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www.deportati.it euro 2,50 Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione Nuova serie - anno XXXIII Numero 7-10 - Luglio Dicembre 2017 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT TRIANGOLO ROSSO Tante presenze e gravi assenze alla manifestazione al Parco nord Milano Nella notte tra domenica e lunedì 25 set- tembre è stato seriamente danneggiato il Monumento al Deportato sulla collina del Parco Nord a Milano. L’Aned e l’Anpi della zona hanno organizzato, una grande manifestazione per dare una risposta corale alla violenza contro la memoria dei deportati Il corteo è stato bello, con una numerosa partecipazione di persone di tutte le età e con le gravi assenze di comuni della zona direttamente coinvolti. Da pagina 14 ampio spazio a commenti e fotografie ELLEKAPPA Al termine della riunione del suo Consiglio Nazionale, a Brescia, l’Aned ha organizzato il 22 ottobre una manifestazione pubblica di sostegno alla proposta di legge Fiano contro la propaganda fascista e nazista. Hanno preso la parola la presidente onoraria Vera Michelin Salomon, il presidente Dario Venegoni e lo stesso Emanuele Fiano (notizie e commenti alle pagine 8 - 11) La legge Fiano: per chi si sente erede dei partigiani

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www.deportati.iteuro 2,50

Giornale a cura dell’Associazione nazionaleex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione

Nuova serie - anno XXXIIINumero 7-10 - Luglio Dicembre 2017 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

ITTRIANGOLO ROSSO

Tante presenze e gravi assenze alla manifestazione al Parco nord Milano

Nella notte tra

domenica e

lunedì 25 set-

tembre è stato

seriamente

danneggiato

il Monumento

al Deportato

sulla collina

del Parco Nord

a Milano.

L’Aned e l’Anpi della zonahanno organizzato, una grande manifestazione per dare una risposta corale alla violenza contro la memoria dei deportati

Il corteo è stato bello, con una numerosa partecipazione di persone di tutte le età e con le gravi assenze di comuni della zona direttamente coinvolti. Da pagina 14 ampio spazio a commenti e fotografie

ELLEKAPPA

Al termine della riunione del suoConsiglio Nazionale, a Brescia, l’Anedha organizzato il 22 ottobre una manifestazione pubblica di sostegnoalla proposta di legge Fiano contro la propaganda fascista e nazista. Hannopreso la parola la presidente onorariaVera Michelin Salomon, il presidente Dario Venegoni e lo stesso Emanuele Fiano(notizie e commenti alle pagine 8 - 11)

La legge Fiano: per chi sisente erede dei partigiani

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ITTriangolo rosso

Periodico dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria dellaDeportazione

Una copia euro 2,50, abbonamento euro 10,00Inviare un vaglia oppure effettuare un bonifico a:

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Direttore di Triangolo Rosso Giorgio oldrini

Triangolo rosso Comitato di redazioneSauro Borelli, Bruno Cavagnola, GiuseppeCeretti, Giorgio oldrini, oreste Pivetta,Angelo Ferranti.

Segreteria di redazione Vanessa Matta

Collaborazione editorialeFranco Malaguti, Isabella Cavasino [email protected]

Chiuso in redazione il 4 dicembre 2017Stampato da Stamperia scrl - Parma

5 per mille alla FondazioneMemoria della Deportazione

5 per mille all’AnedAssociazione NazionaleEx Deportati

Per destinare il 5 per mille alla Fondazione Memoriadella Deportazione è sufficiente apporre la firma e ilcodice fiscale della Fondazione - 97301030157 - nell’apposito modulo nel riquadro in alto a sinistra.

Quest’anno è possibile devolvere il 5 per mille al l’As so -ciazione Nazionale Ex Deportati. Basta la propria firmanel riquadro in alto a sinistra indicando nello spazio sotto-stante il codice fiscale dell’ANED - 80117610156 -

QuESTo NuMEro

Pag. 3-7 Il ricordo commosso di Ibio Paolucci, antifascista, deportato, giornalista, direttore di Triangolo Rosso -messaggi di Aldo Tortorella e Franco Giannantoni

Pag. 8 La Repubblica ha il dovere di difendere i suoi valori di Dario VenegoniPag. 10 Una Legge: per chi si sente erede dei partigiani di Emanuele Fiano

NoTIZIEPag. 12 Auguri a Carla Nespolo, nuova presidente dell’AnpiPag. 12 Condannato sindaco di Affile per il sacrario al gerarca fascista GrazianiPag. 13 “In treno con Teresio”, una nuova mostra dell’AnedPag. 14 Tante presenze (e gravi assenze) alla manifestazione al Parco Nord di

MilanoPag. 16 Nel nome di Primo Levi 600 studenti bresciani sul “treno per Auschwitz”Pag. 17 Molte le firme all’appello di Aned ed Anpi di Firenze contro aggres-

sioni di ispirazione fascistaPag. 18 Milano ricorda “Visone”. Intitolata una piazza alla Medaglia d’Oro

comandante partigiano Giovanni PescePag. 19 Il funerale dell’alpino Bernardo Sartorio. Morto nel lager settant’anni faPag. 20 Diamo un nome ai dirigenti storici dell’AnedPag. 21 Saluto romano dopo il gol e maglietta della RSI. Sfregio a Marzabotto

SAGGIPag. 22 La paura dell’altro e... i viandanti di Tolstoj di Giuseppe Ceretti Pag. 24 Baracca 18 e dintorni: laboratorio di democrazia da San Vittore a FossoliPag. 26 1-La proposta di creare la “Via della Memoria Mauthausen”

di Floriana MarisPag. 28 2-Costruire un cammino comune per la “Via della Memoria

Mauthausen” di Guy DockendorfPag. 30 Parlare di deportazione oggi a scuola: l’esempio dei laboratori didattici

di “Lapsus” di Sara TroglioPag. 34 Cosa ci dicono ragazzi e ragazze al ritorno dal viaggio Aned a

Mauthausen nel 2017 di Lucia Tubaro

LE NoSTrE STorIEPag. 38 Lo portano in Germania: “Come farete a tirare avanti senza di me?” Lei

risponde “Guido, mi te vedi pü” di Renato Sarti Pag. 40 La straordinaria storia della valigia di Dora. Come Salmoni ritrova i

ricordi di vite disfatte di Gilberto SalmoniPag. 44 In 10 mila sul cammino storico per scoprire i poli del male della

RSI, da Salò a Desenzano

BIBLIoTECAPag. 46 L’assurdo itinerario di oltre sessant’anni di gestazione di un testo riso-

lutamente Antimilitarista di Sauro BorelliPag. 47 “Als Italienerin in Ravensbrück ” Io, italiana a Ravensbrück

di Marisa QuiricoPag. 48 Il “Mein Kampf” di Hitler in edizione critica in italiano

di Antonella Tiburzi

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Èstato un pomeriggio di ricordoe di omaggio commossoquello che ha visto ritrovarsi,

nella sede della FondazioneMemoria della deportazione in viaDogana, tante persone diverse chehanno voluto parlare di IbioPaolucci, morto all’età di 90 anniquando era ancora direttore diTriangolo Rosso. Lui aveva piùvolte detto che non avrebbe volutoun funerale né una cerimonia, maobiettivamente non era facileaccettare che un uomo che haattraversato la vita italiana dai tempidella Resistenza ai giorni nostri, contanto impegno e numerose passioninon fosse ricordato con rispetto.Antifascista, deportato, inviatodell’Unità, scrittore, appassionato diarte e di musica.

Ibio è stato per anni un preziosodirettore di Triangolo Rosso eiscritto all’Aned. Proprio per

questa sua poliedricità, Paolucci èstato ricordato da persone di diversi

ambienti e con differenti interessi.Naturalmente il Presidente nazionaledell’Aned Dario Venegoni e laPresidente della FondazioneFloriana Maris. Ma con loro MarcoAlessandrini, sindaco di Pescara, masoprattutto figlio del magistratoEmilio, assassinato da Prima Lineaed amico fraterno di Ibio, ilProcuratore della Repubblica diTorino Armando Spataro,l’avvocato Guido Calvi, AlessandroPollio Salimbeni vice presidentenazionale dell’Anpi.

Lo hanno ricordato anche conun messaggio Aldo Tortorella,direttore dell’Unità ai tempi in

cui Paolucci era uno dei giornalistidi punta e Franco Giannantoni,collega e amico da sempre di Ibio, a lungo prezioso collaboratore diTriangolo Rosso. Beppe Ceretti eOreste Pivetta sono stati oltre che“allievi” di Paolucci all’Unità, i suoi“figli adottivi” che lo hanno seguitocon affetto fino alla fine.

Il ricordo commosso diIbio Paolucci,antifascista,deportato,giornalista, direttore diTriangolorosso

Nella foto di Marco Brando un bel ritratto di Ibio in redazione all’unità a Milano nel 2006.

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Il ricordo commosso diIbio Paolucci,antifascista,deportato,giornalista, direttore diTriangolorosso

Caro Pollio, mi addolora di non po-ter essere oggi con te e con voi co-me avrei desiderato per l’affettoprofondo e la stima che mi hannolegato, quasi per la vita intera a Ibio,giornalista valoroso nel senso let-terale della parola, intellettuale di va-sti interessi e di profonda cultura,autore di libri che resteranno, diri-gente politico e compagno carissi-mo nelle più difficili lotte.

La sua vita è davvero degna di ri-cordo e non solo perché tanti di noigli hanno voluto bene, ma anche esoprattutto perché è in se stessaun’opera esemplare. Durante leguerre, se si rimane vivi, si diven-ta presto adulti. Ma Pao luc ci lo eradiventato prima di altri. Eravamocoeta nei, ma, mentre io finivo il li-ceo in quel 1943, quando cadde ilfascismo, lui stava a lavorare in fab-brica da quattro anni. Aveva co-minciato all’Ansaldo di SestriPonente da apprendista come scal-dachiodi e si avviava ad essere or-mai un operaio provetto. Venti an-ni prima dalle stesse parti AgostinoNovella, che sarà uno dei massimidirigenti del PCI e segretario dellaCGIL, era andato in fabbrica allamedesima età e aveva cominciatocome aiuto batti-mazza. Novella eragenovese e orfano, Paolucci geno-vese solo d’adozione e munito digenitori toscani, ma entrambi ave-vano vissuto una infanzia proletariadi scarsi giochi e di ristrettezze, senon di stenti. Ibio ha raccontatocon sorridente memoria della suastrada, dei suoi giochi di strada edel suo casamento di Sestri dovestavano anche i fratelli Gaggero,che diventeranno l’uno il sacerdo-

te deportato e poi esponente dei par-tigiani della pace, l’altro il capo del-la commissione interna dei cantie-ri navali di Sestri, quando furonooccupati per opporsi allo smantel-lamento e durante l’occupazione glioperai e i tecnici impostarono untransatlantico.

Quegli anni dell’infanzia, come haricordato Ibio, erano tempi di po-che automobili e, poi, quasi nessu-na perché era arrivata la guerra. Sipoteva giocare a pallone per stradae lui aveva potuto farlo, come hosaputo solo leggendolo. E così nongli ho mai potuto dire, anche se sia-mo stati insieme tanti anni, l’invi-dia di un ragazzo borghese impedi-to a frequentare “le cattive compa-gnie” dei ragazzi di strada. “Quelclassismo di ceto aveva un timoregiustificato: da quei ragazzi di stra-da e di fabbrica sono venuti fuorimolti dei migliori dirigenti del tem-po migliore dei comunisti e dei so -cialisti, il tempo della resistenza,della Costituente, della fondazionedella repubblica. Per fortuna, le cat-tive compagnie c’erano anche ascuola. Il ragazzo borghese diven-tava un ribelle per colpa di un pro-fessore di filosofia, il ragazzo pro-letario per colpa dell’ingiustizia edello sfruttamento vissuto sulla pro-pria pelle.

Tuttavia la scelta della ribellionenon poteva bastare. Sono contrarioad ogni visione encomiastica dellastoria del PCI, pur essendo tra co-loro che hanno condiviso l’opinio-ne secondo cui solo uno stupido puòpensare che un albero dia frutti mi-gliori tagliandone le radici. L’albero

vecchio è stato abbattuto e così siè rovinata anche la semenza perquello nuovo, nato già moribondo epresto sommerso dalle erbacce.C’era bisogno di potare, innestare,concimare, raccogliere i frutti perseminare il nuovo, non di distrug-gere.

Ma, pur bandendo ogni nostalgia,va detto che l’incontro con il PCIdi Gramsci e di Togliatti fu certoutile a quei ragazzi della guerra,della resistenza, dei campi di con-centramento, sopravvissuti ai tantiscomparsi. E fu utile al Paese. Queigiovani appresero dalla vita diGramsci la fedeltà agli ideali di li-bertà e di uguaglianza e dai suoiscritti l’amore per lo studio più se-vero. E impararono dal “partito nuo-vo” creato da Togliatti a discipli-nare lo spirito di rivolta volgendo-lo ad una lotta costruttiva per il be-ne delle classi lavoratrici e del Paesenel quadro della Costituzione cheaveva fondato la Repubblica sul la-voro.

Non si capisce il prezioso lavorogiornalistico di Ibio durante il san-guinoso tempo del terrorismo di op-posti colori ma di medesimo bersa-glio, se non si intende la sua giustaconvinzione di trovarsi di fronte aun attacco mortale ai fondamentidella democrazia costituzionale e auna trama infame innanzitutto con-tro il partito - il PCI - che aveva piùdi altri lottato per difendere e at-tuare la Costituzione. L’assassiniodi Moro al culmine di quella sta-gione fu un capolavoro della ever-sione di destra eseguito da genteche credeva di fare la

Lo scritto di Aldo Tortorella letto da Pollio Salimbeni

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rivoluzionedi sinistra.

Ero stato ioa chiederglidi seguire lepiste nere erosse perchéci voleva co-raggio, fer-mezza, equi-librio, capa-cità politica.E per due volte Ibio fu condannatoa morte da organizzazioni nereesperte di trame e di stragi che luiave va denunciato scrivendone. Cosìcome non mancarono gli insulti ele minacce di quelli che si pensa-vano rossi, che si erano abituatatiad uccidere, e che assassinaronoCasalegno e Tobagi, come giorna-listi, e l’operaio comunista GuidoRossa e magistrati, poliziotti, poli-tici.

Fu una vera guerra che finì soloquando anche il PCI fu spiantato,crollarono i partiti costituenti, ini-ziò lo smantellamento dellaCostituzione - che poi, per fortuna,è stata salvata due volte, almenoformalmente, dal voto popolare. Mase qualcosa si è saputo della veritàdi quelle trame, molto si deve aPaolucci e alla sua collaborazionecon la giustizia. L’avevo messo ingrave pericolo ma nelle sue memo-rie ha voluto scrivere che tra i mol-ti direttori dell’Unità esperimenta-ti in quasi cinquant’anni ero statoquello “più amato”. Non l’ho mairingraziato, ma se l’avessi fatto sene sarebbe meravigliato. Non scri-veva per compiacere qualcuno.

Non c’era distinzione, in Paolucci,tra il giornalista impegnato e il di-

rigente dell’associazione dei de-portati e l’autore di memorabili ri-cordi di uomini e fatti dellaResistenza. L’erudizione musicale,la capacità critica nelle arti figura-tive, la conoscenza del teatro, la va-stità delle letture non erano passio-ni concluse in se stesse e negli scrit-ti specifici ma parti di una visionedella realtà che ha illuminato i testidi memoria storica e quelli di ap-profondimento culturale.Il triangolo rosso dei deportati, di-ventato il nome del giornaledell’ANED da lui diretto, non fumai per lui solo l’emblema di un ri-cordo straziante ed eroico ma lo sti-molo a continuare nellavoro per la democrazia e per lagiustizia sociale.

Ci ritrovammo in una impresa co-mune con Paolucci dopo più di ven-ti anni da che avevo lasciato la di-rezione de l’Unità “quando era ungrande giornale” - come ha scritto- ed eragrande per merito, certo, dei suoiredattori, ma anche e soprattutto deicompagni che lo difendevano e lodiffondevano. Con lui, e con BrunoEnriotti - giornalista nostro dive-nuto dirigente della FondazioneMemoria della Deportazione - e conaltri, ci ritrovammo, dopo la finedel PCI, per dar vita ad una asso-ciazione che si ponesse il compitodi rinnovare le idee della sinistra eche vive ancora oggi. Era già provatonella salute, ma non si sottraeva alcompito, parco di parole, acuto neiconsigli. Aveva conquistato l’auto-revolezza di un saggio.

Ma permettetemi di ricordarlo inquella Unità di Genova da cui so-no venuti tanti ottimi giornalisti e di-rigenti politici nessuno dei quali ha

dimenticato i valori per cui s’eraschierato da giovane. Sono certo af-fezionato a tutti i compagni con cuiho lavorato per trent’anni al gior-nale, ma c’è un sentimento specia-le per quella redazione genovesecui demmo vita a partire dalla not-te tra il 24 e il 25 aprile del ‘45. Luivenne più tardi. Dopo la deporta-zione, dopo il ritorno dal lager du-rato una infinità di tempo, era di-ventato un dirigente del partito ge-novese e fu chiamato quando si de-cise di portare nelle redazioni qua-dri di origine operaia - ed erano tut-ti operai che non avevano mai la-sciato i libri. E così ricordo quelgiovane dal nome curioso, Ibio, ilvolto pallido, gli occhi con un velodi tristezza. Parlammo delle sue let-ture,simili alle mie. Sapevo la sua storia,ne fui colpito.

Prima l’ho avvicinato a Novella. Ilbattimazza diventò, oltre che ungrande dirigente, unoratore politico così preciso da sfio-rare lo sfinimento professorale. Loscaldachiodi ha fatto ancora di piùnell’uso sapiente della parola, usonegato ai subalterni per poterli do-minare: Paolucci non si è fermatoal linguaggio politico, è entrato nelmondo della creazione culturale ene è diventato protagonista. Non hodetto di una vita esemplare per af-fetto o per retorica. In questi tempi in cui ascendono alcomando persone che hanno ru-bacchiato qualche titolo di studio esono esperte solo di slogan pubbli-citari, di cinguettii e di promesseinsensate, Ibio Paolucci è un veroesempio per chi voglia che il gior-nalismo sia lotta per la verità e lapolitica sia azione per la libertà eper la giustizia sociale.

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La figura dell’amico di una vita, Ibio,torna prepotente ogni mattina quan-do verso le 10 ci telefonavamo, “CiaoIbio…” “Oh caro Franco” e così via,parlando del più e del meno, con ra-ri accenni alla vicenda politica or-mai sotterrata nel fango.

Malgrado la malattia della moglieGabriella di cui ha ignorato sino al-l’ultimo la gravità, Ibio sperava cheun giorno o l’altro potesse ritornarea casa e così si sarebbe ricompostaquella unità familiare, per molti aspet-ti assai originale, che durava da sem-pre, fin dai tempi giovanili di Genovae di Varsavia dal 1958 al 1961. Ibio aveva aspettato paziente e soli-tario nel suo appartamento di viaMauro Macchi 27 al quinto piano,zeppo come un uovo, e si comporta-va, nell’attesa a cui era peraltro abi-tuato, come l’amatissima “Gabi” loaveva “educato”. Preparava spesso la cena esibendosiin piatti genovesi che gli venivanobenissimo, giocava con gli amati gat-tini poggiati sulla pancia che gli man-giavano i golfini, tutti contrassegnatialla fine da profondi crateri centrali,mentre divorava libri e ascoltava mu-sica per ore e ore. La mattina anda-va sul terrazzo dove regolarmente al-cuni uccellini arrivavano perché sa-pevano che li c’era un signore cheavrebbe dato loro del cibo.

Per Ibio era diventato un sacro rito,vissuto come una gioiosa liberazio-ne dalle ombre giornaliere. L’arrivo,all’alba, degli uccellini, era il segnoprofondo che su questa maledetta ter-ra esisteva qualcosa di buono da fa-re e da ricevere. “Caro Franco, mi diceva, per fortu-na ci sono loro, li vedo arrivare da

lontano anche se Milano è tutta un ce-mento e felici becchettano quello chegli do. Poi ripartono e il giorno do-po non mancano mai all’appunta-mento. Scompaiono l’inverno ma aprimavera si rifanno vivi”.

Questo era l’animo gentile, persinocandido, di un uomo che pur ne ave-va passate di tutti i colori, la durissimainfanzia nella campagna grossetana,a Buriano coi genitori braccianti, ladeportazione nazista nel giugno del’44 nel rastrellamento al porto diSestri Levante di mille operaidell’Ansaldo, la durezza del lavorogiornalistico con qualche incom-prensione sul terreno politico conqualche direttore a cui non facevamancare il suo pensiero usando toniinequivoci, il suicidio del Pci, la ca-tastrofe degli ultimi figuri politicioggi riapparsi in parte sulla scena, ilcrollo dell’Unità per cui aveva spe-so una vita (e di cui ha scritto unostraordinario libro, il suo ultimo,“Quando l’Unità era un grande gior-nale”, edito da Melampo, che ho avu-to il piacere di leggere durante la sof-ferta scrittura, e che per ignoti mo-tivi o forse no, non è stato conosciu-to e diffuso e discusso come avreb-be dovuto, lasciandogli l’amaro inbocca), la cerchia amicale decimatada tante morti soprattutto le più recentida Giovanni Pesce (con cui aveva-mo percorso più volte i sentieri del-la Spagna della guerra civile) a BrunoEnriotti, a Sergio Banali, a GianfrancoMaris, a Marco Fini.

Siccome era una persona splendida hatrovato nel suo ultimo cammino ter-reno amici altrettanto splendidi comeOreste Pivetta e Giuseppe Ceretti conle loro famiglie e i loro figli, Dario

Manzoni, i coniugi professori Albae Ezio Tabacco, le segretarie dellaFondazione Elena Gnagnetti eVanessa Matta, che gli hanno datouna generosa mano. E così negli ul-timi mesi aveva potuto fare quattropassi mattutini, fermarsi al caffè-bardel signor Giovanni in via Antonioda Recanate a bere un cappuccino,acquistare il “Corriere della Sera”che riteneva oggi il foglio più com-pleto, sedersi alla libreria Vitruvioper dare un’occhiata alle novità.La morte della moglie lo aveva di-strutto. Era disperato. Gli avevo scrit-to due righe di conforto e la sera miaveva telefonato dalla clinica sin-ghiozzando. L’avevo incontrato con Guido Calviil pomeriggio del 28 giugno. La se-ra mi aveva telefonato. Ci eravamodati il prossimo appuntamento a ca-sa perché le dimissioni erano vicine.

Avevo conosciuto Ibio sulla stradadel terrorismo che abbiamo percor-so assieme dalle BR, a Prima Linea,al 7 Aprile, a Walter Tobagi,all’Autonomia, ecc. ecc. sino allalunga stagione della strage diBologna. Io allora ero a il Giornoquando ancora era un giornale. Ibio è stato per me la mia stella po-lare, un fratello maggiore, tempe-rando il mio carattere spesso troppofocoso, consigliandomi su come muo-vermi dall’alto della sua esperienza.Aveva tanti amici, nel giornalismo,nella magistratura e nella politica maanche tanti nemici alcuni dei qualilo avevano condannato a morte (labrigata “28 marzo” di Marco Bar -bone e il periodico OP di Mino Pe co - relli che lo aveva additato come “uo-mo della Procura”, una sorta di spio-ne del Palazzo di Giustizia, lui che

Il ricordo commosso diIbio Paolucci,antifascista,deportato,giornalista, direttore diTriangolorosso

Franco Giannantoni, sempre al mio fianco per aiutarmi

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quando ave-va una noti-zia la riferi-va a tuttiperché tuttisapessero,costringen-dolo ad ave-re per qual-che mese lascorta chenon tollera-va. Fra gli amici, non deve suonarestrano, aveva anche un cardinale,Gianfranco Ravasi conosciuto sin daitempi dell’Ambrosiana di Milano.Ibio lo aveva intervistato più volte eRavasi, colpito dalla solidità e dallachiarezza dello scritto, lo aveva elo-giato concludendo “che era stato ilgiornalista che più di ogni altro ave-va saputo cogliere la profondità delcolloquio”.

Chiusa la stagione del giornalismosi era messo a scrivere libri per lapiccola preziosa Casa Editrice“Arterigere” di Varese di MarioChiarotto e Carlo Scardeoni, in qual-che caso con me: la storia di GiovanniPesce “Visone” “un comunista cheha fatto l’Italia”, “Calogero Marrone,un eroe dimenticato” ora per quel no-stro lavoro Giusto fra le Nazioni,“La bicicletta nella Resistenza” (conBruno Trentin, Gillo Pontecorvo,Quinto e Tiziana Bonazzola, i fra-telli Diodati, Pesce e la moglieOnorina, Stellina Vecchio Vaja, AnnaGentili Cazzuoli, ecc.ecc), libro for-tunatissimo ora ristampato daUnicopli di Milano.Amava venire spesso a Varese, la miacittà, e prima di finire con la solitacompagnia (Banali, Enriotti, Scar -deoni, Massimo Cavallini di pas-saggio dal Sud America) a mangiareil pesce persico e il pesce in carpio-ne che apprezzava dal “Maran” una

vecchia e unta trattoria sul lago diVarese) ci imponeva impegnativiescursioni per ritrovare chiesette, dicui ignoravamo la esistenza facendofigure barbine, ignoranti sul temacome eravamo, affrescate da maestricome Masolino da Panicale,Gaudenzio Ferrari, Renato Guttuso,Bernardino Luini, Michelino daBesozzo, Giovanni Carnovali detto“il Piccio”, Pier Francesco Maz -zucchelli “il Morazzone” e via di-cendo. Tutti percorsi ed opere, coninfinite altre dell’intera Lombardia,raccolte in un prezioso libro andatoa ruba, “Grandi pittori nei piccolicentri”, forse l’opera a cui Ibio erapiù affezionato con la primissima,ormai dimenticata, edita nel 1960 daEinaudi, “Il diario di David Ru -binowicz”, un ragazzino polacco di 12anni di Krajno ucciso a Tre blinka IIche, in 5 quaderni ritrovati casual-mente in un cortile fra i rifiuti, rac-contava la incalzante repressione an-tisemita a cui assisteva e che lo avreb-be nel settembre del 1942 travolto.

Ibio che era a Varsavia per “RadioVarsavia” fresco sposo fu il traduttoredi quel diario che fece conoscere inItalia. Me lo dedicò in occasione del-la ristampa il 7 marzo 2000 con ge-nerose parole che porto nel cuore:“Al carissimo insostituibile Francocon grande affetto, Ibio”.L’amico Ibio è rimasto con me e connoi. Per la cortesia e la fiducia degliamici, sto sistemando le sue carte pri-vate. Fra queste ci sono tutti i qua-derni con un suo diario (interrottoqualche anno fa) e gli appunti deivari processi, da piazza Fontana aCatanzaro alla strage della Stazionebolognese. Questi quaderni nel loro complessocostituiscono una parte importantedella sua vita. Rimarranno a suo im-perituro ricordo per sempre.

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Non si arresta in tutta Italia l’escalation delle provocazioni nazifasciste.Non passa giorno senza un nuovo assalto a suon di pestaggi, di saluti romani, di svastiche, di gruppi che inneggiano ad Adolf Hitler.

esponente di un clan, notoriosostenitore di Casapound a Ostia.

Di fronte a tutto questo è tornataquanto mai d’attualità la propostadi legge, presentata oltre un annofa, che ha come primo firmatarioEmanuele Fiano – figlio di Nedo,superstite di Birkenau – che mira acolpire la propaganda fascista enazista. Una proposta contro laquale è subito scattata la condannadel gruppo dei 5 Stelle: “È unalegge liberticida”, hanno tuonato,mentre non meno virulenta è statal’opposizione di tanta parte delladestra italiana.

La verità è che l’Italia èl’unico grande Paeseoccidentale dove la destra

conservatrice coltiva una strettacontiguità con i gruppi neofascisti,e dove gran parte delle forzepolitiche che siedono in Parlamentonon hanno nell’antifascismo leproprie radici culturali e storiche.È un’anomalia italiana, questa. Igoverni conservatori francesi,inglesi, tedeschi o americani maicoprirebbero queste “imprese” degliestimatori delle camere a gas. InItalia avviene, purtroppo, ed è per

carta dell’attenuante dei “cori dastadio”, come se negli stadi fosselecita qualsiasi bassezza.

Einfatti è in uno stadio -l’Olimpico di Roma - che si ègiunti a utilizzare il volto di

Anne Frank come una clava - datoil contesto, sarebbe meglio direcome un manganello - contro itifosi “nemici”, molti dei quali ineffetti si sono profondamente offesie indignati nel vedere i colori dellapropria squadra associati alla figuradi “quell’ebrea”.

Èsuccesso qualcosa nelprofondo della societàitaliana, se migliaia di

“ultras” associano il volto di AnneFrank all’idea di una offesasanguinosa, e se ancora tantemigliaia di “ultras” - non tutti, percarità - sono scivolati dal tifo peruna squadra allo squadrismofascista.

Quello dell’escalation squadrista èun mondo nel quale è sempre piùlabile il confine tra delinquenzapolitica e delinquenza tout court,come ha dimostrato il pestaggio diuna troupe della RAI da parte di un

di Dario Venegoni

In un crescendo di esibizionismoe di provocazione sembranodefinitivamente superati i fasci

littori, il duce, le nostalgie per ilregime mussoliniano, per passareall’apologia delle camere a gas,all’utilizzo dei simboli del nazismo,a un’inaudita “rivalutazione” delFührer del Terzo Reich.

Nella loro ignoranza, spesso gliautori di queste provocazionisbagliano persino i simboli nazisti– come è accaduto nel caso dellasvastica tracciata al contrario sullatarga di pietra della sezione Aneddi Verona, o anche nel caso diquella che ha imbrattato ilMonumento ai deportati di Empoli.

Il web è il terreno di diffusioneprivilegiato di questa offensiva.È lì che è stato postato per

esempio quel video nel quale èripreso uno dei leader degli Ultrasdel Verona inneggiare ad AdolfHitler.“Ragazzate”, si sono affrettati adire esponenti politici della destraitaliana, che di fronte alla festa deitifosi del Verona hanno giocato la

ITLarepubblicaha il doveredi difendere i suoi valori

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Al termine della riunione del suo Consiglio Nazionale, a Brescia, l’Anedha organizzato, il 22 ottobre, una manifestazione pubblica di sostegnoalla proposta di legge Fiano contro la propaganda fascista e nazista.

È giunto ilmomento di

una mobilitazionegenerale contro i nemici della libertà e della democrazia

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questo che occorre una grandemobilitazione che parta propriodalla approvazione della propostadi legge Fiano.

La Repubblica ha il dovere didifendere le proprieistituzioni e i propri valori

dalle istanze eversive,dichiaratamente antidemocratiche,di questi gruppi. La libertà, lademocrazia, le istituzionidemocratiche, i diritti sanciti nellaprima parte della Costituzione delnostro Paese non sono né di destra,né di sinistra: sono di tutti. E tuttidevono essere chiamati a difenderequesti valori fondanti dellaRepubblica.

Altro che ragazzate, altro chegoliardia: nella storia è giàcapitato una volta che tanti

bravi moderati tollerassero oaddirittura favorissero gruppiapertamente eversivi, sicuri diriuscire a utilizzare e a controllarela loro violenza antidemocraticacontro i sindacati e i partiti disinistra. Si è visto come è andata afinire.

Èvenuto il momento di unamobilitazione generale controi nemici della libertà, della

democrazia e della Repubblica,come avvenne nella Resistenza ecome avvenne negli anni della lottaal terrorismo, quando partiti,associazioni, sindacati sepperomettere da parte le propriedivisioni per unirsi contro i nemicidella libertà.

Èper questo chel’Associazione degli ExDeportati ha appoggiato la

proposta di Emanuele Fiano e neha chiesto la pronta approvazione.È per questo che ci sentiamo dichiamare i rappresentanti di tutti igruppi politici alla coerenza con lebelle parole spese ogni anno nelGiorno della Memoria nel ricordodelle vittime dei Lager nazisti.La pronta risposta di tanti cittadini,di tante ragazze e ragazzi di fronteall’offesa recata ai monumenti chericordano le centinaia di lavoratoridi Empoli e di Sesto San Giovannideportati e uccisi nei lager nazistidice che questa consapevolezzafinalmente si sta facendo strada.

Oggi, dopo un decennio diacuta crisi economica esociale, dopo che più fragile

in molti casi si è fatta, nellacomunità occidentale, la condizionesociale, dopo che la paura, per lapropria condizione materiale, perl’angoscia del futuro è diventataprotagonista di molte espressionipolitiche, dopo che il fenomenoepocale dell’immigrazione èdiventato nelle nostre comunitàargomento centrale del dibattitopubblico sul futuro, oggi dunque dinuovo, in tutto il mondo occidentalenuove e vecchie forme di ideologiedi estrema destra, razziste,neofasciste, si diffondono e sirafforzano.

una legge per chi si sente erede dei partigiani

IT

Le idee totalitarie, purtroppo, abitano dasempre la storia. Sono la sintesi perfetta, o quasi, di un’eterna lotta tribale che ciaccompagna. Non per questo, mai, bisogneràrispondere con la nostra indifferenzadi Emanuele Fiano

L’ideologia fascista nel secoloscorso, con quella nazista,furono l’apice, ma non le sole

certamente, di un pensiero, quellototalitario, che vedeva nellasoppressione della Libertà e dellaDemocrazia e nella violenza control’avversario la summa di questopensiero.Da sempre, è proprio quando piùacuta si fa la crisi sociale, quando sipalesano forme di rabbia sociale,quando più drammatica si scatena ladiseguaglianza tra chi ha molto e chinon ha niente, tra chi decide e chisubisce, che si palesano le forze e leidee totalitarie.

Così è successo nel secolo scorso.

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Èovvio, per me, che la risposta aquesta nuova primavera dipartiti e movimenti della destra

neofascista, non può che diventare apieno titolo una battaglia politica dichi appartiene al mondo variegatodella sinistra.

Battaglia politica. Ritorno aifondamenti della storia della sinistra.Radicamento territoriale, presenzadove più acuti sono i conflitti sociali,capacità reale di governo e soluzionedi questi problemi.

L’estrema destra prospera spessodove noi manchiamo, dove noi nonsiamo stati capaci di rappresentare lasoluzione dei problemi.

Al Consiglionazionale Aned,con EmanueleFiano, TullioMontagnadell’Anpi, DarioVenegoni equattro testimonidei campi: EnnioTrivellini, VeraMichelin Salomon, Gilberto Salmoni,Mirella Stanzione.

La politica prima di tutto, maanche la scelta di imporre deilimiti. La Democrazia come

sistema di difesa della libertà diognuno, necessita di limiti neiconfronti di chi la Democrazia non lavorrebbe. La libertà di opinione è sacra, ma lalibertà di propagandare le peggiori epiù pericolose lezioni della storia no.

Aquesto pensarono i padricostituenti con la disposizionefinale della Costituzione che

vietava la riorganizzazione deldisciolto Partito fascista. A questo si dedicava nel 1952 laLegge Scelba che attuava quelladisposizione e introduceva il reato di

apologia e propaganda dell’ideologiafascista, ma sempre connessi a queldivieto di riorganizzazione del PNF, edunque raramente applicati nellecondanne in questi anni.Sempre a questi principi, ma con unavalenza generale si ispira la LeggeMancino del 1983, che vieta ladiffusione delle idee discriminatorie.A questo si è ispirato, nei mesi scorsiil nuovo articolo del codice penale,che vieta l’apologia del terrorismo.

Insieme a molti colleghi del Pd edi altri gruppi, ho pensato cheservisse oggi ribadire il divieto

della propaganda dei contenuti delleideologia fascista e nazista. Serve oggi questa legge. Non è come la disegnano una leggecontro la vendita delle bottiglie odelle foto di Mussolini. Non è unalegge che chiede di abbattere palazzio scritte del ventennio.

Èuna legge che serve oggi, perimpedire che migliaia di paginedi propaganda fascista e nazista

diffuse su web, o altre forme dipropaganda senza filtri, abbiamosuccesso nel diffondere antiche eterribili lezioni alle giovani e menogiovani generazioni in un contestosociale fragile, dove la storia è spessonon conosciuta o travisata, e dovenuovi e vecchi problemi promuovonoed esaltano vecchi e nuovi epigonidelle ideologie di morte del fascismoe del nazismo.

Una legge per chi si sente come noierede di quei partigiani morti perdonare la libertà al nostro Paese.

EmanueleFiano

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Condannato sindaco di Affile per il sacrarioal gerarca fascistarodolfo Graziani

Il sindaco di Affile Ercole Viri e due assessori, GiampieroFrosoni e Lorenzo Peperoni, sono stati condannati ri-spettivamente a otto e sei mesi per avere autorizzata la

costruzione del sacrario al gerarca fascista Rodolfo Graziani.Lo rende noto l’Anpi. La Procura di Tivoli, che ricorrerà inappello, aveva chiesto due anni per il sindaco e un anno esette mesi per i due assessori tutti accusati di apologia delfascismo. Il pm inoltre aveva chiesto la confisca del mo-numento.“Ora si demolisca quella ignobile offesa alla Memoria”.Così in una nota l’Anpi provinciale di Roma commenta lacondanna inflitta al sindaco di Affile e ai due assessori. “Il Comitato Provinciale dell’Anpi di Roma - si legge in unanota - si augura che il sindaco Viri si dimetta e chiede alComune di Affile, alla Regione Lazio ed al Governo di fa-re in modo che il monumento sia demolito”.La sentenza di oggi, commenta Carla Nespolo, la neoelet-ta Presidente nazionale dell’Associazione dei partigiani,costituisce “una rilevante conquista non solo per l’Anpi,custode e promotrice della memoria della lotta partigia-na” “Questa del Tribunale di Tivoli è una sentenza significati-va perché, finalmente, un giudice si è pronunciato su unaquestione complessa e delicata affermando che l’apologiadel fascismo si manifesta anche con la creazione di monu-menti che celebrano il regime”. Così l’avvocato EmilioRicci, legale dell’Anpi commenta la sentenza emessa per ilsacrario di Affile. “È stato un fatto molto grave - ha ag-giunto – la realizzazione di un monumento celebrativo in ono-re di un criminale di guerra, condannato da un tribunale mi-litare per collaborazionismo con il tedesco invasore”.

Auguri a CarlaNespolo,nuova Presidente dell’Anpi

Carla Nespolo è la nuova Presidente nazionaledell’Anpi, prima donna e prima non partigianaa dirigere l’Associazione. L’ ha eletta all’una-nimità il Consiglio nazionale lo scorso 3 no-vembre. Nella stessa seduta è stato nominatoPresidente emerito Carlo Smuraglia che all’ul-timo Congresso nazionale aveva accettato di ri-manere alla guida dell’Anpi solo per un perio-do limitato di tempo. Carla Nespolo è nata ad Alessandria nel 1943da famiglia antifascista. Suo zio materno, Amino(Attilio) Pizzorno è stato il vice comandante del-la VI zona partigiana, quella che comprendevaPiemonte e Liguria. Carla è stata per due voltedeputata e per altre due legislature senatrice, pri-ma donna piemontese ad essere eletta alParlamento nelle liste del Pci. In questi ultimianni era stata vice presidente nazionale dell’Anpi. A lei vanno i complimenti e gli auguri più af-fettuosi dell’Aned perché possa guidarel’Associazione dei partigiani con la passione el’intelligenza che tutti le riconoscono.

Anche due assessori, accusati di apologia del fascismo

NoTIZ

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I deportati del trasporto 81Bolzano-Flossenbürg 5-7 settembre 1944

“In treno con Teresio” una nuovamostra dell’Aned

Una mostra, realizzata da Maria Antonietta Arrigonie Marco Savini per l’Aned di Pavia, ricostruisce levicende dei 432 deportati del “trasporto 81”, il

lungo convoglio di carri merci stipati di prigionieri par-tito da Bolzano il 5 settembre 1944 e arrivato due giornidopo al lager di Flossenbürg in Alta Baviera. Tra di lorospicca la figura di Teresio Olivelli, esponente di area cat-tolica che è stato ricordato praticamente da tutti i super-stiti, come esempio di difesa della propria e altrui uma-nità nel lager.La mostra ricostruisce la biografia dei deportati attra-verso una pluralità di fonti (comprese quelle prodotte daideportati stessi) non trascurando il ruolo culturale e let-terario della memorialistica, vista come contributo stori-co alla conoscenza del vissuto nel lager.Lo studio ha preso le mosse dall’elenco stilato dalle SS deideportati arrivati con quel convoglio ed entrati nel cam-po il 7 settembre 1944.La mostra vuole mettere in evidenza l’importanza delladeportazione politica dall’Italia, spesso poco considera-ta.Ci si è avvalsi di documenti concessi dal Memoriale delcampo di Flossenbürg, numerosi i testi appartenenti allamemorialistica, intrecciati con carte provenienti da ar-chivi degli Istituti per la Storia del Movimento diLiberazione, dell’Aned, della Fondazione Memoria del-la Deportazione, di Archivi di stato, dei Notiziari delleGNR, del Centro Ricerche della Croce Rossa Internazionaledi Arolsen e di archivi presenti nei diversi luoghi di arresto(Museo del Risorgimento di Milano, Archivio della cittàdi Bolzano). Integrano i documenti scritti i disegni deglistessi deportati a Flossenbürg, con una comunicazionevisiva di forte impatto emotivo. In particolare sono pre-senti numerose opere concesse da Vittore Bocchetta, unodegli ultimi sopravvissuti del trasporto 81.

Alcunipannellidellamostra

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Tante presenze (e gravi assenze)alla manifestazione al Parco Nord di Milano

Nella notte tra domenica e lunedì 25 settembre è sta-to seriamente danneggiato (foto a sinistra) ilMonumento al Deportato sulla collina del Parco

Nord Milano. Era stato realizzato negli anni ’90 su pro-getto dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso, an-che lui ex deportato, e di suo figlio Alberico. Si tratta diuna alta stele realizzata utilizzando i sassi e la terra porta-ti fin lì dai vari lager, mentre attorno, a semicerchio nelgrande prato, piccole lapidi riportano i nomi dei 600 deportatie dei 300 morti nei campi di sterminio della zona indu-striale di Sesto San Giovanni, città su cui una parte delParco affaccia. L’Aned e l’Anpi della zona hanno organizzato, oltre ai la-vori di restauro del Monumento, una grande manifesta-zione per dare una risposta corale alla violenza contro la me-moria dei deportati. La manifestazione è stata bella, con una grande partecipa-zione di persone di tutte le età, con la presenza di parla-mentari, di dirigenti sindacali e delle associazioni deiComuni che condividono il Parco o che sono adiacenti algrande polmone verde su cui un tempo sorgeva la BredaAereonautica, Milano, Sesto San Giovanni, CiniselloBalsamo, Bresso, Cormano, Novate, Muggiò, NovaMilanese. C’erano anche molti sindaci in veste ufficiale, conla fascia tricolore. Ma mancava il nuovo primo cittadino diSesto San Giovanni e per la prima volta in una manifesta-zione antifascista di questa importanza non c’era nemme-no il Gonfalone della città con la Medaglia d’Oro al valorMilitare per i meriti conquistati durante la Resistenza e chevenne consegnata solennemente a Sesto dall’allora PrimoMinistro Giulio Andreotti. Tra l’altro molti di quei 600 de-portati e di quei 300 assassinati nei lager nazisti erano cit-tadini di Sesto San Giovanni. Assente anche l’ammini-strazione comunale di Monza, anche se in questo caso ilsindaco ha giustificato la sua lontananza con impegni isti-

risposta popolare all’oltraggio al Monumento al deportato

NoTIZIE

Su unacollinetta aNord diMilano,adiacente adalcuni comu-ni della zonaindustriale attorno alcapoluogo,con centrosulle industriedi Sesto SanGiovanni,sorge questasteleprogettata dal grandearchitetto edeportato,LodovicoBarbiano diBelgiojoso eda suo figlioAlberico.Sono benvisibili i seridanni deivandali.

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tuzionali precedentemente presi. Invece il sindaco di Sesto Roberto Di Stefano, che da giu-gno guida una maggioranza di centro destra per la prima vol-ta dopo 72 anni di governo del centro sinistra, ha motiva-to il suo rifiuto a partecipare al corteo sostenendo che sitrattava di una manifestazione politica, con la presenza an-che di partiti e che tra gli oratori era previsto un interven-to dell’onorevole Emanuele Fiano. Inutili le spiegazioni e le proteste della sezione Aned diSesto-Monza espresse con un comunicato firmato dal pre-sidente Giuseppe Valota e dalla vice presidente MilenaBracesco. Si tratta, come è evidente, di una scelta grave, tan-to più che nel giro di poche settimane la nuova ammini-strazione di Sesto aveva rifiutato di inviare il Gonfalonecittadino alla cerimonia per ricordare la strage della sta-

zione ferroviaria di Bologna e deciso il ritiro dalla FondazioneCervi di cui il Comune sestese era tra i soci fondatori.In sostanza non si è di fronte ad un cambio di linea politi-ca ed amministrativa, ma al rifiuto delle tradizioni piùprofonde della vita democratica cittadina, che nella lottadi Liberazione e nella Resistenza ha sempre trovato il suofondamento e la sua legittimazione anche istituzionale con-divisa da forze politiche pure diverse o avversarie. Lo compie una maggioranza di centro destra che governacon il sostegno di una Lista civica e che si propone comemodello per le prossime elezioni regionali e nazionali. Una scelta, insomma che va al di là del pur importanteambito sestese e che prefigura un futuro difficile e de-stabilizzante dei valori su cui si fonda la Costituzionerepubblicana.

Fiori sulmonumento (in alto) e, inquesteimmagini, lamanifestazionedi protesta.Parla Giorgiooldrini, figliodi undeportato esindaco, permolti anni, di Sesto.

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NoTIZIE

Nel nome di Primo Levi600 studenti bresciani sul“treno per Auschwitz”

Èstato un ritorno alle origini, quest’anno, «Untreno per Auschwitz», il progetto nato nel 2005e promosso dall’archivio storico «Bigio Savoldi

e Livia Bottardi Milani», che coinvolge centinaia di stu-denti bresciani.Quest’anno vi hanno partecipato più di 600 ragazzi di14 istituti bresciani (Calini, Canossa, Leonardo,Copernico, Gambara, Lunardi, Marzoli, Beretta, DeAndrè, Sraffa, Tassara Ghislandi, Levi, Perlasca,Capirola): «È stato il treno numericamente più riccodegli ultimi anni - spiega Lorena Pasquini dell’archi-vio storico - e ne siamo veramente orgogliosi. Finalmentesiamo riusciti a dedicare quest’edizione a Primo Levi».

L’appuntamento per la grande carovana è stato venerdì3 novembre in piazza della Loggia alle 12, la partenza

Allievi di ben 14 istitutipartecipano alla 12a edizione

Sono partiti e sono, per laprecisione, 605 gli studentiche hanno partecipato alladodicesima edizione di «Un treno per Auschwitz».I ragazzi, dopo i saluti delsindaco Emilio Del Bono in piazza della Loggia, sonosaliti sui pullman che li hanno portati allastazione di TarvisioBoscoverde, dove hannopreso il treno per la Polonia.

in treno alle 13. I dodici vagoni sono arrivati a Oswiecimil sabato. Durante il viaggio, oltre alle attività didatti-che che hanno visto protagonisti gli studenti, è statomesso in scena il primo spettacolo dell’attore brescia-no Filippo Garlanda «Le scarpe son buone». «Abbiamovisitato Auschwitz e Birkenau - continua Pasquini - co-me abbiamo sempre fatto. Novità di quest’anno è statala visita anche al campo di Monowitz dov’era segre-gato proprio Primo Levi».

Sabato, dopo la cena e il meeting degli studenti, c’è sta-ta, in una vecchia stazione all’interno del quartiere ebrai-co di Cracovia, la seconda performance di Garlanda con«Repubblica». Una esperienza importante per tante ra-gazze e tanti ragazzi e anche per gli adulti che li hannoaccompagnati. L’appuntamento è per il prossimo anno.

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Molte le firme all’appello di Aned ed Anpi di Firenze contro aggressioni di ispirazione fascista

L’Aned e l’Anpi di Firenze, fortemente preoccupateper il ripetersi di gravi provocazioni fasciste nellaRegione Toscana e in tutta Italia, hanno promosso

un appello rivolto alle Istituzioni e ai rappresentanti deicittadini affinché lo sottoscrivano come manifestazione evi-dente di un impegno ad isolare e a battere gruppi che si ri-chiamano al fascismo e al nazismo.

In particolare l’appello invita tutte le forze politiche a schierarsi con i valori del-l’antifascismo e della Costituzione in maniera netta,

concreta e prioritaria rispetto ad ogni altra considera-zione e motivazione. Chiediamo ai rappresentanti delle istituzioni di non con-cedere spazi e, in applicazione delle norme vigenti, nonconsentire eventi pubblici organizzati da partiti e movi-menti di chiara ispirazione neo fascista quali Casapound

e Forza Nuova. Chiediamo a tutti i soggetti di organizzare,promuovere e sostenere concretamente percorsi formati-vi, incontri e viaggi di studio ed approfondimento relati-vi alla storia dell’età contemporanea, ed in particolare alfascismo, alla guerra e alla Resistenza, affidandoli agliIstituti e ai centri qualificati presenti sul nostro territo-rio, così da promuovere una diffusa conoscenza storica,critica e consapevole. Chiediamo a tutti i soggetti di unirci in un unico fronte an-tifascista , pronto a condannare ed a contrastare con tut-ti i mezzi democratici possibili ogni episodio, aggressio-ne e manifestazione di chiara ispirazione fascista.Il nostro è un grido appassionato e consapevole da chi èstato ferito profondamente e che oggi è impegnato nelcontrastare un fenomeno che sta prendendo sempre piùcampo, favorito da vari fattori, non ultimo dall’attualecontesto socio economico e politico.

ANED – nazionale ANPI – nazionale ANED sezione empolese Valdelsa.Gruppi consiliari del comune di Firenze di PD, MDP - ART. 1, SI, Alternativa Libera, Firenze Viva.

Il Museo della Deportazione di Prato, Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Istituto Gramsci Toscano, Istituto Storico del-la Resistenza di Pistoia, Camera del Lavoro Metropolitana di Firenze, ANEI – Associazione Nazionale Ex Internati Militari, IstitutoErnesto De Martino.Il Segretario generale della CGIL – Susanna Camusso, Valentina Gensini Direttore artistico Le Murate. Progetti Arte Contemporaneae Responsabile scientifico e del coordinamento Museo Novecento – Firenze, Eike Schmidt Direttore Gallerie degli Uffizi.Il Coro 900 di Fiesole, UISP – Comitato provinciale di Firenze. ARCI – Comitato Territoriale di Firenze, UDUS - Firenze.

Il sindaco di Firenze – Dario Nardella, il sindaco di Pontassieve – Monica Marini, il sindaco di Tavarnelle Valdipesa – DavideBaroncelli, il sindaco di Lastra a Signa – Angela Bagni, il sindaco di Campi Bisenzio – Emiliano Fossi, il sindaco di Scandicci– Sandro Fallani, il sindaco di Bagno a Ripoli – Francesco Casini, il sindaco di San Casciano Valdipesa – Massimiliano Pescini,il sindaco di Sesto Fiorentino – Lorenzo Falchi, il sindaco di Rufina – Mauro Pinzani, il sindaco di Barberino Valdelsa – GiacomoTrentanovi, il sindaco di Londa – Aleandro Murras, il sindaco di Dicomano – Stefano Passiatore, il sindaco di Pelago – RenzoZucchini, il sindaco di Terranuova Bracciolini (AR) – Sergio Chienni, il sindaco di San Godenzo – Alessandro Manni, il sin-daco di Vaglia – Leonardo Borchi, il sindaco di Fiesole – Anna Ravoni, il sindaco di Impruneta – Alessio Calamandrei, il sin-daco di Calenzano – Alessio Biagioli, il sindaco di Barberino del Mugello – Giampiero Mongatti, il sindaco di Signa – AlbertoCristinanini, il sindaco di Greve in Chianti – Paolo Sottani.

Emanuele Fiano – Parlamentare PD, Filippo Fossati – Parlamentare MDP – ART.1, Laura Cantini – Senatrice PD, Paolo Fontanelli– Parlamentare MDP – ART.1, Alessandra Bencini – Senatrice IDV, Massimo Artini – Parlamentare Alternativa Libera, MarcoBaldassarre – Parlamentare Alternativa Libera, Samuele Segoni – Parlamentare Alternativa Libera, Rosa Maria Di Giorgi – se-natrice PD – Vice Presidente del Senato.

Alessandra Nardini – Consigliera Regionale della Toscana PD, Serena Spinelli – Consigliere Regionale Capogruppo ART.1–MDP, Tommaso Fattori per il Gruppo Consiliare regionale di SI – Toscana a Sinistra, Paolo Sarti – Consigliere Regionale SI –Toscana a Sinistra, Eugenio Giani consigliere regionale PD – Presidente consiglio regionale della Toscana.Il presidente del Quartiere 4 – Mirko Dormentoni, il presidente del Quartiere 3 – Alfredo Esposito, il presidente del Quartiere2 – Michele Pierguidi.

Raffaele Marras – Giovani Democratici – Toscana, Bernard Dika – Presidente del Parlamento degli Studenti della Toscana,Gruppo consiliare PD – Bagno a Ripoli, Gruppo consiliare M5S – Bagno a Ripoli, Gruppo consiliare Cittadinanza Attiva –Bagno a Ripoli, La Commissione per la Pace e i Diritti del Comune di Bagno a Ripoli.PRC – Segreteria Provinciale di Firenze, Il Comitato provinciale di Firenze del PMLI, Gruppo consiliare PD – Sesto Fiorentino.Il consiglio comunale di Impruneta, Gruppo consiliare PD – Figline ed Incisa V.no, Gruppo Consiliare “CentroSinistra perCalenzano” – Calenzano, Gruppo Consiliare Articolo 1 – MDP – Calenzano.Sinistra Italiana – Città di Firenze, Sinistra Italiana – Coordinamento metropolitano di Firenze, il consiglio comunale di Londa

Le adesioni, numerosissime, a livello locale e nazionale

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Milano ricorda “Visone”Intitolata una piazza alla Medaglia d’oro comandante partigiano Giovanni Pesce

Milano da oggi ha una piazza intitolata al coman-dante partigiano Giovanni Pesce, Medaglia d’Oroal Valor Militare, nome di battaglia “Visone”.

L’intitolazione della piazza - tra via Gallarate e via PierPaolo Pasolini, nel nuovo quartiere di Cascina Merlata -era stata decisa dalla Giunta lo scorso luglio, in occa-sione del decennale della morte avvenuta a Milano nel2007. Figura di spicco della Resistenza italiana e consi-gliere dell’Anpi sin dalla sua fondazione, Pesce ha svol-to un ruolo importante nella lotta partigiana, assieme al-la partigiana “Sandra”, ufficiale di collegamento, al se-colo Onorina Brambilla (1923-2011), che dopo laLiberazione divenne sua moglie. Le ceneri di GiovanniPesce e Onorina Brambilla sono tumulate in uno stessocolombaro nella Cripta del Famedio del CimiteroMonumentale. A scoprire la targa della piazza, il sinda-co Beppe Sala e il presidente dell’Anpi milanese, RobertoCenati. “Pesce oggi sarebbe preoccupato, così come lo sono io- ha detto Sala- se i valori della Resistenza sono forti evivi, al contempo c’è questa rinascita pericolosa delle ideo-logie di estrema destra. Ma la cosa positiva è vedere quitanta gente a testimoniare i valori della Resistenza”

Era scomparso nel 2007, la moglie onorina nel 2011

Lavorava in miniera in Belgio e allo scoppio della guerra in Spagna andò a combattere

Dopo aver combattuto inSpagna, a soli 18 anni,nelle Brigateinternazionali controFranco, nel settembre del1943 è tra gliorganizzatori dei Gruppidi Azione Patriottica,prima a Torino, poi aMilano, fino allaLiberazione. Neldopoguerra Pesce, dopo ilmatrimonio con NoriBrambilla sua inseparabilecompagna, conosciutadurante la Resistenza,continua il suo impegnopolitico e civile comeConsigliere comunale del

PCI a Milano per oltredieci anni, come membrodi RifondazioneComunista, comePresidente dell’Associazione ItalianaCombattenti Antifascistidi Spagna, ma soprattuttocome autorevoleesponente del Comitatonazionale dell’ANPI sindalla sua costituzione. La sua è stata una vita,“senza tregua” come iltitolo di un suo libro,caratterizzata da unagrande passione politica,da un grande impegno perla libertà di tutti noi.Giovanni Pesce decorato da umberto Terracini poco

dopo la Liberazione.

NoTIZIE

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Graglio, in unavecchia vedutada cartolina.Bernardo erastato deportatoda qui, perfinire i suoigiorni nelcampo di concen -tramento diBaumholder.In questalocalità laprima sepolturanel cimitero,ma fusuccessivamenteriesumato e traslato a Francofortenel “cimiteromilitare italianod’onore”.

Le spoglie rientrate da poco in Italia, nel varesotto «Sapevamo che era sepolto in una fossa comune in Germania»

Il funerale dell’alpino Bernardo Sartorio. Morto nel lager settant’anni fa

La moglie del soldato Bernardo Sartorio seppe a guer-ra finita di essere rimasta vedova. Un giorno a Graglio,il suo paesino della Val Veddasca, ricevette la visita

di un cappellano che aveva assistito agli ultimi giorni divita del marito, nel campo di Baumholder in Renania: «Eropassato a trovarlo la sera in infermeria, aveva la febbre estava male — disse il prete — ma era vivo e ci parlai. Lamattina dopo tornai ma purtroppo mi diedero la piastrinae mi dissero che era morto, senza rivelarmi dove era statoseppellito». A Irma rimasero quella piastrina e una bella fotografia diBernardo: in divisa da alpino, sorridente e abbracciato al suocane, sotto le cime delle montagne. Aveva due bambinepiccole, Assunta, detta Cicci, e Renata. Doveva tirare avan-ti, passarono gli anni e del corpo non seppe più nulla.Bernardo aveva solo 32 anni, fu catturato al confine traGermania e Francia: era arruolato nel 20° ReggimentoAlpini Sciatori Battaglione Intra e stava per fuggire versola Svizzera, a Lucerna, in cerca di salvezza, dopo l’8 settembredel 1943. Era un muratore ma quando fu portato nel cam-po disse che era un agricoltore; sperava che potesse pas-sargli tra le mani qualche buccia di patata e così sopravvi-

vere agli stenti e alla fame. Invece fu portato lo stesso in unaminiera.«Sapevamo solo questo — racconta la nipote, Nadiarocchinotti — e pensavamo tutti che fosse stato seppel-lito in una fossa comune, nel campo di concentramento diBaumholder». Anche sua nonna Irma morì senza saperepiù nulla della sepoltura del marito. Ma a volte la storia ri-sarcisce i torti del passato. Il nome di Bernardo Sartoriouscì dalla cosiddetta «Lista Zamboni», oltre 15 mila nomiche Roberto Zamboni, dell’Aned di Verona sta dedicandola vita alla memoria dei caduti italiani in Europa, ha raccoltodal 1994 a oggi. Sono i dati di quei militari o civili, mortiin prigionia o per motivi di guerra, che alla fine del secon-do conflitto mondiale furono esumati dai luoghi di primasepoltura e traslati nei cimiteri militari italiani in Germania,Austria e Polonia dal Commissariato generale per le ono-ranze ai caduti in guerra. Nomi sottratti da una sorta di lim-bo burocratico. Dal 2013 Zamboni invia gli elenchi dei ca-duti ai giornali e raccoglie le storie nel sito:www.dimenticatidistato.com. «Il quotidiano La Prealpina di Varese pubblicò il nome dimio nonno — spiega Nadia — e un giorno mi chiamò miocognato dicendo che l’aveva letto. Fu uno choc. Ci infor-mammo e scoprimmo che il nonno venne inumato in primasepoltura nel cimitero di Baumholder, ma successivamen-te riesumato e traslato a Francoforte nel cimitero milita-re italiano d’onore». Il sindaco di Maccagno con Pino e Veddasca, il paeseche oggi ingloba Graglio, lo ricorda con affetto: «Il 19 di-cembre 1944 morì per gli stenti ed il lavoro massacrante— sottolinea Fabio Passera —adesso che le sue spogliesono rientrate in Italia potrà finalmente riposare nel pic-colo cimitero di Graglio, tra i suoi amati monti. La Ciccisarà felice». L’ultimo capitolo di questa storia è stato scritto sabato 28ottobre alle 10.30 nella chiesa di Graglio, dove si è tenutoil funerale del soldato. Il carro funebre che l’ha riportato acasa nei giorni scorsi aveva cinque salme di italiani e l’ul-tima tappa era prevista ad Avellino. roberto rotondo

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Diamo un nome ai dirigenti storici dell’Aned.Questo è il V0 Congresso a Sesto San Giovanni

La ricerca è stata avviata quasi come un gioco, di cui però fin da subito erano evidenti le importanti implicazioni

NoTIZIE

La ricerca è stata av-viata quasi come ungioco, di cui però fin

da subito erano evidenti leimportanti implicazioni.Sfogliando vecchi numeridel nostro giornale, ab-biamo trovato questa foto,che ritrae un gruppo di de-legate e delegati al V Con -gres so nazionale del -l’Aned, svolto a Sesto SanGiovanni.

Chi sono queste persone?Tra di noi ne abbiamo ri-conosciuti solo pochissi-mi, a dimostrazione di unproblema molto serio: c’èil rischio che si perda deltutto la memoria della sto-

ria dell’Aned e dei suoiprotagonisti. Il ricambio fisiologico de-gli iscritti all’Associazioneha portato alla guida dellenostre sezioni donne e uo-mini nuovi, che non han-no avuto l’opportunità diconoscere la generazioneprecedente.Il risultato è che in tutte lesezioni ci sono fotografieche ritraggono nostri diri-genti degli anni passati, aiquali non siamo più in gra-do di attribuire un nome.Anche questo è un proble-ma che nell’Associazionedobbiamo porci subito, or-ganizzando incontri e in-terviste ad hoc con com-

pagne e compagni che so-no stati attivi negli annipassati, così da potere an-notare, su ogni fotografia,nomi che altrimenti tra po-chi anni non saremmo piùin grado di riconoscere.Dopo aver coinvolto tuttele sezioni in questa sortadi “gioco”, finora nella fo-to presa in esame abbiamoriconosciuto con ragione-vole certezza soltanto po-co più della metà dei de-legati di quel Congresso ditanti anni fa.

Qualcuno sa attribuire unnome agli altri?

Dario Venegoni

1 - Antonino Bologna3 - Ada Buffulini5 - Bruno Vasari8 - Augusto Tebaldi9 - Lidia Rolfi11 - Faustino Barbina12 - Italo Geloni13 - Pietro Pascoli15 - Luigi Porro (?)16 - Piero Caleffi17 - Alberto Ducci 19 - Gianfranco Maris20 - Mario Pistelli 21 - Romolo Pavarotti24 - Forti,

ex presidente di Roma25 - Italo Tibaldi

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Dovrebbe essere una partita di calcio. Dovrebbe.Sta di fatto che a un certo momento uno fa gol enell’esultanza corre verso gli spalti dove lo ap-

plaudono i tifosi, si toglie la casacca e sotto compare unashirt nera con un tricolore sul petto e l’aquila, il simbolodella Repubblica Sociale Italiana.

Non basta: mentre, festante, si dirige a tutta birra ver-so la tribunetta, saluta con il braccio teso quelli che loapplaudono.

Tutto sgradevole su un campo di calcio, in questo casodi Seconda categoria. Se poi lo stadio è quello delMarzabotto che quella domenica ha ospitato il match,cadono davvero le braccia.

Il giocatore che si esibisce in questo avvilente reperto-rio nostalgico-agonistico è uno del Futa 65, squadraospite.

Qui attorno — non solo a Marzabotto, ma anche aMonzuno e Grizzana Morandi — tra il settembre e l’ot-tobre del 1944 nazisti e fascisti massacrarono e uccise-ro almeno 1676 persone. Bambini, anziani, adulti, donne, uomini. Torturati e se-viziati in ogni modo. Fucilati, bruciati vivi, fatti esplo-dere con le granate.

Memorie di cui il giocatore, un certo Eugenio MariaLuppi, che ha esultato non deve avere contentezza. O sene ha, semplicemente se ne infischia. 

Saluto romano dopo il gol e maglietta della rSI. Sfregio a Marzabotto

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Sul finire dell’estate, alcuni episodi di violenza sulledonne e sui minori hanno suscitato legittimo, dovero-so e comune sdegno e giustamente denunciati. Se in al-cuni casi l’amplificazione e la sceneggiatura cruentadei racconti hanno alimentato lo “spettacolo estremo”della serie “odi e rancori”, in altri casi la dubbia ma-trice degli episodi, che avrebbe consigliato estrema at-tenzione, non è bastata a reclamare non già omissione,ma prudenza. “Stupro” e “straniero” sono così com-parsi nei titoli in stretta connessione, ben prima che leindagini avessero accertata la reale natura dei fatti.

Ciò che suscita preoccupazione è che un uso cosìimproprio del diritto di cronaca sia venuto anchedai siti online di grandi quotidiani e non solo da

quella stampa propensa a lisciare il pelo dal verso del-l’untore. L’aggiustamento di rotta sulle versioni carta-cee giustifica il dubbio che tanta fretta si accompagnia una buona dose di contatti, una manna dal cielo comela pioggia che si rovescia benefica su campi aridi. E

La paura dell’altro è da mesi il motivo conduttoreche domina l’incontro ravvicinato con la diffe-renza e di fronte a tale disagio ogni confine di ra-

gione viene superato. Ne consegue il rapido passaggiodalle relazioni di solidarietà a quelle di mercato. E nelmercato sono gli interessi a porre in relazione gli indi-vidui, i quali interagiscono non in quanto individui, main quanto titolari di interessi.

Se poi i protagonisti di questo salto nel buio sono coloroche informano l’opinione pubblica, la preoccupazionediventa grande.

di Giuseppe Ceretti

La paura dell’altro e...

Fermarsi,osservare, capire,di nuovoorientarsi.

Nell’ondata diqualunquismo chesi abbatte sullenostre vite con una forzainimmagi-nabile, si fatica a mantenere la rotta.

Pare chel’individuo abbiasmarrito latitolarità delleproprie azioni.

I confini si fannoincerti, deboli eimprecise le nostreidentità e dunque inostri doveri.

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poco importa che tale metamorfosi trasformi non solochi legge, ma anche chi scrive in soggetti passivi.

Che fare? Non si tratta di far tornare indietro il mondo,bensì restituire all’uomo la sua identità e il posto che glicompete nello scenario sociale. Ecco perché la solleci-tazione iniziale a fermare, non il tempo e il mondo, maquesta folle corsa alla perdita d’identità, per ritrovarenoi stessi. Quando ciò non è avvenuto si sono avvera-te tragedie che ben conoscono coloro ai quali sono de-dicate queste pagine.

In un apologo scritto da Tolstoj si narra di un gruppodi viandanti che smarriscono la strada tra paludi, ce-spugli e rovi. Alcuni dicono che bisogna comunque

procedere sempre dritti, tenendo la barra del camminoprecedente; altri sostengono che l’essere finiti in tale gro-viglio è la dimostrazione della strada sbagliata e dun-que bisogna tentare in tutte le direzioni, alla ricerca del-la via giusta, senza fermarsi. I viandanti si dividono.Solo uno dice: io mi fermo, voglio capire e poi riparti-re. Ma i viandanti non gli danno retta, tale è lo spaven-to e l’illusione di avere fatto solo una piccola devia-zione: “Perché star fermi? Avanti, presto, tutto si ri-solverà”. Per quanto l’uomo proponga di fermarsi, nonper restare passivi, ma per osservare sole e stelle, capiree riorientarsi, non lo ascoltano. Quegli uomini, scrive Tolstoj, ancor oggi continuano a vagare senza meta.

. i viandanti di Tolstoj

Elaborazioneda “Viandante

sul mare dinebbia”

Dipinto diCaspar David

Friedrich1818

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l’attività di assistenza alle famiglie tramite comu -nicazioni operative e dispositive, pressoché quo -tidiane, con il CLNAI, le soluzioni di autogestioneche consentirono la convivenza fra persone tantodifferenti: gli antifascisti di vecchia data, le nuoveleve di resistenti, i partigiani combattenti e catturati,gli operai arrestati dopo gli scioperi del 1944, irenitenti alla leva, i militari indisponibili ad aderirealla Repubblica Sociale.

In questo quadro la ricerca esplora le condannecomminate dal Tribunale Speciale, i soggetti inviatial confino, il ritorno dopo il 25 Luglio, il lororapporto con i nuovi militanti, le originali forme dicospirazione clandestina, i rinnovati arresti dopo l’8Settembre e infine le deportazioni. A San Vittore si formò una rete clandestina di aiutoai deportati e di scambi informativi, perfezionata aFossoli e poi nel lager di transito di Bolzano, cheassicurò un rapporto efficiente con i vertici della

Aned - Associazione ex deportati nei campi di concentramento - Fossoli

Baracca 18 e dintorni: laboratorio di democrazia da San Vittore a Fossoli

19431944

Il carcere di San Vittore, il Campo delle SS diFossoli e la Baracca 18 - fra l’autunno del 1943 el’estate del 1944 - sono stati un eccezionale

laboratorio di democrazia per i deportati dei diversiorientamenti antifascisti e di ogni origine sociale euna delle palestre in cui si prefigurarono le speranzedi una Italia nuova, nonostante le durezze impostedal regime carcerario e il feroce controllo esercitatodalle guardie naziste.

Una nuova ricerca - affidata al coordinamento delprofessor Mimmo Franzinelli e condotta da alcunistudiosi sulla base di documenti originali, testi -monianze e indagini d’archivio - che è stata pre -sentata sabato 11 novembre nella Sala Convegni diPa lazzo Reale a Milano, ricostruisce le ap parte -nenze, i rapporti e il confronto politico, l’unitàantifascista, il ruolo delle donne, la solidarietà e lasocializzazione delle risorse materiali disponibili, laformazione culturale e politica dei prigionieri,

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Si è svolto al Palazzo Realedi Milano un Convegno sottol’alto patronato del Presidentedella Repubblica e con ilpatrocinio di RegioneLombardia, Regione EmiliaRomagna, Provincia diModena, città metropolitanadi Milano, città di Carpi,Comune di Milano

foundation Ex Campo

MimmoFranzinellidurante larelazioneintroduttiva.Proiettato sulloschermo alle sue spallel’immagine diAndreaLorenzettifigura eminente del Socialismocatturato dainazisti, passatoda Fossolideportato e morto a Mauthausen.

Resistenza a Milano e rese possibile lo sviluppo diun dibattito per molti versi anticipatore delle lineefondanti della futura Costituzione.Tanti destini distinti, dalla lotta clandestina, agliarresti, alle partenze nei carri bestiame dal Binario21 della Stazione Centrale di Milano, attraverso letragiche vicende dell’assassinio di LeopoldoGasparotto e la strage dei 67 patrioti del 12 luglio1944, alla chiusura del campo fino alle deportazionia Bolzano, a Mauthausen ed a lager del lavoro-schiavo nazista, da cui molti dei protagonisti diquesta vicenda non fecero ritorno.

Una documentazione che aiuterà a comprenderecome a Fossoli, attraverso l’interazione fra i diversigruppi impegnati nella lotta al nazifascismo, in unospirito unitario che superava differenze culturali e diprospettiva politica, i deportati politici abbianocontribuito alla elaborazione dei valori fondantidella Costituzione e della nuova Repubblica.

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In questo ambito il CIM, Comitato Internazionaledi Mauthausen, ha pensato di presentare alConsiglio d’Europa un nuovo itinerario cultura-

le: “Via Memoria Mauthausen, Les Chemins de laMémoire de Mauthausen, paysages et territoiresconcentrationnaires”.

Questo itinerario culturale poggerà concretamente suisiti ed i paesaggi che testimoniano una della più gran-di serie di orrori perpetrati dal regime nazista: la ne-gazione degli individui attraverso il lavoro schiavoche li trasforma in oggetti e instilla nelle menti labanalità di un genocidio.

Concretamente, il nuovo itinerario culturale avrà co-me missione di documentare:

• i trasporti nei campi della morte a partire dai pae-si di origine dei deportati;

• i trasporti da un campo all’altro (molti dei depor-tati sono andati in più campi);

• le marce della morte del 1945;• il ritorno a casa dal campo alla fine della guerra.

Infine, il nuovo itinerario si proporrà di contrappor-re alla rete del terrore nazista dell’epoca una nuova re-te per un incontro pacifico di donne e uomini, nello spi-rito del Giuramento di Mauthausen, una via, che dun-que, si prefigura il dialogo tra gli europei, il rispettodei diritti umani e dei valori democratici.

L’iniziativa del Comitato Internazionale diMauthausen trae origine da una proposta deideportati italiani nel 2015.

Alla Casa della Memoria di Miano, il 3 maggio 2015,in occasione del 70° anniversario della Liberazione,i superstiti dei campi nazisti lanciarono un appelloper riaffermare i valori difesi attraverso le loro soffertetestimonianze: la pace, la libertà di pensiero, l’egua-glianza, il rispetto reciproco, la solidarietà, la giusti-zia, la democrazia. Nell’appello si sottolineava co-me l’idea di Europa fosse nata negli anni Trenta neiluoghi dell’esilio e del confino degli antifascisti e sifosse paradossalmente rafforzata nel grande crogiuolodi nazionalità dei lager.

Gli ex deportati, sopravvissuti all’orrore dei campinazisti, chiedevano alle istituzioni internazionali, eu-ropee e mondiali, che quei luoghi di dolore, nei qua-li si era consumato lo sterminio nazista, fossero tute-lati dall’Unesco come “Patrimonio dell’Umanità”.Parlai di questo appello nella seduta del CIM del 2015che decise di studiare la proposta.

Nel 2016 all’interno del CIM è stato formato unpiccolo gruppo rappresentato dal Presidente edal Segretario Nazionale del CIM, dai dele-

gati di Francia e Serbia, da Dario Venegoni e da meche ha avuto a Milano un primo incontro nel luglio2016.

In quella sede si è esaminata la fattibilità di inserireMauthausen, come Auschwitz, nel “Patrimoniodell’Umanità” tutelato dall’Unesco e si è deciso che,senza abbandonare questa idea che peraltro demandal’iniziativa e la procedura per l’inserimento dei sitinella lista del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturaledell’Unesco alle sole Autorità dello Stato a cui ap-partiene il bene, fosse più percorribile l’inserimento

1- La proposta di creare la“Via dellaMemoriaMauthausen”

di Floriana Maris

Nel 1987 il Consiglio d’Europa avviò il programma degli Itinerari Culturali, “Les

Itinéraires Culturels du Conseil de l’Europe”, per dimostrare come i percorsi dell’identitàeuropea possano essere il fondamento di unacondivisa cittadinanza: patrimoni e cultureappartenenti a differenti e distanti regionidell’Europa contribuiscono tutti a creare un patrimonio culturale comune, una identità europea nella sua diversità.

“Dimostrare come i percorsi dell’identità europea possano essere fondamento di cittadinanza condivisa

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Les Chemins de la Mémoire de Mauthausen,paysages et territoires concentrationnaires”

di Mauthausen, dei suoi sottocampi e dei campi ditransito dai quali partirono i deportati dei vari Paesi,ne “Les Itinéraires Culturels du Conseil de l’Europe”.

Noi italiani siamo molto attivi e presenti in que-sto progetto, che sta prendendo corpo grazieanche all’impegno di Guy Dockendorf, presi-

dente del CIM, che è nato e vive in Lussemburgo do-ve per dodici anni è stato direttore generale del Ministerodella Cultura e dove ha sede l’istituto Europeo degliItinerari Culturali.

Il progetto verrà condotto insieme ai 17 Paesi mem-bri del CIM (Germania, Austria, Belgio, Bielorussia,Spagna, Francia Grecia, Ungheria, Italia, Lussemburgo,Paesi Bassi, Polonia, Federazione Russa, Serbia,Slovenia, Repubblica Ceca, Ucraina) e non si limi-terà a Mauthausen ed ai suoi 49 sottocampi, ma coin-volgerà tutti i campi della morte o luoghi di memoriaeuropea.

Il progetto “Via Memoria Mauthausen” è stato direcente anche presentato al convegno internazionale“Per una didattica della deportazione. Sfide e mo-

delli in Europa”, tenutosi a Milano il 25 ottobre scor-so e organizzato dalla Fondazione Memoria dellaDeportazione, dall’Università degli Studi di Milano edalla Fondazione Fossoli.

Andare sui posti dove si è consumato l’orrore nazi-sta, esplorare i paesaggi, i percorsi, gli edifici, i fornicrematori non solo per ricordare, ma per conoscere ecomprendere come e perché sia stato possibile l’orroredei lager e domandarsi dove ciascuno di noi si collo-ca nel mondo di oggi, quale atteggiamento abbiamo difronte alla xenofobia, al razzismo, all’antisemitismo,al rifiuto dell’altro e del diverso, è la nuova sfida edil modello a cui il CIM affida la didattica della me-moria.

Un percorso della memoria, dunque, che parla eunisce i popoli d’Europa, messaggio per i gio-vani che riprende una delle idee fondanti del

Giuramento di Mauthausen

Noi seguiremo un cammino comune,

Il cammino della comprensione reciproca,

il cammino della collaborazione alla grande opera

di edificazione di un mondo nuovo,

libero e giusto per tutti

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“Al Comitato internazionale per Mauthausenè parso importante che, nel quadro delConsiglio d’Europa la cui base è costi-

tuita fin dalla sua origine, nel 1949, sulla riconci-liazione e sul ristabilimento del dialogo tra gliEuropei, così come sul rispetto del diritto e dei va-lori democratici, un itinerario culturale verta su unadelle più grandi serie di orrori perpetrati nel corsodel regime nazista. La negazione degli individuiper mezzo della deportazione, del lavoro forzato eil genocidio.Il lavoro della memoria realizzato dall’insieme del-le amicales dei deportati di Mauthausen sotto l’e-gida del Comitato internazionale di Mauthausensembrerebbe rispondere perfettamente ad una del-le più grandi urgenze di questo nostro secolo:1)Trasmettere in maniera attiva e concreta alle gio-vani generazioni la testimonianza dei deportati2)Spiegare loro l’ideologia e la struttura del siste-ma concentrazionario e del nazismo3)Portarli ad una presa di coscienza della diversitàdelle popolazioni europee interessate 4)Ritrovare e ricreare dei legami geografici tran-sfrontalieri tra tutti i luoghi che sono stati segnati,nel paesaggio europeo, da un sistema totalitario dieliminazione.

Gli itinerari culturali del Consiglio d’Europache poggiano su una lettura attiva dei fon-damenti dei valori comuni, basandosi non

solo sul modello democratico, ma anche sull’inter-

2- Costruire un camminocomune per la“Via dellaMemoriaMauthausen”

di Guy Dockendorf

Nelle scorse settimane il Presidente del Comitatointernazionale Mauthausen Guy Dockendorf hainviato alla Fondazione Memoria dellaDeportazione questo contributo per le Giornatesulla Didattica della deportazione che si sonosvolte all’università Statale di Milano e a Fossoli.

“Rispondere perfettamente ad una delle più grandiurgenze di questo nostro secolo

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“Questo itinerario culturale si baserà concretamente sui siti ed i paesaggi

pretazione aperta e pluralista dei patrimoni dellasofferenza e della discordia, hanno come missionedi creare una corrispondenza tra cinque dimensio-ni complementari:- La rilettura continuativa dei valori europei - Il lavoro di interpretazione interculturale e di tra-smissione per tutti i tipi di pubblico dei luoghid’Europa dove si incarnano identità comuni arric-chite dalla loro diversità- La mobilitazione dei giovani europei nei patrimonie nei paesaggi culturali suscettibili di stimolare ladiscussione costruttiva- La costruzione di un discorso narrativo che sifondi sulla creazione contemporanea, indipenden-temente dalle forme artistiche di questa narrazione- La creazione di percorsi europei certificati cheaprano la strada ad uno sguardo attento ed interes-sato da parte dei visitatori e dei turisti facendo ap-pello alle più innovative tecnologie dell’informazionee della comunicazione.

Per riprendere una delle idee del Giuramentodi Mauthausen

Noi seguiremo un cammino comune,Il cammino della comprensione reciproca

Il cammino della collaborazione alla grande ope-ra di edificazione di un mondo nuovo,

libero e giusto per tutti

Noi vogliamo dar vita a questo cammino comune ecreare un itinerario culturale presso il Consigliod’Europa:

“Via Memoria Mauthausen”I percorsi della memoria

Paesaggi e territori concentrazionari

Questo itinerario culturale si baserà concretamen-te sui siti ed i paesaggi che testimoniano una dellepiù grandi serie di orrori perpetrati dal regime na-zista: la negazione degli individui attraverso il la-voro forzato che li trasforma in oggetti ed instilla nel-le menti la banalità del genocidio.

Concretamente, il nuovo itinerario culturale avràil compito di documentare:- I trasporti nei campi della morte a partire daiPaesi di origine dei deportati- I trasporti da un campo all’altro (molti deporta-ti sono andati in più campi)- Le marce della morte del 1945- Il ritorno dai campi alla fine della guerra

Infine il nuovo itinerario si propone di contrap-porre alla rete del terrore nazista dell’epoca unanuova rete per un incontro pacifico degli uomi-

ni e delle donne, nello spirito del Giuramento diMauthausen.

Voi siete in diritto di domandarvi in cosa il nostroprogetto potrà interrogare la cultura del presente, og-gi nel 2017? Cioè come il nostro progetto permet-terà di comprendere meglio i problemi del mondod’oggi: le tensioni in Europa, la sorte dei rifugiati,l’ascesa del nazionalismo, il rifiuto dell’altro? Comesi potrà, grazie a questo nuovo itinerario culturalecontribuire a costruire una Europa più attenta al ri-spetto dei diritti dell’uomo, più attenta alla sortedell’altro?L’originalità del nostro progetto è la seguente: tut-ti i Paesi membri del Comitato internazionaleMauthausen hanno una storia comune, una espe-rienza comune, un pezzo di passato comune. E’ laprima volta in tutta la lunga storia dell’Europa chei popoli di tutto questo continente sono stati porta-ti a vivere un dramma comune, che dei popoli han-no sofferto in comune.

Il Comitato internazionale Mauthausen si è riunitoalla fine di settembre a Belgrado in Serbia e lì ab-biamo preso la decisione che il nostro progetto si faràinsieme ai 17 Paesi membri del CIM e non si limi-terà a Mauthausen e ai suoi 49 sottocampi o colle-gati, come Gusen, Melk, Ebensee, Loibl, Harteim.Ma si lavorerà insieme ad altri campi della morte oluoghi di memoria come Dachau, Buchenwald inGermania, Fossoli e Bolzano in Italia, Auschwitz inPolonia, Netzweiler-Struthof, Compiègne, Rivesaltesin Francia.I Paesi che hanno manifestato la loro intenzione dipartecipare al progetto sono Germania, Austria,Belgio, Bielorussia, Spagna, Francia, Grecia,Ungheria, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia,Federazione Russa, Serbia, Slovenia, RepubblicaCeca, Ucraina. Altri Paesi potranno aggiungersistrada facendo.

Permettetemi di concludere e di riassumere con unabreve citazione l’essenza del nostro lavoro di me-moria. La storica francese Sophia Wannich lo de-scrive così sulla rivista Gradhiva;

Oggi, celebrare i valori,Commemorare i terrori passati

Prevenire quelli che potrebbero accadere

“ “

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Parlare dideportazioneoggi a scuola:l’esempio dei laboratorididattici di “Lapsus”

Èquesta una difficoltà ben maggiore dell’o-rientarsi fra gli scaffali degli archivi e dellebiblioteche. Insegnare, spiegare, istruire: non

sono un semplice travaso di dati, bensì azioni che im-plicano la messa in discussione, da parte di chi ap-prende, di ogni concetto precedentemente assimilato.Se ciò vale per ogni atto di insegnamento, la diffi-coltà si moltiplica esponenzialmente quando si par-la di didattica della storia: lo studente non è un va-so vuoto da colmare, ma un individuo che già hacoordinate e identità memoriali preesistenti.

A noi giovani storici questa sfida appare la più pres-sante e puntuale a cui sottoporci per render incisi-vo il nostro “mestiere di storico”, proprio perchéalla didattica sottende la domanda, resa celebre daMarc Bloch: “a cosa serve la Storia?”.Per questo abbiamo deciso di accettare la sfida giàdieci anni fa quando il nostro gruppo è nato.

Ancora studenti dell’Università Statale diMilano ci siamo uniti in un collettivo, dive-nuto poi nel 2011 associazione culturale, il

Laboratorio Lapsus, acronimo di “Laboratorio pro-gettuale studenti universitari di storia”.

Da allora portiamo nelle scuole medie e superiori pro-getti didattici legati a differenti tematiche propriedella storia contemporanea, tutti ugualmente foca-lizzati su una prospettiva interdisciplinare, al fine direndere più efficaci e stimolanti i contenuti, con unaparticolare enfasi sulla partecipazione attiva deglistudenti attraverso un metodo collaborativo, labo-ratoriale e con simulazioni didattiche.

di Sara Troglio

Parlare di storia, ancor più spiegare i passaggilogici sottesi al metodo storico, costituisce unadelle sfide maggiori per chiunque voglia far diquesta disciplina il campo della sua azione.

“Lo studente non è un vaso vuoto da colmare, ma un individuo che già ha coordinate e identità memoriali

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Alcuni momenti dei laboratori didattici nelle scuole

La tavola rotondaorganizzata da Anedpresso la Casadella Memoria aMilano.

In alto un’istantanea del memorialedell’olocausto a Berlino.

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Si è detto che proponiamo laboratori, e non le-zioni. La differenza per noi è fondamentale:crediamo infatti che l’eredità della memoria

storica si debba trasmettere agli studenti tramitela comprensione e che quest’ultima passi non at-traverso progressivi disvelamenti di date, cifre e no-mi, ma dall’acquisizione di un senso critico espe-rito con la pratica. Per questo la forma laborato-riale rimane la più efficace, sempre nel tentativo dicreare esperienze didattiche che si sommino, e non

sostituiscano, il lavoro quotidiano dell’insegnan-te; che si inseriscano come momento differente,ma non estraneo alla vita della classe. Il quadro tracciato diviene ancor più importantese il tema dell’insegnamento è la trasmissione del-la conoscenza legata a quelli che sono considera-ti i grandi eventi collettivi attraverso cui si snodala nostra storia e si fonda il presente storico in cuiviviamo, come appunto il fenomeno della depor-tazione durante la Seconda Guerra Mondiale.

“Crediamo che l’eredità della memoria si debba trasmettere agli studenti con la comprensione

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Ad oggi, la generazione di chi scrive, natadopo la fine della Guerra fredda, è moltoprobabilmente l’ultima ad aver avuto la

possibilità di ascoltare i testimoni degli eventi chesi sono svolti nel periodo della deportazione na-zifascista. L’av vi cendamento di generazioni ela progressiva assenza dei testimoni diretti è unfatto comune ad ogni epoca storica. Ciò comporta la progressiva necessità di ade-guare la trasmissione di quei fatti e del loro si-gnificato alle generazioni più giovani, trovandoforme di insegnamento che possano esser attua-te senza l’incontro diretto con la memoria per-sonale di un testimone.

Nuovi canali e mezzi di comunicazione pos-sono aiutare il “passaggio di consegne”ed occorre stimolare e favorire l’appro-

priazione e la rielaborazione di questi contenu-ti da parte dei ragazzi, permettergli di “fare pro-prie” le esperienze di altri. Questo, va sottolineato, non equivale a svilirela memoria storica, ma le dona invece nuovo sen-so affinché duri e abbia effetti nell’identità e nel-la pedagogia pubblica futura. La ricerca di unnuovo senso all’interno della memoria singolae collettiva dei più giovani è il passaggio ne-cessario per far si che la storia della deportazio-ne nazifascista sia efficace nell’oggi (e con ef-ficace non si intende incisiva a livello immagi-nativo, ma proattiva nel quotidiano sociale-po-litico).

Lavorare nelle classi oggi, vuol dire interagi-re con ragazzi lontani quattro generazioni da-gli eventi narrati e portatori di memorie trans-

nazionali, extraeuropee, che hanno coordinate sto-riche differenti. L’orrore massimo, la persecuzio-ne, gli episodi di resistenza, i “giusti”, le vittime ei carnefici non avranno nella memoria di questiadolescenti il significato univoco che avevano perla maggior parte delle persone delle generazioniprecedenti. Una migrazione, un passato di repres-sione coloniale, una persecuzione politica-religio-sa, una identità di classe: sono tutti elementi cheinfluiscono sulle coordinate storiche di questi ra-gazzi.

Serve una spiegazione, il “perché ti sto rac-contando questo. Perché anche tu devi ricor-dartene”.

Questa spiegazione è sempre  al e nel presente. Perché la storia dovrebbe essere intesa -ed inse-gnata- come una disciplina che opera nella con-temporaneità.

Lo sguardo con cui si osservano gli eventi dipen-de dagli interessi attuali, nel presente sono immersitestimoni, addetti ai lavori, fruitori (non sempreappartenenti a categorie così nettamente ricono-scibili). Opera nel presente perché è qui, ora che silegge il processo e gli si attribuisce un senso sto-rico: ad oggi, per spiegare ciò, serve allargare lospettro del racconto sia nella profondità tempora-le che nella vastità geografica.

Alcuni momenti di laboratori didattici nelle scuole, biblioteche e università

“Interagire con ragazzi lontani quattro generazioni dagli eventi e portatori di memorie storiche differenti

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Se è vero che la deportazione è un evento sen-za precedenti, questo vale per ogni avveni-mento di grande entità: è unico, irripetibile

nella stessa forma. Questo non vale però per le dinamiche di lungo pe-riodo che ne caratterizzarono le origini: è quindisulla spiegazione e nell’individuazione di questeradici, dei processi e del loro andamento lungo piùdecenni e generazioni che ci si dovrebbe focalizzare.Occorre scomporre l’evento storico in quelle che so-no le sue linee generali, nei suoi caratteri distinti-vi: parlando di memoria della deportazione, se ènecessario che ai ragazzi vengano fornite le coor-dinate temporali nelle quali muoversi (questo è ilcampo della storia) per passare al piano della me-moria sarà più efficace forse concentrarsi su quel-li che furono i caratteri distintivi della deportazio-ne nazifascista e dell’universo concentrazionarioche ne derivò.

Entrando nel vivo: i ragazzi dovranno saperel’anno in cui sono state varate le leggi raz-ziali in Italia, ma quanto sarà loro più utile

se questa nozione si legherà ad una riflessione co-mune sul significato che, allora come oggi, il do-cumento e la burocrazia hanno assunto nel deter-minare i destini delle persone?

Se sarà fondamentale che in un’interrogazione lo stu-dente sappia la ridefinizione dei confini europeinei primi 40 anni del Novecento, non sarà ancorpiù fondamentale che lo si inviti a ragionare sulla

loro arbitrarietà, intrecciando il tutto con leesperienze personali di chi questi confini 70anni fa è stato costretto a varcarli? Se il racconto storiografico può “accontentar-si” di conoscere esattamente come funzionavala macchina disgregatrice del campo nazista,la memoria deve saper estrapolare da quell’e-vento, fra le molte, anche una riflessione at-torno alla dissoluzione dei corpi dei suoi in-ternati, dei quali resterà solo una traccia buro-cratica.

Fuori da inutili analogie, bisogna aiutaregli studenti a creare parallelismi, com-parazioni e nessi con il mondo nel quale so-

no inseriti. E per farlo c’è bisogno di un ap-proccio costantemente problematizzante. Il ra-gionamento di lungo periodo deve stimolaredomande più che donare risposte, per permet-tere di far generare ai ragazzi stessi queste do-mande e dar loro gli strumenti critici per trovarele risposte anche quando non saranno più sot-to la guida dell’insegnante, dell’educatore, del-lo storico o del testimone.

Si tratta di una sfida difficile, per la quale an-cora non abbiamo una risposta univoca, ma checoinvolge e coinvolgerà sempre di più quanti nonvogliono rinunciare a tramandare la memoria.

Associazione Laboratorio Lapsuswww.laboratoriolapsus.it

“La memoria deve saper estrapolare dall’evento una riflessione sulla dissoluzione dei corpi

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Come parte integrante del progetto didattico delviaggio a Mauthusen che l’Aned offre ognianno a centinaia di studenti delle scuole me-

die inferiori e superiori, al rientro dalla visita aiCampi viene distribuito ai partecipanti un questio-nario per raccogliere le valutazioni dei ragazzi e a met-tere in luce se e come quest’esperienza abbia con-tribuito ad accrescere le loro conoscenze storiche ela loro sensibilità sociale e politica. Quest’anno han-no risposto all’indagine 538 studenti di cui il 56,71%ragazze e il 43,29% ragazzi. Il 56,9% di coloro chehanno risposto ha dai 10 ai 14 anni, il 39,8% dai 15ai 19 anni, il 2,4% dai 20 ai 21 anni. Il 57,20% fre-quenta la scuola media inferiore, il 17,80% un liceo,il16,48% un istituto tecnico e l’8,52% un istitutoprofessionale.

La valutazione complessiva del viaggio e delle suetappe indica un gradimento molto alto da parte deiragazzi. Il 75,1% dichiara di valutare molto positi-vamente l’esperienza nel suo complesso. Il 24,3% so-stiene di essere soddisfatto, ma che il viaggio ha avu-to alcuni aspetti negativi. Come si capisce dai com-menti finali, tra questi aspetti critici rientra la logi-stica pressante, molti la soffrono, ma comprendonoi vincoli di tempo. Altri indicano alcuni aspetti mi-gliorabili, ma in ogni caso ciò non va mai a scapitodel giudizio complessivo che resta sempre positivo.

Oltre ai tempi ristretti e al freddo, rimane poi ilfatto che il viaggio ha un forte impatto emoti-vo, che alcuni fanno più fatica ad elaborare: a

fianco della crocetta “Sono soddisfatto, ma il viag-gio ha alcuni aspetti negativi”, uno studente ha aggiuntocandidamente “È troppo triste”. Solo in 3 non ri-spondono alla domanda sul giudizio complessivo da-to al viaggio (0,6%). Nessuno dei 538 ragazzi affermadi valutare negativamente il viaggio o di non sapersiesprimere in proposito.Il risultato positivo è rafforzato dalle risposte alla do-manda “Consiglieresti questa esperienza ai tuoi ami-ci?”: il 97,9% risponde affermativamente, solo 8 ri-spondono “No, non credo che sarebbero molto inte-ressati” (1,5%), nessuno risponde che la sconsiglierebbe(in 3 non rispondono, 0,6%). Ma cosa ha colpito di più i ragazzi?

Alla domanda “Per quale motivo consiglieresti que-sta esperienza ai tuoi amici?”, l’82,3% sceglie la ri-sposta: “Perché visitare un lager è molto diverso dalleggerne sui libri, è emozionante essere in un luogo do-ve si è consumata una tragedia così grande”, con-fermando il grande valore della pratica didattica deiviaggi della memoria che permettono di dare formavisibile alla storia. A differenza di un testo scolasti-co, il pellegrinaggio sollecita infatti tutti i sensi, coin-volgendo sia la sfera cognitiva che quella emotiva.

Se esaminiamo come gli studenti hanno percepi-to le varie tappe e alcuni importanti elementi delviaggio, nonostante alcune difficoltà di compa-

razione legate al fatto che le varie sezioni hanno pro-grammi significativamente diversi tra loro, il dato im-portante che emerge è che un discreto numero di ra-gazzi/e che non ha apprezzato/capito la cerimonia in-ternazionale. Il voto medio relativo alla celebrazionedi Mauthausen è alto (7,78), ma decisamente inferio-re alla votazione che riceve la visita al campo e al suomuseo e questo risulta vero per tutte le sezioni (va te-nuto presente che i ricercatori sociali mettono in guar-dia sul fatto che – in relazione ad argomenti impe-gnativi come la deportazione – esiste una sorta di au-tocensura, più che i valori assoluti, vanno dunque mes-si in evidenza le differenze). Anche numerosi commenti finali ci parlano di una ce-rimonia internazionale inferiore alle aspettative, po-co coinvolgente. Sappiamo che ciò è dovuto alla rigidaorganizzazione a cui deve sottostare la manifestazio-ne che coinvolge migliaia di persone di oltre trentanazionalità, ma indubbiamente questo è un aspetto damonitorare e tenere sotto controllo per non trasmettereai ragazzi l’idea di una “ritualità” forzata.

Cosa ci dicono ragazzi e ragazze al ritorno dal viaggio Aned a Mauthausen nel 2017

di Lucia Tubaro

I risultati dell’indagine realizzata per valutarel’impatto, a livello di conoscenze storiche e dicrescita personale, del viaggio Aned a Mauthausen2017

“I risultati dell’indagine realizzata per valutare l’impattoa livello di conoscenze storiche e di crescita personale

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“Raccogliere degli indicatori che ci aiutino a capire se e come l’esperienza raggiunge gli scopi prefissati

do di vedere e spetta poi a ciascuno lo sforzo di “im-maginare” per comprendere.

La seconda parte del questionario ha cercato diraccogliere degli indicatori che ci aiutino a ca-pire se e come l’esperienza raggiunge gli sco-

pi prefissati. L’impegno dell’Aned e di tutte le sueSezioni per portare a Mauthausen un sempre piùgrande numero di giovani ha un obiettivo duplice.Da una parte si tratta di una proposta didattica perle scuole incentrata sulla necessità di trasmettere laconoscenza delle deportazione politica che ha cosìprofondamente caratterizzato l’Italia, dall’altra rap-presenta anche un progetto educativo di sensibiliz-zazione alla cittadinanza attiva e alla democrazia. Il questionario ha dunque dedicato particolare at-tenzione a sondare che informazioni di base abbia-no acquisito gli studenti sulla deportazione italia-na, ma anche a raccogliere alcuni elementi su comeessi si approccino alla società e ai problemi del-l’oggi.Il quadro che ne emerge ha luci e ombre. Solo il 33%dei ragazzi alla fine del viaggio indica con esattez-za l’ordine di grandezza della deportazione dall’Italia,ma l’81,6% ha chiaro che vi sono stati molti depor-tati politici dall’Italia e non confonde questa de-portazione con la Shoah (il 73,23% dà infatti di que-st’ultima una definizione corretta: “Lo sterminiodegli Ebrei pianificato dai nazisti”).

Nel cercare di capire come gli studenti percepi-scano le varie tappe del viaggio, molto inte-ressanti sono anche i commenti finali. Sono

numerosi quelli che riflettono lo sconcerto di vedereluoghi in cui le tracce del passato concentrazionariosono poco preservate e talvolta la delusione diviene an-che sdegno contro il governo e il popolo austriaco ac-cusati di voler cancellare le tracce del passato. Questicommenti sono molto importanti, sollevano il temacomplesso dell’elaborazione collettiva della memo-ria e ci riportano anche alla riflessione che molti stu-diosi fanno in merito al visibile e al non visibile nei luo-ghi della memoria, alla necessità di partire preparati,poiché se non c’è una pre-conoscenza non si è in gra-

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Analizzando invece le risposte sulle loro con-vinzioni, l’attenzione viene subito attratta dalfatto che emerge: oltre il 52% dei ragazzi af-

ferma che “il regime fascista di Benito Mussolini inItalia è stato una dittatura da condannare in parte,ma che ha portato benefici”.Un dato inferiore al 66% emerso un anno fa dal-l’indagine IPSOS sui giovani italiani dai 16 ai 25anni, ma comunque preoccupante, soprattutto con-siderando che in quel caso si trattava di un campio-ne rappresentativo di tutta l’Italia, mentre nel no-stro caso si tratta di studenti venuti con noi aMauthausen . Per quanto riguarda la democrazia, la grandissimamaggioranza (l’84%) si dichiara d’accordo o abba-

“Oltre il 52% dei ragazzi afferma che “il regime di BenitoMussolini è stato una dittatura da condannare in parte”

stanza d’accordo sul fatto che: “può avere dei pro-blemi, ma è migliore di ogni altra forma di governo”.

Più problematico l’atteggiamento verso l’immigra-zione dove, a fronte di un forte riconoscimento dellerisorse positive da essa apportate (il 61% dichiara diessere molto o abbastanza d’accordo con l’afferma-zione: “Gli immigrati che arrivano in Italia rappre-sentano una risorsa perché possono portare energienuove alla nostra società”), emerge anche la pauraper una possibile perdita di identità (ben 124 ragazzidichiarano infatti di essere molto o abbastanza d’ac-cordo con l’affermazione: “Gli immigrati che arri-vano in Italia rappresentano una minaccia per il no-stro modo di vivere”).

Ovviamente questi dati vanno presi con moltacautela, andrebbero completati con intervistepiù approfondite e integrati con una analisi pre-

viaggio (ovvero sul punto di partenza del percorsoformativo che prevede la visita ai Campi), ma comeha sottolineato il presidente della Sezione di Firenzein occasione del Consiglio Nazionale di Brescia, in-dubbiamente ci dicono che dobbiamo continuare a in-vestire nell’essere sempre più incisivi nel trasmette-re conoscenze e nel far riflettere sulle responsabilitàed i crimini commessi dai fascisti italiani.

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“Ben 124 ragazzi si dichiarano d’accordo con l’affer-mazione: “Gli immigrati rappresentano una minaccia”

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Giovanni, ha scritto due li-bri. Il primo si basa sulletestimonianze dei soprav-vissuti, mentre il secondo- “Dalla fabbrica ai lager”–su quelle dei familiari,quasi tutte donne, mogli,sorelle, figlie, madri.

Dal grande lavoro di “Pep -pino” nasce “Matilde e iltram per San Vittore”, untesto e uno spettacolo cheil Teatro della Cooperativae l’Aned hanno ideato eche sarà in scena dal 24 al29 gennaio 2018 nella pre-stigiosa sala del TeatroMelato del Piccolo Teatrodi Milano con tre straordi-narie interpreti, MaddalenaCrippa, Debora Villa eRossana Mola.La lotta armata non appar-teneva alla cultura del-l’officina e della fabbrica.

Gli operai erano maestrinel maneggiare frese, tor-ni, vergelle, trafilati, nonsapevano usare le armi, ep-pure si opposero al nazi-smo e al fascismo pagan-do un carissimo prezzo sen-za bisogno di fare uso dislogan o proclami roboan-ti. Quando lo portano via,il padre di Valota alla mo-glie chiede semplicemen-te: “Come farete a tirare

Durante la Seconda Guerra Mondiale, soprat-tutto dopo l’occupazione nazista, ci furonomolti scioperi nell’aerea industriale a nord diMilano. La Falck, la Breda, la Pirelli, la

Magneti Marelli, la Ercole Marelli e altre fabbriche furo-no bloccate.

In certi casi ci fu l’adesione di decine e decinedi migliaia di operai. Questi scioperi, che furo-no magnificati persino dalla Pravda, dal NewYork Times e da Radio Londra (“Questi operaiitaliani sono un esempio per tutta l’Europa”)

provocarono però una reazione spietata.

Si chiamava Nacht undNebel, notte e nebbia,il metodo usato dai

nazisti, anche se l’arrestoveniva effettuato dalle va-rie milizie fasciste: in tar-da serata o a notte fondaprelevavano e facevanosparire nel nulla l’arresta-to, lasciando i familiari nel-l’angoscia. Da Sesto San Giovanni,Ci ni sello Balsamo, Monzae dai paesi limitrofi furo-no deportate 570 persone.223 non fecero ritorno. 10morirono in seguito perma lattie contratte nel la-ger. Su questa terribile paginadi storia, Giuseppe Valota,figlio di uno dei deportatiche persero la vita nei la-ger, presidente dell’Aned(Associazione NazionaleEx Deportati) di Sesto San

Le nostrestorie

“Matilde e il tram per San Vittore” A Milano uno spettacolo che il Teatro del

di renato Sarti

avanti senza di me?”. E leirisponde: “Guido, mi te ve-di pü”. La sostanza e lo spessore diquesta epopea è racchiusatutta qui e anche il teatropuò - e a mio avviso deve- assumersi la responsabi-lità di trasmettere la me-moria di questa pagina distoria. Non si tratta sol-tanto di fare proprio e cer-care di rendere, con l’au-

Il “non eroismo” con cui queste donneaffrontarono una terribile quotidianità

Lo portano in Germania:“Come farete a tirare avantisenza di me?” Lei risponde“Guido, mi te vedi pü”

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Matilde e il tram per San VittoreTesto e regia renato Sarticon MaddalenaCrippa, Debora Villa,rossana MolaScene e costumiCarlo SalaMusiche Carlo BoccadoroLuci Claudio De Pacedal libro di GiuseppeValota “Dallafabbrica al lager”

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la Cooperativa e l’Aned hanno ideato per il Piccolo Teatro Studio Melato

Vuole andare a trovare la mamma aSan Vittore, ma sbaglia tram e si perde

silio della scrittura dram-maturgica, della recita-zione e della regia, l’im-menso dolore di cui è in-trisa questa tragedia maanche di mettere in evi-denza un altro aspetto fon-damentale: il “non eroi-smo” con cui queste don-ne, improvvisamente sen-za i loro uomini, affronta-rono una terribile quoti-dianità di guerra fatta di

anziani e bambini da ac-cudire nella fame, nel fred-do, nella miseria e nel ter-rore dei bombardamenti.Finita la guerra, mentretante donne gioivano e fe-steggiavano il ritorno deipropri uomini, per altre siaprì un periodo ancor piùtremendo di spasmodicaattesa, contrassegnata dal-la mancanza di notizie edall’incertezza.

C’è stata una madre che hacontinuato per mesi ad ap-parecchiare a tavola per ilfiglio, nella speranza delsuo ritorno; una moglie chenel letto sente il marito,che non aveva mai parlatodel lager, piangere som-messamente abbracciando

la figlia piccola. C’è una bam bina che va atrovare il padre in ospe-dale appena rientrato dallager, lo riconosce appenae lui, pochi giorni primadi morire per la tuberco-losi contratta nel campo disterminio, le chiede: “La

mamma ti dà la paghettaalla domenica?”. E c’è Matilde di 11 anni,che, nonostante i fascistiavessero assassinato il pa-dre e arrestata la madre,decide di vivere da sola evuole andare a tutti i costia trovare la mamma a SanVittore, ma sbaglia tram esi perde per Milano. Poi lamadre rientrerà dal lagerdi Bolzano: “Ma senza

papà, la vita non potevapiù essere quella di pri-ma”.No, non poteva esserlo néper lei, né per una comu-nità intera, legata dalla vi-ta e dalla fatica del lavoroin fabbrica, che era stataviolentata nei suoi rapportipiù intimi e cari dalla guer-ra, dal sopruso e dalla vio-lenza del nazismo e del fa-scismo.

Pagina accanto:marzo 1944, gli operaidella Breda in scioperoascoltano il generaletedesco Funck cheintima loro di riprendere il lavoro.A lato: una scrittamurale sulla passerelladella Prima SezioneBreda, 1944-45.Foto al centro: un stradadi Sesto durante laguerra. Tutto fermo,pochi mezzi, vitaparalizzata.

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Il 17 aprile 1944 la miaintera famiglia e i duemontanari che ci guida-

vano, erano stati sorpresi,vicino alla frontiera sviz-zera, mentre facevano unbreve riposo dopo una not-te di cammino sotto la piog-gia e poi sotto la neve.“Mani in alto”. Fermati earrestati da due militi fa-scisti con il fucile puntato,mentre ormai eravamo a unpasso dalla salvezza, nellaSvizzera neutrale. Durante il periodo della no-stra prigionia in Italia, Doranon ci aveva mai parlato diessere stata in cella a Comovicino ad una giovane di 17anni, che era stata poi libe-rata. Purtroppo, nel campo ditransito di Fossoli (Durch-

gangslager), pochi giornidopo il nostro arrivo, Doraera rimasta vittima di un mi-tragliamento aereo. Era sta-ta colpita alla testa, al ven-tre e alla mano destra.Qualche mese dopo, i nazi-sti decisero l’evacuazionetotale del campo. Dora, purclassificata ebrea mista, es-sendo inutilizzabile per illavoro, era stata destinata adAuschwitz e alle sue came-re a gas, assieme a nostropadre. Anche mia madre,che sarebbe stata destinataa Ravensbrück, chiese diunirsi a loro. Così avvenne.Ebbi poi notizia che furo-no uccisi “alla prima sele-zione”, cioè immediata-mente dopo l’arrivo. Questo passato tornava a ri-vivere.

Nel mese di maggio di quest’anno avevoricevuto un messaggio da Alberto Zappa(Nino), una persona che non avevo maiconosciuto.

La sua comunicazione diceva: a Bormio c’è una signo-ra che, nel carcere di Como, era stata vicina di cella disua sorella Dora.

Quella signora, che allora era una ragazzadi 17 anni, dopo pochi giorni dall’arresto,era stata liberata. Dora, allora, le avevadato una sua valigia dicendole: “Prendila.Queste cose non mi serviranno più.”

un messaggio che mi ha riportato indietro nel tempodi molti anni, all’aprile del 1944.

La straordinaria storia della valigia di Dora. Come Salmoni ritrovai ricordi di vite disfatte

Era stata scarcerata e Dora le aveva dato una valigia con alcune sue cose

Le nostrestorie

di  Gilberto SalmoniPresidente Aned di Genova

Nino Zappa, aiutato da in-solite circostanze, era sta-to veramente abile a rin-tracciarmi.Il 27 gennaio 2017, comeex deportato a Buchenwald,ero stato invitato a Veronaa tenere l’orazione ufficia-le per il Giorno dellaMemoria. Nino era a Veronaper una visita medica spe-cialistica e il 28 gennaio, suun giornale che riportavacenni della mia relazione,aveva notato che veniva ci-tato Bormio. Successive ricerche lo han-no messo in relazione conl’editore Frilli, di Genova,che aveva pubblicato i miei

due libri sulla deportazio-ne, e così è riuscito a scri-vermi direttamente e a far-mi sapere che, a Bormio,un’anziana signora, era sta-ta nel carcere di Como, nel-la cella vicina a quella dimia sorella Dora. Con leiaveva potuto vedersi quo-tidianamente, grazie allabontà della guardiana, unasuora, che le lasciava usci-re in corridoio. La signoradi Bormio, allora ragazza,era stata scarcerata e Dorale aveva dato una valigiacon alcune sue cose , di-cendole: “A me queste nonserviranno più.”Stabilito il contatto, Nino

Per Lina la valigia che Dora le aveva affidato, è stata un pensiero costante in tu

Gilberto Salmoni con Lina “ragazza” che conservavala valigia di Dora, scomparsa ad Auschwitz.

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Punite per leggi che una nazione non avrebbe mai dovuto emanare

Zappa mi aveva invitato aBormio per andare dallavecchia signora Lina, vec-chio ormai anch’io, per ria-vere la valigia che la signoraaveva messo in un baule etenuto lì per 73 anni. Nino aveva organizzato tut-to: incontrarci alla stazio-ne di Tirano, dove sarei ar-rivato in treno, l’ospitalitànell’albergo gestito da suofratello, poi la visita alla si-gnora della valigia, il cuinome era ed è Lina. Infineper la mattina dopo, si di-chiarava a mia disposizio-ne, per portarmi dove aves-si chiesto di andare.L’appuntamento era statopreso e rimase valido, mamio genero Massimo Pa -squali assieme a mia figliaRaffaella, decisero di ac-compagnarmi a Bormio inauto. Sono stati ospitati anche lo-ro all’Albergo Dante.Arrivati a Bormio il 17 giu-gno dopo l’una abbiamo po-tuto prendere un breve pa-sto, poi avere tempo per unpo’ di riposo e subito doporecarci all’appuntamentocon la signora Lina.Il pranzo in un locale vici-no all’albergo ci ha con-sentito di ammirare un pra-to molto esteso, ai piedi delbosco e la funivia che, a par-tire dal mese di luglio, por-ta alla località Bormio 2000.Una Bormio che in quel1944 non avevamo cono-sciuto e neppure intravistodurante il percorso cheavrebbe dovuto portarci in

Svizzera. Avevamo cam-minato, durante la notte,sotto la pioggia prima e poi,salendo, era iniziata una fit-ta nevicata che ci rallenta-va moltissimo. Questa volta, dopo un bre-ve riposo, Nino ci ha chia-mato. Ci siamo messi incammino per una bella stra-da di paese e siamo arriva-ti alla casa di Lina. Siamo entrati e abbiamo vi-sto una vecchia signora vi-spa, seduta su una poltronache ci aspettava. Oltre a noi e a Nino Zappacon la moglie, c’erano i fi-gli di Lina, Alberto, con lamoglie Cri stina, e BiceQuintavalla. Era voluto essere presenteanche il sindaco RobertoVolpato con la moglie. C’eraanche la figlia di una delledue guide, Luciana Fuma -galli, che, per il colore e l’e-spressione dei suoi occhi,mi ha ricordato con emo-zione suo padre. Abbiamo parlato per un po’e qualcuno ha ricordato unepisodio che era stato rife-rito dal carceriere Faifer,che viveva poco lontano edera morto alcuni anni pri-ma; questi aveva racconta-to di aver soddisfatto la ri-chiesta di mio padre di ave-re un catino pieno d’acquaper lavarsi i piedi dopo lalunga camminata che ave-vamo fatto. Non ricordavoquell’episodio, ma so beneche mio padre era vera-mente maniaco per la pro-pria pulizia.

tto questo tempo. Era diventata preziosa, ma anche sempre più ingombrante

Il “giorno dellamemoria” a Verona.oratore ufficiale è statoGilberto Salmoni,deportato «ebreo epolitico» di soli 16 anni. In quei giorni è statoesposto uno dei vagoniferroviari chetrasportarono i deportatinei lager nazifascisti. E’ rimasto in piazza Brafino all’anniversariodella liberazione del lager di Auschwitz.

Mentre si parlava, la figliadi Lina era andata a pren-dere la valigia di Dora che,per più di settanta anni era ri-masta chiusa dentro un bau-le. Abbiamo dato uno sguar-do fugace all’interno e con-statato che c’erano pochecose, ma veramente belle.Mia sorella si era sposata dapoco più di un anno e gli og-getti che avevamo visto era-no certamente parte del suocorredo di nozze.Per Lina la valigia, che Dorale aveva affidato, è stata unpensiero costante nel tem-

po. Era diventata sempre piùpreziosa, ma anche più in-gombrante. La custodiva perché era diDora, una persona con laquale aveva vissuto mo-menti tragici, entrambe pu-nite ingiustamente per col-pe inesistenti, per leggi cheuna nazione civile nonavrebbe mai potuto emana-re. Nei primi tempi ci po-teva essere il desiderio di ri-vedere Dora e di parlare conlei di quei giorni passati in-sieme nelle brutte celle delcarcere di Como.

Dora, per sua iniziativa, si era anche interessata allalingua e alla letteratura tedesca. Aveva studiato conuna signora tedesca che abitava a Genova e poiaveva frequentato per alcuni mesi un Istituto aGmunden, in Austria, sulle rive del lago Chiemsee.Lì aveva visto con preoccupazione, i primi segnalidella persecuzione contro gli ebrei da parte deinazisti. Nella foto una SS sorveglia il carico di benisequestrati ad un ebreo.

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Poi, poco a poco, aveva do-vuto rassegnarsi e ricono-scere che mia sorella avevafatto una previsione che siera purtroppo avverata. Poi, quando ormai anche leiaveva perso la speranza dirivedere Dora, Lina deside-rava almeno che qualcunola cercasse, venisse a Bormioe potesse constatare, conquanta cura e per quantotempo aveva tenuto nella suacasa una valigia che asso-lutamente voleva restituire,se non a Dora, a qualche suoparente, a qualcuno che l’a-veva conosciuta e sapeva chiera e come era.E, allora, aveva deciso diconfidarsi e di comunicare aqualche persona fidata que-sta vecchia storia, sperandoche finalmente qualcuno lavenisse a trovare, la ascol-tasse e potesse prenderequella valigia, che per leiera diventato un pensierofisso che non riusciva ad al-lontanare, a dimenticare. Dopo l’incontro, siamo tor-nati in albergo per un breveriposo. Poi c’è stata la cena,buonissima, presso il Risto -rante Rezia in compagniadei Bormini.La mattina dopo, su un fuo-ristrada di Alberto Quinta -valla, figlio di Lina, abbia-mo fatto il tentativo di rag-giungere il punto dove era-vamo stati arrestati. Era mol-to in alto, subito sotto il cri-nale che divide l’Italia dal-la Svizzera. Ci hanno infor-mato però che non era pos-sibile raggiungere quella zo-na perché una frana recente

interrompeva il percorso.Quintavalla ci ha portati al-lora al lago di Cancano do-ve c’è un edificio lungo ebasso con ristorante e ca-mere. Quel l’edificio era sta-to la casa che sorvegliava lafrontiera. È lì che nell’apri-le del 1944 abbiamo subitoil primo interrogatorio daparte di un tenente giovaneche, interrogandoci uno pervolta, giocherellava con unpugnale, divertendosi, ognitanto, a piantarlo sul tavolo.Un ricordo triste, di un uomoche si divertiva a cercare dispaventare persone ormaicondannate a morte. Ma noieravamo riusciti a mantene-re una certa freddezza, purcoscienti del tremendo fu-turo che ci attendeva.Questa volta, tornati aBormio, Alberto Quinta val -la ci ha mostrato una Jeep disua proprietà che aveva par-tecipato allo sbarco inNorman dia e con la quale,quasi tutti gli anni, prendeparte al raduno che viene or-ganizzato per ricordare quel-l’evento.Ci ha raccontato anche qual-cosa delle sue venti estatitrascorse in Antartide. Cisembrava quasi incredibileche una persona, per vent’an -ni, avesse passato alcuni me-si in un territorio così ino-spitale. Un’espe rienza che gli ha per-messo di mettere a punto at-trezzature di soccorso alpi-no innovative ed efficientiche consentono di salvareanche persone prigionieredi crepacci. Quinta valla ha

La straordinaria storia della valigia di Dora. Come Salmoni ritrova i ricordi di vite disfatte

Il lago diCancano inun’immaginedel tempo. Siintravvedesul fondo lagrande digarealizzatadall’AziendaElettricaMilanese e,qui a lato,ecco i lavoridicostruzione.ripensatipiù volteebbero esitonellosbarramentoche vediamonella fotosotto e che al tempoportavalampade didecorazionee dimo-strazione.

Un uomo che si divertiva a spaventare persone condannate

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così migliorato l’attrezza-tura del gruppo di soccorsoalpino che guida .Era venuta l’ora di pensareal rientro a Genova. Com -mossi, abbiamo ringraziatoe salutato tutti, con l’inten-zione espressa di voler man-tenere i contatti e possibil-mente rivederci.Dora era più anziana di medi 10 anni. Quando siamostati arrestati aveva 25 an-ni.Prima delle leggi razziali del1938 appartenevamo, comesi diceva allora, a una fami-glia benestante. Vive vamoa Genova in un bell’appar-tamento. Le leggi del 1938 avevanoprovocato il licenziamentodi mio padre, impiegato diStato, vice direttore del -l’ispet to rato Agrario diGenova e il sequestro di al-cuni appartamenti dei qua-

li i miei erano proprietari.Mio fratello aveva potutolaurearsi in medicina e anchespecializzarsi in urologia,ma non poteva esercitare laprofessione. Per noi viveresignificava consumare le ri-serve che ogni famiglia pre-vidente aveva potuto accu-mulare.Dora aveva frequentato unascuola per ragazze di buo-na famiglia, dove venivanoinsegnate tante cose, in vistadi un futuro matrimonio.Oltre al normale program-ma di istruzione, aveva im-parato a cucire, a ricamare,a lavorare a maglia e a de-corare con il pennello og-getti vari. Con molto amoremi aveva fatto due pulloverche erano i mie preferiti.Dora, per sua iniziativa, siera anche interessata alla lin-gua e alla letteratura tede-sca.

Aveva studiato con una si-gnora tedesca che abitava aGenova e poi aveva fre-quentato per alcuni mesi unIstituto a Gmunden, inAustria, sulle rive del lagoChiemsee. Lì aveva vistocon preoccupazione, i primisegnali della persecuzionecontro gli ebrei da parte deinazisti. Ci aveva detto chesulle panchine dei giardinipubblici c’era scritto “Ebreiindesiderati”. Si era innamorata di un belgiovane, ma la sua relazio-ne con il suo futuro maritoera stata ostacolata perchélui apparteneva ad una fa-miglia relativamente mode-sta e non aveva intenzione

di proseguire gli studi dopola maturità. Loro si amava-no perdutamente, ma la miafamiglia non vedeva di buonocchio quella relazione.I nostri genitori hanno tentatodi distrarre Dora e farle tro-vare altre occasioni accom-pagnandola in alcuni viag-gi. Ma l’amore di Dora eRomolo era rimasto intattoe si era rafforzato. Si giunseinfine al matrimonio che sipoteva fare soltanto in chie-sa e costituiva un legameesclusivamente religioso,perché le leggi razziali del1938 prevedevano che chiera di “razza ebraica” nonpoteva sposare chi era di“razza ariana”.

Nel 1943 Romolo era mili-tare a Ceva e, dopo il matri-monio, Dora l’aveva segui-to. Poi si erano riuniti a noi.Al momento dell’arrestoDora era incinta. Dopo l’8settembre 1943, data del-l’armistizio con gli Alleati,l’Italia del Nord e Centraleera governata dalla Repub -blica Sociale di Salò che col-laborava con i nazisti occu-panti. Nel carcere di Bormio e an-che in quello di Como era-vamo stati tutti alloggiatinello stesso penitenziario,gli uomini divisi dalle don-ne. A San Vittore di MilanoRomolo, classificato di raz-za ariana, fu separato da noi,di razza ebraica .Quando noi partimmo per ilCampo di Fossoli, Romo lofu trattenuto a San Vittore.Tempo dopo riuscì a fuggi-

re e a raggiungere i gruppipartigiani nel piacentino, manon a mettersi in contattocon noi che, nei primi gior-ni di agosto, fummo trasfe-riti a Buchenwald, mio fra-tello e io, ad Auschwitz miopadre, mia madre e Dora.Quando, con Renato, dopo laLiberazione, siamo tornatia Genova, abbiamo subitoscritto a Romolo, marito diDora, chiudendo la letteracon le nostre due firme.Pensavamo che avrebbe ca-pito quale era stato il desti-no degli altri. Invece si pre-cipitò a incontrarci e ci chie-se dove fosse Dora. Alla no-stra risposta, cadde a terrasvenuto. Poi, per un po’ man-tenemmo i contatti, ma do-po alcuni mesi Romoloscomparve. Anche i suoi fa-miliari non ebbero più suenotizie.

Avevano abitato a Ceva in provincia di Cuneo durante il fascismo. Qui una cerimonia con i gerarchi.

Ma l’amore di Dora e Romolo era intatto anzi si era rafforzato

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Una straordinaria ini-ziativa dell’Aned diBrescia e del prof.

Gaetano Paolo Agnini cheda anni tiene viva la me-moria di questi luoghi chehanno ospitato durante laRsi “due poli del male”. Èstata conosciuta come laRepubblica di Salò quellache dopo il ritorno di Mus -solini è stata costituita sot-to lo stretto controllo deinazisti. Ma qui a Desenzanovi erano due edifici cheospitavano il Comando su-premo delle Ss e, a pochecentinaia di metri, l’Ispet -torato della razza. All’albergo Mayer opera-va il generale Karl Wolff,che su personale ordine diHitler era stato nominatoplenipotenziario politico emilitare per l’Italia. Poco distante di lì, in unapalazzina più modesta viera la sede del ministro fa-scista Giovanni Preziosi,un prete spretato fanatico,che da lì guidava la caccia

agli ebrei in tutta l’AltaItalia. Oggi i due edifici sono sta-ti “bonificati” e nulla ri-corda il loro triste passato.L’albergo è imponente e alsuo interno una scalinata ci-nematografica porta al pia-no superiore dove in queglianni comandava il gen.Wolff. La palazzina dove impera-va Preziosi è stata ridipin-ta di giallo, per paradossoil colore che allora venivadestinato alla stella di Davidche doveva contraddistin-guere gli ebrei che da lì ve-nivano ricercati per essereinviati ai forni crematori neilager di mezza Europa. Labattaglia del prof. Agnininon è stata semplice. Molti avrebbero voluto can-cellare del tutto quella me-moria, per evitare l’analisidi una tragedia o semplice-mente per nascondere persempre i drammi che da queidue edifici hanno avuto ori-gine.

Sono stati circa 10 mila i visitatori che in undecennio hanno scelto di camminare lungo ilpercorso storico della repubblica sociale aDesenzano

Arrivano dall’Italia e dall’estero “fino aIsraele”

In 10 mila sul camminostorico per scoprire i poli del male della rSI,da Salò a Desenzano

Molti quelli che hanno percorsoil cammino che parla di storia

Avrebbero voluto cancellare quellamemoria e l’analisi di una tragedia

Le nostrestorie

Una garitta di quel tempoè stata miracolosamentesalvata, ma non è stato pos-sibile sistemarla fuori dal-la palazzina di Preziosi per-ché, secondo alcuni, è so-lo un vecchio e brutto re-perto che avrebbe potutourtare la sensibilità di tu-

risti italiani, tedeschi e stra-nieri. Invece sono moltiquelli che sono venuti apercorrere il cammino cheparla di storia e cerca ditrovare proprio nei poli delmale le ragioni di un rifiutonetto e definitivo del na-zifascismo. Arrivano dal -

una straordinaria iniziativa dell’Aned di Brescia che da anni tiene viva la me

La garitta di vedetta, una piccola costruzione inmuratura, con finalità di controllo del perimetro eosservazione della zona

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Incrementare ulteriormente la visita dei ragazzi delle scuole lombarde

l’Italia e dall’estero, daAmburgo e, quest’anno,anche da Israele dopo chelo Yad Vashem di Geru -salemme ha riconosciutoil grande interesse di que-sto percorso. Cinque sonole tappe del pellegrinag-gio, scandite ogni volta daletture di brani adeguati.Si comincia dal monu-mento alla Resi stenza (1),ci si ferma in piazza Mal -

vezzi (2), si arriva all’al-bergo Mayer (3), ci si sof-ferma davanti alla palaz-zina dove era ospitatol’Ispe ttorato della razza(4), si passa, quindi, dallaVilla Dalla Volta. Il cam-mino termina al Bosco del-la memoria, (5) dove spes-so vengono lette le storiedi cinque donne che ebbe-ro la forza di opporsi al ma-le facendo del bene.

Proprio in queste settima-ne la Direzione Istruzionedella Regione Lombardiaha riconosciuto il valoredel percorso e questo ri-conoscimento permetteràdi incrementare ulterior-mente la visita dei ragazzidelle scuole lombarde e dei

loro insegnanti, Prima ditutto a loro infatti in que-sti anni sono state riserva-te le giornate dei pellegri-naggi. La visita è completamentegratuita e per concordarlasi può contattare il prof.Agnini al tel. 3288731039.

moria di questi luoghi che hanno ospitato durante la rsi “due poli del male”

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Le cinque tappe del pellegrinaggioscandite di volta in volta da letture di brani adeguati

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Siegfried LenzIl disertore

Neri Pozza editore,(traduzione di

riccardo Cravero)pag. 272

euro 17,50

Fosse nato negli anni Trenta (anziché nell’ultimoscorcio dell’ottocento) l’inimitabile scrittore cecoJaroslav Hasek avrebbe potuto constatare di avereun coevo scrittore tedesco in Siegfried Lenz che, colsuo tribolato romanzo Il disertore (Neri Pozza edito-re, traduzione di riccardo Cravero), ricalca le trac-ce del suo celebre, ilare racconto Le avventure delbuon soldato Svejk.

Enon solo, ma per le suepersonali traversie du-rante il nazismo e la

seconda guerra mondiale sipuò ritenere una sorta di so-sia dello stesso Hasek, giàtransfuga dall’impero au-stroungarico per combatte-

re dalla parte dell’ArmataRossa.Lenz, infatti, originariamentein forza nella marina nazi-sta, quindi in fuga per esse-re catturato infine dagli in-glesi, riversa – nel suo se-condo lavoro letterario (il

primo, C’erano sparvierinell’aria, a suo tempo ac-colto da un buon successo)inizialmente intitolato Nellapatria, nella patria ci rive-dremo, poi dopo oltre ses-sant’anni! di ipocriti inter-detti, rieditato come Il di-sertore – il caustico, grotte-sco turgore di un sarcasmoben temperato, teso a rap-presentare (anche con ince-dere a volte risolutamentehemingweiano) tutti i guasti,le storture di vicende belli-che rivissute con irruentaironia e il grottesco dall’in-docile soldato Walter Proska

e dal suo disincantato com-militone Pandilatte. Di que-st’ultimo sono le dissacrantiosservazioni: “Chi è questaGermania con cui ci gon-fiano le orecchie”, “lo ca-pisci, Walter, che siamo laGermania anche noi … esarebbe un’idiozia totale senoi che siamo la Germaniaci immolassimo per laGermania, cioè per noi stes-si. Sarebbe come se un or-so si togliesse una chiappae si mettesse a mangiarla inpreda al dolore cercando diconvincersi che deve sacri-ficarsi”.

BIBLIoTECA

L’assurdo itinerario di oltre sessant’anni di gestazione di untesto risolutamente antimilitarista

“Il disertore” di Siegfried Lenz. Germania allo specchio

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C’è in questo Disertore tut-to il furore antimilitarista eil parossistico dileggio del-le gesta destabilizzanti del“buon soldato Svejk” e, giu-sto a ragione di ciò, la ge-stazione e l’immediata car-riera del romanzo di Lenzincontrò subito, fin dalla suaprima stesura negli anniCinquanta, difficoltà, pre-giudizi paralizzanti, specieda parte di funzionari gior-nalisti che, pur segnati a fon-do dalla loro milizia tra leSS e i gradi alti della gerar-chia nazista, si erano nelfrattempo infiltrati, con lon-ganime tolleranza del can-celliere Adenauer, nei cen-tri di potere politico e cul-turale dell’epoca.In particolare risulta esem-plare la storia connessa al-la tormentata progressionedel Disertore, sin dal suoprimo apparire salutato concontrastanti accenti dai gior-nali più importanti e pron-tamente seguiti da una cri-tica ipocrita, soprattutto in-teressata a smorzare la de-nuncia antimilitarista del li-bro di Siegfried Lenz.Questi, esasperato da tantolivore denigratorio dei suoicontraddittori, avallò l’ideache la propria fatica non me-ritasse alcuna pubblicazio-ne. In questo ostracismocontro Siegfried Lenz e ilsuo insolito libro si distinsel’autorevole editor OttoGorner che, pur in passatomembro delle SS, non eb-be alcuna difficoltà nel sa-botare, prima l’originariastesura del Disertore, e inseguito di valutare ambi-guamente tale medesimo li-bro come “un romanzo che

ti prende alla gola”.Affermazione che perSiegfried Lenz suonò (in-sieme a una lettera dello stes-so Gorner) come una di-sapprovazione cui risposefin troppo civilmente: “Horiflettuto a lungo sulla sualettera, l’ho letta e riletta,ci ho anche dormito sopra edesidero dirle con grandeserenità e privo di qualsia-si animosità che non scri-verò questo romanzo, e nonlo scriverò perché non loposso scrivere”. Così, ri-pristinato nella sua interez-za, soltanto oltre ses-sant’anni dopo, Il disertorepoté essere pubblicato e, so-prattutto, letto, apprezzatocon grande favore del pub-blico indiscriminato, com-preso quello tedesco anchese disorientato dagli esiticontraddittori delle elezio-ni politiche di settembre, in-dicativi del revanscismosempre latente della destraestrema e, dell’inguaribileipocrisia di un dopoguerrache non accenna ancora afinire decisamente e persempre. Sauro Borelli

Siegfried Lenz, foto inbasso (1926-2014) è stato soldato e prigio-niero nella secondaguerra mondiale, esordìcome scrittore nel 1951. Al centro una delle popolari caricature ispirate dal “Buon soldato Sveik”.

“Als Italienerin in Ravensbrück ”Io, italiana aravensbrück

Le memorie di Lidia Beccaria rolfi

una grande opportunità viene offerta al lettore tedescocon la pubblicazione di Als Italienerin in Ravensbrück,Berlino, Metropol, 2016, traduzione di Le donne diRavensbrück , per conoscere o approfondire un capito-lo della deportazione italiana femminile.

Dopo la pubblicazionenel 2007 diZurückkehren als

Fremde, (L’esile filo dellamemoria, letteralmenteRitornare come straniera),Johanna Kootz , curatrice,e Martina Kempten, tra-duttrice, si sono cimentatenel tradurre l’altro libro diLidia Beccaria Rolfi e diAnna Maria Bruzzone(Torino, Einaudi, 1978) incui Lidia e altre quattro exdeportate raccontano la de-portazione femminile aRavensbrück.Sorprende subito il nume-ro delle pagine, 431, a fron-te dell’edizione italiana di282. L’introduzione dellacuratrice, Johanna Kootz,precede quella originaria diAnna Maria Bruzzone edillustra per esteso al lettoretedesco il contesto storico incui sono nate e vissute leprotagoniste del libro: laResistenza delle donne ita-liane, la loro deportazione,il difficile inserimento nel-la società dopo il ritorno a

Lidia Beccaria rolfi,Anna Maria Bruzzone

Als Italienerin inRavensbrück

(traduzione di Johanna Kootz

e Martina Kempten)Berlino, Metropol,

2016 pag. 431euro 24,00

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BIBLIoTECA

casa, l’impegno di Lidia co-me attiva “cronista”delladeportazione dopo anni disilenzio. Dopo le prime notizie diRavensbrück arrivate inItalia con la pubblicazionedi Il flagello della svasticanel 1955, in cui Lord Russeldedica una trentina di pa-gine al lager femminile, leex deportate italiane han-no trovato il coraggio di rac-contare ciò che hanno vis-suto. Diversamente da altre te-stimonianze, però, nel suolibro Le donne di Ravens -brück Lidia Beccaria Rolfiintegra la sua personaleesperienza con un’analisistorica e sociologica di quel-la che lei definisce “cittàconcentrazionaria” e sot-tolinea la dura condizionedelle italiane provenientida uno stato fascista, finoal giorno prima alleato del-la Germania, arrivate nelcampo nell’ultimo periododella sua esistenza, costrettead una condizione di “sot-toproletariato”e a difficilirapporti con le altre pri-gioniere. Als Italienerin inRavensbrück offre quindiagli storici tedeschi, ma an-che a semplici lettori, lapossibilità di colmare unalacuna e l’opportunità diconfrontare l’esperienza ita-liana con quella di altre na-zioni di cui hanno già co-noscenza. Johanna Kootz si augurainoltre che la bibliografiaindicata nel testo possa ser-vire da stimolo per svilup-pare ulteriori conoscenze eauspica un approfondi-mento delle ricerche sul-l’influenza che ebbero sul-

la società italiana le riven-dicazioni avanzate dalle exdeportate singolarmente ocome appartenenti ad as-sociazioni per un futuro mi-gliore del loro Paese. Co -nosciuto da tutti, a questoproposito, è l’impegno diLidia Beccaria Rolfi al-l’interno dell’Aned.Nel libro è stata messa par-ticolare cura nelle note,molte e necessarie per ilpubblico tedesco dato chefanno approfondito riferi-mento alla storia del nostroPaese. Ai nomi di quasi tut-te le ex deportate citate so-no state collegate note bio-grafiche e alle loro versio-ni originali sono state ap-portate necessarie modifi-che ed integrazioni.Ci auguriamo che la pub-blicazione di questo im-portante libro, avvenutaquasi trent’anni dopo la pri-ma edizione dell’originale,serva come stimolo per unanuova edizione di Le don-ne di Ravensbrück di cui sisente la mancanza.

Marisa Quirico

Il “Mein Kampf” di Hitler in edizione critica in italiano

uno strumento per conoscere il pensiero

Il curatore Vincenzo Pinto, insieme al prezioso lavorolinguistico di Alessandra Cambatzu, per la prima vol-ta nel panorama bibliografico, hanno trasformato il“Mein Kampf” di Adolf Hitler, in un volume leggibile ericco di spiegazioni, finora inedite, sulle varie tematiche.

Come è ben noto, il te-sto è stato bandito inGermania fino al-

l’anno scorso, per via delgiustificato timore che, nelcaso di una eventuale facilefruibilità, potesse diventareancora un libro di fascina-zione per i giovani tedeschi.Pertanto il suo acquisto oanche solo consultazione inuna biblioteca, doveva es-sere “giustificato” da unaapposita lettera di accom-pagnamento accademica chespiegasse l’interesse per ra-gioni di studio. Scritto da Hitler tra il 1923e il 1926, in occasione delsuo arresto, il testo affrontale questioni del primo ‘900partendo dalla patria perdu-ta nella Grande Guerra, i ne-mici storici e politici,l’Europa e il suo incerto fu-turo. Il racconto parte dalla bio-grafia adolescenziale diHitler a Braunau am Inn, vi-cinissimo al confine con laBaviera, dove il padre eraun doganiere con aspirazio-ni borghesi, per poi raccon-tare il passaggio a Vienna in

cui delinea già tutte le sueespressioni di razzismo e fe-roce antisemitismo. In famiglia emergono tutte leconflittualità col padre, leaspettative tradite, la morteper cancro della madre cu-rata da un medico ebreo, ivari spostamenti, la povertàsua e della sorella Paula ri-masti orfani e supportati so-lo dagli aiuti statali. Infine iltrasferimento nella capitaleaustriaca, dove vede fallireil suo sogno di diventare unacquarellista di fama, cam-mino che aveva intrapresoanche in risposta al confor-mismo paterno di funziona-rio dello Stato. Ma è aVienna che inizia anche aformarsi come uomo politi-co e soprattutto come na-zionalista. Il curatore Pinto inserisceuna dettagliata cronologiabiografica che rivela im-portanti eventi micro stori-ci inserendoli nelle macrovicende europee del periodo. In occasione del suo arrestoper alto tradimento, l’11 no-vembre 1923, nella fortez-za di Landsberg, incaricherà

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nazista, anche sul Sud Tirolo

Carin Goering, la moglie diHermann, di informare Be -nito Mussolini. Dopo la sua liberazione ilgiovane Hitler si spese mol-tissimo nella divulgazionedelle idee nazionaliste inGermania e Austria al mot-to “riunificazione del popo-lo tedesco”, tenendo comi-zi quasi tutti i giorni ovun-que, anche nei più piccolipaesini. Così il partito na-zionalsocialista dei lavora-tori (NSDAP) riuscì ad ave-re un notevole successo mol-tiplicando i suoi iscritti ognianno. Ma quali erano i temipiù ricorrenti? Innanzituttole guerre per i confini conl’acerrimo nemico, la Fran -cia, a partire dal conflittofranco- prussiano degli an-ni 1870-71, in cui egli vedel’inizio della perdita delleregioni propriamente ger-maniche. Gli austriaci nonpoterono partecipare a que-sti conflitti e questa latitan-za suscita in lui interrogati-vi legati al territorio, alla lin-gua e alla cultura germani-ca: perché gli austriaci nonvi hanno partecipato? per-

ché mio padre non ha com-battuto? Perché Braunau am Inn, sita proprio al con-fine con i bavaresi che com-battevano con i prussiani,fu esclusa dalle ostilità?Perché non fummo consi-derati come i tedeschi dellaGermania?La questione degli austriaciesclusi dalla Grande Ge -rmania, prima e dopo i variconflitti dei confini, diven-ne oggetto della maggiorparte dei suoi scritti giova-nili. Le analisi del curatoreVincenzo Pinto sono moltoprecise nel delineare la per-sonalità e la sua formazio-ne familiare e sociale in mo-do tale da introdurre anchela genesi del suo pensieronazista, partendo dalla con-dizione appunto del Deuts -chtum im Ausland, ovvero itedeschi rimasti fuori daiconfini, dopo la caduta del-

l’impero austro ungarico egermanico, e che furono di-menticati dal nuovo Stato.A Hitler inoltre risulta in-concepibile la scelta dellamulticulturalità, oggettiva-mente fondante, dell’Im peroasburgico quando scrive «Lastessa Vienna diventava avista d’occhio sempre me-no tedesca», e probabilmenteallude all’arrivo dalla Galiziadi circa 50.000 ebrei di cuicirca 25.000 rimasero anchedopo il primo conflitto an-dando a rappresentare l’11%della popolazione viennese.La loro presenza rese la cittàpiù internazionale. A loro sideve aggiungere la popola-zione emigrata in Europacentrale dalla zona orienta-le che, colpita dall’Imperozarista prima e poi dal primoconflitto mondiale, spera ditrovare una vita migliore nel-le ricche città centrali. Hitler sperimenta in questo

Adolf HitlerLa mia battaglia

(a cura di VincenzoPinto, traduzione di

AlessandraCambatzu)

Ed. Free Ebrei, 2017pag. 640

euro 29,99

Qui sotto Hitler giovane,in divisa nella primaguerra mondiale. In bas-so una foto del 1924, conil futuro dittatore, accan-to al generale ErichLudendorff e altri perso-naggi coinvolti nel pro-cesso contro Hitler chefu tra gli arrestati per il“putsch della birreria”.

primo approccio il suo fe-roce antisemitismo, che siesprime anche in forme con-traddittorie e che si affidaad un lessico, in più occa-sioni, superficiale quantorazzista. Definisce gli ebrei«umanizzati», alludendo alfatto che avevano secola-rizzato il loro aspetto. Lasua analisi è spesso frutto

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della sua immaginazione opeggio ancora frutto delleletture dei giornali antise-miti di cui si nutriva. «I lo-ro tratti fisiognomici[ …]uomini in caffettano mi nau-seavano, vestiti sporchi edalla corporatura non cer-to robusta».Una delle questioni centra-li e cicliche della sua visio-ne politica e sociale è rap-presentata dal connubiomarxismo- ebraismo, che,secondo lui, raffigura il ful-cro delle problematichedell’Europa. Come evidenzia bene il cu-ratore Pinto, per Hitler ilmarxismo rappresenta lasumma dell’ebraismo poli-tico. «Solo la conoscenzadell’ebraismo mi offrì lachiave per la comprensionedelle più intime intenzionidella socialdemocrazia. […]E dall’oscurità e dalla neb-bia dei problemi sociali sisvela il volto ghignante delmarxismo». La conoscenza dell’ebrai-smo di Hitler non solo è as-solutamente superficiale, maè anche impregnata di pre-giudizi e luoghi comuni tipicidi ogni forma di antisemiti-smo, frutto della letture deigiornali antisemiti. «I loroorrendi spettacoli. […] Erapestilenza, pestilenza spiri-tuale, peggio della morte ne-ra che in passato aveva con-tagiato il popolo […] Si pen-si al loro numero sconfina-to […] quei batteri della peg-gior specie che avvelenanogli animi» sebbene la pre-senza degli ebrei a Viennafosse esigua. Il passaggioepocale dall’immigrazione

dall’Europa orientale al-l’assimilazionismo politicoe sociale viene percepito daHitler come una strategiaebraica per insinuarsi, sot-to mentite spoglie, nella so-cietà europea, il noto malegiudaico presente già neisuoi scritti sin dal 1923. Mafu il suo attribuirsi una vo-cazione divinatoria a fargliscrivere: «approfondendola conoscenza del marxismoe, quindi, comprendendo glieffetti della popolazioneebraica, fu lo stesso desti-no a darmi la risposta […]Quindi oggi io credo di agi-re secondo i dettami delCreatore onnipotente: resi-stendo all’ebreo, io com-batto per l’opera di nostroSignore» Questo brano può essere let-to come un presagio dellaShoah avvenuta qualche an-no dopo, visto che molte del-le speculazioni di Hitler su-gli ebrei europei si concre-tizzeranno proprio negli an-ni del suo governo. In un ampissimo discorso,approfondisce la questionedelle alleanze, mancate, conla Germania attribuendo laresponsabilità ovviamenteagli ebrei dominatori dellastampa antitedesca che, stan-do alle sue considerazioni,l’avevano sempre scredita-ta sui giornali. Alla fine del-la Grande Guerra, tale sti-ma si rivelò completamenteinfondata. Nel conflitto pe-rirono infatti circa 12.000ebrei tedeschi sul suolo eu-ropeo tanto che ancora ogginella Piccardia francese sipossono individuare nei ci-miteri di guerra dell’eserci-

BIBLIoTECA

Nello scritto di Hitler lo sfruttamento fu sostituitopoi dalla concezione progettuale dello sterminio dei lavoratori forzati, conosciuta come “Vernichtung durch Arbeit”

Il testo curato da Pinto è corredato da un elenco bibliografico di grandissimo livello u

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to germanico, centinaia dilapidi con la stella di David.Hitler osserva attentamen-te anche la condizione deilavoratori sfruttati dalla so-cialdemocrazia borghese chenon garantisce loro una si-curezza sociale e una degnarappresentanza politica. Inparticolare in merito agli im-prenditori scrive: «[…] lalealtà e la fiducia nel corpopopolare è interesse dellanazione così come la con-servazione della salute delpopolo. Entrambe sono mi-nacciate da imprenditori in-degni che non si sentono par-te della comunità nazional-popolare. La loro avidità espietatezza saranno causeavvenire di danni irrepara-bili». Per «comunità nazio-nalpopolare» qui ovvia-mente intende quella politi-camente e socialmente ugua-le, ovvero ariana, che nonammette in alcun modo i di-versi cioè gli ebrei o coloroche non hanno la sua stessaopinione. Tuttavia, negli an-ni dal 1933 al 1945, Hitlersosterrà invece sempre quel-la élite borghese nazista ar-ricchitasi solo sull’esauri-mento estremo dei circa 8milioni di uomini e donne,dell’Europa orientale e oc-cidentale, che, sfruttati e ri-dotti in schiavitù nelle azien-de nazificate, soffrirono eperirono in una morte pia-nificata. Quella visione em-patica che Hitler avevaespresso verso quei lavora-tori asserviti ai padroni bor-ghesi viennesi, verrà sosti-tuita poi dalla concezioneprogettuale di sterminio deilavoratori forzati, nota co-

me “Vernichtung durchArbeit”, per cui manifestòapertamente tutta la sua ap-provazione nell’eliminarlidalla «comunità nazional-popolare». Nella sua retorica trasformatutto in una “questione” inprimis ebraica/ marxista, poipatriottica, nazionale e na-zionalista, sociale, econo-mica, politica e infine sud-tirolese. Quest’ultima in particolaresembra essere rilevante sindal 1926 quando Hans Frank,futuro governatore del pro-tettorato della Polo nia, e inparticolare della zona diCracovia (Ausch witz e icampi dell’Aktion Rein -hard), lascerà il partito percontrasti con il futuro ditta-tore proprio sulla questionesudtirolese. Nello stesso anno Hitler scri-ve anche un piccolo saggiodal titolo “Die südtiroler

Frage und das DeutscheBündnisproblem” in cui, inmodo assolutamente con-traddittorio, sostiene cheuna possibile alleanza conl’Italia di Mussolini può es-sere considerata alla luce enonostante la “questionesudtirolese”. Per Hitler ilproblema politico essen-ziale risiedeva nella ricon-quista di tutti i tedeschi pre-senti su un suolo non na-zional o culturale tedesco. In ultimo si evidenzia la fal-lacia dei suoi proclami, acominciare dal concetto di«nazionalizzazione dellemasse» inteso come stru-mento politico, ma che inrealtà significò una vera epropria «snazionalizzazio-ne» del Paese. BertoltBrecht scriveva già nel 1933nella poesia “Germania”:«io parlo della mia vergo-gna. […] Germania pallidamadre! Come insozzata sie-

di fra i popoli, fra i segna-ti d’infamia, tu spicchi. […]tutti ti vedono celare l’orlodella veste, insanguinatodal sangue del migliore deituoi figli», mentre GunterGrass scriveva ancora nel1961 il “Discorso di un sen-za patria”. Come effetto della politicadi nazionalizzazione, Hitlerriuscì in realtà a dividerequel l’Herrenvolk o a farloemigrare per sottrarsi al-l’accusa di complicità colsuo governo criminale. Il testo curato da Pinto ècorredato da un elenco bi-bliografico di grandissimolivello utile alla consulta-zione degli studiosi ma an-che dei docenti che vo-gliono approfondire il te-ma in classe.I critici hanno infatti svol-to una egregia curatela fun-zionale alla didattica stori-ca. Antonella Tiburzi

HansFrank congli occhialia cena conHeinrichHimmleral castellodi WavelinPolonia.Lascerà il partitoper con-trasti conil futurodittatoresulla que-stione sud-tirolese

utile alla consultazione degli studiosi ma anche dei docenti che vogliono approfondire

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una canzone ricorda gli 82 bambini di Lidice

Il paesino in Boemia fu completamente distrutto il 10giugno 1942, per rappresaglia da parte degli occu-panti tedeschi in seguito all’attentato delle forze par-tigiane in cui era stato ucciso reinhard Heydrich. I 99 bambini di Lidice, da 1 a 16 anni, furono portatinell’area della fabbrica tessile di Łódź, dove alcunidi essi riuscirono a scrivere lettere a parenti ed ami-

ci. Gli uomini furono fucilati, le donne deportate egli 82 bambini restanti del massacro furono portativia e gassati subito. Questo complesso di statue è sta-to eretto in loro ricordo. I visitatori lasciano spessopeluches, come se i piccoli potessero giocare ancora.oggi una orchestra di giovani venuti dall’Asia suonaun canto in loro memoria.