© RIPRODUZIONE RISERVATA Riforma a suon di … · liana. L’autore, filosofo e storico della...

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26 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 30 LUGLIO 2017 n. 202 Religioni e società giovanni della croce Vivere l’abbraccio con Dio di  Armando Torno O gni volta che si legge qualche riga di Juan de la Cruz, ovvero del mi- stico, santo e dottore della Chiesa Giovanni della Croce, vissuto tra il 1542 e il 1591, si resta incantati. Il percorso che conduce all’elevazione mistica è da lui vissuto e descritto come un progressivo processo di spogliazione e purificazione dell’anima, sorta di radicale svuotamento (“notte attiva”) in cui trova progressiva- mente spazio una sempre più intensa pre- senza di Dio (“notte passiva”). Il vertice a cui aspira è l’unione con Dio, quell’abbraccio possibile soltanto al di là dei vincoli di ogni ragione. Per Juan è la successione di due momenti, “fidanzamento spirituale” e suc- cessivamente “matrimonio spirituale”; quest’ultimo rappresenta lo stato di abitua- le unione con Dio. Apprendista, falegname, sarto e anche pittore, accolto dalle agostiniane e poi fre- quentatore di un collegio gesuitico, incari- cato in un ospedale e poi eccolo in un con- vento carmelitano, Juan conobbe anche una segreta di Toledo, forzate penitenze, fughe e infinite altre situazioni. Tutto ciò ha reso le sue pagine tra le più alte della mi- stica di ogni tempo. Basta aprire la Salita al Monte Carmelo: «Per arrivare a sapere tut- to/non voler sapere nulla di nulla... Per ar- rivare a possedere tutto/non voler posse- dere nulla di nulla». Nella Notte oscura si leggono le canzoni dell’anima, che esprime la sua gioia per essere giunta all’unione con Dio. È una corsa verso la luce, «là dove mi aspettava/ chi bene io conoscevo/ in luogo ove nessuno si mostrava». Che aggiungere? Nelle Strofe scritte sopra un’estasi di alta contemplazione la sua mistica rivela un percorso assoluto di conoscenza: «Non sapevo dove entravo/ e, come là mi vi- di,/ senza sapere dove stavo/ grandi cose compresi./ Non dirò ciò che sentivo/ poiché restai non sapendo,/ ogni scienza trascen- dendo». Il discorso su Juan de la Cruz è infinito e sa- rebbe impossibile anche tentare di riassu- merlo. In margine a tutto quello che si può dire, vale la pena segnalare un libro di Jean Baruzi su questo mistico uscito da Morcel- liana. L’autore, filosofo e storico della reli- gione, oltre ad essere stato uno studioso di Leibniz e degli gnostici, dedicò una vasta biografia a Giovanni della Croce che uscì nel 1924 (ben 742 pagine nella seconda edizione spagnola del 2002). L’opera di Morcelliana, invece, nasce dalla traduzione del testo che lo stesso Baruzi ha dedicato a Juan nella Hi- stoire Générale Des Religions, pubblicata in cinque volumi tra gli anni Quaranta e Cin- quanta del secolo scorso dalla Librairie Ari- stide Quillet. Si tratta di una sintesi, è vero, ma condotta con notevole chiarezza e conoscenza. Dopo la corposa introduzione di Domenico Bosco, il testo di Baruzi presenta il significato del- l’opera del mistico spagnolo nella storia delle religioni, il passaggio sublime che in lui av- viene dalla meditazione alla contemplazio- ne, il suo lirismo, il rapporto con la Bibbia. Un’appendice offre tra l’altro anche la prefa- zione alla prima e alla seconda edizione del ricordato saggio di Baruzi su Giovanni della Croce (rispettivamente del 1924 e del 1931). Un saggio che aiuta a conoscere chi intuì: «Affinché l’anima vada a Dio, piuttosto de- ve procedere non comprendendo che com- prendendo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Jean Baruzi, Giovanni della Croce, Morcelliana, Brescia, pagg. 256, € 18 anno luterano Riforma a suon di musica Il ruolo del pensiero di Lutero sulle composizioni sacre. E le sue indicazioni su come si debba affrontare la morte di Gianfranco Ravasi C ome sanno i lettori che ci se- guono con continuità, abbia- mo scelto di costellare que- st’anno “luterano” – basato sul quinto centenario della leggendaria affissione delle celebri 95 Tesi sul portale della cappella del castello di Wittenberg (abbiamo già spiega- to che in realtà la vicenda fu meno “pubbli- citaria”) – con qualche oasi bibliografica connessa all’evento. Questa volta in primo piano collochiamo un saggio che, in realtà, vorremmo idealmente affidare a un impor- tante musicologo che ci accompagna da an- ni in queste pagine e che si legge sempre con gusto, Quirino Principe. Lui solo – se è lecito interloquire con lui attraverso queste righe – potrebbe vagliare l’imponente stu- dio che un’ancor giovane musicologa e mu- sicista (è un’ottima pianista), Chiara Berto- glio, ha elaborato direttamente in inglese dopo quattro anni di ricerche dedicate al te- ma nelle varie biblioteche e università, so- prattutto britanniche. La parola fondamentale risuona già nel titolo e nel sottotitolo, reforming e reforma- tions e riguarda appunto la svolta impressa dalla Riforma protestante anche nella mu- sica sacra. In realtà, come ormai è acquisito, il vento di quella Riforma generò un contro- canto che assunse i caratteri di una vera e propria Riforma cattolica parallela. Ora, di tutto questo panorama “armonico”, che si stese sull’intero XVI secolo, Bertoglio cerca di descriverne la mappa. Non si accontenta, però, di una pianta semplificata bensì cerca di disegnare una carta colorata, come si fa- ceva negli antichi portolani e mappe topo- grafiche. Così, il suo ritratto parte dagli orli ove si circoscrivono società, cultura e tem- perie di un secolo e ove si lascia serpeggiare l’inesausto interrogativo sullo specifico della musica sacra, con le relative inferenze teologiche (tra l’altro, Chiara ha anche alle spalle una matrice di studi di teologia). Entrano, poi, in scena le vaste regioni musicali dei Riformatori, da Lutero a Calvi- no, dalla Germania, Strasburgo e Boemia fino alla Chiesa d’Inghilterra. Ma, come si diceva, si accostano gli spazi musicali cat- tolici, dal Concilio di Trento in avanti. Al- l’interno di questa partitura generale i regi- stri si moltiplicano, con le variazioni con- fessionali o con l’irrompere delle voci fem- minili (dopo tutto, Lutero ha composto un poema intitolato Frau Musika, anche per- ché il vocabolo è femminile in tutte le lingue europee e quindi ammette la personifica- zione in una “Lady Music”). Questo è so- stanzialmente l’indice abbreviato che, da profano, ho seguito e ricostruito, un micro- cosmo documentario accompagnato per altro da un impressionante apparato di glossari, di bibliografia primaria e secon- daria, di nomi e soggetti tematici. Come af- fermavamo, per lo scavo l’opera è ora da af- fidare alla competenza di un vero esperto: per questo facevo riferimento a Principe, che a più riprese ha puntato i suoi riflettori ma anche le sue frecce sull’incrocio tra mu- sica e culto, tra arte e fede. Con l’altro testo di questa nostra “oasi lu- terana” ritorniamo, invece, nel territorio che noi siamo soliti abitare, quello della te- ologia. Qui ci vengono incontro i due leader dell’epoca, collocati con la loro genialità al- tissima sui fronti opposti, Lutero ed Era- smo. La scelta dello storico Stefano Caval- lotto è molto originale e persino sorpren- dente: ha fatto incrociare i due attorno a un tema esistenziale e teologico al tempo stes- so, quello della “buona morte”, un’“eutana- sia” ben diversa da quella di cui si sta così aspramente discutendo nei nostri giorni. Da un lato, avanza Lutero col suo Sermo- ne sulla preparazione della morte, uno scritto elaborato in un paio di mesi nel 1519, dal successo folgorante (24 edizioni, tradotto subito in latino, danese e olandese), inne- stato nel filone devozionale dell’“arte del ben morire” di genesi medievale. Infatti, egli recupera, con la potenza del suo detta- to, il repertorio emozionale della tradizio- ne con un apparato di immagini volte a scuotere l’anima ma anche a protenderla verso il Cristo risorto, vincitore del peccato e della morte. Come fa notare Cavallotto, in queste righe si intuisce in filigrana il volto di Lutero confessore e pastore che «con se- renità e senso pratico viene incontro al po- polo cristiano, angustiato e terrorizzato dalla morte e dall’incognito della salvezza eterna, rassicurandolo, confortandolo, ma anche educandolo alla retta devozione». D’altro lato, ecco la Preparazione alla morte che Erasmo di Rotterdam nel 1533 compose in latino su richiesta del padre di Anna Bolena (Boleyn), la nuova moglie di Enrico VIII, alle soglie dello scisma d’In- ghilterra. Erasmo è malandato in salute e sente in se stesso i brividi di quella fine che lo colpirà di lì a non molto, nel 1536; lo stile è inceppato, la trama incerta, l’articolazione teologica è tradizionale, il tono è discorsi- vo. Un po’ come il suo antagonista Lutero, egli si sforza di spostare il pendolo della pa- renesi dal terrore alla fiducia in Cristo mor- to, risorto e salvatore, radice della speranza del cristiano. In quello scontro finale, ove s’affaccia per un’estrema tentazione Sata- na e ove già affiora anche la tenebra infer- nale, si accosta la presenza divina e quella della Chiesa coi sacramenti, ma anche l’esi- stenza giusta del morente, ossia quella «fe- de e carità, senza le quali i sacramenti non servono a nulla». Quindi, la giustizia personale vissuta du- rante la storia terrena (e qui si sente l’etica classica e la filosofia cristiana care a Era- smo) e la giustizia misericordiosa e salvifi- ca divina permettono di varcare la soglia della morte con serenità, incontrando l’al- tra faccia della vita rispetto a quella finora rivolta verso di noi, per usare una frase di Rilke. Il mero atto sacramentale non so- stanziato da un'esistenza giusta e da una fe- de autentica non basta perché sconfinereb- be nella magia. Per questo, «personalmen- te – scrive Erasmo – sono convinto che mol- ti vadano verso la pace eterna, anche se non sono stati assolti dal sacerdote, non hanno ricevuto il viatico eucaristico e l’estrema unzione e non sono stati sepolti con le ese- quie della Chiesa, mentre credo che altri si- ano trascinati agli inferi, pur con la celebra- zione di tutte le funzioni religiose». Concludiamo questa nostra libera e limi- tata incursione nell’orizzonte della Rifor- ma protestante con una battuta molto sug- gestiva legata proprio a questo vocabolo così usato e abusato anche in politica, “ri- formare”. Lo facciamo attingendo a un te- sto classico cattolico, caro a un “laico” come Roland Barthes che gli ha dedicato un sag- gio, cioè gli Esercizi spirituali di s. Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti. Lo lasciamo nel latino originario limpido e suggestivo: Deformata reformare / Reformata conforma- re / Conformata confirmare / Confirmata transformare. © RIPRODUZIONE RISERVATA Chiara Bertoglio, Reforming Music. Music and the Religious Reformations of the Sixteenth Century, De Gruyter, Berlin-Boston, pagg. 836, sip Lutero – Erasmo, Varcare con Cristo l'ultima soglia. L'arte del “ben morire” tra Riforma e Umanesimo, Paoline, Milano, pagg. 252, € 30 Si veda anche: Domenico Segna, Il secolo conteso. Lineamenti del pensiero teologico protestante del Cinquecento, Dehoniane, Bologna, pagg. 218, € 22 voci protestanti | Alcuni componenti del Coro di Voci Bianche dalla Scuola di San Tommaso a Lipsia di  Giovanni Santambrogio L a vita di un monaco parla attra- verso i dettagli. Ogni gesto co- me ogni parola, mai superflui né approssimativi, risultano iscritti in un disegno dove la mano di Dio e quella dell’uomo si confondono rendendo ancora più affascinante l’av- ventura dell’esistenza e la sua inter- pretazione. Al termine del giorno di En- zo Bianchi ha la delicatezza di condur- re chi legge nel “viaggio interiore”- un’esperienza che ogni uomo arriva a compiere in un momento imprevedi- bile della propria vita - illuminandolo passo passo. Il cammino viene scandi- to da meditazioni essenziali che pren- dono spunto da affermazioni tratte dalla Regola di San Benedetto. Il priore e fondatore della Comunità di Bose, per cinquant’nni, la domenica sera, quando il sole era ormai tramon- tato, chiudeva la liturgia della compie- ta con una breve “ammonizione” ai fra- telli e alle sorelle presenti. Di queste ri- flessioni, Bianchi ha fatto un’accurata selezione per contrassegnare il mo- mento del passaggio del testimone alla guida della Comunità: dal fondatore al primo successore, Luciano Manicardi, eletto il 25 gennaio, giorno della rivela- zione di Gesù Cristo il Signore a San Pa- olo. Data non casuale, dettaglio ricco di significato simbolico e di fede. Il libro si presenta come un piccolo memoriale, un’esplorazione dell’animo umano di fronte a Dio, una testimonianza di un’esperienza monastica che ha rega- lato alla chiesa un nuovo carisma. Ascolto, obbedienza, servizio, con- versione, preghiera, stabilità, umiltà, umiliazione, taciturnità, sequela sono alcune delle oltre 80 parole chiave che indirizzano le meditazioni. Si entra nell’universo del monastero, nella scelta radicale di lasciare il mondo per una chiamata misteriosa, nelle dina- miche di una comunità che lavora per la fede guidata da un priore. Le rifles- sioni hanno tuttavia una cifra e un re- spiro in grado di rivolgersi a ciascun uomo perché tutti cercano un'esisten- za buona coronata dalla bellezza. Al termine del giorno diventa un esame esistenziale, un incontro con sé e una apertura a Dio che si trasforma in pre- ghiera o, per chi è nel dubbio e nella prova, in ricerca, in domanda, in ri- chiesta di aiuto, in consolazione. Pagi- ne che parlano al cuore. © RIPRODUZIONE RISERVATA Enzo Bianchi, Al termine del giorno, Edizioni Qiqajon, Magnano, pagg. 292, € 15 enzo bianchi Riflessioni al termine del giorno A ll’etimologia della parola sviluppo concorrono diversi elementi. Intanto il lemma è composto da “s” e “viluppo” (intreccio confuso di fili), con l’avvertenza che la “s” sta per “dis” e conferisce un senso contrario alla parola cui sta unita. Nel nostro caso, sviluppo = disviluppo, indica l’azione del liberare dal “viluppo”, far qualcosa per mettere ordine in un intreccio confuso. Non è da escludere, nella ricerca dell’etimo della parola sviluppo, il riferimento al latino volvere che letteralmente significa “far girare”. Quest’ultimo riferimento testimonia del dinamismo necessario perché possa esserci “sviluppo”, perché possa venir fuori qualcosa che, per un motivo o per un altro, è “avviluppato”. Ciò vale per la realtà materiale, per la dimensione fisica e per tutto ciò che interessa la persona nella sua dimensione esistenziale. In biologia, “sviluppo” è sinonimo di crescita di un organismo; nelle scienze sociali, indica il passaggio da una condizione a un’altra: ad esempio, da una società contadina a una industriale. Sul piano esistenziale, “sviluppo” è il percorso attraverso il quale si realizzano condizioni nuove e di crescita per sé e per l’ambiente nel quale si è inseriti. Ne parlava in questi termini Nelson Mandela, aggiungendo che «l’educazione è il grande motore dello sviluppo personale. È grazie all’educazione che la figlia di un contadino può diventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o un bambino nato in una famiglia povera il presidente di una grande nazione». Una considerazione dell’ economista, premio Nobel, Amartya Sen spinge ad allargare gli orizzonti e aiuta a vedere nello sviluppo un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani, nella sfera privata come in quella sociale e politica. Da questo punto di vista, la sfida dello sviluppo sta nello sciogliere ed eliminare i vari tipi di “illibertà” e di “inequità”, come continua a chiamarle papa Francesco. Quasi a dire che dobbiamo abituarci a misurare lo sviluppo andando oltre i parametri del Pil, criterio di valutazione che mostra sempre di più i suoi limiti, soprattutto quando esclude dalla misura dello sviluppo il superamento di fame e miseria, tirannia, intolleranza e repressione, analfabetismo, mancanza di assistenza sanitaria e di tutela ambientale, libertà di espressione. Tutte condizioni che limitano nell’individuo l’opportunità e la capacità di agire secondo ragione e di costruire la vita che egli preferisce. Perché possa realizzarsi questo tipo di sviluppo c’è bisogno di «personalità creative, che pensano e giudicano indipendentemente; il progresso della società è impensabile quanto lo sviluppo della personalità individuale senza il terreno fertile della comunità» (A. Einstein). © RIPRODUZIONE RISERVATA abitare le parole / sviluppo di Nunzio Galantino Far girare le cose Polifonie per la gloria di Dio Il rapporto tra religione e musica emerge spesso negli scritti di Gianfranco Ravasi. Come nel caso del recente articolo, uscito il 5 marzo 2017, nel quale il cardinale dava notizia di un convegno di Musica Sacra in Vaticano e di alcuni saggi sulla dimensione spirituale delle composizioni da Mozart a Springsteen www.archiviodomenica.ilsole24ore.com Q uella del cartone è la tecnica principe dell’affresco rinasci- mentale. Il disegno, eseguito a bottega, viene trasferito sull’ar- riccio. Così si lavora con una traccia sicura, preparata nel dettaglio. E come si trasferisce un racconto dal mondo religioso a quello laico della letteratura? Cosa va perso, nel trapasso, e cosa resta? Tra Otto e Novecento, una parte del patri- monio della devozione e della mistica ebraica lascia le sinagoghe per travasarsi sulle riviste, nei saggi storici, nelle librerie delle case borghesi, e persino sulle scene dei teatri. Il golem di H. Leivick (pseudoni- mo di Leivick Halpern), curato da Laura Quercioli Mincer per Marsilio, è uno di questi viaggiatori dal sacro al profano. Na- to dai rituali e dai sogni dei mistici ebrei del medioevo, l’uomo di terra si sposta, goffo e minaccioso com’è, nell’officina del narra- tore. È un esempio interessante di longe- vità simbolica e di adattamento. Una pro- cedura teurgica pensata per pochi diviene segno d’inquietudine moderna, esibito ai molti. Come ci si trasforma da mistero esoterico a personaggio da palcoscenico? Con molta fatica e altrettanti stenti. Al- meno a giudicare dalla vita di Leivick, nato in un villaggio sperduto della Bielorussia. Maggiore di nove fratelli, alle prese con povertà e un padre tiranno, aderisce appe- na può al partito socialista ebraico. Nel 1906 viene arrestato dalla polizia zarista e condannato ai lavori forzati e poi all’esilio in Siberia. Fugge, approda nel 1913 negli Stati Uniti. Nuovi stenti, ma anche la voca- zione di poeta e di scrittore. Il Golem, com- posto in yiddish tra il 1917 e il 1920, è la sto- ria di un’attesa e di una nostalgia. C’è qual- cosa di eccessivo nell’idea del golem cab- balistico, in bilico com’è tra pietà e superbia. Il mistico che dà vita a un grumo di terra sa di spingersi ai limiti della tra- sgressione. Vuol imitare il gesto del Crea- tore, ma rischia di perdere il controllo del- le forze che lui stesso ha evocato. Il model- lo religioso è quello della prova, della ri- vendicazione di un’autonomia umana destinata a rasentare il demoniaco, o a ca- derci con conseguenze fatali. In un testo in ebraico del Duecento, gli allievi pasticcio- ni di un grande maestro rischiano la vita per animare il golem: «commisero un er- rore nei movimenti e camminarono all’in- dietro, cosicché sprofondarono nella terra sino all’ombelico». Sotto la penna di Leivick, il golem attira le simpatie del lettore, quasi più del suo creatore, il sapiente Maharal di Praga. È un gigante informe che lotta per capire, che cerca di liberarsi: «Ho orrore del mio cor- po, dei miei occhi vitrei, del mio linguag- gio oscuro e muto. Giorno e notte mi tra- scino. Ora io mi estirperò, andrò via, lonta- no». Bisogna essere d’argilla per scegliere l’esilio dall’esilio. «Vado in tutti gli angoli del mondo – continua l’omone – perché tutti mi chiamano allo stesso tempo, e tutti rincorrono i passi dei mendicanti in fuga». Com’è difficile la vita di un simbolo reli- gioso, nell’epoca dell’alienazione sociale. – Giulio Busi © RIPRODUZIONE RISERVATA H. Leivick, Il Golem, a cura di Laura Quercioli Mincer, Marsilio, Venezia, pagg. 235, € 17 judaica Simpatico Golem letterario Il fondatore della Comunità di Bose per cinquant’anni ha chiuso la compieta della domenica sera con brevi ammonizioni ai fratelli

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26 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 30 LUGLIO 2017 n. 202

Religioni e società

giovanni della croce

Viverel’abbracciocon Dio

di Armando Torno

Ogni volta che si legge qualche rigadi Juan de la Cruz, ovvero del mi-stico, santo e dottore della ChiesaGiovanni della Croce, vissuto tra

il 1542 e il 1591, si resta incantati. Il percorsoche conduce all’elevazione mistica è da luivissuto e descritto come un progressivoprocesso di spogliazione e purificazionedell’anima, sorta di radicale svuotamento(“notte attiva”) in cui trova progressiva-mente spazio una sempre più intensa pre-senza di Dio (“notte passiva”). Il vertice a cuiaspira è l’unione con Dio, quell’abbracciopossibile soltanto al di là dei vincoli di ogni

ragione. Per Juan è la successione di duemomenti, “fidanzamento spirituale” e suc-cessivamente “matrimonio spirituale”;quest’ultimo rappresenta lo stato di abitua-le unione con Dio.

Apprendista, falegname, sarto e anchepittore, accolto dalle agostiniane e poi fre-quentatore di un collegio gesuitico, incari-cato in un ospedale e poi eccolo in un con-vento carmelitano, Juan conobbe ancheuna segreta di Toledo, forzate penitenze,fughe e infinite altre situazioni. Tutto ciòha reso le sue pagine tra le più alte della mi-stica di ogni tempo. Basta aprire la Salita alMonte Carmelo: «Per arrivare a sapere tut-to/non voler sapere nulla di nulla... Per ar-rivare a possedere tutto/non voler posse-

dere nulla di nulla». Nella Notte oscura sileggono le canzoni dell’anima, che esprimela sua gioia per essere giunta all’unione conDio. È una corsa verso la luce, «là dove miaspettava/ chi bene io conoscevo/ in luogoove nessuno si mostrava».

Che aggiungere? Nelle Strofe scritte sopraun’estasi di alta contemplazione la sua misticarivela un percorso assoluto di conoscenza:«Non sapevo dove entravo/ e, come là mi vi-di,/ senza sapere dove stavo/ grandi cose compresi./ Non dirò ciò che sentivo/ poichérestai non sapendo,/ ogni scienza trascen-dendo».

Il discorso su Juan de la Cruz è infinito e sa-rebbe impossibile anche tentare di riassu-merlo. In margine a tutto quello che si può

dire, vale la pena segnalare un libro di Jean Baruzi su questo mistico uscito da Morcel-liana. L’autore, filosofo e storico della reli-gione, oltre ad essere stato uno studioso di Leibniz e degli gnostici, dedicò una vasta biografia a Giovanni della Croce che uscì nel1924 (ben 742 pagine nella seconda edizionespagnola del 2002). L’opera di Morcelliana, invece, nasce dalla traduzione del testo che lo stesso Baruzi ha dedicato a Juan nella Hi­stoire Générale Des Religions, pubblicata incinque volumi tra gli anni Quaranta e Cin-quanta del secolo scorso dalla Librairie Ari-stide Quillet.

Si tratta di una sintesi, è vero, ma condottacon notevole chiarezza e conoscenza. Dopo la corposa introduzione di Domenico Bosco,

il testo di Baruzi presenta il significato del-l’opera del mistico spagnolo nella storia dellereligioni, il passaggio sublime che in lui av-viene dalla meditazione alla contemplazio-ne, il suo lirismo, il rapporto con la Bibbia. Un’appendice offre tra l’altro anche la prefa-zione alla prima e alla seconda edizione delricordato saggio di Baruzi su Giovanni della Croce (rispettivamente del 1924 e del 1931).

Un saggio che aiuta a conoscere chi intuì:«Affinché l’anima vada a Dio, piuttosto de-ve procedere non comprendendo che com-prendendo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Jean Baruzi, Giovanni della Croce, Morcelliana, Brescia, pagg. 256, € 18

anno luterano

Riforma a suon di musicaIl ruolo del pensierodi Lutero sullecomposizioni sacre.E le sue indicazionisu come si debbaaffrontare la morte

di Gianfranco Ravasi

Come sanno i lettori che ci se-guono con continuità, abbia-mo scelto di costellare que-st’anno “luterano” – basatosul quinto centenario dellaleggendaria affissione delle

celebri 95 Tesi sul portale della cappella delcastello di Wittenberg (abbiamo già spiega-to che in realtà la vicenda fu meno “pubbli-citaria”) – con qualche oasi bibliograficaconnessa all’evento. Questa volta in primopiano collochiamo un saggio che, in realtà,vorremmo idealmente affidare a un impor-tante musicologo che ci accompagna da an-ni in queste pagine e che si legge semprecon gusto, Quirino Principe. Lui solo – se èlecito interloquire con lui attraverso questerighe – potrebbe vagliare l’imponente stu-dio che un’ancor giovane musicologa e mu-sicista (è un’ottima pianista), Chiara Berto-glio, ha elaborato direttamente in inglesedopo quattro anni di ricerche dedicate al te-ma nelle varie biblioteche e università, so-prattutto britanniche.

La parola fondamentale risuona già neltitolo e nel sottotitolo, reforming e reforma­tions e riguarda appunto la svolta impressadalla Riforma protestante anche nella mu-sica sacra. In realtà, come ormai è acquisito,il vento di quella Riforma generò un contro-canto che assunse i caratteri di una vera epropria Riforma cattolica parallela. Ora, ditutto questo panorama “armonico”, che sistese sull’intero XVI secolo, Bertoglio cercadi descriverne la mappa. Non si accontenta,però, di una pianta semplificata bensì cercadi disegnare una carta colorata, come si fa-ceva negli antichi portolani e mappe topo-grafiche. Così, il suo ritratto parte dagli orliove si circoscrivono società, cultura e tem-perie di un secolo e ove si lascia serpeggiarel’inesausto interrogativo sullo specificodella musica sacra, con le relative inferenzeteologiche (tra l’altro, Chiara ha anche allespalle una matrice di studi di teologia).

Entrano, poi, in scena le vaste regionimusicali dei Riformatori, da Lutero a Calvi-no, dalla Germania, Strasburgo e Boemia fino alla Chiesa d’Inghilterra. Ma, come sidiceva, si accostano gli spazi musicali cat-tolici, dal Concilio di Trento in avanti. Al-l’interno di questa partitura generale i regi-stri si moltiplicano, con le variazioni con-fessionali o con l’irrompere delle voci fem-minili (dopo tutto, Lutero ha composto unpoema intitolato Frau Musika, anche per-ché il vocabolo è femminile in tutte le lingueeuropee e quindi ammette la personifica-zione in una “Lady Music”). Questo è so-stanzialmente l’indice abbreviato che, daprofano, ho seguito e ricostruito, un micro-cosmo documentario accompagnato peraltro da un impressionante apparato di

glossari, di bibliografia primaria e secon-daria, di nomi e soggetti tematici. Come af-fermavamo, per lo scavo l’opera è ora da af-fidare alla competenza di un vero esperto:per questo facevo riferimento a Principe,che a più riprese ha puntato i suoi riflettorima anche le sue frecce sull’incrocio tra mu-sica e culto, tra arte e fede.

Con l’altro testo di questa nostra “oasi lu-terana” ritorniamo, invece, nel territorioche noi siamo soliti abitare, quello della te-ologia. Qui ci vengono incontro i due leaderdell’epoca, collocati con la loro genialità al-tissima sui fronti opposti, Lutero ed Era-smo. La scelta dello storico Stefano Caval-lotto è molto originale e persino sorpren-dente: ha fatto incrociare i due attorno a untema esistenziale e teologico al tempo stes-so, quello della “buona morte”, un’“eutana-sia” ben diversa da quella di cui si sta cosìaspramente discutendo nei nostri giorni.

Da un lato, avanza Lutero col suo Sermo­ne sulla preparazione della morte, uno scrittoelaborato in un paio di mesi nel 1519, dalsuccesso folgorante (24 edizioni, tradottosubito in latino, danese e olandese), inne-stato nel filone devozionale dell’“arte delben morire” di genesi medievale. Infatti, egli recupera, con la potenza del suo detta-to, il repertorio emozionale della tradizio-ne con un apparato di immagini volte a scuotere l’anima ma anche a protenderlaverso il Cristo risorto, vincitore del peccatoe della morte. Come fa notare Cavallotto, inqueste righe si intuisce in filigrana il voltodi Lutero confessore e pastore che «con se-renità e senso pratico viene incontro al po-polo cristiano, angustiato e terrorizzato

dalla morte e dall’incognito della salvezzaeterna, rassicurandolo, confortandolo, maanche educandolo alla retta devozione».

D’altro lato, ecco la Preparazione  allamorte che Erasmo di Rotterdam nel 1533compose in latino su richiesta del padre diAnna Bolena (Boleyn), la nuova moglie diEnrico VIII, alle soglie dello scisma d’In-ghilterra. Erasmo è malandato in salute esente in se stesso i brividi di quella fine chelo colpirà di lì a non molto, nel 1536; lo stile èinceppato, la trama incerta, l’articolazioneteologica è tradizionale, il tono è discorsi-vo. Un po’ come il suo antagonista Lutero,egli si sforza di spostare il pendolo della pa-renesi dal terrore alla fiducia in Cristo mor-to, risorto e salvatore, radice della speranzadel cristiano. In quello scontro finale, oves’affaccia per un’estrema tentazione Sata-na e ove già affiora anche la tenebra infer-nale, si accosta la presenza divina e quelladella Chiesa coi sacramenti, ma anche l’esi-stenza giusta del morente, ossia quella «fe-de e carità, senza le quali i sacramenti nonservono a nulla».

Quindi, la giustizia personale vissuta du-rante la storia terrena (e qui si sente l’eticaclassica e la filosofia cristiana care a Era-smo) e la giustizia misericordiosa e salvifi-ca divina permettono di varcare la sogliadella morte con serenità, incontrando l’al-tra faccia della vita rispetto a quella finorarivolta verso di noi, per usare una frase diRilke. Il mero atto sacramentale non so-stanziato da un'esistenza giusta e da una fe-de autentica non basta perché sconfinereb-be nella magia. Per questo, «personalmen-te – scrive Erasmo – sono convinto che mol-

ti vadano verso la pace eterna, anche se nonsono stati assolti dal sacerdote, non hannoricevuto il viatico eucaristico e l’estremaunzione e non sono stati sepolti con le ese-quie della Chiesa, mentre credo che altri si-ano trascinati agli inferi, pur con la celebra-zione di tutte le funzioni religiose».

Concludiamo questa nostra libera e limi-tata incursione nell’orizzonte della Rifor-ma protestante con una battuta molto sug-gestiva legata proprio a questo vocabolocosì usato e abusato anche in politica, “ri-formare”. Lo facciamo attingendo a un te-sto classico cattolico, caro a un “laico” comeRoland Barthes che gli ha dedicato un sag-gio, cioè gli Esercizi spirituali di s. Ignazio diLoyola, il fondatore dei Gesuiti. Lo lasciamonel latino originario limpido e suggestivo:Deformata reformare / Reformata conforma­re  /  Conformata  confirmare  /  Confirmata transformare.

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Chiara Bertoglio, Reforming Music. Music and the Religious Reformations of the Sixteenth Century, De Gruyter, Berlin-Boston, pagg. 836, sip

Lutero – Erasmo, Varcare con Cristo l'ultima soglia. L'arte del “ben morire” tra Riforma e Umanesimo, Paoline, Milano, pagg. 252, € 30

Si veda anche: Domenico Segna, Il secolo conteso. Lineamenti del pensiero teologico protestante del Cinquecento, Dehoniane, Bologna, pagg. 218, € 22

voci protestanti | Alcuni componenti del Coro di Voci Bianche dalla Scuola di San Tommaso a Lipsia 

di Giovanni Santambrogio

La vita di un monaco parla attra-verso i dettagli. Ogni gesto co-me ogni parola, mai superfluiné approssimativi, risultano

iscritti in un disegno dove la mano diDio e quella dell’uomo si confondonorendendo ancora più affascinante l’av-ventura dell’esistenza e la sua inter-pretazione. Al termine del giorno di En-zo Bianchi ha la delicatezza di condur-re chi legge nel “viaggio interiore”-un’esperienza che ogni uomo arriva acompiere in un momento imprevedi-bile della propria vita - illuminandolopasso passo. Il cammino viene scandi-to da meditazioni essenziali che pren-dono spunto da affermazioni trattedalla Regola di San Benedetto.

Il priore e fondatore della Comunitàdi Bose, per cinquant’nni, la domenicasera, quando il sole era ormai tramon-tato, chiudeva la liturgia della compie-ta con una breve “ammonizione” ai fra-telli e alle sorelle presenti. Di queste ri-flessioni, Bianchi ha fatto un’accurataselezione per contrassegnare il mo-

mento del passaggio del testimone allaguida della Comunità: dal fondatore alprimo successore, Luciano Manicardi,eletto il 25 gennaio, giorno della rivela-zione di Gesù Cristo il Signore a San Pa-olo. Data non casuale, dettaglio ricco disignificato simbolico e di fede. Il libro sipresenta come un piccolo memoriale,un’esplorazione dell’animo umano difronte a Dio, una testimonianza di un’esperienza monastica che ha rega-lato alla chiesa un nuovo carisma.

Ascolto, obbedienza, servizio, con-versione, preghiera, stabilità, umiltà,umiliazione, taciturnità, sequela sonoalcune delle oltre 80 parole chiave cheindirizzano le meditazioni. Si entranell’universo del monastero, nellascelta radicale di lasciare il mondo peruna chiamata misteriosa, nelle dina-miche di una comunità che lavora perla fede guidata da un priore. Le rifles-sioni hanno tuttavia una cifra e un re-spiro in grado di rivolgersi a ciascunuomo perché tutti cercano un'esisten-za buona coronata dalla bellezza. Altermine  del  giorno diventa un esameesistenziale, un incontro con sé e unaapertura a Dio che si trasforma in pre-ghiera o, per chi è nel dubbio e nellaprova, in ricerca, in domanda, in ri-chiesta di aiuto, in consolazione. Pagi-ne che parlano al cuore.

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Enzo Bianchi, Al termine del giorno, Edizioni Qiqajon, Magnano, pagg. 292, € 15

enzo bianchi

Riflessioni al terminedel giorno

A ll’etimologia della parolasviluppo concorrono diversielementi. Intanto il lemma ècomposto da “s” e “viluppo”

(intreccio confuso di fili), con l’avvertenza che la “s” sta per “dis” e conferisce un senso contrario alla parola cui sta unita. Nel nostro caso, sviluppo = disviluppo, indica l’azione del liberare dal “viluppo”, far qualcosa per mettere ordine in un intreccio confuso. Non è da escludere, nella ricerca dell’etimo della parola

sviluppo, il riferimento al latino volvere che letteralmente significa “far girare”. Quest’ultimo riferimento testimonia del dinamismo necessario perché possa esserci “sviluppo”, perché possa venir fuori qualcosa che, per un motivo o per un altro, è “avviluppato”. Ciò vale per la realtà materiale, per la dimensione fisica e per tutto ciò che interessa la persona nella sua dimensione esistenziale. In biologia, “sviluppo” è sinonimo di crescita di un organismo; nelle scienze

sociali, indica il passaggio da una condizione a un’altra: ad esempio, da una società contadina a una industriale. Sul piano esistenziale, “sviluppo” è il percorso attraverso il quale si realizzano condizioni nuove e di crescita per sé e per l’ambiente nel quale si è inseriti. Ne parlava in questi termini Nelson Mandela, aggiungendo che «l’educazione è il grande motore dello sviluppo personale. È grazie all’educazione che la figlia di un contadino può diventare medico, il figlio

di un minatore il capo miniera o un bambino nato in una famiglia povera il presidente di una grande nazione». Una considerazione dell’ economista, premio Nobel, Amartya Sen spinge ad allargare gli orizzonti e aiuta a vedere nello sviluppo un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani, nella sfera privata come in quella sociale e politica. Da questo punto di vista,la sfida dello sviluppo sta nello sciogliere ed eliminare i vari tipi di “illibertà” e di

“inequità”, come continua a chiamarle papa Francesco. Quasi a dire che dobbiamo abituarci a misurare lo sviluppo andando oltre i parametri del Pil, criterio di valutazione che mostra sempre di più i suoi limiti, soprattutto quando esclude dalla misura dello sviluppo il superamento di fame e miseria, tirannia, intolleranza e repressione, analfabetismo, mancanza di assistenza sanitaria e di tutela ambientale, libertà di espressione. Tutte

condizioni che limitano nell’individuo l’opportunità e la capacità di agire secondo ragione e di costruire la vita che egli preferisce. Perché possa realizzarsi questo tipo di sviluppo c’è bisogno di «personalità creative, che pensano e giudicano indipendentemente; il progresso della società è impensabile quanto lo sviluppo della personalità individuale senza il terreno fertile della comunità» (A. Einstein).

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abitare le parole / sviluppodi Nunzio Galantino Far girare le cose

Polifonie per la gloria di DioIl rapporto tra religione e musica emerge spesso negli scritti di

Gianfranco Ravasi. Come nel caso del recente articolo, uscito il 5marzo 2017, nel quale il cardinale dava notizia di un convegnodi Musica Sacra in Vaticano e di alcuni saggi sulla dimensione

spirituale delle composizioni da Mozart a Springsteenwww.archiviodomenica.ilsole24ore.com

Quella del cartone è la tecnicaprincipe dell’affresco rinasci-mentale. Il disegno, eseguito abottega, viene trasferito sull’ar-riccio. Così si lavora con una

traccia sicura, preparata nel dettaglio. Ecome si trasferisce un racconto dal mondoreligioso a quello laico della letteratura?Cosa va perso, nel trapasso, e cosa resta?Tra Otto e Novecento, una parte del patri-monio della devozione e della misticaebraica lascia le sinagoghe per travasarsisulle riviste, nei saggi storici, nelle libreriedelle case borghesi, e persino sulle scenedei teatri. Il golem di H. Leivick (pseudoni-mo di Leivick Halpern), curato da Laura Quercioli Mincer per Marsilio, è uno diquesti viaggiatori dal sacro al profano. Na-to dai rituali e dai sogni dei mistici ebrei delmedioevo, l’uomo di terra si sposta, goffo eminaccioso com’è, nell’officina del narra-tore. È un esempio interessante di longe-vità simbolica e di adattamento. Una pro-cedura teurgica pensata per pochi divienesegno d’inquietudine moderna, esibito aimolti. Come ci si trasforma da mistero esoterico a personaggio da palcoscenico?

Con molta fatica e altrettanti stenti. Al-meno a giudicare dalla vita di Leivick, natoin un villaggio sperduto della Bielorussia.Maggiore di nove fratelli, alle prese con povertà e un padre tiranno, aderisce appe-na può al partito socialista ebraico. Nel1906 viene arrestato dalla polizia zarista econdannato ai lavori forzati e poi all’esilioin Siberia. Fugge, approda nel 1913 negli Stati Uniti. Nuovi stenti, ma anche la voca-zione di poeta e di scrittore. Il Golem, com-posto in yiddish tra il 1917 e il 1920, è la sto-ria di un’attesa e di una nostalgia. C’è qual-cosa di eccessivo nell’idea del golem cab-balistico, in bilico com’è tra pietà esuperbia. Il mistico che dà vita a un grumodi terra sa di spingersi ai limiti della tra-sgressione. Vuol imitare il gesto del Crea-tore, ma rischia di perdere il controllo del-le forze che lui stesso ha evocato. Il model-lo religioso è quello della prova, della ri-vendicazione di un’autonomia umanadestinata a rasentare il demoniaco, o a ca-derci con conseguenze fatali. In un testo inebraico del Duecento, gli allievi pasticcio-ni di un grande maestro rischiano la vitaper animare il golem: «commisero un er-rore nei movimenti e camminarono all’in-dietro, cosicché sprofondarono nella terrasino all’ombelico».

Sotto la penna di Leivick, il golem attirale simpatie del lettore, quasi più del suocreatore, il sapiente Maharal di Praga. È ungigante informe che lotta per capire, checerca di liberarsi: «Ho orrore del mio cor-po, dei miei occhi vitrei, del mio linguag-gio oscuro e muto. Giorno e notte mi tra-scino. Ora io mi estirperò, andrò via, lonta-no». Bisogna essere d’argilla per sceglierel’esilio dall’esilio. «Vado in tutti gli angolidel mondo – continua l’omone – perchétutti mi chiamano allo stesso tempo, e tuttirincorrono i passi dei mendicanti in fuga».Com’è difficile la vita di un simbolo reli-gioso, nell’epoca dell’alienazione sociale. – Giulio Busi

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H. Leivick, Il Golem, a cura di Laura Quercioli Mincer, Marsilio, Venezia, pagg. 235, € 17

judaica

SimpaticoGolemletterario

Il fondatore della Comunitàdi Bose per cinquant’anni ha chiuso la compieta della domenica sera con brevi ammonizioni ai fratelli