di Pietro)Il piano territoriale di coordinamento della provinciadi ArezzoPagine 184, illustrazioni b/n e colori, € 35,00

N. 41 - 2004 (a cura di A. Bortoli e R. Manzo)Provincia di Venezia. La pianificazione territoriale e urbanistica per la sicurezza del territorioPagine 160, illustrazioni b/n e colori, € 30,00

N. 42 - 2004 (a cura della Segreteria regionale alterritorio) Regione Veneto, provincia di Treviso.Piano d'area vasta. MontelloPagine 124, illustrazioni b/n e colori, € 25,00

N. 43 - 2004 (a cura di F. Balletti e R. Bobbio)Il Piano territoriale della Regione LiguriaPagine 184, illustrazioni b/n e colori, € 30,00

N. 44 - 2004 (a cura di M. Olivieri)Regione Umbria. Vulnerabilità urbana e prevenzioneurbanistica degli effetti del sisma: Nocera UmbraPagine196, illustrazioni b/n e colori, € 30,00

N. 45 - 2004 Il piano territoriale di coordinamento della Provinciadi PistoiaPagine 136, illustrazioni b/n e colori, € 30,00

N. 46 - 2006 Milano verso il pianoPagine 170, illustrazioni b/n e colori, € 40,00

N. 47 - 2006 Progetto Conspace. Esperienze per la nuovapianificazione del VenetoPagine 124, illustrazioni b/n e colori, € 25,00

N. 48 - 2007 Comune di Verona. Piano di assetto.Pagine 128, illustrazioni b/n e colori, tavola f.t.€ 35,00

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cazione, imposto una revisione delsistema dei vincoli e una diversa arti-colazione degli elaborati di piano,costretto a distinguere tra permanenzee trasformazioni, tra tutela e valorizza-zione, attribuendo un significato ai ter-mini a seconda del valore che assumo-no nei diversi contesti. Il principiodella sussidiarietà ha ribaltato i ruoli ei tempi dei piani, il piano locale non èpiù costretto ad attendere il piano d’a-rea vasta per poterne assumere i conte-nuti e sviluppare le proprie competen-ze: accade anche l’inverso, che signifi-ca sviluppare la concertazione tra glienti non sulla verifica di compatibilità,ma sulla discussione delle scelte.I piani locali presentati in questonumero testimoniano di questo percor-so complicato trasversale rispetto allaregione di appartenenza, che appartie-ne alle città capoluogo, ai comuni del-l’area metropolitana toscana, ai comu-ni montani del Veneto, fino a quellidella pianura lombarda.Molte le affinità e le occasioni di con-fronto tra i casi presentati, tra questeun tema mi sembra emergere in modoevidente ed è quello della città costrui-ta, questione a volte sottovalutatadalla normativa, spesso confinata nellospazio operativo o di definizione delleregole, che invece è uno dei temi cen-trali dei piani. La stessa definizionespesso utilizzata di città consolidatasembra fare riferimento a un contestogià formato, la cui trasformazione ètema della scala architettonica, tema diregolamento piuttosto che di progetto.I piani locali, nella loro formazione eper l’importanza che attribuiscono al

Piani urbanistici, prove di innovazionea cura di Marisa Fantin*

I nuovi modelli di pianificazione, inau-gurati nelle regioni che si sono dotatedi una nuova legge urbanistica, mapresenti anche nelle altre, rafforzanoquesto ruolo complesso del piano loca-le attribuendogli una componentestrutturale riconoscibile e in parteautonoma rispetto a quella operativacon la quale deve però fare i conti findall’inizio. Un piano che assume daglialtri livelli di pianificazione indirizzi eobiettivi di qualità che deve però farlipropri e tradurli in capacità e modalitàdi trasformazione del territorio, misu-rarsi con i risultati, con la fattibilitàdelle proposte, con la risposta del mer-cato. Le nuove leggi urbanistiche regionali,sia quelle già in atto che quelle incorso di elaborazione, sono state occa-sioni di dibattito, di riflessione discipli-nare, di indagini sul territorio, hannomesso in crisi i modelli di pianificazio-ne tradizionali e formato una culturache ha fatto propri i temi della sosteni-bilità ambientale, della condivisione,della fattibilità delle scelte. Hannoposto al centro dell’elaborazione delpiano la valutazione ambientale strate-gica, non solo in relazione all’impor-tanza degli effetti della trasformazionesul territorio, ma soprattutto come unmodo diverso di fare le scelte, costruitonon solo con l’obiettivo di dare rispo-sta ai problemi, ma mettendo a con-fronto diverse opzioni possibili, con-frontate e monitorate prima durante edopo la conclusione del progetto urba-nistico. Hanno sperimentato una diver-sa articolazione di responsabilità deglienti deputati al controllo e alla pianifi-

Con questo numero la rivista apreuna sessione che si svilupperànell’arco di tre uscite e che sipropone di presentare, discutere emettere a confronto i piani localicercando di indagare, attraverso lalettura delle esperienze concrete, itemi che l’Istituto ha posto alla basedel prossimo congresso nazionale diaprile.Lo facciamo a partire dal pianolocale perché rappresenta lostrumento di pianificazione piùvicino alle trasformazioni concretedel territorio, quello che più deglialtri raccoglie ed è condizionatodalle istanze delle amministrazioni,dalle richieste degli operatori, dalleaspettative dei cittadini. Un pianoche si forma e si esprime alle scaleurbanistiche, ma che non può nonaffrontare i temi della progettazioneurbana e, spesso, di quellaarchitettonica. Dove lapartecipazione è una forma diconsultazione articolata, concertatatra Enti e discussa con il territorio,anche con i singoli

Piani urbanistici, prove di innovazione

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alla città nella sua massa critica, nellesue qualità culturali storiche e paesaggi-stiche, ad invertirne il declino striscian-te, a mantenere il livello tradizionalmen-te alto dei servizi, messo in crisi daragioni universalmente note e dallo stes-so andamento demografico. Il PianoStrutturale, primo passo del percorsourbanistico toscano, attraverso un lavo-ro approfondito di ricognizione si è con-figurato come uno strumento volto afissare pochi stringenti vincoli, definen-do uno Statuto dei Luoghi largamentecondiviso, e a individuare un quadro diobiettivi e linee di sviluppo in prospetti-va strategica. Un piano quindi astrattodall’ordinamento giuridico dei suoli edorientato al successo delle politiche. Lestesse Utoe, unità territoriali organicheelementari, prescritte dalla legge regio-nale sono state interpretate in quest’otti-ca come ambiti omogenei rispetto alleproblematiche di trasformazione più cheallo stato attuale. In una città piccola leincertezze nel passaggio al piano opera-tivo pongono interrogativi di non facilerisposta. Come contemplare la flessibilitàdelle previsioni e la necessità di pro-grammazione pubblica, come garantiread esempio la copertura del servizio sco-lastico, se non si ha un’attendibile ipote-si quantitativa e localizzativa delle resi-denze? Analogamente per gli altri servi-zi e per i sistemi infrastrutturali, che adifferenza di una grande città, hannopochi margini di manovra e di risposta.Il rischio di aprire tavoli valutativi enegoziali a valle che rimettono in dis-cussione tutti i livelli del piano è tantopiù reale quanto più il piano strategico èdavvero tale e diacronico dalla successi-

Piano urbanisticodi San Giovanni Valdarno (AR)Vito Disabato*

Lur Toscana 1/2005Territorio amministrativo: Kmq 21,39 Abitanti: 17110Piano strutturale vigente dal gennaio 2004Regolamento urbanistico vigentedal febbraio 2006

San Giovanni Valdarno, sorta nel tardomedioevo come Terra Nuova dellaRepubblica Fiorentina, conserva nel cen-tro storico l’impronta regolare della suaforma originaria che si apriva al mondoai punti cardinali esprimendo una razio-nalità quasi rinascimentale. Conta oggipoco più di 17000 abitanti, fortementeconcentrati nella città, che si è costruitain travagliate vicende dopo la fondazio-ne: un lungo oblio, la rinascita indu-striale all’epoca della ferrovia FirenzeRoma, l’insediamento dell’acciaieria Ilvaed una successiva crisi delle filiere pro-duttive del ferro dei laterizi e del vetro.Ha una storia urbanistica interessanteavendo precorso tendenze e temi emer-genti della disciplina, con il piano rego-latore generale approvato nel 1972, ilpregevole recupero del centro storico,avviato con un progetto pilota finanzia-to dalla Regione Toscana nel 1977(piano Detti), la realizzazione dei PEEP ela conversione delle prime aree dismes-se. Una storia complicata oggi dall’ap-partenenza ad una regione in crescita, ilValdarno Superiore, che assomma quasicentomila abitanti, in cui San Giovanniè rimasta al palo, ai margini dello svi-luppo, perdendo lavoro ed abitanti, sem-pre incombente una possibile chiusuradella Ferriera. Il piano urbanistico di SanGiovanni Valdarno1 è per questi motiviparticolare, puntando a recuperare ruolo

tessuto edificato, dichiarano il ruolostrategico e strutturale di queste partidi città. Parlano dei vuoti urbani, dellearee di trasformazione, ma anche dellagestione del patrimonio edilizio, la cuitrasformazione ha un ruolo decisivonella riqualificazione di parti di territo-rio, nel disegno della città pubblica,nel contrastare i fenomeni di consumodel suolo.I piani si occupano di ambiente, nonsolo attraverso il disegno coerentedelle nuove aree, ma soprattutto met-tendo al centro la qualità architettoni-ca degli edifici, degli spazi, dei sistemidi mobilità. Attivano, quindi, una stru-mentazione urbanistica, apparati nor-mativi, sistemi degli incentivi che sonocalibrati su diritti edificatori già acqui-siti, su aree già compromesse, conmodalità del tutto diverse rispetto allepiù numerose esperienze di perequa-zione o gestione dei crediti che riguar-dano aree libere o importanti trasfor-mazioni urbane. Qui entrano in campogestioni più complesse dei tempi diattuazione, possibilità di trasformazio-ne più contenute, interessi economicimeno condizionabili dagli indici edestinazioni di piano. I regolamentiurbani e edilizi diventano progetti stra-tegici importanti per la dimensione delterritorio a cui fanno riferimento, perl’importanza che assume l’evoluzionedella città costruita, sia nei tessutiurbani che in quelli diffusi. I nuovipiani locali testimoniano dell’impor-tanza della manutenzione del territorio,che non è indifferente rispetto all’esitodella pianificazione, anzi rappresentaun tema che il piano locale deveaffrontare quotidianamente, forse piùcomplesso rispetto alle grandi trasfor-mazioni che consentono di essere valu-tate su tavoli specifici e possono met-tere in campo una maggiore disponibi-lità di mezzi e competenze per verifi-care le soluzioni possibili.

* Presidente Inu Veneto.

Piani urbanistici, prove di innovazione

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Urbanistica INFORMAZIONI

ridurne l’originalità, specifica di ogniluogo, e il significato fondativo, checomporta un processo di arricchimentoculturale di tutti gli attori. Spesso si sor-vola sul fatto che a valle di esso il RUrisulta semplificato e richiede come nelnostro caso pochi mesi. Suddiviso in duepiani, della Gestione e delleTrasformazioni, il Regolamento di SanGiovanni è uno strumento solo in appa-renza simile, per gli aspetti definitori, alvecchio piano regolatore, ma nellasostanza molto più orientato a dar corsoalle previsioni, già avvalorate dal PianoStrutturale per gli obiettivi e circostan-ziate dai piani di settore per i requisitizona per zona, riservando in tal modoalle strutture amministrative un ruoloattivo di coordinamento e di stimolo, ditraino e non più di freno all’attuazione.L’interesse metodologico dell’esperienzadescritta consiste nell’aver cercato perogni livello del piano corrispondentilivelli di elaborazione e confronto con lacittà e le sue espressioni civili edimprenditoriali, cristallizzando quindinon tanto le conclusioni, quanto lacomplessità del percorso decisionale, chepotrà in futuro essere ripreso e portare asoluzioni migliorative o diverse senzacompromettere le coerenze con il quadrod’insieme (costituito da vincoli, obiettivie requisiti d’impianto al livello struttura-le strategico, da logiche e continuità ter-ritoriali nei piani di settore, da forme econformazioni nel Regolamento). Leschede normative e d’indirizzo morfolo-gico del Regolamento Urbanistico, corre-date da una narrazione del percorso divalutazione, seguono anch’esse questoprincipio di definizione non evasiva, madotata di gradi di libertà. Un primobilancio a un anno di distanza dallaentrata in vigore del piano mostra unesito sostanzialmente positivo della spe-rimentazione operata, che non ha com-plicato, ma semplificato la gestione suc-cessiva perché, una volta comprese lerelazioni reciproche, l’ amministrazioneed anche i promotori, dispongono di unquadro coerente circostanziato e artico-lato di obiettivi puntuali da perseguire eun metodo a cui sempre richiamarsi.

* Architetto, dirigente del settore Urbanistica.

1 Consulenti generali del Piano: Studio Arassociati,Massimo Scheurer e Luca Imberti

Strutturale, costituita da quattro piani disettore di iniziativa comunale con valoredi indirizzo e propedeutici alRegolamento Urbanistico. Questi pianiper il verde, i servizi, la mobilità e leinfrastrutture, erano volti a definire icapisaldi della strategia pubblica, cosic-ché la successiva pianificazione operati-va e in parallelo il piano delle operepubbliche, fossero in grado di program-mare e calibrare le dotazioni da realizza-re, sia in modo perequato, sia a costipubblici prevedibili, componendo undisegno unitario e mettendo l’ammini-strazione in grado di valutare la conve-nienza pubblica e gli oneri delle singoletrasformazioni. A valle di questo percor-so al Regolamento Urbanistico è statodemandato il compito conclusivo didefinire in ambiti e norme le indicazioniflessibili, localizzative, funzionali edimensionali, stabilendo le priorità e leazioni da procrastinare. Il PianoStrutturale, almeno il primo, è ovunquein Toscana un lavoro lungo e difficil-mente comprimibile se non si vuole

va definizione conformativa. Questa èuna delle ragioni per cui nei comunipiccoli è forte la tentazione di elaborarepiani riduttivi e sincronici per poi scom-porli nei due livelli. Una scelta che SanGiovanni, anche volendo, non potevafare, dovendo rinnovare e non semplice-mente gestire un trend in atto. Per que-sto può rivestire qualche interesse neldibattito sul nuovo piano accennare allerisposte che si sono cercate per passaredal livello strategico a quello operativo.Innanzitutto si sono definite le regole daseguire nel processo che va dalle strate-gie alle realizzazioni per non perdereefficacia e coerenza: un iter che, antici-pando in parte il tema delle valutazioniintegrate poi introdotte nella leggeregionale, ha previsto valutazioni sem-plici e gestibili, applicate nella formazio-ne del Piano Strutturale, da applicareanche in seguito in ogni successivo svi-luppo urbanistico, nonché in caso divarianti future. Si è introdotta una faseprocedurale intermedia, a compensare laintrinseca apertura e labilità del Piano

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la tutela del paesaggio, con la riquali-ficazione dei paesaggi di degrado e laconvinzione che un paesaggio contem-poraneo ha pieno diritto di coesisterecon quello storico e naturalistico. Sotto il profilo dello sviluppo sosteni-bile è stata attivata la procedura dellaValutazione ambientale strategica (Vas)incrociando il Piano con gli aspettiambientali, correlando e verificando lescelte infrastrutturali, insediative eproduttive. Si sono così delineati i temiche appaiono centrali per il futuroassetto del territorio feltrino, e che cor-rispondono a precise, grandi risorse inesso rintracciabili.Anzitutto, una forte attenzione al terri-torio circostante la città, diretta a veri-ficare il peso delle frazioni e a confer-marne il tessuto sociale: queste, moltonumerose, diverse per dimensioni edinamicità, localizzate sulle colline o aipiedi dei pendii, ospitano circa la metàdella popolazione complessivamenteresidente nel comune. Si caratterizzanoper la presenza di centri storici bendefiniti, per uno sviluppo residenzialerecente più o meno consistente, per lapresenza di aree agricole al contornovariamente coltivate, e sono collegateda una viabilità minore molto ramifi-cata. Il recupero residenziale attraversola salvaguardia dei caratteri storico-ambientali degli edifici, la ridefinizionedell’abitato e delle sue espansioni conriguardo al contorno agricolo, lagaranzia di servizi minimi indispensa-bili e di centri di aggregazione per lavita sociale dei residenti, i collegamen-ti con il capoluogo e in rete, sono statele linee progettuali adottate. Grandi

Il Piano di assetto del territorio di Feltre (BL)Michela Rossato*, Antonella Galantin*

che, dalla tutela della città al riequili-brio delle periferie, dalla riqualificazio-ne delle frazioni, alla salvaguardia del-l’ambiente fino alla tutela del patrimo-nio storico esistente anche minuto,testa la praticità e l’efficacia dellanuova normativa. A conclusione di un iter progettualeintenso e complesso per dare risposta aquanto sopra esposto un appositoUfficio di Piano interno alla strutturaamministrativa, coadiuvato da ungruppo di professionisti esterni**, hadato vita al Pat, che l’Amministrazioneha adottato nel luglio 2006 e che haottenuto approvazione in conferenzadei servizi tra Regione del Veneto,Provincia di Belluno e Comune diFeltre il 30 aprile 2007.Il Pat si fonda su una conoscenzaapprofondita del territorio in tutte lesue componenti utilizzando un metododi analisi interdisciplinare; ha, inoltre,attivato un percorso condiviso e con-certato con la cittadinanza medianteun Forum a carattere consultivo com-posto da rappresentanti di associazioni,ordini professionali e realtà frazionali;ha costruito un sistema informativoterritoriale contenente tutte le informa-zioni per l’elaborazione e l’aggiorna-mento dei dati conoscitivi legati al ter-ritorio e all’ambiente; ha messo in dis-cussione ed analizzato in ogni sfaccet-tatura la nuova legge urbanisticaregionale al fine di mettere a puntoscelte strategiche rispondenti alle realinecessità. Punto saliente del piano è il rapportocon gli aspetti paesaggistici in un dia-logo continuo tra le scelte funzionali e

Lur Veneto 11/2004Territorio amministrativo: Kmq 100,04Abitanti: 20536Il piano è approvato

Il territorio di Feltre era interessato dauna strumentazione urbanistica risa-lente agli anni 60 che vedeva ormaiesaurita la sua capacità di dialogo conla città e il territorio. Un consistentesovradimensionamento, una infrastrut-turazione stradale non rispondente allereali esigenze, un eccessivo consumodi territorio agricolo con aree di espan-sione rimaste sottoutilizzate, sono soloalcuni dei temi che hanno portatol’Amministrazione comunale a intra-prendere un importante percorso pro-gettuale per la definizione di un nuovoapparato pianificatorio. Il quadro della pianificazione feltrinasi è incrociato con il lungo dibattitoche si è svolto a livello nazionale eregionale sui caratteri e sui contenutidell’urbanistica e che ha portato anuovi approcci metodologici nella pro-gettazione dei piani e alla promulga-zione di nuove normative regionali. Nel momento in cui a Feltre si comin-ciava a pianificare veniva infatti adot-tata la Lr 11/2004 “ Norme per ilgoverno del territorio” che, introduceun nuovo modello di gestione del pro-cesso di pianificazione comunale fon-dato su due momenti distinti, il Pianodi assetto del territorio (Pat) costituitoda scelte strategiche generali ed ilPiano degli interventi (Pi) attuativo ditali scelte. Ciò ha portato all’elabora-zione di un piano che, sviluppando eapprofondendo molteplici problemati-

Piani urbanistici, prove di innovazione

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edilizio slabbrati, densificando piutto-sto che occupando nuove aree, sullabase di un ridisegno globale che indi-vidua nuovi centri di aggregazione,percorsi pedonali, corridoi verdi che siincuneano fino al cuore della città sto-rica.La rivitalizzazione della città, il siste-ma dei servizi, il commercio e le attivi-tà produttive sono condizionati dallaviabilità e in generale dal sistema deicollegamenti, che risultava assoluta-mente inadeguato. Il piano ha puntatoal completamento della viabilità discorrimento, ma rimanda al PI lo stu-dio degli accessi, degli snodi e deitracciati specifici che dovranno privile-giare i collegamenti locali tra il capo-luogo e le frazioni con un riordinodella viabilità esistente e la creazionedi reti ciclabili.Per tutte le indicazioni strategicheindicate nel Pat, è stato perseguito loscopo di ridurre il consumo di suolo.I temi sopra elencati e la definizionedelle azioni di piano sono stati deter-minanti nella scelta degli Ambiti terri-toriali omogenei (Ao) che rappresenta-no una chiave di lettura del paesaggioe del territorio. Nati dall’incrocio tra lalettura dei caratteri costitutivi del terri-torio, con la definizione delle lineeprogettuali strategicamente assunte,diventano un criterio progettuale, diindividuazione di obiettivi specifici edi strategie per le diverse parti del ter-ritorio, che funziona anche come veri-fica dei suoi caratteri costitutivi. Diparticolare importanza nel determinarele scelte future del Pat è la ripartizione

zioni normative tendenti alla loro sal-vaguardia e alla loro valorizzazione.Per quel che riguarda le vaste zoneperiferiche del capoluogo, prevalente-mente residenziali, sono state conside-rate in tutta la loro importanza, vistoche ci vive la maggior parte dellapopolazione: il Pat propone azionivolte alla ridefinizione dei confini conla campagna, a ricucire brani di tessuto

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ville, borghi rurali, case padronali ecase rurali minori, oltre a piccolimanufatti diffusi nel territorio - cap-pelle votive, fontane, capitelli, muri direcinzione e di contenimento - costi-tuiscono la trama insediativa che inter-corre tra i centri frazionali: si tratta diun enorme bacino di risorse culturali epaesaggistiche, che il Piano ha indivi-duato e per le quali fornisce le indica-

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Urbanistica INFORMAZIONI

ficabile operata con il Pat è stata pos-sibile grazie a questi strumenti, checonsentono di sostenere politiche urba-nistiche di riqualificazione, di valoriz-zare il volume esistente sul territorioancorché abbandonato o degradato, diarmonizzare la lettura complessiva delpaesaggio con le dinamiche economi-che, urbanistiche ed edilizie. Tutto ciòpuò essere considerato, oggi che ilpiano è approvato, una sfida aperta,che può portare a risultati positivimantenendo aperto il dialogo con i cit-tadini, confrontando, così, nella gestio-ne quotidiana le linee strategiche con-divise negli spazi partecipativi dicostruzione del piano.

*Ufficio di Piano del Comune di Feltre.**Il gruppo di progettazione è stato coordinato daF. Mancuso e E. Serena. Responsabile del procedimento O. Dall’Asén, dirigenteunità di progetto pianificazione del territorio. Analisi edilizie urbanistiche: A. Galantin, ufficio dipiano e M. Rossato, Ufficio Urbanistica. Analisi socioeconomiche, coordinamento del Forum ecollaborazione alla progettazione: F. Sbetti, M.Bertoldo. Analisi agronomiche, G. Serragiotto. Analisi storico Ambientali, A. Bona. Analisi mobilità e traffico, E. Tarulli. Vas-VIncA,G. Chiellino.Valutazione compatibilità idraulica, G. Andrella.

tra i vari comparti di intervento e tragli Ato delle nuove volumetrie residen-ziali e della loro distribuzione territo-riale, considerando che ci si è basati suuno scenario che prevede l’insediamen-to di 4.000 nuovi abitanti nei prossimi10 anni, per una nuova volumetriacomplessiva di 840.000 mc. La deter-minazione dei nuovi volumi per abi-

tante è stata anch’essa confrontata conla realtà territoriale, soppesando leconstatazioni con le prospettive per laresidenzialità. La definizione deldimensionamento del piano tieneconto delle prospettive aperte dallariforma urbanistica che introduce gliistituti del credito edilizio e della pere-quazione. La riduzione del volume edi-

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fronti diretti e ripetuti con i presidentidi circoscrizione e con ciascuno deirispettivi consigli di quartiere e incirca 40 incontri con enti e associazio-ni rappresentative della comunità ter-ritoriale.

Bolzano disegna il domani -documento preliminare al pianourbanistico2

Il Documento Preliminare alla rielabo-razione del Piano urbanistico riflettesul futuro di Bolzano, ipotizzandovisioni possibili della città con la liber-tà di prefigurarne i possibili assettiurbanistici senza essere legato da subi-to alle norme che li regoleranno.Questo documento si propone come unlaboratorio innovativo sulla linea deipercorsi di riforma che sta vivendol’urbanistica italiana. Innovazione nellaforma, nelle modalità operative e neitemi progettuali. Attraverso il nuovopiano e attraverso l’operatività degliinterventi si propone di riadeguare lastruttura urbanistica e ambientale e,contestualmente, individuare alcuneoperazioni strategiche capaci di rifun-zionalizzare e riqualificare parti impor-tanti della città e infine avviare unprocesso di recupero diffuso, capace distrutturare nuove centralità e di favori-re processi di qualificazione socioeco-nomica e ambientale.L’identità urbana e la sfida della globa-lità si misurano anche a partire dalriconoscimento del ruolo che Bolzanosvolgerà, verso tre direttrici, che rap-presentano altrettante linee operativein termini di qualità urbana e di spazinecessari. Un orizzonte internazionale,

Il nuovo piano urbanistico di BolzanoPeter Morello*, Francesco Sbetti

sformazione territoriale, di rilevazionedelle problematiche e delle criticità; eavviando l’elaborazione della Variantedi Assestamento, che rappresenta unpassaggio intermedio fondamentalenel percorso di elaborazione dellaVariante Generale.Sul fronte esterno, sono stati attivatitre incarichi professionali rispettiva-mente per:- l’azione di visioning strategica (tavo-lo tecnico formato da 10 consulentiarchitetti-urbanisti) che ha prodotto ilreport “Bolzano disegna il domani”,presentato alla fine di maggio 2007;- l’azione di mapping infrastrutturale(tavolo tecnico formato da 4 ingegneriin rapporto con gli Uffici e con gliEnti gestori delle reti) che ha prodottoun report sullo stato di fatto fisico efunzionale dei sistemi infrastrutturali edelle reti tecnologiche, con le primevalutazioni di potenzialità e criticità inordine allo sviluppo insediativo;- l’azione di dimensionamento delpiano (consulenza socio-statistica inrapporto con l’Istituto provinciale distatistica e in collaborazione con gliAssessorati comunale e provincialeall’edilizia abitativa) che ha prodotto,sulla base di un quadro conoscitivo diriferimento, due report rispettivamentesui fabbisogni per la residenza e per leattività economiche.In parallelo e in diretto collegamentocon il lavoro dei consulenti si è dispie-gata la campagna di ascolto e di con-fronto partecipativo con la città che siè concretamente articolata in forumpubblici dedicati ai vari settori (econo-mia, sociale, cultura, giovani), in con-

Lup Alto Adige 13/1997Parzialmente riformata 2007Territorio amministrativo: Kmq 52,3Abitanti: 100.000La Giunta comunale ha preso atto deldocumento preliminare

Il percorso per la rielaborazione delPiano si è avviato con un documento,approvato dalla Giunta Municipale neldicembre 2006, che si configura come“documento di indirizzo” per la fasepreliminare di ricognizione problema-tica e di prima definizione delle lineeportanti del nuovo strumento. Il percorso tecnico ha preso avvioall’inizio del 2006 con una lettera del-l’assessore all’urbanistica inviata a unnumero ampio di professionisti bolza-nini nella quale chiedeva un contribu-to di metodo e di merito sul nuovoPuc. Lo scopo era da un lato quello dicostruire anche in tal modo una quali-ficata selezione di professionisti localida chiamare a costituire un gruppo dilavoro per impostare il processo dirielaborazione del piano e, dall’altro,costruire una raccolta di materiali diprimo approccio al nuovo Puc.All’appello ha risposto un numeromolto elevato di professionisti dellacittà, spesso organizzati in gruppi:complessivamente sono stati oltre 20 itesti presentati e 80 i professionisticoinvolti1.Nel quadro di elaborazione del pianoil percorso operativo si è quindi svi-luppato in due direzioni. Sul fronteinterno: con azioni specifiche di moni-toraggio, di aggiornamento delladocumentazione sui processi di tra-

Piani urbanistici, prove di innovazione

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Urbanistica INFORMAZIONI

tanti (casa, mobilità, servizi e verde),da coordinare anche con i comunivicini.Il tema del dimensionamento è unaquestione complessa che non può tro-vare soluzione solo in termini statistici.Questo significa che il dimensionamen-to è legato non solo alla crescita natu-rale della popolazione”, ma agli “oriz-zonti quindi al ruolo di capitale e dicittà aperta agli scambi economici eculturali derivanti dalla sua vocazionedi cerniera. Il quadro generale dei temi propostiviene diviso in cinque sistemi: il siste-ma ambientale che ridefinisce i rapportiterritoriali; il sistema delle centralitàche riequilibra i pesi dei quartieri; ilsistema della mobilità che definisce unagerarchia dei movimenti e li ricomponein un quadro unitario; il sistema delleattività economiche che individua leopportunità territoriali per lo svilupposostenibile; il sistema delle trasforma-zioni che imposta la sfida della città delfuturo. Infine uno specifico capitolosulle regole annuncia e anticipa novitànormative e procedurali.

Il sistema ambientaleLa struttura ambientale ridefinisce ilterritorio nel suo complesso, compostoda tutte le aree verdi, montagne, colli-ne, pendici, vigneti, meleti, fiumi,esterni agli insediamenti, e il verdeurbano dentro il tessuto edilizio. Per costruire una nuova immagine checomprenda, oltre alla figura urbana,anche la figura dell’intero territorio,vengono individuate alcune azionistrutturali.È necessario adottare un nuovoapproccio che possiamo definire come“il paesaggio si ambienta in città”. Ilmodello della città che potrà in futurogarantire contemporaneamente la sal-vaguardia del territorio agricolo, latutela dei valori paesaggistici e lineetendenziali di sviluppo urbano sosteni-bili, è rappresentato dalla “moltiplica-zione dei cunei verdi”, estendendo cosìl’esperienza che ha guidato i passatipiani urbanistici a tutte le direttricidella città: Gries, Guncina, SantaMaddalena, Virgolo, Colle e Agruzzo.La confluenza del torrente Talveranell’Isarco è più del centro orograficodi Bolzano. Questi corsi d’acqua attra-

orizzonte territoriale, Bolzano è capo-luogo provinciale e svolge un ruolocentrale in termini di servizi pubblici eamministrativi rispetto a tutto l’AltoAdige e dovrà continuamente attrez-zarsi per rispondere a tale domanda.Un orizzonte cittadino, che significal’organizzazione dello spazio fisico perla gestione dei bisogni dei propri abi-

che dà a Bolzano il ruolo di una picco-la capitale, per la posizione di scambionell’ambito definito dal corridoio euro-peo n. 1 e dai nuovi equilibri territo-riali del vecchio continente, ma anchecome città della cultura e dell’incontrodi più culture, come città delle funzionieconomiche e innovative legate all’am-biente, al turismo e alla montagna. Un

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I prati del fiume Talvera

I cunei di penetrazione e il verde dentro la città

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A. I capisaldi politico-culturaliDai principali caratteri strutturali del territorio comunale nederiva un sistema di vincoli oggettivi (fisici) e soggettivi (cultu-rali) rigorosamente pre-determinati nella loro essenza di capi-saldi fondamentali e inderogabili delle strategie pianificatorie.Si tratta di vere e proprie derivate operative:- dalla scarsità di suolo deriva la necessità di usi parsimoniosi

della risorsa territoriale con espansioni urbane minimizzatenella dimensione, ottimizzate nella posizione e programmatenel tempo sulla base di rigorosi criteri di necessità e di equili-brio,

- dalla sensibilità ambientale deriva la necessità di strategie aalto tasso di sostenibilità che garantiscano gli equilibri eco-sistemici e minimizzino gli impatti ambientali e gli effetti disnaturamento dei processi di antropizzazione,

- dalla compresenza dei tre sistemi costituiti dalla città, dallacampagna planiziale e dalle pendici, deriva la necessità dipolitiche differenziate che concilino le esigenze di crescitaurbana con la conservazione vitale della campagna e con lasalvaguardia naturalistica delle pendici,

- dalla particolare forma urbis deriva la necessità di declinare inmodo denso e compatto la crescita fisiologica della città evi-tando i processi di dispersione insediativa,

- dalla qualità storica della città deriva la necessità di specifi-che politiche di salvaguardia e di valorizzazione per “parti”(ensamble) e per “singoli oggetti”.

B. I capisaldi progettualiEEddiiffiiccaabbiilliittàà iinnccrreemmeennttaallee. Il problema del fabbisogno edifi-catorio deve essere responsabilmente affrontato incrociando lediverse potenzialità offerte prima di tutto dal recupero deicentri storici e dalla riqualificazione urbana di aree sotto-uti-lizzate e poi dalle eventuali espansioni minime necessarie. RRiiqquuaalliiffiiccaazziioonnee uurrbbaannaa.. Il nuovo PUC deve farsi carico delle irripetibili opportunitàofferte di trasformazione delle aree ferroviarie della stazionedi Bolzano che sono oggetto di processi di dismissione.Bolzano ha una consistente dotazione di verde pubblico, checostituisce una peculiare condizione di qualità urbana e deveessere incrementato e ricondotto “a sistema”, mettendo in retei tutti i brani del verde puntuale con il grande parco lineare delTalvera, dell’Isarco e le passeggiate di pendio.Con operazione convergente, il PUC può perseguire l’obiettivodi ri-disegnare un sistema integrato e continuo di spazi pub-blici a dimensione pedonale e ciclabile. Una ulteriore sfida per il rilancio della “città pubblica” è la for-mazione di una molteplicità di “luoghi centrali”, costruendo edistribuendo centralità funzionale e simbolica in ciascun quar-tiere in un quadro di “città policentrica”.

SSaallvvaagguuaarrddiiaa ddeellllaa qquuaalliittàà aammbbiieennttaallee.. Il PUC non può pre-scindere dal bilancio ambientale al cui rispetto e miglioramen-to deve comprovatamente orientare le scelte di pianificazionegenerale. In questa prospettiva si pongono gli obiettivi di:- rigorosa salvaguardia delle pendici e delle aree boscate,- minimizzazione del consumo di suolo e massimizzazione delverde,- controllo gli effetti ecosistemici attraverso l’uso dell’indice

RIE e delle norme di CasaClima,- implementazione delle tecnologie ambientali, attraverso

avanzate scelte infrastrutturali (teleriscaldamento, energierinnovabili, mobilità dolce ecc.).

IInntteeggrraazziioonnee ddeell ssiisstteemmaa iinnffrraassttrruuttttuurraallee.. La rielaborazionedel PUC è l’occasione utile e necessaria per una azione siste-matica di revisione dell’intero sistema infrastrutturale che deveriguardare dalle infrastrutture della mobilità (reti stradali esistemi di trasporto pubblico) alle infrastrutture delle reti tec-nologiche (idrica, fognaria, elettrica, telematica, …). In partico-lare sul sistema infrastrutturale della mobilità si richiama lanecessaria convergenza sinergica tra il PUC e il Piano Urbanodella Mobilità.IInnnnoovvaazziioonnee ssttrruummeennttaallee.. Il lavoro di innovazione dei conte-nuti deve poter contare su una parallela innovazione dellostrumentario tecnico-giuridico.Si intende stabilire la diretta connessione tra il PianoStrategico 2015 della città e il Piano Urbanistico. Si intende,inoltre, articolare il PUC nei suoi due livelli distinti e sussidiari,partendo dalla sua definizione strutturale (Masterplan – pianodelle invarianti sistemiche, dei vincoli generali, delle direttricidi sviluppo) per arrivare coerentemente alla sua definizionetecnico-giuridica (Piano Operativo – piano della zonizzazione,delle localizzazioni, del disegno urbano, dei regimi edificatori).Si ipotizza di passare progressivamente dalla classica (e con-sunta) normativa casistico-tassativa alla innovativa normativaprestazionale, per altro già positivamente sperimentata dalComune di Bolzano con il pacchetto ambientale inserito nelREC (CasaClima e RIE) e con la Tutela degli insiemi.A partire dalla prassi consolidata nel sistema amministrativolocale, che ha introdotto nella legislazione provinciale fin daglianni ‘70 un fondamentale e pionieristico strumento perequati-vo (il riparto pubblico-privato per l’edilizia residenziale nellezone di espansione) si tratta oggi di allinearsi alle buone prati-che di perequazione urbanistica consolidate, ricorrendo aforme avanzate di concertazione tra pubblico e privato, ai finidi ottenere suolo pubblico e servizi “in cambio” della conces-sione del “diritto di edificabilità privata”, superando con ciò letradizionali rigidità giuridiche e finanziarie della tradizionaledisciplina espropriativa.

IL MANDATO AMMINISTRATIVO PER LA RIELABORAZIONE DEL PUC

Estratti dal documento “I capisaldi del PUC”, elaborato dall’Assessore all’Urbanistica Silvano Bassetti eapprovato dalla Giunta Municipale il 5 dicembre 2006.

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e di operatori. Questi progetti daaccompagnare con un potenziamentodel trasporto pubblico e con un incre-mento delle pedonalizzazioni, nonchéuna valorizzazione delle alberature edegli spazi verdi, si dovranno intrec-ciare con i percorsi del commercio, dellavoro, della cultura e del tempo libero.

Il sistema delle mobilitàAnche a Bolzano il quadro urbano si èprogressivamente deteriorato con l’in-vasione dell’automobile, modalità ditrasporto in sostanziale conflitto conla morfologia della città antica, con lastruttura ambientale e con la maggiorparte della rete urbana. Si è quindiaccentuata una crisi della mobilità cherende difficile accedere non solo allearee centrali, ma a tutta la città. Laposta in gioco è decisiva; bisognacambiare schema di riferimento per lamobilità e spostare l’offerta sul tra-sporto pubblico. Si tratta di un percor-so obbligato non solo per migliorare laqualità ambientale, ma per cambiare ilfunzionamento della struttura urbanae per renderla efficiente, competitiva esostenibile. Si tratta di cambiare ilmodello di riferimento, offrendo unnuovo schema di penetrazione e uscitadalla città, maggiori potenzialità altrasporto pubblico, e maggiore godibi-lità della rete pedonale e ciclabile, masoprattutto si propone una integrazio-ne tra urbanistica e mobilità. I percorsi

molteplicità di centralità urbane diffusesul territorio, collegate con le lineeprincipali di trasporto pubblico e diret-tamente in relazione con l’arteriaambientale rappresentata dal Parcodelle Rive, capace di connettere levarie parti della città. Si viene così adeterminare un nuovo modello urbanoche per essere realizzato abbisogna diveri e propri progetti integrati, capacidi attirare una molteplicità di funzioni

versano tutte le zone della città e sonoil loro elemento unificante. Le superficidelle rive devono essere ampiamenteriqualificate per tutta la loro estensionee liberate da qualsiasi barriera che neostacoli la fruibilità e l’accessibilità.Nuovi ponti realizzeranno ulterioripassaggi pedonali tra le diverse zonedella città. Nuovi impianti, “perle” dirilevanza pubblica, renderanno attratti-vi singoli tratti delle rive. Qui dovran-no insediarsi funzioni di interesse pub-blico dove potranno svolgersi eventid’interesse per tutta la città.

Il sistema delle centralitàNonostante Bolzano sia una città poli-centrica, almeno dal ‘900 quando ven-gono accorpati i comuni e i nuclei ori-ginari, il centro storico si è andatoprogressivamente rafforzando di fun-zioni direzionali, culturali e commer-ciali determinando una sostanziale“periferizzazione” degli altri quartieri,che sempre più vengono a svolgere lasola funzione residenziale. La sfidapositiva che il piano intende darsi èquella di diffondere la qualità urbanacostruendo centralità, funzionali e sim-boliche, anche al di fuori dei luoghinaturalmente riconosciuti attrattivi inquanto ricchi di funzioni rare. IlDocumento Preliminare prevede una

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Il centro di Bolzano intorno a piazza Erbe

Il fiume Isarco con e senza l’autostrada

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altri da degrado edilizio, eterogeneitàtipologica e vuoti urbani privi di iden-tità; in altri ancora da processi disostituzione attuati con interventi sin-goli senza le minime dotazioni di stan-dard. Queste aree, dove è urgente l’av-vio di processi di riqualificazione erigenerazione urbanistica e funzionalepossono costituire anche la rispostaalla domanda di crescita urbana futura,residenziale e produttiva. Tre sono legrandi aree di trasformazione urbanache vengono individuate: l’area dis-mettibile della zona ferroviaria, laparte Nord della zona industriale, lazona semiurbanizzata di Ponte Adige.A queste si aggiungono alcune aree didimensioni più ridotte, ma con le stes-se caratteristiche, e le caserme interes-sate da processi di dismissione. Legrandi aree di trasformazione urbanapotranno segnare la qualità e la quan-tità del nuovo piano, ma hanno (inparticolare la stazione e la zona indu-striale) il limite di essere progetti nonimmediatamente operativi e tali da nonpoter rispondere in tempi brevi ai biso-gni presenti. La risposta ai fabbisogniabitativi da avviare subito non puòessere individuata in un ulteriore cari-co insediativo vicino alle recentiespansioni di via Resia, né d’altra partepuò essere individuato saturando ipochi spazi liberi rimasti all’internodell’attuale tessuto edificato. Il capo-saldo del Piano rappresentato dallavolontà di crescere e costruire sul giàcostruito senza ulteriore consumo diterritorio viene quindi affrontato inte-ressando alcune piccole aree agricolecaratterizzate da un ruolo marginale intermini produttivi e con ridotta funzio-ne ambientale e paesaggistica. Si pro-pone inoltre una strategia di diffusionedella futura urbanizzazione su tredirettrici, diminuendo anche la densitàedilizia rispetto alle più recenti realiz-zazioni.

* Inu Alto Adige.

Note1. Una selezione dei contributi inviati è stata raccoltanella rivista dell’Inu Alto Adige Atlas n. 30“Contributi per il nuovo Puc di Bolzano” a cura diPeter Morello.2. Estratti dal documento redatto da un Gruppo dilavoro formato da Francesco Sbetti (Coordinatore),Carlo Azzolini, Helene Hölzl, Claudio Lucchin, ElenaMezzanotte, Lia Nadalet, Wolfgang Piller, PeterPlattner, Alessia Politi, Luigi Scolari.

- Decisamente importante per la cittàsarebbe la trasformazione dell’areadello Stadio Druso a parco universita-rio e della ricerca, orientato verso itemi ambientali, del risparmio energe-tico, delle energie alternative e delcostruire in modo sostenibile.- Alla confluenza tra i fiumi Isarco edAdige, si potrebbero insediare alcunicentri di ricerca su tecnologie sosteni-bili ed innovative per la produzione dienergia, come gli impianti fotovoltaici.Attraverso la rinaturalizzazione dellesuperfici non edificate, degli spaziinterstiziali, e con una loro cura esten-siva, tali infrastrutture possono essereintegrate in una concezione ecologica.- Anche a Bolzano è ormai urgente undisegno strategico del sistema commer-ciale attraverso una pianificazione inte-grata a vari livelli: il livello “micro” delcommercio di vicinato; il livello “medio”del commercio di prossimità; il livello“macro” dei centri commerciali integratie dei mercati coperti.

Il sistema delle trasformazioniLe zone di trasformazione urbanisticacomprendono quelle parti di cittàcostruita e non costruita caratterizzatein alcuni casi da degrado urbanisticofunzionale con assenza di armaturaurbana e con scarsa accessibilità, in

di attraversamento (autostrada e stradaarginale) non devono più rappresenta-re barriere tra le diverse parti dellacittà e gli stessi interventi infrastruttu-rali devono diventare occasioni diriqualificazione urbana, così come iltrasporto pubblico articolato e integra-to (ferrovia urbana, tram, bus e funi-vie) deve costituire l’armatura per lacostruzione di una nuova città equa-mente accessibile.

Il sistema delle attività economicheL’Alto Adige possiede una strutturaeconomica tradizionale, solida e stabi-le, per la quale la sfida futura è rap-presentata da una gestione ancora piùefficiente delle limitate risorse dell’am-biente e del territorio. In questo conte-sto Bolzano assume un ruolo rilevante.Il tema che il Documento Preliminarevuole porre all’attenzione è rappresen-tato dalla necessità di predisporre stru-menti in grado di sostenere i processieconomici e contemporaneamente diqualificazione urbana agendo in quat-tro direzioni.- Recuperare spazi adeguati all’internodella Zona Industriale in modo daoffrire ambiti per la crescita produttiva,per l’insediamento di strutture di ricer-ca e sostegno tecnologico alle imprese,e per le infrastrutture logistiche.

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Le aree di trasformazione

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delle caratteristiche paesaggistiche.Per questo l’Au contiene, oltre all’edi-ficato, tutte quelle aree le cui caratte-ristiche (morfologiche, geologiche,pedologiche) contribuiscono o addirit-tura impongono il disegno planimetri-co dell’insediamento.Il progetto del Ru viene molto condi-zionato dalla situazione geologica chesi è ufficializzata con la pubblicazionedel Pai 2005, che ha evidenziato pro-blemi per la gran parte dell’abitato. Ilresiduo del Pdf viene quasi completa-mente vietato, e si considera a rischioanche una parte importante dell’abita-to di più recente formazione.

La proposta progettuale: ilpatrimonio esistente

Buona parte del tessuto urbano è inte-ressata dal Regime generale diConservazione; ciò è dovuto alle con-dizioni di valore dell’ambiente urbanoed ai numerosi edifici di valore archi-tettonico esistenti. Il tessuto urbanopiù recente è invece interessato dalRegime di trasformazione.Il Ru è basato sul rilievo del patrimo-nio edilizio, effettuato con una sche-datura puntuale di ogni comparto e diogni unità minima di intervento. Lascheda reperisce dati generali di tipostorico, architettonico, edilizio, strut-turale, volumetrico, sulla destinazioned’uso, sulla proprietà, sull’accessibilità,sul grado d’uso, e propone valutazioni,in base alle quali attribuisce indica-zioni di progetto per ogni Unità mini-ma di intervento, indicando il regimedi intervento (il conseguente tipo diintervento edilizio), ed il regime d’uso.

Il Regolamento urbanistico di Pietragalla (PZ)Roberto Lo Giudice*

Cesaracchio. Il Regolamento urbanisti-co li comprende tutti, tuttavia questapresentazione si riferisce all’Ambitourbano di Pietragalla centro.Lo strumento urbanistico previgente èun Pdf del 1971, più volte variato, finoad una variante generale del 1988. Nelcentro capoluogo il 90% delle previ-sioni si attua direttamente, solo l’11%con Piano attuativo. Regole genericheconsentono che l’attuazione del Pianoavvenga ad interpretazione flessibile;così, nel corso degli anni, del Pdf siattuano gran parte delle previsioniquantitative, eludendo le poche pre-scrizioni che miravano alla qualitàurbana.Dagli anni settanta in poi, nei piccolicentri della Basilicata, si afferma latendenza a rifiutare l’alloggio in con-dominio. Anche a Pietragalla le previ-sioni urbanistiche che impongonoquesta tipologia edilizia faticano a tro-vare attuazione. Di conseguenza, unafetta considerevole della domanda edi-lizia si trasferisce in zona agricola,dove si forma pian piano un periurba-no diffuso e amorfo, a volte parzial-mente abusivo per quanto riguarda ledestinazioni d’uso.

Il Regolamento urbanistico

La perimetrazione dell’Ambito Urbanodi Pietragalla centro è stata tracciatadopo aver valutato e messo in relazio-ne più elementi che vanno dallo studioplanimetrico del disegno urbano, allaconfigurazione del sito dal punto divista geomorfologico, alla verificadella pianificazione in atto e del suogrado di attuazione, all’individuazione

Lur Basilicata 23/1999Territorio amministrativo: Kmq 65,67Abitanti: 4.462Il piano è in corso di elaborazione

La Lr 23/99 rende obbligatoria la reda-zione del Regolamento Urbanistico intermini temporali prestabiliti. Il Comunedi Pietragalla ha adempiuto a taleobbligo e ha anche aderito alla propostadella città di Potenza, rivolta a novecomuni contermini, di disegnare ununico progetto di sviluppo per mezzo diun Piano strutturale metropolitano.Le Amministrazioni saranno impegna-te ad individuare, il miglior assettoterritoriale possibile in funzione diuna visione strategica dello sviluppoponendo a sistema le opportunità e lepotenzialità di una area vasta e com-plessa. L’obiettivo principale è di pro-spettare, nell’assetto territoriale regio-nale che vede oggi le situazioni piùdinamiche svilupparsi sui bordi delproprio territorio, una alternativa fortenella zona interna che si candida, neiconfronti della stessa RegioneBasilicata, a gestire non solo il suoriorganizzato capitale sociale, maanche le potenzialità del proprio terri-torio, costituite dalle esistenti risorsenaturali ed ambientali.

Lo stato di fatto

Il territorio amministrativo diPietragalla, oltre al centro capoluogo,è caratterizzato dalla presenza di altritre importanti aggregati urbani: ilnucleo di San Giorgio, quello di SanNicola e quello che salda i nuclei agri-coli di Cappelluccia, Lolla, Caprancillo,

Piani urbanistici, prove di innovazione

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Urbanistica INFORMAZIONI

zio (e l’area sulla quale edificare) daassegnare ai proprietari delle areeperimetrate dal Distretto Urbano comecompensazione della cessione bonariadelle stesse aree al comune diPietragalla. Si evita così, per quantopossibile, il ricorso all’esproprio;- consente la localizzazione del trasfe-rimento di diritti urbanistici derivantidall’attuazione delle previsioni del Rufunzionali al recupero del CentroAntico (attuazione degli InterventiDiretti), con la contestuale acquisizio-ne di edifici ed aree del Centro anticoal patrimonio comunale;- permette di programmare il trasferi-mento volontario di diritti urbanisticidalle aree classificate prevalentementedi conservazione, con contestuale ces-sione al comune delle cubature esi-stenti e dei relativi siti, in modo dapoter programmare in futuro altriinterventi pubblici di recupero nell’a-bitato;- consente di individuare lotti edifica-tori da assegnare in seguito a bandopubblico emanato

Il nuovo impianto

Il Ru di Pietragalla, in attesa del PianoStrutturale Metropolitano delPotentino, prevede una quota di nuovaedificazione, dimensionata su tre annidi attività edilizia. È stata individuata,nel residuo di Piano ancora utilizzabi-le, un’area di circa 29.000 mq sullaquale il Ru istituisce un “Distrettourbano” nel quale potranno allocarsile potenzialità del mercato edilizio.Considerando questa situazione diattesa come transitoria, per evitare ilverificarsi di posizioni di monopoliolegate alla proprietà delle aree, le pro-cedure previste per l’attuazione delDistretto sono fortemente legate allagestione pubblica del PianoParticolareggiato. L’Amministrazionecomunale di Pietragalla diventa, dun-que, attore principale dell’azione urba-nistica garantendo così l’interessepubblico.Il Distretto urbano permette il verifi-carsi di alcune importanti azioni:- stabilisce la quantità di volume edili-

Il recupero urbanistico

Compatibilmente con le risultanzedelle indagini derivanti dalla scheda-tura, vengono individuati alcuni limi-tati interventi di ristrutturazione urba-nistica (Interventi diretti) che hanno loscopo di agevolare il riuso del Centroantico e che tendono a recuperarnedal punto di vista funzionale e cultu-rale la parte più significativa. Questiinterventi dovranno essere gestiti conprogetti di iniziativa pubblica.L’idea progettuale viene sintetizzata inuna scheda di progetto che individuagli obiettivi ed ha valore prescrittivoper quel che riguarda localizzazione eduso ammesso. Le scelte architettonichee quelle funzionali vengono lasciatealle valutazioni del progetto definitivo.Ai proprietari delle volumetrie dademolire, che accettano di trasferire learee al Comune, viene assegnata unaarea ed una cubatura di compensazio-ne nella zona di nuova edificazioneindividuata come Distretto urbano.

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territorio comunale di una parte delparco regionale della pineta di AppianoGentile e Tradate e la vicinanza conMilano costituiscono una risorsa impor-tante che il piano intende valorizzaresia sotto il profilo naturalistico, sia persviluppare offerte appetibili e concor-renziali rispetto ai più congestionatiambiti della vicina area metropolitana.Il Piano disegna lo sviluppo diMozzate attraverso un progetto di inte-grazione tra nuove aree residenziali,ambiti di transizione e territorio agri-colo. E si occupa in modo sperimentalee innovativo di mettere in relazione ilprogetto urbanistico con le modalità diattuazione delle scelte avendo atten-zione non solo alla conformazione delsuolo, ma anche alla qualità del pro-dotto. Da questa impostazione derival’uso della perequazione come modalitàdi gestione delle trasformazioni urbanee di realizzazione dei servizi; l’introdu-zione di una normativa che consenta,pur nella generale salvaguardia deivalori immobiliari, la riduzione delladensità edilizia nel contesto edificato;l’introduzione di un meccanismo com-petitivo nella trasformazione urbana,quale strumento per accrescere la qua-lità degli interventi. Le norme che accompagnano ilDocumento di Piano introducono,descrivono e stabiliscono le modalitàper l’applicazione della perequazione,della compensazione, della premialità edella traslazione della capacità edifica-toria.Le nuove aree di trasformazione e learee destinate a servizi pubblici o anuovi tracciati viari sono disciplinate da

Il Piano di governo del territoriodi Mozzate (CO)Massimo Giuliani*

Lur Lombardia 12/2005Territorio amministrativo: Kmq 10,36Abitanti: 7505 Il piano è in stato adottato nel dicembre2007

Il nuovo piano del comune di Mozzatesi prepara a rispondere nel modo piùaderente possibile alla natura complessadel governo delle trasformazioni urbanefacendo propri gli indirizzi e i criteri suiquali è formulata la legge urbanisticalombarda e utilizzando l’articolazionedei contenuti della pianificazione comu-nale come un modello che privilegia laformazione di un quadro strategico uni-tario all’interno del quale formulare lescelte e interagire nelle diverse fasi diattuazione.Mozzate si trova nella parte sud occi-dentale della provincia di Como, al con-fine con le province di Varese e diMilano ed è costituita da un tessutoedilizio che ha le sue origini in trenuclei storici e nel sistema delle cascinediffuse sul territorio agricolo.Nel definire il nuovo assetto il Pianotiene conto di alcuni fattori di criticitàche sono rappresentati dal sistemainfrastrutturale e in particolare: dalla SS233 Varesina che attraversa il centrocon conseguenze dirette sulla qualitàdell’aria, sul rumore e sul rischio diincidenti; dalla realizzazione dellanuova autostrada Pedemontana checomporterà una forte riduzione dellazona agricola produttiva a causa delconsumo di suolo e dell’aumento delleemissioni inquinanti dovute al trafficoveicolare.D’altro canto la presenza all’interno del

dall’Amministrazione comunale, alfine di soddisfare, insieme alla cubatu-ra di compensazione, il fabbisognoresidenziale fino all’approvazione delredigendo Psm e di calmierare, grazieal bando pubblico, il mercato immobi-liare.Per esaltare il ruolo di regiadell’Amministrazione comunale, ènella sua esclusiva competenza laredazione del Piano Particolareggiato edel progetto esecutivo delle opere diurbanizzazione primaria, la cui esecu-zione, però, potrà anche essere delega-ta ai privati.Il Ru di Pietragalla è tutto ispirato aiprincipi del nuovo piano, nelle forme enei contenuti con cui l’Inu lo sta deli-neando, così come lo è tutto l’impal-cato normativo della Lr 23/99. E’ unnuovo piano in particolare per l’atten-zione posta al recupero del patrimonioedilizio esistente nel rispetto dell’im-pianto urbanistico e per il ricorso atecniche attuative riferite alla perequa-zione compensativa, ma altrettantoimportante è il ruolo essenziale cheattribuisce all’Amministrazione comu-nale come garante dell’interesse pub-blico e la possibilità dell’interventoprivato in fase attuativa.

*Presidente Inu Basilicata.

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due indici diversi: l’indice di zona cherappresenta il contributo volumetricomassimo delle aree incluse nella peri-metrazione del comparto edificatorio el’indice minimo di edificazione che defi-nisce la volumetria minima che deveessere obbligatoriamente prevista nelperimetro dello strumento attuativo.Coerentemente con l’obiettivo di privile-giare e incentivare gli elementi di quali-tà all’interno degli strumenti attuativi,le norme di Piano introducono il con-cetto della premialità in quanto attribu-zione di incrementi volumetrici in rela-zione a interventi che privilegiano lasostenibilità ambientale attraverso l’in-troduzione di sistemi per la produzione

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Fig 1 – Criteri per l’attribuzione degli indici volumetrici – premialità.

Fig 2 2 – Lo scenario di piano: le aree di trasformazione e di riqualificazione.

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grado di far fronte con rapidità allanecessità dare ordine e coerenza aiprocessi in atto, né di dotarsi di stru-menti di pianificazione capaci di con-tenere, o perlomeno di governare, l’e-spansione urbana. Vennero di fatto ascaricarsi sul territorio scandicceseforti spinte speculative, con creazionedi quartieri residenziali ad alta densitàe a basso costo, destinati per lo più aiceti popolari espulsi da Firenze e afamiglie di immigrati. Al tempo stessoil territorio cominciò ad assorbire partedelle trasformazioni territoriali connes-se allo sviluppo industriale dell’areafiorentina. La contemporanea realizza-zione dell’Autostrada del Sole (apertaal traffico nel 1964) venne in queglianni a configurare il laccio autostrada-le come una sorta di naturale confinetra la parte di territorio scandiccese aprevalente destinazione residenziale eil comparto produttivo, che negli annisuccessivi si sarebbe ulteriormente svi-luppato lungo la direttrice est-ovestdella Via Pisana. Fortunatamente ifenomeni di disordinata espansione diquesto periodo interessarono solo lapiana, lasciando praticamente intatto ilterritorio collinare. Tutto questo tumul-tuoso sconvolgimento degli assetti ter-ritoriali si produsse nel giro di pochianni: tra il 1960 e il 1970 gli abitanticensiti passarono da circa 18.000 aoltre 45.000. Gran parte dell’organismourbano che oggi costituisce il capoluo-go comunale si sviluppò in totaleassenza di una strumentazione urbani-stica generale, e solo episodicamentesulla base di piani di lottizzazione diiniziativa privata, peraltro assai rudi-

Il Regolamento urbanisticodi ScandicciLorenzo Paoli*, Enrico Amante**

Lur Toscana 1/2005Territorio amministrativo: Kmq 60Abitanti: 50000Il Regolamento urbanistico è approvato

Il comune di Scandicci, dopo l’appro-vazione del piano strutturale, ha com-pletato il processo di pianificazionegenerale come delineato dalla LrToscana n. 1/05, con l’approvazionedel regolamento urbanistico avvenutail 19 febbraio 2007, elaborato sullascorta di due linee fondanti: il tentati-vo di sondare le potenzialità offertedall’ordinamento toscano da un lato; ladiretta discendenza non meramenteformale dal piano strutturale dall’altro.L’apparato strumentale indicato dallalegge urbanistica è stato messo a con-fronto con un territorio complesso.Scandicci, infatti, è il secondo comunedella provincia di Firenze, ubicatonella zona sud-occidentale dell’areametropolitana fiorentina, in una fasciacompresa tra il corso del fiume Arno equello del torrente Pesa. A partire daglianni ‘50, massicci fenomeni di urbane-simo, connessi ai processi di ricostru-zione postbellica e ai primi segnali diindustrializzazione, e la contemporaneacrisi generalizzata dell’economia agra-ria e della sua organizzazione mezza-drile mutarono rapidamente gli assettiterritoriali, configurando la parte urba-nizzata di Scandicci essenzialmentecome periferia residenziale di Firenze,vincolata nel suo sviluppo e nelle suefunzioni dalle dinamiche di espansionedel capoluogo regionale. In questoperiodo di rapide trasformazioni, l’am-ministrazione comunale non fu in

dell’energia, il miglioramento del conte-sto urbano attraverso l’organizzazionedegli spazi pubblici e in particolare diquelli riservati al gioco dei bambini, ilmiglioramento della risposta alla cittàattraverso la realizzazione diretta di ser-vizi pubblici in aggiunta a quelli dovutisecondo le norme.Gli obiettivi e le strategie contenuti nelDocumento di Piano trovano attuazioneanche nel Piano dei Servizi e nel Pianodelle Regole. Questo ultimo in particola-re entra nel dettaglio della definizionedelle aree pubbliche e private su cuipossono essere attivati gli incentivirelativi, oltre che al risparmio e produ-zione dell’energia e al miglioramentodella qualità ambientale e ecologica,alla promozione del commercio e dellaricettività e alla realizzazione delle fascedi transizione tra territorio agricolo eurbano.In questo modo il Piano risponde con-cretamente ad alcune tra le principalicriticità individuate nel percorso analiti-co di lettura del territorio. Ad esempio,la definizione di un ambito da assog-gettare a piantumazione per la produ-zione di biomassa contestuale alla rea-lizzazione del tracciato dell’autostradaPedemontana che comporta l’occupazio-ne di una fascia di almeno 100 metriper lato dal sedime dell’infrastruttura difatto inutilizzabile per qualunque desti-nazione, compresa quella agricola, chevedrebbe una produzione comunquecontaminata dagli inquinanti legati altraffico veicolare. La realizzazione dellafascia alberata di protezione del sedimeautostradale è un provvedimento cheraggiunge il duplice obiettivo di mitiga-re la presenza del tracciato nel contestoagricolo, ma soprattutto salvaguarda lasalute pubblica ed è quindi consideratoun intervento prioritario del Piano per ilquale sono stabiliti incentivi che nefavoriscano l’attuazione.La legge urbanistica lombarda, nellaforma in cui Mozzate la interpreta e laapplica, consente, quindi, di costruirestrumenti di pianificazione i cui princi-pali elementi di novità consistono nelcontinuo rapporto tra sintesi dei caratteridel territorio, individuazione delle poten-zialità e traduzione delle strategie indisegno di piano e in modalità attuative.

*Inu Lombardia, progettista del Piano.

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i processi partecipativi. Anche ildimensionamento del PianoStrutturale, oltre che in termini com-plessivi (Scandicci si candida a conso-lidarsi come polo secondario del siste-ma metropolitano ponendosi comesoglia massima una popolazione di55.000 abitanti) si articola in ragionedelle caratteristiche e delle potenzialitàdelle singole Utoe, al fine di garantireassetti equilibrati e coerenti con i con-tenuti statutari del piano. Questa ripartizione delle strategie e deidimensionamenti consente di pilotareefficacemente le trasformazioni urba-ne, fornendo al Regolamento urbani-stico un quadro di riferimento estre-mamente chiaro, seppur non vincolan-te per gli aspetti di dettaglio dellescelte operative.A partire da questo quadro territorialee da questo apparato strumentale, il Rudi Scandicci si costruisce come un veroe proprio atto di governo del territorioin senso multidisciplinare, e non solocome un piano meramente urbanisticoal pari dei tradizionali Prg. A titolo diesempio, gli aspetti idraulici e geologi-ci sono parte integrante della discipli-na e non norme di settore repertoriatenel quadro conoscitivo. E’ per taleragione che la ricchezza di tematismi sitraduce in ben quattro livelli di pianifi-cazione sovrapposti (Livello A -Disciplina dei suoli e degli insediamen-ti; Livello B - Tutela e valorizzazionedel patrimonio territoriale: invariantistrutturali, discipline speciali e salva-guardie; Livello C - Classificazione delpatrimonio edilizio esistente e usi spe-

Piano strutturale, avviato nel 2001,stabilisce una serie di obiettivi: la rea-lizzazione del nuovo centro della città,inserito nel quadro di una più vastastrategia di area metropolitana chesuperi la dimensione municipalistica epunti alla creazione di un sistema poli-centrico equilibrato nella distribuzionedelle funzioni e competitivo a livellonazionale e internazionale; lo sviluppodi una rete di relazioni sempre piùampia e articolata tra un settore pro-duttivo locale da qualificare e moder-nizzare e un’economia cittadina cheinvece deve irrobustire e diversificare ilsuo tessuto commerciale, terziario,turistico; il rafforzamento della natura-le propensione del tessuto economico esociale alla sperimentazione e all’inno-vazione; la difesa e la valorizzazionedelle risorse ambientali e paesaggisti-che del territorio collinare. La ricchezza delle componenti statuta-rie trova una sintesi efficace in quellache è stata denominata Carta del patri-monio territoriale, che individua icaratteri identificativi del territorio,facendone emergere valori e specificità.Il punto di raccordo tra la dimensionestatutaria e quella strategica è costitui-to dall’individuazione delle Unità terri-toriali organiche elementari (Utoe),ossia le componenti minori che con-corrono a strutturare il più ampiosistema territoriale comunale. Per giun-gere alla definizione di questa riparti-zione territoriale, oltre ovviamente allostudio dei toponimi, delle carte storichee delle strutture profonde del territorio,sono stati di fondamentale importanza

mentali: solo nel 1967 Scandicci riuscìinfatti ad adottare il suo primo Prg. Difatto la pianificazione comunale, nelmuovere i suoi primi passi, si trovò adover fare i conti con assetti insediati-vi già in larga parte definiti da proces-si spontanei o da scelte più o menoestemporanee, e si indirizzò pertantoverso un progressivo contenimentodelle espansioni residenziali private avantaggio dell’edilizia residenzialepubblica, favorendo al contempo incre-menti nello sviluppo dei comparti pro-duttivi, delle attrezzature pubbliche edegli standard urbanistici. L’attualestruttura urbana necessita di esserecompletata non tanto nelle sue areeinterstiziali o di margine, bensì, circo-stanza unica in tutto il comprensoriofiorentino, e in assoluto a dir pocoinconsueta, proprio nella sua parte piùsignificativa e nevralgica: il vuotourbano compreso tra i quartieri diScandicci vecchia e di Casellina, corri-spondente al baricentro geograficodella città. Già dai primi anni ’80, conil Prg Gregotti-Cagnardi, il tema delnuovo centro della città era stato foca-lizzato in modo deciso. Negli anni suc-cessivi, al fine di mettere a punto intermini il più possibile qualitativi lescelte progettuali di fondo capaci didefinire gli assetti e guidare la realiz-zazione del nuovo centro della città,l’amministrazione comunale si è rivoltaa Richard Rogers, il cui Programmadirettore per la realizzazione del nuovocentro della città è stato approvato nelluglio 2003.Rispetto a questo assetto territoriale il

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di un’approfondita conoscenza del pro-prio tessuto, ha inteso portare il pro-prio contributo alla ricerca di rispostepianificatorie al passo con i tempi.

*Dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia delComune di Scandicci.Progettista e responsabile del procedimento.**Consulente per gli aspetti giuridici del Ps e del Rudel Comune di Scandicci.

Per la redazione del Piano strutturale e delRegolamento urbanistico di Scandicci è stato creatoun apposito Ufficio di Piano all’internodell’Amministrazione, costituito - oltre che dalDirigente in qualità di progettista e responsabile delprocedimento e dal personale tecnico e amministrativodel Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune - daun gruppo di giovani architetti provenienti dalDipartimento di Urbanistica e Pianificazione del terri-torio dell’Università di Firenze, coordinati dai Proff.Paba e Gorelli.

praticamente permanente. Inoltre e’stato fatto ampio ricorso alla perequa-zione di comparto, secondo modalitàche hanno anticipato le disposizionidel coevo regolamento regionale (art.16 Dpgr 9 febbraio 2007, 3/R). Nellastessa ottica sono state introdotte,quali condizioni per la trasformabilitàdi talune aree, previsioni di benefitpubblici di diversa natura a carico delsoggetto attuatore: in tali ipotesi, ilplus imposto al privato non è statoconfigurato quale onere aggiuntivorispetto al tradizionale sistema, bensìquale presupposto stesso dell’interven-to, contenuto pianificatorio dello stru-mento.D’altro canto l’Amministrazione haintrodotto talune semplificazioni pro-cedimentali: è il caso delle ipotesi diadeguamento degli elaborati con deli-bera consiliare unica nei casi in cui lavariazione consegue automaticamenteall’aggiornamento di Piani sovraordi-nati o di settore; ovvero il ricorso, serichiesto dal soggetto attuatore, a pre-via approvazione di progetto unitariodei piani attuativi.Si tratta di sperimentazioni in atto: nél’ordinamento regionale, né le fontistatali, nonostante i progetti di leggeche si susseguono senza fortuna inParlamento, contemplano meccanismidiversi di bilanciamento dell’interessepubblico/privato oltre al tradizionalesistema degli standard. Scandicci, attraverso i propri strumentidi pianificazione, muovendosi tra lemaglie della disciplina positiva, forte

cialistici; Livello D - Disciplina di tute-la dell’integrità fisica del territorio)che, agevolmente consultabili, offronoimmediata contezza della disciplinaoperativa dell’intero territorio comuna-le: in breve, mediante la consultazionedelle tavole e delle norme tecniche delregolamento cittadini e operatori sonoin condizione di conoscere l’integraleregime dei suoli. Tale soluzione meto-dologica è frutto di un’opzione cultu-rale che tutto il gruppo di lavoro hafortemente condiviso, in forza dellaquale le previsioni di valenza operativasono state intese quali un vero e pro-prio testo unico, in netta contrapposi-zione con qualunque logica di pianifi-cazione separata.Una seconda caratteristica fondante,particolarmente innovativa, è datadalla diretta e sostanziale discendenzadel Ru dal Piano strutturale: si tratta,infatti, di una delle poche, se non l’u-nica, esperienza di attribuzione divalenza operativa ai contenuti statutaridel Ps nei quattro livelli.Vi sono poi due obiettivi specifici dipianificazione perseguitidall’Amministrazione con il regolamen-to che hanno dato luogo ad interessan-ti spunti di sperimentazione normativa.Da un lato la lotta alla rendita hacomportato l’introduzione, in alcuneipotesi di trasformazioni particolar-mente rilevanti, di un quorum di edili-zia sociale a carico del soggetto attua-tore, quale condicio sine qua non del-l’intervento: il vincolo all’affitto acanone calmierato è, in tali ipotesi,

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finanziamenti in rapporto alla definizio-ne prima e all’attuazione di programmidi sviluppo a fronte della disponibilità dirisorse (fondi comunitari 2007-2013,fondi Fas). L’obiettivo è, in fondo, quellodi rafforzare l’efficacia della spesa,costruendo dei quadri di riferimentobasati su un’idea di futuro, all’internodei quali collocare la progettualità inessere.

Le possibili derive negative

Di fronte ad una così rapida diffusionedi iniziative qualche preoccupazione perun certo “logoramento” del significato diquesto approccio appare legittima.Guardando alle esperienze qui presenta-te, e, in controluce, alla massa di analo-ghe attività in corso, mi sembra che siapossibile individuare alcuni elementi diriflessione critica di carattere generale.Primo: nell’attività di pianificazionestrategica il rischio della retorica è dietrol’angolo. In parte ciò emerge già nell’in-dividuazione della meta; molti i pianiche dichiarano ambizioni roboanti, pococredibili se rapportate al quadro attuale.Nell’individuazione del possibile posizio-namento competitivo della città diventa-re il “gate”, il territorio cerniera, losnodo, la capitale, la piattaforma di unqualche ambito territoriale più vasto,appare un traguardo ricorrente.L’equivoco sembra essere quello di inter-pretare l’esigenza (importante) di ricono-scimento delle potenzialità del territorio,in termini autoreferenziali, operando avolte forzature non utili all’individuazio-ne di veri e propri traguardi plausibili oad obiettivi di rafforzamento identitario.Anche nella eccessiva facilità con cui si

Pianificazione strategica: una formula di successo Stefano Sampaolo*

Una pluralità di esperienze (fino a qual-che anno fa le iniziative si contavanosulle dita di una mano, mentre oggisono più di 80), che, come è stato altro-ve già ricordato, almeno in prima battu-ta è inevitabile ricondurre a due diffe-renti situazioni-tipo, a due diversemodalità di “innesco” del processo. Daun lato le (poche) città che (soprattuttoal centro-nord) da alcuni anni hannointrapreso questo percorso sulla base diuna autonoma motivazione, personaliz-zando esperienze maturate in altri paesieuropei; dall’altro quelle (ben più nume-rose) che si sono avvicinate più recente-mente a questa sperimentazione grazieanche all’incentivo di fondi centralmen-te destinati a questo scopo. La disponibilità di risorse non spiega dasola le dimensioni della diffusione deipiani, ma certo è stata un fattore decisi-vo: basti ricordare che due delibere Cipe(L 10/2004 e L 35/2005) hanno destinatorispettivamente 21 e 23 milioni di euroalla progettazione innovativa nelle cittàdelle regioni del sud, e quindi sostan-zialmente ai Piani strategici. Cifre forsenon esorbitanti in termini assoluti, mache relativamente alla progettazionedello sviluppo territoriale sono senzadubbio di notevole dimensione.Inevitabilmente nelle prime esperienze,generate da autonome motivazioni, èpiù forte la riflessione su e per il cam-biamento: si sperimenta la pianificazio-ne strategica per “dare una risposta con-vincente ad una domanda di senso sulfuturo della città, in una delicata fase ditransizione” (Trento); mentre nelleseconde il focus è anche e soprattuttoquello sulle opportunità di intercettare

Che la pianificazione strategica inItalia abbia goduto negli ultimi annidi un notevole successo diattenzione e di risorse è indubbio.Un fenomeno considerevole,testimoniato in modo evidente dauna vera e propria proliferazione dipiani, molti dei quali in corso dielaborazione. Si tratta di un successo certamenteconnotato da luci ed ombre, ma cheladdove si accompagna ad una realedisponibilità al cambiamentopresenta implicazioni interessanti,come dimostrano anche i casipresentati in questa sezione dellarivista (Torino, Trento, Venezia,Pescara, Lecce e Cagliari), ulterioritestimonianze dirette di una riccastagione su cui peraltro nonmancano anche riflessioni criticherecenti; tra cui si possono citare:Rur-Censis, Strategie per il territorio,Angeli, Milano, 2007; F. Gastaldi,“Piani strategici: rischi e criticità”,Urbanistica n. 132, aprile 2007;F. Calace, “Territori di un’Italiastrategica”, Urbanistica Informazioni,n. 213, giugno 2007.

Pianificazione strategica: una formula di successo

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realismo della effettiva dimensione deifenomeni in atto, più che alle logicheamministrative. E’ il tema fondamentaledi quale sia il territorio di riferimentodel piano, sempre meno percepito comeun dato di partenza, e sempre più consi-derato come un “costrutto” strategico2.Per questo l’attivazione volontaria ditavoli e intese legate in vario modo adambiti più ampi, ad aggregati territorialinon necessariamente aderenti alle logi-che amministrative (come nel caso diLecce e del “Grande Salento”). rappre-senta probabilmente uno degli aspettipiù interessanti di queste iniziative.Secondo elemento di innovazione, direttaconseguenza del primo, è quello dellacentralità della dimensione relazionale,come tema da sviluppare e da presidiare(Pescara). Relazionalità che riguarda ilsistema degli attori locali, ma anche lacapacità di guardare oltre, di aprirsi adalleanze, a forme di partenariato con altrisoggetti territoriali. Questi due elementi,insieme ad altri, mi sembra dimostrino lavalidità dell’assunto di fondo: l’approcciodella pianificazione strategica è utile sec’è una volontà esplicita di “accettare lasfida del cambiamento” (Torino), guar-dando ai problemi in modo nuovo perinvertire alcune delle tendenze in attoche possono condizionare, in negativo, lacrescita della città, la sua qualità dellavita o per favorirne altre consideratepositive. Le esperienze in corso dimostra-no che in particolare il contributo mag-giore è relativo a due dimensioni: quelladella definizione dei problemi (più ancoradella loro soluzione) e delle scale di rife-rimento da un lato, e quella della messain rete di idee e proposte di una pluralitàdi attori dall’altro. Prendere sul seriol’approccio della pianificazione strategicasignifica, in conclusione, preservarne, aldi là delle retoriche, il carattere speri-mentale e innovativo, impegnandosi inuna attività certamente onerosa in termi-ni di tempo, energie, risorse da impiega-re, e che pertanto richiede attori istituzio-nali motivati.

* Fondazione CENSIS.

Note1. Sul tema si veda V. Fedeli, “Pianificazione strategica:le città e la trappola dell’attore collettivo ?”, in C.Donolo (a cura di), Il futuro delle politiche pubbliche, B.Mondadori, Milano, 2006.2. Vedi la postfazione di Claudio Calvaresi a B. Pizzo,La costruzione del paesaggio, Roma, Officina, 2007.

strategica vi è proprio quella di selezio-nare ed affrontare alcuni (pochi) temi,ritenuti cruciali per il futuro, rimandan-do gli altri alle normali sedi di appro-fondimento e di decisione. Sembraimportante quindi non caricare la piani-ficazione strategica di compiti che nonle sono propri: si finirebbe per far coin-cidere i documenti strategici con queiprogrammi elettorali che, per non scon-tentare nessuno e non tralasciare nulla,finiscono per essere talmente omnicom-prensivi da scivolare in un eccesso diindeterminatezza, indebolendo la dimen-sione della scelta. Quarto: se nella fase iniziale di costru-zione (quella più effervescente e creati-va), la pianificazione strategica vienegiustamente intesa come processo, unavolta che gli esiti della partecipazionesono tradotti in un documento, sotto-scritto e pubblicizzato, si finisce perdeclassarla ad un prodotto, che nonavendo cogenza amministrativa, edessendo inevitabilmente soggetto adinvecchiamento, rischia di essere facil-mente dimenticato (in un cassetto o suun sito web abbandonato). Il risultatomeno augurabile è forse proprio quelloche l’esperienza (spesso faticosa) dellapianificazione strategica non abbia poiuna reale incidenza sui comportamenti,sia all’interno della macchina pubblicache nei rapporti con gli altri attori. Coltempo, tenendo conto dell’inevitabilevenir meno della tensione programma-toria, ciò richiede un impegno continua-to non solo a ricordare a tutti l’esistenzadel piano, ma a far sì che l’approcciovenga assunto come metodo di governo(Venezia).

I fattori di opportunità

Veniamo ora ai fattori di opportunità,che pure sono rilevanti e che, pur afronte dei rischi sopraccitati, giustificanoa mio parere, una forte attenzione perqueste pratiche. Se in generale l’obietti-vo è quello di interpretare, promuovereed accompagnare lo sviluppo equilibratodella città adottando “modalità eapprocci nuovi al governo del territorioe delle relazioni fra gli attori”(Torino),tra le novità sembra da sottolineare inprimo luogo l’attenzione alle scale dellepolitiche e dei processi. Scale territorialidiverse che tengono conto con maggiore

tende a rappresentare la città come unattore collettivo si attua una evidentesemplificazione. E’ chiaro che le dinami-che urbane sono notevolmente più com-plesse e rimandano all’interazione diuna pluralità di attori liberi con visionied interessi spesso non coincidenti (etalvolta divergenti), che oltretutto vivo-no di sistemi di relazioni spesso nonlocali. Quella dell’attore collettivo1 èsemmai una dimensione comunicativafinalizzata alla mobilitazione delle diver-se energie e risorse verso alcuni (pochi)obiettivi condivisi. I resoconti delle esperienze segnalanoperaltro il carattere impegnativo del pro-cesso di mobilitazione degli attori locali:sia nella fase di costruzione ed elabora-zione, quando entra in gioco “la pazien-za di costruire percorsi di ascolto einterpretazione nei confronti di esigenzefrequentemente in contrapposizione”(Torino) e “lo scetticismo sui risultatipossibili” (Venezia) ma anche dopo,quando, fatto il piano, occorre adoperar-si perché gli impegni presi vengano per-seguiti.Secondo elemento di preoccupazione, ilpericolo (connesso all’istituzionalizzazio-ne), di un irrigidimento in regole e pro-cedure standardizzate. Al di là delleintenzioni, l’introduzione di “lineeguida” (Ministero delle Infrastrutture,2005), e la circolazione di materialiinformativi sulle esperienze pilota sem-brano aver provocato una eccessiva ten-denza all’omologazione e alla codifica-zione: nei termini, negli slogan, nell’ar-chitettura organizzativa, nell’articolazio-ne del processo. A ben vedere una dina-mica paradossale per uno strumento chenasce come atto volontario e che non ènormato da leggi. “Accettare il finanzia-mento significa…sottostare ad una seriedi regole, rispettare delle scadenze. Unprocesso intrinsecamente creativo,diventa così ibrido”… “si avverte ilrischio che la creatività e la capacità diadattamento siano rimaste imbrigliatenelle maglie di operazioni e strumenticodificati” (Cagliari). Ritornare a speri-mentare, a legare processi e scelte allapeculiarità della situazione locale èquindi una necessità importante, pernon ingessare l’innovazione in unaritualità scontata.Terzo elemento: il rischio della generici-tà. Tra le novità della pianificazione

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nance sono stati ottenuti parallelamenteal Ps: l’occasione olimpica in particolareha svolto un ruolo importantissimo nelmantenimento della tensione progettua-le e innovativa della città fino al 2006.L’elaborazione del secondo Ps si è quindibasata sulla crescita della consapevolez-za che, di fronte alla crisi della societàfordista nei paesi occidentali, dove il70% dell’economia è ormai costituito daservizi, la chiave di volta è investire nelcapitale umano e nell’innovazione, valo-rizzando il patrimonio di competenze eadattandolo al nuovo contesto globale.E’ l’economia della conoscenza intesacome valore economico lo snodo su cuisi regge il secondo Ps, in un paradigmache non significa soltanto valorizzare leeccellenze, ma innalzare il sapere diffusonella società locale, allo scopo di arric-chire la posizione degli abitanti miglio-rando la gamma di opportunità profes-sionali e sociali a loro disposizione. Rispetto a quanto avvenuto nel 2000, ilcompito del secondo Ps si presenta siapiù ambizioso che più semplice, poichési tratta oggi di proseguire sulla stradadella trasformazione del sistema metro-politano, mostrando alcuni percorsi dacompiere per imprimere al sistema tori-nese una nuova configurazione.Sapendo che in primo luogo è necessa-rio portare a termine la politica degliinvestimenti e delle realizzazioni avvia-ta, intrecciando scenari di cambiamentodi lungo periodo con interventi pratica-bili già nel medio e capaci di generareda subito azioni di sistema. Il primo salto necessario è relativo alladimensione territoriale del Piano, chedeve saper guardare sia alla dimensione

Dal primo al secondo Piano strategico di TorinoElisa Rosso*

dersi in modo complessivo, come ununico percorso, puntellato da tappe escadenze che ne aiutano lo svolgimento.In questo senso il secondo Piano è un’e-voluzione del primo, maturato graziealla valutazione dell’efficacia di que-st’ultimo e alla constatazione che nei 5anni trascorsi il sistema locale avevaintrapreso in modo significativo la viadella trasformazione e del cambiamento. La valutazione del primo Ps1, ha messoin luce che le azioni previste dal Pianosono state in buona misura implemen-tate, nuovi progetti di intervento sonostati elaborati, l’attenzione a modificarel’immagine, interna e esterna, della cittàè proseguita e, quel che più conta, larete degli attori coinvolti nel processoha mantenuto ampiezza, complessità edensità sufficienti a sviluppare ulterior-mente i percorsi innovativi. Le ricerchesvolte hanno mostrato come i miglioririsultati sono stati raggiunti nel campodelle infrastrutture, della promozionedella città e delle politiche culturali,mentre appaiono meno positivi quellinel campo della formazione, dellacoesione sociale e della protezione evalorizzazione dell’ambiente. Masoprattutto hanno messo in luce come ilmantenimento di un network di gover-nance complesso e coeso, capace diincludere attori appartenenti a diversilivelli territoriali, di diversa natura econ diverse logiche di azione, non siaaffatto un esito scontato e che da que-ste considerazioni occorreva partire perfornire qualche indicazione per il perio-do successivo. Bisogna comunque sottolineare chealcuni degli effetti positivi sulla gover-

Attraverso la redazione di due Pianistrategici Torino e la sua area metropo-litana hanno dimostrato di sapere accet-tare la sfida del cambiamento, elabo-rando progetti in grado di veicolaremodalità e approcci nuovi al governodel territorio e delle relazioni fra gliattori. Predisporre il primo Piano strategico,nel 2000, ha significato accettare lasfida del cambiamento, elaborando unprogetto per mantenere la propria capa-cità di produrre ricchezza e innovazio-ne, promuovendo una nuova immaginedella città, migliorando la qualità urba-na. Il Piano strategico è stato uno deglistrumenti utilizzati dal sistema localetorinese per raggiungere questi obiettivi,non certamente l’unico, ma sicuramenteil più interessante per la sua capacità diveicolare modalità e approcci nuovi algoverno del territorio e delle relazionifra gli attori. Attivare la costruzione diun secondo Piano strategico, tra il 2005e il 2006, a cavallo delle Olimpiadiinvernali, ha significato quindi confer-mare l’utilità dello strumento, tornandoa confrontarsi sulla visione e sugli sce-nari per il futuro del territorio e cercan-do un’occasione per mettere in rete ideee proposte di una pluralità di attori. Se guardiamo ai Piano strategici comeprogetti che tracciano mutamenti dilungo periodo, il loro tempo di vita èmaggiore ai 5 anni trascorsi tra il primoe l’avvio del secondo Ps di Torino. Mase li intendiamo, più correttamente,come processi che definiscono campi diproblemi, individuano soluzioni inmodo concertato, promuovono reti diattori, allora la loro durata è da inten-

Pianificazione strategica: una formula di successo

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Urbanistica INFORMAZIONI

ma anche aperto e non esaustivo: indi-ca obiettivi e azioni coerenti, che vannooltre le settorialità e offrono un campodi opportunità progettuali. I progettisono stati selezionati in base ad alcunicriteri: coerenza con la visione dellasocietà della conoscenza, dimensionemetropolitana e transcalare, sostenibilità- non solo economica - delle scelte,natura focalizzata delle azioni, effetti diinterdipendenza e relazione funzionale,completamento e sviluppo di progettiavviati con il primo Ps. I progetti e leazioni inoltre sono l’esito delle consul-tazioni attivate dalle Commissionitematiche e mostrano quindi la volontàdi ciascun attore di contribuire al dise-gno della città e di portare i progettidentro l’arena dell’Associazione, aumen-tandone la conoscenza, condividendonegli obiettivi, stimolando interazioni eintegrazioni. Le prime 17 schede progettuali riguar-dano i tre ambiti fondamentali su cuipoggia la transizione del sistema metro-politano verso la società della cono-scenza: 1) l’accessibilità, la funzionalitàdel sistema infrastrutturale, la capacitàdi coordinamento metropolitano; 2) latrasformazione dell’economia, la forma-zione del capitale umano, il rapporto frasviluppo e coesione sociale; 3) la qualitàdell’ambiente culturale, l’incentivo allacreatività, l’attrattività del territorio.Competitività, attrattività, coesionesociale e territoriale, sono i meta-obiet-tivi da governare in ottica strategica,per garantire a Torino la possibilità diessere ancora un motore di sviluppo einnovazione e divenire un ambienteaperto e ospitale per le popolazione chevi risiedono o l’attraversano.

* Direttore Associazione Torino Internazionale

Note1. E’ stata compiuta dall’Associazione TorinoInternazionale nel 2004. Vedi il volume Scenari per ilsistema locale. Valutazioni sul Ps di Torino e sulleprospettive in area metropolitana, pubblicatodall’Associazione Torino Internazionale nel 2005.www.torino-internazionale.org .2. Approvato dall’Assemblea dei Soci di TorinoInternazionale il 19 luglio 2006.

Tab. 1 - I progetti e le azioni del SecondoPiano Strategico

Accessibilità, sistema infrastrutturale,coordinamento metropolitanoalta capacità torino-lionemetro-torino linea 1 e 2progetto plurimodale di corso marchesistema ferroviario metropolitanostrumenti di coordinamento metropolitano

Trasformazione dell’economia, formazione del capitale umano,sviluppo e coesione socialecittadella politecnicadistretto dell’aerospaziopiano per l’efficienza energeticapiano regolatore socialepiano strategico del politecnicopiattaforma per l’infomobilitàtrasformazione dell’area Mirafioriuniversità metropolitana

Qualità dell’ambiente culturale, creatività, attrattività del territorioasse del Podistretto museale centralefondazione di comunitàItalia 150politiche per i grandi eventipolitiche per l’attrazione di talenti sistema delle residenze sabaude

La definizione di un Ps non è ricondu-cibile solamente alla costruzione di unprodotto, ma alla messa in atto di pro-cessi che hanno obiettivi di policydiversi e implicano attori in giochi aelevata complessità interistituzionale einterorganizzativa. In questo senso ilPiano è più attento alla definizione deiproblemi che alla loro soluzione, all’in-terazione fra gli attori che alla suaregolazione e la sua costruzione, muo-vendosi entro equilibri complessi,richiede investimenti importanti in ter-mini di tempo e di risorse di collabora-zione e disponibilità. La fase di elaborazione del secondo Psha richiesto circa un anno e mezzo diincontri, dibattiti, approfondimenti, arti-colati intorno a specifici luoghi e sog-getti: le Commissioni tematiche, deputa-te al coinvolgimento degli attori e all’e-splorazione di scenari, obiettivi e possi-bilità. Il lavoro delle Commissioni si èdispiegato secondo tre fasi principali: ladefinizione del mandato e il confrontocon gli attori politici e istituzionali; l’al-largamento del dibattito in occasioni diconfronto pubblico; l’identificazione diobiettivi e linee d’azione prioritari. Il secondo Ps2 è organizzato in 4 Areetematiche (Territorio metropolitano,Qualità sociale, Potenziale culturale,Sviluppo economico), 12 Direzioni diintervento e 54 Obiettivi. Il sistema chene scaturisce forma il quadro d’insiemedelle scelte strategiche per lo sviluppodel territorio sulla base del quale sonostati selezionati i progetti e interventipiù maturi e innovativi, più capaci diimplementare gli scenari di trasforma-zione. Il dossier “Progetti e azioni” contiene 17schede progettuali, nelle quali sonodescritte le specifiche caratteristichedegli interventi, in termini di: obiettivi,attori coinvolti, modalità di realizzazio-ne, strategicità, collegamento con altriobiettivi o azioni del Piano, investimen-ti previsti, criticità. Diversamente dalprimo Ps, lo scopo non è definire unelenco di azioni, ma avviare un proces-so continuo di selezione di progetti,aperto alle nuove idee, alla verificaperiodica degli orientamenti e all’ag-giornamento delle proposte, in grado dicostruire un vero e proprio “parco-pro-getti” dell’area metropolitana. Il secondoPiano ha quindi un carattere selettivo

macroregionale, nazionale e internazio-nale, sia alla scala metropolitana, in cuisi ottiene la massima diversificazione difunzioni e competenze. In questo sensoè tempo che il sistema locale identifichiforme, seppur di tipo volontario e ageometria variabile, per superare i con-fini amministrativi nei processi decisio-nali: occorre in altre parole che il Psdiventi un efficace vettore di aggrega-zione dell’area metropolitana, favorendola composizione e la convergenza deisuoi interessi. Il secondo salto ha a chefare con il rapporto tra conoscenza,innovazione e sviluppo industriale, chedeve assumere un significato nuovo epervasivo e dimostrarsi in un’alleanzastretta tra il sistema della ricerca e dellaformazione, le politiche pubbliche, l’in-dustria e la società. Infine, il Piano devediventare un motore per favorire rela-zioni cooperative pubblico-private, indi-cando una trama di scenari e obiettiviin cui possa crescere l’iniziativa autono-ma degli attori metropolitani.

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incrocio con altri strumenti e livelli diprogrammazione, che venivano adotta-ti o approntati nel frattempo: il Pianosociale del Comune di Trento (novem-bre 2001); la variante anticipatoria delPrg (marzo 2002); la strategia locale disviluppo integrato per il Patto territo-riale del Monte Bondone (inverno2001/primavera 2002); la preparazionedel Piano culturale; i documenti diindirizzo della Provincia autonoma diTrento in tema di sviluppo sostenibile,mobilità e turismo (2000); il documen-to preliminare per la revisione delPiano urbanistico provinciale (febbraio2002); il protocollo fra la Provinciaautonoma di Trento e le parti sociali(novembre 2001); il Programma di svi-luppo provinciale per la XII legislatura(maggio 2002).

La seconda fase ha avuto inizio nelgiugno 2002, con la presentazionepubblica del documento conclusivo didiagnosi, elaborato dall’Università diTrento, e di un atto di indirizzo, redat-to dalla Giunta comunale, che com-prendeva assi strategici ed obiettivi.Questi documenti sono stati presentatial Consiglio comunale durante unariunione informativa, alla presenza deireferenti scientifici del Piano strategi-co, Enrico Zaninotto, preside dellaFacoltà di Economia dell’Università diTrento, e Dario Cavenago. Fra il mesedi luglio e il mese di ottobre 2002 sonostati convocati cinque tavoli di appro-fondimento su singoli temi: le infra-strutture, la qualità dei servizi, la for-mazione, la promozione culturale eturistica, l’ambiente urbano e la vivibi-

Il Piano strategico di Trento al 2010Alessandro Franceschini*

ambienti dell’economia, del lavoro,delle istituzioni, della cultura, dellaformazione, della ricerca operanti incittà. Il 13 dicembre 2000, l’accordoveniva formalmente firmato dairesponsabili di numerosi soggetti pub-blici, fondazioni, enti sindacati e asso-ciazioni. Il piano è stato poi strutturatoin tre fasi: due più propriamente dianalisi e di studio (diagnosi e progetta-zione) e una più concreta (operatività).

Le fasi del piano

La prima fase si è svolta in duemomenti: - un primo momento (primavera/inizioestate 2001) di confronto pubblico, conla costituzione di un gruppo di lavoromisto Comune/Università, a presenta-zione pubblica della metodologia daseguire (febbraio 2001), la preparazionedi un testo preliminare, le “Schedeinformative per la costruzione di unabase conoscitiva” (aprile 2001) e l’av-vio del momento pubblico di consulta-zione con la convocazione di tre Tavolidi approfondimento dedicati al territo-rio, alla cultura e ai servizi (aprile/giu-gno 2001). Ai Tavoli si sono iscrittecirca 250 persone in rappresentanza dienti, istituzioni, associazioni, imprese,organizzazioni della città. Ne è uscitoil quadro dei punti di forza e di debo-lezza di Trento e delle minacce eopportunità che caratterizzano questomomento e questo contesto, che è statoriportato ad una prima stesura infor-male del documento di diagnosi(luglio/settembre 2001);- un secondo momento (settembre2001/primavera 2002) di verifica e di

La redazione del Piano strategico, peril Comune di Trento, era un passoobbligato. Lo prevede esplicitamentel’articolo 96 dello statuto comunalealla voce ‘programmazione’. Tuttavia leragioni che hanno sollecitato ilConsiglio comunale ad avviare unnuovo percorso di programmazionepartecipativa non sono state solo dinatura formale. Alla base di questadecisione troviamo, come si evince daidocumenti ufficiali (reperibili sul sitowww.trentofutura.it), l’intenzione diinterpretare in modo originale unanuova fase. Una stagione nella quale ilComune è chiamato a interpretare, apromuovere e ad accompagnare lo svi-luppo equilibrato della città. Per farlo,cioè per essere “agenzia di sviluppo”,non può limitarsi ad esercitare le pro-prie competenze amministrative neilimiti del solo territorio comunale.Molte questioni rientrano, infatti, nellecompetenze di altri enti. Molte dinami-che, che pure interessano il territoriocomunale e la popolazione residente,hanno origine altrove. Altre città pos-sono offrire servizi rari o dispongonodi infrastrutture costose, che è possibi-le utilizzare in modo economico,ricambiando e mettendo a disposizionele proprie. Il Consiglio comunale, con la delibera-zione di data 25 luglio 2000, n. 99,dichiarava formalmente l’intenzione diprocedere alla redazione del Pianostrategico della città di Trento 2001-2010 come strumento di natura parte-cipativa. Lo stesso provvedimentoapprovava un Contratto di Partenariatoproposto ai rappresentanti degli

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Specificità dell’esperienza trentina

Il Piano strategico della città di Trentonon è stato dunque un semplice ade-guamento di strumenti ritenuti obsole-ti, ma della loro radicale reimpostazio-ne e dell’adozione di una razionalitàpianificatoria di impianto incrementalee costruttivista. Il principale sottintesodi questa scelta consiste nell’esigenza,avvertita come ineludibile da partedell’Amministrazione, di andare oltre l’“ordinaria manutenzione” delle compe-tenze amministrative del Comune e didare una risposta convincente ad unadomanda di senso sul futuro dellacittà, in una delicata fase di transizionecui erano estranei elementi conclamatidi criticità, ma nella quale venivanointravisti, da parte degli osservatori piùattenti, gli estremi della crisi di unmodello normativo di sviluppo. Un’altra specificità dell’esperienza pia-nificatoria di Trento consiste, dunque,nell’avere sviluppato simultaneamenteuna pluralità di strumenti di pianifica-zione e nell’avere attivamente cercatodi governare le interdipendenze traquesti strumenti settoriali. Dunque,appare più pertinente parlare di piani-ficazione strategica e non, solo, dipiano strategico. Il disegno unitariodella nuova pianificazione municipaleè composto da una robusta variante alPiano Regolatore, cosiddetta anticipa-toria, dal Piano sociale 2001-2005, dalPiano di promozione culturale, dalPiano di politiche per i giovani, dalPatto territoriale del Monte Bondone,oltre che, naturalmente, dal Piano stra-tegico Trento 2010, che, in questa pro-spettiva, si configura come luogo diconvergenza della pianificazione disettore. Per questo motivo si rinvia allaconsultazione di questi strumenti e allaricognizione critica del loro stato diattuazione.

* Collaboratore Università di Trento.

lità. Ai tavoli hanno preso parte 321persone. Fra il mese di novembre 2002e il mese di marzo 2003 sono statecompletate la raccolta delle schederelative alle singole azioni e la stesuradel documento finale: il Piano strategi-co della città di Trento al 2010. Questodocumento ha di fatto aperto la terzafase: quella dell’operatività.

Il Piano strategico: contenuti evisione d’insieme

Il documento di indirizzi, è diviso indue parti. Nella prima parte è dichiara-ta la visione di Trento al 2010. Questoscenario è organizzato in quattro arti-colazioni: i quattro assi strategici, cia-scuno dei quali si divide in obiettiviche, a loro volta, si traducono in misu-re (cioè in azioni). Nella seconda partesono contenute le misure, ovvero gliobiettivi concreti che il Piano vuolerealizzare. Non sono progetti esecutivi,ma obiettivi programmatici, cioè inten-zioni concrete sulle quali si è registratoun vasto consenso che sono passate opasseranno, in tempi indicati per cia-scuna, ad una fase esecutiva.Trento è stata così immaginata come la«città delle opportunità»: la città vuoletrasformarsi in modo equilibrato evuole crescere dal punto di vista eco-nomico, sociale e territoriale secondoun’idea di limite e di compatibilità. Perquesto vuole: dare valore alla suaidentità, alle sue vocazioni, all’ambien-te, ai caratteri che rendono unico il suoterritorio; mettere al centro la cono-scenza e la risorsa umana; difendere idiritti di tutti e di ciascuno e promuo-vere la qualità dei servizi; riaffermarela cultura del lavoro e dell’impresa,essere aperta all’innovazione, essereprotagonista nella costruzione diun’Europa delle città e dei cittadini, maanche nell’appartenenza responsabilead una dimensione planetaria. I quat-tro assi strategici introdotti nel pianosono: «Trento, città della qualità urba-na», «Trento, città dei diritti, dell’acco-glienza, della qualità dei servizi e dellerelazioni», «Trento, città della forma-zione e dello sviluppo innovativo»,«Trento: città alpina, città del Concilio,città europea, città del mondo».

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COUNCIL FOR EUROPEANURBANISM

The Third International C.E.U.Congress

Climate change and urban designScience, Policy, Education and

Best Practice

14 - 16 September 2008Oslo, Norway

Abstracts Due February 1, 2008Announcements of Accepted

Papers March 1, 2008Completed Drafts Due

June 1, 2008

Following successful Congresses in Berlin2005 and Leeds 2006, the Council forEuropean Urbanism will hold its thirdinternational congress in Oslo, Norwayfrom the 14th to 16th September 2008. The central theme of the congress will beClimate Change and Urban Design.Papers are invited on the consequences ofthe climate change agenda for urbandevelopment internationally. We willexplore practical solutions to reduce cli-mate gas emissions from urban settle-ments and transportation.The congress will be for planners, archi-tects, government officials, social scien-tists, ecologists, developers, local commu-nity activists, and all other developmentstakeholders who feel a responsibility tocontribute to more sustainable urbandevelopment.We invite authors involved in urban devel-opment and sustainability from all partsof the world to submit paper proposalswith abstracts by February 1, 2008.Announcements of accepted proposalswill be on March 1, 2008, Completed drafts of papers will be due byJune 1, 2008.

Themes Within the Topic We welcome your papers on one of the sixthemes below. Where necessary, a papermay combine two or more themes. - theme one: Climate Change and Urban

Morphology- theme two: Climate Change and Best

Practice in Urban Design- theme three: Climate Change, Urban

Design and Public Policy - theme four: Climate Change, Education

and Research - theme five: Case Studies of Urban

Projects and Their Impacts- theme six: Innovative New Strategies

Please submit proposals with abstracts tothe following email address:[email protected] the official site:http://www.ceunet.org

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con i processi di cambiamento in atto(da chiunque promossi) per una valuta-zione del loro impatto;- l’analisi delle nuove opportunità per ilsistema locale veneziano che possonoderivare dall’azione dei livelli di gover-no sovraordinati e dalle Aziende cheoperano con riferimento all’area vasta;- la promozione di nuova progettualità(verificata nella fattibilità e nella soste-nibilità);consentono la definizione e lo sviluppodi politiche mirate, anche settoriali.

Le criticità/le difficoltà

Dovendo esprimere un parere sul valoreaggiunto assicurato ai sistemi locali dalfare pianificazione strategica, allaprova dei fatti, si ritiene di poter affer-mare che le città conseguono i maggio-ri risultati soprattutto nella fase dicostruzione del piano piuttosto chenella sua fase di attuazione.Le difficoltà nella pratica della pianifi-cazione strategica emergono nella fasedi implementazione del piano, quandodiventa necessario tradurre in fatti ope-rativi e quotidiani le politiche di svi-luppo proposte, quando si tratta dimettere alla prova la convinzione deipromotori e dei sottoscrittori del pianoche fare pianificazione strategica nonsignifica semplicemente predisporre undocumento di programmazione ma pra-ticare un metodo di governo. Alcunedelle difficoltà emerse nella fase diimplementazione del Piano strategicodi Venezia sono connesse alla comples-sità del sistema veneziano, altre allanatura stessa dell’approccio strategicoai temi dello sviluppo locale. La diffi-

Il fare pianificazione strategica nell’area veneziana Turiddo Pugliese*, Dennis Wellington**

Il Piano strategico di Venezia 2004-2014 (formalmente approvato dalConsiglio comunale con delibera n.3/2006 del 16 gennaio 2006) rappre-senta, pertanto, l’esito di un processo dielaborazione concertata, orientato agenerare quelle decisioni e quelle azioniche si considerano fondamentali perrealizzare la visione della città del futu-ro: una città caratterizzata dall’altaqualità della vita dei suoi abitanti -neisuoi aspetti relazionali, lavorativi e cul-turali- e dall’alta qualità dei suoi assettifisici e funzionali.Le strategie, di carattere prevalente-mente economico, che il Piano proponesono volte a creare le condizioni perchéla città diventi un luogo in cui sia pos-sibile produrre e riprodurre risorsemateriali e culturali, invertendo così unlungo ciclo improntato al consumodelle risorse accumulate nel tempo. Il Piano è stato formalmente assuntocome riferimento da più di settantasoggetti del sistema locale che, dalluglio 2006, si sono formalmente costi-tuiti in Associazione, uno strumentooperativo attraverso il quale promuove-re la pianificazione strategica comemetodo di governo, favorire la defini-zione di strumenti organizzativi ingrado di individuare le azioni necessa-rie per conseguire gli obiettivi generalidel Piano e facilitarne il processo diattuazione.Il tutto attraverso un modello organiz-zativo teso a rafforzare l’identitàdell’Associazione come spazio di dis-cussione collettiva nell’ambito delquale:- la maggior conoscenza e il confronto

Nel contesto veneziano, la pianificazio-ne strategica viene interpretata comeuna attività complessa, finalizzata apromuovere azioni per il conseguimen-to di obiettivi condivisi di sviluppo delsistema locale, e in particolare, perfavorire una maggior qualità urbana,per migliorare la qualità della vita deicittadini e, infine, per rafforzare lacapacità competitiva della città. Nonostante la pluralità di riferimenticulturali e scientifici e un vocabolariocomune a tutti gli operatori, nonostanteil corpus disciplinare che si è andatoprogressivamente a definire sulla basedell’insieme delle esperienze maturatedalle diverse città che hanno elaboratoun piano strategico, nonostante la mol-teplicità degli indirizzi della ComunitàEuropea per favorire un approccio stra-tegico ai temi dello sviluppo, non èancora chiaro cosa in realtà sia la pia-nificazione strategica e quale significa-to possa assumere nella quotidianità diun sistema locale. Diverse le definizionipossibili: sommatoria e messa a coeren-za di una molteplicità di interventicomunque in essere, costruzione di unvision condivisa del futuro della città,individuazione di priorità di interventoper un impiego razionale delle risorsedisponibili.A Venezia è piaciuto pensare che farepianificazione strategica significassesoprattutto favorire l’affermazione diun metodo di governo per la promozio-ne dello sviluppo locale che vede nellacostruzione del consenso, nella indivi-duazione di priorità e nel coinvolgi-mento dei principali attori dell’areaveneziana, l’obiettivo da conseguire.

Pianificazione strategica: una formula di successo

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Urbanistica INFORMAZIONI

temi urbani più strategici per lo svilup-po della città e in cui si sono promossepolitiche d’intervento che potesserofavorire:- il riconoscimento di Mestre comecentro dei servizi e del terziario inno-vativo dell’area metropolitana e delVeneto;- l’emergere della qualità ambientale equalità urbana come condizioni disostenibilità e fattori di sviluppo delsistema locale (welfare, economia soli-dale, ..);- la modernizzazione della città attra-verso l’utilizzazione delle nuove tecno-logie;- la valorizzazione del ruolo politicoche Venezia può assumere a livellointernazionale; - la valorizzazione del settore turisticocome determinante dello sviluppolocale (qualità delle strutture e dei ser-vizi, articolazione per segmenti e pro-mozione di nuove professioni); - un riconoscimento del valoreaggiunto dato dalla presenza dell’ac-qua al sistema locale;- una (definitiva) riconsiderazione delprogetto di risanamento ambientale edi riconversione industriale di PortoMarghera (la valorizzazione dellepotenzialità della logistica come fatto-re di sviluppo, ..); - la significatività dell’altra industria(il Distretto di Murano), la PMI e del-l’artigianato diffuso come elementocaratterizzante anche una nuovadimensione urbana.

Temi sui quali già oggi la città interaintesa come sistema di governi didiverso livello, fatto di soggetti pubblicie soggetti privati, sta già sviluppando,forse con una logica troppo localistica.

I risultati

Lo scetticismo nei risultati possibili e laconsapevolezza della necessità di profe-rire quotidianamente una quantità diimpegno fuori misura per conseguirerisultato sono due delle particolaritàche hanno segnato anche l’esperienzadi quanti a Venezia si sono impegnati apromuovere un approccio strategico aitemi dello sviluppo locale.Tuttavia l’articolazione per fasi del pro-cesso di costruzione del piano e la suacaratterizzazione come work in pro-

ne di interventi complessi, multipart-ners, capaci di incidere sull’organizza-zione socio-economica e territorialedell’area. La città, il suo territorio di riferimento,hanno la necessità di utilizzare questoapproccio strategico ai temi dello svi-luppo locale poiché, oggi più che inpassato, sono interessati da intensi pro-cessi di trasformazione che toccanoparticolari aspetti della caratterizzazio-ne del sistema veneziano:- funzionale- il carico urbanistico delturismo sulla Città Antica, il ruolo diVenezia nell’area vasta, il ruolo diMestre nell’area metropolitana e nell’a-rea regionale;- fisica - i processi di trasformazioneurbana avviati o in corso di progetta-zione: i compendi ospedalieri del Lido edi Mestre; l’Arsenale, il recupero delleIsole della Laguna, la riconversionedella zona industriale di PortoMarghera, il completamento del ParcoScientifico, il completamento della sedeuniversitaria di Mestre, Via Torino, l’ar-ricchimento delle funzioni di eccellenzadel centro di Mestre, …;- economica - il risanamento ambienta-le e la riconversione industriale diPorto Marghera,…;- sociale - come effetto dei processisoprarichiamati: la nuova strutturademografica della popolazione residen-te, il peso e la capacità di determinaresviluppo della popolazione temporanea(studenti, turisti, pendolari, …).Tutto ciò motiva il ruolodell’Associazione nell’implementazionedel piano come: a. una sede di confronto permanentesui temi emergenti in città, partecipatodai protagonisti della vita economica esociale dell’area veneziana che attra-verso la organizzazione di gruppi dilavoro tematici deve: - pervenire alla progressiva definizionedi scenari tendenziali per il sistemalocale;- garantire l’aggiornamento del posizio-namento del sistema città;- definire una agenda strategica degliattori del sistema locale capace di sele-zionare un numero ristretto di istanzecruciali in una prospettiva di sviluppolocale.b. un contesto in cui hanno trovatosistemazione nuovi apporti progettuali i

coltà di fare pianificazione strategicava attribuita anche alla specificità checaratterizza il processo di implementa-zione che, a differenza della fase dicostruzione del piano, deve entrare nelmerito della selezione delle prioritàdegli interventi da portare a realizza-zione in base alla loro capacità di inne-scare processi di sviluppo. Nello specifi-co del caso veneziano, la fase dicostruzione del piano non è arrivatafino alla definizione delle priorità d’in-tervento per la convinzione che questedovessero essere il risultato di un con-fronto continuo tra gli attori del siste-ma locale, calibrato anche sulla con-giuntura economica e sulla reale dispo-nibilità di risorse. Ma il vero ostacolo alpraticare questa modalità di approccioai temi dello sviluppo del sistema localesta nella difficoltà da parte di tutti gliattori coinvolti nel processo di piano adaccettare il fatto che fare pianificazionestrategica comporta una relativa delegadi competenze ad un sistema di sogget-ti e il perseguimento dell’interessegenerale piuttosto che l’interesse parti-colare. Nel caso veneziano, questoassunto, vale anche nell’ambito dellastessa Amministrazione comunale, pro-motrice e tutore del piano, perché -nonostante le dichiarazioni di princi-pio- le sue componenti faticano a muo-versi come una sola autorità.

Il pragmatismo come linea dicondotta

Il pragmatismo è una modalità diapproccio ai temi dello sviluppo che inambito veneziano si considera vincenteperché consente di valutare nella giustalogica le opportunità che progressiva-mente si presentano al sistema localecosì come di far fronte alle sfide e aiproblemi, e perché consenteall’Amministrazione comunale e aidiversi sottoscrittori del Piano di riferirela loro azione ad un unico quadro diriferimento di medio–lungo periodo.Fare pianificazione strategica a Veneziasignifica infatti operare con la massimaflessibilità e realismo (provata fattibilitàdegli interventi promossi), di concertocon i principali attori del sistema loca-le, per cogliere le opportunità di svilup-po e le potenzialità del territorio attra-verso la progettazione e la realizzazio-

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- una fase iniziale di primo ascolto dellasoggettualità locale e di costruzione delquadro conoscitivo, consistente nell’ana-lisi di dati e interviste a testimoni privi-legiati;- una fase intermedia che ha visto l’ini-zio della concertazione e la mobilitazio-ne delle forze attive attorno all’elabora-zione di un’idea generale di sviluppofino alla determinazione degli assi diintervento sui quali incardinare i diversiprogetti per la città (un’agenda di priori-tà per il futuro di Pescara); - una fase finale consistente nella reda-zione del documento di Piano con lasistematizzazione dei risultati della faseconcertativa e una valutazione di “stra-tegicità” dei singoli progetti.Contestualmente all’avvio del processo èstata istituita la Cabina di Regia delPiano strategico, un gruppo di lavorocon funzioni di coordinamento compo-sto da rappresentantidell’Amministrazione comunale diPescara, dai consulenti di Censis e Rur, eda altri consulenti, incaricati dalComune, già impegnati nelle attività direalizzazione del PUMAV dell’areaPescara-Chieti. Sin dall’inizio è statainfatti compresa l’importanza di uncoordinamento, durante tutta l’attività diredazione del Piano strategico, chegarantisse una collaborazione sinergicacon il PUMAV. Il nucleo di coordina-mento è stato affiancato, durante tutto ilpercorso di costruzione del Piano, dalConsiglio strategico, un gruppo di lavoroallargato costituito dalle diverse espres-sioni della realtà economica, sociale eculturale di Pescara. Per la pubblicizza-zione degli atti del Piano strategico e

Pescara città relazionaleSilvia Cataldo*

Negli ultimi anni l’area pescarese hamostrato forti segnali di dinamicità,riconoscibili in diversi fenomeni fra cuil’incremento degli occupati nel terziarioavanzato (ad oggi il comune di Pescararappresenta da solo ben il 20% degliaddetti e delle unità locali della regione),l’ampliamento e il rafforzamento delleinfrastrutture dell’area vasta, l’incremen-to del volume di traffici dell’aeroporto, lariqualificazione di molti spazi urbanioperata dalla attuale amministrazione, lacrescita delle opportunità culturali, disvago e intrattenimento per cittadini ecity users. La scelta di intraprendere lastrada del Piano Strategico è la confermadi una forte intenzionalità nel voler met-tere a fuoco le caratteristiche di quest’e-voluzione e consolidarle in una prospet-tiva condivisa di sviluppo di medioperiodo a partire dalla sua collocazioneattuale e soprattutto dalle sue vocazionispecifiche.Per il Piano strategico, l’ammi-nistrazione ha potuto accedere sia aifondi regionali (ex Delibera Cipe 20/04per le aree urbane del Mezzogiorno) chealle risorse addizionali messe a disposi-zione dal Dipartimento per ilCoordinamento dello sviluppo delTerritorio (DiCoTer) del Ministero delleInfrastrutture per realizzare, in sinergiacon il PS, il Piano Urbano della Mobilitàdi Area Vasta (PUMAV) che coinvolgeanche i comuni di Chieti, Montesilvano,Francavilla e Ortona.Il percorso che ha portato alla elabora-zione del Documento di Piano ha avutouna durata di circa un anno e si è svi-luppato in quattro fasi:- una fase preliminare, di definizione delprocesso;

gress ha già consentito il conseguimen-to di risultati intermedi di indubbiovalore quali la promozione di forme dicoordinamento e di un agire collettivomirato di soggetti pubblici e privatipresenti nell’area veneziana. Non dimeno, il fare pianificazione strategica aVenezia ha consentito di conseguirealcuni importanti risultati quali:- la costruzione del Distretto per lalogistica di dell’area veneziana, oggi infase di integrazione nel metadistrettoveneto della logistica;- la realizzazione di importanti azionidi marketing territoriale ed urbano perl’attrazione in area di investimenti perprocessi di trasformazione urbana e perproporre Venezia come localizzazioneottimale per funzioni urbane di eccel-lenza;Ma ancor più significativi sono i risul-tati attesi da quanto messo in motonegli ultimi mesi:- l’intesa interistituzionale per il nuovoprogetto di sviluppo di Porto Marghera(che al suo interno comprende anchegli Accordi di programma per la chimi-ca di Porto Marghera e per il progettoVallone Moranzani);- l’intesa sottoscritta tra le città diVenezia e Padova, ma supportata inmodo determinato anche dalla RegioneVeneto, per la realizzazione di interven-ti che possono favorire un rafforza-mento della capacità competitiva del-l’insieme territoriale Venezia –Padova,come un vero fattore di sviluppo del-l’intero Nord Est;- l’accordo tra Venezia e il MinisteroInfrastrutture: per la elaborazione di unprogramma operativo di interventi discala urbana e di scala territoriale; perla definizione di modelli efficaci digovernance dei processi di trasforma-zione da questo proposti; per il conse-guimento di un positivo riposiziona-mento di Venezia nel sistema regionalee dell’intero Nord Est quale nodo com-petitivo del sistema territoriale ricono-sciuto nei documenti di programmazio-ne nazionale come Piattaforma logisti-ca strategica transnazionale dell’AltoAdriatico.

* Dirigente Area Piano strategico del Comune diVenezia.**Area Piano strategico del Comune di Venezia.

Pianificazione strategica: una formula di successo

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Urbanistica INFORMAZIONI

biente che la ospita (oggi ancora troppodebole), e di un incremento della capaci-tà di cooperazione tra i diversi attori. LaPescara dei prossimi anni punterà adessere quindi non solo più attrattiva ecompetitiva, ma anche a costruire lecondizioni per cui le relazioni tra i citta-dini, a fronte di dinamiche complesseche pongono nuove criticità (disgrega-zione familiare, disagio minorile, arrivodi nuove fasce di popolazione in difficol-tà), si possano sviluppare in un ambientefisico e sociale favorevole, sicuro, attentoai bisogni di tutti. Il Consiglio strategicoha affrontato questi temi lavorando suquattro “tavoli strategici”: Tavolo 1: Pescara polo di servizi avanza-ti e nodo di una relazionalità ampiaTavolo 2: Area vasta: scommettere sullalogistica, ripensare la mobilitàTavolo 3 : Gli elementi ed i fattori diuna rinnovata attrattivitàTavolo 4: Vivibilità e coesione in unacittà aperta e sostenibileFin dalla loro prima definizione si èinteso imprimere un carattere trasversaleai tavoli, evitando di chiuderli all’internodi tematiche specifiche: l’unica eccezioneè rappresentata dal Tavolo 2 che, per viadello stretto legame con le attività delPUMAV, affronta in maniera più detta-gliata i temi della mobilità e della logi-stica. Con gli incontri dei Tavoli di lavo-ro il processo è entrato nel vivo dellasua fase concertativa che ha portatodapprima all’individuazione delle voca-zioni su cui puntare e di una visionovvero di un’idea condivisa del futurodella città, per poi successivamente sele-zionare azioni e progetti a rilevanzastrategica. L’adesione ai singoli Tavoli daparte della società civile è avvenuta inmaniera libera e volontaria, ed alcuni deipartecipanti hanno scelto di parteciparealle riunioni di più tavoli, in base alleloro specifiche competenze ed interessi.La vision strategica è stata poi sviluppa-ta in 4 assi tematici, 11 obiettivi, 28azioni e 63 progetti strategici (29 attivatie 34 da attivare) descritti in altrettanteschede progetto. Tutti questi elementisono poi confluiti nel Documento diPiano, strumento che costituirà per iprossimi anni un importante supportoalle decisioni della PubblicaAmministrazione locale.

*Fondazione Censis.

attraverso i lavori del piano), ha messoin evidenza alcune importanti vocazionispecifiche di Pescara, che rappresentanola base su cui costruire le strategie per ilprossimo decennio.In sintesi tre sono i caratteri di fondodella città riconosciuti come centrali:- quella di punto di partenza/accesso aduno spazio più vasto, vocazione legataal felice posizionamento geografico ealla buona dotazione infrastrutturale(ferrovia, autostrade, aeroporto, portopasseggeri). In sostanza Pescara rappre-senta oggi (ed in prospettiva) il principa-le nodo in grado di mettere in retel’Abruzzo con altri territori;- quella di polo erogatore di servizisuperiori per un vasto ambito regionalee sovraregionale in relazione a funzioniquali il commercio, l’università, il credi-to, il terziario avanzato, la sanità, iltempo libero, vocazione che ne fa laprincipale realtà urbana dell’Abruzzo eduna delle principali polarità della diret-trice adriatica;- quella di città aperta al “nuovo”, inrelazione all’arrivo di persone di eteroge-nea provenienza che hanno creato quiuna miscellanea sociale particolarmentedinamica, ad una propensione dei singoliad intraprendere, all’assenza di una tra-dizione che “frena” la sperimentazione,ad una particolare attenzione alle espres-sioni artistiche della contemporaneità.Pescara è dunque anche laboratorio efinestra sul nuovo. Il tema di fondo sucui si è andato sviluppando il confrontoè stato quindi quello della centralitàdella dimensione relazionale, vero puntodi forza per Pescara ma anche terreno dapresidiare a vari livelli. La città aspira,legittimamente peraltro visto il suo ruoloattuale, a ricoprire il ruolo di piattaformadi servizi evoluti, funzionale allo svilup-po economico e anche sociale di un ter-ritorio vasto; per il raggiungimento diquesto obiettivo, il Piano Strategico si èadoperato per un coinvolgimento attivodei diversi attori della città per favorireinvestimenti collettivi di progettualità. Il Piano si adopera inoltre affinché laproiezione alla relazionalità esterna nonsia disgiunta da una forte e costante ten-sione a rafforzare gli elementi di vivibili-tà e coesione interna. La direzione, piùvolte richiamata nei tavoli, è infatti quel-la della crescita di un senso di corre-sponsabilità verso la comunità e l’am-

degli appuntamenti del consiglio strate-gico ci si è avvalsi del supporto sullarete, attraverso il sito del Comune diPescara e il sito della Rur (www.rur.it).La costruzione del quadro conoscitivo siè incentrata sull’ascolto della soggettua-lità locale, condotta su due livelli: da unlato interpellando con colloqui in pro-fondità ampi settori della rappresentanzaeconomica, sociale e imprenditoriale;dall’altro raccogliendo dagli amministra-tori le indicazioni sui progetti e le inizia-tive in corso e più in generale sulledirettrici guida delle azioni della Giunta.Gli elementi emersi dalla fase di ascoltosono stati riproposti cercando di riassu-merli nei termini di un percorso logicovolto ad individuare quelle peculiarità diPescara, la cui valorizzazione fosse ingrado di orientare i percorsi di sviluppodella città. L’elaborazione collettiva dellavisione al futuro della città (così come siè andata progressivamente definendo

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Tab. 1 - Assi e obiettivi del Piano Strategicodi Pescara

Asse 1 - Pescara polo di servizi avanzati enodo di una relazionalità ampia- Il consolidamento del ruolo di nodo di scam-

bio di flussi a lunga percorrenza - La promozione del protagonismo della città

come attore importante nel dialogo e negliscambi internazionali

- Il rafforzamento della specializzazione neiservizi avanzati e nella formazione del capi-tale umano

- La promozione delle diverse forme di espres-sione della cultura contemporanea

Asse 2 - Area vasta: scommettere sulla logi-stica, ripensare la mobilità- Il rafforzamento dell’area integrata Pescara-

Ortona-Chieti come piattaforma logisticadel Medio Adriatico

- Lo sfruttamento delle potenzialità inespressedel sistema infrastrutturale dell’area metro-politana

- Un’accessibilità “regolata” come fattore divivibilità e di qualità dell’ambiente urbano

Asse 3 - Gli elementi ed i fattori di una rin-novata attrattività - Rafforzare la dimensione turistica dell’offer-

ta territoriale - Pescara come laboratorio della sperimenta-

zione e luogo di eventi

Asse 4 - Vivibilità e coesione in una cittàaperta e sostenibile- Il rafforzamento delle reti sociali e della

cooperazione- L’incremento della qualità dell’ambiente

urbano e l’educazione alla sostenibilità

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strumenti diversi dal passato, dovendocontinuamente fare i conti con i proprilimiti e quindi le proprie problematici-tà, trasformandosi, in questo senso, inuna realtà sperimentale e in continuofermento, in cui paiono essersi messiin moto, a partire dai primi programmiterritoriali, dei fattori generativi chealimentano continuamente nuove azio-ni, pratiche e occasioni di apprendi-mento. Un meccanismo questo, che neltempo ha creato e moltiplicato glispazi per la costruzione di relazioniinedite tra attori che hanno agito concapacità e interessi diversificati2. La città di Lecce e il modo in cui nel-l’ultimo decennio ha portato avantil’attività di programmazione territoria-le, da l’idea di una città che, un po’volutamente e un po’ in modo inatteso,abbia preparato il terreno per diventarenel prossimo futuro un polo di riferi-mento di una struttura territoriale poli-centrica a livello dell’area vasta salen-tina. Dopo avere messo in atto unastrategia territoriale interna ai confiniamministrativi, attraverso politiche direcupero e riqualificazione dei tessutiurbani degradati, di adeguamento epotenziamento infrastrutturale, di valo-rizzazione del patrimonio culturale eprocessi di costruzione di relazioni sta-bili con altri soggetti pubblici e privati,la città di Lecce punta ora ad assumereun ruolo importante nel sistema regio-nale cercando di integrare le proprieidee di sviluppo e le proprie risorse conquelle di altri ambiti, in particolare l’a-rea ionico-salentina, identificabile conle province di Lecce, Brindisi eTaranto.

Le ragioni del Piano per la città di LecceFrancesco Palazzo*

realizzazione in tempi stretti delleazioni previste, hanno imposto unarapida ristrutturazione della macchinaamministrativa ma, allo stesso tempo,sono state le condizioni che hannopermesso subito di entrare a contattocon la sperimentazione di nuove prati-che di programmazione territoriale.A partire da Urban, il percorso di pro-grammazione portato avanti dall’am-ministrazione comunale, è risultatoestremamente denso di esperienze, l’at-tività di programmazione non haconosciuto soste e si sono ripetutecontinuamente le occasioni per misu-rarsi con una serie di programmi, diiniziativa comunitaria, nazionale eregionale. Ogni programma diventava un’occasio-ne e uno stimolo in più per ripensarelo sviluppo della città nella sua com-plessità, per ridefinire le strutture digestione amministrativa e per consoli-dare il sistema delle relazioni con altrisoggetti pubblici e privati che neltempo sono stati partecipi delle sceltedi programmazione proposte dall’am-ministrazione comunale. La strategia disviluppo della città, così come oggi vadelineandosi, è frutto di un’operositàlunga e graduale di programmazioneterritoriale che ha trovato un primomomento di sintesi nel DocumentoProgrammatico Preliminare al PianoUrbanistico Generale e successivamentenel Piano strategico della Città e dell’a-rea vasta di Lecce 2005-2015.Oggi l’immagine di Lecce è quella diun contesto che nell’arco di un decen-nio, ha saputo cogliere le opportunitàper agire sul territorio con metodi e

L’espressione “tentare e sottostare”coniata da J. Dewey1 e riferita al con-cetto di esperienza, è un modo chemeglio di molti altri può aiutare ainterpretare, dare un senso alla storiarecente di programmazione territorialenella città di Lecce. Il ricorso al con-cetto di esperienza come quello propo-sto da Dewey coglie il significato e laportata di questo periodo poichè sinte-tizza bene lo spirito che ha animatol’azione politica e amministrativa del-l’ultimo decennio nel capoluogo salen-tino. Esperienza che presuppone tantoil tentare, quanto il sottostare, tanto losperimentare, quanto l’adeguare le pro-prie azioni alle circostanze del momen-to. Esperienza che significa “provare afare” o meglio ancora, “provare a fare iconti” con i vincoli e le opportunitàdell’ambiente in cui si agisce.La vicenda di Lecce a cui si fa riferi-mento si svolge negli ultimi dieci anni,periodo in cui la città è stata governa-ta da un sindaco a capo di una coali-zione di centro-destra, eletto per duemandati consecutivi. All’inizio del suoprimo mandato nel 1998, l’amministra-zione comunale si trovava di fronte adun’opportunità importante, quella del-l’avvio del programma di iniziativacomunitaria Urban e ad una serie divincoli organizzativi interni all’appara-to amministrativo, derivanti principal-mente da una carenza di strutture tec-niche e di capacità professionali ingrado di guidare le diverse fasi di rea-lizzazione del programma.L’opportunità di potere accedere attra-verso Urban a importanti risorse finan-ziare, la complessità del programma, la

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Urbanistica INFORMAZIONI

inteso in senso ampio, cioè non fina-lizzato alla costruzione di uno stru-mento di programmazione ad hoc, mapiuttosto come scenario di sviluppo delterritorio condiviso da un insieme disoggetti istituzionali, e un processo dimobilitazione sociale e culturale, che simuove e si rinvigorisce in una fittatrama reticolare e con forme comuni-cative e aggregative diverse da quelleistituzionali. Il “grande Salento” èun’”idea”, secondo il significato attri-buito a questo termine da J. Dewey:“l’intelligenza è l’insieme dei suggeri-menti empirici impiegato in manieracostruttiva per nuovi fini. I suoimomenti, le idee, sono fasi di questacostruzione proiettiva, sono piani d’a-zione”4. Dunque, il “grande Salento” èun’idea intesa come piano d’azione cheresta a disposizione delle istituzioni edella comunità, a cui ha aderito ancheil comune di Lecce, proponendo attra-verso il Piano strategico una serie diinterventi sul territorio comunale chedovranno misurare la loro efficaciarispetto ad un contesto più ampio dilivello regionale.

* Dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale ePolitiche Pubbliche del Territorio.

Note1. I riferimenti al concetto di esperienza elaborato daJ. Dewey sono contenuti nel testo di Jedlowski P.(1994), Il sapere . dell’esperienza, Il Saggiatore,Milano.2. Pasqui G. (2005), Territori: progettare lo sviluppo,Carocci, Roma3. Il “grande Salento”, da un punto di vista istituziona-le, è stato attivato con la sottoscrizione da parte delletre province di un accordo che prevede l’istituzione diun tavolo permanente di consultazione, al quale hannofatto seguito altre fasi di intesa istituzionale in cuisono stati stabiliti sempre con maggiore dettaglio lestrategie di sviluppo e gli interventi da attuare a livellointerprovinciale per il prossimo futuro.4. Dewey J. (1957), Intelligenza creativa, La nuovaItalia, Firenze

continuare ed estendersi all’ambitoionico-salentino, il quale a sua volta sista organizzando, con il progetto disviluppo integrato “grande Salento”,promosso dalle province di Lecce,Brindisi e Taranto, che insieme cercanodi disegnare percorsi comuni di cresci-ta e stabilire le condizioni di trasfor-mabilità dell’area vasta salentina, insinergia con le politiche di svilupporegionali predisposte per il periodo diprogrammazione 2007-20133.Il “grande Salento” è un processo inparte istituzionalizzato, nel senso che èstato oggetto di procedure formali diattivazione da parte di istituzioni pub-bliche, ma la sua portata, i significatiche lo accompagnano, superano lemura istituzionali e si aprono ad unpubblico molto vasto, che su questaimmagine sta proiettando idee, aspira-zioni, desideri, progetti.La città di Lecce, attraverso l’avvio delprocesso di programmazione strategica,ha inteso inserirsi in questo nuovo sce-nario, quello del “grande Salento” cheè insieme un progetto istituzionale,dove il termine progetto deve essere

Quest’ultima risulta essere infatti lavisione su cui il Piano strategico fondale proprie proposte di trasformazioneterritoriale. Un Piano strategico chedovrebbe rappresentare un contestod’azione aperto in cui le esperienze diprogrammazione compiute e in corsodi realizzazione nel territorio leccesedialogano e si confrontano, ma ancheuno strumento “snello”, che dovrebbeprestarsi efficacemente all’azionecomunicativa e divulgativa e quindi adalimentare e spingere verso un semprepiù largo dibattito pubblico sulle que-stioni dello sviluppo del territorio. Lastrategia proposta dal piano non èfrutto di un lavoro compiuto a tavoli-no, ma possiamo considerarla l’attointermedio di un processo di sviluppodel territorio attuato, fino ad ora,attraverso l’attivazione di una serie diinterventi che dal centro storico dellacittà (Urban) si sono allargati alle areepiù periferiche (Prusst, Pru, Misura 5.1del Por Puglia 2000/2006, Contratti diQuartiere) fino agli interventi piùsignificativi di area vasta (Pit n. 8 e Pisn.11). Un processo che ora dovrebbe

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Fig. 1 - Evoluzione della programmazione territoriale nel decennio 1997-2007, dal programma Urban alPiano strategico

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Restano da individuare i soggettiresponsabili della redazione del Piano.L’Amministrazione della città capoluo-go ha messo in piedi una strutturadensamente nutrita (dimostrando fatti-vamente la valenza della pianificazionestrategica), composta dal Comitatoguida, dal Tavolo tecnico operativo,dal Comitato scientifico e dall’Ufficiodel piano.

La struttura

L’organo di indirizzo politico, ilComitato guida, è presieduto dal sinda-co di Cagliari e ne fanno parte gliassessori a: Programmazione eFinanze, Ambiente e Urbanistica,Personale ed Affari legali, PoliticheSociali e, di volta in volta, i compo-nenti della Giunta Comunale compe-tenti per la materia affrontata.Alle riunioni del Comitato guida parte-cipano il direttore generale del Comunedi Cagliari, i cinque dirigenti d’area delComune, il coordinatore dell’Ufficio delpiano. Compito principale del Comitato guidaè quello di coordinare le fasi di elabo-razione del Piano, fissare gli indirizzistrategici e, garantire, attraverso ildirettore generale, il costante raccordocon la struttura comunale.Il Tavolo tecnico operativo, diretto dalCoordinatore dell’ufficio del Pianostrategico, opera su mandato delComitato guida per gli indirizzi strate-gici e su delega del Direttore generaleper gli aspetti operativi. Membri per-manenti del tavolo sono i cinque diri-genti d’area del Comune, un esperto dipolitiche comunitarie e il responsabile

Cagliari: costruiamo insieme il nostro futuroAlessandra Lai*

mento per la redazione di un Pianostrategico è evidentemente frutto diuna scelta consapevole, ma non nerivela in alcun modo la necessità, nonstimola l’affioramento di una latenteconsapevolezza, anzi in qualche modola inibisce prematuramente. Accettare ilfinanziamento significa, infatti, sotto-stare ad una serie di regole, rispettaredelle scadenze. Un processo intrinseca-mente creativo, diventa così ibrido. La ricerca di un metodo ritagliato sulleproprie necessità difficilmente puòessere percorsa, perché non è possibileprevederne anticipatamente i tempi disviluppo. Si è così rivelato confortanteil sostegno delle esperienze maturatealtrove, un imprescindibile know howesportabile attraverso le società che sioccupano dell’assistenza tecnica3. Come accade per tutti quegli atti che leAmministrazioni pubbliche compionosenza che vi sia una specifica norma adindicare contenuti obbligatori e modali-tà operative, è stato necessario unprimo “piano”: una prima traccia chedurante il processo ricordi da dove si èpartiti, quale obiettivo ci si è prefissi equale strada si intende intraprendere.Una dichiarazione di intenti, la primadi una lunga serie che contribuisce asbilanciare l’attività a favore dellasistematizzazione del processo e contri-buisce ad inibirne il carattere eminente-mente creativo.La predisposizione di un Piano meto-dologico e la scelta di avvalersi di unasocietà di assistenza tecnica danno unaprima risposta al quesito anticipatosopra su “come fare un Piano strategi-co”.

La scelta di sposare la pianificazionestrategica, per il Capoluogo sardo, sca-turisce dalla volontàdell’Amministrazione di raggiungere unrisultato ambizioso e prestigioso perl’intera Isola: fare di Cagliari la Capitalenel Mediterraneo. Il capoluogo regionale, così come glialtri 15 comuni dell’Area vasta1 caglia-ritana, decide di confrontarsi con i pro-pri cittadini sulla visione e gli scenariper il futuro del territorio. Più precisa-mente, inizia la fase di riflessione sul“come fare un Piano strategico” esoprattutto su “quali saranno i soggetticoinvolti nella sua elaborazione, conquale ruolo, a quale titolo”. Nella complessa vicenda del Piano stra-tegico di Cagliari, non ancoraterminata2, il finanziamento pubblico sista rivelando uno degli elementi didecodificazione più importanti e sicura-mente non solo per Cagliari. Il finan-ziamento è accompagnato da alcunegiornate di formazione dedicate a chia-rirsi su cosa si intenda per “pianifica-zione strategica”. Pillole che, dopo alcu-ne riflessioni introduttive di caratteregenerale, demandano alla rassegnadelle esperienze italiane appena conclu-se la più efficace illustrazione del tema. Le riflessioni di respiro più generalesottolineano il carattere volontario delPiano: portarlo a compimento soddisfaun’esigenza spontanea di programma-zione, rivela il bisogno di qualificare ilproprio percorso di sviluppo, sceglierele proprie priorità. Qui risiede una delle più importanticontraddizioni che vizieranno il proces-so: accettare il consistente finanzia-

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Urbanistica INFORMAZIONI

tata, talune volte, la sede in cui ripro-porre progetti individuali già presentatiin altre occasioni (quali, ad esempio, ilprocesso di progettazione integrata)caratterizzate da orizzonti temporali diriferimento ben più limitati di quelli diun Piano strategico di sviluppo. Con grande fatica si sta cercando diricomporre le idee progettuali più defi-nite in progetti di ampio respiro.Molte delle cose emerse erano già note,alcuni progetti già nell’aria, ma losforzo di un coinvolgimento attivodella popolazione era indispensabileper conferire al nuovo documento stra-tegico sufficiente forza per superarel’avvicendarsi degli amministratoricomunali. La complessa macchina messa in piedisi rivela assai costosa in termini ditempo, energie, risorse da impiegare.Per essere portata avanti richiede attoriistituzionali motivati e la pazienza dicostruire percorsi di ascolto e interpre-tazione nei confronti di esigenze fre-quentemente in contrapposizione. Se da un lato si può ancora credereche l’istituzionalizzazione del piano lofarà accettare meglio, dall’altro siavverte il rischio che la creatività e lacapacità di adattamento siano rimasteimbrigliate nelle maglie di operazioni estrumenti codificati.

* Ufficio del Piano strategico comunale di Cagliari.

Note1. I 16 comuni dell’area vasta di Cagliari definiti daldocumento di programmazione regionale della misura5.1 del Por Sardegna 2000-2006 sono: Assemini,Cagliari, Capoterra, Decimomannu, Elmas,Maracalagonis, Monserrato, Pula, Quartu S.E.,Quartucciu, Sarroch, Selargius, Sestu, Settimo S.Pietro, Sinnai, Villa S. Pietro.2. Cagliari ha chiesto ed ottenuto una proroga al 31Dicembre 2007 per la consegna del Piano strategicoalla Regione Autonoma della Sardegna.3. Il soggetto individuato con il Bando di Gara adevidenza pubblica garantisce l’affiancamento e l’assi-stenza all’Ufficio del Piano strategico di Cagliari edella sua Area Vasta. Esso è costituito da due societàcomponenti un’Ati: Apri spa (capofila, che si avvaleper questo servizio anche delle competenze della suacontrollata Apri Ambiente srl.) e T Bridge spa.4. Presieduto da Roberto Camagni, è costituito daPaolo Borzatta, Francesco Cesare Casula, BeniaminoMoro, Franco Sabattini e Silvano Tagliagambe.5. Confindustria, Associazioni sindacali, Associazionidi categoria, Banche, CASIC, Autorità portuale,Azienda speciale Fiera internazionale Sardegna,Università, Presidenti delleCircoscrizioni/Municipalità, Consigli circoscrizionali,operatori dell’area sociale, culturale, istruzione e for-mazione,ambientale, rappresentanze estere a Cagliari,operatori dell’area nuove tecnologie e terziario avan-zato

videre lo sfondo conoscitivo, a validarei cinque assi strategici suggeriti dall’at-tività ricognitiva sopra descritta, a pro-muovere la fase operativa del Piano. Cagliari, per portare avanti le propriescelte di base, deve muoversi come unapripista. Non esiste infatti una praticaconsolidata per affrontare, con esiticerti, lo sviluppo di idee progettuali dirilevanza strategica, con gruppi diattori anonimi, di eterogenea ed impre-vedibile composizione.Per ogni asse strategico viene costituitoun tavolo tematico. Dichiarati gliobiettivi generali dell’asse, compito deltavolo è semplificarli disaggregandoliin obiettivi specifici e proporre azioniper il loro soddisfacimento. Sono ospitifissi del tavolo il presidente – scelto trai rappresentanti emeriti della societàcivile, il dirigente d’area più competen-te nella materia che il tavolo affronta,l’assistenza tecnica, il coordinatore ealcuni membri dell’Ufficio del Pianoscelti sulla base delle competenze indi-viduali. La novità assoluta, rispetto alleprocedure consolidate, è stata l’oppor-tunità offerta a tutti i cittadini di par-tecipare ai tavoli: nessun invito, masolo adesioni spontanee. Questa impor-tante scelta condiziona in modo signi-ficativo il percorso: non viene, infatti,selezionato un numero di cittadini cheabbiano conoscenze specialistiche deltema di progetto.Ogni tavolo tematico è strutturato insottogruppi: i temi chiave dello svilup-po (governance, internazionalizzazione,ricerca e innovazione tecnologica, cul-tura e politiche sociali) hanno bisognodi essere definiti in modo chiaro edesaustivo e, per agevolare i lavori deisottogruppi, almeno in una prima fase,devono essere opportunamente circo-scritti.Nonostante le puntuali ed espliciteintroduzioni al lavoro dei tavoli, i par-tecipanti hanno espresso i loro deside-rata cogliendo non sempre sino infondo l’opportunità offerta loro.Intorno al tavolo tutti i proponentihanno uguale peso, ma la presenza diuna struttura di supporto è stata inter-pretata come interfacciadell’Amministrazione: e quella chesarebbe dovuta diventare una fabbricadelle idee per Cagliari, da affinare esviluppare di seduta in seduta è diven-

della Segreteria operativa. Invitato per-manente è il direttore generale delComune di Cagliari.Il Comitato scientifico è composto dapersonalità di chiara fama nazionale einternazionale4. Rappresenta, assiemeal Comitato guida, il prioritario riferi-mento per il coordinamento tecnico-scientifico ed il “pilotaggio” dell’interoprogetto. L’Ufficio del piano è la ‘fabbrica’ delPiano strategico: vi è impegnato siapersonale interno all’Amministrazionecomunale (i citati dirigenti d’area; fun-zionari interni temporaneamente dis-taccati per contribuire al processo, piùaltri otto funzionari part time) checonsulenti esterni, selezionati con unprocedimento ad evidenza pubblica (ilcoordinatore, un esperto di program-mazione comunitaria, cinque giovaniconsulenti, alcune figure di supportoall’area tecnico-ingegneristica e allasegreteria operativa, un responsabiledell’Ufficio stampa e Comunicazione).

Il processo

Sulla scorta delle altre esperienze dipianificazione strategica, sono statedefinite le fasi del processo. L’attività dell’Ufficio del piano iniziacon una ricognizione a tutto campo,per restituire un efficace ritratto delcontesto. È una fase aperta, costante-mente aggiornata con le trasformazioniche altre istituzioni attuano sul territo-rio. L’esito è sinteticamente rappresen-tato da una SWOT che porta in eviden-za opportunità da valorizzare e criticitàda limare rivelando, allo stesso tempo,gli ambiti tematici su cui lavorare nellefasi successive.Un primo fondamentale contributo delComitato scientifico interviene peraprire l’orizzonte delle indagini al con-testo italiano, europeo e mondiale: peruna città capoluogo che gode di unaposizione geograficamente competitivai termini di paragone devono essererimodulati. Completano il quadro della conoscenzauna serie di incontri con alcuni deiprincipali attori economici, sociali eculturali locali5 e i feedback dei que-stionari somministrati agli stessi.La prima Conferenza strategica pubbli-ca del 23 maggio 2007 serve a condi-

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siasmo per le nuove impostazioni estrumenti, pure per dipanare, in qual-che modo le incertezze del fotogram-ma della nuova fase. In apertura ilcontributo di Magrassi pone, tra l’al-tro, importanti interrogativi sullaopportunità e validità della progetta-zione integrata “a tutti i costi”;Tortorella, invece, nomina e sottolineaalcuni evidenti elementi di debolezza,ponendo l’accento su una “ardimento-sa governance multilivello che ha pro-dotto per lo più megaprogettini e l’i-nevitabile ingolfamento nella fase diattuazione”. Nel contributo di Brezzi eUtili vi sono interessanti elementi percomprendere senso, indirizzi e orien-tamenti – che derivano anche quidalla diretta esperienza e responsabili-tà, dal lato delle istituzioni centrali –nella elaborazione delle opportunitàpresenti nel Qsn 2007-13. Con lo stes-so intento, nel contributo della DiRisio si presenta una lettura, puntualee dettagliata, delle dimensioni mag-giormente rilevanti e strategiche perle città presenti nello stesso documen-to. Infine, Todaro, con una riflessionesul (dubbio) senso della proliferazionedi numerose iniziative di pianificazio-ne strategica in un territorio, in realtà,privo degli strumenti ordinari di pia-nificazione regionale e d’area vasta,propone non solo la sempre attualequestione delle regole, ma, anche,l’insanabile dilemma tra strumentiordinari e straordinari per il governodel territorio.

A sud delle politiche urbanea cura di Daniela De Leo

In relazione alla nuovamente cospicuadimensione dei fondi strutturali dispo-nibili, e con riferimento alle ancoraevidenti differenze nel quadro dellosviluppo tra nord e sud del Paese, ci èparso opportuno a proporre una rifles-sione che guardasse “a sud delle poli-tiche urbane”, verso Mezzogiorno. Ilproposito era, soprattutto, quello diverificare e capire cosa abbiano real-mente prodotto le politiche urbanecondotte nell’ultimo ciclo di program-mazione. I criteri di selezione e finan-ziamento dei progetti ma, soprattutto,il rapporto tra politiche ordinarie eaggiuntive appaiono le questioni cen-trali all’interno di un quadro nel qualela debolezza delle istituzioni sembraessere l’elemento di maggiore criticitàper la promozione di politiche real-mente innovative. Come è stato fatto osservare, nelnostro Paese, «la discussione sull’in-novazione non è basata sulla verificaempirica dei risultati di un ciclo dipianificazione precedente in qualchemisura concluso e valutabile, ma sulriconoscimento, periodicamente rinno-vato, di grandi svolte epocali chepongono ogni volta alla pianificazio-ne compiti nuovi. L’interrogativo più urgente riguardaancora “cosa è realmente successonelle nostre città negli ultimi anni,cosa è cambiato nella direzione diquanto ci si aspettava che avvenissegrazie agli strumenti attivati?”. In qualche modo questo aspetto èriuscito a emergere dai contributi rac-colti, anche se gran parte di essihanno più facilmente ceduto all’entu-

È stata lungamente difesa in ambitoistituzionale ed è risultata vincentel’idea della necessità di un ulteriorerilancio delle politiche urbaneall’interno della fase diprogrammazione 2007-13 dei fondistrutturali. Si tratta di un risultatoimportante e, naturalmente, di una“nuova occasione” per le città delMezzogiorno, rispetto alla qualeoccorrerebbe mostrare, però, ilnecessario rigore tanto nellavalutazione di quanto è statorealizzato nel periodo diprogrammazione precedente, tantonella considerazione di quali siano lecoordinate di lavoro per il periodosuccessivo. Con questo spirito è statalanciata questa sessione tematicache presenta, contributi provenientida osservatori privilegiati per quelche riguarda le responsabilità e ilpeso! delle decisioni in questospecifico contesto di policies.Notizie di prima mano, dunque, suquanto si prospetta per la nuovafase di programmazione, che provanoa interrogare e chiamare in causa gliattori, di ieri e di oggi, al fine dinon sottrarsi a una necessaria presadi responsabilità, che sappia darerisultati più confortanti nei prossimianni.

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mo che il lavoro di valutazione su pro-getti già conclusi o ancora in attuazio-ne nelle città alimenta molte delle scel-te realizzate per la programmazione2007-2013, e, dunque, anche la sceltadei temi che verranno trattati a segui-re. Per fornire al lettore gli strumentiminimi per orientarsi nella futura pro-grammazione per le città, ne indivi-duiamo alcuni elementi essenziali. IlQsn è un documento nazionale ma chetiene conto delle specificità delle ottoRegioni del Mezzogiorno. Ad esempio,solo per queste ultime indica l’alloca-zione finanziaria per le dieci Priorità.Alla Priorità “Città”, il Qsn destinaquasi 8 miliardi di euro, con fonti dis-tribuite in misura piuttosto equa traFondi strutturali e Fas. I Programmioperativi regionali (Por) per il Fesr5

definiscono le politiche urbane neidiversi ambiti territoriali attraverso lescelte politiche e strategiche delle isti-tuzioni regionali e le conseguenti deci-sioni finanziarie. Emerge un quadroarticolato in cui segnaliamo alcunecaratteristiche e chiavi di lettura: 1. le risorse Por allocate su prioritàstrategiche esplicitamente dedicate acittà e sistemi territoriali, sono moltoimportanti nel Mezzogiorno (e superio-ri alle stesse indicazioni del Qsn), epiuttosto significative in diverse regio-ni del Centro-Nord (ad esempio,Liguria e Toscana). Nella quasi totalitàdei casi, la programmazione regionaleindividua le modalità attuative in pro-getti integrati urbani o territoriali, conforte delega alle amministrazionicomunali per la programmazione e

I progetti città: tra innovazione e pragmatismoMarco Magrassi*

territoriali, che introduciamo con duedomande: - La progettazione integrata rappresen-ta un approccio da preferire semprenella programmazione urbana e terri-toriale? - E’ realistico e opportuno assegnarealle politiche urbane e territoriali, invia prioritaria, obiettivi carichi di ele-vate aspettative di visibilità, innova-zione e trasformazione economica?Con poche eccezioni, la visione domi-nante nel mondo delle politiche di svi-luppo propone risposte energicamenteaffermative ad entrambe le questioni.Ma l’esperienza delle politiche territo-riali, nonché le condizioni delle ammi-nistrazioni in diverse aree del paese, ciconsegnano un’evidenza più problema-tica che mette in discussione i dueassunti. Senza giungere a conclusioni,presentiamo a seguire alcune conside-razioni con l’obiettivo di aprire undibattito non soltanto tra gli espertima, in prospettiva, anche nelle ammi-nistrazioni responsabili delle decisionisui programmi e progetti urbani. Il contributo, per brevità, non appro-fondisce altri aspetti rilevanti. In primoluogo, pur fornendo alcune informa-zioni sintetiche, non si sofferma su unadescrizione particolareggiata di scelte,orientamenti e decisioni sulle politicheurbane nel Qsn e nei primi Programmioperativi regionali Fesr per il 2007-2013. Inoltre, non riportiamo i risultatidelle analisi e valutazioni elaboratenegli anni sull’attuazione dei progettiurbani nel periodo di programmazione2000-2006. Nel rimandare gli interes-sati ad altre fonti disponibili4, segnalia-

Le politiche di sviluppo nazionali edeuropee per il periodo 2007-2013 attri-buiscono alle città, come obiettivogenerale del sistema-paese importantirisorse e ampi spazi di iniziativa percontribuire allo sviluppo socioecono-mico dei propri territori. A partire dal2005, con il processo di preparazionein Italia e approvazione a Bruxelles,del Quadro strategico nazionale (Qsn)1

per il periodo 2007-2013, le ammini-strazioni centrali e regionali, con lacooperazione dei partner istituzionali esocioeconomici, hanno definito unorizzonte di riferimento arricchito diimportanti certezze e innovazioni, tracui: la programmazione unitaria deiFondi strutturali europei e del Fondoper le aree sottoutilizzate, e la determi-nazione nelle Regioni del Mezzogiornodi obiettivi specifici e di un sistemapremiale di obiettivi misurabili nei ser-vizi pubblici essenziali (rifiuti, acqua,servizi per infanzia e anziani). Il Qsn dedica la sua ottava Priorità (sudieci) proprio alla Competitività eattrattività delle città e dei sistemiurbani2, ponendo l’Italia all’avanguar-dia tra i pochi paesi in Europa chehanno deciso una piena incorporazionedella dimensione urbana nella pro-grammazione dei fondi comunitari3.Nelle prossime fasi di programmazione,su molti settori e priorità del Qsn, cittàe amministrazioni comunali di ogniordine e grado avranno un ruolo daprotagoniste, con tutti gli onori edoneri che questo comporta. L’analisi che segue si concentra su duetemi specifici e interrelati della pro-grammazione per aree urbane e sistemi

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ne delle Regioni, o meglio, secondomolte valutazioni, per l’incapacitàcomplessiva dell’intera filiera istituzio-nale (centro, regioni, e periferia) dicreare i giusti presupposti, anche poli-tici, per selezionare i progetti attraver-so processi tecnico-valutativi adeguati.Se l’intero sistema istituzionale haavuto un ruolo (per azione o inazione)in questa espansione, per la loro lea-dership istituzionale nella programma-zione, individuazione e selezione deiprogetti, la responsabilità ricade inparticolar modo sulle amministrazioniregionali.Per esigenza di sintesi, utilizziamo inquesto caso il frequente ancorchériduttivo indicatore di spesa reale8 permisurare la performance dell’azione disviluppo (non la sua efficacia, che saràoggetto di valutazioni ex-post a partiredal 2008). La Tab. 2 evidenzia che laprogettazione integrata può funziona-re, ma non ovunque. La Toscana, come esempio di regionedel Centro-Nord, è qui menzionata perdocumentare un’ovvietà: in sistemiamministrativi più solidi e rodati, conmeno risorse a disposizione (e dunquecon minori rischi di congestione dellamacchina amministrativa) e progettiunitari più piccoli, l’approccio integra-to produce interessanti esperienze digoverno multi-livello (in Toscana, sonocoinvolte anche le province) e un buonritmo di realizzazione. I contesti istitu-zionali e territoriali più deboli masovraccarichi di risorse finanziarie (èinfatti oramai evidente che in alcunerealtà esiste un eccesso di offerta difinanziamenti pubblici) scontano, inve-ce, costi amministrativi e proceduralimolto elevati. In queste regioni, il pro-cesso di lunga predisposizione e appro-vazione del progetto integrato e delpacchetto di interventi che lo compo-ne, con continui rimbalzi tra regione ecomuni, ha proceduto a rilento, e

narie. Di tutto ciò bisogna necessaria-mente tenere conto nell’interpretazionee il commento alle decisioni strategichee alle scelte operative che emergonooggi nei documenti di programmazioneche governeranno il prossimo settennio.

Integrazione versus efficienza

Preceduta e accompagnata da numeroseesperienze a partire dagli anni ’90, laprogettazione integrata7 in città e terri-tori ha conosciuto un’ampia diffusionenella programmazione regionale 2000-2006. Le Regioni del Centro-Nordhanno promosso e gli enti locali hannorealizzato numerosi progetti integrati,nonostante i forti vincoli imposti dalleregole di zonizzazione adottate dalla Cenelle regioni dell’Obiettivo 2 (regole chehanno comunque avuto l’effetto diescludere le città capoluogo e indirizza-to i progetti su reti di comuni minori). Nelle sei Regioni dell’ex-Obiettivo 1, laprogettazione integrata è arrivata acoprire quasi l’intero territorio: più di160 progetti, con il coinvolgimento dipiù del 90% dei comuni e investimentidi oltre 8 miliardi di euro. Inoltre, 23comuni capoluogo hanno avuto pro-getti integrati unicomunali di impor-tanti dimensioni finanziarie (sino ai240 milioni per Napoli). Questa diffu-sione a tappeto è avvenuta per decisio-

attuazione degli investimenti;2. ancora maggiori sono le risorse chele Regioni allocano per investimenti inaree urbane in altre priorità settoriali(in particolare, mobilità, energia,ambiente, patrimonio culturale e, nelMezzogiorno, inclusione sociale).La Tab. 1 illustra alcuni esempi che evi-denziano come anche in quelle Regioniche non prevedono progetti integratiarea-based per città e territori, diriganocomunque importanti risorse (sinoall’80% dell’Emilia Romagna) alle areeurbane. Evidentemente, le aree urbane,come agglomerato di popolazione, checoncentra massa critica economica eservizi diversificati, sono i principaliattrattori di investimenti pubblici, e leamministrazioni comunali sono sogget-ti al centro dell’azione di sviluppo(nonché stazioni appaltanti) per porzio-ni importanti, spesso maggioritarie,della programmazione regionale6. L’elaborazione di un documento nazio-nale non ha mai preteso di annullarequelli presenti nel Paese. In particolare,le differenze tra regioni e città delCentro-Nord e del Mezzogiorno sonoprofonde e di diversa natura: dalla dis-ponibilità di risorse aggiuntive all’effi-cienza delle amministrazioni, dallospessore delle reti economiche e socialial funzionamento delle politiche ordi-

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Tab. 1 – Risorse assegnate alle Priorità urbane e/o territoriali in alcuni POR FESR 2007 – 2013

Priorità Risorse Priorità % Risorse Priorità % Risorse(€ mln.) su totale POR urb.* su totale POR

Lombardia — — — 23Liguria urbana 122 36 75

territoriale 71 — —Emilia-Romagna — — — 80Toscana territoriale 275 24 70Campania urbana 1.505 22 65Puglia urbana 520 10 60Sicilia urbana 719 11 59

Fonte: Programmi Operativi Regionali FESR 2007-2013 già adottati o in negoziato.* Assegnazione indicativa per tipologie territoriali delle risorse FESR, prevista dall’Art.111 del Regolamentoattuativo 1083/2006.

Tab. 2 – Andamento della progettazione integrata territoriale 2000-2006. Casi selezionati.

Progetti integrati Interventi previsti Interventi attivi Risorse programmate % Spesa(n°) (n°) (n°) (€ mln.) (al 12/2006)

Mezzogiorno 156 8.967 6.044 8.043 18Calabria 29 961 64 756 2Sicilia 36 3.056 2.859 1.453 24Toscana 10 177 149 107 56

Fonte: Autorità di Gestione regionali e Sistema di Monitoraggio dei PIT (2007).

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malgrado, generano conflitti e ostru-zionismo in ambienti istituzionali piùdeboli. Ad oggi, alcuni Por propongonoapprezzabili tentativi di sostenere pro-getti integrati in un numero limitato dicittà e territori localizzati al centrodelle strutture reticolari regionali (è ilcaso dei 20 comuni con più di 50 milaabitanti in Campania). Altri programmiregionali del Mezzogiorno lascianoinvece intravedere rischi di coazione aripetere errori del passato, menzionan-do dozzine di diverse tipologie di pro-getti integrati per città e territori che, ènostra opinione, costituiscono premes-se per la loro ingestibilità, tanto per leamministrazioni regionali quanto perle amministrazioni e coalizioni locali. Spostare il confine tra politiche ordi-narie e investimenti aggiuntiviL’analisi si conclude con una rifles-sione sul rapporto tra investimentiaggiuntivi e politiche comunali ordi-narie. Il tema è ampio e complesso, emerita di essere trattato più in profon-dità, tuttavia appare comunque utilefornire un breve contributo ad undibattito già in corso e quanto mainecessario. Gli Orientamenti sulla dimensioneurbana della Ce, il Qsn (e prima ancorail Quadro comunitario di sostegno2000-2006) assegnano alle politicheper le città del Mezzogiorno obiettivialti ed ambiziosi: lo sviluppo di attivitànel terziario avanzato, la trasformazio-ne di aree significative del territorio, lacrescita e la diversificazione delle atti-vità economiche, il posizionamentocompetitivo del “prodotto città” perattrarre investimenti ed esportare neimercati internazionali. Con posizioni speculari, policy makerse membri della comunità accademico-professionale impegnata su sviluppo eterritorio, negli anni, hanno spessostigmatizzato le politiche e gli investi-menti locali quando, con risorse comu-nitarie e nazionali, finanziano inter-venti che appaiono dispersi, frammen-tati, di scarsa dimensione finanziaria, eprivi delle necessarie virtù di concen-trazione, integrazione, strategia, impat-to, e addizionalità. La critica trova unafrequente (e spesso superficiale) espres-sione sintetica nell’affermazione chel’imponente sforzo finanziario dedicato

pongono di risorse Por sufficienti agiustificare la progettazione integrata. Nelle Regioni del Mezzogiorno, in par-ticolare nelle quattro “grandi”dell’Obiettivo Convergenza, il discorsoè diverso. Appare cruciale evitare diripetere un’adozione generalizzata eindiscriminata di progettazione inte-grata senza confortarsi con i limiti tec-nico-istituzionali già sperimentati. Lasfida è costruire solidi presupposti pro-grammatici e operativi perché imomenti decisionali a venire (in parti-colare, nei Comitati di Sorveglianza)forniscano alle strutture regionali ecomunali chiare indicazioni per sele-zionare i progetti integrati che consi-derino: i bisogni dei territori; il valoree la credibilità delle proposte proget-tuali; il vantaggio comparato dell’ap-proccio integrato; la capacità istituzio-nale e il track record delle amministra-zioni locali coinvolte. Nello stesso spi-rito, è importante evitare di pre-asse-gnare il quantum finanziario a città eterritori prima ancora di avere discussonel merito del progetto (pratica fre-quente nel 2000-2006): i politici localisono abili nel trasformare una pre-allocazione indicativa in una promessadi finanziamento che successivamentediviene difficile, se non impossibile,ritrattare, anche a fronte di proposteprogettuali modeste. Come articolato anche in riferimento alprossimo tema trattato, la soluzione ènel creare le condizioni tecnico-istitu-zionali per discriminare tra diverserealtà territoriali, socioeconomiche eistituzionali, anche all’interno dellastessa regione. Così, i progetti integrativanno promossi in città e sistemi inter-comunali che garantiscano che i bene-fici attesi sostanzino il valore aggiuntodell’approccio integrato, e ne minimiz-zino i costi istituzionali, tecnico-proce-durali e amministrativi. In alternativa,un processo selettivo più robusto erigoroso, potrebbe evidenziare comedeterminati località o amministrazionipossano beneficiare meglio e più rapi-damente di interventi anche semplici emirati, che responsabilizzino diretta-mente servizi pubblici e aree funzionalidi singole amministrazioni comunali,senza passare per uffici unici inter-comunali o uffici di coordinamentogenerale di progetto, che, spesso, loro

soprattutto non è stato accompagnatodalla progettazione delle opere pubbli-che (ex Merloni), avviata soltanto inseguito all’approvazione e, in genere,non prima del 2005. Gli ostruzionismiinterni e i continui avvicendamentinelle amministrazioni (dalle giunte agliingegneri capo, dai responsabili comu-nali di procedimento ai responsabiliregionali dei fondi strutturali) hannoposto in mora per mesi (o anni) pro-cessi decisionali, progettuali e ammini-strativi, evidenziando una scarsa capa-cità di organizzarsi in modo efficace suprogetti che interessano diversi enumerosi uffici di settore nelle regionideleganti e nei comuni delegati. È inte-ressante segnalare che, in linea genera-le, guardando al complesso dei progettiintegrati nelle sei regioni nell’Obiettivo1, le città capoluogo non hanno dimo-strato capacità esecutive e di innova-zione né risultati migliori di quanto siosserva nelle reti di comuni minori, masembrano invece aver sofferto deglistessi problemi (anche se la situazionecambia da regione a regione) tradendocosì gli obiettivi generali e le aspettati-ve dell’Asse Città. La Ce, secondo un principio correttoma indistinto rispetto alle diverse real-tà istituzionali e territoriali, richiedenei suoi regolamenti e orientamentiche i progetti per le città e sistemi ter-ritoriali privilegino l’approccio integra-to. La stessa Priorità Città del Qsn indi-vidua nei progetti integrati lo strumen-to attuativo per gli investimenti urba-ni, e ne definisce alcuni requisiti mini-mi9. Tuttavia, dalle considerazioni cheprecedono, pare opportuno proporrealcune avvertenze per l’utilizzo dellaprogettazione integrata nel 2007-2013. Le regioni e le città del Centro-Nord -come già evidenziato, con maggiorecapacità tecnico-istituzionale, e risorsesignificativamente minori - sono nellecondizioni di sfruttare al meglio i van-taggi comparati di un approccio multi-settoriale e dal basso, e dovrebberodunque adottare, con decisione, la for-mula integrata in una programmazioneurbana e territoriale tesa a investimentie obiettivi innovativi. Sempre che,beninteso, le risorse disponibili lo per-mettano: alcune Regioni (ad esempio,l’Emilia Romagna), pur con una fortetradizione di sviluppo locale, non dis-

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sibili implicazioni di tale situazione perla politica di sviluppo regionale, inparticolare per gli investimenti urbanie territoriali:1. interventi apparentemente contras-segnati da basso valore aggiunto (per-ché in linea teorica sostitutivi) potreb-bero invece avere un importante ritor-no socioeconomico in quanto diretti arealizzare infrastrutture e ampliare ser-vizi pubblici che, in assenza di risorseaggiuntive, non sarebbero disponibiliper i cittadini;2. gli obiettivi e le strategie delle poli-tiche regionali e territoriali nelMezzogiorno devono articolare esplici-tamente il sostegno a servizi pubbliciche, in un mondo ideale, potrebberoesulare da programmi di sviluppo per-ché oggetto della politica ordinariadelle amministrazioni.Non crediamo che un’articolazione piùrealistica e differenziata per realtà ter-ritoriali di obiettivi e priorità di inve-stimento nello sviluppo comporti unarivisitazione al ribasso delle ambizionidi cambiamento delle politiche regio-nali. La differenziazione delle strategiepuò continuare a incalzare le città piùimportanti del Mezzogiorno (o anche lereti di piccoli comuni nei distretti delCentro-Nord) affinché individuinopiani di investimento di alto impatto,ad esempio, nel settore produttivo, neiservizi ambientali avanzati, nel terzia-rio e nell’economia della conoscenza edell’innovazione. In realtà territoriali a bassa densitàdemografica, più disperse e marginali,o anche nelle aree del disagio acutodelle grandi città, è invece importanteche le amministrazioni regionali ecomunali possano perseguire anchestrategie di intervento più incrementa-li, con investimenti puntuali e di

spesa ordinaria pro-capite nei comunidel Mezzogiorno è enormemente infe-riore per infrastrutture e servizi sociali,per l’istruzione, cultura, sicurezza emolti altri. In altre parole, le ammini-strazioni del Centro-Nord, con la solafinanza ordinaria, assicurano un impe-gno finanziario di molto superiore aquelle del Sud che, pur dirottando (cosìvuole la conventional wisdom) sullaspesa ordinaria i fondi europei e nazio-nali per investimenti aggiuntivi, nonriescono affatto a compensare la diffe-renza. Scartando l’improbabile ipotesi che ilminore sforzo finanziario sia bilanciatoda una maggiore efficienza e efficaciadella spesa, i dati ci consegnano unarealtà in cui i cittadini delMezzogiorno hanno accesso a servizipubblici “ordinari” di qualità e inquantità sensibilmente inferiore allostandard nazionale. Vediamo due pos-

al catching up del Mezzogiorno nonproduca altro che un riduttivo risultatodi manutenere “piazzette e marciapie-di”. Tale lettura negativa ha talvoltasolide motivazioni, e anche chi scrivesi è trovato spesso coinvolto (assieme apochi altri) in tentativi negoziali perbloccare o modificare programmiregionali destinati ai sistemi urbanicon liste di centinaia di micro-inter-venti illustrati in poche righe, privi diqualsivoglia logica strategica e giustifi-cazione. Accanto a pratiche di programmazioneche degenerano nella polverizzazione,nell’arbitrarietà e, al limite, nel cliente-lismo politico, riteniamo però che cisia dell’altro. Introduciamo il tema conuna domanda: tale interpretazionecambierebbe se prendessimo atto checiò che dovrebbe, in principio, rappre-sentare attività ordinaria delle ammini-strazioni comunali, nella realtà delMezzogiorno può assumere carattere distraordinarietà? Il grafico e la tabella 3 confrontano, peralcuni servizi e settori, la spesa correnteper alcuni servizi sociali e per investi-menti in settori di maggiore peso deicomuni del Centro-Nord e delMezzogiorno. Segnaliamo che i datisugli investimenti sono ricavati diretta-mente dai bilanci comunali e includonole risorse dei fondi strutturali e del Fas.Il quadro che emerge segnala che la

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Fig. 1 - Spesa corrente pro-capite per alcuni servizi sociali dei comuni (dati 2004)

Fonte: IFEL/ANCI (2007) su dati ISTAT 2004.

Tab. 3 – Investimento pro-capite delle Amministrazioni Comunali per macro-regione e settore(dati 2004)

Centro-nord Mezzogiorno Mezzogiorno/CN(€ pro capite) (€ pro capite) (%)

Sicurezza 1,39 0,54 39%Istruzione 26,20 15,53 59%Cultura e ricreazione 29,98 16,34 55%Edilizia e urbanistica 31,90 40,10 126%Sociale 11,02 5,80 53%Ambiente 17,09 11,93 70%Viabilità e trasporti 87,24 45,07 52%TOTALE 246,53 177,96 72%

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4. Vedi: Unità di valutazione-Dps (2006),Aggiornamento della valutazione intermedia del QCSOb. 1 2000-2006, http://www.dps.tesoro.it/documen-tazione/qcs/valutazione_qcs_novembre_2006/Agg_val_QCSOB1_Parte%20II_%20B.pdfvalut5. Che saranno nei prossimi mesi seguiti in tutte leRegioni dai Programmi operativi Fse e dai ProgrammiFas. 6. Il dato evidenzia anche la fallacità della strategianegoziale di alcune organizzazioni del partenariatoistituzionale che richiedevano (anche con una certainsistenza) che il Qsn, vincolando le Regioni, stabilis-se ex-ante, una riserva con il 20% delle risorse totaliper la dimensione urbana. Questa proposta, se accolta,avrebbe non favorito bensì penalizzato il ruolo deicomuni nell’attuazione delle politiche di sviluppo. 7. Per progettazione integrata intendiamo una moda-lità di programmazione dove prevale l’elemento terri-toriale, e caratterizzata da una forte delega alleamministrazioni locali per progetti intersettoriali plu-riennali con piani di investimenti che possono inte-ressare molti settori di intervento. 8. Non riportiamo gli impegni perché … 9. Ad esempio, il Qsn (e la Delibera Cipe per la suaattuazione, oggi in preparazione) affermano che “Lasolidità del soggetto proponente (in relazione all’effi-cienza amministrativa, gestionale e finanziaria, e allivello di delega politico-amministrativa di cui è tito-lare) come elemento rilevante ai fini dell’ammissibilitàe approvazione dei progetti integrati. A tal fine, leistituzioni comunali (e gli uffici unici o altri organi-smi inter-comunali) con responsabilità di coordina-mento o attuazione di progetti integrati, già in fase diimpostazione del progetto, definiscono meccanismiistituzionali e di gestione operativa delle attività pro-gettuali, anche attraverso l’assunzione di impegnifinanziari pluriennali per garantire continuità ed effi-cacia nelle diverse fasi del ciclo di progetto”.10. Il tema degli obiettivi di servizio, oggetto di unaltro articolo a cura del Dps nel presente numero diUrbanistica Informazioni, può essere approfondito nelsito: http://www.dps.tesoro.it/obiettivi%5Fservizio/

I valori in Urbanistica: fra etica ed estetica

Napoli, 17 Marzo 2008Centro Congressi Ateneo Federico II,

Via Partenope 36

Il tema della IV Giornata di Studi promossadall’Inu Campania, dal titolo I valori inUrbanistica: dall’etica all’estetica, ha lo scopodi indagare quali sono i principi della discipli-na Urbanistica. L’Urbanistica, così come per l’architettura, sifonda su un insieme di valori etici ed esteticiche ne formano la qualità. Se l’etica come filo-sofia morale pone la sua attenzione sui fonda-menti oggettivi e razionali alla ricerca di crite-ri razional-comprensivi che fungano da normanell’ambito della teoria urbanistica.L’estetica, dal suo canto, occupandosi dellaconoscenza del bello naturale e artistico,ovvero del giudizio di gusto, è espressione diquella forza creativa e di un concetto di liber-tà più congeniale all’animo creativo dell’archi-tetto-urbanista di tradizione italica. Le questioni sulle quali i partecipanti alla IVGiornata di Studi dell’Inu Campania potrannoconfrontarsi quest’anno sono:

- Deontologia professionale- Responsabilità verso i deboli e gli esclusi- Beni paesaggistici e culturali- Ecologia- Bellezza ed armonia- Ordine/disordine

Responsabile scientifico della Giornata:Francesco Domenico Moccia

Comitato scientifico: Carlo Alberto Barbieri,Paolo Colarossi, Francesco Lo Piccolo, FedericoOliva, Simone Ombuen, Pierluigi Properzi,Manuela Ricci, Michele Talia

Direttore della Giornata: Roberto Gerundo(Presidente Inu Campania)

Le relazioni finali potranno essere presentate(entro il 10 marzo 2008) nelle seguenti forme:- paper (max 20000 caratteri spazi inclusi)- comunicazione breve (max 8000 caratterispazi inclusi)Gli abstract vanno contestualmente inviati viae-mail agli indirizzi:[email protected]@unina.it

Per ulteriori informazioni:www.inu.it

minore dimensione finanziaria, ma sol-tanto apparenza meno sistemici, lungi-miranti e, soprattutto, utili. L’importante innovazione introdottadal Qsn con gli obiettivi di servizio peri servizi minimi essenziali, per i settoriidrico, rifiuti, servizi sociali e istruzio-ne nelle regioni del Mezzogiorno, pro-pone una nuova definizione e interre-lazione tra politiche di sviluppo e poli-tiche ordinarie10. Nel caso Priorità Città, un simile per-corso potrà essere intrapreso dalleRegioni richiedendo ai comuni di con-testualizzare adeguatamente gli inve-stimenti proposti negli strumenti dipianificazione ordinaria (piani urbanidel traffico o di mobilità, piani socialidi zona, etc.) e di fornire un’analisi diaccompagnamento rigorosa e credibilesulla domanda, offerta e costo-oppor-tunità delle loro scelte (analisi nonrisolvibile nell’onnipresente quantoinutile formula ad autocertificazionedell’“è coerente con” il Put, il Psz, etc.).Le amministrazioni locali potrannocosì identificare i settori dei serviziparticolarmente deficitari, spiegandonei motivi e la strategia di riallineamentoa standard più elevati e di riassorbi-mento nel bilancio e nelle attività ordi-narie. [Ad esempio, edilizia e urbanisti-ca sovrafinanziate]. Appare infatti cruciale che il sistemaistituzionale non confini questa sfidaal raggiungimento degli obiettivi diservizio, ma lasci che permei la pro-grammazione nel suo complesso con-fortandosi sui temi e obiettivi concreticon il partenariato socioeconomico econ l’opinione pubblica locale. Rendereesplicito e, a determinate condizioni,legittimare investimenti, richiestecomunali per piccole infrastruttureurbane e dei servizi locali, permetteràdi governare la selezione, la program-mazione e l’attuazione dei relativiinvestimenti e, così facendo, di miglio-rarne i risultati.

* Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimentoper le Politiche di Sviluppo e Coesione.

Note1. Cfr. Qsn.2. D’ora in avanti definita per brevità come PrioritàCittà. 3. Come già peraltro aveva fatto nel 2000-2006,quando era stato l’unico grande paese nell’Ue-15 adavere un’Asse Città nel proprio Qcs per le Regionidell’Obiettivo 1.

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CCaammppaanniiaa

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sia dell’indicazione di ambiti d’inter-vento prioritari. Ovvero da una parte siè dovuto fare i conti con metodologiedi programmazione che si sono rivela-te, nel tempo, poco incisive nello spin-gere le amministrazioni verso settori diintervento che potessero rispondere aduna logica sistemica. Non a caso alcu-ni progetti dell’asse città nei comunisono scaturiti da scelte delle ammini-strazioni locali che, pur rispondendo abisogni di riqualificazione urbana emiglioramento della qualità della vita,hanno perseguito solo indirettamentela valorizzazione dei fattori competitividi area. Dall’altra si è assistito ad unasorta di rincorsa all’impegno di spesache magari dopo anni di progettualità– in cui, l’italica interpretazione dellagovernance multilivello ha fatto ilresto restituendo tavoli negoziali inter-minabili – ha lasciato poco spazio,tempo e risorse all’attuazione degliinterventi e, ancor meno, al monito-raggio e alla valutazione delle attività. Tale impostazione ha certamente valo-rizzato la pianificazione dal basso el’esperienza accumulata dalle cittànegli ultimi dieci anni, soprattutto gra-zie a strumenti di finanziamento per losviluppo urbano (si pensi a URBANpiuttosto che a EQUAL) ha fatto emer-gere rispetto al passato un rilevanteaumento della capacità istituzionale etecnica nell’elaborare progetti. Tuttaviaaltrettanto certa è stata la propensionea dare priorità a tipologie d’interventoeccessivamente localizzate, megapro-gettini, con una conseguente polveriz-zazione e frammentazione degli inter-venti. Del resto il principio che è pas-

Città e risorse comunitarie: una strada tutta in salitaWalter Tortorella*

attuativi. Basta andare in giro perl’Europa e notare che in molte cittànon solo si è speso nei tempi e neimodi previsti ma si è soprattutto spesobene. Strade, metropolitane, aeroporti,aree attrezzate, edilizia residenziale,autostrade informatiche, arredo urbanoal centro come in periferia. Si ha comela percezione, certamente non suffra-gata dai dati relativi al monitoraggiofinanziario della spesa, che dalle risor-se impegnate in Italia si sia riusciti acapitalizzare molto meno degli altri.Colpa nostra o merito altrui? Al di làdi una ormai diffusa sindrome dell’erbadel vicino (che è sempre più verde!),sono molte le città piccole, medie egrandi dell’Unione che hanno oggetti-vamente cambiato volto, che appaionopiù moderne, funzionali. Al contrariotraspare nel nostro Paese una difficoltàdell’intero sistema amministrativo adare risposte concrete ai bisogni deicittadini, trasformando così legittimeistanze in emergenze irreversibili –alloggi, mobilità, ambiente, sicurezza,immigrazione – spesso tanto piùaccentuate proprio in quelle realtà delPaese dove maggiore è stata la destina-zione delle risorse.Nella predisposizione degli interventi,le città hanno manifestato una certaabilità ad interpretare le dinamiche sulproprio territorio e disegnare iniziativecomplesse, combinando i diversi stru-menti di finanziamento nazionali edeuropei. A fare da contraltare a questacapacità, però, una meno chiara gover-nance interistituzionale dei processiprogrammatori che tenesse in debitoconto sia delle ricadute sovracomunali

Pur nella generale assunzione delruolo cardine delle città nell’agendapolitica europea, le valutazione ex postsul periodo di programmazione 2000-2006 appaiono complessivamente pocorassicuranti: quali responsabilità per ilpassato e quali impegni per il futuro?Fino alla metà degli anni novanta l’at-tenzione della Commissione europeaverso le città poteva dirsi decisamenteblanda sia riguardo il dialogo direttocon gli enti locali che la loro autono-mia programmatoria. Del resto, neiTrattati comunitari non c’è un chiaroriferimento ai temi della città: si parladi coesione, di sviluppo, di politicheregionali, evidenziando l’esigenza diriequilibrare i livelli di crescita dellediverse aree e territori, dei bisogni evi-denti della cittadinanza, ma con scarsiriferimenti espliciti alla dimensioneurbana. Nell’ultimo decennio, al con-trario, vuoi per l’acclamato principio disussidiarietà, vuoi per l’evidente esi-genza di conciliare le spinte autonomi-ste con una maggiore coerenza degliinterventi si rileva come le città stianodiventando pian piano un elementocardine della agenda politica europea.Nonostante ciò, e il generale consensoin Italia rispetto alla decisione di darerilievo nel passato periodo di program-mazione ai temi urbani per gli inter-venti nelle aree obiettivo 1 e 2, i risul-tati emersi dalla valutazione ex postappaiono complessivamente poco ras-sicuranti, facendo emergere una diffi-coltà programmatoria e gestionale, siadi Regioni che di Enti locali, a cuispesso si è associata una scarsa parte-cipazione dei privati nei processi

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Urbanistica INFORMAZIONI

che si prospetta è un nuovo ciclo diprogrammazione sul quale i comuni –per mezzo dell’Associazione NazionaleComuni Italiani – hanno già espressouna chiara e netta posizione(Programmazione 2007-2013, La posi-zione dell’ANCI, 21 aprile 2006), sotto-lineando l’esigenza di evitare il prolife-rare di procedure differenziate per l’at-tivazione dei Programmi Operativi e dinon incorrere nella frammentazionedella progettazione, promuovendo,invece, interventi sistemici. E questoperché non mancano le novità delnuovo ciclo e per le città, forse la piùsignificativa, appare l’eliminazione deiprogetti di iniziativa comunitaria dicanale diretto Commissione-Enti localie la promozione degli interventi urbaniall’interno della politica di svilupporegionale. La politica urbana rientracosì d’ufficio all’interno della politicaregionale: le Regioni, che secondo lapolitica di coesione restano le princi-pali autorità di gestione, sono invitatea identificare le priorità della loro poli-tica urbana nei loro documenti di pro-grammazione, le risorse e le città a cuiessa sarà indirizzata. Non solo ma laCommissione ha spinto le Regioni adelegare alle città la gestione deifinanziamenti necessari e ha incorag-giato gli Stati membri, responsabili delQuadro Strategico Nazionale, ad espli-citare la propria strategia per lo svilup-po urbano sia con riguardo alle areedella convergenza, sia a quelle dellacompetitività (si veda la Priorità 8“Competitività e attrattività delle cittàe dei sistemi urbani” del QSN).Insomma, si evidenzia la centralitàdelle agglomerazioni urbane per ilsistema paese in una logica di integra-zione e in un processo di sviluppo uni-tario che operi sulle tre dimensioni dieconomia, società e territorio. In que-sto contesto non appare peregrino dareluogo ad una concentrazione di inter-venti e risorse che trovino attuazioneattraverso pochi, grandi progetti di svi-luppo urbano e semplificando le formedi partenariato pubblico-privato sia alivello orizzontale (ossia tra comuni)sia a livello verticale (ossia tra diversilivelli di governo). Per questo motivo èimportante costruire e rafforzare unarete di città su politiche e progetti disviluppo urbano in ciascun ambito

consumo – sono contesti territorialiche possono prestarsi più di altri comeluoghi di sperimentazione per nuoviapprocci e strumenti di partnershippubblico-privato, essenziali alla cresci-ta del tessuto locale. Al contrario,invece, proprio l’insufficiente coinvol-gimento del capitale privato negliinvestimenti urbani ha rappresentatouno dei principali limiti della passataprogrammazione, dovuto sia ad unaatavica avversione al rischio rispettoalla compartecipazione a investimentipubblici sia alla difficoltà di motivare eattrarre i privati in interventi caratte-rizzati da eccessiva ripartizione. Glisforzi realizzati in tal senso in fase diprogrammazione degli interventihanno avuto, quindi, troppo spessorisultati incerti e marginali e le princi-pali schede di progetto, con i corri-spondenti piani finanziari, dimostranoche le voci certe di cofinanziamentosono state per lo più relative a inter-venti in regime d’aiuto dove la parteci-pazione del privato è obbligatoria.Alcuni interventi realizzati con finanzadi progetto non presentano una giusti-ficazione strategica o dettagli economi-co-finanziari che sottolineino il rag-giungimento del buon proposito futu-ro. Una delle spiegazioni evidenti delmancato interesse dei privati riguardasicuramente la certezza delle regolerispetto ai tempi, le risorse, gli iter pro-cedurali, in una parola le performancedell’amministrazione. Ma accanto aquesto, ciò che è spesso venuto meno,in particolare nella capacità tecnica-programmatoria delle amministrazioni,è la vision di realizzare programmi eprogetti in partnership con soggettiprivati locali, condividendone realmen-te obiettivi e fasi di attuazione. E, ineffetti, anche se in molti casi l’asse-gnazione delle risorse ha riguardatoprogetti plurisettoriali di aree e quar-tieri ben definiti, individuati dai comu-ni in base a valutazioni socioeconomi-che e di pianificazione urbana bottom-up, scarsa è stata l’attenzione sul pianodella concentrazione delle risorse e delcoordinamento degli interventi. Adesso si riparte e si ricomincia più omeno da dove ci si era fermati, anzi dadove si era solo rallentato di fronteall’impegno della riprogrammazioni deinuovi Fondi per il 2007-2013. Quello

sato è stato quello delle risorse scarse edegli attori pubblici locali in competi-zione tra loro per accaparrarsene il piùpossibile. Di qui l’esigenza di costruireun contesto di redistribuzione chefosse quanto più possibile trasparente,partecipativo e competitivo ma, evi-dentemente, troppo, al limite dellaparalisi decisionale e del frazionamen-to lillipuziano delle risorse, e, quindi,della scarsa efficacia di non pochiinterventi.Li dove, poi, il nervo è rimasto piùscoperto è sul fronte degli strumentigestionali. Non è un caso che propriorispetto a questi ultimi le amministra-zioni locali hanno conosciuto tra lemaggiori trasformazioni in termini diruoli, funzioni, sistemi di risposta, ser-vizi innovativi degli ultimi quindicianni. Lo sforzo è stato e continua adessere notevole soprattutto perché nellamaggior parte dei casi è cambiatamolto poco, rispetto forse a quello chesarebbe stato auspicabile, l’impalcaturagiuridico-normativa che sottende a taletrasformazione. Tra le diverse formuletrovate per qualificare e accelerare imeccanismi di spesa le agenzie di svi-luppo – nelle più svariate e fantasioseforme di compartecipazione pubblica –rappresentano senz’altro la strada piùbattuta e quella che per certi versi èapparsa quasi come l’unica percorribi-le. Il dilemma che ci si pone, però, è seil sistema di regole e strumenti attual-mente vigenti, che hanno già datoprova di scricchiolare abbondantemen-te, siano pronti a sopportare il nuovourto di oltre 122 miliardi di euro previ-sti per la politica di sviluppo e coesio-ne regionale nei prossimi sette anni.Oggi è difficile rispondere a questointerrogativo ma di certo, fin da ora,bisognerà rimettere mano proprio aglistrumenti gestionali – semplificando,concentrando e razionalizzando i cen-tri di spesa – e, soprattutto, di monito-raggio e valutazione, tanto più che lecittà si candidano a gestire direttamen-te una quota considerevole di talesomma.E i privati? In merito alla loro parteci-pazione ai processi attuativi va eviden-ziato che le città – per le loro econo-mie di scala, disponibilità di reti infra-strutturali, densità di popolazione econcentrazione di redditi, prodotto e

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A sottolineare la centralità del tema eper sostenere la tensione verso questiobiettivi, la politica aggiuntiva mette adisposizione risorse finanziarie di pre-mio, pari a 3 Mld di euro del Fas 2007-2013, che saranno assegnate alle ottoregioni del Mezzogiorno e al Ministerodella Pubblica Istruzione in base agliindicatori soddisfatti. Il funzionamentodel meccanismo premiale, gli indicatorie i valori target, definiti con un lungopercorso di partenariato con le Regionidel Mezzogiorno e le Amministrazionidi settore interessate (oltre al Ministerodell’Istruzione, che è anche direttamentecoinvolto nel raggiungimento degliobiettivi dell’Istruzione, il Ministerodella solidarietà sociale, il Dipartimentoper la Famiglia presso la Pcm, ilMinistero dell’Ambiente e il Ministerodella Salute), sono stati approvati dalCip del 3 agosto 2007.Per rafforzare la visibilità del sistema diincentivazione, assicurare un rapidoavvio delle attività necessarie per rag-giungere gli obiettivi e accrescere lamobilitazione sul territorio al consegui-mento degli obiettivi, la verifica finaledel 2013 è preceduta da una verificaintermedia fissata a novembre 2009. Pertenere in considerazione le diverse con-dizioni di partenza e l’adeguato oriz-zonte temporale per lo svilupparsi deirisultati, alla prima verifica del 2009, leamministrazioni saranno premiate sullabase del miglioramento registratorispetto alla situazione attuale di par-tenza (corrispondente al valore dell’in-dicatore nell’ultimo anno disponibile almomento in cui è stato fissato il target).Le risorse premiali ottenute dalle

I servizi per i cittadini delMezzogiornoMonica Brezzi e Francesca Utili*

La politica aggiuntiva per le aree inritardo di sviluppo, finanziata con lerisorse nazionali del Fondo aree sottou-tilizzate (Fas), con i Fondi strutturalieuropei e il loro cofinanziamento nazio-nale, considera cruciale per l’efficaciadelle politiche il miglioramento dell’of-ferta di servizi per garantire ai cittadinidel Sud uguali opportunità.Gli obiettivi selezionati nel Qsn per lapolitica aggiuntiva 2007-2013 per misu-rare l’effettiva capacità di cambiamentodelle condizioni di vita e benessere neiterritori interessati sono: innalzare ilivelli d’istruzione degli studenti e ditutta la popolazione; aumentare l’offertadi servizi per la prima infanzia e deiservizi socio-sanitari in favore dellepersone non autosufficienti, in partico-lare anziani, (favorendo cosi anche unalleggerimento del carico familiare chegrava principalmente sulle donne com-promettendo la partecipazione femmini-le al mercato del lavoro); migliorare ilservizio idrico e la gestione dei rifiutiurbani (nel quadro di uno sforzo mag-giore volto al miglioramento della qua-lità ambientale)**.Rispetto a questi obiettivi sono fissatitarget quantitativi che ciascuna regionedel Mezzogiorno si è impegnata a rag-giungere al 2013, sulla base di undiciindicatori statistici. Questi rappresenta-no standard minimi uguali per tutte leregioni per colmare il divario rispetto alCentro-Nord e garantire equità di acces-so ai servizi, in coerenza con obiettivinormativi posti dalle leggi o piani disettore e dai processi di coordinamentoaperto a livello europeo (strategia diLisbona).

regionale. Oltre che per il raggiungi-mento di una certa massa critica degliinvestimenti ciò è tanto più auspicabilein quanto le città trarrebbero beneficisostanziali per l’attuazione dei progetticonfrontandosi su problemi e soluzionisu temi tecnici, strategici e gestionaliquali ad esempio: struttura di gestionee amministrazione dei progetti; defini-zione di bandi per lavori pubblici,finanza di progetto, regime d’aiuto,etc.; strumenti di comunicazione,negoziali e contrattuali per partnershipcon il settore privato; analisi didomanda e strategie di sostenibilità pergli interventi finanziati. Diventa fondamentale, in ultimo, assi-curare un coordinamento forte e prag-matico con gli interventi finanziatinell’ambito di altre priorità del QSN,prima tra tutte la Priorità 10 che pro-muove, tra l’altro, lo sviluppo dellecapacità attuative e gestionali delleamministrazioni. È su questo puntoche si gioca per le città la sfida piùdelicata; dimostrare di essere capaci difare bene in un contesto che richiedeadeguatezza di competenze, senso diresponsabilità, unitarietà di indirizzo,cooperazione interistituzionale.

* Direttore Ricerche Cittalia-ANCI Ricerche.

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Urbanistica INFORMAZIONI

È quindi indispensabile la partecipazio-ne degli Enti locali sin dalla prima fase(che si conclude a marzo 2008), di pre-disposizione da parte delle Regioni deiPiani d’Azione per il conseguimentodegli obiettivi di servizio, affinché que-sti si fondino su una corretta analisi deifabbisogni e includano il necessariocoordinamento con la programmazionedi settore (piani di zona per l’integrazio-ne socio sanitaria, piani provinciali deirifiuti urbani, ecc), l’integrazione dirisorse finanziarie da fonti diverse e leazioni necessarie al conseguimento deitarget competenza degli Enti locali. La cooperazione tra Regione e Entilocali può essere rafforzata da meccani-smi premiali in capo alla Regione all’in-terno dello schema incentivante propo-sto, grazie anche alla disponibilità dirisorse finanziarie già alla verifica inter-media dell’anno 2009. Inoltre, il contri-buto degli Enti locali erogatori dei ser-

ta ovviamente comporta un’integrazionedi responsabilità e di risorse tra leamministrazioni che operano diretta-mente sul territorio. La condivisione degli obiettivi e lacooperazione tra la Regione, che parte-cipa direttamente al meccanismo diincentivazione, e gli Enti territorialipreposti all’erogazione dei servizi(Comuni, Province, ASL, Autorità diAmbito ecc.) sono quindi condizioninecessarie per garantire il successo delmeccanismo e il raggiungimento degliobiettivi. In particolare, le amministra-zioni comunali svolgono ruoli determi-nanti per i servizi selezionati: si pensialla funzione di indirizzo e di pro-grammazione svolta dai Comuni nelleAutorità d’Ambito per il servizio idricointegrato e per i rifiuti, e alle responsa-bilità per l’erogazione del servizio diasilo nido e di assistenza domiciliareintegrata agli anziani (Tab. 1).

Regioni al conseguimento dei targetsono destinate a investimenti nello stes-so settore; il meccanismo prevede, quin-di, la possibilità di ottenere nuovi fondigià dalla fine del 2009 per migliorarel’accessibilità e qualità di quei servizi.Nel 2013 sarà verificato il raggiungi-mento dei valori standard identici pertutte le regioni.

Cooperazione dei diversi livelli digoverno

Realizzare un meccanismo di incentiva-zione con target fissati direttamentesugli obiettivi finali della politica regio-nale rappresenta un elemento di note-vole innovazione anche rispetto a pre-cedenti esperienze della programmazio-ne comunitaria basate, invece, su obiet-tivi intermedi di costruzione delle capa-cità o miglioramento delle azioni dellaPubblica Amministrazione. Questa scel-

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Tab.1 – Indicatori selezionati per misurare gli obiettivi di servizio del QSN 2007-2013 e livelli di governo interessati

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regionale nazionale, pari a circa 8miliardi di euro. Per le regioni delCentro Nord, considerata l’esigua per-centuale di risorse rispetto alle regionidel Sud, non è stata data nessuna indi-cazione per l’allocazione delle stesse.Dalla lettura dei documenti program-matici regionali (Fesr) risulta che lerisorse4 destinate complessivamentedalle regioni italiane alle politiche perle città e i sistemi urbani per il 2007-2013 sono circa 5 miliardi di euro, il70% destinato alle regioni delMezzogiorno. A questi 5 miliardi, desti-nati direttamente alla priorità urbana,si aggiungono le risorse per settori(innovazione e ricerca, energia, mobili-tà...) che trovano attuazione in ambitourbano, pur essendo obiettivi specificidi altri assi. Una stima provvisoria, elaborata inbase alle assegnazioni indicative dellerisorse disponibili del Fesr per tipologiedi intervento, valuta che, nei prossimisette anni, alle città sarà destinato inmedia il 50% del totale delle risorse PorFesr, in totale 16 miliardi di euro5.La Tab. 1 illustra, attraverso giudiziqualitativi, il rilievo, nei singoli Por,della Priorità urbana o territoriale e ilpeso complessivo di tutti gli investi-menti previsti in ambito urbano. Inquesta ultima categoria rientrano sia lerisorse per la Priorità territoriale ourbana (la parte destinata ad ambitiurbani nel caso di Priorità territoriali)sia le risorse settoriali incluse in altrepriorità, ma destinate ad agglomeratiurbani. Con la dovuta cautela per ilsignificato di ‘assegnazione indicativa’che le regioni stesse fanno sulla desti-

Le scelte regionali per le cittàAnna Paola Di Risio*

Dalla lettura dei primi Por Fesr 2007-20131, per le macroarea “Competitivitàe occupazione” e “Convergenza”2,emergono scelte, orientamenti e deci-sioni della politica urbana.Quali sono le città che beneficerannodelle risorse della politica regionale perle aree urbane nel periodo 2007-2013?Quali le differenze tra Mezzogiorno eCentro Nord e nelle tematiche privile-giate di sviluppo urbano nei prossimisette anni? Esistono settori o azionidella politica unitaria con un impattourbano rilevante? Questo impatto èmisurabile? Domande che consentonodi individuare gli elementi interessantida seguire e monitorare nei prossimianni perchè capaci di produrre effettiaggiuntivi.

La dimensione finanziaria dellaPriorità urbana e territoriale

La politica regionale unitaria – che per-segue la missione di ridurre gli squilibriinterni – interviene, da un punto divista finanziario, in modo significativa-mente diverso nelle regioni delMezzogiorno, che gravitano su equilibridi sviluppo molto inferiori rispetto allamedia italiana, rispetto alle regioni delCentro Nord.Alle aree del Mezzogiorno, la politicaregionale per il 2007-2013 destina oltre100 miliardi di euro. Proprio in consi-derazione di tale impegno, la propostaè completata da un’indicazione pro-grammatica del riparto delle risorse fradieci Priorità: alla Priorità “competitivi-ta’ e attrattivita’ delle citta’ e dei siste-mi urbani” è previsto di destinare alme-no il 7,2% delle risorse3 della politica

vizi di interesse al raggiungimento degliobiettivi è anche direttamente ricono-sciuto nel meccanismo premiale; infatti,gli enti locali che dovessero aver rag-giunto nel 2013 gli obiettivi previsti daun meccanismo di incentivazione regio-nale potranno essere beneficiari direttidi una parte delle risorse finanziariepremiali qualora la Regione, in media,non avesse soddisfatto il target previsto.

Enti locali e cittadini

Il dibattito internazionale riconosce ilruolo centrale delle amministrazionilocali nel produrre anche equità e capi-tale sociale attraverso la fornitura deiservizi pubblici. I servizi erogati a livel-lo locale rappresentano spesso il primocontatto che i cittadini hanno con leattività dell’amministrazione pubblica;la capacità di quest’ultima a migliorarel’offerta e la qualità di servizi conside-rati essenziali per il benessere delle per-sone ha un effetto non solo sul giudizioche i cittadini si formano dell’operatodella pubblica amministrazione, ma sulvalore che le persone danno alla parte-cipazione democratica al governo delterritorio dove vivono.Una maggiore consapevolezza da partedei cittadini è essenziale per attivareuna domanda di servizi migliori e spin-gere verso una maggiore responsabiliz-zazione degli amministratori locali rela-tivamente ai risultati del loro operato. IComuni, e gli Enti locali in genere, sonopertanto chiamati a promuovere la par-tecipazione dei cittadini per sostenere ilraggiungimento dei risultati previsti. Inprimo luogo, mediante la rilevazionedei fabbisogni dei territori in relazioneai servizi selezionati. Ciò si rivela spessonon facile, soprattutto nelle aree arre-trate connotate da un adattamentoverso il basso delle aspettative dellepersone. Inoltre, attraverso la comuni-cazione delle regole, la trasparenza delleprocedure e dei progressi in corso ai cit-tadini. Si tratta quindi di individuare ilprocesso attraverso il quale i cittadinipossono domandare ciò di cui hannobisogno e ottenere ciò che domandano.

* Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimentoper le Politiche di Sviluppo e Coesione.** Informazioni sulle regole del meccanismo premialecollegato agli obiettivi di servizio e sui valori degli indi-catori sono disponibili sul sitohttp://www.dps.tesoro.it/obiettivi_servizio.

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Urbanistica INFORMAZIONI

ai fini dello sviluppo regionale. Sitratta di una scelta prevedibile: lerisorse, non ingenti, sono convogliatesu pochi assi di intervento e un’unicapriorità territoriale. In alcuni casi (leregioni alpine, ma anche alcune regio-ni del Centro come le Marche e ilMolise) la scelta è invece dettata dauna dimensione urbana non così rile-vante ai fini della crescita del territo-rio o comunque non percepita cometale. Le problematiche urbane cheemergono dall’analisi di contesto sonolegate principalmente a congestione dipersone e merci, e i settori di interven-to più ‘territorializzati’, che presentanouna rilevabile concentrazione di risor-se, sono ambiente, energia e mobilità. I temi più ricorrenti in agenda sono:lo sviluppo sostenibile urbano, soprat-tutto trasporto urbano pulito e rispar-mio energetico (Emilia Romagna,Piemonte, P.A. Bolzano), il migliora-mento dell’accessibilità alle aree urba-ne, in contesti urbani e peri-urbani(Lombardia, Lazio, Umbria, Liguria,Toscana) e, in secondo luogo e conaccezioni diverse, la riqualificazionedelle aree dismesse o degradate(Piemonte e Liguria). I principali obiet-tivi delle politiche per il territorio nonappartenente ad aree urbane, al Nordcome al Centro, sono invece incentratisulla promozione ambientale e cultu-rale a fini turistici (regioni alpine,Veneto). Nelle regioni del Nord, e non in modocosì prevedibile, considerato il ruolo‘manifatturiero’ delle sue aree urbane,sono invece escluse dalle dimensioniterritoriali dell’azione pubblica gliobiettivi e gli interventi per i sistemiproduttivi, che troviamo esplicitatisolo nelle strategie della RegioneToscana e in parte del Piemonte edelle Marche.Le regioni del Mezzogiorno hannoinvece identificato una priorità urba-na, che in realtà include ‘molto terri-torio’. I temi urbani prevalenti sonol’inclusione sociale (soprattuttoCampania), il potenziamento dei servi-zi (Sicilia, Campania, Molise, Abruzzo,Calabria) e la riqualificazione urbana(Puglia, Sardegna). La mobilità è unproblema sentito anche nelle regionidel Mezzogiorno e investimenti consi-stenti per il miglioramento del traspor-

priorità territoriale o di peso non cosìrilevante della priorità urbana, mamaggior peso degli investimenti setto-riali negli agglomerati urbani.

L’approccio territoriale e letematiche prevalenti

I Por Fesr, appartenenti all’obiettivoCompetitività e all’area Convergenza,hanno recepito molte delle indicazionicontenute nel Qsn e, soprattutto,hanno accolto nel complesso l’oppor-tunità di destinare una quota consi-stente delle risorse per le politicheregionali alla dimensione territorialedell’azione pubblica, al Nord quanto alSud. Il Centro Nord ha preferito unapproccio territoriale, che include nonsolo le aree urbane ma anche l’insiemepiù ampio delle realtà locali rilevanti

nazione delle risorse per ambiti, èimportante notare che, a un importanteinvestimento sulla Priorità urbana, nonnecessariamente corrisponde un grandeinvestimento sulle città. Esiste un grup-po di regioni (Liguria, Toscana,Campania, Umbria) che fa una sceltadecisa verso la ‘territorializzazione’delle risorse e ne destina una partemolto rilevante ad ambiti urbani.All’altro estremo, c’è un altro insieme(Lazio, Lombardia, Veneto, ma ancheMarche, Friuli Venezia Giulia), chesegue la direzione opposta: scelte moltosettoriali, ‘poca città’. Esistono peròmolti casi di un asse urbano o territo-riale forte, ma relativamente bassoinvestimento sulle città, Piemonte,Sardegna, Calabria, Basilicata6, Molise,e situazioni interessanti, EmiliaRomagna, Sicilia, Puglia, di assenza di

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Tab. 1 – Por Fesr 2007-2013: peso finanziario della priorità urbana o territoriale e peso comples-sivo degli investimenti previsti in ambito urbano

* la stima è ricavata dalla percentuale delle risorse destinate alla priorità urb/terr sul totale delle risorse Por/Fesr** la stima è ricavata dall'assegnazione indicativa delle risorse disponibili Fesr sull'Asse prioritario e sulle tipologie diintervento in ambito urbano

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spazio regionale, è condizionato dauna forte connessione dei distrettiindustriali con il sistema urbano. LaRegione – con una consistente concen-trazione di risorse territorializzate, il24% e fino al 70% di investimenti pre-visti nelle aree urbane – si propone diattuare una ben delineata strategia disviluppo urbano integrato.Le tre regioni del Sud (Puglia,Sardegna e Sicilia) con importanti areemetropolitane destinano complessiva-mente più di 1.500 milioni di euro allapriorità urbana, mentre le altre regioniitaliane, che hanno centri urbaniimportanti, al Nord quanto al Sud(Friuli Venezia Giulia, Umbria, Marche,Abruzzo, Calabria, Basilicata), convo-gliano in tutto 800 milioni di euro sulterritorio, con un ‘peso urbano’ più omeno rilevante a seconda delle scelte ecaratteristiche della regione di apparte-nenza.

Conclusioni

Dall’analisi dei Por emerge, dunque,l’immagine di una realtà urbana carat-terizzata da una piramide fortementeallargata verso il basso fino ad inclu-dere le città o i sistemi territorialimaggiori di 50mila abitanti12. Nei pros-simi sette anni, beneficeranno quindidi risorse ‘urbane’ i comuni capoluogoe molti sistemi territoriali, individuati avario titolo, per dimensione aggregata,come poli di sviluppo, per appartenen-za alle aree metropolitane. Delle risorsedestinate alla priorità urbana o territo-riale, una quota che appare consistentesembra proprio destinata ai sistemiurbani che, nel Mezzogiorno, vanno asovrapporsi – o a intersecarsi – inmolti casi ai sistemi locali di sviluppo.Saranno in ogni caso i criteri di sele-zione, che i Comitati di sorveglianzahanno il compito13 di esaminare edapprovare entro sei mesi dall’approva-zione del Programma operativo, a ren-dere possibile la verifica di coerenzadei suddetti criteri con gli obiettivi delPor e potranno contribuire in mododecisivo al raggiungimento dell’obietti-vo di concentrazione degli interventinella dimensione territoriale della pro-grammazione. La partita della concen-trazione – e della competizione perl’accesso alle risorse – si sta però già

tenenza. Avviene però un trasferimen-to di risorse su progetti o semplice-mente su linee di intervento9. Lo sviluppo urbano della RegioneCampania10, a cui appartiene la terzagrande area metropolitana italiana, hainvece un peso rilevante nella strategiaregionale complessiva. Punta, però, albilanciamento degli squilibri territoria-li: meno del 20% delle risorse11 è desti-nato, ad oggi, all’area metropolitana diNapoli. Gli altri sistemi urbani chepotranno avere accesso ai finanzia-menti sono le città medie e i sistemiurbani minori con eccellenze o poten-zialità peculiari di sviluppo. Le città in crescita del Nord Italia (l’e-stesa rete urbana della pianura padanacentro orientale: Veneto, EmiliaRomagna e parte della Lombardia) nonsono obiettivo di politiche regionalidichiaratamente urbane. Il Veneto negala necessità di operare una concentra-zione geografica e tematica. L’EmiliaRomagna non adotta un approccio disviluppo urbano in senso stretto, e sce-glie un approccio sistemico (non allascala delle singole città). Caratteristicaprincipale di queste città è, infatti,quella di beneficiare del proprio terri-torio, delle proprie province.L’approccio sistemico trova, quindi,giustificazione in quest’ottica. Non esi-ste un’asse urbano ma il Por Fesr con-centra ben l’80% delle sue risorse inambito urbano e delega come organi-smo intermedio le Province e non iComuni. Le altre regioni del Nord con impor-tanti aree metropolitane, Piemonte eLiguria, adottano, come criteri per laselezione delle aree urbane, il degradoambientale e il disagio sociale. IlPiemonte – dove prevalgono netta-mente gli investimenti per l’economiadella conoscenza – destina agli agglo-merati urbani meno del 50% del totaledelle risorse Fesr, mentre la Liguriaprevede, unica regione del Nord, unapriorità tutta urbana cui destina il 25%delle risorse complessive, dedicata allariqualificazione e al miglioramentodell’accessibilità e dell’ambiente.Lo sviluppo urbano in Toscana, chevanta un importante sistema metropo-litano caratterizzato dalla concentra-zione delle attività produttive e resi-denziali su una porzione ridotta dello

to pubblico sono previsti nei maggioriagglomerati urbani, Napoli e Palermo,ma anche in Puglia e Basilicata. L’obiettivo ‘più alto’ del Qsn, l’attra-zione di investimenti per la ricerca ela produzione tecnologica e la diffu-sione di servizi avanzati, è presentesolo in alcuni programmi regionali, inToscana e in alcune regioni delMezzogiorno, qui però descritto comeintento programmatico e non semprearticolato in obiettivi operativi7. Vacomunque considerato che questotema è inserito da molte regioni (vediPiemonte) nella strategia regionale perRicerca, Sviluppo e Innovazione, conun asse dedicato e un impatto urbanocomunque rilevante. In ogni caso valela pena di sottolineare che questoobiettivo, ancorché auspicabile, non sitraduce facilmente in interventi realiz-zabili e può intendersi principalmentecome capacità che esso dovrebbegenerare nel territorio.

Le città nei Por

Dall’analisi dei programmi operativiemerge invece, con una certa eviden-za, che gli obiettivi più espliciti dellepolitiche urbane, al Nord quanto alSud, sono rivolti prevalentemente alperseguimento della qualità e abitabi-lità delle città e dei sistemi urbani.L’obiettivo principale delle strategiedelle politiche regionali in ambitourbano, che si evince dalla lettura deiPor, al Nord, al Centro e al Sud, sem-bra essere l’intera armatura urbanaitaliana, rappresentata da un sistema apiù centri interconnessi, da un insiemedi città piccole e medie in cui lo stessocapoluogo regionale assume un profilodi complementarità e tende a configu-rarsi secondo un modello non gerar-chico o di espansione diffusiva8. Le due principali città italiane, Roma eMilano, non rappresentano apparente-mente una ‘priorità urbana’ per leregioni di appartenenza. Ciò nonsignifica che alle città più grandid’Italia non siano destinate risorseregionali, ma solo che non esiste unastrategia regionale dichiarata per que-ste città e il peso politico ed economi-co dei grandi comuni metropolitani èpreponderante o perlomeno confronta-bile con quello della regione di appar-

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vamente 75.127 abitanti) ma, anche, l’AreaMetropolitana di Napoli o il sistema urbano diffusodell’Emilia Romagna.13. Regolamento (Ce) n. 1083/2006 (articolo 65).14. I ‘ servizi’ individuati dalla Regione Campaniainvestono molti importanti, ma ‘difficili’, settori, erischiano di rendere difficilmente gestibile il processoinnovativo avviato.15. Servizi essenziali e obiettivi misurabili: il Qsn2007-2013 individua quattro tipologie di serviziessenziali (istruzione, servizi di cura per l’infanzia eper gli anziani, gestione dei rifiuti urbani e servizioidrico integrato) e fissa un meccanismo premiale perincentivare le Amministrazioni regionali a raggiunge-re entro il 2013 target quantificati, stabiliti attraversoun processo decisionale condiviso. Il meccanismo pre-vede l’accantonamento di una percentuale delle risor-se finanziarie destinate alla politica regionale unitariaper il settennio 2007-2013. Le risorse dedicate al mec-canismo incentivante per gli obiettivi di servizio sonoa valere sulle risorse Fas per il 2007-2013.Orientativamente l’ammontare di risorse dedicate almeccanismo di incentivazione per gli obiettivi di ser-vizio sarà pari a circa 3 Mld di euro. Tali risorsesaranno assegnate alle Amministrazioni solo al rag-giungimento degli obiettivi di servizio in proporzionealla dotazione totale assegnata a ciascunaAmministrazione. Al mancato raggiungimento di unoo più target di servizio corrisponde la non attribuzio-ne della corrispondente quota di risorse.

tavia contribuiscono fortemente a con-notare un’area come più o meno svi-luppata (Cfr. p.168 del Qsn.) – saràimportante perseguire, a tutti i livelliistituzionali, il miglioramento dell’of-ferta pubblica di servizi al cittadino,sia come base che come obiettivo disviluppo.

* Consulente UVAL-DPS.

Note1. Por adottati al 15 novembre 2007: Campania,Abruzzo, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche,P.A. Bolzano, P.A. Trento, Piemonte, Toscana, Umbria,Valle d’Aosta, Veneto, Emilia Romagna, Friuli VeneziaGiulia, Liguria, Lombardia. Gli altri programmi opera-tivi sono in corso di adozione.2. Alla macroarea Convergenza appartengonoCampania, Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata, men-tre le altre Regioni e province autonome rientranonell’obiettivo Competitività e Occupazione.3. L’allocazione programmatica considera oltre 84miliardi di euro derivanti dall’ammontare complessivodelle nuove risorse Fas 2007-2013 stanziate per ilMezzogiorno (al netto della riserva Fas di oltre 17miliardi di euro, che non è considerata nell’allocazio-ne programmatica alle priorità e che include – oltre auna riserva di programmazione vera e propria – lequote destinate ai meccanismi incentivanti a supportodel raggiungimento degli obiettivi di servizio, di cuial par. III.4) e le risorse dei Fondi comunitari (inclusi-vi di una stima del cofinanziamento nazionale).4. Le risorse in questione comprendono, al momento,il contributo europeo e il cofinanziamento nazionale enon considerano le risorse nazionali del Fas, ancorain corso di programmazione.5. Per avere una visione complessiva delle risorsedella programmazione regionale unitaria, si devonoaggiungere le risorse destinate ad ambiti urbani delFse e del Fas.6. Il dato della Basilicata potrebbe risultare tale pererrore nell’inserimento nel Por delle assegnazioniindicative.7. Nei criteri di selezione individuati finora da alcuneAutorità di Gestione è indicato genericamente, comecriterio di valutazione, il livello di innovatività nell’e-rogazione dei servizi.8. Por Fesr Regione Toscana.9. La Regione Lazio non ha un asse urbano né territo-riale, ma destina 270 mln di euro (il 30% delle risorsePor) all’accessibilità urbana dell’area romana finan-ziando, nello specifico, il completamento della linea Cdella metropolitana. La Lombardia non ha un’asse ter-ritoriale e assegna solo il 25% delle risorse Fesr alladimensione urbana, principalmente nei settori energiae mobilità. Le indicazioni contenute nel Por, confer-mate nei primi documenti dei criteri di selezione,sembrano privilegiare le aree deboli del territorio.10. La Campania convoglia nella priorità urbana1.505 mln di euro di investimento, un terzo dellerisorse urbane della politica regionale dell’intero terri-torio nazionale e destina il 65% delle risorse comples-sive del Por Fesr a settori di diretto intervento inambito urbano.11. Queste sono le risorse assegnate alla progettazioneintegrata per Napoli ma il negoziato è ancora in corsoe il Comune di Napoli sta avanzando richieste di ulte-riori stanziamenti per la città.12. Il ‘sistema urbano’, in quanto definito tale dallaregione di appartenenza, è inteso con accezioni esignificati diversi: è considerato sistema urbano l’AreaUrbana di Corigliano-Rossano in Calabria costituitada Corigliano Calabro e Rossano Calabro (complessi-

giocando in alcune regioni e, princi-palmente, a livello di selezione deisistemi urbani. La Regione Piemonte attua, per la pro-gettazione integrata territoriale, unaforma di negoziazione Città-Regione,che prevede che i comuni si associnoin non meno di 50.000 abitanti e con-corrano, attraverso l’elaborazione diprogetti e con risorse proprie di cofi-nanziamento, all’accesso alle risorse. La Regione Campania prevede la sub-delega per le città con più di 50milaabitanti e accordi di reciprocità conl’indicazione di un meccanismo seletti-vo che condiziona l’accesso ai finan-ziamenti all’adeguamento a determinatilivelli di servizio al cittadino14. Nelleregioni del Mezzogiorno, infatti, isistemi di selezione potranno essereindirizzati anche per favorire il rag-giungimento dei target di servizio, peri servizi minimi essenziali15, nei settoridove saranno identificate potenzialitàdi intervento. È proprio nella capacità di gestire que-sti processi, appena accennati, e nelraggiungimento di un buon livello diinterazione tra regioni e città, chebisognerà ricercare, nei prossimi anni,risultati nel campo delle innovazioniistituzionali e nelle nuove strategie perlo sviluppo locale. Sarà interessanteseguire lo sviluppo, che sembra appe-na delinearsi, di un duplice meccani-smo di accesso alle risorse basato daun lato sulla qualità ed efficacia delprogetto – laddove esistono ammini-strazioni efficienti, capacità progettua-le ed effettiva concorrenza sulle risor-se (poche) – e dall’altro sul raggiungi-mento di un buon livello di servizi –laddove è più utile promuovere unabuona amministrazione locale e il rag-giungimento di migliori livelli di citta-dinanza. La determinazione di obiettivispecifici e di un sistema premiale suiservizi pubblici essenziali potrà avereun impatto rilevante soprattutto inambito urbano. Per le città delMezzogiorno, laddove è più evidentel’inefficienza dei servizi collettivi, chesono a valle di investimenti in infra-strutture (acqua, rifiuti..) e dei servizisocio-assistenziali o di istruzione eformazione – che non sono diretta-mente riconducibili a interventi infra-strutturali in senso stretto, ma che tut-

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sistematizzazione delle progettualitàin corso, con il fine di costruire e sta-bilizzare il quadro di coerenza territo-riale delle forme di sviluppo in atto edi orientare le future scelte di pro-grammazione territoriale (Catania,Sant’Agata di Militello) e, in alcunicasi, di pianificazione urbanistica(Sant’Agata di Militello, TerminiImerese, Erice, Licata, Ragusa,Augusta, Paternò) e pianificazione ter-ritoriale (Ragusa). In determinati contesti (Ragusa,Comiso e Modica da una parte;Siracusa, Augusta e Avola dall’altra),si prefigurano specifiche esigenze dicoordinamento tra le diverse propostedi piano strategico che vengono una-nimemente attribuite al sovraordinatolivello amministrativo provinciale.In altre esperienze vengono rilanciatiil livello e le funzioni metropolitane:nel caso di Catania, i comuni limitroficondividono le strategie di sviluppocon il capoluogo etneo, mentre nelcaso di Palermo, i comuni di Monrealee Termini Imerese tendono a svinco-larsi dagli indirizzi strategici del capo-luogo, proponendo piani autonomisecondo modalità organizzative giàsperimentate nelle precedenti esperien-ze dei Pit. La coerenza interna tra le differentiazioni, orientata al rafforzamento delpartenariato e all’ampliamento dellacondivisione degli obbiettivi di svi-luppo territoriale, viene, solitamente,affidata al coordinamento generaledell’ufficio di piano strategico istituitopresso il comune capofila e all’azionedelle singole unità operative locali di

L’esperienza sicilianaVincenzo Todaro*

La necessità di un livello sovralocaleflessibile, di riferimento che, superan-do la dimensione urbana, guardi aquella intercomunale nell’ottica del-l’attivazione di processi di sviluppo ecompetizione dei sistemi territorialilocali, sottolinea il tendenziale raffor-zamento della loro coesione interna el’aumento della competitività esterna.Le esperienze pregresse di networkingavviate con le politiche urbane e terri-toriali degli anni ‘90, costituiscono intal senso un patrimonio indispensabileche induce i sistemi territoriali localiimpegnati nella sperimentazione aconsiderare il piano strategico comeuno strumento di governance orizzon-tale che, in relazione agli accordi sot-toscritti tra i comuni, tende semprepiù a configurarsi come stabile dalpunto di vista istituzionale. La quasi totalità delle proposte finan-ziate provengono, infatti, da territoriorganizzati sotto forma di “sistemi disviluppo locale” definiti già a partiredalla diffusione dei programmi com-plessi di livello territoriale, tra i qualii Pit (Progetti integrati territoriali)(Catania, Sant’Agata di Militello,Sciacca, Erice, Licata, Ragusa,Monreale, Partinico, Favara, Avola,Paternò), i Prusst (Catania, Monreale,Avola, Paternò), i Patti territoriali(Catania, Comiso, Erice, Licata,Monreale, Partinico), i Leader (Erice,Paternò), il Progetto integrato regio-nale “Reti per lo sviluppo locale”(Augusta, Avola)2. Nella maggior parte delle esperienze,infatti, il piano strategico si configuracome uno strumento di raccordo e di

L’esperienza della pianificazione stra-tegica in Sicilia è stata avviata nel2004 attraverso bandi pubblici emessiin attuazione della delibera Cipe20/2004 e riproposti nel 2005 a segui-to della delibera Cipe 35/20051. Nelripartire le risorse per interventi inaree deboli, sono stati erogati contri-buti con i fondi della Riserva areeurbane (Rau) costituita all’interno delFas per finanziare, nelle città e nellearee metropolitane del Mezzogiorno,la realizzazione di piani strategici. Sitratta di strumenti orientati a offriremigliori condizioni “ambientali”(dotazione infrastrutturale, servizi,qualità del contesto socio-economicoe culturale) per attrarre investimenti,che puntano alla ri-territorializzazionestrategica dei sistemi locali nell’otticadella ricomposizione della dicotomiatra obiettivi di riequilibrio e di cresci-ta competitiva (Regione Siciliana,2007).

Caratteri strutturali

In Sicilia, come nel resto delMezzogiorno, le esperienze di pianifi-cazione strategica rientrano tra quei“processi induttivi” di sviluppo delterritorio promossi con finanziamentipubblici e, non di rado, esito dell’evo-luzione della programmazione com-plessa. Per tentare di individuarelineamenti di specificità nelle propostedi piano strategico ammesse a finan-ziamento che stanno interessandol’attuale fase di sperimentazione, èpossibile, al momento, avanzare dueordini di riflessioni su: la dimensionesovralocale; e l’approccio “reticolare”.

A sud delle politiche urbane

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pianificazione territoriale, il fenomenodella pianificazione strategica d’areavasta in Sicilia assume certamente uncarattere paradossale in quanto si inse-risce in un contesto territoriale nelquale non è mai stato approvato ilPiano urbanistico regionale (Pur), men-tre delle nove province siciliane, chepure hanno avviato i processi di piani-ficazione territoriale4, solamente quelladi Ragusa è in possesso di un pianoterritoriale provinciale. Lo stesso livelloamministrativo e pianificatorio metro-politano, la cui opportunità parrebbeconfigurarsi anche in alcuni piani stra-tegici (Catania), pur essendo stato indi-viduato a partire dalla Lr 9/1986, difatto non è mai stato realmente attiva-to, disattendendo la necessaria dimen-sione sovracomunale e intercomunaledi governo di determinati fenomeni edei relativi contesti territoriali.A partire dalle suddette considerazio-ni, appare chiaro come il rilanciodella dimensione sovralocale di gover-no delle politiche di sviluppo locale,se da una parte viene esplicitamentemanifestata attraverso le forme diaggregazione di cui anche questinuovi piani si fanno interpreti, dall’al-tra rischia di essere esclusivamenteaffidata ad uno strumento program-matico quale è il piano strategico.Perché l’esperienza di pianificazionestrategica d’area vasta in corso non sitraduca in una illusione, o quel che èpeggio in un danno per il territorio,appare sempre più necessaria la ricu-citura del dialogo tra pianificazioneurbanistico-territoriale e programma-zione economica.

*Dottore di ricerca Università degli Studi di Palermo.

Note1. In attuazione della delibera Cipre 20/2004 sonostati ammessi a finanziamento i seguenti piani stra-tegici d’area vasta: Catania, Comiso, Erice,Sant’Agata di Militello, Sciacca, Termini Imerese. Inattuazione della delibera Cipe 35/2005 i piani di:Augusta, Avola, Castelvetrano, Favara, Licata,Monreale, Partitico, Paternò, Ragusa.2. Fa eccezione il piano strategico avente comecapofila il comune di Favara che per l’aggregazionedei comuni ha individuato criteri funzionali e rela-zionali differenti rispetto a quelli sperimentati inprecedenza dai Pit. 3. La legge urbanistica regionale risale al 1978 (Lr71/78). 4. Tra queste, le Province di Catania, Enna e Trapanihanno definito lo Schema o Progetto di massimasecondo gli indirizzi della Circolare A.R.T.A. n. 1-21616/D.R.U./S.1.

raccordo tra la dimensione comunalee quella sovralocale. In riferimentoagli ambiti tematici che caratterizzanogli obiettivi specifici dei piani ritro-viamo:- il miglioramento e potenziamentodell’efficienza della macchina ammi-nistrativa (Termini Imerese, Erice,Licata, Sciacca, Favara, Paternò);- l’integrazione con le politiche diconservazione dell’ambiente (Ragusa)e in alcuni casi con le procedure diVas, riferite, in particolare, alla piani-ficazione urbanistica (Sant’Agata diMilitello);- il potenziamento dell’armaturainfrastrutturale e il miglioramentodella mobilità (Catania, Comiso,Ragusa, Augusta);- l’integrazione sociale (Comiso);- la ri-territorializzazione delle econo-mie locali e l’allineamento delle poli-tiche di filiera relative al settore agro-alimentare (Licata, Ragusa, Partinico,Avola) e al turismo (Sant’Agata diMilitello, Comiso, Ragusa, Favara,Castelvetrano).

Elementi di criticità

Nonostante il clima di tendenzialefiducia costruito intorno alle esperienzedi pianificazione strategica in Italia, ilfenomeno assume in Sicilia un valoreparadigmatico, soprattutto in relazionealle modalità di sperimentazione e allecaratteristiche del contesto territorialenel quale si manifesta. In assenza di una normativa regionaleaggiornata in materia di governo delterritorio3, i piani strategici rimangonostrumenti non normati, in cui l’auten-ticità del carattere volontaristico, chetradizionalmente contraddistingue lealtre esperienze, appare messa in dis-cussione dal meccanismo dei bandi edei finanziamenti pubblici. Tale con-dizione rischia di spostare l’attenzionedall’obiettivo di lungo termine (lo svi-luppo del territorio) all’obiettivoimmediato (l’ottenimento del finanzia-mento), traducendo la “visione inte-grata di lungo periodo” in una mera econtingente strategia opportunisticache ripropone il modello di sviluppo“a macchia di leopardo” di territori“forti” e territori “deboli”.Inoltre, in relazione al quadro della

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Paesaggidella montagna umbraA cura di Sandra camicia

Nell’ambito del Progetto europeo LOTO(Landscape opportunities for territorialorganization), la Regione Umbria cogliel’opportunità per approfondire ed indi-viduare indirizzi di metodo e strumentioperativi attraverso cui governare letrasformazioni paesaggistiche, al fine digarantire la conservazione e valorizza-zione dei caratteri identitari più rilevan-ti del territorio.Particolarmente curato l’apparato ico-nografico di questo volume nel qualeemerge il percorso tracciato dalle foto-grafie “monumento” di Guido Guidi.

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una finestra su:

Nel nuovo quadro, di quali strumentidisponete per orientare e verificare iprogetti presentati dai developerlprivati?Una recente innovazione legislativa hariconosciuto che il CompulsoryPurchase, disponibile da tempo peracquisire i suoli in base a piani urba-nistici di dettaglio, possa essere colle-gato alla rigenerazione fisica ed eco-nomica; non quindi per un programmadi dettaglio, ma nel quadro del cam-biamento per l’area. Nel nostro caso,abbiamo prodotto una “area planningguidance” che definisce la visione perestendere il centro urbano con unchiaro impegno verso la qualità ed ilrispetto per il contesto storico dell’a-rea. Abbiamo agevolato i proprietariche operassero su propri terreni inaccordo con le previsioni, in sintoniacon le nostre linee-guida e con uncalendario concordato, a condizioneche cedessero la proprietà dopo unperiodo di 999 anni. Il documentolegale usato per formalizzare questeintese ha coperto i requisiti per l’ap-provazione dei piani di progetto, diuso, ecc. (tutti rapportati alle nostrelinee guida). Potremo rivendere i terre-ni a dei developer che si dimostrino ingrado (finanziariamente e nei tempi) diottenere il tipo e la qualità delle ope-razioni che l’amministrazione vuolevedere realizzate. Proprio perché laproprietà del terreno appartiene al set-tore pubblico, la promessa a venderepuò essere usata per assicurare che laqualità desiderata sarà ottenuta e,visto che la concessione a tempo ècondizionata, questo vuol dire che se

a cura di Marco Cremaschi

Rigenerazione urbanaa ManchesterDavid Fanfani*, Carlos Machadoe Moura*

Intervista a Lyn Fenton,Management Director delle agenziepubbliche (Ancoats Urban Village eNew East Manchester).

Per affrontare il declino e il degradourbano, le città inglesi possono far levasu di un sistema di pianificazione flessi-bile, su programmi e piani di rigenera-zione urbana, e su partnership pubblicoprivato. Inoltre, i poteri di regioni eautonomie locali (District, County,Comunity, Parish) sono stati consolidatinel 2004 dalla emanazione del Planningand Compulsory Purchase Act.

Quali sono stati i problemiall’origine della politica dirigenerazione urbana a Manchester?La città stava affrontando un massicciodeclino strutturale risultante dalla per-dita della sua base manifatturiera.Questo ha condotto a diverse conse-guenze negative: la riduzione dellapopolazione, specialmente tra i lavora-tori qualificati ed economicamenteattivi; la perdita di opportunità dilavoro; l’abbandono dei terreni; l’im-poverimento dell’ambiente; nonché lariduzione dei servizi per la salute el’aumento dell’abbandono scolastico,conseguenze negative aggravate dauna grande dipendenza dai sussidipubblici e scarsi investimenti privati.

Fra le città di più anticaindustrializzazione d’Europa,collocata al centro della regione piùpopolosa dell’Inghilterra, interessatain passato da pesanti fenomeni didisurbanizzazione e declino socioeconomico, Manchester rappresentaun punto di osservazione peculiaredelle innovazioni del planninginglese. Infatti, la ‘rigenerazione’ della cittàsi accompagna a profondicambiamenti nel sistema locale dipianificazione. Un processo iniziatonel 1985 che si è concluso nel 2004con l’entrata in vigore dei LocalDevelopment Framerworks (LDF),strumenti di piano molto innovativi. Anche nella riqualificazione deiquartieri industriali sono statesperimentate linee guida moltoavanzate rispetto alla situazioneitaliana, nonché specifici strumentidi esproprio. Se questo è un puntoirrisolto, elementi simili a quelliinglesi si trovano nelle più recentileggi regionali, tanto che ci sipotrebbe attendere in futuroun’evoluzione in un direzione simileai LDF.

Manchester

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rispondere, poiché è la meno tangibile.La cosa principale è dare ai partnerprivati la convinzione che stanno par-lando con le persone che possono rea-lizzare gli impegni presi dal settorepubblico e che ci saranno meno pro-blemi di burocrazia se si confrontanocon quella organizzazione.Nel Regno Unito, sono state utilizzatenegli ultimi 25 anni speciali organizza-zioni operative paritetiche con ilcomune o con altre autorità. Così sonnate le Urban Development Companies,City Challenge Bodies, Housing ActionTrusts, Urban Regeneration Companies,New Deal for Community, City develop-ment Companies. Nel tempo, le siglesono cambiate, ma la caratteristicadistintiva è rimasta il focus sulla rige-nerazione di una ben definita areageografica. La maggioranza dei fondiper le organizzazioni proviene dal set-tore pubblico (locale, nazionale, fondieuropei per lo sviluppo regionale); mala maggioranza degli investimenti nel-l’area verrà poi probabilmente dal set-tore privato. Queste organizzazioniintermedie sono viste dagli investitoricome “separate” dalla amministrazionelocale, e di conseguenza meno buro-cratiche! Garantiscono un luogo in cui

Malgrado il forte ruolo pro-attivodell’attore pubblico, uno dei punti diforza della vostra esperienza, sembraessere la partnership pubblicoprivato. Nel caso di East Manchestered in particolare di Ancoats UrbanVillage di quali strumenti e formeorganizzative vi siete avvalsi perstrutturare tale aspetto?

Questa è la domanda più difficile a cui

certi criteri di qualità non sono rag-giunti, l’acquisto non procede. La forma più estrema di questo mec-canismo è la modalità che prevedeche l’intero intervento sia costruitosotto autorizzazione, e la cessioneavvenga solo quando l’operazione èconclusa. Questo non lascia il develo-per totalmente esposto, visto che dis-pone di un contratto che gli assicurail passaggio di proprietà al termine illavoro. Certamente questi documentilegali sono complessi: debbono soddi-sfare le banche, i developer, e i finan-ziatori, e assicurare che il progettopossa andare avanti. Oltre alla “plan-ning guidance” per l’area, produciamodirettive sintetiche di sviluppo specifi-che per terreni in offerta sul mercato.Queste direttive raccontano con gran-de dettaglio ciò che aspettiamo diottenere con l’intervento in quelluogo, aggiungono un livello di detta-glio addizionale alla guidance.Quando valutiamo le proposte deideveloper, le misuriamo anche sullaloro coerenza con le direttive e pos-siamo rifiutarle se non sono conformi,indipendentemente della propostafinanziaria associata. È uno strumentomolto utile quando viene ben usato.Quello che non facciamo, invece, èprogettare esattamente come l’inter-vento debba essere: lasciamo tutto lospazio possibile al developer, mentreassicuriamo che otterremo ciò chevogliamo per quel luogo.

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invece, è come “fare un salto”. E’ pos-sibile anche fornire commenti scritti inmodo anonimo, lasciando commentiscritti in una grossa scatola. Non insi-stiamo su nomi ed indirizzi, ma sequesti sono indicati li prendiamo e cer-chiamo di rispondere ai loro commenti.Le newsletter sono utili per aggiornarele persone sugli eventi. In aggiunta,poiché Ancoats è un’area di valore sto-rico, una volta l’anno c’è un giornoaperto in cui la gente può visitare l’a-rea ed alcuni edifici non aperti al pub-blico normalmente. Ciò crea un grandeinteresse e genera orgoglio nei residen-ti locali, che aiutano anche per le visi-te. In new Islington, negli ultimi treanni, abbiamo tenuto un festival, cele-brando ogni volta i progressi fatti nellarealizzazione e fornendo modi di infor-mare la gente attraverso una celebra-zione. Importante, sia per Ancoats cheper New Islington, è l’uso dei siti webche consentono di comunicare inmaniera efficace i progetti e di intera-gire con la popolazione.

Quali sono stati i punti di forza e lecriticità principali del processo dirigenerazione urbana? Niente può valere quanto la passione.Questo lavoro trova molti ostacolilungo la strada, e se non c’è la passio-ne non si superano i tempi difficili enon si mantiene l’ottimismo per ciòche di buono può essere ottenuto. Cidovrebbe essere un gran senso delloscopo all’interno dell’organizzazione euna percezione realistica delle scaden-ze. Da fuori, può sembrare che il cam-biamento sia stato ottenuto alla svelta:le persone non si ricordano mai deilunghi tempi in cui niente si muove.Ho cominciato a lavorare ad Ancoatsnel 1998, e fino al 2004 non ci sonostati cambiamenti evidenti. Ci sonostati tempi molto demoralizzanti primadi questa fase di slancio.

* Ricercatore, Dipartimento di Urbanistica ePianificazione del Territorio, Facoltà di Architettura,Firenze.** Architetto, Consorzio trasformazioni urbane UrbanS.p.A., Prato.

Note1. Nel sistema britannico, il developer è un’organizza-zione del settore privato che dispone delle risorse tec-niche, finanziarie e legali per avviare e compiere leattività immobiliari e preparare i luoghi per l’uso resi-denziale e commerciale.

Lo staff deve essere caratterizzato dauna varietà di competenze per assicu-rare che non sia un “mini-comune”.Deve essere in grado di parlare il lin-guaggio del settore privato, di com-prendere le sue finalità ed obiettivi, edi definire chiaramente e concisamentequali sono gli obbiettivi della organiz-zazione di facilitazione. Chiarezza edonestà sono di fondamentale importan-za: per esempio, se un progetto non hai requisiti per essere approvato, ilmomento di trasmettere questo mes-saggio è appena questo si è deciso, nondopo ritardi e procrastinazioni.

Come è stata affrontata lapartecipazione della comunitàprevista dalla legge del 2004 nelcaso di Ancoats Urban Village?Anche prima del 2004, è stato datoampio riconoscimento alla necessità dicoinvolgere la popolazione; la leggedel 2004 ha introdotto poche novità.Oltre le richieste stabilite dalla legge,quando noi abbiamo un’idea per porta-re avanti qualcosa, la proviamo ecominciamo. Dobbiamo capire infattiche avere il diritto di essere coinvolti, eutilizzare quel diritto sono due cosedifferenti. Così noi riconosciamo che ilivelli di aspettativa sono generalmentebassi, a meno che la questione daprendere in considerazione non riguar-di le persone. Per la nostra iniziativasullo spazio pubblico, ad esempio,abbiamo tenuto incontri aperti allacomunità; distribuito volantini porta aporta; invitato residenti e operatorieconomici a visitare la mostra delleidee per fornire loro commenti.Troviamo che le mostre funzioninomeglio rispetto agli incontri poichémolte persone sono troppo timide peresprimersi in pubblico. Ad una mostra,

tutte le questioni possono essere risolteprima dell’intervento. Ciò non significache le normali funzioni sono sostituiteo replicate in questi organismi, ma chel’organizzazione assume nelle propriemani e “facilita” il confronto tra deve-loper e i numerosi uffici pubblici.

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ne tramite semplici diagrammi-chiave efornendo anche degli strumenti di moni-toraggio per valutare i progressi nellaloro realizzazione; assieme alle RSSsostituisce di fatto lo Structure Plan.- il Site-specific Allocations (obbligato-rio) indica l’assegnazione di aree per usispecifici, a seguito di un’accurata valu-tazione di sostenibilità, disponibilità eaccessibilità del sito per gli usi prescelti. - l’Adopted Proposals Map (obbligatorio)illustra, sottoforma di mappe, tutte lescelte pianificatorie fatte dall’autoritàlocale, ogni site-specific e le aree daproteggere come le Green Belt; deveessere aggiornata ad ogni nuova adozio-ne dei Development Plan Documents efornire quindi un quadro generale ecompleto in unico documento. - gli Area Action Plans (facoltativo) pos-sono essere utilizzati per fornire stru-menti di pianificazione in aree dovesiano previsti cambiamenti o conserva-zioni rilevanti, come aree di trasforma-zione, rigenerazione o protezione e rela-tive norme e vincoli. - gli Other Development Plan Documents(facoltativi) possono includere documen-ti di settore riguardanti ad esempio resi-denza, occupazione, commercio, salva-guardia ambientale, accessibilità ecc.. - il Local Development Scheme (obbliga-torio) è un Project Plan pubblico cheidentifica quali documenti del LDF ver-ranno prodotti, in che ordine e quando.Questo documento rappresenta il puntodi partenza per la comunità e gli stake-holders per prendere visione delle politi-che dell’autorità di pianificazione,rispetto ad un determinato luogo. Deveanche definire la tabella di marcia per lapreparazione dei documenti per unperiodo di 3 anni. - lo Statement of CommunityInvolvement (obbligatorio) è un docu-mento che specifica come e quando leautorità di pianificazione intendonoconsultare la comunità locale e gli sta-keholders, durante la preparazione orevisione dei documenti e nella valuta-zione delle planning applications.L’obiettivo di questo strumento è diincoraggiare l’apporto diretto dellacomunità che, essendo a conoscenza diquando e su cosa verrà consultata, puòassicurare la propria partecipazione giànelle prime fasi di preparazione deidocumenti al fine di produrre piani

Inghilterra: unportfolio di pianiFrancesco Casagrande*

risultano inoltre più sintetiche, menodettagliate e maggiormente integratecon le altre strategie di livello regionalee soprattutto con quelle economiche. Ilfatto che le RSS facciano ora parte delDP costituisce un fatto importante, per-ché gli altri documenti in esso contenutidevono essere preparati in conformitàcon le RSS, in questo modo è garantitoun rispetto, maggiore che in precedenza,delle politiche regionali, in quanto, inprecedenza, i DP dovevano solamente“ispirarsi” alle PPG.Il Local Development Framework non èun piano vero e proprio ma un “portfo-lio” che contiene tutti i documenti dipiano del livello locale di pianificazione.Con il LDF tutte le autorità locali conpoteri di pianificazione (DistrictCouncils, Unitary Authorities, NationalPark Authorities, Bronds Authorities)hanno una stessa organizzazione deglistrumenti, adottano gli stessi tipi didocumenti, potendo così meglio relazio-narsi tra loro e con il pubblico. Questo “pacchetto” serve ad ottimizzareil processo di pianificazione locale e apromuovere un nuovo approccio inte-grato per la gestione dello sviluppo, conl’intento di garantire maggiore flessibili-tà nel rispondere ai cambiamenti delcontesto locale e di assicurare che ipiani vengano preparati ed aggiornatipiù velocemente dei DP del sistema pre-cedente. Il “porfolio” favorisce, inoltre, un raffor-zamento del coinvolgimento dellacomunità e degli stakeholders nello svi-luppo delle comunità locali, sia all’inizioche durante il processo di preparazionedei documenti ed incentiva un maggioreapporto iniziale, affinché le autoritàlocali di pianificazione prendano le deci-sioni chiave, con il maggior consensopossibile, all’inizio della preparazionedei documenti. Infine i LDF assicurano,attraverso la valutazione di sostenibilità,che i documenti siano formulati con l’o-biettivo di contribuire a realizzare lo svi-luppo sostenibile (ODPM 2004). Nella Fig. 1 sono riassunti gli strumenticontenuti nel Local DevelopmentFramework:- il Core Strategy (obbligatorio) è undocumento strategico che comprendeuna visione spaziale a lungo termine(almeno 10 anni) e rappresenta le politi-che necessarie a realizzare questa visio-

L’attuale configurazione del sistema dipianificazione inglese, in continuità conil passato rispetto alle recenti riforme,prevede per il livello nazionale dellefunzioni di guida, supervisione e con-trollo, mentre è caratterizzato da profon-di cambiamenti per quanto riguardastrumenti di livello regionale e locale,frutto in particolare dalla recente rifor-ma del 2004. Con la riforma del 2004 (in applicazionedel Planning Green Paper del 2001)viene introdotto per tutto il territorioinglese, un unico strumento di pianifica-zione a livello locale, il LocalDevelopment Framework (LDF) che,affiancato dal nuovo strumento a livelloregionale, le Regional Spatial Strategies,va a costituire il nuovo DevelopmentPlan.La riforma vuole mettere in pratica lepolitiche del nuovo governo in fatto dicrescita economica, sviluppo sostenibilee coesione sociale, ed in coerenza con lelinee guida definite dall’Unione Europeae riassunte nell’affermazione del gover-no inglese: “Plan making is central tothe delivery of sustainable developmentand creating sutainable communities”. La riforma, inoltre, vuole rispondere allanecessità di maggiore certezza, chiarez-za, velocità, e capacità di reazione daparte dei gruppi economici, delle agen-zie governative e non, e delle autoritàlocali, ma anche flessibilità, snellezzaburocratica e consultazione da parte deicittadini. ¬A differenza delle Regional PlanningGuidance preesistenti, le RSS entrano afar parte del Development Plan, sosti-tuendo di fatto gli Structure Plans e

una finestra su: Manchester

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lo sviluppo e incoraggiare gli investi-menti privati attraverso il rilascio auto-matico di uno specifico planning per-mission.Confrontando tutte le componenti delsistema di pianificazione inglese conquello italiano, emergono numerose dif-ferenze in termini di soggetti, responsa-bilità, strumenti, metodi e proceduredella pianificazione territoriale. Allostesso risultato si giunge concentrandol’attenzione solo al livello locale di pia-nificazione, anche se tra i soggetti e glistrumenti dei due Paesi si possono nota-re delle analogie ed evidenziare futuretendenze comuni, anche in una piùgenerale prospettiva di armonizzazioneeuropea degli strumenti di pianificazio-ne.Per quanto riguarda il livello regionaledi pianificazione, l’Italia, che è articolatain Regioni fin dalla Costituzione del1948, ha attribuito competenze digoverno del territorio, concorrenti con loStato nazionale, con la riforma costitu-zionale del 2001. L’Inghilterra ha identificato delle Regioniamministrative dal 1994 perché prima sitrattava solo di regioni geografiche senzafunzioni amministrative. Dal 1998 inol-

tre, le Regioni inglesi sono costituite daitre corpi amministrativi già citati(Government Officies, RegionalDevelopment Agencies, RegionalPlanning Bodies), che non hanno poterelegislativo, non sono finanziate da pro-venti regionali ma solo nazionali o daprogrammi europei, i quali membri sono

maggiormente condivisi ed efficaci, sicerca, inoltre, in questo modo, di evitaretempi lunghi per risolvere le controver-sie a documento finito.- l’Annual monitoring report (obbligato-rio) è un rapporto annuale presentatodall’autorità locale di pianificazione algoverno, redatto secondo una gamma diindicatori locali e di standard, per valu-tare i progressi e l’efficacia degli stru-menti del LDF adottati e la rispondenzadelle politiche e dei risultati agli obietti-vi iniziali. - i Supplementary Planning Documents(facoltativi) sviluppano o approfondisco-no le politiche espresse negli altri docu-menti, possono essere guide al progetto,sommari degli interventi in un area,master plan e comprendendo illustrazio-ni, testo ed esempi pratici per spiegarecome portare avanti le politiche dell’au-torità locale. - i Local Development Orders (facoltativi)vengono preparati dall’autorità di piani-ficazione per estendere i permitted rightsper alcune forme di intervento, espressein un Local Development Document;- i Simplified Planning Zones (facoltati-vi) definiscono aree nelle quali l’autoritàlocale di pianificazione vuole stimolare

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Figura 1. Local Development Framework

Figura 2. Evoluzione degli strumenti a livello regionale-locale

... PPeerr aapppprrooffoonnddiirree

Per approfondire lo studio del sistema ingle-se di pianificazione si possono trovare utiliinformazioni nei siti governativi del Paese(ad esempio il Planning Portal all’indirizzowww.planningportal.gov.uk e il sito delDepartment for Communities and LocalGovernment all’indirizzo www.communi-ties.gov.uk).Per riferimenti agli strumenti di pianifica-zione inglese trattati si vedano in rete i sitiweb dei Council (ad esempio l’UDP delKirklees Metropolitan Council all’indirizzowww.kirkleesmc.gov.uk e il LDF del LeedsCity Council all’indirizzo www.leeds.gov.uk). Per il caso di Birmingham, si possono visitarei siti di Ancoats (http://www.auvc.co.uk) eNew Islington (www.newislington.co.uk). Ilsito di Ancoats contiene un modello virtualedove i progetti recentemente approvati perl’area possono essere visti come se fossero giàcostruiti. (www.auvc.co.uk/3d_model.php).

Commissione Europea (1997), “The EUCompendium of spatial planning systemand policies”, volumi Italia e Gran Bretagna,Bruxelles.Cullingworth B. e Nadin V. (2006), Town andCountry planning in the UK, Routledge,London.Cullingworth B., Nadin V. (2006), Town andcountry planning in the UK, Routledege,London (14th ed.).Fiale A. e Fiale E. (2006), Diritto urbanisti-co, Simone, Napoli.ODPM (2001), “Planning Green Paper”,London.ODPM (2004), “Planning Policy Statement12”, London.Planning Officers Society, “The newPlanning System: A Summary Guide”, inhttp://www.planningofficers.org.uk/print.cp/type/article/id/25 Planning Officers Society, “LDF learningand dissemination project. Practical issuesof soundness”, in http://www.pas.gov.uk/pas/core/page.do?pageId=11534 Robert P., Sykes H., (eds) (2000), Urbanregeneration, a handbook, Sage, London Trabucchi A. (2004), Istituzioni di dirittocivile, Cedam, Padova. Urban Task Force (1999), Towards an urbanrenaissance, DETRVarano V. e Barsotti V.(2006), La tradizionegiuridica occidentale, Giappichelli, Torino.

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L’evoluzione della pianificazione inglese F.C.

Il sistema di pianificazione inglese è basato sul “Town And CountryPlanning Act” del 1990. Il governo centrale, attraverso i propridipartimenti ed agenzie, formula le linee guida e gli indirizzi dipolitica generale; le autorità locali regolano le trasformazioni delterritorio e formulano gli strumenti di politica locale. Le istituzioni politiche, come soggetti di pianificazione, sono quel-le definite nella legge del 1990, e poi in alcune revisioni del 1994e 1997 e si possono raggruppare in tre livelli principali (a partel’Unione Europea, che promuove la collaborazione tra Paesi eregioni); - il livello nazionale, dove la responsabilità per le materie di piani-ficazione è divisa tra diversi dipartimenti governativi e le loroagenzie esecutive e altri soggetti pubblici, patrocinati dal governoma non appartenenti ai dipartimenti; il più importante è ilDepartment for Communities and Local Government (DCLG: sosti-tuisce dal maggio del 2006 l’ODPM) che si occupa di tutte le mate-rie legate alla pianificazione e organizza il governo del territorioanche a livello regionale e locale, ripartendo inoltre a questi lerisorse finanziarie; - il livello regionale, che non ha potere legislativo, e che è forma-to da tre corpi che collaborano all’interno della stessa regione: que-sti sono i Government Offices (GO), che rappresentano i diparti-menti del governo nazionale ed hanno il compito di coordinare esupervisionare l’attività di agenzie ed enti locali e regionali nel-l’applicare le politiche nazionali a livello regionale; le RegionalDevelopment Agencies (RDA), che promuovono le strategie per losviluppo economico nelle aree urbane e rurali, con attenzione allosviluppo sostenibile e, infine, i Regional Planning Bodies (RPB), che

sono le vere e proprie assemblee regionali, formate da membri elet-ti indirettamente ma con l’importante funzione di preparare edaggiornare le recentemente istituite Regional Spatial Strategies(RSS), che rappresentano lo strumento di pianificazione più impor-tante a livello regionale;- il livello locale infine, caratterizzato da una pluralità di istituzio-ni amministrative. Il Paese è diviso in aree metropolitane (con ununico livello di governo: gli Unitary o Metropolitan District); edaree non metropolitane (con 2 livelli di governo: County e District);a parte l’area di Londra con un’organizzazione ancora diversa. LeParish, infine, rappresentano singole aree di un distretto ed hannoun ruolo di consultazione, a livello di zona residenziale, nella pia-nificazione.L’attuale configurazione dei soggetti di pianificazione è frutto dialcuni cambiamenti a livello regionale e locale, introdotti paralle-lamente all’aggiornamento degli strumenti di pianificazione deirelativi livelli, che verranno esaminati in seguito. In particolare, alivello regionale, prima del 1998 esistevano solamente iGovernment Offices in rappresentanza dei dipartimenti nazionali,non avevano un ruolo attivo nella pianificazione ed erano incari-cati di preparare documenti di guida ed indirizzo (RegionalPlanning Guidance) oggi superati dalle Regional Spatial Strategies. A livello locale, la riorganizzazione amministrativa più recenterisale agli anni 1994-1997 e ha portato all’abbandono, più nelleintenzioni che nella pratica, del sistema a due livelli (District eCounty) per un unico livello amministrativo (Unitary DistrictCouncils) che raggruppa i poteri e le funzioni dei precedenti. Inalcune zone sono state abolite completamente le Counties per for-mare gli UDC, in altre zone è rimasto il doppio livello.

tà locale di pianificazione ad occuparsisia della parte strategica sia di quellaoperativa, con maggiore garanzia di con-gruenza tra le previsioni e le scelte ope-rative. Il nuovo Prg consente, pertanto,una maggiore flessibilità sia nella previ-sione che nelle scelte operative.Nonostante queste convergenze, la rifor-ma del 2004 ha soppiantato inInghilterra l’UDP con il nuovo LocalDevelopment Framework. Sebbene man-tenga ancora al proprio interno ladistinzione tra documento programmati-co e operativo, l’LDF costituisce non piùun piano, ma un insieme di strumentiche non trovano una corrispondenzanell’analoga strumentazione urbanisticagenerale italiana. Nulla vieta di pensareche il nuovo Prg italiano non sia altroche un momento di passaggio versostrumenti simili al LDF inglese, anche sequest’evoluzione potrebbe avvenire sola-mente all’interno di una riforma dell’in-tero sistema. Questo anche perché, non-ostante le somiglianze formali ed opera-tive dei due strumenti (nuovo Prg eUDP, LDF), rimangono diversi i processidi preparazione ed adozione. In partico-lare, potrebbe risultare interessante l’in-troduzione, nel sistema italiano, di alcu-

ni strumenti presenti nel LDF inglese,che già in parte esistono ma non inmodo univoco e formalizzato. Si tratta,in particolare, delle componenti di tipopartecipativo (Statement of CommunityInvolvement), valutativo (AnnualMonitoring Report) e programmatico(Local Development Scheme).Infine, un’ultima differenza tra gli stru-menti a livello locale dei due Paesi, èrappresentata dal fatto che il LocalDevelopment Framework è uno strumen-to approvato dal governo centrale eapplicato in modo analogo da tutte leautorità locali del territorio inglese, men-tre il nuovo modello di PRG italiano puòassumere forme diverse in ogni Regione,dato che spetta a queste, con leggi pro-prie, il compito di formulare lo strumen-to. Lo strumento inglese sembra dunquegarantire più certezza e stabilità al con-trario di quello italiano che, pur sfruttan-do i vantaggi della diversificazione con-sentita dal modello regionalistico, portacomunque ad una maggiore incertezzagiuridica e metodologica in assenza diuna legge nazionale.

* Università degli Studi di Udine, Facoltà di Ingegneria.

eletti indirettamente, ma hanno assuntopoteri di pianificazione regionale di tipostrategico. E’ proprio su questa linea che si puòidentificare una prima convergenza colsistema italiano e più in generale con iPaesi europei di tradizione regionalista.Infatti il governo centrale inglese haespresso in alcuni “white papers” l’inten-zione di stabilire a breve l’elezione diret-ta dei membri delle assemblee regionali,di dare a queste poteri legislativi e lapossibilità di autofinanziarsi (ODPM2001).Confrontando l’evoluzione degli stru-menti inglesi a livello locale, con quelliitaliani, si notano alcune analogie, comela tendenza ad avere, come strumentoprincipale, un piano diviso in una parteprogrammatica ed una operativa. Questacaratteristica, per la verità, era presentein Inghilterra già negli UnitaryDevelopment Plan (e successivamente neiLocal Development Frameworks); in Italiasi tratta di una evoluzione più recente.Qui, infatti, un sempre maggior numerodi leggi urbanistiche regionali distinguequeste due componenti all’interno delPiano Regolatore Generale Comunale,facendo in modo che sia la stessa autori-

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Opinionie confronti

quelle dei modi dell’abitare, che si spo-stano quotidianamente non solo perragioni di lavoro e di studio, come èsempre avvenuto nelle aree urbane, maanche per lo shopping e il tempo libe-ro, utilizzando i grandi contenitoriimposti dalle nuove forme del com-mercio e dell’intrattenimento di massa.Senza rinunciare all’attrazione dei cen-tri storici originari, dove è localizzatoil commercio più qualificato, che rap-presentano anche l’unico spazio pub-blico riconoscibile di questa “nuovacittà”, senza ordine e senza gerarchie,dove spesso domina più il disordineche un assetto razionale, frutto inqualche modo di una pianificazione,che pure è presente in modo generaliz-zato.La “esplosione” della città contempora-nea è accompagnata da una contestua-le crescita della popolazione urbana.Anche in Italia, come nel resto delmondo, la popolazione urbana è incontinuo aumento ed oggi rappresenta,con oltre 40 milioni di persone (22milioni delle quali abitano nelle grandiaree metropolitane) più del 65% dei 60milioni di persone residenti stabilmente(tra cittadini italiani e immigrati rego-larizzati) nel nostro Paese.Contrariamente a tutte le ipotesi cata-strofiste sulla “fine delle città”, ripetutea più riprese nella seconda metà delsecolo scorso, dopo un breve periodod’incertezza legata agli epocali cambia-menti della struttura economica con ilpassaggio da un’economia prevalente-mente industriale ad una prevalente-mente terziaria, la città italiana si èdimostrata sempre più forte e attratti-

Il Nuovo PianoFederico Oliva

urbana, che ha modificato il volto dellecittà italiane con la sostituzione dellevecchie destinazioni industriali, degliimpianti ferroviari non più o poco uti-lizzati, dei grandi servizi urbani obso-leti con nuove funzioni residenziali,terziarie e commerciali. Un processo ditrasformazione che dura ancora oggi,al quale però negli ultimi anni se n’èaffiancato uno completamente nuovo,che ha ampliato a dismisura la tenden-za alla diffusione insediativa già pre-sente in alcune aree, dando forma aquella che oggi è chiamata la “metro-polizzazione” del territorio, in altreparole la formazione di una “nuovacittà”, nella quale accanto a tessutiurbani storici e consolidati e alle peri-ferie urbane più o meno recenti convi-vono tessuti ed insediamenti a bassadensità, più o meno di qualità e, indiverse Regioni più o meno legali, conuna sempre più estesa occupazione disuolo.E’ questa la città contemporanea, deltutto diversa da quella tradizionale, lacui dimensione geografica non è asso-lutamente sovrapponibile a quellaamministrativa e che si è sviluppatacon un modello di crescita assai lonta-no da quello per fasce concentrichedella città tradizionale, ma con unavera e propria “esplosione” sul territo-rio, per usare una definizione spessoutilizzata per definire il processo dimetropolizzazione. Una “nuova città”che comporta interrelazioni stabili trale sue parti e nuovi stili di vita per ipropri abitanti, diffusi su un territoriosempre più ampio per le motivazionipiù disparate, da quelle economiche a

La città contemporanea

La struttura insediativa ed il paesaggiourbano italiani si sono modificati radi-calmente nel corso degli ultimi sessan-ta anni.Dapprima, alle città isolate nelle cam-pagne e alle poche espansioni metro-politane delle città di più antica indu-strializzazione che caratterizzavano glianni del secondo dopoguerra e laprima metà degli anni cinquanta, sisono sostituite espansioni urbane sem-pre più ampie, che hanno avvicinatocentri urbani una volta privi di relazio-ni reciproche, hanno rafforzato le areemetropolitane esistenti, creandonenuove sempre più estese e complesse.L’espansione urbana non si però mani-festata in modo omogeneo nelle diver-se regioni italiane: accanto ad una cre-scita secondo il modello classico dellenuove periferie che ha caratterizzato lecittà industriali del Nord e le grandicittà del Sud, vi è stato un notevolesviluppo delle città di dimensione piùpiccola e, più in generale, una crescitadei piccoli centri, soprattutto in alcuneregioni del Centro, ambedue accompa-gnati da un impetuoso sviluppo dellapiccola impresa che ha sostenuto perdiversi anni quasi l’intera crescita eco-nomica del Paese e che ha rappresenta-to anche un’alternativa sociale e cultu-rale al modella di vita della grandecittà.Successivamente, nel corso degli anniottanta e con un’intensità direttamenteproporzionale alla maturità del sistemaproduttivo industriale e al relativo pro-cesso di dismissione, è iniziata unafase travolgente di trasformazione

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trend e quantità notevolissime rispettoal passato, anche a quello più recentedell’espansione urbana. I dati del con-sumo di suolo italiano, pur scontandomodalità discutibili di computo (unnuovo parco urbano periferico o unintervento di compensazione ambien-tale in un ambito perequativo rappre-sentano un “consumo di suolo”?) sonoeclatanti, assai maggiori della quantitàdi boschi e di campagna che ogni esta-te viene distrutta dagli incendi e che lastampa e la televisione presentano, conragione, come una drammatica emer-genza nazionale. Naturalmente, un’a-naloga attenzione non è prestata daimedia alla distruzione annuale di deci-ne di migliaia di ettari per realizzareinsediamenti che potrebbero utilizzaresoluzioni diverse. Il consumo di suolorappresenta dunque, come l’impossibi-lità di garantire la rigenerazione dellerisorse ambientali riproducibili, unagrave patologia ambientale, perché ilsuolo è una risorsa ambientale nonriproducibile e il suo consumo conti-nuo rappresenta una forma concreta edevidente di insostenibilità ambientale,se per sostenibilità ci riferiamo alladefinizione classica, che evidenzia lanecessità di conservare le risorseambientali fondamentali per le genera-zioni future.Tuttavia, non bisogna lasciarsi condi-zionare dall’attrazione di una visionegenericamente ambientalista e saperdistinguere tra i diversi consumi disuolo, avendo per ferma la convinzio-ne che l’ambiente non viene difeso emigliorato solo con azioni di conserva-zione e di tutela, ma anche attraversocondizioni adeguate che accompagna-no progetti di trasformazione urbana eterritoriale. Come è noto, infatti, se siapplicano particolari condizioni allatrasformazione urbana in termini dipermeabilità naturale del suolo e dimessa a dimora di una adeguata quan-tità di alberi latifoglia, si ottiene unacapacità di assorbimento di anidridecarbonica, di produzione di ossigeno,di produzione di acqua per evotraspi-razione, assai superiore di quanto nonsia in grado di garantire lo stesso suolomantenuto alla condizione agricola.Mentre non bisogna dimenticare checosa è oggi una parte dell’agricolturanel nostro Paese, spesso mantenuta in

produce, tali da rendere vane politichepur importanti di ecologia urbana,come quelle finalizzate alla rigenera-zione ecologica, cioè alla rigenerazionedelle risorse ambientali riproducibili(aria e acqua), possibile grazie a precisescelte urbanistiche relative alla per-meabilità dei suoli urbani e ad unanuova e più intensa politica del verded’iniziativa pubblica o privata, oltreche a consistenti interventi di foresta-zione urbana. Il numero di automobilioggi circolanti (35 milioni, venti voltequelle presenti nei primi anni cinquan-ta del secolo scorso), è infatti tale dafar apparire come un palliativo qual-siasi misura ecologica o ambientaleche non comporti una sdensibile ridu-zione del numero di auto circolanti eun consistente aumento del trasportocollettivo, non necessariamente pubbli-co. D’altronde, l’automobile non inqui-nante (elettrica, a idrogeno) è infattiancora lontana e oggi rappresentapoco più di una sperimentazione, quasiun gadget a caro prezzo che non puòessere certo diffuso a livello di massa.Gli altissimi livelli d’inquinamento, chesi associano a nuove e aggravate formedi congestione nelle polarità di questa“nuova città”, comportano per i suoiabitanti patologie conseguenti (tumorie stress), con percentuali statisticamen-te assai più rilevanti che nelle altreparti del Paese. I dati della Lombardia,per esempio, un’area dove la metropo-lizzazione del territorio ha raggiunto lamassima dimensione, sono da questopunto di vista inequivocabili. Inoltre,l’uso sempre più intenso dell’automobi-le per il trasporto individuale comportanuovi squilibri territoriali tra le partiinteressate dalla diffusione insediativae i centri più antichi e consolidati o imoderni centri direzionali, dove sonoconcentrati i servizi e le funzioni dieccellenza, che ogni giorno attirano unnumero rilevante di persone e unnumero quasi uguale di automobili;squilibri che si tramutano in ulteriorifenomeni di congestione e in nuovicarichi urbanistici.La terza condizione negativa che lametropolizzazione del territorio com-porta, riguarda il cosiddetto “consumodi suolo”, vale a dire la continua occu-pazione di suolo extraurbano e la suatrasformazione in suolo urbano, con

va; naturalmente, sempre quella“nuova città” a cui si è fatto riferimen-to fino ad ora, del tutto inconfrontabilecon quella delimitata dalle tradizionaliripartizioni amministrative. La città è,infatti, il luogo dove la maggior partedelle persone vuole vivere, magari inuna condizione diversa da quella urba-na tradizionale, con una simulazionedi campagna come quella offerta dallesoluzioni insediative a bassa densità odalla “campagna urbanizzata”, in ognicaso inserita nella rete della “nuovacittà”; è il luogo dove la maggior partedelle persone pensa di trovare piùfacilmente un lavoro, dove intessererelazioni sociali più o meno stabili,dove trovare servizi pubblici e privatimigliori. Insomma, dove pensa di vive-re meglio rispetto alla propria condi-zione di origine.

Una generale insostenibilità

L’assenza di spazio pubblico adeguatorappresenta la prima, anche se non lapiù rilevante, condizione negativa della“nuova città”: lo spazio pubblico tradi-zionale è stato sostituito, oltre che daigrandi centri commerciali sparsi sulterritorio, da un sistema connettivocostituito dalla sola rete della mobilitàche si identifica con quella della viabi-lità (non più urbana, ma nemmenoextraurbana), dato che il trasportoindividuale motorizzato, vale a dire ilricorso all’automobile, è l’unica moda-lità utilizzabile. L’assenza del trasportoferroviario è, infatti, ancora più avver-tibile che nella città tradizionale,anch’essa cresciuta, almeno in Italia,indipendentemente dallo sviluppo dellaferrovia e quindi non in grado di uti-lizzare questa infrastruttura per il tra-sporto pubblico locale. D’altronde, ladiffusione insediativa, rende difficile,se non impossibile, l’uso di qualsiasimodalità di trasporto che non sia quel-la automobilistica, configurando quellache è la più grave patologia, ambienta-le ed urbanistica della “nuova città”.Il ricorso quasi esclusivo all’automobilerappresenta la seconda (e la più rile-vante) condizione negativa della“nuova città”, per le conseguenzedevastanti che ha sull’ambiente urbanoe sulla salute dei cittadini, dati glialtissimi livelli di inquinamento che

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messo in discussione, ma non basta.In primo luogo bisogna allargare ilcampo di competenza del piano, uscen-do dall’anacronistico confine ammini-strativo comunale e affrontando nelsuo complesso il territorio della metro-polizzazione. Ciò, anche senza volerrivisitare l’organizzazione amministrati-va italiana, come peraltro sarebbenecessario, dato che si tratta di un’im-presa che appare oggettivamenteimpossibile anche per il più volenterosoe tenace riformatore. Progettare pianistrutturali comunali non ha più sensoper la maggior parte del territorio ita-liano e in particolare per quelle areedove è in atto il processo di metropo-lizzazione e dove vivono, come si èricordato in precedenza, i due terzidella popolazione complessiva. Di que-sto primo aspetto dovranno tenereconto innanzitutto le leggi regionali, sesi vorrà realmente garantire l’utilità diun processo di pianificazione.In secondo luogo bisogna rendere sem-pre più strutturale il piano generale,liberandolo non solo dai residui rego-lativi, necessari solo per la gestionedegli insediamenti esistenti, ma perni-ciosi per l’affermazione del nuovomodello: si pensi alle problematichefiscali, direttamente legate alla confor-mazione o meno dei diritti proprietarie alle contraddizioni, se non ai danni,che provocano il ricorso a soluzionidel passato, apparentemente innocue,come un perimetro o una definizionedi edificabilità. Ciò che serve è unapproccio sempre più generale, chemiri al cuore dei problemi senza per-dersi in inutili dettagli e che esprimachiaramente la strategia che si vuoleperseguire per affrontare le patologiedella metropolizzazione. Anche in que-sto caso il contributo delle leggi regio-nali appare essenziale, per superare unapproccio che non sempre (o quasimai) ha privilegiato l’essenzialità, pro-ponendo testi anche apparentementesnelli, ma accompagnati da allegatisterminati, quasi sempre inutili se nonper riaffermare un potere di controllo,che pur si dichiarava di voler abban-donare nel rispetto del principio disussidiarietà. Così come appare indi-spensabile semplificare ulteriormente leprocedure di approvazione, che hannocomunque segnato un progresso note-

aggravarsi sempre di più, se la città“esplode” sul territorio nella metropo-lizzazione, con un’ulteriore espansionedella “villettopoli” che moltiplica iconsumi energetici e non può garantirele risorse necessarie per utilizzare tec-nologie adeguate. Il piano urbanistico,comunque denominato, infatti, non siè mai occupato, o lo ha fatto solo mar-ginalmente di questa problematica,lasciando irrisolti i nodi di una situa-zione che appare decisiva per il futuronon solo delle città, ma della stessaumanità. Se le valutazioni che negliultimi anni hanno accompagnato laformazione dei piani e reso più con-grue le relative previsioni relativamen-te all’ambiente e alle questioni socialipiù gravi (l’emarginazione, l’esclusione,l’immigrazione), ciò non è assoluta-mente avvenuto per l’energia, una que-stione di cui la pianificazione non si èmai interessata.

Un “Nuovo Piano” per la cittàcontemporanea

Negli ultimi dodici anni, da quandol’Inu l’ha proposta, la nuova formastrutturale del piano urbanistico si staaffermando in quasi tutte le Regioniitaliane, anche se l’interpretazione chese n’è data in alcune non è sempresoddisfacente e le scorie del vecchiomodello continuano a permanere, alivello culturale, gestionale e legislati-vo. Prima o poi, anche il Parlamentocompirà l’ultimo passo che ratificheràil nuovo modello d pianificazioneattuazione con la legge sui principigenerali del Governo del Territorio,prevista dall’attuale ordinamento costi-tuzionale, necessaria anche per chiude-re i conti con il passato e evitare irischi di una giurisprudenza che puòvanificare innovazioni ancora giuridi-camente troppo fragili. Questa impo-stazione generale della riforma nondeve, naturalmente, essere messa indiscussione, se non per migliorare ilnuovo modello; così come il ricorso alpiano, vale a dire una strategia genera-le e complessiva, quale strumento fon-damentale , anche se non l’unico, delGoverno del Territorio, come l’espe-rienza di questi ultimi decenni diincertezza ci ha insegnato ampiamente.Tutto ciò non deve dunque essere

vita dalle sovvenzioni comunitarieindipendentemente dalla produttività,con elevati tassi di inquinamento per ilsistematico ricorso alla chimica, conun enorme consumo idrico e, di fatto,una concorrenza assistita nei confrontidei paesi poveri che potrebbero pro-durre a costi assai minori e garantireun reddito migliore per le propriepopolazioni. Si pone quindi anche unserio problema di alternativa per l’agri-coltura italiana, se si afferma la giustanecessità di non consumare più con gliattuali trend il territorio extraurbano,dato che le soluzioni verso le nuoveforme di utilizzazione, paesaggistica esociale della “campagna urbana” sonocertamente interessanti, ma non risolu-tive del problema generale. Così comenon bisogna ancora dimenticare cheun consistente contributo al “consumodi suolo”, deriva anche dalla frantuma-zione della ripartizione amministrativaitaliana, con migliaia di Comuni insi-gnificanti dal punto di vista demogra-fico, disponibili a proporre nuovi centricommerciali, nuove aree per attivitàproduttive, nuovi spazi per la metropo-lizzazione per sopravvivere finanziaria-mente.La quarta condizione negativa dellametropolizzazione del territorio riguar-da l’acuirsi delle problematiche energe-tiche, già presenti nella città tradizio-nale. Il bilancio energetico di una cittàè sempre negativo, per gli elevati spre-chi prodotti da un patrimonio ediliziocostruito solo negli ultimi anni conqualche attenzione al risparmio ener-getico e alla utilizzazione di fontialternative non energivore e noninquinanti, sia per quanto riguarda leprestazioni degli edifici, sia per lenecessità del riscaldamento e del raf-frescamento. Ma mentre il futuro del-l’edilizia è indirizzato verso unasostanziale innovazione in questocampo e una buona regolamentazioneedilizia può garantire progressi anche abreve termine, più problematica è lasituazione della città nel suo comples-so, sia per i consumi energetici neces-sari per garantire i servizi pubblici, siaper il funzionamento dell’intero siste-ma della mobilità, sia, infine, per lamancanza di una strategia adeguataper le trasformazioni urbane più com-plesse. Una situazione che tende ad

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nizione, riferiti ad alcuni temi essen-ziali come il “consumo di suolo”, laridefinizione di alcuni principi fonda-mentali della fiscalità immobiliare eil rapporto tra la nuova normativaespropriativa e la perequazione urba-nistica

- la definizione di politiche e scelte perla città, in particolare per la “nuovacittà”, relative innanzitutto alle dota-zioni infrastrutturali per la mobilità,per le quali sono necessarie risorseche solo scelte radicali finalizzatealla riduzione del debito pubblicopossono tuttavia garantire, dato chel’attuale situazione (70 miliardi dieuro all’anno di interessi passivi) nonconsente adeguati margini d’investi-mento.

* Presidente Inu.

- il contenimento del consumo di suolo,indirizzando le trasformazioni urba-nistiche verso soluzioni alternativeall’utilizzazione delle aree extraurba-ne, che privilegino gli interventi direcupero e di trasformazione dell’esi-stente, di riqualificazione delle areedegradate e che siano comunque sub-ordinate a condizioni che garantisca-no la massima compatibilità ambien-tale

- la sostituzione dei tessuti più degra-dati con interventi di limitata densi-ficazione attraverso la demolizione ericostruzione di tipologie edilizie ogginon più adeguate, per garantire pre-stazioni energetiche migliori e contri-buire al risparmio di nuovo suolo daurbanizzare

- la costruzione di nuove centralità chepolarizzino il territorio metropolizza-to, integrando le centralità già esi-stenti e trasformino la “nuova città”in un sistema policentrico; nuovecentralità accessibili dalla mobilità dimassa, luogo dello spazio pubblico,delle funzioni di eccellenza e delleattività della “nuova città”

- l’attenzione alle problematiche ener-getiche nelle scelte del piano, comecontenuto fondamentale per lo svi-luppo sostenibile del territorio; ciòcomporta un aggiornamento del qua-dro conoscitivo, ma anche un appro-fondimento scientifico relativo allemisure e alle condizioni che il pianodeve garantire.

Il rinnovamento del campo di compe-tenza, della forma e dei contenuti delpiano, cioè la definizione del “NuovoPiano”, sarà comunque realmente pos-sibile se si scioglieranno alcuni vecchinodi e si verificheranno alcune nuovecondizioni. In particolare:- l’approvazione della “legge nazionale

sui principi generali del Governo delTerritorio”, necessaria e urgente perconsolidare giuridicamente le inno-vazioni introdotte in tutti questi annidi applicazione della riforma e perindirizzare le leggi regionali adaffrontare le problematiche territoria-li più attuali

- l’approvazione di alcuni provvedi-menti stralcio della legge generale,qualora le condizioni politiche nonne rendano possibile una rapida defi-

vole rispetto al passato con l’introdu-zione delle conferenze di copianifica-zione e con il conseguente passaggiodalle valutazioni di conformità a quelledi compatibilità; si tratta di una con-quista irrinunciabile per migliorarecomplessivamente il processo di piani-ficazione, che va difesa e rafforzataperché le tentazioni dirigistiche tendo-no spesso a riafforare, anche con l’im-posizione di tempi burocratici assaidilatati, che riducono sensibilmente ivantaggi della nuova procedura. Cosìcome è necessario rendere più essen-ziali e mirati i quadri conoscitivi, evi-tando inutili appesantimenti soprattut-to per le Amministrazioni meno attrez-zate. Una forma veramente strutturaledel piano generale è indispensabile pergarantire un effettivo ed efficaceGoverno del Territorio, perché all’inter-no della strategia generale che essoesprime sarà possibile utilizzare almeglio tutti gli strumenti necessari: daipiani regolativi per l’esistente, ai pro-grammi negoziali per le trasformazioni,dalle politiche urbane ai progetti per leinfrastrutture, dai progetti di architet-tura per la qualità urbana, a quelliambientali per la costruzione della reteecologica, in un mix indispensabile dipianificazione, progettazione e gover-nance, per il quale prima o poi dovràessere trovata un’adeguata traduzioneitaliana di planning.In terzo e ultimo luogo è necessariorinnovare anche i contenuti del“Nuovo Piano”, privilegiando:- la rete della mobilità, che garantisca

una mobilità di massa non inquinan-te non energivora, che assicuri lamassima efficienza della “nuovacittà”, che riduca in modo significati-vo l’attuale carico inquinante e allaquale sia tassativamente subordinataogni trasformazione rilevante previ-sta sul territorio

- la rete ecologica, che colleghi, attra-versando i tessuti della metropolizza-zione, le aree di più rilevante valorenaturalistico e ambientale, con l’o-biettivo di tutelare queste ultime, madi garantire anche un significativoprocesso di rigenerazione dele risorseambientali riproducibili; una rete lacui costruzione sia affidata non soloa scelte di tutela, ma anche di tra-sformazione

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mentazioni diverse. Cioè una legislazio-ne, dei finanziamenti, dei provvedimentifiscali, propri di una politica nazionaleche programmi le scelte per l’abitazionesociale, che indichi le zone dove è piùnecessario l’intervento e le categoriesociali che si vogliono favorire; dellaquale politica la legislazione e il pianourbanistico, affronteranno soltanto ilproprio ambito specifico.

Salvaguardia ambientale e storico-paesistica, risparmio energetico nelpiano

Per quanto riguarda la salvaguardia eco-logico-ambientale si deve uscire dalleesortazioni, indicando per legge e dispo-nendo con i piani, quanto già qualchepiano sta facendo con le proprie norma-tive. Infatti, sfruttando la capacità deglialberi di assorbire anidride carbonica, èpossibile quantificare le alberature dapiantare in un intervento edilizio inragione degli automezzi che questoospiterà; garantendo con quegli alberi,in tutto o in parte, l’assorbimento dell’a-nidride carbonica emessa da quegliautomezzi nei loro percorsi urbani.Assicurando in tal modo la moltiplica-zione di alberature nelle città a curadegli operatori privati, con effetti ecolo-gici, ambientali e perfino paesaggisticidi grande valore. Una legislazionenazionale specifica potrebbe certamenteindicare questa tematica alle leggi regio-nali di carattere metodologico; fissandoil principio che la nuova strumentazioneurbanistica deve affrontarla nel suoambito disciplinare.Altrettanto potrebbe fare l’indicazione diparametri minimi da rispettare nel

Un Piano tutto nuovoGiuseppe Campos Venuti*

risparmio energetico, del trasporto suferro e del consumo di suolo. Politicheche hanno una propria autonomia,sociale, funzionale, finanziaria; e che lastrategia del piano urbanistico può con-tribuire effettivamente a realizzare, soloper quanto le compete. In questo sensoquelle politiche traversano il piano e ilpiano deve far propri nel suo specifico,gli obiettivi di quelle politiche e di quel-le tematiche.

Abitazioni sociali e urbanistica

Per quanto riguarda la politica delle abi-tazioni sociali, un nuovo approccio assaipertinente dell’intervento urbanistico, ègià stato individuato dalla legislazioneriformista regionale e raccolto dalla pro-posta legislazione nazionale dei parla-mentari democratici. Perché si è capitoche bisognava inserire nel piano le areeper le abitazioni sociali, fra quelle dacedere gratuitamente con la perequazio-ne urbanistica; aree che oggi sono defi-nite Dotazioni Territoriali e non piùStandard dei servizi pubblici. Mentre giàesistono proposte per allargare l’uso ditali Dotazioni, non solo agli alloggi dacostruire con finanziamenti pubblici edestinati all’affitto sociale; ma anche adalloggi costruiti da privati in affitto con-venzionato e perfino in vendita a prezziconvenzionati, in cambio di alloggiceduti gratuitamente ai Comuni per l’af-fitto sociale.Si tratta di procedimenti specifici dellastrumentazione urbanistica, da inserirenella legislazione urbanistica e da attua-re con i piani urbanistici. Naturalmentea fianco di queste azioni specificamenteurbanistiche, saranno necessarie stru-

Metodo e merito propri del pianoriformista

Sostengo da tempo la necessità di allar-gare la battaglia condotta per anni sullescelte di metodo del nuovo piano - perintendersi quelle indicate dal Congressodi Bologna del 1995 con i principi e leregole -, alle scelte strategiche di merito;quelle che, forse riduttivamente, vengo-no oggi definite temi trasversali. Perché,tanto per guardare fuori d’Italia, vorreiche la nostra legislazione urbanistica sioccupasse come in Francia, di periferie,di abitazioni sociali, di qualità ambien-tale, di trasporti su ferro, suggeriti dallalegge alla pratica di piano; mentre è,invece, alle prese da quasi mezzo secolo,senza esito, soltanto con il rinnovometodologico della legge urbanisticagenerale.E l’Inu deve suggerire come affrontareconcretamente questi contenuti strategi-ci del piano; perché nei pochi tentativifatti a questo proposito, con le leggi diriforma presentate in Parlamento, lebuone intenzioni non si traducono, perora, nei frutti che è lecito attendersi.Tanto per capirsi, non si tratta diaggiungere confusamente nel testo dellariforma i temi trasversali, ai temi speci-fici del metodo urbanistico; indicando,come molti tendono a fare, obiettivi chela disciplina non ha strumenti per rea-lizzare, perché appartengono ad altreforme di intervento. Bisognerà, invece,sforzarsi di individuare i modi propridell’urbanistica, per contribuire allasoluzione delle tematiche che apparten-gono principalmente alla politica dellacasa, della qualità ecologico-ambientale,della salvaguardia storico-paesistica, del

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quali veri e propri oneri di scopo; giusti-ficati con la possibilità di addebitare talecontributo al consistente plusvaloreimmobiliare creato con il Piano operati-vo, quando il Comune attribuisce ildiritto edificatorio ad una proprietà pri-vata piuttosto che ad un’altra.

Piano e consumo di suolo

La critica al consumo di suolo per usiurbani, è all’origine dell’urbanisticariformista, che si è impegnata da decen-ni, prima a ridurre nei piani le previsionidell’espansione patologica e la conse-guente formazione di rendite urbane epoi a favorire nei piani la riqualificazio-ne delle aree edificate, obsolete o malutilizzate. La valorizzazione delle pro-blematiche ambientali, ha successiva-mente stimolato la crescita nei tessutiurbani di vaste aree verdi permeabili,pubbliche e private; le quali - sia chiaro- hanno una valenza ecologica assaisuperiore a quella delle aree agricole,sostituite da una urbanizzazioneambientalmente valida. D’altra partenon sarebbe opportuno che la volontà difare spazio al verde in città, fosse soddi-sfatta con la proliferazione su terreniristretti di grattacieli che oggi sembranomolto alla moda. La politica contro l’ec-cessivo consumo di suolo per usi urbaniva, dunque, oggi perseguita, riducendo adimensioni fisiologiche la produzione dicostruzioni e accrescendo il riuso di areegià edificate da riqualificare; ma nonelevando indiscriminatamente l’altezzadegli edifici e tanto meno rinunciando adiffondere gli spazi verdi nei tessutiurbani. Del resto, secondo i dati satelli-tari del Corine Land Cover, il territorioagricolo ( che è superiore alla superficiecensita dall’Istat, rilevata secondo utiliz-zazioni istituzionali), è sceso dal 1990 al2000 dal 50,94% ( 157.000 kmq.) al50,47% ( 155.500 kmq.) della superficienazionale ( 308.000 kmq.). La perdita diterritorio agricolo è stata allora pari neldecennio a 1.450 kmq., ma solo per 824kmq. - poco più della metà -, l’uso delsuolo si è trasferito al territorio modella-to artificialmente, cioè all’urbano; per-ché 621 kmq. di terreni agricoli margi-nali si sono trasformati in bosco ceduo,grazie anche agli incentivi della politicaagricola comunitaria, accrescendo cosìla superficie boscata. Va dunque confer-

modali e relativi investimenti. Un primotentativo nazionale di integrazione èstato fatto, finanziando però il Pianourbano della mobilità, non già integratoad uno strumento urbanistico, ma ad unPiano strategico privo di riferimentilegislativi e di referente istituzionaleresponsabile. Correggere l’errore potreb-be non essere difficile, se si appoggiasseil Pum al Psc, cioè al piano strutturaledelle leggi riformiste regionali; e special-mente spostando al livello di area vasta- intercomunale, metropolitano o pro-vinciale -, sia il progetto per la mobilità,sia il quadro territoriale di riferimento. Iltutto con una sintetica indicazione legis-lativa. Però l’assenza di una politicanazionale della mobilità, rende assaiproblematico il raccordo con le scelte dimerito di un piano. Perché non suggeri-sce priorità tra il ferro e la gomma, néall’interno del comparto del ferro, sele-ziona i casi in cui programma il Servizioferroviario Metropolitano sulla rete sta-tale esistente, o la creazione ex-novo diuna impegnativa rete sotterranea urbanamagari fuori scala, o invece, una piùrealistica rete tramviaria moderna disuperficie. Affidata questa scelta alledecisioni unilaterali locali, fuori da ogniquadro nazionale di riferimento, restal’altro scoglio assai difficile da superare;quello su come sia realmente possibilecondizionare la costruzione di un nuovoconsistente insediamento, alla esistenzao alla reale previsione di un mezzo ditrasporto collettivo. Il raccordo dellastrumentazione urbanistica con la pro-grammazione della mobilità su gomma,è certamente quello più tradizionale etrova difficoltà solo per quanto riguardale scelte che dipendono da finanziamentinazionali, sempre aleatori e generalmen-te insufficienti rispetto alle esigenzedelle città e del territorio. Le scelte deipiani urbanistici comunali possono,invece, contare su possibili raccordi conle istituzioni provinciali e regionali, perprogrammi e finanziamenti di mobilitàcorrispondenti a quel livello istituziona-le; mentre sempre più frequente è l’ini-ziativa di utilizzare oneri di urbanizza-zione speciali forniti da gli operatori pri-vati, per realizzare tratti di viabilità piùo meno importanti. In questo caso leleggi regionali riformiste possono esseresfruttate per formalizzare l’istituzione ditali oneri di urbanizzazione speciali,

piano, per la percentuale di suoli per-meabili da garantire negli interventi dinuova urbanizzazione e specialmente diristrutturazione. Quanto ai valori culturali storici e paesi-stici, resto del parere di affidare al pianourbanistico la loro salvaguardia, coin-volgendo istituzionalmente leSoprintendenze nella stesura dei pianiper la Città storica e per il paesaggio ter-ritoriale; restando, però, queste vincolatenella gestione alle disposizioni chehanno contribuito a formulare e asse-gnando ad esse la responsabilità delmonitoraggio. Trattandosi di vincoli chenon sono indennizzabili e non hannoscadenza temporale, penso che questadisciplina debba trovare posto nelRegolamento urbanistico edilizio; cosìche questi vincoli siano prescrittivi sinedie. E’ questo forse un modo un po’sbrigativo per affrontare una delle piùproblematiche pianificazioni separate,ma credo vada disciplinato in tal modonelle leggi urbanistiche regionali, san-zionando quanto già si fa nelle miglioriesperienze, nella speranza che la nuovalegislazione nazionale adotti una solu-zione il più possibile simile a questa.Infine numerose Regioni stanno ema-nando leggi con disposizioni specificheper garantire il risparmio energeticonegli edifici, con risultati sperati intornoal 50% per le nuove costruzioni; piùarticolata è la gamma delle proposteregionali per l’adeguamento al risparmioenergetico del patrimonio edilizio esi-stente. Per il nuovo come per il pregres-so, la specifica legge nazionale quasipronta dovrebbe fissare i parametriminimi, capaci di coordinare le singoleleggi regionali da applicare nei pianiurbanistici ed anche il metodo per ilmonitoraggio unificato; ma specialmen-te dovrebbe garantire il raccordo con ladisciplina urbanistico-edilizia, che con leleggi regionali riformiste già vigenti,potrà raccogliere efficacemente le normedi risparmio energetico nei nuovi inse-diamenti e in quelli esistenti.

Mobilità e urbanistica

Assai più complesso, anche se sperimen-tato in diversi casi, è il tentativo di inte-grare la pratica urbanistica del piano,con una politica riformista per la mobi-lità, capace di programmare priorità

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tematiche trasversali, dalle infrastruttureall’ambiente, fino alle abitazioni sociali.Sull’esempio positivo della RegioneEmilia Romagna, dove grazie anche allostimolo della legge riformista, i pianistrutturali di associazione dellaProvincia di Bologna coprono pratica-mente la totalità del territorio.

Un nuovo approccio alla fiscalitàurbanistica

Al punto in cui siamo non è più possibi-le escludere il tema della fiscalità urba-nistica. Non fosse altro perché l’Inu devechiedere di eliminare subito il discutibileprovvedimento con cui il Governo dicentrosinistra ha colpito le leggi regio-nali riformiste, operative ormai da anni. E poi è ormai necessario riproporreapertamente il problema del vero e pro-prio conflitto di interessi, in cui si trova-no da anni i Comuni; spinti da un lato amoltiplicare indiscriminatamente la pro-duzione edilizia, per fare cassa con l’Icie dall’altro obbligati per legge a curareuna disciplina urbanistica, che devequanto meno contenere l’eccesso di pro-duzione edilizia. L’uso distorto deglioneri di urbanizzazione rende difficile,dunque, proporne l’aggiornamento, inmolte regioni da tempo necessario, pernon rischiare di imporre una tassa aduso improprio sulla edificazione. Resta ilfatto che, nel quadro delle leggi riformi-ste regionali, molti Comuni stanno spe-rimentando frequentemente specificiaggiornamenti degli oneri di urbanizza-zione; definendo secondo i casi contri-buti per la riqualificazione o contributiper la sostenibilità, quelli che sono effet-tivamente oneri di urbanizzazione gene-rali per la città, cioè destinati ad operedi interesse comunale e non solo relativeall’ambito di intervento. E a volte questicontributi speciali si traducono, appun-to, in opere di interesse comunale realiz-zate dagli operatori privati, come i veri epropri oneri di scopo che ho già citato.E’ allora arrivato il momento di affron-tare il nodo cruciale della questione.Perché le innovazioni delle leggi regio-nali riformiste, stanno sollevando impli-citamente il tema della tassa sull’incre-mento di valore delle aree fabbricabili.Infatti la tassa sulla casa, l’Ici, colpiscein genere un valore d’uso, mentre unatassa sull’area fabbricabile tende a colpi-

necessità per il Paese, per le istituzionidecentrate, per il settore produttivo dellecostruzioni e per lo stesso mercatoimmobiliare, ma anche per la difesa delterritorio, dell’ambiente e del paesaggio,tutti affidati ad una legislazione anti-quata ed inefficiente. L’impegno per lariforma nazionale dell’urbanistica, vuoldire però anche assistere e monitorarel’applicazione delle leggi regionali rifor-miste, attraverso i piani in elaborazionee in attuazione, valorizzando le novità ecriticando le vecchie abitudini che anco-ra permangono nei piani nuovi, cosadifficile perché purtroppo è ancoravigente la preistorica legge urbanisticadel 1942. Questo significa vigilare affin-ché i Piani strutturali comunali sianoconcepiti realmente come programmaticie non prescrittivi; evitando i riferimenticatastali e la definizione dettagliata deisingoli ambiti del piano, proponendosolo indirizzi previsionali e parametriurbanistici e ambientali per le diversetipologie di ambiti di intervento. E spin-gere affinché i Regolamenti urbanisticiedilizi diventino veri e propri piani digoverno dell’esistente; selezionando conquesti, i tessuti che potenzialmente siprestano a possibili trasformazioni, inmodo da impedire le singole ristruttura-zioni edilizie e da stimolare, invece, lefuture ristrutturazioni urbanistiche darealizzare con il passaggio al Piano ope-rativo comunale. Facendo in modo chequest’ultimo valorizzi la pratica concor-suale fra ambiti di pari attendibilitàurbanistica, ottenendo così di superare iparametri minimi del Psc a vantaggiodella comunità; rispettandone rigida-mente la scadenza dei 5 anni e speri-mentando le novità rese possibili dalleleggi riformiste per il rapporto pubblico-privato, nel quadro della flessibilitàregolata a priori dal Psc.Al consolidamento dell’innovazioneriformista, è però indispensabile aggiun-gere un aspetto sottovalutato dalle leggiregionali approvate; mi riferisco allanecessità di una pianificazione struttura-le intercomunale, da realizzare attraversoAssociazioni comprensoriali di Comuni,capaci di investire gran parte del territo-rio provinciale. E ciò per l’assoluta inter-dipendenza ormai raggiunta dai Comunicontermini per l’assetto territoriale, maanche per rendere possibile l’applicazio-ne delle politiche di settore relative alle

mata la giusta politica di limitare il con-sumo di suolo per usi urbani, ma essen-do consapevoli che il territorio modellatoartificialmente, pur aumentato, rappre-senta oggi il 4,62% della superficienazionale; di conseguenza la cosiddettacementificazione del Paese, è certo menograve del peso della rendita urbana, delconsumo energetico, del degrado ecolo-gico e paesistico. L’uso urbano del suoloè, quindi, nel piano tanto un problemadi cattiva qualità, quanto di eccessivaquantità. Queste ed altre tematiche tra-sversali rappresentano i contenuti rifor-misti già applicati in passato dai miglio-ri piani, da arricchire, da aggiornare eda integrare con i nuovi contenuti emer-genti dall’attualità e resi possibili dallalegislazione riformista. Tematiche chedovrebbero essere regolate non certocon la legge generale di metodo, ma conleggi settoriali specifiche, destinate inparte ad essere realizzate con il piano,ma che per molti aspetti vanno gestitecon programmi e finanziamenti estraneialla pratica urbanistica. Fare attenzioneal merito di queste tematiche, che inparte più o meno ampia riguardano icontenuti del piano riformista, nonsignifica però sostenere una legislazioneomnicomprensiva che le investa tutte;né rinunciare a perseguire gli obiettiviprincipali di una specifica legge nazio-nale, destinata a riformare - dopo tantaattesa - il metodo generale dell’urbani-stica. Dall’incontro delle nuove metodo-logie riformiste del piano con i nuovicontenuti, sta già nascendo un pianotutto nuovo. Devo confessare che il sin-cero compiacimento con cui ne parlo,deriva dalle esperienze personali di pia-nificazione che sto vivendo, in Regionidove si applicano le leggi riformiste. Inun periodo in cui, aver a che fare con lapubblica amministrazione produce spes-so insoddisfazione e malcontento, lavo-rare a questi piani tutti nuovi suscitacompiacimento e perfino entusiasmo; atarda età, non è certo una cosa da poco.

La sperimentazione dei piani riformisti

Rilanciare l’impegno per la riformanazionale dell’urbanistica, in unmomento in cui il Parlamento non lepresta molta attenzione, vuol dire esseredecisi a premere su tutte le forze politi-che, perché ne considerino l’estrema

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urbanistici da dimensionare in modofisiologico. Potrebbe, infine, sottrarre iComuni dalle difficoltà finanziarie erestituire agli oneri di urbanizzazione -primaria, secondaria e generale - la loronormalità di contributo per l’attrezzaturadella città.

Scelte strategiche e scelte tattiche

La tassa sulle aree fabbricabili è un vec-chio problema di scuola e tanti anni fa èperfino servita a giustificare la mancatariforma dell’espansione urbana. Oggi,anche dal punto di vista strettamenteteorico, andrebbe al contrario necessa-riamente integrata alla riforma della tra-sformazione urbana. Una cosa è,comunque, certa: che la tassa sulle areefabbricabili è molto più difficile daapprovare della riforma urbanistica. Edunque, siccome per la tassa è necessa-ria una forte maggioranza parlamentare,che oggi non esiste, l’Inu dovrà proba-bilmente rinviare la scelta strategicadella riforma fiscale, che non rinnega;ripiegando sulla soluzione tattica menoavanzata, basata sugli oneri di urbaniz-zazione generale, sui contributi di quali-ficazione o di sostenibilità, sugli oneri discopo, tutti tendenti a recuperare allacomunità, almeno una parte della enor-me quota di rendita urbana che grava

sul costo delle case costruite ogni anno.Oggi come oggi, non credo sia, invece,necessario rinunciare all’obiettivo strate-gico della riforma urbanistica nazionale,tentando di trovare alla fine una mag-gioranza parlamentare per approvarla.Dipenderà poi dalle vicende politiche,accantonare eventualmente quell’obietti-vo per un breve periodo, oppure adattarsialla triste realtà di rinviarlo per anni. Sequesta realtà dovesse verificarsi, l’Inu neprenderà atto; e a questo punto diventeràrealistico proporre e ottenere quel prov-vedimento tecnico, che si è persa l’occa-sione di approvare con la Finanziaria,insieme alla norma che obbliga le istitu-zioni a pagare per gli espropri il prezzodi mercato. Un provvedimento tecnicosintetico, che sia in grado di legittimaredefinitivamente le riforme regionali - eper questo, credo che sarebbero leRegioni a doverlo chiedere -, tale cioè daconfermare i piani direttori non confor-mativi e i successivi piani operativi pre-scrittivi e perequativi. Non credo chel’Inu voglia ammainare la bandiera dellariforma urbanistica; sono certo, però, cheall’occorrenza, saprebbe far buon viso acattivo gioco e ripartire ancora una voltacon le riforme parziali, come seppe farecon intelligenza 45 anni fa.

*Presidente Onorario dell’Inu.

Sono aperte le iscrizioni al bando 2008-2009 per accede-re al settimo corso del Master universitario di secondolivello ACT - VALORIZZAZIONE E GESTIONE DEI CENTRISTORICI MINORI - AmbienteCulturaTerritorio, azioniintegrate organizzato dall’Università degli Studi di Roma“La Sapienza” – Prima Facoltà di Architettura “LudovicoQuaroni” e dalla Fondazione per il Centro Studi “Città diOrvieto”.Il testo del bando con la modalità di iscrizione ed i pro-grammi dei corsi precedenti sono consultabili presso il sitoweb: w3.uniroma1.it/arcorvietoSono ammessi al master, tramite un colloquio finalizzatoalla formazione di una graduatoria, i possessori di laureaspecialistica, senza alcun vincolo riguardo alla Facoltà diprovenienza, ovvero di altro titolo di studio conseguitoall’estero, riconosciuto idoneo. Possono essere altresìammessi anche operatori, funzionari e dirigenti dellePubbliche Amministrazioni nei settori dell’architettura edell’ingegneria, della pianificazione territoriale, dellagestione e programmazione urbana e dei beni culturali.Il Master ha lo scopo di formare esperti nel metodo dellaprogrammazione integrata nell’ottica della pianificazionestrategica applicata ai centri storici e ai loro territori.Consente inoltre di acquisire una pratica che riguarda

anche altri ambiti territoriali di applicazione e quindi offreun quadro di formazione molto richiesta dal mercato, siadalle amministrazioni che dalle società di consulenza delsettore. Questa pratica viene sperimentata oltre che nellaboratorio anche negli stage, opportunamente scelti siarispetto alle esigenze del corsista che rispetto all’aperturaverso il mercato del lavoro. La didattica del Master si arti-cola in moduli tematici e interdisciplinari, ciascuno com-posto di lezioni, esercitazioni e/o attività di laboratorio,nel corso dei quali si lavora in progress anche all’elabora-zione della tesi finale. Il corso è costituito dai seguentisettori didattici: diagnostica per la valorizzazione di unterritorio; strumenti e pratiche di valorizzazione; il ciclodel programma di valorizzazione. Lo stage avrà una dura-ta di 200 ore e si svolgerà presso un’amministrazione loca-le, una società privata o un’università, italiana o estera,che abbia sede in una città storica con l’obiettivo diimplementare la conoscenza acquisita dai corsisti attra-verso esperienze pratiche. La didattica complessiva è di1500 ore, pari a 60 crediti formativi universitari (CFU).

Durata e sede del Master

Il Master prevede la frequenza di una settimana a tempopieno per ogni mese a partire da maggio 2008 ad aprile2009 (agosto escluso). La sede è in Orvieto, PiazzaDuomo n. 20, presso il complesso di Santa Maria dellaStella.

Presentazione della domanda di ammissioneLa domanda di ammissione al Master dovrà pervenire alseguente indirizzo: Prof.ssa Manuela Ricci. DirettoreMaster ACT-VALORIZZAZIONE E GESTIONE DEI CENTRISTORICI MINORI presso DIPTU – Via Flaminia 72 – 00196Roma, entro e non oltre le ore 12.00 del 3 marzo 2008. Icandidati, unitamente alla spedizione della domanda,dovranno inviare anche la comunicazione dell’avvenutaspedizione al seguente indirizzo di posta elettronica:[email protected] e borse di studio

Il Centro studi “Città di Orvieto” offre ai frequentanti ilMaster opportunità di alloggio e pasti in regime di con-venzione, al fine di agevolare la loro permanenza inOrvieto. È prevista, tramite graduatoria, l’assegnazione din. 4 borse da Euro 1.100,00 messe a disposizionedall’Università “La Sapienza” di Roma e di n. 4 borse da ?500,00 messe a disposizione dalla Fondazione per il CentroStudi “Città di Orvieto”, da assegnare con i criteri specifi-cati nel bando. A tal fine, i candidati dovranno presentareapposita richiesta di accesso alla borsa di studio.

Per informazioniProf.ssa Manuela Ricci 335/8015744; Arch. RobertaLazzarotti 328/4311477; Arch. Ferruccio Della Fina 347/5775373Bando reperibile sul sito webhttp://w3.uniroma1.it/arcorvieto

re un valore di scambio. Alla base di questa tesi ci sono ormaidati evidenti; da un lato 27 milioni dialloggi esistenti, in massima parte diproprietà familiare e dall’altra circa250.000 nuovi alloggi costruiti ognianno, oltre agli edifici del terziario edell’industria. Questi sono costruiti suaree appartenenti nella maggior parte apoche migliaia di operatori immobiliari;e se il prezzo medio sul mercato dellaproduzione edilizia, si aggira sui 2.300euro al metro quadro di pavimento, l’in-cidenza dell’area su quel costo non èmediamente inferiore al migliaio di euro.Una semplice moltiplicazione ci diceallora, che il peso della rendita urbanapuò arrivare ogni anno, intorno ai ventimiliardi di euro. Senza perder tempo aperseguire i valori, teorici e mal definiti,delle aree potenzialmente edificabili deivecchi piani regolatori, come vorrebbefare il Governo. Un fisco che seguissepuntualmente le riforme urbanisticheregionali, o meglio ancora che fossedirettamente appoggiato da una riformanazionale di stesso segno, garantirebbedue risultati positivi: da un lato potrebbeconsentire una tranquilla e popolareriduzione dell’Ici per 22 milioni di fami-glie e dall’altro potrebbe sollevare iComuni dalla contraddizione fra lemolte abitazioni da tassare e i piani

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economico e sociale nel suo insieme.Se si limita “l’ampiezza di possibilitàche un individuo del sistema (…) ha diperseguire il suo piano di vita, libera-mente scelto”, si riduce il rendimentocomplessivo del sistema economico:limitando la capacità auto-organizza-tiva dei soggetti economici a esserepenalizzato non è solo l’individuo, maanche la performance dell’economianel suo insieme.Moroni estende le critiche hayekianealla pianificazione come attività gene-rica a quella urbana senza esitazioniconcettuali: i rilievi infatti “nonriguardano solo alcuni ambiti o formedi pianificazione, ma l’idea stessa dipianificazione”. Se per i suoi sosteni-tori, pur con i suoi limiti, “la pianifi-cazione rappresenta la forma indi-spensabile e privilegiata per la guidapubblica di realtà complesse”, Moroniribalta la prospettiva: “si potrebbedire non tanto che la pianificazioneha problemi, ma che la pianificazioneè il problema”.Le critiche di von Hayek consentonodi porre in discussione le premessestesse della pianificazione della città.Sistema complesso per eccellenza, lacittà non può e non deve essereoggetto di strumenti di regolazionepervasiva: non può perché ciò sempli-cemente si rivela velleitario; non deveperché la città si sviluppa come siste-ma complesso solo se la sua evoluzio-ne “è affidata a norme astratte egenerali, facendo per il resto affda-mento sulle sue capacità esplorativeed auto-coordinative dei suoi membriindipendenti”.

Quando l’economia critica la pianificazioneEzio Micelli*

“certe informazioni fondamentali nonsono acquisibili per ragioni di princi-pio”e non semplicemente perché sitratta di operazioni onerose sotto ilprofilo economico o complesse sottoquello tecnico. In secondo luogo, por-tare un sistema complesso quale è lacittà ad una configurazione specificaappare difficile quando non impossi-bile “a causa delle catene imprevedibi-li di effetti inintenzionali che i nostriinterventi di dettaglio nel cuore diuna realtà sociale plurale e multifor-me tendono inesorabilmente a genera-re”: il paradosso risiede dunque inregole specifiche e localizzate la cuinatura amplifica effetti perversi, operlomeno inattesi, nel momento incui queste stesse regole sono impiega-te dai soggetti ai quali è affidata l’at-tuazione del piano.Altre critiche – classificate comeesterne – concorrono a una messa indiscussione radicale dell’attività dipianificazione. Quest’ultima rappre-senta una limitazione alla libertà indi-viduale: ogni regola del piano – nonastratta e generale, e dunque perfetta-mente compatibile con il principio dilibertà – che stabilisca modalità pecu-liari di trasformazione dello spazioriduce la libertà individuale, non limi-tandosi a stabilire il giusto, ma deter-minando ciò che è bene per la società.Il piano, con le sue regole specifiche econgiunturali, entra dunque in con-trasto con le condizioni che favorisco-no “l’esistenza e l’esercizio della liber-tà individuale”.Inoltre, la pianificazione determinauna caduta di efficienza del sistema

Contro la pianificazione: per restituirecon efficacia il senso ultimo del volu-me di Stefano Moroni, l’editore avreb-be potuto proporre un sottotitolo chenon giustificasse alcuna ambiguitàcirca le reali intenzioni dell’autore.Che sono senz’altro quelle di demoli-re, sulla base di una critica lettura delpensiero liberale, le fondamenta dellapianificazione ipotizzandone il supe-ramento non in un’anarchica visionedello sviluppo della città, quanto indiverse forme di regolazione affidate alimitate quanto generali regole dicarattere generali e alla capacità auto-regolativa delle comunità urbane.1. Per sottoporre a critica il concettostesso di pianificazione, Moroni nedeve fornire preliminarmente unadefinizione. Lo fa privilegiando lapianificazione intesa come zoning,definendo il piano “in senso stretto,come un sistema di norme, a caratteredirezionale, volto ad ottenere il rag-giungimento di un determinato statofinale, tramite la coordinazione dicontenuto di un insieme di attività”.Il senso ultimo di un piano, in altreparole, è la prefigurazione di una par-ticolare configurazione dell’ambientefisico sia per mezzo di regole generalie ripetibili nel tempo, sia attraversoprescrizioni specifiche “irripetibili edipendenti dal tempo”.Le critiche che Moroni muove allapianificazione sono diverse. Le criti-che interne evidenziano in primoluogo l’impossibilità – e non solo ladifficoltà – di disporre delle informa-zioni necessarie a formulare i conte-nuti del piano stesso: e ciò poiché

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to edilizio di forma potenziata edestesa, dovrebbe essere capace diregolare senza pianificare, rinuncian-do in altre parole a prefigurare lostato ultimo di ogni ambito spazialeconsiderato.Per le ragioni prima sviluppate, alleregole di carattere generale dovrannoessere affiancate regole di caratterelocali e specifiche che, oltre a essereadeguatamente giustificate, dovrannoessere oggetto di adeguata compensa-zione.Gli strumenti della perequazione e deltrasferimento dei diritti edificatori rap-presentano concettualmente gli stru-menti grazie ai quali superare il limitedei tradizionali strumenti dello zoning,invitabilmente portatori di ingiustiziafondiaria, pervenendo a quell’equità ditrattamento che costituisce un obietti-vo irrinunciabile del pensiero liberale.Con simili strumenti, infatti, è possibileattribuire uno stesso contenuto divalore alle proprietà interessate dalpiano senza rinunciare all’acquisizionedi suoli funzionali alla realizzazione diinfrastrutture e attrezzature collettive;inoltre, con forme di regolazione capa-ci di preservare valori ambientali e ter-ritoriali in modo coerente rispetto allepreferenze dichiarate di una comunità.Lo sviluppo urbanistico delle diverseparti di città deve essere esito di unacapacità del settore privato di organiz-zarsi sulla base di regole generali,oppure, più plausibilmente, sulla basedi regole comuni a tutte le aree checondividono analoghe caratteristichesotto il profilo economico e giuridico.Si noti come una simile posizionerisulti del tutto coerente con quellaprecedente: elevata capacità di auto-organizzazione del settore privato eregole perequative appaiono sinergichenello sviluppo di modalità più e eque epiù efficienti di trasformazione urbana.Il piano dovrà così occuparsi della pro-gettazione dell’architettura territorialedella mobilità e degli spazi dei servizipubblici a scala urbana e metropolita-na, prefigurando non già la totalitàdello sviluppo territoriale, bensì i solibeni non producibili dal mercato edunque promossi (per quanto nonnecessariamente direttamente realizza-ti) dall’amministrazione. Procedure concorsuali che consentano

della città per la semplice ragioni cheessi non assicurano le minime condi-zioni di sostenibilità economica anchese ne è evidente l’utilità collettiva.A ciò si aggiunga come la realizzazio-ne di simili interventi comporti laproduzione di regole che non possonoessere solo astratte “regolazione dicornice”, ma debbano costituirsi comenorme spazialmente localizzate.Allo stesso modo, appare inaggirabileil modo in cui alcune esternalità (sipensi ad esempio a quelle legate all’u-so delle risorse naturali) debbanoessere affrontate in forma adeguata.Ciò non significa obbligatoriamente ilricorso a strumenti command andcontrol, anche se l’impiego di stru-menti alternativi non appare di sem-plice elaborazione. Per superare lozoning è possibile, ad esempio, ricor-rere ad un mercato dei diritti edifica-tori, a cui Moroni si riferisce espressa-mente, ma i costi di funzionamento ditali mercati si sono rivelati così eleva-ti da far ritenere il passaggio da formeautoritative a forme auto-organizzatepoco utile e vantaggioso.In sintesi, Moroni da un lato sottosti-ma il rilievo dei beni pubblici e dellaloro produzione (salvo recuperare iltema nell’ambito della pianificazionedi servizio) e, d’altro lato, sovrastimala capacità auto-organizzativa delmercato e della società a dare soluzio-ne al problema delle esternalità rile-vanti in ambito urbano. In entrambi icasi, si assiste ad una sottovalutazionedel ruolo – inaggirabile per la stessacultura liberale – del soggetto pubbli-co al quale spetta l’onere di predispor-re strumenti per la gestione dei con-flitti d’uso sulle risorse e sulla produ-zione dei beni non escludibili e nonrivali.3. La critica alla pianificazione disistema, pur alla luce di osservazioni ecritiche, costituisce un punto di par-tenza per indagare forme nuove diintervento che consentano il governodella città rinunciando a prefigurare,a mezzo di norme e regole cogenti,uno sviluppo urbano predefinito.Moroni dichiara la sua proposta perregole di carattere esclusivamentegenerale che regolino l’interazionedella forme di sviluppo dell’ambientefisico. Il codice urbano, un regolamen-

2. La tradizionale giustificazioneall’intervento pubblico nell’organizza-zione dello spazio – il mercato falliscee dunque è necessario l’interventopubblico per ristabilire condizioni diefficienza allocativa – è, nell’argo-mentazione di Moroni, completamenteribaltata. Moroni liquida in poche battute i fal-limenti del mercato e il conseguenteintervento pubblico nello sviluppodella città. La perentorietà delle sueargomentazioni appare tuttavia nondel tutto convincente. La critica puòessere mossa da due punti di vista: ilprimo riguarda il rilievo dei fallimentidi mercato in ambito urbano; ilsecondo concerne la possibilità digiungere a condizioni di efficienzaallocativa tramite soluzioni alternativeai tradizionali strumenti commandand control, di cui lo zoning è certa-mente rappresentativo.La teoria di beni pubblici e la regola-zione delle esternalità in ambito urba-no sembrano essere considerate daMoroni mero apparato retorico pergiustificare la pianificazione di siste-ma. In realtà, la produzione di benibubblici in ambito urbano rimane cru-ciale per giungere a condizione diefficiente allocazione e a condizionisostenibili di funzionamento del siste-ma territoriale. Del resto, l’autoresostiene come il soggetto pubblicodebba spostare l’attenzione dalla pia-nificazione di sistema a quella di “ser-vizio”. Una parte cospicua di quest’ul-tima è rappresentata proprio dalla“fornitura di determinati servizi einfrastrutture” e “in particolare, [di]quei servizi e infrastrutture ritenutipubblicamente rilevanti ma che lasocietà o il mercato – per qualcheragione contingente, che in futuropotrebbe anche decadere – non forni-scono”.Difficile immagine che beni qualistrade, piazze, parchi, ponti oppureservizi che si avvantaggiano delleeconomie di rete, come metropolitaneo tramvie, possano essere offerti com-pletamente o solo maggioritariamentedal settore privato. Storicamente, lacapacità auto-organizzativa dellasocietà e del mercato non ha eviden-ziato la capacità di promuovere benipubblici fondamentali per lo sviluppo

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allo stesso settore privato di promuo-vere infrastrutture e servizi, ad esem-pio ricorrendo alla procedura dellaconcessione o del project financing,permettono alla amministrazione dicapitalizzare l’intelligenza distribuitasul territorio circa le opportunità offer-te dal mercato. Si noti che investimento pubblico esviluppo privato sono interdipendenti:la capacità dell’amministrazione dipromuovere un piano delle reti e deigrandi servizi urbani determina condi-zioni per l’efficiente investimento pri-vato selezionando il dimensionamentoe le scelte funzionali: l’amministrazio-ne svolge in questo senso un primarioruolo di riduzione dell’incertezza, assi-

curando scelte ottimali per il capitaleprivato.L’attribuzione dei diritti edificatoricostituirà la conseguenza di un insiemedi scelte legate alla produzione di benipubblici tesi a definire l’architetturainfrastrutturale di una città e la suadotazione complessiva di servizi collet-tivi. Il dimensionamento può dunqueessere considerato la variabile (dinami-ca e non statica) a cui legare l’ammon-tare dei diritti edificatori immessi nelmercato immobiliare a seguito di unavalutazione del potenziale infrastruttu-rale e di servizi a disposizione dellacomunità.In sintesi, la prospettiva di un pianocoerente con i principi della cultura

liberale non appare affatto un’eresia.Occorre lasciarsi alle spalle lo zoningimpegnato a definire capillarmente losviluppo del territorio per promuovereforme di pianificazione in cui allegrande scelte di carattere infrastruttu-rale promosse dall’amministrazione siaffianchi la capacità progettuale delsettore privato, all’interno di un qua-dro di regole capaci di assicurare equeforme di trattamento degli interessiprivati e di definire, in ragione dellanatura e della qualità degli interventi,il contributo di imprese e soggetti delterzo settore allo sviluppo della città.

* IUAV Università di Venezia.

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Creditie debiti urbanistici

zione del loro destino pubblico o pri-vato.Per mezzo della perequazione, la piani-ficazione tradizionale aumenta la pro-pria efficacia salvaguardando i propricontenuti: essa infatti continua adeterminare la trasformazione dellospazio stabilendo forma e funzionidelle parti pubbliche e private dellacittà che si trasforma pur rinunciandoall’acquisizione forzosa dei suoli desti-nati agli interventi pubblici. 2. Un superiore livello di complessitàcaratterizza il trasferimento di poten-ziale edificatorio tra ambiti non conti-nui. Un’amministrazione può essereinteressata ad acquisire aree destinatea dotazioni territoriali senza consentirealcuno sviluppo immobiliare privato.In tal caso, il piano attribuisce un indi-ce perequativo all’area oggetto di tra-sformazione senza accordare ad essaalcuna possibilità di edificazione priva-ta. Quando il potenziale volumetricoprivato viene trasferito in un altro sitoritenuto idoneo, le aree destinate adotazioni territoriali sono ceduteall’amministrazione.Sotto il profilo teorico, la differenzanon risiede nella discontinuità spazialedei comparti e nella diversità dei sog-getti proprietari interessati: la più com-plessa articolazione spaziale non incideconcettualmente sulla dinamica di svi-luppo del comparto discontinuo, la cuiprogettazione può essere unitaria; inol-tre, anche nelle tradizionali lottizzazio-ni convenzionate vi possono essere,all’interno di un perimetro continuo,proprietà con obiettivi e proprietà dif-ferenziate.

Perequazione e natura del pianoEzio Micelli*

destinate alla città pubblica affinchéesse possano esse trasformate secondole priorità e i programmi stabiliti.Grazie alla perequazione, la pianifica-zione diviene più equa riducendo ladifferenza di trattamento delle areedestinate a funzioni pubbliche rispettoa quelle destinate allo sfruttamentoimmobiliare privato; diviene più effica-ce poiché, senza ricorrere all’apposizio-ne di vincoli e all’esproprio, consentel’acquisizione delle aree necessarie allosviluppo degli interventi pubblici.Se le forme di valorizzazione dei suolidestinati a trasformazione urbanisticacambiano in modo significativo, l’im-patto sulle modalità attuative si rivelacontenuto. La perequazione urbanisticaattuata per comparti rappresenta l’evo-luzione del tradizionale strumentodella lottizzazione convenzionata:l’amministrazione e il soggetto attuato-re convengono circa la cessione dellearee a standard e di quelle da cedere inragione del meccanismo perequativosecondo le regole fissate dal piano.Perequazione e pianificazione di siste-ma, per usare l’espressione di Moroni,possono dunque convivere ed è possi-bile sostenere l’indifferenza della pro-gettazione delle scelte di piano rispettoalle modalità di gestione individuate. Ilpiano può infatti prescrivere l’ubica-zione delle aree destinate all’edificazio-ne privata e agli interventi pubblici, ledestinazioni funzionali e le normedello sviluppo immobiliare in modoanalogo a quanto stabilito dalla piani-ficazione tradizionale, con la sola ecce-zione di non dovere più ricorrere alladiversa zonizzazione delle aree in fun-

La perequazione urbanistica ha caratte-re strumentale e non interferisce con lanatura e con i contenuti del piano: latesi appena enunciata è – in formaesplicita o implicita – alla base dimolti piani di nuova generazione, con-cepiti sulla base delle innovazionigestionali elaborate nel corso degliultimi anni.Ad una più attenta analisi, è possibileindividuare una più complessa relazio-ne tra la natura del piano e gli stru-menti a cui è affidata la sua gestione.E’ possibile infatti rilevare come lo svi-luppo del principio perequativo instrumenti sempre più sofisticati abbiadeterminato un’evoluzione significativadegli strumenti della pianificazione.Più precisamente, la perequazioneattuata per comparti risulta coerentecon le forme di pianificazione tradizio-nale; l’impiego del trasferimento delpotenziale volumetrico e dei diritti edi-ficatori determina invece il passaggio anuove forme di regolazione che rinun-ciano alla configurazione funzionale espaziale delle aree di trasformazionedella città per fissare le modalità diinterazione tra proprietà, sviluppatori eamministrazione.1. La forma tradizionale di funziona-mento della perequazione urbanistica ènota. Alle aree di trasformazione urba-nistica viene attribuito uno stesso indi-ce di edificazione senza distinzione traaree destinate alla città pubblica e aquella privata. Nell’ambito dei compar-ti urbanistici, le aree dotate di uncarattere unitario sotto il profilo pro-gettuale, il soggetto attuatore devecedere all’amministrazione le aree

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Urbanistica INFORMAZIONI

La differenza rispetto al trasferimentodel potenziale volumetrico è duplice:in primo luogo, il potenziale edificato-rio non può semplicemente essereimpiegato in un certo numero di aree,ma il suo utilizzo – anche in forza diuno statuto giuridico rafforzato ancor-ché problematico – è libero sulla tota-lità delle aree di trasformazione urba-nistica; in secondo luogo, mentre iltrasferimento del potenziale volumetri-co era funzionale ad una maggioreefficiacia del piano tradizionale, con idiritti si assiste alla dichiarata messa indiscussione della forma stessa delpiano. L’evoluzione implicitamente promossadai diritti edificatori del piano da atti-vità di prescrizioni localmente determi-nate a insieme di regole generali affi-date alla società e al mercato non èpriva di difficoltà. Il mercato dei dirittiedificatori può presentarsi, nelle sueforme contingenti, in modo diverso dalmercato di concorrenza perfetta rive-lando un eccesso di potere sul frontedella domanda o dell’offerta di diritti.Inoltre, i costi di transazione legati alfunzionamento del mercato possonorivelarsi particolarmente onerosi ren-dendo più efficaci formule tradizionalibasate su meccanismi di tipo prescritti-vo puntuale.Al di là delle difficoltà applicative,resta tuttavia la discontinuità concet-tuale di un piano che promuove laregolazione e rinuncia alla progettazio-ne sistematica della città. Lo sviluppourbano in questo modo può essere rap-presentato solo per scenari, a cui èpossibile attribuire una probabilità inragione delle variabili determinanti delmercato immobiliare e delle preferenzedegli operatori.

* IVAV, Università di Venezia.

RiferimentiBartolini A. (2007) Profili giuridici del c.d. credito divolumetria, relazione svolta all’incontro di studio Ladisciplina del territorio tra regole del mercato e mer-cato dei diritti, Tribunale amministrativo dell’Abruzzo,sez. Pescara, 28 giugno.De Carli M. (a cura di) (2007) Strumenti per il governodel territorio. Perequazione urbanistica e borsa deidiritti edificatori, Angeli, Milano.Moroni S. (2007) La città del liberalismo attivo,Cittastudi, Milano.

perequative prima discusse risiede nel-l’autonomia e nella libertà di impiegodei diritti edificatori. Pur con posizioniarticolate e a volte in contrasto, ad essialcuni giuristi riconoscono una possi-bile autonomia rispetto ai suoli che lihanno determinati (Bartolini, 2007),configurandoli come asset indipendentiper i quali può nascere, di conseguen-za, un mercato specifico. Inoltre, idiritti edificatori possono essere utiliz-zati su tutte le aree di trasformazioneurbanistica ad eccezione di quelle cheil piano vincola come necessarie all’at-tuazione di programmi di carattere col-lettivo.L’innovazione dei diritti edificatoricomporta un’importante trasformazio-ne del piano. Lo strumento dei dirittiedificatori radicalizza infatti l’elementodi novità contenuto nel trasferimentodel potenziale di edificazione, esten-dendo a tutte le aree di trasformazioneurbanistica la possibilità di sfruttare idiritti qualora ciò sia ritenuto conve-niente.Con l’attribuzione dei diritti edificatori,il piano smette di prefigurare forma efunzioni di ciascuna area di sviluppoper divenire prioritariamente attività diregolazione dell’edificabilità complessi-vamente autorizzata. Fissata la quanti-tà di diritti disponibili in modo compa-tibile con le infrastrutture e i servizi adisposizione, il mercato provvede asviluppare le opportunità offerte dalpiano per trasformarle in progetti.Affidare la gestione del piano a unsimile strumento significa limitare ilricorso a norme puntuali circa l’uso delsuolo per promuovere invece lo svilup-po urbanistico della città attraverso leregole di funzionamento del mercatodei diritti edificatori. Non casualmenteil comune di Milano sta valutando lapossibilità di istituire una borsa deidiritti edificatori (De Carli, 2007).La promozione di strumenti sofisticatidi funzionamento dei nuovi mercatipuò rappresentare lo strumento pervalorizzare l’intelligenza distribuitadegli operatori che concorrono allosviluppo della città: il piano che regolae non prescrive assume implicitamentela superiore efficacia dell’interazionetra i soggetti della società e del merca-to rispetto alla razionalità comprensivadel pianificatore.

La differenza di rilievo risiede invecenella possibilità di trasferire il poten-ziale di edificazione in una classe diaree e non su di un’unica area predefi-nita dal piano urbanistico. Il proprieta-rio di un’area con un potenziale di edi-ficazione soggetto a trasferimento puòscegliere fra diversi proprietari con cuigiungere ad un accordo. La libertà discelta favorisce la possibilità di uneffettivo utilizzo delle volumetrie attri-buite dalla perequazione ampliando lepossibilità combinatorie ammesse dalpiano.Il trasferimento del potenziale di edifi-cazione a distanza rappresenta un’in-novazione gestionale capace di modifi-care i caratteri costitutivi del piano.Poiché infatti ai proprietari delle sen-ding areas, per impiegare una feliceespressione delle esperienze americanedi trasferimento dei diritti edificatori,viene data la possibilità di impiegare ilpotenziale edificatorio in più aree, lapianificazione non prevede più un’uni-ca configurazione spaziale e funzionaledelle receiving areas, il cui sviluppodiviene funzione delle preferenze edelle opportunità che si formano dal-l’interazione degli operatori. La pianificazione smette di prefigurarelo sviluppo pubblico e privato di cia-scuna area di trasformazione e si limitaa regolare le forme di utilizzo delpotenziale edificatorio attribuito alloscopo di compensare le proprietà altri-menti espropriate accettando le combi-nazioni progettuali esito dell’incontrodi domanda e offerta.La soluzione gestionale altera dunquele natura del piano e ne modifica lecaratteristiche costitutive. Con il trasfe-rimento del potenziale di edificazione,il piano promuove una gamma di cittàpossibili, la cui forma può essere deter-minata solo per via probabilistica inragione delle caratteristiche della pro-prietà e del mercato immobiliare. 3. Un’ulteriore evoluzione della pere-quazione urbanistica è rappresentatadai diritti edificatori. In alcune regionidel paese – i casi più noti sono laLombardia e il Veneto – i comunihanno la facoltà di attribuire dirittiedificatori allo scopo di compensare unproprietario per acquisire un’area o unimmobile.La differenza rispetto alle formule

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Vittoria Crisostomi*

EventiEventi

I seminari bolognesi sui“superluoghi” e sullosviluppo della città inrapporto al decentramentodi funzioni polarizzantisono lo spunto perriflettere su alcune sceltefondanti il nuovo Prg diRoma

Nell’ambito delle iniziativesulla “Civiltà dei superluo-ghi”, si è svolto a Bologna il20 ottobre 2007 il seminariodal titolo “Il decentramentocome paradigma per lo svi-luppo della città?” che aprequalche riflessione su carat-teri e linee di evoluzionedell’attività urbanistica. Persuperluoghi si fa riferimentoa tutti quegli insediamentifortemente attrattori, autore-ferenziati e con elevata fre-quentazione di utenti qualioutlet, aeroporti, stazioni,centri commerciali.Giuseppe Campos Venuti hamesso sullo sfondo le treparole chiave del seminarioe, a proposito dello sviluppo,assunta l’economia classicacome paradigma dell’inter-pretazione territoriale, haevidenziato che la tipologiadi sviluppo capitalista e delregime immobiliare hannofinora prodotto sistemi inse-diativi patologici con carat-

teri particolarmente negativiin Italia e che anche i super-luoghi rischiano di ripropor-re le stesse criticità. Ha sot-tolineato i due possibilipunti di vista, emersi nel-l’incontro precedente, quellodi Vittorio Gregotti che haevidenziato tutti gli aspettinegativi e quello più possi-bilista di Stefano Boeri chene ammette alcune utilità,per concludere che tali inse-diamenti non possono essereoggetto di una interpretazio-ne ideologica né di un qua-dro interpretativo generaliz-zato: i superluoghi nonrispettano le regole localiz-zative tradizionali, sono ditutti i tipi a seconda delleesigenze del mercato emodificano i valori dellearee urbane. Ha contrappo-sto poi modelli giusti e sba-gliati come Linate eMalpensa a Milano, la Fieradi Milano e la Fiera diBologna con storie diversis-sime. Se ne conclude che isuperluoghi devono daregaranzie di sviluppo territo-riale e non devono rappre-sentare decentramenti difunzioni nel deserto; chesono urbanisti ed ammini-stratori a doverli leggere ecapirne il senso e le diffe-renze e che, in una strategiariformista chiara per la cittàe l’area vasta, devono essere

valutati e poi scelti o rifiu-tati.Giuseppina Gualtieri, presi-dente della societàAeroporto Marconi diBologna, ha spiegato come,alla luce degli incrementidel traffico fino a cinquevolte, la funzione aeropor-tuale originaria consistentenello svolgere collegamentisia stata fortemente integra-ta da altre funzioni quali ilcommerciale che attualmen-te pesa per il 9%. La libera-lizzazione ha avuto pereffetto la diminuzione delpeso economico del traspor-to in senso stretto e il pro-fitto viene più dall’indottoche dalla funzione origina-ria. Il futuro quindi derivada un contesto in cui i col-legamenti sono fondamenta-li ma devono essere oggettodi politiche integrate diorganizzazione delle funzio-ni urbane.Alessandro Ricci, presidentedell’Interporto di Bologna,ha ricordato il forte decen-tramento, molto criticato,dell’interporto come opera-zione di politica industrialelungimirante poiché registraun movimento di 7.182 trenimerci al 2006 e invia incittà 5.000 camion al gior-no, ha anche difeso la poli-tica di non vendere i lottiproduttivi ed i capannoni agaranzia di un più sicuromantenimento del profilofunzionale.Il rappresentante di RFITerminali Viaggiatori eMerci ha confermato cheanche le stazioni stannoassumendo un profilo multi-funzionale, un ruolo urbani-stico diverso e presentanoproblemi di gestione delpossibile degrado. A taleprocesso corrisponde unapolitica in cui i sistemi direlazione sono più ampi, lestazioni si decentrano e lerelazioni con l’immediato

intorno vengono risolte conedifici ponte come a Roma(Tiburtina ed Ostiense) e aTorino. La stazione diBologna verrà decentrata econ funzione passante.Infine Guido Gambetta, pro-rettore dell’Università diBologna, ha ricordato cheanche le Università, oltrealla formazione, si devonoaffacciare al mercato inter-nazionale della ricerca edella cultura attrezzandosiopportunamente. A tale pro-posito ha ricordato i costiaggiuntivi di gestione degliAtenei.Il prof. Jordi Borja ha con-cluso cercando di organizza-re un sistema di riferimentoper l’analisi valutazione escelta dei superluoghi. Perprima cosa è convinto che isuperluoghi siano la formadel nuovo territorio urbanoche si deve accompagnaread un ruolo condizionantedelle infrastrutture e ad unsistema di regole pubblichegovernabile. Infatti la quali-tà non viene dalla denomi-nazione di superluogo chenulla dice sulla sua validità:accanto ad esempi brillanticome Bilbao abbiamo esem-pi di fallimenti come ilForum di Barcellona eSiviglia. Sottolinea l’impor-tanza della multifunzionalitàche produce effetto città eda fronte di una competitivitàastratta che spesso nega lamultifunzionalità, ad esem-pio un aeroporto o un cam-pus universitario che nonfanno città, sottolinea ildato fondamentale dellaqualità dell’offerta urbana.Ovviamente per qualità nonsi intende la grande firmadell’architettura.Riflette quindi sulle caratte-ristiche necessarie perchè ìsuperluoghi facciano città:non si può usare il concettometropolitano: spesso si ha ache fare con due città, possi-

A Bologna “la civiltà deisuperluoghi”

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Urbanistica INFORMAZIONI

negli effetti sul modelloorganizzativo della città.Valga ad esempio la dupli-cazione delle multisale traGuidonia e la centralità diPonte di Nona Lunghezza edil doppio modello di infra-strutturazione che le suppor-ta; oppure il nascente centrointermodale di Fiumicino ela centralità di Fiera diRoma anch’essi con unsistema ambiguo di infra-strutture; o ancora lo stenta-to decollo del parco termaletra Tivoli e Guidonia o ilrapporto tra parcheggi e sta-zione nei pressi della even-tuale stazione di CiampinoDue.Proprio nelle più recentiriflessioni di UrbanisticaInformazioni sull’argomentodelle aree metropolitane,venivano segnalate, dalComune di Torino, le mede-sime criticità. Se ne conclu-de che, pur avendo superatol’idea di un unico ambitometropolitano e perseguendol’idea che la forma dell’areametropolitana presenti unageografia variabile e specia-lizzata a seconda delle fun-zioni di riferimento, i confi-ni amministrativi e gli inte-ressi economici che presie-dono alla crescita delle cittàpossono essere dei concretiostacoli alla realizzazionedel modello teorico.Per questo le forme concer-tative e negoziali tra istitu-zioni per la realizzazionedegli interventi, evocate daBorja non sono più unrichiamo, ma diventano unimperativo categorico evanno costruite tra mille cri-ticità ed in un quadro con-flittuale di interessi daricomporre.Il secondo tema riguarda lanatura concreta delle centra-lità di Roma ed il rapportocon i superluoghi che sirivela ambiguo. Due segnali:sembrano non assunti, tra i

problemi di pianificazione, isuperluoghi esistenti dell’ae-roporto e del limitrofo cen-tro intermodale merci e delnuovo porto, l’outlet diCastel Romano e i suoi pos-sibili sviluppi, la stazioneTiburtina come contenitoredi funzioni. Secondo: nellecentralità in corso di pianifi-cazione (Madonnetta) o direalizzazione (Ponte diNona, Bufalotta) le funzionidi progetto stanno perdendole spiccate specializzazionicon cui sono state inseritenel piano e lentamentemodificando il profilo versola funzione residenziale,banale ma sicuramenteassorbita dal mercato.

Come mai il ruolo significa-tivo di gangli della vitalitàurbana, affidato alle centra-lità non corrisponde al realeandamento delle attuazionie i superluoghi continuano anon seguire nessuna regola,e quasi a sfuggire dallemaglie della pianificazione?Probabilmente anche inquesto caso le categoriementali dell’urbanista hannoconfuso aspettative e prefi-gurazioni con la realtà.La prima realtà è che le cen-tralità furono inizialmenteindividuate come punti diaggregazione di servizi loca-li (le microcittà, e quindi lemicrocentralità, descrittenelle ricerche Cresme prope-deutiche al nuovo piano) etra esse le più estese, le piùlibere, le più infrastrutturatee le più politicamente tratta-bili, sono ascese al ruolo dicentralità metropolitana.Non sono quindi nate comesuperluoghi.La seconda realtà è che lepreviste grandi concentra-zioni di funzioni pregiatecome l’Università, la cittàgiudiziaria, le sedi di ricercae sviluppo sono funzioninon sempre ad elevato con-

bilmente corrispondenti adue livelli di governo, una èla città agglomerata compo-sta da centro e prima perife-ria, l’altra è la città-regionedelle fasce urbanizzate diseconda corona; se ne profi-la poi una terza che è lacittà integrata nello spazioeuropeo; deve essere garan-tita l’intermodalità tra mezzidi trasporto e tra reti dilivelli diversi; si deve assicu-rare la presenza di funzionidi eccellenza accompagnateda altre funzioni urbanemeno specializzate; vannoassunti dei riferimenti fisicidi visibilità; deve esserecurata la qualità ambientalee dello spazio pubblico comespazio di vita e di presenzaumana; all’esperienza nega-tiva delle 24 torri diHospitalet prive di uno spa-zio reale di socializzazione,corrisponde l’ottima vitalitàdel borgo produttivo chericalca la trama del piano diCerdà; va esaltata la conti-nuità fisica e simbolica,anche solo virtuale, con lacittà esistente, come adesempio è per La Défensedove un’area periferica e discarso interesse è stata con-nessa visivamente alla cittàcon La Grande Arche; avereun nome accattivante cheaiuta a localizzare e concepi-re il superluogo come uninsediamento. Riguardo alnecessario sistema di regolepubbliche, ricorda che ilmodello di evoluzione spon-tanea distrugge il sistemadella città compatta e multi-funzionale e che questomodello di capitalismo spon-taneo va corretto dall’azioneregolatrice pubblica. Infinericorda che tra istituzioninon è possibile amministrarei superluoghi in manieracompartimentale o con isti-tuzioni ad hoc ma è necessa-rio mettere in pratica formerelazionali di governo.

Le considerazioni fatte nelseminario fanno riflettere suun paio di temi specifici cheavranno il ruolo di condi-zionare fortemente e perlungo tempo i destini dellagestione del nuovo piano diRoma, ora ancora in fase diapprovazione.In primo luogo va totalmen-te abbandonato il concettodi area metropolitana comeunico perimetro amministra-tivo, funzionale, geografico,di autocontenimento dellamobilità, che ha dominatoper lungo tempo il dibattitoed ora sembra solo sopito.In tal senso opera il nuovoPrg che presenta una note-vole apertura all’area vasta,individua un sistema di cen-tralità metropolitane che siestende ai comuni contermi-ni come ad esempioGuidonia, Tivoli, Fiumicino,Bracciano e svolge relazionicon le polarità di pari livellocollocate nell’area urbanaprincipale. Finalmente sidispone di un modello geo-grafico la cui forma corri-sponde all’organizzazionedel sistema delle funzioniurbane pregiate, e cosìandrebbe replicato per lealtre famiglie di funzioni. Ilproblema sorge nel momen-to in cui anche i centriesterni individuano strategiedi rafforzamento ed azionidi trasformazione. Questespesso comportano un siste-ma di infrastrutturazione edun insieme di funzioni, cen-trate sulle aspettative e sul-l’organizzazione locale, cheentrano in concorrenza conquanto previsto nel centroprincipale e ne confondonoil disegno originario.Il passaggio dal modelloteorico all’attuazione con-creta comporta sovrapposi-zioni e concorrenza che almomento non sono del tuttoamministrabili e non sononemmeno del tutto chiare

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Pamela De Pasquale*

È partita da Roma la grandesfida degli organizzatori di“Le salvi chi può”, il primoevento realizzato in Italiaper sensibilizzare il grandepubblico al problema delladistruzione delle foreste pri-marie. Ma come può il sin-golo opporsi a spregiudicateazioni economiche che sisvolgono lontano dalla pro-pria casa, spesso in zone delmondo delle quali non siparla neppure perché la loropovertà non fa notizia? Larisposta è nel titolo stessodella mostra “Dal grande alpiccolo, tutto quello chepossiamo fare per la salva-guardia delle foreste”. Nontutti, infatti, sono consape-voli di come – adottandocomportamenti di consumoresponsabile – sia concreta-mente possibile instaurareun circolo virtuoso: aumen-tare la domanda di legno,carta e derivati che abbianouna certificazione di compa-tibilità ambientale (e dirispetto del lavoro dellecomunità locali) vuol direcompiere una piccola rivolu-zione copernicana. Nel riccoOccidente, il cliente finale –anziché essere la causa(inconsapevole?) delladistruzione di ecosistemiintatti – può diventare coluiche con forza richiede a chiproduce un maggiore impe-

gno nella protezione delleforeste e di chi le abita. E se,ciò non avviene, semplice-mente non compra. Come spiegare tutto questoin modo semplice e imme-diato? L’idea è partita dal-l’associazione culturaleMelacotogna ed in partico-lare dal suo PresidenteSusanna Rambelli, la primaa credere fortemente nell’i-niziativa e a coinvolgerel’Assessorato alle PoliticheAmbientali ed Agricole delComune di Roma,Greenpeace e Fsc-Italia. Sisono poi uniti come promo-tori e sponsor un grannumero di istituzioni, enti eorganizzazioni che hannofatto proprio il progetto. Eanche l’attenzione mediaticaè stata grande: tra agenzie,quotidiani, siti web, radio etelevisioni, quel che forseha più colpito è stata lapresenza alla conferenzastampa – dove di ambientee futuro discutevano lescrittrici Lidia Ravera eSandra Petrignani insiemeal documentarista FabrizioCarbone – delle telecameredel Tg3 nazionale. Il pubblico che ha scelto “Lesalvi chi può” tra la variega-ta offerta di attività culturalidella Capitale, ha godutodella stupefacente ricostru-zione in serra di un ambien-

te tropicale curata dalServizio Giardini delComune di Roma all’internodell’Aranciera del Semenzaiodi San Sisto. Ma era solo l’i-nizio… A seguire c’era unalunga galleria di pannellifotografici sulle foreste pri-marie del mondo e suipopoli che le abitano, videoche raccontavano la distru-zione di ecosistemi intatti eantichissimi (magari perprodurre oggetti ai quali sidà scarso valore, come lacarta igienica o gli stuzzica-denti) fino ad arrivare allaricostruzione di una casa“tipo” con prodotti e arrediprovenienti dal commerciolegale messi a confronto congli stessi prodotti di usoquotidiano, ma di originenon certificata. Tante le domande e le curio-sità della gente comune, ditutte le età. E tanto ancorac’è da fare per dare rilevan-za e pubblicità a questi temi,svincolandoli dalle ideologiepolitiche alle quali vengonoper comodità associati dallastampa più frettolosa esuperficiale. Per questo “Lesalvi chi può” si proponecome un evento itinerante:la formula funziona, si trattasolo di replicarla in altrecittà d’Italia.

* Inu Lazio(http://www.lesalvichipuo.it/PromotoriSponsor.htm)

sumo di spazio, nessunafunzione da sola costituiscepolarità, non si rilocalizzanoin modo massiccio e con-temporaneo ma per parti,con aggiunte modifiche edintegrazioni, come la tren-tennale esperienza sulSistema DirezionaleOrientale e la ventennalesugli Atenei dovrebbe avereinsegnato.Dall’altra i superluoghi veri,i centri commerciali gliaeroporti le stazioni, sonocosì terribilmente coerenticon il loro sistema di infra-strutturazione e così perfet-tamente aderenti alle regoledel mercato da non esserepiù un problema di pianifi-cazione, finché le loromutate esigenze di sedi o direti non pongano alla ribaltaun nuovo assetto decisochissà dove e subito realiz-zato.Si potrebbe concludere sulfatto che le scelte del piani-ficatore rispetto alla confi-gurazione di un modelloinsediativo equilibrato edefficiente sono in buonaparte non corrispondentialle ragioni del mercato eche, ancora una volta, ipiani non si sovrappongonoperfettamente alla realtà.

* Direttivo Inu Lazio.

Una mostra per salvare leforeste del mondo

Eventi

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ConvegnoIl convegno è composto da sessioni tematicheattinenti al tema del congresso, presentazione distudi e ricerche, illustrazione dei risultati delleattività propedeutiche all’evento, dibattiti sui casiesposti.

MostraI progetti relativi al tema del congresso, illustratida appositi manifesti, vengono esposti nellamostra, che si svolge all’interno della MoleVanvitelliana contemporaneamente al Congresso.

DossierPreliminarmente al Congresso vanno raccolte esistematizzate le attività di avvicinamento alCongresso che saranno pubblicate in un dossierda distribuire insieme al materiale di lavoro e adaltre pubblicazioni.

Rapporto 2007Presentazione del “Rapporto dal Territorio 2007”

Assemblea dei sociNell’ultima giornata si svolgel’assemblea nazionale per l’elezionedei nuovi organi direttivi dell’Istituto.

Calendario

Congresso

giovedì 17 aprile 2008 › Ridotto Teatro delle MuseApertura del congresso, convegno, dibattiti,presentazioni, incontri, sessioni di lavoro.

venerdì 18 aprile 2008 › Teatro delle MuseConvegno, dibattiti, presentazioni, incontri,sessioni di lavoro.

Assemblea socisabato 19 aprile 2008 › Ridotto Teatro delle MuseAssemblea nazionale soci INU

Mostragiovedì 17 aprile 2008 Mole Vanvitellianaapertura dell’esposizione

domenica 27 aprile 2008 Mole Vanvitellianachiusura dell’esposizione

Comitato Scientifico NazionaleFederico Oliva | Sauro MogliePierluigi Properzi | Ornella SegnaliniSimone Ombuen | Carlo Alberto BarbieriMassimo Giuliani | Roberto Lo GiudicePaolo Avarello | Laura PoglianiFrancesco Sbetti | Claudio CentanniFabio Sturani | Oriano GiovannelliAntonio Sorgi | Emilio D’Alessio

Responsabili delle tre aree tematicheMarisa Fantin “Il piano locale”Roberto Lo Giudice “Il piano territoriale”Francesca Pace “Il piano territoriale”Franco Marini “I temi trasversali”

Responsabile Dossier CongressoMichele Talia

Comitato Operativo LocaleConsiglio Direttivo INU Marche

Segreteria Nazionale INUPiazza Farnese, 44 - 00186 RomaTelefono +39 06 68801009e-mail [email protected]@inu.itsito web www.inu.it

ARTICOLAZIONEDEL CONGRESSO

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INIZIATIVE GIÀ SVOLTE

ALTRE INIZIATIVE PREVISTE

21-feb-07

26-feb-07

3-apr-07

17-apr-07

18-apr-07

20-22 settembre 2007

27-set-07

18-ott-07

8-nov-07

16-nov-07

21-nov-07

24-nov-07

29-30 novembre 2007

16/ 01 2008

25/01/2008

25/01/2008

25/01/2008

28 /01/2008

30/01/ 2008

08/02/ 2008

Palermo

Milano

Milano

Bologna

Perugia

Cesenatico

Milano

Poggibonsi

Ascoli Piceno

Senigallia

Venezia

Venezia

Palermo

Napoli

Firenze

Gorizia

Savona

Milano

Firenze

Firenze

La legge di principi per il Governo del Territorio e le proposte dell'INU qualipossibili effetti ed indirizzi per la legge regionale

La legge quadro sul governo del territorio e la posizione dell’Istituto Nazionaledi Urbanistica

La politica della casa nelle aree metropolitane

L'evoluzione del rapporto pubblico/privato nei programmi di trasformazioneurbana. Esperienze a confronto

La questione urbana nella nuova programmazione comunitaria

L’elaborazione del PSC in attuazione della LR 20/2000

"La città, i progetti, le opere: pianificazione operativa e governo della qualità urbana"

Energia e paesaggio

Per un’urbanistica comunicata e partecipata

Pianificazione energetica e politiche del clima nel nuovo piano

Riforma fiscale e riqualificazione delle città

Itinerari di pianificazione strategica

VII Congresso Regionale della Sezione Sicilia “Territori costieri: quali politicheper un governo integrato”

Il nuovo Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Napoli

Nuovo Piano e paesaggio

Una nuova pianificazione territoriale per il Friuli Venezia Giulia – problemi eprospettive dopo l’entrata in vigore della nuova legge urbanistica regionale

Piani e politiche per una città intermedia

Il nuovo Piano

Politiche e strumenti per la residenza sociale. Il contributo dell’urbanistica perl’edilizia residenziale sociale

Componenti del nuovo piano: la valutazione e la partecipazione

Inu Sicilia, Dipartimento Città e Territorio, Univ. di Palermo

Inu Lombardia, Ordine degli Architetti PPC della Provincia diMilano

Inu Lombardia, Provincia di Milano

Inu Emilia Romagna

Inu Umbria

Inu Emilia Romagna, ANCI e UPI regionali

Inu Lombardia

Inu Toscana

Inu Marche, Comune di Ascoli Piceno, Facoltà di Architetturadi AP, Dip. ProCamInu Marche, Comune di Senigallia, Alleanza per il Clima conInu Puglia, Inu Toscana, Commissione nazionale politiche infra-strutturaliUrbanpromo 2007, Inu-Ance

Urbanpromo 2007, Inu- RecsInu Sicilia

INU Campania

Inu Toscana

Inu Friuli Venezia Giulia

INU Liguria

INU Lombardia

Gruppo di Lavoro Nazionale Politiche e strumenti per la residenza sociale

Inu Toscana

INIZIATIVE IN PROGRAMMAZIONETorino

Potenza

Roma

Taranto

Brindisi

Venezia

Perugia

Milano

inizi 2008

inizi 2008

inizi 2008

inizi 2008

inizi 2008

inizi 2008

inizi 2008

inizi 2008

inizi 2008

Dal 31 Marzoal 4 aprile 2008

Inu Piemonte Regione Piemonte

Inu Basilicata

Inu Abruzzo, Regione Abruzzo, Sphera

Inu Abruzzo

Inu Lazio, UPI Lazio

Inu Puglia Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Taranto

Inu Puglia Provincia di Brindisi

Inu Veneto Provincia di Venezia

Inu Umbria Regione dell’Umbria

Inu Lombardia Regione Lombardia

Verso la nuova legge urbanistica del Piemonte: le conferenze di copianificazio-ne e l’assistenza tecnica al processo di pianificazione

A un decennio dalla nuova legge urbanistica regionale

Paesaggi regionali e Quadri strategici

Rassegna regionale Abruzzo

Piani territoriali di coordinamento provinciali

La pianificazione strategica

La pianificazione territoriale d’area vasta

Il governo del territorio e le trasformazioni del paesaggio

La nuova pianificazione d’area vasta. Verso la revisione della L.R. 28/95

X Rassegna Urbanistica Regionale

Salerno

Napoli

Roma

Roma

Torino

Torino

Commissione nazionale politiche infrastrutturali Comune diSalerno, Comune di Battipaglia Con Inu Campania e Inu Puglia

Inu Campania Provincia di Napoli

Inu Friuli Venezia Giulia

Inu Lazio, Comune di Roma, Provincia di Roma, Regione Lazio

INU Lazio

Inu Piemonte ITP

Inu Piemonte ANCI e UPI regionali Regione Piemonte

Inu Veneto

Inu Veneto IUAV

Portualità integrata e sostenibilità dello sviluppo nel Mezzogiorno

Sviluppo, clima e paesaggio nel PTC della Provincia di Napoli

La nuova legge urbanistica regionale e il nuovo PTR

Roma: dal nuovo piano comunale alla pianificazione della città capitale

La valutazione nei programmi complessi e le trasformazioni urbanistiche

Gli investimenti privati nelle trasformazioni urbane

Le conferenze di pianificazione Presentazione delle due ricerche nazionali(conferenze di pianificazione e assistenza tecnica)

Il paesaggio delle aree produttive

Il paesaggio urbano

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nali della politica comunita-ria e prefigurandone lemodalità di applicazionenella realtà tecnico-normati-va e territoriale dellaRegione Umbria.La seconda sessione delseminario è stata invecededicata alle amministrazio-ni comunali umbre, chiama-te a raccontare le esperienzedi riqualificazione urbanarealizzate, in essere o previ-ste, e a evidenziare criticitàe esigenze emerse.I consulenti ANCI hannoriassunto il quadro delledecisioni e gli indirizzi degli“Orientamenti Strategici perla Coesione” (OSC) sui temiurbani, illustrandone il rece-pimento nell’ambito del QSN(Quadro StrategicoNazionale) e nellaProgrammazione Regionale(POR).Dalla relazione è emerso cheil ruolo delle città nella pro-grammazione 2007-2013 èsancito da alcune prioritàdegli OCS, in particolare daquella che propone di rende-re più attraenti gli Statimembri, le regioni e le cittàagendo sull’accessibilità, iservizi e tutelando l’ambien-te urbano, ma anche inter-venendo sul sistema econo-mico, promuovendo l’im-prenditorialità, la ricerca el’innovazione, nonché quan-tità e qualità dei posti dilavoro. Le maggiori risorsedestinate a questo scoposono raccolte in tre princi-pali canali della program-mazione:Misure volte a promuoverele città in quanto motori disviluppo regionale, in parti-colare attivando risorsefinalizzate a promuoverel’imprenditorialità, l’innova-zione e lo sviluppo dei ser-vizi;Misure finalizzate al recupe-ro dell’ambiente fisico,riconversione aree dimesse,

conservazione e promozionedel patrimonio storico e cul-turale con potenziali ricadu-te sul turismo, risanamentodegli spazi pubblici;Azioni mirate a promuovereuno sviluppo più equilibratoe policentrico, sviluppandola rete urbana a livellonazionale e comunitario concollegamenti tra le città eco-nomicamente più importantie le altre aree urbane, com-presi i centri piccoli e medi.Le indicazioni degli OSCsono state riprese dalQuadro Strategico Nazionale(QSN), tra le priorità delquale il peso finanziarioattribuito a “Città e sistemiurbani” è pari al 7,20%.All’interno e in coerenzacon tale quadro di riferi-mento comunitario e nazio-nale, la programmazioneoperativa regionale (POR) èincaricata di individuare i“territori di progetto” (cittàmetropolitane e altre cittàidentificate dagli strumentidi pianificazione territorialee strategici regionali e siste-mi territoriali rilevanti sottoil profilo economico-funzio-nale) in cui sviluppare ini-ziative su comuni singoli oassociati ovvero, qualora nericorreranno le condizioni,in ambiti territoriali inter-regionali e/o transfrontalierio che perseguano obiettivitransnazionali. Il POR definisce gli inter-venti prioritari a favoredella crescita e della trasfor-mazione delle economieurbane, e una serie di indi-rizzi comuni finalizzati aorientare le modalità di sele-zione e gestione dei progettisecondo gli indirizzi comu-nitari, proponendo l’aperturaa conoscenze e risorse ester-ne e l’applicazione di moda-lità di intervento a carattere“integrato” (sistemi di gover-nance multilivello, avvio ditavoli interistituzionali

Chiara Bagnetti*, Riccardo Guarnello*

Un Seminario di Studi (INUUmbria e ANCI) ha affronta-to il tema delle politicheurbane nel nuovo ciclo diprogrammazione comunita-ria 2007-2013 evidenziandopossibili terreni di innova-zione per le pubblicheamministrazioni.Il nuovo ciclo di program-mazione dei fondi comuni-tari 2007-2013 investeimportanti risorse sui sistemiurbani in considerazione delloro ruolo strategico di“motori della crescita e del-l’occupazione”. La conoscen-za delle opportunità e delleinnovazioni poste in essereda questo orientamentocomunitario è un passaggiofondamentale nelle defini-zione delle future politicheper la riqualificazione urba-na e per lo sviluppo regio-nale.La sezione INU Umbria, incollaborazione con l’ANCIUmbria, ha dedicato a que-sto tema un seminario distudi svoltosi a Perugia, daltitolo “La questione urbananella nuova programmazio-ne comunitaria”, in cui sonostati coinvolti, oltre allaRegione Umbria, tecnici,sindaci e rappresentantidelle pubbliche amministra-zioni quali principali prota-gonisti e diretti interessatidalle innovazioni introdotte

nel ciclo programmatorio2007-2013.In precedenti iniziative lasezione INU Umbria avevagià affrontato il tema dellaqualità e dell’innovazioneurbana, sviluppando attivitàdi ricerca sulla realtà umbrae le sue trasformazioni (“Ilrecupero in venti anni diedilizia residenziale inUmbria”, sulla valutazionedegli effetti della legge457/78 e la ricerca sull’espe-rienza dei programmi urbanicomplessi, da cui è nata lapubblicazione “RinascimentoUrbano”), al seminario diaprile è stato dato invece untaglio nettamente operativo,per offrire agli amministra-tori e ai tecnici informazionie spunti di approfondimentoin merito alle opportunitàofferte dai finanziamentieuropei.A questo scopo sono statiinvitati esperti nel campodella programmazionecomunitaria, il Dott. F.Monaco, Responsabile delleDipartimento Mezzogiorno epolitiche di Coesione –ANCI, e il Dott. G. Sorrente,consulente ANCI, che nellaprima sessione del seminariohanno illustrato in terminioperativi la questione urba-na nella Programmazione2007-2013, descrivendo pro-cessi e meccanismi decisio-

InuInuLa questione urbana nellanuova programmazionecomunitaria

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regionali permanenti ecc.) .Nella strategia comunitaria,la programmazione regiona-le unitaria punta inoltre aprivilegiare la concentrazio-ne delle risorse, evitandoderive redistributive e laframmentazione degli inter-venti, e a favorire, attraver-so una logica di integrazio-ne intersettoriale, la diffu-sione territoriale degli effettidelle politiche in termini dimiglioramento dei servizicollettivi erogati a cittadinie imprese.Da un punto di vista tecni-co-operativo, preso atto cheil 60% della popolazione UEvive in città con oltre50.000 ab., e che nelle cittàeuropee si riscontra la con-centrazione della maggiorparte dei posti di lavoro, diimprese e istituti di istruzio-ne superiore e la concentra-zione dei maggiori problemisociali (disoccupazione,emarginazione sociale, cri-minalità crescente, ecc.), gliOSC prescrivono di prenderein considerazione i problemie le sfide delle aree urbaneattraverso lo strumento deiprogrammi integrati di svi-luppo.Strumenti analoghi, semprederivanti da indirizzi comu-nitari, trovano riscontro inItalia già nella programma-zione 2000-2006 conProgetti Integrati Urbani(Asse 5) e Urban Italia; que-st’ultimo, pur non avendoavuto applicazioni inUmbria, in passato ha datonel resto d’Italia e in Europaottimi risultati. Le modalità con cui verran-no erogate gran parte dellerisorse sarà in effetti simileal modello Urban, e a quellodel Contratto di Quartiere, incui la riqualificazione non èintesa esclusivamente comerecupero del “mattone”, maanche del tessuto economicoe sociale, prevedendo il

coinvolgimento diretto degliabitanti. In effetti per la CommissioneEuropea (che come noto nonha competenze dirette inmateria urbanistica) lariqualificazione urbanapassa attraverso il canaledella “coesione sociale” einveste tematiche quali l’oc-cupazione, la formazioneprofessionale, le politicheper i giovani e gli anziani,l’immigrazione, l’emargina-zione sociale ecc.Nell’“approccio integrato”,cui la Commissione fa pres-sante riferimento, gli ingre-dienti classici della riqualifi-cazione urbana si mescolanoquindi ai temi dello sviluppoeconomico e del disagiosociale e implicano unamaggiore complessità tantonella programmazione degliinterventi, che nella fase diprogettazione e nella succes-siva attuazione. Ciò richiede un salto di qua-lità alle professioni, masoprattutto alle amministra-zioni, che debbono sapercostruire e gestire canali didialogo per perseguire taleauspicato “approccio inte-grato”. Questo implica che leamministrazioni che pro-grammano, cioè la Regione,e quelle che progettano, cioèi Comuni, debbano muoversiverso un obiettivo comune.Non solo: diversi settori eanche diverse direzioni diuna stessa amministrazione,dovranno incontrarsi e col-laborare alla redazione diatti di programmazione adelevata complessità. E’ evi-dente che tale approccio nonpuò essere lasciato allabuona volontà e alla dispo-nibilità di singoli dirigenti,ma deve essere guidato dallapolitica, resa consapevole diqueste necessità operative.A questo proposito, anche inbase alle pregresse esperien-ze, la programmazione

2007-2013 vincola i futuriprogrammi integrati di svi-luppo urbano a rispettarealcuni principi guida quali ilprotagonismo delle autoritàlocali e dei soggetti socialied economici, l’ampia delegaalle città della responsabilitàdei programmi, l’elaborazio-ne di un piano strategico amedio-lungo termine comeprerequisito di efficaciadegli interventi. Da questo punto di vista,occorre distinguere la posi-zione “tradizionale” degliEE.LL. come beneficiari fina-li delle operazione del POR,dall’opportunità offerta dalnuovo quadro regolamentare(Reg. CE 1083\2006) inmerito all’attribuzione incapo alle città della respon-sabilità di gestione di sezio-ni o parti del programmaregionale attraverso l’istitutodella sub-delega.L’affidamento delle sub-deleghe è comunque legatoalla presenza di alcuni pre-requisiti come la comparte-cipazione alla definizionedel programma di interventoe le garanzie di capacitàgestionale dei soggetti localidelegati, oltre che il lororispetto della normativacomunitaria di riferimento.Al termine della relazioneinformativa dei consulentiANCI sopra sintetizzata, laseconda sessione del semi-nario ha dato spazio ai rap-presentanti di numerosemunicipalità umbre, qualisindaci e tecnici, che hannoillustrato politiche e progettiportati avanti nel campodella riqualificazione urba-na. Ne è emerso un variegato edinteressante quadro di stru-menti e di approcci. E’ risultato evidente che, nelterritorio umbro, il tema delrecupero e della rivitalizza-zione dei centri storici occu-pa un ruolo centrale nelle

strategie di riqualificazioneurbana, ma non solo. Infattialcuni relatori, portavocidelle realtà urbane maggior-mente complesse, nonhanno mancato di sottoli-neare come i sistemi urbanidebbano essere affrontatinel loro complesso, e comela periferia costituisca unluogo di primaria importan-za nell’approccio alla riqua-lificazione, in particolare inriferimento alle problemati-che della “coesione sociale”,di cui spesso le periferiesono protagoniste.Nelle conclusioni del semi-nario, tracciate dall’Arch.Franco Marini, PresidenteINU Umbria, è stato ribaditocome il proposito ultimodell’incontro, oltre a quelloinformativo, fosse l’avvio diun processo di confronto traRegione e amministrazionilocali sul tema della riquali-ficazione urbana, finalizzatoalla costruzione di un qua-dro programmatico condivi-so dal momento che fonda-mentali risultano essere, allaluce di quanto emerso, gliinterventi sul migliore fun-zionamento degli istituti digovernance multilivello, lacapacità di innovazioneamministrativa dei soggettilocali, il potenziamento dellefunzioni di indirizzo e con-trollo dell’autorità regionale.Poichè la stessaCommissione Europearichiede che gli enti localivengano coinvolti sin dallafase di elaborazione dei pro-grammi operativi e di defi-nizione delle priorità temati-che e territoriali, l’incontrodi Perugia ha voluto rappre-sentare un primo stimolo inquesta direzione.

* Inu Umbria.

Urbanistica INFORMAZIONI

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nazionali attraverso la promo-zione del turismo, anche dinicchia, e le attività per iltempo libero.

Il carattere distintivo dellaFesta

Benché numerosi siano i festi-val che hanno come temacentrale le città e l’architettural’attenzione è generalmentededicata ai grandi spazi urbanie alle loro evoluzioni, mentreil caleidoscopio di ricerca e diinnovazione proposti dai cen-tri storici minori è poco consi-derato. Emerge che in quasitutte le manifestazioni, il cen-tro storico non costituisce

altro che lo sfondo all’internodel quale localizzare eventisuggestivi potenziati spessodalla distribuzione di prodottilocali genuini. L’idea di orga-nizzare una festa che parli deicentri storici minori e che neracconti la vitalità e l’apertura- tratto distintivo di questaFesta - nasce dall’esigenza diriempire uno spazio, un gaprispetto ad un “soggetto” chenon merita di essere confinatoa mero oggetto di studio perpochi appassionati o ad ogget-to di puro consumo turistico,che deve essere, piuttosto,esaltato per le potenzialità e lecaratteristiche di luogo di cre-scita e di espressione.

Manuela Ricci*

Il contesto

L’Europa sta assistendo ad unfenomeno che vede l’abban-dono dei piccoli centri, quasitutti dotati di patrimoni stori-co-culturali più o meno rile-vanti, molti dei quali inseritiin contesti paesaggistico-ambientali di notevole impor-tanza, non sempre valorizzatiadeguatamente. Se negli Statieuropei la popolazione si con-centra nelle città è il territorio“amministrativo” dei piccolicentri a costituirne la partepreponderante. Promuovere illoro sviluppo e quello deirelativi sistemi ambientalicostituisce, dunque, un obiet-

tivo fondamentale ai fini dicreare presidi e promuovereforme di valorizzazione soste-nibile dei territori anche nel-l’ottica di “manutenzione”dell’attività agricola e dell’am-biente. Questo obiettivo trovaanche riscontro nelle politichedi promozione e valorizzazio-ne del patrimonio culturale,avviate, sempre con più deter-minazione dai Paesi europei edagli organismi internazionali.Il porre l’accento su questicentri tanto più rileva inquanto da anni ormai lariscoperta delle qualità territo-riali e delle identità storichegioca un forte peso economi-co nella formazione dei Pil

La festa dei centri storici minori

Inu

Ideazione e organizzazione

- Fo.Cu.S (FormazioneCulturaStoria), Centro di ricerca dell’Universitàdi Roma “La Sapienza” sulla Valorizzazione e gestione dei centri sto-rici minori e relativi sistemi paesaggistico-ambientali

- Monti & Taft, società di management culturale

Comitato promotore- Comune di Orvieto- Comune di Spoleto- Touring Club Italiano- Legautonomie- Fondazione per il centro studi “Città di Orvieto”- Master ACT, Università di Roma “La Sapienza”

Soci sostenitori - CNA- Confederazione nazionale dell’artigianato e

della piccola e media impresa- Confartigianato-ANAEPA - Confcommercio- Confesercenti

Patrocini- Regione Umbria- Provincia di Terni- Ordine degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della

provincia di Terni

Sponsor- ESRI Italia- Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto

Media partners- Tafter- Urbanistica Informazioni

in collaborazione con:

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XXSS--EEXXTTRRAASSMMAALLLLCCeennttrrii ssttoorriiccii mmiinnoorrii,, tteerrrree ddii ssvviilluuppppoo

Festa itinerante dei centri storici minori- 2008

• Primo appuntamento Orvieto 15-16 febbraio

15 febbraio- Palazzo del Popolo ore 9,30- Introduzioni- Prima sessione: aarrttiiggiiaannttoo ee ccoommmmeerrcciioo nneellllee ppoolliittiicchhee ppeerr ii cceenn--

ttrrii ssttoorriiccii mmiinnoorriiDiscussione sulle politiche per i Centri Storici Minori: CNA,Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti

• Seconda Sessione:LL’’aarrttiiggiiaannaattoo ttrraa pprraattiiccaa ee ffoorrmmaazziioonnee

• Terza Sessione:IIll ccoommmmeerrcciioo ttrraa rreettee ee ddiissttrreettttoo:: ssttrruummeennttii iinnnnoovvaattiivvii

-- OOrree 1199..0000Palazzo del Gusto-Concerto di fisarmonica Al termine del concerto saranno offerte le tortucce dalle donne cavaiole

16 febbraio-Palazzo del Gusto ore 10,00

SSppeettttaaccoolloo tteeaattrraallee:: IIll ppooeemmaa ddeeii mmoonnttii nnaavviiggaannttii -- un’idea diRoberta Biagiarelli dal libro “La leggenda dei monti naviganti” di PPaaoollooRRuummiizz

-- OOrree 1133..0000Assaggi della gastronomia locale

Durante tutta la settimana nelle librerie di Orvieto, in collaborazionecon la “Scuola Librai Italiani” (Università di Venezia-Fondazione per ilcentro studi “Città di Orvieto”), sarà allestita una mostra di libri sullavalorizzazione dei centri storici minori.

Info: [email protected]/focuswww.monti-taft.org [email protected]/arcorvieto

Urbanistica INFORMAZIONI

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La denominazione

La denominazione attribuitaalla festa tende a mettere inrelazione due dimensioni:quella del piccolo centrostorico (xs-extrasmall) equella del suo territorio(terre).Generalmente, come sopraevidenziato, quando si parladi centri storici, soprattuttominori, si pone l’attenzioneprevalentemente sul borgo,vale a dire sul ristretto edi-ficato storico. Di fatto uncentro storico minore èanche il suo territoriovasto, che può estendersi apiù comuni e ad altri centristorici; è la potenzialità diquesta dimensione a svilup-parsi attraverso risorseendogene ed esogene. LaFesta si presenta, dunque,con un marchio, accompa-gnato dal sottotitolo terredi…, che consentirà, a ogniedizione, di specificare iltema oggetto dell’anno. Peril 2008 si tratta di terre disviluppo. Questo significache molti sono i settoricoinvolgibili, considerati inun’ottica d’integrazione, cheavranno uno spazio nellediverse manifestazioniannuali: dalla pianificazio-ne alla progettazione; dal-l’edilizia all’artigianato; dalcommercio alla cultura;dall’ambiente, all’agricoltu-ra all’innovazione tecnolo-gica.La manifestazione nascedall’idea che l’incontrodebba essere organizzatoall’insegna di una “festa” inquanto sviluppa le capacitàdi scambio, attivando cono-scenze e rapporti nell’otticadi una crescita culturale edeconomica di questi sistemiterritoriali.

Gli obiettivi e i contenuti

In tale contesto, la manife-stazione si pone l’obiettivo

di costruire un luogo discambio di tutti gli attori,pubblici e privati, che ope-rano nei processi di riquali-ficazione di questi centri.L’intervento ha come obiet-tivo quello di costruire unospazio in cui lasciar sfilarele realtà più interessantiche operano con interventicreativi sul territorio; dicostituire un luogo d’incon-tro di prassi innovative,professionali, culturali eproduttive legate ai mondilocali. La festa intendeanche documentare, conuna serie di iniziative, icontenuti della contempo-raneità e contribuire a con-solidare la necessità diun’apertura alla cultura delterritorio come possibilitàdi sviluppare mercati einteressi e come strumentodi dialogo con le esigenzedelle comunità locali.Quello che si intende offrireè una funzione di bussola,una mappa che tiene insie-me cultura, storia, paesag-gio, innovazione, creativitàin “piccole” reti (materiali eimmateriali) produttive, dicommercializzazione e ser-vizi in grado di renderecompetitivo il territorio.

L’impatto atteso

L’impatto atteso è quello diporre le basi e le forme perla costruzione di percorsi disviluppo locale dei territoristorici, anche a livellointercomunale, che coinvol-gano il pubblico e il privatoe che possano essere assun-ti, progressivamente, alivello esteso da un grandenumero di Paesi europei.Ciò al fine di valorizzare inmaniera appropriata lerisorse locali, riducendo lapressione sulle amministra-zioni locali di piccoladimensione che dispongonodi budget sempre più ridot-

ti. Lo scambio di esperienzesu aree diverse, ma su temispesso complementari, ocomunque simili, contribui-sce a costruire un riccodata base, che sarà raccoltoin un sito ad hoc, dal qualepartire per costruire i temi ele proposte dei nuovi

incontri e incrementare lecapacità progettuali.

*Direttore di Focus, centro di ricercadell’Università “La Sapienza” diRoma, sulla “Valorizzazione e gestionedei centri storici minori e relativosistemi paesaggistico-ambientali” e diMaster ACT.

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individui, e riconoscono chele Comunità comprendonotanto Comunità geograficheche Comunità di interessi.

7. Stimolare la partecipa-zione del pubblico per unacondivisione consapevole. Ipianificatori territoriali cre-dono in una partecipazionepubblica significativa daparte degli individui e deigruppi, e cercano di artico-lare le necessità di tuttiquelli le cui necessità nonsono state rappresentate.Assumono l’imperativodella co-pianificazione econdivisione delle scelte.

8. Applicare e comunicarei valori. I pianificatori ter-ritoriali credono nell’appli-cazione esplicita di questivalori al loro lavoro edimpegno professionale, enella comunicazione dellaloro importanza alla loroclientela, ai loro datori dilavoro, ai loro colleghi edal pubblico.(bv, dr)

3. Valorizzare l’ambientenaturale e culturale. I pia-nificatori territoriali credo-no che l’ambiente, le risorsenaturali ed il patrimonioculturale debbano esserevalorizzati. Assumono illoro ruolo di “sovrintenden-ti” di questi ambienti, equi-librando conservazione esviluppo duraturo.

4. Riconoscere e reagirepositivamente di fronteall’incertezza. I pianificato-ri territoriali credono che leprevisioni di lungo periodosiano molto spesso impre-vedibili, e che occorre svi-luppare risposte adattabili eflessibili per fare frontepositivamente a quest’incer-tezza.

5. Rispettare la diversità. Ipianificatori territorialirispettano e proteggono ladiversità dei valori, delleculture, delle economie,degli ecosistemi, degliambienti costruiti e dei luo-ghi distintivi, unici e carat-terizzanti.

6. Equilibrare le necessitàdelle Comunità e degliindividui. I pianificatoriterritoriali cercano di equi-librare gli interessi delleComunità con quelli degli

il loro lavoro ha implica-zioni intersettoriali e dilungo termine. Affrontandoproblematiche e risponden-do a bisogni di breve ter-mine, i pianificatori territo-riali, riconoscono le neces-sità future delle comunità,l’esistenza di altre specie edei loro ambienti, ed evita-no di compromettere risor-se irripetibili o insostituibi-li. Essi devono, pertanto,garantire l’equilibrio deglispazi umani, socio-econo-mici e fisici, nonché l’inte-grità dell’ambiente naturalee di quello antropico nelrispetto di tutte le inva-rianti territoriali comerisorse di interesse pubblicolimitate, fragili e insostitui-bili da consegnare allegenerazioni future.

2. Superare o compensarele limitazioni dei confini. Ipianificatori territorialisono consapevoli che il lorolavoro ha un impattopotenziale su numerose giu-risdizioni e campi discipli-nari, su molteplici interessie settori di intervento;devono dunque realizzare laloro pratica professionale inmodo olistico e riconoscen-done la necessità diampliarne i confini di inte-resse.

Codice di deontologia dei pianificatori territoriali italianiL’Assurb, in vista della pre-disposizione di appositiCodici deontologici per lenuove figure professionaliinserite in appositi Ordini,propone il seguente artico-lato che si fonda su duepresupposti: a) che i piani-ficatori territoriali esercita-no la loro professioneesclusivamente per il bene el’interesse pubblico e quindiche il loro operare ha comefulcro di riferimento ilpatrimonio e i beni ocmuni;b) che i pianificatori territo-riali hanno responsabilitànon solo verso la loroclientela, quanto ancheverso pubblico e, soprattut-to, verso le generazionifuture, per questo devonoesercitare la professione inmodo etico e responsabile.Per questi motivi, i pianifi-catore territoriale italiano siconforma ai seguenti prin-cìpi:

1. Rispettare ed integrarele necessità delle genera-zioni future. I pianificatoriterritoriali riconoscono che

a cura di Daniele Rallo

ASSOCIAZIONE NAZIONALE URBANISTIPIANIFICATORI TERRITORIALI E AMBIENTALI

Membro effettivo del Consiglio Europeo degli Urbanistiwww.urbanisti.it

13 Assurb (216) 22-02-2008 15:10 Pagina 87

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a cura di Ruben Baiocco

Librie altrostati un’occasione importan-te per sperimentare pratichedi trasformazione della città,orientate alla modifica e alcambiamento dell’esistentepiuttosto che ad un’ulterioreespansione (tanto che taluneleggi urbanistiche regionalifanno proprie e istituziona-lizzano queste modalità).Anche se in taluni casi sipossono ravvisare perplessi-tà sull’esito qualitativo dialcuni interventi realizzati esulle relazioni con il tessutourbano, l’innovazione dimaggior rilievo sta nell’aversuperato le tecniche dellozooning funzionale e le tra-dizionali forme di attuazionedelle previsioni del piano. Iprogrammi complessi hannofavorito un’accelerazione deiprocessi di recupero di sitidegradati, costituiscono ilpunto di arrivo di iniziativepromozionali private, natein un passato anche lontanoe hanno dato veste operati-va ad aspettative di recuperoe riqualificazione sollecitateda più parti. E’ ipotizzabileche gli effetti di tali opera-zioni potranno innescare,con il tempo, processi dura-turi di riqualificazione e dimiglioramento della qualitàurbana e favorire successiviinterventi in zone limitrofe.Si può inoltre prevedere cheil percorso avviato non avràmargini di reversibilità.Il merito del libro di ValeriaLingua sta nell’aver datouna precisa sistematizzazio-ne all’origine e all’evoluzio-ne di questi strumenti chehanno fortemente caratteriz-zato gli anni Novanta e ten-tato una prima valutazionesu questa stagione, davverodirompente. Il volume puòcostituire un valido ausilioper la didattica nel campodelle politiche urbane.

Francesco Gastaldi

Valeria LinguaRiqualificazione Urbana allaprovaAlinea, Firenze, 2007, 202pagg, 18,00 euro

A più di dieci anni dall’e-missione del primo bandoper i Programmi diRiqualificazione Urbana edall’inizio delle procedureche i diversi comuni hannoadottato per selezionare gliinterventi, si può tentarequalche primo, seppur par-ziale, bilancio sull’evoluzio-ne e lo sviluppo operativodell’esperienza dei program-mi complessi in Italia. Ilvolume di Valeria Linguapropone efficaci riflessionidal punto di vista degliinsegnamenti che questaesperienza può lasciarecome deposito permanentealla pubblica amministrazio-ne in termini di apprendi-mento e miglioramento del-l’efficacia dell’azione istitu-zionale nel campo dellarigenerazione urbana.Non vi è dubbio che la sta-gione dei programmi com-plessi, anche sotto l’influssodelle indicazioni,dell’Unione Europea e deiprogrammi Urban, abbiainnovato fortemente le pras-si delle trasformazioni urba-nistiche, sia a scala urbana,sia a scala vasta; abbia

favorito rapporti più virtuosie trasparenti fra ente localee privati nelle politicheurbane, permettendo la rea-lizzazione di interventi rile-vanti in un quadro di risorsesempre più scarse.Si può senz’altro ravvisareuna crescente propensioneall’apprendimento istituzio-nale nella costruzione egestione di interventi cheprevedono l’attivazione dimodalità partenariali e cheagiscono non solo sotto ilprofilo della riqualificazionefisica, ma anche della pro-mozione sociale ed econo-mica. L’organizzazione e lagestione di tutte queste pro-gettualità ha costituito un’e-sperienza di particolare inte-resse in molte realtà localiper migliorare la capacitàdell’ente pubblico di gestireprogrammi e procedurenegoziali tra pubblico e pri-vato, in stretto contatto congli altri enti, aziende muni-cipalizzate e le altre istitu-zioni preposte; ha inoltresedimentato, all’interno dellestesse amministrazioni,conoscenze, risorse immate-riali (attivate durante i pro-cessi), reti di relazioni, capa-cità e competenze di note-vole rilievo.Complessivamente si puòaffermare quindi che i pro-grammi complessi siano

Urbanistica DOSSIER99urbanistica&architetturaIl ruolo del progetto urbanonella riqualificazionedella città contemporanea

Genova, 22-23 giugno 2006

a cura di Roberto Bobbio,Silvia Soppa

Nel prossimo numero:

Mobilità sostenibile

Piani urbanistici, prove diinnovazione

Turismo e sostenibilità nelleregioni italiane

14 Libri (216) 22-02-2008 15:08 Pagina 88