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Anche quest’anno chiedo la vostra collaborazione nel sostenere la nostra Associazione

attraverso l’indicazione del codice fiscale dell’A.I.D.O. Nazionale 800 23 51 01 69

sulla prossima dichiarazione dei redditi.

Vincenzo PassarelliPresidente Nazionale A.I.D.O.

L’Ospedale Niguarda-Ca’ Grandapunto di riferimento di tanti ammalatiprovenienti da ogni parte del mondo

Dal bisturi a Sant’AgostinoDialoghi a tutto campo sul trapianto di rene

Il cancro della prostata:genetica e prevenzione

Prostata: combattere il rischio a tavola

Campagna Aido 2008Donazione, parlane oggi

Rassegna Sanitaria ItalianaNotizie dal mondo della sanità

SommarioCP

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Mensile di cultura sanitaria del Consiglio RegionaleAIDO Lombardia -ONLUS

Anno XVIII n. 162 - marzo 2008

Editore:Consiglio Regionale AIDO Lombardia - ONLUS 24125 Bergamo, Via Borgo Palazzo 90Tel. 035 235327 - fax 035 244345 [email protected]

Direttore EditorialeLeonida Pozzi

Direttore ResponsabileLeonio Callioni

Collaborazioni scientifiche:Dott. Gaetano Bianchi

Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo

Dott. Michele ColledanDirettore Chirurgia Generale III Direttore Centro Trapianti di fegato e di polmoni

Dott. Paolo FerrazziDirettore Dipartimento CardiovascolareDirettore U.O. di Cardiochirurgia

Dott. Amando GambaResponsabile Unità Semplice dipartimentaleCentro Trapianti di cuore

Dott. Giuseppe LocatelliConsulente del Dipartimento di Chirurgia Pediatrica

Prof. Giuseppe Remuzzi

Direttore Dipartimento

di Immunologia e Clinica dei Trapianti

Università Milano Bicocca

Prof. Roberto Fumagalli

Docente

NITp - Nord Italia Transplant

Prof. Cristiano Martini - Presidente

Dott. Mario Scalamogna - Direttore

Istituto Mediterraneo Trapianti e Terapie

di alta specializzazione - ISMeTT

Prof. Bruno Gridelli

Direttore Medico scientifico

Professore di Chirurgia Università di Pittsburgh

Istituto Ricerche Farmacologiche

“Mario Negri” - Bergamo

Prof. Giuseppe Remuzzi - Direttore

Yale University School of Medicine

Dott. Mario Strazzabosco

Professor of Medicine,

Director of Transplant Hepatology

Department of Internal Medicine

Section of Digestive Diseases

Redazione esternaLaura SpositoCristina Grande

Redazione tecnicaBergamo [email protected] Seminati

Segreteria e Amministrazione24125 Bergamo, Via Borgo Palazzo 90Tel. 035 235327 - fax 035 [email protected]@aidolombardia.itC/C postale 36074276Ester MilaniLaura Cavalleri

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StampaCPZ - Costa di Mezzate BG

Finito di stampare seconda decade aprile 2008

Reg. Trib. di Milano n. 139 del 3/3/90

Le informazioni contenute in questo periodicovengono trattate con liceità, correttezza e tra-sparenza conformemente al D.lgs. n. 196 del 30giugno 2003 “Codice in materia di protezionedei dati personali”.

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Pensiamo di essere riusciti ad offrire, conquesto numero di “Prevenzione Oggi” unarivista particolarmente ricca di contenuti e

di argomenti interessanti. Iniziamo con la pub-blicazione della prima parte dell’intervista aldirettore generale e ai chirurghi dei trapiantidell’Ospedale Niguarda-Ca’ Granda di Milano.Un incontro che conclude il grande ciclo delle

interviste agli ospedali di valenza provinciale e che non avremmo potuto chiudere meglio. IlNiguarda è infatti un centro di eccellenza che ha pochi eguali al mondo nell’ambito dei tra-pianti, è nel cuore di Milano, al centro della Lombardia ed è storicamente uno dei punti di rife-rimento sanitario per i lombardi che già nel passato, se ricoverati al Niguarda, si sentivano alsicuro, o comunque là dove sarebbe stato fatto il massimo umanamente possibile per i loro biso-gni. Proseguiremo - dopo la pubblicazione, mese prossimo, della seconda puntata -, con gli ospe-dali di dimensioni più piccole, con il desiderio di passare a raccontare una dimensione sanita-ria meno evidente ma non per questo meno efficace, pur se su scale operative minori. Ma desi-dero qui sottolineare che al Niguarda siamo stati accol-ti con una disponibilità, un’attenzione, una prepara-zione, degne del grande nome dell’ospedale. Grazie econgratulazioni perché questa sensibilità anche nei con-fronti di un’Associazione che è scesa in campo per ladiffusione della cultura della donazione, come è appun-to l’Aido, fa onore ai dirigenti e ai medici delNiguarda.Segnalo poi l’articolo-intervista alla prof.ssa LuisaBerardinelli, da noi già peraltro sentita in altre circo-stanze. Gli approfondimenti di questa intervista meri-tano una lettura perché svelano tanti particolari che algrande pubblico solitamente sfuggono.Voglio inoltre esprimere i complimenti e un grazie alpresidente dell’Aido nazionale, dott. VincenzoPassarelli, che ha promosso la nuova campagna di sen-sibilizzazione nazionale dell’Aido e di cui pubblichia-mo un significativo esempio. Sono certo che anche que-sta nuova iniziativa richiamerà l’attenzione dellagente sull’Aido e sul vasto tema della donazione degliorgani.Certamente farà piacere ai nostri lettori trovare su “Prevenzione Oggi” alcune notizie interes-santi sulle tematiche sanitarie, tratte dall’agenzia di informazione “Rassegna SanitariaItaliana” con la quale l’Aido regionale della Lombardia ha avviato una nuova collaborazio-ne destinata a durare nel tempo.Ricordo infine che è ormai iniziata la stagione del rinnovamento associativo: dopo le assembleeelettive dei gruppi comunali sono in svolgimento quelle delle Sezioni provinciali alle qualiseguiranno le assemblee regionali e quella nazionale. Sono passaggi fondamentali per la vita eper la storia dell’Aido, che ha bisogno di gente motivata e capace di mettersi al servizio di que-sto stupendo progetto di solidarietà concreta verso il prossimo che soffre.

Leonida Pozzi

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In copertina:«IL VOLO»©

foto di Giuseppe Pellegrini - Mantova

“La torre campanaria romanica libera una colomba nel cielo,mentre la neve ricopreancora la guglia simbolodella più antica testimonianza di fede.Nessuno resiste alla magia del divino”.

commento alla foto di Antonella Marradi - Mantova

La fotografia raccontaLa torre campanaria della maestosa chiesa diSan Pietro in Vincoli, importante esempio digotico alpino piemontese, è sita a Limone P.te(Alpi marittime); ha bifore e merletti, svetta sinoa 33 metri, coronata da una guglia di epocasuccessiva.- Limone P.te, altitudine 1010.- Festa patronale San Pietro in Vincoli, primadomenica di agosto.- Festa tradizionale dell’Abbaya ultima domeni-ca di agosto.- Festa della Madonnina processione e falò(fascinàda) primo fine settimana del mese disettembre

E d i t o r i a l eCon Niguarda-Ca’ Grande completiamo il ciclo di incontri nei grandi ospedali lombardi

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Si scrive Niguarda, si pensa “Ca’ Granda”, l’ospedale punto di riferi-mento e salvezza non solo per Milano ma per gran parte dellaLombardia e dell’Italia (senza escludere pazienti che giungono da ogniparte del mondo). Nel sempre più intenso giro di interviste nella realtàsanitaria lombarda, l’équipe di “Prevenzione Oggi” è approdata a

questo grande ospedale, ricco di professionalità e umanità.Bellissima in questo senso la definizione “Luogo di cura e cultura della salute” cheaccompagna, nella comunicazione al pubblico, la presentazione dell’OspedaleNiguarda.Ci siamo recati a Milano convinti di essere messi in condizioni di raccontare unadelle più significative realtà sanitarie del mondo. Ne siamo ripartiti, dopo quasi treore di dialogo e confronto, confortati dalle migliori conferme e da un atteggiamen-to di disponibilità e cortesia che ci ha addirittura sorpresi. L’introduzione, comesempre, è a cura del presidente-direttore editoriale cav. Leonida Pozzi, che dopo averringraziato per l’accoglienza e la disponibilità, chiede al dott. Pasquale Cannatelli,direttore generale, di introdurre l’intervista.Cannatelli: Ritengo doveroso essere presente per condividere con i col-laboratori l’illustrazione dell’attività dell’Ospedale Niguarda, ospedale digrandi tradizioni, nel fondamentale settore dei trapianti. Posso testimonia-re che questo ospedale è capace di raccogliere gli stimoli che provengonodalle Associazioni e che con l’Aido è attiva una positiva collaborazione nellosforzo di diffondere la cultura della donazione. Il riflesso di questo impegnosulla società è d’altra parte uno stimolo alla struttura a fare sempre meglio.Per passare al concreto, sottolineo che i dati sui trapianti sono molto signi-

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L’Ospedale Niguarda-Ca’ Grandapunto di riferimento di tanti ammalatiprovenienti da ogni parte del mondo

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ficativi in un ambito, quello lombardo, che offre inter-venti in tutti i tipi di trapianto. Questo a segno di unagrande capacità professionale e di una seria cultura delladonazione. Poiché è importante nutrire la professionalitàe la cultura espresse al Niguarda, abbiamo previstomomenti di formazione e preparazione per favorire lascelta della donazione di organi.Voglio ringraziarvi quali esponenti dell’Aido per quantoriuscite a fare a favore della donazione. Sono veramentecolpito da questa vostra capacità di attivare una rete disolidarietà e condivisione.Pozzi: Siamo consapevoli che il Niguarda è la culla deiprelievi e dei trapianti in Lombardia. E mi rassicura lasua convinzinoe che si debba proseguire questo cammi-no.Cannatelli: Certamente sì. Vorrei aggiungere chenegli anni le tecniche di prelievo e trapianto sono statemolto modificate: per esempio si possono recuperareorgani anche in persone più anziane, inoltre sono statesviluppate nuove possibilità di utilizzo di organi che untempo sarebbero stati scartati. Nel contempo sono moltodiminuite - e aggiungo: per fortuna – le donazioni da giovani deceduti perincidenti. Bisognerà perciò sostenere la ricerca per fare in modo che il futu-ro sia ancora più ricco di possibilità in favore di chi attende in lista d’attesache si renda disponibile un organo per il trapianto. Pozzi: La ringraziamo sinceramente di questa disponibilità.De Gasperi: Io preciso che vorrei fare semplicemente il moderatore eavendo favorito questo incontro vorrei che parlassero i rispettivi responsa-bili dei singoli progetti di trapianto dei singoli organi.Busnach: Nel mio ruolo di nefrologo ho quale corrispettivo chirurgico ildott. Sansalone. Siamo allievi rispettivamente del prof. Minetti e del prof.Belli che sono stati gli iniziatori dell’attività di trapianto al Niguarda.Cercherò di essere molto sintetico. Il trapianto di reni è iniziato nel 1973 conuna certa discontinuità; poi dal 1976 senza più interruzioni. Oggi la nostracapacità sarebbe di circa un centinaio di trapianti all’anno, in realtà, per unaserie di ragioni oggettive, sono anni che lavoriamo fra i sessanta e i settan-tacinque trapianti all’anno. Dieci per cento di questi sono rappresentati datrapianti da donatore vivente. La percentuale è molto bassa. Abbiamo circa250-300 pazienti all’anno che sono in lista d’attesa, depurata per circa unquarto. Il che vuol dire che noi riusciamo a soddisfare solamente il 25 percento della nostra lista d’attesa che viene costantemente riempita.All’attività del trapianto di rene, col dott. Sansalone, a partire dall’84 è statoaggiunto il trapianto combinato simultaneo di rene-pancreas, che ha datoun’ulteriore spinta. Siamo passati poi al ritrapianto di pancreas e al ritra-pianto di rene in pazienti che avevano già subìto questi trapianti. Più recen-temente ancora abbiamo effettuato trapianti di solo pancreas per pazientiaffetti da diabete mellito in forma grave. Questi sono piccoli numeri che peròdanno un’idea dell’attività. Credo che uno dei vantaggi di Niguarda sia statoquello che i trapianti di cuore e di fegato che sono arrivati dopo i reni hannoutilizzato forse degli schemi di terapia che in qualche modo sono gemmatidal trapianto di rene. Il che fa sì che noi oggi abbiamo un tipo di trattamen-to omogeneo per tutti i tipi di trapianti che vengono fatti. Pozzi: Qual è l’età media delle persone in lista d’attesa?Busnach: Purtroppo non le so dire l’età media di chi è in lista d’attesa.

dott. Pasquale CannatelliLaureato in Medicina e Chirurgia pressol’Università degli Studi di Milano dove si è spe-cializzato in Medicina del Lavoro ed in Igiene eMedicina Preventiva con orientamento in sanitàpubblica. Ha svolto attività di dirigente medicoin vari Enti pubblici; dal 1988, Responsabile delDipartimento di Prevenzione in varie ASL.Dal 1995 al 1997 è stato Direttore Sanitariodell’Azienda USSL n. 8 di Merate (LC), dal1998 al 2001 Direttore Generale dell’ASL dellaProvincia di Lecco e successivamente, sino al2002, Direttore Generale dell’A.O. di Cremona.Dal 1 gennaio 2003 è Direttore Generaledell’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ GrandaMilano.

Dal 2003 è membro del Consiglio Direttivo dellasezione lombarda della Società Italiana diIgiene e Medicina Preventiva e Sanità Pubblica.Dal 1998 è socio fondatore e membro dell’uffi-cio di presidenza dell’Associazione professio-nale “Medicina e Persona”.Ha partecipato a commissioni tecniche a livelloregionale e nazionale su temi di organizzazio-ne e gestione sanitaria. Insignito nel 2004, conDecreto del Presidente della Repubblica, dellaMedaglia d’argento al merito della SanitàPubblica.

È stato Professore a contratto dall’anno 1997 al2003 presso la Scuola di Specializzazione inIgiene e Medicina Preventiva della Facoltà diMedicina e Chirurgia dell’Università degli Studidi Milano.È autore e co-autore di oltre 50 pubblicazioni erelatore a numerosi congressi su argomenti diprevenzione e organizzazione sanitaria.

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Però le posso dire che l’età media dei trapiantati di rene negli ultimi diecianni è salita dai circa 40 anni agli oltre 50 anni.Pozzi: Mentre il tempo di attesa in lista quanto è?Busnach: È dell’ordine, mediamente, dei 34-36 mesi.Pozzi: Siamo quindi allineati sulla media nazionale. Busnach: Va sottolineato che l’aumento dell’età del paziente candidato altrapianto ci ha portato a dovere sviluppare un’attenzione maggiore al sog-getto candidato anziano che ha spesso sviluppato una patologia aterosclero-tica. Quindi con problemi cardiaci spesso importanti da dover risolvere.Questo ha comportato un maggior contatto con la cardiologia e un lavoro adue o a tre per candidare il paziente in piena sicurezza, prevedere dopo il tra-pianto un’osservazione adeguata e consentire il trapianto con ragionevolemargine di successo.Pozzi: Quanti anni ha il trapianto più longevo?Busnach: Oggi è sui 34 anni…Pozzi: E da sempre usa i farmaci antirigetto tradizionali?Busnach: Sì, perché carta vincente non si cambia.Pozzi: Parliamo del pancreas. Perché non è diventato un trapianto di rou-tine come tutti gli altri?Sansalone: Come lei sa il trapianto di pancreas si applica solo nei pazien-ti che hanno un diabete di tipo uno, un diabete di tipo giovanile. È un tra-pianto che ha grande successo, quando viene fatto. Infatti la sopravvivenzadei pazienti e dell’organo è molto buona. Non ha però avuto una grandissi-ma diffusione ancora, anche se adesso stanno aumentando i numeri, perchévi sarebbe la necessità di un maggiore coinvolgimento da parte dei diabeto-logici, che sono i primi a poter capire che il trapianto è una opportunità ulte-riore che viene data al paziente diabetico. Siccome i diabetologi sono con-vinti del valore della cura tramite insulina, che d’altra parte è stata una solu-zione geniale, e che ha salvato moltissimi pazienti giovani, non propongonofacilmente il trapianto. Io sono convinto che quando un paziente fa la tera-pia insulinica, la fa bene e nonostante questo compaiono gli effetti collatera-li della malattia, come la retinopatia, la neurologia periferica, le ateropatie evia dicendo, l’opportunità di offrire al paziente il trapianto del pancreas è daconsiderare. Dal punto di vista metabolico il paziente trapiantato di pan-creas non è più certamente un paziente diabetico ma un paziente che ha unprofilo glicemico nelle 24 ore del tutto simile a quello delle persone sane. Amaggior ragione se il diabete ha già determinato l’insufficienza grave croni-ca, con la compromissione dei reni. In questo caso la soluzione migliore è iltrapianto combinato rene-pancreas. Dirò di più. Rispetto ad altri organi, noitrattiamo una piccola percentuale di pancreas, perché quello del pancreas èun trapianto abbastanza delicato. Ma se ne perdono molto pochi sul lungoperiodo per rigetto cronico. Quindi se il trapianto di pancreas va bene ini-zialmente, si può ragionevolmente ritenere che il paziente potrà andareavanti molti anni. Io credo che se i diabetologi saranno più coinvolti e con-divideranno l’importanza di questo trapianto, la popolazione che può aver-ne bisogno e che purtroppo è in aumento, ne trarrà grandi benefici.Pozzi: Il trapianto delle insule pancreatiche è stato abbandonato? Sansalone: Credo che l’errore fatto finora sia stato quello di considerar-le alternative al trapianto del pancreas. In realtà non sono un’alternativa etemo che non lo saranno per molto tempo perché il pancreas è un organoche ha importanza fondamentale nella gestione del giusto livello glicemicodella persona. Le insule hanno un vantaggio: non richiedono un interventochirurgico vero e proprio; potrebbero essere utilizzate per pazienti chehanno già ricevuto diverse procedure chirurgiche, oppure per persone che a

dott. De Gasperi AndreaLaureato nel 1977 in Medicina e Chirurgia aMilano, dal 1979 al 1986 è stato Assistentepresso l’Ospedale Santa Corona diGarbagnate Milanese, dal 1987 al 2000 Aiutopresso l’A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda diMilano e dal 2000 Direttore della StrutturaAnestesia e Rianimazione 2 e Trapianti OrganiAddominali.Attività di interesse: emodinamica in anestesiae terapia intensiva; anestesia e terapia per tra-pianti di organo; infezioni in terapia intensiva.

Ha conseguito le seguenti specializzazioni:Anestesiologia e Rianimazione (1980),Farmacologia Clinica (Pavia, 1985). Nel 2001ha conseguito l’attestato di FormazioneManageriale per Dirigenti Struttura Complessadell’SDS-IREF.

Ha frequentato numerosi centri esteri(Ospedale Cantonale di Ginevra, OspedaleUniversitario di Umea in Svezia, PresbyterianHospital Pittsburgh USA, Mayo ClinicRochester USA). È membro delle seguentiSocietà Scientifiche: SIAARTI, ESCIM, LICA-LE, ILTS, ESOT.

È Professore a contratto presso l’Universitàdegli Studi di Milano (2^ Scuola diSpecializzazione in Anestesia e Rianimazione)e referente per le riviste: MinervaAnestesiologia, Journal of Monitoring andComputing, Liver Transplantation, IntensiveCare Medicine.È autore di 160 pubblicazioni scientifiche suriviste nazionali ed estere.Ha partecipato in qualità di relatore a numerosicongressi, corsi di aggiornamento ed eventiECM nazionali ed internazionali.

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causa delle loro condizioni genera-li, non possono essere sottoposti aintervento chirurgico. Quindipotrebbero essere considerati inquel sottogruppo di pazienti diabe-tici in cui la procedura chirurgicaper un motivo o per l’altro non sipuò fare. Gli svantaggi, per ora,sono che durano circa un anno sol-tanto; se durassero almeno cinqueanni sarebbero più competitive.Dopo un anno si può ripetere il tra-pianto di insule ma può succedereche il o la giovane che è stato sot-toposto a due o tre trapianti diinsule si trovi a dover registrareuna tale vivacità immunitaria che sirende impossibile successivamenteil trapianto di pancreas vero e pro-prio.Marazzi: Proprio recentementeabbiamo affrontato il tema dell’uti-lizzo delle insule pancreatiche pervedere come utilizzarle al meglio.La ricerca in questo settore va sicu-ramente proseguita e va miglioratol’utilizzo delle insule pancreatiche,magari in un modo diverso. Stiamocercando di superare la tecnica diEdmonton che non dà i risultatisperati e stiamo pensando all’utiliz-zo delle insule non più a livello epa-tico soltanto ma anche a livello sot-tocutaneo. Quindi si sta cercandodi infilare queste insule sotto cuteper un migliore utilizzo. Dobbiamoperò pensare che le insule non pos-sono sostituire il pancreas, ma pos-sono essere un aiuto funzionale. Pozzi: Mi conferma, come mirisulta, che la difficoltà sta nell’in-capsulamento delle insule? Mirisulta che quelle importate dagliStati Uniti avevano durata maggio-re proprio perché incapsulate.Marazzi: Infatti; il tema è trova-re la capsula per mettervi le insule.Si sono trovati diversi materiali cherimangono stabili all’interno deltessuto; nel fegato non vanno beneperché danno una reazione, mentresotto cute non la danno.Pozzi: Ci sono episodi di rigettodel pancreas?

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dott. Busnach GhilHa svolto la sua attività professionale intera-mente nella Struttura Complessa di Nefrologia,Dialisi e terapia del Trapianto Renale dell’A.O.Ospedale Niguarda Ca’ Granda, di cui èDirettore f.f. dal 2007.Specializzato in Nefrologia e in Allergologia eImmunologia clinica, prevalente interesse nelcampo dei trapianti renali, curandone il follow-up ambulatoriale con monitoraggio della tera-pia immunosoppressiva e delle complicanzecliniche, oltre alla selezione dei candidati rice-venti, e all’organizzazione e preparazione deitrapianti da donatore vivente.Ha al proprio attivo una lunga esperienza nelcampo dei trattamenti depurativi non dialitici delplasma, con organizzazione e potenziamentodella aferesi terapeutica, attraverso la direzionedi un modulo operativo professionale di LDL-aferesi, uno dei 4 centri riconosciuti a livelloregionale per il trattamento delle gravi ipercole-sterolemie. Dal 2001 è Responsabile dellaStruttura Semplice di Dialisi, con attività orga-nizzativa relativa agli aspetti clinici e terapeuticidi circa 200 pazienti in trattamento dialitico cro-nico.

È Socio costitutivo della Società Italiana diEmaferesi (SIDEM), di cui è stato membro delConsiglio Direttivo. È stato inoltre Coordinatoredel Gruppo di Studio per l’Aferesi Terapeuticadella Società Italiana di Nefrologia. Membroattuale dell’Editorial Board delle riviste“International Journal of Artificial Organs” e“Journal of Nephrology”.

Ha partecipato a studi e conduzione di clinicaltrials ed è coautore di oltre 230 pubblicazionispecialistiche nazionali e internazionali, princi-palmente nell’ambito del trapianto renale e del-l’aferesi terapeutica.

dott. Sansalone Cosimo VincenzoLaureato in Medicina e Chirurgia all’UniversitàStatale di Milano nel 1980, dal 1978 al 1986 èstato studente interno e poi medico volontarionella Divisione Pizzamiglio II° dell’A.O.Ospedale Niguarda Ca’ Granda dove ha pre-stato servizio in qualità di Assistente e poi Aiutochirurgo.Ha ricoperto l’incarico di Responsabile dei pre-lievi multiorgano fino al 1997.Nel 1993 ha introdotto il trapianto combinato dipancreas e rene. Nel 1993 ha reimpostato sunuove basi tecniche e scientifiche il trapianto direne da donatore vivente. Nel 1996 ha esegui-to il primo trapianto in Italia di pancreas solita-rio. Nel 2000, in collaborazione con i diabetolo-gi e con l’Istituto Mario Negri, ha avviato laricerca sul trapianto di insule pancreatiche.Dal 2002 è Responsabile della StrutturaSemplice di Chirurgia e Trapianti di Pancreas eRene.

Ha conseguito le seguenti specializzazioni:Chirurgia d’Urgenza e Pronto Soccorso,Chirurgia Toracica e Urologia.

Ha svolto stage presso il Centro dei Trapianti diFegato dell’Università di Pittsburgh nel 1988,presso il Centro dei Trapianti di Fegato, Rene ePancreas dell’Università di Madison nel 1993,presso il Centro dei Trapianti di Fegato, Rene ePancreas dell’Università di Madison nel 1995 epresso il Centro dei Trapianti di Fegato, Reneed Intestino Pediatrici del Children Hospitaldella North Western University di Chicago nel1998.Ha conseguito l’Attestato di FormazioneManageriale per Dirigenti di StrutturaComplessa della Scuola di Direzione in SanitàIREF.

È membro onorario dell’ESOT, dell’IPITA, dellaSITO, della SIC, della SIU e del NITp.

Ha pubblicato più di 200 lavori scientifici suargomenti di chirurgia generale e dei trapiantid’organo su riviste internazionali ed italiane.

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Sansalone: L’incidenza di episodi acuti di rigetto del pancreas è vera-mente molto bassa. E anche in questi casi non perdiamo l’organo perché puòessere trattato come si fa peraltro per altri organi.De Gasperi: Vorrei adesso introdurre il tema del trapianto di cuoredando la parola alla dottoressa Frigerio.Frigerio: Il nostro primo trapianto è del dicembre 1985. Il paziente èancora vivente. Per quanto riguarda il numero complessivo dei trapianti dicuore siamo attorno agli 800. Va detto che la legge sull’obbligo del casco,nella sua dimostrata validità, ha ridotto il numero di donatori utilizzabili peril cuore perché donatori oltre i sessanta, settanta e magari ottanta anni chesono utilizzabili per il fegato non lo sono, generalmente, per il cuore perchéla probabilità che il cuore non riparta è molto alta. In ogni caso, facendo unavalutazione dei vent’anni di attività, rispetto al primo quinquennio quandol’età media dei donatori era 31 anni, nell’ultimo quinquennio, 2000-2005,abbiamo un’età media dei donatori che è salita a 41 anni. Un’età che è di diecianni superiore all’età media dei donatori di cuore riportata nel Registrointernazionale. Quindi stiamo già utilizzando una popolazione di donatori dicuore in un’età abbastanza alta. I candidati riceventi attualmente hannoun’età media fra i 50 a i 60 anni, anche perché fortunatamente in questivent’anni è migliorata la possibilità di curare l’insufficienza cardiaca e quin-di si riesce a portare più avanti molti pazienti. Il tempo medio dell’attesa inlista è molto diverso se noi guardiamo i pazienti che arrivano al trapianto ei pazienti che sono in lista d’attesa. Il tempo medio di attesa di quelli chehanno fatto il trapianto è attorno ai sei-otto mesi. Però iltempo medio di quelli che oggi sono in lista supera i dueanni. Questo vuol dire che la lista del trapianto non fun-ziona come la fila alla panetteria ma fa dei salti che sonocondizionati dalla necessità e dall’urgenza del trapian-to. Inoltre ci sono dei criteri di compatibilità e ditaglia da rispettare di più che non negli organiaddominali, per cui può capitare che soprattutto unpaziente di grossa taglia abbia un’attesa moltolunga perché non può essere trapiantato con uncuore che proviene da un donatore di peso emisura troppo inferiore. La gestione della listaè quindi un po’ un problema. Un’alternativa oun ponte verso il trapianto che viene semprepiù utilizzato presso il nostro ospedale èl’assistenza meccanica al circolo. Ho vistoche nel vostro numero di luglio avetepubblicato un’intervista al dottorFerrazzi; il nostro ospedale è in Italiaquello che ha la maggior esperienza disistemi di assistenza al circolo. Non sipuò negare che sia una vita difficilequella del paziente portatore di questamacchina perché vive attaccato a una cosa che fa lavorare il suo cuore e perricevere l’alimentazione elettrica deve essere attaccato a un cavo che gli escedalla cute portandosi appresso una borsa e tutto quanto. D’altra parte io misto convincendo che questo tipo di cura, che tra l’altro non è applicabile aqualunque candidato al trapianto, perché c’è bisogno di alcune caratteristi-che anatomiche particolari, diventa un po’ quella che è la dialisi per il pazien-te in attesa del trapianto di rene: un supporto che sostituisce la funzione diun organo che è malato. Certo sono casi diversi perché il paziente in dialisi

dott. Marazzi MarioLaureato in Medicina e Chirurgia, èResponsabile della Struttura Semplice diTerapia Tessutale dell’AO Ospedale NiguardaCa’ Granda.Dal 1982 al 1991 ha collaborato con il Centroper lo Studio della Cicatrizzazione (DirettoreProf. Emilio Trabucchi) dell’Università degliStudi di Milano alle ricerche in tema di cicatriz-zazione e riparazione tessutale.Nel 1991 vince il concorso presso il Centro diriferimento regionale per la Coltura diEpidermide Umana in Vitro e Banca per laCrioconservazione dei Tessuti dell’A.O.Niguarda Ca’ Granda di Milano.

Ha conseguito le specializzazioni in Chirurgiadell’Apparato Digerente e EndoscopiaDigestiva Chirurgica.

Ha collaborato con l’Istituto Mario Negri diBergamo per l’Isolamento ed il Trapianto delleInsule Pancreatiche da Donatore Multiorgano apaziente Diabetico e con il Laboratorio diMeccanica delle Strutture Biologiche delDipartimento di Bioingegneria del Politecnico diMilano, nella realizzazione di nuovi materiali etecnologie per ricostruzione cutanea e cartila-ginea mediante l’utilizzo di bioreattori.Ha collaborato a diversi progetti del CNR intema di Biomateriali e Riparazione Tessutale.Nel 1996 e 1998 ha partecipato al 1° progettodi ricerca “Sostituzioni Funzionali, OrganiArtificiali e Trapianti di Organo” dell’IstitutoSuperiore di Sanità.Collabora inoltre all’elaborazione di “Lineeguida per la sicurezza e la qualità della speri-mentazione in terapia cellulare e per l’impiegodei prodotti dell’Ingegneria dei Tessuti”, proget-to della Presidenza del Consiglio dei Ministri,Dipartimento per il Coordinamento Nazionaledelle Politiche Comunitarie e ComitatoNazionale per la Biosicurezza e leBiotecnologie.È componente del gruppo di lavoro per l’elabo-razione di linee guida per la cute da donatoremultiorgano e l’utilizzo dei prodottidell’Ingegneria Tessutale della RegioneLombardia DDG 4691 del 14/03/2002.È componente del gruppo di lavoro Regionalecon funzioni consultive e con compiti di verificadelle Attività di prelievo e di trapianto dellaRegione Lombardia DDG 15317 del19/10/2005.

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quando è in trattamento deve stare fermo, attaccato alla macchina, poi peròsi alza e se ne va. Il paziente malato di cuore non può staccarsi mai dallemacchine che lo aiutano a stare in vita ma in compenso se le può portareappresso nei suoi movimenti. Ci sono quindi vantaggi e svantaggi. Forseperò il fatto che questo potrà essere un supporto analogo alla dialisi potràessere un modo per renderlo maggiormente accettabile da parte dei pazien-ti stessi che normalmente si impressionano all’idea di dover dipendere dauna macchina. Nell’ambito del trapianto di cuore abbiamo un’esperienzanon numerosissima ma con risultati piuttosto soddisfacenti di trapiantoanche in bambini piccoli. Credo che il più piccolo avesse poco meno di unanno. Ne sono stati trapiantati di più grandicelli, dai sette ai dodici anni, conuna sinergia di lavoro che ha messo insieme l’esperienza della cardiochirur-gia, della cardiochirurgia pediatrica, della cardiologia pediatrica, della car-diologia dei trapianti (che è quella che attualmente dirigo io), della pediatriae dell’infettologia pediatrica. Quindi le competenze miste dell’ospedale, nonsolo del nostro Dipartimento di cardiologia e cardiochirurgia, sono statemesse insieme per cercare di mandare avanti questo programma che è par-tito un po’ per caso, perché ci siamo trovato questi piccoli pazienti da assi-stere, e tutto sommato direi con buona soddisfazione.Pozzi: Il cuore artificiale viene a volte presentato come la soluzione defi-nitiva del problema, ma è proprio così? Può durare davvero per tutta la vita?Frigerio: Quanto possano durare non lo sa in realtà nessuno; qualche

anno sicuramente sì. D’altra parte dobbiamo pensare chesi tratta di pazienti che diversamente avrebbero un’a-spettativa di vita di pochi giorni o poche settimane almassimo. Può diventare l’intervento definitivo inpazienti che abbiano controindicazioni al trapianto.Invece in pazienti anziani, in pazienti che magarihanno una patologia polmonare che li rendemolto a rischio di infezione in caso di immuno-soppressione, in pazienti con una patologiatumorale recente e quindi con un rischio diriattivazione del tumore dopo il trapianto chenon è quantificabile, può diventare una tera-pia di lungo periodo. Dopodiché se ilpaziente rimane libero dal tumore e haancora voglia di essere trapiantato si puòinserire un cuore umano. Diversamentequella è la sua cura. Noi abbiamo pazien-ti che avendo un’età vicina o superiroeai 70 anni hanno messo queste mac-chine come terapia definitiva. E con-ducono una vita moderatamente nor-

male. Bisogna considerare che questipazienti non hanno bisogno di terapia

immunosoppressiva però devono aver cura diprendere anticoagulanti, possono avere problemi di ordine meccanico o pre-valentemente di ordine tromboembolico emorragico. Non è quindi un inter-vento da poco. Però è un’alternativa valida. Noi abbiamo un numero discre-to di pazienti in lista, che vivono a casa loro con queste macchine. C’è poi laprospettiva del cuore totalmente impiantabile che ci rende un po’ uomini edonne bionici, ma è il futuro.De Gasperi: Suggerirei ora al dott. Ravini di prendere la parola per illu-strarci i temi della chirurgia toracica.

dott.ssa Frigerio MariaSi è laureata, con lode, in Medicina e Chirurgianel 1979 presso l’Università Statale di Milano.Lavora presso il Centro Cardiologico A. DeGasperis dal 1982, presso il ProgrammaInsufficienza Cardiaca e Trapianto dal 1990. Dal2000 è Direttore della Cardiologia 2 –Insufficienza Cardiaca e Trapianto.

Ha conseguito la specializzazione inCardiologia nel 1982 presso l’Università Stataledi Milano.

È membro dell’ANMCO (AssociazioneNazionale Medici Cardiologi Italiani), dell’ISHLT(International Society for Heart and LungTransplantation), e del NITp (Nord ItaliaTransplant). È membro eletto del ConsiglioDirettivo del NITp e ha l’incarico di coordinatri-ce del Gruppo di Lavoro sul Trapianto di Cuoredel CNT (Centro Nazionale Trapianti).

È Professore a contratto presso la 2^ Scuola diSpecializzazione in Medicina Internadell’Università Statale di Milano e la Scuola diSpecializzazione in Cardiologia dell’Universitàdi Modena e Reggio Emilia.

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dott. Ravini Mario CarloSi è laureato in Medicina e Chirurgia pressol’Università di Milano nel 1972.Dal 1973 al 1981 ha lavorato in qualità diAssistente all’Ospedale Maggiore di Milano edall’Ospedale S. Raffaele di Segrate (MI) pressola Cattedra di Clinica Chirurgica.Nel 1981 è stato assunto dall’A.O. OspedaleNiguarda Ca’ Granda come Assistente pressola Struttura di Chirurgia Toracica. Dal 1998 haricoperto l’incarico di Responsabile organizza-tivo e gestionale dell’attività di trapianto polmo-nare. Dal 2002 è stato nominato Responsabiledella Struttura Semplice di Trapianto Polmonarepresso il Dipartimento Cardio-toraco-vascolare.Ha maturato un’esperienza chirurgica altamen-te specialistica, per interventi sul torace anchedi elevata complessità, in maggior parte perpatologia tumorale. Ha altresì sviluppato unapluriennale esperienza nel campo della bron-coscopia sia diagnostica sia operativa, e di chi-rurgia videotoracoscopica e miniinvasiva perpatologia dell’apparato respiratorio. Ha parteci-pato al programma “Trapianto polmonare” dellaChirurgia Toracica fin dal suo inizio nel 1991con corsi di perfezionamento presso centriinternazionali.Attualmente ricopre le funzioni di Direttore f.f.della Struttura Complessa di ChirurgiaToracica.

Ha conseguito le specializzazioni in ChirurgiaGenerale (1977) e Chirurgia Toracica (1986)presso l’Università di Milano.

È socio della Società Italiana di ChirurgiaToracica dal 1992 e della International Societyfor Heart and Lung Transplantation.

Dal 1991 al 2005 è Professore a contratto pres-so la Scuola di Specializzazione in ChirurgiaToracica dell’Università di Milano.È autore di numerose pubblicazioni scientifichenell’ambito della chirurgia toracica e del tra-pianto di polmone.

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Ravini: I problemi sollevati dalla dottoressa Frigerio per il cuore sonoancora maggiori per il polmone a causa di fatti legati sia alle patologie datrapianto sia per aspetti tecnici (trapianto di un solo polmone o di due pol-moni), senza considerare il trapianto di cuore e polmone combinati cheormai è riservato ad una esigua minoranza di pazienti estremamente sele-zionati che viene eseguito attualmente soltanto a Pavia (l’anno scorso misembra sia stato fatto un solo trapianto di questo tipo). Poi per altri proble-mi soprattutto legati al donatore. Rapidamente la storia: nell’ottobre ’91 aNiguarda si effettua il primo trapianto di polmone. Siamo stati i secondi afare questo intervento, dopo il prof. Pezzuoli, a Milano. Siamo stati i primiinvece a fare il trapianto dei due polmoni. Per quanto riguarda la lista d’at-tesa, considerati i dati dell’Centro Nazionale Trapianti, posso dire che sonorelativamente pochi i pazienti in lista rispetto a quelli che attendono per iltrapianto, per esempio, di cuore, di fegato o di rene. Ma è anche vero che ilnumero di trapianti eseguiti ogni anno è molto basso rispetto agli altri orga-ni. Si parla di circa cento trapianti all’anno calcolati su dieci centri in tuttaItalia. Ce ne sono infatti quattro in Lombardia, uno in Veneto, due a Roma,uno a Palermo di recente introduzione, e uno a Siena. Questo basso nume-ro di trapianti dipende dalla scarsità di donatori, perché come detto primadalla dottoressa Frigerio, se già ci sono delle limitazioni al prelievo di cuoreper età progressivamente sempre più alta dei donatori, per i polmoni lo èancora di più perché il polmone è l’organo che più frequentemente va incon-tro a danneggiamento dalle stesse manovre rianimatorie e di mantenimen-to nel periodo di osservazione. È l’organo più delicato perché essendo a con-tatto con l’ambiente esterno è suscettibile di infezioni ed è lo stesso dan-neggiamento che avviene ad opera delle procedure per tenere in vita ilpaziente prima che diventi donatore. Questo limita molto il numero di dona-tori disponibili al trapianto e questo è il fattore principale limitante la diffu-sione del trapianto di polmoni. I risultati sono discretamente buoni però nonci si può aspettare quello che ci si aspetta dagli altri organi, nel senso che lasopravvivenza a cinque anni è mediamente del 40-50 per cento. Oltre i diecianni scende al di sotto del 20 per cento. Un altro problema che differenzia ilpolmone dagli altri organi è l’assenza di alternativa: non c’è la dialisi, non c’èpolmone artificiale come il cuore. Recentemente sono state introdotte speri-mentalmente delle apparecchiature che consentano con la circolazioneextracorporea un’adeguata ossigenazione dei pazienti, portando il sangueall’esterno attraverso una macchina che funge da polmone, ma queste appa-recchiature sono al momento sperimentali e possono essere utilizzate per untempo brevissimo. Perciò un paziente che va in crisi e che possiamo tentaredi tenere in vita per qualche settimana deve comunque accedere al trapian-to al più presto possibile, altrimenti muore. Purtroppo la possibilità che arri-vi un organo in tempi estremamente brevi è molto bassa per le ragioni cheho detto prima e anche perché giocano non solo il fattore età ma anche il fat-tore “taglia” perché dobbiamo necessariamente trovare un polmone dellamisura giusta per il paziente in attesa. Poi ci sono le limitazioni legate all’a-spettativa di vita molto bassa per i pazienti in lista d’attesa. Quindi se abbia-mo un tempo medio di attesa di 2,8 anni, c’è una mortalità che è molto ele-vata. Questo soprattutto per patologie come la fibrosi polmonare che noitrattiamo specificatamente perché al Niguarda c’è anche un centro di riferi-mento regionale per quanto riguarda le patologie rare polmonari e abbiamola possibilità, lavorando insieme con i colleghi pneumologi, di trattare queipazienti che hanno anche una progressione della malattia peggiore rispettoad altri malati in lista d’attesa in altri centri per malattie come la bronco-pneumopatia cronica ostruttiva, enfisema, fibrosi cistica, bronchiettasie che

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sono patologie croniche polmonari ad andamento più lento con una soprav-vivenza maggiore in lista d’attesa. Questo provoca la discrepanza fra il datodel Centro nazionale trapianti che segnala una mortalità in lista d’attesa del12 per cento mentre noi abbiamo un dato che supera il 30 per cento. Anchequesto sta facendo un po’ modificare l’orientamento al trapianto perché cisono pazienti portatori di malattie croniche con sopravvivenza dopo il tra-pianto che non si discosta molto da quelli non trapiantati (vedi gli enfise-matosi che con l’ossigeno vanno avanti per anni) mentre i trapiantati nonsopravvivono oltre i dieci. Al contrario i pazienti affetti da alcune patologiecome ipertensione polmonare primitiva o secondaria, o le fibrosi polmonarihanno un andamento rapidamente progressivo e questi sì che hanno unaindicazione selettiva. E noi ci stiamo occupando di questi. Il rovescio dellamedaglia è che questi pazienti hanno anche un andamento post-trapiantopeggiore degli altri perché il polmone è l’organo che essendo al contatto conl’ambiente esterno è suscettibile dell’insulto provocato dalle possibili infe-zioni. Quindi la vita dei pazienti trapiantati, anche se qualitativamentemigliore rispetto a prima del trapianto deve stare in un equilibrio molto pre-cario fra la necessità di una adeguata immunosoppressione per evitare irischi del rigetto e nel contempo una non esagerata immunosoppressioneper avere una copertura e per evitare l’infezione da agenti esterni che pos-sono essere batteri, virus, e via dicendo. È evidente quindi che il post-ope-ratorio di questi pazienti necessita di un monitoraggio estremamente accu-rato ed attento per non cadere nei due baratri opposti che possono determi-nare la morte del paziente trapiantato. Al Niguarda abbiamo superato icento casi di pazienti trapiantati. Ovviamente sono pochi ma questo dipen-de sia dalla scarsità dei donatori che dalla complessità del trattamento. Irisultati sono soddisfacenti soprattutto in termini di qualità di vita e anchese la sopravvivenza non è paragonabile a quelle di altri trapianti, raffron-tando l’indice di mortalità dei pazienti in lista è sicuramente un beneficio.Noi abbiamo una giovane che è stata trapiantata quando aveva circa vent’an-ni ed era ridotta all’infermità più totale, nel senso che non riusciva ad alzar-si nemmeno dal letto, mentre dopo il trapianto ha ripreso una vita normale.Infine con i colleghi chirurghi che si occupano del fegato, abbiamo trapian-tato un soggetto che aveva una patologia complessa caratterizzata da insuf-ficienza respiratoria per fibrosi polmonare e insufficienza epatica per cirrosicriptogenetica. È stato sottoposto a trapianto combinato doppio polmone edemifegato, con buon successo finora e rappresenta forse uno dei primi casi– non di polmone-fegato perché a Bergamo ne sono già stati fatti alcuni -,ma per questa patologia di fibrosi polmonare primitiva.De Carolis: Le potenzialità del Niguarda come si vede sono enormi e amio avviso molto ben valorizzate. Spicca questa possibilità, emersa nel rac-conto delle esperienze fin qui illustrate, di avere tutte queste specializzazio-ni che ci permettono di attuare un efficace programma di trapianti. L’annoscorso con gli Ospedali Riuniti di Bergamo abbiamo affrontato il delicatotema del trapianto di fegato da vivente.

(Su questo tema chiudiamo la prima parte dell’intervista invitando i lettori al pros-simo numero di “Prevenzione Oggi”. Racconteremo del trapianto da vivente e dialtri importanti aspetti legati all’attività del Niguarda di Milano).

Testi a cura di Leonio Callioni Ha collaborato Leonida Pozzi

Servizio fotografico di Paolo Seminati

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Padiglione Zonda, OspedaleMaggiore Policlinico diMilano. A 39 anni dal primotrapianto, non ha ancorasmesso di entusiasmarsi per

quello che definisce il più bel lavoro delmondo. Stiamo parlando della prof.Luisa Berardinelli, Direttore dell’U.O.C.Chirurgia Generale e dei Trapianti diRene, che il 22 maggio del 1969, insiemeal prof. Vegeto, partecipò al primo tra-pianto di rene eseguito a Milano dalProfessor Edmondo Malan, assicurandouna nuova possibilità di vita a pazientiche fino a quel momento “venivano sotto-posti alla dialisi 3 volte alla settimana,ogni volta per 12 ore, uscendo estenuatidal trattamento sostitutivo”.Da allora – ci racconterà nell’intervistache segue – la chirurgia dei trapianti si èmolto evoluta: si sono affinate le tecniche ele metodiche diagnostiche, sono cambiati ifarmaci e le terapie farmacologiche anti-

rigetto che hanno reso possibile risultatisempre più brillanti.Qualcosa tuttavia è rimasto immutato dalquel lontano 1969, da quei tempi a dirpoco pionieristici in cui l’attività di tra-pianto era ai primordi.“Oggi come allora – ci confida – l’emo-zione è la stessa. Non c’è paziente che siauguale all’altro, non c’è trapianto identi-co al precedente. Ogni intervento ripropo-ne la novità della prima volta”. In questo continuo spalancarsi dellaragione alla conoscenza della realtà sta ilfascino di una professione scelta precoce-mente e mai tradita. “Avevo quattro anni e abitavo a Firenzecon la mia famiglia – racconta la prof.Berardinelli a microfoni spenti – Ungiorno mio nonno, a cui ero legatissima,ebbe un addome acuto e venne portatod’urgenza in Ospedale. All’epoca – parlodel 1947 – i lettighieri che prestavanoservizio volontario nella mia città indos-savano abiti neri ed erano incappucciati,un’usanza che Collodi ha ben descritto nelfamoso libro sul burattino di legno. Lospavento di veder portar via mio nonnoda quattro individui vestiti di nero comeemissari della morte fu grande. Ma ancorpiù grande fu la sorpresa e la gioia alcu-ni giorni dopo, quando mi portarono inOspedale ed ebbi modo di riabbracciarlo,trovandolo in ottima forma dopo l’inter-vento chirurgico. “Da grande farò il dot-tore - pensai al vedere mio nonno salvo -“perché è l’unico lavoro che vale la pena difare”; in effetti , da allora non ho più cam-biato idea”.Non è un caso dunque che le parole con cuidescrive gli inizi della sua carriera di chi-rurgo e specialista dei trapianti di rene

Dal bisturia Sant’AgostinoDialoghi a tutto campo sul trapianto di rene

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siano le stesse con cui racconta le nuovefrontiere che attendono questa disciplina.“In questa professione - dice - c’è costan-temente un aspetto di scoperta, al puntoche il Paradiso - semmai esista - me loimmagino come l’incontro con la veritàglobale, con tutte le risposte a quel “quid”intangibile che ogni giorno ci spinge acercare una spiegazione, ad andare oltre ilbanale per arrivare al cuore del proble-ma”.Quarant’anni di esperienza nel campo deitrapianti di rene e un bagaglio di compe-tenze in materia di chirurgia da far invi-dia a chiunque, non le impediscono di sen-tirsi come “l’eterno studente” che ha sem-pre da imparare, forte di una passione cheneppure le pecche di una Finanziariaparca di adeguati fondi a questo settorehanno potuto sopire, ma che al contrariohanno reso la sua protagonista ancora piùbattagliera. “Il know-how maturato in questo repartoè gigantesco - afferma non senza ramma-rico la prof. Berardinelli - ma non ci sonole condizioni per un ricambio generazio-nale, che vedrà splendidi progressi nelcampo per esempio della tecnica , come lachirurgia robotica o nuovi orizzonti tera-

peutici, come l’utilizzo delle cellule stami-nali per controllare il rigetto dell’organotrapiantato. I giovani che si affacciano almondo dei trapianti di rene in questoIstituto necessitano di una formazione chein media dura 7-8 anni, quando da 22anni non abbiamo ottenuto nel nostroreparto alcuna nuova assunzione di per-sonale medico e le borse di studio possonoa mala pena coprire i costi di 12 mesi.Una lungimiranza e un’attenzione a que-sto fenomeno, purtroppo generalizzato, daparte delle Direzioni Generali sarebberoproprio necessarie; eppure, anche in questoglorioso Ospedale, la Dirigenza non rie-sce a risolvere il problema. A che sarà ser-vito dunque il patrimonio di conoscenze,che ha consentito di ottenere i risultatimigliori d’Italia, a quanto ci comunica ilCentro Nazionale Trapianti - dice condecisione - se non riusciremo a trasmetter-lo?”.Ci congediamo da lei e ci accompagna ilfardello di una domanda che resta comeuna ferita aperta…”Chi ha orecchie perintendere, intenda!” verrebbe da dire, spe-rando che qualcuno sia davvero disposto araccogliere questo importante appello.

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Prof.ssa Luisa BerardinelliLa prof.ssa Luisa Berardinelli, nata aBagheria (PA) il 22.03.43, compiva glistudi classici a Livorno, quivi conseguen-do la maturità classica nel luglio del 1962.Laureata in Medicina e Chirurgia a pienivoti assoluti e lode presso l’Università diMilano il 26 Luglio 1968 con la tesi:“L’ipertensione renovascolare: trattamentomedico e chirurgico”, relatore il ProfessorEdmondo Malan. Borsa di studio INAMnel 1969, Borsa di studio del CNR nel1970. Idoneità Nazionale di AssistenteOspedaliero per Chirurgia Generale, nel1970. Idonea per concorso ad AssistenteUniversitario di ruolo presso la Cattedra diClinica Chirurgica II dell’Università diMilano, conseguita per esami e titoli nel1970.Idoneità nazionale di Aiuto Ospedaliero inChirurgia Generale nel 1977.Idoneità Nazionale di Primario inChirurgia Vascolare nel 1978.Idoneità Nazionale di Primario inChirurgia Generale nel 1978.Assistente Universitario dall’1.1.1971presso la Cattedra di Clinica ChirurgicaGenerale e Terapia Chirurgica diretta dalprofessor E. Malan. Aiuto Universitario dal15.1.1979 per lo specifico campo dellaChirurgia dei Trapianti.Specialista in Chirurgia Generale pressol’Università di Milano il 7 luglio 1973.

Specialista in Angiologia e ChirurgiaVascolare presso l’Università di Milanocon lode il 12 luglio 1976.Premio di Operosità Scientificadell’Università di Milano per l’AnnoAccademico 1978/1979.Il 19.05.1975 ha ricevuto, su proposta delprof. Edmondo Malan, l’Ambrogino d’orodal Comune di Milano per meriti scientificie clinici, nel campo del trapianto renale.L’8.03.2007 ha ricevuto il primo premio perla professionalità “Le nuove guglie dellaGrande Milano”.Dal 1999 è Direttore della U.O. ChirurgiaVascolare e dei Trapianti di Rene pressol’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano(ora Fondazione Ospedale MaggiorePoliclinico, Mangiagalli e Regina Elena).Docente Ufficiale della II Scuola diSpecializzazione in Chirurgia Vascolare,della Scuola di Specializzazione inMicrochirurgia e Chirurgia sperimentale,della Scuola di Specializzazione inChirurgia Plastica, della Scuola diNefrologia, della Scuola di Urologia edella Scuola di Anestesia e Rianimazionedell’Università degli Studi di Milano.Professore Universitario Associato, suc-cessivamente confermato, con laCattedra di Chirurgia Sostitutiva deiTrapianti d’Organo e di Organi Artificiali,presso la facoltà di Medicina e Chirurgiadell’Università di Milano, in seguito al giu-dizio positivo della prima tornata diIdoneità Nazionale nel 1981.

Dal 1968 ha presentato comunicazioni edinterventi in oltre 250 Congressi e RiunioniScientifiche nazionali ed internazionali, inqualità di relatore e/o moderatore.Socio e/o consigliere di numerose Societàscientifiche, fra cui American Society ofTransplant Surgeons, European Societyfor Cardio-Vascular Surgery, EuropeanDialysis Transplant Association, EuropeanSociety for Organ Transplantation, SocietàItaliana di Chirurgia, Società ItalianaTrapianti d’Organo, Società Italiana diChirurgia Vascolare ed Endovascolare, haal suo attivo 344 pubblicazioni in linguaItaliana, Inglese, Francese, di cui 82 cen-site su PUBLIMED, di due testi monogra-fici, corredati da videocassette, pubblicatidalla UTET – Periodici Scientifici:“L’accesso vascolare per la dialisi extra-corporea” 1993; “Il trapianto di rene” 1999,entrambi con il Prof. Antonio Vegeto comecoautore.Ha eseguito come primo operatore oltre11.800 interventi di alta ed altissima chi-rurgia generale e vascolare; fra questi1290 trapianti renali negli adulti e nei bam-bini.È stata promotore e direttore di 5 “Corsi diPerfezionamento in Chirurgiadell’Accesso Vascolare” dell’Universitàdegli Studi di Milano tenuti negli AnniAccademici 1998-1999;1999-2000;2001-2002 e 2002-2003 presso il PadiglioneZonda dell’Ospedale Maggiore Policlinicodi Milano e di 2 Corsi di aggiornamento

per i medici di base tenuti con la collabo-razione dell’Ordine dei Medici di Milanonel 2002 e 2004. Ha tenuto dall’AnnoAccademico 2000-2001 ad oggi i corsielettivi per gli studenti della Facoltà diMedicina e Chirurgia dell’Università degliStudi di Milano.Nel 2004 ha organizzato e diretto il Corsoteorico-pratico sugli Accessi Vascolari incollaborazione con l’Ospedale MaggiorePoliclinico di Milano, l’IPASVI e l’Universitàdegli Studi di Milano ed il Convegno“Prelievi e trapianti di rene all’OspedaleMaggiore di Milano.35 anni di esperienza.2500 trapianti” con il patrociniodell’Ospedale Maggiore Policlinico diMilano e l’Università degli Studi di Milano.Nel 2006 ha organizzato e diretto il corso“Imaging tradizionali/seconda generazio-ne nel trapianto renale, negli accessivascolari e nelle lesioni focali epatiche”tenuto presso la Fondazione OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli eRegina Elena ed il corso “Donare è vive-re. I trapianti d’organo a Milano. Stato del-l’arte” tenuto il 6 maggio 2006 con il patro-cinio della Fondazione OspedaleMaggiore Policlinico, Mangiagalli eRegina Elena e della Regione Lombardia.

Curriculum vitae

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Quali sono le patologie dei reni chepossono condurre al trapianto?Le cause sono molteplici, tuttaviaoccorre fare dei distinguo fra le pato-logie che colpiscono i bambini e quel-le che riguardano gli adulti. Nel primocaso, fra quelle che portano al trapian-to, troviamo in ordine di frequenza, lemalattie congenite o ereditarie, e leuropatie ostruttive. Tra le primevanno annoverate l’ipoplasia o l’age-nesia renale, la malattia policistica ealcune forme di dismetabolismi; fra leseconde, anch’esse congenite, abbiamole valvole uretrali che possono porta-re alla pielonefrite e la vescica neuro-logica, piuttosto difficili da diagnosti-care. Nell’adulto le malattie che porta-no all’insufficienza renale, sempre inordine di frequenza, sono quelle glo-merulari (glomerulonefriti croniche emembranoproliferative), quelle dellevie urinarie efferenti,la malattia polici-stica, le nefropatie diabetiche gravi, itraumi che possono portare a una frat-tura mono o bilaterale dei reni, itumori ed in particolare alcuni tipi ditumore che colpiscono per esempio ilbambino ,come il tumore di Wilms.È vero che più è lunga la dialisiminori sono le possibilità di succes-so del trapianto?In un certo senso sì, anche se proprioqui al Policlinico abbiamo un recordmondiale permanente che è quellodella più lunga durata in dialisi (29anni) in attesa del primo trapianto,eseguito con successo e tuttora fun-zionante dopo quasi 9 anni. . Tuttavia,alcuni studi eseguiti dagli americanisostengono che anche una sola dialisipuò presentare effetti negativi sullariuscita del trapianto, anche nel lungotermine. Motivo per cui, avendo adisposizione un donatore vivente, pre-feriamo eseguire il trapianto “preemp-tive”, cioè prima di iniziare la dialisi.Quali sono i criteri di esclusionedal trapianto di rene?Il primo fattore è l’età. Se nel 1969ammettevamo al trapianto solo ipazienti fino a 45 anni, oggi arriviamofino ai 69, limite che potremmo anchesuperare se il candidato fosse in buone

condizioni fisiche e, soprattutto, aves-simo a disposizione un numero mag-giore di organi. Con la disponibilitàattuale di organi per il trapianto, sipreferisce assegnare il rene a chi loutilizzerà per maggior tempo, cioè ilpaziente con una aspettativa di vitaalmeno di 10 anni. Dal punto di vistainvece delle patologie, non possonoaccedere al trapianto i pazienti affettida tumori metastatizzati o che hannoin atto infezioni sistemiche gravi. Untempo i soggetti portatori di HIVerano fra le categorie escluse; oggi esi-stono gruppi di lavoro in Italia che, incondizioni particolari, accettano per iltrapianto pazienti positivi per HIV. Quali sono i pazienti che hannobisogno, prima del trapianto, dicautele particolari?Quelli dializzati e con i reni policistici.A pari fasce di età e pari condizioni cli-niche, chi è in dialisi presenta unrischio cardiovascolare oltre diecivolte superiore a quello di un pazientecon normale funzione renale.Discorso analogo in termini di rischioè quello che riguarda i soggetti conreni policistici i quali, per una altera-zione delle pareti vascolari correlataalla malattia di base, possono svilup-pare nel 15% dei casi un aneurismacerebrale, coronarico o in altre sedidel sistema vascolare. La terapiaimmunosoppressiva, che rende piùfragili tutti i tessuti, potrebbe pertan-to esporli a un rischio elevato dimorte. In realtà sono tutti problemiche oggi il know-how acquisito qui inreparto, la letteratura scientifica e lemoderne metodiche diagnostiche(pensiamo all’ angioTAC) ci permet-tono di affrontare prima di arrivare altrapianto, determinandone così ibuoni risultati ottenuti.Rispetto agli esordi, l’attività ditrapianto è migliorata sotto tantipunti di vista: la tecnica, la prepa-razione dei chirurghi, la terapiaimmunosoppressiva. Su questi treversanti, quali sono stati, dal suopunto di vista, gli aspetti di mag-giore evoluzione?Ne aggiungerei un quarto, che le ho

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appena detto, ovvero le metodichediagnostiche non invasive o mini-invasive. La premessa a questo discor-so è che il campo dei trapianti è comequello della chirurgia generale: le cosesono migliorate perché hanno avutouna rapida evoluzione le tecniche chi-rurgiche. Prendiamo la chirurgia dabanco in ipotermia, che viene pratica-ta mantenendo il rene fuori del candi-dato ricevente ad una temperatura fra0 e 4 C°: utilizzando questa tecnica(Fig. 1, lo strumento microchirurgico)fin dai primi anni 70, noi fin dall’inizioabbiamo accettato - diversamentedagli altri centri italiani - anche i renicon 3 o 4 arterie. In questo modoabbiamo potuto raccogliere e trapian-tare con successo reni che, altrove,sarebbero stati scartati o trapiantaticon rischio maggiore. Col progressivoaffinarsi di questa tecnica che consen-te di effettuare e controllare le anasto-mosi al microscopio, senza esporre ilpaziente al rischio di complicanze chi-rurgiche e senza aumentare i tempi diischemia calda, due anni fa siamo arri-vati ad utilizzare un rene con 5 arterie.Per non parlare dell’evoluzione chehanno presentato gli strumenti: untempo usavamo gli occhialini ingran-ditori (Fig. 2), oggi disponiamo di unbio-microscopio molto potente chepermette di vedere i vasi a una gran-dezza maggiore. Inoltre sono miglio-rati anche i fili di sutura, che oltre aessere quasi invisibili (con diametriinferiori di un terzo del capello) sonoanche non reattivi con i tessuti (Fig. 3,4, 5, 6). Che dire poi dei liquidi di per-fusione? Se dovessimo utilizzare quel-li di un tempo, dovremmo trapiantaregli organi immediatamente. Oggiinvece i reni possono essere conserva-ti in buone condizioni anche per oltre40 ore. C’è inoltre da dire che ciavvantaggiamo dei progressi che cisono stati nel campo della nefrologia edella cardiologia: le condizioni in cuici arrivano i pazienti sono migliori diuna volta. Grazie a strumenti diagno-stici che consentono di eseguire l’eco-grafia, l’ecocardiogramma o l’angiori-sonanza magnetica possono essere

oggi prevenuti o curati tempestiva-mente con metodiche mini-invasivedanni alle arterie di cui un tempodovevamo farci carico noi chirurghi. E per quel che riguarda la terapiaimmunosoppressiva?L’utilizzo della ciclosporina A, intro-dotta nella clinica nel 1983, ha deter-minato un nuovo impulso per il tra-pianto, riducendo significativamentel’incidenza del rigetto acuto. Mentrenell’anno dal trapianto venticinqueanni fa, si perdeva il 25% dei reni perrigetto, oggi si perde al massimo il 2-3% degli organi. Tuttavia, se con que-sti farmaci (alla ciclosporina si sonosuccessivamente affiancati il tacroli-mus, la rapamicina, il micofenolato, glianticorpi mono- e policlonali) si otten-gono nel primo anno risultati entusia-smanti, a lungo termine si verifica laperdita quasi dello stesso numeroorgani che si avrebbe con la terapiaconvenzionale (quella, per intenderci,P

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L’immagine superiore rappresenta il più piccolo bisturi utiliz-zato in chirurgia vascolare. Sotto, il bisturi utilizzato negliinterventi microchirurgici.

Occhiali ingranditori per effettuare interventi di microchirurgia.

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precedente alla ciclosporina). A unadistanza cioè superiore al primo anno,l’andamento delle curve dei risultati èpressoché parallelo. Per quale motivo?Perché nel tempo questi farmaci, peraltro efficacissimi, presentano deglieffetti collaterali molto pesanti, comela nefrotossicità. Questo ha creato nonpochi problemi ai trapiantatori: non èinfrequente il caso di pazienti trapian-tati con successo di cuore, di fegato odi polmone che, dopo un certo nume-ro di anni, hanno dovuto sottoporsi aun successivo trapianto di reni a causadell’insufficienza renale dovuta aglieffetti nefrotossici della terapia immu-nosoppressiva. Per ovviare al proble-ma, oggi stiamo lavorando su unduplice versante : da un lato cerchia-mo di minimizzare gli effetti collatera-li evitando le dosi massicce di ciclo-sporina o di tacrolimus, dall’altro cer-chiamo di associare a queste terapie

altri tipi di farmaci come il micofeno-lato, un preparato che non è tossico alivello renale e che ha un effetto posi-tivo nel controllare l’azione dei linfoci-ti che aggrediscono l’organo.Tuttavia, al di là delle conquiste chedobbiamo ancora raggiungere, l’inter-vento di trapianto presenta attual-mente una mortalità perioperatoriaequivalente in pratica allo zero, fatto adir poco miracoloso se si pensa alletipologie di pazienti che accettiamoadesso nelle liste d’attesa. Per nonparlare della qualità di vita recuperatadopo il trapianto, qualcosa di eccezio-nale, quasi una “rinascita”. Tutti i fat-tori che ho fin qui ricordato (nuoveterapie, nuovi strumenti, nuove meto-diche diagnostiche) hanno fatto sì cheattualmente siamo in grado di identi-ficare meglio la categoria di rischio delmalato e quindi di assegnare megliogli organi.Parliamo delle nuove frontiere.Quali novità intravede rispetto altrapianto da vivente?Quelle che nel nostro centro già prati-chiamo. Innanzitutto ci tengo a direche il Centro trapianti dello Zonda hada subito privilegiato il trapianto dacadavere, quando in tutto il mondovenivano soprattutto praticati tra-pianti da vivente. Solo quando la tera-pia immunodepressiva ha consentitodi controllare meglio il rigetto abbia-mo ampliato l’attività del trapianto dadonatore vivente. La nostra è semprestata una politica di cautela che alungo termine si è rivelata premiante.Con l’introduzione della ciclosporinanei protocolli terapeutici e per i risul-tati significativamente migliori otte-nuti, la richiesta di organi è aumenta-ta in modo esponenziale e di conse-guenza dal 1983 è aumentato ancheper il nostro Centro l’impiego del tra-pianto da vivente. La necessità di ese-guire il prelievo di rene in donatoriviventi anche prossimi agli 80 anni, ciha però indotti a variare nel donatore-la tecnica della nefrectomia, per ridur-re al minimo le complicanze post-ope-ratorie. Preferiamo la mini-incisionesottocostale extraperitoneale per il

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CSchema di ricostruzione al banco con fili 8/0 di un rene contre arterie renali in una donazione da vivente.

Ricostruzione delle tre arterie renali in un’unica arteria.

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prelievo del rene alla tecnica consuetavideolaparoscopica. Quest’ultima tec-nica infatti appare tuttora gravata dicomplicanze sia per il donatore cheper il ricevente, con una incidenza amio avviso inaccettabile dal punto divista etico. Donatore vivente e rice-vente devono infatti avere il massimopossibile di chances che il rene vadabene e non devono assolutamenteessere esposti al rischio di lesionedegli organi e di emorragie che la tec-nica videolaparoscopica ancora oggicomporta.Esiste, sul piano della terapiaimmunosoppressiva, qualche nuo-vo farmaco?Sì esistono ed alcuni si trovano giàdisponibili per l’uso clinico. Tra i piùinteressanti è sicuramente l’everoli-mus. Come funziona?Anche l’everolimus è un farmacoimmunodepressivo, serve cioè a pre-venire il rigetto: somministrato inassociazione con altri farmaci, consen-te di ridurne il dosaggio e quindi glieffetti collaterali negativi, come lanefrotossicità, le infezioni o l’insor-genza di neoplasie .Considerato che, come ho dettoprima, uno dei lati critici dell’immuno-soppressione a lungo termine è pro-prio la possibile comparsa di tumori,l’everolimus potrebbe davvero essereil farmaco vincente. Tra 5 anni avre-mo la possibilità di ottenere risultatipiù certi.In senso più generale, qual è la stra-da del futuro?L’utilizzo delle cellule staminali èassolutamente promettente. Di recen-te è stato raggiunto un traguardoimportante dal Dr Harald Ott, cardio-logo del Massachusetts GeneralHospital e dallo staff di Doris Taylor,ricercatrice capo del Centro per laricostruzione cardiovascolaredell’Università del Minnesota, cheapre a nuove, splendide prospettive: iricercatori hanno “decellularizzato” inlaboratorio il cuore di topo mediante“lavaggio” con una particolare solu-zione, che elimina dall’organo le cellu-

le che potrebbero provocare il rigetto,lasciando un’impalcatura del cuoreformata da collagene e tessuto protei-co. Nella seconda fase dell’esperimen-to, l’impalcatura residua del cuore èstata spalmata con uno strato di cellu-le staminali, prelevate da topini neo-nati e fatte crescere in un ambientesterile. Dopo 4 giorni queste stessestaminali hanno permesso al cuore diricominciare a contrarsi e a battere. L’idea del futuro è quella di ricostrui-re in laboratorio con le cellule del rice-vente un organo prelevato da cadave-re (rene, fegato , cuore , polmone), uti-lizzando questa stessa metodica perriattivarne la funzione ed evitare con-temporaneamente il rigetto; per ilcuore questa operazione potrebbeessere più facile dato che le sue cellulesono tutte simili, per gli altri organipotrebbe trattarsi di un cammino piùarduo dato che sono costruiti con cel-lule molto differenziate.P

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Dopo la ricostruzione al banco, si ottiene un’unica arteria,assai facile da anastomizzare (schema).

Foto intraoperatoria della precedente ricostruzione a banco.

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La procedura di decellularizzazione ègià da anni utilizzata da noi chirurghiper effettuare sostituzioni protesichedi arterie, vene e valvole cardiache,utilizzando ureteri e valvole cardiachedi animali, come il bove o il maiale . Inquesti casi, l’impalcatura che residuadopo la decellularizzazione viene ripo-polata dalle cellule staminali del rice-vente, veicolate dal sangue del pazien-te.Quello che ci ha detto in merito airisultati ottenuti dal trapianto direne negli adulti, vale anche per ibambini?Assolutamente sì. Il nostro Centro hail più alto numero di bambini trapian-tati di reni in Italia e devo dire che perloro valgono le stesse prospettivedegli adulti, con l’unica differenza chenei confronti dei pazienti di età infe-riore ai 18 anni c’è un’attenzione par-ticolare affinché vengano trapiantati ilpiù presto possibile in modo da nondoverli sottoporre troppo a lungo alladialisi. Non è un caso che infatti per ilbambino che entra in questo difficilepercorso, la ricerca dell’organo vengapraticata su tutta la rete nazionale enon soltanto attraverso l’organizza-zione locale per il trapianto, che pernoi è il NITp (Nord ItaliaTransplant). Resta il fatto che se leprospettive per i bambini si sono allar-gate in modo eccezionale, il merito èplurimo. Possiamo infatti ringraziare imoderni metodi di rilevazione dia-gnostica che ci hanno permesso diidentificare meglio, da un punto divista clinico, malformazioni come lavescica neurologica; i colleghi urologicon i quali lavoriamo a stretto contat-to per le ricostruzioni vescicali da ese-guire prima del trapianto e dei nefro-logi pediatrici, che collaborano connoi per assegnare ai nostri piccolipazienti il miglior regime terapeutico. Dal punto di vista etico, qual è lafrontiera che più la preoccupa?Quella che più ripugna è la commer-cializzazione degli organi, la loro ven-dita. E non lo dico solo dal punto divista etico. La mia preoccupazione èanche e soprattutto di tipo clinico: chi

vende un organo, non fosse altro cheper motivi banalmente commerciali,può nascondere eventuali malattie chepotrebbero escluderlo come donatoree questo può avere devastanti conse-guenze, sia per chi dona l’organo, siaper chi lo riceve. Mi auguro solo chenessun governo del mondo occidenta-le legalizzi questa pratica aberrante,che viene invece praticata corrente-mente in India, in Cina ed in UnioneSovietica.Considerata la cronica mancanzad’organi, pensa che il trapianto davivente andrebbe incentivato? Se ci limitiamo a un intervento fraconsanguinei, parenti o persone estra-nee, ma legate da vincoli di naturaaffettiva, per le ragioni dette appenaprima, direi di sì. Oggi, la terapia assi-cura risultati del trapianto fra estraneiuguali a quelli praticati tra fratelli. Ilpunto è che, purtroppo, i nefrologispesso non propongono al paziente edalla famiglia la possibilità di un tra-pianto da vivente, anche fra estranei,proprio perché non lo sanno. A unconvegno, svoltosi 2 anni fa, mi è capi-tato di sentire l’intervento di unaragazza che si lamentava del fatto chelo specialista nefrologo avesse esclusoche il padre, in dialisi da decenni,potesse ricevere il rene dalla madre,pur disponibilissima, poiché a dettadel nefrologo “per legge non si potevaeseguire il trapianto da vivente fraestranei”, cosa assolutamente nonvera. Dove sta la difficoltà, secondo lei?Nella scarsa informazione, prima ditutto dei medici di base, motivo percui da anni mi ostino ad organizzare,con la collaborazione dell’Ordine deiMedici di Milano, corsi di aggiorna-mento sull’attività di trapianto e irisultati raggiunti per i medici di fami-glia. A questo si aggiungono le lezio-ni sul trapianto per gli studenti dimedicina, per gli specialisti di chirur-gia generale, vascolare, urologia….enaturalmente per gli studenti dellescuole medie/superiori e per i cittadi-ni, soprattutto tramite la disponibilitàmia e del mio staff a partecipare alle

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varie attività benemerite dell’Aido.È in questo reparto da 42 anni. C’èqualcosa che ancora la stupisce?Il fatto che l’impatto emozionale conquesti pazienti sia sempre lo stesso,specie per quel che concerne il tra-pianto da vivente. Se ci si pensa, è ungesto di amore, e di eroismo, - percerti versi - ancora maggiore delladonazione da cadavere, perché ildonatore vivente è disposto a metterea rischio la sua stessa vita pur di sal-vare il congiunto. È vero che il rischiolegato al prelievo di un rene è moltoridotto, perché nel donatore viventevengono eseguiti esami moltoapprofonditi per evidenziare eventualiproblemi di salute, ma le complicanzepossono sempre capitare, indipenden-temente dalla perfezione dell’atto chi-rurgico. Bisogna ricordare che esistesempre un piccolo rischio di mortedurante o dopo questo intervento chi-rurgico, che è uguale a quello dell’anestesia generale, e questo lo dicia-mo ben chiaramente ai candidatidonatori nel consenso informatoprima dell’intervento. Secondo valuta-zioni eseguite su grosse casistichesoprattutto americane il rischio dimorte si aggirerebbe intorno allo0,03%, cosa che equivale ad un caso dimorte su 3000 donazioni. Tale per-centuale è stata confermata da unaricerca recente eseguita su una casisti-ca di 10 828 prelievi di rene effettuatitra il 1999 ed il 2001 negli Stati Unitid’America. Nel nostro centro non si èregistrato alcun decesso di donatore aseguito di un prelievo renale, cionono-stante tale rischio va sempre conside-rato.Va anche ricordato che il prelievo diun rene non ha alcun influsso negati-vo sull’aspettativa di vita del donatore.I donatori di rene vivono statistica-mente più a lungo e meglio di perso-ne che non hanno fatto alcuna dona-zione. Questo risultato si spiega moltoprobabilmente con il fatto che le per-sone candidate alla donazione di unrene devono essere in buona saluteevengono poi seguite più strettamen-te dallo staff medico.

Il suo lavoro implica una granderesponsabilità. Le è mai capitato intanti anni di pensare: “E se sba-glio?”La possibilità di sbagliare va tenutasempre presente, ma ritengo che conl’attenzione costante, l’esperienza, l’u-miltà di replicare le procedure tutte levolte allo stesso modo e un alto gradodi collaborazione fra i componentidell’equipe trapiantologica (e con que-sto intendo non solo i chirurghi, inefrologi e gli anestesisti, ma anchetutto il personale infermieristico coin-volto nella cura del paziente), il “gap”fra la possibilità di sbagliare e lo sba-glio stesso diventi veramente moltoremota. Il nostro è un lavoro di precisione sup-portato da ausili sofisticati e chenecessita di sistemi di validazionemolto precisi. Per esempio, la nostraprocedura prevede che il pazientevenga sempre visitato contempora-neamente da una equipe di medici(specie nel caso del trapianto da viven-te che implica una preparazione piùlunga) e ciò è molto importante dalpunto di vista formativo. Mi è capita-to più volte di accettare di portare atermine interventi assai impegnativiin pazienti gravissimi, dove sarebbestato impensabile intervenire senza iltotale supporto degli anestesisti e dei

La prof.ssa Berardinelli con colleghi dell’Ospedale MaggiorePoliclinico.

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rianimatori. Sicuramente il lavoro in équipe pre-suppone una certa capacità diascolto nei confronti dei colleghi…Forse ci aiuta il fatto di essere chirur-ghi un po’ particolari: solitamente ilchirurgo viene visto come una speciedi re che vive in sala operatoria (la suatorre d’avorio, da cui ogni tantodiscende per parlare con i comunimortali, i pazienti o i parenti), conpotere di vita o di morte, ma un po’snobbato dall’internista, che si ritieneil depositario della conoscenza e con-sidera l’atto chirurgico alla stregua diun’opera manuale, dove la culturamedica ed il ragionamento trovanopoco spazio. Invece, fin dall’inizio i chirurghi deitrapianti hanno dovuto collaborarecon specialisti di ogni settore per otte-nere i migliori risultati in quel com-

plesso paziente che è l’uremico, con inpiù l’obbligo necessario di aggiornarsicostantemente e continuamente.Tuttora, mi trovo personalmentenello stato di eterno studente, vista larapidità dello sviluppo scientifico:ogni settimana che passa porta qual-cosa di nuovo che sono tenuta a sape-re per il bene dei miei ammalati e devodire che questo aspetto mi piacemolto, perché mi proietta sempre inavanti e mi fa sentire sempre giovane.Così intesa la disciplina dei trapianti èun’avventura tuttora esaltante. Ebisogna ricordare che siamo solo all’i-nizio: per parafrasare Sant’Agostino,stiamo appena cominciando ad attin-gere al mare della conoscenza con uncucchiaino. Un mare di conoscenzatalmente entusiasmante che mi dispia-cerà morire per non poterlo vedere!

L.S.

La riabilitazione del paziente trapiantato potrebbe essere ancora migliore, con un trapianto precoce.

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La prostata è una ghian-dola posta anatomica-mente appena al di sottodella vescica. Attraver-so questa ghiandola

passano due canalicoli: l’uretra,attraverso la quale viene espulsadalla vescica l’urina e il dotto eia-culatore, che ricevendo gli sper-matozoi prodotti dai testicoli,attraverso i vasi deferenti e levescicole seminali li convoglianell’uretra per permettere l’eia-culazione durante l’atto sessuale.Le vescicole seminali contribui-scono circa il 60% del volume delliquido seminale che è espulsosoprattutto alla fine della eiacu-lazione, con funzione di “lavag-gio” dei dotti eiaculatore e ure-trale.La prostata contribuisce anch’es-sa alla formazione della massaspermatica con la secrezione diun liquido lattiginoso, fluido,alcalino, che ha la funzione dauna parte di aumentare il volumedello sperma ma soprattutto dicorreggerne l’acidità così dacreare un ambiente che favoriscala motilità degli spermatozoi equindi la loro capacità fecondan-te.Qualsiasi aumento del volumedella ghiandola prostatica checomprima i dotti che la attraver-sano comporta una maggiore dif-ficoltà della emissione dell’urina(minzione) e anche dello sperma.Sono questi i primi segnali di unaeventuale patologia che interessila prostata.Con l’avanzare dell’età, dopo i 50anni, la ghiandola prostaticatende ad ingrossarsi: è la cosid-detta ipertrofia prostatica. Lacausa di questo aumento conpossibile conseguente costrizio-ne dei dotti che passano attraver-so la prostata è sconosciuta. Sisuppone che siano implicate alte-razioni dell’equilibrio ormonalelegate all’età.Il cancro della prostata è diven-

tato nel corso degli anni un argo-mento “caldo” nei dibattiti sullasalute dei cittadini. Questo nascedalla consapevolezza, non solodei professionisti della salute, cheil cancro della prostata è diventa-to uno dei tumori più frequentinella popolazione europea.Si stima che 2,6 milioni di nuovi

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CIl cancro della prostata:genetica e prevenzione

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casi verranno diagnosticati inEuropa ogni anno. Questo ècomprensibile se si pensa che ilcancro della prostata rappresentauna tipica patologia dell’etàavanzata e che, quindi, in paesi incui la spettanza di vita va costan-temente aumentando, il cancroprostatico vede un’incidenza inaumento.Fortunatamente, a questo feno-meno non si è accompagnato unaumento della mortalità correla-ta.Questa discrepanza suggeriscel’osservazione che buona partedei casi di CaP sia in realtàsovradiagnosticata (concettoperò estremamente difficile daspiegare al paziente!) e che inrealtà molti casi non si sarebberomai manifestati in assenza diindagini di screening (1-3).Va infine considerato che la neo-plasia prostatica è una malattiacomplessa e per tale ragionenumerosi parametri sembrereb-bero influenzare la sua insorgen-za, come ad esempio il gruppoetnico (più frequente la neoplasianella razza nera) ma anche l’a-namnesi famigliare.Per quanto riguarda l’incidenzain diversi gruppi etnici, i datisembrerebbero discordanti. Se dauna parte il rilievo autopticosembra dimostrare la stessa inci-denza in diverse aree geografi-che, l’incidenza dal punto di vistaclinico è assolutamente diversa.Ad esempio, si nota un’incidenzamolto più alta in America delNord o in Europa Settentrionale,rispetto al Sud-Est Asiatico.Interessante è notare che uominigiapponesi trasferitisi alleHawaii vedono un aumento nettodell’incidenza del cancro, dalpunto di vista clinico, e ciò èancora più evidente nel caso ditrasferimento in California, conun progressivo avvicinamentoalla popolazione autoctona.Questo confermerebbe, per il

CaP, come del resto per moltissi-mi tumori, una compartecipazio-ne di fattori genetici ed ambien-tali. Questi ultimi infatti potreb-bero influenzare non tanto l’inci-denza del tumore ma soprattuttoil passaggio dal cosiddetto“tumore latente” a quello “clini-co”.Si possono distinguere due formedi neoplasia prostatica: sporadi-che e famigliari.Le neoplasie prostatiche fami-gliari sono quelle forme in cuinumerosi casi all’interno dellastessa famiglia dimostrino unaumentato rischio. E’ lecitosospettare un caso di ereditarietàgenetica per l’insorgenza di can-cro famigliare della prostataquando si verifichino due diagno-si di Ca prostatico nella stessafamiglia prima dei 55 anni, oppu-re più di tre casi in componenti lastessa famiglia nel corso di tregenerazioni. In realtà questi casirappresentano circa il 10% deltotale(3-5) e un eventuale gene cor-relato non è stato ancora con cer-tezza identificato. Di recente ungene di suscettibilità sembrereb-be essere stato mappato sul cro-mosoma 1.Numerosi geni (Bcl 1, p53, HPC-1) potrebbero inoltre avere unruolo, in quanto sembrerebberopoter interagire con fattoriambientali per favorire l’insor-genza di Ca prostatico.Non bisogna mai dimenticare,quando si propone però “ungene” come causa di una neopla-sia, le aspettative che la propostadi una diagnosi genetica può pro-durre nella popolazione.D’altro canto, una eventuale dia-gnosi mediante screening geneti-co è quasi sempre associata conun elevatissimo impatto psicolo-gico(8).Nella eziologia della patologianeoplastica della prostata “spora-dica” si è ipotizzato che numero-si fattori ambientali possano

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Testicolo

Ghiandola bulbo-uretrale

Dotto eiaculatore

Vescicola seminale

Ampolla

Vescica urinaria

Vaso deferente

Tessuto erettile

Prostata

Il sistema riproduttivo maschile

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essere coin-volti. In realtà

nessuno di questi èmai stato identificato univoca-mente. Infatti abitudini sessuali,l’esposizione a raggi ultraviolet-ti, il consumo di alcol, e infine l’e-sposizione professionale, sonostati a turno chiamati in causa,senza però certezze scientifiche asupporto.Innanzitutto il fumo della siga-retta e la presenza di elevati

livelli di colesterolemia sembre-rebbero essere associati con unamaggiore incidenza di neoplasieprostatiche, ma il rischio relativosembrerebbe essere piuttostomodesto (1,31 per il fumo, 1,02

per il colesterolo)(9). L’assunzione di alti livelli digrassi animali nella dietapotrebbe essere importanteper l’aumento del rischiodi sviluppare tumori “cli-nicamente significativi”.Un altro fattore coinvoltonella patogenesi del carci-noma prostatico sembre-rebbe essere una elevataconcentrazione nel san-gue di IGF-1 (insuline-like growth factor 1).(10)

Un altro studio sembre-rebbe dimostrare che l’as-senza di licopene nelladieta (un metabolita pre-sente nei pomodori cotti)

aumenterebbe l’incidenza dicarcinoma prostatico. Infatti unaassunzione abbondante di talealimento sembrerebbe essereassociato ad una riduzione delrischio (RR 0,81; CL 0.70-0,92).(11)

In entrambi i casi però i risultatidi questi studi necessitano diessere confermati dopo unampliamento della casistica evalutazioni a lungo termine.Infine, alcuni studi si sono postil’obiettivo di valutare se il sele-nio e la vitamina E possano avereun effetto sulla storia naturaledella malattia.Un altro importante studio, i cuirisultati devono ancora esserepubblicati definitivamente, si eraposto l’obiettivo di valutare se gliinibitori della 5-alfa-reduttasi (lafinasteride) possano avere unruolo protettivo. Questi farmacihanno la capacità di ridurre latrasformazione del testosteronein di-idro-testosterone, estrema-mente più attivo come stimolotrofico per la prostata e per que-

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Le neoplasie prostatiche famigliari

sono quelle forme in cuinumerosi casi all’interno

della stessa famigliadimostrino un aumentato

rischio.

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Csto utilizzati nella patologia“benigna” della prostata. Inizialmente questo studio sem-brava dimostrare che, se da unaparte il numero di tumori appari-va in diminuzione (-24,8%), dal-l’altra vi era un incremento del5% delle neoplasie in Grandingpiù alto (ovvero più aggressive).In realtà a distanza si è ricono-sciuto che un grave bias avevafalsato i risultati: semplicementequesto farmaco, riducendo ilvolume della prostata creava unamaggiore accuratezza della bio-psia prostatica.Come quindi si può evincere datutte le evidenze scientifiche, nonesiste effettivamente una preven-zione del Carcinoma Prostatico.Infatti la biologia del tumore èper gran parte sconosciuta equindi non è per ora possibileattuare una vera prevenzioneprimaria. Come raccomandatodalle Linee Guida, non vi è soste-gno ad alcuna modifica del pro-prio comportamento o stile divita, fatto salvo le classiche rac-comandazioni: astenersi dalfumo e di svolgere attività fisica.La diagnosi su base genetica èassolutamente da evitare se nonin seno a sperimentazioni clini-che, in considerazione delleripercussioni psicologiche enecessità di counselling che taleprocedura prevede.Certamente, in un quadro di dif-ficoltà a prevenire una patologiacon tale impatto clinico, una dia-gnosi precoce e un test di scree-ning potrebbero effettivamentemigliorare l’approccio allamalattia. Ma l’efficacia di qualun-que prova di screening non èstata dimostrata e nessun esamediagnostico (tanto meno ildosaggio del PSA) sono statidimostrati come efficaci presidinella diagnosi di massa dellamalattia(12).

Nicola ArrighiGaetano Bianchi

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9) Coughling SS., Nector JD; Sengupta ACigarette smoking as a predictor of death from prostate cancer in 384,874man screened for Multiple Risk factor Interavention Trial Am J Epid 1996;143: 1002, 1006.

10) Mucci LA., Tamini R., Langiou P et al dietary influence on the risk ofprostate cancer mediated through the insuline.like growth factor system. BJUInternational 2001; 87:814-820.

11) Etminan M., Takkouche B., Caamano.Isorna F The role of toamto pro-ducts and lycopenes in the prevention of prostate cancer: a meta analysis ofobservational studies. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2004; 13: 340-45.

12) Linee Guida sul Carcinoma prostatico Urologia 2007; 74; S1-20.

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studi clinici suirapporti tra ali-mentazione ecancro alla pro-stata non sonoancora chiari,

L ’ A m e r i c a nCancer Society consi-

glia di seguire una dietaequilibrata e di mantenere il

giusto peso corporeo, per ridurre il rischio di questamalattia.

Meno carni rosse più frutta, verdura, cereali integrali e legu-mi. Una dieta sana ed equilibrata, privilegia il consumo di ali-menti vegetali come i cereali e loro derivati integrali, i legumie la frutta e la verdura. Le carni rosse, devono, invece esserelimitate, soprattutto quelle grasse e gli insaccati. Ogni gior-no bisognerebbe mangiare, almeno 5 porzioni di frutta e ver-

dura, possibilmente di colore diverso, perché ad ogni colore,corrispondono differenti e preziose virtù nutrizionali.

Prostata:combattere

il rischioa tavola

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Al giallo-arancio di vegetali come le albi-cocche, il melone, la zucca o le carote, corrisponde lapresenza di carotene che nell’organismo si trasforma invitamina A che contrasta il rischio di tumori e invecchiamen-to cellulare e aiuta a proteggere la pelle, e la vista.

Il verde di spinaci, erbette, broccoli,cavoli, tarassaco, cicoria, cime di

rapa, barba di frate e di tutte leverdure verde scuro è dovutoalla presenza di clorofilla.

Sia la clorofilla che la cloro-fillina che da essa deriva,

sembra possano diminuire ildanno prodotto da cancerogeni chi-

mici e radiazioni, grazie alle loro proprietàantiossidanti e possono legarsi a sostanze potenzialmente can-cerogene.

La frutta e la verdura con la bucciarosso-violetta come uva, mirtilli,prugne, radicchio e melanzane, èricca di sostanze chiamati antocia-

nosidi molto efficaci nel combattere iradicali liberi, favorire la circolazione delsangue e contrastare la fragilità capillare;queste sostanze hanno la capacità di prevenire laformazione di placche aterosclerotiche dovute agli alti

livelli di colesterolo.

I vegetali bianchi come cipolla, finocchio, mela epera, contengono la quercetina, un antiossidantenemico dei tumori e delle patologie cardiovascolari.

Nel gruppo del rosso, tipico di vegetali comebarbabietole, anguria e pomodoro, troviamovari pigmenti colorati, come antociani ecaroteni. Il licopene, carotenoide abbon-dante nel pomodoro maturo che svolge

un’azione anti- invecchia-mento sulle cellule.

Inoltre i pigmentirossi in genere proteg-

gono dai tumori, dalle pato-logie cardiovascolari e favorisco-no l’integrità dell’epidermide.

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1º giorno 2º giorno 3º giorno 4º giorno

Licopene, vitamina E, selenio e isoflavoniProprio il licopene sembra essere in grado di abbassare il rischio di cancro alla pro-stata. Il pomodoro rosso ne è ricchissimo, in particolare i pomodori secchi, i pomo-dori passati e pelati e i pomodori maturi. Il licopene si trova anche in altri vegetalicome il melone, la papaia, l’anguria, il pompelmo rosa e la fragola ma è nel pomo-doro che ha le maggiori concentrazioni. Piu’ il vegetale è rosso, più è ricco di lico-pene. Anche l’assunzione di vitamine e Sali minerali può servire a ridurre il rischiodi cancro alla prostata, in particolare la vitamina E di cui è ricco l’olio d’oliva, il tuor-lo d’uovo, il germe di grano e la frutta secca e il selenio, un minerale contenutosoprattutto nelle frattaglie e nei pesci. Diversi studi attualmente stanno esaminan-do i possibili effetti delle proteine di soia sul rischio di cancro della prostata. Sono sempre di più gli studi epidemiologici che mettono in rapporto il ridottonumero di casi di tumore del colon, della mammella e della prostata presso le popo-lazioni asiatiche la cui dieta è particolarmente ricca di soia. Sembra che l’effetto pro-tettivo della soia debba attribuirsi agli isoflavoni, sostanze vegetali simili agli estro-geni.

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Colazione1 tazza di latte magro (200 ml) con caffè senza zuc-chero30 g di muesli o fiocchi d’avena e un frutto (200 g)Spuntino1 pompelmo rosa (200 g)Pranzospaghetti alle vongole e peperoni; una porzione d’in-salata, condita con olio e aceto; 200 g di mandaran-ci; 50 g di pane integraleCena coniglio al forno (100 g); biete lesse, condite conolio; 200 g di mela, 50 g di pane integrale

Colazione1 tazza di latte magro (200 ml) con caffè senza zuc-chero30 g di muesli o fiocchi d’avena e un frutto (200 g)Spuntino1 arancia (200 g)Pranzorisotto al salmone; insalata mista condita con olio eaceto; 200 g di kiwi; 50 g di pane integraleCenainvoltini di bresaola, preparati con 6 – 7 fette di bre-saola (50 g), farcite di rucola e pomodorini; insalatadi finocchi, peperoni e zucchine alla julienne, conditacon olio, 200 g di pera; 50 g di pane integrale

Colazione1 tazza di latte magro (200 ml) con caffè senza zuc-chero30 g di muesli o fiocchi d’avena e un frutto (200 g)Spuntino1 banana (200 g)Pranzo80 g di penne integrali con sugo di pomodoro ebasilico; 100 g di tofu; cicoria lessata e condita conolio, 200g di mandarini ; 50 g di pane integraleCena130 g di filetti di sgombro al forno; carote lesse,condite con olio e prezzemolo; 200 g di frutti dibosco; 50 g di pane integrale

Colazione1 tazza di latte magro (200 ml) con caffè senza zuc-chero30 g di muesli o fiocchi d’avena e un frutto (200 g)Spuntinofragole (200 g)Pranzopasta e lenticchie preparata con 70 g di pasta inte-grale, 50 g di lenticchie e aromi; insalata di radicchioverde condito con olio; 200 g di arance; 50 g dipane integraleCena100 g di petto di pollo al vapore aromatico; insalata dispinaci e pomodori, conditi con un cucchiaio d’olio, 200g di macedonia di frutta, 50 g di pane integrale

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5º giorno 6º giorno 7º giorno

Un menù per sette giorniPer perdere qualche kg di troppo, mangiando correttamente, ecco un menùsettimanale leggermente ipocalorico (circa 1600 kcalorie) ma equilibrato neiprincipali nutrienti con soia, alimenti integrali e frutta e verdure di diversicolori, spesso proposte in macedonie o insalate miste.

Avvertenze* Condimenti: due cucchiai e mezzo di olio di oliva extravergine al giorno eun cucchiaino di sale. Aceto, spezie, aromi e succo di limone possono essereusati liberamente.* Verdura: le porzioni di verdura devono essere abbondanti. Non è necessa-rio pesare.* Bere acqua abbondantemente ai pasti e durante la giornata* I pesi si riferiscono agli alimenti crudi e puliti* Tisane, tè e caffè senza zucchero possono essere bevuti, con moderazione,durante la giornata.

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Colazione1 tazza di latte magro (200 ml) con caffè senza zuc-chero30 g di muesli o fiocchi d’avena e un frutto (200 g)Spuntino1 kiwi (200 g)Pranzofarro con carciofi e soia; coste condite con olio; 200g di mela; 50 g di pane integraleCena130 g di filetti di triglia in padella, insalata di pomo-dori condita con olio; 200 g di mandarini; 50 g dipane integrale; acqua

Colazione1 tazza di latte magro (200 ml) con caffè senza zuc-chero30 g di muesli o fiocchi d’avena e un frutto (200 g)Spuntinomandarini (200 g)Pranzo80 g di fusilli integrali con 50 di ceci lessati e saltatiin padella con olio, aglio, salvia e rosmarino; insalatadi radicchio verde e rosso, condita con olio e aceto;200 g di pera; 50 g di pane integraleCenaomelette, preparata in un pentolino antiaderente condue uova; barbabietola lessa condita con un cuc-chiaio d’olio; 200 g di ananas; 50 g di pane integrale

Colazione1 tazza di latte magro (200 ml) con caffè senza zuc-chero30 g di muesli o fiocchi d’avena e un frutto (200 g)Spuntino1 arancia (200 g)Pranzo80 g di orzo lesso condito con 100 g di ricotta erucola tritata; melanzane alla piastra; 150 g di bana-ne, 20 g di pane integraleCena 130 g di merluzzo al pomodoro; insalata di lattuga,cetrioli e carote alla julienne, condita con olio e limo-ne, 200 g di pompelmo; 50 g di pane integrale

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_x Ü|vxààxSpaghetti alle vongole e peperoni

80 g di spaghetti integrali, 50 g di vongole sgusciate, mezzo peperone, 1 spicchio d’aglio, mezza cipolla,

1 cucchiaio d’olio , sale, pepe, prezzemolo tritato

Preparazione: Lavate il peperone, privatelo dei semi e taglia-telo a falde. Sbollentatelo qualche minuto in acqua bollente sala-ta. Sbucciate e tritate la cipolla. Rosolatela per qualche minuto inuna casseruola con un cucchiaio d’olio e l’aglio. Unite il peperonee mescolate. Unite le vongole e portate a cottura. Lessate gli spa-ghetti al dente, scolateli e saltateli in padella con le vongole e i peperoni.Aggiungete il prezzemolo tritato e servite.

Risotto al salmone80 g di riso integrale, 130 g di filetto di salmone,

1 spicchio d’aglio, mezzo litro di brodo, un cucchiaio d’olio , sale, pepe, salvia, succo di limone.

Preparazione: Rosolate per qual-che minuto l’aglio in una casseruola conun cucchiaio d’olio. Aggiungete il riso efatelo tostare per qualche minuto. Salate epepate. Versate un mestolo di brodo e mescola-

te. Continuate ad aggiungere il brodo man mano che siasciuga, sempre mescolando. Completate la cottura. Intanto cuocete a

parte il salmone in una padella antiaderente con la salvia e il succo di limo-ne.. Sbriciolatelo. Poco prima che il risotto sia pronto, aggiungete il salmo-ne.

Farro con carciofi e soia80 g di farro, mezzo litro di brodo, 4 cuori di carciofo,

50 g di soia, uno spicchio d’aglio, un cucchiaio d’olio, menta, sale

Preparazione: mettete a bagno la soia per una notte. Scolatela e lessatela.Rosolate per qualche minuto l’aglio in una casseruola con un cucchiaio

d’olio. Aggiungete i cuori di carciofo a fette, il farro efatelo tostare per qualche minuto. Salate e pepa-

te. Versate un mestolo di brodo e mesco-late. Continuate ad aggiungere il

brodo man mano che si asciu-ga, sempre mescolando.

Poco prima di comple-tare la cottura, unite la

soia e le fogliolinedi menta.

Cristina Grande

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É Alessandro Gassman il testimo-nial della nuova campagna di sen-sibilizzazione Aido. La presenta-zione ufficiale è stata fatta il 13marzo scorso presso il Ministero

della Salute dal presidente nazio-nale Vincenzo Passarelli in una

conferenza stampa che ha visto lapresenza, tra gli altri, del ministroLivia Turco e di Alessandro Nanni

Costa, direttore del CentroNazionale Trapianti.

Maggiori informazioni si possonoavere visitando il sito web dell’Aido

all’indirizzo: www.aido.it

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Notizie dal mondo della sanità

Queste notizie sono trattedal quotidiano RassegnaSanitaria Italiana realizzato dall’Istituto diCultura Diritto & Saluteche ringraziamo per la preziosa concessione.Maggiori informazioni sul servizio offerto le trovate all’indirizzowww.rassegnasanitaria.it

Ospedali Riuniti di Bergamo:trapianto di polmoni con tecnica split

Grazie alla tecnica split, utilizzata ad oggi esclusivamente per il tra-pianto di fegato, l’èquipe ha utilizzato il polmone sinistro di un giovane

donatore, dal fisico atletico, con i polmoni troppo grandi per il ricevente,per sostituire i due polmoni di un ragazzino affetto da fibrosi cistica, inlista d’attesa dal gennaio 2006.“Il Dott Alessandro Lucianetti, responsabile dell’Unità Semplice diChirurgia Toracica ha prelevato e diviso in due parti il polmone sinistrodel donatore - spiega lo stesso dott. Colledan –abbiamo quindi trapian-tato il lobo superiore al posto del polmone destro del ricevente e il loboinferiore a sinistra. L’intervento si è svolto senza problemi, grazie all’ec-cellente lavoro degli anestesisti dott. Carlo Pirola e Diego Manzoni ed alfondamentale contributo degli infermieri di sala operatoria. Non è statonecessario ricorrere alla circolazione extracorporea ma come sempreerano presenti in sala operatoria e pronti ad intervenire in caso di neces-sità il cardiochirurgo, in questo caso il Dott. Michele Triggiani, e la perfu-sionista dell’U.O. di cardiochirurgia.Il nostro piccolo paziente ha iniziato a respirare da solo, con ottima fun-zione dei polmoni, già a poche ore dall’intervento, nel reparto di tera-pia intensiva pediatrica, diretto dalla dott.ssa Daniela Codazzi, dove èrimasto solo 5 giorni per poi essere affidato al dott. Giuliano Torre e aipneumologi dell’ospedale le cui cure sono fondamentali per un succes-so a lungo termine”.La tecnica utilizzata dall’èquipe di Colledan, che ha beneficiato dell’e-sperienza di chirurgia resettiva dei tumori polmonari, è stata ideata erealizzata per la prima volta a Parigi ed impiegata in seguito anche aVienna. Rappresenta un’ulteriore frontiera tra le possibilità tecniche pertrapiantare il maggior numero di pazienti, investendo al meglio la dona-zione d’organi e soddisfando le esigenze dei bambini che stentano a tro-vare organi di dimensioni adeguate.“Anche questa volta – dice il direttore generale, dott. Carlo Bonometti– un grazie va ai familiari del donatore che con il loro gesto hanno per-messo di ridare nuova speranza al nostro paziente, a tutti gli operatoricoinvolti ed al CNT (Centro Nazionale Trapianti) .La consapevolezza delvalore della donazione conferma la sensibilità dei cittadini e continua agenerare nuove energie presso tutto il nostro personale che si impegnaad aiutare le persone senza alternative al trapianto. L’intervento ese-guito dall’èquipe di Colledan conferma l’elevato grado delle com-petenze maturate e che il campo dei trapianti vivrà ulteriori svilup-pi in un prossimo futuro perché i progressi della medicina sonolungi da essere conclusi”.

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Creato mini-sistema nervoso umano, utile per trapianti(AGI) - Philadelphia - Una rete neurale umana creata in laboratorio.E’ quanto ha realizzato un gruppo di ricercatori della University ofPennsylvania School of Medicine, annunciando il risultato sulJournal of Neurosurgery. Si tratta di un circuito neurale in piena rego-la, che potra’ essere utilizzato un giorno per trapianti o per ripararesistemi nervosi danneggiati. ‘’Abbiamo creato un circuito neurale tri-dimensionale, un mini sistema nervoso che potra’ essere trapianta-to in massa’’, ha spiegato Douglas H. Smith, primo autore della ricer-ca. La tecnica era gia’ stata sperimentata sui topi, prima di essereapplicata a cellule nervose umane. In sintesi, consiste nell’indurre lacrescita delle fibre nervose (gli assoni) con stimolazioni meccanichee chimiche e ‘impacchettare’ il tutto in una matrice di collagene.Smith e i suoi colleghi hanno utilizzato i neuroni dei gangli dorsaliprelevati da 16 pazienti e 4 donatori di organi. I neuroni sono stati poiingegnerizzati per costruire il tessuto nervoso trapiantabile. ‘’Lo stu-dio dimostra la promessa dei neuroni adulti di diventare un materia-le alternativo per i trapianti, grazie alla loro disponibilita’ e capacita’di essere ingegnerizzati’’, ha detto Smith. ‘’Abbiamo anche dimo-strato che e’ possibile ottenere questi neuroni da pazienti in vita, cheapre la strada a trapianti autologhi del sistema nervoso’’. –

Alimentazione: l’oncologo,olio extravergine «scudo» contro i tumori

Roma, 25 gen. (Adnkronos Salute) - La celeberrima dieta mediter-ranea e il suo ‘re’ incontrastato, l’olio extravergine d’oliva,continuanoa ricevere conferme dei loro effetti benefici sulla salute. Sono soprat-tutto gli oncologi a consigliare di non far mancare mai sulla propriatavola il ‘nettare’ degli ulivi: “grazie al suo effetto antiossidante, que-sto condimento è infatti in grado di proteggerci dai tumori e da moltealtre malattie come l’aterosclerosi o i disturbi cardiovascolari”. Paroladi Antonio Giordano, direttore dello ‘Sbarro Institute for CancerResearch and Molecular Medicine’ di Philadelphia (Usa) e respon-sabile scientifico della Human Health Foundation (Hhf), onlus dedi-cata alla ricerca sostenuta dalla Banca popolare di Spoleto,interve-nuto all’incontro ‘La civiltà dell’olio di oliva, dalla terra alla tavola’ oggia Roma. “L’alimentazione, se non corretta - ha spiegato l’esperto -può diventare quasi un ‘insulto’ al nostro organismo. Se ne sonoaccorti anche negli Stati Uniti, dove i fast food hanno iniziato a offri-re, oltre ad hamburger e patatine fritte, anche le insalate. In Italiaabbiamo una tradizione culinaria che per fortuna mette al centro ali-menti sani e bilanciati come i pomodori e l’olio di oliva, che possonoaiutarci a mantenere un buono stato di salute”. L’extravergine, adesempio, “ha una serie di componenti che, in sinergia fra di loro - hasottolineato Massimo Lopez, direttore del dipartimento di Oncologiamedica B dell’Istituto Regina Elena di Roma - danno origine a unpotentissimo effetto antiossidante: in pratica, ostacolano la produ-zione di radicali liberi, molecole che possono andare a interferire conil Dna e a modificare i geni rendendo più vulnerabile il nostro orga-

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nismo nei confronti di alcuni tipi di tumori. In particolare - concludel’esperto - è stato dimostrato che le sostanze chimiche presenti inquesto prodotto ostacolano l’espressione di un gene alla base del20% delle neoplasie della mammella”.

Studio Israeliano: l’uso del telefoninoaumenta il rischio di tumori alle ghiandole salivari

(ANSA) - ROMA. Un uso eccessivo del cellulare aumenta il rischiodi tumori alle ghiandole salivari. Lo ha scoperto una ricerca israelia-na pubblicata dall’American Journal of Epidemiology, secondo cui ilrischio aumenta del 50%. I ricercatori hanno esaminato 500 pazien-ti affetti da tumori benigni e maligni delle ghiandole salivari, facendoloro compilare un questionario sulle abitudini nell’uso del telefonino.Le risposte sono state confrontate con quelle di 1300 individui sanidi controllo. Quelli che hanno dichiarato di usare molto il telefoninohanno mostrato un rischio doppio di sviluppare il tumore di quelli chenon lo usano affatto. A conferma dei risultati, i tumori si sviluppanoproprio dal lato dove si usa di più l’apparecchio, e sono più frequen-ti in campagna dove la scarsità di ripetitori dà vita a radiazioni piùintense. “Questo risultato non dice che il telefonino non va usato -spiega Siegal Sadetki, autrice dello studio - ma che vanno usatedelle precauzioni, soprattutto da parte di chi lo usa molto e dei bam-bini”. (ANSA)

CNR: un superfiltro contro fumi nocivi in cucina(ANSA) - ROMA, 7 DIC - Mai piu’ odore di fritto, sgradevole e pergiunta tossico, con il filtro di ultima generazione ideato da Isidra, unteam di ricercatori dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglionazionale delle ricerche di Padova (Icb-Cnr), dell’università diPadova e della società Exenia. Il nuovo sistema filtrante, per il qualee’ stata di recente depositata domanda di brevetto, sara’ in grado dieliminare quelle sostanze maleodoranti e nocive prodotte dalladegradazione dei grassi alimentari e che conferiscono al cibo ilcaratteristico sapore di rancido. ‘’E’ noto che, esponendo all’aria unafettina di carne o scaldando l’olio in padella’’, dice Andrea Guiottodell’Icb-Cnr, ‘’i grassi alimentari subiscono un processo di ossidazio-ne nel quale le molecole dei grassi insaturi si rompono, generandoaltre molecole più piccole e potenzialmente pericolose per la nostrasalute’’. Come l’aldeide acroleina, tipica sostanza tossica da fritturache si forma per decomposizione del glicerolo ad una temperaturaspecifica per ogni olio e nota come punto di fumo. ‘’Questa moleco-la non ha solo un odore acre e pungente’’, prosegue il ricercatore,‘’ma e’ causa di irritazione delle mucose, dermatiti ed è da temposospettata di provocare danni irreversibili all’apparato respiratorioumano oltre all’aumento dell’incidenza di tumori negli animali adessa esposti. Filtri come quelli ai carboni attivi, attualmente in usonelle cucine domestiche o nei ristoranti, assorbono queste sostanzein modo reversibile, con potenziale rischio di rilascio delle stesse’’.Previsti vantaggi per le case private come per la ristorazione.

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C CBergamoSezione - 24125 - Via Borgo Palazzo, 90Presidente: Leonida Pozzi Tel. 035.235326Fax [email protected]

Cremona Sezione - 26100 - Via Aporti 28Presidente: Daniele ZanottiTel./Fax [email protected]

Lecco Sezione - 23900 - C.so Martiri Liberazione, 85Presidente: Vincenzo RennaTel./Fax [email protected]

LodiSezione - 26900 - Via C.Cavour, 73Presidente: Angelo RapelliTel./Fax [email protected]

Brescia Sezione - 25128 - Via Monte Cengio, 20Presidente: Lino LovoTel./Fax 030.300108 [email protected]

Como Sezione - 22100 - Via C.Battisti, 8Presidente: Mario Salvatore BoscoTel./Fax 031.279877 [email protected]

Aido Consiglio Regionale Lombardia Sede: 24125 Bergamo, Via Borgo Palazzo 90 Telef. 035.235327 - Fax 035.244345 E-Mail: [email protected]

Aido Nazionale Sede: 00195 Roma, Via S. Pellico 9 Telef. 06.3728139 - Fax 06.37354028 E-Mail: [email protected]

Brescia

Bergamo

Sondrio

Melegnano - Melzo

Monza - Brianza

LegnanoMilano

Lecco

ComoVarese

Pavia Lodi

Cremona Mantova

L’A

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Mantova Sezione - 46100 - Via Frutta, 1Presidente: Antonella Marradi Tel. 0376.223001Fax [email protected]

Legnano Sezione Pluricomunale- 20019 - Settimo Milanese (MI)Via Libertà, 33Presidente: Donata ColomboTel./Fax [email protected]

Melegnano-MelzoSezione Pluricomunale- 20066 - Melzo (Mi)Via De Amicis, 7 Presidente: Felice RivaTel./Fax [email protected]

Monza-BrianzaSezione Pluricomunale - 20052 - Monza (Mi)Via Solferino, 16 Presidente: Lucio D’AtriTel.039.3900853Fax [email protected]

MilanoGruppo Speciale- 20158 - Via Livigno 3 - Presidente: Maurizio SardellaTel./Fax [email protected]

Pavia Sezione Presso Policlinico Clinica Oculistica- 27100 - Piazzale Golgi, 2 Presidente: Luigi RiffaldiTel./Fax 0382.503738 [email protected]

Sondrio Sezione- 23100 - Piazzale Croce Rossa, 1Presidente: Franca BonviniTel./Fax [email protected]

Varese Sezione- 21100 - Via Cairoli, 14Presidente: Roberto BertinelliTel./Fax [email protected]

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