Giornale a cura N. 4 Novembre 1997 Ravensbrück · 2018-02-02 · Quelle mille deportate...

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Quelle mille deportate dimenticate, orgoglio della Resistenza italiana TRIANGOLO ROSSO IT Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici Nuova serie - anno XVII N. 4 Novembre 1997 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano Il 25 e il 26 ottobre a Salsomaggiore Convegno storico sui militari italiani deportati a Dora Inaugurata nell’ex campo nazista una targa contenente i nomi di 600 nostre connazionali, presenti il presidente della Camera Luciano Violante, il presidente dell’Aned Gianfranco Maris, alte autorità tedesche e una folta delegazione della nostra associazione. Nelle pagine interne un ampio resoconto della manifestazione. Nel prossimo numero del nostro giornale daremo conto nei dettagli del convegno internazionale organizzato dall’Aned il 25 e 26 ottobre a Salsomaggiore sulla deportazione poli- tica di internati militari italiani nel campo di sterminio di Dora. Il convegno ha avuto il patrocinio del presidente del- la Repubblica, dei presidenti della Camera e del Senato e del presidente del Consiglio dei ministri. Ravensbrück Quelle mille deportate dimenticate, orgoglio della Resistenza italiana Nel prossimo numero il resoconto completo

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Quelle mille deportate dimenticate, orgoglio

della Resistenza italiana

TRIANGOLOROSSO

ITGiornale a cura dell’Associazione nazionaleex deportati politiciNuova serie - anno XVIIN. 4 Novembre 1997Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

Il 25 e il 26 ottobre a Salsomaggiore

Convegno storicosui militari italianideportati a Dora

Inaugurata nell’excampo nazista unatarga contenente inomi di 600 nostre

connazionali, presentiil presidente dellaCamera LucianoViolante, il presidentedell’Aned GianfrancoMaris, alte autoritàtedesche e una foltadelegazione dellanostra associazione.Nelle pagine interneun ampio resocontodella manifestazione.

Nel prossimo numero del nostro giornale daremo conto neidettagli del convegno internazionale organizzato dall’Anedil 25 e 26 ottobre a Salsomaggiore sulla deportazione poli-tica di internati militari italiani nel campo di sterminio diDora. Il convegno ha avuto il patrocinio del presidente del-la Repubblica, dei presidenti della Camera e del Senato edel presidente del Consiglio dei ministri.

RavensbrückQuelle mille deportate dimenticate, orgoglio

della Resistenza italiana

Nel prossimo numero il resoconto completo

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Verso il processo a Theo Saevecke

Due buone ragioni

per ricordarepiazzale Loreto

AMilano un McDonald,numerosi negozi, unabanca e un palazzo sor-

gono oggi in piazzale Loretoal posto del distributore dibenzina che divenne famosoper la macabra esposizionedei cadaveri di Mussolini, del-la sua amante e di alcuni ge-rarchi fascisti il 29 aprile ‘45.Non molto tempo fa CombatFilm ha mostrato quelle im-magini raccapriccianti e hasollevato un vespaio di indi-gnazione per il comportamentoimpietoso della gente. Tuttavia,i milanesi più avanti con glianni ricordano bene che la po-polazione reagì in modo cosìspietato e crudele perché eraancora tragicamente ferita daun episodio di brutale violenzainferta dai nazifascisti allaResistenza e alla città otto me-si prima.Sarebbe bene che tutti gli ita-liani conoscessero la veritàstorica per poter esprimereun’opinione documentata suquegli avvenimenti.Infatti, poco più in là, in po-sizione modesta e defilata, alvertice del giardinetto di viaAndrea Doria che si affacciasull’angolo di piazzale Loretocon viale Brianza, c’è la ste-le che ricorda 15 partigianifucilati il 10 agosto 1944 daun plotone fascista per rap-presaglia, a seguito di un at-tentato che aveva fatto salta-re un camion della Wehrmachtin viale Abruzzi due giorniprima.Il rapporto sull’attentato delComando di presidio dellaGuardia nazionale repubbli-cana elenca 6 morti, 5 feritiricoverati all’ospedale diNiguarda e 6 feriti leggeri“medicati e ritornati ai lorodomicili”. Eccezion fatta peril graduato tedesco che gui-dava il camion, e che risulteràferito leggermente a una guan-cia, morti e feriti erano tutti

italiani. Il più giovane era unragazzo di 14 anni.L’attentato non venne mai ri-vendicato da alcun gruppo or-ganizzato della Resistenza. Inprecedenza, anche per evidentiragioni di propaganda, la ri-

vendicazione era sempre arri-vata, anche quando erano sta-ti coinvolti dei civili. Così l’ipotesi più ragionevoleattribuisce l’iniziativa di via-le Abruzzi a elementi antifa-scisti isolati.

Nel suo “Promemoria ur-gente” per il Duce, ilcapo della Provincia

Parini conferma che “le vitti-me dell’attentato di VialeAbruzzi erano tutte italiane eneppure un tedesco e quindiera giusto che se la rappresa-glia si fosse fatta anche le au-torità italiane dovevano espri-mere il loro avviso”, ed espri-me un giudizio pesantissimosull’episodio: “Il modo dellafucilazione era stato quantomai irregolare e contrario al-le norme”.In effetti la rappresaglia dipiazzale Loreto fu intimata dainazisti allo stato illegittimo diSalò - che si prestò a eseguir-la - al solo scopo di diffonde-re il terrore tra la popolazio-ne civile ed affermare il con-trollo tedesco sul territorio ita-liano, secondo la logica del-l’occupazione già ampiamen-te sperimentata in tutta Europa.Il capitano delle SS TheoSaevecke, comandanted e l l ’ A u s s e n k o m m a n d oMailand, ordinò che venissemesso a disposizione un re-parto fascista per provvederealla fucilazione. E a curare per-sonalmente la selezione deipartigiani da fucilare fu sem-pre il capitano Saevecke, cheaveva anche la responsabilitàdella conduzione del carceredi San Vittore.Al momento di portare iQuindici al luogo della fuci-lazione, alle 4,30 del mattino,a ciascuno fu distribuita unatuta da operaio, per far crede-re loro che sarebbero andati alavorare per la Todt.A eseguire l’ordine di fucila-zione impartito da Saeveckefu un plotone fascista (Muti).L’operazione cominciò alle5,45 del mattino del 10 ago-sto e si concluse alle 6,10, do-po che furono inseguiti e uc-cisi due degli ostaggi che, purferiti, erano riusciti a fuggire

Boldrini: l’Anpi sarà partecivile nel processo

Una lettera all’avv. Gianfranco Maris

Caro Maris,l’Anpi, come ti ho già detto a voce, segue con gran-de interesse e partecipazione il processo che il pro-curatore del Tribunale di Torino ha avviato controTheo Saevecke. Vorrei, se ciò è possibile, che l’Anpinel processo possa essere al fianco dei familiaridelle vittime come parte civile.L’Anpi, in questo caso, potrebbe essere rappresen-tata e patrocinata da te. Comunque, se la costituzio-ne dell’Anpi come parte civile non fosse possibile,vorrei che sempre tu rappresentassi l'Anpi, comeappoggio morale al fianco dei familiari delle vittime.

SalutiArrigo Boldrini

IL PUNTO

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nelle vie adiacenti.L’ufficiale nazista che con-trollava l’esecuzione dell’or-dine, ligio alle disposizioni diSaevecke, ordinò che i corpimartoriati dei Quindici re-stassero esposti per tutta lagiornata in piazzale Loreto.Volendo trasmettere un duromonito alla popolazione e al-la Resistenza i nazisti scelse-ro quel luogo perché voleva-no che il maggior numero dipersone possibile vedesse e sa-pesse. All’epoca questo era unpunto di convergenza del pen-dolarismo milanese verso lefabbriche di Sesto e dellaBrianza e di quello dell’Hinter-land verso Milano. Negli ora-ri di punta dei giorni lavorati-vi il transito dei pendolari ar-rivava a diverse decine di mi-gliaia di lavoratori. Ma in quel-la occasione la voce del rac-capricciante episodio corse ra-pidamente di bocca in boccae moltiplicò enormemente ilnumero dei passanti.

La scelta del posto, i mo-di della fucilazione el’arrogante crudeltà del-

la lunga esposizione dei cor-pi martoriati (al contrario diquanto avvenne alle Ardeatine,dove si cercò di nascondere ilmisfatto) lasciarono un segnoindelebile nella popolazionedi Milano e nelle file dellaResistenza, caricando di unforte valore simbolico il luo-go e l’evento.Se si comprende questo, di-viene più facile comprendereil secondo e più famoso epi-sodio legato a piazzale Loreto,l’esposizione dei cadaveri diMussolini, della sua amante edegli altri gerarchi fascisti il29 aprile ‘45. E se a questoaggiungiamo l’esasperazionedella gente, causata dall’op-pressione nazifascista, dai lut-ti diffusi, dai sacrifici econo-mici imposti dalla lunga guer-

ra e dai disagi di ogni genere,sarà più facile capire il com-portamento incivile di partedella popolazione documen-tato dalle immagini di CombatFilm.Ci sono almeno due ottimi mo-tivi per ricordare questi fattidolorosi a distanza di oltre cin-quant’anni.

1Nell’attuale clima di ri-mozione collettiva delleresponsabilità storiche, noi

italiani dovremmo sentire ildovere civico, prima ancorache morale, di capire quel tra-vagliato periodo e di assumercile responsabilità che ci com-petono.Troppo spesso ci dimenti-chiamo che siamo una Nazioneda poco più di un secolo e unademocrazia compiuta da pocopiù di cinquant’anni. Ma soprattutto dobbiamo ri-cordare che il fascismo ha pe-santi responsabilità nel man-cato sviluppo democratico, ci-vile ed economico del Paese. Tanto per ricordarne qualcu-na: l’eliminazione delle libertàpolitiche e sindacali; le leggirazziali; l’autarchia che co-strinse il paese entro i propriconfini culturali ed economi-ci; l’addebito alle classi me-no abbienti del costo della ri-cerca del pareggio del bilan-cio dello stato, attraverso ri-duzioni dei salari effettuate

d’autorità dal governo; la dif-fusa miseria; la realizzazionedi uno stato illegittimo - la co-siddetta Repubblica di Salòche si oppose a quello legit-timo, trascinando il Paese inuna sanguinosa guerra civile,mentre era in corso la guerradi liberazione dell’Italia dal-l’invasore straniero.E non va assolutamente di-menticato che fu la politicadell’Italia fascista, insiemea quella scellerata dellaGermania nazista e delGiappone, la causa prima del-lo scoppio della seconda guer-ra mondiale, che provocò 60milioni di morti.

2In una sala dello splen-dido Museo Monumentoal Deportato di Carpi c’è

una frase molto significativadi un resistente lussembur-ghese: "Non crediate che tut-to finirà così. Sarete chiama-ti a rendere i conti. Quel gior-no non è lontano, e allora, guaia voi! Ma non voglio essereio a giudicarvi".Il 16 luglio scorso il dottorRivello della Procura milita-re della Repubblica di Torinoha chiesto l’incriminazionedel criminale nazista TheoSaevecke per omicidio pluri-mo in danno dei 15 partigia-ni di piazzale Loreto. In carica da poco più di unanno, egli si è posto subito

l’obiettivo di smaltire gli ar-retrati del suo ufficio, e do-po il censimento dei proce-dimenti giacenti, ha dato cor-so a quelli che presentavanodue requisiti indispensabili:documentazione sufficiente(sia pure da aggiornare ecompletare) e indiziati an-cora viventi. Il caso Saevecke, colposa-mente “dimenticato” per ol-tre cinquant’anni e posto inposizione di “archiviazioneprovvisoria” dai suoi prede-cessori, è tra gli ormai po-chi casi che rispondono aquesti due requisiti. In oc-casione dell’approssimarsidel procedimento, il 20 set-tembre scorso si è costituitoil “Comitato I Quindici” cheha lo scopo di tutelare gli in-teressi morali, politici, so-ciali, storici e anche econo-mici delle famiglie dei ca-duti di piazzale Loreto, e cheper questi motivi si costituiràparte civile nel processo con-tro Saevecke.

Da questa azione lega-le i familiari si aspet-tano solo quella giu-

stizia che fu loro negata percinquant’ anni dalla magi-stratura militare. In questo modo, essi inten-dono evitare che i Quindicisiano uccisi per la secondavolta dall’ondata di revisio-nismo storico che vorrebbetrasformare i carnefici in vit-time.L’obiettivo concreto delComitato è quello della ri-costruzione storica dei fatti,per evitare che sulla sceltadei Quindici, e sulla loro mor-te, si faccia colposa di-sinformazione, così comehanno fatto alcuni giornalimilanesi, o - peggio - spe-culazione politica, come facerta memorialistica neofa-scista.Per concludere, la costitu-zione di parte civile dei fa-miliari dei Quindici ha loscopo di scrivere la storiadella fucilazione dei 15 pa-trioti di piazzale Loreto, inquanto pagina gloriosa del-la storia della guerra di li-berazione.

Sergio Fogarolo

In occasione dell’apertura del procedimento penale contro il cap. delle SS Theo Saevecke

CERCHIAMO I FAMILIARI SUPERSTITI DEI

Telefonare entro il 14/11/97 a Sergio Fogagnolo02/70.60.34.00 ore ufficio

QUINDICI MARTIRIDI PIAZZALE LORETO

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deportazione

Cosa c’è dietro il silenzio

sulla

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Ravensbrück

Cosa c’è dietro il silenzio

sulla

deportazione

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politica

Il discorso del presidente dell’Aned Gianfranco Maris

Centinaia di nomi:la memoria è già storia

Cari amici,a voi, che partecipate alla cerimonia inaugurale della lapideche l’Associazione nazionale ex deportati politici nei campinazisti ha voluto dedicare, in Ravensbrück, alle donne italia-ne qui deportate, Oscar Luigi Scalfaro, presidente della RepubblicaItaliana, invia il suo plauso per questa solenne iniziativa, nel-la quale egli vede una “nuova prova del prezioso impegno ditestimonianza dell’Aned, affinché la memoria degli orrori delpassato sia per tutti stimolo a operare in nome dei supremi va-lori di libertà e di pace fra tutti gli uomini.”Hanno mandato messaggi Nicola Mancino, presidente delSenato; Romano Prodi, presidente del Consiglio dei ministri;Walter Veltroni, vice presidente del Consiglio dei ministri;Luigi Berlinguer, Livia Turco, Rosi Bindi e Anna Finocchiaro,ministri, per confermare la loro adesione morale alla nostrainiziativa, anche se, impegni istituzionali non consentono lo-ro di essere qui con noi. E’ presente Luciano Violante, presi-dente della Camera dei deputati.

La solidarietà delle istituzioni

Le istituzioni del nostro Paese ci sono, quindi, vicine con illoro consenso e con la loro solidarietà. E tuttavia, poiché quisiamo in sede etica, in luogo di verità, sarebbe retorica con-dannabile qualsiasi celebrazione che non denunciasse come ladeportazione politica italiana, nel suo complesso, sia trascu-rata; non tanto dalla ricerca storica, quanto dalla informazio-ne.Non la deportazione di donne, uomini e bambini, in quantodeportazione di “innocenti”, è trascurata; perché, anzi, sul pia-no della deportazione e dell’annientamento degli “innocenti”- come possono essere stati gli zingari, gli ebrei, gli omoses-suali, i testimoni di Geova - l’informazione è diffusa e costantee la condanna dei cittadini è unanime.E’ trascurata la deportazione “politica”, la cui condanna devenecessariamente passare - e non passa - attraverso la condan-na dei regimi nazista e fascista in quanto tali; del loro totali-

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politica

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tarismo politico, del loro avventurismo criminale, della loropolitica di conquista e di sottomissione dei popoli, della lororepressione statuale programmatica e criminale di ogni anta-gonista, di ogni dissidente.La condanna della deportazione politica è, essa stessa, unascelta di campo, non è neutrale; deve passare attraverso il ri-conoscimento del valore e dell'attualità dell’antifascismo.In altre parole: è trascurata la deportazione dei “responsabili”dell’azione antifascista.Nel processo a carico delle SS che avevano comandato il cam-po di sterminio di S. Sabba, la Corte d’Assise di Trieste con-dannò i comandanti del campo solo per aver soppresso 30 “in-nocenti”, che nulla avevano fatto contro le SS, in quanto ap-punto, zingari, ebrei, testimoni di Geova; ma non le condannò,né li incriminò, per lo sterminio e la deportazione di 6.000 pa-trioti e partigiani, assassinati senza processo in S. Sabba o in-viati a morire nei campi di Buchenwald e di Ravensbrück.In Germania e in Francia le ricerche e gli studi ripropongonoil fascismo e il nazismo come questione centrale nella storiadel XX secolo. In Italia, invece, alle emergenze della riformadelle istituzioni e dello stato sociale si aggiunge oggi una ter-za emergenza: quella che nega legittimità politica all’antifa-scismo e nega che dalla Resistenza sia mai nata una nuovaidentità nazionale.

Negato il valore della Resistenza

E questo perché - negando che la Repubblica sia nata dallaResistenza - si tenta di negare legittimità alla presenza di va-lori resistenziali nelle riforme istituzionali.La storia esige una lettura pluralistica delle memorie, ma è darespingere la prospettazione di una storia controversa nellaquale le verità sono ancora tutte da accertare.Per avere una misura del livello al quale è scaduta la demo-crazia italiana basta citare due episodi che hanno avuto perprotagonisti due giudici italiani, dei quali uno, il rappresen-tante della pubblica accusa, chiede l’archiviazione della de-nuncia nei confronti dei partigiani di Via Rasella non perchéautori di un atto di guerra doveroso, ma per amnistia, la stes-sa di cui usufruirono i torturatori e i criminali nazisti e fasci-sti; e un altro, il giudice delle indagini preliminari, ritiene de-gna di approfondimento la denuncia nei confronti dei parti-giani di Via Rasella, ai fini della valutazione dell’addebito aloro mosso di essere “illegittimi belligeranti”, essi stessi re-sponsabili della strage delle Ardeatine.Sono le memorie divise o la storia mistificata che induconoperverse ombre persino sulla cultura giuridica? Si tratta di una

mutazione profonda, gravemente preoccupante, della coscien-za e della memoria storica di un intero Paese!In questa situazione, contro la quale non ci stancheremo dicombattere, viviamo oggi, tuttavia, qui a Ravensbrück, unagiornata luminosa. Scopriamo una lapide che riassume un gran-de lavoro di ricerca di Giovanna e Paolo Massariello, figli diMaria Arata, che fu deportata in questo campo nell’estate del1944. La loro ricerca dà, finalmente, una misura più esatta delcontributo delle donne italiane alla Resistenza politica euro-pea.

Tutte colpevoli di antifascismo

Non poche decine e neppure poche centinaia, ma migliaia; tut-te “colpevoli” di antifascismo militante. Noi siamo orgogliosidi leggere nell’opera di Erna Menser e di Vida Zaverl che, inRavensbrück, le donne italiane erano “coscienti antifasciste”.L'Aned proseguirà nel suo impegno di ricerca.Abbiamo ultimato la raccolta di 350 interviste a donne italia-ne deportate ancora viventi, e siamo certi che la pubblicazio-ne di queste personali memorie - di operaie che parteciparonoagli scioperi del marzo 1944, di contadine, di impiegate, distudentesse e di insegnanti, figlie, spose, madri - nelle qualisono racchiusi sogni e paure, coraggio e tristezza, speranze erinunce, diversità e pensieri uguali, nell'ambito di una comu-ne scelta di sicuro segno antifascista - costituiranno, nel loroinsieme, una vera memoria nazionale, nella quale tutti gli one-sti si potranno riconoscere. Mentre scopriamo una lapide, con i nomi di alcune soltantodelle nostre compagne annientate nella deportazione, diciamoa tutte non solo che nessuna di loro è mai uscita dal nostrocuore e che nessuna ne uscirà mai, sino a quando avrà un bat-tito; ma soprattutto che la loro memoria è già oggi storia, è giàoggi messaggio di verità che non rimarrà inascoltato.

Gianfranco Maris

Ravensbrück

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rono in seguito internate 130 mila donne, di tutte le nazioniinvase dalle truppe naziste, e di esse ben 92 mila vi trovaronola morte. Quando la Germania mosse guerra all’Europa e nei territorioccupati cominciò a serpeggiare la rivolta e si consolidò la re-sistenza all’invasore, le donne, via via arrestate, furono per lamaggior parte deportate a Ravensbrück dove vennero con-trassegnate con un numero e un triangolo rosso, segno delladeportazione politica. Con l’aumentare dell’afflusso delle donne internate, il camposi ampliò: arrivarono svedesi, norvegesi, danesi, russe, polac-che, olandesi, francesi, belghe, spagnole. Le prime donne ita-liane giungono al campo nell’agosto del 1944: sono solo 14 eprovengono dalle “Nuove” di Torino. Altre arrivano ai primi di ottobre: sono 113, fra cui liguri, lom-barde ed emiliane provenienti dal campo di smistamento diBolzano; in seguito vi sono trasporti anche da Udine, Trieste,Gorizia.Secondo le ultime ricerche fatte da Giovanna e Paolo Massariello,al cui interessamento dobbiamo questa nuova lapide, sono cir-ca 600 le italiane deportate a Ravensbrück, ma non conoscia-mo ancora la precisa consistenza della deportazione politicadelle donne italiane, in quanto mancano notizie precise sul-l’internamento femminile in campi come Bergen Belsen,Mauthausen, Dachau, dove sappiamo soltanto che furono in-viati piccoli gruppi di italiane. Quando arrivano a Ravensbrück,le italiane trovano il campo già sovraffollato: tra loro casalin-ghe, studentesse, insegnanti, commercianti. Sono donne sem-plici e quasi nessuna di loro conosce la lingua tedesca né, tan-tomeno, quella polacca, cioè le due lingue ufficialmente par-late nel campo. Sono sole, isolate, male-accette. Le altre deportate vedono inloro le appartenenti a un popolo che ha fatto la guerra al loropaese, che ha distrutto le loro case, le identificano come “fa-sciste” e per i tedeschi esse sono le “sporche donne di Badoglio”,cioè l’espressione stessa del tradimento.Molte vengono smistate in altri sottocampi, disperse tra de-portate di altra nazionalità. E per loro la realtà si prospetta subito drammatica. Senza la

La testimonianza di Bianca Paganini

Noi, sparute larve umane,eppure orgogliose resistentiMi sia concesso esprimere a tutti i presenti il commosso rin-graziamento delle donne di Ravensbrück che sono qui conve-nute e a nome di quelle che, pur non avendo potuto parteci-pare a questo incontro, sono spiritualmente, ne sono certa, quicon noi. Un grazie particolare a Madame Jacobeit, direttricedel museo del campo e alle splendide donne dell’Amical diRavensbrück che in tutti questi anni hanno lottato con pervi-cacia per difendere questo simbolo della memoria perché siadi monito alle future generazioni.“Ravensbrück”, Ponte dei corvi. Questa è la traduzione italia-na del nome di questo luogo che oggi è così luminoso, col so-le che rende iridescenti le acque del lago e i salici che s’in-chinano quasi a lambirle: un paesaggio idilliaco, se non fosseper la presenza di quelle sculture raffiguranti donne macilen-te che suscitano pietà e tristezza in chi le guarda e che richia-mano alla mente le atroci sofferenze da loro subite; se non fos-se altresì per la presenza di quella statua di donna che sembrasorgere dal lago e che solleva il figlio morto in un gesto di ie-ratica accusa; o, ancora, se non fosse la vista di quel lunghis-simo muro che testimonia la vastità del campo e su cui sonosegnati i nomi delle nazioni da cui provenivano le deportate.Queste immagini suscitano in noi deportate ricordi drammati-ci: la luce così viva che oggi ci accoglie si stempera nel ri-cordo e in questo ricordo rivediamo tutto tingersi di grigio:grigia questa terra di palude che si attaccava alla pelle e vi ri-maneva, grigi i baraccamenti e gli abiti delle prigioniere e sututto questo grigiore, che ormai faceva parte di noi, il grac-chiare ossessivo dei corvi che ci accompagnava durante tuttala giornata e si spegneva solo a sera, col buio della notte chefinalmente cancellava il grigio del giorno e ci portava il so-spirato silenzio.

130 mila deportate,92 mila morte

F.K.L. (Frau Konzentration Lager): campo, cioè, aperto nel1939 come campo di rieducazione per le cittadine tedesche an-ti-naziste, per le testimoni di Geova e per le “asociali”. Vi fu-

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conoscenza della lingua né del tipo di lavoro che l’attende nel-le fabbriche, dovranno da sole trovare in se stesse la forza chele aiuti a resistere, e quindi, a sperare di salvarsi la vita. E’ co-sì che, giorno dopo giorno, scoprono le regole della sopravvi-venza, imparano a dire a memoria il proprio numero in linguatedesca, a muoversi, a difendersi, a sfuggire alla violenza del-le kapò e delle sorveglianti; vedono nascere fra di loro frater-ni vincoli di solidarietà che le aiuta soprattutto a non lasciar-si andare e a non gettare la spugna. E tutto ciò non era facile, se si pensa che nel campo l’umanitàaveva raggiunto il più basso livello di degradazione, giacchéera giunto a non rispettare neppure la maternità: basti dire chealle madri venivano strappati i loro bimbi appena nati per esseresottoposti ai più scellerati esperimenti.Quanto le forze alleate sfondano i vari fronti e da una parte iRussi, dall’altra gli Americani stringono come in una morsa ilterritorio tedesco, le industrie chiudono le fabbriche e le de-portate vengono ricondotte nel “grande campo”, dove ormairegna il caos e la morte. Poche per volta le tedesche vengonoliberate, le francesi e le belghe vengono salvate dalla CroceRossa.Tra il 25 e il 27 aprile, poiché i Russi sono ormai a pochi chi-lometri, ad eccezione di alcune centinaia di donne gravemen-te ammalate, le ultime deportate rimaste nel campo (italiane,russe, slovene), abbandonate a se stesse dai loro aguzzini infuga, devono ora affrontare da sole il momento critico dell’e-vacuazione.

La tragica marcia di 200 chilometri

Sono giunte ormai al limite della resistenza fisica. Distrutte,spaventate, sparute larve umane, guidate dai cani e dai solda-ti, sorrette solo dalle loro misere forze e spinte dallo spirito disopravvivenza, eccole ora in cammino sulle strade tedesche:da una parte ci sono loro, lunga fila di stracci grigi e di relit-ti umani, al centro le truppe tedesche che fuggono di fronte aldilagare dell’esercito russo, sull’altro versante della stessa stra-da la popolazione che fugge anch’essa all’incalzare delle te-mutissime truppe russe. Camminano per circa 200 chilometri, durante i primi chilo-metri con la folle paura di sentirsi mancare le forze e di esse-re abbattute da quel colpo alla nuca con cui i loro aguzzinigiustiziavano chiunque vedessero cadere: non poche moriro-no così, freddate sul ciglio della strada, ormai a poche ore dal-la libertà. Le altre, le più fortunate, furono liberate dai Russia Sverin o dagli Americani a Parkim: ma forse neppure la li-bertà le fece gioire, giacché gli ultimi giorni erano stati per lo-

ro così terribili che difficilmente si resero conto di ciò che sta-va loro accadendo. Queste donne attesero quattro lunghi me-si prima di essere rimpatriate.

Il difficile inserimento

Difficile fu il loro reinserimento nel “quotidiano”: angosciateperché non si sentivano credute o perché leggevano nei voltialtrui indifferenza e dubbio, si chiusero nel loro privato, spe-rando di riuscire a dimenticare. Ma per noi, donne di Ravensbrück,questo non fu possibile perché, malgrado il nostro silenzio eil desiderio di oblio, da questo campo noi non siamo mai usci-te. Anzi, vorrei dire che da questo campo abbiamo portato connoi, indelebile, il ricordo di donne, che, malgrado la difficoltàdel linguaggio (pensate che talvolta si riusciva a colloquiareparlando in latino), malgrado la differenza di religione, di ce-to sociale, di cultura, di abitudini, hanno saputo intrecciareamicizie che sono durate nel tempo. Perché nel campo quelle donne hanno imparato a conoscere lebasi della vera democrazia, e soprattutto perché il campo, adonta di tutto il male che ne hanno ricevuto, è stato per loro an-che una grande scuola di vita. Una “scuola” che ha insegnatoloro a scrivere, in tante lingue, il più appassionato atto di ac-cusa contro tutte le guerre e, nello stesso tempo, il più subli-me atto di fede: fede nella pace tra i popoli e altresì fede nel-la invincibile forza che solo l’unione degli umili può ergere adifesa del destino dell’intera umanità.Ed ora, prima di chiudere con voi questi amari ricordi, per-mettete che io rivolga il mio pensiero riconoscente a Lidia,Lidia Rolfi, la compagna con cui abbiamo condiviso la pri-gionia, il lavoro in fabbrica e tante umane sofferenze, a Lidiache con il suo coraggio indomito ha saputo infondere in noi,donne di Ravensbrück, la forza per raccontare, per testimo-niare, per non dimenticare. E’ a lei che si deve il merito di aver avviato, per prima, le ri-cerche sulle donne deportate a Ravensbrück, a lei, sopra ognialtra, che oggi dobbiamo la nostra presa di coscienza: “per rac-contare, per testimoniare, per non dimenticare!” Grazie, Lidia,oggi anche tu sei qui con noi.

Bianca Paganini

Il messaggio del presidente della Repubblica

Rivolgo un fervido, partecipe pensiero in occa-sione della cerimonia inaugurale della lapide chel'Associazione nazionale ex deportati politici neicampi nazisti ha voluto dedicare alle donne ita-liane deportate a Ravensbrück. Con questa com-memorazione tanto significativa l’Aned prosegueil suo prezioso impegno di testimonianza affin-ché la memoria degli orrori del passato sia pertutti stimolo a operare in nome dei supremi va-lori di libertà e di pace fra tutti gli uomini. Plaudopertanto alla solenne iniziativa di Ravensbrücke porgo un saluto cordialissimo al presidente del-l’associazione e a tutti i presenti.

Oscar Luigi Scalfaro

“Uno stimoload operare per i valoridi libertà e di pace”

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Ravensbrück

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Ciò che qui si è patito ha aperto il cammino nuovo dell’uma-nità intera. Due grandi valori il ‘900 consegna a noi, alla vi-gilia del secolo che sta per aprirsi: la democrazia, la venuta almondo delle donne. Quanto dolore, quanto coraggio li ac-compagna.E’ l’eredità che sentiamo più nostra: l’amore, il silenzio, il co-raggio, il grido di dolore delle donne che hanno attraversatoquesto secolo, che sono passate per questi luoghi consegnan-do a noi la cittadinanza piena, la nostra cittadinanza è figliadelle nostre madri e sorelle di Ravensbrück. Vorrei che potes-simo chiamarle per nome, chiamarle per nome ad una ad unale donne e i bambini che qui sono giunti. La morte non ha vinto in questo campo se la ragione per laquale essi morirono è oggi la ragione della nostra vita e dellanostra responsabilità. Sono domande esigenti quelle che in que-sto luogo vengono rivolte a noi: che ne è della libertà, dellagiustizia, della democrazia, della pace per le quali si è consu-mato tanto dolore? Che ne è della dignità della persona umana, che ne è della di-gnità della donna, che ne è della dignità dell’infanzia? Sentodi rappresentare qui oggi tutte le donne del nostro Paese: diogni età e condizione, le donne che sono oggi le grandi pro-tagoniste della trasformazione della società italiana.

Quanta forza in quelle donne

Quanta forza, quanta luce viene a noi dalla memoria delle don-ne che sono passate a Ravensbrück. Qui, più che altrove, simisurò drammaticamente il legame così forte tra le donne e lavita, qui più che altrove incrollabile fu la domanda di pace, ilripudio della guerra. Oggi tocca a noi, sulla strada aperta dal loro coraggio, costruirele grandi vie della pace e della fraternità universale.Costruire, innanzitutto, la casa comune europea, perché sia unpresidio per la pace.Ravensbrück, come gli altri campi, fu un luogo internaziona-le: diversa la provenienza, una l’aspirazione alla libertà e alla

L’intervento della sottosegretaria alla Pubblica istruzione Albertina Soliani

L’Italia democraticaè nata anche quiAmiche e amici italiani e tedeschi e d’ogni nazionalità qui con-venuti, il Governo italiano oggi è qui, ripercorrendo con voi ilcammino doloroso che conduce a questo campo, perché fin quisi spingono le radici della Repubblica. Essa è nata ovunque vifurono coscienze libere che decisero di porre un ostacolo al-l’inaudito connubio di oppressione, di ingiustizia, di violenzache sconvolse l’Europa alla metà del secolo, anche a costo del-la vita.L’Italia libera e democratica è nata anche qui, a Ravensbrück,perché anche qui è passato il grande confine tra la barbarie ela civiltà, tra la morte e la vita, tra la guerra e la pace, tra lalibertà e l’oppressione che ha segnato per sempre il destinodell’umanità. Questo confine è passato per l’esistenza di don-ne e bambini divenuti il simbolo del valore dell’uomo, dellasua dignità negati dal nazifascismo. Questo confine, questo spartiacque l’ha segnato, in Europa, laResistenza che ha fatto della libertà, della dignità dell’uomo,della pace il perno del cambiamento della storia europea mon-diale. Qui è nata la nuova coscienza degli Europei. Noi siamopassati di qui. Per questo oggi siamo qui. E siamo qui, innanzitutto, per non dimenticare. Perché nessu-no si illuda che si possano dimenticare le ragioni per le qualisi muore, le ragioni per le quali vive o muore la libertà. Nonsi possono dimenticare o confondere le grandi scelte che han-no segnato il confine tra ciò che è l’uomo, e ciò che è control’uomo, tra l’innocente e il suo aguzzino.

L’eredità più sentita

A distanza di più di cinquant’anni non muta il senso delle co-se. Non vi è dibattito storico o sede giudiziaria che possa mu-tarlo. Il tribunale della storia ha già emesso la sua sentenza. Ilsenso delle cose è scritto qui, in questi luoghi, nella vita e nel-la morte di tante vittime. E’ nella coscienza dei testimoni chequi ci conducono. E’ nella memoria collettiva, italiana ed eu-ropea, che sa dove sono le radici della sua coesione sociale edemocratica.

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pace. Tocca a noi, oggi, costruire l’Europa democratica e so-lidale: l’Europa dell’euro, ma anche della cultura, della so-cialità, dei diritti umani e della democrazia. Tocca a noi edu-care le giovani generazioni ai valori di questa Europa, che ènata dal sacrificio che anche qui si è compiuto. La scuola haun grande compito. Perché la cultura e la conoscenza rendo-no liberi, sono le condizioni indispensabili della democrazia,come l’ignoranza è il veicolo della dittatura. E una scuola che non esplora, che non interroga, che non ri-vive il passato, il ‘900, la Resistenza, non potrà renderla at-tuale nella coscienza dei giovani formandoli a saper leggere lenuove sfide della libertà: il dialogo, la tolleranza, il rispetto diogni cultura, di ogni razza, l’uguaglianza di opportunità pertutti. Se si dimentica la barbarie, essa può ripetersi. Se non hamemoria storica la scuola non potrà offrire ai giovani alti idea-li, senza i quali la vita apparirà loro vuota di significato.

Gli studenti vengano qui

La scuola è questa, è qui, in questi luoghi che parlano del sa-crificio di molti per la libertà di tutti, e di come la dignità del-l’uomo sia il bene più grande dell’umanità. Qui, dunque, deb-bono venire gli studenti, e in molti già vengono, passando peri percorsi della memoria che in Italia e in Europa sono comele stazioni sulla via della libertà. Sono qui per testimoniare l’impegno del governo e del mini-stero della Pubblica istruzione perché la memoria preziosa diquesto luogo sia custodita nella scuola italiana e venga con-segnata alle nuove generazioni. Questa è la generazione decisiva per la continuazione dellamemoria. Entri nella scuola la storia del ‘900, e con la pre-senza delle donne. Si intensifichino le iniziative perché il luogo dell’esclusione,della violazione della dignità dell’uomo diventi il luogo del-l’incontro dei giovani Europei. Il luogo dove è passato l’odio diventi spazio della cultura, del-la solidarietà, dell’amore: dove la politica è stata negata, i gio-vani possano rincontrarla nella sua moralità, nel suo valore.Qui è nata la speranza nel futuro che ora è affidata alla nostracomune responsabilità. Nel nome delle donne e dei bambini di Ravensbrück, noi nonsolo siamo riconciliati, ma assumiamo la comune responsabi-lità verso quel futuro di pace che era la ragione della loro vi-ta ed è stata la ragione del loro sacrificio. Ora l’Europa pacifica è tutta affidata alle nostre mani.

Albertina Soliani

L’intervento di Giovanna Massariello

Una ricercaancora apertaAccolgo l’invito di Bianca Paganini a prendere la parola, fuo-ri dal protocollo ufficiale, ma “fuori protocollo” era mia ma-dre Maria Arata per le sue attività antifasciste che la condus-sero alla deportazione a Ravensbrück; altrettanto “fuori pro-tocollo” fu mio nonno Emilio Arata, antifascista che già nel1926 fu obbligato all’abbandono del posto di segretario gene-rale della provincia di Massa e Carrara e venne a Milano ric-co solo dei suoi ideali e della prole; “fuori protocollo” eranoi cugini di mio padre, Umberto e Bruno Bucci, che furono tru-cidati alle Fosse Ardeatine.Parlo come figlia di una donna di Ravensbrück. E penso chesia importante che a questa cerimonia siano presenti i figli diqueste donne, laddove il programma nazista prevedeva lo ster-minio e la non-trasmissione della vita attraverso gli esperi-menti di sterilizzazione. La mia generazione ha raccolto l’im-pegno del ricordo, che si propone a sua volta di passare ai fi-gli, per quanto la fragilità delle nuove generazioni possa con-sentire.Il lavoro svolto da me e da mio fratello Paolo è nato nello spi-rito di ridare un nome a quante più possibili donne di Ravensbrück,quelle deportate italiane misconosciute anche nella testimo-nianza di deportate di altre nazioni europee, invise per l’odio-sa frattura politica del Paese al quale appartenevano, sottova-lutate nel loro sacrificio anche nelle ricerche ufficiali sulla con-sistenza numerica della deportazione nei diversi campi.La ricerca è ancora aperta, perché un’indagine sistematica chedovrebbe essere condotta negli archivi di più Paesi, non è sta-ta ancora compiuta: tuttavia il ritrovamento di liste da noi pub-blicate provenienti anche da Yad Vashem, e per dono del Cdecda un archivio polacco, consentono di dire che molto c’è an-cora da fare. In base al numero dei trasporti e al quantitativoumano usuale per ogni trasporto, non si è lontani dal vero ipo-tizzando una presenza di donne italiane (compresi i “passag-gi” da un Lager all’altro) a Ravensbrück non inferiore al 1.000.Di queste deportate, più di 600 ora hanno un nome. Esprimotutta la mia emozione per questa giornata e abbraccio comefossero tutte nostre madri le donne di Ravensbrück qui pre-senti.

Giovanna Massariello Merzagora10

Ravensbrück

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Il discorso del presidente del Land Brandeburgo Martin Hambermann

Di qui un invito a ribellarsiquando un uomo è perseguitatoAvrei preferito ricevervi cordialmente in un luogo meno im-pressionante, per rivolgervi il saluto del Parlamento del LandBrandeburgo. Mi fa piacere che siate venuti a Ravensbrück an-che se in un contesto così profondamente triste. Noi vogliamooggi ricordare insieme le deportate italiane che in questo cam-po di concentramento femminile sono state bestialmente tor-turate, con lo scoprimento di una lapide nello spazio italianonel blocco delle celle. 53 anni fa 14 donne sono arrivate da Torino in un carro mer-ci. Dal febbraio 1945 in poi circa 600 italiane, molte delle qua-li gravemente ammalate che preventivamente erano state mal-trattate nei campi di internamento di Fossoli, Bolzano e Trieste,sono state deportate in questo campo dell’orrore perché ave-vano lavorato nella Resistenza clandestina contro il regime fa-scista. Erano partigiane ed ebree.

Pieno di vergognama anche di speranza

Qui, in questo Lager hanno affrontato, con altre 130.000 com-pagne di sofferenza, l’inferno in terra. Hanno dovuto affron-tare indescrivibili sofferenze spirituali e corporali, sono stateumiliate, maltrattate sessualmente e costrette a svolgere lavo-ri pesantissimi. Tanto più è ammirevole che quelle che erano inermi, travolteda un’orgia di violenza e d’odio, abbiano avuto la forza diesprimere fra loro solidarietà e sentimenti umani, cercando disalvare la propria dignità personale e aiutando le compagne anon affondare nella disperazione. Queste donne coraggiose chenei tempi della disperazione hanno affrontato i loro carneficicon la loro dignità e resistenza, noi non le possiamo dimenti-care.Quando due anni fa abbiamo ricordato anche in questo cam-po di concentramento il 50° anniversario della liberazione, eropieno di vergogna ma anche di speranza, perché superstiti pro-venienti da ogni parte del mondo, anche dall’Italia, che veni-vano qui per la prima volta, vollero testimoniare su che cosaqui era accaduto.

La loro partecipazione, le rievocazioni delle loro esperienzepersonali erano un monito contro ogni ripetizioni degli orro-ri, delle persecuzioni e l’oblio. Non chiedevano vendetta, no,esse porgevano la mano aperta alla pacificazione. Perciò sia-mo grati che oggi gli ex deportati tornino sui luoghi dei lorotormenti e vogliano parlare con noi. Ai caduti e ai sopravvissuti noi siamo debitori nel prendere at-to del loro messaggio e far sì che Ravensbrück non si ripeta,mai in nessun luogo! Chi tace si rende colpevole, si rende com-plice. Mettiamo al bando i Lager ovunque nel mondo. Non di-stogliamo lo sguardo quando gli uomini vengono torturati odistrutti. Resistiamo alla tentazione dell’acquiescenza e of-friamo la nostra solidarietà ai deboli e agli oppressi. Solo al-lora le vittime di Ravensbrück non lo saranno state invano.

Martin Hambermann

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Il discorso del ministro della Scienza, dellaRicerca e della Cultura del Brandeburgo

Conserveremoquesti luoghiLa vostra venuta è un segno, un buon segno per le relazioniitalo-tedesche. Perciò vorrei ringraziarvi e porgervi la mia ma-no aperta per un saluto di benvenuto. Questa mano che voglio porgervi è anche una mano della ri-conciliazione. Perché Ravensbrück è una ferita profonda nel-le relazioni italo-tedesche. Sarebbe presuntuoso voler solo im-maginare quale enorme sforzo vi è costata la visita di questoluogo, il luogo di indescrivibili sofferenze e di mortificazionedella vostra vita.

Il primo trasporto arrivato da Torino

Noi ricordiamo oggi le deportate italiane che qui furono as-sassinate e torturate da un sistema disumano e da un volonte-roso popolo di coadiutori. Come si possono formulare cifresulle enormi atrocità del nazionalsocialismo commesse su ter-ritorio tedesco e in questo posto? Cosa significano i numeri44140 fino a 44153 oggi? Essi rappresentano le prime 14 don-ne italiane che il 30 giugno 1944 sono scese qui a Ravensbrückda un treno merci, arrivando da Torino, e qui per la prima vol-ta hanno visto questo luogo dell’orrore. Dietro ogni numeroche il giorno del loro arrivo le ha private della loro dignitàumana, stava un destino, stava una persona umana con le suesperanze, i suoi sogni, i suoi dolori.Ebbero numeri anche le circa 600 italiane e le 45 slovene ecroate di lingua italiana citate dal presidente Habermann chearrivarono con i primi trasporti, fino al 12 dicembre 1944.Nell’Italia del nord erano state combattenti partigiane e ave-vano esercitato una multiforme attività di resistenza contro letruppe tedesche per accelerare la fine della guerra.Immaginare la fine della guerra era, per molte italiane, quasiimpossibile, esposte come erano alle torture che dovettero su-bire dopo il loro arresto. Molte avranno percepito il loro arri-vo a Ravensbrück come la deportata Rita Sprengel che nellasua biografia ha descritto in modo impressionante: “Il Lager

era davanti a noi, immenso, accurato, spettrale. Ogni tanto sivedevano delle deportate muoversi furtivamente. Erano cosìmagre che sembravano uomini con vesti femminili”.Alle partigiane, resistenti ed ebree provenienti dall’Italia, as-sassinate a Ravensbrück, dedichiamo il nostro ricordo e un se-gno visibile con questa lapide. Questa lapide deve essere de-dicata anche a coloro che sono sopravvissute al tempo diRavensbrück.Per noi qui in Brandeburgo questa lapide commemorativa de-ve anche imporci un compito, quello di opporci a qualsiasi for-ma di oppressione e di estremismo di destra. Come ministronelle cui responsabilità rientra la gestione dei Memoriali deiKz che si trovano in questo territorio, vorrei assicurare a tuttivoi che siete venuti qui oggi che il Land Brandeburgo farà ognisforzo affinché i luoghi originali dell’orrore vengano mante-nuti come monito e deterrente. Noi di questo siamo debitorialle vittime di Ravensbrück.

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Il messaggio del presidente del Consiglio

Al presidente dell’Aned Gianfranco Maris è giuntonell’immediata vigilia della manifestazione questomessaggio del presidente del Consiglio Romano Prodi.

“Insieme a voi idealmentetutta la comunità nazionale”

Ravensbrück

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Proposta del presidente della Camera di ritorno dalla manifestazione di Ravensbrück

Violante a Prodi: finanziare i viaggidegli studenti nei Lager nazisti

Alla manifestazione del 29 giugno scorso ha partecipato il presidente della Camera dei deputati Luciano Violante, che ha tenuto un

appassionato discorso. Purtroppo la segreteria delpresidente della Camera, da noi più volte sollecitata,non è stata in grado di fornirci il testo dell’intervento dell’on. Violante, che era nostra intenzione pubblicarecon tutto il rilievo che meritava.

Dopo averci avvisato nel corso dell’estate che c’erano delle difficoltà impreviste nella trascrizione della registrazione, alla fine

di settembre ci è stato comunicato che quelle difficoltàsi sono dimostrate insormontabili. Del contrattemposiamo enormemente dispiaciuti, per la rilevanzadell’intervento del presidente della Camera a Ravensbrück.

Abbiamo atteso quel testo per mesi, perché non volevamo che dal resoconto della grande manifestazione di Ravensbrück mancasse proprio

quel testo. Ci “consoliamo”, se così si può dire,con la lettera che il presidente della Camera Violanteha inviato al presidente del Consiglio Romano Prodi,e che volentieri pubblichiamo.

Nella giornata di ieri mi sono recato, su invito dell’Associazionenazionale ex deportati, a una cerimonia commemorativa nel-l’ex Lager femminile nazista di Ravensbrück, nella RepubblicaFederale Tedesca. Furono uccisi molte migliaia di donne ebambini.Mi chiedo, signor presidente, cosa possano e debbano fare leautorità istituzionali della nostra Repubblica perché sia possi-bile trasmettere alle giovani generazioni una più compiuta me-moria di quanto accadde, oltre che a Ravensbrück, in tanti al-tri campi persino più terribili e sconvolgenti. Come trasmet-tere il ricordo delle persecuzioni e dello sterminio nazifasci-sta, senza alcun segno di odio, ma perché la conoscenza del-le tragedie del passato impedisca il riproporsi delle condizio-ni che le hanno generate.Gli studenti delle nostre scuole dovrebbero avere l’opportu-nità di visitare questi luoghi, previa adeguata preparazione.Alcune visite di questo genere sono già state effettuate e neho avuto conferma dal sottosegretario Soliani, anch’ella pre-sente a Ravensbrück; ma si tratta di rare eccezioni. Mi per-metto, perciò, di prospettare direttamente a Lei l’opportunitàdi compiere un ulteriore sforzo in questa direzione. Mi riferi-sco in particolare alla possibilità di prevedere uno specificostanziamento di bilancio, per il ministero della Pubblica istru-zione, appositamente destinato a programmi di visite di stu-denti italiani nei campi nazisti.Mi rendo conto naturalmente delle priorità finanziarie di que-sto periodo; tuttavia, credo che con una spesa compatibile conle necessità di bilancio potrebbe essere consentito a tanti gio-vani, che altrimenti non ne avrebbero l’occasione, di capire letragedie del nostro secolo e il valore della lotta europea di li-berazione dal nazifascismo insieme all’impegno per ricostrui-re valori democratici comunemente condivisi. Affido questevalutazioni alla Sua attenzione e Le sarò molto grato se vorràconsiderare l’opportunità di tenermi informato delle determi-nazioni che intenderà eventualmente assumere.Con viva stima e rispettosa cordialità

Luciano Violante

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Grande interesse per l’elenco pubblicato da “Triangolo Rosso”

Sono pervenute al nostro giornalediverse lettere e segnalazioni riguardogli elenchi dei deportati a Dora,pubblicati nello scorso numero di “Triangolo Rosso”. Alcune di questesegnalazioni le riportiamo, così come ci è stato espressamente richiesto. Tutte saranno valutate da Italo Tibaldi,curatore dell’articolo e degli elenchi.Tibaldi, come del resto risultadall’articolo che accompagnava gli elenchi pubblicati, ha lavorato su informazioni provenienti dalla Germania.

Anche a Schlier si montavano le V2

Una lettera di Romolo Pavarotti

Vorrei fare una precisazione in merito alle V1-V2 nei cam-pi di sterminio. Al riguardo vedo che si cita sempre Dorae pure Ebensee, ma si dimentica del tutto di Schlier-Zipf,dove’ero io negli ultimi mesi di deportazione.Quando nel febbraio-marzo del ‘45 mi trasferirono da

Mauthausen a Schlier, il primo lavoro chesvolsi in detto Lager era la perforazionedelle pareti delle gallerie dov’erano in-stallati enormi serbatoi che poggiavano subinari, a ridosso di grandi aperture voltein varie direzioni (si parlava versol’Inghilterra). Questi grandi serbatoi ve-nivano riempiti di un potente propellen-te, poi pronti per il lancio.Forse, essendoci a Schlier pochissimiitaliani (penso non più di 5-6) e mol-tissimi francesi e di altre nazionalità,la cosa non ha trovato particolare in-teresse per il “Triangolo Rosso” e perl’Aned.Quando andai a Schlier, si sentivanogià le cannonate dei russi, e le perfo-razioni nelle gallerie servivano permetterci la dinamite e per far salta-

re il tutto. Io partii da Schlier una set-timana prima del 5 maggio, con una marcia d’elimi-

nazione verso Ebensee, dove non arrivammo mai, perchéliberati dagli americani (i russi si ritirarono per far po-sto agli americani, come concordato) a non più di 10-15Km da Ebensee.

Romolo Pavarotti

14Dora

Nel prossimonumero altri 400 nomi di deportati a

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G Ali elenchi fornitici dairicercatori tedeschi sono statirevisionati e in qualche punto emendati,sulla scorta di informazioni certein possesso dell’Aned. Come ha scrittoTibaldi nella sua introduzione, glielenchi pubblicati da “Triangolo Rosso”riguardavano solo i caduti a Dora e i superstiti ancora in vita. Restano da ordinare i nominativi di circa 400deportati a Dora viventi al momentodella liberazione, ma deceduti in seguito, prima della pubblicazionedell’articolo sul nostro giornale.

questi elenchi Tibaldi sta ancoralavorando. Ha promesso che ce lifornirà in tempo per pubblicarli sulprossimo numero del nostro giornale.Ringraziamo quanti ci hanno scritto o telefonato: la loro sollecitudine è per noi motivo di soddisfazione,perché conferma il forte legame degli ex deportati al loro giornale. Preghiamo tutti di pazientare ancora un po’. Presto, per la primavolta dal dopoguerra, la lista degliitaliani deportati a Dora sarà pressoche completa.

Bruno Boni,matricola 03165

Nell’elenco dei deceduti nel campo di Dora Mittelbau pub-blicato da “Triangolo Rosso” n. 3 manca il seguente no-me: Boni Bruno matricola 03165, nato ad Aulla il 23 ago-sto 1915, deceduto al Revier di Dora il 21 marzo 1945.Nell’articolo di Italo Tibaldi in merito alla quantificazio-ne del lavoro e dei sabotaggi segnalo quanto segue.Quando arrivarono a Dora Mittelbau (gennaio - febbraiodel 1945) il generale Dorn Berger, direttore del program-ma di rappresaglia, Werner Von Braun, direttore scienti-fico, e Helmut Gröttrup, direttore esecutivo, si impadro-nirono delle officine Mittelwerke, e la produzione della V1passò da 4 a 6 all’ora. Al controllo del lavoro che face-vamo io e il mio compagno Eugenio Caiami (piombaturadelle cannucce per lo scorrimento dell’aria) erano addettidue deportati francesi. Per sabotare la V1 era sufficientepiombare una cannuccia in senso inverso. Nel contrac-colpo della partenza, i dadi a vite che collegavano la can-nuccia alle due sfere di metallo contenenti 250 atmosfereognuna di aria compressa si allentavano e l'aria fuori-usciva: la pressione diminuiva di colpo e la bomba preci-pitava.Ne approfitto per scrivere due righe sulla commedia delprocesso a Priebke. Avendo letto che l’avvocato difenso-re si sarebbe comportato anche lui come si è comportatoPriebke, io voglio dire a quell’azzeccagarbugli che, guer-ra o non guerra, ordini o non ordini, chi uccide con uncolpo di pistola alla nuca è un assassino e come tale vatrattato. Scusate lo sfogo, ma tanti miei compagni sonomorti così. Cordiali saluti.

Francesco GhisiglieriMatr. 03187 Dora Mittelbau - Bergen Belsen

(Alessandria)

Attilio Zampieri,matricola 0203

Negli elenchi pubblicati nello scorso numero di “TriangoloRosso” dei deportati nel Lager di Dora manca il nome diAttilio Zampieri, nato a Verona il 6 agosto del 1924, iscrit-to alla nostra sezione di Verona.Zampieri arrivò a Dora il 15 ottobre 1943, e ricevette ilnumero di matricola 0203. Fu liberato a Belsen il 14 apri-le del 1945. Rientrò in Italia l'11 settembre del 1945.

Mario D’Angelomatricola 0429

Caro direttore,scorrendo il n. 3 giugno 1997 di “Triangolo Rosso” IT date diretto, ho riscontrato che a pag. 30, fra i militari su-perstiti al 31 gennaio 1997 del Kz Dora e campi dipen-denti, non è compreso il sottoscritto. Ti prego, se possibi-le, di voler provvedere al completamento dell’elenco, an-che perché - diversamente - “sembrerebbe” di essere pas-sato a miglior vita, facendo ovviamente gli scongiuri dirito.Ringraziandoti in anticipo, ti saluto molto cordialmente.

Mario D’AngeloMatr. 0429 - Nato a Torre del Greco (Na)

il 15-4-1919 - Catturato dai tedeschi il 12-9-1943, internatonel Kz Dora alla fine di ottobre 1943 e

liberato dagli americani il 13-4-1945

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Il riconoscimento per il suo impegno

A Bice Azzalila cittadinanzaonorariadi PeschieraPartigiana antifascista, fu rinchiusa nella caserma “XXX Maggio” prima di esseredeportata ad Auschwitz. Le congratulazioni dell’Aned.

La prima volta che Bice Azzaliarrivò a Peschiera del Gardafu nell’agosto del 1944. Lei,una ragazza mantovana im-pegnata nella lotta antifasci-sta, era stata scoperta e arre-stata insieme ad altri, e i gen-darmi la accompagnavano nel-la tristemente famosa caser-ma “XXX Maggio” diPeschiera per interrogarla.Una detenzione carica di ten-sione e di paure, che terminòsolo con l’invio alla stazione,dove Bice salì sul carro mer-ci che l’avrebbe condotta adAuschwitz.Sono passati tanti anni. Oltre mezzo secolo ci separada quelle giornate. Bice nonha dimenticato, anzi: ogni vol-

ta che può, ricorda quell’e-sperienza, perché tutti, so-prattutto i ragazzi, sappianofino a dove possono arrivarel’intolleranza e l’odio per ilnemico.Da molti anni lei approfittadelle vacanze per tornare aPeschiera, e sempre parteci-pa, ogni volta che può, allecelebrazioni del 25 aprile nel-la caserma che la vide prigio-niera, fiera di quelle “belle di-vise italiane”, dice lei, ricor-dando come nel 1944 a farlada padroni anche a Peschierac’erano le uniformi delle SStedesche.La sua partecipazione e il suoattaccamento non sono pas-sati inosservati. Il sindaco Umberto Chincarinie la Giunta comunale diPeschiera hanno deciso di con-ferire a questa anziana e in-domita combattente antifa-scista la cittadinanza onora-ria, quasi a risarcimento del-le pene sofferte allora, e a ri-conoscimento della volontà dipace e di fratellanza che sem-pre anima le sue parole. Un riconoscimento che Biceha dichiarato di voler esten-dere a tutti i suoi compagni,che da Peschiera e dalle ga-lere fasciste partirono per laGermania senza più tornare.Alla cara Bice, in questa oc-casione di festa, le felicita-zioni e le congratulazioni dicuore di tutti i compagni dideportazione.

Realizzato un voto fatto a Bolzano

Il capitello del fabbroscampatoai campiE’ stato inaugurato il 25 aprile scorso a SantoStefano un capitello costruito da Elio Fontana,il fabbro del paese, in ossequio a un votoformulato quando era nel campo di Bolzano.

Partigiano, arrestato dopo l’8settembre in Cadore nel cor-so di un rastrellamento,Fontana - da tutti conosciutoin zona come “Tita Budia” -aveva vent’anni e non volevamorire in Germania. Un gior-no si buttò in ginocchio, conle mani al cielo: “Ti prego,disse, salvami la vita, fa’ cheio possa tornare a casa deimiei”.Fu allora che nacque la pro-messa, il voto: se fosse tor-nato, Tita Budia avrebbe co-struito con le sue mani un ca-

pitello dedicato al Sacro Cuoredi Gesù, da sistemare nellesue montagne, lungo un sen-tiero nel bosco.Sono passati 52 anni e, dopomolte vicissitudini, ElioFontana è riuscito a tornare alpaese e a mantenere la pro-messa. Il 25 aprile c’era tut-ta la sua famiglia e tutto ilpaese con don Diego alla be-nedizione del capitello volu-to nel campo di Bolzano. ElioFontana era felice e com-mosso. E i suoi compagni dideportazione lo sono con lui.

■ La foto ricordo delloscorso 25 Aprile:“Tita Budia” posa orgoglioso con amici e compagni di deportazionedavanti al suo capitellovotivo.

■ Bice Azzali

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SUL FILO

DEI RICORDI

SUL FILO

DEI RICORDI

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Pittore, sfuggì all’eccidio di piazzale Loreto

E’ morto a MilanoFrancescoCastelliPartigiano, fu arrestato il 30 giugno del ‘44 e rinchiuso a San Vittore. Il suo nome nellalista degli ostaggi candidati alla rappresaglianazista. La deportazione a Dachau.

E’ deceduto a Milano il 5 lu-glio scorso, dopo una lunga edolorosa malattia, il compa-gno Francesco Castelli.Partigiano, fu arrestato il 30giugno del ‘44 e rinchiuso nelcarcere milanese di San Vittoredove si trovava nei primi gior-ni di agosto, quando le auto-rità di occupazione compila-rono una lista di 26 ostaggida fucilare in segno di rap-presaglia dopo gli attacchi del-le forze partigiane. Tra gli ostaggi in mano ai te-deschi figurava anche una don-na, Giuditta Muzzolon, natail 18 agosto 1897, che venne“graziata” e “trasferita in uncampo di concentramento”,

come annunciò un comuni-cato del comandante della si-curezza della piazza di Milano. Di lei, però, non si hanno ul-teriori notizie. Quindici ostag-gi furono fucilati in piazzaleLoreto il 10 agosto ‘44. Enrico Castelli con altri 9 fuinvece inviato in Germania.Lasciato il carcere di SanVittore, il gruppo arrivò conaltri arrestati politici a Bolzanoil 17 agosto, una settimanasoltanto dopo l’eccidio dei 15Martiri milanesi. Il 7 settembre arrivò a Flos-senburg (matricola 21.516), edi qui fu trasferito a Dachau(matricola 116.347), per es-sere infine destinato all’Aus-senkommando di Kot-tern.Liberato alla fine della guer-ra, rientrò in Italia il 1° giu-gno ‘45. Negli ultimi mesi la malattiagli impedì di dipingere, pri-vandolo della consolazione diuna delle grandi passioni del-la sua vita.Ai funerali del caro Castelliera presente una folta dele-gazione dell’Aned, guidata dalpresidente Gianfranco Maris.Tra i presenti anche il com-pagno Eugenio Esposito, checondivise con Castelli l’inte-ro percorso, dalle liste degliostaggi di piazzale Loreto fi-no a Dachau.

La testimonianza di Ferruccio Derenzini

La resistenzanegli ultimigiorni di aprilea KotternCirca 600 deportati a Dachau coinvolti nei“gruppi di azione” organizzati per contrastarela temuta liquidazione finale del campo.L’arrivo degli “Yankees”.

Era il mese di aprile dell’anno1945. Nelle fabbriche, dovelavoravamo, riuscivamo acaptare notizie, di buona fonte,sui decisivi progressi delleforze alleate sui vari fronti.Mentre molti lavoratori civilitedeschi incominciavano adassentarsi dal lavoro, “Meister”compresi, i “lavoratori liberi”,specie quelli francesi, svol-gevano un servizio d’infor-mazione di prim’ordine neinostri riguardi. Ci incontravamo sempre piùspesso negli atrii e nei gabinettidegli stabilimenti, eludendola sorveglianza delle SS. Dopoil 20 aprile le SS non ciportarono più a lavorare. Ne traemmo subito dei buoniauspici; nel comportamentodei nostri carcerieri intravve-devamo qualcosa che dovevapreludere - a scadenza sem-pre più ravvicinata - alla no-stra liberazione.Mentre le notizie della rapi-da avanzata di un’armata ame-ricana in direzione di Kempten(il nostro campo era a Kotternbei Kempten) ritempravano lenostre residue energie, d’al-tro canto l’ordinanza diHimmler - di cui venimmo aconoscenza - decretava l’eli-minazione di tutti i deportatipolitici prima che cadesseroin mano agli Alleati. Per poter contrastare e neu-tralizzare l’infame progetto,ci organizzammo in “gruppid’azione”. Ne costituimmo

una trentina con i circa sei-cento deportati del campo.Ogni gruppo era formato da15-20 di noi, tutti o quasi dinazionalità omogenea, per ov-vie ragioni. Nel nostro grup-po eravamo in diciassette traitaliani e francesi. Gli altrigruppi erano formati da olan-desi, polacchi e russi. Secondoi nostri calcoli i trenta grup-pi corrispondevano più o me-no al numero delle SS e canipoliziotto che avremmo do-vuto affrontare nel momentopiù opportuno. Pur fisicamente debilitati, era-vamo fiduciosi nel nostro pia-no, decisi a tutto, anche al sa-crificio della vita nell’inte-resse di tutti. Avremmo ven-duto a caro prezzo la nostra“pelle ed ossa”.

All’appello del mattino del 26aprile 1945 non ci sorpreseroné il pallore né il malcelatoterrore delle SS. Già nella not-te si affaccendarono a far ca-ricare un carro agricolo diequipaggiamenti, cassette dimunizioni e cibarie. A noi ven-ne distribuita una misera ra-zione del solito “pane alla se-gatura” e venne ordinato diprendere l’unica coperta cheavevamo in dotazione. Decine

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di deportati ammalati, inca-paci di reggersi in piedi, ven-nero abbandonati al loro de-stino, riuniti in un’unica ba-racca, sorvegliati da pochi mi-litari anziani della riserva del-la Wehrmacht. Era in atto laprecipitosa e anche temutaevacuazione del campo.Uscimmo dai reticolati perl’ultima volta. Procedevamoin doppia fila indiana ai duelati della strada; una strada amezza costa tra monti e col-line. In mezzo alla strada, di-stanziati tra loro di una ven-tina di metri, marciavano leSS con i cani. Il carro agri-colo, spinto a braccia da unaventina di deportati, chiude-va la lunga colonna. In retro-guardia una nutrita pattugliadi SS sorvegliava il “prezio-so” carico del carro.Risalimmo la valle dell’Illere dopo ore e ore di marciapassammo per Durach eBodelsberg. Qualcuno, già sfi-nito dalla fatica, cadeva a ter-

ra; altri, invece, non più incondizioni di reggersi in pie-di, rimanevano accasciati sulciglio della strada. Le SS diretroguardia avrebbero pen-sato a dar loro l’eterno ripo-so a raffiche di mitra. Di quel-le raffiche ne udimmo parec-chie in quel giorno. La marcia proseguiva e l’eli-minazione cominciava! Camminavamo ormai da piùdi dodici ore, ma la distanzapercorsa non superava i tren-ta chilometri; anche perché icompagni che erano in testaalla colonna si prodigavano almassimo a rallentare la mar-cia, consentendo ai più pro-vati di salvarsi da un’antici-pata eliminazione. Giunse la notte. Le SS ci fe-cero stendere sino all’alba nelbosco ceduo a monte dellastrada ed esse si appostaronoin posizione dominante pertenerci sotto il tiro dei mitra.Faceva molto freddo. La co-perta non dava alcun calore ai

nostri corpi esausti e affama-ti. La misera razione di paneera stata già divorata al mat-tino, e le radici strappate al-la terra e le rare lumache con-tese ai compagni - negli argi-ni della strada - in disperatislanci non avevano placato imorsi della fame.Ci raggomitolammo e strin-gemmo gli uni agli altri ten-tando di riscaldarci con i no-stri corpi. I “gruppi d’azione”vigilavano, con due uomini,a turno, sulle eventuali mos-se delle SS. Ma nessuno dor-miva in quel clima di esaspe-rata diffidenza e di tensione.Era un dormiveglia di attesa,di paura e di speranza.Sorse finalmente l’alba del 27aprile 1945. Le SS ci rimise-ro in fila sulla strada, senzanemmeno più contarci; con-tinuammo la marcia semprepiù lenta, sempre più fatico-sa, verso l’ignoto; un ignotoche già si profilava tale ancheper le stesse SS. Quel giorno- dopo aver superato Oy eNessenfang - perdemmo an-cora molti compagni lungo lastrada; non si capiva più seassassinati o solo abbandonatia se stessi, perché eravamoentrati nel vivo di una batta-glia tra tedeschi e Alleati. Giànel primo pomeriggio fummospettatori di una precipitosaritirata della Wehrmacht, in-calzata da carri armati ame-ricani e da aerei da caccia chea volo radente spezzonavanole truppe in rotta. Gli effettidei cannoneggiamenti e deimitragliamenti erano ormaialla portata dei nostri occhi.Vedemmo con immensa sod-disfazione un’interminabilecolonna di autoambulanze del-

la croce rossa tedesca stipatedi ufficiali della Wehrmachtche disperatamente cercava-no di sottrarsi all’inseguimentodegli Alleati. Mentre nasco-sti nel bosco che fiancheg-giava la strada assistevamo al-la precipitosa ritirata tedesca,erano già calate le ombre del-la sera e le SS di scorta, ter-rorizzate, si erano dileguate edate alla macchia nelle altu-re circostanti. Eravamonell’Allgau, alle porte diPfronten. Ci accolsero le“Volks-sturm”con scariche difucileria, che fecero ancoraqualche vittima tra i nostricompagni. Il nostro gruppoera rimasto integro e, aiutatoda elementi della Resistenzafrancese, venne messo al si-curo in un capanno di conta-dini adibito a deposito di at-trezzi agricoli. Lì passò la not-te, mentre dal di fuori giun-geva l’eco dei passi cadenza-ti di una delle ultime pattu-glie di “Panzerfaust”.Il mattino del 28 aprile 1945i carri armati americani en-trarono a Pfronten. Fummodefinitivamente liberi!Salutammo ed applaudimmocon commozione quei sim-patici “Yankees” - molti gliitalo-americani - che sui loromezzi corazzati andavano al-l’inseguimento dei tedeschi infuga, cantando e suonando.Ci lanciavano sigarette, cioc-colato e chewing-gum, comefosse tempo di sagra, non piùdi guerra; mentre noi ci sbrac-ciavamo per salutarli e rin-graziarli con entusiastici“Welcome” e ripetuti “Thank-you”.

Ferruccio Derenzini(Dachau 67.312)

■ La commo-zione e la gioiadei prigionieriall’arrivo deicarri armatiamericani, lamattina del 28aprile 1945: laliberazione èfinalmentegiunta.

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Triangolo Rosso - Giornale a cura dell’Associazione Nazionale ex DeportatiPolitici - via Bagutta 12 - 20121 Milano. Tel. 02/76006449 - Fax 02/76020637Direttore responsabile: Dario VenegoniRegistr. Tribunale di Milano n. 39, del 6 febbraio 1974.Collaborazione editoriale di Franco Malaguti, Maria Rosa Torri, FabianaPonti, Marco Micci, Mariangela Molinari, Monica PozziNumero chiuso in redazione il 16 ottobre 1997Stampato da:

Via Picasso Corbetta - Milano

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Mettere mar-chio Guado

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Seminario per docenti a Milano

Come insegnarela deportazione?

“Ognuno di noi si farà portavoce.Lo dobbiamo ai morti e ai vivi”

Con i ragazzi ad Auschwitz ricordando Primo Levi

“Scriveva ovunque il suo numero di matricola del campo”

Studenti di Avigliana recitano intedesco “La vita offesa” a Hagnau

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Le emozioni di una insegnante di ritorno da Mauthausen

“Ognuno di noi si farà portavoce.Lo dobbiamo ai morti e ai vivi”Pubblichiamo alcuni stralci di una lungatestimonianza di Laila Evangelisti, insegnante di Ozzano Emilia, che ha partecipato a un viaggio di studio riservato ai docentiai campi di Mauthausen, Gusen e Terezìn.

Il viaggio, organizzato in collaborazione con la nostra sezione di Bologna, si svolgedurante le vacanze pasquali, ed è già giuntoalla dodicesima edizione.A ognuno di questi viaggi hanno partecipatocirca cinquanta docenti emiliani.

“Con il mio passo leggero sen-to di aver violato un luogo sa-cro e tanti come me hanno ca-pito in seguito di aver fattoempio di quel martirio. Hocalpestato le ceneri dei mor-ti, disperse dal vento e posa-te tutt’intorno. Lo so, lo sen-tivo, perché oggi, dopo cin-quant’anni quelle ceneri ci so-no ancora, sono ancora tutt’in-torno: sono nella terra, nellalinfa delle piante, pulviscolosui muri delle case; la piog-

gia e il vento le solleva, le al-lontana, le riporta a vagare inuna terra ignota, e lì semprerimarranno a ricordare ai vi-vi che la morte non può can-cellare lo spirito di chi evocae testimonia agli ignari quel-lo che è stato.Chi ha ascoltato, chi è statopartecipe e solidale a questopellegrinaggio si farà porta-voce: lo deve ai morti e lo de-ve ai vivi affinché nessuno di-mentichi e ciascuno conosca

Seminario per docenti a Milano:Come insegnare la deportazione?La recente decisione del MinistroBerlinguer di far dedicare maggiorattenzione all’insegnamento della storia più recente ha messo il corpo insegnantenella necessità di adeguarsi servendosianche di nuovi mezzi didattici.

Da anni l’Aned - Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti,in collaborazione con l’assessoratoistruzione della Provincia di Milano ha promosso seminari informativi per aggiornare gli insegnanti delle scuolemedie su temi afferenti la storia dei campidi concentramento nazisti e soprattuttosulle radici nelle quali affondano ledecisioni politiche che ne sono all’origine.

Perché solo attraverso una corretta ed esauriente informazione - che nei libri ditesto è spesso carente - essi possono offrireai propri allievi quelle nozioni la cuimancanza è generalmente lamentata.

Adesso, avvalendosi anche dellacollaborazione dell’Istituto milanese per la storia della Resistenza e del movimento operaio, l’Aned e la Provincia hanno indetto un corso di aggiornamento rivolto agli insegnanti. Il fine è indicare loro il modo migliore per l’insegnamento della storia della deportazione usando nuovi, modernimezzi di comunicazione: dall’uso di audiovisivi, alle visite di quello che rimane dei Lager nazisti,alla partecipazione a spettacoli teatrali e cinematografici, alla visita di musei di storia contemporanea,a mostre documentarie.

Il corso si terrà a Milano dal 20 ottobre al24 novembre in sei sedute che si concluderanno con un dibattito. Il Provveditorato agli studi ha concessol’autorizzazione alla partecipazione al corso che è inclusa nel piano provincialeper il prossimo anno scolastico.

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in avvenire quel che è stato;solo così rimarrà sempre ac-cesa la fiamma della speran-za che nessun uomo è mortodimenticato.”... “Mauthausen, con le tuebaracche verniciate di fresco,con le linde finestre bianche,i tuoi forni con i fiori e le doc-ce spoglie non potrai cancel-lare i tuoi orrori perché men-tre ti guardo ora ne ho la cer-

tezza, se chiudo gli occhi tivedo come un cieco vede ilmondo attraverso le emozio-ni di chi glielo descrive. Chici ha guidato ha parlato conil cuore, con la paura di nonessere capito e il timore di nonriuscire a rendere giustizia al-la memoria di tutti coloro chehanno varcato la soglia del-l’inferno umano. Voglio rin-graziare l’Associazione Aned

che nell’organizzare questoviaggio mi ha permesso di ve-dere non solo la storicità deiluoghi ma ha saputo trasmet-tere in noi la capacità di guar-dare oltre le mura e le rovinedi quanto si apriva al nostrosguardo. Per quanto ci si cre-de preparati o edotti ad af-frontare le realtà appartenen-ti ad altri, solo varcandone lasoglia si accerta la propria

ignoranza, perché sono le emo-zioni provate nel calpestarneil suolo e il racconto di chi ciguida che rendono le nostreconoscenze forti e inattacca-bili. Un ringraziamento par-ticolare a Osvaldo e Francescoper il coraggio, la pazienza ela disponibilità dimostrati inogni momento”.

Laila EvangelistiInsegnante di Ozzano Emilia

Studenti piemontesi in visita ai campi grazie alla Regione

Con i ragazzi ad Auschwitz ricordando Primo LeviLa Regione Piemonte indice da più anni unconcorso nelle scuole basato sulla ricerca da partedi singoli o gruppi di studenti. Quest’anno i premiatihanno partecipato a tre tipi di viaggio-studio.- un primo gruppo dal 5 al 7 maggio è stato inpellegrinaggio a Mauthausen.- un secondo a metà maggio ha visitato a Romail Parlamento e le Fosse Ardeatine, fermandosi alritorno al Museo di Carpi.- il terzo gruppo dal 23 al 25 maggio è stato inpellegrinaggio ad Auschwitz e al campo di Birkenau.

La sezione Aned di Torino vie-ne sempre invitata a parteci-pare ai viaggi-studio orga-nizzati dalla Regione Piemon-te, possibilmente con super-stiti, la cui testimonianza èsenza dubbio di fondamenta-le importanza. Io ho accompagnato gli stu-denti alla visita ai campi diAuschwitz e Birkenau e conme c’erano pure i compagniPio Bigo, superstite di queicampi e Marcello Martini, ex

deportato a Mauthausen. Al pellegrinaggio hanno par-tecipato circa 100 studenti pro-venienti da ogni provincia delPiemonte, oltre 20 loro inse-gnanti o presidi, consiglieriprovinciali, lo storico prof.Bruno Maida, il prof. RomoloBarisonzo in rappresentanzadell’Aned, la signora LucettaJarach per la comunità ebrai-ca, 5 consiglieri regionali concapo delegazione il vice pre-sidente del Consiglio, prof.

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Così un figlio ricorda il padre ex deportato

“Scriveva ovunque il suo numero di matricola del campo”In quel numero - 115.454 - si esprimeva la sua ossessione di ricordare gli orroriconosciuti a Mauthausen. L’orgoglio per isuccessi dei compagni di deportazione.

Ho visto la videocassetta“Testimoni”, ancora sono in-credulo davanti alle immagi-ni agghiaccianti, a quelle te-stimonianze raccontate con ta-le calma e serenità che mi an-gosciano e generano rabbianei confronti di coloro che,perseverando nell’ignoranzae nell’indifferenza, ancora og-gi giustificano tali azioni.Questa è la storia che non mihanno mai fatto studiare, mache ricordo come fosse vis-suta, per la moltitudine deiracconti di mio padre Mariosin da quando ero bambino. Lui era forte e coraggioso an-che nei momenti della sua ma-lattia che, inesorabilmente ein punta di piedi, lo portò al-la tanto temuta “infermeria”.Era lui stesso che rincuoravasua moglie Anna, i suoi figli,(sei!), i vicini di letto,... erasempre convinto che lui cel’avrebbe fatta a sfuggire al-

la morte che lo inseguiva daoltre cinquant’anni. Si senti-va testimone di un viaggio cheper troppe persone sembravaassurdo; i suoi tristi ricordi loaccompagnavano ovunque, neimomenti più gioiosi e felici,tanto da interromperlo nei suoidettagliati racconti delle ca-mere a gas, della scala dellamorte della madre costretta aveder annegare suo figlio an-cor bambino! Come liberarsi da un tale far-dello? Come dimenticare quel-le persone con occhi, bocchee braccia aperte invocando unDio che sembrava li avessedimenticati? Come liberare lementi da quelle immagini di-sumane? Questa era la sua cro-ce, questa la sua vera prigio-nia!Ovunque scriveva il suo nu-mero di matricola, in modoparticolare quando vedeva delcemento ancora fresco, quel

numero lo trovo ovunque, an-che nei posti più impensati,come a significare l’indelebi-lità dei suoi ricordi; “lo do-vevi sempre ricordare in te-desco altrimenti sarebbe fini-ta” diceva a chi ne chiedevail significato.Era orgoglioso di se stesso,dei suoi amici, ricordo parti-colarmente Belgiojoso, l’ar-chitetto, “tutte le più grandicostruzioni di palazzi, ponti epiazze sono di sua mano” edi questo lui si sentiva parte-cipe e fiero come fosse statoun suo fratello, come fossestato un ultimo appiglio a con-ferma dei suoi ricordi che mailo abbandonavano.“Mia pura de sta’ al mond”era il suo detto, forse lo di-ceva per prendere coraggio,per rincuorare se stesso e ipropri figli di fronte a un mo-mento difficile oppure triste.Non dimenticherò la sua sem-plicità di vita, la sua fran-chezza, la sua gioia nei mo-menti di pioggia quando, a te-sta alta si incamminava ver-so campi colmi di erba in fio-re, come voler cancellare quel

numero inciso nella sua men-te.Cara matricola n. 115.454-M,non potrò mai dimenticarti,quel numero mi accompagneràovunque, sono fiero di te, diaverti avuto come padre e mae-stro di vita, anch’io sarò te-stimone di un viaggio mai fat-to ma vissuto nei ricordi.

Renzo Corna

Andrea Foco. La visita è sta-ta effettuata con la massimaattenzione di tutti i parteci-panti e sono state posate co-rone della Regione. Ad acco-glierci ad Auschwitz il presi-dente del Consiglio comuna-le della città. Con lui si è as-sistito alla proiezione del do-cumentario che con realismopropone quanto tristementeavvenuto nel campo sino algennaio 1945. La visita al“Memorial” italiano, posto alpiano terreno del blocco 21di Auschwitz, inaugurato piùdi 15 anni or sono a ricordodi tutti i deportati italiani ca-duti nei campi di sterminio, èstata oggetto di grande inte-resse e occasione per ricor-dare Primo Levi, nel decimoanniversario della sua scom-

parsa. Alla sera si è svolto undibattito con interventi deglistudenti che hanno dimostra-to un alto grado di prepara-zione sull’argomento depor-tazione. Preziosa è stata du-rante il viaggio la testimo-nianza di Pio Bigo, nonchè diMarcello Martini sulle con-dizioni dei deportati. Non midilungo oltre, salvo sottoli-neare l’importanza dell’ini-ziativa della Regione Piemonteche coinvolge realmente mi-gliaia di studenti nella ricer-ca storica dei valori dellaResistenza, della deportazio-ne e della Costituente dellaRepubblica Italiana.

Dario SegreVice presidente nazionale

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Vivo successo per questa autentica “prima” per la Germania

Studenti di Avigliana recitano intedesco “La vita offesa” a Hagnau

I viaggi culturali in Germania,organizzati dall’Aned a dalComitato Resistenza Colle delLys, si sono arricchiti di si-gnificativi contenuti.Nel maggio scorso sono sta-ti predisposti due itinerari.Al primo itinerario di 5 gior-ni (8-12 maggio) hanno par-tecipato 150 studenti, inse-gnanti e autorità dei Comuniin provincia di Cremona, ac-compagnati dagli ex deporta-ti Beppe Berruto, EugenioEsposito, Venanzio Gibillinie dal presidente della Provinciadi Cremona prof. GiancarloCorada. Cerimonie e incontrisono avvenuti a Dachau, Über-lingen (visita alle gallerie ealla mostra interna), Birnau(cimitero delle vittime delLager), Ravensburg eFriedrichshafen.Il secondo viaggio di tre gior-ni (9-11 maggio; Überlingen,Birnau, Hagnau) aveva lo sco-

po di portare in Germania ilrecital “La vita offesa” - ri-duzione dal libro omonimocurata da D. Jalla e A. Bravo(ed. F. Angeli), trasformato inspettacolo dagli studentidell’ITC Sraffa di Orbassano(To) per la regia di M. Peirolo.Il testo era stato fatto tradur-re in tedesco a cura dell’Aneddi Torino. A questo viaggiohanno partecipato autorità del-la Provincia di Torino (con-sigliere Angela Massaglia) edel Comune di Orbassano (To)consigliere Guerra, con glistudenti attori, accompagnatidal preside prof. G. Ferraudo,era presente una rappresen-tanza di giovani dell’ITCGalilei di Avigliana (To) conla prof.ssa A. Bracco. Ha se-guito il gruppo G. Ferrerodell’Aned di Torino. Il mo-mento più significativo e com-movente dell’iniziativa si èverificato a Hagnau dove si è

svolta, con notevole succes-so, la rappresentazione tea-trale de “La vita offesa” inlingua tedesca presentata da-gli studenti di Avigliana. Lospettacolo si inseriva in unprogramma che ricordava an-che i 50 anni dalla nascitadell’Associazione VVN - BdA(Vereiningung der Verfolgtendes Naziregimes) dei perse-guitati dai nazifascisti. Tra ilpubblico presente, insieme aimolti giovani, c’erano auto-revoli rappresentanti di diverseComunità del Baden-Württemberg, del SindacatoIG-Metall del Land. Questa recita, così come è sta-ta organizzata e portata inGermania, può configurarsicome una prima assoluta par-ticolarmente importante per-ché ha contribuito al consoli-damento di una amicizia travecchie e nuove generazionidi nazionalità e tradizioni sto-

riche differenti pur nel con-testo di un argomento, rite-nuto da qualche parte, deli-cato. L’iniziativa ha voluto an-cora una volta affermare chei valori universali che pro-muovono la dignità delle per-sone e delle comunità fannoanche tesoro, delle dramma-tiche esperienze del passato.L’approvazione a questo nuo-vo modo di incontrarsi è da-ta anche da richieste dallaGermania e da altre zone ita-liane (Bolzano e Cremona)per una ripetizione dell’espe-rienza. E’ da supporre che unatraduzione del testo in altralingua (inglese e francese) pos-sa rendere più significativi gliincontri tra i giovani il cui fu-turo dovrà costruirsi median-te un comune impegno de-mocratico nell’ambito di unaEuropa dei Popoli.

Beppe Berruto23

L’iniziativa nel corso di viaggi organizzatia maggio dall’Aned e dal Comitato ResistenzaColle del Lys. Arrivate richieste per diverse repliche.

Il plauso del ministro della Pubblica istruzione

Al preside dell’ITC Gianfranco Ferraudo

Gentile preside,apprendo con vivo piacere la notizia della splendida edemozionante esperienza vissuta in Germania dagli studentidell’Istituto “Piero Sraffa”. Desidero anch’io unirmi a coloro che hanno potuto ap-prezzare le qualità dei giovani attori, esprimendo loro lemie più vive congratulazioni.I miei complimenti vanno anche ai docenti che hanno sa-puto guidarli nella conoscenza di vicende che non pos-siamo dimenticare, offrendo tutti gli elementi che hannofavorito la comprensione di quanti hanno subìto l’offesadei campi di sterminio, al punto da rendere i sentimentinell’interpretazione scenica.Sono entusiasta del vostro lavoro e del meritato successo.Con affetto Luigi Berlinguer

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Prorogata al 20 ottobre per il grande successo

Il silenzio dei campi

smo, dell’intolleranza, del pre-giudizio sono ancora, ahimé,vitali. La mostra si chiudecon un pannello realizzatodall’Aned, nel quale una car-ta geografica con la distribu-zione dei campi nel territorioeuropeo e una serie di notesui Kz, visualizza la dimen-sione della tragedia. Un grande, importante mo-mento di memoria e di cultu-ra che registra risultati al disopra delle più ottimisticheattese. Le sale sono semprericche di visitatori ed attesta-ti di plauso e di riconoscenzaarrivano alla Sezione di Roma,all’assessorato alla cultura, al-la direzione del Museo. Alpunto che la mostra è stataprorogata al 20 ottobre.L’inaugurazione è stata pre-ceduta da una conferenzastampa per i giornalisti e gliaddetti culturali. Sono inter-

venuti i promotori della mo-stra: Centro di cultura ebrai-ca, Comunità ebraica di Roma,nella persona del presidentedott. Di Castro, per l’Aned,Aldo Pavia, che rappresenta-va il presidente nazionaleGianfranco Maris, ha illustratoil senso della mostra e gli ob-biettivi. Gianni Borgna, per ilComune di Roma che si è as-sunto tutti i costi dell’inizia-tiva, ha più volte ringraziatol’Aned per aver fortementevoluto questa mostra e perl’opportunità culturale e po-litica offerta all’amministra-zione comunale capitolina. Ditutto ciò ampio resoconto han-no dato la stampa locale e na-zionale. Molta soddisfazionequindi e un forte incentivo aproseguire su questa strada,storicamente patrimonio del-la nostra Associazione: darealla memoria un futuro.

hanno la stessa capacità di“urlo” che hanno altre imma-gini scattate nei giorni dellosterminio, così come il “si-lenzio” che impregna le im-magini colpisce al cuore e al-la ragione dei visitatori cheoggi arrivano nei campi o chevisitano questa mostra. I mu-ri, i paesaggi, spesso emer-genti dalle nebbie, parlano inmodo chiaro della morte e del-l’orrore. L’immagine della ca-mera a gas di Auschwitz scuo-te proprio per la freddezza delracconto che la fotografia sot-tintende, così come un car-retto di Buchenwald colmo dipietre, spolverato di neve, ri-porta alla crudele fatica deldeportato. Così come i resticarbonizzati delle baracchedegli ebrei a Sachsenhausen,incendiate da estremisti e no-stalgici, ricordano come an-cora oggi i diavoli del razzi-

Hartmann e la sua famigliariuscirono, grazie a una seriedi circostanze favorevoli, afuggire dalla Germania nazi-sta alla fine degli anni Trentae a emigrare in America.Ossessionato per anni dallasorte dei suoi compagni as-sassinati nei campi dell’orro-re, in occasione del cinquan-tesimo anniversario della li-berazione dei Kz, iniziò unviaggio solitario, accompa-gnato solo dalla moglie chelo ha portato nei campi e a fo-tografare, con una eccezio-nale simbiosi tra l’uomo e ilfotografo, quanto restava deiluoghi dell’immane tragedia,cogliendone gli aspetti più si-gnificativi e costruendo cosìun panorama esaustivo e ri-goroso in cui ogni immagineè “racconto” e “memoria” diciò che è stato.Il silenzio, il vuoto, le rovine

Nelle sale di Palazzo delle Esposizioni a Roma,alla presenza del sindaco Francesco Rutelli,dell’assessore alla cultura, Gianni Borgna,dell'ambasciatore di Israele, del presidentedell’Unione delle Comunità ebraiche italiane,Tullia Zevi, del rabbino Elio Toaff, di personalitàpolitiche e della cultura e di una nutrita rappresentanza dell’Aned, superstiti e familiarifianco a fianco, è stata inaugurata la mostra fotografica "Il silenzio dei campi".

Oltre settanta fotografie di Erich Hartmann,uno dei maestri di questa arte, amico e compagnodi Robert Capa, firma tra le più prestigiose dellaMagnum Photos.

Una mostra a Roma

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Ascolta ... “Il silenzio dei campi”

Una dodicenne che vuol dare parole al silenzio

A volte non si sa che direnon si ha il coraggio di parlare.Bisogna sentire quel silenziosussurro di voci lontaneche si perdono nel vento...

Ascoltare con il cuoreperché l’anima si chiudealla vista della morte...La loro morte.

Ci sussurrano la paura del silenzioin un orecchio sordoche non vuol sentireperché la paura si tienedentrocome il dolore di non poter piùparlare...

Corinna Castelli

Un catalogo da conservare

Il catalogo della mostra, arricchito da una testimonianzadi Primo Levi (tratta da “La Tregua”) e da una introdu-zione dello stesso Hartmann, è stato curato dall’ agenziafotografica Contrasto. Per informazioni sul catalogo ci sipuò rivolgere all’Agenzia, al numero 06-42086551.

Presentato il 5 settembre scorso dal regista Massimo Sani

Diventa un filmquel viaggio daPrato a EbenseeDue viaggi. Lo stesso itinerario: da Prato aEbensee - in Austria - a distanza di molti anni.Il secondo ravviva la memoria del primo. Il luogo di partenza è quello dei grandirastrellamenti del marzo ‘44 che avviarono nei campi di sterminio centinaia di operai,colpevoli di aver scioperato.

Il luogo d’arrivo è una località nei pressi di Mauthausen, sede di un “sottocampo”con forni crematori e cave per il lavoroforzato. Nel secondo viaggio i reduci e i parenti delle vittime dei nazistiripercorrono in pullman l’itinerario dei vagoni blindati di oltre cinquant’anni fa.

L’itinerario nella memoria èraccontato in un bel film diMassimo Sani, Un futuro perla memoria, presentato a Prato,in occasione del rinnovato ge-mellaggio tra la città toscanae quella di Ebensee. L’operadi Sani - che si avvale dellaconsulenza storica di EnzoCollotti - ricostruisce una vi-cenda dimenticata, attraversoil racconto dei protagonistiche ricordano e si specchia-no nelle immagini del film.La storia è quella di una gran-de deportazione “di classe”.Nel 1944 Prato era una cittàoperaia, 60.000 abitanti,15.000 tessili. Nel marzo di quell’anno i la-voratori italiani scioperanocontro la guerra e i nazisti,contro la fame, i ritmi di la-voro quasi forzati, la presen-za in fabbrica dei repubbli-chini come vigilantes.A Prato lo sciopero fu fissa-to per il 4 marzo e bloccò l’in-tera attività delle imprese chein gran parte producevano perl’esercito tedesco. La rappresaglia volle essere

immediata ed esemplare: 346lavoratori vennero arrestati -a casa, per le vie, nelle piaz-ze della città - e avviati ver-so Firenze, da dove partironoi vagoni blindati per Mauthau-sen. Quei vagoni, lungo la stra-da, raccolsero anche altri ope-rai colpevoli dello stesso rea-to e accomunati tutti nella stes-sa sorte, dopo tre giorni diviaggio, senza cibo e senzaacqua: essere rinchiusi neiLager tedeschi e sottoposti allavoro forzato a scopo belli-co. Gli operai di Prato, daMauthausen vennero destina-ti al “sottocampo” di Ebenseee impiegati nelle cave di pie-tra e nello scavo di gallerieche dovevano supportare lafabbricazione dei missili V2.Solo 19 sopravvissero.Questi anziani operai ora rac-contano il Lager, con il trian-golo rosso dei deportati poli-tici all’occhiello della giacca.Le parole sono le stesse di tut-ti i reduci dei “campi”: la fa-me e il “menù” mensile (uncucchiaio di marmellata, unodi formaggio, uno di carne in

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scatola, quattro grammi dimargarina e due chili di pa-ne); i lunghi turni di lavoro(da dodici a sedici ore) e lapaura di diventare troppo de-boli e magri da essere scelticome carne per i forni; e, poi,la voglia di raccontare dei po-chi sopravvissuti e la diffi-coltà di farlo, di essere ascol-tati. Riemerge l’ansia di PrimoLevi - il suo “aggredire” pas-seggeri d’autobus e passantitorinesi per divulgare la suastoria, per raccontare ciò chesembrava incredibile ai più -

nelle parole dell’ex internatopolacco di Ebensee, rimastoin quel luogo dopo la fine del-la guerra, inascoltato e igno-rato per decenni dai suoi nuo-vi concittadini austriaci.Perché il campo di Ebenseenon solo venne distrutto fisi-camente e il terreno che oc-cupava riconvertito a bassocosto in zona residenziale, mafu anche cancellato - dai di-scorsi e dai pensieri - dallavergogna dei civili che per pa-recchi mesi ci avevano vissu-to accanto.

Solo una decina d’anni fa, gra-zie a nuovi amministratori, lavergogna del campo di ster-minio riemerse dall’oblio equesto permise un “gemel-laggio di pace” tra Prato edEbensee.Così oggi gli operai di Prato,le famiglie degli scomparsi,possono recarsi in quel luo-go, guardarsi in faccia, rico-noscersi, raccontare a giova-ni austriaci e italiani storieuscite da un mondo di “nottee nebbia”.

Gabriele Polo

Quarantatre opere del grandeartista goriziano ZoranMusic, appartenenti al ciclo“Non siamo gli ultimi” e“Cataste di cadaveri”, sonostate esposte nella Risieradi S.Sabba a Trieste. Si trattadei tragici disegni che

rievocano l’inferno diDachau, dove Music èstato deportato durantela guerra. Music havoluto rappre-sentarenei suoi drammaticidisegni non solol’evento storico delnazismo, ma soprattuttola presenza del malecome elemento costantedella giornata umana.La mostra è statapromossa dal Comunecon la collaborazione di numerose asso-ciazioni, tra le qualil’Aned e l’Anpi.

I disegni di Music in mostraallaRisiera

Volti di oggiLager di ieri

Inaugurata a Milano, nel portico Sud di Palazzo Reale, per iniziativa delComune nell’ambito del “Progetto giovani”, la mostra fotografica diCristina Nuñez dedicata ai sopravvissuti ebrei dei campi di sterminionazisti. La mostra, intitolata “All’inferno e ritorno”, è corredata da testidi Francesco Spagnolo Acht. La mostra rimarrà aperta fino al 16 novem-bre tutti i giorni dalle 9,30 alle 18,30 tranne il lunedì. Ingresso libero.

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A piediversoAuschwitzalla ricercadi unperché

“Campo del sangue”, di Eraldo Affinati

Segnalato come uno dei migliori libridell’anno dalle giurie dei premi Strega eCampiello, “Campo del sangue” si distinguenettamente dalla gran parte della produzioneeditoriale sui campi di sterminio.

Non è una testimonianza diun sopravvissuto (l’autore ha41 anni), non è il saggio diuno storico. E’ piuttosto il re-soconto dettagliato di un viag-gio, di un pellegrinaggio ve-ro, fatto per gran parte a pie-di, insieme a un amico. Unalunga marcia di avvicinamentoalla ricerca di troppi perché,sull’onda delle molte letture

sulla deportazione e lo ster-minio nazista. Un viaggio, co-me lo sono sempre i pelle-grinaggi veri, fondamental-mente alla ricerca di sé, del-le proprie radici, delle ragio-ni per le quali si vive su que-sta terra. Un libro ricco, in-tenso, scritto con una prosacolta, ricercata e ugualmenteemozionante, nella quale le

mille citazioni di Primo Levi,Semprun, di Borowski, diBettelheim e di tutti gli altriautori che si sono cimentatinei loro libri nella ricerca enella spiegazione dei Lagernon costituiscono un orpello,un appesantimento, quantopiuttosto un arricchimento.Tanto che alla fine sembra chenon una voce soltanto, ma die-ci, cento ci accompagnino inquesto viaggio che ha una len-tezza e una profondità incon-

sueta in questi frenetici tem-pi moderni. Del libro ripor-tiamo qui sopra l’ultima pa-gina. Una scelta anomala chesperiamo ci sarà concessa.Non si tratta, in questo caso,di scoprire “come va a finire”la storia. Quella, purtroppo,la conosciamo già.

Eraldo Affinati, Campodel sangue, ArnoldoMondadori Editore, 1997,pagg. 194.

Il coraggio di guardareil giardino di pietra del tempo vissuto

“Non so quanto tempo era trascorso dal momento in cuiavevo cominciato a fissare il muro fino a quando sonoriuscito a staccare lo sguardo. Alzando gli occhi su ver-so le bandiere, ho visto, con la freschezza imbambolatacaratteristica del primo risveglio, l’albero gigantesco la-sciato germogliare apposta oltre i reticolati, in flagran-te allusione alla cecità della natura capace di cresceresempre, anche dove non serve, tra le pietre.Qualcuno mi ha toccato le spalle: era la guardia polac-ca. Ricordo la barba mal fatta dell’uomo, i peli comespazzolini bianchi sulle guance, il collo pieno di rughe.Solo allora l’ho davvero considerato a fondo: estrapo-lato dal contesto in cui si trovava, avrei potuto crederloun militare in congedo. Ha sorriso della mia distrazio-ne.Il museo stava chiudendo: ecco perché, poco primaavevo visto il piazzale vuoto. Come nei parchi cittadini,alcuni guardiani, coi mazzi di chiavi legati alla cintura,andavano raccogliendo gli ultimi ritardatari. E’ stato lui ad accompagnarmi verso l’uscita senza chie-dere niente: calzava scarpe da ginnastica, la camiciaaperta sul collo, sentivo il suo respiro grosso procederein cadenza accanto al mio. Sarà nato proprio alla finedella seconda guerra mondiale, nelle primissime schie-re dei reduci di pace: non ho avuto il tempo di chieder-gli neppure il nome.Siamo sfilati fra i Block in perfetto silenzio, spalla a spal-la, come lavoratori che hanno esaurito gli straordinari.Ho pensato: questo è il corpo del Novecento, il campodel sangue, il vero giardino di pietra del tempo che ab-biamo vissuto.”

BIBLIOTECA

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La seconda edizione della “Bibliografia”,

Settecento titoli per studiarela deportazione

Nel 1982 presso Mondadori, nell’ambito di una collanaintitolata Aned/Ricerche abbiamo pubblicato una“Bibliografia della deportazione” realizzata da un grup-po di volonterosi nostri collaboratori. Da allora, anchegrazie alla ricorrenza del cinquantesimo della libera-zione dei campi nazisti, l’interesse per l’avvenimento haprovocato una larga massa di pubblicazioni sia in Italiache all’estero.E’ nata così l’esigenza di rivedere la bibliografia origi-nale per offrire a chiunque abbia interesse a conoscerela complessa storia della deportazione attuata dai nazi-sti, un’informazione aggiornata. La bibliografia servedunque non solo al comune lettore, ma soprattutto agliinsegnanti e ai comitati di lettura e acquisizione delle bi-blioteche pubbliche, dato che ogni volume è menziona-to non solo nei suoi dati editoriali, ma anche in un bre-ve commento che ne spiega il contenuto.I titoli censiti, quasi settecento, sono ordinati in due ca-tegorie principali. La prima comprende l’ampia memo-rialistica, cioè i libri scritti da chi c’è stato e può espri-mersi come testimone oculare nonchè la numerosa nar-rativa ispirata a fatti realmente accaduti. Nella secondasono elencate le opere storiche e le relazioni sulle nu-merose ricerche su singoli aspetti dell’immenso panora-ma dei campi nazisti.Alla fine del volume è anche riprodotta la legge votatanel 1977 dal Parlamento della Repubblica Federale diGermania, nella quale sono elencati tutti i 1.634 Kz na-zisti riconosciuti come tali.La nuova bibliografia, per la quale la dottoressa LuciaEnrici ha curato la schedatura di tutto il materiale e lasua computerizzazione, è stata curata da Teo Ducci colcontributo e la consulenza dei professori Eridano Bazzarellidell’Università Statale di Milano, della professoressaAnna Lisa Carlotti dell’Università Cattolica di Milanoe della professoressa Giovanna Massariello Merzagoradell’Università di Verona. Il volume è stato realizzato dalgruppo Ugo Mursia Editore e verrà distribuito nelle scuo-le, nelle Università e nelle librerie .

Bibliografia della deportazione nei campi nazisti. A cura diTeo Ducci, Mursia, Milano 1997, pagg. 227, lire 18.000.

Una testimonianzaper i giovani del futuro

Il Comune di Lomazzo ha generosamentecontribuito alla pubblicazione del volume diFranco Ferrante, ex deportato a Mauthausen ed Ebensee. La prefazione di Gianfranco Maris.

La giubba a strisce è la me-moria di tempi drammatici ederoici, di tempi bui e di lucenel medesimo tempo; senzalacune e sobria contempora-neamente; monda di qualsia-si retorica.E’ un esempio tipico di tra-dizione orale di fatti, tesseraimportante della storia del no-stro Paese, soprattutto per glianni in cui il fascismo si tra-sformò in aperto servilismonei confronti del nazismo. Lagiubba a strisce si colloca apieno diritto e chiaro meritoal fianco di tutte le altre tra-dizioni orali dei fatti del bien-nio 1943-1945, rappresentatedalle molte memorie scrittedai superstiti dei campi di ster-minio, alle quali c’è da au-gurarsi che altre se ne ag-giungano, poiché, sino ad ora,non ne ho letta nessuna chepossa essere ritenuta super-flua.Verrà il tempo in cui nel loroinsieme tutte queste memorierappresenteranno contro la de-vastante azione mistificatricedi quel revisionismo storico epolitico che, per successivemutazioni di forma e di me-todo, continua e continuerànel tempo futuro ad essereoperante, l’unico testimoniodella verità, l’unica storia ve-ra di un periodo che dimenti-care è colpa e pericolo.La scrittura di Franco Ferrante

è limpida, il cuore non cono-sce l’odio, gli occhi non di-latano i fatti. E, tutto som-mato, non li qualificano nep-pure, ma lasciano al lettore laresponsabilità intellettuale emorale del giudizio. Nella prima pagina dellaGiubba, Franco Ferrante pro-pone la chiave di lettura del-la sua memoria: “Non ho maipensato - scrive - di offrireuna valutazione storica deicampi di sterminio di Mau-thausen e di Ebensee o addi-rittura dei campi di sterminionazisti in genere”. Ebbene, senon lo ha mai pensato, la suamemoria ci consente, invece,di pervenire ad una puntualevalutazione storica dei campidi sterminio. E questo è l’in-trinseco valore, per tutti i let-tori, del suo impegno.Non è compito di chi intro-duce alla lettura di un’operadi riassumerne i contenuti nar-rativi, per cui lascio ai letto-ri di seguire Franco Ferrantenella sua rivisitazione dei tem-pi della sua infanzia a Lucca,della sua gioventù a Milano,del suo impegno politico ne-gli anni del fascismo e dellaResistenza e, soprattutto, delsereno coraggio con il qualeha affrontato le dure provedella deportazione politica neicampi di Reichenau, di Mau-thausen e di Ebensee. Franco Ferrante conclude la

sua memoria qualificando latradizione orale dei fatti co-me “una pagina di storia chenon si legge sui libri scola-stici e che molti saranno pro-pensi a dimenticare”; e, ag-giunge, che “con il passaredegli anni il numero dei re-duci dai campi di sterminiocontinuerà a diminuire ren-dendo sempre più difficile unatestimonianza alla gioventù". E’ vero! Di qui il valore in-sopprimibile della testimo-nianza. La memoria è testi-monianza e conoscenza di-retta; la conoscenza diretta èstoria; i testimoni scompaio-no e i mistificatori della sto-

ria restano, anzi, ogni giornone nascono di nuovi, mentrela nascita dei testimoni è pre-clusa per sempre. L’unica ere-de della verità storica, dellaconoscenza dei fatti e dellamemoria dei testimoni resteràla scuola; dobbiamo sperareche essa sappia riprendere lasua funzione fondamentale ditrasmissione della conoscen-za, avendo la deontologica ca-pacità di stabilire indispensa-bili scale di valori, che con-sentano di far conoscere aigiovani il passato prossimo enon soltanto quello remoto.

Gianfranco Maris

“La giubba a strisce”, di Franco Ferranti

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Così anche il fascismo siscoprì antisemita

Il volume, ricco di riproduzioni di documentidell’epoca, ricostruisce l’“escalation” dellapersecuzione degli ebrei nelle province diBolzano, Trento e Belluno.

Ho sempre ammirato la pa-zienza certosina di certi ri-cercatori capaci di scanda-gliare nelle più strane biblio-teche, in polverosi archivi, nel-le pagine di vecchi giornalioramai ingiallite per trovarequella particolare spesso sco-nosciuta informazione che èil pallino dal quale non de-mordono e dal quale riesco-no talvolta a scovare notiziesorprendenti.Se poi a questa maniacale os-sessione del documento si ag-giunge la capacità (e la for-tuna) di scovare addiritturasuperstiti, testimoni oculari diavvenimenti oramai sepoltisotto decenni di dimentican-za, la mia ammirazione di-venta smisurata e colma diuna grande, sincera gratitudi-ne. Dico questo riferendomial libro di Cinzia Villani inti-tolato Ebrei tra leggi razzistee deportazioni nelle provincedi Bolzano, Trento e Belluno,edito dalla Società di StudiTrentini e Scienze storiche,Trento 1996, pagg. 221.Questo bel volume, ricco diriproduzioni di documenti ren-de comprensibile lo strano cli-ma nel quale prefetti, questo-ri e podestà dei Comunidell’Alto Adige, del Trentinoe del Bellunese si sono tro-vati a gestire le ambigue di-rettive del governo centralefascista in materia di perse-

cuzione degli ebrei, conte-stualmente all’opzione che cit-tadini italiani di quelle zonepotevano esercitare deciden-do di trasferirsi nel TerzoReich, paradiso da essi so-gnato che, però, doveva dareloro anche qualche delusione.Il sovrapporsi di questi dueproblemi, in aggiunta alle mol-te difficoltà della vita quoti-diana appestata dalla fanati-ca mania dell’italianizzazio-ne forzata a tutti i livelli, hafatto sì che, in quelle tre pro-vince, anche la persecuzionedegli ebrei assumesse talvol-ta forme a dir poco tragico-miche.Quando, tre mesi dopo averconquistato il potere, i nazi-sti organizzarono il grandeboicottaggio dei negozi e de-gli studi professionali degliebrei, molti tra questi capiro-no che la vita in Germania sa-rebbe stata impossibile e de-cisero di emigrare. Alcuni scel-sero di stabilirsi a Merano, siaper la mitezza del suo climasia perché la lingua tedescavi era correntemente parlata.Gente tranquilla e benestanteche beneficiò di buona acco-glienza. La polizia fascistanon ebbe difficoltà ad accor-dare loro permessi di sog-giorno e, talvolta anche di at-tività d’ogni genere.Poi, quando l’Italia subì lesanzioni delle Nazioni Unite

a causa dell’aggressioneall’Abis-sinia e, poco dopo,fu a fianco dei nazisti aiutan-do Franco nella guerra diSpagna, le relazioni fra le duedittature divennero progres-sivamente più strette. Superato lo scoglio dell’an-nessione dell’Austria, l’ami-cizia consentì alla Gestapo dipiazzare ben 22 suoi uomininelle questure italiane in qua-lità di consiglieri, dando co-sì inizio alla collaborazionefra le due polizie, la nazista ela fascista. Ai nazisti ovvia-mente la presenza degli emi-grati tedeschi in Italia, in granparte ebrei, non piaceva, e die-tro loro insistenza la poliziafascista cominciò ad interes-sarsi di loro. Per la prima volta nei rapportidella burocrazia fascista ap-parve la parola “israelita”. Gliesuli tedeschi erano tenutid’occhio, con molta discre-zione, non davano fastidio enon vennero infastiditi.Il 16 febbraio 1938 “Informa-zione diplomatica” pubblica-va una dichiarazione del go-verno di “non avere assoluta-mente intenzione di adottaremisure politiche economicheo morali contrarie agli ebreiin quanto tali”. Lo sconcerto fu grande in Italiae all’estero. Non si capiva ache cosa preludesse o miras-se quell’inattesa presa di po-sizione. Il 14 luglio il fogliod’ordine del Pnf riportava unmanifesto redatto da un grup-po di scienziati per sottoli-neare l’arianità del popolo ita-liano nonchè la necessità chegli italiani si proclamasserofrancamente razzisti. Contestualmente viene or-chestrata una campagna distampa sempre più violentache preludeva alla "Dichia-ra-zione sulla razza" che il Gran

Consiglio del fascismo rila-sciò il 6 ottobre. Seguirono aruota provvedimenti legisla-tivi che emarginavano gli ebreiitaliani dalla società civile.Naturalmente gli stranieri sog-giornanti sul territorio nazio-nale furono esortati ad an-darsene, se non volevano es-sere internati o espulsi. Dipunto in bianco anche il fa-scismo si scopriva antisemi-ta. La burocrazia, che dovevaapplicare le leggi, maldestra-mente tallonata dal partito, ir-ritata dalle arroganti intrusionidei nazisti, spesso non sape-va che pesci pigliare. La pro-paganda ufficiale, avvertendoil disagio dell’opinione pub-blica, si sforzava di dimostrarel’ineluttabilità e l’importanzadell’azione. Ma estrometteredal tessuto di una popolazio-ne persone che da anni di tran-quilla convivenza vi eranoprofondamente radicate, nonera facile. Nel bene e nel ma-le la persecuzione procedeva.Dopo l’8 settembre 1943 conl’annessione delle tre provin-ce, incorporatenell’Alpenvorland retto da unGauleiter nazista, la situazio-ne è precipitata. Gli altoatesini optanti per ilTerzo Reich furono indotti adandarsene al più presto. Quelliche rimanevano furono pre-cettati nelle forze armate na-ziste. Agli ebrei pensava laGestapo. Già il 16 settembre1943 venne effettuata una raz-zia a Merano, da dove partì ilprimo trasporto in assoluto diebrei verso ignota destina-zione. Le statistiche e la listadelle vittime, che concludo-no questa importante ricerca,attestano, se ce ne fosse bi-sogno, l’infamia della perse-cuzione degli ebrei in Italia.

Teo Ducci

“Ebrei tra leggi razziste e deportazioni”, di Cinzia Villani

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Discutendodei Lagerall'Universitàdi Verona

Il volume raccoglie gli atti del convegnoorganizzato dalla Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Verona il 6 e 7 aprile 1997 attorno allo studio dell’esperienza dei campi nazisti. Riprendiamo dal volume l’interventointroduttivo dei professori Gian Paolo Marchie Giovanna Massariello Merzagora.

Come docenti della Facoltà diLingue dell’Università diVerona, abbiamo intravistol’interesse scientifico di sof-fermarci su un fenomeno sto-rico, quale quello del Lager,in cui vennero coinvolti uo-mini e donne di tutte le na-zionalità europee. Tale inte-resse non può andare disgiuntodalla ricerca della specificitàdel fenomeno, che, pur pre-sentando aspetti simili a quel-li di altri luoghi e forme di se-gregazione e di pena, si sot-trae pur sempre ad ogni omo-logazione.Scrivono infatti Anna Bravoe Daniele Jalla nel loro volu-me La vita offesa. Storia e me-moria dei Lager nazisti neiracconti dei sopravvissuti:“può succedere così che in al-cune ricerche il Lager com-paia in una nota a fondo pa-gina, affiancato al carcere, almanicomio, al convento, a ognialtra forma storica di impri-gionamento della vita. Non si tratta naturalmente distabilire un primato dell’op-pressione, né di sospettare nel-la denuncia di altre violenzeuna volontà di sminuire quel-

la del Lager. Ma è impossi-bile dimenticare che tra isti-tuzioni delegate ad ammini-strare la vita, per quanto informa mutilata e umiliata, eluoghi creati per amministra-re la morte, esiste una diffe-renza grande. Dalle prime si può essere di-messi e liberati, al Lager sisopravvive. E la sopravvivenzaè un’eccezione”.A distanza di cinquant’anni,nel momento in cui i depor-tati avvertono drammatica-mente il problema della con-tinuità della memoria e dellanecessità della testimonianza,sembra dischiudersi la realepossibilità di una storiografiaattenta alle singole voci, siache esse giungano per il tra-mite dell’oralità come perquello della parola scritta: diquanto sia ricca la memoria-listica sono testimonianza lebibliografie specialistiche,aperte all’ampliamento di ti-toli che vengono ancora pub-blicati o che ricevono rinno-vata attenzione dopo il recu-pero da pubblicazioni di dif-ficile accesso. l percorso che noi proponia-

mo prende le mosse dalla plu-ralità di contributi che pro-vengono da studiosi di variaformazione.Nella prima giornata, dedica-ta ai luoghi della memoria, al-la storia orale e alla geogra-fia dei Lager, gli studiosi de-lineeranno un quadro di rife-rimento con i risultati più re-centi di ricerche specialisti-che che toccano l’ambito del-le fonti storiche e geografi-che, la funzione e i modi com-plessi della memoria della de-portazione, per avvicinarsi poiagli aspetti psicologici dei so-pravvissuti. Mediante questa progressio-ne tematica si arriva nella se-conda giornata all’analisi del-la memorialistica, della realtàlinguistica e comunicativa al-l’interno del Lager e della fun-zione della memoria anche inrelazione alle generazioni suc-cessive, chiamate a riflettere

sul Kz anche attraverso le sug-gestioni della produzione ar-tistica, l’organizzazione mu-seografica e il potere delle im-magini.Consapevoli infine dei limitiinsiti in qualunque delle pos-sibili rappresentazioni delLager (la stessa parola ‘olo-causto’ denuncia la sua ambi-guità eufemistica, in quantotende a sovrapporre all’attua-zione dello sterminio l’im-magine del sacrificio ritualedella tradizione religiosa), ilconvegno nella sua parte con-clusiva restituirà la voce a quel-li che sono i “guardiani dellaverità”, gli ex deportati. Il Lager - Il ritorno dellamemoria.A cura di Gian PaoloMarchi e GiovannaMassariello Merzagora,Edizioni Lint Trieste -Aned, pagg. 174,lire 35.000.

“Il Lager - Il ritorno della memoria”

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Walter Veltroni:un popolodimenticase le generazioninon comunicano tra loro

Le parole del ragazzo diTerezìn, all’inizio del libroche raccoglie gli atti del con-vegno internazionale su “IlLager. Il ritorno della memoria”, de-scrivono molto efficacemen-te la persistenza del ricordodelle vicende vissute e subi-

te nei campi di concentra-mento: “Pesanti ruote ci sfio-rano la fronte e scavano unsolco nella nostra memoria:neppure gli anni potranno can-cellare tutto ciò”. Ma l’immagine del passato,il “ricordare” è qualcosa cheavviene nel presente, che cor-

risponde agli interessi, ai mo-di di pensare, ai bisogni e agliideali della società: semprela memoria collettiva, rap-presen-tata dalla coscienzacomune, riflette il punto dimediazione tra i gruppi chela compongono. In una so-cietà complessa vivono spes-so molte memorie, alcune del-le quali minacciate, messe indubbio.La memoria orale, che passada un uomo all’altro la testi-monianza dei sopravvissuti,è più incisiva e diretta dellastoria ufficiale, è “memoriaviva”.Il ritmo dello sviluppo, del-l’urbanizzazione, della mol-tiplicazione delle comunica-zioni, della mondializzazio-ne dell’economia, favoriscela scomparsa sia delle cultu-re tradizionali che dell’ora-lità: il nostro impegno civile

deve essere quello di parla-re, confrontare avvenimentie situazioni, date, eventi per-ché sono questi i momentifondanti che danno un sensopolitico a un Paese, a unaNazione.Al contrario, un popolo “di-mentica” quando la genera-zione che è in possesso delpassato non lo comunica al-la successiva. La storia pre-sente è ricca di episodi e stra-tegie censorie, fino alla teo-rizzazione di vere e proprie“politiche dell’oblio”.I prigionieri dei Lager veni-vano ammoniti che in qua-lunque modo la guerra fossefinita “la guerra dentro di voil’abbiamo vinta noi: nessunodi voi rimarrà per portare te-stimonianza, ma se qualcunoscampasse, il mondo non glicrederà”.Scaturisce da qui l’impegnomorale contro la violazionebrutale di quanto la memoriaancora conserva.Il convegno di Verona offreautorevolmente, proprio perl’interdisciplinarità della ri-flessione critica, notevolispunti di dibattito. Nella parte conclusiva, resti-tuendo voce ai “guardiani del-la verità”, agli ex deportati,restituisce loro “l’ombra”,quella perduta per sempre,perché rifiutato dagli altri, diPeter Schlehmihl, protagoni-sta della bella e terribile fia-ba di Chamisso: di nuovo iprigionieri nei campi di con-centramento, con i loro cor-pi martoriati, esistono graziealla posizione d’ascolto del-la società civile che prendeatto e riconosce la loro espe-rienza di dolore e di morte.

Walter VeltroniMinistro per i Beni culturali

e ambientali

Il giudizio del Ministro per i Beni culturali

Il recente convegno di Verona, restituendovoce agli ex deportati ha contribuito a ridare loro un’identità perduta.

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Un collage di vitaquotidiana,Resistenzae deportazione(e un improprioaccostamento)

L’anagrafe dei deportati nei Lager nazisti - edi tutti coloro che hanno vissuto una fase cosìdecisiva per la costruzione della democrazianel nostro Paese come il fascismo e laResistenza - è tale da rendere sempre piùnecessario un lavoro storico di recupero e didifesa di una memoria che, altrimenti, rischiadi essere perduta per sempre.

E’ la memoria di chi ha subi-to in prima persona la vio-lenza nazifascista ma anchequella di chi ha vissuto ac-canto alle vittime il drammadell’arresto, della sparizione,dell’attesa spesso inutile, delreinserimento nella società,della comprensione di un“mondo fuori dal mondo”. E’un contesto di difficile rico-struzione di fronte a un si-lenzio molto lungo dei testi-moni e degli storici (giustifi-cato il primo, assai meno ilsecondo). Così, il recuperoorale della memoria della de-portazione è nato alla fine de-gli anni Settanta con un ri-tardo difficile da colmare.Nondimeno, diverse ricerchesul territorio - di cui il volu-me La vita offesa, curato daAnna Bravo e Daniele Jalla,rimane il punto imprescindi-bile di riferimento - hanno di-mostrato le potenzialità insi-te nella memoria dei testimoni.A margine di impianti rigo-rosamente storiografici sono

anche nate ricostruzioni il cuiintento divulgativo si accom-pagna tuttavia a una difesa diun patrimonio testimonialecollettivo che ne costituisceun merito inequivocabile. Intale contesto si inserisce il re-cente volume Mai più.Testimonianze e storie pave-si dai Lager nazisti (ModicaEditore, Pavia 1997), curatoda Sisto Capra, giornalista del-la “Provincia pavese” e ap-passionato ricercatore di que-ste vicende storiche. Si trattadi un libro che si propone diessere il seguito e il comple-mento di una ricerca del 1981,coordinata dallo storico GiulioGuderzo, e apparsa negli“Annali di storia pavese” conil titolo I deportati pavesi neiLager nazisti.Era questo uno studio di am-pie dimensioni e che realiz-zava una prima, indispensa-bile raccolta di storie e datiche, seppure incompleti, apri-vano nuove prospettive di ana-lisi sull’argomento. Ora il vo-

lume curato da Capra aggiungenuove informazioni e testi-monianze in una cornice di ri-costruzione storica interes-sante e leggibile. Lo stessoCapra e la studiosa paveseMaria Antonietta Arrigoni of-frono un panorama della realtàe degli studi sulla deporta-zione pavese densi di stimolie di osservazioni che potran-no essere utili agli studiosiche vorranno intraprenderepercorsi di ricerca in una ta-le direzione. Mai più si pro-pone come un libro a più vo-ci, dissonanti nello stile e nelvalore stesso delle testimo-nianze ma che, forse proprioper questo, permettono di co-gliere la varietà delle vicen-de, delle storie personali, so-prattutto aprendo un vastosquarcio sul campo diBolzano, luogo non propria-mente definibile “di deporta-zione” ma certo un passaggioche la maggior parte dei de-portati ha conosciuto, una pri-ma immersione (o forse unaseconda, se si considerano ilcarcere o i luoghi di torturanazista e fascista coma la pa-vese “Villa Triste”) nella vio-lenza, nel rifiuto dei valoriumani di civile convivenza,nella comprensione che le re-gole comuni del diritto inter-nazionale non valevano per itedeschi.Certo non si può sfuggire al-l’impressione che il volumeprivilegi eccessivamente lestorie del campo di Bolzano.Pur tuttavia, quella che appa-re una consapevole scelta delcuratore è probabilmente do-vuta al fatto che proprio que-ste storie mancavano a una ri-costruzione più articolata del-la deportazione pavese. Né sipuò dimenticare il tempo cheè passato e che necessaria-mente, ci ha privato e ci pri-

va di continuo dei testimoni.E ancora: non mancano co-munque le vicende dei cam-pi più noti, come Mauthauseno Auschwitz, in un collage do-ve vita quotidiana, resistenzae deportazione si accompa-gnano secondo quella logicadelle “storie di vita” che ap-pare lo strumento più effica-ce e valido per riannodare ifili di una storia individualee collettiva fatta anche di eroi-smi ma soprattutto di scoper-ta lenta e progressiva di unapropria distanza etica dal na-zismo e dal fascismo, di unacoscienza forse prepolitica macerto complessa nel suo di-spiegarsi, e comunque com-prensiva di un percorso di vi-ta che rifiuta analisi mono-cordi.Vi è poi da sottolineare conparticolare interesse il saggiodi Maria Antonietta Arrigoniche fornisce un ricco quadrosulla storiografia della de-portazione in ambito pavese;consente un primo bilanciodei molti anni di ricerca; in-dica riferimenti bibliograficied archivistici di indubbio in-teresse; evidenzia limiti e pro-spettive degli studi con evi-dente competenza. Confortamaggiormente che questa stu-diosa sia insegnante di scuo-la media a Vigevano, dunquecapace di comunicare con lepiù giovani generazioni, quel-le verso le quali sono ancoratutti da pensare gli strumentidella trasmissione della sto-ria della deportazione i cui to-ni e la cui violenza devonoessere mediati con attenzionee sensibilità.Gli elementi positivi di que-sto volume di Capra non pos-sono però impedire di coglierealcuni difetti, spesso minimi(per esempio, il Revier diAuschwitz viene indicato co-

“Mai più. Testimonianze e storie pavesi dai Lager nazisti”, di Sisto Capra

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me “clinica”) ma in certi ca-si, a mio avviso, strutturali.Mi riferisco in particolare al-la scelta di inserire il raccon-to di Sergio Borme sul gulagdi Tito, vicenda senza dubbiodrammatica e condannabilecome tutti i crimini contro l’u-manità, in qualunque parte delmondo essi vengano compiu-ti e qualunque colore politi-co abbiano. Nondimeno, tale accostamentoappare del tutto improprio erischia di portare acqua al mu-lino del revisionismo igno-rante che tende a relativizza-re i crimini nazisti, parago-nandoli a quelli staliniani o diderivazione staliniana, con evi-denti intenti politici e non sto-riografici.Vorrei solo ricordare che losterminio nei Lager nazisti hauna sua specificità data dalfatto che solo in questo casonoi troviamo un altissimo nu-mero di vittime, una pianifi-cazione amministrativo-buro-cratica, strumenti moderni escientifici per lo sterminio euna ideologia che armonizzatutto ciò. La compresenza diquesti elementi è unificantedei crimini nazisti e li distin-gue da altri i quali, inoltre ap-paiono sempre mezzi e non fi-ni, come al contrario risulta-no nella Shoah.Se comprendo la volontà delcuratore di offrire un panora-ma il più articolato possibiledella realtà pavese durante laseconda guerra mondiale, nonposso però non rilevare la ne-cessità della distinzione e del-la chiarezza che devono ac-compagnare qualsiasi percor-so etico-storico, così comeCapra si propone di fare e che,in concreto - salvo questo “in-cidente di percorso” -, riescea fare.

Bruno Maida

Per il libro “I percorsi della sopravvivenza”

Importantericonoscimentoa Marco Coslovich

Marco Coslovich, membro delConsiglio provincialedell’Aned di Trieste e ricer-catore apprezzato dell’Istitutoregionale per la storia dellalotta di liberazione del FriuliVenezia Giulia, ha avuto unimportante riconoscimento perla sua meritoria opera, dopoquelli già tributatigli: l’asse-gnazione del premio “VittoriaGiuliani Sestegni”, promossodall’avv. Paolo Mirandola diRovereto, in collaborazionecon il Comune di Folgaria,per il suo libro I percorsi del-la sopravvivenza. Storia e me-moria della deportazionedall’Adriatisches Küstenland,edito da Mursia, Milano.La decisione della giuria è sta-ta presa dopo una attenta va-lutazione di alcune opere de-dicate ai temi della libertà edella tutela dei diritti umani.La scelta è caduta sull’opera

di Coslovich, si legge nellamotivazione, per la grande se-rietà della ricerca e il serenodistacco storiografico con ilquale viene trattato il proble-ma della deportazione di uo-mini e donne molto diversi traloro, dall’area che ha al suocentro Trieste. La descrizio-ne analitica e documentata delsistema concentrazionario na-zista costituisce un contribu-to alla lotta per i diritti e lelibertà, mettendo in luce i mec-canismi attraverso i quali gliuni e le altre vengono sop-pressi. Al tempo stesso, datala specificità della situazionestudiata, la ricerca mette inluce le contraddizioni, le ten-sioni, i problemi che con-traddistinguono le regioni chenel corso della storia sono sta-te al confine tra culture, ci-viltà, genti: la capacità del-l’autore di vedere i problemi

sotto le diverse ottiche e sen-sibilità, aiuta l’Europa di og-gi a comprendere come la di-fesa dei diritti e delle libertàpassi per la comprensione e,quando possibile, la risolu-zione dei problemi etnici.All’amico Marco le congra-tulazioni più affettuose deicompagni dell’Aned. Lo ricordiamo tutti e lo ap-prezziamo per la sua impe-gnata ricerca sulla deporta-zione, per i molti saggi e ar-ticoli pubblicati sull’argo-mento, e soprattutto per il li-bro uscito recentemente, do-po quello che ha avuto il pre-mio “Vittoria GiulianiSostegni”, cioè Racconti dalLager. Testimonianze dei so-pravvissuti ai campi di con-centramento tedeschi, an-ch’esso edito da Mursia e cheha raccolto tanti consensi edapprezzamenti.

■ Marco Coslovich (a sinistra) durante la presentazione di un suo libro.

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ResisteancoranelleOrcadi la splendidacappelladegliinternatimilitari

Miracolo italianonel Nord della Scozia

Miracolo italianonel Nord della Scozia

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Sulle carte turistiche del-le isole Orcadi, all’e-stremo Nord dellaScozia, è segnato, in

prossimità della località diLambholm, un puntino cheidentifica la “Cappella Italia-na”. Un punto di attrazionetra i tanti delle isole, spazza-te dai venti del Nord e disse-minate di importanti repertipreistorici di eccezionale va-lore culturale e storico.La “Cappella Italiana” diLambholm, insieme a una sin-golare statua di cemento raf-figurante San Giorgio che uc-cide il drago, è quanto rima-

ne oggi, a oltre mezzo seco-lo di distanza, di un campo diconcentramento per militariitaliani durante la secondaguerra mondiale. Un repertoeccezionale, visitato ogni an-no da alcune migliaia di turi-sti, ma praticamente scono-sciuto nel nostro paese.Per la loro collocazione geo-grafica, proprio sulla puntadell’isola britannica, le Orcadihanno sempre rappresentatoun punto strategico importanteper il controllo della naviga-zione nel Mare del Nord. Enon è dunque strano che laMarina di Sua Maestà avesse

installato proprio in una del-le insenature naturali del pic-colo arcipelago una impor-tante base navale.Approfittando di una alta ma-rea eccezionale, durante l’ul-tima guerra un sommergibiletedesco riuscì tuttavia a insi-nuarsi tra un’isola e l’altra ead affondare diverse unità del-la flotta britannica.

Costernato per lo scac-co subito, Churchilldecise di erigere adifesa del porto mi-

litare delle barriere artificialiche chiudessero gli accessi traun’isola e l’altra. Sopra le bar-

riere sarebbero state costrui-te delle strade carrozzabili, inmodo da accelerare anche icontatti terrestri tra le unità distanza nelle Orcadi.Alla costruzione delle barrie-re e delle strade furono im-pegnati alcune centinaia di mi-litari italiani catturati in NordAfrica. Per loro, nelle diffici-lissime condizioni climatichedelle isole, furono erette 13rozze baracche di lamiera. Illavoro era duro, le condizio-ni ambientali più che disage-voli, ma anche grazie alla tol-leranza dei responsabili dellasicurezza del campo non man-

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Miracolo italianonel Nord della Scozia

■ Gli uomini che costruirono la Cappella.Chiocchetti, in piediall’estrema sinistra,

Palumbo davanti al pilastro di sinistra

■ Gli uomini che costruirono la Cappella.Chiocchetti, in piediall’estrema sinistra,

Palumbo davanti al pilastro di sinistra

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carono momenti di svago.Dopo qualche mese una del-le baracche fu addirittura adi-bita alle attività del tempo li-bero, con un teatrino artigia-nale e un altrettanto artigia-nale tavolo da biliardo. Quandoormai i lavori di costruzionedelle barriere artificiali nei ca-nali tra un’isola e l’altra era-no praticamente terminati, a

qualcuno venne in mente diallestire in una baracca unapiccola scuola e di costruireun altare dove il cappellano,padre Gioachino Giacobazzi,potesse celebrare la messa pergli internati. Il capo del cam-po, l’allora MaggioreBuckland, diede il suo assen-so, anche dopo aver preso vi-sione del “progetto” di mas-

sima buttato giù in fretta daun militare di Moena,Domenico Chiocchet-ti, do-tato di non comuni capacitàartistiche. Lo stessoChiocchetti, utilizzando unavecchia matassa di filo spi-nato arrugginito e del cemento,aveva già dato prova del suoestro, scolpendo la statua di

San Giorgio che vigilava sul-l’ingresso del campo degli ita-liani.L’artista di Moena mise in-sieme una piccola squadra dientusiasti come lui: tra gli al-tri c’erano un Buttapasta, ce-mentista, un Palumbo fabbro,Primavera e Micheloni, elet-tricisti e altri - Barcaglioni,Battato, Devitto, Fornasier,Pennisi, Sforza - che si but-tarono nell’impresa.Non fu una cosa semplice. Permesi in ogni minuto libero,

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■ Interno della Cappellacomesi presenta oggi: unainsolitaattrazioneper i turisti.

■ Al lavoro di nuovo nellasua CappellaChiocchettiriesegueil disegno originale di unpannello che si era scoloritonel tempo.

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Miracolo italianonel Nord della Scozia

utilizzando materiali di risul-ta, la squadra si dedicò allatrasformazione del capanno-ne. La lamiera ondulata fu co-perta di intonaco nella partedell’”abside”. L’altare, il pa-rapetto, la pila dell’acqua san-ta, tutti disegnati dalChiocchetti, furono modella-ti nel cemento dal Buttapastae dai suoi aiutanti. Sulle duefinestre furono istoriate le fi-gure di San Francesco e diSanta Caterina. Sopra l’alta-re Chiocchetti dipinse in po-che settimane una Madonnacon il Bambino, copiandoli dauna immaginetta che si eraportato con sé dal paese.La cappella veniva bene, eman mano che procedevano ilavori altri internati si offri-

rono di contribuire. Con il de-naro del fondo di beneficen-za per i prigionieri fu acqui-stato del damasco dorato dauna ditta di Exeter. E poi en-trò in azione il fabbroPalumbo, specializzatosi ne-gli anni dell’emigrazione inAmerica, che, finalmente ot-tenuto il materiale, fece duecandelabri in ferro battuto(mentre Primavera ne ricava-va quattro d’ottone, utilizzandocome materia prima gli ot-toni di una nave affondata).Sempre dalla nave, fu ricava-to il legno per il tabernacolo,costruito da un falegname,mentre Chiocchetti, ormai ir-refrenabile, prendeva ad af-frescare la volta dell’ “absi-de” con le figure degliEvangelisti accompagnati dadiversi cherubini.

Il contrasto tra quell’an-golo istoriato e il restodel capannone, rimastoallo stadio di partenza,

suggerì al Palumbo l’idea dicostruire una cancellata in fer-ro battuto, che rimane il ca-polavoro del piccolo fabbroemigrato in America e cattu-rato in Africa.Anche il comandante del cam-po a quel punto si convinsedefinitivamente della bontà

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■ Il crocefisso erettopresso la Cappella nel 1961 è stato donato dal comune di Moena,paese natale diChiocchetti.

■ A lato l’altare. La Madonna col Bambino è copiatadalla Madonna dell’ulivo, dipinta da Niccolò Barabino(1832-1891).

■ L’internodella Cappellacon la cancellatain ferro battuto,una delle glorieprincipali dellachiesetta.

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del progetto, e si diede da fa-re per procurare agli interna-ti tanto stucco quanto ne ba-stava per coprire l’interno del-l’intero capannone. I pannel-li furono fissati a una inte-laiatura in legno, avendo cu-ra di lasciare una intercape-dine tra la lamiera e lo stuc-co. Quindi Chiocchetti e i suoisi affrettarono ad affrescare iltutto, dipingendo falsi matto-ni per tutta la lunghezza delcapannone.Il cementiere Buttapasta si de-dicò a quel punto all’esterno,costruendo in cemento unapiccola elegante facciata allacappella, con due colonnineche reggevano un piccolo por-ticato. A decorazione finalefu aggiunto un piccolo cam-panile, mentre il pittorePennisi, fatto venire da un al-tro campo di prigionia a daremanforte al progetto, scolpi-va in un tondo di argilla ros-sa un volto sofferente delCristo, che l’inclemenza deltempo delle Orcadi si affrettòa guastare, rendendolo, se pos-sibile, ancora più suggestivo.La liberazione colse la squa-dra in prossimità dell’obietti-vo: la cappella era quasi ter-minata. E il Chiocchetti nonci pensò su due volte, deci-dendo di fermarsi ancora qual-che giorno per completare ilsuo progetto.

Alla sua partenza,Sutherland Greame,Lord luogotenentedelle isole, promi-

se che avrebbe curato la cap-pella, nel frattempo solenne-mente consacrata.Lord Sutherland fu di parola,preoccupato del fatto che i po-veri materiali utilizzati ren-dessero precaria la conserva-

zione della originalissima co-struzione, nel frattempo og-getto di visite da parte degliabitanti delle isole.Ai visitatori si cominciaronoa chiedere delle donazioni percontribuire ai “restauri”, e fucostituito un comitato di sal-vaguardia. Il caso dellaCappella Italiana arrivò allaBbc, che realizzò una tra-smissione di grande successosul caso, e nel 1960 finanziòil viaggio a DomenicoChiocchetti, “richiamato inservizio” a gran voce per ri-mettere mano alla sua opera.Il nostro prese armi e bagaglida Moena e tornò nelle isolenelle quali era stato internatoe dove aveva lavorato per lefortificazioni volute daChurchill: accolto come uneroe, si dedicò per diversi gior-ni a ritoccare e a ridipingere,e prima della sua partenza lacappella fu solennemente ri-dedicata, con una funzione al-la quale parteciparono oltre200 abitanti delle Orcadi. Trala cittadina di Moena, nelTrentino, e gli abitanti dellesperdute isole del Nord dellaScozia si stabilì allora un le-game che non si è interrotto.Il celebrante, padre Whitaker,concluse il sermone con que-ste parole: “Delle costruzio-ni che popolarono Lambholmdurante la guerra, ne riman-gono solo due: questa Cappellae la statua di San Giorgio.

Tutto ciò che fu rea-lizzato per i bisognimateriali è scom-parso, ma queste

due cose, realizzate per sod-disfare i bisogni spirituali, ri-mangono. Nel cuore degli es-seri umani il bisogno più ve-ro e duraturo è la sete di Dio”.L’ultima volta che un gruppodi costruttori visitò la cappellaitaliana di Lambholm fu cin-que anni fa, nel ‘92. Da allo-ra però migliaia di turisti han-no visitato questo straordina-rio segno di pace costruito inpiena guerra, in una sperdutaisola del Mare del Nord da ungruppo di militari internati ita-liani, nel bel mezzo del lorocampo di prigionia.

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■ La visita diChiocchetti del1964, con lamoglie Maria chenell’occasionearricchì laCappella con unatovaglia d’altare.

■ Ottoex prigionieri di guerra italianiposano davantialla loro operanella visita del 1992.

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Incredibile sortita in Consiglio provinciale

Per An a Trieste commemorarei partigiani è “apologia di reato”

Anche quest'anno il sacrificio dei quattroantifascisti sloveni fucilati a Basovizza il 6 settembre del 1930 in esecuzione dellasentenza del “Tribunale speciale per la difesadello stato” è stato ricordato in una atmosferatesa per le gravi provocazioni messe in attodagli epigoni del nefasto ventennio.

Alcuni giorni prima della da-ta fissata per la manifestazionein onore dei martiri - Bidovec,Miles, Marusic, Valencic - dueabeti piantati accanto al mo-numento che li ricorda sonostati abbattuti, in segno di di-sprezzo, dai soliti ignoti, su-scitando grande indignazio-ne, che ha trovato efficaci in-terpreti anche i sindaci italia-ni e sloveni di tutti i comunidella provincia, Trieste,Muggia, Duino-Aurisina, SanDorligo, Zgonice, Monrupino.Un atto, dice il documento daessi sottoscritto, che “offen-de la memoria storica e la di-gnità del ricordo di chi ha do-nato la vita per la libertà al-trui (...), ostacola di gran lun-ga gli sforzi dei primi citta-dini della provincia atti a con-

solidare la civile convivenza,la collaborazione reciproca, ilsuperamento di antiche remoree preclusioni mentali.”Peggio ancora quanto è av-venuto in Consiglio provin-ciale qualche giorno dopo lacommemorazione svoltasi aBasovizza, sul luogo della fu-cilazione, il 7 settembre. Il consigliere provincialeGabrovec (Pds) aveva pre-sentato una interrogazioneal presidente invitando il

Consiglio a commemorare imartiri, sottolineando che siera trattato di un evento chesi inseriva nella strategia fa-scista del terrore legalmenteautorizzato ed esercitato at-traverso il tribunale speciale.A questo punto il gruppo diAn abbandonava l’aula, rien-trando poco dopo e annun-ciando l’intenzione di denun-ciare all’autorità giudiziariail consigliere Gabrovec, perapologia di reato. “Il tribuna-

le speciale aveva condannatoa morte quattro terroristi.Commemorarli in questa se-duta vuol dire esaltare dei rea-ti commessi. Ci riserviamo divagliare ulteriormente la que-stione, tuttavia la denunciapartirà quasi sicuramente.”L’incredibile provocazione diAn suscitava l’indignata rea-zione di consiglieri di Rifon-dazione Comunista, del Pds,dell’Unione Slovena, che de-nunciavano An, che “mettevain seria discussione quel pro-cesso di revisione per il qua-le la destra va proclamando-si alfiere di una riconcilia-zione e riconoscimento dellecolpe del recente passato, sve-lando lo scarso desiderio diripudiare una delle pagine piùtragiche del regime fascista,il tribunale speciale”.

■ Gli alberi abbattutiintorno al monumentoche ricorda i quattroantifascisti sloveni.

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Ricordato l’avvio del forno della RisieraUna rappresentanza dei Consigli provincialidell’Aned, dell’Anpi e dell’Anppia di Triesteha ricordato con una semplice cerimonia latragica ricorrenza del 22 giugno 1944.

Quel giorno era entrato in funzione in modo continuativo,quotidiano, il forno crematorio della Risiera di S. Sabba,fino alla fine della guerra, bruciando 5.000 detenuti, ita-liani, sloveni, e croati, combattenti della Resistenza nel li-torale Adriatico istituito dai nazisti con l’appoggio dei fa-scisti. Il forno era stato “collaudato” già in precedenza, mala data simbolica della continuità è il 22 giugno, e ognianno viene ricordato: omaggio ai caduti di S. Sabba, ditutti i Lager nazisti, della Resistenza e impegno a mante-nere alti i loro ideali, più che mai ancora necessari di fron-te ai crescenti tentativi del revisionismo storico di altera-zione dei termini e del significato della storia contempo-ranea. Impegno che si realizza in questi giorni nella rac-colta di firme sotto la petizione popolare al presidente del-la Repubblica perché voglia richiamare tutte le istituzionidemocratiche a una rinnovata coerenza antifascista.

Dalle organizzazioni della Resistenza e della deportazione

■ La deposizione di una corona sul sacello che raccoglie le ceneri degli ultimi bruciati nel forno crematorio.

La commemorazione dei quat-tro Caduti si è svolta dome-nica 7 settembre, indetta dalComitato promotore e dalleassociazioni della Resistenza,presente numerosa folla.Hanno parlato in sloveno duegiovani ricercatrici di storiaKatja Celja e Nadja Maganja,in italiano l’eurodeputatoGiorgio Rossetti. Gli oratorihanno denunciato le provo-cazioni, la falsificazione, lastrumentalizzazione politicadella storia, asserendo la ne-cessità per ciascuno di rico-noscere le proprie responsa-bilità, di agire per la convi-venza, senza rinunciare al ri-conoscimento dei propri di-ritti da parte della minoranzaslovena.Certe riletture della storia diTrieste, ha detto tra l’altroRossetti, sbrigative e appros-simative, appaiono finalizza-te più a un tentativo di legit-timazione politica attuale, chedi ripristino di verità storiche.Non si può dimenticare in qua-le clima maturarono duranteil ventennio non solo i senti-

menti di riscatto, ma anchequelli più tragici della ven-detta e della rivalsa. Il pro-blema vero è quello di non in-nescare mai la spirale dellaviolenza.Dopo aver stigmatizzato l’ol-traggio al monumento, ha af-fermato che non bisogna maiabbassare la guardia in unacittà dai troppi attentati im-puniti, dove operano cellulenere coinvolte nelle stragi piùefferate in Italia, dove forzeconservatrici ostili ai rappor-ti di buon vicinato, sorde aiproblemi delle minoranze, so-no sempre forti. Bisogna invece sperare perTrieste città di pace e apertu-ra alla collaborazione con ivicini, protagonista attiva del-l’integrazione europea dellaSlovenia.Alla manifestazione ha par-tecipato il coro Janez Blaiwais,di Kranj, la città slovena cheper prima aveva eretto unmonumento ai Caduti diBasovizza, subito dopo le fu-cilazioni ordinate dal tribu-nale speciale.

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L’industriadella morteIl viaggio è terminato! Ora ha inizio il periodo di riflessione e, sepossibile, di comprensione di tutto quello che è stato visto e sentito durante l’indimenticabileesperienza della visita ai campi di Auschwitz 1 e Auschwitz 2 - Birkenau.

Sono Marcello Martini, ex-deportato politico di Mau-thausen, matricola n. 76.430;sono tornato varie volte in que-sto Kz, per accompagnare stu-denti, insegnanti e semplicicittadini interessati a cono-scere le testimonianze dei so-pravvissuti e i luoghi della de-portazione. Ho visitato anchealtri Lager accompagnando ivincitori del concorso annua-le di Storia contemporanea in-detto dalla Regione Piemonte,iniziativa peraltro unica in tut-ta Italia; e ho portato la miatestimonianza sia durante iviaggi, sia in tante scuole pie-montesi e di altre regioni.Credevo quindi che la mia per-sonale esperienza e le attivitàdi questi ultimi anni mi aves-sero già preparato a ogni sor-ta di emozione che le visiteai campi di eliminazione na-zisti sempre producono. Misono trovato invece comple-tamente disorientato, direi in-difeso, di fronte alla sensa-zione di annientamento che lagrandiosità mostruosa dei dueLager provoca. Gli aggettiviterribile, crudele, tremendonon possono rendere appienole emozioni suscitate: pare che

tutte le esperienze dirette e in-dirette precedenti vengano an-nullate, quasi risucchiate dal-le geometriche strutture del-lo sterminio.Mi è apparso chiaro ed evi-dente il paragone tra Mau-thausen e il complesso diAuschwitz. Mentre Mauthau-sen e i suoi sottocampi pos-sono rappresentare il labora-torio ben organizzato di unbravo artigiano, Auschwitz,ma soprattutto Birkenau, so-no l’industria moderna e ra-zionale, studiata e realizzatain ogni dettaglio; avevano lostesso tipo di produzione: lamorte di tutti gli oppositori ei diversi, ma organizzata nelcomplesso di Auschwitz peressere attuata con la miglio-re funzionalità, per sfruttarein totale economicità anche icadaveri delle vittime. Di Auschwitz avevo già vistofotografie e filmati, sia delle40.000 paia di scarpe, sia del-le valigie identificate coi no-mi dei proprietari, sia, peggioancora, della massa di capel-li femminili; ma l’impattoemotivo provato di fronte aquelle enormi vetrine è statoveramente improvviso e vio-

lento. Fra il grigiore unifor-me delle scarpe spiccavanotre o quattro di colore rosso:mi hanno colpito con incre-dibile efficacia simbolica, co-me il cappottino rosso nel filmSchindler’s List di StevenSpielberg. Ma il vero “pugnonello stomaco” è stato per mela visita di Birkenau. Non c’è nulla che richiami,almeno in apparenza, l’atten-zione: una scura costruzione,nemmeno tanto imponente, uningresso, il binario che passaattraverso il portone centrale,di qua e di là pali con filo spi-nato elettrificato. Non appe-na però si varca l’ingresso, cisi rende conto della vastità delfenomeno Lager Kz e del suosignificato. Decine di barac-

che ben allineate sono anco-ra visibili nei venti ettari diterreno che costituiscono l’a-rea in cui è sorto Birkenau.Le baracche non sono comequelle di Mauthausen o diDachau, costruite con pannellidi legno ben connessi e infis-si funzionali. A Birkenau la luce arriva daun lucernario sul tetto o di-rettamente dalla porta: il pa-vimento è in terra battuta e leassi delle pareti sono leggereed irregolari. E’ facile capire quindi quellache può essere stata la vita deideportati durante i mesi in-vernali nella località fredda epiovosa dove sorge il campo.Il portone d’ingresso, attra-versato dai binari è l’enorme

Che fine ha fatto la giornata della memoria ?

Il presidente del Senato Nicola Mancino ha ricevuto il29 settembre a Palazzo Madama una delegazione dellaComunità ebraica italiana e dei deportati politici, ac-compagnata dal sen. Athos De Luca. Ne dà notizia uncomunicato dell'ufficio stampa di Palazzo Madama nelquale si aggiunge che la delegazione ha sollecitato l’ap-provazione del disegno di legge per l’istituzione di unaGiornata nazionale dedicata a tutti coloro che furono uc-cisi o deportati nei campi di concentramento nel corsodella seconda guerra mondiale.“In questi anni - ha ricordato la delegazione - vari Paesieuropei hanno assunto iniziative per commemorare co-loro che, nel corso della seconda guerra mondiale, fu-rono uccisi o deportati per odio razziale o per ragionipolitiche.” Il presidente Mancino ha assicurato che il di-segno di legge, che reca la firma di tutti i rappresentan-ti dei gruppi politici, è stato assegnato alla competentecommissione e che seguirà con la massima attenzione l'i-ter del provvedimento.

(Ansa)

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Un ex deportato di Mauthausen a Birkenau

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Da Dachau a PontidaL’improbabile storia del leghista Broggini

La sua storia ha avuto un certo risalto sui giornali (quel-la che riproduciamo è una pagina del Corriere dellaSera). Bruno Broggini, 82 anni, da Albizzate, nel Varesotto,era a Pontida il 29 giugno scorso a inneggiare alla se-cessione con migliaia di altri militanti leghisti. Al croni-sta del Corriere Broggini ha raccontato di essere statodurante l’ultima guerra nelle Brigate Garibaldi, da “co-munista duro e puro” e di essere stato arrestato dallaGestapo per una spiata nella primavera del 1944: “Miaprirono il paltò, sotto c’erano 6 bombe a mano e il mi-tra”. Il cronista annota che il racconto dell’anziano le-ghista “si ammanta di pudore” quando parla delle “tor-ture e del viaggio a Dachau”, dove per sei mesi il nostro,essendo forte e robusto, avrebbe trasportato cadaveri “aiforni e alle fosse”.Dal Lager Broggini sarebbe fuggito attraversando “com-pletamente nudo” a nuoto il fume Ammer lì vicino, lamattina del quattro gennaio 1945. I due compagni di fu-ga, dice, purtroppo non ce l’hanno fatta, e sono mortiper il gelo. Lui, invece, da Dachau avrebbe raggiunto av-venturosamente la Svizzera, dove sarebbe rimasto “unanno in ospedale”.Storia avventurosa e commovente. Noi abbiamo consul-tato gli elenchi disponibili dei deportati italiani a Dachau,e abbiamo chiesto a qualche superstite. Il nome di Broggini,tra quelli di Dachau, però non siamo riusciti a trovarlo.

bocca che ingoiava i lunghiconvogli di carri bestiame!Una bocca mai sazia che tut-ti i giorni veniva alimentatadalle solerti SS, che selezio-navano con uno sguardo chidoveva essere subito ucciso,o chi avrebbe potuto avere unapiù lunga e dolorosa agonia,economicamente redditizia peril Terzo Reich. La banchinatutt’ora esistente, alla fine deibinari, termina con due co-struzioni, una per lato, dovesei camere a gas e dieci for-ni crematori attendevano i nuo-vi arrivati: donne incinte, bam-bini, vecchi, disabili erano iprimi a scendere i gradini ver-so gli spogliatoi e le camerea gas; seguivano poi altre boc-che che divenivano inutili permancanza di disponibilità dialloggiamenti!Anche se le due costruzioniseminterrate sono state fattesaltare dalle SS in fuga, lasemplice visione delle mace-rie è sufficiente per dimostrarel’enormità dei crimini com-messi in nome della razza su-periore!Durante la visita i miei occhidi ex-deportato vedevano icampi ancora efficienti e po-polati dalle figure spettrali ve-stite a righe o coperte di strac-ci che si muovevano nella ne-ve o nel fango, spinte da ur-la, minacce, colpi di bastone,vessate da ogni tipo di vio-lenza materiale e psichica.Vedevo il crematorio fumaree ancora percepivo il tremen-do odore di carne bruciata chesi spandeva tutt’attorno perchilometri e chilometri.Mi ha molto impressionato ilsilenzio ovattato che si per-cepisce all’interno del filo spi-nato di Birkenau. Non riesco a spiegarmi a checosa si debba attribuire que-sto fenomeno, ma i rumoridella strada, delle auto chetransitano a poche decine di

metri non arrivano distinti echiari, ma filtrati quasi da uninvisibile pannello fonoas-sorbente.Questa strana sensazione èstata avvertita anche da altrepersone che hanno visitato ilLager con le più svariate con-dizioni ambientali e atmosfe-riche.La nostra comitiva ha attra-versato il Lager in silenzio,colpita dalla medesima emo-zione. Sono state deposte co-rone d’alloro sia ad Auschwitz,presso il muro delle fucila-zioni, sia presso il monumentodi Birkenau al termine del bi-nario. Le parole degli orato-ri, scevre di ogni retorica, han-no risentito della sacralità delluogo e hanno espresso il co-mune desiderio e impegno anon dimenticare.Voglio infine sottolineare an-cora due particolari; il pri-mo riguarda il rilevante nu-mero di inesattezze e impre-cisioni, a volte decisamenteinaccettabili, dette dalle gui-de polacche durante la visi-ta. Il compagno Pio Bigo so-pravvissuto ad Auschwitz, èdovuto intervenire per pre-cisare ai partecipanti la realtàdei fatti. Il secondo invece è relativo aldiscorso del sindaco della cit-tadina polacca di Auschwitzche dopo i convenevoli d’ob-bligo, si è mostrato veramen-te dispiaciuto del fatto che iLager fossero così vicini allasua città, perciò conosciuta intutto il mondo per la presen-za dei campi della morte.Inoltre mai ha rammentato ocommentato quanto accadutoe compiuto cinquanta anni facontro la popolazione ebrai-ca; e nemmeno una volta laparola “ebreo” è stata pro-nunciata durante l’intero di-scorso di benvenuto.

Marcello Martini

Il “TriangoloRosso”è “nordista”?

Carissimi amici dell’Aned,Vi ringrazio infinitamente peril vostro invio della rivista“Triangolo Rosso” che ricevocon immenso piacere e mipermette di essere sempreaggiornata sulla situazione.Vorrei esprimere un miocommento: perché moltiarticoli da voi pubblicati da

testimonianze di ragazzi chehanno visitato i campi o disopravvissuti riguardano ilNord Italia e, per esempio, laToscana non viene presa in considerazione?

Ilaria BorsieriTavarnuzze (Fi)

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Costituito a Salerno per iniziativa di Matteo Pierro

Un centro di documentazionesullo sterminio nazista dei Testimoni di GeovaPer non dimenticare il martirio di coloro che potevano evitare lo sterminio nazista mapreferirono affrontarlo pur di non rinnegare i propri principi. Con questo obiettivo è sortoa Salerno il Centro di documentazione deiTestimoni di Geova. Responsabile del centro è Matteo Pierro, ricercatore salernitano.

Il Centro di documentazione- spiega Pierro - intende farconoscere questa parte dellanostra storia recente metten-do a disposizione di ricerca-tori, storici e di chiunque siainteressato l’enorme mole diinformazioni raccolte in que-sti anni. “Si tratta di circa unmigliaio di pagine di docu-

menti nazisti, di una biblio-grafia con un centinaio di ti-toli, di numerose biografie disopravvissuti, di due docu-mentari video e di una pic-cola mostra con foto e docu-menti dell’epoca. Oltre a ciò abbiamo stampa-to anche alcuni dépliant e unopuscolo che spediremo gra-

tuitamente a coloro che ce nefaranno richiesta. L’indirizzoè: Centro di documentazione,Salita S. Giovanni 5 - 84135Salerno, tel. 089/274382.Inoltre, dal 1995, stiamo rac-cogliendo in un archivio elet-tronico i nomi dei Testimonidi tutta Europa che venneroperseguitati dal nazionalso-cialismo. Attualmente abbia-mo identificato 1.371 perso-ne.Da questo archivio, per il mo-mento ancora incompleto te-nendo conto che i persegui-tati furono circa 20.000, si

possono trarre alcune inte-ressanti indicazioni statisti-che. Ad esempio, su 1.371 no-minativi, oltre il 50% sono ditedeschi, il 25% di austriaci,e poi di olandesi (8%), di po-lacchi (7%), di ungheresi (4%),di francesi (3%) e solo lo 0,2%di italiani. Per loro fortuna la stragran-de maggioranza dei Testimoniitaliani era al confino in zo-ne del Paese liberate dagli al-leati prima dell’8 settembre‘43. In tal modo poterono evi-tare la deportazione”.

N.N.

■ Hermine Obweger, figlia di Testimoni austriaci, fu toltaai suoi genitori all’età di 11 anni e chiusa in riformatorio.

■ Teresa Schreiber venne deportata nel Lager diRavensbrück per avere continuato le sue attività di testimone.44

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NOTIZIE

“Testimoni del tempo”All’Università popolare di Berlino si parla della memoria dei LagerOrganizzate dall’Universitàpopolare di Berlino Neuköllnsi sono svolte a Berlino unaserie di manifestazioni sui te-mi “Testimoni del tempo rac-contano sulle deportazioni” e“Politiche contro il razzismo”.Il 29 maggio scorso presso laSaalbau Neukölln, è stata rap-presentata da un gruppo di gio-vani interpreti delle scuole te-desche “La notte dei Cristalli”di Berto Perotti. In seguito èstata aperta un’approfonditadiscussione - moderata daiprof. Ceccanei e Forster - al-la quale hanno portato le loroesperienze Amos Luzzatto del-la Comunità israelitica diVenezia e Renato Butturini,figlio di un deportato caduto

nel Kz Bergen-Belsen. Durantel’incontro è stato letto unsaluto messaggio dell’avv.Gianfranco Maris, presidentenazionale dell’Aned. Diversiinsegnanti delle scuole supe-riori tedesche e dell’Universitàpopolare hanno partecipato aldibattito, portando le loro espe-rienze per dare un futuro allamemoria. Il giorno successi-vo - venerdì 30 maggio - pres-so la scuola “Sophie - Scholl- Oberschule” a BerlinoSchoneberg, si è svolto un di-battito sulla dittatura fascistain Italia e in Germania. Gli studenti presenti hannopartecipato con numerosi eprecisi interventi dimostran-do interesse e conoscenza del-

l’argomento. Sabato 31 mag-gio in Berlino Schoneberg, al-la presenza di molti italiani dalungo tempo residenti aBerlino, Amos Luzzato eRenato Butturini hanno tenu-to una relazione sul tema delrazzismo, che ha introdottoun’intensa discussione allaquale hanno partecipato inse-gnanti dell’Istituto italiano diCultura e componenti dellaComunità israelitica di Berlino.All’incontro ha presenziatoinoltre il console italiano inBerlino. Domenica 1° giugnoinfine, una delegazione deipartecipanti ai dibattiti dei gior-ni precedenti si è recata pres-so la “Comunità di Treuen-britzen” dove è stata accolta

dai rappresentanti locali peruna visita a un cippo in ricordodi 157 italiani fucilati nei gior-ni della liberazione. Suc-cessivamente è stato visitatoil vicino campo di concentra-mento e il cimitero a ricordodei caduti di tutte le naziona-lità. Gli incontri hanno dimo-strato la necessità indilazio-nabile di dare un futuro allamemoria delle tragiche espe-rienze del passato affinché lenuove generazioni sappianoreagire alle tentazioni di co-loro che vogliono far dimen-ticare l’impegno di allora, indifesa dei diritti dell’uomo,della solidarietà, della demo-crazia e della pace.

R.B.

Mille giovani a Struthof

Venerdì 9 maggio mille giovani provenienti dai quin-dici Paesi che aderiscono all’Unione Europea si sonoritrovati a Strasburgo, ospiti del Parlamento Europeo,per celebrare la Giornata di riflessione e protesta con-tro il razzismo e l’antisemitismo. Dopo la seduta ple-naria essi si sono recati a visitare l’ex campo di con-centramento nazista di Struthof Nazwiller per unacerimonia in onore dei deportati che a seguito dellafolle politica hitleriana qui sono caduti a migliaia.L’abbinamento delle due iniziative, promosse e volu-te dal Parlamento Europeo per motivare i giovani nel-l’applicazione dei principi sanciti dalla Convenzioneeuropea dei diritti dell’uomo e dalla Dichiarazioneuniversale dei diritti dell’uomo, a suo tempo elabo-rati dalla stessa Assemblea, attesta lo sforzo che ilmassimo organo legislativo europeo compie per man-tenere i propri impegni e per rendere i giovani con-sapevoli che quella della tolleranza e della pacificaconvivenza delle genti è l’unica strada percorribile.Una strada tutta in salita, ma alla quale non vi sonoalternative.

La Comunità ebraicaonora i giusti

In concomitanza con la celebrazione della giornatamondiale a ricordo dei sei milioni di ebrei caduti neicampi di sterminio nazisti, la Comunità ebraica diMilano ha dedicato, nell’atrio della scuola ebraica,una targa ai “giusti”, cioè coloro che negli anni ter-ribili della persecuzione attuata sotto la RepubblicaSociale Italiana, hanno, spesso con grandi rischi per-sonali, aiutato le famiglie degli ebrei a sfuggire alladeportazione.Nell’inaugurazione della lapide, Teo Ducci, vicepre-sidente dell’Aned di Milano, ha ricordato GiorgioPerlasca che, analogamente a Wallenberg e al conso-le Lutz a Budapest, ha sottratto alle SS migliaia diebrei ungheresi, ma soprattutto il commissario Palatucciche per aver fatto altrettanto, scoperto dalla Gestapo,è finito a Dachau, dove è morto pochi giorni primadella liberazione. Ducci ha sottolineato che della de-portazione non basta ricordare gli orrori, ma occor-re evidenziare anche gli atti di solidarietà, di corag-gio nell’opposizione alla barbara ondata del terrori-smo nazifascista.

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Manifestazione internazionale lo scorso 14 giugno

Sistemata inSlovenia l’areadel campo di PodljubeljLa manifestazione in ricordo dei morti nelcampo di concentramento di Podljubelj inSlovenia, dipendenza di Mauthausen, è stataparticolarmente solenne e partecipataquest’anno, il 14 giugno scorso, indetta dallaLega degli ex combattenti partigiani e dalComune di Trzic, dove si trova il Lager.

L’area del Campo di Podljubeljè stata interamente ripulita esistemata, con tutte le indica-zioni utili ai visitatori per com-prendere la struttura e il fun-zionamento del campo. I de-portati, provenienti da tuttaEuropa, compresa l’Italia, ave-vano dovuto scavare la galle-ria di Ljubelj tra Austria eSlovenia, a mille metri di al-titudine, in terribili condizio-ni climatiche, specie d’inver-no, durante la guerra.Erano presenti il ministro del-la Difesa della Slovenia, i rap-presentanti di gran parte delcorpo diplomatico e consola-re accreditato a Lubiana, unadelegazione dell’Aned, del-l’Anpi e dell’Anppia, alcunisopravvissuti francesi, austriacie sloveni, una foltissima rap-presentanza di associazioni diex deportati e combattenti con

le loro bandiere, cori e bandadi minatori, scolaresche.Dopo il saluto del sindaco delluogo agli ospiti venutidall’Austria, dall’Italia e dal-la Francia, ha parlato l’orato-re principale, l’on. BorutPahor, che ha reso omaggioai Caduti del Lager e della lot-ta di liberazione. “Solo la lot-ta partigiana ha salvaguarda-to il popolo sloveno dalla vo-lontà di annessione fascista enazista e nessuno ha il dirit-to di oltraggiarla con quantoè avvenuto nel dopoguerra. Con il ristabilimento della de-mocrazia e il raggiungimen-to della indipendenza, laSlovenia ha realizzato i suoipiù alti obiettivi.”Il saluto delle associazioni ita-liane della Resistenza è statoportato da Ferdinando Zidar,presidente dell’Aned di Trieste.

■ Il Lager di Podljubelj,da un disegno di un exdetenuto.

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Sarà ampliatoil museo dellaResistenzadi via TassoPositiva risposta alle richieste del comitato tra le associazioni antifasciste romane. La mancata celebrazione dell’anniversario del 25 aprile da parte dell'amministrazionecomunale di Roma aveva suscitato le più vibranti proteste dell’Aned e di tutte le organizzazioni dell’antifascismo e della Resistenza.

A seguito anche di questo fat-to si è costituito a Roma ilComitato di coordinamento trale associazioni romane, di cuiè stato eletto responsabile ilpresidente della nostra sezio-ne Aldo Pavia. Grazie anchealle pressioni di questoComitato e, questa volta, allamaggiore sensibilità del sin-daco Francesco Rutelli, e auno sforzo organizzativo ve-ramente meritevole dell’am-ministrazione, il 4 giugno si ècommemorato con molta di-gnità l’anniversario della li-berazione di Roma.Al mattino, presenti le mag-giori autorità, veniva posta unacorona alla Storta, in memo-ria degli assassinati in quelluogo. Tra loro il sindacalistaBruno Buozzi. Veniva poi ap-puntato dal Sindaco Rutelli sulgonfalone della città laMedaglia di bronzo al ValorMilitare alla memoria, con-cessa dal presidente dellaRepubblica al combattenteGiulio Sacripanti, morto aEbensee nel ‘45. Concludevala commemorazione il prof.Vassalli, testimone di quellegiornate romane.Dopo aver deposto una coro-na a Forte Bravetta, ove av-

venivano le fucilazioni dei con-dannati a morte, nel pome-riggio aveva luogo l’incontroa via Tasso. La manifestazione, aperta daun concerto della Banda del-la Polizia Municipale, avevail suo momento saliente congli interventi del sindaco, delpresidente della Provincia,Fregosi, della Regione,Badaloni, del sen. Paolo EmilioTaviani e dell’on. Veltroni inrappresentanza del governoche annunciava la volontà diampliare, con nuovi locali ilMuseo della Resistenza di viaTasso. Alla sera, per conclu-dere nel ricordo anche dellafelicità dei romani per la riac-quistata libertà, si è tenuto unconcerto per tutti, intorno alMarco Aurelio, con suggesti-va musica per organetti eHadash Klezmer. E’ stato infine rinnovato im-pegno delle associazioni e delsindaco per rendere semprepiù radicata nella cittadinan-za la memoria della conquistadella democrazia, pagata connove mesi della più dura oc-cupazione, con la deportazio-ne del Ghetto, il 16 ottobre del‘43, con il massacro delleArdeatine, il 24 marzo ‘44.

Nella primavera del 1944 mol-te donne diedero l’assalto, perprocurarsi del pane per i lorofigli e congiunti, a un deposi-to di viveri a Ponte di Ferro(oggi Ponte dell’Industria) lun-go la via di Porto Fluviale, sul-le rive del Tevere. Dieci di loro, catturate, ven-nero lì fucilate. I loro nomi:Clorinda Falsetti, ItaliaFerracci, Elvira Ferrante,Eulalia Fiorentino, ElettraMaria Ciardini, Assunta MariaIzzi, Silvia Loggreolo, EsperiaPellegrini, Concetta Piazza,Arialda Pistolesi. Assassinateper un pezzo di pane, abban-donate lungo una strada conun disprezzo pari alla viltà de-gli assassini.Oggi una lapide le ricorda nelluogo del loro sacrificio, unalapide che solo a pochi gior-ni dall’essere stata scoperta,gli squallidi epigoni degli as-sassini hanno provveduto alordare con simboli e scrittenazifasciste. Alle dieci marti-ri l’Aned ha portato la testi-monianza di fedeltà e diprofondo omaggio con la pre-senza di una delegazione e conla propria bandiera. L’8 set-tembre, poi, al Quadraro, quar-tiere operaio, base e rifugio

dei partigiani, i nazifascistioperarono uno dei più duri ra-strellamenti, teso a scompa-ginare la Resistenza romana.Circa duemila gli arrestati, dicui un migliaio presero la viadei campi di concentramentoin Germania. Non molti tornarono alle lorocase. A ricordare la popola-zione del Quadraro, il sinda-co Rutelli, il presidente dellaProvincia Fregosi e quello del-la Regione, Badaloni, nonchéla più qualificata presenza del-le associazioni dell’Anti-fascismo, della Resistenza, del-la Deportazione. Per l’Anedhanno portato il saluto e la te-stimonianza Vera Michelin eSettimia Spizzichino. La ban-diera dell’Aned si è inchina-ta al ricordo delle vittime,quando è stata deposta una co-rona d’alloro alla lapide deipartigiani caduti. La cerimo-nia è stata chiusa dall’inter-vento del presidente Nilde Jottiche, rivendicando l’attualitàdei valori della Resistenza, hasottolineato quanto l’impegnodelle donne sia stato essen-ziale alla vittoria dell’antifa-scismo e alla affermazione del-la democrazia nel nostro Paese.

Aldo Pavia

Un doveroso e atteso tributo

Una lapide a ricordo delledonne fucilatea Roma nel ‘44Roma ha ricordato l’occupazione nazista e l’inizio della lotta per la sua liberazione e per la sconfitta del nazifascismo,recuperando la memoria di due fatti tantosalienti quanto poco conosciuti della storiadella città in quegli anni: l’assassinio di diecidonne a Ponte di Ferro e il rastrellamento del Quadraro.

L’annuncio nell’anniversario della liberazione

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Per garantire un’adeguataassistenza ai visitatoridell’ex campo di Dachau,si è costituita una cooperativa frasuperstiti disponibili a questo tipo di collaborazione e giovani della vicina cittàomonima, sensibili allanecessità di spiegare come e perché in quelluogo e in quei tempimigliaia di avversari del nazismo sono stati

L’originale iniziativa presa a Dachau

Cinque regoled’oro per chiaccompagnale visiteai Lager

deportati, maltrattati e assassinati.A conclusione di un ciclodi attività, riuniti in assemblea, essi hannocompiuto un esame coraledelle loro esperienzeriassumendo in undocumento, che traduciamoe trascriviamo, le lororaccomandazioni per il miglior approccio con i giovani e i meno giovaniche varcano i cancelli delMemorial Dachau. Eccolo:

Arrivederci a Noto

Successo di un convegno sulla Resistenza e il razzismo ieri e oggi

In una stupenda mattinata siciliana, a Noto, nelle sa-le di Palazzo Trigona, tornato allo splendore origi-nale grazie all’intervento dell’amministrazione co-munale, lo scorso 10 maggio ha avuto luogo l’in-contro-dibattito sugli eccidi da via Rasella aMarzabotto, la Resistenza e il razzismo ieri e oggi,organizzato dalla Scuola Media “G. Melodia” e dal-l’assessorato alla Pubblica istruzione della città diNoto.Dopo il saluto del sindaco, Raffaele Leone e del-l’assessore Corrado Salemi, del provveditore e delpreside Corrado Rinaldi, i relatori Bruno Sidoli (pro-getto Monte Sole), Angelo Bandinelli (giornalista),il professor Campitelli (Anfim) e Aldo Pavia (Aned)affrontavano il tema, ampio e complesso, del dibat-tito. Di particolare rilevanza la testimonianza del no-stro compagno Nunzio Di Francesco, superstite diMauthausen, che con un umanissimo breve raccontodella sua vicenda di partigiano e di deportato cat-turava la più attenta e intensa partecipazione, so-prattutto dei giovani. Questo incontro-dibattito con-cludeva una iniziativa di ampio respiro che a Notoha visto coinvolti tutti gli studenti, in particolare quel-li delle terze classi delle medie che, partendo da unaprofonda riflessione sul razzismo ieri e oggi, li haportati alla realizzazione di una mostra e lettura del-la stampa nel periodo 1936-1945 e alla visione ra-gionata di film di particolare significato, tra i qualiJona che visse nella balena, Roma città aperta eSchindler’s list. Per concludersi con una visita alleFosse Ardeatine a Roma.Ospiti della città di Noto, famosa per l’ineguaglia-bile architettura barocca, i relatori concludevano lagiornata, ricca di intense emozioni assistendo a unconcerto nel rinnovato Teatro Comunale, accolti dal-le note di “Bella ciao”. Dall’Aned un caloroso rin-graziamento al professor Ambrogio e un fraterno: ar-rivederci a presto.

Molti sanno come èandata a finire, ma pochisanno come è cominciato.Dachau è luogoparticolarmente importanteperché qui si focalizzal’antefatto del nazismo eprende consistenza la suateoria. Spiegatelo, anchese non tutti se l’aspettano.

Di grande importanzasono i colloqui durante e dopo la visita. Essi sonomolto più efficaci di ognimonologo. Provocaredomande soprattuttocollettive è più importanteche illudersi d’averspiegato tutto in due ore.

Ci sembra un’esperienzaimportante della qualeognuno di noi dovrebbeapprofittare.

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Iniziate sempre da zero.Non fidatevi chesoprattutto i giovanisappiano veramente quelloche i loro insegnantihanno o avrebbero dovutospiegare prima della visita.

Non sovraccaricate ivisitatori con i vostridiscorsi. Non entrate introppi dettagli. Non siateprolissi e non datel’impressione di esserel’enciclopedia della storiadella deportazione.

Spiegate le correlazionidegli avvenimenti e non singoli fatti e racconti dell’orrore.Preferite passare persuperficiali quando parlatedella storia dal 1918 in poie non cercate diimpressionare i visitatoricon i vostri discorsi.48

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Bolzano, un tunnelverso la fuga.Qualcuno ne sa qualcosa?

Chi ha conosciuto a Gusen questo ragazzo di Foligno?

Chi ha notizie di questi compagni?

Il compagno Giorgio Alessidi Genova, ex deportato aBolzano (matricola 4.856)e Flossenburg (matricola23.543), ha scritto alla segre-teria nazionale dell’Anedchiedendo di essere aiutato arintracciare qualcuno degliex deportati nel Blocco Bcon i quali organizzò allafinedi novembre del ‘44 unavventuroso quanto sfortuna-to tentativo di fuga dalcampo.Nella sua lettera, Alessi rac-conta di avere scavato per unmese con altri sei compagniun tunnel sotterraneo dalblocco fino a oltre il recintodel campo. Ma che il tentativo fu scoper-to quando sembrava prossi-

Durante la mia degenza al “Revier” di Gusen 1 ho assistito allamorte di un ragazzo (coetaneo) di circa 18-22 anni.In un momento di lucidità mi raccontò di essere di Foligno eche, nei periodi estivi andava sempre dai nonni che avevanouna casetta in riva al lago Trasimeno.Forse il Comune di Foligno può avere qualche notizia su di lui.E forse qualche altro deportato a Gusen si ricorda questoragazzo.

Luigi Porro

mo al successo.Dei compagni di avventuraAlessi ricorda che uno erachiamato "Scampolo", e cheè morto; un altro era un talBoero di Genova, mortoanch’egli. Un terzo era un tal Massari,anch’egli di Genova. Tuttifinirono nelle celle delcampo, e per tre giorni rima-sero senza mangiare. Alessifu spedito a Flossenburg conl’ultimo trasporto dall’Italia,e da allora dei sei compagninon ha avuto più notizie.C’è qualcuno tra i nostri let-tori che può aiutare a fareluce su questo episodio? Incaso affermativo preghiamovivamente di prendere con-tatto con l’Aned.

La Sezione Aned di Roma sta cercando di ricostruire la vicen-da di due deportati:

Zavalloni Paolo - nato il 17/3/1889 - deportato da RomaTiburtina con trasporto del 4/1/1944 - arrivato a Mauthausen il13/1/1944 - matricola 42224 - deceduto l’11/2/1945.

Grattarola Alessandro - nato a Ponzone d’Acqui (Al)l’11/6/1926 - arrestato il 23/12/1944 a Cavatore dai repubbli-chini - partigiano dopo l’arresto portato alla caserma di AcquiTerme, poi alla cittadella di Alessandria - successivamente aMonza o Sesto San Giovanni (Mi) in campo custodito da tede-schi - deportato ai primi del gennaio 1945 a Aschersleben(matricola 1439 ?) - liberato dai francesi, nel campo di raccoltaincontrò un certo Landi Angelo di Acqui (deceduto da qualcheanno) - rientrato in Italia ai primi di agosto 1945 (certificatoDisplaced Person datato 10 agosto rilasciato a Como).

Chiunque avesse notizie in merito è pregato di mettersi in con-tatto con la sezione di Roma - Via del Tempio 1/A - 00186Roma - telefono 06/68.77.622

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Una lettera da Bolzano diGiorgio Alessi alla madre.

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L’Aned coi partigiani contro la mostra sul Duce

a Seravezza

L’Aned ha partecipato alla manifestazione di protestadegli antifascisti versiliesi (Anpi versiliese e Comitatoper le onoranze ai Martiri di Sant’Anna) a Seravezza(Lucca) in occasione della mostra su Mussolini “L’uomodella Provvidenza (iconografia del duce 1923-1945)”.E’ sembrata infatti una disgustosa provocazione la per-vicacia degli organizzatori di una simile mostra, in un’a-rea geografica tanto provata dalla ferocia nazifascista:basti ricordare gli eccidi di S. Anna di Stazzema, di Fornoe delle Fosse del Frigido (Ms).Il corteo che ha visto la partecipazione di molti anzianipartigiani, oltreché di numerosi gonfaloni dei Comunitoscani, era caratterizzato dallo sfilare di cartelli ‘topo-nomastici’ che ricordavano luoghi delle stragi e numerodei caduti. L’orazione ufficiale è stata tenuta dal sena-tore Flavio Bertone (Walter), comandante partigiano delComitato nazionale dell’Anpi.E’ stato anche trasmesso un lungo e accorato messaggiodi partecipazione da parte di Leonetto Amadei, già pre-sidente della Corte Costituzionale.

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Roma: Vera MichelinSalomon, vicepresidentedella sezione AnedPer uno spiacevole errore nella notizia del rinnovo delConsiglio della sezione Aned di Roma, pubblicata su“Triangolo Rosso”, è stato omesso il nome di Vera MichelinSalomon che è stata eletta vicepresidente della sezione, conl’incarico, in particolare, di responsabile delle attività culturali.Della omissione ci scusiamo con Vera e con tutti i lettori.

Qualcuno ha conosciuto miozio morto a Flossenburg?

Faccio parte dell’Aned di Verona in ricordo di mio zioche fu deportato in Germania nel 1945. Dopo aver con-sultato dei documenti (datati 10 agosto 1964)dell’International Tracing Service (I.T.S.), della CroceRossa Internazionale di Arolsen e l’elenco nominativopubblicato sul libro di Valeria Morelli: “I deportati ita-liani nei campi di sterminio 1943 - 1945”, sono arrivatoalla conclusione che mio zio dovrebbe essere sepolto inGermania. La mia intenzione sarebbe quella di rimpa-triare i resti della salma. A questo proposito volevo chie-dere se qualcuno è in grado di indicarmi a chi posso ri-volgermi per effettuare tale operazione. Inoltre colgol’occasione, per inviarvi tutti i dati in mio possesso, perchiedere se qualcuno abbia per caso conosciuto mio zioe mi possa così dire qualcosa sulla sua permanenza o sul-la sua morte in campo di concentramento.

Zamboni Luciano - GiovanniNato il 3 febbraio 1923 - a Mizzole - VeronaProfessione Meccanico - Stato civile celibeEntra nel campo di concentramento di Flossenburg il 23gennaio 1945, numero di matricola 43738, categoria de-tenuto politico; il 22 marzo 1945 viene trasferito al cam-po di Natzweiler commando di Offenburg. Rientra aFlossenburg il 6 aprile dove muore il 4 maggio 1945.Secondo l’I.T.S. è sepolto nel cimitero di Flossenburg,mentre Valerio Morelli nel cimitero dei soldati italianidi Monaco.

Roberto Zamboni - Via delle Ginestre, 537033 Montorio Veronese - Verona

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Presente don Angelo Dalmasso, compagno di deportazione

Ricordato a Corno di Rosazzodon Erino, deportato a Dachau

L’arcivescovo diUdine, monsignorAlfredo Battisti, haricordato le dotiumane e religiose didon D’Agostini, pretepartigiano che pagòcon l’arresto e con ilLager il proprioimpegno civile.

Il 13 luglio scorso nella sug-gestiva cornice dell’antica emagnifica Abbazia di Cornodi Rosazzo, storica dimoraestiva dei vescovi udinesi,l’Arcivescovo di Udine Mons.Alfredo Battisti ha voluto ri-cordare don Erino D’Agostini,indimenticabile sacerdote-par-tigiano che tanto bene operòsulle montagne delle Prealpi,teatro di furiosi combattimenti,e successivamente nelle car-ceri di Udine, dove fu dete-nuto, e a Dachau dove infinefu deportato.L’arcivescovo di Udine ha vo-luto personalmente officiarele celebrazioni tenute con gran-de solennità davanti a un im-ponente numero di fedeli, pro-nunciando una commoventeomelia nella quale ha ricor-dato le grandi qualità religio-se e umane dell’indimentica-bile sacerdote. Nutrita la pre-

senza degli ex deportati e ami-ci di don Erino con il labarodell’Associazione. Per l’oc-casione è stato graditissimoospite don Angelo Dalmasso,che fu compagno di deporta-zione e amico del religiosofriulano a Dachau.Don Dalmasso, ormai ottan-tenne, ma in perfetta forma,ha ricordato con accorate pa-role dall’altare le benemerenzedell’amico don Erino, descrittedal volume “Dalla montagnaa Dachau” e nello stesso tem-po quelle di centinaia di sa-cerdoti che hanno operato conardimento nei campi di ster-minio. Il presidente dell’Aneddi Udine, Paolo Spezzotti, par-lando alla televisione locale,ha evidenziato la grande ami-cizia che ha legato don Erinoagli amici friulani, anche ne-gli anni successivi allaLiberazione, e ha ricordato

episodi e particolari che nehanno fatto uno degli asso-ciati di maggior rilievo.Benvoluto e stimato per leeccezionali virtùumane ec r i s t i a n e ,per lo spiri-to di sacrifi-cio, la abne-gazione e l’in-domito corag-gio, don Erino èricordato inFriuli con immu-tato ricordo comeuno storico perso-naggio della lottaper la liberazione.

Cerca il libro“Dora”di Jean MichelMio suocero, GiuseppeZanatta, fu deportato aDora. Ho saputo che c’èun libro molto ampio edocumentato sul cam-po, scritto da JeanMichel, e l’ho cerca-to inutilmente in mol-te biblioteche e li-brerie. C’è qualcu-no che sa come po-trei averne una co-pia?

Grazie anticipatamente.

Renato Vendraminvia San Cassiano 6

31055 Quinto di Treviso(Tv)

■ Nella foto in alto Don Dalmasso con alcuni ex deportati friulani all’abbazia di Corno di Rosazzo.

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E’ morto uno dei più eminentiantifascisti del Friuli VeneziaGiulia, lo sloveno VladimirKenda - Miro. Nato a Idria nel 1915, fu con-dannato dal tribunale specia-le fascista a 18 anni il 20marzo del 1936, e rimase aCastelfranco Emilia fino al di-cembre 1943. Uscito, entrònel movimento partigiano, pri-ma nella Brigata Garibaldi,come vice commissario poli-tico; poi fu insegnante nellascuola allievi sottoufficiali peri partigiani italiani del VIICorpo d’armata sloveno; in-fine fu membro del comandodella Brigata Fontanot. Nel dopoguerra lavorò comegiornalista al quotidiano co-munista di Trieste “IlLavoratore”, poi in altri gior-nali e infine nel quotidianosloveno “Primerski Dnevnik”,dedicandosi soprattutto a com-menti di carattere politico. Fu anche dirigente di asso-

Superstite di vari campi e diAuschwitz

Angelo Verzaniha voluto esser cremato comeha visto fare lì.I compagni della Sezione Aneddi Milano gli hanno reso l’ul-timo saluto il 25 settembrescorso.

E' scomparso il 20 agosto scor-so

Angelo Manzottiex deportato a Mauthausen(matricola 126.269) e a Gusen.

Giovanni Melodia, nel suo li-bro più noto, in apertura alcapitolo il cui titolo abbiamoripreso per il nostro ricordo,ha scritto: “Vengono daBuchenwald, no da Flossen-burg, da Kempten... Ma a noii nomi non interessano.Guardiamo atterriti perché maici è accaduto di vederli cosìda vicino, in pieno giorno, gliuomini non più uomini, spet-tri spaventosi che, disperata-mente, incredibilmente, cer-cano ancora di camminare esi trascinano, le braccia degliuni sulle spalle, sulle bracciadegli altri nel tentativo folle,assurdo, di mantenere l’alli-neamento, retaggio di un in-domabile terrore (...)Guardo (...), è verso il fondodella Lagerstrasse che li av-viano, io sto frugando tra leultime file, dove c’è qualcu-no che ha un fardello, comeuna gerla, sulle spalle, il cor-po inerte di un amico, un com-

Ercole Maranzana ci ha lasciati

Uno fra tanti nella “processione di spettri” Lutto dell’antifascismo a Trieste

pagno, o di uno sconosciu-to...”Come Melodia apprenderà piùtardi, uno dei fantasmi cheavevano trascinato o si eranocaricati sulle spalle un altrofantasma, era il veneto ErcoleMaranzana che, per molti chi-lometri, aveva sostenuto e qua-si trasportato il suo conterra-neo Francesco Bortoluzzi, luipure partigiano. Ercole non aveva mai parlatodi questo fatto. Lo ha rac-contato il Bortoluzzi, met-tendolo per iscritto, affinchéun così meraviglioso com-portamento non restasse igno-rato. Questo il ricordo che tut-ti noi porteremo nel cuore, diErcole, partigiano, combat-tente, deportato, compagno efratello nella lunga storiadell’Aned, cui mai ha fattomancare il suo prezioso con-tributo di testimonianza e diimpegno.

Aldo Pavia

ciazioni della Resistenza e delPartito Comunista. Era pluridecorato al valor mi-litare.Alle esequie nel cimitero diS. Anna di Trieste è stato sa-lutato per l’ultima volta dauna grande folla commossa.

La sezione di Schio ha persodue soci, iscritti da molti an-ni e con cordoglio ne annun-cia la scomparsa:

L’11 agosto è mancato

Lorenzo Griffanipartigiano antifascista, ex de-portato a Munich-Bernau.

Il 29 agosto anche il socio

Giuseppe Nogarinex deportato a Bolzano (ma-tricola 6.435) è “andato avan-ti”...

La sezione di Torino annun-cia, con profondo cordoglio,la scomparsa di

Angela Pirone Salvetticompagna del nostro compa-gno Renato Salvetti, ex de-portato a Mauthausen.

Il 13 febbraio scorso è venu-to a mancare

Luigi Saladi 85 anni, deportato il 22 set-tembre 1944 a Buchenwald(matricola 57.527)

La sezione di Milano annun-cia con dolore la scomparsa,avvenuta il 5 agosto 1997, delcompagno

Mario Cornadi 78 anni, ex deportato a Mau-thausen (dove fu registrato conla matricola 115.454) e a Gu-sen, iscritto alla nostra asso-ciazione fin dai primi anni deldopoguerra.

E’ scomparsa il 28 maggioscorso la compagna

Teresa Pellicciarinata in provincia di Rovigo82 anni fa, e da tempo resi-dente a Parigi. Arrestata nelmarzo del 1944, detenuta aSan Vittore prima e a Bergamopoi, fu deportata a Mauthausennell’aprile dello stesso annoe poi, l’8 maggio, deportataad Auschwitz (matricola78.984). Rientrò in Italia, co-me molti superstiti del cam-po, solo nel settembre del1945.

La sezione di Milano annun-cia a quanti lo conobbero lascomparsa del compagno

Gino Fanzeldi 66 anni, figlio del compa-gno Antonio Fanzel, deporta-to a Mauthausen (matricola61.630) e ucciso a Gusen IIil 20 agosto del 1944.

La sezione di Milano partecipa al cordoglio deifamiliari per la scomparsadel compagno

Giordano Oldanidi 76 anni, partigiano, exdeportato a Bolzano,Flossenburg (matricola 21.503) e Kottern (matricola 116.344).

La scomparsa di Vladimir Kenda

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di Patrizia Puccio

La giornata era giunta stancamente al momento in cui il sole sicurva verso ovest per iniziare la sua discesa sull’altra metà delcielo; l’aria calda di giugno penetrava a tratti dalle imposte chiu-se, e il sole filtrava dagli interspazi andando a colpire i mobilialle mie spalle. Il cassettone, lo specchio, la cornice rococò diun vecchio dipinto, l’armadio, la tazza da caffè piena, sul como-dino. La luce in forma di tanti cerchietti luminosi, faceva ghiri-gori sulla lanugine bionda delle mie braccia, abbandonate ingrembo come senza vita. Era una giornata come le altre, ugualea ieri e identica a domani; le risa della gente, i piccoli mercan-teggiamenti ai banchi del mercato, semivuoti e perduti nel gran-de spazio della strada, le grida di alcuni bambini cenciosi e lechiacchiere della vicina... Sembrava tutto visibile e definitoanche con le imposte chiuse e io potevo vedere tutto come sefossi stata lì; la vita brulicava tre piani più sotto e io ero morta,seccata dentro, come un fiore senza sole e senza acqua. Tre anniprima Marco era tornato a tarda notte, non aveva voluto parlare,si negava ai miei sguardi, alle mie domande, alla mia paura, allamia gelosia. Gelosa di che, di chi, mi urlava senza parole con gliocchi feriti. Ma erano le tre di notte e il coprifuoco scattava alleundici; che cosa avrei dovuto pensare, sola e affranta nel mioletto, in una città svuotatadalla guerra e dalle deporta-zioni?-Domani parto con Fabio,parto per il Nord; da sola aRoma non ci resti. Ho scrittoalla zia, vai da lei in campa-gna finchè non torno. Disse tutto in fretta, come per liberarsi di un peso, poi mi presele mani e se le portò alle labbra, guardandomi con gli occhicolmi di tristezza, paura, e non so che altro. -Dormi, che ti fa male star sveglia, domani appronto tutto io, tisveglio a cose fatte e partiamo. Questo disse prima di stringermi a sé e addormentarsi. In campagna mangiavo solo pane nero e riso e latte, ma in gros-se quantità e sempre il latte migliore. Ero incinta, sola e sfollata,ma in buone mani. -Deve nutrirsi, la ragazzina, perché aspetta, mica come te, chestai sempre lì seduto e mangi pane a tradimento.La zia rimbrottava il vecchio marito, guardandolo da sotto in suattraverso gli occhiali, con una smorfia acida sul viso rugoso.Quando eran trascorsi tre mesi dalla partenza di Marco, unmattino di settembre, uggioso e spento, i dolori cominciarono asquassarmi le reni. Dopo otto ore di travaglio un vagito acuto e sonoro proruppe trale mura della casa: era nata Rebecca. Avevo dato al mondoun’altra vita mentre i tedeschi ne raschiavano via migliaia dallafaccia scura della terra. Guardavo il visino roseo di mia figlia emi chiedevo dove fosse suo padre, passando ore alla finestrapregando di vederlo tornare. La zia mi carezzava i capelli sospi-rando, poi si sedeva accanto a me e prendeva a cucire camicioleper la bambina, con una tela grigia e ruvida al tatto: tutto quello

che aveva, tutto ciò che ci era rimasto. Anche la mia anima, coltempo, divenne come quella vecchia tela; grigia e ruvida, cosìmi sentivo, dentro e fuori.Tre giorni fa i nazisti irruppero di botto nel cascinale, urlandotorrenti di parole dure e incomprensibili. Rebecca piangeva, lazia sgranò occhi, bocca e rosario, tempestandolo di Ave Maria,lo zio non ebbe neppure il tempo di accorgersene che il cuoregli venne meno. Povero zio, muto e immobile sulla sua vecchiasedia accanto alla stufa, e la pena straziante di non potergli daresepoltura, mentre ci caricavano spintonandoci su grigie camio-nette colme di uomini, donne, bambini... -Ave Maria piena di grazia, il Signore è con te... -Prega zia, prega per te, per me, per Marco, prega. Prega.Oggi. 18 giugno 1945, tappata in questa tana come un topo difronte alle finestre aperte con le imposte chiuse, fuori la cittàtenta di rifiorire, la gente vuole dimenticare. Tutto è uguale aieri, tutto sarà uguale domani. Sola, di fronte alle imposte serra-te, guardo giocare Rebecca; da tre anni non ho più notizie di lui,da tre anni e in tre anni, le sole cose che so sono due: era mem-bro della Resistenza, era stato fatto prigioniero e poi deportato aDachau dai nazisti. Era morto, gassato, fucilato o chissà che, lui

era morto e io non sapevodove, non sapevo su qualetomba affondare le ginocchiaper pregare, non sapevo suquale marmo gridare la miadisperazione e la mia rabbia,non sapevo dove poter posarei miei fiori e la mia rabbia, sì

la mia rabbia, perché lui se ne era andato e io non sapevo nulla,era partito per combattere le tenebre e io non sapevo nulla. Miaveva escluso, ed era partito per me e contro di me, e per i suoiideali ci aveva tradite, se ne era andato.Dalla strada la gente urlava come impazzita, i bambini chiama-vano a gran voce e le donne piangevano; che era? Che stavaaccadendo ancora, adesso che la guerra era cosa lontana ed ionon avevo più nulla? La gente correva sulle scale e le gridapiene di pianto coprivano il silenzio. Rebecca, immobile, guardaalle mie spalle, mi volto. Un uomo cencioso, sporco e scavato inviso mi guarda triste, le sue mani sono rose e screpolate, i suoiocchi spenti e lucidi, le sue labbra arse si aprono in un sorriso, eda quel sorriso tutta la nostra vita esce come per incanto, la pri-mavera del ‘38 quando le campane suonavano e i suoi occhiridevano mentre mi portava in braccio qui, in questa casa, inquesta stanza. Un nodo mi si era fermato sulla bocca dello sto-maco e piano come una lenta lumaca mi saliva verso la gola,attraversando la mia anima come io avevo attraversato queglianni, con le labbra dischiuse lo attendo riemergere, un urlo, unostrepito di gioia, di amore, di tristezza - Marco, Marco, Marco. Rebecca, piccola e soffice si stringe alle mie ginocchia, Marcomi abbraccia forte, mentre il sole si tuffa dietro il cupolone,aranciando il cielo ancora caldo di questa calda giornata di giu-gno, e la guerra è cosa lontana.

“Tela grigia”

IL RACCONTO

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Per gli amici che collaborano

sette regole da ricordareQuesto giornale come probabilmente tutti sanno - e se no è bene ribardirlo - si fonda sul lavoro volonta-rio. Nessuno percepisce una lira per la sua redazione e per la sua impaginazione. Chiediamo dunqueuna mano a tutti coloro che fossero intenzionati a collaborare, per riuscire a fare meglio.

1 - Conservate sempre una copia di tutto quello che spedite per la pubblicazione, si tratti di testi, di foto o di altro ancora. Gli originali pervenuti al giornale, di regola, non saranno restituiti.

2 - Mandate articoli o lettere brevi, scritti a macchina, con una chiara intesta-zione del nome, dell’indirizzo e possibilmente del telefono del mittente. Ci aiuterà a rintracciare l’autore in caso di dubbio o di necessità di chiarimenti. Evitate, se appena ci riuscite, di scrivere a mano. Ci aiuterà a capire meglio cosa intendete dire.

3 - Se utilizzate un computer, vi saremo grati se ci invierete anche un dischettocon il vostro testo (così che non dovremo ribatterlo inutilmente). Tutti i formati più diffusi vanno ugualmente bene.

5 - Allo stesso modo evitate, se potete, di inviarci lunghi documenti da tradurreda una lingua straniera (ne sono arrivati anche in polacco). Se conoscete il testo che ci inviate, per favore fate tradurre prima la parte che ritenete più significativa.

6 - Una immagine conta più di molte parole. Inviate insieme alle notiziedelle vostre iniziative anche delle fotografie. C’è sempre qualcuno con una macchina fotografica!

7 - Nel dubbio, in ogni caso, scrivete! Fateci avere commenti, giudizi,suggerimenti, proposte. Indirizzate sempre a: “Triangolo Rosso”,presso Aned, via Bagutta 12, 20121 Milano. Potete utilizzare anche il fax (02-76020637), specificando nell’intestazioneche è indirizzato alla redazione di “Triangolo Rosso”.

4 - Se riuscite, evitate di inviarci pacchi di documenti con la raccomandazio-ne di ricavarne noi un articolo. Cercate prima sul posto qualcuno - magari ungiovane, uno studente - che possa fare per voi questo lavoro. Aiuterà noi alleggerendo il nostro lavoro, e contribuirà a raccogliere attornoall’Aned anche energie fresche.

TRIANGOLO

ROSSOIT

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Nel dibattimento a carico dell’ex funzionario di Vichy riaffioraprepotentemente il tema del collaborazionismo,rimosso per cinquant’anni sia dalle destre che dalla “gauche”.

Il processo a Maurice Papon

La Franciadavantiallo specchio

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