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UNIVERSITA’ LA SAPIENZAFacoltà di Giurisprudenza
Master di Diritto Privato Europeo e della CooperazioneRoma - 9 maggio 2014
“Il diritto fondamentale alla manifestazione del pensiero nell’ottica dell’informazione al Mercato: esame delle problematiche anche processuali trattate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Grande Stevens e altri c/ Italia. In particolare, il comunicato stampa della EXOR SpA e Giovanni Agnelli e C. S.a.s. in relazione al convertendo FIAT e al contratto di equity swap con Merrill Lynch”. (Avv. prof. Francesco Barra Caracciolo)
L’argomento che oggi tratteremo è di assoluto rilievo giuridico (ed
economico) nonché di stringente attualità atteso che la sentenza CEDU
oggetto del seminario è recentissima, di appena poco più un mese fa,
giacchè pubblicata il 24 marzo ultimo scorso. Atteso anche, come
vedremo, il carattere dirompente sulla normativa vigente in materia di
sanzioni per l’inosservanza della legislazione sui controlli delle società
quotate in borsa –demandata, com’è noto, alla CONSOB-; attesa,
ancora, la rilevanza internazionale della complessa vicenda sia fattuale
che giudiziaria (civile, penale e amministrativa) di cui vi dirò di qui ad
un attimo; attesa, infine, la durezza, insolita per la giurisprudenza della
CEDU, con la quale la Corte dei Diritti fondamentali ha stigmatizzato
sia la CONSOB, sia i giudici civili (Corte d’Appello Torino e S.C. di
Cassazione Sezioni Unite) sia, infine e soprattutto, la Corte d’appello di
Torino che ha inflitto una dura quanto del tutto illegittima condanna a
illustri professionisti noti nel mondo per capacità e onestà. E ciò a
seguito di rinvio da una sezione penale della Cassazione che aveva
annullato per vizi motivazionali l’assoluzione pronunciata in primo
grado dal Tribunale penale di Torino, unica voce dissonante nel coro
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giudiziario univocamente direzionato contro gli imputati dell’affaire
Grande Stevens, come ha titolato un giornale francese. E l’attualità ed
il rilievo derivano, altresì, dal fatto che tale giornale è stato uno dei
pochissimi che hanno dato la notizia della sentenza della CEDU con ciò
costringendoci ad ulteriore motivo di preoccupata riflessione sullo stato
del sistema Giustizia e del sistema Informazione (il che vuol dire della
democrazia) in questo nostro Paese che sembra avviato a inesorabile
declino come tale sconcertante vicenda ulteriormente dimostra.
Ebbene queste sono le ragioni per le quali quando 20 giorni fa, essendo
per puro caso venuto a conoscenza di questa dirompente sentenza della
CEDU, ho chiesto e ottenuto dal prof. Alpa di essere autorizzato a
modificare, senza stravolgerlo, il tema che mi ero dato per il nostro
seminario che originariamente verteva sui rapporti tra le varie forme di
manifestazione del pensiero e i beni fondamentali della personalità
nella giurisprudenza della CEDU . Dopo aver letto la sentenza CEDU e
gli atti (sentenze e contratti) del caso Grande Stevens ho deciso di
specificare il tema indirizzandolo a quella forma di manifestazione del
pensiero costituita dalla informazione finanziaria cioè rivolta al
Mercato che nel caso concreto si era esteriorizzata con un comunicato
stampa ritenuto illecito da CONSOB e poi dai giudici della Cassazione
civile e Corte di Appello civile di Torino e poi ancora dalla Corte di
Appello penale di Torino che ha capovolto stravolgendola l’assoluzione
del Tribunale di Torino. Siamo ora in attesa delle motivazioni della
S.Corte relativamente alla prescrizione.
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Ciò premesso e chiarite le ragioni del cambiamento, procediamo
indicando, per vostra comodità, i capitoli ideali del nostro odierno
discorso.
- 1° capitolo: “Il caso del comunicato stampa FIAT e le tematiche
connesse”;
- 2° capitolo: “la normativa che regola e sanziona le false
informazioni del mercato”;
- 3° capitolo: “l’impugnazione della condanna amministrativa: le
sentenze civili e penali e la sentenza CEDU 24.03.2014.”.
In particolare esamineremo la sentenza della Corte di Appello civile
di Torino che ha confermato le sanzioni respingendo le impugnative
proposte dai “sanzionati” Consob e, in particolare, da parte dell’avv.
Franzo Grande Stevens (già Presidente degli Avvocati italiani; oggi
lo è il prof. Alpa); da parte del dott. Gabetti e della IFIL Spa,
notissima nel mondo finanziario (e non) perché all’epoca era la
holding finanziaria con la quale la famiglia Agnelli controllava e
controlla (oggi con altre società), la FIAT, il primo gruppo
industriale italiano presente anche in altri nevralgici comparti, tra i
quali l’informazione con La Stampa di Torino (da essa interamente
posseduta) e Il Corriere della Sera (qui unitamente ad altri noti
imprenditori italiani ma in posizione di assoluto rilievo nel c.d. patto
di sindacato di R.C.S.). Ed ancora la sentenza delle SS.UU. della
Cassazione che respinge tutti i ricorsi proposti dagli illustri difensori
(tra i quali, per l’avv. Stevens, il prof. Natalino Irti Maestro di questo
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Ateneo); infine le sentenze penali, di assoluzione in primo grado e di
condanna in appello.
Da ultimo: “la sentenza 24/3/2014 della CEDU che ha condannato
l’Italia per i gravi abusi commessi dalla Consob e dalle sentenze
citate in danno di Grande Stevens e degli altri condannati”.
* * *
1) IL CASO DEL COMUNICATO STAMPA FIAT E LE TEMATICHE
CONNESSE
Iniziamo dalla disamina del comunicato stampa incriminato. Come
forse ricorderete la vicenda ha inizio con l’approssimarsi della
scadenza del finanziamento che numerose banche avevano concesso a
Fiat prevedendo che alla scadenza del 20/9/2005 ove la Fiat non avesse
restituito il finanziamento il credito bancario si sarebbe convertito in
azioni. Ciò avrebbe comportato la perdita del controllo di FIAT da parte
della famiglia Agnelli.
La vicenda del comunicato è sinteticamente ed efficacemente descritta
dalla CEDU da pag. 2 a pag. 5 che voi conoscete perché la sentenza è
già nella vostra disponibilità telematica.
In sintesi:
1) è ovvio che la famiglia Agnelli non vuol perdere il controllo Fiat cosa
che avverebbe qualora alla scadenza del convertendo previsto per il 20
settembre 2008 le otto banche da creditrici, se non rimborsate,
sarebbero divenute azioniste per poi eventualmente collocare le azioni
sul mercato con un incremento del capitale sociale. Tale aumento
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avrebbe diluito le quote degli Agnelli dal 30% al 22% mentre le banche
(o chi per esse) avrebbero avuto il 28% e quindi il controllo di FIAT;
2) vi è in essere, alla data del comunicato stampa di SAPA Agnelli e
IFIL del 24/8/2008, solo un contratto di equity swap tra EXOR e Merrill
Lynch non idoneo a impedire l’effetto di cui sopra;
3) l’avv. Grande Stevens, Maestro del Diritto Societario, quale avvocato
e consulente della famiglia Agnelli, stava valutando una modifica al
contratto in essere affinchè, ove fosse accettata dalla controparte, si
potesse evitare il lancio di un OPA sulle azioni FIAT. Pertanto il 12
agosto formula alla CONSOB il quesito se nell’ipotesi contemplata
l’OPA poteva essere evitata. Invece di rispondere, la CONSOB (lo
avrebbe fatto … a cose già avvenute) in data 23 agosto e sulla base di
alcune oscillazioni del titolo (per vero poco significative) richiede che
sia diramato un comunicato stampa per spiegare le fluttuazioni del
titolo e segnalare le eventuali iniziative adottate in merito alla
scadenza del contratto di finanziamento. L’avv. Grande Stevens, in
ossequio al mandato professionale ricevuto, predispone una bozza del
comunicato che sottopone alle società controllanti FIAT, quale parere
professionale, e a un dirigente CONSOB che ne assicura la piena
conformità alla normativa vigente. Sulla base del parere redatto
dall’avv. Grande Stevens nella qualità di Avvocato (perciò regolarmente
compensato come da fattura agli atti dei processi che sono seguiti) i
C.d.A. delle società controllanti FIAT deliberano di emanare il
comunicato, che vedremo infra, in data 24/8/2008. Dal 30 agosto al 15
settembre Grande Stevens è impegnato nelle trattative con Merrill per
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rinegoziare lo swap. Il 14 settembre viene inviata a CONSOB copia del
testo del contratto rinegoziato e il successivo giorno 15 i CdA di Merrill
ed EXOR concludono l’accordo sulla modifica del contratto di equity
swap. Con singolare ritardo, solo il 17/9 la CONSOB, a contratto già
firmato, comunica che l’avv. Grande Stevens aveva ragione e che il
nuovo contratto esonera dall’obbligo di OPA. Infine il 20 settembre
FIAT aumenta il capitale sociale così che le banche acquistano la
titolarità delle nuove azioni. Nello stesso giorno, però, lo swap entra in
vigore e gli Agnelli conservano il controllo di FIAT. Tutto bene? No.
Perché su quel comunicato stampa concordato con CONSOB, la stessa
CONSOB (un giano bifronte viene da pensare) monta su il caso FIAT:
l’accusa lanciata alle holding degli Agnelli, a Gabetti e all’avv. Grande
Stevens (quest’ultimo nella qualità erroneamente ritenuta di
componente del CdA EXOR del quale non ha mai fatto parte come
accertato successivamente dalla Corte di Appello di Torino) è di avere
emanato un comunicato falso e/o fuorviante che ha ingannato il
mercato. In particolare, con riferimento all’avv. Grande Stevens e al
suo inesistente ruolo –da subito negato dinanzi la CONSOB ma da
questa ignorato- di componente del CdA della EXOR, la CONSOB gli ha
comminato una sanzione amministrativa di inusitata portata:
pagamento di € 3 milioni e interdizione dalle cariche societarie per sei
mesi. L’errore verrà scoperto solo in sede giudiziaria lasciando tutti
increduli di come il massimo organismo italiano deputato al controllo
delle società quotate in borsa e dei loro CdA, ignori chi sia componente
del CdA della EXOR, controllante la FIAT. Se Foucault diceva
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Sorvegliare e punire io direi invece “punire chi non sa sorvegliare e
pretende pure di punire”. Credo che in un Paese civile il Presidente di
quella CONSOB (nel frattempo è andato via) si sarebbe dovuto
quantomeno dimettere. Ma non si usa in Italia. Ed allora vediamo cosa
mai diceva il comunicato. Lo leggiamo a pag. 4 della sentenza CEDU.
Due le proposizioni chiave: la prima è che EXOR non aveva avviato né
studiato iniziative riguardanti la scadenza del contratto di
finanziamento; la seconda è che EXOR desiderava rimanere l’azionista
di riferimento della FIAT. Ora, tenuto conto della seconda proposizione,
non v’è chi non veda che il desiderio, quale moto dell’animo, si
appartiene ai sogni degli uomini mentre per le società significa che
EXOR non sarebbe rimasta con le mani in mano sino alla scadenza del
convertendo. Quanto poi alle idee e alle riflessioni che Grande Stevens
stava maturando per studiare la modifica allo swap, non essendo
questa, a quel momento, altro che mera ipotesi di studio di un
professionista (a nulla rileva che fosse Consigliere di IFIL), appare
corretta anche la prima proposizione giacchè la mera ipotesi di studio
di un professionista, in mancanza di qualsivoglia fatto, legittima la
locuzione usata dalla società. Essa, infatti, non aveva intrapreso né
direttamente studiato iniziative relative alla scadenza. Il comunicato
precisava, poi: “Ifil valuterà eventuali iniziative al momento
opportuno”. E quale sarebbe questo momento se non quello nel quale
l’Avvocato avrà completato il suo lavoro di analisi e studio ed avrà
presentato il suo parere alla cliente e questa, valutatolo positivamente,
gli darà incarico di contattare la controparte per sottoporgli la
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proposta di modifica del contratto. Quanto alle fluttuazioni di mercato
le società dichiarano di non disporre di elementi che possano dare
spiegazioni al riguardo. Tutto qui. Se non fosse che l’istruttoria aperta
dalla CONSOB si è conclusa con una condanna che gli ha consentito di
incassare – ingustamente secondo la sentenza CEDU – ben 16 milioni di
euro. Una manovrina finanziaria in danno di soggetti privati (come dice
la CEDU) e conculcati nei loro diritti fondamentali. Secondo Consob,
invece, alla data del 24/8 la rinegoziazione dello swap era già stata
studiata e “in corso di applicazione” e dunque i comunicati davano una
rappresentazione falsa della situazione all’epoca. Passiamo ora
all’esame della
2) LA NORMATIVA CHE REGOLA E SANZIONA LE FALSE
INFORMAZIONI DEL MERCATO
Le norme fondamentali sono contenute nel Dlgs n. 58 del 1998. In
particolare così recita l’art. 187 ter intitolato “Manipolazione del
mercato:
1. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a
euro cinque milioni chiunque tramite mezzi di informazione,
compreso internet e ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci
o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di
fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti
finanziari.
2. Per i giornalisti che operano nello svolgimento della loro attività
professionale la diffusione delle informazioni va valutata tenendo
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conto delle norme di autoregolamentazione proprie di detta
professione, salvo che tali soggetti traggano, dirattamente o
indirettamente, un vantaggio o un profitto dalla diffusione delle
informazioni.
3. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 1
chiunque pone in essere:
a) Operazioni od ordini di compravendita che forniscano o siano
idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito
all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari;
b) Operazioni od ordini di compravendita che consentono,
tramite l’azione di una o di più persone che agiscono di
concerto, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti
finanziari ad un livello anomalo o artificiale;
c) Operazioni od ordini di compravendita che utilizzano artifizi
od ogni altro tipo di inganno o di espediente;
d) Altri artifizi a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito
all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari.
4. Per gli illeciti indicati al comma 3, lettere a) e b), non può essere
assoggettato a sanzione amministrativa chi dimostri di avere
agito per motivi legittimi e in conformità alla prassi di mercato
ammesse nel mercato interessato.
5. Le sanzioni amministrative previste dai commi precedenti sono
aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il
prodotto o il profitto conseguito dall’illecito, quando, per le
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qualità personali del colpevole, per l’entità del prodotto o del
profitto conseguito dall’illecito ovvero per gli effetti prodotti sul
mercato, esse appaiono inadeguate anche se applicate al
massimo”.
Mi fermo alla lettura del comma 5.
Premetto che non ho esaminato, per ragioni di tempo, la dottrina che
ha commentato l’articolo. Proverò però a dirvi le mie prime valutazioni
che sono molto critiche. Infatti sorge subito l’interrogativo perchè il
legislatore si esprima così male, in modo involuto e illogico, per di più
in materia così delicata. Innanzitutto le condotte illecite sono quelle del
n. 1, “la diffusione” in varie forme di falsità al mercato. Cosa sono i
comportamenti di cui al n. 3? Altre condotte, mezzi attuativi delle
stesse. Torniamo al n. 1: i concetti in gioco sono i seguenti: 1) la falsità
di notizie, informazioni e voci. Già sul termine “voci” vi sarebbe molto
da dubitare. E’ forse il primo caso di norma che punisce e sanziona un
fatto così evanescente e impalpabile come le “voci”. Le “Voci di dentro”
a teatro vanno bene ed infatti è il titolo di un’opera di De Filippo. Molto
meno quando divengono voci “di fuori” idonee ad essere pesantemente
sanzionate! Forse si dovrebbe invocare l’aiuto degli psicoanalisti adusi
a scandagliare le voci di “dentro” per comprendere i comportamenti “di
fuori”. Allevio, ancora, il nostro pomeriggio pensando a Rossini ed alla
sua celebre calunnia definita “qual voce al vento”. Ma Rossini e De
Filippo non si conciliano con una delicata normativa quale quella in
parola!
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E veniamo al concetto di FALSITÀ. Non dovrebbe revocarsi in dubbio
che con tale locuzione si esprime la non rispondenza alla VERITA’, il
suo opposto. Ma qual è la verità si chiedevano i saggi latini (che tutto
avevano capito): “quod est veritas”? Dobbiamo, perciò, accontentarci
della c.d. verità giudiziaria cioè di quella “convenzionale” alla quale,
per necessità, deve farsi riferimento ma ben consapevoli del relativismo
giudiziario e così sperare che essa corrisponda o quanto meno si
avvicini alla verità materiale. Ma il problema della valutazione della
“falsità” si appesantisce quando dobbiamo applicare il concetto di
verità/falsità al “mondo” dei giudizi, delle opinioni su eventi che sono
interpretabili in vario modo. Anche dire che ieri c’è stato il sole è
concetto relativo, ad esempio se vi è stato la mattina mentre il
pomeriggio era nuvoloso. Si è detta una mezza verità? Oppure una
falsità? O si può dire che si è detto il vero e basta, poiché di mattina
comunque il sole c’è stato? Siamo perciò in un terreno molto scivoloso
e le Autorità Italiane sub specie Consob e Magistratura avevano il
dovere sacrosanto di essere molto, molto caute. Invero, come si è visto
e meglio vedremo, nel caso FIAT il comunicato poteva prestarsi a più
interpretazioni ma guarda caso si è scelta la più improbabile che era,
però, l’unica sanzionabile con durissime condanne penali e
amministrative. Ma v’è di più. Torniamo al legislatore del 187 ter che
non si limita a sanzionare le notize false ma anche quelle che sono solo
“FUORVIANTI”. E’ qui siamo nel buio o nella notte del diritto perché, a
mio avviso, così come le “voci” anche le informazioni “fuorvianti” sono
un concetto così evanescente e impalpabile che non può, né deve
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essere assunto a fattispecie astratta per una incriminazione penale e
amministrativa così grave! Secondo il legislatore del T.U.F. anche se si
dice il vero al Mercato si può essere sanzionati perché si reputa
qualcosa “fuorviante”. Così ragionando anche il vero potrebbe essere
ritenuto fuorviante atteso che il legislatore ha previsto entrambe le
fattispecie. Lo è forse il vero? Il vero fuorviante è una stimolante
ipotesi di lavoro! Oppure è fuorviante qualcosa che è tale nella testa di
chi la dice? Ma cosa mai ciò vorrà dire? Il fuorviante soggettivo oppure
oggettivo è un concetto che credo vada accantonato al più presto.
Forse il legislatore avrebbe dovuto leggere le pagine di Kant sulla
verità. Questi sono i perversi effetti della decodificazione per dirla con
Natalino Irti. Fuorviante è ciò che porta fuori dalla retta via. Ma la
verità non è per definizione sempre “retta”? Solo il falso è fuorviante
perché allontana dal vero. Ed allora bastava sanzionare il falso e
lasciare il “fuorviante” alle polemiche dei politici, giornalisti, ecc..
Temo si sia trattato di un pretesto perché il legislatore ha voluto
concedere una pericolosa, quanto lata discrezionalità all’interprete
Consob e Pubblico Ministero così da consentire loro di ricomprendere
anche ciò che non è falso ma non piace, ad esempio, a qualcuno che è
influente in Consob o presso taluni pubblici ministeri (capita, come se
capita). Ciò è in palese violazione del principio di legalità e tassatività
sia della sanzione penale che di quella amministrativa. Ma v’è di più. Il
legislatore ha poi compiuto una ulteriore capriola logica. Stabilisce un
rapporto causale che fa impallidire così il filosofo come l’uomo della
strada: il reato e la sanzione sussistono non solo quando la notizia sia
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falsa o sia fuorviante ma anche quando si danno notizie suscettibili di
fornire indicazioni false ovvero fuorvianti. Ma cosa mai vuol dire?
Perché nel comma 1 vi è tale illogica distinzione nella sequenza causa,
concausa, conseguenze? Ed ancora: sanzionare la mera potenzialità
fuorviante ancorché vera è troppo!. Né poteva mancare la norma
compiacente per la potente corporazione dei giornalisti (ai quali,
contemporaneamente, Rodotà, quale Garante Privacy, dovette
concedere un codice normativo di regolamentazione molto
permissivo).Qui, invece, ci pensa il comma 2 che abbiamo prima letto:
una norma chiaramente di favore per i giornalisti che fa tornare alla
mente gli straordinari studi di Rescigno sull’uguaglianza, l’immunità e
il privilegio. Invero nel comma 2 e con non commendevole metafora si
legge che per i giornalisti occorre tener conto delle (loro) norme “di
autoregolamentazione”. Cioè i giornalisti sono trattati meglio anzi
assolti, se lo sarebbero sul piano deontologico in base ai loro interni
codici a valenza meramente interna perché disciplinare. E’, a mio
avviso, assurdo che il giornalista che manipola il mercato può non
essere ritenuto punibile se vi sono esigenze “informative”. Fantastico.
Così si elude platealmente la ratio legis della stessa norma di tutela del
mercato: basta che si passa la notizia a un giornalista compiacente e la
frittata è fatta: il giornalista è assolto e la manina invisibile del
manipolatore del Mercato è, per l’appunto, invisibile! Ma anche il
comma n. 3 è tanto pericoloso che la CEDU lo ha sanzionato. Esso
sovrappone la sanzione penale alla sanzione amministrativa: “Salve le
sanzioni penali quando il fatto costituisce reato è punito con la
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sanzione amministrativa pecuniaria …”. Seguono 4 previsioni di
comportamenti illeciti. Il rapporto tra le notizie false del comma 1 e i
quattro comportamenti del comma 3 non è chiaro e si presta a
interpretazioni fuorvianti per usare la bad word adottata al co. 1
proprio dal legislatore teso a sanzionare i manipolatori del mercato
avvalendosi, nella sostanza, di clausole generali che in questa materia
sono molto pericolose (nel diritto civile, invece, il dibattito degli anni
’70 sulle clausole generali vide giustamente la vittoria dei propugnatori
delle clausole generali di buona fede, correttezza, ingiustizia del danno,
ecc.). A mio avviso, invece, Consob e giudici penali non possono punire
sulla base di clausole generali per di più mal scritte. La Consob, per
dirla ancora con Foucault, dovrebbe “Sorvegliare e punire” ma,
secondo la CEDU, non ha saputo fare bene né l’uno né l’altro. I quattro
comma e relativi comportamenti illeciti di cui sopra richiamano chi le
indicazioni false e fuorvianti (lett. a) e lett. d), chi “ogni altro tipo di
inganno o di espediente” (lett. c). Ma, mi chiedo, cos’è mai, nel mondo
del diritto, “l’espediente”: forse gli artifizi e i raggiri che connotano la
truffa; oppure il dolo del cod.civ.? Non si sa. Invece salverei sul piano
logico solo la lett. b) che è sufficientemente specificata perché colpisce
quelle operazioni grazie alle quali il prezzo di mercato viene fissato a
livello “anomalo” o “artificiale” (si individua la condotta illecita sulla
base degli effetti che produce e dunque con metodo empirico ma
accettabile perché almeno l’effetto è abbastanza tipizzato). Il co. 4
introduce, poi, una strana esimente che forse nella testa del legislatore
dovrebbe escludere (ma lo può?) l’art. 51 del cod.pen. sull’esercizio del
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diritto che esclude ogni illiceità penale e civile (e quindi
amministrativa) di una certa condotta. Il dlgs del 1998, come
modificato dal T.U.F., invece, prevede l’esimente dei “motivi legittimi”
(che peraltro opera solo per gli illeciti di cui alle lett. a) e b) del co. 3).
Ma cosa vorrà mai dire “motivo legittimo”?. I motivi nel diritto civile –lo
sappiamo- hanno limitatissima rilevanza: penso ai motivi illeciti comuni
a entrambi le parti nel contratto; al motivo illecito nella condizione o
nel legato e a pochi altri residuali casi. Invece nel diritto penale i motivi
sono materia di attenuanti e aggravanti. Qui, invece, sono esimenti. Ma
perché allora non si è fatto riferimento all’esercizio del diritto atteso
che il motivo è un dato psicologico, interiore, e dunque anch’esso
impalpabile e non enucleabile con oggettività. Ritorna l’opzione
pericolosa per la discrezionalità. Altro concorrente elemento per
l’esimente (per il caso delle lett. b e c) è l’essersi uniformati a “prassi di
mercato”. Bene. Se non fosse che poi il nostro legislatore ne circoscrive
la portata alle sole prassi “ammesse”. Ma ammessa da chi? E quando
una prassi può dirsi “ammessa”? La prassi –verrebbe da dire- è prassi e
basta. Oppure non è prassi. Ancora la discrezionalità, dunque. Sulle
sanzioni accessorie del 187 quater nulla da obiettare se non che esse
essendo giustamente molto afflittive si sovrappongono pericolosamente
a quelle penali (su ciò torneremo): ad esempio la perdita di onorabilità
(requisito necessario per ricoprire cariche societarie); o l’incapacità
(temporanea) ad amministrare, controllare, dirigere. Il 187 septies
regola poi la “procedura sanzionatoria” (non mi soffermo sulla scelta
del lemma “procedura” piuttosto che “procedimento”). Dico solo che il
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co. 1 concede solo 30 gg di tempo ai soggetti incolpati per presentare
le “deduzioni” alla contestazione ricevuta. 30 gg. in questa materia è
termine incongruo. Il co. 2 richiama –ma solo per enunciarli- i buoni e
non praticati (nel caso Grande Stevens) principi del contraddittorio;
della conoscenza degli atti istruttori; della verbalizzazione; della
distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie. La CEDU ha dimostrato
che la Consob e l’Autorità Giudiziaria hanno fatto strame di tali principi
che hanno poi un gravissimo difetto (che si aggiunge alla pessima
interpretazione ed applicazione fatta): sono enunciati così, senza
alcuna specificazione e sembrano flatus vocis ancora una volta troppo
discrezionali. Infine il comma 6 rinvia alla L. 689/1981 “in quanto
compatibile”. Ciò in riferimento al giudizio di impugnazione che si
svolge innanzi alla Corte d’Appello civile. Anche qui sollevo qualche
perplessità: quando non è compatibile la procedura della L. 689 del
1981 quale rito si applica per il giudizio formalmente di appello? Di riti
ve ne sono almeno sette in circolazione e bene avrebbe fatto il
legislatore del 1998 a essere più preciso. E poi, mi chiedo, chi
stabilisce quando e come il rito della 689 del 1981 non è compatibile
con il giudizio d’appello?
3) IMPUGNAZIONE DELLA CONDANNA CONSOB E LE SENTENZE
CIVILI E PENALI
A) Le sanzioni amministrative ai sensi della L. 689/81 vanno
impugnate innanzi alla Corte di Appello –nella specie Torino- e il
procedimento deve svolgersi con udienze pubbliche e non in Camera di
Consiglio. Su questo punto la sentenza CEDU ha acclarato che
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l’attestazione del Presidente dell Corte d’Appello di Torino secondo cui
le udienze erano state pubbliche e non si erano svolte in Camera di
Consiglio, era falsa o fuorviante…? Non lo so; so solo, purtroppo, che la
CEDU ha statuito che sull’attestazione del Presidente della Corte di
Appello di Torino prevalgono le fonti autentiche, cioè i provvedimenti
della stessa Corte che recano l’intestazione “in Camera di Consiglio”
che smentiscono il suo Presidente (immagino che sia già iniziato un
procedimento disciplinare o sono troppo fantasioso?). E’ questo uno dei
passi più sconcertanti della sentenza CEDU, anzi più deprimenti e
disonorevoli per la Giustizia Italiana e la credibilità del Sistema Paese
in Europa e nel mondo. Vi sono poi le certificazioni di segno opposto al
Presidente torinese della stessa Cancelleria della Corte di Appello che
hanno sconcertato i giudici della CEDU in modo sin troppo evidente.
B) Nel merito, l’opposizione dei ricorrenti era molto articolata e
involgeva vari punti che vengono rigettati dalla Corte di Appello e poi
dalla Corte di Cassazione ove furono in qualche modo riproposti come
motivi di ricorso (ben 14 redatti dal prof. Irti a difesa dell’avv. Grande
Stevens). Ebbene molti di quei motivi furono rigettati dalla Corte
torinese con colpevole leggerezza mentre alcuni di essi sono stati
ritenuti pienamente fondati dalla sentenza CEDU che ha condannato lo
Stato italiano nelle sue articolazioni CONSOB e Autorità Giudiziaria.
L’opposizione si fondava su motivi che involgevano per più profili
proprio quei solenni principi enunciati dal 187 quater ossia la
violazione del principio del contraddittorio, di conoscenza degli atti
istruttori, di verbalizzazione, di distinzione tra funzioni amministrative
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e funzioni sanzionatorie. Veniva poi posta dai ricorrenti un’altra
delicatissima e cruciale questione: la coesistenza tra le sanzioni cc.dd.
amministrative dell’art. 187 T.U.F. e quelle penali dell’art. 185 T.U.F..
Entrambi gli articoli sono rubricati con lo stesso titolo: “manipolazione
del mercato”. L’art. 185 T.U.F. punisce con la reclusione sino a 6 anni,
multa sino a 6 milioni e numerose pene accessorie chi “diffonde notizie
false …concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del
prezzo di strumenti finanziari”. La norma sanziona, questa volta, non
già le voci bensì solo le notizie che siano false e non anche fuorvianti.
Inoltre richiede che l’alterazione del prezzo sia concreta e non solo
potenziale. La grave sanzione pecuniaria sopra ricordata è elevabile
sino a 15 milioni o anche sino a 10 volte il profitto o il prodotto lordo.
C’è poco da scherzare e si impone per il giudice penale massima
serietà, equilibrio e approfondimento prima di emettere condanne di tal
fatta. Ed invero la CONSOB aveva denunciato alla Procura della
Repubblica tutti i soggetti che avrebbe poi condannato in sede
amministrativa onde farli condannare anche in sede penale. Orbene le
condotte sono identiche: “diffusione di notizie false” ed identico il bene
giuridico tutelato: evitare le manipolazioni al mercato. Si profilava,
dunque, con evidenza mi sembrerebbe solare, la violazione del
principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen. e dell’art. 9 l. 689/81
atteso che il fatto perseguito da CONSOB resta lo stesso fatto del
procedimento penale. In questo caso, definito del doppio binario ma in
realtà di concorso cd. apparente vige il principio di specialità, si
applica cioè la disposizione speciale quando questa si sovrappone a
18
quella penale generale. La Corte civile torinese dedica numerose
pagine al tentativo di dimostrare la insussistenza delle lamentate
violazioni di tali principi che comportano la violazione dell’art. 649 del
cod. di proc. penale che vieta il bis in idem nonché l’art. 6 della
Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo in particolare: “ogni
persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente e
pubblicamente da un Tribunale indipendente e imparziale…Ogni
accusato ha diritto di essere informato nel più breve tempo possibile e
in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa formulata a
suo carico …”. Ma concludeva il complesso iter motivazionale con una
strana frase: “non è dubbio che 187 ter e 185 siano cumulabili”. Invece
ad essere indubbio è il contrario, come oggi ammette il nuovo
Presidente della CONSOB nel suo discorso del 5 maggio u.s. nel quale
richiama le 100 pagine della sentenza CEDU sul caso Grande Stevens
per segnalare la necessità di una modifica normativa che impedisca
proprio quella sovrapposizione di norme e di condanne
clamorosamente negata dai giudici torinesi. Vi sono alcune locuzioni
che rivelano la debolezza dell’argomentazione. Si rinvengono a pag. 37
ove si legge addirittura che “appare di immediata ed inconfutabile
evidenza” sia il contenuto della richiesta di chiarimenti da parte di
CONSOB sia la falsità del comunicato; e ancora il carattere solo
apparente della conclamata certezza della Corte emerge a pag. 49 ove,
dopo decine di pagine di analisi, conclude così: “appare di immediata
evidenza l’idoneità decettiva dei comunicati”. Vi è da chiedersi se è
logico affermare che è di immediata evidenza (cioè non necessitante di
19
riflessione) l’illiceità quando si impiegano decine di pagine proprio per
stabilire se i comunicati avevano o meno idoneità decettiva sul
mercato. Perché –v’è da chiedersi- riempire decine di pagine se un
concetto è di “immediata evidenza”?. E’ così violato platealmente il
principio di non contraddizione che ogni buon giudice deve rispettare e
tenere presente. Anche perché subito dopo tale singolare affermazione
la sentenza riprende con numerose altre pagine sempre al fine di
tentare di motivare il proprio convincimento. Così dimostrando che
l’illiceità del comunicato non era affatto evidente e men che mai che lo
era in modo addirittura “immediato”. Ed invero il comunicato, a mio
avviso, era tutt’altro che falso, come vedremo di qui a breve.
Per completare il quadro normativo relativo all’informazione su
questioni finanziarie, occorre tener conto che il 187 ter sanziona non
solo le condotte informative che risultino concretamente decettive per
il mercato ma anche quelle che lo sono solo in via potenziale, vale a
dire che abbiano solo la mera idoneità a realizzare l’effetto decettivo.
Potremmo parlare di illecito di pericolo e non di danno (come avviene,
ad esempio, per la rilevanza civilistica della concorrenza sleale che per
certi versi è speculare, pur nella sua diversità ontologica, a tale
fattispecie: è sempre il mercato che va salvaguardato perché se ben
regolato si spera sia fonte di benessere collettivo). Ciò detto, per la
Corte torinese non vi sono dubbi che l’operazione volta a impedire la
diluizione della partecipazione in Fiat degli Agnelli era già in atto al
momento del comunicato. E’ questione controvertibile e
prevalentemente di fatto: lascio piena libertà a tutti di pensarla come
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credono. Io ritengo il comunicato veritiero e non comprendendo
fattispecie evanescenti come l’essere “fuorvianti” escludo che il
comunicato sia falso. Al massimo si potrebbe dire che non dice proprio
tutto. Ma cosa mai dice o non dice? Premesso che la Consob ha omesso
di vigilare mettendosi le bende agli occhi su gruppi finanziari che
hanno portato sul lastrico decine di migliaia di azionisti e risparmiatori
(io ho cause in corso già vinte in primo grado contro la Consob per
omesso controllo, il che per un controllante non è il massimo), mi
chiedo: cosa mai la Consob pretendeva da IFIL? Che nel comunicato
scrivesse anche che avevano dato mandato all’avv. Grande Stevens di
studiare se modificando lo swap si poteva evitare l’OPA?; che l’avv.
Grande Stevens stava in effetti studiando, rinunciando alle ferie in
pieno ferragosto?; che era forse speranzoso che la sua straordinaria
competenza giuridica gli avrebbe fatto venire una buona idea per
evitare l’OPA? Ed ancora: forse la Consob (e certi giudici) volevano che
nel comunicato si scrivesse anche che Grande Stevens avrebbe –ove
terminato con successo lo studio- cominciato a contattare Merrill Lynch
per sondare la loro disponibilità ad accettare le modifiche proponende
ed eventuali? Ecco se tutto questo fosse stato scritto, forse la Consob
non avrebbe perseguito, condannato e fatto condannare, anche in sede
penale, professionisti come Gabetti e Grande Stevens ai quali cui è
stato macchiato l’onore acquisito in 60 anni di specchiata vita
professionale. Ma il mondo della Finanza internazionale con un simile
comunicato avrebbe “chiuso” con Fiat perché un comunicato di tal
genere può definirsi in un sol modo: folle. Pensavo a questa vicenda del
21
comunicato e mi veniva in mente Shakespeare: tanto rumore per nulla!
(se non fosse per i danni incalcolabili alle persone, alle società e
all’Italia). Quel comunicato non alterava neppure potenzialmente il
Mercato. Era forse involuto ma nella sostanza ben chiaro: gli Agnelli, si
diceva, avrebbero fatto quanto nelle loro possibilità per conservare il
controllo della Fiat! E’ di lampante eloquenza che tale desiderio non
era una speranza da coltivare con preghiere e riti propiziatori ma con
atti concreti preceduti da studi preparatori. E allora chi nel Mercato
non era in grado di capire quel che così chiaramente veniva detto? La
Consob ha pensato di interpretare il Mercato ma in realtà si è sostituito
ad esso operando uno stravolgimento giuridico che considero
inaccettabile su cui si è adagiata supinamente la Corte penale di
Appello e quella civile. Si può ancora dire che forse era lievemente
contraddittorio nelle due proposizioni: non ha studiato ma intende
rimanere azionista di controllo ma il diritto insegna che se il
comunicato è un atto unilaterale vanno applicati gli articoli sulla
interpretazione dei contratti che dicono chiaramente che l’atto va
interpretato secondo quella che risulta essere la reale intezione al di là
del dato letterale. Tale canone ermeneutico è stato totalmente infranto
in questa vicenda. A rendere ben chiaro il concetto vi era nel
comunicato una frase inequivoca che dice tutto il dicibile e il chiedibile
per il mercato?: “EXOR desidera rimanere azionista di riferimento della
Fiat”. Ergo farà tutto quel che legittimamente potrà fare per
realizzarlo. Per esempio, tanto per cominciare, dare mandato ad un
grande avvocato di studiare il problema e di dare un parere. E se
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positivo, di convincere Merrill a modificare lo swap. Tanto che il
comunicato proseguiva affermando che al momento opportuno sarebbe
stata valutata ogni opzione idonea a raggiungere il conclamato
obiettivo di mantenere il controllo! A mio avviso, costituirebbe un
ridicolo quanto inutile eccesso informativo ritenere che si debba
esternare un mero mandato esplorativo e di studio in un comunicato.
Trasparenza sì ma non fino al punto di violare principi elementari di
prudenza e riservatezza che non inficiano affatto la trasparenza per il
mercato, ma sono propri di ogni attività, di impresa e non.
Segnalo che la sentenza che ha deciso il ricorso di IFIL avverso la
sanzione Consob si sofferma, a pag. 54, in una interessante esegesi del
187 quinquies a proposito della posizione dell’avv. Stevens. Secondo la
Corte il legislatore T.U.F. nel novellare il Dlgs del 1998 ha fatto propri
due pilastri della L. 231/2006 e in particolare dell’art. 5: la
responsabilità dell’ente sorge se e in quanto l’illecito è stato commesso
a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Ciò che però più colpisce della
sentenza è quel che si legge a pag. 56 in relazione al ruolo dell’avv.
Stevens ritenuto ideatore principale del comunicato. Scrive la Corte
che è ininfluente che il suo coinvolgimento sia ascrivibile, come
è certamente avvenuto (sono parole dei giudici torinesi!),
all’esercizio di attività professionale e consulenziale, piuttosto
che ad un titolo “differente”. A questo punto dobbiamo chiederci
allarmati come può considerarsi “ininfluente” che la condotta illecita
dell’avv. Grande Stevens - come quella di qualsiasi altro Avvocato - sia
interamente (attenzione: “interamente” lo scrivono i giudici)
23
riconducibile all’espletamento del mandato professionale d’Avvocato.
In particolare del mandato con il quale si chiede un parere giuridico.
Mi chiedo come possa seriamente affermarsi che il parere giuridico
reso da un Avvocato nell’espletamento del mandato professionale sia,
sol per questo, configurabile quale condotta illecita penale e
amministrativa. Ritengo che si tratti di un’aberrazione di portata
devastante per l’equilibrio dei poteri in uno Stato democratico e
liberale. A volte - solo a volte, fortunatamente - sembra che la
Magistratura persegua obiettivi da Stato etico (o talora anche un po’
meno etici). In ogni caso, come dice la sentenza della CEDU, siamo
fuori dai principi del diritto dell’Europa moderna, democratica e
liberale. L’Avvocatura, da sempre vindice di libertà da ogni
oppressione, anche giudiziaria, non può rimanere inerme. Sono stati
conculcati diritti fondamentali dalla Corte d’Appello torinese perché un
parere legale è, innanzitutto, espressione del più importante tra i diritti
fondamentali dell’Uomo, quello alla libertà di manifestazione del
pensiero. E’ vero che vi sono limiti a tale diritto indicati dalla
Convenzione di Roma per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e poi
dalle Carte di Nizza e Lisbona. Ma essi sono eccezionali e nessuno di
essi può essere ricondotto, neppure lontanamente, al caso de quo.
Leggiamo l’art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di cui al Trattato di Roma
del 1950 ed alle successive modifiche entrate in vigore il 1°/6/2010.
“Libertà di espressione” è il titolo: 1. Ogni persona ha diritto alla
libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la
24
libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi
possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche ..… 2.
L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità,
può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni e sanzioni
che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in
una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità
territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla
prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla
protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la
divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e
l’imparzialità del potere giudiziario”. Bene non vi è traccia di limiti
riconducibili all’esercizio della professione di Avvocato.
E’ noto, poi, che nel Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore il 1°
dicembre 2009, l’articolo 6 comma 3, ammonisce che: “i diritti
fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle
tradizioni costituzionali comuni agli Stai membri, fanno parte del diritto
dell’Unione in quanto principi generali”. Bene, ma prima ancora
consentitemi di ricordare anche la “Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo dell’ONU” del 10 dicembre 1948 la quale, all’articolo 19, così
recita a proposito della libertà di manifestazione del pensiero:
“L’esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo
comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto
sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente
stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti e
25
della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale,
dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche”. Non vi è
traccia di tali limiti in quelli ritenuti violati dai giudici di Torino.
Infine la Carta di Nizza all’articolo 11 recita: “Ogni individuo ha diritto
alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la
libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi
possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti
di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismi sono rispettati.”
Ciò detto sul diritto di libero pensiero mi permetto di osservare che è
stato violato anche il diritto inviolabile di difesa del cittadino che nella
sua ampia accezione non è circoscritto alla difesa tecnica nel processo
ma si estende all’attività di prevenzione del conflitto e cioè all’attività
di consulenza. Che è diritto inviolabile sia per chi chiede l’assistenza
dell’Avvocato ma anche per l’Avvocato: diritto di poterla liberamente
esplicare redigendo pareri che sono manifestazione di opinione su
argomenti giuridici. Proviamo ad immaginare se l’affermazione dei
giudici torinesi divenisse diritto vivente. Nessun avvocato avrebbe più
la serenità per redigere un parere legale ove ritenesse che tale parere,
e solo in quanto tale, può determinarne la condanna alla reclusione a 6
anni, a pagare milioni di euro, alla interdizione da pubblici uffici e
persino dalla professione di Avvocato, da incarichi societari, ecc. Con in
più la gogna mediatica essendo prevista anche la sanzione della
pubblicazione sui giornali dell’estratto della condanna. La Corte
torinese - lo dice espressamente - condanna l’avv. Grande Stevens per
un illecito realizzato esclusivamente “nell’esercizio di attività 26
professionale e consulenziale”. Grande Stevens –secondo la Corte- è
“l’ideatore principale del contenuto inveritiero del comunicato”. Ma a
me sembra che vi sia una certa confusione. L’avv. Stevens ha redatto
un parere nel quale rappresenta come deve essere, a suo avviso, un
comunicato rivolto al Mercato veritiero e conforme a legge. Poi, però,
lo si condanna perché il comunicato, oggetto del parere, lo avrebbe
ideato lui. Ma qual è la differenza?? L’Avvocato ha redatto il parere su
di un comunicato ed è irrilevante se lo abbia anche redatto giacchè ciò
è parte integrante del parere! La scissione tra i due momenti è
impossibile. E’ come dire che una volta steso il comunicato l’Avvocato
ha scritto un parere favorevole su se stesso! Saremmo alla schizofrenia
giuridica. Ma forse lo siamo, almeno a leggere le sentenze torinesi di
Appello. Nell’attività di consulenza per ottenere un parere, il cliente
pone un problema all’Avvocato, nel caso di specie, chiede come si deve
scrivere il comunicato richiesto da Consob. L’Avvocato-consulente
scrive il testo del comunicato che ritiene conforme a legge ed esprime
le ragioni per le quali ritiene sia legittimo. Ed è proprio in ciò che si
concreta un parere! Parere sul comunicato e comunicato finiscono così
con il coincidere diventando un tutt’uno. Ed allora sono inutili troppi
giri di parole: la Corte ha condannato Grande Stevens proprio per aver
svolto l’attività d’avvocato nella fase c.d. stragiudiziale. I media con i
loro opinionisti dovrebbero riflettere su tali aberrazioni che violano,
ovviamente, non solo l’attività dell’Avvocato ma, con essa, la
Costituzione che si fonda, tra l’altro, sulla soggezione della
Magistratura alla legge e sul diritto di difesa in ogni sua forma, come
27
insegna l’art. 24 Costituzione e viola, a mio avviso, l’art. 6 della
Convenzione. Articoli scritti a presidio del diritto dei cittadini ad essere
assistiti da un Avvocato libero da minacce di funzionari Consob che
sanzionano l’espletamento del mandato e quindi anche il fondamentale
diritto dell’Avvocato ad esprimere liberamente il suo pensiero di
giureconsulto. La stessa Corte torinese, infatti, a pag. 57 si dilunga a
spiegare che Grande Stevens “non ha agito nell’esercizio di funzioni
gestorie, non aveva deleghe operative, non agiva sulla base e in forza
di deliberazioni assunte in seno a quel CdA di cui faceva parte, era
stato investito di un incarico di tipo professionale insito nella
valutazione di fattibilità giuridica dell’operazione come evidenziato dal
coinvolgimento di stretti collaboratori e della struttura del suo studio
legale, nonché della formulazione squisitamente tecnica del quesito a
Consob e trovava in quest’ultima veste la fonte autonoma ed esaustiva
del proprio ruolo e legittimazione”. Bene. Tutto giusto. Ed allora perché
la Corte non ha annullato le sanzioni? Perché, a suo avviso, l’Avvocato
non deve scrivere pareri che contengano errori o che tali siano ritenuti
da qualche Magistrato. Per dirla ancora un volta con Hegel, siamo nella
notte nella quale come si sa …tutte le vacche sono nere!
C) LA CASSAZIONE
Poco posso dire – per ragioni di tempo - sulle sentenze delle SS.UU.
della Cassazione che hanno tutte respinto i ricorsi dei condannati dalla
Corte torinese. Sappiamo i limiti del giudizio di Cassazione che non
consentono il riesame del merito della sentenza. Ed infatti è sotto la
scure della inammissibilità che viene risolta, giustamente, la questione 28
sulla verità/falsità del comunicato ritenuta questione di fatto e di
merito non valutabile in sede di legittimità Peraltro sappiamo che la
Cassazione non fa solo diritto e nomofiliachia, fa anche politica del
diritto nel senso che c’è una regola non codificata ma ben avvertita dai
giudici della Suprema Corte. Rigettare più che si può, meglio ancora se
con le astruserie basso bizantine dei quesiti, dell’autosufficienza del
ricorso, della conformità della sentenza impugnata alla consolidata
giurisprudenza della Suprema Corte. Ma non è il caso di queste
sentenze perché l’estensore, va riconosciuto, è molto bravo e ha
cercato di restringere le inammissibilità fin quando ha potuto
preferendo scegliere di affrontare il mare aperto giungendo però
sempre nei porti dei rigetti e mai in quelli degli accoglimenti. Ma
sempre con dovizia di argomentazioni, ampia cultura giuridica,
concatenazione logica ineccepibile. Il risultato è opinabile e la CEDU
infatti non è stata di accordo molte volte ma con rispetto, occorre dirlo,
per le nostre SS.UU. La CEDU è stato come il giudice a Berlino, di cui
ha scritto Guido Rossi su Il Sole 24 Ore. Quanto al motivo relativo al
mancato rispetto dei termini di chiusura del procedimento
amministrativo che la Consob aveva sforato, si apprezza l’eleganza con
la quale invece di respingere il motivo perché inammissibile (ne
enuncia le ragioni in relazione a profili definiti “non marginali” per la
struttura multiplo-cumulativa del quesito: nota aberrazione imposta
dalla Cassazione al legislatore e poi dopo le proteste degli Avvocati
barattata con l’abrogazione ma la normazione dell’autosufficienza... )
preferisce affrontarlo e poi rigettarlo.
29
Perentorio è il termine secondo decine di sentenze di Cassazione e
Consiglio di Stato, ordinatorio secondo altrettante degli stessi alti
consessi. Le nostre SS.UU. aderiscono di fatto al secondo orientamento
ma in realtà le SS.UU. hanno ritenuto irrilevante la questione del
termine con motivazioni molto fini che tralasciamo per fare un cenno al
rigetto del motivo dedicato alla violazione del contraddittorio nel
procedimento amministrativo. Se è vero che il 187 septies impone il
rispetto del contraddittorio - dice la Suprema Corte - è però anche vero
che “in tal fase deve pur sempre strutturarsi e modellarsi in concreto,
in funzione cioè dello stato in cui si trova la procedura che non implica
la necessità della costante presenza delle parti”. A polemizzare si
potrebbe commentare che il contraddittorio sarebbe tale anche in
assenza delle parti. Ma la questione ovviamente è molto più complessa.
E’ vero purtroppo che, talora, per taluni giudici il contraddittorio è una
cosa un po’ noiosa che fa perdere tempo quando a loro sembra già
tutto chiaro. Viceversa per il nostro estensore il contraddittorio è molto
importante dando prova di profonda cultura giuridica e con stringenti
argomentazioni. Anche se, lo si dice solo per alleviare il discorso, forse
qualche motivo su 14 (almeno sul piano statistico) poteva essere
considerato materiale di accoglimento. Delicatissimo motivo, pure
respinto, era quello sul divieto del bis in idem (pag. 66) che ragioni di
tempo mi impediscono di esaminare analiticamente: le SS.UU.
ritengono, sul punto, la sentenza d’appello correttamente ed
adeguatamente motivata, escludono il concorso apparente tra
fattispecie sanzionatorie e richiamano la direttiva 203/6/CE la quale,
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nel prevedere l’obbligo di sanzionare amministrativamente gli abusi di
marecato, lascia libero il legislatore nazionale di prevedere in via
cumulativa e non alternativa/sostitutiva l’irrogazione anche di sanzioni
penali con il sistema del doppio binario.
C) L’ASSOLUZIONE DEL TRIBUNALE DI TORINO
E veniamo alla sentenza penale di assoluzione resa dal Tribunale di
Torino con la formula amplissima del 530 cod.pen.: assolve.
L’avv. Stevens e Gabetti sono assolti perché il fatto non sussiste. Ripeto
“non sussiste” cioè manca persino nella sua materialità, non è che c’è
stato ma non costituisce reato. E’ una quasi invenzione della Consob e
della Corte di Appello civile di Torino. E’ facile immaginare la rabbia di
chi su questo processo si era giocato il suo futuro e vedeva frantumarsi
l’impianto accusatorio tanto che conseguentemente anche le società
venivano assolte ex art. 66 della L. 231 perché l’illecito amministrativo
parimenti non sussiste. Il comunicato di IFIL era perfettamente lecito
spiegano con accuratezza i giudici della 1^ sezione penale del
Tribunale di Torino. Nessuna alterazione ha prodotto al mercato.
Neppure potenziale. Anzi addirittura nessun “disturbo” (proprio così è
scritto in replica alla Corte di Appello civile che tale locuzione aveva
adoperato) si è avuto o si poteva avere. E la disamina tecnico
finanziaria dell’andamento del titolo dimostra che la bravura di un
giudice intellettualmente onesto supera di gran lunga il presunto
maggior tecnicismo di un dirigente Consob non assistito dalla stessa
imparzialità intellettuale. La pag. 71 di quella sentenza è rimarchevole
per la straordinaria semplicità con cui replica persino al finale,
31
disperato tentativo dell’accusa che, di fronte alle emergenze probatorie
a lei contrarie, si è avventurata in quella che con eleganza eufemistica
il Tribunale definisce “suggestiva argomentazione”: e cioè che
l’alterazione del prezzo può manifestarsi anche con la sua stabilità se
questa è fittizia perché influenzata da false comunicazioni. L’accusa e
la Consob parte civile non avevano infatti esitato a stravolgere la loro
iniziale contestazione. Il comunicato aveva provocato anomale
fluttuazioni del titolo. E quando, invece, è risultato non essere vera tale
fondamentale circostanza, con accanimento inaccettabile dissero: “…
sì, è vero, è rimasto stabile ma ….”. Ma lo è rimasto perché il
comunicato ha falsato l’informazione. Basterebbe questo capitolo per
far comprendere perché poi la CEDU non ha avuto pudore a
stigmatizzare i tanti comportamenti contra jus di Consob, magistratura
inquirente e di quella giudicante d’appello civile e penale.
Va però detto che il Tribunale ha ritenuto che per concretarsi il reato di
pericolo occorreva che questo fosse concreto e non astratto.
Concretezza esclusa mentre ha ritenuto che il comunicato fosse
inveritiero perché contraddittorio (EXOR non sta studiando ma
desidera continuare a controllare FIAT …e come se non studiando trovi
qualcosa che glielo consenta) e astrattamente pericoloso perché
teoricamente rialzista. Il rialzo però non v’è stato anzi v’è stato un non
previsto e lieve ribasso ancorchè momentaneo. Quel che è certo è che
(vedasi pag. 69) “nessuno avrebbe potuto dire che al 24 agosto era già
stato tutto deciso”.
D) LA SENTENZA CEDU
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Nell’impossibilità di dare conto di tutta la sentenza (non basterebbero
tre ore) prendiamo in esame i punti salienti: 1) la violazione dell’art. 4
del Protocollo n. 7 che così recita: “nessuno può essere perseguito o
condannato penalmente dalla giurisdizione dello Stato per un reato per
il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza
definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale
Stato”. Il Governo Italiano si difende invocando la riserva prevista dagli
artt. 2-4 del Protocollo 7 e la sentenza deve quindi affrontare il
problema dell’osservanza dell’art. 57 della Convenzione che così recita:
“ogni Stato al momento della firma della presente Convenzione o del
deposito del suo strumento di ratifica può formulare una riserva
riguardo a una determinata disposizione della Convenzione nella
misura in cui una legge in quel momento in vigore sul suo territorio
non sia conforme a tale disposizione. Le riserve di carattere generale
non sono autorizzate … e comporta una breve esposizione della legge
in questione”. La CEDU ricorda quali sono i requisiti delle riserve
precisando che per generale si intende che non deve essere generica
ed esaminata la riserva italiana ne afferma la illegittimità perché priva
del requisito della breve esposizione della legge. Esamina poi il merito
del ricorso e afferma che il punto centrale non è stabilire se gli
elementi costitutivi dei reati previsti dall’art. 185 e 187 siano o meno
identici ma se i fatti incriminati “facevano riferimento allo stesso
comportamento” (pag. 78). L’accusa era che la rinegoziazione dello
swap era già avvenuta al momento del comunicato e tale informazione
era taciuta per evitare un probabile calo del prezzo delle azioni FIAT.
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Per la Corte si tratta dello stesso identico comportamento da parte
delle stesse persone e alla stessa data. Di talchè risulta violato l’art. 4
del Protocollo 7. Quali sono le conseguenze di tale violazione? Lo
stabiliscono gli artt. 41 e 46 della CEDU. Il primo obbliga le parti
contraenti a conformarsi alle sentenze della CEDU di cui il Comitato
dei Ministri controlla l’esecuzione. L’art. 46 impone agli Stati di
rimuovere le conseguenze e se ciò non può avvenire la Corte accorda la
soddisfazione che ritiene appropriata. Lo Stato oltre a corrispondere la
somma stabilita a titolo di equa soddisfazione deve adottare i mezzi per
adempiere al suo obbligo e quindi vigilare affinchè il procedimento
penale avviato contro i ricorrenti in violazione dell’art. 4 Prot. 7 ed
ancora in corso nei confronti di Stevens e Gabetti sia chiuso nei tempi
più brevi possibili e SENZA CONSEGUENZE LESIVE PER I
RICORRENTI. Vedremo come si regolerà la Cassazione che deve
depositare le motivazioni della sentenza.
E) I DANNI
Era stata richiesta la restituzione dei 16 milioni versati nonché danni
morali. Tale richiesta non è accolta perché non risulta accertato che le
sanzioni inflitte da Consob erano di per sè illegittime. Quanto al danno
morale relativo alla ulteriore accertata violazione della mancanza di
udienze pubbliche in Corte d’Appello si è ritenuto di liquidarlo in €
10.000 per ciascun ricorrente. A ciò vanno aggiunti € 40.000 per spese
cadauno. Et de hoc satis.
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