TRIANGOLO IT ROSSO

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www.deportati.it euro 2,50 Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione Nuova serie - anno XXXVI Numero 1-3 Gennaio-marzo 2020 sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT TRIANGOLO ROSSO ALLA CAsA DELLA MEMoRIA A MILANo In mostra frammenti del Memoriale di Auschwitz Un ex deportato, e Triangolo Rosso, tornato dalla prigionia racconta e disegna i suoi anni di deportazione. Ragazzi di un liceo ne hanno ricavato la storia che noi riproduciamo nelle pagine centrali. Eclisse della deportazione politica? Nel ventesimo anniversario dell’istituzione del Giorno della Memoria c’è di che riflettere: cosa resta del bombardamento mediatico a cui tutti siamo sottoposti in queste settimane? Che messaggio passa in questi giorni? E questo messaggio serve o no a fare comprendere davvero quanto accadde nei lager di Hitler e a spiegarne il motivo? Il presidente Aned Dario Venegoni a pagina 4-5 La battaglia dei “Triangoli rossiraccontata con Vittore Bocchetta ELLEKAPPA Da pagina 8 le tele con la storia dell’operazione

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www.deportati.iteuro 2,50

Giornale a cura dell’Associazione nazionaleex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione

Nuova serie - anno XXXVINumero 1-3 Gennaio-marzo 2020sped. in abb. post. art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

ITTRIANGOLOROSSO

ALLA CAsA DELLAMEMoRIA A MILANo

In mostra frammentidel Memorialedi Auschwitz

Un ex deportato, eTriangolo Rosso, tornato dallaprigionia racconta edisegna i suoi anni di deportazione. Ragazzi di un liceone hanno ricavato la storia che noiriproduciamo nellepagine centrali.

Eclisse della deportazione politica?

Nel ventesimo anniversariodell’istituzione del Giorno dellaMemoria c’è di che riflettere: cosaresta del bombardamento mediaticoa cui tutti siamo sottoposti in queste

settimane? Che messaggio passa inquesti giorni? E questo messaggioserve o no a fare comprenderedavvero quanto accadde nei lager di Hitler e a spiegarne il motivo?

Il presidente Aned Dario Venegoni a pagina 4-5

Da pagina 8 le opere

La battaglia dei “Triangoli rossi”raccontata con Vittore Bocchetta

ELLEKAPPA

Da pagina 8 le tele con la storia dell’operazione

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QUEsTo NUMERo

Pag. 3 Con i giovani a Mauthausen. Ora che manca la “testimonianza diretta” bisogna attualizzare i linguaggi di Giorgio Oldrini

Pag. 4 Eclisse della deportazione politica? di Dario VenegoniPag. 6 Contro l’antisemitismo e ogni forma di razzismo Pag. 7 Liliana Segre a Salvini: contro tutti i razzismi Pag. 8 Arte, Testimonianza, Memoria. Alla Casa della Memoria una grande

mostra dei teli di Pupino Samonà di Giuliano BanfiPag. 11 La maratona culturale di Moni Ovadia a Savona coinvolge i giovani

nel Giorno della Memoria 2020 di Maria Bolla Pag. 12 Girano un film ad Auschwitz (e lo interpretano) gli studenti di San

Giovanni in Persiceto di Mauro BorsariniPag. 14 A Ravensbrück viaggio e ritorno. Così una ragazza racconta la scena

vista oggi da lei di Beatrice OlivetiPag. 18 Mi chiamo Ester e “Credo” nella memoria”. Lisa racconta come fosse lei

di Lisa LeriPag. 20 Agosto 1944, due ragazzi bergamaschi arrivano a Buchenwald: il nipote

di uno di loro racconta di Leonardo ZanchiPag. 23 Arriva da Brescia un quadro di Giovitta per non dimenticare

Loredana è tornata a Bergamo: da qui partì per la deportazione Pag. 24 A Novate Milanese una mostra di inediti di Giandante.X, l’antifascista

artista e poeta di Miuccia Gigante Pag. 26 Il Giorno della Memoria a Vado Ligure.

A Foligno commemorazione dei deportati davanti alla lapide con i nomi dei martiri.

Pag. 27 Medaglia d’oro per il sarto Leonardo Orcellet morto a WittembergLa Medaglia d’Onore per Mario Tedeschi. Era partigiano a Sarzana

di Simone FalcoPag. 28 “Anni difficili”. I disegni di Vittore Bocchetta reinterpretatidai giovani

di M. Antonietta Arrigoni

Pag. 31 VITToRE BoCCHETTA “TRIANGoLo Rosso”

CoNTRUIBUTIPag. 40 Campo di Gusen. Tremende scoperte e permanenti misteri

di Alberto RosatiPag. 42 Le Pietre d’Inciampo, monumento per ogni deportato, senza distinzio

ne di razza o di credo politico di Marco SteinerPag. 44 Una lunga ombra per troppo tempo ignorata di Ambra LaurenziPag. 48 Il senso di fare ricerca oggi di Laura TagliabuePag. 50 Le prime vittime naziste sono stati i diversamente abili

di Andrea Di Veroli

LE NosTRE sToRIEPag. 52 Dante Sturbini che si pensava fosse stato ucciso perché rubava per se e

per gli altri “soltanto” le bucce di patate di Giovanna CarsughiPag. 54 Guido Focacci, il toscano pilota di aerosiluranti. Partigiano dall’ 8 set

tembre fu deportato a Mauthausen di Gianni FocacciPag. 58 Raccontata nella serie tv “La guerra è finita” la storia dei ragazzi ospiti

della colonia di Selvino di Adriano AratiPag. 60 Italia chiama, Canada risponde. L’Internato Militare Italiano finito a

Montréal per vivere di Andrea GiovarruscioPag. 62 Sulle bancarelle milanesi vendono (senza pudore) il Mein Kampf diHitler

Imbrattata nella capitale la targa per Tina Costa, staffetta partigianaPag. 63 Posata a Palermo la Pietra d’inciampo più a sud d’Europa per Libero

Baldanza di Flavia Baldanza

BIBLIoTECA-PALCosCENICoPag. 64 Rileggere i Diari di Anne Frank: nonostante le avversità questo

imponente archivio si è salvato di Alberto CavaglionPag. 65 I prigionieri che dissero no a Salò “Inutilmente Mussolini insistette”

ma la maggior parte rifiutò di Aldo CazzulloPag. 67 La Tosca di Puccini messa in scena nel lager di Buchenwald

per gli studenti savonesi di Alessandro Clavarino

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ITTriangolo Rosso

Periodico dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione

Una copia euro 2,50, abbonamento euro 10,00Inviare un vaglia oppure effettuare un bonifico a:

Aned - c/o Casa della Memoria,

Via Federico Confalonieri 14 - 20124 Milano

conto corrente c/o Banca Prossima, Piazza Paolo Ferrari 10 Milano, IBAN: IT53 S033 5901 6001 0000 0141934

Telefono 02 68 33 42e-mail Aned nazionale: [email protected]

Fondazione Memoria della DeportazioneBiblioteca Archivio Pina e Aldo RavelliVia Dogana 3, 20123 Milano- Tel. 02 87 38 32 40

e-mail: [email protected]

Triangolo Rosso

Direttore Giorgio oldrini

Comitato di redazione sauro BorelliBruno CavagnolaGiuseppe Cerettioreste PivettaAngelo Ferranti

Segreteria di redazione Vanessa Matta

Collaborazione editoriale Franco MalagutiIsabella Cavasino

[email protected]

Chiuso in redazione il 28 febbraio 2020Stampato da Stamperia scrl - Parma

5 per mille all’ANED

5 per mille alla Fondazione

Memoria della Deportazione

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Il viaggio di maggio a Mauthausen e ai sottocampi è una tradizione del l’Anedche dura ormai da decenni. Molte delle nostre sezioni fanno dell’organizzazionee della partecipazione a questo evento internazionale una parte importante dellaloro attività, coinvolgendo spesso scuole, ragazze e ragazzi ed insegnanti.

Oltre al doverosoomag gio a coloro chesono morti nei lager,

il senso profondo di questipellegrinaggi è, prima ditutto, quello di far vedere aun numero alto di personeche i lager sono esistiti contutto il loro carico di dolori edrammi. Una risposta con-creta al negazionismo chesembra avere preso piedeanche in Italia. Una riscoper-ta per molti del perché que-sto è successo e dei va lori edelle scelte che hanno porta-to tanti, anche molto giova-ni, a morire laggiù.Le nostre sezioni preparanospesso il viaggio spiegando,nelle settimane precedenti, ai

ragazzi cosa significa an darea Mauthausen, cosa vedran-no e quale storia e quali sto-rie sono la sostanza di quelperiodo tremendo del lavicenda europea e mon diale. In questi mesi è nata ancheuna polemica sul senso el’utilità di visitare i campi.Si sono pubblicate foto dira gazzi che si facevano sel-fie davanti all’entrata diAuschwitz, si è polemizzatosul fatto che alcuni affronta-no questo percorso comesem plice “turismo di mas -sa”. Certo, l’attenzione alla pre-parazione del viaggio e allosvolgimento delle giornateche si passano tra Mauthau -

sen, Gusen, Hartheim e altricampi deve essere altissimada parte dell’Aned, tanto piùche ormai i deportati, cheper molti anni hanno accom-pagnato i ragazzi, non cisono più e dunque manca latensione e la “verità concre-ta” della testimonianza diret-ta. Ed è anche vero che lenuove generazioni usano lin-guaggi diversi e dunqueimpongono a noi lo sforzo diriuscire a parlare in modi perloro comprensibili edattraenti. Un tema che Aned si èposta, tanto che il presidenteDario Venegoni, nella riu-nione del Comitato interna-

zionale, ha chiesto che ladomenica mattina, primadella manifestazione interna-zionale, ci sia un incontro digiovani di tutto il mondonella cava di Mauthausen,sotto la Scala della morte. Ci si richiede dunque unimpegno ancora maggioreper attualizzare i linguaggi ele iniziative, ma, credo io,partendo dalla idea che iviaggi sono uno strumentofondamentale del camminodella memoria che Aned èimpegnata a compiere in unarealtà italiana e internaziona-le in cui il ritorno di razzi-smo, antisemitismo, odio eviolenze è preoccupante.

Giorgio oldrini

Con i giovani a Mauthausen

ora che manca la “testimonianzadiretta” bisogna

attualizzare i linguaggi

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Eclisse delladeportazionepolitica?

Nel giro di pochi giorni due importanti centri di ricerchedemoscopiche hanno pubblicato i rispettivi rapporti sul tema dellaShoah, in occasione del ventesimo Giorno della Memoria

Da diversi anni l’ANED,l’Associazione degli exdeportati, ha denunciato que-

sta ricostruzione a dir poco fanta-siosa della vita e della morte aDachauhttp://www.deportati.it/news/dachau_fandonie/ ma questo non haarrestato né la tournée del Nostro,né la commozione del suo pubblico.Eppure dovrebbe essere chiaro atutti che queste falsificazioni dellevicende dei lager portano soloacqua al negazionismo. Se questidue raccontano storie inverosimili,perché credere agli altri testimoni?Chi lo dice che la testimonianza diLiliana Segre non sia altrettantoinfondata?

D’altra parte se il Giorno dellaMemoria si riduce a unapura e semplice spettacola-

rizzazione del dolore non deve sor-prendere che trovi spazio sui mediachi non risparmia i particolari piùefferati. L’effetto finale è soventequello dell’assuefazione e dell’o-mogeneizzazione delle memorie: dimorti ammazzati in modo raccapric-ciante ce ne sono stati sempre, enon solo nei lager nazisti.La legge istitutiva del Giorno dellaMemoria obbliga scuole e Comunia organizzare riunioni per ricordare,ma non ha stanziato neanche uncentesimo per queste iniziative.

Così la maggioranza degli isti-tuti risolve la questionemostrando un film, o delle

canzoni, o se va bene i disegni deibambini di Terezin. Fino a pochianni fa si telefonava all’ultimomomento all’ANED, chiedendo untestimone quale che fosse, purché

bombardamento mediatico a cui tuttisiamo sottoposti in queste settimane?Che messaggio passa in questi gior-ni? E questo messaggio serve o no afare comprendere davvero quantoaccadde nei lager di Hitler, e a spie-garne il motivo?

Un dato è certo: cresce il numerodegli italiani scettici sull’intera narra-zione e, contemporaneamente, nonhanno mai avuto tanto successo i rac-contatori di storie fantasiose, se noninventate di sana pianta, meglio secondite di particolari raccapriccianti.

Èdi questi giorni la denuncia delCentro di DocumentazioneEbraica Contemporanea

(CDEC) a proposito del racconto diun sedicente superstite di Auschwitzche da anni gira nelle scuole, riscuo-tendo ovunque grande successo conun racconto di pura fantasia. E vieneancora invitato a tenere conferenzepubbliche un superstite di Dachau –lui almeno a Dachau c’è stato davve-ro – che ha scritto un libro (pubblica-to nientemeno che da Rizzoli) in cuisi è auto-etichettato come l’ultimomembro italiano di unSonderkommando, ovvero di quellesquadre di addetti alle camere a gas.Il libro è ricco di particolari “forti”,di regola senza riscontro alcuno senon francamente inverosimili.

IT

Ha fatto molto clamore, sudiversi organi d’informazio-ne, il rapporto Eurispes,

secondo il quale il 15,6% degli ita-liani pensa che la Shoah non siamai esistita, e che si tratti sostan-zialmente di un’invenzione. Nel2004, ha fatto notare l’istituto, que-sta percentuale si fermava al 2,7per cento, un dato quattro volteinferiore. I più scettici sulla veridi-cità della memoria dello sterminiodegli ebrei, secondo l’Eurispes, sicollocherebbero a sorpresa nell’a-rea di centrosinistra, dove si trove-rebbero il triplo dei negazionistirispetto alla destra.

ContemporaneamenteAlessandra Ghisleri, direttri-ce di Euromedia, ha presen-

tato i risultati di un’altra indagine,che avrebbe rivelato che la percen-tuale degli italiani che credono chela Shoah non sia mai esistita si col-locherebbe all’1,3 per cento, e chel’arco dei partiti di riferimento dichi ritiene al contrario che lo ster-minio degli ebrei sia avvenuto eche sia da ricordare si collochi trala sinistra e Forza Italia, mentre adestra si collocherebbe la maggiorparte degli scettici e dei negazioni-sti.Tutti i sondaggi sono invece d’ac-cordo nel segnalare una crescentepreoccupazione degli italiani perepisodi di violenza e di discrimina-zione, che del resto riempiono quo-tidianamente le cronache di tutti imezzi di informazione.

Nel ventesimo anniversariodell’istituzione del Giornodella Memoria c’è insomma

di che riflettere: cosa resta del

dai roghi di libri sullepiazze della Germaniadel 1933, alla fiammanefanda dei crematori di Birkenau, corre unnesso non interrotto

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aver varato le leggi razziali. E cheevitano di citare la messa al bandodei partiti e delle associazionidemocratiche e la persecuzionedegli oppositori. Così si può pian-gere per le vittime dei bambini,delle madri, dei vecchi vittime dellaShoah, ma non per il martirio ditanti antifascisti e partigiani,annientati negli stessi campi.

Quando il Comune di Schiorifiuta di porre 14 “pietred’inciampo” alla memoria di

altrettanti cittadini morti nei lager,ecco che scatta l’automatismo, e ilfior fiore dei commentatori sui prin-cipali giornali si lancia nella filippi-ca sull’antisemitismo. Ma a Schiole pietre dovevano ricordare unebreo e 13 operai degli stabilimentitessili della zona, e l’antisemitismonon era la chiave per spiegare quel-lo specifico caso.E ancora, nel Giorno dellaMemoria, un grande giornale dedicauna pagina agli “ultimi 13 custodidella Memoria”, di cui si pubblica-no anche le foto. Erano tutti ebreideportati a Birkenau. Ma ci sonocertamente altri ebrei ex deportatiancora viventi, che il giornaledimentica, e anche altre donne chefurono a Birkenau e portano ancorail numero di matricola tatuato sulbraccio anche senza essere ebree,per non parlare dei superstiti deglialtri lager e deportati per altri moti-vi, la cui tragedia evidentementenon è meritevole di menzione.

Questa confusione e questopressapochismo portanoacqua al negazionismo. La

campagna sistematica di gruppi raz-zisti e fascisti in rete fa il resto. Primo Levi si preoccupava di cosasarà della memoria il giorno in cuianche l’ultimo testimone sarà scom-parso. Ma quella memoria è sistematica-mente attaccata e negata già adesso,quando ancora alcune decine disuperstiti sono in vita e possonotestimoniare della più grande trage-dia che mai l’umanità abbia cono-sciuto. E, come talvolta accade, a darmanforte al negazionismo ci si met-tono, inconsapevolmente, alcuniche pure pensano di combatteresulla trincea opposta.

Dario Venegoni

tura, la negazione delle libertà demo-cratiche?

Eppure ce lo ha insegnato lo stessoPrimo Levi, un altro che tutti in que-sti giorni citano, evidentemente senzaaverlo letto: “La storia dellaDeportazione e dei campi di stermi-nio, la storia di questo luogo[Auschwitz, ndr], non può essereseparata dalla storia delle tirannidifasciste in Europa: dai primi incendidelle Camere di Lavoro nell’Italia del1921, ai roghi di libri sulle piazzedella Germania del 1933, alla fiam-

ma nefanda dei crematori diBirkenau, corre un nesso non inter-rotto”.

Se non si affronta il tema del per-corso che ha condotto alla trage-dia dei lager si rischia di non

comprendere nulla. Non si potrà spie-gare, per esempio, come mai circa tredeportati italiani su quattro sianostati arrestati e avviati ai lager nonper motivi “razziali”, ma “politici”.Di questi, in effetti, non si parla piùda diversi anni. Chi ricorda VincenzoPappalettera e il suo Tu passerai peril camino? E Piero Caleffi (Si fa pre-sto a dire fame)? E Giovanni Meloria(La quarantena)? Sono autori di librivenduti a centinaia di migliaia dicopie alcuni decenni fa. Chi conservamemoria della loro testimonianza?

L’eclisse della deportazione poli-tica è funzionale alla narrazionedelle destre, che concedono che

Mussolini fece effettivamente ununico, imperdonabile errore, quello di

ITandasse nella scuola a raccontare,come un Jukebox, la propria vicen-da di deportato (ricordo una presi-de che pretendeva che il testimonefacesse cinque volte in una mattinala sua performance: un’ora con leprime, un’altra con le seconde, evia così fino all’ultima ora conquelli di quinta).Oggi hanno capito che di testimoniin grado di girare per le classi nonce ne sono quasi più, e quindi siarrangiano.

Se guardiamo i programmi chei Comuni – anche i capoluo-ghi di Regione, per intenderci

– organizzano per il 27 gennaio c’èdi che trasecolare: le occasioni peruna riflessione sull’intero sistemaconcentrazionario di Hitler, o addi-rittura sugli obiettivi del NuovoOrdine Europeo, e cioè sulla strate-gia di lungo periodo del nazismo,sono del tutto assenti. Si approfon-discono dettagli, casi particolari –quest’anno andava abbastanza dimoda il caso degli sportivi deporta-ti; l’anno scorso si parlava decisa-mente di più degli omosessuali –ma non si azzarda mai un raccontod’insieme.

Il risultato è che tutti veniamobombardati di film, musiche,rassegne teatrali. E nel contem-

po crescono la confusione e ladisinformazione.Molti intendono l’unicità dellaShoah non come un complesso dimotivazioni che fanno effettiva-mente dello sterminio degli ebreid’Europa un unicum nella storiadel mondo, per le dimensioni dellatragedia e per le sue modalità; mapiù semplicemente come l’unicatragedia della seconda guerra mon-diale che valga la pena di ricorda-re. E infatti in tante narrazioni siparte dal 1938, con le leggi razzisteantiebraiche di Mussolini.

Ma nel 1938 (è un esempioche faccio spesso a questoproposito) mio padre

aveva già finito di scontare unacondanna a 10 anni di prigioneinflittagli dal Tribunale Specialeper la Difesa dello Stato per motivipolitici: sicuri che si possa raccon-tare il razzismo del regime saltan-do a pie’ pari la repressione di ognidissenso, la costruzione della ditta-

...si può piangere, per le vittime della

shoah e per il martirio di tanti antifascisti

e partigiani, annientatinegli stessi campi

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Aintegrazione di questa definizione, l’IHRA hapubblicato anche alcuni “esempi contemporanei diantisemitismo nella vita pubblica, nei media, nelle

scuole, sul luogo di lavoro e nella sfera religiosa, tenendoconto del contesto generale:

√ incitare e contribuire all’uccisione di ebrei o a danni aloro scapito, o a giustificarli, nel nome di un’ideologiaradicale o di una visione estremista della religione,

√ avanzare accuse false, disumanizzanti, perverse o ste reo -tipate sugli ebrei, in quanto tali, o sul potere degli ebreicome collettività, adesempio, ma nonesclu si vamente, il mitodi una cospirazionemondiale ebraica odegli ebrei che con-trollano i media, l’eco-nomia, il go verno oaltre istituzioni sociali,

√ accusare gli ebrei diessere responsabili dicom por ta menti scor-retti, effettivi o imma-ginari, commessi dauna sola persona o daun gruppo ebraico, oaddirittura di at ti commessi da non ebrei,

√ negare il fatto, l’ambito, i meccanismi (ad esempio le ca -mere a gas) o l’intenzionalità del genocidio degli ebrei per-petrato dalla Germania nazionalsocialista e dai suoi soste-nitori e complici durante la Seconda guer ra mon diale(l’Olocausto),

√ accusare gli ebrei come popolo, o Israele come Stato, diaver inventato o esagerato le dimensioni dell’Olo causto,

√ accusare i cittadini ebrei di essere più fedeli a Israele, oalle presunte priorità degli ebrei in tutto il mondo, che agliinteressi dei propri Paesi,

√ negare al popolo ebreo il diritto all’auto deter mina zio ne,ad esempio, sostenendo che l’esistenza di uno Stato diIsrae le è un atteggiamento razzista,

√ applicare una doppia misura, imponendo a Israele uncomportamento non previsto o non richiesto a qualsiasialtro Paese democratico,

√ usare simboli e immagini associati con l’antisemitismoclassico (ad es. gli ebrei uccisori di Gesù o praticanti ritua-li cruenti) per caratterizzare Israele o gli israeliani,

√ paragonare la politica odierna di Israele a quella deinazisti,

√ ritenere gli ebrei collettivamente responsabili delle azionidello Stato di Israele”.

Anche le destre inItalia hanno di -chiarato la propria

adesione a questa defi -nizione.Pochi giorni prima lostesso segretario dellaLe ga Matteo Salvini ave -va organizzato un conve -gno sul tema del l’anti -semitismo, invi tan do apartecipare la sena trice avita Liliana Segre. Un invito che arrivava abreve distan za dalla

scan dalosa astensione del centro destra in Parlamento sullaproposta della stessa Segre di istituire una commissione sulrazzismo, l’antisemitismo e l’odio in rete.

Secca è stata la replica della senatrice a vita, che ha scrittoa Salvini rifiutando l’invito:

Apprezzo l’iniziativa sull’antisemitismo, un problemache si riaffaccia virulento nelle cronache del nostro tempoin tanti Paesi d’Europa e del mondo intero. Ritengo peròche non si debba mai disgiungere la lotta all’antisemitismodalla più generale ripulsa del razzismo e del pregiudizioche cataloga le persone in base alle origini, allecaratteristiche fisiche, sessuali, culturali o religiose

La definizione dell’INTERNATIoNAL HoLoCAUsT REMEMBRANCE ALLIANCE

Contro l’antisemitismo e ogni forma di razzismoIl 17 gennaio scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato uffi cialmente la definizione diantisemitismo dell’IHRA, (International Holocaust Remembrance Alliance) che è già stataadottata da una tren tina di paesi. Questa è la definizione di antisemitismo secondo questa dichiarazione: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti. Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree, o non ebree, e/o la loro proprietà, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto”

‘su Vitebsk’ di Marc Chagall. Esprime l’essenza dell’ebreo errante.

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Liliana segre a salvini: contro tutti i razzismi

Caro collega, grazie dell’invito al convegno del16 gennaio prossimo a Roma, purtroppo nonpotrò partecipare perché una serie di im pegni

legati al Giorno della Memoria mi trat terranno aMilano tutto il mese. Apprezzo l’iniziativa sull’antisemitismo, un problemache si riaffaccia vi rulento nelle cronache del nostrotempo in tanti Paesi d’Europa e del mondo in tero”.Ritengo però che non si debba mai disgiungere la lottaall’antisemitismo dalla più generale ripulsa del raz -zismo e del pregiudizio che cataloga le persone in basealle origini, alle caratteristiche fisiche, sessuali, cul -turali o religiose. Questa visione mi pare tanto più necessaria in questafase storica, in cui le condizioni di disagio socialespin gono tanti a indirizzare la propria rabbia verso unca pro espiatorio, scambiando la diversità  per mi -naccia. “Ricordo con piacere la convergenza delle nostre ri -flessioni sui rischi di imbarbarimento della società e

Il leader dalla Lega aveva invitato la senatrice ad un convegno del suo partito sul tema dell’antisemitismo. Chiara ed esemplare la risposta della senatrice

sulla necessità di fare qualcosa, ciascuno nel proprioambito ed a partire dalla propria sensibilità per farviargine. Confido che il vostro convegno potrà dare un con tri -buto in questo senso e che anche nella commissionecon tro lo hate speech deliberata dal Senato si po -trà realizzare una fattiva collaborazione nel l’interessegenerale del popolo italiano”. Queste, per intero, le parole scritte dalla Segre e citatedal presidente Dario Venegoni sul suo articolo controogni forma di razzismo (vedi pagina a lato).

“Siamo noi la sua scorta.” Sono state queste le pri-me parole pronunciate dalla ministra perl’Istruzione, Lucia Azzolina.

“Nella storia d’Italia c’è uno spartiacque: le leggi raz-ziali del 1938. C’è un prima e un dopo, oggi l’Italia èun Paese che ripudia la guerra e la dittatura. Le leggirazziali furono leggi criminali, dopo quelle leggi fu l’a-bisso dei campi di sterminio”.Accolta come una vera star la senatrice a vita LilianaSegre al Teatro degli Arcimboldi di Milano, al suo ar-rivo gli oltre duemila studenti che affollavano la sala sisono alzati in piedi, accompagnandola con uno scrosciocontinuo di applausi fino al palco. Su alcuni cartelloni si legge: «Scudo all’odio è l’amo-re», «Grazie mille».

NoTIZIE

La scuola si mobilita contro ogni tentazionenegazionista e fascista

“siamo noi la sua scorta”, gli studentiaprendo l’incontro con Liliana segre al teatro Arcimboldi a Milano

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Aned, Fondazione Memoria della Deportazione eComune di Milano hanno presentato alla Casa del-la Memoria la Mostra “Arte, Testimonianza,

Memoria”, valorizzando materiali originali messi a dispo-sizione dalla Fondazione che ne è depositaria, e ad essa vaun convinto ringraziamento per la collaborazione.La mostra espone 27 teli originali - mai mostrati in sedepubblica, della spirale pittorica affidata alla maestria del-l’artista palermitano Pupino Samonà - alcune prove d’au-tore su carta e lo straordinario pannello (lungo 10,50 x 1,50metri) che rappresenta la verifica dimensionale di un arcocompleto della spirale. La mostra espone anche una seriedi documenti che consentono di leggere il progetto nellasua complessità multidisciplinare.

L’obiettivo fondamentale di questa impegnativa e ori-ginale iniziativa è stato quello di proporre una am-pia valutazione artistica, storica e politica, che con-

sente di affrontare i temi della Testimonianza e della Memoria

delle Deportazioni - di tutte le Deportazioni, politica, raz-ziale, militare, di genere, religiosa - e per rimuovere defor-mazioni che si sono stratificate con il trascorrere del tem-po. E infine per valorizzare il patrimonio ideale e storicodi Aned.

Riproporre questi frammenti dà modo di esaminarli evalutarli a distanza ravvicinata e di esprimere un giu-dizio sul rapporto Arte/Memoria.

E consente quindi di indignarsi sui motivi, espressi auto-ritariamente dalla direzione del museo di Auschwitz, checondannò in modo unilaterale il Memoriale allo sfratto inquanto “opera d’arte” che non rispondeva a “nuove lineeguida” del Museo: espo sizione di documenti, oggetti e ci-meli appartenuti ai deportati, cifre e dati, con esclusione dianalisi etico-politiche sui motivi della tragedia delle de-portazioni e dello sfruttamento criminale del lavoro-schia-vo pianificato fino alla morte. Le valutazioni negative, rafforzate da indicazioni di natu-

Arte, Testimonianza,Memoria.Alla Casa dellaMemoria una grandemostra dei teli di Pupino Samonà

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ra politica – che vietavano la rappresentazione di simboliche si richiamassero ai totalitarismi del XX secolo, con unaimpropria e storicamente infondata equiparazione fra na-zismo, comunismo e stalinismo - hanno determinato lachiusura del Memoriale, il suo conseguente degrado, finoalla minaccia di definitiva demolizione: tutto avvenne nel-l’indifferenza degli organi istituzionali italiani dell’epoca. In questo contesto, Aned fu costretta, fra il 2009 e il 2015,dopo una negoziazione durissima condotta da GianfrancoMaris, ad adoperarsi per far rientrare in Italia il Memoriale.

Arte: è il primo titolo della mostra perché riconoscenel Memoriale la dignità di una opera d’arte multi-disciplinare che trasmette memoria e ricordo e nella

quale si accende una straordinaria tensione emotiva, do-vuta all’interazione tra la parola e l’analisi storica di PrimoLevi, lo spazio architettonico di Lodovico Belgiojoso, in unpercorso cromaticamente ossessivo, cadenzato dai colori (ne-ro, rosso, giallo, bianco) dei teli di Samonà, illuminato e scan-

Narrazione del destino diun’opera d’arte: si trattadei “frammenti originali”dei dipinti realizzati per ilMemoriale in onore degliItaliani assassinati neicampi di sterminionazisti, montato nelBlocco 21 di Auschwitz e sfrattato dalla nuovapolitica polacca.

dito dalla regia di Nelo Risi e accompagnato dalla musicadi Luigi Nono: un gruppo di intellettuali di prima gran-dezza del Novecento italiano, che ha realizzato un’opera col-lettiva e coordinata che orienta conoscenza, memoria, sto-ria e giudizio etico-politico.

Alla fine, con importante e significativa sensibilitàpolitica e istituzionale, il Comune di Firenze e laRegione Toscana, entrambe sedi di quote significa-

tive di deportazione di massa, hanno trovato una degna col-locazione al Padiglione EX-3 di Firenze Gavinana. E quin-di, con un’operazione complessa, ma virtuosa, è stato pos-sibile coordinare una pluralità di soggetti impegnati a supe -rare ostacoli e procedure defaticanti. Il Ministero dei BeniCulturali e del Turismo ha consentito che ci si avvalessedell’Istituto centrale per il Restauro di Roma, il quale si èoccupato dello smontaggio, assai complesso, del Memoriale,della sua messa in sicurezza e del trasporto specializzato aFirenze.

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Questa integrazione si rende necessaria perché ogni al-terazione di un cimelio identitario genera contra-rietà e sofferenze; figurarsi la cancellazione – dal

sito per cui era stato realizzato – del Memoriale in onore de-gli Italiani assassinati nei campi nazistiLa mostra quindi - prodotta da Aned, Fondazione Memoriadella Deportazione e Comune di Milano - assieme alla ri-costruzione completa del Memoriale allestito a Firenze,rappresenta uno sforzo di restituzione di Memoria e di com-pensazione da una gravissima offesa e testimonia un do-veroso riconoscimento della Deportazione italiana.

È infine un’anticipazione di conoscenza di cui ANED eMilano si sono fatte carico perché chi vuole approfondirela qualità artistica del Memoriale si rechi a Firenze dove po-trà visitare l’opera nella sua ricostruzione filologica com-pleta e riconoscere i frammenti che qui sono esposti.

Giuliano Banfi

Ancora il Ministero ha impegnato l’Opificio dellePietre Dure, eccellenza italiana riconosciuta mon-dialmente, perché procedesse al restauro dei sei-

centosessanta metri quadri della spirale pittorica di Samonà.L’opera è stata quindi rimontata in accurata ricostruzionefilologica del progetto originale. Privati cittadini e aziende hanno contribuito al finanzia-mento di un patrimonio artistico italiano, che - pur sottrat-to al suo contesto originale - rimane a testimonianza dellepiù drammatiche fasi della storia dell’umanità.

Al pianterreno della Casa della Memoria c’è un pan-nello del 1945 con le fotografie dei caduti dellaResistenza milanese e lombarda del 1943-45, rea-

lizzato dal Comitato di Liberazione Lombardo e dall’Anpi,che è diventato parte integrante dell’esposizione, in quan-to rappresenta la nostra gente, i nostri morti, il loro sacri-ficio in una continuità ideale fra Resistenza e Deportazione.

Nella foto del 1979 a partire da sinistra Abele saba,Giuseppe Lanzani, Mario Pupino samonà, LodovicoBarbiano di Belgiojoso e Gianfranco Maris. A destra,l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini visita la Mostraalla Casa della Memoria. In basso ancora altriframmenti delle opere che Pupino sa mo nà dipinse perla spirale, traducendo in un linguaggio pittorico il sen sodello scrit to che Pri mo Levi aveva rivolto ai visitatori.

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La maratona culturale di Moni ovadia a savona coinvolge i giovani nel Giorno della Memoria 2020

Il 27 gennaio 2020 si è celebrato il “Giorno della Memoria”con l’eccezionale partecipazione dell’attore-regista

Come è ormai tradizione il teatro comunale “G.Chiabrera” ha visto la partecipazione di circa 600studenti accompagnati dai loro docenti.

L’iniziativa è stata aperta dalla sindaca di Savona dotto-ressa Ilaria Caprioglio, la quale si è congratulata unitamenteall’assessore alla cultura Rodino per la presenza di cosìtanti ragazzi, ai quali ha chiesto una riflessione sul valo-re simbolico della giornata.Quindi a nome dell’Aned e dell’Isrec, la professoressaGiosiana Carrara ha letto la legge istitutiva per il Giornodella Memoria e presentato il tanto atteso Moni Ovadia.L’attore accolto da una calorosa ovazione da parte di tut-ti, anziché esordire con un monologo, come previsto dal-l’organizzazione teatrale, ha immediatamente dialogatocon i giovani citando fatti storici, filosofi e rappresenta-ti della cultura dei tempi passati; facendo riferimento an-che a specifiche opere d’arte ha ribadito che tutte le cul-ture, sia religiose che laiche, sono e devono tendere a ri-solvere con giustizia la tragedia dei popoli oppressi. Unparticolare riferimento ha indirizzato alla politica perchéla tragedia della questione israeliana e palestinese sia ri-solta nella pacifica convivenza tra i popoli. Un particolaremonito, indirizzato ai giovani, insisteva soprattutto sulfatto che il bullismo sia una forma di discriminazione.I giovani studenti avevano preparato una sessantina didomande da porgli, purtroppo il tempo non è stato suffi-ciente e Ovadia ha promesso che avrebbe risposto alle ri-manenti domane via whatsapp. Gli studenti hanno accet-tato insistendo con due ultime domande:

1. Il razzismo e l’antisemitismo sono la stessa cosa?2. I tedeschi potevano non conoscere l’esistenza dei lagersul loro territorio.

Con lo stesso calore con cui è stato accolto, un lungo ap-plauso ha dimostrato la giusta scelta per quella occasio-ne.La seconda fase della giornata è stata dedicata ad un in-contro di Ovadia con i parenti dei deportati, organizzatodall’Aned e dalla libreria Ubik. Gli organizzatori aveva-no pensato ad un incontro “famigliare”, invece è statauna grande assemblea popolare.La sala Rossa del Comune di Savona non è stata suffi-ciente ad accogliere il numeroso pubblico, che si è adat-tato a sedere per terra occupando tutto lo spazio disponi-bile.L’autore ha ripreso in parte i temi già espressi nella mat-tinata, chiamando i presenti ad un impegno sempre piùevidente contro i simboli che si richiamano alla discri-minazione e al nazismo.Moni Ovadia ha, quindi, espresso solidarietà e condivi-so l’attività dell’Aned, soprattutto per le iniziative cheriguardano la pace. Si è concentrato contro il pericolo deirigurgiti di politica di destra auspicando, per l’Europa,lo sviluppo di cultura antifascista a favore di una solu-zione per il conflitto israelo-palestinese e sottolineandoche le fedi religiose non possono essere motivo di guer-ra.Inoltre il 30 gennaio a Savona l’Opera Giocosa ha mes-so in scena l’opera lirica “La Tosca a Buchenwald” pres-so il Teatro Chiabrera, con il patrocinio dell’Aned; si so-no svolte due rappresentazioni al mattino per le scuolemedie ed alla sera aperta al pubblico. In entrambe la pre-sentazione è stata fatta ad opera della presidenza dell’Aned.

A pagina 67 dedichiamo ampio spazio a questa opera.Maria Bolla Aned Savona-Imperia

NoTIZIE

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La scenografia è il lager stesso

Partiti dal libro di Liana Milliu

I luoghi: una derivazione dai campi

e Fondazione dei Sotto Campi di Au -schwitz-Birkenau per le autorizzazioni el’individuazione dei luoghi per le riprese.

È estremamente significativo aver realiz-zato questo film nel luogo originario dovele vicende narrate dalla Millu sono avve-nute, con protagonisti le ragazze e i ragaz-zi dell’Istituto Archimede, con lo scoponon solo di ricordare le vittime, ma anchedi realizzare un documento adatto alla dif-fusione della didattica della memoria, damettere a disposizione di scuole, associa-zioni e Istituzioni pubbliche e private.

Questo progetto non avrebbe mai potutoessere realizzato senza il grande supportoe lo straordinario sostegno della Fon da zio -ne dei Sotto Campi di Auschwitz-Birkenauhttp://www.auschwitz-podobozy.org/en/,che ha messo a disposizione luoghi e ma -teriali originali, e senza l’autorizzazionedel Museo di Stato di Auschwitz-Birkenauhttp://auschwitz.org/en/ che ha autorizza-to le riprese all’interno dei campi principa-li relativamente alle sole strutture, in quan-to riprese di rappresentazioni sono vietatedal Re golamento del Museo.

Le riprese sono state effettuate (nelle fo-to in alto) a:BUDY-BOR (1942-1945), ex scuola tra-sformata in colonia penale femminile do-ve le prigioniere venivano impiegate per

Girano un film ad Auschwitz(e lo interpretano) gli studenti di San Giovanni in Persiceto

Il progetto, finanziato e patrocinatodall’Assemblea legislativa della RegioneEmilia Romagna, ha previsto in una pri-ma fase, in occasione del Giorno dellaMemoria 2019, la realizzazione di unarappresentazione teatrale tratta dal libro“Il fumo di Birkenau” di Liana Millu, so-pravvissuta ad Auschwitz/Birkenau.In una seconda fase, durante il viaggiodella memoria a Cracovia e Auschwitz adinizio ottobre 2019, si è realizzata la tra-sposizione filmica dell’opera della Millu.

Il cortometraggio prodotto riproduce i seiracconti presenti nel libro, dove al centrovi sono storie di donne. La Millu, testi-mone e scrittrice, osserva il dramma deicampi di concentramento e di sterminiodal punto di vista femminile ed è, quin-di, la particolare condizione delle depor-tate al centro delle storie raccontate.Le allieve e gli allievi dell’Istituto Archi -mede sono gli interpreti ed hanno lavo-rato intensamente per la preparazione eper la realizzazione del video, coordina-ti dalle docenti dell’Istituto Daniela Sa -guatti e Lucia Castelvetri e diretti dallaregista Francesca Calderara. Le riprese, curate da Michele Varasani,sono state effettuate nei luoghi originalidi Auschwitz-Birkenau e nei sotto campiadiacenti. Il Dirigente Scolastico Mauro Borsarini hacurato i rapporti con le Istituzioni polac-che, Museo Statale di Auschwitz-Birkenau

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Un’esperienza vissuta in gruppo

gli scavi e la pulizia degli stagni e per lacostruzione di argini; nella notte del 5 ot-tobre 1942 vennero assassinate, con ascee bastoni, 97 prigioniere francesi.

KANTINE (1941-1945), grande struttu-ra, completamento in legno, costruita daideportati tra il 1941 e il 1942 distante cir-ca 400 metri dall’ingresso del campo prin-cipale Auschwitz 1. Era la cucina e men-sa degli ufficiali nazisti e SS, ma anchese de di spettacoli teatrali e cinematografi -ci, poteva contenere oltre 1000 persone.

JUDENRAMPE (1942-1944), dal 1942fi no ad aprile 1944 ha funzionato comeban china di arrivo dei treni che trasporta -vano gli ebrei da tutta Europa. Dista cir-ca 1 km sia da Birkenau che da Auschwitz,cam po principale. Qui sono giunte circa800.000 persone tra cui Primo Levi e Li -lia na Segre. Solo dal maggio 1944 la ban-china di arrivo e la nuova Judenrampeven gono trasferite dentro al campo di Bir -kenau per ricevere i circa 400 mila ebreidella grande deportazione ungherese, inquest’ultima Judenrampe arrivò, invece,il 23 maggio 1944 Liana Millu insieme aPiero Terracina.

Infine, un supporto significativo è statoda to dalle guide dei campi Michele An -dreola e Diego Audero, per aver condot-to le studentesse e gli studenti attraversoi luoghi e i racconti in modo professiona -

le e allo stesso tempo emozionante. Il 4 febbraio 2020, nel cinema di San Gio -van ni in Persiceto, è stata presentata lapri ma visione del film, alla presenza dinu merose autorità locali, di Piero Stefani,docente universitario, profondo conosci-tore dell’opera e della vita di Liana Millu,il quale ha, tra l’altro, presentato un testoinedito della scrittrice dedicato alla feli-cità femminile nel lager, e con un colle-gamento telefonico in diretta con l’attri-ce Ottavia Piccolo, che ha nella sua car-riera più volte interpretato e letto i testidella Millu.

Fermo restando i limiti tecnici del lavoro,non effettuato da professionisti, in soletre giornate di riprese e una di doppiaggioe con pochi mezzi a disposizione, il va-lore del film va ben oltre la sua riuscitatecnica. Le studentesse e gli studenti del -l’Archi me de hanno vissuto una esperien-za condi visa in gruppo, a contatto con luo-ghi e materiali storici originali, che hamodificato la loro vita e il loro modo di es-sere, sono stati straordinari interpreti divicende che hanno inciso sulla loro sen-sibilità e sul loro pensiero, sia in veste divittime che di carnefici. Questi giovani saranno i portatori dellamemoria nel futuro per un rinnovato im-pegno per la convivenza, il dialogo e lapace tra i popoli.

Mauro BorsariniDirigente Scolastico ANED Bologna

L’Istituto Archimede di San Giovanniin Persiceto, un comune della cittàmetropolitana di Bologna, ha realizzato un’opera unica nel suo genere, probabilmente mai realizzata prima da una scuola

sia a livello nazionale che internazionale: un cortometraggiointerpretato dalle ragazze e dai ragazzi e girato in luoghi originali,come i sotto campi di Auschwitz-Birkenau.

E le guide per aver ben condotto

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A Ravensbrück viaggio e ritorno

Così una ragazza racconta la scenavista oggi da lei

scena uno. Al quartiere di Centocelle

6 Aprile 1944, Roma, quartiere di Centocelle.La primavera quest’anno non voleva arrivare,c’era la guerra, una guerra ingiusta partita afianco dei tedeschi, mentre tutti aspettavamo diessere liberati dagli ex nemici, gli alleati sbar-cati ad Anzio il 22 gennaio che ci avevano il-lusi. Ma dovevamo ancora soffrire. Mi chiamo Clara e ho diciassette anni; ero con-siderata da tutti una studentessa modello. L’annoscolastico si avvicinava alla fine e così pure(ma non lo sapevamo) l’occupazione nazi-fa-scista della mia città che sarebbe avvenuta ilprossimo 4 giugno…Camminavo da sola sul marciapiede poco lon-tano da Piazza dei Mirti, dove mio fratello sta-va spesso sotto al pergolato all’osteria per in-contrare i partigiani: era un oppositore del re-gime fascista, stampava volantini che incita-vano all’insurrezione e li distribuiva con gran-de rischio in città. Il che procurava grandepreoccupazione a mia mamma, mentre in-stancabile lavorava come sarta in casa. Miopadre invece era impiegato di concetto al Palazzodel Rettorato alla nuova Sapienza: ancora siricordava l’inaugurazione in pompa magna colRe e Mussolini nel ’35. Di famiglia antifasci-sta, era continuamente controllato e richiama-to all’ordine dai superiori. Me ne ritornavo a casa con i libri allacciati conl’elastico sotto braccio, d’improvviso vedo lastrada sbarrata da squadre di camicie nere e

Gli studenti di orvieto a Ravensbrück in una mostra di fotografie e testi (alcuni pannelli in queste pagine).sono di Ambra Laurenzi, presidente del ComitatoInternazionale di Ravensbrück, le foto di questo pannellocon i ritratti dei ragazzi durante la visita al campo.

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In occasione del “Giornodella Memoria”, si è svoltanel gennaio scorso, pressoil Palazzo del Go verno aTerni, una cerimonia dicommemorazione de dicataal ricordo della Shoah,delle persecuzioni delpopolo ebraico e deideportati nei campi nazisti.Nel suo intervento il pre -fetto Emilio Dario Sen si,ha sottolineato l’importan-za del ricordo non solo perrendere omaggio alle vitti-me dell’Olocausto maanche per non dimenticarela tragicità di un periodobuio del nostro Paese edel l’intera Europa. Un mo nito affinché similieven ti così lontani nel tem - po rimangano vividamenteimpressi nella me moria enon si ripetano più nel ci -clico corso della storia.Alla cerimonia ha parteci-pato Mirella Stan zione chefu deportata nel cam po di

Ravensbrück. Era stata ar restata, nellapropria abitazione, il 2luglio 1944 dal le SS assie-me alla madre NinaTantini e al fratello Auroche era un partigiano edapparteneva ai Gap (Grup - pi di azione pa triot tica).Una spia aveva rivelato, aina zisti, che in quella casasi tenevano at tività antifa-sciste. Durante la celebrazione èstata presentata la mostrafotografica (in queste pa -gi ne ne proponiamo alcunidei pannelli) “Raven sbrü -ck, la memoria di un viag-gio” realizzata dagli stu -denti dell’Istituto d’I stru -zione Superiore scien tificoe tecnico “Majo ra na-Mai -tani” di Orvieto e curatadalla fo tografa AmbraLaurenzi, presidente delComitato Inte r nazionale diRaven sbrück e consiglieranazionale dell’Aned.

soldati tedeschi, camionette, urla, spari, michiedono i documenti col mitra puntato, e poiil buio. Eravamo le vittime dell’ultimo ra-strellamento nazifascista a Roma prima dellaLiberazione.

La violenza del tuo corpo ostaggio di scono-sciuti, le minacce, la confisca degli orologi per-ché in quel preciso momento il tuo tempo de-ve fermarsi. Presa nel vortice dell’insensa-tezza che ti avvolge d’un tratto e senza alcu-na ragione: l’accusa è “comportamento anti-patriottico”. A diciassette anni. E poi l’odore, l’oscurità del vagone mercipiombato, il dolore, il cassone di sabbia peri bisogni corporali e il pianto dei tanti altristipati assieme a te come animali: per quasitutti noi sventurati “passeggeri” il destino ègià segnato, ma ancora si spera.Il treno accelerava e poi rallentava, talvoltasi fermava e poi riprendeva il viaggio versoNord incerto ma implacabile, verso l’igno-to, verso la paura. Da una fessura vidi unacittà incantata sopra una rupe. Anni dopo seppi il suo nome: Orvieto. CiaoItalia. Durante il trasporto nessuna riusciva adimmaginare niente di peggio del carcere, del-la cella, delle torture, della paura delle rap-presaglie sui propri cari, ma nessuna di noi po-teva sapere cosa fosse in realtà un campo diconcentramento.

scena due. La confisca degli orologi

A Terni con Mirella stanzioneapre la mostra su Ravensbrück

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scena tre. Quattro giorni di viaggioDopo quattro giorni e quattro notti di viaggionon si sa per dove, il convoglio si ferma da-vanti alla stazione di Furstenberg, in Germania.Si aprono con fragore le porte dei treni, toccasaltare giù sia che tu abbia diciassette anni co-me me, sia che tu ne abbia ottanta, come la si-gnora Nora che abitava al Portico di Ottaviaed era scampata alle prime retate antisemitedell’autunno scorso. Ad aspettarci le SS tede-sche che urlano comandi secchi, in tedesco,cani lupo, aggressività e violenza nella postu-ra, nei colori, nei gesti, nella procedura. Se noncapivi - certo che non capivi, ti urlano in tede-sco - giù manganellate sulla schiena. “Schnell!schnell!” e noi tutte, dolenti e spaesate, ci in-colonniamo e marciamo lungo una strada: al-la fine si intravvede un muro nero con un gran-de portone. Benvenuti a Ravensbruck, l’unico campo esclu-sivamente femminile della Germania nazista.Nessuna persona normale può immaginare l’a-spetto di una cosa simile, una citta concepita,studiata e strutturata apposta per violentare lapersona, per umiliarla, per distruggerla, perrenderla bestia.

Appena entrata nel lager mi rendo subito con-to che tutte le speranze sono inutili: “migliaiadi donne, tutte apparentemente uguali, con lostesso aspetto scheletrito, con gli stessi occhi

scena quattro. Le speranze inutili

Viaggio aRavensbrück

(e ritorno) per

raccontare

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scena sei. Non è facile tornare a casa

matica: bastò un attimo e il pesante marchin-gegno le aveva fratturato un dito e tagliato il dor-so. La soccorsero, fecero finta di medicarla ininfermeria, e poi il vuoto, Dina Callimanni nontornava, non c’era più, il suo posto vuoto e do-po due giorni rimpiazzata da una internata po-lacca di nome Joanna. Nel buio di novembre aRavensbrück ho appena la forza di guardare inalto il camino che fuma, che fuma con un fu-mo denso e bianco. E il tuo cuore va in frantu-mi, in quell’aria c’è la mia amica.

Liberi? Da chi e come? L’aria nuova e pulita perchi ha vissuto come un topo tra gatti affamatidi sangue per 384 giorni non la reggi più. È come chi dalla città va in alta montagna: trop-po ossigeno, troppa purezza, troppa libertà pos-sono far male. Non è facile tornare a casa, unacasa che non c’è più. I tuoi compagni di viag-gio sono quasi tutti rimasti lassù, in Germania. Difficile spiegare perché sei sopravvissuta, co-s’hai fatto, come sei potuta ritornare in patria;meglio chiudersi per un tempo tendente infinito.Poi chissà, l’incantesimo potrà rompersi e al-lora parlerò e aprirò il mio cuore rammendatodi novantenne reduce di Ravensbrück, e spie-gherò tutto a tutti affinché non si ripeta nulla delgenere nei secoli dei secoli! Vivi la tua libertà ogni giorno, difendi i valoridemocratici, non rendere inutile il sacrificiodi Dina e di milioni di innocenti.

Beatrice oliveti

scena cinque. Dina non c’era più

spenti, con gli stessi vestiti di stracci”.L’antipasto è il corpo violato, la svestizione,la rasatura, l’annientamento di ogni sentimen-to e la spersonalizzazione programmata. E poibastonate, schiaffi, soprusi: si cambia ritmo,ragazze. Definitivamente.La vita nella mia baracca, stracolma e insalu-bre, era il luogo migliore che ci fosse dato, e poiil lavoro. Primo comandamento, vietato farsi ma-le; di sbagliare qualcosa non se ne parla nean-che. Chi sbaglia, si taglia, schiaccia o ferisce an-che poco è spacciato, direzione una “confor-tevole” camera a gas che in circa quindici in-terminabili minuti ti spedisce al Creatore e poial forno crematorio. Ecco cosa sono il Nazismo, e il conniventeFascismo applicato! L’industria della morte.

Dina era la mia migliore amica al campo; la-voravamo assieme a confezionare divise per i“prodi guerrieri” del Terzo Reich; veniva daVenezia, da padre italiano e mamma di cultu-ra ebraica. Il suo nome in ebraico come perun’ultima beffa del destino significava “giu-dizio” e nella Bibbia era la figlia di Ya’acòv eLea (Genesi 30:21). Per questo motivo era sta-ta, per così dire, fortunata e non era finita su-bito ad Auschwitz Birkenau come i suoi non-ni prelevati a casa nel Ghetto veneziano. Qui poteva lavorare e un poco pure sperarechissà d’avere un futuro. Un giorno di Novembresi ferì alla mano destra con una cucitrice auto-

Un gruppo di insegnanti e distuden ti dell’IIST “Et tore Majo -rana” di Orvieto ha compiuto,nell’ottobre 2019, un viaggio aRaven sbrück. Al ritorno, hannoriflettuto con testi e disegni sul-la loro esperienza.Pubblichiamo, qui, alcuni deglielaborati, dalla mostra al lavoroteatrale di Beatrice Oliveti ispi-rato dal contributo alla memoriadi un testimone diretto, LidiaBeccaria Rolfi che fu deportatanel campo di Ravensbrück, perragioni politiche, e dall’artico-lo “L’oro di Centocelle”diFrancesca Gentili

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Mi chiamo Ester e CREDo nel futuro.

Mi chiamo Ester, ho dodici anni e sono lamigliore della scuola ... d’accordo, in effetti nonproprio la migliore della scuola ma comunquesono brava e mia mamma è orgogliosa di me.La mia materia preferita è la matematica, sonotalmente brava che ieri è arrivata una lettera daparte della scuola alla mia famiglia, mia mam -ma piangeva di gioia. Non l’ho letta personalmente ma la mamma miha spiegato che non potrò più frequentare lascuola! Incredibile, vero? Finalmente si sarannoresi conto che sono troppo intelligente rispettoalla mia classe.Ad essere sincera sono leggermente dispiaciutaperché le mie amiche Anna e Sara mi manche-ranno, però la mamma ha detto che supereremotutto e che inizierò a studiare a casa.In ogni caso da grande sarò una grande scienzia-ta, ne sono certa.

Mi chiamo Ester e CREDo nel futuro.

Non ho ancora iniziato a studiare a casa perchéla mamma non ha trovato un maestro adatto.Tutti rifiutano l’incarico dicendo che non hannointenzione di insegnare ad una ebrea, in realtàperò io so che non vogliono insegnarmi perchépensano di non essere all'altezza... peggio perloro.Ieri pomeriggio inoltre ho incontrato Anna e suopapà, ad Anna si sono illuminati gli occhi ve -dendomi, ero così felice che stavo per svenire ...poi però suo papà le ha tirato i capelli tanto forteda farla piangere, l'ha sgridata e le ha detto chenon deve né parlarmi né salutarmi. Non so il motivo di questo gesto ma, vedendoAnna in lacrime, mi si è spezzato il cuore.

Mi chiamo Ester e “Credo”nella memoria.Lisa raccontacome fosse lei

L’Aned, sezione provinciale della Spezia,anche per l’anno scolastico 2019-20 haorganizzato il concorso provinciale intitolato aFranco Cetrelli e Adriana Revere, con unaBorsa di Studio destinata agli studenti deltriennio superiore. Il concorso gode del patrocinio di Regione Liguria, provincia e Comune della Spezia e Ufficio scolasticoprovinciale.

La proclamazione dei vincitori si è svoltadurante la seduta solenne del ConsiglioComunale straordinario in occasione del Giorno della Memoria alla presenza delleautorità.

Per gli studenti vincitori, e altri giudicatimeritevoli, il premio consiste nellapartecipazione al viaggio studio -pellegrinaggio organizzato dalla nostraassociazione di La Spezia nel mese di maggio 2020 in occasione della cerimoniainternazionale nel 75° anniversario dellaliberazione del Campo di Mauthausen.

Tra i tanti lavori pervenuti ha particolarmente colpito l’interpretazione di Lisa Leri, che ambienta il suo scritto nel maggio, giugno, luglio e agosto del 1941.Lisa frequenta la III E del liceo classico Lorenzo Costa della spezia.

03.05.1941

15.05.1941

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Il concorso per l’anno scolastico 2019/2020 dell’Aned La spezia ricordaFranco Cetrelli e Adriana Reveredue giovanissimideportati e uccisi

Franco Cetrelli nasce alla Spezia il 24 dicembre 1930; apprendista nel nego-zio del fotografo di Migliarina, è catturato assieme al titolare il 19 settembre1944, durante una serie di arresti di partigiani e collaboratori della Resistenza.Avviato alla Caserma XXI Reggimento Fanteria della Spezia e successiva-mente al Campo di Bolzano, è deportato a Mauthausen con il trasporto n.119. Il 22 aprile 1945 è fucilato per rappresaglia dalle SS nell’Appelplatz.

Adriana Revere nasce alla Spezia il 18 dicembre 1934; i genitori Emilia DeBenedetti e Enrico Revere sono arrestati in Vezzano Ligure per appartenenzaalla “razza ebraica”; la piccola è catturata insieme a loro e inviata al Campodi concentramento di Fossoli. Il 22 febbraio 1944, con lo stesso trasporto di Primo Levi, la famiglia èdeportata al Campo di sterminio di Auschwitz; il padre trasferito aFlossenbürg è ucciso otto mesi dopo l’arrivo; la piccola e la madre sono ucci-se il giorno stesso dell’arrivo ad Auschwitz, il 24 febbraio 1944.

Mi chiamo Ester e CREDo nel futuro.

Oggi mentre giocavo in giardino si sono presen-tati due signori e mi hanno chiesto il mio nomee il mio cognome, dopo mi hanno chiesto diandare a chiamare la mamma ed io così ho fatto.Appena la mamma ha visto i due signori mi haordinato di entrare in casa e chiudermi in came-ra, così adesso mi trovo in camera ad aspettareche mi venga a chiamare, sono molto emoziona-ta, quelli potrebbero essere i miei nuovi maestri.

Mi chiamo 5547 e CREDo nel futuro.

Alla fine lo scorso mese (quei due uomini nonerano maestri), la mamma non mi ha detto i loronomi anche perché appena è tornata in casa hainiziato a tremare dalla paura, ha detto che di lì apoco saremmo dovute partire per un viaggioverso la Polonia.Siamo partite due giorni dopo su una specie ditreno insieme a centinaia di altre persone. C’erauna puzza insopportabile e le persone sembrava-no tutte tristi, persino la mamma che è un’incre-dibile guerriera mi è sembrata distrutta.Siamo arrivate qualche giorno dopo e subito cihanno assegnato un numero, io da oggi in poimi chiamerò5547 e la mamma 8340, a me sembrava tuttodivertente fino a che non ci hanno tagliato icapelli e dopo ci hanno addirittura separate.La mamma senza capelli faceva un pò paura maera comunque bellissima.Prima di portarla via, mi ha detto che mi vuolebene e che dovrò essere coraggiosa.È tanto tempo che non la vedo e mi mancamolto, non siamo mai state separate per unperiodo così lungo ma spero che almeno lei sistia divertendo.

19.08.1941

20.08.1941

21.08.1941

17.07.1941

20.06.1941

Il cibo è letteralmente disgustoso e non ho nes-suno con cui parlare ... Da alcuni giorni perònevica! La neve ha un colore diverso, sul grigio,io lavoro tutto il giorno e, non avendo il tempodi studiare e giocare, mi diverto a guardarlascendere a fiocchi.

Mi chiamo 5547 e CREDo nel futuro.

Sono davvero stanca ... mi manca la miamamma.

Mi chiamo 5547 e CREDo nel futuro.

Oggi è venuta una signora che ha detto a me ead alcune mie compagne di stanza che staseraverremo portate in una specie di doccia, credosia bello finalmente fare una doccia dopo tantotempo e non capisco perché le mie compagnestiano continuando a piangere da ore.

Mi chiamo Ester e CREDo nella memoria.

Lisa legge il suo elaboratodurante laseduta solennedel Cosigliocomunale.

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Achille ignorava che il personale del lageraveva sostituito le parole con le botte e nonpoteva immaginare che qualcuno avrebbe vi-sto in lui non un uomo con cui comunicare,ma solo una bestia da annientare con disuma-na violenza. Quel dizionario gli fu rispeditoquando fece ritorno a casa: da quel momentoera un uomo libero e poteva riappropriarsi del-l’uso della parola, nell’immane sforzo di tro-vare quelle giuste per descrivere ciò che ave-va subito. Angelo, invece, dopo essere tornato da Dachau,scrisse al Ministero dell’As sistenza Postbellica,perché un annuncio sul giornale invitava gli exinternati a segnalare i loro indirizzi, per ria-vere indietro gli oggetti che gli furono sottrattiall’ingresso nel lager.

Quel Ministero cercò di mettersi in contattocon tutti i sopravvissuti, con i familiari di co-loro che non fecero ritorno e con i sindaci deiloro paesi di residenza, per provare a colma-re almeno in parte quell’indicibile dolore, re-stituendo gli averi dei propri cari. L’oro logio,il portafoglio, l’accen disigari, il pettine, lapenna stilografica, un mazzo di chiavi. Oggettimeticolosamente archiviati dai nazisti, dal va-lore materiale quasi nullo, ma di inquantifi-cabile valore umano e affettivo. Le carte chetestimoniano queste operazioni di restituzio-ne, le buste che contennero gli oggetti, le let-tere fra il Mini stero e i sindaci e le risposte de-gli interessati sono oggi conservati in un fon-do dell’Archivio di Stato di Mi la no. Più di1600 fascicoli riguardanti gli effetti perso-

Il mio incontro con Antonio Savoldelli,deportato dai nazifascisti con mio nonno Bonifacio Ravasio.75 anni dopo, grazie a un documentoconservato all’Archivio di Stato diMilano, un giovane ripercorre il camminodi due ragazzi che finirono in un lager.

Carlo giunse a Buchenwald con in tasca un por tafortuna, che purtroppo non fece il suo dovere; il portafortuna si sal vò e tornò nelle mani di suo padre,quelle stesse mani che invece avrebbero tanto voluto stringere loro figlio.

Ad Achille furono sequestrati diversi og getti quando fu internato nel lager, fra cui un dizionario italo-tedesco, che probabilmente credeva potesse essergli utile per orientarsi in Germania.

Hanno conservato gli effetti di tutti

Agosto 1944, due ragazzi bergamaschi arrivano a Buchenwald: il nipote di uno di loro racconta

Bonifacio Ravasio militare in Italia e, in piccoloricavata dalla scheda tedesca, la foto da deportato inGermania.

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nali di persone state a Bu chenwald e Dachau. Durante la scorsa estate, siamo andati conAndrea Giovarruscio e Georgia Mariatti a esa-minare quei documenti. Fra quei fogli, ce n’e-ra uno riferito ad un certo Antonio Savoldelli,na to a Clusone, in provincia di Bergamo.Essendo nipote di un deportato nato ad AlzanoLombardo, paese che, come Clusone, si tro-va in Valle Seriana, quel documento mi incu-riosì. Insieme ad Andrea e Georgia andammoa cercare qualche informazione in più sul si-gnor Savoldelli.

I documenti dell’archivio di Arolsen dispo-nibili online ci vennero in aiuto: AntonioSavoldelli era stato arrestato il 10 luglio 1944a Tarcento (Udine) e deportato a Buchenwaldcon il trasporto partito da Trieste il 31 luglioe giunto nel lager il 3 agosto; esattamente co-me mio nonno Boni facio Ravasio. I due erano anche coetanei, entrambi na ti nel1927 ma, mentre mio nonno è mancato nel2016, Antonio vive ancora nella sua Clusone.A quel punto incontrare il signor Savoldellidivenne per noi una missione quasi irrinun-ciabile. Il 6 luglio scorso, grazie a vari agganci, era-vamo tutti e tre finalmente sotto casa sua aClusone. Suoniamo e Antonio esce sul balcone; gli spie-ghiamo perché siamo lì e ci sentiamo rispon-dere che è proprio lui la persona che stiamo cer-cando, ma che ha fatto di tutto per dimenti-care e non vuole ricordare. Stando sempredietro alle sbarre del cancello con il naso al-

l’insù verso quel balcone del primo piano loosserviamo mentre sta per rientrare in casa; aquel punto, pur di impedire che ci ignori, glidico che credo di conoscere una persona cheera stata presa con lui. Il signor Savoldelli tor-na indietro sul balcone e ci chiede chi fosse:«Si chiamava Ravasio». I suoi occhi si illu-minano: «Il Ravasio di Alzano? Sì, era conme. Come fai a conoscerlo?» Gli rispondoche era mio nonno. Pochi minuti dopo siamo tutti nel salotto delsuo appartamento intenti ad ascoltare una vi-cenda che Anto nio si era quasi sempre tenu-to per sé, perché nella sua lunga vita rara-mente aveva trovato qualcuno davvero inte-ressato e disposto ad ascoltarla. Da allora ognivolta che andiamo a trovarlo ci accoglie conaffetto e non manca di rispondere alle nostrenumerose domande, affidandosi alla sualucidissi ma memoria. Antonio Savoldelli perse il padre in un inci-dente nel 1940. Negli anni successivi, la ma-dre lo mandò a lavorare per l’OrganizzazioneTodt, poiché aveva letto annunci in cui si pro-mettevano due mila lire al mese, vitto e al-loggio per i giovani che si fossero presentatiall’ufficio reclutamento.Anto nio fu mandato in un cam po di adde-stramento del la Todt a Tarcento, nei pressi diUdine.

Anche mio nonno Bonifacio Ravasio finì nel-la Todt. La vorava per la STIPEL distri buendoelenchi telefonici a domicilio per le vie di Ber -ga mo: in quegli elenchi inseriva manifestini

Antonio è a Clusone: lo abbiamo trovato

Picchia un fascista e finisce arrestato

Leo nardo Zanchi con Antonio savoldelli in una foto, molto espressiva, di Ro berto Caccuri. sotto Leonardo di qualche anno più giovane col nonno Bonifacio.

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di aerei per il noto Messerschmitt Me 262 del-l’aviazione tedesca. Entrambi fecero ritorno acasa: Antonio fu liberato dagli americani il 2maggio 1945 a Salisburgo; Bonifa cio venne li-berato dai russi a Lovosice, località a circa 70km da Praga, l’8 maggio 1945. I due giovaniriuscirono ad incontrarsi pochi mesi dopo: pri-ma Antonio andò ad Alzano a cercare Bonifacio,ma la madre gli disse che non era ancora tor-nato; poi fu Bonifacio che si recò a Clusone pertrovare Antonio e bere finalmente con lui unbicchiere di vino: ora erano uomini liberi. I percorsi della vita li hanno poi allontanati:Antonio si trasferì con la famiglia in Svizzera,dove ha vissuto e lavorato fino agli anni ’90;Bonifacio rimase nella bergamasca, ma si tra-sferì a San Pellegrino Terme dove si sposò nel1951.

Entrambi hanno potuto godere di quella pace edi quella libertà così duramente conquistata,ma nessuno dei due ebbe più il coraggio di cer-care l’altro. Da qualche mese, tuttavia, Antonioè tornato a far parte della storia della mia fa-miglia: mai, dopo la scomparsa del nonno, avreipensato di trovare qualcuno che potesse rac-contarmi quei fatti con tanta precisione e chesi ricordi di lui con affetto.75 anni dopo, quell’amicizia nata in un contestocosì doloroso e ingiusto, rivela ancora tutta lasua forza: una forza fatta di scelte, di coraggio,di resistenza e di libertà, in nome dei diritti edella convivenza pacifica fra tutti gli esseriumani.

Leonardo Zanchi

contro il duce e volantini antifascisti. La suaposizione si aggravò, soprattutto quando mi-se le mani addosso a un fascista per difende-re suo nonno Francesco, un vecchio sociali-sta, dalle botte di alcuni squadristi di AlzanoLombardo. Ricercato, fuggì a Tarcento da co-noscenti e lì si mise a lavorare perl’Organizzazione Todt, sperando che i nazi-fascisti non venissero a cercarlo in quei luo-ghi.

Il 10 luglio 1944 Antonio e Bonifacio rimaserocoinvolti in un rastrellamento della polizia te-desca; vennero portati nelle carceri manda-mentali di Tarcento e poi trasferiti in quelle diUdine. Il 31 luglio furono condotti alla sta-zione e caricati su un convoglio partito daTrieste e diretto a Buchenwald (trasporto 68secondo la numerazione di Tibaldi). Quel giorno Anto nio compiva 17 anni e dicedi non aver più dimenticato quel ragazzinosuo coetaneo con cui ha potuto scam biarequalche frase in bergamasco prima di giun-gere nel lager.Insieme arrivarono a Bu chenwald il 3 agosto1944 e furono immatricolati con il triangolorosso dei deportati politici italiani: Bonifa ciodivenne il 33843, Anto nio il 34309.In seguito furono separati: Antonio vennemandato a la vorare su una tradotta che si spo-stava nei pressi di Co lonia per raggiungere ipunti in cui i deportati venivano impiegati perriparare i binari bombardati; Bonifa cio fu de-stinato al sottocam po di Hadmersleben dove,in miniere sotterranee, si costruivano pezzi

Viaggiarono sullo stesso convoglio

La forza di quell’amicizia

Bonifacio Ravasio, carta tedesca delprigioniero. A destra: Antoniosavoldelli, la stessa carta tedesca del prigioniero con ben evidenziato il“triangolo rosso”. Nelle foto piccole risalta la somiglianza.

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Arriva da Bresciaun quadro di Giovittaper non dimenticare

Colori e simboli di un tragico ricordo

Il quadro in rilievo qui riprodotto è stato donato dalpittore camuno Riccardo Giovitta alla sezione Aneddi Brescia, di cui è socio, per non dimenticare il pas-

sato e tramandare ai giovani la memoria della deporta-zione e della shoah. Donando il quadro Giovitta ha af-fermato che il suo lavoro artistico è un pensiero per gliamici conosciuti e per quelli scomparsi nei lager. In particolare vuole ricordare Settimia Spiz zichino,Slomo Venezia, Gian franco Maris, Pietro Terracina etanti altri che hanno sacrificato la loro vita per darci lalibertà.

NoTIZIE

È una delle ultime prigioniere per gli scioperi del ’44

Lo scorso 29 gennaio il sindaco di Bergamo GiorgioGo ri e l’assessora alla Cultura Nadia Ghisalbertihan no accolto a palazzo Frizzoni Loredana Bul -

garelli, una delle ultime superstiti di quegli 835 deporta-ti che, a seguito degli scioperi del marzo 1944, furonoconcentrati nella caserma Montelungo di Bergamo – al-lora Umberto I – e poi deportati dal binario 1 della stazionedi Bergamo verso Mauthausen. Loredana lavorava alla Caproni di Milano e durante gli scio-peri era assente perché malata, ma fu arrestata lo stesso.Portata a Bergamo, partì dalla stazione con il convogliodel 5 aprile 1944: arrivò a Mauthausen dove non venne im-matricolata e venne poi trasferita ad Auschwitz-Birkenau.Fu liberata a Flossenbürg il 23 aprile 1945. 75 anni dopo Loredana è tornata nella città da cui partì lasua deportazione; durante l’incontro nell’ufficio del sin-

daco ha sottolineato come il ricordo di Bergamo sia mol-to positivo nella sua memoria, perché proprio nella ca-serma Montelungo vide per l’ultima volta i suoi genito-ri, che vennero a trovarla lasciandole una valigia per af-frontare il viaggio in Germania. Con commozione ha ri-cevuto dalle mani del sindaco la Medaglia della Città diBergamo e ha lasciato una firma sul libro d’onore della cittàche, oggi più che mai, le è riconoscente.

Leonardo Zanchi Vicepresidente ANED Bergamo

Loredana è tornata aBergamo: da qui partìper la deportazione

Farà piacere al pittoreGiovitta rivederequesta sua fotografiacon Gianfranco Maris.

NoTIZIE

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Ho conosciuto Giandante.X nell’estate del 1947 

“Non l’ho mai visto ridere”

Mio zio, Aldo Morandi, ci disse di aver incontratoquel giorno un compagno: si erano conosciuti inSpagna, quando lo zio era stato tra i primi a rag-giungere quel Paese che stava combattendo con-tro la dittatura del generale Francisco Franco,appoggiato dalle milizie di Mussolini e da Hitler.Aldo ci parlò di lui, Giandante.X, che ci avreb-be raggiunto quella sera a cena; lo ricordava alfronte curvo, ad un tavolo costruito con due ca-valletti e un’asse, su grandi fogli di carta biancamentre, con il suo tratto di penna rapido ed inci-sivo, disegnava manifesti. Alcuni di essi inco-raggiavano la popolazione a resistere agli uo-mini di Franco, altri denunciavano gli orrori del-la guerra combattuta anche dalle milizie fasci-ste italiane, altri ancora si rivolgevano ai giova-ni incitandoli ad aderire alle Brigate Internazionali.Morandi lo ricordava instancabile, disegnava oreed ore dimentico della fame e del sonno.

Giandante arrivò quella sera e così lo conobbi. Erapiccolo di statura, magrissimo, una persona mi-nuta e fragile, il capo completamente rasato, unvolto scarno, come scolpito nel legno, gli occhiscuri, severi, che sembravano volessero scruta-re a fondo i pensieri di chi gli stava di fronte.Risaltava il naso lungo e sottile, le labbra eranosolo un segno scuro sulla bocca ristretta. Sorridevapoco, e spesso corrugava la fronte come se al-l’improvviso qualcosa lo preoccupasse. Non l’homai visto ridere. Da quel giorno venne da noi quasi tutte le sere,

Il Comune di Novate Milanese in occasione della Giorno della Memoria ha inaugurato, incollaborazione con la locale sezionedell’Anpi, una mostra su Gian dante.X.

Sono stati esposti, nella Sala d’onoredi Villa Venino, lavori dell’artistaprovenienti dalla collezione di Miuccia Gigante.

Dopo il sindaco della città DanielaMaldini e il presidente della sezioneAnpi Giuseppe Labate, ha preso laparola Miuccia Gigante.

Durante la cerimonia sono state lettedelle poesie di Lodovico Barbiano di Belgiojoso.

Riportiamo il testo della presentazionescritta per il catalogo della mostra.

A NovateMilanese una mostra di inediti diGiandante.X,l’antifascista artista e poeta

La scheda della polizia fascista. Nel ’33 scappa in Francia. Nel ’36 va a combattere in spagna. Il lavoro principale che gli assegna il capo delle brigate internazionali Luigi Longo è realizzare migliaia di volantini di propaganda per il frontepopolare. È lì che conosce Giovanni Pesce, il leggendario Visone,comandante dei Gap, di cui resterà amico tutta la vita.

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...una presenza viva e militante

La ‘ragazza’ come lui mi chiamava

poi, improvvisamente, scomparve. Chiedemmonotizie ad amici comuni, ci risposero che era suaabitudine eclissarsi d’improvviso.

Giandante.X portava sempre un pesantissimoborsone, enorme, sembrava impossibile che unuomo così minuto potesse reggere tanto peso.Conteneva carte, stampe, libri, disegni, cartel-lette, colori, tutto il suo mondo. Passava partedelle sue giornate in studio, ma quando le gior-nate erano calde andava sulle rive dei Navigli,schizzando soggetti che avrebbe elaborato neisuoi dipinti; preparava anche liquidi colorati incui immergere vecchie, scialbe camicie che, ste-se al sole ad asciugare, sarebbero diventate in-dumenti dai colori forti. Inoltre trascorreva orea cercare sulle bancarelle libri d’arte e stampeantiche. I venditori lo conoscevano e serbavanoper lui tutto ciò che pensavano potesse interes-sargli. Alcuni libri erano destinati alla “ragaz-za” come lui mi chiamava. Talvolta mi portavadelle stampe affinché io le copiassi, dato che fre-quentavo il Liceo Artistico.

Nei giorni successivi avremmo rivisto insieme illavoro svolto. Fra la Guerra di Spagna, che loaveva toccato profondamente, e il suo studio aMilano, c’era un grande vuoto. C’era un Gian -dante.X seduto in terra circondato da fogli bian-chi che, con una rapida pennellata ed un solo co-lore dava luce ai fogli, poi cambiava colore fin-ché da quei fogli nascevano quadri di grande ar-monia di toni. Ma in quel vuoto c’era anche miopadre, non disse mai di averlo conosciuto. Dalle

mie ricerche ho saputo che si erano incontrati alcarcere di Palermo poi trasferiti sull’isola diUstica e in seguito confinati al campo di Renicci,vicino ad Anghiari, e da lì, dopo l’8 settembre1943, si erano liberati. Giandante.X si diresseverso il nord. Il suo rispetto verso mia madre, lasua gentilezza, oserei dire l’affetto nei miei con-fronti, nascondevano quello che conosceva ma dicui non voleva parlare? È una domanda, la mia,che non avrà mai una risposta.

Talvolta, Morandi e Giandante.X ricordavano ifatti vissuti in battaglia fianco a fianco, pensavanoai compagni caduti e a quelli che, tornati, si era-no dispersi e non avevano più incontrato. C’eratanta nostalgia nelle loro parole, qualcosa li ave-va profondamente delusi. Nei giorni in cui non lo vedevamo arrivare sa-pevamo che era nel suo studio a disegnare voltidi operai, contadini, intellettuali, uniti nello stes-so ideale, oppure a colorare, con grandi macchie,fogli porosi che lasciavano alla fantasia di chi liguardava la scelta del soggetto. Nei momenti digrande intensità creativa mangiava solo noci cheteneva in un cassetto del suo tavolo da lavoro.Poi, dopo un anno che vedevamo Giandante qua-si tutti i giorni, improvvisamente scomparve dinuovo. Ma dalla nostra casa non si è mai allon-tanato, sulle pareti delle mie stanze ci sono i suoifiori dai colori forti ed intensi, i suoi leggeri pa-stelli, i volti di uomini a carboncino con fortitratti di colore che rendono più intensa l’espres-sione e, sugli scaffali delle mie librerie, ci sonole sue poesie. Una presenza viva e militante. 

Miuccia Gigante 

Aveva conosciuto mio padre, confinati

Alcune opere di Giandante.X, pseudonimo di Dante Pescò, molte dell’anteguerra.spicca la prima, in alto a sinistra che con il titolo ‘Galera’ rappresenta, con gran sintesi, i simboli del carcere che daantifascista, poi da confinato, dovette subire: finestra con sbarre, manette, palla al piede e cintura al muro. A destra una statua particolarmenteespressiva. Giandante era nato nel 1899 ed è scomparso nel 1984.

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Il Giorno della Memoriaa Vado Ligure

organizzata dall’Aned savona

Sabato 25 gennaio, la sezione Aned di Savona, haorganizzato la Cerimonia per il “Giorno della Me -moria” a Vado Ligure che è stata patrocinata dal

Comune, dalla Provincia di Savona e dall’Istituto Storicodella Resistenza “Umberto Scardaoni”. La commemorazione è iniziata con la deposizione diuna corona di alloro e gli onori da parte di una rappre-sentanza della Scuola di Formazione della Polizia Pe -nitenziaria “Andrea Schivo” di Cairo Montenotte allapresenza delle autorità della Provincia, il Prefetto di

Savona dott. Antonio Cananà, il Questore dellaProvincia di Savona dottoressa Giannina Roatta, il di-rettore della Scuola della Polizia penitenziaria genera-le Giuseppe Zito, il consigliere regionale Mauro Righelloe il sindaco della Città di Vado Ligure Monica Giuliano,oltre al coinvolgimento di altri sindaci e delle Associazionicombattentistiche e d’Arma.Il corteo si è diretto a Villa Groppallo per deporre la se-conda corona in ricordo dei deportati vadesi. Al termi-ne, presso l’Aula Magna, sono stati portati i saluti del-le auto rità e letti l’intervento del professor AlessandroClavarino, provveditore provinciale agli studi, e la re-lazione storica del professor Giorgio Amico sulla de-portazione dei savonesi nei lager nazisti. Ha conclusola giornata l’intervento di Mari Bolla, presidente dellasezione Aned di Savona. All’incontro erano presentinumerosi famigliari iscritti alla sezione di Savona 

simone Falco

NoTIZIE

A Foligno commemorazione dei deportati davanti alla lapide con i nomi dei martiri

Ventiquattro i giovani deportati,soltanto cinque fecero ritorno

“Aquanti di Foligno soffrirono e caddero per ladignità e la grandezza della Patria”. Questele parole incise sulla lapide del cimitero cen-

trale dedicata ai folignati che persero la vita nei lager diMauthausen e Flossenbürg. Qui lunedì 3 febbraio si èsvolta la cerimonia di ricordo dei caduti alla presenzadelle autorità con la deposizione di una corona d’allo-ro. Uguale celebrazione è avvenuta presso il monumentoche si trova nella rotatoria di via 3 febbraio.

Un nome e una data che per Foligno hanno un signifi-cato particolare. Lo stesso giorno del 1944, infatti, 24giovani furono catturati dalle forze naziste e deportatinei due campi di concentramento tedeschi. Di loro sol-tanto cinque fecero ritorno a casa. Un giorno, quindi,da commemorare per Foligno.E così, il sindaco Stefano Zuccarini, autorità civili emilitari, rappresentanze di Aned e Anpi, lo hanno fatto.Uniti nel ricordo delle vittime, figli della città dellaQuintana. “Condannare con forza gli scempi di queglianni – ha detto il primo cittadino – è nostro dovere, per-ché il pensiero di uccidere e di imporre con violenza unideale è qualcosa di assurdo. Oggi commemoriamo inostri concittadini caduti – ha concluso – e lo facciamoin condivisione di un ricordo che ci appartiene indiffe-rentemente da distinzioni politiche”. Dopo un minuto di silenzio al cospetto della stele, la

presidente Aned Umbria, Maria Pizzoni, ha scandito,uno ad uno, i nomi dei caduti. La stessa Pizzoni - so-rella, tra l’altro, di un martire dei lager nazisti - inter-venendo ai microfoni di Radio Gente Umbra ha com-mentato lo scenario globale attuale caratterizzato dacrescenti e rinnovate forme di odio e di negazionismodella Shoah.Uno scenario, di cui il nostro Paese sembra far parte.

Il “Rapporto Italia 2020” dell’Eurispes, tanto per fareun esempio, ha stimato l’aumento – dal 2004 ad oggi –di coloro che pensano che la Shoah non sia mai avvenuta:si è passati dal 2,7% al 15,6% odierno. “Perché questepersone non vanno nei campi di concentramento a ve-dere le prove di quanto è successo – ha dichiarato lapresidente Aned Umbria ai microfoni di Rgunotizie.it –e perché non danno fiducia alle testimonianze delle po-che persone rimaste in vita, come ad esempio la Segre?”Per Maria Pizzoni, dunque, una questione di ignoranza.“È colpa nostra - ha concluso - della generazione cheha preceduto quella attuale, rea di aver custodito in si-lenzio e troppo gelosamente un dolore che, invece, avreb-be dovuto essere diffuso con più forza”.

NoTIZIE

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Medaglia d’oro per il sarto Leonardo orcelletmorto a Wittemberg

Lunedì 27 gennaio pres-so il salone delle Ce -ri monie, in Prefet tura

a Savona, il prefetto dellaPro vincia dott. Antonio Ca -nanà insieme al sindaco diSa vona Ilaria Caprioglio haconsegnato la Medagliad’Onore alla memoria diLeonardo Orcellet di profes -sione sarto, nato a Bardo nec -chia (To) il 24 marzo1914 edeportato, l’1 marzo 1944dai nazifascisti, da Savonain sieme ai lavoratori dellegrandi industrie che avevano aderito allo sciopero pro-clamato dal CLN Alta Italia. Orcellet venne deportatonel campo di Mauthausen e successivamente trasferitonel sotto campo di Wittenberg dove è deceduto il 16giugno 1944. Dal 1993 è sepolto nel cimitero di Piesteriz. Il riconoscimento è stato ritirato dalla nipote SimonaBrignone, nonostante sia ancora in vita la figlia diOrcellet che, per motivi di salute, non ha potuto parte-cipare alla cerimonia. 

NoTIZIE

La Medaglia d’onore per Mario Tedeschi. Era partigiano a sarzana

Dalla sezione di savona e Genova notizia di due riconoscimenti

Consegnata la Medaglia d’Onore, il 27 Gennaio2020 a Palazzo Ducale di Genova, in Memoria diMario Tedeschi nato a Sarzana il 23 Gennaio 1888

e arrestato a Genova, dai nazifascisti, per attività parti-giana. Detenuto nel carcere di Marassi e successivamen-te trasferito a Bolzano, fu deportato prima nel lager diDachau dove giunge tra il 20 e 21 gennaio 1944 numerodi matricola 61952, successivamente trasferito nel cam-po di Flossenbürg e poi nel sottocampo di Leitmeriz tra il23 gennaio e il 2 febbraio1945 con il numero dimatricola 45439. Muorea Leitmeriz nel marzo1945. La Medaglia è stata riti-rata dal nipote MarioBarigione durante la ce-rimonia alla presenza delPrefetto e delle massimeautorità civili, militari ereligiose. Mario Bari -gione dal 2019 è iscrittoalla sezione di Savona.

simone Falco

I ragazzi ripulisconola lapide imbrattatadallo sporco e dall’incuriaIn occasione del 75° anniversario del bombardamento diReggio Emilia (7-8 gennaio 1944) gli studenti di una scuo-la sono andati a scoprire il monumento in ricordo delletante vittime civili, un’opera collocata nella zona doveallora sorgeva il vecchio ospedale Santa Maria.Non poco è stato il disagio nello scoprire che la lapide era

abbandonata fra cartoni di vino e resti alimentari lascia-ti da bivaccatori notturni e con le parole ormai illeggibi-li. Di fronte a questo degrado, i ragazzi dell’Istituto TecnicoScaruffi-Levi-Tricolore si sono organizzati autonoma-mente e con acqua, spugnette e buona volontà hanno ri-pulito il monumento, ridandogli dignità.

NoTIZIEIl ricordo delle bombe del 1944

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tri disegni da abbinare alle parti di testo scelte. Senza ladisponibilità di Vittore tutto questo sarebbe stato impossi-bile, a lui va ancora, a distanza di tempo, il nostro ringra-ziamento e il nostro affetto.

In particolare, nella fase della progettazione e della rac-colta dei materiali, i ragazzi furono colpiti dall’incipitdell’opera di Vittore che definiva la sua “una storia

semplice” che narrava “le vicende di un giovane”. E con-cludeva: “le memorie, al di là di una parentesi di oltremezzo secolo, sono fresche e vive come il ricordo di duegiorni fa”. Un alunno al proposito disse che bisognava ri-spettare la volontà di Vittore e ricercare nel testo “per farememoria” non per ricordare soltanto. I disegni erano latraccia della memoria vivente, e sarebbe stato importantetrovare risposte alla domanda: perché proprio quei disegnie non altri?

“Anni difficili”I disegni diVittoreBocchettareinterpretatidai giovani

di Maria Antonietta Arrigoni

Idisegni inseriti dall’autore nel suo libro di memorieavevano suggerito ai ragazzi l’idea di realizzare un e-book in stile graphic novel, abbinando i testi all’ico-

nografia. La classe fu subito consapevole che il proget-to, pur rispecchiando il pensiero di Vittore, sarebbe statoqualcosa di diverso rispetto al libro. Da qui la necessitàdi un titolo nuovo “Anni difficili” avrebbe evidenziato,secondo i ragazzi, quello che, a loro avviso, era il temache dava l’avvio all’opera, definendo anche la condizio-ne del deportato politico: i tremendi anni della secondaguerra mondiale avevano creato la possibilità di una par-tecipazione attiva di Vittore agli eventi della grande sto-ria, facendogli maturare la decisione di entrare nella Re-sistenza. Per completare il progetto furono necessari al-

“Anni difficili” è il titolo di un breve e-book, realizzatotra le attività didattiche per il Giorno della Memoria

“Anni difficili” è il titolo di un breve e-book, rea-lizzato nell’anno scolastico 2016-2017, nell’ambi-to delle attività didattiche per il Giorno della Me-moria, dai ragazzi della IVB del liceo classico“Benedetto Cairoli” di Vigevano.

In qualità di loro insegnante di storia e filosofiaavevo proposto la lettura e l’analisi di brani daltesto di Vittore Bocchetta “1940-1945. Quinquen-nio infame”. L’obiettivo era quello di paragonarela condizione umana nel lager di politici ed ebrei,avendo, nell’anno scolastico precedente, già lavo-rato su testi di deportati ebrei ad Auschwitz.

Ohne Namendi VittoreBocchetta(nella foto) èl’importantescultura da lui donata alMemoriale del sottocam-po diHersbruck.

Accanto lastrutturache vi è statacostruita conaccanto unpannello sulcampo. In basso un toccantedisegnodell’artista-deportato.

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L’opera artistica non poteva essere intesa come la “foto-grafia” del reale ma come parte di una storia più comples-sa di cui ne era il frammento. Da questo punto di vista che cos’hanno in comune i dise-gni e i dipinti di Vittore con quelli di Giovanni Baima Be-squet? Rappresentano le stazioni di un calvario, all’inter-no del quale la vicenda del singolo è simbolo di una storiacomune e in cui la storia comune racchiude in sé il calei-doscopio di migliaia di vite singole.

Si può dire che in quasi tutti i lager ci sono state per-sone che, clandestinamente, hanno lavorato per “farememoria” attraverso l’arte. E, come spesso succede

nei grandi eventi, o processi storici, chi non avrebbe maiscritto o disegnato è stato spinto a lasciare segni tangibilidi ciò che stava vivendo in prima persona. Anche dopo, isopravvissuti hanno lavorato in questo senso. L’arte diven-ta strumento di denuncia dell’orrore concentrazionario,linguaggio privilegiato per cogliere le logiche di potere, lasofferenza, l’umano nel disumano. Le opere di Vittore, pur rappresentando momenti, situa-zioni, persone, non escluso lui stesso, sempre testimonia-no, e testimonieranno, il suo impegno civile, i suoi valori,le sue scelte.

Giustamente i miei allievi avevano osservato che inalcuni disegni si coglie la pressione del sistema dipotere delle SS sui prigionieri. Per esempio quan-

do il trasporto entra a Flossenbürg, i deportati sono ritrattidi schiena, così come quando viene rappresentata una im-piccagione. Qui la prospettiva “a volo di uccello” mostra il momentoin cui tutti, inquadrati e in divisa zebrata, stanno attenden-do l’ordine della SS, mentre un deportato, forse un kapo, è

“L’opera artistica non poteva essere intesa come la“fotografia” del reale ma come parte di una storia

vicino al condannato per togliergli lo sgabello da sotto ipiedi. Ed è vero: il potere può costringere tutti a com-portarsi in un determinato modo, può reprimere ognidissenso, può esercitare una violenza estrema sulle per-sone, può imprimere le stimmate della sofferenza, quel-l’espressione dolente testimoniata anche nelle rare fotodi deportati. Fa da cesura tra l’arrivo e l’immatricola-zione il disegno che rappresenta la prima doccia. A Flossenbürg i politici, nel momento dell’entrata incampo, venivano picchiati e sottoposti a getti di acquagelida e bollente, una vera forma di tortura, con l’obiet-tivo di fiaccare subito lo spirito di resistenza. Ci sono diverse testimonianze di partigiani di varie na-zionalità su questa pratica, il tracollo psicologico chene poteva derivare era funzionale all’obiettivo di an-nientamento fisico, perseguito con tutti i mezzi. La mor-te sarebbe stata inevitabile nel breve o medio periodo.

Vittore ha dedicato molte opere al processo di gra-duale sfruttamento e degradazione dell’essereumano. Nella lotta per resistere, a partire dalla

difesa della propria esistenza, contro la presenza perva-siva della morte, il viso, con le sue metamorfosi, diven-ta centrale. Ma il viso non è solo sofferenza, manifestal’essenza della persona. Ogni viso è diverso, anche se la morte pare renderlouguale a quello dell’altro. Non solo. L’abbinamento deivisi mostra, nell’immediato, i differenti valori e ruoli: ilfascista della RSI e Vittore, il kapo e Vittore. Nel viso simanifesta la battaglia per continuare a esistere comepersona e per essere riconosciuto come tale. Lo sguardointerroga chi sta di fronte, gli chiede di pronunciarsi, dischierarsi, di interrogare innanzitutto sé stesso. Su checosa? Occorre recuperare la grande lezione di vita delladeportazione.

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Vittore Bocchetta è nato a Sassari nel 1918, hadunque compiuto 101 anni. Dopo aver vissutofra Bologna, Cagliari e la Libia si stabilisce aVerona dove aderisce giovanissimo al movi-mento antifascista. Nel 1943 subisce la prima incarcerazione coni membri del 1° Comitato di LiberazioneNazionale (CLN) di Verona per aver contri-buito alla fuga di alcune centinaia di militariitaliani detenuti dai tedeschi. Liberato si uni-sce al 2° CLN della città e viene nuovamenteimprigionato, appena dopo essersi laureato inLettere. Torturato, viene quindi deportato alcampo di transito di Bolzano e, il 5 settembre1944, al lager di Flossenburg. Da qui il 30 set-tembre al sottocampo di Hesbruck, dovevedrà morire quasi tutti i suoi compagni dilotta e di viaggio (tra cui Teresio Olivelli). Nell’aprile del 1945, durante la marcia di eva-cuazione del campo, fugge e viene soccorsodalle truppe inglesi. Nel dopoguerra emigra inArgentina deluso dal clima politico italiano elocale. È il 1989 quando ritorna a Veronadove si dedica a scrivere le sue memorie diantifascista e deportato. Innumerevoli lemostre d’arte con le sue opere.

Ecco la lezione di Vittore: ogni persona è unica e lo èstata anche nei campi di concentramento dove tutti do-vevano essere uguali. Proprio per questo la narrazione,anche a scuola, su deportazione e sterminio non può es-sere ridotta a una serie di frasi fatte tutte simili tra loro,sempre uguali anno per anno, bisogna dare ai ragazzi lapossibilità di attuare riflessioni personali sulla base dipercorsi costruiti da loro stessi.

Nel 2018, il 27 gennaio, una delegazione di cin-quanta ragazzi del triennio del liceo BenedettoCairoli, tutti volontari, andò a Hersbruck per par-

tecipare alla manifestazione in ricordo delle vittime delnazismo che si tiene ogni anno nella piccola cittadina,che a quei tempi, ospitava un sottocampo di Flossen -bürg. Sul far della sera la gente si era radunata nella chie-sa protestante per una funzione ecumenica in cui parte-cipavano religiosi delle più diverse confessioni, ebrei,cristiani, musulmani. Ogni anno si ricorda una categoria di deportati in parti-colare. Nel 2018 furono ricordati gli zingari. Un anzianoRom, deportato ad Auschwitz e a Flossenbürg, parlò,raccontando la sua storia e quella del suo popolo desti-nato allo sterminio. Alcuni giovani suonarono antichemelodie zingare. Nella chiesa ci avevano riservato i po-sti, non potemmo fare a meno di notare che, a parte i mu-sicisti tedeschi e di etnia rom, vi erano davvero pochigiovani in rapporto al numero degli adulti. Alla fine delconcerto a tutti fu data una fiaccola. La fiaccolata attraversò la cittadina in silenzio e si recòal monumento del deportato, una scultura di Vittore mol-to suggestiva. Qui tutti si disposero a semicerchio intor-no, molte persone parlarono, tra cui i rappresentanti del-le autorità del paese, infine il concerto di musiche zinga-re riprese. Mentre ascoltavamo quelle musiche bellissi-me, non potevamo fare a meno di guardare la scultura diVittore, illuminata dalla luce delle fiaccole, solitaria e inparte coperta di neve e di ghiaccio, quella sera c’erano15 gradi sotto zero.

Quando la manifestazione si sciolse, molti tedeschivennero a salutare i ragazzi e a parlare con loro.Ancora con le fiaccole accese ci dirigemmo ver-

so il pullman, erano le dieci di sera, non avevamo némangiato né bevuto da molte ore. Le mie sei ragazze mivennero vicino e mi dissero: “dovremmo fare spessoqueste esperienze, per comprendere veramente che si-gnifica stare con gli altri, conoscerli e non sentirsi piùsoli. Abbiamo capito molte cose.” Non ho mai chiesto quali fossero le cose che avevano ca-pito. Non perché non mi interessasse ma perché è giustoche ognuno compia un suo percorso, scegliendo di farloin un determinato modo, senza bisogno di sentirsi con-trollato o di subire pressioni di alcun genere. Questa mi sembra essere un’altra lezione della Resisten-za e della deportazione: nessuno dei ragazzi partigiani,coetanei dei miei allievi, era stato chiamato o indottrina-to, si erano convinti e radunati da sé, accettando il ri-schio implicito nella loro scelta e nei loro valori.

“Nel 2018 cinquanta studenti del liceo Cairoli in viaggio a Hersbruck per una manifestazione ricordo

Un lavoro di ragazzicome suggerimentoper raccontare a tuttila storia e la memoria

strumento didatticonecessario più che maiin questo sbandamentodella “coscienza civile”

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Partigiano combattentecontro fascisti e nazistifui spedito dai tedeschi in Germania, schiavo nel campo di prigionia

Arriva il Brigatista Neroche ha dato soldi a un traditoreper fargli denunciare un patriota

A calci devo passare tutta la città: vogliono far vederecome prendono “i ribelli”

Vittore Bocchetta“Triangolo rosso”

Sono lì, sulla soglia, con tanto di pu-gnale e mitra. Sono vestiti di nuovo,nero fiammante: l’uniforme delle Bri-

gate Nere. “Andiamo, devi rispondere di molte cose”.

Mi fanno attraversare Verona per ilcentro, a calci nei fondelli perchétutti vedano e imparino.

E quelli che vedono e imparano vedonodue sgherri vestiti di nero, due neri mastiniche azzannano un nuovo sventurato lungole vecchie strade ribattute dalla loro perse-cuzione.

ITUna storia vera racconta il coraggio di pochi

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Francesco Viviani è ancora sofferenteper le ferite lasciate sulla sua carne daFreda, ma, dice lui, “Quelli sono gli

ultimi sfoghi di moribonda tirannide”. Nel-la biblioteca del carcere degli Scalzi ho rin-venuto una vecchia edizione della DivinaCommedia. Chiedo a Viviani di leggerla elo ascoltiamo:“Ahi serva Italia, di dolore ostello,nave senza nocchiere, in gran tempesta,non donna di province, ma bordello!”Nella sua voce c’è un impeto che ci travol-ge; poggia il libro e ognuno lo toglie all’al-tro. Se non mi sbaglio più che commossisiamo trasfigurati da quel l’imprecazionecosì lontana ma così presente.

Èil 4 settembre, ci fanno montare sulsolito autocarro. Partiamo, non sap pia -mo. Arriviamo. Scendiamo a Bolzano,

campo di concentramento. Be’, è meglio chein prigione! Ma… un momento! Ci mettonoin un capannone circondato da un recinto difilo spinato. Al farsi notte la nostra baraccarimane quasi al buio. Cristini è balbuziente,Ballerini lo incita a can tare, lo preghiamotutti, perde la balbuzie e ci sorprende con lasua voce. Canta una melodia in voga:“Mamma Rosa”. Dalla ba racca attiguaun’altra voce intona “O mia pa tria, sì bella eperduta”. Ci uniamo tutti sottovoce eognuno è contaminato dal pianto dell’altro…

Stamattina presto mi rimettono sullasedia in faccia a Freda a fianco deldattilografo:

“Chi è il suo contatto coi partigiani?”“Non ho contatti con i partigiani”.“Chi è che porta gli ordini da Parigi? Chiè?”“Da Parigi non so di chi e di che cosa par-la”.Adesso, di colpo, ho paura. Insisto a nonsaper nulla. Allora mandano a chiamare unaltro figuro, tristemente noto ai veronesi.Mi rendo conto di chi ha “lavorato” Doma-schi. Mi fanno sedere su una sedia senzaspalliera. Il bruto si mette in canottiera e ilsuo nerbo di bue incomincia a straziare lamia schiena, finché svengo.

L’interrogatorio: chi è il tuo contattocon i partigiani?E cominciano le nerbate sulla schiena

Francesco mi consola. “sono gli ultimi sfoghi di una tirannide moribonda”

Poi il 4 settembre sul solitoautocarro. Arriviamo (tappa)al Campo di Bolzano

La partenza verso un campo di prigionia. Futuro incerto

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IT

“Uomini 40, cavalli 8”. Il vagonesi chiu de e il treno parte.Uomini 150, cavalli nes suno.

La notte è così lunga che fa dispe rare ilgiorno, ma l’alba arriva lo stes so; così perquattro-cinque giorni. Il treno si ferma ela portiera si apre.Meccanicamente, per cinque, la nostracolonna di forse mille piedi raggiunge insilenzio il lager di Flossenburg lungo unastrada senza gente che sale fino a un vastoripiano di fronte a un grosso cancello.

Una vistosa targa di bronzo al latosinistro del grande cancellosull’entrata del lager dice Arbeit

Macht Frei , il lavoro rende liberi.Un altro scherno della speranza! Allasinistra dello spiazzo va sfilando lenta unaschiera di pseudo umani vestiti da zebra.Carichi di grosse pietre trascinanofaticosamente i loro zoccoli di legno.

Ci ordinano di spogliarci. Ac cu mu -liamo le nostre cose in una mon -tagna d’indumenti, di valigie e… di

ricordi. Qualcuno protesta arrivano i Ka po.Anche loro hanno l’uniforme zebrata, manon è sporca né logora come quelle che ab -bia mo visto nel corteo delle pietre; questiso no puliti e sono diavoli scatenati che fan -no da argine alla nostra mandria.Ognuno brandisce un pezzo di tubo nero digomma dura, il Gummi che cade su teste,spalle e natiche con terribile vio lenza perstraziare le nostre carni nude. Come demoni furiosi attaccano alla rinfu-sa e urlano spiritati.

su una targa è scritto: “il lavoro rende liberi” ma qui siamo solo prigionieri

Ci ordinano di spogliarci,poi arrivano i “Kapo” furiosi per farci vedere chi comanda

Chiudono il vagone, dentrosiamo in 150, stretti per 4 giorni.Arrangiatevi. Ecco Flossenbürg

Per i nazisti è un Triangolo Rosso da deportare

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IKapo sono prigionieri come noi, ma so-no quelli che hanno la facoltà natu ra ledi esistere al di sopra del bene e del ma-

le.Sopravvivono su quelli che uccidono esoc combono, a loro volta, sotto chi sa gri -dare più forte e sa uccidere meglio.Senza di loro questo sistema si sfasce -rebbe.Non sono scelti per nazionalità o per “raz -za”. Chiunque può aspirare a essere Ka pose riesce a disfarsi dell’io.

“Fuori, fuori!” C’è una fortebufera di ne ve e siamo ancorain settembre. Tre mia mo e il

nostro freddo è più freddo delle nostrelacrime e i nostri nasi s’indu riscono inghiaccioli.Qualcuno grida qualcosa che non capiscoe tutti corrono uno sull’altro. Come i buoimuschiati dell’Artico, facciamo circolouno addosso all’altro. I più fortunati sononel centro, chi arriva dopo ripara i primiarrivati. È la “stufa umana”.

Impazziti corriamo uno contro l’altro ele nostre grida si sommano all’eco del-le pareti vuote per assordarci in un cre-

scendo indicibile. Di colpo dalle docceprecipita l’acqua insieme alla gragnuoladelle nerbate nere e cruente.Bagnati, lividi, storditi, esausti ci ac -calchiamo uno contro l’altro in un grovi -glio assurdo. Poi l’acqua si ferma e le bot -te dei demoni ci accalcano in uno stanzoneadiacente.Qui altri Kapo perquisiscono tutti gli orifi-zi del nostro corpo, l’ultima viola zionedella nostra umanità.

Nelle docce di colpo precipita l’acquaimpazziti in un groviglio mentrei Kapo ci massacrano di botte

Loro sono prigionieri come noima hanno la facoltà di gridare e di uccidere “al meglio”

Fuori! C’è una bufera di neve,al freddo le lacrime e i nasi si induriscono come ghiaccioli

Comincia il massacro: tutti a nerbate a fare la doccia

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Hersbruk. Chi ne ha mai sentito par -la re? pochissimi ne riparle ran no. Èun paesino bavarese a 30 km da No-

rimberga. Il nostro “transport” è compostoda circa 600 “pezzi”, inclusi Bravo, Deam-brogi, Oli velli, Zenorini e io.La nostra squadra, giunge all’entrata di ungrande tunnel che buca la montagna. Unanimato brulichio di schiavi zebrati, spor -chi di terra gialla, perseguitati dalle Gum-mi dei Kapo, ci avvisa che “non c’ingannil’ampiezza dell’entrare”. Siamo alla portadell’inferno. Il nostro Kapo ci assegna lenostre tre condanne : picco, pala, spalle.Sono destinato alle “spalle”: dobbiamo tra-sportare sulle spalle un tratto di rotaia. L’iniziazione è stata atroce.

Di colpo siamo svegliati dalle fu -ribonde gommate dell’irriducibileSchreiber.

Dobbiamo assistere all’impiccagione didue russi che erano riusciti a scappare.Sono stati ricatturati dai villici di Her -sbruck. Hanno le mani legate dietro laschiena, il nodo al collo, diritti su duesga belli.Il Lagerältester, per assicurarsi che nessu -no eviti di guardare, fa circolare i suoiKa po in ricognizione. Poi d’improvvisoscoppia il suo latrato rauco: “Ausfuhren”(ese guire). Il boia calcia gli sgabelli e idue dondolano tranquilli e sereni.

Tutta la nostra esistenza gira attorno a unpezzo di pane e a una ciotola di Sup pe.Eppure noi del nostro branco ve ro ne se

conserviamo la consolazione di una no straumanità, una testarda illusione che non tra -lascia la pur minima occasione per con fidaree consolare. “Non vedo nessuno di quel li diFlos senburg”. “Li hanno separati. Chis sà do-ve sono andati? Ieri ho visto Oli velli”. Olivel-li di venta il nostro nuovo Schreiber, il capo-ba racca. Un gob betto, ucraino, con triangolorosso qui è un Doktor. Olivelli gli dice che so-no un pro fessore di filosofia. Mi chiede se holetto Vol taire e parliamo del migliore dei mon-di pos sibili, poi mi stringe la mano e se ne va.

Il nostro trasporto (600 pezzi)arriva all’entrata di un tunnel che buca tutta la montagna

Impiccano due russi, che erano riusciti a scappare, catturati (per soldi?) dai villici del paese

Un “Triangolo rosso” ucrainoviene a sapere che sono professoree parliamo perfino di Voltaire!

IT Addosso ai Triangoli Rossi loro sì sono pericolosi

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Il regno dei giusti è anomalo. Olivellinon dura più di un paio di settimane.Un giorno sento chiamare il mio no -

me: è una povera figura macilenta, sche -letrica con due grandi occhi immen sa -mente buoni: Olivelli. “Come stai Olivel -li? Cosa fai?”“Lo vedi da te! Scavo in questo fango inu -ti le”.Arriva il suo Kapo urlando e scarican do -gli una terribile gommata sulla schiena.Neanche Olivelli, amato da tutti e che, peril suo tedesco, è il più dotato… neancheOli velli sembra farcela!Solo chi cessa di essere uomo può esisterein questa bolgia di dannati!

Finalmente arriva al Revier il medi coche si accinge all’in ventario periodi codegli attrezzi umani; gli utili, gli uti -

lizzabili e gli utiliz zati. Il vaglio pro cede rapido, effi cien te: gli “uti li”esco no e s’inquadrano all’ aper to dove untruce Mi nos se li destina al lavoro; gli“utilizzati”, con una “C” sulla fron te, sonoinghio ttiti dal treno che li porta al crematoriodi Flos sen burg e gli “utilizzabili”, con una“X” pas sano al secondo corridoio. Il medico desti na: “Ar beit – Kaputt –Krank”.

Il kapo mi guarda con scherno: “Wasist los (Che cosa succede)”? “Krank,krank (Malato, malato)!” “Krank? Re -

vier… raus (Malato? Infermeria… via)”.E mi appioppa una pedata. Mi avvio alRe vier. Conosciamo tutti la regola: se nonmi riscontreranno più di 38 di febbre micureranno con cinquanta gommate sullenatiche. Ma io ho deciso: entro e mi fer -mo sorpreso davanti al Doktor, il gob-betto voltairiano. Mi riconosce e mi con-segna un termometro: “Tu es malad… j’e-spère! At tend ici! (Tu sei malato… spe-ro. Aspetta qui)”. Dopo alcuni secondi loguarda senza leg gerlo e me lo restituiscecon un sorrisetto: “Tu as la fievre, marcheau lit (Tu hai la feb bre, vai a letto)” .Nessuno si è accorto del termometro. Unregalo prezio so. Grazie Voltaire! Grazie, amico, caro Can did!

Il Kapo mi guarda con scherno:“Malato? Infermeria via...”Il gobbetto trucca il termometro

Una figura macilenta mi chiama; è olivelli, gli chiedo“Cosa fai?”Arriva il Kapo che urla

È l’ora del medico che decide. Gli utili escono inquadrati. Gli altri finiscono al crematorio

E se sei malato non servi più come schiavo e consumi!

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Mi colgono in flagrante mentrescal do il termometro. Così su -bisco l’atroce scotto di 50 gom -

ma te sulle natiche. Il mio delitto è statomolto grave: mi assegnano allo Scheis -skom mando (squadra escrementi).La vera punizione sta nel raccogliere conun barattolone di latta le feci delle latrineper versarle in una grande botte su ruote.Invece di usare una pompa dobbiamo fareil lavoro a mano (in che consisterebbealtri menti il castigo?). Dopo un’infinità disu e giù, facciamo il pieno che dobbiamotrascinare su per le colline arate e melmo -se.Distribuiamo qua e là la densa broda.Noi siamo i tre dannati. Diventiamo pre -sto irriconoscibili.

Avolte, avanzano barcollanti, conpas si a vanvera, cerei, incredi bil -mente reali, degli spettri quasi vi -

vi.Avanzano completamente nudi, le mem -bra ridotte all’ossa e il teschio spaventosobucato da due enormi occhi, vitrei, spa -lancati nel vuoto. Raggiungono stenta -tamente la latrina e qui si lasciano cadereesausti. I monatti li mettono a sedere con -tro una staccionata, uno accanto all’altro.Non hanno più anima, ma non sono morti.La nostra “pietas” si è estinta dietro aloro.

Intanto la vita del lager si fa sempre menoinsopportabile. Sono partiti quasi tutti, sia-mo rimasti in pochi, qualche centinaio, gli

scarti. La fame è sempre e comunque la pri-ma e l’ultima soglia della coscienza: sonomolto mal ridotto. Non c’è nulla che mi spa-venti, solo sono pos seduto dall’ossessione delcibo. Mentre mi trascino in giro sperando ditro varne, fermo i miei passi, sono arrivato allagrande baracca dei morti.Due monatti afferrano i corpi per le gambe eper le braccia e li lanciano sul camion dove al-tri due li accatastano come foglie di tabacco.

scaldo il termometro, fingo malattiadelitto molto grave. Mi assegnanoalla squadra escrementi

Incrociamo degli spettri quasi vivicompletamente nudi, le membraridotte a ossa, sul teschio occhi vitrei

La fame nel lager è all’ultimo stadio della coscienza, sono arrivato all’ossessione del cibo

IT Al campo un Triangolo Rosso o lavora o si ammazza

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Io e Marcel fuggiamo. Col sole nasce ilnostro primo giorno di vita, il primogior no tutto nostro, il primo giorno del-

la nostra esistenza.Marcel mi incita e mi sostiene, mi aspettapaziente e ci sentiamo fratelli e parliamodelle cose più belle e più assurde, le cosedi chi sa cosa vuol dire essere liberi.Una voce improvvisa rompe il nostro silen-zio:“Krank? Das Lazarett suchst du? Das istda, dein Lazarett! (Malato? Cerchi l’ ospe -dale? Eccolo là il tuo ospedale)”.

Rinvengo: sono immerso, nudo, in ungran bagno d’acqua tiepida, due uo -mini mi stanno lavando con spazzola

e sapone.Parlano, non li capisco, non reagisco, possobalbettare la mia ossessione:“Essen… essen … essen!(Mangiare, mangiare, mangiare)”

Appel: tutti i presenti sono riuniti nelgrande piazzale; i pochi Kapo ri ma -sti e un paio di vecchi vestiti da sol-

dato, ci contano e ricontano fino al tra mon -to. Finalmente, per cinque, usciamo dal la-ger. Si marcia di notte. Il campo di Her-sbruck è vuotato. Che sia maledetto!

Una squadra di SS armati di Maschin -pistolen ci segue. Naturalmente non man cail cane. Siamo poco più di cinquecento. Simarcia. Camminiamo per 4 o 5 ore. In vi-sta di un paese facciamo sosta. Ci lasciamocadere. Una ventina di cadaveri, quelli ca-duti lun go la marcia sono portati fuori vi-sta. Ora si spiegano le raffiche udite duran-te la marcia. Intanto niente pane, nienteSuppe, solo erba del fossato.

ITPer i tedeschi un Triangolo Rosso è un testimonestanno arrivando a liberarci il campo di Hersbruk è vuotato:comincia il trasferimento

Fuggiamo dalla colonna in fuga,è il primo giorno di libertà, con l’ultima minaccia del kapò

L’arrivo della libertà cominciacon un bagno!!!La cura è un sogno: acqua tiepida

La redazione di TriangoloRosso ha dato la forma ti-pografica al breve e-bookscolastico, “Anni diffici-li”, realizzato con testi eimmagini tratti da“Quin-quennio infame”e da altridisegni di Bocchetta, cheera stato impaginato daRiccardo Cossu classe IVB del liceo classico vige-vanese, nell’anno 2016/ -2017, di cui abbiamo par-lato in queste pagine.

Abbiamo pubblicato piùvolte la “tabella” sottopreparata dai tedeschiper assegnare ad ognideportato un simbolo dacucire sulla divisa. Iltriangolo rosso, come iltitolo della nostra testataera il primo, il più peri-coloso per il loro sistemadi sterminio.

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Èmancata Anna Bra -vo, già docente diStoria contem po -

ranea all’Università di To -ri no e studiosa dei movi-menti sociali e politici del‘900.Con Aned ha avuto unalunga, proficua ed affet-tuosa collaborazione: ori-ginale studiosa delle fontiorali, è stata l’anima delprogetto di raccolta delle“storie di vita” degli ex de-

portati in seguito pubbli-cate nell’importante volu-me “La vita offesa” riedi-tato recentemente. Restano fondamentali l’al-tro libro “Una misura one-sta” e un’ampia serie di in-terventi in congressi in-ternazionali, svolti aTorino e altrove. Inoltre determinante è sta-to il suo contributo alla sto-ria della deportazione fem-minile.

Anna Bravo, prof a Torino

Ai giovani diceva:«Cosa potete fare perportare avanti il ri-

cordo e per comprendere ilpassato? Leggere, leggere,leggere». Ci ha lasciato  FrancoSchönheit, aveva 92 anni edera uscito dall’inferno diBuchenwald. L’Italia tutta perde un’altrainstancabile «voce di Me -mo ria». Con queste parole lapresidente dell’Unione del-le Comunità EbraicheItaliane Noemi Di Segni, hacomunicato la morte, il 14gennaio, di uno degli ultimisopravvissuti all’ Olo -causto. «Un uomo corag-gioso, affettuoso e appas-sionato, che ha messo la suacoraggiosa testimonianza,

maturata dopo anni e anni disilenzio, al servizio dei gio-vani e dell’intera colletti-vità. Siamo cresciuti e ma-turati con il suo dono di te-stimonianza che ci ha resipiù consapevoli e respon-sabili verso la verità e la sto-ria da tramandare, sua, del-la sua Ferrara, della sua ge-nerazione», ha aggiunto.Schönheit era nato nel 1927 aFerrara, dove venne arre-stato e deportato prima nelcampo di Fossoli, in pro-vincia di Modena.Il 5 agosto del 1944Schönheit arrivò a Buchen -wald, uno dei campi di con-centramento tra più grandidella Germania nazista. Quivenne fu liberato l’11 apri-le 1945.

Franco Schönheit, “ilragazzo di Buchenwald”sopravvissuto alla Shoah

Èmorto Piero Terraci -na uno degli ultimisopravvis suti italia-

ni ad Ausch witz, una per-dita inestimabile per tuttinoi. Il nostro compito saràpor tare avanti i suoi tragi-ci ricordi.La Fondazione Memoriadella Deportazione appren -de, con dolore e sgomen-to, la notizia della scom-parsa di Piero Terracina.Egli, con coraggio, ha sen-tito tutto l’impegno ed ilprofondo senso etico di tra-smettere la memoria dellaDeportazione per la cono-scenza e la coscienza del-le generazioni future.Durante la sua attività ditestimone Piero ha ricevu-to numerosi messaggi di

gratitudine e di solidarietàe crediamo che condivi-derne uno sia il modo mi-gliore per onorare la suame moria:«Caro Piero, le parole nonbastano mai, soltanto ungrazie per avere avuto ilcoraggio di rivivere tantodolore, quando lasciarsitutto alle spalle sarebbestato più facile, per rega-larci un futuro migliore eper fare in modo che ciòche ha segnato la sua vitanon avvenga più. Sappiache io ci credo, tutti insie-me possiamo fare memo-ria. Giorgio» Alla famiglia, alla comu-nità ebraica e all’Aned diRoma le nostre più sentitecondoglianze.

I NosTRI LUTTI

Addio a Piero Terracina, tra gli ultimi sopravvissutiitaliani di Auschwitz

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Campo di Gusen Tremende scoperte e permanenti misteri

di Alberto Rosati

Chi compra la villa in vendita?

Come abbiamo scritto in un numero dello scorso anno dellanostra rivista, si è aperta la possibilità che i proprietari di al-cune aree del campo, a cominciare dalla villa che era all’in-gresso del lager e che da decenni è una lussuosa residenza difamiglia, siano disposti a vendere. Ma chi può comprare? Siera parlato all’inizio del Governo austriaco, ma la lunga crisipolitica seguita alla fine dell’alleanza di destra che guidavail Paese, ha messo in sordina questa possibilità e dunque permesi da Vienna tutto è stato silenzio.

Si è allora inserito il governo polacco che, con una di-chiarazione del premier di destra Mateusz Morawiecki,ha avanzato la sua candidatura ad acquistare villa ed

aree. L’affermazione di Morawiecki è stata che a Gusen so-no morti migliaia di polacchi e dunque che è un diritto diVarsavia difendere la sacralità di quei luoghi. Il problema èche il governo polacco di destra sta usando il tema della de-portazione come un’arma politica di identità e di populismo.Ricordiamo la legge approvata mesi fa dal Parlamento, cheha aperto polemiche politiche e crisi diplomatiche, in conse-guenza della quale vengono giudicati e condannati a penedetentive coloro che affermano che anche i polacchi furonocomplici del Reich. E Ambra Laurenzi ha spiegato su questecolonne di come gruppi polacchi di destra abbiano cercatodi strumentalizzare le manifestazioni di Ravensbrück.

Il Comitato internazionale di Mauthausen ha subito rispo-sto che tocca all’Austria il compito di preservare la me-moria del lager e dunque che il governo deve acquistare

villa e terreni.

“Si è inserito il governo polacco (di destra) che ha avanzato la candidatura per acquistare villa ed aree

Per diversi aspetti in questi mesi il lager di Gu-sen è al centro di importanti notizie che hannoriacceso l’interesse internazionale sul campo nelquale sono morti anche migliaia di italiani.

Gusen sotto: lunghe gallerie scavate nelle montagne.

Gusen: lo strazio alla liberazione. I soccorritori trovanocadaveri e rovine tra le baracche del campo.

Gusen sopra: centinaia di baracche tra alte montagne.

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Dall’inizio dell’anno la crisi politica austrica si è risolta con lanascita di un inedito governo tra il Partito popolare del pre-mier Sebastian Kurz, di centro destra, e i Verdi del vice pre-mier Werner Kogler. Nel programma elettorale degli ambien-talisti era compresa anche la richiesta che il nuovo governo diVienna acquistasse tutto quello che è in vendita a Gusen. Sitratta di vedere ora se agli impegni elettorali seguiranno i fatti.

I resti ritrovati e quelli scomparsi

Alla fine del 2019 è tornata di attualità la vicenda della sco-perta, in realtà iniziata un anno prima, dei resti umani ritrovatidurante i lavori di ampliamento della stazione ferroviaria diLungitz, un comune a 5 chilometri da Gusen. Alla fine del2018 un operaio che stava scavando ha visto tra la terra smos-sa uno scheletro. I lavori vennero fermati e le analisi attestaro-no che si trattava di resti umani risalenti all’Alto Medioevo.Ma proseguendo poi gli scavi si è arrivati ad una sorta di vanonel quale vi erano crani, mandibole, ossa e ceneri evidente-mente umane e in quantità molto rilevante. Questa volta i pe-riti hanno attestato che si trattava di esseri umani morti nel pe-riodo della guerra.

Come noto, non è mai stato chiarito quanti siano stati gliassassinati a Gusen, sottocampo di Mauthausen che erastato definito “l’inferno dell’inferno” per le tremende

condizioni in cui erano ridotti i prigionieri. Sono migliaia an-che gli italiani morti qui. Ma la differenza tra il numero deiprigionieri registrati e quelli ritrovati vivi al momento della li-berazione è amplissima, addirittura, secondo alcuni, di decinedi migliaia. È noto che nei giorni immediatamente precedentila resa dei nazisti, moltissimi prigionieri vennero fucilati sullerive del Danubio e che un certo numero di ebrei vennero spo-stati altrove. Ma negli ultimi tempi della guerra, proprio allastazione ferroviaria di Lungitz erano arrivati convogli carichidi prigionieri spostati da Auschwitz. È chiaro che mancanocomunque all’appello i nomi e i resti di migliaia e migliaia divittime. Dove sono?

Alcuni degli assassinati, molto probabilmente, sonoquelli ritrovati sotto i binari di Lungitz, che parrebberoappartenere a circa 6.500 persone. Anche perché, co-

me ricorda Martha Gammer, proprio nei pressi vi era un gran-de forno di una fabbrica di mattoni, ma che, probabilmente,almeno negli ultimi mesi del conflitto, venne usato come cre-matorio. Ma gli altri di cui non si ha traccia? Qui entriamo nelcampo delle ipotesi.

Le gallerie segrete scavate dai deportati

A Gusen i deportati avevano dovuto scavare un reticolato digallerie nella montagna, nelle quali da un certo periodo si co-struirono, tra l’altro, i caccia Messerschmitt 262. Ma c’è chisostiene che in un sistema di gallerie supersegrete i nazististessero cercando di costruire la bomba atomica. Lo sostieneormai da anni il documentarista Andreas Sulzer che pensa diavere trovato anche l’imbocco di quel tunnel segreto. Ma ilgoverno austriaco gli aveva vietato di continuare le ricerche.Dello stesso parere lo storico austriaco Rainer Karlsch e que-

sta ipotesi sarebbe sostenuta anche dalla rilevazione che nel-le gallerie vi è la presenza di tassi di radioattività 26 voltesuperiore al normale.

Secondo Sulzer negli ultimi giorni di guerra i prigionie-ri che avevano lavorato a questi esperimenti sarebberostati portati nelle gallerie e uccisi per non far sapere

agli Alleati che qui si facevano esperimenti atomici. Propriosotto questi enormi tunnel nella roccia dunque ci sarebberoancora seppelliti migliaia di morti.

Ipotesi, naturalmente, ma proprio per questo sarebbe neces-sario proseguire nelle ricerche e chiarire una volta per tuttese c’è qualcosa nelle viscere di quelle montagne.

“C’è chi sostiene che in gallerie supersegrete i nazististessero cercando di costruire la bomba atomica

La villa che fungevada ingressodel lager.

Nel 1943

Nel 1945

Nel 1960

Nel 2013

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di Marco steiner

Le Pietred’Inciampo,monumento perogni deportato,senza distinzione di razza o dicredo politico

“Demnig vuole frazionare questa memoria collettiva, riportarla all’individualità. Ogni Pietra è una Persona

Ho spesso occasione di parlare di Pietre d’Inciampoavendo davanti un pubblico ogni volta diverso;oggi posso dare per acquisito il fatto che esisto-

no, così come è frequente l’intervento di quanti riferi-scono di aver “inciampato” in una Pietra d’Inciampo. Finoallo scorso anno dovevo, invece, iniziare spiegando co-sa fossero.

Comunque non tutto è facile e scontato. Per moltinon è ancora chiaro l’obiettivo del progetto diDemnig e questo deve essere ribadito in ogni oc-

casione: portare memoria di tutte le vittime del nazi-fascismo, indipendentemente da etnia, religione e orien-tamento politico. Una memoria che deve essere estesaa tutti i deportati senza distinzione alcuna: razziali, po-litici, militari, rom, omosessuali, testimoni di Geova,disabili fisici o psichici.Esiste una memoria collettiva che ci ricorda l’enormitàdella deportazione nazi-fascista: Demnig vuole frazio-nare questa memoria collettiva, riportarla all’indivi-dualità. Ogni Pietra è una Persona. Per questo il luogoideale della collocazione è quello dove risiedeva: l’in-dividuo faceva parte di quel contesto e improvvisamentevi fu strappato, quindi proprio lì può e deve essere ri-portato.

Nel progetto originale sulla Pietra dovevano ap-parire solo poche, ma fondamentali, iscrizioni: in-nanzitutto “qui abitava” (il contesto fisico lega-

to ad un edificio), nome e cognome (la persona), l’an-no di nascita (il contesto temporale), la data dell’arre-sto (definizione del momento in cui inizia il percorso didistruzione della personalità), il campo nazista (defi-nizione del luogo dove la personalità viene distrutta), ladata della morte.Sulla Pietra d’Inciampo non dovrebbe comparire alcunriferimento alla religione, all’orientamento politico, ocomunque al motivo della deportazione: tutti sono ri-cordati in quanto persone e ad ognuno è restituita l’i-dentità sancita dal proprio nome.

Con l’ultimo viaggio di Gunter Demnig, nelloscorso mese di gennaio, sono state collocate inItalia 1342 Pietre d’Inciampo in 141 comunidiversi, dalla sicilia al Friuli - Venezia Giulia,intitolate a 1342 persone, vittime dellapersecuzione nazi-fascista.

A queste vanno aggiunte 4 Pietre intitolate agruppi di deportati e 2 soglie d’Inciampo.Dalle prime 31 Pietre d’Inciampo posate aRoma il 28 gennaio 2010 è stata fatta moltastrada. si può oggi affermare che il progettooriginale di un monumento diffuso è unarealtà anche nel nostro Paese.

Tanti i luoghi. In riva al lago (Meina). In piazza (Guastalla). In una calle (Venezia). Davanti alla bottega (Genova).

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“Aned deve essere protagonista nel percorso italiano delle Stolpersteine

Con queste premesse è naturale che chiunque è legitti-mato a chiedere la posa di una Pietra d’Inciampo per unindividuo che sia stato vittima della persecuzione nazi-fascista. Nella realtà dei fatti le regole originali nonsempre sono rispettate: è comunque prevalente la con-siderazione che la Pietra d’Inciampo è intitolata a per-sona cui è stata intenzionalmente tolta la sua indivi-dualità.

Su tutto questo Aned deve far sentire maggiormen-te la propria voce. Infatti è Associazione Nazionaleex-Deportati nei Lager Nazisti; deportati senza di-

stinzione alcuna: razziali, politici, militari, rom, omo-sessuali, testimoni di Geova, disabili fisici o psichici.Esattamente quanto espresso negli obiettivi di GunterDemnig. Aned quindi deve essere protagonista nel per-corso delle Pietre d’Inciampo italiane.Questa rinnovata partecipazione dell’Associazione de-ve produrre anche un riequilibrio rispetto ad una og-gettiva sottovalutazione della deportazione politica nel-l’intitolazione delle Pietre d’Inciampo. Ho in corso dielaborazione un’approfondita analisi sulle persone cuiin questi undici anni sono state intitolate Pietre in Italia:

su un campione di 635 nominativi su 1342 (47,4%),solo il 18,1% è stato destinato alla deportazione po-litica e solo il 6,3% a quella militare. Ciò è in con-trasto con la realtà della deportazione italiana.

Questi sono i numeri che troppo spesso fanno ti-tolare ai media che le Pietre d’Inciampo sonocollocate a memoria delle vittime della Shoah,

facendo così un torto a quanti vittime della Shoahnon furono e soprattutto dimenticando l’obiettivoprimario del progetto: riportare all’individualità del-la persona, senza distinzione alcuna, indipendente-mente da etnia, religione e orientamento politico.Il Consiglio Nazionale di Aned del marzo 2019 ave-va approvato la formazione di un gruppo di lavoro perla definizione delle linee guida per la intitolazionee la gestione delle Pietre d’Inciampo in Italia. Si trat-ta di farlo ora funzionare a pieno titolo. Vero che l’incremento delle Pietre negli ultimi dueanni è stato esponenziale: a maggior ragione dun-que è indispensabile che Aned ne sia protagonistacercando di far sentire la propria voce in ogni sedeed in ogni occasione.

Le Pietre d’Inciampo (in tedesco Stolpersteine) sono un progetto efficace dell'artista tedesco Gunter Demnig (non toglie mai il cappello) iniziato nel 1992 e che consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, deiblocchi in pietra con una targa in ottone con i dati delle vittime di deportazione nei campi di sterminio nazisti.

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di Ambra Laurenzi*

Una lungaombraper troppotempo ignorata

“Introduzione per Ich bin schwanger – Sono incintadi Anna Di Gianantonio e Gianni Peteani

Nel tardo autunno 1938, ad 80 Km. a nord di Berlino,fu costruito il più grande campo femminile del TerzoReich, come luogo di punizione e rieducazione, perdetenute tedesche. Dopo l’inizio della guerra il 2settembre 1939 e l’occupazione nazista dei paesieuropei, divenne campo di concentramento KZ per ledonne delle nazioni invase: oppositrici politiche, ebree,testimoni di Geova, sinti e Rom, omosessuali, detenutecomuni, asociali. Ravensbrück, dove venneroimmatricolate 130.000 donne, con l’ampliamento delfronte di guerra fu ingrandito e divenne campo dilavoro forzato quindi campo di sterminio per mezzo del lavoro, delle camere a gas, di stenti. Il campo, da cui erano state evacuate la maggior partedelle detenute con la marcia della morte, venneliberato dall’esercito sovietico il 30 aprile del 1945.

Anna Di Gianantonio e Gianni Peteani affrontano que-sto difficile tema raccontando la storia emblemati-ca di Nerina Ursini Legovich, partigiana triestina

che ha affrontato l’arresto, la detenzione, il trasferimentoe la deportazione nel campo di concentramento di Ra -vensbrück e ad Abterode (sottocampo di Buchenwald),consapevole di aspettare un bambino che riuscirà incredi-bilmente a nascere un mese e mezzo dopo il suo ritorno aTrieste. La prima riflessione degli autori scaturisce da una logica edintuitiva domanda:Siamo dunque davanti ad una storia a lieto fine in cui la vi-ta prevale sulla disperazione e sulla morte?Nel corso della loro indagine capiranno che la traumaticaesperienza del lager lascia ferite che non è facile com-prendere anche perché la maggioranza dei testimoni, al ri-torno, ha fatto concludere la propria narrazione prima dioltrepassare la porta di casa (rari sono gli esempi dei rac-conti sul dopo. Tra questi il bellissimo libro “L’esile filodella memoria” di Lidia Beccaria Rolfi).

Merito di Anna Di Gianan tonio e di Gianni Peteaniè essere andati oltre quella porta. L’hanno apertacon discrezione, in punta di piedi, rispettando l’as-

senza di Nerina, venuta a mancare nel marzo nel 2007, e lainiziale difficoltà della figlia Sonia a raccontare il com-plesso rapporto con la madre.Ma prima di addentrarsi nelle dinamiche familiari, emer-se dopo la nascita della bambina, gli autori si soffermanosull’analisi del tessuto sociale e politico in cui Nerina ha vis-suto ed ha maturato la sua scelta di antifascismo. Era unantifascismo nato dalla sorprendente naturalezza e inelut-tabilità del Co se devi, se fa (frase in dialetto triestino“Bisogna fare quello che è necessario fare”), all’interno direti familiari e amicali che operavano come supporto e col-legamento per la Resistenza.

Potremmo immaginare quindi che la comune lotta controil nazifascismo abbia creato uno stretto legame tra i diver-si componenti delle famiglie, sia quelle di origine che quel-le acquisite con il matrimonio ma, nonostante questo, tor-nata a casa Nerina sente di non poter condividere la suaesperienza nel lager ma soprattutto i sentimenti contrad-dittori legati alla sua gravidanza.

Per comprendere meglio questa storia privata, che si in-serisce nel grande tragico affresco della storia dei la-ger, è necessario comprendere le peculiarità della de-

portazione femminile di cui così poco si è indagato e dibattuto.Negli anni Quaranta del ‘900 il destino delle donne, a par-te rare eccezioni di donne emancipate, contemplava il ma-trimonio e l’accudimento dei figli e in questa ottica la cu-ra di sé e un comportamento pudico e riservato erano esi-genze irrinunciabili. È con questa immagine che le depor-tate hanno dovuto fare i conti entrando in un contesto, illager, inimmaginabile e devastante.

Oltre a tutte le esperienze equiparabili a quelle della de-

Da molto tempo era attesa una pubblicazioneche mettesse in primo piano la complessità dellarelazione tra i sopravvissuti ai lager nazisti e leseconde e le terze generazioni.

Non significa togliere attenzione alle vittime, ideportati, ma, al contrario, proporre una rifles-sione che amplifica la loro terribile esperienzacome un’ombra sulle generazioni successive.

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“L’annullamento dell’individuo primo obiettivo della prassi concentrazionaria: non più persone ma numeri

portazione maschile: il freddo, la fame, il lavoro forzatocome strumento di sterminio, gli appelli interminabili emassacranti, le malattie e le infezioni, la paura di non so-pravvivere, le donne hanno subito offese come donne, co-me madri, come figlie, ogni singolo aspetto del femmini-le è stato violato ed è in questa molteplice visione che si in-serisce e deve essere analizzata la loro esperienza nel cam-po di Ravensbrück. Il taglio dei capelli, la perdita del ciclomestruale che viene bruscamente interrotto, il dover re-stare nuda davanti ai soldati o ai medici, e vedere nuda an-che la propria madre o la propria figlia.

E ancora, per le donne incinte, subire un aborto, oppure,una volta partorito, veder uccidere il proprio bambino ovederlo morire di fame e stenti perché il proprio seno noncontiene alcun nutrimento. Il loro corpo diventa strumento di esperimenti medici eviene sezionato, vi si iniettano virus e quant’altro possadiventare veicolo di infezione che deve essere studiata alfine di trovare antidoti per la cancrena gassosa, causa del-l’alto numero di vittime tra i soldati tedeschi al fronte, mache spesso diventa, per le deportate, strumento di mortetra atroci sofferenze. Il corpo della donna è il terreno in cui si svolge una batta-glia cruenta.

Da tutto questo nasce la paura dell’oblio, dall’esserein un luogo, non si sa dove, per un motivo, non si saquale, per un tempo, non si sa quanto, sperando in

un ritorno, non si sa come e quando. Come precipitare in un buco nero pensando che nessuno verràa conoscenza di ciò che è accaduto.In questo groviglio di incertezze Nerina si attacca alla vi-ta sognando di poter riprendere il suo posto vicino al ma-rito, di poter tornare nella sua casa e nella famiglia in cuiaveva lasciato le sue sicurezze. Ma oltre ai sogni, per so-pravvivere e tornare ha bisogno di tutte le energie che la bam-bina, crescendo dentro di lei, le prosciuga e per questo lapercepisce come un impedimento alla sopravvivenza.Nonostante tutto Nerina riesce a tornare a Trieste e alla suafamiglia, anche se dovrà vedere passare molti convogli perl’Italia perché, nella sua condizione di gravidanza, non rie-sce ad ottenere l’autorizzazione a partire. NuovamenteNerina vive la presenza della bambina come un ostacolo aciò che desidera sopra ogni altra cosa, rientrare nella sua ca-sa e ricongiungersi al marito.

“Quanto dura un conflitto e sino a che punto in-fluenza il nostro presente? In che modo i figli ei nipoti sono segnati dalla deportazione dei ge-

nitori, dalle loro azioni, dai loro silenzi?” L’ iniziale domanda che gli autori si pongono, e ci pongo-no, non ha una risposta né facile né univoca.Per molte donne il silenzio e il non detto sono state l’uni-ca comunicazione possibile nell’ambito familiare, ed è dif-ficile ritenere che la mancata elaborazione di questo trau-ma, subìto in molti casi nell’età della formazione, non ab-bia lasciato conseguenze nella loro vita futura.

L’annullamento dell’individuo era il primo obietti-vo della prassi concentrazionaria, non più personema numeri, non più volontà ma accettazione passi-

va di regole e ordini imposti. Con felice intuizione Germaine Tillion, etnologa e resi-stente francese deportata a Ravensbrück, intitolerà l’o-peretta che riesce a scrivere nel campo, con la compli-cità delle sue compagne, “Le Verfügbar aux Enfers”( quisopra la foto). Chiusa dentro una scatola da imballaggioe protetta dalle compagne, Germaine Tillon scrive unalucida analisi dell’universo concentrazionario con tonida operetta, che poi legge alle compagne per far loro me-glio comprendere ciò che stanno vivendo e, facendole ri-dere della loro stessa condizione, le aiuterà a trovare le ener-gie per resistere. (Les Verfürgbar aux Enfers éditions deLa Martinière, Parigi 2005).Con il termine tedesco Verfügbar sono identificate le di-sponibili l’ultimo gradino delle graduatoria delle depor-tate a cui venivano affidati i lavori più umili e pesanti.

L’edizione, in Francia, dell’operetta scritta daGermaine Tillion e sotto una rappresentazione.

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“Ancora una volta, della violenza sulle donne, vengono ritenute responsabili le donne stesse

In pratica la deportazione è considerata come una colpa.Alle donne non resta che riprendere il loro ruolo nell’am-bito della famiglia, là dove lo avevano interrotto, come sequanto è loro accaduto fosse stata una parentesi ora chiu-sa.Metaforicamente è come se, per l’improvviso abbandonodella casa, avessero lasciato nel lavello della cucina le sto-viglie che adesso potranno riprendere a lavare...

Così la narrazione della deportazione femminile si èuniformata, nell’opinione comune, a quella maschi-le e nulla della loro traumatica esperienza è stato ela-

borato.Nella ricomposizione il proprio io, che diventa in molti ca-si ipertrofico, non sono esenti le dinamiche familiari che pas-sano anche attraverso un’identificazione nei figli, cercan-do in essi una possibilità di riscatto.Nerina identifica nella figlia la causa delle sue sofferenzenon solo nel campo ma anche al ritorno, percependola co-me motivo della limitata attenzione che riceve dopo la suanascita, nonostante il suo estremo bisogno di cura.Per questi motivi la storia di Nerina è emblematica ed èuna prima riflessione verso una più profonda analisi dellalunga ombra per troppo tempo ignorata.

Al Memoriale di Ravensbrück da tempo si svolge unforum annuale sulle seconde e terze generazioni or-ganizzato e coordinato dal direttore dell’ International

Youth Meeting Centre, Dr. Matthias Heyl. All’incontro di quest’anno sono arrivati in molti, prove-nienti da diversi paesi europei. Figli e nipoti dalla Francia,Germania, Belgio, Polonia, Svezia, Svizzera, RepubblicaCeka, Slovenia, Italia, sono arrivati in silenzio alla spic-ciolata, nella sala del forum, per confrontarsi sulla comu-Il dott. Matthias Heyl durante un forum.

In questo contesto di totale perdita di sé, il ritorno avreb-be dovuto contenere un percorso di elaborazione e diricostruzione del proprio io, ma non sarà facile per nes-

suna delle sopravvissute. Dovranno affrontare un’altraterribile prova scoprendo che coloro da cui si aspettava-no accoglienza e comprensione, esprimeranno diffidenzaaccusandole, in quanto donne, del loro impegno nellaResistenza, causa dell’arresto e della deportazione. Inoltre, l’essere ritornate fa sorgere il dubbio che il loro com-portamento, per ottenere privilegi, non sia stato consonoalla morale.

Affiora nuovamente l’immagine che la società ha loro im-posto e, ancora una volta, della violenza sulle donne ven-gono ritenute responsabili le donne stesse che per decen-ni non hanno voluto parlare della loro tragica esperienza.

Tardo autunno1938.

Le deportateentrano, sotto ilmitra degli ss coni cani, al camposotto l’insegnadell’industrianazista.

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“La Storia non sia relegata nel passato ma diventi un presente consapevole, una Memoria attiva

ne condizione di legame parentale con le donne deportatenel campo di Ravensbrück, consapevoli che la storia privatadi ognuno in quel momento sarebbe stata condivisa.

Spontaneamente il microfono passa di mano in mano sen-za un preciso ordine, i racconti riempiono la sala e in alcunicasi, dopo aver ascoltato le diverse testimonianze, cala unsilenzio carico di emozioni e di pensieri.Si ascoltano storie di silenzio, durato anni, di chi non vuo-le ricordare e raccontare, ma vuole anche proteggere i figlidagli orrori vissuti, soprattutto quelli nati prima della de-portazione rimasti in attesa del ritorno della madre. Si tracciano ritratti di madri eroine che hanno combattutocontro il drago. Si riconosce il rifiuto da adolescente adascoltare la storia della madre che l’avrebbe resa, ai propriocchi, irraggiungibile.

Si descrivono periodi alterni di profonda depressione, diesplosioni di rabbia e di rifiuto della vita. Ma si ricordanoanche gli insegnamenti per reagire ai fascismi e quelli a vi-vere: Quand on a contemplè la mort, on est blindè pour lavie (“Quando abbiamo contemplato la morte, siamo pro-tetti per la vita”.Claude du Granrut figlia, oggi novantenne, di Germainede Renty, ricorda queste parole che la madre spesso ha ri-portato nei suoi interventi e nei suoi scritti).

Da molto tempo anche l’Aned- Associazione Nazionaleex-Deportati, organizza a Milano un convegno an-nuale in cui i figli e i nipoti raccontano l’esperien-

za di loro familiari, dalla persecuzione all’arresto, dalla re-sistenza alla deportazione, che di anno in anno viene ag-giornata e arricchita con nuove ricerche negli archivi di fa-miglia. Un’esperienza collettiva in cui si testimonia la pre-

sa di coscienza di una generazione che condivide la sto-ria familiare di lotta e di deportazione, consapevole chealla base di questi incontri sono presenti valori comuniche devono essere a loro volta tramandati e, dunque, la do-cumentazione deve essere la più puntuale e ricca possibile.(La Parola ai figli e nipoti - Aned-Milano Nimesis Edizioni,2007; I nuovi testimoni dei Lager, figli e nipoti di depor-tati raccontano -Aned-Milano Nimesis Edizioni, 2010)

Gianni Peteani, figlio di Ondina Peteani prima de-portata ad Auschwitz e poi compagna di prigioniadi Nerina a Ra vensbrück, ha curato il rapporto con

Nerina per molti anni, fino alla sua morte, e poi con Soniae suo figlio Manolo indispensabili per la sofferta realiz-zazione di questo lavoro. Così come altrettanto sofferto, crediamo, sia stato scri-vere l’ultimo capitolo dedicato ai protagonisti racconta-ti in prima persona da chi li ha conosciuti bene.

Anna Di Gianantonio in conclusione scrive:...il fascismo e nazismo non sono solo periodi storici con-segnati al passato, ma il loro ricordo condiziona in mo-do permanente i superstiti e le loro famiglie che ne sianopiù o meno consapevoli. Per questo ci occupiamo di po-litiche, immaginari, violenze e ideologie che fanno an-cora parte integrante della nostra società”.

Si, ed è per questo che ci auguriamo che la Storia non siarelegata nel passato ma diventi un presente consapevolee che la memoria familiare non si racchiuda nel privato madiventi una Memoria attiva sulla quale tracciare un solcoper le future generazioni.

*Presidente Comitato Internazionale di Ravensbrück

Fine aprile del 1945.

Un autocarro partecon alcune ragazzedopo la liberazionedel campo da partedell’Armata Rossa.

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di Laura Tagliabue

Il senso di fare ricercaoggi

“Italo Tibaldi e l’immane costruzione dei percorsiconcentrazionari dei suoi “compagni di viaggio”

Furono loro i capisaldi della nostra letteratura con-centrazionaria. In seguito toccò ai figli ricostrui-re la memoria dei padri, anche per ricucire i vuo-

ti e le perdite.A latere, intanto, iniziava con Italo Tibaldi l’immanecostruzione dei percorsi concentrazionari dei suoi “com-pagni di viaggio”, un elenco infinito che arrivò a regi-strare più di 44.000 immatricolazioni. Contare significava dare riconoscimento, restituire va-lore e considerazione a ciò che aveva coinvolto una par-te così consistente di italiani, dare un nome e un voltoa coloro che per i nazisti erano dei numeri. Da lì preseavvio un più ampio processo di analisi storica dei la-ger e dei destini dei nostri deportati: ricerche che neglianni hanno arricchito le indagini e sono state fonda-mento delle nostre attività, delle narrazioni che ancoraoggi andiamo facendo in ogni luogo e occasione.

Le sezioni fecero la loro parte nella ricerca, e tutteconservano preziosa documentazione, elenchi dideportati e dei loro famigliari, testimonianze, fo-

to e oggetti che costituisco un corpus importante diinformazioni che andrebbero altrimenti perdute. Su questa mole di dati metodologicamente disomoge-nei, talvolta dispersi in armadi, casse e cassetti, sonostate pro dotte separatamente interessanti opere di ri-cerca locale, che ci restituiscono la realtà e l’atmosfe-ra delle singole situazioni, preziose per comprenderela complessità della storia nel suo insieme, una storia fat-ta proprio dalle piccole storie provinciali.

Inoltre ci mettono a disposizione i particolari della “vi-ta di prima” utili a stabilire la relazione fra le logichepolitiche della deportazione e i diversi luoghi di desti-nazione.

Solo con Il Libro dei Deportati prodotto dal -l’Università degli Studi di Torino si è raggiuntoun quadro sintetico d’insieme, che affianca il qua-

dro delle deportazioni razziali delineato dal Libro del-la Memoria di Liliana Picciotto.

Entrambi pietre miliari di qualsiasi ricerca attuale, ri-sultano tuttavia carenti nei dettagli di cui parlavamo,del contesto locale e delle situazioni specifiche, dove ilparticolare avrebbe argomentato meglio le ragioni del-la deportazione, come per esempio le circostanze del-l’arresto e, soprattutto, quando ci sono, i precedenti at-ti di polizia subiti dai politici.

Chi viene deportato nel tragico anno 1944 era moltospesso già stato arrestato, condannato ad anni di car-cere o al confino, costretto a fuggire all’estero, vigila-to speciale. Alla prima occasione, come un attentato e ancor di piùa fronte degli scioperi, le liste si costruiscono prima ditutto coi loro nomi, accanto ai giovani renitenti alla le-va, impegnati nella resistenza sulle montagne e nelle

Parlare di ricerca in Aned è un’operazionescontata. Tuttavia, come ultima arrivata, misento in dovere di ricordare a me stessa perprima le molteplici valenze di questa attività.

All’inizio la ricerca fu l’inseguire concitato ditracce e notizie da parte dei famigliari cheignoravano la sorte dei loro cari; poi vennerole memorie di chi tornava, a cui figli, mogli,madri e sorelle chiedevano una certezza,drammatica o di speranza.

... iniziava con Italo Tibaldi l’immane costruzione dei percorsi concentrazionari dei suoi “compagni di viaggio”, un elenco infinito che arrivò a registrare più di 44.000 immatricolazioni.

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“È il tassello di un quadro ancora non completo, ma insieme rimanda e completa le informazioni

città, talvolta scioperanti senza nemmeno sapere benecosa significasse.

La persecuzione razziale inizia nel 1938 ma per i“sovversivi”, per gli oppositori del regime fasci-sta era già cominciata da molti anni.

Ora, dopo 75 anni dalla liberazione dei campi, mentrei nostri testimoni diretti vengono a mancare progressi-vamente, mi sembra importante attivare un’azione an-cora più intensa di divulgazione e di approfondimentoper cercare di completare una ricerca che appare senzafine, perché ogni nuova informazione costituisce untassello di un quadro ancora non completo, ma insiemerimanda e completa le informazioni correlate. Ogni nome custodito in un documento ne porta con séaltri, rivela differenti dettagli, nuove informazione di con-testo. Ogni saggio rimanda a nuove domande e nessuna sin-tesi esplicativa riesce a contenere tutte le varianti diambiente e personali. Se le storie emblematiche sono numerose, le eccezionilo sono altrettanto.

Lo dobbiamo per il rispetto di cui siamo debitori achi ci ha preceduto, lo dobbiamo perché lo studiodella documentazione sulle deportazioni e sul fa-

scismo è uno dei nostri scopi statutari, lo dobbiamo perla sua significativa valenza etica e ideale.

Ma lo dobbiamo anche come gesto “politico”. Politico è l’atto di ridare un nome a chi era considera-to uno stück, una razza da eliminare, un pericoloso sog-getto da togliere dalla circolazione. Politico è l’atto di dare informazioni fondate, correttee complete su persone e fatti storici, soprattutto contro

chi nega tali fatti o ne mistifica il peso e il significato.Politico è permettere a tutti di avere accesso ai dati,alle cifre, per informare direttamente o per permet-tere attività didattiche, ma soprattutto per proporcicome exemplum di correttezza comunicativa in unmondo che propende per la semplicioneria, il luogocomune, che utilizza puntualmente la mistificazio-ne, la manipolazione e la falsa notizia.

Sempre di più dobbiamo contrapporci – anche selo facciamo già – a smontare l’immagine di unfascismo “benevolo” che solo dalla stolta al-

leanza con Hitler “si è adeguato” ad utilizzare mez-zi di repressione e discriminazione razzista. Discriminazione razziale e repressione delle oppo-sizioni avevano la stessa radice ideale. Il fascismo di oggi anche.

L’Aned lo ha sempre fatto, basta scorrere i vecchinumeri del Triangolo Rosso e le relazioni congres-suali, ma oggi a tutti viene chiesto qualcosa di più,ciascuno di noi deve poter attingere ad un materia-le completo e accessibile rapidamente, deve trova-re prontamente “il caso personale” per ribattere esmentire fatti raccontati senza fondatezza e per op-porci a mistificatorie ricostruzioni della storia.

Questo è il gigantesco censimento a cui siamo chia-mati a dare un contributo. Con la costruzione di undatabase on line di tutti i nomi e le informazioni de-gli italiani deportati, Aned si è posta un obiettivo al-to, di grande difficoltà, di lunga durata ma di im-portantissimo peso politico. Siamo orgogliosi di costruirne anche solo qualchetassello.

Il Museo al Deportato di Carpi (Mo) è stato “costruito” con i nomi. La gestione è a cura della Fondazione Fossoli.

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di Andrea Di Veroli

Le prime vittime nazistesono statii diversamenteabili

““Quelle dei disabili – diceva Hitler nel suo Mein Kampf – erano vite indegne di essere vissute”

Nella Celebrazione del Giorno della Memorianon si può venir meno al ricordo dei diversa-mente abili, perché la folle ideologia della raz-za pura li prese come prime vittime.

L’Aktion T4, abbreviazione di Tier garten -strasse 4, è il nome con cui si identifica il Pro -gramma nazista di eutanasia dei diversamen-te abili.

Il nome di questo programma deriva dall’indirizzo do-ve era collocato il quartier generale dalla GemeinnützigeStiftung für Heil- und Anstaltspflege, Per la salute e

l’assistenza sociale. La procedura escogitata era stata pen-sata per mantenere il più stretto segreto, infatti le clinichee gli ospedali erano invitati a segnalare per mezzo di mo-duli molto generici, i dati sulle persone diversamente abi-li, psichici o fisici. Poi si procedeva con la farsa di un parere di tre periti e quin-di veniva inviato il modulo ad un supervisore che decidevasulla vita o la morte del paziente, senza alcuna informa-zione all’interessato o ai suoi familiari.Arrivata la sentenza di eliminazione, il regime dalla sedecentrale di Berlino, procedeva con i trasferimenti degliammalati, a cura della “Società di Pubblica Utilità per iltrasporto degli ammalati”. I pazienti venivano traspor-tati da pullman ben camuffati in uno dei centri di elimi-nazione Grafeneck, Bern burg, Sonnenstein, Hartheim,Brandenburg, Hadamar, dove si procedeva con quelle chefurono le prime camere a gas, mascherate da docce, equindi con i forni crematori per l’eliminazione dei cada-veri.

Iparenti del paziente venivano informati per mezzo diuna lettera della morte certificando una causa qual-siasi, aggiungendo che per ragioni di sicurezza e sani-

tarie, il cadavere era stato cremato. “Quelle dei disabili –diceva Hitler – erano vite indegne di essere vissute”. Nelsuo Mein Kampf (1925–1926), nel capitolo Stato, scrissechiaramente le sue idee in merito: “Chi non è sano e de-gno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare lesue sofferenze nel corpo del suo bambino. Qui, lo Stato na-zionale deve fornire un enorme lavoro educativo, che ungiorno apparirà quale un’opera grandiosa, più grandio-sa delle più vittoriose guerre della nostra epoca borghe-se”.

Così come nel discorso di Himmler, comandante delTerzo Reich, alle SS troviamo: “I nazisti devonocreare una nuova morale, rude e brutale, che igno-

ri la compassione e i problemi di coscienza. Si prova for-se rimorso a schiacciare uno scarafaggio? No. Gli op-positori del nazismo sono scarafaggi, esseri nocivi e abiet-ti. Distruggerli, non solo non è peccato, ma significa ope-rare per il bene comune, agire a favore della razza e del-la nazione tedesca. Zingari, ebrei, pazzi ed emarginati, lalista, di coloro che si dovrà imparare a maltrattare sen-za battere ciglio, a umiliare, a torturare e, per finire, adasfissiare nella totale impunità e senza l’ombra del minimorimorso, è lunga”.

Subito si sviluppò la concezione del diritto dello Statodi uccidere tutti i diversamente abili e i malati incu-rabili principalmente per tre motivi:

• per loro stessi, in quanto la loro vita è infelice • per i loro famigliari, la cui vita era dolore e impotenza • per lo Stato, che poteva drenare altrove importanti ri-sorse pubbliche.

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“Lo sterminio iniziò con l’eutanasia di 5000 bambini con iniezioni da parte di medici e infermieri

Il 14 luglio 1933 viene emanata la legge per la preven-zione di nuove generazioni affette da malattie ereditarie,introducendo l’obbligo della sterilizzazione, che può es-sere richiesta non solo dai diretti interessati, persone di-sabili e dai loro familiari, ma anche dai medici del ServizioSanitario e dai Direttori degli Ospedali civili e psichiatrici,qualora lo ritengano opportuno.

Sei giorni dopo (20 luglio ’33) fu firmato il Concordatocon il Vaticano, atto approvato da Eugenio Pacelli, il fu-turo papa Pio XII, e da Franz von Papen per conto rispet-tivamente di papa Pio XI e del presidente tedesco Paulvon Hindenburg.

Il 5% della popolazione tedesca, quasi 350 mila perso-ne, furono sottoposte a castrazione attraverso raggi Xo interventi chirurgici, durante i quali molti morirono.

Il Regime mise in piedi una macchina di propaganda, uti-le a convincere una sorta di idea di “giustezza” della ste-rilizzazione e eutanasia per la selezione degli individuimigliori. Riporto ad esempio il testo di un libro di mate-matica, Mathematik in Dienst der nationalpolitischenErziehung, 1941, traduzione di Alessandro Berlini, deglianni quaranta.

Questo il problema da svolgere nelle scuole ele-mentari del Reich: “Un pazzo costa allo Stato 4marchi al giorno, uno storpio 5,50, un criminale

3,50. In molti casi un impiegato statale guadagna solo3,50 marchi per ogni componente della sua famiglia, eun operaio specializzato meno di 2. Secondo un calcoloapprossimativo risulta che in Germania gli epilettici, ipazzi, etc. ricoverati sono circa 300.000. Calcolare: quan-to costano complessivamente questi individui ad un costomedio di 4 marchi? Quanti prestiti di 1.000 marchi alle cop-pie di giovani sposi si ricaverebbero all’anno con quellasomma?”

Non dimentichiamo che lo sterminio dei diversa-mente abili iniziò con l’eutanasia di circa 5000bambini da parte di medici e infermieri con inie-

zioni letali o con pratiche di denutrizione direttamentenelle strutture in cui erano ricoverati, per passare subitodopo, in breve tempo, agli adulti. Anche quando, nell’a-gosto del 1941, Hitler ordinò la sospensione della primafase dell’eutanasia degli adulti, i bambini non rientraro-no in questo cosiddetto “ordine di sospensione” e l’eu-tanasia infantile continuò. Era diffusa l’ideologia nazista secondo la quale era giu-sto eliminare i bambini che dalla nascita presentano gra-vi disabilità poiché essi rappresentavano: • un peso insostenibile per la famiglia e per la società; • costi per le cure mediche ed assistenziali.

Questi esseri, inferiori, sarebbero stati condannati acondurre soltanto delle vite di sofferenza e di do-lore, pertanto lo sterminio dei diversamente abili

serviva nella malata concezione nazista a porre fine allasofferenza personale e consentire una distribuzione piùrazionale ed utile delle risorse economiche. Nella speranza che la nostra Costituzione e la RepubblicaItaliana siano il baluardo perché ciò che è stato non pos-sa mai più ripetersi. Meditate che questo è stato (PrimoLevi)

Tutto cominciòqui, nell’edificiodel programmaT4. Coloro cheerano statiselezionati perl’eutanasiavenivanoprelevati dagliistituti etrasportati suautobus comequesto (a destra)per l’ Aktion T4. L’ultima tappaera nel castellodi Hartheim,troppo bello(tutti pensarono)per sterminare.

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Grazie a www.dimenticatidistato.comho ritrovato parte della mia famiglia.

di Giovanna Carsughi

che i mostri del la fervidamente umana possono gene-rare: Dante che si getta sulfilo spinato o che viene ucci-so da un colpo di pistolasparato dall’impietoso inse-guitore. In realtà, da quantoemerso dalle mie suc cessivericerche, mi è le cito chieder-

mi se, in seguito ad una taleef frazione, a Dan te non siasta ta comminata come puni-zione il trasferimento imme-diato dal primo campo diconcentramento dove è arri-vato al cam po satellite diDrüt te, di cui parlerò inseguito. 

Dante, nato il 15 set-tembre 1904, eral’ultimo di quattro

fra telli (mio nonno maternoUmberto, il primogenito,do po la morte del padre siar ro gò il compito di paterfa milias e si erse a baluardodi tutti quei valori e diritticontrapposti e contrari alladittatura fascista). Il destinoinfame, a braccetto con laguer ra, si accanì sul quarto-genito e sulla terzogenitaMa ria (l’unica femmina),che trovò la morte insiemeai suoi due figli nel rifugiodi Via Fanti straziati, accan-to ad altre quattrocento vitti-me provenienti dal quartiereSan Pietro, dal carcere diSanta Palazia e dal rifugioper orfanelle Birarelli, dal-l’onda d’urto di uno o piùor digni caduti in prossimitàdell’entrata, durante il bom-bardamento di Ancona del -l’1 novembre 1943. Questi,in sostanza, sono i ri cordiche contraddistinguono quel

Le nostrestorie

Dante sturbini che si pensavafosse stato ucciso perché rubava per se e per gli altri“soltanto” le bucce di patate

Dante sturbini, il prozio ritrovato dopo unlungo viaggio della memoria. Nonostante nonabbia mai conosciuto di persona il mio proziomaterno, c’è sempre stata una sorta di irra-zionale, ma profondo legame spirituale ed

affettivo tra lui e me.

Fin da bambina, ogni volta che ne sentivoparlare per accenni ed allusioni, il mio cuore,ben prima della mia mente, si metteva inmoto soggiogato da una molteplice risonanza

di sentimenti contraddittori.

detto/non detto sperimentatodurante la mia in fanzia,accomunati tutti da una con-clusione sempre iden tica tra-mandata per boc ca di unparente IMI (Vita liano Gag -giotti) che è riuscito a so -prav vivere e che è sta to te -sti mone di un finale apo -calittico. Dante era bravissi-mo nel ru bare le patate persé e per gli altri, fino a quan-do un giorno, colto sul fat to,viene visto essere inseguitoda una guardia nazista, perpoi far perdere completa-mente le sue tracce fisiche inquell’atemporale mondo/ -non mon do dei KZ. C’è chi,nella mia famiglia, ha volutostigmatizzare questo nebulo-so episodio dandogli unacategorica e vivida cornicedi de finitiva ed inopinabilecon clusione, forse perchél’immaginare una fine, sep-pure tragica, risulta più facil-mente accettabile dell’inco-gnita rappresentata da tantifinali differenti e contrastanti

Dopo l’armistizio dell’8 settembre si trovò intrappolato in una Trieste concitata ed

Il plastico del campo di concentramento di Drütte,dove era deportato sturbini.

Poi gli anni passano, il tem -po vola, e quel mito atem po -rale e quasi afono di un pa -rente morto, chissà do vechis sà quando, finisce nel di -menticatoio delle cose per-dute. Fino a quando, nel 2017, tro-vandomi “per ca so” a digita-re il nome e co gnome di miononno materno in un motoredi ricerca, spinta dalla curio-sità di trovare informazionisulle forze armate in cui erastato arruolato durante la pri -ma e se conda guerra mon-

diale, ecco comparire lostesso cognome, ma prece-duto da un nome diverso, unnome che ha riportato allaluce una evanescente orda diricordi e memorie. È graziea quel sito, www.dimentica-tidistato.com, se ho ritrovatouna parte dispersa del passa-to mio e della mia famiglia.È doveroso spendere pochepa role in proposito: esso èsta to ideato da RobertoZam boni che, dopo anni edanni di ricerche, è riuscito acrea re una lista di circa

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16.000 deportati militari ecivili italiani i cui corpi furo-no traslati dagli originali luo-ghi di sepoltura nei cimiterimilitari d’onore di Austria,Germania e Polonia. Granpar te dei loro nomi e tracceerano finiti in una sorta dilimbo burocratico perché ilcommissariato generale diono ranze ai caduti non ave -va notificato ai loro familiarialcuna notizia in merito. Da un piccolo passo nasceun viaggio infinito. Mi sonoattivata per far ottenere aDante la medaglia d’onore,facendo richiesta ai due prin-cipali centri tedeschi (ITS -International Tracing Ser -vice di Bad Arolsen ed allaDeutsche Dienst Stelle diBerlino) di tutta la documen-tazione in loro possesso. Ed

un mondo nuovo si è apertodavanti ai miei occhi, unmondo fatto di annotazionipedissequamente dettagliate,precise ed ordinate, fin quasial limite dell’ossessione perdate, numeri ed orari scandi-ti in ore e minuti.

Dopo l’armistizio dell’8 set-tembre, Dante si trovò in -trap polato nelle spire di unaTrieste concitata ed occupatae, successivamente, rinchiu-so insieme ad altri 47 prigio-nieri in un treno per Vienna.Provando ad immaginareche cosa debbano aver pro-vato tutti quegli infelici, miviene in soccorso il libro“Sto ria di Sergio” di Andra eTatiana Bucci con Ales san -dra Viola, che ho scoperto eletto proprio durante que stigiorni di poco successivi alGiorno della Me moria spintaanche dal fatto che il destinodi Sergio presenta, per così

dire, un punto d’intersezionecon quello di Dante:“Quando si viaggia, lamente anticipa il corpo ne glispostamenti immaginando letappe, l’arrivo, le sen sazioniche si proveranno. Il loro,però, dal momento cheerano all’oscuro di tutto, eraun viaggio immobile. I corpisi spostavano e si avvicina-vano alla metà, ma le mentierano cieche e anche quelledi chi stava im maginandol’orrore in cui sarebberosprofondati vagavano smar-rite tra incubi im precisati”.Da Vienna gli Ita liani prigio-nieri furono portati al campo

Da Vienna gli Italiani furono portati alcampo di Neuengamme e poi a Drütte

Il 24 gennaio ad Ancona è stata posta in Piazza del Plebiscito una pietra d’inciampo in onore e memoria di Dante.

La medaglia d’onorea Dante sturbini

te in tedesco). Per andare al lavoro, nel ca -pannone Aktion 88, Walz -werk, i deportati dovevanopri ma radunarsi nel l’Ap pel l -platz (dove adesso è stataposta una scultura a forma ditriangolo rovesciato rivestitadi tanti piccoli triangoli ditutti quei colori usati dai Te -deschi per contraddistingue-re le varie tipologie di pri-gionieri), per poi camminaree camminare ad un ritmo re -golare all’interno di un tun-nel, controllati a destra e asi nistra dalle SS. Essi do -vevano fabbricare ordignibellici, in particolare granatedel peso di circa 12 chili cia-scuna. Qui mio prozio trovò lamor te il 14 marzo 1944 per“broncopolmonite ad en -tram bi i polmoni”. Una ma -no glaciale ed anafettiva neha registrato persino l’oraesat ta della morte: 20:10. Ilsuo corpo, insieme a quellodi parecchi altri prigionieridi questo sottocampo fu inu-mato nel vicino cimitero diJammertal. Ciò potrebbesembrare strano, se pensia-mo per esempio a quello cheaccadde ai corpi di altre,infinite vittime di altri, troppiKZ, ma in realtà le rispostedatemi dalla guida sono statedue: si trattava di un sotto-campo di dimensioni esigueed i Tedeschi tenevano a farebella figura e a mostrare aicontemporanei e posteri co -me e quanto fossero rispetto-si nei confronti dei morti (!).

di concentramento diNeuengamme (Am burgo),dove venne loro assegnatoun numero di matricola (hoimparato a memoria quellodi mio prozio: 23628. Dalle fonti il numero risultaemesso tra il 24 ed il 27 set-tembre 1943. Successiva -men te fu trasferito al camposa tellite di Drüt te, a circa160 chilometri a sud di Am -burgo. Sono andata a visitarlo sem-pre ad agosto 2018, in quelloche sono so lita definire unpellegrinaggio sulle ormedel la me moria. Esso è rima-sto strutturalmente identico acome era nel 1942, collegatoalle Reichswerke HermannGöring, fabbriche di acciaiofondate nel 1937 (ancora og -gi vi si produce acciaio, de -stinato al mercato delle auto,e per entrare bisogna avereun permesso speciale ottenu-to tramite la fondazione delmemoriale vittime Gedenk -stättenleitung di Drütte). Nel1942 il management si ac -cordò con le SS per costrui-re, nelle immediate vicinan-ze, un campo di lavoro coat-to. Non vi erano capanne,ma stanze ritagliate diretta-mente sotto la strada soprae-levata (Ho chstraße) di acces-so, in ognuna delle quali era -no stipate circa 600 personedisumanizzate, tutte diverseper lingua e nazionalità (mene è stata fatta visitare una,adibita a museo, dove tuttele di da scalie relative a foto,pian tine ed oggetti sonoscrit te so lo ed esclusivamen-

occupata e successivamente rinchiuso con altri 47 prigionieri in un treno per Vienna

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Il figlio racconta la vicenda di un padre, plu-ridecorato pilota di aerosiluranti, passatoindenne tra le terribili azioni nel Me diter -raneo occidentale.

Prosegue, quindi, narrando che, dopo l’8settembre ‘43, Guido Focacci aderisce allaResistenza nelle file di Giustizia e Libertà eviene imprigionato come politico dal giugno‘44 alla liberazione del campo a maggio ‘45.

Fin da ragazzino GuidoFocacci era letteral-mente fissato con gli

aeroplani. Abitava in un pae-sino del Casentino in To -scana, Borgo alla Collina,Studente universitario aBologna, per non gravaretroppo sulle esigue disponi-bilità familiari, vendeva isuoi aeromodelli ai negozispecializzati. Erano perfet-ti, i migliori tra quelli che sipotevano reperire allora.Trovai una elica di balsa fat-ta da mio padre in un vec-chio armadio che gelosa-mente conservo tra le cosepiù care.Non aveva certo simpatieper il regime fascista, tutt’al-tro, ma soltanto quella gran-de passione per gli aeropla-ni che l’accompagnerà sem-pre, da adolescente, da stu-dente universitario, durantela guerra ed in tutta la suacarriera. A 20 anni, dichia-rerà poi tantissimo tempodopo, “i ragazzi capivanoben poco di quello che sta-va accadendo, prevaleva uncerto spirito goliardico ed

eravamo privi di ogni guidain proposito”Nel 1938 prese il brevettocivile di 1° grado, passandopoi dalla Fanteria alla RegiaAeronautica, come Ufficialedi Complemento, e prenden -do il brevetto militare pres-so la scuola di Pilotaggio del-la Regia Aeronautica di 1°periodo di Frosinone sul bi-plano Ro 41. Nel 1940 iniziò l’addestra-mento sugli SM-79 pressola Scuola di Bombardamentodi Aviano che continuò al 1°Nucleo Addestramento Aero -siluranti di Gorizia. Ai re-parti arriverà il 18 agosto1941.L’SM-79, detto il GobboMaledetto, era un grosso tri-motore utilizzato come bom-bardiere e poi come aerosi-lurante. Il velivolo venne scelto inquest’ultimo ruolo per le af-fermazioni prestigiose di pri-ma del conflitto e per esserestato già impiegato per i col-laudi dei siluri nella rada diFiume. Fu il suo aeroplanoper quasi tre anni.

Le nostrestorie

Guido Focacci, il toscanopilota di aerosiluranti. Partigiano dall’ 8 settembre fu deportato a Mauthausen

di Gianni Focacci

Dal luglio ‘41 in Sardegna con il 130° gruppo: pilotava il “Gobbo Maledetto”

Fin da ragazzino era letteralmente fissato con gli aeroplani. Nel tempo libero

Era un mestiere tremendoquello dell’aerosilurantista:il pilota doveva calcolaretutto ad occhio, velocità del-la nave da colpire, distanzadi lancio, angolo di rileva-mento e di impatto.Calcolata con questi dati lamigliore mira possibile, abassissima quota e dopo avermesso l’apparecchio in po-sizione di sgancio e lancia-to il siluro, i piloti doveva-no poi eseguire la manovradi scampo, passando soprala nave o virando, a secon-da dei casi, cosa che richie-deva abilità spiccate per nonoffrire un bersaglio al fuocodella unità colpita o di altrecooperanti alla difesa con-traerea. Il tutto reso ancorapiù temibile dalle forma-

zioni di caccia nemici chesi potevano incontrare sianella rotta di avvicinamen-to al bersaglio che in quel-la di scampo.E sono orgoglioso di poteraggiungere alla storia di miopadre anche questa primaparte aeronautica, durantela quale fu decorato con 4medaglie d’ Argento al valorMilitare ed una di Bronzoal valor Civile.Nel Luglio del1941 fu as-segnato al 130° Gruppo, inparticolare alla 283° Squa -dri glia Autonoma aerosilu-ranti, appena costituita adElmas. Sono tanti gli assidell’ SM-79 di tutti i Gruppiche operavano da svariatifronti, Grecia, Sicilia, AfricaSettentrionale, Sardegna.

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Continuano anche nel ‘42 gli attacchi italiani ai convogli inglesi verso Malta

Tre motori bloccati e deve atterrare in emergenza col siluro sotto la pancia

Equipaggi sempre pronti al decollo eall’azione nel Mediterraneo

si divertiva a lanciare modellini in balsa con l’elastico che si costruiva da sé

Il 130° gruppo di stanza adElmas costituì una costanteminaccia per le SquadreNavali Inglesi, che subirononel corso del conflitto si-gnificative perdite. Gli equi-paggi erano sempre prontial decollo su allarme. Un solitario eroico ricogni-tore ci ha dato l’allarme ini-ziale, un convoglio nemicoè stato avvistato circa 30 mi-glia ad ovest di La Galite.Via di corsa degli equipag-gi agli aerei, decollo e for-mazione ad ala, rotta su La

Galite (Tunisia). Ala controala i tre aerei in formazionestretta si avvicinano al ber-saglio, ciascuno conosce ilsuo compito. La nave vieneindividuata ed attaccata dadestra e da sinistra. Il terzovelivolo non deve sgancia-re per attendere l’esito dellancio degli altri due. La rea-zione è violentissima, la mo-tonave reagisce ferocemen-te con il fuoco delle sue mi-tragliatrici e dà indietro tut-ta nella speranza di far pas-sare il siluro.

Focacci stringe l’attacco, siposiziona per il lancio esgancia alla minima distan-za per poi indirizzarsi sullarotta di scampo. La nave,l’Empire Guil lemot, è col-pita ed affondata. 20 nau-fraghi furono recuperati perfortuna giorni dopo. Siamo a settembre del 1941,si ripetono gli attacchi aiconvogli nel MediterraneoOccidentale che cercavanoinsistentemente di rifornireMalta e si ripetevano gli al-larmi. Vengono registratitanti affondamenti di unitànavali nemiche ma le per-dite purtroppo saranno sem-pre rilevantissime. Il conflitto nel MediterraneoOccidentale continuerà, an-che nel 1942, ad essere so-

prattutto una guerra ai rifor-nimenti navali verso Malta.Nella rada di Algeri, così co-me nella zona dell’isola LaGalite o nella rada di Bougiecontinuano gli attacchi ita-liani ai convogli inglesi.

In quest’ultima missione, 5velivoli della 283° squadri-glia, tra cui Focacci, e 4 del-la 280° attaccano un convo-glio e affondano un grossoincrociatore e due impor-tanti navi da carico. Un pi-roscafo è danneggiato gra-vemente. La reazione dellacontroaerea è come al soli-to terribile e le perdite no-stre, in termini di uomini emezzi, saranno rilevanti.Dichiarerà Focacci: “la Radadi Bougie la ricordo anco-ra, una specie di pozzo roc-cioso alto circa 200 metridal fondo del quale un nu-mero inverosimile di navisparava ai siluranti italia-

Nella foto sotto il titolo Guido durante il periododell’addestramento militare nel 1940. sopra il “GobboMaledetto”. Destra: il sorvolo dell’ “Empire Guillemot”dopo il lancio del siluro del tenente Focacci.

Guido Focacci, nato adImpruneta il 23 Luglio 1914

ni ed ai bombardieri tede-schi. Non credevo che il si-luro che aveva colpito il ber-saglio fosse stato il mio, senon fosse per l’onestà delMagg. Erasi che aveva vi-sto saltare la nave a segui-to del mio lancio”. Sono solo alcuni esempi diazioni che gli valsero le tremedaglie d’Argento al ValorMilitare. Ottenne anche lamedaglia di Bronzo al Valoraeronautico per un atterrag-gio di emergenza, che ha del-l’incredibile, del 18 dicem-bre 1941 a Tripoli di ritor-no da una missione, mentresorvolava una zona abitataa sud-ovest della città.

Si trovò costretto ad un at-terraggio di emergenza, tut-ti e tre i motori si erano ar-restati per un problema elet-trico. La bassa quota non gli con-sentiva di portarsi fuori dal-l’abitato ed inoltre avevaancora il siluro sotto e nonvolle sganciarlo, cosa cheavrebbe dovuto fare per unatterraggio di emergenza,per non procurare un sicu-ro disastro. Sfruttando al li-mite le possibilità del veli-volo, riuscì a superare dueordini di cavi ad alta ten-sione e ad atterrare nei pres-si di una casa colonica sen-za che il siluro esplodesse. Riuscì a mettere in salvol’equipaggio ed a spegnereun principio di incendio.

Lo stress continuo accu-mulato nei due anni prece-denti, i rischi altissimi checorrevano quotidianamen-te, la perdita di tanti amicie colleghi piloti e membridi equipaggio ed una con-sapevolezza che maturavaormai da tempo sull’inutilitàe sulle atrocità delle guerrelo indussero, insieme ad al-tri, a richiedere di lasciareElmas e la 283° squadrigliaalla fine del 1942. Fu assegnato a gennaio del1943 al 1° Nu cleo adde-stramento Aerosi luranti diGori zia ed a giugno alla274° squadriglia di Fo lignodove terminò i collaudi diun quadrimotore allora infase di sviluppo, il PiaggioP108.

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L’8 Settembre si trovava inaeroporto a Foligno e duegiorni dopo nello sbanda-mento generale corse subitovia a casa sua in Toscana.Borgo alla Collina è un pae-sino delizioso del Casentino,lì vivevano i genitori e le so-relle, felici di rivederlo, e luidi rasserenarli, dopo i con-tinui bollettini di guerra chesovente richiamavano le ge-sta dei valorosi piloti degliaerosiluranti..Durò pochi mesi la sua tran-quillità nel borgo. A Firenzeentrò di nuovo in contattocon ambienti della Resi -stenza, in particolare con leFormazioni di Giustizia eLibertà del Partito d’Azione,

ma molto verosimilmentelui già da mesi prima del-l’armistizio aveva segreticontatti con gruppi clande-stini del CVL. Il Partito d’Azione dopo l’8Settembre 1943 aveva crea-to a Firenze un efficienteServizio di Informazioni pertenere i collegamenti con gliAlleati. Questa emittenteclandestina venne creata dalServizio Informazioni delPartito d’Azione ed i com-ponenti del Gruppo appar-tenevano all’organizzazio-ne clandestina del PdA fio-rentino guidato da TristanoCodignola, Carlo LudovicoRagghianti ed Enzo EnriquesAgnoletti.

Per cinque mesi circa, tragennaio e giugno del 1944,trasmise ininterrottamenteda Firenze. Ten nero per gliAlleati un Ser vizio Infor -mazioni di alto livello mili-tare, che trasmetteva noti-zie di intelligence (disloca-zione e consistenza delletruppe tedesche, sposta-menti, programmi, mezzi,etc) ed era accreditata perrichiedere agli Alleati avio-lanci paracadutati di armi,viveri, rifornimenti e sup-porto per i partigiani.Mio padre faceva parte diquesto gruppo che operavaalla radio ed era incaricato,per la sua esperienza aero-nautica, di individuare learee dove gli inglesi o gliamericani potevano effet-tuare gli aviolanci e di te-nere i contatti con i vari CLNdi zona per avere la neces-saria collaborazione.Dopo la prima trasmissionedi prova, fatta con la frase

convenzionale l’Arno scor-re a Firenze, Radio CoRacontinuerà a trasmettere an-che due volte al giorno, esarà continuamente sposta-ta per evitare la sua localiz-zazione. Fornirà informa-zioni così perfette e affida-bili da destare l’ammira-zione e il riconoscimentodegli Alleati. L’attività diintelligence del Gruppo fuconsiderata uno dei miglio-ri Servizi di Informazionemilitare tanto da contribui-re significativamente alla li-berazione di Firenze e dell’ -Ita lia. Le informazioni fornite daRadio CoRa consentironoagli Alleati di distruggerequasi totalmente la divisio-ne corazzata Hermann Go -ring tra Siena e Grosseto. Il 7 Giugno 1944 i nazistiindividuarono la ricetra-smittente in piazza d’Aze -glio a Firenze e fecero irru-zione.

Lo studente Luigi Morandifu sorpreso mentre trasmet-teva ed ebbe la prontezza disottrarre una pistola ad unsoldato tedesco e di ferirloa morte. Venne a sua voltacolpito da numerosi proiet-tili e morirà due giorni piùtardi in ospedale. In quell’occasione si trova-vano nell’appartamento En -ri co Bocci, l’animatore e fon-datore della Radio, Italo Pic -ca gli, suo principale collabo -ratore, Carlo Campolmi,Gui do Focacci, Franco Gi -lardini e Gilda Larocca chesaranno tutti arrestati e por-tati a Villa Triste (sede del-la polizia repubblichina edelle SS). Il Cap. Piccagli,quattro paracadutisti alleatiappena lanciati per sostene-re radio CoRa ed un ignotopartigiano cecoslovacco fu-rono fucilati nei boschi diCercina (FI) il 12 giugno1944. Insieme a loro vennefucilata Anna Maria Enri -

ques Agnoletti, per la sua at-tività di cattolica impegna-ta con i “cristiano-sociali”nella Resistenza. L’avvocatoEnrico Bocci dopo giorni diinaudite torture fu ucciso e ilsuo corpo non sarà mai tro-vato. Mio padre fu, con EnricoBoc ci ed Italo Piccagli, sot-toposto a terribili torture. Aquesto ci pensavano pur-troppo gli aguzzini italianidella famigerata Banda Cari -tà, che collaborava attiva-mente con le SS. Ma nessu-no del Gruppo Radio CoRaparlò. Guido Focacci fu de-portato prima a Fossoli e poia Mauthausen a fine giugno1944. Gilda La Rocca, in-stancabile segretaria del-l’avv. Bocci, riuscirà a scap-pare ed a riunirsi alla Resi -stenza.Enrico Bocci, Anna MariaEn riques Agnoletti, Italo Pic -cagli e Luigi Morandi sonostati insigniti della Medaglia

Il 1943 e l’armistizio. Collabora al ser-vizio informazioni di Radio CoRa

L’adesione alla Resistenza, la scopertadella Radio, la cattura e la deportazione

La sua tessera del Corpo Volontari della Libertà.sotto la tessera del Centro Assistenza Reduci Germania, che specifica “politico”, rilasciato a Mauthausen.

Guido Focacci, il toscanopilota di aerosiluranti. Partigiano dall’ 8 settembre poi deportato a Mauthausen

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Il dopoguerra, come da ragazzo sempre a trafficare intorno agli aerei...

d’Oro alla Memoria. Il pa-dre di Luigi Morandi, igna-ro della sorte del figlio, ven-ne arrestato poco dopo l’irru -zione a Radio CoRa e de-portato a Mauthausen e nonface mai ritorno.A questo punto la storia siin treccia con quella di Mar -cello Martini, figlio delMagg. Mario Martini, altodi rigente toscano del Comi -tato Liberazione NazionaleAlta Italia e collaboratore diRadio CoRa per i lanci chesolitamente avvenivano nel-la zona di Prato. I nazisti il9 giugno ‘44 andarono aMon temurlo dove era sfol-lata la famiglia Martini percatturarlo, ma, non riusci-rono a portarlo via e così ar-restarono il resto della fa-miglia. Madre e sorella sa-ranno poi per fortuna libe-rate, Marcello di appena 14anni fu deportato a Fossoli,dove incontrò GuidoFocacci, e insieme sarannoavviati a Mau thau sen con iltrasporto del 21 giugno chearrivò il 24 giugno. GuidoFocacci era ben più grandee gli fece un po’ da padre du-rante la prigionia fino a quan-do non furono divisi. Ne ènata una amicizia unica,enorme, granitica, che so-pravvive nell’esempio chehanno sempre lasciato. Mio

padre è morto a febbraio del2013, Marcel lo ad agostodell’anno scorso. Il Lager di Mauthausen diannientamento attraverso illavoro era il più grande cam-po sul territorio austriaco eduno dei più atroci dell’inte-ro complesso concentrazio-nario, fu classificato di 3°livello, il più duro per i pri-gionieri politici che vi furo-no deportati, cioè coloro che,incorreggibili per la follianazista (asociali, criminali,pregiudicati) erano impos-sibili da rieducare e veniva-no trattati come elementi daannientare psico-fisicamen -te. Guido Focacci e MarcelloMartini furono destinati daMauthausen ad uno dei suoi49 sotto-campi, quello diWiener Neustadt ove veni-vano prodotte, con il lavo-ro schiavo dei prigionieri, icaccia Messerschmitt 109ed i missili A-4. MarcelloMar tini fu poi trasferito aHinterbruhl nella Seegrotte,altro sotto-campo di Mau -thau sen, che produceva com-ponenti per i caccia a rea-zione. Entrambi sopravviverannoalle terribili marce della mor-te. Un episodio lo vorrei cita -re perché rende l’idea inquel la immane tragedia di

co sa significasse quel lega-me unico. Un giorno le dueco lonne, siamo ad inizioapri le del 1945, l’una pro-veniente da Wiener Neustadte l’altra da Hinterbruhl, pro-cedettero parallele per unbreve tratto e Marcello, pursenza incontrarlo, in quellasituazione catastrofica e di-sumanizzante, volle sapere,e ci riuscì, se Guido era vi-vo. Marcello è stato liberato aMauthausen il 5 Mag -gio1945 e si ricongiungeràqualche giorno dopo conGuido, liberato a Gusen, rag-giungendolo dopo qualchegiorno senza sapere mini-mamente dove fosse il sotto-campo e con ben pochi con-tadini che erano disposti adindicargli la strada, viste lecondizioni in cui versava.Insieme Guido Focacci e

Marcello Martini ritorne-ranno a casa. Una bella sto-ria di amicizia ed anche, vadetto, di diversi momenti disolidarietà tra tanti prigio-nieri.Il ritorno a casa ed il reinse-rimento nella vita di ognigiorno è stato per tutti i so-pravvissuti un percorso dif-ficilissimo e lungo: la soli-tudine, una forma di ritegnonelle descrizioni, una faticaa comunicare, la percezio-ne della fatica ad essere com-presi a causa dell’inferno su-bito. Marcello e Guido ri-tornarono per fortuna dalleproprie famiglie che li inon-darono di affetto. Stetteroanche, poco dopo il ritorno,per una decina di giorni in-sieme a casa della famigliaFocacci e piano piano riac-quisirono entrambi un cer-to equilibrio.

Mio padre riprese una vitapiù o meno normale nel1946. Insegnò in un IstitutoTecnico, era istruttoreall’Aero Club di Firenze epoco dopo ritrovò sotto unpagliaio un velivolo mono-motore FL3 smontato, maapparentemente in buonecondizioni. Lo acquistò, do-po lunghe trattative, da uncon ta dino riluttante a vender -lo e se lo portò a Peretola.Lo rimontò, lo rimise in ef-ficienza ed alla fine ci volòfelice. La vita riprendeva.Per diverso tempo diresseuna azienda di Marina diMassa che acquisiva per po-che lire jeep Willies dai cam-pi ARAR, pieni di residuatibellici di ogni tipo, e le ri-condizionava per venderle.Con degli amici ottenne poinel 1949 un terreno dal Co -mu ne in comodato e mate-rialmente realizzò la pistaed i primi hangars dell’at-tuale aeroporto di aviazio-ne generale del Cinquale(Massa Carrara).Nel 1952 arrivò all’Alfa Ro -meo di Pomigliano d’Arco

(NA) e ricostituì, converten -dola, la Divisione MotoriAvio che diventò uno deicentri più importanti per lamanutenzione e revisione dimotori a turbina. L’AlfaRomeo Avio sviluppò, e que-sto segnò il ritorno in unaazienda aeronautica italia-na di attività significative diprogettazione, un motore tur-bo-prop per l’aviazione ge-nerale (AR318), robustissi-mo, che fu sacrificato sul ta-volo di miopi politiche azien-dali. L’amicizia continuerà sem-pre: Marcello Martini lavoròcon mio padre Guido diver-si anni in Alfa Romeo.È stato a lungo il presidentedell’Aero Club di Napoli edil vice presidente dell’AeroClub d’Italia. Contribuì allarealizzazione di importantiprogrammi di rinnovo flottedegli Aero Clubs in Italia.Che dire oltre, se non unaprofonda riconoscenza ver-so mio padre che mi ha per-messo con la sua testimo-nianza di vita di scrivere unastoria così piena e bella!

Guido Focacci (a destra nella foto) e Marcello Martiniche, in quanto internato a 14 anni, è con Franco Cetrelliil più giovane tra i deportati politici italiani al campo diconcentramento di Mauthausen. Guido Focacci ci ha lasciato a febbraio del 2013, Marcello Martini è scomparso nel 2019.

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Da loro è stato accompa-gnato a Selvino, un paesesulle Alpi sopra Bergamo,dove si trova una coloniaper bambini costruita inepoca fascista e appuntoutilizzata nel pri mo dopo-guerra come orfanotrofioper bimbi ebrei sopravvis-suti alla Shoah. Al Selvino, nella strutturachia mata Sciesopoli, Avra -ham ha passato diversimesi prima di partire perIsraele, dove è giunto pocotempo prima della guerradel 1948.Fra le altre piccole ospiti di

Selvino, una bimba di no -me Ayala, che Avraham hapoi reincontrato a Cipro,dove la nave dei migrantiebrei era stata bloccata dal -le truppe inglesi, e poi haspo sato in Israele. Nel mezzo altre guerre ealtre battaglie, combattuteanche da Ayala, e la testi-monianza al processo Eich -mann come uno dei pochis-simi superstiti alla fase del -le fucilazioni che ha portatoalla morte di oltre un milio-ne di persone. Sino al 2016la coppia non era mai tor-nata al Selvino.

La struggente storia dei bambini riporta la Shoah nell’attualità del momento

La fortunata fiction tv mostra quello che è “venuto dopo” la liberazione e gli orrori

“La Guerra è fini-ta”, che vede co -me protagonisti

Mi chele Riondino e Isa -bella Ragonese, è stata gira-ta in buona parte in terrareggiana, nei campi di con-centramento ricostruiti dal -la produzione Palomar aSab bio ne, nel centro storicocittadino e a San Donninodi Ca salgrande, nella bellis-sima villa Spalletti. Ma vi èanche un altro legame, col-legato ai Viaggi della Me -moria e al lavoro dell’istitu-to storico del territorio.Nel decennio appena tra-scorso Reggio Emilia ha,infatti, ospitato in diverseoc casioni due bambini diSelvino, Avraham e AyalaAviel, marito e moglie chepro prio a Sciesopoli si era -no incrociati per la primavolta per poi ritrovarsi a Ci -pro e infine in Israele. Avra -ham Aviel ha parlato piùvolte agli studenti del Viag -gio della Memoria di ret ti ad

Le nostrestorie

Raccontata nella serie tv “La guerra è finita”la storia dei ragazzi ospitidella colonia di selvino

storie d’amore, storie di guerra. Ci sonoanche diverse tracce reggiane in “La guerra èfinita”, la miniserie televisiva che ha debutta-to con successo a metà gennaio su Rai·Uno.

Il lavoro per la Tv diretto da Michele soavi,andato in onda in quattro puntate, raccontala vicenda dei bimbi di sciesopoli, giovanissi-mi ebrei che l’olocausto e la guerra avevano

reso orfani e che a selvino, nelle Alpi bergamasche, tro-varono un primo rifugio.

di Adriano Arati

Auschwit-Bi r kenau e a Te -re zin, raccontando la suain cre dibile esperienza.Nato in un villaggio ebrai-co polacco, in quella cheog gi è Bielorussia, ha vistola sua intera famiglia uccisao dai nazisti durante le fuci-lazioni di massa della pri -ma fase della Soluzione fi -na le, o dai partigiani bian-chi polacchi, da sempre an -tisemiti.Giovanissimo, ha combat-tuto con i partigiani sovieti-ci operando come tradutto-re prima di cercare una fu -ga verso quella che ritenevala Terra promessa, Israele.Al termine di un lunghissi-mo viaggio a piedi perl’Eu ro pa, respinto più voltealle varie frontiere, è arri-vato in Italia e lì ha incon-trato i componenti milanesidel Cln, il co mi tato di libe-razione nazionale, e dellaBri gata ebraica che avevapar tecipato al con flitto congli alleati.

Una fotografia della Colonia di selvino. “sciesopoli” èil nome di una grande colonia alpina, sorta per voleredei capi del fascismo milanese e inaugurata l’11 giugno1933.

Cominciò nella ex colonia

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dei campi di concentramento. Per la prima volta si parla di rimboccarsi le maniche

Quattro anni fa, complice lachiamata di Istoreco peruna testimonianza, i coniu-gi Aviel e le loro figlie sonosta ti accompagnati sino alpaesino bergamasco da unadelegazione dell’Istitutosto rico, in un momentosegnato da grande commo-zione e dagli onori ufficialiche il Co mune di Selvinoha riservato ai due.Erano gli anni in cui - gra-zie agli sforzi di tanti ricer-catori - si tornava a parlaredella vi cenda del Selvino,di quella prova di solida-rietà che coinvolse ebrei enon ebrei, militanti politicie cittadini comuni, per aiu-tare ragazze e ragazzi che

ave vano letteralmente per -so tutto. La storia di Ayalanon era meno cupa di quel-la del marito, unica super-stite fra le tre sorelle man-date in treno in Germaniadal la famiglia a meno didie ci anni, nel tentativodisperato di fingersi polac-

che cattoliche e non ebree. Una vicenda che mette in -sie me la cosiddetta Storiacon la S maiuscola e un in -crocio di amori, passioni evo glia di vivere dall’enor-me impatto emotivo a cuiReg gio Emilia ha da to unbel contributo.

Sciesopoli porta con sé de -cine di narrazioni simili, eproprio da lì è partita l’ispi-razione per la “Guerra èfinita”. La serie mette al centroDavide (Michele Riondi -no), un ex ingegnere parti-giano, alla ricerca disperatadel figlio Daniele. Non lo troverà ma si imbat-terà in tanti altri orfaniebrei senza famiglia e senzauna casa tornati liberi conla caduta del nazismo.Assieme a Ben, un ex uffi-ciale della Brigata Ebrai ca,e a Giulia (interpretata daIsabella Rago nese) proveràa trovar loro una sistema-zione sulle Alpi, a Selvino.

Due dei bambini di allora. Qui si erano conosciuti poisposati in Israele. Avraham e Ayala Aviel sono tornati avisitare la colonia. Ayala è morta pochi mesi fa.

Il gruppo di bambini sopravvissuti è stato interpretato,con successo e simpatia, nelle scene girate per la Rai dalla casa di produzione cinematografica e televisiva italiana.

Il protagonista dellastoria, Davide, èinterpretato da MicheleRiondino, IsabellaRagonese ricopre il ruolodi Giulia. Valerio Biansco è Ben, che viene da Israele.

Avraham dagiovanequando,reduce daicampi, futestimone alprocessocontro AdolfEichmann in Israele nel 1961.

Avraham eAyala ci sono

tornati

ora la storia è in televisione

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Pascale, dall’altra parte del mondo, è pronto a narrarci la sua storia

Una storia di peripezie piccole, le nostre, grandi quelle del protagonista. La raccontiamo

Decidiamo di telefona-re, siamo pronti arispondere in inglese,

ma temiamo la difficoltà diuna conversazione fatta “afreddo”, senza conoscerci eper di più su argomenti cosìsensibili. “Halo” risponde infrancese un’anziana vocefemminile, ma aggiungesubito: “Halo, buongiorno”.Meraviglioso. Ostacolo lin-guistico abbattuto. Ora sitratta di spiegare chi siamo,che chiamiamo dall’altraparte del mondo e che vor-remmo parlare col signorDomenico Pascale. Lasignora gentilissima non fauna piega e ci passa il maritoche è stato in realtà preav-vertito da Maesano ed èpronto a narrarci la sua sto-ria. Dopo un racconto persommi capi, Pascale ci diceperò: “Vedersi di personasarebbe meglio, è un’altracosa”. Vero, ma come? Ci

Le nostrestorie

Italia chiama, Canada risponde. L’Internato Militare Italianofinito a Montréal per vivere

Associazione Nazionale, un pomeriggio didicembre, suona il telefono e fin qui tuttobene. La persona dall’altra parte del telefonosi presenta come Luciano Maesano, è appena

rientrato dal Canada dove vivono diversi suoi parenti

Per la prima volta uno di loro si è confidatodicendogli di essere stato deportato e cheavrebbe avuto piacere di raccontare la suastoria. Maesano conclude dicendo: “Ci potete

pensare voi?”.

accordiamo per sentirci dinuovo un po’ più in là e riu-sciamo nel frattempo a pren-dere contatti con ilConsolato Generale d’Italiaa Montréal. Ci rispondono,veloci e molto disponibili,offrendoci la possibilità difar intervistare Pascale da trestudentesse universitarie ita-liane in tirocinio da loro:Brenda Candura, EmiliaEvangelista e Chiara Finetti.Fantastico, l’intervista si fa esi fa in italiano, una linguache Pascale non ha maidimenticato nonostante siain Canada da quasi set-tant’anni. Domenico Pascale nasce il30 marzo 1923 a Torre diRuggiero (CZ) in una fami-glia di agricoltori. Ha duefratelli, soldati, e a dicianno-ve anni, nel 1942 viene chia-mato alle armi. Per lo menola famiglia riceverà una pen-sione di qualche lira per cia-

di Andrea Giovarruscio

Un caloroso grazie al Consolato Generale d’Italia aMontréal, al Console Lorenzo solinas, a BrendaCandura, Emilia Evangelista e Chiara Finetti peraverci permesso di registrare questa testimonianza,a Luciano Maesano per averci contattato e, soprat-tutto grazie, a Domenico Pascale per averci trasmes-so la sua storia; questo è un breve riassunto della suadeportazione. sul nostro sito pubblicheremo il testo integrale del-l’intervista, molto preziosa anche per i tanti dettagliche contiene e che fanno meglio comprendere le con-dizioni di vita degli Internati Militari Italiani,costretti a un duro regime di lavoro coatto.

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perché Aned è la casa di tutte le deportazioni e salvare una storia è per noi importante

L’Italia è devastata, qualcuno gliel’avevadetto: “Non la troverete come era prima”

Prigionieri fuori dalcampo sorvegliati dalleguardie naziste.

scuno dei figli e il padre diDomenico pensa di metterleda parte per quando i giova-ni torneranno a casa.Domenico parte e dopo seimesi in Italia, tra Salerno eBari, viene inviato in Alba -nia. Di lì a poco viene di -chiarato l’Armistizio, l'8 set-tembre 1943, e si rimanesenza ordini. Gli ufficiali sono di stanza aTirana così Domenico e isuoi compagni decidono diandare là per capire cosafare, nel rispetto di una pras-si che non li aiuterà.

A Tirana incontrano i propriufficiali, ma sono i tedeschi,“i germanesi” come li chia-ma Pascale, a dire agli italia-ni di seguirli per tornare inItalia e combattere contro gliAlleati oppure tornarsene acasa. E perché no? Lealleanze sono appena statesciolte tra i due Stati, ma dasoldato a soldato “siamostati camerati fino ad ora:fidiamoci”. Domenico e altrivengono messi su dei treni,su dei carri bestiame - stra-no, ma siamo in tempo diguerra non si può pretenderemolto - e vengono portatifino a Vienna, con pauselungo il viaggio e delle con-dizioni accettabili. Si dormesui vagoni ma una mattinaper quanto si bussi e si chie-da di poter scendere perandare al gabinetto l’unica

risposta è “RAUSS!” e leporte restano sbarrate. Il treno riprende la sua lentamarcia e arriva in Polonia,nella zona di Auschwitz.Domenico Pascale diventa il48203, si tiene la sua divisa -la porterà a lungo e si ricor-da ancora i pidocchi che neerano diventati inquilini - erifiutandosi di combatterenella Wehrmacht resta allamercé della macchina dilavoro dei nazisti. Lavoraprima nelle costruzioni, poinelle miniere di carbonedove a ogni deportato èaffiancato un civile polacco.Il cibo per i deportati èquasi inesistente ma per ipolacchi non va particolar-mente meglio, hanno le tes-sere e in ogni caso la guerrasta portando povertà e rovi-na dappertutto.

È febbraio e l’ArmataRossa avanza da est, ilcampo centrale di Aus -chwitz è già libero.Domenico lo scoprirà poi,le SS invece lo sannobenissimo e una mattinaanziché portare il komman-do a lavorare, avviano i pri-gionieri in una marcia versoun’altra zona della Poloniapiù a ovest. Fino ad aprilela squadra lavora in unafonderia. Domenico racconta spedi-tamente senza eccessividettagli; la parte su cui siaper telefono sia nell’intervi-sta si sofferma di più iniziail 29 aprile del 1945. Quelgiorno comincia una nuovamarcia. Ci sono italiani,polacchi, russi, anchedonne russe prigioniere dapiù di quattro anni. Se ti fermi ti sparano, secadi ti sparano. Passanocosì sei giorni ed è il 5maggio. Gli americani stan-

no liberando Maut hausen,le SS abbandonano Pascalee tutti i suoi compagni, inlontananza si sentono can-noni e bombardamenti,qualcuno capisce e fa capi-re che ci devono essere gliinglesi, gli americani e irussi. Bene i primi due, madei terzi si ha paura,Pascale dice: “poi quelli cimandano in Siberia”, non sipuò ris chiare di finire inmano loro e i prigionierisono sfiniti e restano all’ad-diaccio in un bosco, nasco-sti, in attesa di quello chedeve essere. Qualcuno arriva, a cavallo,sono i russi, male. Urlano,pensano che i prigionierisiano tedeschi ma Pascalerisponde: “italianski, ita-lianski!”. Nessuno fa lorodel male e la pattuglia se neva. Per tre giorni niente, mala fame è implacabile e nonla si sopporta più. Ci sidecide, si formano dei

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La guerra è finita, ma di pace si fa faticaa vederne e di lavoro non se ne trova

gruppi, si lascia il bosco ePascale con altri ha la for-tuna di trovare un vagonemerci carico di zucchero efarina. Dopo aver ripresoun minimo di forze il grup-po decide di spostarsi, cer-care qualche treno, qualcu-no che li aiuti a tornare inItalia, a casa. Camminanofino a Brno e incrociano unaccampamento russo, nonsi fidano più di nessuno ece ne vuole prima che uninterprete li convinca chesenza treni e senza cibo nonpossono certo mettersi inmarcia per mesi finoall’Italia. Domenico e i suoirestano con i russi e scopro-no che in realtà nessunopensava di portarli inSiberia. I sovietici sonosimpatici, danno loro damangiare e li trattano bene.Ma Domenico vuole torna-re a casa, da quando è parti-to non ha più potuto man-dare notizie alla famiglia,

Le tratte sono interrotte, ipercorsi scombinati, si vaavanti e si torna indietro eper arrivare a casa serveanche l’aiuto di alcuni

operai ferroviari e dei lorocarrelli a spinta perché inalcuni paesi il treno nonarriva. È l’agosto del 1945 e final-mente Domenico riesce adarrivare a Torre. Un paesano lo riconosce:“Madonna ti devono fare ifunerali!” Cosa? “I soldatiliberati dagli americanisono arrivati mesi fa, sonotre anni che di te non si saniente e i tuoi fratellidall’Africa e Inghilterrapure sono rientrati”. Sì, Domenico Pascale erapassato per quello che tantiavrebbero chiamato infernoma era vivo e finalmente acasa. La guerra è finita, ma dipace si fa fatica a vederne edi lavoro non se ne trova:l’Italia è distrutta e in crisi,la lira non vale niente e le

pensioni di guerra dei trefratelli Pascale bastanoappena perché il maggioresi possa fare un vestito.Prima della guerra tutti conquei soldi si sarebberocomprati della terra, unacasa. Domenico nel ’50 sisposa, nel marzo dell’annoseguente nasce la primafiglia e la famiglia decidedi seguire la strada traccia-ta dal cognato di Domenicoe partire per il Canada. Sono anni duri: bisognacambiare lingua, alzarsiall’alba per andare al lavo-ro, pagati pochi centesimiall’ora, e rientrare in unacasa piccola e poco riscal-data a notte fonda.Domenico lo dice moltevolte: “Se fossi stato solosarei tornato in Italia”, maper fortuna c’è la sua fami-glia, sua moglie e tre bam-bini, così decidono tutti dirimanere a Montreal. Dopo 35 anni di fatica,Domenico può finalmenteandare in pensione.

chissà cosa penseranno. Aluglio finalmente vienelasciato partire su delle tra-dotte che lo portano fino aVienna. Qui passa sottotutela americana e riesce araggiungere Bologna. Il sudItalia però è tagliato fuoridalle tratte ferroviarie,l’Italia è devastata, qualcu-no gliel’aveva detto: “Nonla troverete come l’avevatelasciata”. Domenico e alcuni compa-gni arrivano a Bologna, do -ve restano per due settima-ne, si dividono in squadre efanno la guardia in stazionein attesa che qualcunoannunci un treno per ilMeridione, ovunque, mapiù vicino a casa.Finalmente un convoglioper Roma, ci vogliono tregiorni ma ci siamo. PoiNapoli e Salerno - nonsembra vero - Battipaglia,Reggio, Catanzaro, Locri eSorrento.

sulle bancarelle milanesivendono (senza pudore) il “Mein Kampf” di HitlerIl Mein Kampf di Hitler, con tanto di svastica in coper-tina, in vendita su una bancarella in piazza Duomo aMilano. Lo denuncia il consigliere comunale Manfredi Palmeri:“Fa venire i brividi”

Imbrattata nella capitale la targa in onore di Tina Costa, staffetta partigiana A Roma, nel giardino davanti alla sede dell’VII Municipiodella capitale, il solito (notturno) insulto alla memoriadi una donna simbolo della Resistenza scomparsa nelmarzo di un anno fa.Zingaretti: “Un gesto vergognoso contro una protago-nista della nostra Repubblica”. Sulla piastra era scrit-to: “sarò in piazza fino a quando avrò l’ultimo respiro,perché so di essere dalla parte del giusto e che le mie ideesono condivise da tanti, Tina Costa”.

NoTIZIENeanche fosse un classico

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NoTIZIE

Posata a Palermo la Pietra d’inciampo più a sud d’Europa per Libero Baldanza

Memoria di un operaio deportato da sesto san Giovanni

Per la seconda volta, a poco meno di un anno di di-stanza, la Sicilia ha voluto rendere omaggio a un suofiglio martire del nazifascismo, Liborio Baldanza (det-

to Libero), posando per lui una Pietra d’inciampo a Palermo.Libero, nativo di Geraci Siculo, sulle Madonie, dopo l’in-fanzia si era trasferito a Palermo con la madre ed i fratelli.Qui ha studiato e ha lavorato per alcuni anni e nel 1922 siè iscritto al neonato Partito Comunista, prima di trasferir-si al nord nel comune di Sesto San Giovanni. A Palermo halavorato presso i Cantieri Navali come aggiustatore mec-canico dei motori diesel e, proprio nei pressi dell’ingressoprincipale dei cantieri, Gunter Demnig con martello, ce-mento, spatola e l’immancabile cappello a larghe falde, haposato la Pietra d’inciampo.L’artista, intervistato da una TV locale, ha dichiarato di es-sere molto felice di questa iniziativa, perché Palermo è lacittà più a sud dell’Europa in cui lui sia stato a posare unadelle sue Pietre.La Sicilia è terra accogliente nei confronti di chiunque, ric-ca di botteghe arabe, di artigiani stranieri, di giovani pro-venienti da terre lontane e Palermo ha accolto con caloreanche noi e gli amici che ci accompagnavano da Sesto SanGiovanni. L’emozione e la commozione sono state fortianche questa volta, non appena ci siamo resi conto di quan-te persone fossero presenti alla cerimonia. Quando siamoarrivati sul luogo della posa della Pietra, infatti, abbiamotrovato ad accoglierci una nutrita rappresentanza di stu-denti di ogni etnia e colore del liceo Ninni Cassarà, oltre aparecchi cittadini consapevoli degli orrori della deportazionepolitica. In rappresentanza della città era presente il sin-daco Leoluca Orlando, che ha rinnovato “l’invito a in-ciampare, a fermarsi, a riflettere, a fare memoria”, l’as-sessore alla cultura Adlam Darawsha, un medico arabo na-tivo di Nazareth, il rappresentante dell’Anpi palermitana ela signora Evelyne Aouate, presidente dell’Istituto sicilia-no di studi ebraici che ringraziamo per aver voluto pre-senziare ad una cerimonia in onore di un Triangolo Rosso.Hanno voluto essere con noi, e abbracciarci nuovamente conil loro affetto, anche i rappresentanti di Geraci Siculo, ilpaese natale di Libero, dove era stata posata una Pietra giànello scorso aprile, e quindi sono scesi dal piccolo centrosulle Madonie il sindaco Luigi Iuppa, accompagnato dal-la “sindachina” Ludovica Attinasi, dal presidente del con-siglio comunale geracese, da alcuni consiglieri e da pa-recchi loro compaesani.La mattinata è poi proseguita con la posa di un’altra Pietradedicata a Maria Di Gesù, anch’essa deportata politica pa-lermitana.

FlaviaBaldanza, inmunicipio aPalermo con il sindacoLeolucaorlando eGunterDemning, lo scultore tedesco conl’immancabilecappello.

Dimitri e Flavia Baldanza alla posa della pietra a Palermo.Nella foto riquadrata Liborio col figlio, il piccolo Dimitri.

Siamo poi stati ricevuti a Villa Niscemi, una delle residenzedel Comune di Palermo, dove abbiamo portato la nostratestimonianza, raccontando al folto pubblico la vita, il per-corso politico e la deportazione di Libero. Dopo una lun-ga militanza antifascista, già pagata negli anni ’30 con nu-merose condanne alla detenzione comminate dal Tribunalespeciale, fuoriuscito in Francia e Svizzera dove era stato in-viato dai vertici del PC, Libero al rientro in Italia ha iniziatoa lavorare alla Breda di Sesto San Giovanni continuando lalotta ed organizzando, insieme ai suoi compagni antifasci-sti, gli scioperi del ‘43 e del marzo ‘44.Il 14 marzo ‘44, dopo otto lunghissimi giorni di sciopero,è stato arrestato a casa a tarda notte, alla presenza di suamoglie e suo figlio di otto anni, ed inviato nei lager au-striaci, da dove non ha più fatto ritorno.

Flavia Baldanza

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Rileggere i Diari di Anne Frank:nonostante le avversità questo imponente archivio si è salvato

Colpisce nei diari diAnne Frank il fre-quente ricorso a pro-

verbi: una traccia, si direb-be, delle consuetudini pe-dagogiche in uso nelle fa-miglie della borghesia ebrai-co-tedesca. Il riferirsi allabontà degli insegnamentiantichi contrasta con la gio-vane età di chi scrive, con-tribuendo a delineare il ri-tratto di un’adolescente-adulta. I diari si presentano incor-niciati da due massime chesarebbero i migliori sottoti-toli. Nelle ultime pagine, indata 15 luglio 1944 leggia-mo: “La gioventù è più so-litaria della vecchiaia”. Il20 giugno 1942, giorno incui decide di confidarsi conun “quaderno cartonato”(diario le sembra una defi-nizione «altisonante»), Anneprevede le sofferenze cui an-dranno incontro i suoi pen-sieri se mai riusciranno aduscire in libertà da quella ca-sa-rifugio dove è stata a lun-go ristretta: “La carta è piùpaziente degli uomini”. Siriassume in questi due as-siomi la genesi dei diari e inun certo senso la vicendastessa di Anne: da un lato lasolitudine di un’adolescen-te-adulta, una gioventù so-litaria, dall’altro il destino

tormentato dei suoi scritti,“la pazienza delle carte”. In Italia, a partire dalla pri-ma traduzione del 1954, idiari hanno conosciuto unalarghissima circolazione, manon è stato facile prenderecoscienza della stratifica-zione e della ricchezza di unafonte che è preziosa per lastoriografia della deporta-zione e dello sterminio de-gli ebrei olandesi, ma anco-ra di più lo è come un pre-coce laboratorio di lettera-tura, degno di stare accantoad altri libri composti sulconfine dell’abisso. Re -lativamente recente, del1986, è l’edizione critica,dalla quale non può prescin -

dere chiunque voglia avvici -narsi a questo straordinarioe vivacissimo atelier di scrit -tura. Il primo dato da rilevare è lacircostanza fortunosa in virtùdella quale i diari sono arr-sivati a noi. Il salvataggiorappresenta il primo capito-lo della “pazienza” delle car-te di Anne Frank. Nella sto-ria del secondo con flittomondiale non esiste soltan-to il dramma dei li bri bru-ciati sui roghi. Esiste anche,ma attende di essere scritta,la contro-storia dei mano-scritti salvati da tenaci bi-bliotecari, archivisti, pre-murosi amici. Pièces au sau-vetage: si potrebbero defi-

nire così i soccorsi libreschi,ricorrendo a una tradizioneteatrale europea consolida-ta. Le scritture dall’estremo,drammaticamente interrot-te dal precipitare degli even-ti, costituiscono un para-grafo, si potrebbe dire, diResistenza dei libri e dellecarte: una vicenda non me-no encomiabile dell’assaipiù studiata Resistenza de-gli individui. Opere scrittein nascondigli poco sicuri,poi abbandonate durante ra-strellamenti, perquisizioni obombardamenti ne sono esi-stite parecchie. Esse rap-presentano la trama di unaricerca che aspetta di esse-re completata.Di questa trama avventuro-sa, il caso di An ne Frank èesemplare, per non dire uni-co. Noi oggi possiamo leg-gerla - non per intero, unaparte dei suoi fogli non è sta-ta ritrovata - perché nei mi-nuti immediatamente suc-cessivi all’arresto la manodi una collaboratrice del pa-dre, Miep Gies, si è precipi-

BIBLIoTECA

Una nuova traduzione delle due stesure del diario

Alberto CavaglionAnne Frank

Diariooscar Mondadori

Modernieuro 13,00

pag. 536

Tra le cose salvate ecco l’originale del Diario.

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tata a raccogliere cartelle,sparsi e disordinati fogli ca-duti in terra e li ha nascosti.Su questa azione tempestivadi soccorso disponiamo uncircostanziato resoconto, inun libro appassionante del-la stessa Gies. La salvaguardia di “cartescrit te”, ad opera di personeche a buon diritto andreb-bero premiate come Giustidei Libri, è un vasto e ap-passionante argomento di ri-cerca: riguarda non solo tac-cuini, diari, ma anche capo-lavori della letteratura, del-la filosofia, della storiogra-fia, delle arti figurative, spar-titi musicali, poesie salvatidalla catastrofe. Mentre co-sì tanto sangue scorreva perle strade del vecchio conti-nente, nonostante le avver-sità, un imponente archiviodi carte si è potuto salvare.Storici come Marc Bloch eFederico Chabod, entrati neimovimenti di Resistenza,hanno continuato le loro ri-cerche, salendo sulle Alpicon una valigia piena di sche-de, di libri, di abbozzi di ope-re. Molti lavori li abbiamoereditati in forma incompiutaed è il nostro caso: come tut-ti i pensieri che non potero-no essere più pensati sonogiunti a noi temprati dall’e-nergia del naufrago. In aggiunta alle mappe del-le città bombardate, dei luo-ghi dello sterminio, dellerazzie contro civili, ci ser-virebbe una carta delle «ca-se segrete» come il nascon-diglio dei Frank in Prin -sengracht 263 ad Amster -dam.

Alberto Cavaglion

I prigionieri che dissero no a salò“Inutilmente Mussolini insistette”ma la maggior parte rifiutò

«Noi non vogliamorestare qui, comequalcuno insi-

nua, per vigliaccheria, qua-si imboscati. Siamo tutti excombattenti, molti decorati,molti volontari. Noi non sia-mo degli attendisti, comequalcuno ci chiama. Non èper calcolo né per capriccioné per puntiglio, ma solo percoerenza, per un principiodi dignità, di onore, di giu-stizia. Noi siamo uomini, vo-gliamo essere uomini».È il 5 aprile del 1944. sonotrascorsi sette mesi dallasera di settembre in cui la ra-dio ha annunciato l’armisti-zio e l’esercito italiano si èsfaldato. Per centinaia di mi-gliaia di militari italiani cat-turati e deportati in Germaniaè stato un inverno durissi-mo, di prigionia e lavorocoatto, poiché hanno sceltodi non continuare a combat-tere al fianco degli ex allea-ti e di non aderire alla Rsi.Uno di loro è il capitanoGiuseppe De Toni, nato aModena, clas se 1907, inter-nato nel cam po di Ham -merstein, che scrive clande-stinamente questa lunga eappassionata lettera al fra-tello Nando, che lo aveva in-vitato ad optare per usciredal lager.Il libro «I militari italiani neilager nazisti. Una resisten-

za senz’armi 1943-1945» èstoria degli oltre seicento-mila internati militari de-portati nei lager nazisti, gliImi, che dopo l’armistiziodell’8 settembre 1943 rifiu-tarono di continuare a com-battere con la Germania na-zista e di aderire allaRepubblica sociale. È unapagina assai rilevante dellapartecipazione italiana allaSeconda guerra mondiale edella Resistenza, ma è stataa lungo trascurata. Nel 2009ad aprire la pista a questo per-corso fu l’antologia delle let-tere e dei diari degli Imi cu-rata da Mario Avagliano eMarco Palmieri. A undici an-ni di distanza arriva in libre-ria il nuovo saggio dei duegiornalisti e studiosi, I mili-tari italiani nei lager nazi-sti. Una resistenza senz’armi1943-1945 .In questo libro Avaglianoe Palmieri, con il rigore sto-rico che li contraddistin-gue e un sapiente uso delladiaristica e della corrispon-denza coeva, per lo più ine-dita o scarsamente cono-sciuta, e di altri documenticome i rapporti della censu-ra, le relazioni delle autoritàitaliane e tedesche, i volantinie i manifesti di propagandatedesca o della Rsi, condu-cono il lettore in un appas-sionante viaggio nel mondo

degli Imi, che ci fa scoprireaspetti nuovi o poco noti, dalloro bagaglio di umanità al-la capacità e al coraggio diresistere a tutte le avversità,raccontando attraverso le sto-rie individuali la storia col-lettiva degli internati mili-tari italiani.I nazisti vietarono severa-mente agli Imi di tenerediari. «Premetto - avverteinfatti un tenente, GiorgioMarras, alla data del 22 gen-naio 1944 - che se mi trova-no questo diario mi fucila-no». Ma nonostante il peri-colo la pratica dei diari è ab-bastanza diffusa, perché«raccontare - come annotaLino Monchieri il 3 ottobre1943, subito dopo la cattu-ra - è mio dovere. Qualcunodovrà pure sapere cosa suc-cedeva qui…», anche se«queste disordinate note - èla consapevolezza del capi-tano Guido Baglioni, il 12luglio 1944 - non potrannomai rendere i giorni di di-sperato tormento, di sconfor-to, di fame e abbrutimentosuperati più per miracoloche per forza di volontà».Il viaggio nella memoria sisnoda in quindici tappe,quanti sono i capitoli, ac-compagnate dalle parole vi-ve dei protagonisti dell’e-poca (non solo gli internatima anche i loro familiari e i

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Nel volume «I militari italiani nei lager nazisti»

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nia subita dagli Imi liberati daparte dei russi di Stalin o de-gli jugoslavi di Tito. Gli ul-timi due capitoli riguardanola liberazione, il rientro inpatria e la difficile reinte-grazione degli ex internati.La vicenda degli Imi, delresto, è stata per decennipressoché dimenticata, perdiversi motivi: il desideriodel Paese di voltare paginae non sentir più parlare del-la guerra e delle responsabi-lità del fascismo; la loro re-sistenza in nome di un re edi una dinastia andati viadall’Italia; la scelta del si-lenzio da parte degli stessireduci, delusi dal mancatoriconoscimento della propriaesperienza come contributoalla Resistenza; il fardello diaver combattuto la guerravoluta dal fascismo e la me-moria della rovinosa disso-luzione dell’esercito all’in-domani dell’armistizio, inun clima di tutti a casa. Bastidire che nel 1950, e fino al1977, agli Imi venne negatala concessione della qualifi-ca di Volontario della libertàperché «questo ministero(della Difesa) è del parereche sia doveroso mantenereuna differenziazione fra i ci-vili che volontariamente pre-sero parte all’attività parti-giana (...) e i militari che ne-gando la propria collabo-razione ai nazifascisti e su-bendo l’internamento si at-tennero semplicemente ai do-veri derivanti dal propriostato», senza il «presuppo-sto della volontaria parteci-pazione alle ostilità controi nazifascisti».Eppure nell’esercito degli

Imi si ritrovano numerosipersonaggi che raggiunge-ranno posizioni di spicco nel-la cultura, nell’economia,nello spettacolo e nella po-litica del dopoguerra, comeAlessandro Natta, VittorioEmanuele Giuntella,Giovanni Ansaldo, OresteDel Buono, Mario RigoniStern, Tonino Guerra,Luciano Salce e GiovanninoGuareschi, la cui foto con lamatricola di Imi campeggianella copertina del libro eche, come raccontano Ava -gliano e Palmieri, con la suastraordinaria verve fu unodei protagonisti del «no» al-la Rsi e della vita culturale eartistica nei lager. Altri in-ternati saranno genitori dipersonaggi famosi, comel’ufficiale Ferruccio Guccini,catturato in Grecia, padre delcantautore Francesco;Carmelo Carrisi, padre delcantante Al Bano; GiuseppeDi Pietro, padre del magi-strato ed ex ministro Anto -nio; Giovanni Carlo Rossi,padre di Vasco.Quello che ora è stato tar-divamente riconosciuto, eche dagli scritti coevi degliImi emerge nitidamente, èche ai militari italiani disar-mati e internati si deve il pri-mo rifiuto in massa dellaguerra e del fascismo, conuna «specie di plebiscito -come lo ha definito VittorioEmanuele Giuntella - da par-te di una generazione chenon aveva mai partecipatoa consultazioni elettorali»,ferma restando un’aliquotanon trascurabile di aderentidi cui pure bisogna tenereconto. In entrambi i casi la

scelta non è necessariamen-te dettata da motivazioni dinatura politico-ideologica,ma nel caso dei non optantirisponde in particolare a sen-timenti confusi di stanchez-za della guerra, sfiducia ver-so il regime, fedeltà alla di-visa e al giuramento presta-to al re, smobilitazione inte-riore, attendismo o mera imi-tazione dei compagni e deisuperiori. Una scelta che gliinternati pagano ad un prez-zo altissimo, visto che il cen-simento in corso da partedell’Anrp (Albo degli Imicaduti nei Lager nazisti 1943-1945) ha accertato al mo-mento 50.834 caduti. Conquesto libro Avagliano ePalmieri sviscerano e riem-piono di senso il sacrificiodi quei militari italiani, e fu-rono la grande maggioran-za, che fino alla fine decise-ro di dire «no», comeGiovannino Guareschi indi-ca nella dedica del volume:«Ingannato, Malmenato,Impacchettato / Internato,Malnutrito, Infamato /Invano Mi Incantarono / Inu -tilmente Mussolini Insi -stette». Aldo Cazzullo

(Corriere della Sera)

loro oppressori). La vicendadegli Imi è analizzata nel suocomplesso, dalla reazione al-l’annuncio dell’armistizioalla cattura da parte dei te-deschi, dal viaggio in tradottaverso i lager alle sofferenzepatite nei campi e al lavorocoatto, fino alla liberazionee al ritorno in patria.Un’attenzione particolare èstata rivolta alle motivazio-ni della scelta di fronte alle of-ferte di adesione alle SS daparte dei tedeschi e a quellerivolte ai militari italiani da-gli emissari della Rsi dopoil ritorno di Mussolini.Il libro scandaglia tutti gliaspetti della vita quotidianadegli Imi, caratterizzata dal-l’ossessione della fame, maanche dagli sforzi compiutiper difendere la loro dignitàdi soldati e di uomini nel-l’inferno dei campi, come lafede religiosa, le iniziativeculturali, gli espedienti perricevere e diffondere infor-mazioni (i giornali parlati ele radio clandestine), il rap-porto con la popolazione ci-vile, i contatti con i prigio-nieri e i deportati di altre na-zioni, le storie d’amore e disesso, che in alcuni casi do-po la liberazione si tradus-sero in matrimoni e in figli(qualcuno tornò a casa conla moglie o la fidanzata te-desca o polacca).Vengono approfonditi an-che profili nuovi o poco co-nosciuti, come i campi di pu -nizione, le violenze dei car-cerieri, le fughe, la collabo-razione con la resistenza lo-cale, i casi di resistenza ar-mata, la deportazione dei ca-rabinieri, la seconda prigio-

Mario Avagliano eMarco Palmieri

I militari italiani nei lager nazisti.

Una resistenza senz’armi 1943-1945

il Mulinoeuro 26,00

pag. 457

«Una resistenza senz’armi 1943-1945» le ricerche di Avagliano e Palmieri

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PALCosCENICo

Un articolo del dirigente dell’Ufficio Regionale scolastico Alessandro Clavarino

La Tosca di Puccini messa in scena nel lager di Buchenwald per gli studenti savonesi

Le scuole della pro-vincia hanno egre-giamente risposto, e

la mattina del 30 gennaio ilTeatro, con uno splendidocolpo d’occhio, apparivagremito di giovani, esau-rito in tutti gli ordini di po-sti. L’Opera Giocosa Savonaattraverso il direttore mae-stro Di Stefano, ha espres-so la sua soddisfazione perla riuscita dell’evento chesi inquadra in un nutrito

programma di collabora-zione fra Teatro e Scuole,in perfetta linea, anche congli auspici del Ministerodell’Istruzione, mentre lapresidente Aned di SavonaBolla Cesarini ha esplici-tato il forte significato cul-turale, storico e morale del-la rappresentazione, rin-graziando le scuole per lapartecipazione e la colla-borazione a questo per-corso di lotta all’indiffe-renza e al negazionismo.

Andrea Piccardi, dirigen-te scolastico dell’IC Va -razze ha a sua volta rap-presentato la valenza pe-dagogica e artistica dellaTosca ambientata all’in-terno del lager, luogo del-la distruzione dell’essereumano e dell’arte, ricor-dando che gli alunni delsuo istituto sono stati im-pegnati direttamente comecoristi. L’allestimento è ap-parso, sin dall’ingresso inteatro, impressionante.Assai d’impatto la presen-za di una bandiera delReich, l’inquietante muo-versi di figuranti in abitimilitari e il dolore espres-so da un gruppo di prigio-nieri, reclusi in un angolo.Struggente e veramenteemozionante poi la resascenica dell’opera .Come Ufficio Scolasticoprovinciale riteniamo as-solutamente utile che i gio-vani, mediante la parteci-pazione diretta e la frui-zione dei linguaggi dellamusica e del teatro, fac-ciano esperienza di quella

grande capacità “totale” dicoinvolgimento che è of-ferta dall’Opera.Un’esperienza di bellezza,che diventa un momentosignificativo per continuarea riflettere, senza stancar-si, sui temi del Giorno del-la Memoria.prof. Alessandro ClavarinoDirigente ambito territoria-le di Savona-Ordinamentiscolastici-Politiche formati-ve-Diritto allo studio-Comu -nicazione.

Rinnovando una consuetudine benemerita, il TeatroChiabrera, ha offerto alle scolaresche savonesi la pos-sibilità di assistere alla prova generale dell'opera“Buchenwald Tosca” con musiche di Giacomo Pucciniper la regia di Mauro Pagano, in collaborazione con l'as-sociazione Musicale Rossini di savona.

Una scena dello spettacolo al Teatro Chiabrera. spicca il “triangolo rosso”sulla giacca del deportato.sopra il manifesto.

Clavarino e Falco(segretario Anpi di VadoLigure) ad Ebensee.

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I prigionieri(ripensati daglistudenti di oggi)come se tornasseroa Bergamo, alla stazione da cui eranostati portati ai lager

Cartelloni e carte di identità dedicati ai deportati politici passati daBergamo e partiti dal binario 1 della Stazione. I volti e le storie di Angelo Biffi, Ines Figini, Cesare Lorenzi, RaffaeleMaruffi e Guido Valota nei lavori degli studenti delle classi IV e V Bdell’Istituto Mario Rigoni Stern, guidati dalla professoressa OmbrettaCosentino nell’ambito del progetto “Erano barboni, erano i nostri padri”voluto dal Comune di Bergamo e realizzato da Isrec e Aned Bergamo. Le foto e i cartelloni (qui è Peppino Valota che li guarda) sono stati espo-sti alla stazione bergamasca.

Cartelloni dedicati ai deportati politici partiti dal binario 1 della stazione