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UNIVERSITA’ LA SAPIENZA Facoltà di Giurisprudenza Master di Diritto Privato Europeo e della Cooperazione Roma - 9 maggio 2014 “Il diritto fondamentale alla manifestazione del pensiero nell’ottica dell’informazione al Mercato: esame delle problematiche anche processuali trattate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Grande Stevens e altri c/ Italia. In particolare, il comunicato stampa della EXOR SpA e Giovanni Agnelli e C. S.a.s. in relazione al convertendo FIAT e al contratto di equity swap con Merrill Lynch”. (Avv. prof. Francesco Barra Caracciolo) L’argomento che oggi tratteremo è di assoluto rilievo giuridico (ed economico) nonché di stringente attualità atteso che la sentenza CEDU oggetto del seminario è recentissima, di appena poco più un mese fa, giacchè pubblicata il 24 marzo ultimo scorso. Atteso anche, come vedremo, il carattere dirompente sulla normativa vigente in materia di sanzioni per l’inosservanza della legislazione sui controlli delle società quotate in borsa –demandata, com’è noto, alla CONSOB-; attesa, ancora, la rilevanza internazionale della complessa vicenda sia fattuale che giudiziaria (civile, penale e amministrativa) di cui vi dirò di qui ad un attimo; attesa, infine, la durezza, insolita per la giurisprudenza della CEDU, con la quale la Corte dei Diritti fondamentali ha stigmatizzato sia la CONSOB, sia i 1

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UNIVERSITA’ LA SAPIENZAFacoltà di Giurisprudenza

Master di Diritto Privato Europeo e della CooperazioneRoma - 9 maggio 2014

“Il diritto fondamentale alla manifestazione del pensiero nell’ottica dell’informazione al Mercato: esame delle problematiche anche processuali trattate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Grande Stevens e altri c/ Italia. In particolare, il comunicato stampa della EXOR SpA e Giovanni Agnelli e C. S.a.s. in relazione al convertendo FIAT e al contratto di equity swap con Merrill Lynch”. (Avv. prof. Francesco Barra Caracciolo)

L’argomento che oggi tratteremo è di assoluto rilievo giuridico (ed

economico) nonché di stringente attualità atteso che la sentenza CEDU

oggetto del seminario è recentissima, di appena poco più un mese fa,

giacchè pubblicata il 24 marzo ultimo scorso. Atteso anche, come

vedremo, il carattere dirompente sulla normativa vigente in materia di

sanzioni per l’inosservanza della legislazione sui controlli delle società

quotate in borsa –demandata, com’è noto, alla CONSOB-; attesa,

ancora, la rilevanza internazionale della complessa vicenda sia fattuale

che giudiziaria (civile, penale e amministrativa) di cui vi dirò di qui ad

un attimo; attesa, infine, la durezza, insolita per la giurisprudenza della

CEDU, con la quale la Corte dei Diritti fondamentali ha stigmatizzato

sia la CONSOB, sia i giudici civili (Corte d’Appello Torino e S.C. di

Cassazione Sezioni Unite) sia, infine e soprattutto, la Corte d’appello di

Torino che ha inflitto una dura quanto del tutto illegittima condanna a

illustri professionisti noti nel mondo per capacità e onestà. E ciò a

seguito di rinvio da una sezione penale della Cassazione che aveva

annullato per vizi motivazionali l’assoluzione pronunciata in primo

grado dal Tribunale penale di Torino, unica voce dissonante nel coro

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giudiziario univocamente direzionato contro gli imputati dell’affaire

Grande Stevens, come ha titolato un giornale francese. E l’attualità ed

il rilievo derivano, altresì, dal fatto che tale giornale è stato uno dei

pochissimi che hanno dato la notizia della sentenza della CEDU con ciò

costringendoci ad ulteriore motivo di preoccupata riflessione sullo stato

del sistema Giustizia e del sistema Informazione (il che vuol dire della

democrazia) in questo nostro Paese che sembra avviato a inesorabile

declino come tale sconcertante vicenda ulteriormente dimostra.

Ebbene queste sono le ragioni per le quali quando 20 giorni fa, essendo

per puro caso venuto a conoscenza di questa dirompente sentenza della

CEDU, ho chiesto e ottenuto dal prof. Alpa di essere autorizzato a

modificare, senza stravolgerlo, il tema che mi ero dato per il nostro

seminario che originariamente verteva sui rapporti tra le varie forme di

manifestazione del pensiero e i beni fondamentali della personalità

nella giurisprudenza della CEDU . Dopo aver letto la sentenza CEDU e

gli atti (sentenze e contratti) del caso Grande Stevens ho deciso di

specificare il tema indirizzandolo a quella forma di manifestazione del

pensiero costituita dalla informazione finanziaria cioè rivolta al

Mercato che nel caso concreto si era esteriorizzata con un comunicato

stampa ritenuto illecito da CONSOB e poi dai giudici della Cassazione

civile e Corte di Appello civile di Torino e poi ancora dalla Corte di

Appello penale di Torino che ha capovolto stravolgendola l’assoluzione

del Tribunale di Torino. Siamo ora in attesa delle motivazioni della

S.Corte relativamente alla prescrizione.

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Ciò premesso e chiarite le ragioni del cambiamento, procediamo

indicando, per vostra comodità, i capitoli ideali del nostro odierno

discorso.

- 1° capitolo: “Il caso del comunicato stampa FIAT e le tematiche

connesse”;

- 2° capitolo: “la normativa che regola e sanziona le false

informazioni del mercato”;

- 3° capitolo: “l’impugnazione della condanna amministrativa: le

sentenze civili e penali e la sentenza CEDU 24.03.2014.”.

In particolare esamineremo la sentenza della Corte di Appello civile

di Torino che ha confermato le sanzioni respingendo le impugnative

proposte dai “sanzionati” Consob e, in particolare, da parte dell’avv.

Franzo Grande Stevens (già Presidente degli Avvocati italiani; oggi

lo è il prof. Alpa); da parte del dott. Gabetti e della IFIL Spa,

notissima nel mondo finanziario (e non) perché all’epoca era la

holding finanziaria con la quale la famiglia Agnelli controllava e

controlla (oggi con altre società), la FIAT, il primo gruppo

industriale italiano presente anche in altri nevralgici comparti, tra i

quali l’informazione con La Stampa di Torino (da essa interamente

posseduta) e Il Corriere della Sera (qui unitamente ad altri noti

imprenditori italiani ma in posizione di assoluto rilievo nel c.d. patto

di sindacato di R.C.S.). Ed ancora la sentenza delle SS.UU. della

Cassazione che respinge tutti i ricorsi proposti dagli illustri difensori

(tra i quali, per l’avv. Stevens, il prof. Natalino Irti Maestro di questo

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Ateneo); infine le sentenze penali, di assoluzione in primo grado e di

condanna in appello.

Da ultimo: “la sentenza 24/3/2014 della CEDU che ha condannato

l’Italia per i gravi abusi commessi dalla Consob e dalle sentenze

citate in danno di Grande Stevens e degli altri condannati”.

* * *

1) IL CASO DEL COMUNICATO STAMPA FIAT E LE TEMATICHE

CONNESSE

Iniziamo dalla disamina del comunicato stampa incriminato. Come

forse ricorderete la vicenda ha inizio con l’approssimarsi della

scadenza del finanziamento che numerose banche avevano concesso a

Fiat prevedendo che alla scadenza del 20/9/2005 ove la Fiat non avesse

restituito il finanziamento il credito bancario si sarebbe convertito in

azioni. Ciò avrebbe comportato la perdita del controllo di FIAT da parte

della famiglia Agnelli.

La vicenda del comunicato è sinteticamente ed efficacemente descritta

dalla CEDU da pag. 2 a pag. 5 che voi conoscete perché la sentenza è

già nella vostra disponibilità telematica.

In sintesi:

1) è ovvio che la famiglia Agnelli non vuol perdere il controllo Fiat cosa

che avverebbe qualora alla scadenza del convertendo previsto per il 20

settembre 2008 le otto banche da creditrici, se non rimborsate,

sarebbero divenute azioniste per poi eventualmente collocare le azioni

sul mercato con un incremento del capitale sociale. Tale aumento

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avrebbe diluito le quote degli Agnelli dal 30% al 22% mentre le banche

(o chi per esse) avrebbero avuto il 28% e quindi il controllo di FIAT;

2) vi è in essere, alla data del comunicato stampa di SAPA Agnelli e

IFIL del 24/8/2008, solo un contratto di equity swap tra EXOR e Merrill

Lynch non idoneo a impedire l’effetto di cui sopra;

3) l’avv. Grande Stevens, Maestro del Diritto Societario, quale avvocato

e consulente della famiglia Agnelli, stava valutando una modifica al

contratto in essere affinchè, ove fosse accettata dalla controparte, si

potesse evitare il lancio di un OPA sulle azioni FIAT. Pertanto il 12

agosto formula alla CONSOB il quesito se nell’ipotesi contemplata

l’OPA poteva essere evitata. Invece di rispondere, la CONSOB (lo

avrebbe fatto … a cose già avvenute) in data 23 agosto e sulla base di

alcune oscillazioni del titolo (per vero poco significative) richiede che

sia diramato un comunicato stampa per spiegare le fluttuazioni del

titolo e segnalare le eventuali iniziative adottate in merito alla

scadenza del contratto di finanziamento. L’avv. Grande Stevens, in

ossequio al mandato professionale ricevuto, predispone una bozza del

comunicato che sottopone alle società controllanti FIAT, quale parere

professionale, e a un dirigente CONSOB che ne assicura la piena

conformità alla normativa vigente. Sulla base del parere redatto

dall’avv. Grande Stevens nella qualità di Avvocato (perciò regolarmente

compensato come da fattura agli atti dei processi che sono seguiti) i

C.d.A. delle società controllanti FIAT deliberano di emanare il

comunicato, che vedremo infra, in data 24/8/2008. Dal 30 agosto al 15

settembre Grande Stevens è impegnato nelle trattative con Merrill per

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rinegoziare lo swap. Il 14 settembre viene inviata a CONSOB copia del

testo del contratto rinegoziato e il successivo giorno 15 i CdA di Merrill

ed EXOR concludono l’accordo sulla modifica del contratto di equity

swap. Con singolare ritardo, solo il 17/9 la CONSOB, a contratto già

firmato, comunica che l’avv. Grande Stevens aveva ragione e che il

nuovo contratto esonera dall’obbligo di OPA. Infine il 20 settembre

FIAT aumenta il capitale sociale così che le banche acquistano la

titolarità delle nuove azioni. Nello stesso giorno, però, lo swap entra in

vigore e gli Agnelli conservano il controllo di FIAT. Tutto bene? No.

Perché su quel comunicato stampa concordato con CONSOB, la stessa

CONSOB (un giano bifronte viene da pensare) monta su il caso FIAT:

l’accusa lanciata alle holding degli Agnelli, a Gabetti e all’avv. Grande

Stevens (quest’ultimo nella qualità erroneamente ritenuta di

componente del CdA EXOR del quale non ha mai fatto parte come

accertato successivamente dalla Corte di Appello di Torino) è di avere

emanato un comunicato falso e/o fuorviante che ha ingannato il

mercato. In particolare, con riferimento all’avv. Grande Stevens e al

suo inesistente ruolo –da subito negato dinanzi la CONSOB ma da

questa ignorato- di componente del CdA della EXOR, la CONSOB gli ha

comminato una sanzione amministrativa di inusitata portata:

pagamento di € 3 milioni e interdizione dalle cariche societarie per sei

mesi. L’errore verrà scoperto solo in sede giudiziaria lasciando tutti

increduli di come il massimo organismo italiano deputato al controllo

delle società quotate in borsa e dei loro CdA, ignori chi sia componente

del CdA della EXOR, controllante la FIAT. Se Foucault diceva

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Sorvegliare e punire io direi invece “punire chi non sa sorvegliare e

pretende pure di punire”. Credo che in un Paese civile il Presidente di

quella CONSOB (nel frattempo è andato via) si sarebbe dovuto

quantomeno dimettere. Ma non si usa in Italia. Ed allora vediamo cosa

mai diceva il comunicato. Lo leggiamo a pag. 4 della sentenza CEDU.

Due le proposizioni chiave: la prima è che EXOR non aveva avviato né

studiato iniziative riguardanti la scadenza del contratto di

finanziamento; la seconda è che EXOR desiderava rimanere l’azionista

di riferimento della FIAT. Ora, tenuto conto della seconda proposizione,

non v’è chi non veda che il desiderio, quale moto dell’animo, si

appartiene ai sogni degli uomini mentre per le società significa che

EXOR non sarebbe rimasta con le mani in mano sino alla scadenza del

convertendo. Quanto poi alle idee e alle riflessioni che Grande Stevens

stava maturando per studiare la modifica allo swap, non essendo

questa, a quel momento, altro che mera ipotesi di studio di un

professionista (a nulla rileva che fosse Consigliere di IFIL), appare

corretta anche la prima proposizione giacchè la mera ipotesi di studio

di un professionista, in mancanza di qualsivoglia fatto, legittima la

locuzione usata dalla società. Essa, infatti, non aveva intrapreso né

direttamente studiato iniziative relative alla scadenza. Il comunicato

precisava, poi: “Ifil valuterà eventuali iniziative al momento

opportuno”. E quale sarebbe questo momento se non quello nel quale

l’Avvocato avrà completato il suo lavoro di analisi e studio ed avrà

presentato il suo parere alla cliente e questa, valutatolo positivamente,

gli darà incarico di contattare la controparte per sottoporgli la

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proposta di modifica del contratto. Quanto alle fluttuazioni di mercato

le società dichiarano di non disporre di elementi che possano dare

spiegazioni al riguardo. Tutto qui. Se non fosse che l’istruttoria aperta

dalla CONSOB si è conclusa con una condanna che gli ha consentito di

incassare – ingustamente secondo la sentenza CEDU – ben 16 milioni di

euro. Una manovrina finanziaria in danno di soggetti privati (come dice

la CEDU) e conculcati nei loro diritti fondamentali. Secondo Consob,

invece, alla data del 24/8 la rinegoziazione dello swap era già stata

studiata e “in corso di applicazione” e dunque i comunicati davano una

rappresentazione falsa della situazione all’epoca. Passiamo ora

all’esame della

2) LA NORMATIVA CHE REGOLA E SANZIONA LE FALSE

INFORMAZIONI DEL MERCATO

Le norme fondamentali sono contenute nel Dlgs n. 58 del 1998. In

particolare così recita l’art. 187 ter intitolato “Manipolazione del

mercato:

1. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito

con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a

euro cinque milioni chiunque tramite mezzi di informazione,

compreso internet e ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci

o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di

fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti

finanziari.

2. Per i giornalisti che operano nello svolgimento della loro attività

professionale la diffusione delle informazioni va valutata tenendo

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conto delle norme di autoregolamentazione proprie di detta

professione, salvo che tali soggetti traggano, dirattamente o

indirettamente, un vantaggio o un profitto dalla diffusione delle

informazioni.

3. Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito

con la sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 1

chiunque pone in essere:

a) Operazioni od ordini di compravendita che forniscano o siano

idonei a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito

all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari;

b) Operazioni od ordini di compravendita che consentono,

tramite l’azione di una o di più persone che agiscono di

concerto, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti

finanziari ad un livello anomalo o artificiale;

c) Operazioni od ordini di compravendita che utilizzano artifizi

od ogni altro tipo di inganno o di espediente;

d) Altri artifizi a fornire indicazioni false o fuorvianti in merito

all’offerta, alla domanda o al prezzo di strumenti finanziari.

4. Per gli illeciti indicati al comma 3, lettere a) e b), non può essere

assoggettato a sanzione amministrativa chi dimostri di avere

agito per motivi legittimi e in conformità alla prassi di mercato

ammesse nel mercato interessato.

5. Le sanzioni amministrative previste dai commi precedenti sono

aumentate fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il

prodotto o il profitto conseguito dall’illecito, quando, per le

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qualità personali del colpevole, per l’entità del prodotto o del

profitto conseguito dall’illecito ovvero per gli effetti prodotti sul

mercato, esse appaiono inadeguate anche se applicate al

massimo”.

Mi fermo alla lettura del comma 5.

Premetto che non ho esaminato, per ragioni di tempo, la dottrina che

ha commentato l’articolo. Proverò però a dirvi le mie prime valutazioni

che sono molto critiche. Infatti sorge subito l’interrogativo perchè il

legislatore si esprima così male, in modo involuto e illogico, per di più

in materia così delicata. Innanzitutto le condotte illecite sono quelle del

n. 1, “la diffusione” in varie forme di falsità al mercato. Cosa sono i

comportamenti di cui al n. 3? Altre condotte, mezzi attuativi delle

stesse. Torniamo al n. 1: i concetti in gioco sono i seguenti: 1) la falsità

di notizie, informazioni e voci. Già sul termine “voci” vi sarebbe molto

da dubitare. E’ forse il primo caso di norma che punisce e sanziona un

fatto così evanescente e impalpabile come le “voci”. Le “Voci di dentro”

a teatro vanno bene ed infatti è il titolo di un’opera di De Filippo. Molto

meno quando divengono voci “di fuori” idonee ad essere pesantemente

sanzionate! Forse si dovrebbe invocare l’aiuto degli psicoanalisti adusi

a scandagliare le voci di “dentro” per comprendere i comportamenti “di

fuori”. Allevio, ancora, il nostro pomeriggio pensando a Rossini ed alla

sua celebre calunnia definita “qual voce al vento”. Ma Rossini e De

Filippo non si conciliano con una delicata normativa quale quella in

parola!

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E veniamo al concetto di FALSITÀ. Non dovrebbe revocarsi in dubbio

che con tale locuzione si esprime la non rispondenza alla VERITA’, il

suo opposto. Ma qual è la verità si chiedevano i saggi latini (che tutto

avevano capito): “quod est veritas”? Dobbiamo, perciò, accontentarci

della c.d. verità giudiziaria cioè di quella “convenzionale” alla quale,

per necessità, deve farsi riferimento ma ben consapevoli del relativismo

giudiziario e così sperare che essa corrisponda o quanto meno si

avvicini alla verità materiale. Ma il problema della valutazione della

“falsità” si appesantisce quando dobbiamo applicare il concetto di

verità/falsità al “mondo” dei giudizi, delle opinioni su eventi che sono

interpretabili in vario modo. Anche dire che ieri c’è stato il sole è

concetto relativo, ad esempio se vi è stato la mattina mentre il

pomeriggio era nuvoloso. Si è detta una mezza verità? Oppure una

falsità? O si può dire che si è detto il vero e basta, poiché di mattina

comunque il sole c’è stato? Siamo perciò in un terreno molto scivoloso

e le Autorità Italiane sub specie Consob e Magistratura avevano il

dovere sacrosanto di essere molto, molto caute. Invero, come si è visto

e meglio vedremo, nel caso FIAT il comunicato poteva prestarsi a più

interpretazioni ma guarda caso si è scelta la più improbabile che era,

però, l’unica sanzionabile con durissime condanne penali e

amministrative. Ma v’è di più. Torniamo al legislatore del 187 ter che

non si limita a sanzionare le notize false ma anche quelle che sono solo

“FUORVIANTI”. E’ qui siamo nel buio o nella notte del diritto perché, a

mio avviso, così come le “voci” anche le informazioni “fuorvianti” sono

un concetto così evanescente e impalpabile che non può, né deve

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essere assunto a fattispecie astratta per una incriminazione penale e

amministrativa così grave! Secondo il legislatore del T.U.F. anche se si

dice il vero al Mercato si può essere sanzionati perché si reputa

qualcosa “fuorviante”. Così ragionando anche il vero potrebbe essere

ritenuto fuorviante atteso che il legislatore ha previsto entrambe le

fattispecie. Lo è forse il vero? Il vero fuorviante è una stimolante

ipotesi di lavoro! Oppure è fuorviante qualcosa che è tale nella testa di

chi la dice? Ma cosa mai ciò vorrà dire? Il fuorviante soggettivo oppure

oggettivo è un concetto che credo vada accantonato al più presto.

Forse il legislatore avrebbe dovuto leggere le pagine di Kant sulla

verità. Questi sono i perversi effetti della decodificazione per dirla con

Natalino Irti. Fuorviante è ciò che porta fuori dalla retta via. Ma la

verità non è per definizione sempre “retta”? Solo il falso è fuorviante

perché allontana dal vero. Ed allora bastava sanzionare il falso e

lasciare il “fuorviante” alle polemiche dei politici, giornalisti, ecc..

Temo si sia trattato di un pretesto perché il legislatore ha voluto

concedere una pericolosa, quanto lata discrezionalità all’interprete

Consob e Pubblico Ministero così da consentire loro di ricomprendere

anche ciò che non è falso ma non piace, ad esempio, a qualcuno che è

influente in Consob o presso taluni pubblici ministeri (capita, come se

capita). Ciò è in palese violazione del principio di legalità e tassatività

sia della sanzione penale che di quella amministrativa. Ma v’è di più. Il

legislatore ha poi compiuto una ulteriore capriola logica. Stabilisce un

rapporto causale che fa impallidire così il filosofo come l’uomo della

strada: il reato e la sanzione sussistono non solo quando la notizia sia

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falsa o sia fuorviante ma anche quando si danno notizie suscettibili di

fornire indicazioni false ovvero fuorvianti. Ma cosa mai vuol dire?

Perché nel comma 1 vi è tale illogica distinzione nella sequenza causa,

concausa, conseguenze? Ed ancora: sanzionare la mera potenzialità

fuorviante ancorché vera è troppo!. Né poteva mancare la norma

compiacente per la potente corporazione dei giornalisti (ai quali,

contemporaneamente, Rodotà, quale Garante Privacy, dovette

concedere un codice normativo di regolamentazione molto

permissivo).Qui, invece, ci pensa il comma 2 che abbiamo prima letto:

una norma chiaramente di favore per i giornalisti che fa tornare alla

mente gli straordinari studi di Rescigno sull’uguaglianza, l’immunità e

il privilegio. Invero nel comma 2 e con non commendevole metafora si

legge che per i giornalisti occorre tener conto delle (loro) norme “di

autoregolamentazione”. Cioè i giornalisti sono trattati meglio anzi

assolti, se lo sarebbero sul piano deontologico in base ai loro interni

codici a valenza meramente interna perché disciplinare. E’, a mio

avviso, assurdo che il giornalista che manipola il mercato può non

essere ritenuto punibile se vi sono esigenze “informative”. Fantastico.

Così si elude platealmente la ratio legis della stessa norma di tutela del

mercato: basta che si passa la notizia a un giornalista compiacente e la

frittata è fatta: il giornalista è assolto e la manina invisibile del

manipolatore del Mercato è, per l’appunto, invisibile! Ma anche il

comma n. 3 è tanto pericoloso che la CEDU lo ha sanzionato. Esso

sovrappone la sanzione penale alla sanzione amministrativa: “Salve le

sanzioni penali quando il fatto costituisce reato è punito con la

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sanzione amministrativa pecuniaria …”. Seguono 4 previsioni di

comportamenti illeciti. Il rapporto tra le notizie false del comma 1 e i

quattro comportamenti del comma 3 non è chiaro e si presta a

interpretazioni fuorvianti per usare la bad word adottata al co. 1

proprio dal legislatore teso a sanzionare i manipolatori del mercato

avvalendosi, nella sostanza, di clausole generali che in questa materia

sono molto pericolose (nel diritto civile, invece, il dibattito degli anni

’70 sulle clausole generali vide giustamente la vittoria dei propugnatori

delle clausole generali di buona fede, correttezza, ingiustizia del danno,

ecc.). A mio avviso, invece, Consob e giudici penali non possono punire

sulla base di clausole generali per di più mal scritte. La Consob, per

dirla ancora con Foucault, dovrebbe “Sorvegliare e punire” ma,

secondo la CEDU, non ha saputo fare bene né l’uno né l’altro. I quattro

comma e relativi comportamenti illeciti di cui sopra richiamano chi le

indicazioni false e fuorvianti (lett. a) e lett. d), chi “ogni altro tipo di

inganno o di espediente” (lett. c). Ma, mi chiedo, cos’è mai, nel mondo

del diritto, “l’espediente”: forse gli artifizi e i raggiri che connotano la

truffa; oppure il dolo del cod.civ.? Non si sa. Invece salverei sul piano

logico solo la lett. b) che è sufficientemente specificata perché colpisce

quelle operazioni grazie alle quali il prezzo di mercato viene fissato a

livello “anomalo” o “artificiale” (si individua la condotta illecita sulla

base degli effetti che produce e dunque con metodo empirico ma

accettabile perché almeno l’effetto è abbastanza tipizzato). Il co. 4

introduce, poi, una strana esimente che forse nella testa del legislatore

dovrebbe escludere (ma lo può?) l’art. 51 del cod.pen. sull’esercizio del

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diritto che esclude ogni illiceità penale e civile (e quindi

amministrativa) di una certa condotta. Il dlgs del 1998, come

modificato dal T.U.F., invece, prevede l’esimente dei “motivi legittimi”

(che peraltro opera solo per gli illeciti di cui alle lett. a) e b) del co. 3).

Ma cosa vorrà mai dire “motivo legittimo”?. I motivi nel diritto civile –lo

sappiamo- hanno limitatissima rilevanza: penso ai motivi illeciti comuni

a entrambi le parti nel contratto; al motivo illecito nella condizione o

nel legato e a pochi altri residuali casi. Invece nel diritto penale i motivi

sono materia di attenuanti e aggravanti. Qui, invece, sono esimenti. Ma

perché allora non si è fatto riferimento all’esercizio del diritto atteso

che il motivo è un dato psicologico, interiore, e dunque anch’esso

impalpabile e non enucleabile con oggettività. Ritorna l’opzione

pericolosa per la discrezionalità. Altro concorrente elemento per

l’esimente (per il caso delle lett. b e c) è l’essersi uniformati a “prassi di

mercato”. Bene. Se non fosse che poi il nostro legislatore ne circoscrive

la portata alle sole prassi “ammesse”. Ma ammessa da chi? E quando

una prassi può dirsi “ammessa”? La prassi –verrebbe da dire- è prassi e

basta. Oppure non è prassi. Ancora la discrezionalità, dunque. Sulle

sanzioni accessorie del 187 quater nulla da obiettare se non che esse

essendo giustamente molto afflittive si sovrappongono pericolosamente

a quelle penali (su ciò torneremo): ad esempio la perdita di onorabilità

(requisito necessario per ricoprire cariche societarie); o l’incapacità

(temporanea) ad amministrare, controllare, dirigere. Il 187 septies

regola poi la “procedura sanzionatoria” (non mi soffermo sulla scelta

del lemma “procedura” piuttosto che “procedimento”). Dico solo che il

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co. 1 concede solo 30 gg di tempo ai soggetti incolpati per presentare

le “deduzioni” alla contestazione ricevuta. 30 gg. in questa materia è

termine incongruo. Il co. 2 richiama –ma solo per enunciarli- i buoni e

non praticati (nel caso Grande Stevens) principi del contraddittorio;

della conoscenza degli atti istruttori; della verbalizzazione; della

distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie. La CEDU ha dimostrato

che la Consob e l’Autorità Giudiziaria hanno fatto strame di tali principi

che hanno poi un gravissimo difetto (che si aggiunge alla pessima

interpretazione ed applicazione fatta): sono enunciati così, senza

alcuna specificazione e sembrano flatus vocis ancora una volta troppo

discrezionali. Infine il comma 6 rinvia alla L. 689/1981 “in quanto

compatibile”. Ciò in riferimento al giudizio di impugnazione che si

svolge innanzi alla Corte d’Appello civile. Anche qui sollevo qualche

perplessità: quando non è compatibile la procedura della L. 689 del

1981 quale rito si applica per il giudizio formalmente di appello? Di riti

ve ne sono almeno sette in circolazione e bene avrebbe fatto il

legislatore del 1998 a essere più preciso. E poi, mi chiedo, chi

stabilisce quando e come il rito della 689 del 1981 non è compatibile

con il giudizio d’appello?

3) IMPUGNAZIONE DELLA CONDANNA CONSOB E LE SENTENZE

CIVILI E PENALI

A) Le sanzioni amministrative ai sensi della L. 689/81 vanno

impugnate innanzi alla Corte di Appello –nella specie Torino- e il

procedimento deve svolgersi con udienze pubbliche e non in Camera di

Consiglio. Su questo punto la sentenza CEDU ha acclarato che

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l’attestazione del Presidente dell Corte d’Appello di Torino secondo cui

le udienze erano state pubbliche e non si erano svolte in Camera di

Consiglio, era falsa o fuorviante…? Non lo so; so solo, purtroppo, che la

CEDU ha statuito che sull’attestazione del Presidente della Corte di

Appello di Torino prevalgono le fonti autentiche, cioè i provvedimenti

della stessa Corte che recano l’intestazione “in Camera di Consiglio”

che smentiscono il suo Presidente (immagino che sia già iniziato un

procedimento disciplinare o sono troppo fantasioso?). E’ questo uno dei

passi più sconcertanti della sentenza CEDU, anzi più deprimenti e

disonorevoli per la Giustizia Italiana e la credibilità del Sistema Paese

in Europa e nel mondo. Vi sono poi le certificazioni di segno opposto al

Presidente torinese della stessa Cancelleria della Corte di Appello che

hanno sconcertato i giudici della CEDU in modo sin troppo evidente.

B) Nel merito, l’opposizione dei ricorrenti era molto articolata e

involgeva vari punti che vengono rigettati dalla Corte di Appello e poi

dalla Corte di Cassazione ove furono in qualche modo riproposti come

motivi di ricorso (ben 14 redatti dal prof. Irti a difesa dell’avv. Grande

Stevens). Ebbene molti di quei motivi furono rigettati dalla Corte

torinese con colpevole leggerezza mentre alcuni di essi sono stati

ritenuti pienamente fondati dalla sentenza CEDU che ha condannato lo

Stato italiano nelle sue articolazioni CONSOB e Autorità Giudiziaria.

L’opposizione si fondava su motivi che involgevano per più profili

proprio quei solenni principi enunciati dal 187 quater ossia la

violazione del principio del contraddittorio, di conoscenza degli atti

istruttori, di verbalizzazione, di distinzione tra funzioni amministrative

17

e funzioni sanzionatorie. Veniva poi posta dai ricorrenti un’altra

delicatissima e cruciale questione: la coesistenza tra le sanzioni cc.dd.

amministrative dell’art. 187 T.U.F. e quelle penali dell’art. 185 T.U.F..

Entrambi gli articoli sono rubricati con lo stesso titolo: “manipolazione

del mercato”. L’art. 185 T.U.F. punisce con la reclusione sino a 6 anni,

multa sino a 6 milioni e numerose pene accessorie chi “diffonde notizie

false …concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del

prezzo di strumenti finanziari”. La norma sanziona, questa volta, non

già le voci bensì solo le notizie che siano false e non anche fuorvianti.

Inoltre richiede che l’alterazione del prezzo sia concreta e non solo

potenziale. La grave sanzione pecuniaria sopra ricordata è elevabile

sino a 15 milioni o anche sino a 10 volte il profitto o il prodotto lordo.

C’è poco da scherzare e si impone per il giudice penale massima

serietà, equilibrio e approfondimento prima di emettere condanne di tal

fatta. Ed invero la CONSOB aveva denunciato alla Procura della

Repubblica tutti i soggetti che avrebbe poi condannato in sede

amministrativa onde farli condannare anche in sede penale. Orbene le

condotte sono identiche: “diffusione di notizie false” ed identico il bene

giuridico tutelato: evitare le manipolazioni al mercato. Si profilava,

dunque, con evidenza mi sembrerebbe solare, la violazione del

principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen. e dell’art. 9 l. 689/81

atteso che il fatto perseguito da CONSOB resta lo stesso fatto del

procedimento penale. In questo caso, definito del doppio binario ma in

realtà di concorso cd. apparente vige il principio di specialità, si

applica cioè la disposizione speciale quando questa si sovrappone a

18

quella penale generale. La Corte civile torinese dedica numerose

pagine al tentativo di dimostrare la insussistenza delle lamentate

violazioni di tali principi che comportano la violazione dell’art. 649 del

cod. di proc. penale che vieta il bis in idem nonché l’art. 6 della

Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo in particolare: “ogni

persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente e

pubblicamente da un Tribunale indipendente e imparziale…Ogni

accusato ha diritto di essere informato nel più breve tempo possibile e

in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa formulata a

suo carico …”. Ma concludeva il complesso iter motivazionale con una

strana frase: “non è dubbio che 187 ter e 185 siano cumulabili”. Invece

ad essere indubbio è il contrario, come oggi ammette il nuovo

Presidente della CONSOB nel suo discorso del 5 maggio u.s. nel quale

richiama le 100 pagine della sentenza CEDU sul caso Grande Stevens

per segnalare la necessità di una modifica normativa che impedisca

proprio quella sovrapposizione di norme e di condanne

clamorosamente negata dai giudici torinesi. Vi sono alcune locuzioni

che rivelano la debolezza dell’argomentazione. Si rinvengono a pag. 37

ove si legge addirittura che “appare di immediata ed inconfutabile

evidenza” sia il contenuto della richiesta di chiarimenti da parte di

CONSOB sia la falsità del comunicato; e ancora il carattere solo

apparente della conclamata certezza della Corte emerge a pag. 49 ove,

dopo decine di pagine di analisi, conclude così: “appare di immediata

evidenza l’idoneità decettiva dei comunicati”. Vi è da chiedersi se è

logico affermare che è di immediata evidenza (cioè non necessitante di

19

riflessione) l’illiceità quando si impiegano decine di pagine proprio per

stabilire se i comunicati avevano o meno idoneità decettiva sul

mercato. Perché –v’è da chiedersi- riempire decine di pagine se un

concetto è di “immediata evidenza”?. E’ così violato platealmente il

principio di non contraddizione che ogni buon giudice deve rispettare e

tenere presente. Anche perché subito dopo tale singolare affermazione

la sentenza riprende con numerose altre pagine sempre al fine di

tentare di motivare il proprio convincimento. Così dimostrando che

l’illiceità del comunicato non era affatto evidente e men che mai che lo

era in modo addirittura “immediato”. Ed invero il comunicato, a mio

avviso, era tutt’altro che falso, come vedremo di qui a breve.

Per completare il quadro normativo relativo all’informazione su

questioni finanziarie, occorre tener conto che il 187 ter sanziona non

solo le condotte informative che risultino concretamente decettive per

il mercato ma anche quelle che lo sono solo in via potenziale, vale a

dire che abbiano solo la mera idoneità a realizzare l’effetto decettivo.

Potremmo parlare di illecito di pericolo e non di danno (come avviene,

ad esempio, per la rilevanza civilistica della concorrenza sleale che per

certi versi è speculare, pur nella sua diversità ontologica, a tale

fattispecie: è sempre il mercato che va salvaguardato perché se ben

regolato si spera sia fonte di benessere collettivo). Ciò detto, per la

Corte torinese non vi sono dubbi che l’operazione volta a impedire la

diluizione della partecipazione in Fiat degli Agnelli era già in atto al

momento del comunicato. E’ questione controvertibile e

prevalentemente di fatto: lascio piena libertà a tutti di pensarla come

20

credono. Io ritengo il comunicato veritiero e non comprendendo

fattispecie evanescenti come l’essere “fuorvianti” escludo che il

comunicato sia falso. Al massimo si potrebbe dire che non dice proprio

tutto. Ma cosa mai dice o non dice? Premesso che la Consob ha omesso

di vigilare mettendosi le bende agli occhi su gruppi finanziari che

hanno portato sul lastrico decine di migliaia di azionisti e risparmiatori

(io ho cause in corso già vinte in primo grado contro la Consob per

omesso controllo, il che per un controllante non è il massimo), mi

chiedo: cosa mai la Consob pretendeva da IFIL? Che nel comunicato

scrivesse anche che avevano dato mandato all’avv. Grande Stevens di

studiare se modificando lo swap si poteva evitare l’OPA?; che l’avv.

Grande Stevens stava in effetti studiando, rinunciando alle ferie in

pieno ferragosto?; che era forse speranzoso che la sua straordinaria

competenza giuridica gli avrebbe fatto venire una buona idea per

evitare l’OPA? Ed ancora: forse la Consob (e certi giudici) volevano che

nel comunicato si scrivesse anche che Grande Stevens avrebbe –ove

terminato con successo lo studio- cominciato a contattare Merrill Lynch

per sondare la loro disponibilità ad accettare le modifiche proponende

ed eventuali? Ecco se tutto questo fosse stato scritto, forse la Consob

non avrebbe perseguito, condannato e fatto condannare, anche in sede

penale, professionisti come Gabetti e Grande Stevens ai quali cui è

stato macchiato l’onore acquisito in 60 anni di specchiata vita

professionale. Ma il mondo della Finanza internazionale con un simile

comunicato avrebbe “chiuso” con Fiat perché un comunicato di tal

genere può definirsi in un sol modo: folle. Pensavo a questa vicenda del

21

comunicato e mi veniva in mente Shakespeare: tanto rumore per nulla!

(se non fosse per i danni incalcolabili alle persone, alle società e

all’Italia). Quel comunicato non alterava neppure potenzialmente il

Mercato. Era forse involuto ma nella sostanza ben chiaro: gli Agnelli, si

diceva, avrebbero fatto quanto nelle loro possibilità per conservare il

controllo della Fiat! E’ di lampante eloquenza che tale desiderio non

era una speranza da coltivare con preghiere e riti propiziatori ma con

atti concreti preceduti da studi preparatori. E allora chi nel Mercato

non era in grado di capire quel che così chiaramente veniva detto? La

Consob ha pensato di interpretare il Mercato ma in realtà si è sostituito

ad esso operando uno stravolgimento giuridico che considero

inaccettabile su cui si è adagiata supinamente la Corte penale di

Appello e quella civile. Si può ancora dire che forse era lievemente

contraddittorio nelle due proposizioni: non ha studiato ma intende

rimanere azionista di controllo ma il diritto insegna che se il

comunicato è un atto unilaterale vanno applicati gli articoli sulla

interpretazione dei contratti che dicono chiaramente che l’atto va

interpretato secondo quella che risulta essere la reale intezione al di là

del dato letterale. Tale canone ermeneutico è stato totalmente infranto

in questa vicenda. A rendere ben chiaro il concetto vi era nel

comunicato una frase inequivoca che dice tutto il dicibile e il chiedibile

per il mercato?: “EXOR desidera rimanere azionista di riferimento della

Fiat”. Ergo farà tutto quel che legittimamente potrà fare per

realizzarlo. Per esempio, tanto per cominciare, dare mandato ad un

grande avvocato di studiare il problema e di dare un parere. E se

22

positivo, di convincere Merrill a modificare lo swap. Tanto che il

comunicato proseguiva affermando che al momento opportuno sarebbe

stata valutata ogni opzione idonea a raggiungere il conclamato

obiettivo di mantenere il controllo! A mio avviso, costituirebbe un

ridicolo quanto inutile eccesso informativo ritenere che si debba

esternare un mero mandato esplorativo e di studio in un comunicato.

Trasparenza sì ma non fino al punto di violare principi elementari di

prudenza e riservatezza che non inficiano affatto la trasparenza per il

mercato, ma sono propri di ogni attività, di impresa e non.

Segnalo che la sentenza che ha deciso il ricorso di IFIL avverso la

sanzione Consob si sofferma, a pag. 54, in una interessante esegesi del

187 quinquies a proposito della posizione dell’avv. Stevens. Secondo la

Corte il legislatore T.U.F. nel novellare il Dlgs del 1998 ha fatto propri

due pilastri della L. 231/2006 e in particolare dell’art. 5: la

responsabilità dell’ente sorge se e in quanto l’illecito è stato commesso

a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Ciò che però più colpisce della

sentenza è quel che si legge a pag. 56 in relazione al ruolo dell’avv.

Stevens ritenuto ideatore principale del comunicato. Scrive la Corte

che è ininfluente che il suo coinvolgimento sia ascrivibile, come

è certamente avvenuto (sono parole dei giudici torinesi!),

all’esercizio di attività professionale e consulenziale, piuttosto

che ad un titolo “differente”. A questo punto dobbiamo chiederci

allarmati come può considerarsi “ininfluente” che la condotta illecita

dell’avv. Grande Stevens - come quella di qualsiasi altro Avvocato - sia

interamente (attenzione: “interamente” lo scrivono i giudici)

23

riconducibile all’espletamento del mandato professionale d’Avvocato.

In particolare del mandato con il quale si chiede un parere giuridico.

Mi chiedo come possa seriamente affermarsi che il parere giuridico

reso da un Avvocato nell’espletamento del mandato professionale sia,

sol per questo, configurabile quale condotta illecita penale e

amministrativa. Ritengo che si tratti di un’aberrazione di portata

devastante per l’equilibrio dei poteri in uno Stato democratico e

liberale. A volte - solo a volte, fortunatamente - sembra che la

Magistratura persegua obiettivi da Stato etico (o talora anche un po’

meno etici). In ogni caso, come dice la sentenza della CEDU, siamo

fuori dai principi del diritto dell’Europa moderna, democratica e

liberale. L’Avvocatura, da sempre vindice di libertà da ogni

oppressione, anche giudiziaria, non può rimanere inerme. Sono stati

conculcati diritti fondamentali dalla Corte d’Appello torinese perché un

parere legale è, innanzitutto, espressione del più importante tra i diritti

fondamentali dell’Uomo, quello alla libertà di manifestazione del

pensiero. E’ vero che vi sono limiti a tale diritto indicati dalla

Convenzione di Roma per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e poi

dalle Carte di Nizza e Lisbona. Ma essi sono eccezionali e nessuno di

essi può essere ricondotto, neppure lontanamente, al caso de quo.

Leggiamo l’art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei

diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di cui al Trattato di Roma

del 1950 ed alle successive modifiche entrate in vigore il 1°/6/2010.

“Libertà di espressione” è il titolo: 1. Ogni persona ha diritto alla

libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la

24

libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi

possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche ..… 2.

L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità,

può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni e sanzioni

che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in

una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità

territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla

prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla

protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la

divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e

l’imparzialità del potere giudiziario”. Bene non vi è traccia di limiti

riconducibili all’esercizio della professione di Avvocato.

E’ noto, poi, che nel Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore il 1°

dicembre 2009, l’articolo 6 comma 3, ammonisce che: “i diritti

fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia

dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle

tradizioni costituzionali comuni agli Stai membri, fanno parte del diritto

dell’Unione in quanto principi generali”. Bene, ma prima ancora

consentitemi di ricordare anche la “Dichiarazione universale dei diritti

dell’uomo dell’ONU” del 10 dicembre 1948 la quale, all’articolo 19, così

recita a proposito della libertà di manifestazione del pensiero:

“L’esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo

comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto

sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente

stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti e

25

della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale,

dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche”. Non vi è

traccia di tali limiti in quelli ritenuti violati dai giudici di Torino.

Infine la Carta di Nizza all’articolo 11 recita: “Ogni individuo ha diritto

alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la

libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi

possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti

di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismi sono rispettati.”

Ciò detto sul diritto di libero pensiero mi permetto di osservare che è

stato violato anche il diritto inviolabile di difesa del cittadino che nella

sua ampia accezione non è circoscritto alla difesa tecnica nel processo

ma si estende all’attività di prevenzione del conflitto e cioè all’attività

di consulenza. Che è diritto inviolabile sia per chi chiede l’assistenza

dell’Avvocato ma anche per l’Avvocato: diritto di poterla liberamente

esplicare redigendo pareri che sono manifestazione di opinione su

argomenti giuridici. Proviamo ad immaginare se l’affermazione dei

giudici torinesi divenisse diritto vivente. Nessun avvocato avrebbe più

la serenità per redigere un parere legale ove ritenesse che tale parere,

e solo in quanto tale, può determinarne la condanna alla reclusione a 6

anni, a pagare milioni di euro, alla interdizione da pubblici uffici e

persino dalla professione di Avvocato, da incarichi societari, ecc. Con in

più la gogna mediatica essendo prevista anche la sanzione della

pubblicazione sui giornali dell’estratto della condanna. La Corte

torinese - lo dice espressamente - condanna l’avv. Grande Stevens per

un illecito realizzato esclusivamente “nell’esercizio di attività 26

professionale e consulenziale”. Grande Stevens –secondo la Corte- è

“l’ideatore principale del contenuto inveritiero del comunicato”. Ma a

me sembra che vi sia una certa confusione. L’avv. Stevens ha redatto

un parere nel quale rappresenta come deve essere, a suo avviso, un

comunicato rivolto al Mercato veritiero e conforme a legge. Poi, però,

lo si condanna perché il comunicato, oggetto del parere, lo avrebbe

ideato lui. Ma qual è la differenza?? L’Avvocato ha redatto il parere su

di un comunicato ed è irrilevante se lo abbia anche redatto giacchè ciò

è parte integrante del parere! La scissione tra i due momenti è

impossibile. E’ come dire che una volta steso il comunicato l’Avvocato

ha scritto un parere favorevole su se stesso! Saremmo alla schizofrenia

giuridica. Ma forse lo siamo, almeno a leggere le sentenze torinesi di

Appello. Nell’attività di consulenza per ottenere un parere, il cliente

pone un problema all’Avvocato, nel caso di specie, chiede come si deve

scrivere il comunicato richiesto da Consob. L’Avvocato-consulente

scrive il testo del comunicato che ritiene conforme a legge ed esprime

le ragioni per le quali ritiene sia legittimo. Ed è proprio in ciò che si

concreta un parere! Parere sul comunicato e comunicato finiscono così

con il coincidere diventando un tutt’uno. Ed allora sono inutili troppi

giri di parole: la Corte ha condannato Grande Stevens proprio per aver

svolto l’attività d’avvocato nella fase c.d. stragiudiziale. I media con i

loro opinionisti dovrebbero riflettere su tali aberrazioni che violano,

ovviamente, non solo l’attività dell’Avvocato ma, con essa, la

Costituzione che si fonda, tra l’altro, sulla soggezione della

Magistratura alla legge e sul diritto di difesa in ogni sua forma, come

27

insegna l’art. 24 Costituzione e viola, a mio avviso, l’art. 6 della

Convenzione. Articoli scritti a presidio del diritto dei cittadini ad essere

assistiti da un Avvocato libero da minacce di funzionari Consob che

sanzionano l’espletamento del mandato e quindi anche il fondamentale

diritto dell’Avvocato ad esprimere liberamente il suo pensiero di

giureconsulto. La stessa Corte torinese, infatti, a pag. 57 si dilunga a

spiegare che Grande Stevens “non ha agito nell’esercizio di funzioni

gestorie, non aveva deleghe operative, non agiva sulla base e in forza

di deliberazioni assunte in seno a quel CdA di cui faceva parte, era

stato investito di un incarico di tipo professionale insito nella

valutazione di fattibilità giuridica dell’operazione come evidenziato dal

coinvolgimento di stretti collaboratori e della struttura del suo studio

legale, nonché della formulazione squisitamente tecnica del quesito a

Consob e trovava in quest’ultima veste la fonte autonoma ed esaustiva

del proprio ruolo e legittimazione”. Bene. Tutto giusto. Ed allora perché

la Corte non ha annullato le sanzioni? Perché, a suo avviso, l’Avvocato

non deve scrivere pareri che contengano errori o che tali siano ritenuti

da qualche Magistrato. Per dirla ancora un volta con Hegel, siamo nella

notte nella quale come si sa …tutte le vacche sono nere!

C) LA CASSAZIONE

Poco posso dire – per ragioni di tempo - sulle sentenze delle SS.UU.

della Cassazione che hanno tutte respinto i ricorsi dei condannati dalla

Corte torinese. Sappiamo i limiti del giudizio di Cassazione che non

consentono il riesame del merito della sentenza. Ed infatti è sotto la

scure della inammissibilità che viene risolta, giustamente, la questione 28

sulla verità/falsità del comunicato ritenuta questione di fatto e di

merito non valutabile in sede di legittimità Peraltro sappiamo che la

Cassazione non fa solo diritto e nomofiliachia, fa anche politica del

diritto nel senso che c’è una regola non codificata ma ben avvertita dai

giudici della Suprema Corte. Rigettare più che si può, meglio ancora se

con le astruserie basso bizantine dei quesiti, dell’autosufficienza del

ricorso, della conformità della sentenza impugnata alla consolidata

giurisprudenza della Suprema Corte. Ma non è il caso di queste

sentenze perché l’estensore, va riconosciuto, è molto bravo e ha

cercato di restringere le inammissibilità fin quando ha potuto

preferendo scegliere di affrontare il mare aperto giungendo però

sempre nei porti dei rigetti e mai in quelli degli accoglimenti. Ma

sempre con dovizia di argomentazioni, ampia cultura giuridica,

concatenazione logica ineccepibile. Il risultato è opinabile e la CEDU

infatti non è stata di accordo molte volte ma con rispetto, occorre dirlo,

per le nostre SS.UU. La CEDU è stato come il giudice a Berlino, di cui

ha scritto Guido Rossi su Il Sole 24 Ore. Quanto al motivo relativo al

mancato rispetto dei termini di chiusura del procedimento

amministrativo che la Consob aveva sforato, si apprezza l’eleganza con

la quale invece di respingere il motivo perché inammissibile (ne

enuncia le ragioni in relazione a profili definiti “non marginali” per la

struttura multiplo-cumulativa del quesito: nota aberrazione imposta

dalla Cassazione al legislatore e poi dopo le proteste degli Avvocati

barattata con l’abrogazione ma la normazione dell’autosufficienza... )

preferisce affrontarlo e poi rigettarlo.

29

Perentorio è il termine secondo decine di sentenze di Cassazione e

Consiglio di Stato, ordinatorio secondo altrettante degli stessi alti

consessi. Le nostre SS.UU. aderiscono di fatto al secondo orientamento

ma in realtà le SS.UU. hanno ritenuto irrilevante la questione del

termine con motivazioni molto fini che tralasciamo per fare un cenno al

rigetto del motivo dedicato alla violazione del contraddittorio nel

procedimento amministrativo. Se è vero che il 187 septies impone il

rispetto del contraddittorio - dice la Suprema Corte - è però anche vero

che “in tal fase deve pur sempre strutturarsi e modellarsi in concreto,

in funzione cioè dello stato in cui si trova la procedura che non implica

la necessità della costante presenza delle parti”. A polemizzare si

potrebbe commentare che il contraddittorio sarebbe tale anche in

assenza delle parti. Ma la questione ovviamente è molto più complessa.

E’ vero purtroppo che, talora, per taluni giudici il contraddittorio è una

cosa un po’ noiosa che fa perdere tempo quando a loro sembra già

tutto chiaro. Viceversa per il nostro estensore il contraddittorio è molto

importante dando prova di profonda cultura giuridica e con stringenti

argomentazioni. Anche se, lo si dice solo per alleviare il discorso, forse

qualche motivo su 14 (almeno sul piano statistico) poteva essere

considerato materiale di accoglimento. Delicatissimo motivo, pure

respinto, era quello sul divieto del bis in idem (pag. 66) che ragioni di

tempo mi impediscono di esaminare analiticamente: le SS.UU.

ritengono, sul punto, la sentenza d’appello correttamente ed

adeguatamente motivata, escludono il concorso apparente tra

fattispecie sanzionatorie e richiamano la direttiva 203/6/CE la quale,

30

nel prevedere l’obbligo di sanzionare amministrativamente gli abusi di

marecato, lascia libero il legislatore nazionale di prevedere in via

cumulativa e non alternativa/sostitutiva l’irrogazione anche di sanzioni

penali con il sistema del doppio binario.

C) L’ASSOLUZIONE DEL TRIBUNALE DI TORINO

E veniamo alla sentenza penale di assoluzione resa dal Tribunale di

Torino con la formula amplissima del 530 cod.pen.: assolve.

L’avv. Stevens e Gabetti sono assolti perché il fatto non sussiste. Ripeto

“non sussiste” cioè manca persino nella sua materialità, non è che c’è

stato ma non costituisce reato. E’ una quasi invenzione della Consob e

della Corte di Appello civile di Torino. E’ facile immaginare la rabbia di

chi su questo processo si era giocato il suo futuro e vedeva frantumarsi

l’impianto accusatorio tanto che conseguentemente anche le società

venivano assolte ex art. 66 della L. 231 perché l’illecito amministrativo

parimenti non sussiste. Il comunicato di IFIL era perfettamente lecito

spiegano con accuratezza i giudici della 1^ sezione penale del

Tribunale di Torino. Nessuna alterazione ha prodotto al mercato.

Neppure potenziale. Anzi addirittura nessun “disturbo” (proprio così è

scritto in replica alla Corte di Appello civile che tale locuzione aveva

adoperato) si è avuto o si poteva avere. E la disamina tecnico

finanziaria dell’andamento del titolo dimostra che la bravura di un

giudice intellettualmente onesto supera di gran lunga il presunto

maggior tecnicismo di un dirigente Consob non assistito dalla stessa

imparzialità intellettuale. La pag. 71 di quella sentenza è rimarchevole

per la straordinaria semplicità con cui replica persino al finale,

31

disperato tentativo dell’accusa che, di fronte alle emergenze probatorie

a lei contrarie, si è avventurata in quella che con eleganza eufemistica

il Tribunale definisce “suggestiva argomentazione”: e cioè che

l’alterazione del prezzo può manifestarsi anche con la sua stabilità se

questa è fittizia perché influenzata da false comunicazioni. L’accusa e

la Consob parte civile non avevano infatti esitato a stravolgere la loro

iniziale contestazione. Il comunicato aveva provocato anomale

fluttuazioni del titolo. E quando, invece, è risultato non essere vera tale

fondamentale circostanza, con accanimento inaccettabile dissero: “…

sì, è vero, è rimasto stabile ma ….”. Ma lo è rimasto perché il

comunicato ha falsato l’informazione. Basterebbe questo capitolo per

far comprendere perché poi la CEDU non ha avuto pudore a

stigmatizzare i tanti comportamenti contra jus di Consob, magistratura

inquirente e di quella giudicante d’appello civile e penale.

Va però detto che il Tribunale ha ritenuto che per concretarsi il reato di

pericolo occorreva che questo fosse concreto e non astratto.

Concretezza esclusa mentre ha ritenuto che il comunicato fosse

inveritiero perché contraddittorio (EXOR non sta studiando ma

desidera continuare a controllare FIAT …e come se non studiando trovi

qualcosa che glielo consenta) e astrattamente pericoloso perché

teoricamente rialzista. Il rialzo però non v’è stato anzi v’è stato un non

previsto e lieve ribasso ancorchè momentaneo. Quel che è certo è che

(vedasi pag. 69) “nessuno avrebbe potuto dire che al 24 agosto era già

stato tutto deciso”.

D) LA SENTENZA CEDU

32

Nell’impossibilità di dare conto di tutta la sentenza (non basterebbero

tre ore) prendiamo in esame i punti salienti: 1) la violazione dell’art. 4

del Protocollo n. 7 che così recita: “nessuno può essere perseguito o

condannato penalmente dalla giurisdizione dello Stato per un reato per

il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza

definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale

Stato”. Il Governo Italiano si difende invocando la riserva prevista dagli

artt. 2-4 del Protocollo 7 e la sentenza deve quindi affrontare il

problema dell’osservanza dell’art. 57 della Convenzione che così recita:

“ogni Stato al momento della firma della presente Convenzione o del

deposito del suo strumento di ratifica può formulare una riserva

riguardo a una determinata disposizione della Convenzione nella

misura in cui una legge in quel momento in vigore sul suo territorio

non sia conforme a tale disposizione. Le riserve di carattere generale

non sono autorizzate … e comporta una breve esposizione della legge

in questione”. La CEDU ricorda quali sono i requisiti delle riserve

precisando che per generale si intende che non deve essere generica

ed esaminata la riserva italiana ne afferma la illegittimità perché priva

del requisito della breve esposizione della legge. Esamina poi il merito

del ricorso e afferma che il punto centrale non è stabilire se gli

elementi costitutivi dei reati previsti dall’art. 185 e 187 siano o meno

identici ma se i fatti incriminati “facevano riferimento allo stesso

comportamento” (pag. 78). L’accusa era che la rinegoziazione dello

swap era già avvenuta al momento del comunicato e tale informazione

era taciuta per evitare un probabile calo del prezzo delle azioni FIAT.

33

Per la Corte si tratta dello stesso identico comportamento da parte

delle stesse persone e alla stessa data. Di talchè risulta violato l’art. 4

del Protocollo 7. Quali sono le conseguenze di tale violazione? Lo

stabiliscono gli artt. 41 e 46 della CEDU. Il primo obbliga le parti

contraenti a conformarsi alle sentenze della CEDU di cui il Comitato

dei Ministri controlla l’esecuzione. L’art. 46 impone agli Stati di

rimuovere le conseguenze e se ciò non può avvenire la Corte accorda la

soddisfazione che ritiene appropriata. Lo Stato oltre a corrispondere la

somma stabilita a titolo di equa soddisfazione deve adottare i mezzi per

adempiere al suo obbligo e quindi vigilare affinchè il procedimento

penale avviato contro i ricorrenti in violazione dell’art. 4 Prot. 7 ed

ancora in corso nei confronti di Stevens e Gabetti sia chiuso nei tempi

più brevi possibili e SENZA CONSEGUENZE LESIVE PER I

RICORRENTI. Vedremo come si regolerà la Cassazione che deve

depositare le motivazioni della sentenza.

E) I DANNI

Era stata richiesta la restituzione dei 16 milioni versati nonché danni

morali. Tale richiesta non è accolta perché non risulta accertato che le

sanzioni inflitte da Consob erano di per sè illegittime. Quanto al danno

morale relativo alla ulteriore accertata violazione della mancanza di

udienze pubbliche in Corte d’Appello si è ritenuto di liquidarlo in €

10.000 per ciascun ricorrente. A ciò vanno aggiunti € 40.000 per spese

cadauno. Et de hoc satis.

34