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Alfred Russel Wallace Il posto dell'uomo nell'universo www.liberliber.it Alfred Russel Wallace Il posto dell'uomo nell'universo www.liberliber.it

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Alfred Russel WallaceIl posto dell'uomo nell'universo

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il posto dell'uomo nell'universoAUTORE: Wallace, Alfred RusselTRADUTTORE: Lo Forte, GiacomoCURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il posto dell'uomo nell'universo : studisui risultati delle ricerche scientifiche sulla uni-tà o pluralità dei mondi / Alfred Russel Wallace ;traduzione dall'inglese riveduta e preceduta da unostudio critico di Giacomo Lo Forte. - Milano ; Pa-lermo ; Napoli : Sandron, 1906. - XXXV, 436 p., [2]c. di tav. : ill. ; 22 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

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TITOLO: Il posto dell'uomo nell'universoAUTORE: Wallace, Alfred RusselTRADUTTORE: Lo Forte, GiacomoCURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

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COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il posto dell'uomo nell'universo : studisui risultati delle ricerche scientifiche sulla uni-tà o pluralità dei mondi / Alfred Russel Wallace ;traduzione dall'inglese riveduta e preceduta da unostudio critico di Giacomo Lo Forte. - Milano ; Pa-lermo ; Napoli : Sandron, 1906. - XXXV, 436 p., [2]c. di tav. : ill. ; 22 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 8 gennaio 2019

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:SCI015000 SCIENZA / Cosmologia

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Catia Righi, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 8 gennaio 2019

INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4ALFRED RUSSEL WALLACEE LA SUA IPOTESI.....................................................14PREFAZIONE DELL'AUTORE..................................36CAPITOLO I.L'UOMO E L'UNIVERSO(IDEE ANTICHE)........................................................43CAPITOLO II.L'UOMO E L'UNIVERSO(IDEE MODERNE)......................................................50CAPITOLO III.LA NUOVA ASTRONOMIA.......................................68

MOVIMENTO DELLE STELLE SECONDO LA VI-SUALE.....................................................................81STELLE INVISIBILI E MOVIMENTI IMPERCET-TIBILI.......................................................................85LE NEBULOSE.......................................................90ASTRONOMIA FOTOGRAFICA...........................91

CAPITOLO IV.DISTRIBUZIONE DELLE STELLE...........................96

LA VIA LATTEA.....................................................98DESCRIZIONE DELLA VIA LATTEA................102LE STELLE IN RELAZIONE CON LA VIA LAT-TEA.........................................................................110AMMASSI STELLARI E NEBULOSE IN RAP-

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4ALFRED RUSSEL WALLACEE LA SUA IPOTESI.....................................................14PREFAZIONE DELL'AUTORE..................................36CAPITOLO I.L'UOMO E L'UNIVERSO(IDEE ANTICHE)........................................................43CAPITOLO II.L'UOMO E L'UNIVERSO(IDEE MODERNE)......................................................50CAPITOLO III.LA NUOVA ASTRONOMIA.......................................68

MOVIMENTO DELLE STELLE SECONDO LA VI-SUALE.....................................................................81STELLE INVISIBILI E MOVIMENTI IMPERCET-TIBILI.......................................................................85LE NEBULOSE.......................................................90ASTRONOMIA FOTOGRAFICA...........................91

CAPITOLO IV.DISTRIBUZIONE DELLE STELLE...........................96

LA VIA LATTEA.....................................................98DESCRIZIONE DELLA VIA LATTEA................102LE STELLE IN RELAZIONE CON LA VIA LAT-TEA.........................................................................110AMMASSI STELLARI E NEBULOSE IN RAP-

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PORTO CON LA VIA LATTEA............................119CAPITOLO V.DISTANZA DELLE STELLE.MOTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPAZIO.....126

CHE COSA È UN MILIONE?...............................136MISURA DELLE DISTANZE STELLARI...........140MOVIMENTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPA-ZIO..........................................................................147ALCUNI RISULTATI NUMERICI DELLE PRECE-DENTI MISURE....................................................149POSTO PROBABILE DELLE STELLE...............152

CAPITOLO VI.UNITÀ ED EVOLUZIONEDEL SISTEMA STELLARE......................................156

L'UNITÀ DELL'UNIVERSO STELLARE...........158L'EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO STELLARE.................................................................................161IL SOLE COME STELLA TIPICA.......................162CIÒ CHE CIRCONDA IL SOLE...........................165LE IPOTESI NEBULARI E METEORICHE........170NATURA METEORICA DELLE NEBULOSE.....176CENNI DEL DOTTORE ROBERTS SULLE NEBU-LOSE A SPIRALE.................................................178UNA SUPPOSIZIONE SULL'ORIGINE DELLE NEBULOSE SPIRALI...........................................181L'EVOLUZIONE DELLE STELLE DOPPIE.......184AMMASSI STELLARI E STELLE VARIABILI..188L'EVOLUZIONE DELLE STELLE......................191

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PORTO CON LA VIA LATTEA............................119CAPITOLO V.DISTANZA DELLE STELLE.MOTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPAZIO.....126

CHE COSA È UN MILIONE?...............................136MISURA DELLE DISTANZE STELLARI...........140MOVIMENTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPA-ZIO..........................................................................147ALCUNI RISULTATI NUMERICI DELLE PRECE-DENTI MISURE....................................................149POSTO PROBABILE DELLE STELLE...............152

CAPITOLO VI.UNITÀ ED EVOLUZIONEDEL SISTEMA STELLARE......................................156

L'UNITÀ DELL'UNIVERSO STELLARE...........158L'EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO STELLARE.................................................................................161IL SOLE COME STELLA TIPICA.......................162CIÒ CHE CIRCONDA IL SOLE...........................165LE IPOTESI NEBULARI E METEORICHE........170NATURA METEORICA DELLE NEBULOSE.....176CENNI DEL DOTTORE ROBERTS SULLE NEBU-LOSE A SPIRALE.................................................178UNA SUPPOSIZIONE SULL'ORIGINE DELLE NEBULOSE SPIRALI...........................................181L'EVOLUZIONE DELLE STELLE DOPPIE.......184AMMASSI STELLARI E STELLE VARIABILI..188L'EVOLUZIONE DELLE STELLE......................191

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CAPITOLO VII.IL NUMERO DELLE STELLE È INFINITO?..........199

EVIDENZA TELESCOPICA DEI LIMITI DEL SI-STEMA STELLARE..............................................211LEGGE DEL NUMERO DECRESCENTE DELLE STELLE..................................................................216IL RAPPORTO TRA LA LUCEE IL NUMERO DELLE STELLE PIÙ DEBOLI...219

CAPITOLO VIII.I NOSTRI RAPPORTI CON LA VIA LATTEA........224

LA VIA LATTEA È UN GRAN CERCHIO..........226LA FORMA DELLA VIA LATTEAE LA NOSTRA POSIZIONE NEL SUO PIANO.. 228L'AMMASSO SOLARE........................................235IL MOVIMENTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPAZIO...................................................................240

CAPITOLO IX.L'UNIFORMITÀ DELLA MATERIAE DELLE SUE LEGGINELL'UNIVERSO STELLARE................................255

L'UNIFORMITÀ DELLA MATERIA...................256CAPITOLO X.I CARATTERI ESSENZIALI DELL'ORGANISMO VI-VENTE.......................................................................264CAPITOLO XI.LE CONDIZIONI INDISPENSABILI ALLA VITA ORGANICA...............................................................282

LIEVE TEMPERATURA RICHIESTAPER L'ACCRESCIMENTO E LO SVILUPPO.....283

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CAPITOLO VII.IL NUMERO DELLE STELLE È INFINITO?..........199

EVIDENZA TELESCOPICA DEI LIMITI DEL SI-STEMA STELLARE..............................................211LEGGE DEL NUMERO DECRESCENTE DELLE STELLE..................................................................216IL RAPPORTO TRA LA LUCEE IL NUMERO DELLE STELLE PIÙ DEBOLI...219

CAPITOLO VIII.I NOSTRI RAPPORTI CON LA VIA LATTEA........224

LA VIA LATTEA È UN GRAN CERCHIO..........226LA FORMA DELLA VIA LATTEAE LA NOSTRA POSIZIONE NEL SUO PIANO.. 228L'AMMASSO SOLARE........................................235IL MOVIMENTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPAZIO...................................................................240

CAPITOLO IX.L'UNIFORMITÀ DELLA MATERIAE DELLE SUE LEGGINELL'UNIVERSO STELLARE................................255

L'UNIFORMITÀ DELLA MATERIA...................256CAPITOLO X.I CARATTERI ESSENZIALI DELL'ORGANISMO VI-VENTE.......................................................................264CAPITOLO XI.LE CONDIZIONI INDISPENSABILI ALLA VITA ORGANICA...............................................................282

LIEVE TEMPERATURA RICHIESTAPER L'ACCRESCIMENTO E LO SVILUPPO.....283

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LA NECESSITÀ DELLA LUCE SOLARE...........285L'ACQUA PRINCIPIO ESSENZIALEDELLA VITA ORGANICA...................................286L'ATMOSFERA DEVE ESSERE SUFFICIENTE-MENTE DENSA E COMPOSTA DI GAS PROPOR-ZIONATI................................................................287I GAS DELL'ATMOSFERA..................................290IL VAPOR D'ACQUA DELL'ATMOSFERA........291L'ALTERNANZA DEL GIORNO E DELLA NOT-TE...........................................................................292

CAPITOLO XII.LA TERRA IN RAPPORTO CON LO SVILUPPO E CON LA CONSERVAZIONE DELLA VITA............296

L'OBBLIQUITÀ DELL'ECLITTICA....................297PERSISTENZA DEI CLIMI TEMPERATI NELLE EPOCHE GEOLOGICHE......................................301LA QUANTITÀ DELL'ACQUAE LA SUA DISTRIBUZIONE SUL GLOBO........307COME SI PRODUSSERO LE PROFONDITÀ OCEANICHE.........................................................312L'ACQUA REGOLATRICE DELLA TEMPERATU-RA...........................................................................320

CAPITOLO XIII.LA TERRA IN RELAZIONE CON LA VITA.CONDIZIONI ATMOSFERICHE.............................325

LE NUVOLE, LORO IMPORTANZA E LORO CAUSE...................................................................330NUVOLE E PIOGGIA DIPENDONO DAL PULVI-SCOLO DELL'ATMOSFERA...............................332

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LA NECESSITÀ DELLA LUCE SOLARE...........285L'ACQUA PRINCIPIO ESSENZIALEDELLA VITA ORGANICA...................................286L'ATMOSFERA DEVE ESSERE SUFFICIENTE-MENTE DENSA E COMPOSTA DI GAS PROPOR-ZIONATI................................................................287I GAS DELL'ATMOSFERA..................................290IL VAPOR D'ACQUA DELL'ATMOSFERA........291L'ALTERNANZA DEL GIORNO E DELLA NOT-TE...........................................................................292

CAPITOLO XII.LA TERRA IN RAPPORTO CON LO SVILUPPO E CON LA CONSERVAZIONE DELLA VITA............296

L'OBBLIQUITÀ DELL'ECLITTICA....................297PERSISTENZA DEI CLIMI TEMPERATI NELLE EPOCHE GEOLOGICHE......................................301LA QUANTITÀ DELL'ACQUAE LA SUA DISTRIBUZIONE SUL GLOBO........307COME SI PRODUSSERO LE PROFONDITÀ OCEANICHE.........................................................312L'ACQUA REGOLATRICE DELLA TEMPERATU-RA...........................................................................320

CAPITOLO XIII.LA TERRA IN RELAZIONE CON LA VITA.CONDIZIONI ATMOSFERICHE.............................325

LE NUVOLE, LORO IMPORTANZA E LORO CAUSE...................................................................330NUVOLE E PIOGGIA DIPENDONO DAL PULVI-SCOLO DELL'ATMOSFERA...............................332

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ELETTRICITÀ ATMOSFERICA..........................341CAPITOLO XIV.LA TERRA È IL SOLO PIANETA ABITABILE DEL SISTEMA SOLARE...................................................347

MASSA DI UN PIANETA E SUA ATMOSFERA.................................................................................348ABITABILITÀ DEGLI ALTRI PIANETI.............351UN PICCOLO E DETERMINATOLIMITE DI TEMPERATURA...............................352GLI ESTREMI LIMITI DI VITA SULLA TERRA.................................................................................357I GRANDI PIANETI SONO TUTTI INABILITABI-LI............................................................................359L'ESTREMO ARGOMENTO PER L'ABITABILITÀDEI PIANETI.........................................................361LIMITAZIONE DEL CALORE SOLARE............363

CAPITOLO XV.LE STELLE POSSEGGONO SISTEMI PLANETARI? – SONO ESSE UTILI A NOI?...................................370

SISTEMI STELLARI DOPPI E MULTIPLI.........375SONO LE STELLE UTILI PER NOI?..................378

CAPITOLO XVI.STABILITÀ DEL SISTEMA STELLARE.IMPORTANZA DELLA NOSTRA POSIZIONE CEN-TRALE.......................................................................385

UNIFORME QUANTITÀ DI CALOREDOVUTA ALLA POSIZIONE CENTRALE.........396RIASSUNTO..........................................................403CONCLUSIONE....................................................410

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ELETTRICITÀ ATMOSFERICA..........................341CAPITOLO XIV.LA TERRA È IL SOLO PIANETA ABITABILE DEL SISTEMA SOLARE...................................................347

MASSA DI UN PIANETA E SUA ATMOSFERA.................................................................................348ABITABILITÀ DEGLI ALTRI PIANETI.............351UN PICCOLO E DETERMINATOLIMITE DI TEMPERATURA...............................352GLI ESTREMI LIMITI DI VITA SULLA TERRA.................................................................................357I GRANDI PIANETI SONO TUTTI INABILITABI-LI............................................................................359L'ESTREMO ARGOMENTO PER L'ABITABILITÀDEI PIANETI.........................................................361LIMITAZIONE DEL CALORE SOLARE............363

CAPITOLO XV.LE STELLE POSSEGGONO SISTEMI PLANETARI? – SONO ESSE UTILI A NOI?...................................370

SISTEMI STELLARI DOPPI E MULTIPLI.........375SONO LE STELLE UTILI PER NOI?..................378

CAPITOLO XVI.STABILITÀ DEL SISTEMA STELLARE.IMPORTANZA DELLA NOSTRA POSIZIONE CEN-TRALE.......................................................................385

UNIFORME QUANTITÀ DI CALOREDOVUTA ALLA POSIZIONE CENTRALE.........396RIASSUNTO..........................................................403CONCLUSIONE....................................................410

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INDICE ALFABETICO.............................................421

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INDICE ALFABETICO.............................................421

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ALFRED RUSSEL WALLACE

IL POSTO DELL'UOMONELL'UNIVERSO

STUDI SUI RISULTATI DELLE RICERCHE SCIENTIFICHESULLA UNITÀ O PLURALITÀ DEI MONDI

Traduzione dall'ingleseriveduta e preceduta da uno studio critico

DI

GIACOMO LO FORTE«O, glittering host! O, golden line!I would I had an angel's ken,Your deepest secrets to divine,And read your mysteries to men.»

(O luminosa dimora! O volta d'oro! Vor-rei che un angelo indovinasse i vostri segretie rivelasse i vostri misteri agli uomini.)

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ALFRED RUSSEL WALLACE

IL POSTO DELL'UOMONELL'UNIVERSO

STUDI SUI RISULTATI DELLE RICERCHE SCIENTIFICHESULLA UNITÀ O PLURALITÀ DEI MONDI

Traduzione dall'ingleseriveduta e preceduta da uno studio critico

DI

GIACOMO LO FORTE«O, glittering host! O, golden line!I would I had an angel's ken,Your deepest secrets to divine,And read your mysteries to men.»

(O luminosa dimora! O volta d'oro! Vor-rei che un angelo indovinasse i vostri segretie rivelasse i vostri misteri agli uomini.)

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«I said unto my inmost heart,Shall I don corslet, helm, and shield,And shall I with a Giant strive,And charge a Dragon on the field?»1

J. H. DELL.

1 Io dissi a me stesso: – Non avrò io corazza, elmo e spada,non combatterò un gigante e non caricherò sul campo contro undragone?

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«I said unto my inmost heart,Shall I don corslet, helm, and shield,And shall I with a Giant strive,And charge a Dragon on the field?»1

J. H. DELL.

1 Io dissi a me stesso: – Non avrò io corazza, elmo e spada,non combatterò un gigante e non caricherò sul campo contro undragone?

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ALFRED RUSSEL WALLACEE LA SUA IPOTESI

Mentre il nome e la gloria di Darwin correvano trion-fanti pel mondo, il Wallace restava quasi ignorato fuoridell'ambiente scientifico, sebbene anch'egli, quasi con-temporaneamente al grande naturalista che ha legato ilsuo nome alla dottrina dell'evoluzione, avesse formulatol'ipotesi della selezione, che doveva imprimere un carat-tere così speciale alla scienza e alla filosofia moderne.Le ragioni di tale oblio – inesplicabile per chi non cono-sca i particolari della vita dei due naturalisti – debbonoricercarsi prima di tutto nei temperamenti diversi deidue autori, nei casi diversi della loro vita, e nelle operediverse che da tali circostanze risultarono; subordinata-mente nella cura che mise sempre il Wallace, cura chesembra quasi una preoccupazione, nell'attribuire esclusi-vamente al Darwin l'ipotesi della selezione naturale, nel-le pubblicazioni che egli fece in seguito su tale argo-mento. Certo questo contegno del Wallace fu inspiratosin dal principio da elevata gentilezza d'animo e da un

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ALFRED RUSSEL WALLACEE LA SUA IPOTESI

Mentre il nome e la gloria di Darwin correvano trion-fanti pel mondo, il Wallace restava quasi ignorato fuoridell'ambiente scientifico, sebbene anch'egli, quasi con-temporaneamente al grande naturalista che ha legato ilsuo nome alla dottrina dell'evoluzione, avesse formulatol'ipotesi della selezione, che doveva imprimere un carat-tere così speciale alla scienza e alla filosofia moderne.Le ragioni di tale oblio – inesplicabile per chi non cono-sca i particolari della vita dei due naturalisti – debbonoricercarsi prima di tutto nei temperamenti diversi deidue autori, nei casi diversi della loro vita, e nelle operediverse che da tali circostanze risultarono; subordinata-mente nella cura che mise sempre il Wallace, cura chesembra quasi una preoccupazione, nell'attribuire esclusi-vamente al Darwin l'ipotesi della selezione naturale, nel-le pubblicazioni che egli fece in seguito su tale argo-mento. Certo questo contegno del Wallace fu inspiratosin dal principio da elevata gentilezza d'animo e da un

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nobilissimo sentimento di cortesia verso il Darwin, cheaveva consacrato venti anni della sua vita a elaborare lapoderosa sintesi su una congerie immensa di materiali;molto probabilmente però, in seguito, un'altra causa in-tervenne nel determinare tale contegno: il desiderio distaccarsi, almeno in parte, da una fede scientifica chenon doveva essere più la sua. Esponiamo per ordine gliavvenimenti.

Il Darwin di ritorno dal suo celebre viaggio intorno almondo, ricco di un abbondante materiale scientifico diprim'ordine, si accinse in una solitaria villa all'inesauri-bile lavoro. Già la prima idea della sua vasta ipotesi gliera balenata durante il viaggio; la lettura della celebreopera di Malthus2 diede consistenza e forma a tale idea.Mente sovranamente equilibrata ed educata con severitàai principii della scienza sperimentale, egli non potevadecidersi a presentare al mondo scientifico la sua teoriacome un nudo prodotto del suo pensiero, senza l'ausiliodi evidenti e numerose prove. E per lungo tempo raccol-se tali prove, sperimentando sugli animali domestici esulle piante del suo giardino. La teoria della sopravvi-venza del più adatto venne così elaborata giorno pergiorno, rafforzata e completata sempre da nuove e feliciosservazioni, che con la semplicità di una logica di ferrosi riannodavano naturalmente al filo conduttore esistentenella mente del Darwin. Tale lavoro di induzioni, di ri-cerche, di confronti durò per circa ventun anni: i risultati

2 Essay on the Principle of Population, 1826.

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nobilissimo sentimento di cortesia verso il Darwin, cheaveva consacrato venti anni della sua vita a elaborare lapoderosa sintesi su una congerie immensa di materiali;molto probabilmente però, in seguito, un'altra causa in-tervenne nel determinare tale contegno: il desiderio distaccarsi, almeno in parte, da una fede scientifica chenon doveva essere più la sua. Esponiamo per ordine gliavvenimenti.

Il Darwin di ritorno dal suo celebre viaggio intorno almondo, ricco di un abbondante materiale scientifico diprim'ordine, si accinse in una solitaria villa all'inesauri-bile lavoro. Già la prima idea della sua vasta ipotesi gliera balenata durante il viaggio; la lettura della celebreopera di Malthus2 diede consistenza e forma a tale idea.Mente sovranamente equilibrata ed educata con severitàai principii della scienza sperimentale, egli non potevadecidersi a presentare al mondo scientifico la sua teoriacome un nudo prodotto del suo pensiero, senza l'ausiliodi evidenti e numerose prove. E per lungo tempo raccol-se tali prove, sperimentando sugli animali domestici esulle piante del suo giardino. La teoria della sopravvi-venza del più adatto venne così elaborata giorno pergiorno, rafforzata e completata sempre da nuove e feliciosservazioni, che con la semplicità di una logica di ferrosi riannodavano naturalmente al filo conduttore esistentenella mente del Darwin. Tale lavoro di induzioni, di ri-cerche, di confronti durò per circa ventun anni: i risultati

2 Essay on the Principle of Population, 1826.

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venivano comunicati quasi giorno per giorno al geologoLyell e al botanico Hooker, frai pochissimi intimi chefrequentavano la tacita e solitaria villa di Down. Darwingiudicava sempre incompleta la sua opera, e non si deci-deva mai alla pubblicazione. Ma venne un momento, nel1858, che la irruzione del Wallace nella vita e nell'operadel Darwin fece rompere ogni indugio.

Alfred Russel Wallace, nato nel 1822 a Usk, nel Mon-mouthshire, viaggiava da parecchi anni come naturali-sta. Aveva percorso le foreste del Brasile e le isoledell'arcipelago malese, e si trovava allora a Ternate, nel-le Molucche, ammalato di febbre intermittente.Anch'egli conosceva l'opera di Malthus, e quando piùera travagliato dal male, la celebre teoria sulla popola-zione gli tornò insistentemente al pensiero, e, quasi neldelirio, gli suggerì la stessa ipotesi alla quale era già ar-rivato il Darwin. Guarito, redasse in due o tre giorni unabreve memoria sulla tendenza che hanno le varietà adallontanarsi definitivamente dal loro tipo originale, nellaquale la selezione era esposta con frasi simili e quasiidentiche a quelle adoperate dal Darwin, e senz'altro lainviò a questo, con preghiera di esaminarla e curarne lapubblicazione in qualche rivista inglese, se la trovassedegna.

Casi simili non accadono due volte nella storia. IlDarwin sottomise lettera e manoscritto ai due amici, ilLyell e l'Hoocker, che già conoscevano l'opera del soli-tario di Down, e così gli fu possibile di far riconoscerela precedenza dell'opera sua. Del resto il Wallace, con

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venivano comunicati quasi giorno per giorno al geologoLyell e al botanico Hooker, frai pochissimi intimi chefrequentavano la tacita e solitaria villa di Down. Darwingiudicava sempre incompleta la sua opera, e non si deci-deva mai alla pubblicazione. Ma venne un momento, nel1858, che la irruzione del Wallace nella vita e nell'operadel Darwin fece rompere ogni indugio.

Alfred Russel Wallace, nato nel 1822 a Usk, nel Mon-mouthshire, viaggiava da parecchi anni come naturali-sta. Aveva percorso le foreste del Brasile e le isoledell'arcipelago malese, e si trovava allora a Ternate, nel-le Molucche, ammalato di febbre intermittente.Anch'egli conosceva l'opera di Malthus, e quando piùera travagliato dal male, la celebre teoria sulla popola-zione gli tornò insistentemente al pensiero, e, quasi neldelirio, gli suggerì la stessa ipotesi alla quale era già ar-rivato il Darwin. Guarito, redasse in due o tre giorni unabreve memoria sulla tendenza che hanno le varietà adallontanarsi definitivamente dal loro tipo originale, nellaquale la selezione era esposta con frasi simili e quasiidentiche a quelle adoperate dal Darwin, e senz'altro lainviò a questo, con preghiera di esaminarla e curarne lapubblicazione in qualche rivista inglese, se la trovassedegna.

Casi simili non accadono due volte nella storia. IlDarwin sottomise lettera e manoscritto ai due amici, ilLyell e l'Hoocker, che già conoscevano l'opera del soli-tario di Down, e così gli fu possibile di far riconoscerela precedenza dell'opera sua. Del resto il Wallace, con

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perfetta rettitudine, non esitò un momento ad ammetter-la, ma il Darwin volle che la memoria del Wallace equella che egli stesso redasse in fretta riassumendo lasua vastissima opera, fossero lette contemporaneamentealla Società Linneana di Londra; e nel 1859 esse com-parvero nello stesso numero del Journal of the LinneanSociety. Pochi mesi dopo vedeva la luce la prima edizio-ne dell'Origine della specie.

Si comprende facilmente come, per forza degli avve-nimenti, il Wallace dovesse restare nell'ombra. Quelladel Darwin infatti aveva i requisiti di un'opera organica,ricca di prove strabocchevoli, ordinata ed accuratanell'esposizione. Tutto ciò doveva necessariamentemancare nel lavoro del Wallace, che era stato concepitoquasi in un baleno, mentre il Darwin vi aveva impiegatoventun anni. E il nome di Darwinismo restò fatalmenteacquisito alla nuova teoria sul fenomeno della vita, e ilWallace stesso lo adottò attingendo largamente alle evi-denti e coscienziose pagine del suo emulo, e a questo at-tribuendo ogni merito, quando volle esporre sistematica-mente l'ipotesi nel suo posteriore volume sul trasformi-smo, comparso nel 1889.

In questa sua pubblicazione egli si stacca nettamentedal suo amico in ciò che la comune dottrina, può riguar-dare l'uomo. Ma già nel 1869, in un articolo comparsosulla Quarterly Review, il Wallace aveva affermato chela selezione naturale non può produrre che un cervellodi poco superiore, nelle sue funzioni, a quello della

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perfetta rettitudine, non esitò un momento ad ammetter-la, ma il Darwin volle che la memoria del Wallace equella che egli stesso redasse in fretta riassumendo lasua vastissima opera, fossero lette contemporaneamentealla Società Linneana di Londra; e nel 1859 esse com-parvero nello stesso numero del Journal of the LinneanSociety. Pochi mesi dopo vedeva la luce la prima edizio-ne dell'Origine della specie.

Si comprende facilmente come, per forza degli avve-nimenti, il Wallace dovesse restare nell'ombra. Quelladel Darwin infatti aveva i requisiti di un'opera organica,ricca di prove strabocchevoli, ordinata ed accuratanell'esposizione. Tutto ciò doveva necessariamentemancare nel lavoro del Wallace, che era stato concepitoquasi in un baleno, mentre il Darwin vi aveva impiegatoventun anni. E il nome di Darwinismo restò fatalmenteacquisito alla nuova teoria sul fenomeno della vita, e ilWallace stesso lo adottò attingendo largamente alle evi-denti e coscienziose pagine del suo emulo, e a questo at-tribuendo ogni merito, quando volle esporre sistematica-mente l'ipotesi nel suo posteriore volume sul trasformi-smo, comparso nel 1889.

In questa sua pubblicazione egli si stacca nettamentedal suo amico in ciò che la comune dottrina, può riguar-dare l'uomo. Ma già nel 1869, in un articolo comparsosulla Quarterly Review, il Wallace aveva affermato chela selezione naturale non può produrre che un cervellodi poco superiore, nelle sue funzioni, a quello della

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scimmia, mentre le facoltà mentali dell'uomo non hannonulla che rammenti la mentalità animale.

In una serie di saggi comparsa nel 1870 sotto il titolo:Contributions to the Theory of Natural Selection, eglifissava nettamente la sua teoria di fronte a quella delDarwin, dal quale si separava del tutto per ciò che ri-guarda la psiche umana. La selezione è insufficiente, se-condo il Wallace, a spiegare l'origine della meravigliosafunzione mentale dell'uomo. Egli non crede che l'ipotesidarwiniana possa dar ragione dell'origine di variazioniche siano nocive all'individuo. Il ragionamento del Wal-lace è strettamente logico, date le basi dalle quali parte,ma queste basi non possono esser considerate come in-discutibili. Egli dice presso a poco: Se è provato che al-cune variazioni inutili o anche dannose all'individuo nelloro primo apparire, diventano utili a sviluppo comple-to, e sono anzi indispensabili, adesso, per una funzionecompleta della natura intellettuale e morale dell'uomo,non si può comprendere il meccanismo col quale esse sisiano sviluppate, poichè avrebbero dovuto fatalmentefar soccombere nella lotta per la vita quegli individui aiquali tornavano dannose. Quindi l'intervento di un'azio-ne intelligente, previdente, preparante l'avvenire, nelmodo identico dell'allevatore che preserva le variazioniche vuol conservare, s'impone.

Ma tal ragionamento, come è facile comprendere,pecca alla base. Quali sarebbero, infatti, le variazionidannose nel loro primo apparire, che si sono conservatee sviluppate?

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scimmia, mentre le facoltà mentali dell'uomo non hannonulla che rammenti la mentalità animale.

In una serie di saggi comparsa nel 1870 sotto il titolo:Contributions to the Theory of Natural Selection, eglifissava nettamente la sua teoria di fronte a quella delDarwin, dal quale si separava del tutto per ciò che ri-guarda la psiche umana. La selezione è insufficiente, se-condo il Wallace, a spiegare l'origine della meravigliosafunzione mentale dell'uomo. Egli non crede che l'ipotesidarwiniana possa dar ragione dell'origine di variazioniche siano nocive all'individuo. Il ragionamento del Wal-lace è strettamente logico, date le basi dalle quali parte,ma queste basi non possono esser considerate come in-discutibili. Egli dice presso a poco: Se è provato che al-cune variazioni inutili o anche dannose all'individuo nelloro primo apparire, diventano utili a sviluppo comple-to, e sono anzi indispensabili, adesso, per una funzionecompleta della natura intellettuale e morale dell'uomo,non si può comprendere il meccanismo col quale esse sisiano sviluppate, poichè avrebbero dovuto fatalmentefar soccombere nella lotta per la vita quegli individui aiquali tornavano dannose. Quindi l'intervento di un'azio-ne intelligente, previdente, preparante l'avvenire, nelmodo identico dell'allevatore che preserva le variazioniche vuol conservare, s'impone.

Ma tal ragionamento, come è facile comprendere,pecca alla base. Quali sarebbero, infatti, le variazionidannose nel loro primo apparire, che si sono conservatee sviluppate?

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Il Wallace compie la sua indagine nella specie umana,rilevando l'esistenza di caratteri che sarebbero di nessu-na utilità all'uomo selvaggio, e che furono quindi inutiliall'uomo preistorico, quantunque essi siano indispensa-bili, oggi, all'uomo civile, completamente sviluppato.

Ed ecco l'esempio maggiore che egli adduce: Vi è unadifferenza minima di volume fra il cervello dell'uomocontemporaneo incivilito e quello dell'uomo preistorico:il selvaggio adunque possedeva un organo di cui non sa-peva che farsi, poichè soltanto oggi il cervello funzionapienamente. – Qui l'errore del Wallace è evidente: eglivede nel cervello soltanto la quantità e non la qualità, enon si accorge, restando anche a considerare soltanto laquantità, come una differenza minima sia più che suffi-ciente a spiegare la grande differenza di una funzionetanto delicata quanto è quella del pensiero umano. Mav'è ancora di più: come mai egli può asserire che tale or-gano, utilizzato pienamente soltanto dall'uomo civile, sisia sviluppato nella sua funzione, quantunque dannosoall'individuo?

Lo stesso ragionamento egli ripete per il senso mora-le, che giudica dannoso al selvaggio, non riflettendo cheil senso morale dell'uno (un convenzionalismo come unaltro del resto) trova riscontro nel senso moraledell'altro, onde esiste perfetta reciprocità tra gli indivi-dui coabitanti di una data specie, e che infine, se ancheil primo accenno di senso morale si fosse manifestato acaso in un solo individuo, (cosa che resta sempre a pro-

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Il Wallace compie la sua indagine nella specie umana,rilevando l'esistenza di caratteri che sarebbero di nessu-na utilità all'uomo selvaggio, e che furono quindi inutiliall'uomo preistorico, quantunque essi siano indispensa-bili, oggi, all'uomo civile, completamente sviluppato.

Ed ecco l'esempio maggiore che egli adduce: Vi è unadifferenza minima di volume fra il cervello dell'uomocontemporaneo incivilito e quello dell'uomo preistorico:il selvaggio adunque possedeva un organo di cui non sa-peva che farsi, poichè soltanto oggi il cervello funzionapienamente. – Qui l'errore del Wallace è evidente: eglivede nel cervello soltanto la quantità e non la qualità, enon si accorge, restando anche a considerare soltanto laquantità, come una differenza minima sia più che suffi-ciente a spiegare la grande differenza di una funzionetanto delicata quanto è quella del pensiero umano. Mav'è ancora di più: come mai egli può asserire che tale or-gano, utilizzato pienamente soltanto dall'uomo civile, sisia sviluppato nella sua funzione, quantunque dannosoall'individuo?

Lo stesso ragionamento egli ripete per il senso mora-le, che giudica dannoso al selvaggio, non riflettendo cheil senso morale dell'uno (un convenzionalismo come unaltro del resto) trova riscontro nel senso moraledell'altro, onde esiste perfetta reciprocità tra gli indivi-dui coabitanti di una data specie, e che infine, se ancheil primo accenno di senso morale si fosse manifestato acaso in un solo individuo, (cosa che resta sempre a pro-

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varsi e che anzi appare del tutto incredibile) l'imitazionedoveva fare il resto.

Ma non è una critica delle teorie del Wallace che in-tendo fare in questa rapida corsa attraverso le sue opere;voglio semplicemente constatare l'evoluzione del suopensiero, che doveva fatalmente condurlo alla concezio-ne geocentrica da lui esposta in questo suo ultimo lavo-ro, che ho l'onore di presentare al pubblico italiano.

Il distacco dalla teoria darwiniana della selezione di-viene ancora più profondo nella esposizione sistematicache egli fece nel 1889 del darwinismo3, esposizione allaquale aggiunse un capitolo originale contenente le suepersonali vedute. Questo capitolo è intitolato: Il Darvi-nismo applicato all'uomo. Veramente, dal punto di vistascientifico, è un'applicazione molto superficiale, spe-cialmente al confronto di quanto il Darwin stesso avevafatto nell'altra sua opera: L'origine dell'uomo; però lasua importanza massima risiede nel fatto che l'autore viafferma recisamente le sue tendenze metafisiche.

Il Wallace in sostanza dice che nell'evoluzione gene-rale del Cosmo tre cose misteriose si constatano, a spie-gar le quali la teoria della selezione è insufficiente, anzidel tutto inadeguata, cioè: il passaggio della materia dal-lo stato inorganico a quello organico; la comparsa dellasensazione o coscienza, che rappresenta la distinzionefondamentale tra il regno vegetale e quello animale; e

3 Le Darwinisme – trad. francese – Lecrosnier et Babé, édi-teurs, Paris, 1891.

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varsi e che anzi appare del tutto incredibile) l'imitazionedoveva fare il resto.

Ma non è una critica delle teorie del Wallace che in-tendo fare in questa rapida corsa attraverso le sue opere;voglio semplicemente constatare l'evoluzione del suopensiero, che doveva fatalmente condurlo alla concezio-ne geocentrica da lui esposta in questo suo ultimo lavo-ro, che ho l'onore di presentare al pubblico italiano.

Il distacco dalla teoria darwiniana della selezione di-viene ancora più profondo nella esposizione sistematicache egli fece nel 1889 del darwinismo3, esposizione allaquale aggiunse un capitolo originale contenente le suepersonali vedute. Questo capitolo è intitolato: Il Darvi-nismo applicato all'uomo. Veramente, dal punto di vistascientifico, è un'applicazione molto superficiale, spe-cialmente al confronto di quanto il Darwin stesso avevafatto nell'altra sua opera: L'origine dell'uomo; però lasua importanza massima risiede nel fatto che l'autore viafferma recisamente le sue tendenze metafisiche.

Il Wallace in sostanza dice che nell'evoluzione gene-rale del Cosmo tre cose misteriose si constatano, a spie-gar le quali la teoria della selezione è insufficiente, anzidel tutto inadeguata, cioè: il passaggio della materia dal-lo stato inorganico a quello organico; la comparsa dellasensazione o coscienza, che rappresenta la distinzionefondamentale tra il regno vegetale e quello animale; e

3 Le Darwinisme – trad. francese – Lecrosnier et Babé, édi-teurs, Paris, 1891.

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finalmente le facoltà superiori dell'uomo, che schiudonoa questo la possibilità di un progresso quasi indefinito.L'autore scrive testualmente: «Queste tre tappe ben di-stinte del progredire del mondo organico materiale e delmovimento sino all'uomo, indicano chiaramente l'esi-stenza di un Universo invisibile, di un mondo dello spi-rito, al quale il mondo della materia è completamentesubordinato. A questo mondo spirituale noi possiamo at-tribuire le forze meravigliosamente complesse che chia-miamo gravitazione, coesione, forza chimica, forza diradiazione ed elettricità, senza le quali l'Universo mate-riale non potrebbe esistere, neppure per un istante nellasua forma attuale, nè, probabilmente, sotto alcun'altraforma, poichè senza queste forze, e fors'anche altre chepossiamo chiamare atomiche, non sappiamo se l'esisten-za della materia stessa sia possibile». Più oltre affermaancora che le manifestazioni della vita dipendono da«differenti gradi d'influsso spirituale». Egli vede inoltreuno scopo in tutto ciò che esiste: «Per noi lo scopo ulti-mo, la sola ragion d'essere del mondo è stato lo sviluppodello spirito umano associato col corpo». Le facoltà in-tellettuali e spirituali dell'uomo non si sono sviluppateper selezione naturale, «ma debbono avere avutoun'altra origine, e a quest'origine noi non possiamo tro-vare una causa adeguata che nell'Universo invisibiledello spirito.»

Con queste parole egli chiude il suo volume sul dar-winismo. Ma con ciò non esclude affatto la derivazionemateriale di tutte le forme, inorganiche e organiche, le

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finalmente le facoltà superiori dell'uomo, che schiudonoa questo la possibilità di un progresso quasi indefinito.L'autore scrive testualmente: «Queste tre tappe ben di-stinte del progredire del mondo organico materiale e delmovimento sino all'uomo, indicano chiaramente l'esi-stenza di un Universo invisibile, di un mondo dello spi-rito, al quale il mondo della materia è completamentesubordinato. A questo mondo spirituale noi possiamo at-tribuire le forze meravigliosamente complesse che chia-miamo gravitazione, coesione, forza chimica, forza diradiazione ed elettricità, senza le quali l'Universo mate-riale non potrebbe esistere, neppure per un istante nellasua forma attuale, nè, probabilmente, sotto alcun'altraforma, poichè senza queste forze, e fors'anche altre chepossiamo chiamare atomiche, non sappiamo se l'esisten-za della materia stessa sia possibile». Più oltre affermaancora che le manifestazioni della vita dipendono da«differenti gradi d'influsso spirituale». Egli vede inoltreuno scopo in tutto ciò che esiste: «Per noi lo scopo ulti-mo, la sola ragion d'essere del mondo è stato lo sviluppodello spirito umano associato col corpo». Le facoltà in-tellettuali e spirituali dell'uomo non si sono sviluppateper selezione naturale, «ma debbono avere avutoun'altra origine, e a quest'origine noi non possiamo tro-vare una causa adeguata che nell'Universo invisibiledello spirito.»

Con queste parole egli chiude il suo volume sul dar-winismo. Ma con ciò non esclude affatto la derivazionemateriale di tutte le forme, inorganiche e organiche, le

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une dalle altre; la legge della continuità della materia èda lui pienamente accettata, e non dubita che le primeforme viventi siano direttamente derivate dalla materiabruta. Però egli modifica l'ipotesi del trasformismo am-mettendo che, mentre cresceva la complicazione dellamolecola che doveva rappresentare il protoplasma, do-vette intervenire un'altra causa ignota a infondere la vitaa questa antica particella di materia organica. «Noi ab-biamo indizi – dice il Wallace – di una nuova forza chesi mette all'opera, forza che noi possiamo chiamare vita-lità, perchè essa dà ad alcune forme della materia tutti icaratteri e le proprietà che costituiscono la vita.»4 Così,quando vediamo comparire la sensazione e la coscienza,«noi sentiamo che sarebbe del tutto assurdo il supporreche a una certa fase di complessità (organica) un egosorga nell'esistenza, qualcosa che senta, che abbia co-scienza della propria esistenza. Noi abbiamo qui la cer-tezza che qualcosa di nuovo è nato, un essere la cui na-scente coscienza va crescendo in potenza e in caratteredeterminato, sino a che abbia raggiunto il suo apogeonegli animali superiori.»5 E quando da qualcuna dellepiù alte forme animali si sviluppa l'uomo, interviene an-cora un'altra causa ignota, che dà all'ultimo essere com-parso la sua mentalità speciale, «l'amore della verità, lagioia che dà la bellezza, la passione per la giustizia, ilfremito del trionfo che noi sentiamo al racconto di qual-

4 L. c., p. 648.5 L. c., pag. 649.

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une dalle altre; la legge della continuità della materia èda lui pienamente accettata, e non dubita che le primeforme viventi siano direttamente derivate dalla materiabruta. Però egli modifica l'ipotesi del trasformismo am-mettendo che, mentre cresceva la complicazione dellamolecola che doveva rappresentare il protoplasma, do-vette intervenire un'altra causa ignota a infondere la vitaa questa antica particella di materia organica. «Noi ab-biamo indizi – dice il Wallace – di una nuova forza chesi mette all'opera, forza che noi possiamo chiamare vita-lità, perchè essa dà ad alcune forme della materia tutti icaratteri e le proprietà che costituiscono la vita.»4 Così,quando vediamo comparire la sensazione e la coscienza,«noi sentiamo che sarebbe del tutto assurdo il supporreche a una certa fase di complessità (organica) un egosorga nell'esistenza, qualcosa che senta, che abbia co-scienza della propria esistenza. Noi abbiamo qui la cer-tezza che qualcosa di nuovo è nato, un essere la cui na-scente coscienza va crescendo in potenza e in caratteredeterminato, sino a che abbia raggiunto il suo apogeonegli animali superiori.»5 E quando da qualcuna dellepiù alte forme animali si sviluppa l'uomo, interviene an-cora un'altra causa ignota, che dà all'ultimo essere com-parso la sua mentalità speciale, «l'amore della verità, lagioia che dà la bellezza, la passione per la giustizia, ilfremito del trionfo che noi sentiamo al racconto di qual-

4 L. c., p. 648.5 L. c., pag. 649.

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che atto di coraggioso sacrifizio di sè stesso»6, insommatutte le facoltà intellettuali e morali.

La debolezza del ragionamento del Wallace risiedesopratutto nella precisa delimitazione che egli intendestabilire nei caratteri più essenziali degli organismi: eglistacca nettamente il mondo inorganico dalle più basseforme viventi, così come stacca nettamente le funzionivitali delle piante da quelle degli animali, e la funzionepsicologica animale da quella umana. Ma, ripetiamo,non è questo il luogo di insistere in una discussione.L'esposizione delle idee biologiche del Wallace e le cita-zioni che abbiamo fatto, ci serviranno semplicementeper comprendere più chiaramente per quale intimo pro-cesso logico la sua mente sia arrivata alla concezionegeocentrica, che se sollevò asprissime critiche da unlato, venne accolta con largo favore nel nuovo ambientespiritualista.

** *

Alfred Russel Wallace fu fatalmente attratto versoquesto ambiente che si andava formando, specialmentein Inghilterra, ove cresceva rigoglioso per il fatto chenon sdegnarono di far parte di esso degli uomini la cuisolidità scientifica era ed è indiscussa. Lo storico futurodarà certo tutta la sua attenzione al fenomeno, e ne ri-cercherà le ragioni nel grado di sviluppo cui la menteumana pervenne a un dato momento della sua storia.

6 Id. pag. 647.

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che atto di coraggioso sacrifizio di sè stesso»6, insommatutte le facoltà intellettuali e morali.

La debolezza del ragionamento del Wallace risiedesopratutto nella precisa delimitazione che egli intendestabilire nei caratteri più essenziali degli organismi: eglistacca nettamente il mondo inorganico dalle più basseforme viventi, così come stacca nettamente le funzionivitali delle piante da quelle degli animali, e la funzionepsicologica animale da quella umana. Ma, ripetiamo,non è questo il luogo di insistere in una discussione.L'esposizione delle idee biologiche del Wallace e le cita-zioni che abbiamo fatto, ci serviranno semplicementeper comprendere più chiaramente per quale intimo pro-cesso logico la sua mente sia arrivata alla concezionegeocentrica, che se sollevò asprissime critiche da unlato, venne accolta con largo favore nel nuovo ambientespiritualista.

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Alfred Russel Wallace fu fatalmente attratto versoquesto ambiente che si andava formando, specialmentein Inghilterra, ove cresceva rigoglioso per il fatto chenon sdegnarono di far parte di esso degli uomini la cuisolidità scientifica era ed è indiscussa. Lo storico futurodarà certo tutta la sua attenzione al fenomeno, e ne ri-cercherà le ragioni nel grado di sviluppo cui la menteumana pervenne a un dato momento della sua storia.

6 Id. pag. 647.

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Mai come oggi, infatti, la ricerca delle cause prime haaffaticato la mente; i dotti, arrivati quasi al limite attualedella conoscenza umana, si trovano ancora di fronte auna inesplicabile sfinge, ma il desiderio acuto di sapere,insito nell'uomo, sviluppatosi ancora più con l'abitudinedelle scientifiche ricerche, non può acquetare la mente.Lo spiritismo adunque sembrò sollevasse il velo che na-scondeva la ragione ultima delle cose, o almeno sembròuna via, per lo dianzi ignota, che si offriva inaspettata-mente all'uomo per slanciarsi al di là dei confini della fi-sica. Inoltre parve che lo spiritismo offrisse tutte le ga-renzie di una scientifica ricerca, e degli scienziati veri sioccuparono dei fenomeni iperfisici e delle manifestazio-ni spiritiche. La Società per le ricerche psichiche diLondra annovera tra i suoi membri delle vere celebritàscientifiche, le quali si sono accinte allo studio delle mi-steriose manifestazioni con una sufficiente dose di scet-ticismo. In generale gli scienziati inglesi si limitano adescrivere i fenomeni, a controllarli con metodi severi,senza nulla affermare riguardo alla loro possibile origi-ne; e ci piace a questo proposito rammentare il Crookes,il quale, sebbene confessi di aver assistito a fenomenitali da ingenerare la convinzione dell'esistenza di esseriimmateriali, materializzantisi in date circostanze, non siè lasciata mai sfuggire una sola parola che possa sem-brare acquiescenza a tale giudizio. Qualunque sia peressere la spiegazione dei fenomeni meravigliosi, ormaivolgarizzati dai libri e dalle riviste spiritiche, è certo chenon si ha per ora il diritto di enunciare alcuna teoria o

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Mai come oggi, infatti, la ricerca delle cause prime haaffaticato la mente; i dotti, arrivati quasi al limite attualedella conoscenza umana, si trovano ancora di fronte auna inesplicabile sfinge, ma il desiderio acuto di sapere,insito nell'uomo, sviluppatosi ancora più con l'abitudinedelle scientifiche ricerche, non può acquetare la mente.Lo spiritismo adunque sembrò sollevasse il velo che na-scondeva la ragione ultima delle cose, o almeno sembròuna via, per lo dianzi ignota, che si offriva inaspettata-mente all'uomo per slanciarsi al di là dei confini della fi-sica. Inoltre parve che lo spiritismo offrisse tutte le ga-renzie di una scientifica ricerca, e degli scienziati veri sioccuparono dei fenomeni iperfisici e delle manifestazio-ni spiritiche. La Società per le ricerche psichiche diLondra annovera tra i suoi membri delle vere celebritàscientifiche, le quali si sono accinte allo studio delle mi-steriose manifestazioni con una sufficiente dose di scet-ticismo. In generale gli scienziati inglesi si limitano adescrivere i fenomeni, a controllarli con metodi severi,senza nulla affermare riguardo alla loro possibile origi-ne; e ci piace a questo proposito rammentare il Crookes,il quale, sebbene confessi di aver assistito a fenomenitali da ingenerare la convinzione dell'esistenza di esseriimmateriali, materializzantisi in date circostanze, non siè lasciata mai sfuggire una sola parola che possa sem-brare acquiescenza a tale giudizio. Qualunque sia peressere la spiegazione dei fenomeni meravigliosi, ormaivolgarizzati dai libri e dalle riviste spiritiche, è certo chenon si ha per ora il diritto di enunciare alcuna teoria o

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ipotesi come scientificamente sicura, o semplicementeprobabile, anche ricercandone la spiegazione soltantonelle forze fisiche, conosciute o ignorate.

E molti degli scienziati che si sono occupati della qui-stione non si sono allontanati da tale criterio. Altri inve-ce, sedotti dalla vecchia spiegazione di un mondo im-materiale, spiegazione bella e pronta a portata di mano,spiegazione che, per atavismo, doveva possedere tutti ivantaggi che la rendono atta a penetrare senza alcunostacolo anche nelle menti non volgari, non esitarono adaffermare l'esistenza di un mondo dello spirito, che fa-talmente doveva essere antropomorfo.

E il Wallace fu di questi ultimi. Abbiamo già vistocome egli si fosse allontanato dal Darwin, non già peradottare un proprio modo di vedere sul complesso dellanatura e sui fenomeni di essa, ma per staccare nettamen-te, alla vecchia maniera, il fenomeno della vita dallemanifestazioni della materia, e più specialmente l'uomodagli altri animali. Il Wallace divenne un evocatore dispiriti7, un credente nello spiritismo.

L'opera che presentiamo al pubblico italiano non è infondo che lo sforzo di un'anima, che tenta infonderescientificamente la propria fede negli altri. Tutte lescienze, l'astronomia matematica e fisica, la fisica, lachimica, la biologia sono state messe a contributo perarrivare alla conclusione che la personalità umana è un

7 HAECKEL. – Antropogenia. Trad. it., p. 67. Torino, U. T. E.1895.

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ipotesi come scientificamente sicura, o semplicementeprobabile, anche ricercandone la spiegazione soltantonelle forze fisiche, conosciute o ignorate.

E molti degli scienziati che si sono occupati della qui-stione non si sono allontanati da tale criterio. Altri inve-ce, sedotti dalla vecchia spiegazione di un mondo im-materiale, spiegazione bella e pronta a portata di mano,spiegazione che, per atavismo, doveva possedere tutti ivantaggi che la rendono atta a penetrare senza alcunostacolo anche nelle menti non volgari, non esitarono adaffermare l'esistenza di un mondo dello spirito, che fa-talmente doveva essere antropomorfo.

E il Wallace fu di questi ultimi. Abbiamo già vistocome egli si fosse allontanato dal Darwin, non già peradottare un proprio modo di vedere sul complesso dellanatura e sui fenomeni di essa, ma per staccare nettamen-te, alla vecchia maniera, il fenomeno della vita dallemanifestazioni della materia, e più specialmente l'uomodagli altri animali. Il Wallace divenne un evocatore dispiriti7, un credente nello spiritismo.

L'opera che presentiamo al pubblico italiano non è infondo che lo sforzo di un'anima, che tenta infonderescientificamente la propria fede negli altri. Tutte lescienze, l'astronomia matematica e fisica, la fisica, lachimica, la biologia sono state messe a contributo perarrivare alla conclusione che la personalità umana è un

7 HAECKEL. – Antropogenia. Trad. it., p. 67. Torino, U. T. E.1895.

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fenomeno unico nell'Universo, e che essa rappresental'apice dello sviluppo organico e intellettuale. Abbiamogià visto come altrove il Wallace abbia definito l'uomoquale un essere suscettibile di un progresso quasi indefi-nito, la qual cosa mal si accorderebbe col concetto diperfezione che egli scorge nell'uomo attuale. Potrebbeinfatti chiedersi all'autore se dall'umanità attuale nonpossa eventualmente originarsi un'altra manifestazionespecifica più elevata, ma questa sarebbe una questionedel tutto secondaria. Per noi importa insistere soltanto inquesto concetto: la presente opera del Wallace si rianno-da fatalmente alle credenze spirituali del suo autore.

Eppure quest'opera che ha un contenuto evidentemen-te trascendentale, come il lettore vedrà facilmente daogni capitolo, da ogni pagina del libro, è un vero model-lo di precisione scientifica, ed è questo il suo maggiorepregio, anche a voler fare astrazione della vasta colturain essa contenuta. Il Wallace non si discosta di un rigodai risultati delle scienze sperimentali, nè compie alcunosforzo per farle rientrare nel gran quadro che egli ci pre-senta dell'Universo. Opera di rigorosa sintesi, Il postodell'Uomo nell'Universo potrebbe esser sottoscritto dalpiù difficile positivista, astrazion facendo delle conse-guenze ultime alle quali l'autore arriva. E nel modo stes-so con cui l'autore, in fine del volume, formula questesue conclusioni, si scorge ancora l'onestà dello scienzia-to, il quale non dà la propria interpretazione dei fatticome una cosa indiscussa, ma la enuncia accantoall'interpretazione diametralmente opposta. Egli crede

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fenomeno unico nell'Universo, e che essa rappresental'apice dello sviluppo organico e intellettuale. Abbiamogià visto come altrove il Wallace abbia definito l'uomoquale un essere suscettibile di un progresso quasi indefi-nito, la qual cosa mal si accorderebbe col concetto diperfezione che egli scorge nell'uomo attuale. Potrebbeinfatti chiedersi all'autore se dall'umanità attuale nonpossa eventualmente originarsi un'altra manifestazionespecifica più elevata, ma questa sarebbe una questionedel tutto secondaria. Per noi importa insistere soltanto inquesto concetto: la presente opera del Wallace si rianno-da fatalmente alle credenze spirituali del suo autore.

Eppure quest'opera che ha un contenuto evidentemen-te trascendentale, come il lettore vedrà facilmente daogni capitolo, da ogni pagina del libro, è un vero model-lo di precisione scientifica, ed è questo il suo maggiorepregio, anche a voler fare astrazione della vasta colturain essa contenuta. Il Wallace non si discosta di un rigodai risultati delle scienze sperimentali, nè compie alcunosforzo per farle rientrare nel gran quadro che egli ci pre-senta dell'Universo. Opera di rigorosa sintesi, Il postodell'Uomo nell'Universo potrebbe esser sottoscritto dalpiù difficile positivista, astrazion facendo delle conse-guenze ultime alle quali l'autore arriva. E nel modo stes-so con cui l'autore, in fine del volume, formula questesue conclusioni, si scorge ancora l'onestà dello scienzia-to, il quale non dà la propria interpretazione dei fatticome una cosa indiscussa, ma la enuncia accantoall'interpretazione diametralmente opposta. Egli crede

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fermamente che l'uomo sia un fatto unico in tutto l'Uni-verso, e vede in ciò una mente sovrana, coordinatrice ditutto il mondo dei fenomeni, diretti a quest'unico supre-mo scopo: la manifestazione dell'uomo sulla terra; peròriconosce lealmente che, anche ammettendo tutto il ra-gionamento svolto nel volume, anche ammettendo chenessun altro corpo gravitante nello spazio posseggaun'umanità, perchè nessuno ne esiste sul quale si posso-no trovare riunite tutte le condizioni biologiche identi-che a quelle che coesistono sulla terra, ciò non obbligaalla fede in una mente direttiva e finalistica, poichè nonv'è alcuna ragione che si opponga alla opinione che ilcaso della terra non rappresenti che uno dei milioni dicasi possibili in tutto l'Universo.

Ma vediamo come procede il ragionamento del Wal-lace, per arrivare alla conclusione che il sistema solaresia il più favorito in tutto l'Universo, e che la terra sia ilsolo pianeta del sistema stesso ove si trovano riunite talieccezionali condizioni cosmo-biologiche, soltanto permezzo delle quali la manifestazione del fenomeno uma-no è possibile.

L'autore muove dai dati astronomici, dimostrandocome l'Universo stellare formi un'immenso sistema uni-co, limitato all'esterno, dove esso confina con lo spazioinfinito che lo circonda, dal gran cerchio della Via Lat-tea. Naturalmente questa concezione dell'Universo visi-bile è fondata, oltre che sulle osservazioni astronomichedirette, le quali tendono tutte a tale conclusione, anchesulla probabilità che il numero delle stelle non sia infini-

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fermamente che l'uomo sia un fatto unico in tutto l'Uni-verso, e vede in ciò una mente sovrana, coordinatrice ditutto il mondo dei fenomeni, diretti a quest'unico supre-mo scopo: la manifestazione dell'uomo sulla terra; peròriconosce lealmente che, anche ammettendo tutto il ra-gionamento svolto nel volume, anche ammettendo chenessun altro corpo gravitante nello spazio posseggaun'umanità, perchè nessuno ne esiste sul quale si posso-no trovare riunite tutte le condizioni biologiche identi-che a quelle che coesistono sulla terra, ciò non obbligaalla fede in una mente direttiva e finalistica, poichè nonv'è alcuna ragione che si opponga alla opinione che ilcaso della terra non rappresenti che uno dei milioni dicasi possibili in tutto l'Universo.

Ma vediamo come procede il ragionamento del Wal-lace, per arrivare alla conclusione che il sistema solaresia il più favorito in tutto l'Universo, e che la terra sia ilsolo pianeta del sistema stesso ove si trovano riunite talieccezionali condizioni cosmo-biologiche, soltanto permezzo delle quali la manifestazione del fenomeno uma-no è possibile.

L'autore muove dai dati astronomici, dimostrandocome l'Universo stellare formi un'immenso sistema uni-co, limitato all'esterno, dove esso confina con lo spazioinfinito che lo circonda, dal gran cerchio della Via Lat-tea. Naturalmente questa concezione dell'Universo visi-bile è fondata, oltre che sulle osservazioni astronomichedirette, le quali tendono tutte a tale conclusione, anchesulla probabilità che il numero delle stelle non sia infini-

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to, come volgarmente si crede. Le prove indirette che ilWallace riunisce in questo libro su tale argomento sonoveramente schiaccianti, e il suo ragionamento assumeuna chiarezza meravigliosa, anche quando muove dacalcoli matematici. In uno spazio infinito, sul quale nondiscute, egli colloca adunque un numero finito di stelle,disposte in modo da formare un aggregato schiacciato aipoli, presso a poco come qualsiasi corpo gravitante nel-lo spazio, e il cui equatore è rappresentato dalla Via Lat-tea, ove più si addensano i corpi celesti. In questo im-menso aggregato il sistema solare deve trovarsi sul pia-no equatoriale, non solo, ma anche vicinissimo se nonaddirittura al centro. Le prove astronomiche dirette cheil Wallace adduce, se non sicure, rendono molto proba-bile tale ipotesi; lo stesso si dica per ciò che riguarda,dentro i confini del sistema solare, i caratteri fisici dellaterra, la meravigliosa, combinazione dei quali si trovasoltanto sul nostro pianeta: distanza dal sole, massa, in-clinazione dell'asse sull'eclittica, distribuzione dei mari,composizione dell'atmosfera, cose tutte che generanoquel ritmo di condizioni biologiche, quell'alternarsi distagioni, quella sapiente distribuzione e circolazione delcalore e dell'umidità, che permettono le manifestazionisuperiori della vita a noi note. Il Wallace non crede chela coesistenza precisa di tutte queste fortunate condizio-ni possa verificarsi ancora una volta in qualche altrocorpo gravitante nello spazio, e quindi che non si possaammettere come possibile la manifestazione di una for-

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to, come volgarmente si crede. Le prove indirette che ilWallace riunisce in questo libro su tale argomento sonoveramente schiaccianti, e il suo ragionamento assumeuna chiarezza meravigliosa, anche quando muove dacalcoli matematici. In uno spazio infinito, sul quale nondiscute, egli colloca adunque un numero finito di stelle,disposte in modo da formare un aggregato schiacciato aipoli, presso a poco come qualsiasi corpo gravitante nel-lo spazio, e il cui equatore è rappresentato dalla Via Lat-tea, ove più si addensano i corpi celesti. In questo im-menso aggregato il sistema solare deve trovarsi sul pia-no equatoriale, non solo, ma anche vicinissimo se nonaddirittura al centro. Le prove astronomiche dirette cheil Wallace adduce, se non sicure, rendono molto proba-bile tale ipotesi; lo stesso si dica per ciò che riguarda,dentro i confini del sistema solare, i caratteri fisici dellaterra, la meravigliosa, combinazione dei quali si trovasoltanto sul nostro pianeta: distanza dal sole, massa, in-clinazione dell'asse sull'eclittica, distribuzione dei mari,composizione dell'atmosfera, cose tutte che generanoquel ritmo di condizioni biologiche, quell'alternarsi distagioni, quella sapiente distribuzione e circolazione delcalore e dell'umidità, che permettono le manifestazionisuperiori della vita a noi note. Il Wallace non crede chela coesistenza precisa di tutte queste fortunate condizio-ni possa verificarsi ancora una volta in qualche altrocorpo gravitante nello spazio, e quindi che non si possaammettere come possibile la manifestazione di una for-

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ma di vita superiore in qualsiasi altra regione dell'Uni-verso.

Il ragionamento del Wallace si allarga in tutti i campidelle scienze naturali, e abbraccia una quantità di argo-menti secondari, di varia importanza, che il lettore potràfacilmente seguire e più o meno apprezzare. Il concettofondamentale, riassunto nelle poche linee che precedo-no, basterà però a dare sin da ora un'idea dell'ipotesi,che si presenta sotto una veste strettamente scientifica,ma che indubbiamente contiene un grave errore, prove-niente dalle tendenze personali del suo autore.

Già l'andamento di tutta l'opera mostra la debolezzadel filo logico che conduce il ragionamento. Quando ilWallace comincia a parlare delle condizioni biologichecoesistenti sulla terra, adotta un modo di esprimersi cherivela una credenza nella finalità della natura, credenzache, verso la fine del volume, egli dichiara come nonstrettamente necessaria. Il Wallace giudica meravigliosie precisi gli adattamenti delle condizioni fisiche, meteo-rologiche, etc. che permettono il completo sviluppo del-la vita, ed in ciò si trova addirittura agli antipodi delDarwin, il quale avrebbe invece detto che è la vita che siè adattata alle condizioni cosmiche, qualunque esse sia-no o abbiano potuto essere. La debolezza del ragiona-mento del Wallace appare più evidente ancora quandoegli parla della impossibilità in cui si troverebbe il pro-toplasma di funzionare, se la terra si trovasse a una di-versa distanza dal sole, e ricevesse quindi una diversaquantità di calore. Egli non riflette che questa sostanza

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ma di vita superiore in qualsiasi altra regione dell'Uni-verso.

Il ragionamento del Wallace si allarga in tutti i campidelle scienze naturali, e abbraccia una quantità di argo-menti secondari, di varia importanza, che il lettore potràfacilmente seguire e più o meno apprezzare. Il concettofondamentale, riassunto nelle poche linee che precedo-no, basterà però a dare sin da ora un'idea dell'ipotesi,che si presenta sotto una veste strettamente scientifica,ma che indubbiamente contiene un grave errore, prove-niente dalle tendenze personali del suo autore.

Già l'andamento di tutta l'opera mostra la debolezzadel filo logico che conduce il ragionamento. Quando ilWallace comincia a parlare delle condizioni biologichecoesistenti sulla terra, adotta un modo di esprimersi cherivela una credenza nella finalità della natura, credenzache, verso la fine del volume, egli dichiara come nonstrettamente necessaria. Il Wallace giudica meravigliosie precisi gli adattamenti delle condizioni fisiche, meteo-rologiche, etc. che permettono il completo sviluppo del-la vita, ed in ciò si trova addirittura agli antipodi delDarwin, il quale avrebbe invece detto che è la vita che siè adattata alle condizioni cosmiche, qualunque esse sia-no o abbiano potuto essere. La debolezza del ragiona-mento del Wallace appare più evidente ancora quandoegli parla della impossibilità in cui si troverebbe il pro-toplasma di funzionare, se la terra si trovasse a una di-versa distanza dal sole, e ricevesse quindi una diversaquantità di calore. Egli non riflette che questa sostanza

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organica si è sviluppata per l'appunto a tale distanza, eche la supposizione più ovvia è che a una distanza di-versa si sarebbe avuto probabilmente qualche altra cosa,di differente costituzione, di cui non abbiamo nè possia-mo avere alcuna idea, fors'anche qualcosa di analogo alprotoplasma, o qualcosa del tutto diversa, ma sempreperfettamente adatta alla data quantità di calore solare.Che diritto abbiamo noi di asserire che, a una maggioreo minore distanza solare, la manifestazione della vitanon sarebbe possibile, o non sarebbe possibile l'evolu-zione verso quelle forme che noi, molto soggettivamen-te, chiamiamo superiori o anche perfette? Questa obbie-zione si è certo presentata alla mente del Wallace, ilquale, a pag. 297, asserisce: «Lo sviluppo della vitaavrebbe presumibilmente preso un andamento diverso,da quello presente», data, per esempio, una diversa ob-bliquità dell'asse terrestre. Il principio di causalità ri-prende così prepotentemente tutto il suo impero nellamente stessa del Wallace, e assume la forma di un'auto-obbiezione, del quale l'autore non si avvede, o che di-mentica facilmente in tutto il corso dell'opera.

** *

Ma il ragionamento del Wallace si presenta con unagrande parvenza di verità, appunto per il fatto che eglinon manca di ammettere tutta l'importanza del principiodi causalità per ciò che riguarda la terra, gli esseri vi-venti e l'uomo in particolare; ma egli trascura del tutto

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organica si è sviluppata per l'appunto a tale distanza, eche la supposizione più ovvia è che a una distanza di-versa si sarebbe avuto probabilmente qualche altra cosa,di differente costituzione, di cui non abbiamo nè possia-mo avere alcuna idea, fors'anche qualcosa di analogo alprotoplasma, o qualcosa del tutto diversa, ma sempreperfettamente adatta alla data quantità di calore solare.Che diritto abbiamo noi di asserire che, a una maggioreo minore distanza solare, la manifestazione della vitanon sarebbe possibile, o non sarebbe possibile l'evolu-zione verso quelle forme che noi, molto soggettivamen-te, chiamiamo superiori o anche perfette? Questa obbie-zione si è certo presentata alla mente del Wallace, ilquale, a pag. 297, asserisce: «Lo sviluppo della vitaavrebbe presumibilmente preso un andamento diverso,da quello presente», data, per esempio, una diversa ob-bliquità dell'asse terrestre. Il principio di causalità ri-prende così prepotentemente tutto il suo impero nellamente stessa del Wallace, e assume la forma di un'auto-obbiezione, del quale l'autore non si avvede, o che di-mentica facilmente in tutto il corso dell'opera.

** *

Ma il ragionamento del Wallace si presenta con unagrande parvenza di verità, appunto per il fatto che eglinon manca di ammettere tutta l'importanza del principiodi causalità per ciò che riguarda la terra, gli esseri vi-venti e l'uomo in particolare; ma egli trascura del tutto

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tale principio per altre possibili manifestazioni di vita anoi sconosciute. Quando egli afferma che in nessun altropianeta dell'Universo possono trovarsi contemporanea-mente tutte le condizioni che esistono sul nostro pianeta,a cominciare da una determinata quantità di radiazionistellari a noi quasi ignote, per finire alla distribuzionedei mari sulla terra e del pulviscolo nell'atmosfera, haverosimilmente ragione. Per il solo fatto che qualsiasialtro corpo si trova in un altro punto dell'Universo, lesue condizioni cosmiche e biologiche non possono esse-re identiche a quelle che esistono sul globo. Così anchequando afferma che l'uomo è, di conseguenza, un feno-meno unico, che non può verificarsi in alcun altro postodello spazio, perchè strettamente legato alle condizionibiologiche che soltanto sulla terra coesistono. Ma l'erro-re del Wallace comincia quando egli asserisce che non èpossibile, altrove, lo sviluppo completo di una forma divita.

Conosciamo noi, forse, tutte le possibilità della vita?Possiamo invece dire che le sconosciamo tutte, menouna, quella che si verifica sulla terra. Perchè negare talipossibilità o perchè affermarle? Quale diritto ne abbia-mo noi? E come potremo asserire, come fa il Wallace,che l'uomo abbia raggiunto l'apice della vita intellettua-le, quando noi riconosciamo che la nostra mente è inca-pace di rappresentarsi molte cose che inutilmente l'affa-

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tale principio per altre possibili manifestazioni di vita anoi sconosciute. Quando egli afferma che in nessun altropianeta dell'Universo possono trovarsi contemporanea-mente tutte le condizioni che esistono sul nostro pianeta,a cominciare da una determinata quantità di radiazionistellari a noi quasi ignote, per finire alla distribuzionedei mari sulla terra e del pulviscolo nell'atmosfera, haverosimilmente ragione. Per il solo fatto che qualsiasialtro corpo si trova in un altro punto dell'Universo, lesue condizioni cosmiche e biologiche non possono esse-re identiche a quelle che esistono sul globo. Così anchequando afferma che l'uomo è, di conseguenza, un feno-meno unico, che non può verificarsi in alcun altro postodello spazio, perchè strettamente legato alle condizionibiologiche che soltanto sulla terra coesistono. Ma l'erro-re del Wallace comincia quando egli asserisce che non èpossibile, altrove, lo sviluppo completo di una forma divita.

Conosciamo noi, forse, tutte le possibilità della vita?Possiamo invece dire che le sconosciamo tutte, menouna, quella che si verifica sulla terra. Perchè negare talipossibilità o perchè affermarle? Quale diritto ne abbia-mo noi? E come potremo asserire, come fa il Wallace,che l'uomo abbia raggiunto l'apice della vita intellettua-le, quando noi riconosciamo che la nostra mente è inca-pace di rappresentarsi molte cose che inutilmente l'affa-

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ticano, per esempio l'infinito, il pensiero del quale sem-bra al Wallace stesso una pazzia?8

All'ipotesi del Wallace si potrebbe opporre qualsiasialtra ipotesi, senza aver prove contro di essa, per quantoassurda potesse sembrare. Se noi dicessimo che altrove,in una terra lontana navigante nella profondità dei cieli,date certe condizioni, è possibile una manifestazione or-ganica nella quale le due principali funzioni della vitavegetativa siano rovesciate, in modo che l'organismopossa vivere in uno spazio privo di atmosfera, avendodelle ore stabilite per la respirazione, così come noi ab-biamo delle ore per i pasti, mentre la nutrizione si com-pie automaticamente e continuamente, appunto comeavviene la respirazione negli organismi terrestri, farem-mo certo sorridere. Sarebbe questo un bel tema per unafantasia semi-scientifica alla Wells e non altro; eppurequesta fantastica concezione di una vita diversa fa chia-ramente intendere come noi non possiamo limitare lepossibilità della vita alla forma speciale che essa ha as-sunto sulla terra.

In generale si ha il torto, e il Wallace non si sottrae alcomune equivoco, di credere che meriti il nome di vitasoltanto quella che noi conosciamo sulla terra. Ciò pro-viene dal fatto che, mancandoci qualunque cognizionein proposito, noi non sappiamo immaginarne altra. Nel-lo stesso esempio fantastico che abbiamo poco fa addot-to, abbiamo scambiato tra di loro due funzioni generali

8 Vedi a pag. 429 di questo volume.

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ticano, per esempio l'infinito, il pensiero del quale sem-bra al Wallace stesso una pazzia?8

All'ipotesi del Wallace si potrebbe opporre qualsiasialtra ipotesi, senza aver prove contro di essa, per quantoassurda potesse sembrare. Se noi dicessimo che altrove,in una terra lontana navigante nella profondità dei cieli,date certe condizioni, è possibile una manifestazione or-ganica nella quale le due principali funzioni della vitavegetativa siano rovesciate, in modo che l'organismopossa vivere in uno spazio privo di atmosfera, avendodelle ore stabilite per la respirazione, così come noi ab-biamo delle ore per i pasti, mentre la nutrizione si com-pie automaticamente e continuamente, appunto comeavviene la respirazione negli organismi terrestri, farem-mo certo sorridere. Sarebbe questo un bel tema per unafantasia semi-scientifica alla Wells e non altro; eppurequesta fantastica concezione di una vita diversa fa chia-ramente intendere come noi non possiamo limitare lepossibilità della vita alla forma speciale che essa ha as-sunto sulla terra.

In generale si ha il torto, e il Wallace non si sottrae alcomune equivoco, di credere che meriti il nome di vitasoltanto quella che noi conosciamo sulla terra. Ciò pro-viene dal fatto che, mancandoci qualunque cognizionein proposito, noi non sappiamo immaginarne altra. Nel-lo stesso esempio fantastico che abbiamo poco fa addot-to, abbiamo scambiato tra di loro due funzioni generali

8 Vedi a pag. 429 di questo volume.

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degli organismi terrestri, ma non abbiamo saputo trovar-ne alcuna nuova. Se sfogliamo tutti gli autori che hannoesercitato la loro fantasia nel descriverci gli abitanti dialtri mondi, ci accorgeremo subito che essi non hannofatto altro che creare dei mostri terrestri o addiritturaumani. Per questo gli abitanti di Marte sono tutti testa,per quell'altro gli abitanti di Saturno hanno le ali e quellidi Giove, quantunque possedenti una mentalità analogaa quella dell'uomo, vivono di una vita acquatica, come inostri pesci. I fenomeni ipnotici, quelli di doppia co-scienza, quelli cosidetti spiritici non riescono a rappre-sentarci altrimenti la vita: gli abitanti di Marte veduti edescritti dalla signorina Smith, la cui storia ci è stataraccontata dal Flournoy,9 sono dei piccoli uomini d'ani-mo eccessivamente gentile; le materializzazioni che av-vengono per mezzo dei mediums sono delle brutte esciocche contraffazioni antropomorfe, insomma nonpare che l'uomo possa concepire una vita con caratteridiversi da quella terrestre. Però, ripetiamo, ciò non ciautorizza a negare la sua possibilità, come non ci auto-rizza certo ad asserirla. Ma appunto perchè riconoscia-mo che tale asserzione non è possibile, non possiamonemmeno ammettere la negazione wallaciana.

Tanto più che a noi sembra che l'ipotesi del nostro au-tore, la quale fece tanto chiasso al suo primo apparire,perchè sembrò nuova e nello stesso tempo rigorosamen-te scientifica, non sia in fondo che la resurrezione, sotto

9 Flournoy. Dalle Indie al pianeta Marte.

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degli organismi terrestri, ma non abbiamo saputo trovar-ne alcuna nuova. Se sfogliamo tutti gli autori che hannoesercitato la loro fantasia nel descriverci gli abitanti dialtri mondi, ci accorgeremo subito che essi non hannofatto altro che creare dei mostri terrestri o addiritturaumani. Per questo gli abitanti di Marte sono tutti testa,per quell'altro gli abitanti di Saturno hanno le ali e quellidi Giove, quantunque possedenti una mentalità analogaa quella dell'uomo, vivono di una vita acquatica, come inostri pesci. I fenomeni ipnotici, quelli di doppia co-scienza, quelli cosidetti spiritici non riescono a rappre-sentarci altrimenti la vita: gli abitanti di Marte veduti edescritti dalla signorina Smith, la cui storia ci è stataraccontata dal Flournoy,9 sono dei piccoli uomini d'ani-mo eccessivamente gentile; le materializzazioni che av-vengono per mezzo dei mediums sono delle brutte esciocche contraffazioni antropomorfe, insomma nonpare che l'uomo possa concepire una vita con caratteridiversi da quella terrestre. Però, ripetiamo, ciò non ciautorizza a negare la sua possibilità, come non ci auto-rizza certo ad asserirla. Ma appunto perchè riconoscia-mo che tale asserzione non è possibile, non possiamonemmeno ammettere la negazione wallaciana.

Tanto più che a noi sembra che l'ipotesi del nostro au-tore, la quale fece tanto chiasso al suo primo apparire,perchè sembrò nuova e nello stesso tempo rigorosamen-te scientifica, non sia in fondo che la resurrezione, sotto

9 Flournoy. Dalle Indie al pianeta Marte.

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diverse parvenze, del vecchio errore geocentrico e an-tropocentrico, con la variante che a un punto geometricocentrale è sostituita una vasta regione centrale, la quale,per quanto ammissibile nel suo significato materiale, as-sume nell'opera del Wallace un significato finalisticoche ripugna alla logica. Il credere che non sia inverosi-mile, come asserisce il Wallace, che l'Universo interosia stato creato con lo scopo preciso di permettere losviluppo dell'uomo sulla terra, o anche, seguendo la se-conda spiegazione che l'autore suggerisce, che esso ab-bia avuto come risultato occasionale ma necessario losviluppo di una forma superiore di vita soltanto sullaterra, ci sembra un'asserzione gratuita, priva di qualsiasiscientifico valore.

Ma adunque, dirà il lettore, è un libro falso quello chevoi ci presentate, un libro che contiene un errore scienti-fico imperdonabile? La domanda è legittima, poichè sa-rebbe veramente strano offrire al pubblico italiano un li-bro che si giudichi privo di ogni valore. Ma il lettore sirassicuri: quest'opera contiene una verità indiscutibile,scientificamente dimostrata, questa: che l'uomo, cometale, non può esistere su alcun altro pianeta del sistemasolare o di qualsiasi altro sole, e il valore del sapientescritto consiste appunto in ciò: che esso riunisce tutte leprove possibili contro l'ipotesi di un'umanità extraterre-stre. È questo quindi un libro che può metter fine a mol-te fantasie e a molte ipotesi assurde, mentre contribuiscenello stesso tempo a diffondere e a volgarizzare una

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diverse parvenze, del vecchio errore geocentrico e an-tropocentrico, con la variante che a un punto geometricocentrale è sostituita una vasta regione centrale, la quale,per quanto ammissibile nel suo significato materiale, as-sume nell'opera del Wallace un significato finalisticoche ripugna alla logica. Il credere che non sia inverosi-mile, come asserisce il Wallace, che l'Universo interosia stato creato con lo scopo preciso di permettere losviluppo dell'uomo sulla terra, o anche, seguendo la se-conda spiegazione che l'autore suggerisce, che esso ab-bia avuto come risultato occasionale ma necessario losviluppo di una forma superiore di vita soltanto sullaterra, ci sembra un'asserzione gratuita, priva di qualsiasiscientifico valore.

Ma adunque, dirà il lettore, è un libro falso quello chevoi ci presentate, un libro che contiene un errore scienti-fico imperdonabile? La domanda è legittima, poichè sa-rebbe veramente strano offrire al pubblico italiano un li-bro che si giudichi privo di ogni valore. Ma il lettore sirassicuri: quest'opera contiene una verità indiscutibile,scientificamente dimostrata, questa: che l'uomo, cometale, non può esistere su alcun altro pianeta del sistemasolare o di qualsiasi altro sole, e il valore del sapientescritto consiste appunto in ciò: che esso riunisce tutte leprove possibili contro l'ipotesi di un'umanità extraterre-stre. È questo quindi un libro che può metter fine a mol-te fantasie e a molte ipotesi assurde, mentre contribuiscenello stesso tempo a diffondere e a volgarizzare una

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quantità di cognizioni, delle quali il grande pubblicoignora financo l'esistenza.

L'equivoco in cui cade il Wallace è quello di giudica-re la manifestazione della vita sulla terra come la solapossibile, e l'uomo come l'essere più elevato nella scaladegli organismi. Come abbiamo visto, tale equivoco èdovuto al temperamento e alle tendenze personalidell'autore, ma il lettore potrà facilmente discernere que-ste tendenze dal resto, che rappresenta uno studio scien-tifico dei più coscienziosi e dei più sintetici.

V'è insomma in questo libro una grande verità, questoè fuor di dubbio, ma probabilmente vi è anche un gran-de errore, rappresentato dall'immenso orgoglio umano,il quale giudica ancora, come quattro o cinquemila annifa, che nulla esista di più perfetto di questo piccolo pa-rassita terrestre, anzi che non possa esistere nulla disemplicemente diverso, più o meno simile, in tutta lacreazione. Abbiamo detto probabilmente, appunto per-chè non crediamo di poter asserire che ciò sia un errore.Anche qui si tratta di una questione di temperamento edi tendenze, e l'asserzione nostra sarebbe altrettanto gra-tuita di quella diametralmente opposta che enuncia ilWallace.

In tale materia, adunque, qualsiasi ipotesi resta al difuori del campo scientifico. Ma quella del nostro autore,limitata soltanto alla manifestazione della vita nella for-ma che noi conosciamo sulla terra, ci appare non soloinfinitamente probabile, ma rispondente addirittura a ve-rità scientifica. Per questo giudichiamo il libro del Wal-

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quantità di cognizioni, delle quali il grande pubblicoignora financo l'esistenza.

L'equivoco in cui cade il Wallace è quello di giudica-re la manifestazione della vita sulla terra come la solapossibile, e l'uomo come l'essere più elevato nella scaladegli organismi. Come abbiamo visto, tale equivoco èdovuto al temperamento e alle tendenze personalidell'autore, ma il lettore potrà facilmente discernere que-ste tendenze dal resto, che rappresenta uno studio scien-tifico dei più coscienziosi e dei più sintetici.

V'è insomma in questo libro una grande verità, questoè fuor di dubbio, ma probabilmente vi è anche un gran-de errore, rappresentato dall'immenso orgoglio umano,il quale giudica ancora, come quattro o cinquemila annifa, che nulla esista di più perfetto di questo piccolo pa-rassita terrestre, anzi che non possa esistere nulla disemplicemente diverso, più o meno simile, in tutta lacreazione. Abbiamo detto probabilmente, appunto per-chè non crediamo di poter asserire che ciò sia un errore.Anche qui si tratta di una questione di temperamento edi tendenze, e l'asserzione nostra sarebbe altrettanto gra-tuita di quella diametralmente opposta che enuncia ilWallace.

In tale materia, adunque, qualsiasi ipotesi resta al difuori del campo scientifico. Ma quella del nostro autore,limitata soltanto alla manifestazione della vita nella for-ma che noi conosciamo sulla terra, ci appare non soloinfinitamente probabile, ma rispondente addirittura a ve-rità scientifica. Per questo giudichiamo il libro del Wal-

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lace degno dell'attenzione di qualsiasi persona colta,malgrado le critiche, in parte giustificate, che ha solle-vato da ogni parte, critiche dovute più che altro all'equi-voco al quale abbiamo accennato.

Palermo, febbraio 1906.

GIACOMO LO FORTE.

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lace degno dell'attenzione di qualsiasi persona colta,malgrado le critiche, in parte giustificate, che ha solle-vato da ogni parte, critiche dovute più che altro all'equi-voco al quale abbiamo accennato.

Palermo, febbraio 1906.

GIACOMO LO FORTE.

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PREFAZIONE DELL'AUTORE

Quest'opera è stata scritta in seguito al grande inte-resse suscitato da un mio articolo, portante lo stesso ti-tolo, pubblicato contemporaneamente nella FortnightlyReview e nel New Jork Indipendent. Due amici, i qualiavevano letto il manoscritto dell'articolo, ebbero a ma-nifestare l'avviso che un volume nel quale la mia tesifosse dimostrata più completamente, fosse opportuno, el'effetto ottenuto dalla pubblicazione dell'articolo sud-detto confermò tale opinione.

Io mi occupavo in quel tempo di uno studio su questostesso soggetto, e compilavo quattro nuovi capitoli diastronomia per una nuova edizione del Wonderful Cen-tury. Constatai allora che quasi tutti gli scrittori diastronomia generale, da sir John Herschel al prof. Si-mon Newcomb e a sir Norman Lockyer, hanno stabilitocome indiscutibile il fatto che il nostro sole si trova nelpiano dell'immenso cerchio della Via Lattea, non solo,ma anche vicinissimo al centro di tale cerchio. Più re-centi ricerche hanno inoltre dimostrato che non vi è al-

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PREFAZIONE DELL'AUTORE

Quest'opera è stata scritta in seguito al grande inte-resse suscitato da un mio articolo, portante lo stesso ti-tolo, pubblicato contemporaneamente nella FortnightlyReview e nel New Jork Indipendent. Due amici, i qualiavevano letto il manoscritto dell'articolo, ebbero a ma-nifestare l'avviso che un volume nel quale la mia tesifosse dimostrata più completamente, fosse opportuno, el'effetto ottenuto dalla pubblicazione dell'articolo sud-detto confermò tale opinione.

Io mi occupavo in quel tempo di uno studio su questostesso soggetto, e compilavo quattro nuovi capitoli diastronomia per una nuova edizione del Wonderful Cen-tury. Constatai allora che quasi tutti gli scrittori diastronomia generale, da sir John Herschel al prof. Si-mon Newcomb e a sir Norman Lockyer, hanno stabilitocome indiscutibile il fatto che il nostro sole si trova nelpiano dell'immenso cerchio della Via Lattea, non solo,ma anche vicinissimo al centro di tale cerchio. Più re-centi ricerche hanno inoltre dimostrato che non vi è al-

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cuna prova, per piccola che sia, che esistano delle stelleo delle nebulose oltre la Via Lattea, la quale sembra siail limite – in quella direzione – dell'Universo stellare.

Considerando poi la terra e gli altri pianeti del siste-ma solare, mi accorsi che le più recenti indagini condu-cono alla conclusione che nessun altro pianeta può es-ser sede di vita organica, eccezione fatta – forse – diqualche tipo molto basso. Per alcuni anni ho dedicatouno speciale studio al computo del tempo geologico, aiclimi temperati e alle altre condizioni generalmenteuniformi che sono prevalse durante le varie epoche geo-logiche, e, considerando il numero delle cause concor-renti e il delicato equilibrio delle condizioni richiesteper mantenere l'uniformità, sono giunto alla convinzio-ne che la possibilità o la probabilità che ogni altro pia-neta sia inabitato è eccessivamente grande.

Avendo studiato a lungo molte opere che trattano laquestione della supposta pluralità dei mondi, mi sonodel tutto convinto che questo soggetto è stato trattatomolto superficialmente, anche da parte di scrittori valo-rosi, la qualcosa mi indusse volentieri a trattare l'inte-ressante argomento, sia dal punto di vista astronomico,che da quello fisico e biologico, seguendo un metodoche esponga tanto ciò che è scientificamente provato,quanto ciò che scientificamente è lecito supporre.

Il presente volume è il risultato di tal proponimento,ed io oso pensare che quelli che lo leggeranno ricono-sceranno che questo libro doveva essere scritto. Esso èfondato esclusivamente sul meraviglioso insieme dei

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cuna prova, per piccola che sia, che esistano delle stelleo delle nebulose oltre la Via Lattea, la quale sembra siail limite – in quella direzione – dell'Universo stellare.

Considerando poi la terra e gli altri pianeti del siste-ma solare, mi accorsi che le più recenti indagini condu-cono alla conclusione che nessun altro pianeta può es-ser sede di vita organica, eccezione fatta – forse – diqualche tipo molto basso. Per alcuni anni ho dedicatouno speciale studio al computo del tempo geologico, aiclimi temperati e alle altre condizioni generalmenteuniformi che sono prevalse durante le varie epoche geo-logiche, e, considerando il numero delle cause concor-renti e il delicato equilibrio delle condizioni richiesteper mantenere l'uniformità, sono giunto alla convinzio-ne che la possibilità o la probabilità che ogni altro pia-neta sia inabitato è eccessivamente grande.

Avendo studiato a lungo molte opere che trattano laquestione della supposta pluralità dei mondi, mi sonodel tutto convinto che questo soggetto è stato trattatomolto superficialmente, anche da parte di scrittori valo-rosi, la qualcosa mi indusse volentieri a trattare l'inte-ressante argomento, sia dal punto di vista astronomico,che da quello fisico e biologico, seguendo un metodoche esponga tanto ciò che è scientificamente provato,quanto ciò che scientificamente è lecito supporre.

Il presente volume è il risultato di tal proponimento,ed io oso pensare che quelli che lo leggeranno ricono-sceranno che questo libro doveva essere scritto. Esso èfondato esclusivamente sul meraviglioso insieme dei

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fatti provati e delle conclusioni cui è venuta la nuovaastronomia, e su quelli che ci annunziano i moderni fisi-ci, chimici e biologi. La novità del libro consiste soltan-to nell'esporre la sintesi di questi diversi rami dellascienza, mostrandone la complessa unità e la importan-za per un problema unico, problema che è di immensointeresse per noi.

Questo problema, sia che si tenga conto o no dei di-versi risultati della scienza moderna, permette l'ipotesiche la nostra terra sia l'unico pianeta abitato, non sol-tanto nel sistema solare, ma anche in tutto l'Universostellare. Certo, questo è un punto sul quale una dimo-strazione assoluta, in un senso o nell'altro, non è possi-bile; ma, in mancanza di prove dirette, è logico affidarsialle probabilità, probabilità che non devono esser de-terminate dai nostri preconcetti per una particolare opi-nione, ma da un assoluto, imparziale e spregiudicatoesame della conclusione cui tendono tutti gli indizî.

Siccome il libro è stato scritto per una maggioranzadi lettori, certamente colti, i quali però non possonoavere dimestichezza con tutti gli aspetti dell'argomentoe col meraviglioso progresso delle conoscenze modernenel campo che spesso è designato come nuova astrono-mia, ho fatto un'esposizione compendiosa e volgarizza-trice delle diverse branche che hanno relazione con lospeciale argomento che qui è discusso. Questa primaparte dell'opera occupa i primi sei capitoli. Quei lettoriche conoscono la letteratura astronomica moderna,come è esposta nelle opere di volgarizzazione, potranno

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fatti provati e delle conclusioni cui è venuta la nuovaastronomia, e su quelli che ci annunziano i moderni fisi-ci, chimici e biologi. La novità del libro consiste soltan-to nell'esporre la sintesi di questi diversi rami dellascienza, mostrandone la complessa unità e la importan-za per un problema unico, problema che è di immensointeresse per noi.

Questo problema, sia che si tenga conto o no dei di-versi risultati della scienza moderna, permette l'ipotesiche la nostra terra sia l'unico pianeta abitato, non sol-tanto nel sistema solare, ma anche in tutto l'Universostellare. Certo, questo è un punto sul quale una dimo-strazione assoluta, in un senso o nell'altro, non è possi-bile; ma, in mancanza di prove dirette, è logico affidarsialle probabilità, probabilità che non devono esser de-terminate dai nostri preconcetti per una particolare opi-nione, ma da un assoluto, imparziale e spregiudicatoesame della conclusione cui tendono tutti gli indizî.

Siccome il libro è stato scritto per una maggioranzadi lettori, certamente colti, i quali però non possonoavere dimestichezza con tutti gli aspetti dell'argomentoe col meraviglioso progresso delle conoscenze modernenel campo che spesso è designato come nuova astrono-mia, ho fatto un'esposizione compendiosa e volgarizza-trice delle diverse branche che hanno relazione con lospeciale argomento che qui è discusso. Questa primaparte dell'opera occupa i primi sei capitoli. Quei lettoriche conoscono la letteratura astronomica moderna,come è esposta nelle opere di volgarizzazione, potranno

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incominciare la lettura dal settimo capitolo, nel qualecomincia l'esposizione del numero considerevole di fattie di argomenti che mi è stato possibile addurre.

A quelli trai miei lettori che sono stati impressionatidalle critiche avverse alle mie vedute, esposte nel sum-mentovato articolo, io potrei ancora dire che, nel corsodi tutto questo lavoro, nè i fatti, nè le più ovvie conse-guenze di essi sono presentati con la mia sola autorità,ma sempre con quella dei migliori astronomi, matemati-ci ed altri uomini di scienza, dalle cui opere ho attinto,e i cui nomi, con esatte referenze, ho generalmente cita-to.

Io credo di aver riassunto sinteticamente i diversi fat-ti e i fenomeni che altri hanno raccolto, di aver trattodelle ipotesi da quello che altri hanno indagato per pro-prio conto, di aver dato i risultati di ciò che si riferiscea punti indiscutibilmente evidenti, di aver giudicato traopinioni e teorie discordi, e finalmente di aver messoassieme i risultati dei diversi rami della scienza, mo-strando quali relazioni essi abbiano col grande proble-ma, che qui ho cercato di delucidare con accurato esa-me.

E poichè una larga massa di fatti e di argomenti, ap-partenenti alle più diverse scienze, è stata qui accumu-lata, ho dato anche un riassunto completo degli argo-menti, stabilendo le mie conclusioni in sei brevi postu-lati. Quindi ho brevemente discusso il doppio aspettodel vasto problema – materialista e spiritualista – con-cludendo con alcune osservazioni generali sui più diffi-

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incominciare la lettura dal settimo capitolo, nel qualecomincia l'esposizione del numero considerevole di fattie di argomenti che mi è stato possibile addurre.

A quelli trai miei lettori che sono stati impressionatidalle critiche avverse alle mie vedute, esposte nel sum-mentovato articolo, io potrei ancora dire che, nel corsodi tutto questo lavoro, nè i fatti, nè le più ovvie conse-guenze di essi sono presentati con la mia sola autorità,ma sempre con quella dei migliori astronomi, matemati-ci ed altri uomini di scienza, dalle cui opere ho attinto,e i cui nomi, con esatte referenze, ho generalmente cita-to.

Io credo di aver riassunto sinteticamente i diversi fat-ti e i fenomeni che altri hanno raccolto, di aver trattodelle ipotesi da quello che altri hanno indagato per pro-prio conto, di aver dato i risultati di ciò che si riferiscea punti indiscutibilmente evidenti, di aver giudicato traopinioni e teorie discordi, e finalmente di aver messoassieme i risultati dei diversi rami della scienza, mo-strando quali relazioni essi abbiano col grande proble-ma, che qui ho cercato di delucidare con accurato esa-me.

E poichè una larga massa di fatti e di argomenti, ap-partenenti alle più diverse scienze, è stata qui accumu-lata, ho dato anche un riassunto completo degli argo-menti, stabilendo le mie conclusioni in sei brevi postu-lati. Quindi ho brevemente discusso il doppio aspettodel vasto problema – materialista e spiritualista – con-cludendo con alcune osservazioni generali sui più diffi-

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cili problemi suggeriti dall'idea dell'infinito, problemiche la maggior parte dei miei critici credono che io ab-bia tenuto in maggior conto, mentre io posso qui dimo-strare che le quistioni che io ho discusso, ed equamentesotto ogni aspetto, rappresentano le manifestazioni piùalte dell'umano intelletto.

BROADSTONE, DORSET. – Settembre 1903.

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cili problemi suggeriti dall'idea dell'infinito, problemiche la maggior parte dei miei critici credono che io ab-bia tenuto in maggior conto, mentre io posso qui dimo-strare che le quistioni che io ho discusso, ed equamentesotto ogni aspetto, rappresentano le manifestazioni piùalte dell'umano intelletto.

BROADSTONE, DORSET. – Settembre 1903.

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«The wilder'd mind is tost and lost,O sea, in thy eternal tide;The reeling brain essays in vain,O stars, to grasp the vastness wide!The terrible tremendoos schemeThat glimmers in each glancing light,O night, O stars, too rudely jarsThe finite with the infinite!»10

J. H. DELL.

10 O mare, il rozzo pensiero si perde nella tua profondità! Ostelle, il cervello vacillante tenta invano di vagare per lo spazioimmenso! O notte, o stelle, il terribile tremendo disegno che bril-la in ogni pallida luce, troppo aspramente dissona tra il finito el'infinito!

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«The wilder'd mind is tost and lost,O sea, in thy eternal tide;The reeling brain essays in vain,O stars, to grasp the vastness wide!The terrible tremendoos schemeThat glimmers in each glancing light,O night, O stars, too rudely jarsThe finite with the infinite!»10

J. H. DELL.

10 O mare, il rozzo pensiero si perde nella tua profondità! Ostelle, il cervello vacillante tenta invano di vagare per lo spazioimmenso! O notte, o stelle, il terribile tremendo disegno che bril-la in ogni pallida luce, troppo aspramente dissona tra il finito el'infinito!

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«Who is man, and what his place?Anxious asks the eart, perplextIn this recklessness of space,Worlds with worlds thus intermixt:What has he, this atome creature,In the infinitude of Nature?»11

F. T. PALGRAVE

11 Che cosa è l'uomo, e quale è il suo posto? Questo ansiosa-mente domanda l'anima, perplessa nella immensità dello spazio,dove i mondi si confondono. Che cosa è nell'infinita Naturaquest'atomo vivente?

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«Who is man, and what his place?Anxious asks the eart, perplextIn this recklessness of space,Worlds with worlds thus intermixt:What has he, this atome creature,In the infinitude of Nature?»11

F. T. PALGRAVE

11 Che cosa è l'uomo, e quale è il suo posto? Questo ansiosa-mente domanda l'anima, perplessa nella immensità dello spazio,dove i mondi si confondono. Che cosa è nell'infinita Naturaquest'atomo vivente?

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CAPITOLO I.L'UOMO E L'UNIVERSO

(IDEE ANTICHE)

Quando l'intelligenza dell'uomo raggiunse un suffi-ciente sviluppo per intendere la propria natura e quelladel globo sul quale vive, non potè non sentirsi profonda-mente attratta dallo spettacolo grandioso del cielo stella-to e dal luminoso scintillìo delle stelle, quali Sirio eVega, dalla luce più estesa e più ferma di Venere e diGiove, dai singolari aggruppamenti degli astri in costel-lazioni, i cui nomi fantastici, indicanti la loro somiglian-za con animali o con oggetti terrestri, sono loro bene ap-propriati e perciò furono generalmente adottati, insiemecon quelli delle stelle, apparentemente innumerevoli,sparse nel firmamento, le quali più sono lontane e piùperdono del loro splendore. Ma molte di queste stellesono visibili soltanto nelle notti limpide, e per coloroche hanno la vista acuta formano un insieme di tantagrandiosa bellezza, che sembra impossibile il potersenefare un'idea concreta ed esatta. È perciò che esse aprono

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CAPITOLO I.L'UOMO E L'UNIVERSO

(IDEE ANTICHE)

Quando l'intelligenza dell'uomo raggiunse un suffi-ciente sviluppo per intendere la propria natura e quelladel globo sul quale vive, non potè non sentirsi profonda-mente attratta dallo spettacolo grandioso del cielo stella-to e dal luminoso scintillìo delle stelle, quali Sirio eVega, dalla luce più estesa e più ferma di Venere e diGiove, dai singolari aggruppamenti degli astri in costel-lazioni, i cui nomi fantastici, indicanti la loro somiglian-za con animali o con oggetti terrestri, sono loro bene ap-propriati e perciò furono generalmente adottati, insiemecon quelli delle stelle, apparentemente innumerevoli,sparse nel firmamento, le quali più sono lontane e piùperdono del loro splendore. Ma molte di queste stellesono visibili soltanto nelle notti limpide, e per coloroche hanno la vista acuta formano un insieme di tantagrandiosa bellezza, che sembra impossibile il potersenefare un'idea concreta ed esatta. È perciò che esse aprono

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un campo sterminato all'immaginazione dell'osservato-re.

La relazione delle stelle col sole e con la luna nel lororispettivo movimento, fu uno dei primi problemidell'astronomia, e fu risoluto soltanto dopo accurate econtinue osservazioni, le quali dimostrarono come la in-visibilità di quelle durante il giorno fosse assolutamentedovuta allo splendore della luce del sole. Si dice che ciòfu dimostrato in un'epoca lontana, per l'osservazione fat-ta che nel fondo di un pozzo profondissimo si possanoveder le stelle anche quando il sole illumina il firma-mento, e per l'altra che, durante un ecclissi totale di sole,le stelle brillano. Il fatto, messo in relazione con la posi-zione fissa della stella polare e col corso di quelle cir-cumpolari, stelle le quali mai si vedono alla latitudinedella Grecia, dell'Egitto e della Caldea, rese possibilel'ipotesi la quale suppose che la terra fosse sospesa nellospazio e che, ad un'ignota distanza da essa, una sfera cri-stallina ruotasse sopra un asse indicato dalla stella pola-re, portando seco l'intiera legione dei corpi celesti. Taleera la teoria di Anassimandro (510 a. C.) ed essa fu ilpunto di partenza delle teorie più ampie e più completeche si seguirono, assumendo nuove forme e modifican-dosi fino al secolo decimosesto.

Si crede che le prime nozioni astronomiche possedutedai Greci siano state loro fornite dai Caldei, che sembrafurono i primi sistematici osservatori dei corpi celestimediante strumenti. Si dice pure che essi furono ancheprimi a scoprire il ciclo di diciotto anni e dieci giorni,

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un campo sterminato all'immaginazione dell'osservato-re.

La relazione delle stelle col sole e con la luna nel lororispettivo movimento, fu uno dei primi problemidell'astronomia, e fu risoluto soltanto dopo accurate econtinue osservazioni, le quali dimostrarono come la in-visibilità di quelle durante il giorno fosse assolutamentedovuta allo splendore della luce del sole. Si dice che ciòfu dimostrato in un'epoca lontana, per l'osservazione fat-ta che nel fondo di un pozzo profondissimo si possanoveder le stelle anche quando il sole illumina il firma-mento, e per l'altra che, durante un ecclissi totale di sole,le stelle brillano. Il fatto, messo in relazione con la posi-zione fissa della stella polare e col corso di quelle cir-cumpolari, stelle le quali mai si vedono alla latitudinedella Grecia, dell'Egitto e della Caldea, rese possibilel'ipotesi la quale suppose che la terra fosse sospesa nellospazio e che, ad un'ignota distanza da essa, una sfera cri-stallina ruotasse sopra un asse indicato dalla stella pola-re, portando seco l'intiera legione dei corpi celesti. Taleera la teoria di Anassimandro (510 a. C.) ed essa fu ilpunto di partenza delle teorie più ampie e più completeche si seguirono, assumendo nuove forme e modifican-dosi fino al secolo decimosesto.

Si crede che le prime nozioni astronomiche possedutedai Greci siano state loro fornite dai Caldei, che sembrafurono i primi sistematici osservatori dei corpi celestimediante strumenti. Si dice pure che essi furono ancheprimi a scoprire il ciclo di diciotto anni e dieci giorni,

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dopo il quale il sole e la luna ritornano nella medesimarelativa posizione rispetto alla terra. Forse gli Egizianiattinsero le loro cognizioni alla stessa fonte, ma nulla ciprova che siano stati profondi osservatori, e la meravi-gliosa orientazione, le proporzioni e gli angoli dellagrande piramide e i suoi passaggi interni, furono forsedisegnati da qualche architetto caldeo.

La prova evidente che la terra ripete la sua vita dalsole, dal quale riceve luce e calore, spiega assai chiara-mente l'origine della credenza che l'una non sia che unadipendenza dell'altro. Ma poichè la luna illumina con lestelle – chè pur da esse emana una certa quantità di luce– le notti serene delle regioni orientali, dove il clima èpiù asciutto e l'atmosfera più limpida; paragonandone labellezza tranquilla con le tenebre profonde delle nottinuvolose, o quando la luna non appare sull'orizzonte,parve sicuro che l'insieme di tutti quei corpi luminosi:sole, luna, stelle e pianeti, non fosse che una dipendenzadel sistema terrestre, e che esistesse solamente per bene-ficare gli abitanti del nostro globo.

Si dice che Empedocle (444 a. C.), per il primo abbiadistinto i pianeti dalle stelle fisse, osservando i loro par-ticolari movimenti, e che Pitagora ed i suoi seguaci ab-biano determinato in modo preciso l'ordine della loro di-sposizione, da Mercurio a Saturno. Ma nulla fu fatto perspiegarne i movimenti fino al secolo scorso. Eudossio diCnido, contemporaneo di Platone e d'Aristotele, il qualedimorò per qualche tempo in Egitto, dove divenne dottoastronomo, fu il primo ad immaginare un metodo siste-

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dopo il quale il sole e la luna ritornano nella medesimarelativa posizione rispetto alla terra. Forse gli Egizianiattinsero le loro cognizioni alla stessa fonte, ma nulla ciprova che siano stati profondi osservatori, e la meravi-gliosa orientazione, le proporzioni e gli angoli dellagrande piramide e i suoi passaggi interni, furono forsedisegnati da qualche architetto caldeo.

La prova evidente che la terra ripete la sua vita dalsole, dal quale riceve luce e calore, spiega assai chiara-mente l'origine della credenza che l'una non sia che unadipendenza dell'altro. Ma poichè la luna illumina con lestelle – chè pur da esse emana una certa quantità di luce– le notti serene delle regioni orientali, dove il clima èpiù asciutto e l'atmosfera più limpida; paragonandone labellezza tranquilla con le tenebre profonde delle nottinuvolose, o quando la luna non appare sull'orizzonte,parve sicuro che l'insieme di tutti quei corpi luminosi:sole, luna, stelle e pianeti, non fosse che una dipendenzadel sistema terrestre, e che esistesse solamente per bene-ficare gli abitanti del nostro globo.

Si dice che Empedocle (444 a. C.), per il primo abbiadistinto i pianeti dalle stelle fisse, osservando i loro par-ticolari movimenti, e che Pitagora ed i suoi seguaci ab-biano determinato in modo preciso l'ordine della loro di-sposizione, da Mercurio a Saturno. Ma nulla fu fatto perspiegarne i movimenti fino al secolo scorso. Eudossio diCnido, contemporaneo di Platone e d'Aristotele, il qualedimorò per qualche tempo in Egitto, dove divenne dottoastronomo, fu il primo ad immaginare un metodo siste-

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matico atto a spiegare i movimenti molteplici dei corpicelesti con la teoria del movimento uniforme e circolareintorno alla terra, presa come centro, per mezzo di unaserie di sfere concentriche, ognuna rotante con differen-te velocità intorno ad un asse suo proprio, e tutte insie-me moventisi intorno all'asse polare. Alla luna, peresempio, furono attribuite tre sfere; la prima con l'asseperpendicolare all'equatore, che ne spiegava il motodiurno, cioè il sorgere e il tramontare; la seconda conl'asse perpendicolare all'ecclittica, con la quale si spie-gavano le fasi mensili; la terza con l'asse alquanto incli-nato all'ecclittica, con la quale si spiegava l'inclinazionedell'orbita lunare rispetto alla stessa ecclittica.

Nel medesimo modo, ciascuno dei cinque pianeti do-veva avere quattro sfere, due con lo stesso movimentoche era attribuito alle due prime della luna, un'altra mo-ventesi nell'ecclittica, e alla quale era attribuito il movi-mento retrogrado dei pianeti, e finalmente una quarta,con l'asse obliquo all'ecclittica, che era necessaria aspiegare il movimento divergente, dovuto alla differenteobliquità dell'orbita di ciascun pianeta rispetto a quellaterrestre.

Tale era il celebrato sistema tolemaico nella sua for-ma più semplice, che spiegava con grande chiarezza imovimenti più palesi dei corpi celesti. Ma nel corso deitempi i Greci e gli Arabi, facendo più accurate osserva-zioni astronomiche, scoprirono piccole divergenze do-vute ai diversi gradi di eccentricità delle orbite dellaluna e dei pianeti, e le differenti velocità di moto, conse-

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matico atto a spiegare i movimenti molteplici dei corpicelesti con la teoria del movimento uniforme e circolareintorno alla terra, presa come centro, per mezzo di unaserie di sfere concentriche, ognuna rotante con differen-te velocità intorno ad un asse suo proprio, e tutte insie-me moventisi intorno all'asse polare. Alla luna, peresempio, furono attribuite tre sfere; la prima con l'asseperpendicolare all'equatore, che ne spiegava il motodiurno, cioè il sorgere e il tramontare; la seconda conl'asse perpendicolare all'ecclittica, con la quale si spie-gavano le fasi mensili; la terza con l'asse alquanto incli-nato all'ecclittica, con la quale si spiegava l'inclinazionedell'orbita lunare rispetto alla stessa ecclittica.

Nel medesimo modo, ciascuno dei cinque pianeti do-veva avere quattro sfere, due con lo stesso movimentoche era attribuito alle due prime della luna, un'altra mo-ventesi nell'ecclittica, e alla quale era attribuito il movi-mento retrogrado dei pianeti, e finalmente una quarta,con l'asse obliquo all'ecclittica, che era necessaria aspiegare il movimento divergente, dovuto alla differenteobliquità dell'orbita di ciascun pianeta rispetto a quellaterrestre.

Tale era il celebrato sistema tolemaico nella sua for-ma più semplice, che spiegava con grande chiarezza imovimenti più palesi dei corpi celesti. Ma nel corso deitempi i Greci e gli Arabi, facendo più accurate osserva-zioni astronomiche, scoprirono piccole divergenze do-vute ai diversi gradi di eccentricità delle orbite dellaluna e dei pianeti, e le differenti velocità di moto, conse-

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guenza di quelli. A spiegare queste differenze furono ag-giunti altri piccoli cerchi roteanti eccentricamente, iquali arrivarono al numero di circa sessanta, tra sfere,epicicli ed eccentriche, tutti necessari e per rendersi ra-gione dei varî movimenti osservati con quei primitivi edimperfetti strumenti, e della velocità di essi, determinatadai grossolani cerchi equatoriali che si conoscevano inquelle remote età. E benchè qualche filosofo, in epochedifferenti, respingesse questo complicato sistema, ten-tando di promulgare idee più vere, il tentativo non ebbeinfluenza sull'opinione pubblica, e nemmeno fra gliastronomi ed i matematici, ed il sistema tolemaico si-gnoreggiò fino al tempo di Copernico, e non fu abban-donato finchè le leggi di Kepler ed i dialoghi di Galileonon costrinsero le menti ad adottare più semplici e intel-ligenti teorie.

Ora che siamo abituati a veder chiaro nei fatti più sa-lienti dell'astronomia ed a riguardarli come nozioni ele-mentari, ben difficile è per noi rappresentarci lo stato diquasi completa ignoranza che avvolgeva le nazioni piùincivilite dell'Antichità e del Medio Evo. Nondimeno lasfericità della terra fu da qualcuno intravista fino daiprimi tempi, e meglio stabilita e diffusa negli ultimitempi classici.

La prima idea manifestata intorno alla grandezza delnostro globo nacque subito dopo che le osservazioni fat-te per mezzo di strumenti cominciarono ad esser piùesatte, e la distanza e la grandezza della luna furono mi-surate con sufficiente accuratezza; il risultato fu quello

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guenza di quelli. A spiegare queste differenze furono ag-giunti altri piccoli cerchi roteanti eccentricamente, iquali arrivarono al numero di circa sessanta, tra sfere,epicicli ed eccentriche, tutti necessari e per rendersi ra-gione dei varî movimenti osservati con quei primitivi edimperfetti strumenti, e della velocità di essi, determinatadai grossolani cerchi equatoriali che si conoscevano inquelle remote età. E benchè qualche filosofo, in epochedifferenti, respingesse questo complicato sistema, ten-tando di promulgare idee più vere, il tentativo non ebbeinfluenza sull'opinione pubblica, e nemmeno fra gliastronomi ed i matematici, ed il sistema tolemaico si-gnoreggiò fino al tempo di Copernico, e non fu abban-donato finchè le leggi di Kepler ed i dialoghi di Galileonon costrinsero le menti ad adottare più semplici e intel-ligenti teorie.

Ora che siamo abituati a veder chiaro nei fatti più sa-lienti dell'astronomia ed a riguardarli come nozioni ele-mentari, ben difficile è per noi rappresentarci lo stato diquasi completa ignoranza che avvolgeva le nazioni piùincivilite dell'Antichità e del Medio Evo. Nondimeno lasfericità della terra fu da qualcuno intravista fino daiprimi tempi, e meglio stabilita e diffusa negli ultimitempi classici.

La prima idea manifestata intorno alla grandezza delnostro globo nacque subito dopo che le osservazioni fat-te per mezzo di strumenti cominciarono ad esser piùesatte, e la distanza e la grandezza della luna furono mi-surate con sufficiente accuratezza; il risultato fu quello

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di dimostrarci che essa è più piccola della terra. Ma que-sto segnò il limite delle determinazioni delle grandezzee delle distanze astronomiche, finchè non fu inventato iltelescopio. Della vera grandezza del sole, come dellasua distanza da noi, non si ebbe per lungo tempo cogni-zione alcuna; solo fu ritenuto che esso fosse molto piùgrande e più lontano della luna. Nel secolo che prece-dette il principio dell'èra cristiana, Posidonio determinòla circonferenza terrestre, che disse raggiungere 240000stadi, cioè circa 28600 miglia. È cosa meravigliosa cheegli abbia potuto tanto approssimarsi al vero, se si con-sideri l'imperfezione dei dati dei quali poteva disporre.Vuolsi anche che egli calcolasse la distanza del sole, chevalutò solamente un terzo meno di quello che è in realtà,ma questa deve essere stata una fortunata combinazione,perchè egli non aveva modo di misurare gli angoli conapprossimazione minore di un grado, mentre per deter-minare la distanza del sole occorrono strumenti che mi-surino con l'approssimazione di un secondo.

Prima che si fosse inventato il telescopio, la grandez-za dei pianeti era affatto sconosciuta, ed il più che si po-tesse accertare intorno alle stelle, fu che esse erano po-ste ad una grande distanza fra loro; e poichè questo fututto quanto gli antichi seppero della dimensione e dellaforma dell'Universo visibile, del quale – non devesi di-menticare – la terra fu creduta essere il centro, non biso-gna meravigliarsi della quasi universale credenza chel'Universo esistesse solamente per la terra e per i suoiabitanti. Nell'epoca classica fu creduto che il cielo fosse

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di dimostrarci che essa è più piccola della terra. Ma que-sto segnò il limite delle determinazioni delle grandezzee delle distanze astronomiche, finchè non fu inventato iltelescopio. Della vera grandezza del sole, come dellasua distanza da noi, non si ebbe per lungo tempo cogni-zione alcuna; solo fu ritenuto che esso fosse molto piùgrande e più lontano della luna. Nel secolo che prece-dette il principio dell'èra cristiana, Posidonio determinòla circonferenza terrestre, che disse raggiungere 240000stadi, cioè circa 28600 miglia. È cosa meravigliosa cheegli abbia potuto tanto approssimarsi al vero, se si con-sideri l'imperfezione dei dati dei quali poteva disporre.Vuolsi anche che egli calcolasse la distanza del sole, chevalutò solamente un terzo meno di quello che è in realtà,ma questa deve essere stata una fortunata combinazione,perchè egli non aveva modo di misurare gli angoli conapprossimazione minore di un grado, mentre per deter-minare la distanza del sole occorrono strumenti che mi-surino con l'approssimazione di un secondo.

Prima che si fosse inventato il telescopio, la grandez-za dei pianeti era affatto sconosciuta, ed il più che si po-tesse accertare intorno alle stelle, fu che esse erano po-ste ad una grande distanza fra loro; e poichè questo fututto quanto gli antichi seppero della dimensione e dellaforma dell'Universo visibile, del quale – non devesi di-menticare – la terra fu creduta essere il centro, non biso-gna meravigliarsi della quasi universale credenza chel'Universo esistesse solamente per la terra e per i suoiabitanti. Nell'epoca classica fu creduto che il cielo fosse

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la dimora degli dèi, donde questi spargessero sugli uo-mini i loro doni e le loro grazie; e se l'èra cristiana rove-sciò queste credenze come insulse e infondate, in ambe-due le dette età sarebbe stata ritenuta come empia cosa ilmanifestare l'idea che le stelle e i pianeti non fosserostati creati solamente per deliziare l'umanità, ma che po-tevano forse essere anch'essi abitati, e che l'intelletto de-gli esseri che li popolavano poteva essere anche superio-re a quello dell'uomo. Durante l'intero periodo del qualeci siamo occupati, nessuno fu tanto ardito da affermareche esistessero altri mondi abitati come il nostro, nè dadubitare che quello sul quale viviamo non fosse il verocentro dell'Universo che lo circonda, esistente solo pernoi; così che le scoperte di Copernico, Tycho-Brahé,Kepler e Galileo suscitarono immensa opposizione, per-chè vennero ritenute empie e incredibili. Sembrò quasiche le nuove idee capovolgessero tutto l'ordine della na-tura, fino allora accettato per vero, e degradasserol'uomo da un lato, perchè lo toglievano dal suo posto, ela terra dall'altro, perchè la spostavano dalla posizionecentrale che fino allora aveva occupato.

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la dimora degli dèi, donde questi spargessero sugli uo-mini i loro doni e le loro grazie; e se l'èra cristiana rove-sciò queste credenze come insulse e infondate, in ambe-due le dette età sarebbe stata ritenuta come empia cosa ilmanifestare l'idea che le stelle e i pianeti non fosserostati creati solamente per deliziare l'umanità, ma che po-tevano forse essere anch'essi abitati, e che l'intelletto de-gli esseri che li popolavano poteva essere anche superio-re a quello dell'uomo. Durante l'intero periodo del qualeci siamo occupati, nessuno fu tanto ardito da affermareche esistessero altri mondi abitati come il nostro, nè dadubitare che quello sul quale viviamo non fosse il verocentro dell'Universo che lo circonda, esistente solo pernoi; così che le scoperte di Copernico, Tycho-Brahé,Kepler e Galileo suscitarono immensa opposizione, per-chè vennero ritenute empie e incredibili. Sembrò quasiche le nuove idee capovolgessero tutto l'ordine della na-tura, fino allora accettato per vero, e degradasserol'uomo da un lato, perchè lo toglievano dal suo posto, ela terra dall'altro, perchè la spostavano dalla posizionecentrale che fino allora aveva occupato.

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CAPITOLO II.L'UOMO E L'UNIVERSO

(IDEE MODERNE)

Le credenze circa la subordinata posizione del sole,delle stelle, della luna rispetto a quella della terra, quasiuniversali fino a Copernico, cominciarono a caderequando le scoperte di Kepler e le rivelazioni del telesco-pio dimostrarono che il nostro pianeta non si distinguedagli altri per una maggiore grandezza. Allora nacquel'idea che anche gli altri pianeti fossero abitati, ed il tele-scopio, divenendo sempre più perfetto e potente, cometutti gli altri strumenti astronomici, fece conoscere lemeraviglie del sistema solare ed il numero sempre cre-scente delle stelle fisse. L'ipotesi che esistessero altrimondi abitati si divulgò e divenne universale, come erastata quella delle età passate, che negava tale probabilitàe che vige ancora, benchè modificata.

Ma si può veramente asserire che quest'ultima, comela prima, siano fondate più sull'idea religiosa, che sopraun esame accurato e scientifico del complesso dei fatti

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CAPITOLO II.L'UOMO E L'UNIVERSO

(IDEE MODERNE)

Le credenze circa la subordinata posizione del sole,delle stelle, della luna rispetto a quella della terra, quasiuniversali fino a Copernico, cominciarono a caderequando le scoperte di Kepler e le rivelazioni del telesco-pio dimostrarono che il nostro pianeta non si distinguedagli altri per una maggiore grandezza. Allora nacquel'idea che anche gli altri pianeti fossero abitati, ed il tele-scopio, divenendo sempre più perfetto e potente, cometutti gli altri strumenti astronomici, fece conoscere lemeraviglie del sistema solare ed il numero sempre cre-scente delle stelle fisse. L'ipotesi che esistessero altrimondi abitati si divulgò e divenne universale, come erastata quella delle età passate, che negava tale probabilitàe che vige ancora, benchè modificata.

Ma si può veramente asserire che quest'ultima, comela prima, siano fondate più sull'idea religiosa, che sopraun esame accurato e scientifico del complesso dei fatti

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fisici, astronomici e biologici; e si può convenire, colcompianto dottor Whewell, che «la credenza che gli al-tri pianeti siano abitati, non si basò mai sopra ragioni fi-siche, ma impugnandole». Il Whewell aggiunge: «Fudetto che Venere ed anche Saturno siano abitati, nonperchè ciò fosse supponibile e probabile, nè perchè laloro struttura si adattasse alla vita animale, ma perchè lagrandezza, la bontà, la saggezza del creatore e tutti glialtri suoi attributi, sarebbero stati manifestamente im-perfetti, se sulla superficie di quei corpi non avesse mes-so creature viventi.»

Coloro che sanno solamente che molti eminenti astro-nomi, ormai posti in oblìo, sostennero la loro convinzio-ne della pluralità dei mondi, crederanno, e con ragione,che essi abbiano posseduto molti dati in favore dellaloro ipotesi, e che la abbiano formulato con un accumu-larsi di fatti concludenti. Perciò saranno assai sorpresinel sapere che mancava del tutto a quegli astronomiqualsiasi diretta evidenza che appoggiasse questa teoria,e che la maggior parte degli argomenti da loro invocatisono deboli e di poco valore.

Ben è vero che qualche scrittore si avventurò a far ri-levare quante difficoltà si oppongano a queste asserzio-ni, ma forse neppur questi esaminò mai la questione sot-to i diversi punti di vista essenzialmente necessari perben considerarla; ma, oggi, per sostenere l'ipotesi, sareb-be sufficiente il dimostrare che qualche pianeta possiedetutte le condizioni necessarie per la vita animale.

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fisici, astronomici e biologici; e si può convenire, colcompianto dottor Whewell, che «la credenza che gli al-tri pianeti siano abitati, non si basò mai sopra ragioni fi-siche, ma impugnandole». Il Whewell aggiunge: «Fudetto che Venere ed anche Saturno siano abitati, nonperchè ciò fosse supponibile e probabile, nè perchè laloro struttura si adattasse alla vita animale, ma perchè lagrandezza, la bontà, la saggezza del creatore e tutti glialtri suoi attributi, sarebbero stati manifestamente im-perfetti, se sulla superficie di quei corpi non avesse mes-so creature viventi.»

Coloro che sanno solamente che molti eminenti astro-nomi, ormai posti in oblìo, sostennero la loro convinzio-ne della pluralità dei mondi, crederanno, e con ragione,che essi abbiano posseduto molti dati in favore dellaloro ipotesi, e che la abbiano formulato con un accumu-larsi di fatti concludenti. Perciò saranno assai sorpresinel sapere che mancava del tutto a quegli astronomiqualsiasi diretta evidenza che appoggiasse questa teoria,e che la maggior parte degli argomenti da loro invocatisono deboli e di poco valore.

Ben è vero che qualche scrittore si avventurò a far ri-levare quante difficoltà si oppongano a queste asserzio-ni, ma forse neppur questi esaminò mai la questione sot-to i diversi punti di vista essenzialmente necessari perben considerarla; ma, oggi, per sostenere l'ipotesi, sareb-be sufficiente il dimostrare che qualche pianeta possiedetutte le condizioni necessarie per la vita animale.

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Nei tanti milioni di sistemi planetari che si supponeesistano, parrà cosa incredibile che solamente pochipossano essere abitati. In questo mio libro mi propongodi dimostrare che le probabilità e l'evidenza tendono tut-te ad una conclusione assolutamente opposta, e sarà per-ciò necessario di dare uno sguardo alle opere dei varîscienziati che hanno scritto sopra questo soggetto, edaccennare agli argomenti che hanno usato ed ai fatti chehanno dimostrato. Tra i primi fautori di questa teoriadevo rammentare il dottor Whewell, che nel suo Dialo-go sulla pluralità dei mondi, supplemento alla sua diffu-sa e conosciuta opera sopra questo soggetto, riferisce leopinioni di tutti i più importanti scrittori da lui cono-sciuti.

I primi sono i grandi astronomi Kepler e Huygens e ildotto vescovo Wilkins. Essi credettero che la luna fosse,con tutta probabilità, abitata, e Whewell considera Wil-kins come il più tenace nel sostenere questa opinione.Anche Isacco Newton stesso, in un'epoca a noi più vici-na, arguì che il sole fosse probabilmente abitato. Il pri-mo trattato regolare intorno a questo soggetto sembraessere stato scritto da Fontenelle, segretario dell'Acca-demia Scientifica di Parigi, che nel 1686 pubblicò i suoiDialoghi sulla pluralità dei mondi. Questo libro è divisoin cinque capitoli: il primo spiega la teoria di Copernico,il secondo sostiene che la luna è un mondo abitabile; ilterzo descrive la luna nei suoi particolari ed arguisce chegli altri pianeti devono essere anch'essi abitati; il quartoparla della materia dei cinque pianeti; il quinto final-

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Nei tanti milioni di sistemi planetari che si supponeesistano, parrà cosa incredibile che solamente pochipossano essere abitati. In questo mio libro mi propongodi dimostrare che le probabilità e l'evidenza tendono tut-te ad una conclusione assolutamente opposta, e sarà per-ciò necessario di dare uno sguardo alle opere dei varîscienziati che hanno scritto sopra questo soggetto, edaccennare agli argomenti che hanno usato ed ai fatti chehanno dimostrato. Tra i primi fautori di questa teoriadevo rammentare il dottor Whewell, che nel suo Dialo-go sulla pluralità dei mondi, supplemento alla sua diffu-sa e conosciuta opera sopra questo soggetto, riferisce leopinioni di tutti i più importanti scrittori da lui cono-sciuti.

I primi sono i grandi astronomi Kepler e Huygens e ildotto vescovo Wilkins. Essi credettero che la luna fosse,con tutta probabilità, abitata, e Whewell considera Wil-kins come il più tenace nel sostenere questa opinione.Anche Isacco Newton stesso, in un'epoca a noi più vici-na, arguì che il sole fosse probabilmente abitato. Il pri-mo trattato regolare intorno a questo soggetto sembraessere stato scritto da Fontenelle, segretario dell'Acca-demia Scientifica di Parigi, che nel 1686 pubblicò i suoiDialoghi sulla pluralità dei mondi. Questo libro è divisoin cinque capitoli: il primo spiega la teoria di Copernico,il secondo sostiene che la luna è un mondo abitabile; ilterzo descrive la luna nei suoi particolari ed arguisce chegli altri pianeti devono essere anch'essi abitati; il quartoparla della materia dei cinque pianeti; il quinto final-

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mente dichiara che le stelle fisse sono soli e che ciascu-na di esse illumina un mondo. Quest'opera è scritta tantobene ed il soggetto ne è tanto attraente, che fu tradottanelle principali lingue d'Europa, e l'astronomo Lalandene curò un'edizione in francese. In inglese ne furonopubblicate tre traduzioni, e di una di queste furon fattesei edizioni nello spazio di cinquantun anno, cioè fino al1737. L'influenza esercitata da questo lavoro fu grandis-sima, e nessuno dubitò delle teorie appoggiate da uomi-ni quali erano Guglielmo Herschel, Giovanni Herschel,il dottor Chalmers, il dottor Dick, il dottor Isacco Taylored Arago, benchè tali teorie fossero fondate sopra sem-plici supposizioni, senza essere confortate da alcuna evi-denza.

Tale era lo stato della pubblica opinione, quando nel1853 comparve un'opera d'incognito scrittore, che porta-va il titolo seducente: Saggio sulla pluralità dei mondi.Di ciò aveva già scritto il dottor Whewell, che per il pri-mo arrischiò obiezioni alla teoria generalmente accettatae dimostrò che, secondo ogni evidenza, si doveva con-cludere che qualcuno dei pianeti non potesse in alcunmodo essere abitato, che altri probabilmente non lo era-no e che in nessuno si trovano tutte le condizioni indi-spensabili alla vita degli animali e dell'uomo. Il libro,scritto magistralmente, in cui l'autore dava prova di pos-sedere vaste cognizioni della scienza d'allora, cercava inogni modo di dimostrare che le sue idee e le sue teorienon erano per niente opposte alla religione. Uno dei suoimigliori argomenti era fondato sulla convinzione che

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mente dichiara che le stelle fisse sono soli e che ciascu-na di esse illumina un mondo. Quest'opera è scritta tantobene ed il soggetto ne è tanto attraente, che fu tradottanelle principali lingue d'Europa, e l'astronomo Lalandene curò un'edizione in francese. In inglese ne furonopubblicate tre traduzioni, e di una di queste furon fattesei edizioni nello spazio di cinquantun anno, cioè fino al1737. L'influenza esercitata da questo lavoro fu grandis-sima, e nessuno dubitò delle teorie appoggiate da uomi-ni quali erano Guglielmo Herschel, Giovanni Herschel,il dottor Chalmers, il dottor Dick, il dottor Isacco Taylored Arago, benchè tali teorie fossero fondate sopra sem-plici supposizioni, senza essere confortate da alcuna evi-denza.

Tale era lo stato della pubblica opinione, quando nel1853 comparve un'opera d'incognito scrittore, che porta-va il titolo seducente: Saggio sulla pluralità dei mondi.Di ciò aveva già scritto il dottor Whewell, che per il pri-mo arrischiò obiezioni alla teoria generalmente accettatae dimostrò che, secondo ogni evidenza, si doveva con-cludere che qualcuno dei pianeti non potesse in alcunmodo essere abitato, che altri probabilmente non lo era-no e che in nessuno si trovano tutte le condizioni indi-spensabili alla vita degli animali e dell'uomo. Il libro,scritto magistralmente, in cui l'autore dava prova di pos-sedere vaste cognizioni della scienza d'allora, cercava inogni modo di dimostrare che le sue idee e le sue teorienon erano per niente opposte alla religione. Uno dei suoimigliori argomenti era fondato sulla convinzione che

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«l'orbita della terra è la zona temperata del sistema sola-re», perchè solamente a questa condizione sono possibilile moderate variazioni di caldo e di freddo, di siccità edi umidità, necessarie alla vita animale.

Il Whewell aggiunge altresì che gli altri pianeti del si-stema sono quasi esclusivamente composti d'acqua, gase vapori, come indica il loro basso peso specifico, e cheper tal modo non è possibile sulla loro superficie la vitaterrestre. Ed anche quelli situati più vicini al sole sonoegualmente disadatti, perchè, riscaldati eccessivamentecome sono dal sole, l'acqua non può esistere sulla lorosuperficie. Una grande parte del suo libro è dedicatainoltre a dimostrare che non v'è vita animale nemmenosulla luna. Prendendo questa evidenza come una prova,l'autore se ne vale come potente argomentazione per ap-poggiare le sue deduzioni, e se a queste si oppone il fat-to che, come la terra è abitata, lo devono essere anchegli altri pianeti, egli risponde: «Noi sappiamo che laluna non è abitata, quantunque abbia tutti i vantaggi del-la terra per la sua posizione, relativamente al sole; ed al-lora perchè gli altri pianeti dovrebbero essere abitati?»

Parlando di Marte, ammette che questo pianeta somi-gli molto alla terra, per quanto ne possiamo giudicare dalontano, e che per conseguenza potrebbe anche essereabitato, o, per esprimerci come l'autore, «può esserech'esso sia stato giudicato dal creatore degno di essereabitato». Ma non trascura di far notare la piccolezza delpianeta, la sua distanza eccessiva dal sole, di modo cheil fondersi annuale dei suoi ghiacci polari fa continuare

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«l'orbita della terra è la zona temperata del sistema sola-re», perchè solamente a questa condizione sono possibilile moderate variazioni di caldo e di freddo, di siccità edi umidità, necessarie alla vita animale.

Il Whewell aggiunge altresì che gli altri pianeti del si-stema sono quasi esclusivamente composti d'acqua, gase vapori, come indica il loro basso peso specifico, e cheper tal modo non è possibile sulla loro superficie la vitaterrestre. Ed anche quelli situati più vicini al sole sonoegualmente disadatti, perchè, riscaldati eccessivamentecome sono dal sole, l'acqua non può esistere sulla lorosuperficie. Una grande parte del suo libro è dedicatainoltre a dimostrare che non v'è vita animale nemmenosulla luna. Prendendo questa evidenza come una prova,l'autore se ne vale come potente argomentazione per ap-poggiare le sue deduzioni, e se a queste si oppone il fat-to che, come la terra è abitata, lo devono essere anchegli altri pianeti, egli risponde: «Noi sappiamo che laluna non è abitata, quantunque abbia tutti i vantaggi del-la terra per la sua posizione, relativamente al sole; ed al-lora perchè gli altri pianeti dovrebbero essere abitati?»

Parlando di Marte, ammette che questo pianeta somi-gli molto alla terra, per quanto ne possiamo giudicare dalontano, e che per conseguenza potrebbe anche essereabitato, o, per esprimerci come l'autore, «può esserech'esso sia stato giudicato dal creatore degno di essereabitato». Ma non trascura di far notare la piccolezza delpianeta, la sua distanza eccessiva dal sole, di modo cheil fondersi annuale dei suoi ghiacci polari fa continuare

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l'inverno, anche quando sopravviene l'estate. Se vi sonoanimali, non possono essere che meno perfetti di quellidel nostro globo, come i sauriani e gli iguanodoni cheabitavano i nostri mari durante l'epoca di Wealden. Lasua conclusione è questa: «Se la nostra Terra si preparòa dar vita all'uomo con un lungo processo di tanti milio-ni di anni, come poter discutere se vi siano esseri intelli-genti sul pianeta Marte, prima di esser sicuri che vi sonocreature viventi?»

Molti dei primi capitoli sono dedicati a diminuirel'impressione di sgomento, provata da quelle persone re-ligiose che si sentono oppresse dall'immensità dell'Uni-verso rivelataci dall'astronomia moderna e dalla picco-lezza relativa della terra ove dimora dell'uomo, picco-lezza che ai nostri occhi aumenterebbe smisuratamente,ove siano abitati, non soltanto i pianeti del sistema sola-re, ma altresì quelli che circondano le miriadi di soli esi-stenti nell'Universo. E le medesime persone sono anchepiù inquiete, perchè i medesimi fatti precisi sono men-zionati dagli scettici delle diverse scuole, che se ne val-gono per impugnare le credenze della cristianità. Qual-che scrittore insiste sulla irrazionalità e sull'assurditàdella supposizione che il creatore di tutti questi meravi-gliosi ed innumerevoli sistemi solari, sparsi in uno spa-zio che diciamo infinito, dovesse specialmente interes-sarsi ad una tanto meschina creatura quale è l'uomo, abi-tatore d'imperfetto sviluppo di uno dei più piccoli mon-di, dipendenti da un sole di secondo ed anche di terzogrado, a un essere che, traverso i periodi storici, ha vis-

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l'inverno, anche quando sopravviene l'estate. Se vi sonoanimali, non possono essere che meno perfetti di quellidel nostro globo, come i sauriani e gli iguanodoni cheabitavano i nostri mari durante l'epoca di Wealden. Lasua conclusione è questa: «Se la nostra Terra si preparòa dar vita all'uomo con un lungo processo di tanti milio-ni di anni, come poter discutere se vi siano esseri intelli-genti sul pianeta Marte, prima di esser sicuri che vi sonocreature viventi?»

Molti dei primi capitoli sono dedicati a diminuirel'impressione di sgomento, provata da quelle persone re-ligiose che si sentono oppresse dall'immensità dell'Uni-verso rivelataci dall'astronomia moderna e dalla picco-lezza relativa della terra ove dimora dell'uomo, picco-lezza che ai nostri occhi aumenterebbe smisuratamente,ove siano abitati, non soltanto i pianeti del sistema sola-re, ma altresì quelli che circondano le miriadi di soli esi-stenti nell'Universo. E le medesime persone sono anchepiù inquiete, perchè i medesimi fatti precisi sono men-zionati dagli scettici delle diverse scuole, che se ne val-gono per impugnare le credenze della cristianità. Qual-che scrittore insiste sulla irrazionalità e sull'assurditàdella supposizione che il creatore di tutti questi meravi-gliosi ed innumerevoli sistemi solari, sparsi in uno spa-zio che diciamo infinito, dovesse specialmente interes-sarsi ad una tanto meschina creatura quale è l'uomo, abi-tatore d'imperfetto sviluppo di uno dei più piccoli mon-di, dipendenti da un sole di secondo ed anche di terzogrado, a un essere che, traverso i periodi storici, ha vis-

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suto una vita di guerre sanguinose, di tirannia, di torture,di morte, e che da sè stesso ne ha scritto i sublimi ricor-di in libri come la Hystory of the Jews, The Decline andFall of the Roman Empire, e The Martyrdozm of Man,dove sono dipinte in modo anche più sommario e tre-mendo, la miseria e la infernale cattiveria dell'uomo. Ilsuo carattere specialmente è descritto con parole conci-se, ma espressive, da uno dei più buoni, e più semplicipoeti:

Man's inhumanity to manMakes countless thousands mourn.12

Ad un essere simile Dio avrebbe dunque rivelato isuoi voleri, qualche migliaio di anni fa, e, vedendo che isuoi comandamenti non erano tenuti in conto, per bene-ficarlo ancora di più, avrebbe fatto il sacrifizio del figliosuo unico, perchè salvasse una piccola parte di questimiserabili peccatori dalle conseguenze delle loro mera-vigliose follie e dei loro incredibili delitti? E sostengonoche questa fede è troppo assurda, perchè possa essereaccettata da esseri ragionevoli, e che diventa anche piùincredibile e meno razionale, se riteniamo che esistanoinnumerevoli mondi anch'essi abitati.

Gli uomini religiosi non hanno trovato adeguata ri-sposta ad una simile domanda, e ne è resultato che moltihanno sentito la loro posizione diventare insostenibile,ed in conseguenza è svanita in loro la fede nei dogmi

12 L'inumanità dell'uomo contro l'uomo fa sparger lacrimesenza fine.

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suto una vita di guerre sanguinose, di tirannia, di torture,di morte, e che da sè stesso ne ha scritto i sublimi ricor-di in libri come la Hystory of the Jews, The Decline andFall of the Roman Empire, e The Martyrdozm of Man,dove sono dipinte in modo anche più sommario e tre-mendo, la miseria e la infernale cattiveria dell'uomo. Ilsuo carattere specialmente è descritto con parole conci-se, ma espressive, da uno dei più buoni, e più semplicipoeti:

Man's inhumanity to manMakes countless thousands mourn.12

Ad un essere simile Dio avrebbe dunque rivelato isuoi voleri, qualche migliaio di anni fa, e, vedendo che isuoi comandamenti non erano tenuti in conto, per bene-ficarlo ancora di più, avrebbe fatto il sacrifizio del figliosuo unico, perchè salvasse una piccola parte di questimiserabili peccatori dalle conseguenze delle loro mera-vigliose follie e dei loro incredibili delitti? E sostengonoche questa fede è troppo assurda, perchè possa essereaccettata da esseri ragionevoli, e che diventa anche piùincredibile e meno razionale, se riteniamo che esistanoinnumerevoli mondi anch'essi abitati.

Gli uomini religiosi non hanno trovato adeguata ri-sposta ad una simile domanda, e ne è resultato che moltihanno sentito la loro posizione diventare insostenibile,ed in conseguenza è svanita in loro la fede nei dogmi

12 L'inumanità dell'uomo contro l'uomo fa sparger lacrimesenza fine.

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speciali della cristianità ortodossa e si sono trovati di-nanzi ad un dilemma. Se vi sono miriadi di mondi, è in-credibile e impossibile che tutti siano stati oggetto dispeciali rivelazioni e sacrifici, ma se poi siamo noi i soliesseri intelligenti che esistano nell'Universo materiale,se siamo veramente noi la più sublime creazionedell'Essere infinitamente saggio e potente, non c'è dameravigliarsi ancor di più della grande ed evidente spro-porzione fra il creatore e la creatura? Ed ecco che moltisi sono avviati verso l'ateismo, perchè disperati di potercomprendere come un così meschino resultato sia lasola rivelazione di un infinito potere.

Whewell ci fa sapere che il gran predicatore dottorChalmers, nei suoi Discorsi astronomici, cerca di appia-nare questa difficoltà, ed a questo scopo dedica moltaparte del suo libro, ma, secondo l'opinione del Whewel,non vi riesce. Una delle più gravi ragioni che adduce, èquesta: che noi non conosciamo ancora tanta partedell'Universo da poter arrivare ad una ben definita con-clusione sulla quistione sorta, quindi le idee che noi pos-siamo farci dei disegni del creatore nel formare il vastosistema che vediamo intorno a noi, non possono essereche errate, perciò ci dobbiamo contentare di rimanereignoranti e soddisfatti nel pensare che, se il creatore nonci ha ancora permesso d'investigarlo, è di certo per il no-stro bene. Ed a coloro che dicono che gli altri mondipossono esser governati da altre leggi che li rendonoatti, come il nostro globo, ad essere abitati da esseri in-telligenti, risponde che se noi supponessimo altre leggi

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speciali della cristianità ortodossa e si sono trovati di-nanzi ad un dilemma. Se vi sono miriadi di mondi, è in-credibile e impossibile che tutti siano stati oggetto dispeciali rivelazioni e sacrifici, ma se poi siamo noi i soliesseri intelligenti che esistano nell'Universo materiale,se siamo veramente noi la più sublime creazionedell'Essere infinitamente saggio e potente, non c'è dameravigliarsi ancor di più della grande ed evidente spro-porzione fra il creatore e la creatura? Ed ecco che moltisi sono avviati verso l'ateismo, perchè disperati di potercomprendere come un così meschino resultato sia lasola rivelazione di un infinito potere.

Whewell ci fa sapere che il gran predicatore dottorChalmers, nei suoi Discorsi astronomici, cerca di appia-nare questa difficoltà, ed a questo scopo dedica moltaparte del suo libro, ma, secondo l'opinione del Whewel,non vi riesce. Una delle più gravi ragioni che adduce, èquesta: che noi non conosciamo ancora tanta partedell'Universo da poter arrivare ad una ben definita con-clusione sulla quistione sorta, quindi le idee che noi pos-siamo farci dei disegni del creatore nel formare il vastosistema che vediamo intorno a noi, non possono essereche errate, perciò ci dobbiamo contentare di rimanereignoranti e soddisfatti nel pensare che, se il creatore nonci ha ancora permesso d'investigarlo, è di certo per il no-stro bene. Ed a coloro che dicono che gli altri mondipossono esser governati da altre leggi che li rendonoatti, come il nostro globo, ad essere abitati da esseri in-telligenti, risponde che se noi supponessimo altre leggi

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di natura, stabilite allo scopo di rendere ogni pianetaabitabile, metteremmo un termine ad ogni razionale in-dagine su questo soggetto, ed in conseguenza potremmosostenere e credere che degli esseri animali possano vi-vere sulla luna senz'aria e senz'acqua, od anche sul sole,sopportando quel calore che fonde la terra e i metalli.

L'argomento che egli adduce come conclusione, e cheforse giudica il più stringente, è quello che si appoggiasulla dignità dell'uomo, al quale attribuisce la preminen-za sul pianeta che lo ha generato. «Se – egli dice –l'uomo è capace di sentimenti di virtù e di dovere, diamar tutti e di rispettare sè stesso, può essere anche im-mortale; e se il suo essere è di infinita durata, la sua ani-ma mai muore, quindi possiamo ben dire che un'animasola vale più di tutta la parte non intelligente della crea-zione.» E quando, indirizzandosi alle persone religiose,aggiunge che se, come esse credono, Dio ha redentol'uomo sacrificandogli il figliuolo ed ha a lui rivelato lesue volontà, non può sorgere in noi dubbio alcuno chel'uomo sia la creatura più perfetta dell'Universo. Il parla-re dell'esaltazione di milioni di creature intelligenti, mo-rali, religiose e spirituali ad un destino così preparato,sviluppato e perfetto, non è lieve compito, e manca spa-zio e tempo per occuparci della materia.

Segue un capitolo sull'unità del mondo ed un altro sulfuturo, ma nè l'uno nè l'altro contengono cosa alcunache dia forza all'argomento dell'autore, e così il libro fi-nisce.

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di natura, stabilite allo scopo di rendere ogni pianetaabitabile, metteremmo un termine ad ogni razionale in-dagine su questo soggetto, ed in conseguenza potremmosostenere e credere che degli esseri animali possano vi-vere sulla luna senz'aria e senz'acqua, od anche sul sole,sopportando quel calore che fonde la terra e i metalli.

L'argomento che egli adduce come conclusione, e cheforse giudica il più stringente, è quello che si appoggiasulla dignità dell'uomo, al quale attribuisce la preminen-za sul pianeta che lo ha generato. «Se – egli dice –l'uomo è capace di sentimenti di virtù e di dovere, diamar tutti e di rispettare sè stesso, può essere anche im-mortale; e se il suo essere è di infinita durata, la sua ani-ma mai muore, quindi possiamo ben dire che un'animasola vale più di tutta la parte non intelligente della crea-zione.» E quando, indirizzandosi alle persone religiose,aggiunge che se, come esse credono, Dio ha redentol'uomo sacrificandogli il figliuolo ed ha a lui rivelato lesue volontà, non può sorgere in noi dubbio alcuno chel'uomo sia la creatura più perfetta dell'Universo. Il parla-re dell'esaltazione di milioni di creature intelligenti, mo-rali, religiose e spirituali ad un destino così preparato,sviluppato e perfetto, non è lieve compito, e manca spa-zio e tempo per occuparci della materia.

Segue un capitolo sull'unità del mondo ed un altro sulfuturo, ma nè l'uno nè l'altro contengono cosa alcunache dia forza all'argomento dell'autore, e così il libro fi-nisce.

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La pubblicazione di questo vago, ma assai bello e dif-fuso lavoro, che si opponeva alle opinioni popolari, pro-vocò l'indignazione e la critica di un uomo che eccellevain qualche ramo della fisica, David Brewster, ma che eraveramente inferiore, tanto nelle generali cognizioniscientifiche come in letteratura, allo scrittore di cui cer-cava combattere le idee. Il libro che riporta le sue obie-zioni è intitolato: Non uno, ma diversi mondi. – Il credodel filosofo e la speranza del Cristiano. Benchè scrittocon forza e convinzione, molto si appella ai principalipregiudizi religiosi, e sostiene, dal principio alla fine,che ogni pianeta ed ogni stella sono una speciale crea-zione, ed ogni loro singolarità è stata destinata ad un de-terminato fine. «Se – dice – la luna fosse stata destinatasoltanto ad essere la lampada che rischiara il nostro glo-bo, non vi sarebbe stata certo ragione alcuna di spargeresulla sua superficie alte montagne, vulcani estinti, e co-prirla di grandi macchie e di materia diversa, che riflettedifferentemente la luce, dando alla sua superficie l'appa-renza di continenti e di mari. La lampada sarebbe statacertamente migliore, se la luna fosse una massa levigata,per esempio di gesso impastato; quindi è evidente cheessa fu fatta per essere abitata.» Da ciò l'autore arguisceche anche tutti gli altri corpi celesti siano abitati, ed ag-giunge che quando i dotti trovarono che Venere aveva,presso a poco, la stessa grandezza, della terra, che avevamontagne e vallate, notti, giorni ed anni analoghi ai no-stri, sarebbe stato assurdo il credere ancora che non fos-se abitata, quando nessun altro scopo razionale poteva

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La pubblicazione di questo vago, ma assai bello e dif-fuso lavoro, che si opponeva alle opinioni popolari, pro-vocò l'indignazione e la critica di un uomo che eccellevain qualche ramo della fisica, David Brewster, ma che eraveramente inferiore, tanto nelle generali cognizioniscientifiche come in letteratura, allo scrittore di cui cer-cava combattere le idee. Il libro che riporta le sue obie-zioni è intitolato: Non uno, ma diversi mondi. – Il credodel filosofo e la speranza del Cristiano. Benchè scrittocon forza e convinzione, molto si appella ai principalipregiudizi religiosi, e sostiene, dal principio alla fine,che ogni pianeta ed ogni stella sono una speciale crea-zione, ed ogni loro singolarità è stata destinata ad un de-terminato fine. «Se – dice – la luna fosse stata destinatasoltanto ad essere la lampada che rischiara il nostro glo-bo, non vi sarebbe stata certo ragione alcuna di spargeresulla sua superficie alte montagne, vulcani estinti, e co-prirla di grandi macchie e di materia diversa, che riflettedifferentemente la luce, dando alla sua superficie l'appa-renza di continenti e di mari. La lampada sarebbe statacertamente migliore, se la luna fosse una massa levigata,per esempio di gesso impastato; quindi è evidente cheessa fu fatta per essere abitata.» Da ciò l'autore arguisceche anche tutti gli altri corpi celesti siano abitati, ed ag-giunge che quando i dotti trovarono che Venere aveva,presso a poco, la stessa grandezza, della terra, che avevamontagne e vallate, notti, giorni ed anni analoghi ai no-stri, sarebbe stato assurdo il credere ancora che non fos-se abitata, quando nessun altro scopo razionale poteva

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esser attribuito alla sua creazione; mentre il farla, comela terra, sede di vita animale e vegetale, divenne argo-mento di grande importanza. Fu detto che Giove è cosìgigantesco da esser necessarie quattro lune per illumi-narlo, e per analogia l'idea che fosse abitato divenne an-che più incalzante, perchè esso ha l'estensione di duepianeti. Per cui, avendo ogni altro successivo pianeta al-cuni punti di somiglianza cogli altri, il fatto divenne unargomento addizionale, e poichè noi possiamo renderciragione che tutti i pianeti posseggono atmosfera, nuvole,nevi artiche e venti, l'argomento per analogia – soggiun-ge – diviene molto stringente, mentre l'assurditàdell'opposta opinione, cioè che i pianeti siano lune nonabitate, atmosfere dove le creature non respirano, ventiche non alimentano la vita, diviene un argomento formi-dabile, al quale poche menti, e forse nessuna, potrebbe-ro resistere».

Come si vede, il lavoro è pieno di fallace retorica;così dopo aver descritto le stelle doppie, l'autore sog-giunge: «Ma nessuno può credere che due soli possanoesser posti nel cielo senz'altro intendimento che quellodi farli roteare intorno al loro comune centro di gravità».E, parlando sempre delle stelle, così termina il capitolo:«Ovunque è materia può esservi vita. Vita fisica per go-dere delle sue bellezze, vita morale per adorare il creato-re, vita intellettuale per riconoscere la saggezza ed il po-tere di questo. Una casa senza inquilini, una città senzacittadini, suscitano nella nostra mente la stessa idea diun pianeta senza vita, di un Universo senza abitanti; ed

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esser attribuito alla sua creazione; mentre il farla, comela terra, sede di vita animale e vegetale, divenne argo-mento di grande importanza. Fu detto che Giove è cosìgigantesco da esser necessarie quattro lune per illumi-narlo, e per analogia l'idea che fosse abitato divenne an-che più incalzante, perchè esso ha l'estensione di duepianeti. Per cui, avendo ogni altro successivo pianeta al-cuni punti di somiglianza cogli altri, il fatto divenne unargomento addizionale, e poichè noi possiamo renderciragione che tutti i pianeti posseggono atmosfera, nuvole,nevi artiche e venti, l'argomento per analogia – soggiun-ge – diviene molto stringente, mentre l'assurditàdell'opposta opinione, cioè che i pianeti siano lune nonabitate, atmosfere dove le creature non respirano, ventiche non alimentano la vita, diviene un argomento formi-dabile, al quale poche menti, e forse nessuna, potrebbe-ro resistere».

Come si vede, il lavoro è pieno di fallace retorica;così dopo aver descritto le stelle doppie, l'autore sog-giunge: «Ma nessuno può credere che due soli possanoesser posti nel cielo senz'altro intendimento che quellodi farli roteare intorno al loro comune centro di gravità».E, parlando sempre delle stelle, così termina il capitolo:«Ovunque è materia può esservi vita. Vita fisica per go-dere delle sue bellezze, vita morale per adorare il creato-re, vita intellettuale per riconoscere la saggezza ed il po-tere di questo. Una casa senza inquilini, una città senzacittadini, suscitano nella nostra mente la stessa idea diun pianeta senza vita, di un Universo senza abitanti; ed

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in tal caso, perchè la casa sia stata costruita, la città fon-data, il pianeta fatto e l'Universo creato, sarebbe difficilecongetturare». Argomenti di questa fatta, che quasi mairisolvono la questione, sono ripetuti sino alla sazietà.

L'autore fa appello anche al Vecchio Testamento, per-chè appoggi le sue idee, e riporta i più bei passi dei sal-mi:

«Quando considero i Tuoi cieli, lavoro delle Tuemani, la luna e le stelle che Tu hai ordinato, che cos'èl'uomo, mi domando, perchè Tu debba ricordarti di lui?»Al che risponde: «Non possiamo dubitare che furono lesue ispirazioni (parla di David) che gli rivelarono lagrandezza, la distanza e il perchè delle gloriose sfereche attiravano la sua ammirazione». E dopo avere ripor-tati molti altri versetti dei profeti, dai quali crede ricava-re un sostegno alle sue teorie, espone una sua ideastraordinaria come argomento probatorio, cioè che i pia-neti, o almeno molti di essi, saranno la futura dimoradell'uomo. Egli dice: «La futura esistenza dell'uomoconsisterà, come quella presente, in una natura spiritualeresidente in una spoglia mortale, perciò potrà vivere so-pra un pianeta materiale, soggetto a tutte le leggi dellamateria.» E conclude: «Se non vi è spazio sopra il no-stro globo per i milioni e milioni di esseri che hannovissuto e che sono morti sulla sua superficie, non pos-siamo dubitare menomamente che la loro futura dimoranon debba essere sopra uno dei primari o secondari pia-neti del sistema solare, gli abitanti dei quali abbiano ces-sato di esistere; oppure sopra pianeti che si trovano, da

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in tal caso, perchè la casa sia stata costruita, la città fon-data, il pianeta fatto e l'Universo creato, sarebbe difficilecongetturare». Argomenti di questa fatta, che quasi mairisolvono la questione, sono ripetuti sino alla sazietà.

L'autore fa appello anche al Vecchio Testamento, per-chè appoggi le sue idee, e riporta i più bei passi dei sal-mi:

«Quando considero i Tuoi cieli, lavoro delle Tuemani, la luna e le stelle che Tu hai ordinato, che cos'èl'uomo, mi domando, perchè Tu debba ricordarti di lui?»Al che risponde: «Non possiamo dubitare che furono lesue ispirazioni (parla di David) che gli rivelarono lagrandezza, la distanza e il perchè delle gloriose sfereche attiravano la sua ammirazione». E dopo avere ripor-tati molti altri versetti dei profeti, dai quali crede ricava-re un sostegno alle sue teorie, espone una sua ideastraordinaria come argomento probatorio, cioè che i pia-neti, o almeno molti di essi, saranno la futura dimoradell'uomo. Egli dice: «La futura esistenza dell'uomoconsisterà, come quella presente, in una natura spiritualeresidente in una spoglia mortale, perciò potrà vivere so-pra un pianeta materiale, soggetto a tutte le leggi dellamateria.» E conclude: «Se non vi è spazio sopra il no-stro globo per i milioni e milioni di esseri che hannovissuto e che sono morti sulla sua superficie, non pos-siamo dubitare menomamente che la loro futura dimoranon debba essere sopra uno dei primari o secondari pia-neti del sistema solare, gli abitanti dei quali abbiano ces-sato di esistere; oppure sopra pianeti che si trovano, da

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un lungo periodo, in istato di preparazione, come lo fula nostra terra per l'avvento della vita intellettuale».

Ci sentiamo sollevare lo spirito quando abbandonia-mo simili volgari e deficienti argomenti, e prendiamo inmano opere recenti che trattano diffusamente questa ma-teria, come quella del defunto Riccardo A. Proctor: Altrimondi oltre il nostro, od un altro suo volume pubblicatocinque anni fa: Il nostro posto nell'infinito. Scritti comesono da uno dei più celebri astronomi contemporanei,che unisce all'acutezza dei suoi ragionamenti la chiarez-za dell'esposizione ed una forma elegante, possiamo leg-gerli con piacere, trovando in essi diletto ed istruzione,anche se non possiamo associarci alle idee che espongo-no. Nella prima delle opere che abbiamo menzionato,l'autore parla, come David Brewster, della probabilità,accennata antecedentemente, che i pianeti siano abitati,e procede perla medesima via teologica, e tanto è com-preso della sua persuasione, che continuamente ritornaal suo dilemma favorito, cioè: che crederà che i pianetisiano abitati fino a che non gli saranno addotte ragioniplausibili per fargli credere il contrario; e provocandocosì le obiezioni degli scienziati, non si azzarda a prova-re la propria convinzione, ma solo espone ipoteticheconsiderazioni sui disegni inscrutabili di Dio allorchècreò i mondi. E prendendo questo come punto di parten-za, cerca di dimostrare come le molteplici difficoltàesposte da Whewell possano essere rimosse, facendoappello a fatti fisici e astronomici sui quali ragiona mi-rabilmente. Venendo poi alla conclusione che Giove,

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un lungo periodo, in istato di preparazione, come lo fula nostra terra per l'avvento della vita intellettuale».

Ci sentiamo sollevare lo spirito quando abbandonia-mo simili volgari e deficienti argomenti, e prendiamo inmano opere recenti che trattano diffusamente questa ma-teria, come quella del defunto Riccardo A. Proctor: Altrimondi oltre il nostro, od un altro suo volume pubblicatocinque anni fa: Il nostro posto nell'infinito. Scritti comesono da uno dei più celebri astronomi contemporanei,che unisce all'acutezza dei suoi ragionamenti la chiarez-za dell'esposizione ed una forma elegante, possiamo leg-gerli con piacere, trovando in essi diletto ed istruzione,anche se non possiamo associarci alle idee che espongo-no. Nella prima delle opere che abbiamo menzionato,l'autore parla, come David Brewster, della probabilità,accennata antecedentemente, che i pianeti siano abitati,e procede perla medesima via teologica, e tanto è com-preso della sua persuasione, che continuamente ritornaal suo dilemma favorito, cioè: che crederà che i pianetisiano abitati fino a che non gli saranno addotte ragioniplausibili per fargli credere il contrario; e provocandocosì le obiezioni degli scienziati, non si azzarda a prova-re la propria convinzione, ma solo espone ipoteticheconsiderazioni sui disegni inscrutabili di Dio allorchècreò i mondi. E prendendo questo come punto di parten-za, cerca di dimostrare come le molteplici difficoltàesposte da Whewell possano essere rimosse, facendoappello a fatti fisici e astronomici sui quali ragiona mi-rabilmente. Venendo poi alla conclusione che Giove,

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Saturno, Urano e Nettuno non possono essere abitati, neadduce coscenziosamente l'evidenza e ne determina ilresultato; ma quando afferma invece di credere che i sa-telliti di Giove e Nettuno possono essere abitati, conclu-de che, se possono esserlo, devono anche esserlo. Il piùgrande sbaglio nel complesso dei suoi argomenti locommette affermando di esser soddisfatto di potere di-mostrare che la vita può esistere altrove, ma non si fer-ma punto sulla questione se la vita possa essersi altrovesviluppata dai suoi primi rudimenti, producendo i piùperfetti vertebrati e l'uomo. Questo, come abbiamo giàaccennato, è il pernio di tutto il problema.

Circa gli altri pianeti, dopo un accurato esame di tuttociò che sappiamo intorno ad essi, l'autore arriva a con-cludere che, se Mercurio è protetto da un'atmosfera umi-da e nuvolosa di particolare costituzione, può esser an-che possibile, ma non probabile, che ivi esista una per-fetta vita animale; ma nel caso di Venere e di Marte, neiquali trova tanta somiglianza e tanta analogia con la Ter-ra, afferma che è pressochè indubitabile che ivi si trovila vita animale all'apice della perfezione.

Per le stelle fisse, che lo spettroscopio ci ha rivelatoquali veri soli, molti dei quali somigliano al nostro, e daiquali, come da questo, emanano luce e calore, Proctordice, che il fatto che le stelle emettono una grande quan-tità di calore, non solamente conduce alla conclusioneche intorno ad esse debbano aggirarsi mondi ai qualitale calore è destinato, ma fa intravedere altresì l'esisten-za delle varie forme di forza nelle quali può trasmutarsi

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Saturno, Urano e Nettuno non possono essere abitati, neadduce coscenziosamente l'evidenza e ne determina ilresultato; ma quando afferma invece di credere che i sa-telliti di Giove e Nettuno possono essere abitati, conclu-de che, se possono esserlo, devono anche esserlo. Il piùgrande sbaglio nel complesso dei suoi argomenti locommette affermando di esser soddisfatto di potere di-mostrare che la vita può esistere altrove, ma non si fer-ma punto sulla questione se la vita possa essersi altrovesviluppata dai suoi primi rudimenti, producendo i piùperfetti vertebrati e l'uomo. Questo, come abbiamo giàaccennato, è il pernio di tutto il problema.

Circa gli altri pianeti, dopo un accurato esame di tuttociò che sappiamo intorno ad essi, l'autore arriva a con-cludere che, se Mercurio è protetto da un'atmosfera umi-da e nuvolosa di particolare costituzione, può esser an-che possibile, ma non probabile, che ivi esista una per-fetta vita animale; ma nel caso di Venere e di Marte, neiquali trova tanta somiglianza e tanta analogia con la Ter-ra, afferma che è pressochè indubitabile che ivi si trovila vita animale all'apice della perfezione.

Per le stelle fisse, che lo spettroscopio ci ha rivelatoquali veri soli, molti dei quali somigliano al nostro, e daiquali, come da questo, emanano luce e calore, Proctordice, che il fatto che le stelle emettono una grande quan-tità di calore, non solamente conduce alla conclusioneche intorno ad esse debbano aggirarsi mondi ai qualitale calore è destinato, ma fa intravedere altresì l'esisten-za delle varie forme di forza nelle quali può trasmutarsi

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il calore. Noi infatti sappiamo che il calore solare che siriversa sul nostro globo si trasforma in vita animale evegetale e si manifesta in tutti i fenomeni della natura,cioè in venti, in nuvole, in pioggia, in lampi, in uraganie grandine; che le opere stesse dell'uomo si compionoper virtù del calore solare; perciò, il fatto che le stellescaldano gli altri corpi che le circondano, fa nascere innoi il pensiero che su questi mondi debba esistere qual-che forma di vita animale o vegetale.

Notiamo che, nella prima parte di questo passo, lapresenza dei mondi e dei pianeti è «suggestionata», eche nell'ultima si parla dei «mondi che si muovono in-torno alle stelle», come di un fatto provato, da cui sipossa desumere esistere altra vita animale e vegetale.Una suggestione dipendente da una precedente sugge-stione non è una base stabile ad una tanto vasta e tantodifficile conclusione.

Nella seconda delle opere su menzionate, vi è un ca-pitolo intitolato: Una nuova teoria della vita in altrimondi, in cui l'autore espone le sue più naturali conside-razioni sulle questioni che sono riassunte brevementenella prefazione, dicendo che «la chiara evidenza favori-sce la sua teoria della (relativa) scarsezza dei mondi».Le sue considerazioni si fondano quasi esclusivamentesulla teoria della probabilità, sul qual soggetto pare cheegli abbia fatto studi speciali. Occupandosi prima di tut-to del nostro globo, cerca di dimostrare che il periodo divita sulla sua superficie è assai corto, a paragone diquello durante il quale il globo lentamente si è formato e

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il calore. Noi infatti sappiamo che il calore solare che siriversa sul nostro globo si trasforma in vita animale evegetale e si manifesta in tutti i fenomeni della natura,cioè in venti, in nuvole, in pioggia, in lampi, in uraganie grandine; che le opere stesse dell'uomo si compionoper virtù del calore solare; perciò, il fatto che le stellescaldano gli altri corpi che le circondano, fa nascere innoi il pensiero che su questi mondi debba esistere qual-che forma di vita animale o vegetale.

Notiamo che, nella prima parte di questo passo, lapresenza dei mondi e dei pianeti è «suggestionata», eche nell'ultima si parla dei «mondi che si muovono in-torno alle stelle», come di un fatto provato, da cui sipossa desumere esistere altra vita animale e vegetale.Una suggestione dipendente da una precedente sugge-stione non è una base stabile ad una tanto vasta e tantodifficile conclusione.

Nella seconda delle opere su menzionate, vi è un ca-pitolo intitolato: Una nuova teoria della vita in altrimondi, in cui l'autore espone le sue più naturali conside-razioni sulle questioni che sono riassunte brevementenella prefazione, dicendo che «la chiara evidenza favori-sce la sua teoria della (relativa) scarsezza dei mondi».Le sue considerazioni si fondano quasi esclusivamentesulla teoria della probabilità, sul qual soggetto pare cheegli abbia fatto studi speciali. Occupandosi prima di tut-to del nostro globo, cerca di dimostrare che il periodo divita sulla sua superficie è assai corto, a paragone diquello durante il quale il globo lentamente si è formato e

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raffreddato, mentre la sua atmosfera condensandosi for-mava la terra e le acque che lo ricuoprono; e quindi, seconsideriamo il tempo che l'uomo lo ha abitato, trovia-mo che non è che una minima parte, forse neppure lamillesima, del periodo durante il quale questo globo haesistito come pianeta. Aggiunge che, se noi consideria-mo quei pianeti la cui fisica condizione ci sembra taleda farli capaci di sostener la vita, è molto dubbio il gra-do di sviluppo raggiunto dagli esseri che vi possono esi-stere; vale a dire che noi ignoriamo, non soltanto se lavita abbia cominciato a svilupparvisi, ma anche se abbiaraggiunto un alto grado di perfezione, come sul nostroglobo.

Per quel che riguarda le stelle, l'argomento è semprepiù difficile, perchè le epoche necessarie alla loro for-mazione sono assolutamente sconosciute, così comesconosciuti del tutto sono quei sistemi planetari che pos-sono gravitare intorno ad esse. E su ciò vorrei fare os-servare che non sappiamo se vi siano delle probabilità, oanche delle possibilità, che questi soli abbiano prodottopianeti, che, per la loro posizione, grandezza, atmosfera,o altre fisiche condizioni, siano diventati mondi atti allavita. Se vogliamo spingerci più oltre, vedremo che que-sto quesito è stato trattato a esuberanza da molti scritto-ri, non escluso lo stesso Proctor, il quale conchiude che,se anche i mondi che possono essere abitati da esseri so-miglianti a quelli della terra, ci sembrano in numero re-lativamente scarso, ove consideriamo l'Universo comeinfinito potrebbero anche essere molti.

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raffreddato, mentre la sua atmosfera condensandosi for-mava la terra e le acque che lo ricuoprono; e quindi, seconsideriamo il tempo che l'uomo lo ha abitato, trovia-mo che non è che una minima parte, forse neppure lamillesima, del periodo durante il quale questo globo haesistito come pianeta. Aggiunge che, se noi consideria-mo quei pianeti la cui fisica condizione ci sembra taleda farli capaci di sostener la vita, è molto dubbio il gra-do di sviluppo raggiunto dagli esseri che vi possono esi-stere; vale a dire che noi ignoriamo, non soltanto se lavita abbia cominciato a svilupparvisi, ma anche se abbiaraggiunto un alto grado di perfezione, come sul nostroglobo.

Per quel che riguarda le stelle, l'argomento è semprepiù difficile, perchè le epoche necessarie alla loro for-mazione sono assolutamente sconosciute, così comesconosciuti del tutto sono quei sistemi planetari che pos-sono gravitare intorno ad esse. E su ciò vorrei fare os-servare che non sappiamo se vi siano delle probabilità, oanche delle possibilità, che questi soli abbiano prodottopianeti, che, per la loro posizione, grandezza, atmosfera,o altre fisiche condizioni, siano diventati mondi atti allavita. Se vogliamo spingerci più oltre, vedremo che que-sto quesito è stato trattato a esuberanza da molti scritto-ri, non escluso lo stesso Proctor, il quale conchiude che,se anche i mondi che possono essere abitati da esseri so-miglianti a quelli della terra, ci sembrano in numero re-lativamente scarso, ove consideriamo l'Universo comeinfinito potrebbero anche essere molti.

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Era necessario dedicar qualche pagina alle idee di co-loro che si occuparono espressamente della pluralità deimondi, perchè le loro opere furono molto lette e com-mentate, ed ebbero molta influenza sulle opinioni che sihanno del nostro mondo, tanto più che Proctor, nel suoultimo lavoro che tratta questo soggetto, parla della teo-ria come «identificata con la moderna astronomia». In-fatti, se ne discute sempre in molte opere di astronomiapopolare; però tutte seguono la medesima linea generaled'argomentazione, già riferita, ed il curioso è che, men-tre rilevano molte delle più essenziali condizioni dellavita, parlano anche spesso di quelle che non sono pernulla essenziali, come, per esempio, che l'atmosferadebba avere le stesse proporzioni d'ossigeno della no-stra. E poichè affermano, e giustamente, che se qualcu-no dei nostri quadrupedi o dei nostri uccelli fosse tra-sportato in un altro pianeta, non vi potrebbe vivere, con-chiudono che gli altri pianeti non possono essere abitatida esseri perfettamente organizzati; ma osservando ilfatto palese che l'ossigeno è necessario alla vita, datoche l'ossigeno esista in altri globi in date proporzioni,aggiungono che la vita deve necessariamente essersiadattata a quelle proporzioni, che sono probabilmentemaggiori o minori che sul nostro globo.

Il presente volume dimostrerà quanto leggermente siastata trattata questa questione, che comprende tutta lavarietà delle importanti considerazioni sopra accennate,le quali sono molte e di diverso carattere, ma tutte con-vergono alla medesima conclusione, almeno per quel

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Era necessario dedicar qualche pagina alle idee di co-loro che si occuparono espressamente della pluralità deimondi, perchè le loro opere furono molto lette e com-mentate, ed ebbero molta influenza sulle opinioni che sihanno del nostro mondo, tanto più che Proctor, nel suoultimo lavoro che tratta questo soggetto, parla della teo-ria come «identificata con la moderna astronomia». In-fatti, se ne discute sempre in molte opere di astronomiapopolare; però tutte seguono la medesima linea generaled'argomentazione, già riferita, ed il curioso è che, men-tre rilevano molte delle più essenziali condizioni dellavita, parlano anche spesso di quelle che non sono pernulla essenziali, come, per esempio, che l'atmosferadebba avere le stesse proporzioni d'ossigeno della no-stra. E poichè affermano, e giustamente, che se qualcu-no dei nostri quadrupedi o dei nostri uccelli fosse tra-sportato in un altro pianeta, non vi potrebbe vivere, con-chiudono che gli altri pianeti non possono essere abitatida esseri perfettamente organizzati; ma osservando ilfatto palese che l'ossigeno è necessario alla vita, datoche l'ossigeno esista in altri globi in date proporzioni,aggiungono che la vita deve necessariamente essersiadattata a quelle proporzioni, che sono probabilmentemaggiori o minori che sul nostro globo.

Il presente volume dimostrerà quanto leggermente siastata trattata questa questione, che comprende tutta lavarietà delle importanti considerazioni sopra accennate,le quali sono molte e di diverso carattere, ma tutte con-vergono alla medesima conclusione, almeno per quel

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che ci consta, non ancora raggiunta da alcun precedentescrittore, cioè rendere il problema degno dell'osserva-zione e degli studi accurati degli imparziali pensatori.Su questo soggetto non è possibile ottenere l'evidenza,ma oso credere che, poichè tante probabilità e induzionimirano ad una teoria sola e definita, che ha intimi ed im-mediati rapporti con la natura e col destino dell'uomostesso, questa teoria verrà in tal modo portata ad unmolto più alto grado di probabilità, di quel che non ab-biano fatto le vaghe possibilità e le teologiche sugge-stioni addotte dagli antecedenti scrittori.

Affinchè ogni passo del mio libro sia chiaro ed intelli-gibile all'argomentazione dei colti lettori, sarà necessa-rio di ricorrere continuamente alle cognizioni così mera-vigliosamente vaste che possediamo sull'Universo, ac-quistate nella seconda metà del secolo scorso, che costi-tuiscono quella che noi chiamiamo nuova astronomia.Perciò il seguente capitolo sarà tutto dedicato ad unasemplice ed elementare esposizione del nuovo metododi ricerche, e dei resultati ottenuti, che saranno poi ap-plicati nei successivi capitoli. Spero che la chiarezzadell'esposizione non mi renda noioso o difficile.

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che ci consta, non ancora raggiunta da alcun precedentescrittore, cioè rendere il problema degno dell'osserva-zione e degli studi accurati degli imparziali pensatori.Su questo soggetto non è possibile ottenere l'evidenza,ma oso credere che, poichè tante probabilità e induzionimirano ad una teoria sola e definita, che ha intimi ed im-mediati rapporti con la natura e col destino dell'uomostesso, questa teoria verrà in tal modo portata ad unmolto più alto grado di probabilità, di quel che non ab-biano fatto le vaghe possibilità e le teologiche sugge-stioni addotte dagli antecedenti scrittori.

Affinchè ogni passo del mio libro sia chiaro ed intelli-gibile all'argomentazione dei colti lettori, sarà necessa-rio di ricorrere continuamente alle cognizioni così mera-vigliosamente vaste che possediamo sull'Universo, ac-quistate nella seconda metà del secolo scorso, che costi-tuiscono quella che noi chiamiamo nuova astronomia.Perciò il seguente capitolo sarà tutto dedicato ad unasemplice ed elementare esposizione del nuovo metododi ricerche, e dei resultati ottenuti, che saranno poi ap-plicati nei successivi capitoli. Spero che la chiarezzadell'esposizione non mi renda noioso o difficile.

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CAPITOLO III.LA NUOVA ASTRONOMIA

Durante la seconda metà del secolo passato si feceroscoperte ed invenzioni, che molto contribuirono ad au-mentare il potere delle ricerche astronomiche: ci fu datospingere le nostre investigazioni in regioni affatto nuovee neanche supposte più di duecento anni prima, quandofu inventato il telescopio. La vecchia astronomia, cheormai data da oltre duemila anni, era tutta meccanica ematematica, e si limitava all'osservazione e alla misuradel movimento apparente dei corpi celesti, tentando dicomprendere, in base a quel moto apparente, il motoreale e determinare così la struttura del sistema solare. Ilprimo a portar nuova luce in questo campo della cono-scenza fu Kepler, che instituì le sue tre celebri leggi; poiNewton, il quale dimostrò che queste leggi sono la ne-cessaria conseguenza di una legge di gravitazione; poialtri osservatori matematici provarono che ogni ulterioreirregolarità sui movimenti dei pianeti veniva spiegata dauna più profonda e minuta applicazione di queste leggi.

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CAPITOLO III.LA NUOVA ASTRONOMIA

Durante la seconda metà del secolo passato si feceroscoperte ed invenzioni, che molto contribuirono ad au-mentare il potere delle ricerche astronomiche: ci fu datospingere le nostre investigazioni in regioni affatto nuovee neanche supposte più di duecento anni prima, quandofu inventato il telescopio. La vecchia astronomia, cheormai data da oltre duemila anni, era tutta meccanica ematematica, e si limitava all'osservazione e alla misuradel movimento apparente dei corpi celesti, tentando dicomprendere, in base a quel moto apparente, il motoreale e determinare così la struttura del sistema solare. Ilprimo a portar nuova luce in questo campo della cono-scenza fu Kepler, che instituì le sue tre celebri leggi; poiNewton, il quale dimostrò che queste leggi sono la ne-cessaria conseguenza di una legge di gravitazione; poialtri osservatori matematici provarono che ogni ulterioreirregolarità sui movimenti dei pianeti veniva spiegata dauna più profonda e minuta applicazione di queste leggi.

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Fu allora che questo ramo dell'astronomia raggiunse lasua maggior forza efficiente e lasciò poco più da deside-rare.

Comparve il telescopio, ed allora obbietto della osser-vazione dei dotti fu la superficie dei pianeti e dei lorosatelliti, che furono guardati e scrutati con la massimapazienza, allo scopo, se pure fosse possibile, di acqui-stare maggiori cognizioni sulla loro costituzione fisica esulla loro storia. Simili accurati studi furono rivolti allestelle, alle nebulose, agli ammassi stellari, e tutto il cielofu disegnato e descritto, e per tutto il mondo si diffuseroelaborati cataloghi fatti da astronomi entusiasti. Altri sidedicarono al grande e difficile problema della determi-nazione delle distanze stellari, e verso la metà del secoloqualche distanza fu infatti misurata in modo soddisfa-cente.

Verso la metà del secolo decimonono fu creduto pro-babile che l'astronomia dell'avvenire si sarebbe quasicompletamente limitata al perfezionamento del telesco-pio e degli altri varî strumenti di misura, per mezzo deiquali sarebbe possibile ottenere una più esatta determi-nazione delle distanze. Infatti il fondatore della filosofiapositiva, Augusto Comte, ne fu così persuaso che scon-sigliò ogni ulteriore studio sulle stelle, dicendo che eratempo sprecato, perchè mai avrebbe condotto ad un re-sultato utile e concreto. Nel suo Trattato filosoficod'astronomia popolare, pubblicato nel 1844, egli sosten-ne questa sua opinione con molta energia ed affermòche, siccome le stelle non sono per noi accessibili altri-

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Fu allora che questo ramo dell'astronomia raggiunse lasua maggior forza efficiente e lasciò poco più da deside-rare.

Comparve il telescopio, ed allora obbietto della osser-vazione dei dotti fu la superficie dei pianeti e dei lorosatelliti, che furono guardati e scrutati con la massimapazienza, allo scopo, se pure fosse possibile, di acqui-stare maggiori cognizioni sulla loro costituzione fisica esulla loro storia. Simili accurati studi furono rivolti allestelle, alle nebulose, agli ammassi stellari, e tutto il cielofu disegnato e descritto, e per tutto il mondo si diffuseroelaborati cataloghi fatti da astronomi entusiasti. Altri sidedicarono al grande e difficile problema della determi-nazione delle distanze stellari, e verso la metà del secoloqualche distanza fu infatti misurata in modo soddisfa-cente.

Verso la metà del secolo decimonono fu creduto pro-babile che l'astronomia dell'avvenire si sarebbe quasicompletamente limitata al perfezionamento del telesco-pio e degli altri varî strumenti di misura, per mezzo deiquali sarebbe possibile ottenere una più esatta determi-nazione delle distanze. Infatti il fondatore della filosofiapositiva, Augusto Comte, ne fu così persuaso che scon-sigliò ogni ulteriore studio sulle stelle, dicendo che eratempo sprecato, perchè mai avrebbe condotto ad un re-sultato utile e concreto. Nel suo Trattato filosoficod'astronomia popolare, pubblicato nel 1844, egli sosten-ne questa sua opinione con molta energia ed affermòche, siccome le stelle non sono per noi accessibili altri-

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menti che per mezzo della vista, rimarranno sempre diimperfetta conoscenza. Sappiamo che esistono, e pocopiù potremo sapere di esse. Anche se noi le consideria-mo come semplici fenomeni, per quel che riguarda laloro temperatura saranno sempre inapprezzabili ad unesame soltanto visuale. La conoscenza che abbiamo del-le stelle è adunque in gran parte negativa, cioè, non pos-siamo dire altro con sicurezza che esse non appartengo-no al nostro sistema. Ma oltre questo sistema tutto èdubbio e confusione in astronomia, per mancanza di fat-ti indiscutibili, tanto che il Comte conclude: «Per oltremezzo secolo si è tentato invano di creare due basi di-stinte in astronomia, l'una solare, l'altra siderale. Per co-loro che credono alla scienza che si appoggia sopra leg-gi vere, quella che non si basa che sopra fatti discordantinon esiste che di nome, e solamente la prima rappresen-ta la vera astronomia, nè temo di aggiungere che sempreè stato così.» E continua: «Ogni sforzo che per mezzosecolo ha mirato a questo scopo, non ha fatto che accu-mulare tanti fatti empirici e discordanti, che non posso-no far altro che interessare una irragionevole curiosità.»

Spesso, nella scienza, una fiduciosa, asserzione deci-siva ha provocato una risposta che l'ha annichilita, comequella che fu data alle induzioni del Comte, perchè nel1860, solo tre anni dopo la sua morte, fu applicato allestelle il metodo dell'analisi spettrale, che operò una rivo-luzione in astronomia, mettendoci in grado di procurarcitante cognizioni che altrimenti non avremmo mai potutoavere. Per mezzo dell'analisi spettrale noi sappiamo

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menti che per mezzo della vista, rimarranno sempre diimperfetta conoscenza. Sappiamo che esistono, e pocopiù potremo sapere di esse. Anche se noi le consideria-mo come semplici fenomeni, per quel che riguarda laloro temperatura saranno sempre inapprezzabili ad unesame soltanto visuale. La conoscenza che abbiamo del-le stelle è adunque in gran parte negativa, cioè, non pos-siamo dire altro con sicurezza che esse non appartengo-no al nostro sistema. Ma oltre questo sistema tutto èdubbio e confusione in astronomia, per mancanza di fat-ti indiscutibili, tanto che il Comte conclude: «Per oltremezzo secolo si è tentato invano di creare due basi di-stinte in astronomia, l'una solare, l'altra siderale. Per co-loro che credono alla scienza che si appoggia sopra leg-gi vere, quella che non si basa che sopra fatti discordantinon esiste che di nome, e solamente la prima rappresen-ta la vera astronomia, nè temo di aggiungere che sempreè stato così.» E continua: «Ogni sforzo che per mezzosecolo ha mirato a questo scopo, non ha fatto che accu-mulare tanti fatti empirici e discordanti, che non posso-no far altro che interessare una irragionevole curiosità.»

Spesso, nella scienza, una fiduciosa, asserzione deci-siva ha provocato una risposta che l'ha annichilita, comequella che fu data alle induzioni del Comte, perchè nel1860, solo tre anni dopo la sua morte, fu applicato allestelle il metodo dell'analisi spettrale, che operò una rivo-luzione in astronomia, mettendoci in grado di procurarcitante cognizioni che altrimenti non avremmo mai potutoavere. Per mezzo dell'analisi spettrale noi sappiamo

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molto sulla costituzione fisica e chimica delle stelle edelle nebulose, e possiamo dire che ci siamo fattaun'idea abbastanza precisa della natura, costituzione edistanza degli immensi soli che chiamiamo col nomegenerico di stelle, più chiara assai di quella che abbiamodella maggior parte dei pianeti del nostro sistema. Ab-biamo anche potuto accertarci dell'esistenza di numero-se stelle invisibili, determinarne l'orbita, il movimento ela velocità, ed anche, approssimativamente, la massa. Ladisprezzata astronomia stellare del principiare del seco-lo, si è così innalzata al grado di necessità, e rappresentanella scienza generale una parte importantissima, chepromette per il futuro ancor più meravigliose scoperte.Avremo spesso da parlare, nel corso di questo libro, deirisultati ottenuti per mezzo di questo potente mezzo diricerca che è l'analisi spettrale, accenneremo quindi oraalla sua natura ed ai principî dai quali dipende.

Lo spettro solare è quella striscia di luce colorata chesi vede nell'arcobaleno e, parzialmente, nelle gocciole dirugiada, ma che si rende del tutto evidente quando unraggio di sole traversa un prisma o un pezzo di ghiacciodi forma triangolare. Allora non scorgiamo più un rag-gio di luce bianca, ma una sottile striscia di brillanti co-lori disposti regolarmente, che cominciano da una partecol violetto, al quale segue il turchino, il verde, il gialloed in ultimo il rosso. Da ciò possiamo intuire che la lucenon è una irradiazione sempre uniforme del sole, ma cheinvece è composta di un certo numero di raggi separati,ciascuno dei quali produce ai nostri occhi la sensazione

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molto sulla costituzione fisica e chimica delle stelle edelle nebulose, e possiamo dire che ci siamo fattaun'idea abbastanza precisa della natura, costituzione edistanza degli immensi soli che chiamiamo col nomegenerico di stelle, più chiara assai di quella che abbiamodella maggior parte dei pianeti del nostro sistema. Ab-biamo anche potuto accertarci dell'esistenza di numero-se stelle invisibili, determinarne l'orbita, il movimento ela velocità, ed anche, approssimativamente, la massa. Ladisprezzata astronomia stellare del principiare del seco-lo, si è così innalzata al grado di necessità, e rappresentanella scienza generale una parte importantissima, chepromette per il futuro ancor più meravigliose scoperte.Avremo spesso da parlare, nel corso di questo libro, deirisultati ottenuti per mezzo di questo potente mezzo diricerca che è l'analisi spettrale, accenneremo quindi oraalla sua natura ed ai principî dai quali dipende.

Lo spettro solare è quella striscia di luce colorata chesi vede nell'arcobaleno e, parzialmente, nelle gocciole dirugiada, ma che si rende del tutto evidente quando unraggio di sole traversa un prisma o un pezzo di ghiacciodi forma triangolare. Allora non scorgiamo più un rag-gio di luce bianca, ma una sottile striscia di brillanti co-lori disposti regolarmente, che cominciano da una partecol violetto, al quale segue il turchino, il verde, il gialloed in ultimo il rosso. Da ciò possiamo intuire che la lucenon è una irradiazione sempre uniforme del sole, ma cheinvece è composta di un certo numero di raggi separati,ciascuno dei quali produce ai nostri occhi la sensazione

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di un colore speciale. Ciò vale a spiegare che la luce èdovuta a certe vibrazioni dell'etere, misteriosa sostanzache non solamente passa per i meati di ogni natura, mariempie lo spazio esistente fra le più remote stelle e frale nebulose. Dei movimenti appena sensibili, o vibrazio-ni dell'etere, producono i fenomeni del calore, della lucee dei colori, così come la fotografia deve i suoi sorpren-denti effetti a certi processi chimici. Per mezzo d'inge-gnosi esperimenti, si sono potute misurare l'estensione el'energia di questi movimenti, ed è stato constatato cheessi variano in modo considerevole e che taluni produ-cono la luce rossa, l'ultima dello spettro, con un'onda

lunga circa 1326.000

di pollice, mentre le vibrazioni

della luce violetta, che limita la parte opposta dello spet-tro, hanno solamente circa la metà di tale lunghezza,

cioè 1630.000

di pollice. La frequenza con la quale le

dette vibrazioni si succedono è di 302 milioni di milioniogni secondo per i raggi rossi, e di 737 milioni di milio-ni per quelli violetti. Riferisco queste cifre per far com-prendere la meravigliosa esiguità e la rapidità di queimovimenti di luce e di calore, dai quali dipende tutta lavita del mondo e quindi anche le nostre cognizioni suglialtri mondi e sugli altri soli.

Ma i raggi coloranti dello spettro solare non sono laparte più importante di esso. Al principio del secolo de-cimonono, un accurato esame dimostrò che esistono in

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di un colore speciale. Ciò vale a spiegare che la luce èdovuta a certe vibrazioni dell'etere, misteriosa sostanzache non solamente passa per i meati di ogni natura, mariempie lo spazio esistente fra le più remote stelle e frale nebulose. Dei movimenti appena sensibili, o vibrazio-ni dell'etere, producono i fenomeni del calore, della lucee dei colori, così come la fotografia deve i suoi sorpren-denti effetti a certi processi chimici. Per mezzo d'inge-gnosi esperimenti, si sono potute misurare l'estensione el'energia di questi movimenti, ed è stato constatato cheessi variano in modo considerevole e che taluni produ-cono la luce rossa, l'ultima dello spettro, con un'onda

lunga circa 1326.000

di pollice, mentre le vibrazioni

della luce violetta, che limita la parte opposta dello spet-tro, hanno solamente circa la metà di tale lunghezza,

cioè 1630.000

di pollice. La frequenza con la quale le

dette vibrazioni si succedono è di 302 milioni di milioniogni secondo per i raggi rossi, e di 737 milioni di milio-ni per quelli violetti. Riferisco queste cifre per far com-prendere la meravigliosa esiguità e la rapidità di queimovimenti di luce e di calore, dai quali dipende tutta lavita del mondo e quindi anche le nostre cognizioni suglialtri mondi e sugli altri soli.

Ma i raggi coloranti dello spettro solare non sono laparte più importante di esso. Al principio del secolo de-cimonono, un accurato esame dimostrò che esistono in

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ogni parte dello spettro delle linee scure di diverso spes-sore, qualche volta isolate, qualche volta riunite in grup-pi. Molti dotti le studiarono e ne fecero degli esatti dise-gni, che ne indicarono la posizione e lo spessore, e conla combinazione di diversi prismi, messi in maniera cheil raggio del sole li traversasse successivamente, unospettro potè financo mostrare più di 300 di queste lineenere, anche lunghe parecchi piedi. Ma cosa tali linee de-notassero, e quale fosse la causa di esse rimase un mi-stero, finchè nell'anno 1860 il fisico tedesco Kirchhoffpotè darne una spiegazione, dando così ai fisici e agliastronomi un nuovo ed inaspettato strumento per i loroesperimenti.

Era già stato osservato che gli elementi chimici inistato di incandescenza producono spettri consistenti inlinee o strisce colorate, sempre eguali per ogni elemen-to, di modo che si può subito riconoscere un corpo sem-plice soltanto dall'aspetto caratteristico del relativo spet-tro. Era pure stato veduto che molte delle dette strisce,specialmente quella gialla prodotta dal sodio, avevanouna posizione eguale a certe linee nere dello spettro so-lare. La scoperta di Kirchhoff dimostrò che, quando laluce proveniente da un corpo incandescente passa per lamedesima sostanza ridotta allo stato di gas o di vapore,tanta luce è assorbita che le linee o strisce diventanoscure nello spettro. Così fu rivelato l'enigma che da oltremezzo secolo imbarazzava gli scienziati, poichè fu con-statato che le numerosissime linee nere dello spettro so-lare sono prodotte dalla luce delle materie incandescenti

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ogni parte dello spettro delle linee scure di diverso spes-sore, qualche volta isolate, qualche volta riunite in grup-pi. Molti dotti le studiarono e ne fecero degli esatti dise-gni, che ne indicarono la posizione e lo spessore, e conla combinazione di diversi prismi, messi in maniera cheil raggio del sole li traversasse successivamente, unospettro potè financo mostrare più di 300 di queste lineenere, anche lunghe parecchi piedi. Ma cosa tali linee de-notassero, e quale fosse la causa di esse rimase un mi-stero, finchè nell'anno 1860 il fisico tedesco Kirchhoffpotè darne una spiegazione, dando così ai fisici e agliastronomi un nuovo ed inaspettato strumento per i loroesperimenti.

Era già stato osservato che gli elementi chimici inistato di incandescenza producono spettri consistenti inlinee o strisce colorate, sempre eguali per ogni elemen-to, di modo che si può subito riconoscere un corpo sem-plice soltanto dall'aspetto caratteristico del relativo spet-tro. Era pure stato veduto che molte delle dette strisce,specialmente quella gialla prodotta dal sodio, avevanouna posizione eguale a certe linee nere dello spettro so-lare. La scoperta di Kirchhoff dimostrò che, quando laluce proveniente da un corpo incandescente passa per lamedesima sostanza ridotta allo stato di gas o di vapore,tanta luce è assorbita che le linee o strisce diventanoscure nello spettro. Così fu rivelato l'enigma che da oltremezzo secolo imbarazzava gli scienziati, poichè fu con-statato che le numerosissime linee nere dello spettro so-lare sono prodotte dalla luce delle materie incandescenti

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che si trovano sulla superficie del sole, e che passa attra-verso i gas o vapori incandescenti che lo circondano piùda vicino; quindi la linea colorata dei brillanti colori deirispettivi spettri diventa nera a causa dell'assorbimento.

Subito fisici e chimici si misero all'opera per esami-nare gli spettri di tutti gli elementi, fissando nello stessotempo la posizione delle diverse linee o strisce colorate,mediante accurate misure, e comparandole con le lineenere dello spettro solare. I risultati furono oltre ogni diresoddisfacenti. La maggior parte degli elementi chimiciconosciuti presenta delle linee nere che corrispondonoesattamente ad un gruppo di altre linee nello spettro so-lare; sul sole quindi devono evidentemente esistere queimedesimi elementi la cui esistenza è stata constatata sul-la terra. Fra i primi corpi in tal guisa scoperti, furonol'idrogeno, il sodio, il ferro, il rame, il magnesio, lo zin-co, il calcio e molti altri. Quasi quaranta elementi sonostati così rintracciati sul sole, e vi sono grandissime pro-babilità che anche tutti gli altri da noi conosciuti vi esi-stano, ma parecchi o sono molto rari o si presentano incosì piccole quantità che non si possono rivelare. D'altrocanto, molte delle linee scure dello spettro solare nonappartengono a nessuno degli elementi conosciuti sullaterra; uno di questi è quel sottile helium, tenuissimo gasla cui presenza fu dapprima constatata sul sole, e che inseguito venne anche scoperto in piccole proporzioni inun raro minerale terrestre. Parecchi degli elementi sonorappresentati da molte linee, altri da poche. Il ferro, per

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che si trovano sulla superficie del sole, e che passa attra-verso i gas o vapori incandescenti che lo circondano piùda vicino; quindi la linea colorata dei brillanti colori deirispettivi spettri diventa nera a causa dell'assorbimento.

Subito fisici e chimici si misero all'opera per esami-nare gli spettri di tutti gli elementi, fissando nello stessotempo la posizione delle diverse linee o strisce colorate,mediante accurate misure, e comparandole con le lineenere dello spettro solare. I risultati furono oltre ogni diresoddisfacenti. La maggior parte degli elementi chimiciconosciuti presenta delle linee nere che corrispondonoesattamente ad un gruppo di altre linee nello spettro so-lare; sul sole quindi devono evidentemente esistere queimedesimi elementi la cui esistenza è stata constatata sul-la terra. Fra i primi corpi in tal guisa scoperti, furonol'idrogeno, il sodio, il ferro, il rame, il magnesio, lo zin-co, il calcio e molti altri. Quasi quaranta elementi sonostati così rintracciati sul sole, e vi sono grandissime pro-babilità che anche tutti gli altri da noi conosciuti vi esi-stano, ma parecchi o sono molto rari o si presentano incosì piccole quantità che non si possono rivelare. D'altrocanto, molte delle linee scure dello spettro solare nonappartengono a nessuno degli elementi conosciuti sullaterra; uno di questi è quel sottile helium, tenuissimo gasla cui presenza fu dapprima constatata sul sole, e che inseguito venne anche scoperto in piccole proporzioni inun raro minerale terrestre. Parecchi degli elementi sonorappresentati da molte linee, altri da poche. Il ferro, per

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esempio, ne ha più di 2000, mentre il piombo ed il po-tassio ne hanno una per ciascuno.

Per gli astronomi che vollero determinare la costitu-zione dei corpi celesti, lo spettroscopio e la chimica ac-quistarono gran valore, e divenne di somma importanzail conoscere la posizione delle linee nere nello spettrosolare, come di quelle lucide negli spettri di tutti gli ele-menti, determinate con grande accuratezza per poternefare un esatto paragone. E ciò fu fatto dapprima permezzo di disegni eseguiti su grande scala, riproducentil'esatta posizione di ciascuna delle linee scure o lucide.Ma poi fu riscontrato che questo sistema presentavamolti inconvenienti, senza avere il vantaggio dell'esat-tezza voluta, e perciò fu convenuto di adottare una scalanaturale per la lunghezza d'onda delle varie parti dellospettro. La misura relativa si può ottenere per mezzo deicosì detti reticoli di diffrazione, che consistono in unasuperficie levigata di metallo durissimo, solcata da innu-merevoli linee, qualche volta anche più di 20000 ognipollice. Quando il raggio del sole cade sopra uno di que-sti, vi si riflette, e per l'interferenza dei raggi fra lo spa-zio dei delicati solchi, si converte in un bellissimo e per-fetto spettro, che, quando le linee sono molto vicinel'una all'altra, raggiunge la lunghezza di qualche yard. Inqueste diffrazioni degli spettri si possono vedere moltelinee non visibili in altra guisa, e lo spettro che ne resul-ta è molto più uniforme di quello prodotto dai prismi dicristallo, nei quali, per quanto minima sia la differenza

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esempio, ne ha più di 2000, mentre il piombo ed il po-tassio ne hanno una per ciascuno.

Per gli astronomi che vollero determinare la costitu-zione dei corpi celesti, lo spettroscopio e la chimica ac-quistarono gran valore, e divenne di somma importanzail conoscere la posizione delle linee nere nello spettrosolare, come di quelle lucide negli spettri di tutti gli ele-menti, determinate con grande accuratezza per poternefare un esatto paragone. E ciò fu fatto dapprima permezzo di disegni eseguiti su grande scala, riproducentil'esatta posizione di ciascuna delle linee scure o lucide.Ma poi fu riscontrato che questo sistema presentavamolti inconvenienti, senza avere il vantaggio dell'esat-tezza voluta, e perciò fu convenuto di adottare una scalanaturale per la lunghezza d'onda delle varie parti dellospettro. La misura relativa si può ottenere per mezzo deicosì detti reticoli di diffrazione, che consistono in unasuperficie levigata di metallo durissimo, solcata da innu-merevoli linee, qualche volta anche più di 20000 ognipollice. Quando il raggio del sole cade sopra uno di que-sti, vi si riflette, e per l'interferenza dei raggi fra lo spa-zio dei delicati solchi, si converte in un bellissimo e per-fetto spettro, che, quando le linee sono molto vicinel'una all'altra, raggiunge la lunghezza di qualche yard. Inqueste diffrazioni degli spettri si possono vedere moltelinee non visibili in altra guisa, e lo spettro che ne resul-ta è molto più uniforme di quello prodotto dai prismi dicristallo, nei quali, per quanto minima sia la differenza

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di composizione del cristallo adoperato, pure la rifrazio-ne non avviene mai in tutti in modo identico.

Gli spettri ottenuti dai reticoli di diffrazione sonodoppi, cioè si distendono da ambo i lati della linea cen-trale del raggio, che rimane bianca, mentre le linee colo-rate o scure sono chiaramente definite e possono essereproiettate sopra uno schermo posto a molta distanza,poichè lo spettro raggiunge considerevoli lunghezze. Glielementi per ottenere la lunghezza d'onda sono: la di-stanza delle linee, la distanza dello schermo e la distan-za fra il primo paio di linee scure da ambo i lati della li-nea centrale luminosa. Tutte queste distanze possono es-sere accuratamente misurate col telescopio, col micro-metro e con altri mezzi, e permettono di ottenere unaesatta determinazione della lunghezza d'onda, che pro-babilmente non avremmo potuto conoscere se ci fossi-mo serviti di altri metodi di misurazione.

Essendo la lunghezza d'onda eccessivamente piccola,è stato convenuto di fissare per essa un'unità di misuraspeciale, ed essendo il millimetro l'unità più piccola delsistema metrico, è stata adottata per la lunghezza d'ondala decimilionesima parte di esso, tecnicamente chiamatadecimo misuratore e che corrisponde a 250 milionesimidi pollice. Così sappiamo che le lunghezze d'onda dellelinee caratteristiche d'idrogeno rosse e turchine sono ri-spettivamente 6563,07 e 4861,51. L'eccessiva piccolez-za della lunghezza d'onda, quando sia misurata con lamisura più esatta, è di grandissima importanza. Avendoin tal guisa determinata la lunghezza d'onda delle due li-

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di composizione del cristallo adoperato, pure la rifrazio-ne non avviene mai in tutti in modo identico.

Gli spettri ottenuti dai reticoli di diffrazione sonodoppi, cioè si distendono da ambo i lati della linea cen-trale del raggio, che rimane bianca, mentre le linee colo-rate o scure sono chiaramente definite e possono essereproiettate sopra uno schermo posto a molta distanza,poichè lo spettro raggiunge considerevoli lunghezze. Glielementi per ottenere la lunghezza d'onda sono: la di-stanza delle linee, la distanza dello schermo e la distan-za fra il primo paio di linee scure da ambo i lati della li-nea centrale luminosa. Tutte queste distanze possono es-sere accuratamente misurate col telescopio, col micro-metro e con altri mezzi, e permettono di ottenere unaesatta determinazione della lunghezza d'onda, che pro-babilmente non avremmo potuto conoscere se ci fossi-mo serviti di altri metodi di misurazione.

Essendo la lunghezza d'onda eccessivamente piccola,è stato convenuto di fissare per essa un'unità di misuraspeciale, ed essendo il millimetro l'unità più piccola delsistema metrico, è stata adottata per la lunghezza d'ondala decimilionesima parte di esso, tecnicamente chiamatadecimo misuratore e che corrisponde a 250 milionesimidi pollice. Così sappiamo che le lunghezze d'onda dellelinee caratteristiche d'idrogeno rosse e turchine sono ri-spettivamente 6563,07 e 4861,51. L'eccessiva piccolez-za della lunghezza d'onda, quando sia misurata con lamisura più esatta, è di grandissima importanza. Avendoin tal guisa determinata la lunghezza d'onda delle due li-

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nee dello spettro, lo spazio fra esse esistente può essereridotto ad un diagramma di qualsiasi lunghezza, e tuttele linee che si presentano fra queste due ed in qualunquealtro spettro, possono essere segnate nella loro esattaposizione. E poichè lo spettro visibile è composto di cir-ca 300,000 raggi di luce, ciascuno di differente lunghez-za d'onda e perciò di differente refrangibilità, se impic-coliamo tanto lo spettro da lasciargli la lunghezza di3000 pollici (250 piedi), ogni lunghezza d'onda sarà diun centesimo di pollice, spazio facilmente visibile adocchio nudo.

Il possedere un mezzo di tanta meravigliosa delica-tezza, che ci diede la possibilità di arrivare alla cono-scenza dei più reconditi globi che popolano l'Universo,ci rese possibile in pochi anni la creazione di una nuovascienza, cioè l'astrofisica, volgarmente detta nuovaastronomia. E qui è necessario fare un breve cenno deiprincipali risultati di questa scienza.

La prima grande scoperta compiuta dopo che lo spet-tro solare ebbe una spiegazione, fu quella di poter com-prendere la vera natura delle stelle fisse. È vero che damolto tempo gli astronomi le avevano credute soli, maquesta fu un'opinione della cui realtà non era stato maipossibile ottenere la prova, fondata solamente sopraquesti due fatti, cioè: la loro distanza da noi, tanto enor-me che l'intero diametro dell'orbita terrestre non era suf-ficiente a farci conoscere la loro relativa posizione, ed illoro intenso splendore, che a tale distanza non potevaessere dovuto che a delle dimensioni e ad una luce para-

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nee dello spettro, lo spazio fra esse esistente può essereridotto ad un diagramma di qualsiasi lunghezza, e tuttele linee che si presentano fra queste due ed in qualunquealtro spettro, possono essere segnate nella loro esattaposizione. E poichè lo spettro visibile è composto di cir-ca 300,000 raggi di luce, ciascuno di differente lunghez-za d'onda e perciò di differente refrangibilità, se impic-coliamo tanto lo spettro da lasciargli la lunghezza di3000 pollici (250 piedi), ogni lunghezza d'onda sarà diun centesimo di pollice, spazio facilmente visibile adocchio nudo.

Il possedere un mezzo di tanta meravigliosa delica-tezza, che ci diede la possibilità di arrivare alla cono-scenza dei più reconditi globi che popolano l'Universo,ci rese possibile in pochi anni la creazione di una nuovascienza, cioè l'astrofisica, volgarmente detta nuovaastronomia. E qui è necessario fare un breve cenno deiprincipali risultati di questa scienza.

La prima grande scoperta compiuta dopo che lo spet-tro solare ebbe una spiegazione, fu quella di poter com-prendere la vera natura delle stelle fisse. È vero che damolto tempo gli astronomi le avevano credute soli, maquesta fu un'opinione della cui realtà non era stato maipossibile ottenere la prova, fondata solamente sopraquesti due fatti, cioè: la loro distanza da noi, tanto enor-me che l'intero diametro dell'orbita terrestre non era suf-ficiente a farci conoscere la loro relativa posizione, ed illoro intenso splendore, che a tale distanza non potevaessere dovuto che a delle dimensioni e ad una luce para-

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gonabili a quelle del nostro sole. Lo spettroscopio provòquanto questa opinione fosse fondata, poichè le stellefurono esaminate accuratamente una dopo l'altra, e fu ri-scontrato che esse davano uno spettro di tipo general-mente uguale a quello solare. Le prime stelle esaminatedall'astronomo Guglielmo Huggins mostrarono che inesse esistono dieci dei nostri elementi. Subito dopo fu-rono esaminate con lo spettro tutte le principali stelledel cielo, e si giudicò necessario dividerle in tre o quat-tro gruppi.

Il primo gruppo, il maggiore, comprende più dellametà delle stelle visibili e quasi tutte le più lucenti,come Sirio, Vega, Regolo ed Alfa della Croce del Sud.Queste sono caratterizzate da una luce bianca o azzurra,sono ricche in raggi di un violetto carico, ed i loro spet-tri si distinguono per la lunghezza e per l'intensità dellequattro strisce dovute all'assorbimento dell'idrogeno,mentre le varie linee nere che indicano vapori metallicisono relativamente poche, quantunque con un accuratoesame se ne scoprano delle centinaia.

Il secondo gruppo, a cui appartengono Capella e Ar-turo, è pure numerosissimo e forma il tipo solare dellestelle. La loro luce è giallognola, ed i loro spettri sonotraversati in tutti i sensi da innumerevoli linee scure fi-nissime, più o meno corrispondenti a quelle dello spet-tro solare.

Il terzo gruppo comprende le stelle rosse e variabili,che sono distinte da uno spettro molto rigato. Qualchespettro sembra quasi una fila di colonne doriche vedute

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gonabili a quelle del nostro sole. Lo spettroscopio provòquanto questa opinione fosse fondata, poichè le stellefurono esaminate accuratamente una dopo l'altra, e fu ri-scontrato che esse davano uno spettro di tipo general-mente uguale a quello solare. Le prime stelle esaminatedall'astronomo Guglielmo Huggins mostrarono che inesse esistono dieci dei nostri elementi. Subito dopo fu-rono esaminate con lo spettro tutte le principali stelledel cielo, e si giudicò necessario dividerle in tre o quat-tro gruppi.

Il primo gruppo, il maggiore, comprende più dellametà delle stelle visibili e quasi tutte le più lucenti,come Sirio, Vega, Regolo ed Alfa della Croce del Sud.Queste sono caratterizzate da una luce bianca o azzurra,sono ricche in raggi di un violetto carico, ed i loro spet-tri si distinguono per la lunghezza e per l'intensità dellequattro strisce dovute all'assorbimento dell'idrogeno,mentre le varie linee nere che indicano vapori metallicisono relativamente poche, quantunque con un accuratoesame se ne scoprano delle centinaia.

Il secondo gruppo, a cui appartengono Capella e Ar-turo, è pure numerosissimo e forma il tipo solare dellestelle. La loro luce è giallognola, ed i loro spettri sonotraversati in tutti i sensi da innumerevoli linee scure fi-nissime, più o meno corrispondenti a quelle dello spet-tro solare.

Il terzo gruppo comprende le stelle rosse e variabili,che sono distinte da uno spettro molto rigato. Qualchespettro sembra quasi una fila di colonne doriche vedute

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di faccia, ed il lato rosso è quello che rimane più illumi-nato.

Il quarto gruppo è rappresentato da poche e relativa-mente piccole stelle, ed ha pure lo spettro rigato, ma lamaggiore intensità luminosa si constata dalla parte op-posta.

La divisione delle stelle in gruppi, fu fatta nel 1867dal P. Secchi, astronomo italiano, e venne adottata conqualche modificazione da Vogel dell'Osservatorio astro-fisico di Potsdam. L'esatta interpretazione di questi dif-ferenti spettri è spesso incerta, ma non vi può esser dub-bio ch'essi siano in rapporto, prima di tutto con la diffe-renza di temperatura esistente sugli astri, e poi con lacorrispondente differenza di composizione ed estensionedelle atmosfere assorbenti. Vi sono stelle il cui spettrorigato indica la presenza di vapori di metalloidi o di al-tre sostanze miste, mentre le rigature rovesciate indica-no la presenza di carbonio. Queste conclusioni sono sta-te ottenute dopo accurati esperimenti, applicati ancheagli esami spettrali delle stelle e degli altri corpi celesti,così che tutte le particolarità dei loro spettri, per quantoconfuse e apparentemente insignificanti, sono state giu-dicate atte ad indicare certe condizioni della costituzio-ne chimica e della temperatura.

Ma benchè sia molto difficile lo spiegare simili parti-colari, tutti i dati di fatto fondamentali non ci permetto-no di dubitare che le stelle siano veri soli, i quali per lagrandezza e per lo sviluppo, che è indicato dal coloredella loro luce e dall'intensità del loro calore, sono certa-

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di faccia, ed il lato rosso è quello che rimane più illumi-nato.

Il quarto gruppo è rappresentato da poche e relativa-mente piccole stelle, ed ha pure lo spettro rigato, ma lamaggiore intensità luminosa si constata dalla parte op-posta.

La divisione delle stelle in gruppi, fu fatta nel 1867dal P. Secchi, astronomo italiano, e venne adottata conqualche modificazione da Vogel dell'Osservatorio astro-fisico di Potsdam. L'esatta interpretazione di questi dif-ferenti spettri è spesso incerta, ma non vi può esser dub-bio ch'essi siano in rapporto, prima di tutto con la diffe-renza di temperatura esistente sugli astri, e poi con lacorrispondente differenza di composizione ed estensionedelle atmosfere assorbenti. Vi sono stelle il cui spettrorigato indica la presenza di vapori di metalloidi o di al-tre sostanze miste, mentre le rigature rovesciate indica-no la presenza di carbonio. Queste conclusioni sono sta-te ottenute dopo accurati esperimenti, applicati ancheagli esami spettrali delle stelle e degli altri corpi celesti,così che tutte le particolarità dei loro spettri, per quantoconfuse e apparentemente insignificanti, sono state giu-dicate atte ad indicare certe condizioni della costituzio-ne chimica e della temperatura.

Ma benchè sia molto difficile lo spiegare simili parti-colari, tutti i dati di fatto fondamentali non ci permetto-no di dubitare che le stelle siano veri soli, i quali per lagrandezza e per lo sviluppo, che è indicato dal coloredella loro luce e dall'intensità del loro calore, sono certa-

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mente diversi, ma simili in questo: tutti hanno egual-mente una fotosfera, ossia una luce che emana dalla lorosuperficie, ed una atmosfera assorbente di differentequalità e intensità.

Innumerevoli altri fatti, come i colori incerti dellestelle doppie, l'accidentale variabilità del loro spettro, laloro relazione con le nebulose, i varî stadi del loro svi-luppo ed altri problemi di grande importanza, hannosempre attirato l'attenzione degli astronomi spettrosco-pisti e chimici; ma ulteriori notizie su queste difficiliquestioni sarebbero qui fuori di luogo. Questi dati, ri-guardanti l'analisi spettrale applicata alle stelle, sonostati esposti allo scopo di rendere i principî e i metodi diosservazione intelligibili ad ogni lettore e d'illustrare lameravigliosa ed accurata precisione del resultato da essiottenuto. Tanta è la fiducia che hanno gli astronomi nel-la esattezza di queste osservazioni, che prima di crederecerta la presenza di un elemento in una stella o nel sole,bisogna che le varie linee lucide di un elemento, nellospettro del laboratorio, corrispondano perfettamente allelinee scure dello spettro solare o di una data stella. MissClerke definì la cosa con chiarezza quando disse: «Lecoincidenze spettroscopiche non ammettono transazioni:o sono complete o non hanno importanza.»

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mente diversi, ma simili in questo: tutti hanno egual-mente una fotosfera, ossia una luce che emana dalla lorosuperficie, ed una atmosfera assorbente di differentequalità e intensità.

Innumerevoli altri fatti, come i colori incerti dellestelle doppie, l'accidentale variabilità del loro spettro, laloro relazione con le nebulose, i varî stadi del loro svi-luppo ed altri problemi di grande importanza, hannosempre attirato l'attenzione degli astronomi spettrosco-pisti e chimici; ma ulteriori notizie su queste difficiliquestioni sarebbero qui fuori di luogo. Questi dati, ri-guardanti l'analisi spettrale applicata alle stelle, sonostati esposti allo scopo di rendere i principî e i metodi diosservazione intelligibili ad ogni lettore e d'illustrare lameravigliosa ed accurata precisione del resultato da essiottenuto. Tanta è la fiducia che hanno gli astronomi nel-la esattezza di queste osservazioni, che prima di crederecerta la presenza di un elemento in una stella o nel sole,bisogna che le varie linee lucide di un elemento, nellospettro del laboratorio, corrispondano perfettamente allelinee scure dello spettro solare o di una data stella. MissClerke definì la cosa con chiarezza quando disse: «Lecoincidenze spettroscopiche non ammettono transazioni:o sono complete o non hanno importanza.»

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MOVIMENTO DELLE STELLE SECONDO LA VISUALE.

Ora dobbiamo intrattenerci di un'altra ed affatto di-versa applicazione dello spettroscopio, più sorprendenteancora di quella testè descritta, cioè del modo di misura-re la velocità del movimento di ogni corpo celeste a noivisibile, diretto verso di noi, oppure tendente ad allonta-narsene, movimento che tecnicamente è chiamato «ra-diale» e, secondo un'altra espressione, «in linea visua-le». La cosa che più colpisce si è che la potenza di misu-ra è del tutto indipendente dalla distanza, così che la ve-locità delle stelle fisse, le più lontane da noi, se abba-stanza luminose per mostrare distintamente il loro spet-tro, può essere misurata in miglia e per secondi, conesattezza uguale a quella con la quale si misurano lastella o il pianeta più vicini. E per fare intendere conchiarezza come ciò possa essere possibile, bisognerànuovamente parlare della teoria dell'onda luminosa edell'analogia che essa ha con altre onde di moto, che cimetteranno in grado di concepire i principî dai quali di-pendono tali calcoli.

Se in un giorno di calma contiamo le onde che passa-no in un minuto accanto ad un battello ancorato, ci ac-corgiamo che esse sono in numero maggiore di quelleche contiamo navigando in direzione opposta a quelladelle onde. Ed anche se ci fermiamo sulla strada ferrata,mentre ci viene incontro fischiando una macchina a va-pore, sentiremo che il fischio cambia di tono quando cipassa d'accanto: se il treno indietreggia, il tono diventa

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MOVIMENTO DELLE STELLE SECONDO LA VISUALE.

Ora dobbiamo intrattenerci di un'altra ed affatto di-versa applicazione dello spettroscopio, più sorprendenteancora di quella testè descritta, cioè del modo di misura-re la velocità del movimento di ogni corpo celeste a noivisibile, diretto verso di noi, oppure tendente ad allonta-narsene, movimento che tecnicamente è chiamato «ra-diale» e, secondo un'altra espressione, «in linea visua-le». La cosa che più colpisce si è che la potenza di misu-ra è del tutto indipendente dalla distanza, così che la ve-locità delle stelle fisse, le più lontane da noi, se abba-stanza luminose per mostrare distintamente il loro spet-tro, può essere misurata in miglia e per secondi, conesattezza uguale a quella con la quale si misurano lastella o il pianeta più vicini. E per fare intendere conchiarezza come ciò possa essere possibile, bisognerànuovamente parlare della teoria dell'onda luminosa edell'analogia che essa ha con altre onde di moto, che cimetteranno in grado di concepire i principî dai quali di-pendono tali calcoli.

Se in un giorno di calma contiamo le onde che passa-no in un minuto accanto ad un battello ancorato, ci ac-corgiamo che esse sono in numero maggiore di quelleche contiamo navigando in direzione opposta a quelladelle onde. Ed anche se ci fermiamo sulla strada ferrata,mentre ci viene incontro fischiando una macchina a va-pore, sentiremo che il fischio cambia di tono quando cipassa d'accanto: se il treno indietreggia, il tono diventa

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più basso, anche se la macchina passa alla medesima di-stanza da noi di quando avanza, nondimeno il fischioall'orecchio del macchinista sarà restato costantementeidentico. Questo fatto è causato dalle onde sonore, chegiungono a noi con un più rapido succedersi quando lalocomotiva avanza, più lentamente quando retrocede, ecome l'altezza di una nota dipende appunto dalla rapidi-tà con la quale le successive vibrazioni dell'aria giungo-no ai nostri orecchi, così il colore di una parte dellospettro dipende dalla rapidità con la quale le ondedell'etere che producono quel dato colore giungono ainostri occhi, essendo questa rapidità assai maggiorequando il corpo dal quale emana si avvicina, che quandosi allontana da noi.

Ed avverrà un leggero cambiamento di posizione nel-le linee colorate, e per conseguenza anche nelle lineescure, se le paragoneremo a quelle dello spettro del soleo di qualunque altra sorgente di luce che rispetto a noisia ferma, purchè l'intensità del movimento sia suffi-ciente per produrre un percettibile spostamento nellospettro. Il cambiamento di colore che si verifica nel casoche la sorgente luminosa si allontani o si avvicini diret-tamente all'osservatore, fu notato dal professore Dopplerdi Praga nel 1842, ed ora è noto col nome di principiodi Doppler; però il cambiamento di colore era così lieveche non fu possibile misurarlo e quindi l'osservazioneebbe nessuna pratica importanza in astronomia. Maquando le linee scure dello spettro poterono essere esat-tamente delineate e la loro posizione accuratamente de-

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più basso, anche se la macchina passa alla medesima di-stanza da noi di quando avanza, nondimeno il fischioall'orecchio del macchinista sarà restato costantementeidentico. Questo fatto è causato dalle onde sonore, chegiungono a noi con un più rapido succedersi quando lalocomotiva avanza, più lentamente quando retrocede, ecome l'altezza di una nota dipende appunto dalla rapidi-tà con la quale le successive vibrazioni dell'aria giungo-no ai nostri orecchi, così il colore di una parte dellospettro dipende dalla rapidità con la quale le ondedell'etere che producono quel dato colore giungono ainostri occhi, essendo questa rapidità assai maggiorequando il corpo dal quale emana si avvicina, che quandosi allontana da noi.

Ed avverrà un leggero cambiamento di posizione nel-le linee colorate, e per conseguenza anche nelle lineescure, se le paragoneremo a quelle dello spettro del soleo di qualunque altra sorgente di luce che rispetto a noisia ferma, purchè l'intensità del movimento sia suffi-ciente per produrre un percettibile spostamento nellospettro. Il cambiamento di colore che si verifica nel casoche la sorgente luminosa si allontani o si avvicini diret-tamente all'osservatore, fu notato dal professore Dopplerdi Praga nel 1842, ed ora è noto col nome di principiodi Doppler; però il cambiamento di colore era così lieveche non fu possibile misurarlo e quindi l'osservazioneebbe nessuna pratica importanza in astronomia. Maquando le linee scure dello spettro poterono essere esat-tamente delineate e la loro posizione accuratamente de-

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terminata, fu trovato che esisteva un mezzo di misurare icambiamenti prodotti nello spettro dal movimento che sicompie secondo la linea visuale, poichè la posizionenello spettro di ciascuna delle linee colorate o scure deicorpi celesti, può essere comparata con quella delle cor-rispondenti linee prodotte nel laboratorio. Sir WilliamHuggins per il primo fece quest'esperimento nel 1868, eper mezzo di un potentissimo spettroscopio, apposita-mente costruito, trovò che questo cambiamento succe-deva in molte stelle, e che la velocità, con la quale si av-vicinano e si allontanano da noi (moto radiale), potevaessere calcolata. Per tal modo si è potuta misurare lavera distanza di qualcuna di queste stelle, determinare ilsuo cambiamento annuale di posizione (moto proprio),ed il fattore addizionale dell'ammontare del movimentoin direzione della nostra linea visuale, completa i datiper fissare la vera linea del suo movimento fra le altrestelle. L'esattezza di questo metodo, adoperato in favo-revoli condizioni e con i migliori strumenti, è grandissi-ma, come è stato provato in quei casi nei quali si sonopotuti adoperare altri mezzi per calcolare il movimentostellare. Il movimento con cui il pianeta Venere si avvi-cina o si allontana rispetto a noi, può essere calcolatocon molta esattezza e in qualunque tempo, poichè talecalcolo risulta dall'insieme dei movimenti del pianeta edella nostra terra nella loro rispettiva orbita. Il moto ra-diale di Venere fu determinato all'osservatorio di Lick inagosto e settembre del 1890 per mezzo dell'osservazione

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terminata, fu trovato che esisteva un mezzo di misurare icambiamenti prodotti nello spettro dal movimento che sicompie secondo la linea visuale, poichè la posizionenello spettro di ciascuna delle linee colorate o scure deicorpi celesti, può essere comparata con quella delle cor-rispondenti linee prodotte nel laboratorio. Sir WilliamHuggins per il primo fece quest'esperimento nel 1868, eper mezzo di un potentissimo spettroscopio, apposita-mente costruito, trovò che questo cambiamento succe-deva in molte stelle, e che la velocità, con la quale si av-vicinano e si allontanano da noi (moto radiale), potevaessere calcolata. Per tal modo si è potuta misurare lavera distanza di qualcuna di queste stelle, determinare ilsuo cambiamento annuale di posizione (moto proprio),ed il fattore addizionale dell'ammontare del movimentoin direzione della nostra linea visuale, completa i datiper fissare la vera linea del suo movimento fra le altrestelle. L'esattezza di questo metodo, adoperato in favo-revoli condizioni e con i migliori strumenti, è grandissi-ma, come è stato provato in quei casi nei quali si sonopotuti adoperare altri mezzi per calcolare il movimentostellare. Il movimento con cui il pianeta Venere si avvi-cina o si allontana rispetto a noi, può essere calcolatocon molta esattezza e in qualunque tempo, poichè talecalcolo risulta dall'insieme dei movimenti del pianeta edella nostra terra nella loro rispettiva orbita. Il moto ra-diale di Venere fu determinato all'osservatorio di Lick inagosto e settembre del 1890 per mezzo dell'osservazione

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spettroscopica da un lato, e, per mezzo del calcolodall'altro. I risultati ottenuti furono i seguenti:

PER OSSERVAZIONE: PER CALCOLO:16 agosto 7,3 miglia al secondo 8,1 miglia al secondo22 agosto 8,9 miglia al secondo 8,2 miglia al secondo30 agosto 7,3 miglia al secondo 8,3 miglia al secondo3 settembre 8,3 miglia al secondo 8,3 miglia al secondo4 settembre 8,2 miglia al secondo 8,3 miglia al secondo

Questi calcoli dimostrano che vi è soltanto un erroredi circa un miglio per secondo, al massimo, e di unquarto di miglio circa, al minimo. Per quel che riguardale stelle, l'esattezza del metodo è stata provata osservan-do una stella nei momenti in cui la terra, nel suo movi-mento di rivoluzione, si avvicina o si allontana rispettoalla stella stessa, la cui apparente velocità radiale è per-ciò cresciuta o diminuita da un altro fattore conosciuto,cioè dal movimento terrestre. Molte osservazioni di que-sto genere furono fatte dal dott. Vogel, direttoredell'osservatorio astrofisico di Potsdam, il quale dimo-strò come, per tre stelle che erano state osservate perben dieci volte, il calcolo fosse stato errato di circa duemiglia per secondo; ma poichè i movimenti astrali sonopiù rapidi di quelli dei pianeti, l'errore proporzionalenon è tanto grande quanto quello dell'esempio che ab-biamo dato più sopra.

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spettroscopica da un lato, e, per mezzo del calcolodall'altro. I risultati ottenuti furono i seguenti:

PER OSSERVAZIONE: PER CALCOLO:16 agosto 7,3 miglia al secondo 8,1 miglia al secondo22 agosto 8,9 miglia al secondo 8,2 miglia al secondo30 agosto 7,3 miglia al secondo 8,3 miglia al secondo3 settembre 8,3 miglia al secondo 8,3 miglia al secondo4 settembre 8,2 miglia al secondo 8,3 miglia al secondo

Questi calcoli dimostrano che vi è soltanto un erroredi circa un miglio per secondo, al massimo, e di unquarto di miglio circa, al minimo. Per quel che riguardale stelle, l'esattezza del metodo è stata provata osservan-do una stella nei momenti in cui la terra, nel suo movi-mento di rivoluzione, si avvicina o si allontana rispettoalla stella stessa, la cui apparente velocità radiale è per-ciò cresciuta o diminuita da un altro fattore conosciuto,cioè dal movimento terrestre. Molte osservazioni di que-sto genere furono fatte dal dott. Vogel, direttoredell'osservatorio astrofisico di Potsdam, il quale dimo-strò come, per tre stelle che erano state osservate perben dieci volte, il calcolo fosse stato errato di circa duemiglia per secondo; ma poichè i movimenti astrali sonopiù rapidi di quelli dei pianeti, l'errore proporzionalenon è tanto grande quanto quello dell'esempio che ab-biamo dato più sopra.

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La grande importanza di questo metodo nel determi-nare i movimenti delle stelle, consiste nella possibilitàdi ottenere una conoscenza esatta della proporzione col-la quale tali movimenti variano, e quando, con l'andardel tempo, ci potremo accertare se talune delle loro orbi-te sono rettilinee o curve, saremo anche capaci di direqualcosa sulla natura dei cambiamenti che in loro si suc-cedono e delle leggi dalle quali dipendono.

STELLE INVISIBILI E MOVIMENTI IMPERCETTIBILI

Ma dalla possibilità di poter determinare il movimen-to radiale dei corpi celesti, possiamo ottenere un altro ri-sultato, inaspettato quanto meraviglioso, che ha estesole nostre cognizioni sulle stelle in un campo affatto nuo-vo. Per mezzo di tale metodo è stato possibile determi-nare l'esistenza di stelle invisibili, e di misurare la velo-cità del loro moto, che altrimenti sarebbe rimastoanch'esso ignorato. E si noti che queste stelle rimangonosconosciute anche ai telescopi moderni più potenti, eche i movimenti di esse occupano uno spazio così limi-tato che il telescopio non potrebbe determinarlo.

Le stelle doppie o binarie formano dei sistemi chehanno un movimento di rotazione intorno a un comunecentro di gravità. L'esistenza di esse fu constatata dap-prima da sir William Herschel; in seguito ne sono staterilevate un gran numero. Per lo più il loro periodo di ri-

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La grande importanza di questo metodo nel determi-nare i movimenti delle stelle, consiste nella possibilitàdi ottenere una conoscenza esatta della proporzione col-la quale tali movimenti variano, e quando, con l'andardel tempo, ci potremo accertare se talune delle loro orbi-te sono rettilinee o curve, saremo anche capaci di direqualcosa sulla natura dei cambiamenti che in loro si suc-cedono e delle leggi dalle quali dipendono.

STELLE INVISIBILI E MOVIMENTI IMPERCETTIBILI

Ma dalla possibilità di poter determinare il movimen-to radiale dei corpi celesti, possiamo ottenere un altro ri-sultato, inaspettato quanto meraviglioso, che ha estesole nostre cognizioni sulle stelle in un campo affatto nuo-vo. Per mezzo di tale metodo è stato possibile determi-nare l'esistenza di stelle invisibili, e di misurare la velo-cità del loro moto, che altrimenti sarebbe rimastoanch'esso ignorato. E si noti che queste stelle rimangonosconosciute anche ai telescopi moderni più potenti, eche i movimenti di esse occupano uno spazio così limi-tato che il telescopio non potrebbe determinarlo.

Le stelle doppie o binarie formano dei sistemi chehanno un movimento di rotazione intorno a un comunecentro di gravità. L'esistenza di esse fu constatata dap-prima da sir William Herschel; in seguito ne sono staterilevate un gran numero. Per lo più il loro periodo di ri-

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voluzione è lungo e non dura mai meno di dodici anni,ma molte ve ne sono che lo compiono nello spazio dipiù secoli. In questi sistemi entrambe le stelle sono visi-bili, ma ne conosciamo anche altri nei quali una solastella è appariscente mentre l'altra o non è luminosa o ècosì vicina alla sua compagna, che anche al più potentetelescopio appariscono entrambe come un sol corpo.Molte delle stelle variabili appartengono alla prima ca-tegoria, ed a confortare questa regola possiamo citareAlgol, nella costellazione di Perseo, il quale passa dallaseconda alla quarta grandezza in circa quattro ore emezzo, riacquistando in un periodo di tempo quasiuguale il suo splendore, che dura fino all'altro suo perio-do d'oscurazione, il che avviene regolarmente ogni duegiorni e ventun'ora. Il nome Algol viene dall'arabo Alghoul, il ghoul familiare delle notti arabe, folletto cosìchiamato a causa del suo contegno perennemente strano.

Per molto tempo fu creduto che l'oscuramento di que-sta stella fosse dovuto ad una compagna non luminosa,che ne eclissasse parzialmente la luce ad ogni rivoluzio-ne, e si suppose che i piani delle orbite di ambedue fos-sero quasi esattamente diretti verso la terra. L'applica-zione dello spettroscopio dimostrò che questa congettu-ra corrispondeva alla realtà. In un eguale trascorrer ditempo, prima e dopo l'oscurazione, si notano nello spet-tro dei movimenti di linee, i quali dimostrano che gliastri si allontanano o si avvicinano a noi, in linea radia-le, con una velocità di circa ventisei miglia per secondo.Da questi dati alquanto imperfetti e dalle leggi di gravi-

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voluzione è lungo e non dura mai meno di dodici anni,ma molte ve ne sono che lo compiono nello spazio dipiù secoli. In questi sistemi entrambe le stelle sono visi-bili, ma ne conosciamo anche altri nei quali una solastella è appariscente mentre l'altra o non è luminosa o ècosì vicina alla sua compagna, che anche al più potentetelescopio appariscono entrambe come un sol corpo.Molte delle stelle variabili appartengono alla prima ca-tegoria, ed a confortare questa regola possiamo citareAlgol, nella costellazione di Perseo, il quale passa dallaseconda alla quarta grandezza in circa quattro ore emezzo, riacquistando in un periodo di tempo quasiuguale il suo splendore, che dura fino all'altro suo perio-do d'oscurazione, il che avviene regolarmente ogni duegiorni e ventun'ora. Il nome Algol viene dall'arabo Alghoul, il ghoul familiare delle notti arabe, folletto cosìchiamato a causa del suo contegno perennemente strano.

Per molto tempo fu creduto che l'oscuramento di que-sta stella fosse dovuto ad una compagna non luminosa,che ne eclissasse parzialmente la luce ad ogni rivoluzio-ne, e si suppose che i piani delle orbite di ambedue fos-sero quasi esattamente diretti verso la terra. L'applica-zione dello spettroscopio dimostrò che questa congettu-ra corrispondeva alla realtà. In un eguale trascorrer ditempo, prima e dopo l'oscurazione, si notano nello spet-tro dei movimenti di linee, i quali dimostrano che gliastri si allontanano o si avvicinano a noi, in linea radia-le, con una velocità di circa ventisei miglia per secondo.Da questi dati alquanto imperfetti e dalle leggi di gravi-

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tazione che determinano il periodo di rivoluzione deipianeti secondo le varie distanze dai loro centri di rivo-luzione, il professore Pickering, dell'osservatorio di Har-vard, potè arrivare alle seguenti affermazioni come lepiù probabili, e che non si allontano certo di molto dallaverità:

Diametro di Algol 1,061,000 migliaDiametro dell'altra stella 830,000 migliaDistanza fra i loro centri 3,230,000 migliaCelerità orbitale d'Algol 26,3 miglia per secondoCelerità orbitale della stellaoscura 55,4 miglia per secondo

Massa di Algol49 della massa del nostro sole

Massa dell'altra stella29 della massa del nostro sole

Se consideriamo che questi dati si riferiscono ad unacoppia di stelle, delle quali è stato possibile vedere sol-tanto una, e che il moto orbitale della stella visibile nonpuò esser determinato nemmeno con un telescopio po-tente; e se inoltre riflettiamo all'enorme distanza chepassa fra noi e quei corpi, non possiamo che restare me-ravigliati dei felici risultati ottenuti con l'osservazionespettroscopica. Ma se tali calcoli, fatti con un mezzocosì semplice, sono meravigliosi, sono ancora più mera-vigliosi gli altri risultati ottenuti con tale mezzo. Tutto

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tazione che determinano il periodo di rivoluzione deipianeti secondo le varie distanze dai loro centri di rivo-luzione, il professore Pickering, dell'osservatorio di Har-vard, potè arrivare alle seguenti affermazioni come lepiù probabili, e che non si allontano certo di molto dallaverità:

Diametro di Algol 1,061,000 migliaDiametro dell'altra stella 830,000 migliaDistanza fra i loro centri 3,230,000 migliaCelerità orbitale d'Algol 26,3 miglia per secondoCelerità orbitale della stellaoscura 55,4 miglia per secondo

Massa di Algol49 della massa del nostro sole

Massa dell'altra stella29 della massa del nostro sole

Se consideriamo che questi dati si riferiscono ad unacoppia di stelle, delle quali è stato possibile vedere sol-tanto una, e che il moto orbitale della stella visibile nonpuò esser determinato nemmeno con un telescopio po-tente; e se inoltre riflettiamo all'enorme distanza chepassa fra noi e quei corpi, non possiamo che restare me-ravigliati dei felici risultati ottenuti con l'osservazionespettroscopica. Ma se tali calcoli, fatti con un mezzocosì semplice, sono meravigliosi, sono ancora più mera-vigliosi gli altri risultati ottenuti con tale mezzo. Tutto

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quello che sappiamo delle stelle e che siamo arrivati aconoscere per mezzo del telescopio, è che esse sono si-tuate a enorme distanza l'una dall'altra, sebbene guar-dando in cielo ci sembrino così fitte. Ciò avviene anchenelle stelle doppie telescopiche, che ci sembrano vici-nissime tra loro a causa della loro enorme distanza danoi. Possiamo calcolare che tutte le stelle, anche le piùgrandi, sono, in media, più di ottanta miliardi di migliadistanti dalla terra, mentre le stelle doppie più vicine,che un forte telescopio arrivi a risolvere in due colpi se-parati, sono distanti fra loro di circa un mezzo secondo,cioè quasi millecinquecento milioni di miglia. Ma nelcaso di Algol e della sua compagna, abbiamo due corpientrambi più grandi del nostro sole, e nondimeno vi èfra loro soltanto una distanza di due milioni di miglia eun quarto, distanza che non supera la somma dei lorodiametri. Non occorre dire che tali enormi corpi debbo-no, per quanto così vicini l'uno all'altro, avere ognuno illoro moto di rivoluzione, e poichè sappiamo che il no-stro sole, e probabilmente tutti gli altri soli, sono circon-dati da materie meteoriche e cometiche, sembra proba-bile che, nel caso di due soli assai vicini fra loro, laquantità delle dette materie sia grandissima, e che, percontinue collisioni, la loro massa venga continuamenteaccresciuta, sì che si può anche supporre che forse fini-ranno col fondersi finalmente in una sola e gigantescasfera. Si dice che un astronomo persiano del decimo se-colo abbia indicato Algol come una stella rossa; ora noisappiamo che essa invece è bianca, e qualche volta leg-

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quello che sappiamo delle stelle e che siamo arrivati aconoscere per mezzo del telescopio, è che esse sono si-tuate a enorme distanza l'una dall'altra, sebbene guar-dando in cielo ci sembrino così fitte. Ciò avviene anchenelle stelle doppie telescopiche, che ci sembrano vici-nissime tra loro a causa della loro enorme distanza danoi. Possiamo calcolare che tutte le stelle, anche le piùgrandi, sono, in media, più di ottanta miliardi di migliadistanti dalla terra, mentre le stelle doppie più vicine,che un forte telescopio arrivi a risolvere in due colpi se-parati, sono distanti fra loro di circa un mezzo secondo,cioè quasi millecinquecento milioni di miglia. Ma nelcaso di Algol e della sua compagna, abbiamo due corpientrambi più grandi del nostro sole, e nondimeno vi èfra loro soltanto una distanza di due milioni di miglia eun quarto, distanza che non supera la somma dei lorodiametri. Non occorre dire che tali enormi corpi debbo-no, per quanto così vicini l'uno all'altro, avere ognuno illoro moto di rivoluzione, e poichè sappiamo che il no-stro sole, e probabilmente tutti gli altri soli, sono circon-dati da materie meteoriche e cometiche, sembra proba-bile che, nel caso di due soli assai vicini fra loro, laquantità delle dette materie sia grandissima, e che, percontinue collisioni, la loro massa venga continuamenteaccresciuta, sì che si può anche supporre che forse fini-ranno col fondersi finalmente in una sola e gigantescasfera. Si dice che un astronomo persiano del decimo se-colo abbia indicato Algol come una stella rossa; ora noisappiamo che essa invece è bianca, e qualche volta leg-

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germente giallognola. Le collisioni e gli attriti che ab-biamo immaginato come possibili, avrebbero dunqueprobabilmente prodotto un aumento di temperatura, di-minuendo contemporaneamente la distanza che esistefra le due stelle del sistema.

Un considerevole numero di stelle doppie, delle qualiuna luminosa e l'altra oscura, sono state scoperte permezzo dello spettroscopio, benchè il loro moto non sicompia sul piano della visuale terrestre, e non vi sianoquindi ecclissi. Per scoprire tali coppie, lo spettro di ungran numero di queste stelle è stato fotografato ogninotte e per lungo tempo, cioè per un anno ed anche perpiù anni, poi le lastre sono state esaminate con cura, perpoter constatare se fosse avvenuta qualche periodica va-riazione nelle linee spettrali. Pare quasi incredibile comein moltissimi casi sia stato constatato che tale variazioneesiste; così s'è potuto determinare il periodo nel quale sicompie il moto di rivoluzione di questi astri.

Ma oltre alla scoperta di stelle doppie, delle quali unaluminosa e l'altra oscura, abbiamo potuto vedere col me-desimo mezzo stelle doppie ambedue luminose. Però ilmetodo in questo caso differisce alquanto, poichè, es-sendo le stelle ambedue luminose, esse dànno uno spet-tro separato, che gli spettroscopi migliori, cioè, hanno ilpotere di separare quando le stelle sono alla loro massi-ma distanza, mentre nessun telescopio di quelli esistenti,e forse nessuno di quelli che verranno fabbricati in av-venire, potrà farci vedere tali stelle staccate. La separa-zione degli spettri è comunemente mostrata dal succes-

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germente giallognola. Le collisioni e gli attriti che ab-biamo immaginato come possibili, avrebbero dunqueprobabilmente prodotto un aumento di temperatura, di-minuendo contemporaneamente la distanza che esistefra le due stelle del sistema.

Un considerevole numero di stelle doppie, delle qualiuna luminosa e l'altra oscura, sono state scoperte permezzo dello spettroscopio, benchè il loro moto non sicompia sul piano della visuale terrestre, e non vi sianoquindi ecclissi. Per scoprire tali coppie, lo spettro di ungran numero di queste stelle è stato fotografato ogninotte e per lungo tempo, cioè per un anno ed anche perpiù anni, poi le lastre sono state esaminate con cura, perpoter constatare se fosse avvenuta qualche periodica va-riazione nelle linee spettrali. Pare quasi incredibile comein moltissimi casi sia stato constatato che tale variazioneesiste; così s'è potuto determinare il periodo nel quale sicompie il moto di rivoluzione di questi astri.

Ma oltre alla scoperta di stelle doppie, delle quali unaluminosa e l'altra oscura, abbiamo potuto vedere col me-desimo mezzo stelle doppie ambedue luminose. Però ilmetodo in questo caso differisce alquanto, poichè, es-sendo le stelle ambedue luminose, esse dànno uno spet-tro separato, che gli spettroscopi migliori, cioè, hanno ilpotere di separare quando le stelle sono alla loro massi-ma distanza, mentre nessun telescopio di quelli esistenti,e forse nessuno di quelli che verranno fabbricati in av-venire, potrà farci vedere tali stelle staccate. La separa-zione degli spettri è comunemente mostrata dal succes-

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sivo sdoppiamento e ricongiunzione delle linee princi-pali; la qual cosa indica che il piano di rivoluzione è di-retto più o meno obliquamente verso di noi, così che ledue stelle, se fossero separatamente visibili, sembrereb-bero ora allontanarsi, ora avvicinarsi, in ciascuna rivolu-zione che compiono.

Dunque, poichè ogni stella ha un moto alternante chel'avvicina, e l'allontana da noi, la velocità radiale di cia-scuna può essere dedotta e determinata dalla massa rela-tiva; per tal modo sono state scoperte non soltanto stelledoppie, ma anche triple e multiple. Le stelle che conquesti due mezzi abbiamo potuto riconoscere come dop-pie, sono tanto numerose, che uno dei migliori astrono-mi ha giudicato che circa ogni tredici stelle ve ne siauna il cui moto mostra delle irregolarità, e che perciòpuò esser considerata come doppia.

LE NEBULOSE

Un altro importante risultato dell'analisi spettrale,quello che potrebbe esser considerato come il più gran-de, è la dimostrazione del fatto che tra le nebulose ve nesono di quelle che sono veramente tali, vale a dire che lenebulose non debbono esser considerate tutte comegruppi di stelle tanto lontani da noi da non poterli stu-diare, come finora era stato supposto.

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sivo sdoppiamento e ricongiunzione delle linee princi-pali; la qual cosa indica che il piano di rivoluzione è di-retto più o meno obliquamente verso di noi, così che ledue stelle, se fossero separatamente visibili, sembrereb-bero ora allontanarsi, ora avvicinarsi, in ciascuna rivolu-zione che compiono.

Dunque, poichè ogni stella ha un moto alternante chel'avvicina, e l'allontana da noi, la velocità radiale di cia-scuna può essere dedotta e determinata dalla massa rela-tiva; per tal modo sono state scoperte non soltanto stelledoppie, ma anche triple e multiple. Le stelle che conquesti due mezzi abbiamo potuto riconoscere come dop-pie, sono tanto numerose, che uno dei migliori astrono-mi ha giudicato che circa ogni tredici stelle ve ne siauna il cui moto mostra delle irregolarità, e che perciòpuò esser considerata come doppia.

LE NEBULOSE

Un altro importante risultato dell'analisi spettrale,quello che potrebbe esser considerato come il più gran-de, è la dimostrazione del fatto che tra le nebulose ve nesono di quelle che sono veramente tali, vale a dire che lenebulose non debbono esser considerate tutte comegruppi di stelle tanto lontani da noi da non poterli stu-diare, come finora era stato supposto.

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Ora sappiamo che esistono delle nebulose il cui spet-tro è gasoso, e qualche volta stellare e gasoso insieme.Queste cognizioni, unite al fatto che le nebulose spessosi riuniscono intorno a nebulose stellari o gruppi di stel-le, ci fa certi che le nebulose non sono separate nellospazio dalle stelle, ma bensì formano una parte essen-ziale di un vasto Universo stellare, e questa ragione èsufficiente per credere che si formino dalla materia stes-sa della quale son fatte le stelle, e che nella loro forma,condensamento e aggregazione, noi possiamo seguire ilprocesso di evoluzione delle stelle e dei soli.

ASTRONOMIA FOTOGRAFICA

Ma gli astronomi posseggono anche un altro mezzopotente che li aiuta nelle loro ricerche, il quale, solo oinsieme allo spettroscopio, ha accresciuto e accresceràancora il numero delle cognizioni che abbiamo dell'Uni-verso stellare, cognizioni che non si sarebbero mai otte-nute con altri mezzi. D'altro canto è indubitabile che lascoperta di nuove stelle, variabili e doppie, è stata possi-bile per la conservazione delle lastre fotografiche, sullequali sono impressi gli spettri, notte per notte, con ognilinea, sia pur oscura o colorata, nella sua vera posizione,come l'ha prodotta l'obbiettivo. Poichè, paragonando talilinee con altre della serie, s'è potuto determinarne i piùpiccoli cambiamenti e misurarne accuratamente il valo-

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Ora sappiamo che esistono delle nebulose il cui spet-tro è gasoso, e qualche volta stellare e gasoso insieme.Queste cognizioni, unite al fatto che le nebulose spessosi riuniscono intorno a nebulose stellari o gruppi di stel-le, ci fa certi che le nebulose non sono separate nellospazio dalle stelle, ma bensì formano una parte essen-ziale di un vasto Universo stellare, e questa ragione èsufficiente per credere che si formino dalla materia stes-sa della quale son fatte le stelle, e che nella loro forma,condensamento e aggregazione, noi possiamo seguire ilprocesso di evoluzione delle stelle e dei soli.

ASTRONOMIA FOTOGRAFICA

Ma gli astronomi posseggono anche un altro mezzopotente che li aiuta nelle loro ricerche, il quale, solo oinsieme allo spettroscopio, ha accresciuto e accresceràancora il numero delle cognizioni che abbiamo dell'Uni-verso stellare, cognizioni che non si sarebbero mai otte-nute con altri mezzi. D'altro canto è indubitabile che lascoperta di nuove stelle, variabili e doppie, è stata possi-bile per la conservazione delle lastre fotografiche, sullequali sono impressi gli spettri, notte per notte, con ognilinea, sia pur oscura o colorata, nella sua vera posizione,come l'ha prodotta l'obbiettivo. Poichè, paragonando talilinee con altre della serie, s'è potuto determinarne i piùpiccoli cambiamenti e misurarne accuratamente il valo-

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re. Se non si fossero potute conservare le lastre fotogra-fiche per poterle paragonare fra loro, non sarebbero sta-te possibili molte delle scoperte fatte con lo spettrosco-pio.

Ma vi sono ancora due altri modi di utilizzare nelcampo astronomico la fotografia, affatto differenti fraloro, ma di eguale importanza di quello suddetto, modiche con l'andare del tempo diverranno fors'anche piùutili ed importanti. Con l'uso delle lastre fotograficheabbiamo potuto infatti determinare l'esatta posizione dicentinaia, anzi di migliaia di stelle, che sono state dise-gnate simultaneamente e con grande esattezza in unmappamondo celeste, del quale si sono fatti molti esem-plari. Ciò ha eliminato del tutto la necessità del vecchiometodo, quello di determinare cioè la posizione di cia-scuna stella misurandola ripetutamente per mezzo di de-licati strumenti e prendendone nota in costosi cataloghi,cosa che richiedeva faticoso e lungo lavoro. Ma il nuovometodo è stato riconosciuto così efficace, che sono statecostruite macchine speciali per la fotografia celeste, eper mezzo di meccanismi precisi a montatura equatoria-le, esse si fanno girare lentamente e sincronicamente alcorso delle stelle in cielo, in modo che l'immagine diciascuna stella rimanga stazionaria sulla lastra per pa-recchie ore.

Di recente, nei più importanti osservatorî di tutto ilmondo, sono state prese delle disposizioni per tentare diottenere, con appositi strumenti, una riproduzione foto-grafica di tutta la volta celeste, allo scopo di fare un di-

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re. Se non si fossero potute conservare le lastre fotogra-fiche per poterle paragonare fra loro, non sarebbero sta-te possibili molte delle scoperte fatte con lo spettrosco-pio.

Ma vi sono ancora due altri modi di utilizzare nelcampo astronomico la fotografia, affatto differenti fraloro, ma di eguale importanza di quello suddetto, modiche con l'andare del tempo diverranno fors'anche piùutili ed importanti. Con l'uso delle lastre fotograficheabbiamo potuto infatti determinare l'esatta posizione dicentinaia, anzi di migliaia di stelle, che sono state dise-gnate simultaneamente e con grande esattezza in unmappamondo celeste, del quale si sono fatti molti esem-plari. Ciò ha eliminato del tutto la necessità del vecchiometodo, quello di determinare cioè la posizione di cia-scuna stella misurandola ripetutamente per mezzo di de-licati strumenti e prendendone nota in costosi cataloghi,cosa che richiedeva faticoso e lungo lavoro. Ma il nuovometodo è stato riconosciuto così efficace, che sono statecostruite macchine speciali per la fotografia celeste, eper mezzo di meccanismi precisi a montatura equatoria-le, esse si fanno girare lentamente e sincronicamente alcorso delle stelle in cielo, in modo che l'immagine diciascuna stella rimanga stazionaria sulla lastra per pa-recchie ore.

Di recente, nei più importanti osservatorî di tutto ilmondo, sono state prese delle disposizioni per tentare diottenere, con appositi strumenti, una riproduzione foto-grafica di tutta la volta celeste, allo scopo di fare un di-

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segno dell'intero sistema stellare, che potrebbe servirecome punto di partenza ai futuri astronomi, i quali così,con maggior facilità, potrebbero rendersi conto del mo-vimento delle stelle di ogni grandezza in modo certo edaccurato, cosa sinora a noi rimasta ignota.

L'altro importante uso della fotografia risiede nel fat-to che, con una più lunga, benchè limitata esposizionedelle lastre, potremo aumentare la sensibilità delle lastrefotografiche, tanto da raccogliere dei raggi luminosi in-visibili all'occhio. Molti saranno coloro che rimarrannosorpresi nell'apprendere che una stessa macchina foto-grafica, con un obbiettivo di tre o quattro pollici di dia-metro, purchè montata a dovere così che se ne possafare un'esposizione di più ore, ci mostrerà stelle cosìpiccole che rimangono invisibili anche al grande tele-scopio di Lick. In tal modo la macchina fotografica cirivela stelle doppie o piccoli gruppi, che non si mostre-rebbero a noi con alcun altro mezzo.

Nei trattati d'astronomia e in articoli di periodici po-polari, sono spesso riprodotte fotografie di stelle, equantunque la maggior parte di queste riproduzioni siaaddirittura sorprendente, molte persone ne rimangonodeluse e non possono capire il loro grande valore, per-chè ogni stella vi è rappresentata da un cerchietto bian-co, spesso di considerevole grandezza, circondato dauna specie di sfumatura, e non da un piccolo punto lu-minoso, quale le stelle mostrano in un buon telescopio.Ma la parte essenziale in tutte queste fotografie nonconsiste nella piccolezza, nè nella rotondità delle imma-

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segno dell'intero sistema stellare, che potrebbe servirecome punto di partenza ai futuri astronomi, i quali così,con maggior facilità, potrebbero rendersi conto del mo-vimento delle stelle di ogni grandezza in modo certo edaccurato, cosa sinora a noi rimasta ignota.

L'altro importante uso della fotografia risiede nel fat-to che, con una più lunga, benchè limitata esposizionedelle lastre, potremo aumentare la sensibilità delle lastrefotografiche, tanto da raccogliere dei raggi luminosi in-visibili all'occhio. Molti saranno coloro che rimarrannosorpresi nell'apprendere che una stessa macchina foto-grafica, con un obbiettivo di tre o quattro pollici di dia-metro, purchè montata a dovere così che se ne possafare un'esposizione di più ore, ci mostrerà stelle cosìpiccole che rimangono invisibili anche al grande tele-scopio di Lick. In tal modo la macchina fotografica cirivela stelle doppie o piccoli gruppi, che non si mostre-rebbero a noi con alcun altro mezzo.

Nei trattati d'astronomia e in articoli di periodici po-polari, sono spesso riprodotte fotografie di stelle, equantunque la maggior parte di queste riproduzioni siaaddirittura sorprendente, molte persone ne rimangonodeluse e non possono capire il loro grande valore, per-chè ogni stella vi è rappresentata da un cerchietto bian-co, spesso di considerevole grandezza, circondato dauna specie di sfumatura, e non da un piccolo punto lu-minoso, quale le stelle mostrano in un buon telescopio.Ma la parte essenziale in tutte queste fotografie nonconsiste nella piccolezza, nè nella rotondità delle imma-

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gini delle stelle, ma bensì nella prova che dànno dellagrande precisione con la quale l'immagine di ciascunastella è stata presa, con un apposito movimento di orolo-geria annesso allo strumento, col quale si ottiene chel'immagine si proietti sempre sul medesimo punto dellalastra, durante tutto il tempo dell'esposizione di questa.Per esempio: nella bellissima fotografia della grande ne-bulosa di Andromeda, fatta il 29 dicembre 1888 dal dot-tor Isacco Roberts mediante un'esposizione di quattroore, si vedono un migliaio di stelle fra grandi e piccole,ciascuna rappresentata da un punticino bianco quasiesattamente rotondo, la cui grandezza corrisponde aquella della stella che riproduce. Questi punti rotondipossono essere bisecati con grande accuratezza dal filotraversale di un micrometro, e così la distanza dei centrie la direzione della loro congiungente in ciascuna cop-pia può esser determinata con precisione, come se cia-scuna fosse rappresentata da un solo punto. Ma siccomeuna piccola macchia bianca disegnata sulla carta celestesarebbe quasi invisibile, nè potrebbe dirci con esattezza,o almeno con approssimazione, la grandezza di una stel-la, e sarebbe perciò possibile commettere degli errori, èstato creduto conveniente di indicare ciascuna stella conun cerchio ben visibile, che ne denoti proporzionalmen-te la grandezza.

Dunque, ciò che si crede un difetto non è in realtà cheun grande vantaggio. La summenzionata fotografia èstata magnificamente riprodotta nel trattato di Astrono-

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gini delle stelle, ma bensì nella prova che dànno dellagrande precisione con la quale l'immagine di ciascunastella è stata presa, con un apposito movimento di orolo-geria annesso allo strumento, col quale si ottiene chel'immagine si proietti sempre sul medesimo punto dellalastra, durante tutto il tempo dell'esposizione di questa.Per esempio: nella bellissima fotografia della grande ne-bulosa di Andromeda, fatta il 29 dicembre 1888 dal dot-tor Isacco Roberts mediante un'esposizione di quattroore, si vedono un migliaio di stelle fra grandi e piccole,ciascuna rappresentata da un punticino bianco quasiesattamente rotondo, la cui grandezza corrisponde aquella della stella che riproduce. Questi punti rotondipossono essere bisecati con grande accuratezza dal filotraversale di un micrometro, e così la distanza dei centrie la direzione della loro congiungente in ciascuna cop-pia può esser determinata con precisione, come se cia-scuna fosse rappresentata da un solo punto. Ma siccomeuna piccola macchia bianca disegnata sulla carta celestesarebbe quasi invisibile, nè potrebbe dirci con esattezza,o almeno con approssimazione, la grandezza di una stel-la, e sarebbe perciò possibile commettere degli errori, èstato creduto conveniente di indicare ciascuna stella conun cerchio ben visibile, che ne denoti proporzionalmen-te la grandezza.

Dunque, ciò che si crede un difetto non è in realtà cheun grande vantaggio. La summenzionata fotografia èstata magnificamente riprodotta nel trattato di Astrono-

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mia antica e moderna di Proctor, pubblicato dopo la suamorte.

Oltre i risultati, che noi abbiamo esposto, ottenuti colnuovo metodo di ricerca, si sono acquistate anche moltecognizioni sulla distribuzione delle stelle, sulla loro na-tura e sulla estensione dell'Universo stellare, sia perl'accurato studio dei materiali ottenuti coi vecchi meto-di, sia con l'applicazione delle ipotesi e delle probabilitàricavate dai fatti osservati. Soltanto con questo mezzoabbiamo potuto ottenere sorprendenti resultati appog-giati e rinforzati dai metodi moderni e dall'uso di nuovistrumenti, atti a misurare le distanze delle stelle. Alcunidi questi risultati riguardano tanto da vicino e tanto di-rettamente il soggetto che abbiamo preso a trattare nelpresente volume, che è necessario dedicare il seguentecapitolo all'esposizione di essi.

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mia antica e moderna di Proctor, pubblicato dopo la suamorte.

Oltre i risultati, che noi abbiamo esposto, ottenuti colnuovo metodo di ricerca, si sono acquistate anche moltecognizioni sulla distribuzione delle stelle, sulla loro na-tura e sulla estensione dell'Universo stellare, sia perl'accurato studio dei materiali ottenuti coi vecchi meto-di, sia con l'applicazione delle ipotesi e delle probabilitàricavate dai fatti osservati. Soltanto con questo mezzoabbiamo potuto ottenere sorprendenti resultati appog-giati e rinforzati dai metodi moderni e dall'uso di nuovistrumenti, atti a misurare le distanze delle stelle. Alcunidi questi risultati riguardano tanto da vicino e tanto di-rettamente il soggetto che abbiamo preso a trattare nelpresente volume, che è necessario dedicare il seguentecapitolo all'esposizione di essi.

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CAPITOLO IV.DISTRIBUZIONE DELLE STELLE

Se guardiamo il cielo in una chiara notte d'inverno,quando non splende la luna, e da una posizione dallaquale possiamo abbracciar con lo sguardo l'intero oriz-zonte, lo spettacolo sarà veramente di meravigliosa bel-lezza. Lo scintillìo brillante di Sirio, di Capella, di Vegae di altre stelle d'immensa grandezza, l'ordine stupendocol quale sono disposte in gruppi o in costellazioni, del-le quali Orione, l'Orsa Maggiore, Cassiopea e le Pleiadisono a noi le più famigliari, e, fin dove il nostro occhioarriva, il constatare che lo spazio che intercede fra que-ste è sparso di punti luminosi sempre e sempre più pic-coli, che coprono l'intero firmamento di una rete scintil-lante di luce, risvegliano in noi un'idea così grandiosa edinsieme così confusa del numero enorme degli astri, checi pare impossibile il poterli contare, e ancor più arduoil poter dare ad essi un ordine sistematico. E nondimenociò fu fatto, eccettuate le stelle più lontane, 134 anni pri-ma dell'èra volgare, da Ipparco, che dette il nome e fissò

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CAPITOLO IV.DISTRIBUZIONE DELLE STELLE

Se guardiamo il cielo in una chiara notte d'inverno,quando non splende la luna, e da una posizione dallaquale possiamo abbracciar con lo sguardo l'intero oriz-zonte, lo spettacolo sarà veramente di meravigliosa bel-lezza. Lo scintillìo brillante di Sirio, di Capella, di Vegae di altre stelle d'immensa grandezza, l'ordine stupendocol quale sono disposte in gruppi o in costellazioni, del-le quali Orione, l'Orsa Maggiore, Cassiopea e le Pleiadisono a noi le più famigliari, e, fin dove il nostro occhioarriva, il constatare che lo spazio che intercede fra que-ste è sparso di punti luminosi sempre e sempre più pic-coli, che coprono l'intero firmamento di una rete scintil-lante di luce, risvegliano in noi un'idea così grandiosa edinsieme così confusa del numero enorme degli astri, checi pare impossibile il poterli contare, e ancor più arduoil poter dare ad essi un ordine sistematico. E nondimenociò fu fatto, eccettuate le stelle più lontane, 134 anni pri-ma dell'èra volgare, da Ipparco, che dette il nome e fissò

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la posizione di più di mille stelle, che è all'incirca il nu-mero di quelle fino alla quinta grandezza, visibili alla la-titudine della Grecia. Una recente enumerazione di tuttele stelle visibili ad occhio nudo, per coloro che hanno lavista acuta, è stata fatta dall'astronomo americano Picke-ring. Nell'emisfero settentrionale sono in numero di2509 ed in quello meridionale 2824, il che dimostra chevi è molto maggior numero di stelle nell'emisfero cele-ste meridionale. Ma questa differenza è dovuta intera-mente alla preponderanza delle stelle poste tra la quintae la sesta grandezza, oltre le quali non vanno i limiti del-la vista umana, mentre di quelle che sono inferiori allaquinta grandezza e mezza, ve ne sono 85 di più nell'emi-sfero settentrionale. Il professor Newcomb è d'opinioneche le stelle visibili ad occhio nudo siano presso a pocoin egual numero tanto nell'uno quanto nell'altro emisfe-ro. Ora, addizionando il numero delle stelle visibili adocchio nudo, abbiamo un totale di 5333 stelle, ma que-sto numero comprende anche quelle inferiori alla gran-dezza 6,2 mentre si crede generalmente che il limite del-la grandezza delle stelle visibili senza strumento alcuno,non possa andare al di là della sesta grandezza. Riesami-nando tutti questi materiali, l'astronomo italiano Schia-parelli conclude che il numero totale delle stelle, digrandezza inferiore alla sesta, sia di 4303, sparse in nu-mero eguale tanto nel cielo settentrionale che in quellomeridionale.

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la posizione di più di mille stelle, che è all'incirca il nu-mero di quelle fino alla quinta grandezza, visibili alla la-titudine della Grecia. Una recente enumerazione di tuttele stelle visibili ad occhio nudo, per coloro che hanno lavista acuta, è stata fatta dall'astronomo americano Picke-ring. Nell'emisfero settentrionale sono in numero di2509 ed in quello meridionale 2824, il che dimostra chevi è molto maggior numero di stelle nell'emisfero cele-ste meridionale. Ma questa differenza è dovuta intera-mente alla preponderanza delle stelle poste tra la quintae la sesta grandezza, oltre le quali non vanno i limiti del-la vista umana, mentre di quelle che sono inferiori allaquinta grandezza e mezza, ve ne sono 85 di più nell'emi-sfero settentrionale. Il professor Newcomb è d'opinioneche le stelle visibili ad occhio nudo siano presso a pocoin egual numero tanto nell'uno quanto nell'altro emisfe-ro. Ora, addizionando il numero delle stelle visibili adocchio nudo, abbiamo un totale di 5333 stelle, ma que-sto numero comprende anche quelle inferiori alla gran-dezza 6,2 mentre si crede generalmente che il limite del-la grandezza delle stelle visibili senza strumento alcuno,non possa andare al di là della sesta grandezza. Riesami-nando tutti questi materiali, l'astronomo italiano Schia-parelli conclude che il numero totale delle stelle, digrandezza inferiore alla sesta, sia di 4303, sparse in nu-mero eguale tanto nel cielo settentrionale che in quellomeridionale.

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LA VIA LATTEA

Oltre le stelle, da entrambi gli emisferi è visibile an-cora un fenomeno molto notevole, cioè quella striscia ir-regolare, meravigliosa, emanante una luce debole e dif-fusa, chiamata Via Lattea, che forma un arco magnificotraversante il firmamento, e che alla latitudine d'Inghil-terra appare più netta nei mesi autunnali. Quest'arco simuove descrivendo un gran cerchio intorno al cielo, maè irregolarissimo nei suoi particolari: in qualche punto èunico, in qualche altro doppio con molte diramazioni eframmisto di molte strisce scure, macchie o soluzioni dicontinuità, attraverso le quali appare il cielo cupo e qua-si senza stelle. Ma guardando con un cannocchiale o conun piccolo telescopio, si scorge da quelle fessure unacerta quantità di astri e con l'aiuto di un potente telesco-pio poi, molte e molte stelle divengono visibili, e con ipiù grandi e migliori strumenti si vede che tutta la ViaLattea è addirittura composta di astri, i quali, per quantoirregolarmente disposti, hanno l'apparenza di un verofiume di stelle, interrotto da fenditure e da macchie, lequali sempre offrono un fondo incerto e nebuloso, comese vi fossero altre miriadi di stelle che un altro più po-tente strumento ottico ci potrebbe rivelare.

I rapporti che questa grande striscia di stelle telesco-piche ha con il resto del sistema stellare, hanno per mol-to tempo interessato gli astronomi, e molti hanno tentatodi risolvere il problema con un sistema di misurazione,cioè calcolando tutte le stelle che passano in un certo

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LA VIA LATTEA

Oltre le stelle, da entrambi gli emisferi è visibile an-cora un fenomeno molto notevole, cioè quella striscia ir-regolare, meravigliosa, emanante una luce debole e dif-fusa, chiamata Via Lattea, che forma un arco magnificotraversante il firmamento, e che alla latitudine d'Inghil-terra appare più netta nei mesi autunnali. Quest'arco simuove descrivendo un gran cerchio intorno al cielo, maè irregolarissimo nei suoi particolari: in qualche punto èunico, in qualche altro doppio con molte diramazioni eframmisto di molte strisce scure, macchie o soluzioni dicontinuità, attraverso le quali appare il cielo cupo e qua-si senza stelle. Ma guardando con un cannocchiale o conun piccolo telescopio, si scorge da quelle fessure unacerta quantità di astri e con l'aiuto di un potente telesco-pio poi, molte e molte stelle divengono visibili, e con ipiù grandi e migliori strumenti si vede che tutta la ViaLattea è addirittura composta di astri, i quali, per quantoirregolarmente disposti, hanno l'apparenza di un verofiume di stelle, interrotto da fenditure e da macchie, lequali sempre offrono un fondo incerto e nebuloso, comese vi fossero altre miriadi di stelle che un altro più po-tente strumento ottico ci potrebbe rivelare.

I rapporti che questa grande striscia di stelle telesco-piche ha con il resto del sistema stellare, hanno per mol-to tempo interessato gli astronomi, e molti hanno tentatodi risolvere il problema con un sistema di misurazione,cioè calcolando tutte le stelle che passano in un certo

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tempo nel campo del loro telescopio. Guglielmo Her-schel fu il primo a tentare di determinare sistematica-mente la forma dell'Universo stellare. Dal fatto che ilnumero delle stelle cresce rapidamente quanto più la no-stra linea visuale si avvicina alla Via Lattea, da qualun-que direzione si muova, mentre che quando lo sguardoarriva proprio su di essa questo numero diventa improv-visamente doppio, sorse in lui l'idea che la formadell'intero sistema dovesse essere quella di una grandemassa discoidale di densità un poco minore verso il cen-tro, dove è situato il nostro sole, o, per parlare più vol-garmente, che l'Universo visibile fosse fatto come un di-sco piatto o una màcina da mulino, ma di spessore irre-golare, con una fenditura da un lato, dove la Via Latteaappare sdoppiata. E fu detto che l'immensa quantità distelle che la compongono sia dovuta al fatto che noi lavediamo di sghembo attraverso ad una grande profondi-tà di stelle, e all'angolo destro della sua direzione, quan-do guardiamo verso quello che si chiama polo della ViaLattea. Tale quantità di stelle diminuisce infatti se guar-diamo obliquamente, penetrando con lo sguardo in unostrato più sottile di stelle che per tal modo sembrano es-sere molto più rade.

Negli ultimi anni della sua vita, Guglielmo Herschelsi accertò che questa non era la vera spiegazionedell'apparenza della Via Lattea. Le macchie lucenti chesi osservano in essa, come le fenditure oscure, strettifiumi di luce spesso limitati da fiumi egualmente strettidi tenebre, fanno supporre che la forma complessiva di

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tempo nel campo del loro telescopio. Guglielmo Her-schel fu il primo a tentare di determinare sistematica-mente la forma dell'Universo stellare. Dal fatto che ilnumero delle stelle cresce rapidamente quanto più la no-stra linea visuale si avvicina alla Via Lattea, da qualun-que direzione si muova, mentre che quando lo sguardoarriva proprio su di essa questo numero diventa improv-visamente doppio, sorse in lui l'idea che la formadell'intero sistema dovesse essere quella di una grandemassa discoidale di densità un poco minore verso il cen-tro, dove è situato il nostro sole, o, per parlare più vol-garmente, che l'Universo visibile fosse fatto come un di-sco piatto o una màcina da mulino, ma di spessore irre-golare, con una fenditura da un lato, dove la Via Latteaappare sdoppiata. E fu detto che l'immensa quantità distelle che la compongono sia dovuta al fatto che noi lavediamo di sghembo attraverso ad una grande profondi-tà di stelle, e all'angolo destro della sua direzione, quan-do guardiamo verso quello che si chiama polo della ViaLattea. Tale quantità di stelle diminuisce infatti se guar-diamo obliquamente, penetrando con lo sguardo in unostrato più sottile di stelle che per tal modo sembrano es-sere molto più rade.

Negli ultimi anni della sua vita, Guglielmo Herschelsi accertò che questa non era la vera spiegazionedell'apparenza della Via Lattea. Le macchie lucenti chesi osservano in essa, come le fenditure oscure, strettifiumi di luce spesso limitati da fiumi egualmente strettidi tenebre, fanno supporre che la forma complessiva di

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questo cerchio luminoso sia quella d'un disco comples-so, che si estenda nella direzione dalla quale lo vedia-mo, per una distanza immensamente più grande di quel-la del suo spessore. Herschel, osservando una costella-zione molto luminosa, credè di esser penetrato col suotelescopio in regioni venti volte più lontane delle stellepiù brillanti, che formano la parte più vicina del circolo.

In quanto alle Nuvole di Magellano, che sono duegrandi nebulose situate nell'emisfero celeste meridiona-le, a qualche distanza dalla Via Lattea, e che sembranofar parte di essa, lo stesso Giovanni Herschel ha dimo-strato che volerne indovinare la forma è cosa impossibi-le, perchè bisognerebbe supporre che in ambedue noivedessimo, non masse rotonde composte di irregolariforme globulari, ma coni o cilindri immensamente lun-ghi, e posti in modo che noi non ne possiamo vedere chela base, e ci fa notare che un tale oggetto che avesse unatal posizione, sarebbe una coincidenza straordinaria, eche non è poi ammissibile che ve ne possano essere dueo più. Nella Via Lattea vi sono centinaia, anzi migliaia,di tali macchie di eccezionale lucentezza o di ecceziona-le oscurità, e se la forma di essa è quella di un discomolto più esteso in diametro che in ispessore, e che noivediamo di sghembo, anche ciascuna di queste macchieo gruppi, e tutti gli stretti e sinuosi ruscelli di luce bril-lante o d'intense tenebre, potrebbero esser veramentelunghissimi cilindri o tunnell o cupe lamine curve ostrette fessure. E ciascuna di queste che possiamo vede-re in questo vasto circolo luminoso, dovrebbe avere una

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questo cerchio luminoso sia quella d'un disco comples-so, che si estenda nella direzione dalla quale lo vedia-mo, per una distanza immensamente più grande di quel-la del suo spessore. Herschel, osservando una costella-zione molto luminosa, credè di esser penetrato col suotelescopio in regioni venti volte più lontane delle stellepiù brillanti, che formano la parte più vicina del circolo.

In quanto alle Nuvole di Magellano, che sono duegrandi nebulose situate nell'emisfero celeste meridiona-le, a qualche distanza dalla Via Lattea, e che sembranofar parte di essa, lo stesso Giovanni Herschel ha dimo-strato che volerne indovinare la forma è cosa impossibi-le, perchè bisognerebbe supporre che in ambedue noivedessimo, non masse rotonde composte di irregolariforme globulari, ma coni o cilindri immensamente lun-ghi, e posti in modo che noi non ne possiamo vedere chela base, e ci fa notare che un tale oggetto che avesse unatal posizione, sarebbe una coincidenza straordinaria, eche non è poi ammissibile che ve ne possano essere dueo più. Nella Via Lattea vi sono centinaia, anzi migliaia,di tali macchie di eccezionale lucentezza o di ecceziona-le oscurità, e se la forma di essa è quella di un discomolto più esteso in diametro che in ispessore, e che noivediamo di sghembo, anche ciascuna di queste macchieo gruppi, e tutti gli stretti e sinuosi ruscelli di luce bril-lante o d'intense tenebre, potrebbero esser veramentelunghissimi cilindri o tunnell o cupe lamine curve ostrette fessure. E ciascuna di queste che possiamo vede-re in questo vasto circolo luminoso, dovrebbe avere una

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posizione precisamente volta verso il nostro sole. La va-lidità di questo argomento, che con molta sapienza echiarezza trattò il defunto R. A. Proctor nel suo bellissi-mo ed accreditato volume intitolato: Il posto che occu-piamo nell'infinito, approvato da quasi tutti gli astrono-mi, conduce alla conclusione che la forma della Via Lat-tea è quella di un immenso cerchio irregolare, il profilodel quale, preso da qualsiasi parte, è, grossolanamenteparlando, circolare, e che le molteplici fenditure, stra-dicciuole o aperture dalle quali a noi sembra poter scor-gere le tenebre che stanno nello spazio che si trova al dilà di esse, rendono probabile che in quelle direzioni ilsuo spessore sia minore e non maggiore della sua appa-rente grandezza, il che equivarrebbe a dire che noi nevediamo il lato più largo invece dello stretto margine.

Prima di cominciare a considerare la relazione chepassa fra le innumerevoli stelle che noi vediamo sparsenella volta celeste, e quest'immensa striscia di stelle te-lescopiche, sarà bene dare una descrizione il più possi-bilmente completa della Via Lattea, sia perchè spessonon si trova disegnata sui mappamondi celesti con suffi-ciente accuratezza, sia per descrivere la sua meraviglio-sa struttura, sia anche perchè essa rappresenta il feno-meno fondamentale sul quale si basano precisamente gliargomenti trattati in questo volume. Per raggiungere piùefficacemente lo scopo, mi varrò della descrizione fattada Giovanni Herschel nel suo libro: Principii di Astro-nomia, perchè egli, come tutti gli astronomi dello scorsosecolo, fece su di essa studi profondi, osservandola

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posizione precisamente volta verso il nostro sole. La va-lidità di questo argomento, che con molta sapienza echiarezza trattò il defunto R. A. Proctor nel suo bellissi-mo ed accreditato volume intitolato: Il posto che occu-piamo nell'infinito, approvato da quasi tutti gli astrono-mi, conduce alla conclusione che la forma della Via Lat-tea è quella di un immenso cerchio irregolare, il profilodel quale, preso da qualsiasi parte, è, grossolanamenteparlando, circolare, e che le molteplici fenditure, stra-dicciuole o aperture dalle quali a noi sembra poter scor-gere le tenebre che stanno nello spazio che si trova al dilà di esse, rendono probabile che in quelle direzioni ilsuo spessore sia minore e non maggiore della sua appa-rente grandezza, il che equivarrebbe a dire che noi nevediamo il lato più largo invece dello stretto margine.

Prima di cominciare a considerare la relazione chepassa fra le innumerevoli stelle che noi vediamo sparsenella volta celeste, e quest'immensa striscia di stelle te-lescopiche, sarà bene dare una descrizione il più possi-bilmente completa della Via Lattea, sia perchè spessonon si trova disegnata sui mappamondi celesti con suffi-ciente accuratezza, sia per descrivere la sua meraviglio-sa struttura, sia anche perchè essa rappresenta il feno-meno fondamentale sul quale si basano precisamente gliargomenti trattati in questo volume. Per raggiungere piùefficacemente lo scopo, mi varrò della descrizione fattada Giovanni Herschel nel suo libro: Principii di Astro-nomia, perchè egli, come tutti gli astronomi dello scorsosecolo, fece su di essa studi profondi, osservandola

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nell'emisfero settentrionale come in quello meridionale,ad occhio nudo e con l'aiuto di telescopi di grande po-tenza e di mirabile qualità, ed anche perchè in mezzoalla farragine di lavori moderni e di eccitanti novità di-vulgate in questi ultimi anni, il suo volume veramenteistruttivo è relativamente poco conosciuto. Questa preci-sa ed accurata descrizione sarà molto utile a coloro deimiei lettori che desiderano farsi un'idea chiara diquell'oggetto magnifico che non può non destare grandeinteresse per la sua forma particolare, quando se ne am-mira la bellezza o per mezzo di un cannocchiale, o conun piccolo telescopio, o anche semplicemente ad occhionudo.

DESCRIZIONE DELLA VIA LATTEA

Giovanni Herschel la descrive così:«La striscia che la Via Lattea disegna attraverso i cieli

e che noi possiamo vedere ad occhio nudo, non tenendoconto di accidentali deviazioni e seguendo solamente lalinea del suo maggiore splendore, come quella della suavaria larghezza ed intensità, almeno come ci permettonodi determinarla i suoi incerti limiti, possiamo immagi-narla come un gran cerchio inclinato ad un angolo dicirca 63° verso quello equinoziale, e che taglia questocircolo in ascensione retta a 6 ore 47 m. e 18 ore 47 m.,per modo che i suoi poli, tanto meridionale che setten-

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nell'emisfero settentrionale come in quello meridionale,ad occhio nudo e con l'aiuto di telescopi di grande po-tenza e di mirabile qualità, ed anche perchè in mezzoalla farragine di lavori moderni e di eccitanti novità di-vulgate in questi ultimi anni, il suo volume veramenteistruttivo è relativamente poco conosciuto. Questa preci-sa ed accurata descrizione sarà molto utile a coloro deimiei lettori che desiderano farsi un'idea chiara diquell'oggetto magnifico che non può non destare grandeinteresse per la sua forma particolare, quando se ne am-mira la bellezza o per mezzo di un cannocchiale, o conun piccolo telescopio, o anche semplicemente ad occhionudo.

DESCRIZIONE DELLA VIA LATTEA

Giovanni Herschel la descrive così:«La striscia che la Via Lattea disegna attraverso i cieli

e che noi possiamo vedere ad occhio nudo, non tenendoconto di accidentali deviazioni e seguendo solamente lalinea del suo maggiore splendore, come quella della suavaria larghezza ed intensità, almeno come ci permettonodi determinarla i suoi incerti limiti, possiamo immagi-narla come un gran cerchio inclinato ad un angolo dicirca 63° verso quello equinoziale, e che taglia questocircolo in ascensione retta a 6 ore 47 m. e 18 ore 47 m.,per modo che i suoi poli, tanto meridionale che setten-

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trionale, siano situati rispettivamente in ascensione rettaa 12 ore 47 m. (distanza polare nord 63°) e 0 ore 4 m.(distanza polare nord 117°). Attraverso la regione che daesso è così nettamente divisa, questo cerchio occupa unasituazione intermedia fra le due grandi correnti, appros-simandosi più dalla parte luminosa e continua che daquella più interrotta e indecisa. Se noi seguiamo il suocorso secondo la ascensione retta, lo vedremo traversarela costellazione di Cassiopea e la sua parte più luminosapassare a circa due gradi al nord della stella δ di questacostellazione. Passando al di là fra γ ed ε di Cassiopea,manda un ramo al Sud verso α di Perseo, che la rasentamolto da vicino; poi si prolunga verso η della stessa co-stellazione, e può esser seguita sin verso le Hiadi e lePleiadi. La maggiore diramazione, sebbene molto incer-ta, passa per l'Auriga, presso le tre notevoli stelle ε, ζ, η,della costellazione chiamata Hedi che precede Capella,fra i piedi dei Gemelli e l'estremità del Toro, dove incro-cia l'eclittica vicino al Coluro solstiziale, e di là, dallacima d'Orione alle falde del Monocero, incrocia la lineaequinoziale in ascensione retta a 6 ore 54 m. Da questopunto (ramo di Perseo) la sua luce è debole e incerta, madopo si anima di splendore e quando passa dietro lespalle del Monocero e sulla testa del Cane Maggiore,presenta una luce moderata ed uniforme, ma ad occhionudo non vi si vedono stelle quando entra nella prua diArgo, vicino al tropico del sud. Qui si suddivide di nuo-vo (presso la stella m Puppis) spingendo innanzi, dallato anteriore, una diramazione stretta e disuguale, che

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trionale, siano situati rispettivamente in ascensione rettaa 12 ore 47 m. (distanza polare nord 63°) e 0 ore 4 m.(distanza polare nord 117°). Attraverso la regione che daesso è così nettamente divisa, questo cerchio occupa unasituazione intermedia fra le due grandi correnti, appros-simandosi più dalla parte luminosa e continua che daquella più interrotta e indecisa. Se noi seguiamo il suocorso secondo la ascensione retta, lo vedremo traversarela costellazione di Cassiopea e la sua parte più luminosapassare a circa due gradi al nord della stella δ di questacostellazione. Passando al di là fra γ ed ε di Cassiopea,manda un ramo al Sud verso α di Perseo, che la rasentamolto da vicino; poi si prolunga verso η della stessa co-stellazione, e può esser seguita sin verso le Hiadi e lePleiadi. La maggiore diramazione, sebbene molto incer-ta, passa per l'Auriga, presso le tre notevoli stelle ε, ζ, η,della costellazione chiamata Hedi che precede Capella,fra i piedi dei Gemelli e l'estremità del Toro, dove incro-cia l'eclittica vicino al Coluro solstiziale, e di là, dallacima d'Orione alle falde del Monocero, incrocia la lineaequinoziale in ascensione retta a 6 ore 54 m. Da questopunto (ramo di Perseo) la sua luce è debole e incerta, madopo si anima di splendore e quando passa dietro lespalle del Monocero e sulla testa del Cane Maggiore,presenta una luce moderata ed uniforme, ma ad occhionudo non vi si vedono stelle quando entra nella prua diArgo, vicino al tropico del sud. Qui si suddivide di nuo-vo (presso la stella m Puppis) spingendo innanzi, dallato anteriore, una diramazione stretta e disuguale, che

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arriva fino alla stella γ di Argo, dove si tronca brusca-mente. La striscia principale prosegue la sua corsa versoil sud fino al 123° parallelo di D. P. N., dove si allarga esi suddivide di nuovo, aprendosi a guisa di un grandeventaglio con quasi 20 gradi di larghezza, formato distrisce intralciate che tutte terminano bruscamente versoλ e γ di Argo.

«A questo punto la continuità della Via Lattea è inter-rotta da un largo vuoto, ed essa ricomincia dalla parteopposta, prendendo la forma di un fascio di rami con-vergenti verso la brillante stella η di Argo. Là s'incrociacon i piedi posteriori del Centauro, formando una curio-sa e ben definita cavità semicircolare di piccoli raggi,poi entra nella Croce con un lucidissimo braccio o ist-mo, non più esteso di tre o quattro gradi, poichè è questala parte più stretta della Via Lattea. Immediatamentedopo si estende in una larga e lucida massa, circondandole stelle α e β dalla Croce e β del Centauro, e allargan-dosi quasi fino all'α di quest'ultima costellazione.

«In mezzo a questa massa luminosa che circonda lacostellazione da ogni parte, e che occupa quasi metàdella sua estensione, si scorge una lacuna tenebrosa del-la forma singolare d'una pera, così grande e così netta-mente disegnata, da attirar l'attenzione di chiunque guar-di il cielo, sia pur profano della scienza e che i primi na-vigatori nei mari del sud chiamarono col nome bizzarro,ma espressivo, di sacco di carbone. In questo vano, lar-go circa 8 gradi di lunghezza e 5 di larghezza, una solastella è visibile ad occhio nudo, ma sono invece molte

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arriva fino alla stella γ di Argo, dove si tronca brusca-mente. La striscia principale prosegue la sua corsa versoil sud fino al 123° parallelo di D. P. N., dove si allarga esi suddivide di nuovo, aprendosi a guisa di un grandeventaglio con quasi 20 gradi di larghezza, formato distrisce intralciate che tutte terminano bruscamente versoλ e γ di Argo.

«A questo punto la continuità della Via Lattea è inter-rotta da un largo vuoto, ed essa ricomincia dalla parteopposta, prendendo la forma di un fascio di rami con-vergenti verso la brillante stella η di Argo. Là s'incrociacon i piedi posteriori del Centauro, formando una curio-sa e ben definita cavità semicircolare di piccoli raggi,poi entra nella Croce con un lucidissimo braccio o ist-mo, non più esteso di tre o quattro gradi, poichè è questala parte più stretta della Via Lattea. Immediatamentedopo si estende in una larga e lucida massa, circondandole stelle α e β dalla Croce e β del Centauro, e allargan-dosi quasi fino all'α di quest'ultima costellazione.

«In mezzo a questa massa luminosa che circonda lacostellazione da ogni parte, e che occupa quasi metàdella sua estensione, si scorge una lacuna tenebrosa del-la forma singolare d'una pera, così grande e così netta-mente disegnata, da attirar l'attenzione di chiunque guar-di il cielo, sia pur profano della scienza e che i primi na-vigatori nei mari del sud chiamarono col nome bizzarro,ma espressivo, di sacco di carbone. In questo vano, lar-go circa 8 gradi di lunghezza e 5 di larghezza, una solastella è visibile ad occhio nudo, ma sono invece molte

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quelle visibili al telescopio; la sua oscurità è perciò do-vuta unicamente all'effetto del contrasto che produce lazona luminosa che lo circonda da ogni parte. Questo è ilpunto in cui la Via Lattea si trova più vicina al polo sud.In tutte queste regioni il suo splendore è grandissimo, eparagonandolo con quello della sua parte più settentrio-nale, della quale abbiamo già parlato, lascia supporre daquesto lato una maggior vicinanza, suscitando in noil'idea che il nostro posto di spettatori sia separato daogni parte da un intervallo considerevole fra i gruppidensi di stelle che compongono la Via Lattea, che daquesto punto di vista potrebbe considerarsi come ungran circolo piatto d'immensa grandezza e d'irregolarespessore, nel quale siamo eccentricamente situati, cioèpiù vicini al sud che al nord del suo circuito.

«Ad α del Centauro la Via Lattea si suddivide ancora,spingendo innanzi una diramazione larga quasi quantola metà della sua larghezza totale, ma che si assottigliarapidamente ad un angolo di circa 20° dirigendosi versoη e δ del Lupo, per diventare al di là una striscia sottile esbiadita. La diramazione maggiore passa per γ di Nor-ma, dove la sua larghezza diventa maggiore, fa un ango-lo acuto e si suddivide di nuovo, da un lato con un brac-cio continuo di irregolare ampiezza e splendore,dall'altro in un complicato sistema di strisce intralciate edi vuoti, che cuoprono la coda dello Scorpione e termi-nano allargandosi e sfumandosi per tutta l'immensa re-gione occupata dalla gamba anteriore di Ophioco, rag-giungendo verso il nord il parallelo di 103° D. P. N.,

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quelle visibili al telescopio; la sua oscurità è perciò do-vuta unicamente all'effetto del contrasto che produce lazona luminosa che lo circonda da ogni parte. Questo è ilpunto in cui la Via Lattea si trova più vicina al polo sud.In tutte queste regioni il suo splendore è grandissimo, eparagonandolo con quello della sua parte più settentrio-nale, della quale abbiamo già parlato, lascia supporre daquesto lato una maggior vicinanza, suscitando in noil'idea che il nostro posto di spettatori sia separato daogni parte da un intervallo considerevole fra i gruppidensi di stelle che compongono la Via Lattea, che daquesto punto di vista potrebbe considerarsi come ungran circolo piatto d'immensa grandezza e d'irregolarespessore, nel quale siamo eccentricamente situati, cioèpiù vicini al sud che al nord del suo circuito.

«Ad α del Centauro la Via Lattea si suddivide ancora,spingendo innanzi una diramazione larga quasi quantola metà della sua larghezza totale, ma che si assottigliarapidamente ad un angolo di circa 20° dirigendosi versoη e δ del Lupo, per diventare al di là una striscia sottile esbiadita. La diramazione maggiore passa per γ di Nor-ma, dove la sua larghezza diventa maggiore, fa un ango-lo acuto e si suddivide di nuovo, da un lato con un brac-cio continuo di irregolare ampiezza e splendore,dall'altro in un complicato sistema di strisce intralciate edi vuoti, che cuoprono la coda dello Scorpione e termi-nano allargandosi e sfumandosi per tutta l'immensa re-gione occupata dalla gamba anteriore di Ophioco, rag-giungendo verso il nord il parallelo di 103° D. P. N.,

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passato il quale la perdiamo di vista perchè un largo in-tervallo di 14°, sgombro da ogni apparenza di nebulosi-tà, la separa dal gran ramo della parte nord dell'equino-ziale, del quale è generalmente rappresentata come unacontinuazione.

«Ritornando al punto in cui questo gran ramo si sepa-ra dal principale ruscello, non ci occuperemo che diquest'ultimo. Curvandosi bruscamente passa in facciaalle stelle ι dell'Ara, ϑ e ι dello Scorpione, γ del Tubo, eγ del Sagittario, dove subitamente si raccoglie in una vi-vida massa ovale di circa 6° di lunghezza e 4° di lar-ghezza, e con tanta ricchezza di stelle, che un moderatocalcolo le fa ascendere a 100 mila.

«A nord della massa, questo ruscello di stelle traversal'eclittica alla longitudine di circa 276°, e procedendolungo il cerchio del Sagittario sino ad Antinoo, ha il suocorso interrotto da tre profonde cavità separate le unedalle altre da notevoli protuberanze, delle quali la piùlarga e la più lucente forma la parte più cospicua dellaporzione meridionale della Via Lattea, visibile nella no-stra latitudine.

«Traversando la linea equinoziale alla 19ma ora diascensione retta, scorre come un irregolare ruscellomacchiato e serpeggiante attraverso l'Aquila, la Sagitta ela Valpecula, fino al Cigno. A ε di questa costellazionela continuità della Via Lattea è interrotta, quindi essa ap-pare di nuovo in modo molto confuso e irregolare: iltratto d'interruzione ha l'aspetto di una larga e tenebrosamacchia, non molto dissimile da quella dell'emisfero

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passato il quale la perdiamo di vista perchè un largo in-tervallo di 14°, sgombro da ogni apparenza di nebulosi-tà, la separa dal gran ramo della parte nord dell'equino-ziale, del quale è generalmente rappresentata come unacontinuazione.

«Ritornando al punto in cui questo gran ramo si sepa-ra dal principale ruscello, non ci occuperemo che diquest'ultimo. Curvandosi bruscamente passa in facciaalle stelle ι dell'Ara, ϑ e ι dello Scorpione, γ del Tubo, eγ del Sagittario, dove subitamente si raccoglie in una vi-vida massa ovale di circa 6° di lunghezza e 4° di lar-ghezza, e con tanta ricchezza di stelle, che un moderatocalcolo le fa ascendere a 100 mila.

«A nord della massa, questo ruscello di stelle traversal'eclittica alla longitudine di circa 276°, e procedendolungo il cerchio del Sagittario sino ad Antinoo, ha il suocorso interrotto da tre profonde cavità separate le unedalle altre da notevoli protuberanze, delle quali la piùlarga e la più lucente forma la parte più cospicua dellaporzione meridionale della Via Lattea, visibile nella no-stra latitudine.

«Traversando la linea equinoziale alla 19ma ora diascensione retta, scorre come un irregolare ruscellomacchiato e serpeggiante attraverso l'Aquila, la Sagitta ela Valpecula, fino al Cigno. A ε di questa costellazionela continuità della Via Lattea è interrotta, quindi essa ap-pare di nuovo in modo molto confuso e irregolare: iltratto d'interruzione ha l'aspetto di una larga e tenebrosamacchia, non molto dissimile da quella dell'emisfero

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meridionale, che fu chiamata sacco di carbone. Essa oc-cupa lo spazio fra ε, α e γ del Cigno, donde divergono letre grandi correnti luminose, una delle quali è stata giàdescritta.

«La seconda diramazione rappresenta la continuazio-ne del braccio principale (traverso l'intervallo buio) anord di α, fra la Lucertola e la testa di Cefeo fino a Cas-siopea, dove si arresta; la terza comincia da γ del Cigno,appare molto risplendente e larga, e si dirige verso ilsud, fra β del Cigno ed σ dell'Aquila, fin quasi alla lineaequinoziale, dove si perde in una regione poco ricca distelle, in un punto dove in molti mappamondi celesti èsegnata la nuova costellazione del Toro di Poniatowski.Questo ramo, ove venisse prolungato a traverso la lineaequinoziale, si riunirebbe con il grande effondimento diOfioco, di cui abbiamo già parlato. Una diramazioneconsiderevole, quasi un'appendice protuberante, si stac-ca anche dalla corrente situata a nord del capo di Cefeoe va direttamente verso il polo, occupando il grandequadrilatero formato da α, β, ι e δ di quella costellazio-ne.»

Per rendere più completa e più accurata questa descri-zione della Via Lattea, sarà bene aggiungere qualche al-tro brano del medesimo volume, dove si parla della suaintima struttura, e della sua apparenza telescopica.

«Esaminando con un telescopio potente la struttura diquesta meravigliosa zona luminosa, vediamo che essadifferisce poco dall'aspetto uniforme che si nota quandoè veduta ad occhio nudo, e che si mantiene egualmente

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meridionale, che fu chiamata sacco di carbone. Essa oc-cupa lo spazio fra ε, α e γ del Cigno, donde divergono letre grandi correnti luminose, una delle quali è stata giàdescritta.

«La seconda diramazione rappresenta la continuazio-ne del braccio principale (traverso l'intervallo buio) anord di α, fra la Lucertola e la testa di Cefeo fino a Cas-siopea, dove si arresta; la terza comincia da γ del Cigno,appare molto risplendente e larga, e si dirige verso ilsud, fra β del Cigno ed σ dell'Aquila, fin quasi alla lineaequinoziale, dove si perde in una regione poco ricca distelle, in un punto dove in molti mappamondi celesti èsegnata la nuova costellazione del Toro di Poniatowski.Questo ramo, ove venisse prolungato a traverso la lineaequinoziale, si riunirebbe con il grande effondimento diOfioco, di cui abbiamo già parlato. Una diramazioneconsiderevole, quasi un'appendice protuberante, si stac-ca anche dalla corrente situata a nord del capo di Cefeoe va direttamente verso il polo, occupando il grandequadrilatero formato da α, β, ι e δ di quella costellazio-ne.»

Per rendere più completa e più accurata questa descri-zione della Via Lattea, sarà bene aggiungere qualche al-tro brano del medesimo volume, dove si parla della suaintima struttura, e della sua apparenza telescopica.

«Esaminando con un telescopio potente la struttura diquesta meravigliosa zona luminosa, vediamo che essadifferisce poco dall'aspetto uniforme che si nota quandoè veduta ad occhio nudo, e che si mantiene egualmente

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irregolare. In qualche punto, e per lunghi tratti, le stelleche la compongono sono sparse con assoluta regolarità,mentre in altri luoghi la distribuzione di esse è del tuttoirregolare, poichè si vedono radunate in gruppi compat-ti, ai quali succedono intervalli dove sono relativamenterare. In taluni punti le tenebre possono dirsi quasi asso-lute, perchè non vi si scorge nessuna stella, neppure conl'aiuto del telescopio. In certi altri punti non si vedono inmedia che 40 o 50 stelle, in un campo di 15 minuti,mentre in altri la media dà un resultato di 400 o 500stelle. Nè è minore la differenza che si osserva nel carat-tere delle differenti regioni, riguardo alla grandezza del-le stelle che ivi sono e al numero proporzionale delle piùgrandi e delle più piccole. In talune, per esempio, se nepresentano in moderatissima quantità e piccolissime; laqualcosa ci spinge irresistibilmente a credere che inquelle regioni vediamo nettamente attraverso lo stratostellare, perchè altrimenti sarebbe impossibile che il nu-mero delle grandezze stellari non andasse sempre e sem-pre più degradando all'infinito. Inoltre in tali punti, lospazio del cielo è per lo più oscuro, e ciò non accadreb-be se una moltitudine incalcolabile di stelle esistesse aldi là di esso, fossero pure tanto piccole da non poterlediscernere. In altre regioni invece osserviamo un altrofenomeno: le stelle emanano una luce quasi uniforme, esono disposte sulla volta celeste quasi con esatta regola-rità, e mancano quasi del tutto stelle che differiscanonella grandezza. In tali casi noi possiamo presumere confondamento di causa che i nostri sguardi attraversino

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irregolare. In qualche punto, e per lunghi tratti, le stelleche la compongono sono sparse con assoluta regolarità,mentre in altri luoghi la distribuzione di esse è del tuttoirregolare, poichè si vedono radunate in gruppi compat-ti, ai quali succedono intervalli dove sono relativamenterare. In taluni punti le tenebre possono dirsi quasi asso-lute, perchè non vi si scorge nessuna stella, neppure conl'aiuto del telescopio. In certi altri punti non si vedono inmedia che 40 o 50 stelle, in un campo di 15 minuti,mentre in altri la media dà un resultato di 400 o 500stelle. Nè è minore la differenza che si osserva nel carat-tere delle differenti regioni, riguardo alla grandezza del-le stelle che ivi sono e al numero proporzionale delle piùgrandi e delle più piccole. In talune, per esempio, se nepresentano in moderatissima quantità e piccolissime; laqualcosa ci spinge irresistibilmente a credere che inquelle regioni vediamo nettamente attraverso lo stratostellare, perchè altrimenti sarebbe impossibile che il nu-mero delle grandezze stellari non andasse sempre e sem-pre più degradando all'infinito. Inoltre in tali punti, lospazio del cielo è per lo più oscuro, e ciò non accadreb-be se una moltitudine incalcolabile di stelle esistesse aldi là di esso, fossero pure tanto piccole da non poterlediscernere. In altre regioni invece osserviamo un altrofenomeno: le stelle emanano una luce quasi uniforme, esono disposte sulla volta celeste quasi con esatta regola-rità, e mancano quasi del tutto stelle che differiscanonella grandezza. In tali casi noi possiamo presumere confondamento di causa che i nostri sguardi attraversino

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uno strato di stelle che in grandezza non differiscono fraloro, il quale strato non ha neppure un grande spessorein rapporto alla distanza che ci separa da esso. Se cosìnon fosse, dovremmo supporre che le stelle più grandisiano anche le più lontane e compensino la loro maggio-re distanza con la maggiore lucentezza, supposizionecontraria ad ogni probabilità.

«In ambidue gli emisferi la Via Lattea occupa unagrande estensione, ma l'assoluta oscurità della volta deicieli sulla quale spiccano gli astri dove è certo che man-ca un agglomeramento innumerevole di stelle delle piùpiccole grandezze visibili, e il constatare anche l'assenzadi splendore che sarebbe prodotto dalla riunione dellaluce di quelle troppe piccole per esser vedute ad occhionudo, rappresentano degli indizi che devono esser consi-derati di non dubbio significato, i quali indicano che laestensione della Via Lattea nella direzione dove questecondizioni si verificano, non solamente non deve essereinfinita, ma che anzi non supera lo spazio che i nostri te-lescopi possono penetrare ed anche oltrepassare.»

Le parole che ho riportato sono dello stesso GiovanniHerschel, il quale dai fatti che descrive deduce la stessaconclusione che Proctor dedusse dall'osservazione diGuglielmo Herschel. Come vedremo, i migliori astrono-mi moderni, dall'esame dei fatti a loro conoscenza, sonoarrivati a un identico risultato, che hanno in certi casiconfortato di nuove argomentazioni.

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uno strato di stelle che in grandezza non differiscono fraloro, il quale strato non ha neppure un grande spessorein rapporto alla distanza che ci separa da esso. Se cosìnon fosse, dovremmo supporre che le stelle più grandisiano anche le più lontane e compensino la loro maggio-re distanza con la maggiore lucentezza, supposizionecontraria ad ogni probabilità.

«In ambidue gli emisferi la Via Lattea occupa unagrande estensione, ma l'assoluta oscurità della volta deicieli sulla quale spiccano gli astri dove è certo che man-ca un agglomeramento innumerevole di stelle delle piùpiccole grandezze visibili, e il constatare anche l'assenzadi splendore che sarebbe prodotto dalla riunione dellaluce di quelle troppe piccole per esser vedute ad occhionudo, rappresentano degli indizi che devono esser consi-derati di non dubbio significato, i quali indicano che laestensione della Via Lattea nella direzione dove questecondizioni si verificano, non solamente non deve essereinfinita, ma che anzi non supera lo spazio che i nostri te-lescopi possono penetrare ed anche oltrepassare.»

Le parole che ho riportato sono dello stesso GiovanniHerschel, il quale dai fatti che descrive deduce la stessaconclusione che Proctor dedusse dall'osservazione diGuglielmo Herschel. Come vedremo, i migliori astrono-mi moderni, dall'esame dei fatti a loro conoscenza, sonoarrivati a un identico risultato, che hanno in certi casiconfortato di nuove argomentazioni.

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LE STELLE IN RELAZIONE CON LA VIA LATTEA.

Giovanni Herschel fu così meravigliato della forma,struttura e immensità del grande cerchio della Via Lat-tea, che scrisse: «Questo circolo è per l'astronomia side-rale ciò che l'invariabile eclittica è per l'astronomia pla-netaria; un piano di ultima referenza, cioè il piano fon-damentale del sistema siderale.»

Esamineremo adesso i rapporti che il cerchio visibiledella Via Lattea ha con l'intera massa delle altre stelle,cioè il piano fondamentale dell'universo stellare.

Se noi contempliamo il cielo in una notte stellata, lovediamo sparso di fitte stelle di diverso splendore, e laregione maggiormente estesa tra il nord, l'est, il sud ol'ovest, cioè la parte posta verticalmente al disopra dinoi – è veramente notevole per il numero di stelle cheora vi abbondano, ora vi sono deficienti.

Da ogni parte ammiriamo una grande quantità di stel-le delle prime tre grandezze, e se in qualche punto cisembra che esse siano in minor numero, gli è perchè inquello spazio si accumulano infinite stelle di dimensio-ne minore. Ma un'accurata osservazione delle stelle visi-bili ci mostra come nella loro distribuzione esista unagrande irregolarità, e come quelle di maggior grandezzasiano per l'appunto quelle che si trovano nella Via Lat-tea, o nelle immediate vicinanze di questa; benchè ladifferenza non sia tale da poter renderle visibili ad oc-chio nudo. L'area complessiva della Via Lattea non oc-cupa certamente uno spazio maggiore di un settimo di

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LE STELLE IN RELAZIONE CON LA VIA LATTEA.

Giovanni Herschel fu così meravigliato della forma,struttura e immensità del grande cerchio della Via Lat-tea, che scrisse: «Questo circolo è per l'astronomia side-rale ciò che l'invariabile eclittica è per l'astronomia pla-netaria; un piano di ultima referenza, cioè il piano fon-damentale del sistema siderale.»

Esamineremo adesso i rapporti che il cerchio visibiledella Via Lattea ha con l'intera massa delle altre stelle,cioè il piano fondamentale dell'universo stellare.

Se noi contempliamo il cielo in una notte stellata, lovediamo sparso di fitte stelle di diverso splendore, e laregione maggiormente estesa tra il nord, l'est, il sud ol'ovest, cioè la parte posta verticalmente al disopra dinoi – è veramente notevole per il numero di stelle cheora vi abbondano, ora vi sono deficienti.

Da ogni parte ammiriamo una grande quantità di stel-le delle prime tre grandezze, e se in qualche punto cisembra che esse siano in minor numero, gli è perchè inquello spazio si accumulano infinite stelle di dimensio-ne minore. Ma un'accurata osservazione delle stelle visi-bili ci mostra come nella loro distribuzione esista unagrande irregolarità, e come quelle di maggior grandezzasiano per l'appunto quelle che si trovano nella Via Lat-tea, o nelle immediate vicinanze di questa; benchè ladifferenza non sia tale da poter renderle visibili ad oc-chio nudo. L'area complessiva della Via Lattea non oc-cupa certamente uno spazio maggiore di un settimo di

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tutta la sfera celeste, ed alcuni astronomi sono anzid'opinione che essa non arrivi nemmeno ad un decimo.Se le stelle che essa contiene fossero tutte di una mede-sima grandezza e regolarmente distribuite, il loro nume-ro dovrebbe ascendere almeno a un settimo del totaledelle stelle. Gore dice che delle 32 stelle più brillanti traquelle di seconda grandezza, 12 almeno sono compresenella Via Lattea, ma ve ne dovrebbero essere assai piùdel doppio se la distribuzione di esse nell'Universo fosseregolare; delle 99 stelle più lucenti di terza grandezza,33 sono comprese nella Via Lattea, vale a dire un terzo,invece di un settimo. Gore, contò pure le stelledell'atlante di Heis comprese nella Via Lattea, e trovòche il numero ne è di 1186 sopra un totale di 5356 pro-porzione che rappresenta una media fra il terzo e il quin-to, invece che il settimo di tutte le stelle.

Proctor disegnò nel 1871, sopra una carta di due piedidi diametro, tutte le stelle più piccole della nona gran-dezza e mezza, visibili nell'emisfero settentrionale, eche Agrelander aveva disegnato sopra una carta grandequattro piedi. Esse erano in numero di 324.198 ed indi-cavano per la loro immensa densità, non solamentel'intero corso della Via Lattea, ma altresì le sue parti piùluminose, e molte delle strane e tenebrose fenditure evuoti quasi assolutamente privi di stelle.

Dopo, il professor Seeliger, di Monaco, osservò135.000 stelle della Via Lattea inferiori alla nona gran-dezza, e divise il cielo in nove regioni o circoli di 20gradi di ampiezza, cioè di quaranta gradi di diametro,

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tutta la sfera celeste, ed alcuni astronomi sono anzid'opinione che essa non arrivi nemmeno ad un decimo.Se le stelle che essa contiene fossero tutte di una mede-sima grandezza e regolarmente distribuite, il loro nume-ro dovrebbe ascendere almeno a un settimo del totaledelle stelle. Gore dice che delle 32 stelle più brillanti traquelle di seconda grandezza, 12 almeno sono compresenella Via Lattea, ma ve ne dovrebbero essere assai piùdel doppio se la distribuzione di esse nell'Universo fosseregolare; delle 99 stelle più lucenti di terza grandezza,33 sono comprese nella Via Lattea, vale a dire un terzo,invece di un settimo. Gore, contò pure le stelledell'atlante di Heis comprese nella Via Lattea, e trovòche il numero ne è di 1186 sopra un totale di 5356 pro-porzione che rappresenta una media fra il terzo e il quin-to, invece che il settimo di tutte le stelle.

Proctor disegnò nel 1871, sopra una carta di due piedidi diametro, tutte le stelle più piccole della nona gran-dezza e mezza, visibili nell'emisfero settentrionale, eche Agrelander aveva disegnato sopra una carta grandequattro piedi. Esse erano in numero di 324.198 ed indi-cavano per la loro immensa densità, non solamentel'intero corso della Via Lattea, ma altresì le sue parti piùluminose, e molte delle strane e tenebrose fenditure evuoti quasi assolutamente privi di stelle.

Dopo, il professor Seeliger, di Monaco, osservò135.000 stelle della Via Lattea inferiori alla nona gran-dezza, e divise il cielo in nove regioni o circoli di 20gradi di ampiezza, cioè di quaranta gradi di diametro,

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che si estendono da un polo all'altro della Via Lattea: laregione di mezzo, vale a dire la quinta, è una zona diventi gradi di ampiezza, che include la Via Lattea, le al-tre zone intermedie sono esse pure di eguale dimensio-ne. La seguente tavola mostra i resultati ottenuti dal pro-fessore Newcomb, il quale fece qualche modificazionenell'ultima colonna, quella che contiene la densità dellestelle, allo scopo di correggere alcune differenze nellegrandezze calcolate dai diversi astronomi:

REGIONI: AREA IN GRADI: NUMERODELLE STELLE: DENSITÀ:

I. 1398,7 4.277 2,78II. 3.146,9 10.185 3,03

III. 5.126,6 19.488 3,54IV. 4.589,8 24.492 5,32V. 4.519,5 33.267 8,17

VI. 3.971,5 23.580 6,07VII. 2.954,4 11.790 3,71

VIII. 1.796,6 6.375 3,21IX 468,2 1.644 3,14.

N.B. – L'ineguaglianza delle aree a nord e a sud esiste perchèla numerazione delle stelle andò solamente fino a 24° di D. sud, eperciò non include che una parte soltanto delle regioni VII, VIII,IX.

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che si estendono da un polo all'altro della Via Lattea: laregione di mezzo, vale a dire la quinta, è una zona diventi gradi di ampiezza, che include la Via Lattea, le al-tre zone intermedie sono esse pure di eguale dimensio-ne. La seguente tavola mostra i resultati ottenuti dal pro-fessore Newcomb, il quale fece qualche modificazionenell'ultima colonna, quella che contiene la densità dellestelle, allo scopo di correggere alcune differenze nellegrandezze calcolate dai diversi astronomi:

REGIONI: AREA IN GRADI: NUMERODELLE STELLE: DENSITÀ:

I. 1398,7 4.277 2,78II. 3.146,9 10.185 3,03

III. 5.126,6 19.488 3,54IV. 4.589,8 24.492 5,32V. 4.519,5 33.267 8,17

VI. 3.971,5 23.580 6,07VII. 2.954,4 11.790 3,71

VIII. 1.796,6 6.375 3,21IX 468,2 1.644 3,14.

N.B. – L'ineguaglianza delle aree a nord e a sud esiste perchèla numerazione delle stelle andò solamente fino a 24° di D. sud, eperciò non include che una parte soltanto delle regioni VII, VIII,IX.

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Su questa tavola di densità il professor Newcomb, fale seguenti osservazioni: «La densità delle stelle in alcu-ne regioni che sono vicine ai poli aumenta incessante-mente (regioni I e IX) e nella stessa Via Lattea (regioneV). Se quest'ultima fosse un semplice anello di stelleche circondasse un sistema sferico di stelle, la densitàdei corpi celesti luminosi sarebbe presso a poco la me-desima nelle regioni I, II e III come nella VII, VIII e IX,eccetto lo spazio compreso nella IV e VI regione, quan-do si approssimassero i limiti del circolo. Ma se questonon fosse il caso, i numeri 2.78, 3.03 e 3.54 al nord e3.14, 3.21 e 3.71 al sud, dimostrerebbero un aumentoprogressivo dal polo galassico alla Via Lattea stessa. Laconclusione che ne possiamo trarre è una e fondamenta-le: l'Universo, o almeno la parte più densa di esso, èschiacciato fra i due poli della Via Lattea, come già ave-vano supposto Herschel e Struve.

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Su questa tavola di densità il professor Newcomb, fale seguenti osservazioni: «La densità delle stelle in alcu-ne regioni che sono vicine ai poli aumenta incessante-mente (regioni I e IX) e nella stessa Via Lattea (regioneV). Se quest'ultima fosse un semplice anello di stelleche circondasse un sistema sferico di stelle, la densitàdei corpi celesti luminosi sarebbe presso a poco la me-desima nelle regioni I, II e III come nella VII, VIII e IX,eccetto lo spazio compreso nella IV e VI regione, quan-do si approssimassero i limiti del circolo. Ma se questonon fosse il caso, i numeri 2.78, 3.03 e 3.54 al nord e3.14, 3.21 e 3.71 al sud, dimostrerebbero un aumentoprogressivo dal polo galassico alla Via Lattea stessa. Laconclusione che ne possiamo trarre è una e fondamenta-le: l'Universo, o almeno la parte più densa di esso, èschiacciato fra i due poli della Via Lattea, come già ave-vano supposto Herschel e Struve.

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DIAGRAMMA DELLA DENSITÀ DELLE STELLE

Secondo i calcoli di Herschel (dati dal prof. Newcomb a p. 251).

Ma osservando la serie delle figure disegnate soprauna tavola, per esempio quella del Prof. Newcomb, misembra che l'enunciato non venga dimostrato, e perciòdisegnai io stesso il diagramma delle figure della tavola,il quale dimostra con certezza che la densità nelle regio-ni I, II e III, e nelle regioni VII, VIII e IX, può dirsi chesia press'a poco eguale, le stelle cioè vi aumentano dinumero con molta lentezza, ma presentano un improvvi-so accrescimento nelle regioni IV e VI all'avvicinarsidei confini della Via Lattea. La causa di questo fatto, del

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DIAGRAMMA DELLA DENSITÀ DELLE STELLE

Secondo i calcoli di Herschel (dati dal prof. Newcomb a p. 251).

Ma osservando la serie delle figure disegnate soprauna tavola, per esempio quella del Prof. Newcomb, misembra che l'enunciato non venga dimostrato, e perciòdisegnai io stesso il diagramma delle figure della tavola,il quale dimostra con certezza che la densità nelle regio-ni I, II e III, e nelle regioni VII, VIII e IX, può dirsi chesia press'a poco eguale, le stelle cioè vi aumentano dinumero con molta lentezza, ma presentano un improvvi-so accrescimento nelle regioni IV e VI all'avvicinarsidei confini della Via Lattea. La causa di questo fatto, del

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resto, potrebbe essere uno schiacciamento verso i poli, oanche un diradamento di stelle in quella direzione.

Per dimostrare l'enorme differenza che passa tral'addensamento delle stelle nella Via Lattea, e quello chesi nota ai poli galassici, il professor Newcomb dà la ta-vola seguente delle misure herscheliane, nella qualenota soltanto che vi è un enorme e sempre crescente ad-densamento nella regione galassiana, poichè il dottoastronomo ne contò, in quelle parti, molte di più di quel-le che ne avevano contato gli altri studiosi.

Regione I. II III. IV. V. VI. VII. VIII. IXDensità 107 154 281 560 2,019 672 261 154 111

Ma un'importante caratteristica di queste cifre è chegli Herschel soli studiarono l'intera volta celeste dalpolo nord al polo sud, con strumenti della stessa gran-dezza e qualità e passando quasi tutta la vita ad occupar-si di questi loro lavori, per il che giunsero ad acquistareuna precisione incomparabile nella loro facoltà di conta-re rapidamente e con accuratezza le stelle che passavanonel campo del telescopio.

I resultati, perciò, devono essere considerati comeaventi un valore molto maggiore di quelli ottenuti daqualche altro osservatore, ed anche dall'insieme degliosservatori, ed ho creduto ben fatto di disegnare un dia-gramma delle loro figure, dal quale sarà facile vederequanto stretto rapporto esso abbia con il primo per quel

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resto, potrebbe essere uno schiacciamento verso i poli, oanche un diradamento di stelle in quella direzione.

Per dimostrare l'enorme differenza che passa tral'addensamento delle stelle nella Via Lattea, e quello chesi nota ai poli galassici, il professor Newcomb dà la ta-vola seguente delle misure herscheliane, nella qualenota soltanto che vi è un enorme e sempre crescente ad-densamento nella regione galassiana, poichè il dottoastronomo ne contò, in quelle parti, molte di più di quel-le che ne avevano contato gli altri studiosi.

Regione I. II III. IV. V. VI. VII. VIII. IXDensità 107 154 281 560 2,019 672 261 154 111

Ma un'importante caratteristica di queste cifre è chegli Herschel soli studiarono l'intera volta celeste dalpolo nord al polo sud, con strumenti della stessa gran-dezza e qualità e passando quasi tutta la vita ad occupar-si di questi loro lavori, per il che giunsero ad acquistareuna precisione incomparabile nella loro facoltà di conta-re rapidamente e con accuratezza le stelle che passavanonel campo del telescopio.

I resultati, perciò, devono essere considerati comeaventi un valore molto maggiore di quelli ottenuti daqualche altro osservatore, ed anche dall'insieme degliosservatori, ed ho creduto ben fatto di disegnare un dia-gramma delle loro figure, dal quale sarà facile vederequanto stretto rapporto esso abbia con il primo per quel

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che riguarda il lento aumento delle stelle nelle prime treregioni, al nord ed al sud, ed il rapido aumento nelle re-gioni IV e VI nelle vicinanze della Via Lattea. La solanotevole differenza fra i due diagrammi trovasi nellaimmensamente più grande ricchezza che si scorge nellastessa Via Lattea, il che rappresenta un fenomeno chepossiamo apprezzare soltanto mediante l'inarrivabile po-tenza d'osservazione dei due più grandi astronomi chesiano mai vissuti, e che consacrarono la loro vita a que-sto speciale studio.

DIAGRAMMA DELLA DENSITÀ DELLE STELLE

Da una tavola dell'opera LE STELLE (pag. 249).

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che riguarda il lento aumento delle stelle nelle prime treregioni, al nord ed al sud, ed il rapido aumento nelle re-gioni IV e VI nelle vicinanze della Via Lattea. La solanotevole differenza fra i due diagrammi trovasi nellaimmensamente più grande ricchezza che si scorge nellastessa Via Lattea, il che rappresenta un fenomeno chepossiamo apprezzare soltanto mediante l'inarrivabile po-tenza d'osservazione dei due più grandi astronomi chesiano mai vissuti, e che consacrarono la loro vita a que-sto speciale studio.

DIAGRAMMA DELLA DENSITÀ DELLE STELLE

Da una tavola dell'opera LE STELLE (pag. 249).

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Il Prof. Newcomb stesso, dopo investigazioni affattodifferenti, arriva ad un resultato che si accorda con que-sti diagrammi e che noi riferiremo: ed essendo questoun soggetto interessantissimo, non sarà inutile riportareancora un terzo diagramma, tolto dalle tavole di adden-samento dello stesso Giovanni Herschel:

ZONE DELLA DISTANZA POLARENORD DELLA VIA LATTEA

CIFRA MEDIA DELLE STELLEin un campo di 15'.

0° a 15° 4,3215° a 30° 5,4230° a 45° 8,2145° a 60° 13,6160° a 75° 24,0975° a 90° 53,43

ZONE DELLA DISTANZA POLARESUD DELLA VIA LATTEA

CIFRA MEDIA DELLE STELLEin un campo di 15'.

0° a 15° 6,0515° a 30° 6,6230° a 45° 9,0845° a 60° 13,4960° a 75° 26,2975° a 90° 59,06

In questi prospetti la Via Lattea è considerata comeoccupante due zone di 15° ciascuna, invece di 26°,come in quelli del Prof. Newcomb; così vediamo che il

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Il Prof. Newcomb stesso, dopo investigazioni affattodifferenti, arriva ad un resultato che si accorda con que-sti diagrammi e che noi riferiremo: ed essendo questoun soggetto interessantissimo, non sarà inutile riportareancora un terzo diagramma, tolto dalle tavole di adden-samento dello stesso Giovanni Herschel:

ZONE DELLA DISTANZA POLARENORD DELLA VIA LATTEA

CIFRA MEDIA DELLE STELLEin un campo di 15'.

0° a 15° 4,3215° a 30° 5,4230° a 45° 8,2145° a 60° 13,6160° a 75° 24,0975° a 90° 53,43

ZONE DELLA DISTANZA POLARESUD DELLA VIA LATTEA

CIFRA MEDIA DELLE STELLEin un campo di 15'.

0° a 15° 6,0515° a 30° 6,6230° a 45° 9,0845° a 60° 13,4960° a 75° 26,2975° a 90° 59,06

In questi prospetti la Via Lattea è considerata comeoccupante due zone di 15° ciascuna, invece di 26°,come in quelli del Prof. Newcomb; così vediamo che il

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numero delle stelle non supera molto quello delle altrezone, e mostra anche una lieve preponderanza nell'emi-sfero sud, preponderanza che probabilmente è dovuta alfatto che al capo di Buona Speranza vi è un'atmosferapiù limpida di quella attraverso la quale si compiono inInghilterra le osservazioni astronomiche.

DIAGRAMMA DELLA DENSITÀ DELLE STELLEPolo Nord

della Via LatteaZona equatorialedella Via Lattea

Polo Suddella Via Lattea

Da una tavola dei PRINCIPII DI ASTRONOMIA di GiovanniHerschel (10a edizione, pag. 577-578).

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numero delle stelle non supera molto quello delle altrezone, e mostra anche una lieve preponderanza nell'emi-sfero sud, preponderanza che probabilmente è dovuta alfatto che al capo di Buona Speranza vi è un'atmosferapiù limpida di quella attraverso la quale si compiono inInghilterra le osservazioni astronomiche.

DIAGRAMMA DELLA DENSITÀ DELLE STELLEPolo Nord

della Via LatteaZona equatorialedella Via Lattea

Polo Suddella Via Lattea

Da una tavola dei PRINCIPII DI ASTRONOMIA di GiovanniHerschel (10a edizione, pag. 577-578).

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Sarà necessario far notare che da questo diagramma sipossono ricavare risultati identici a quelli degli altri due,vale a dire un addensamento continuo delle stelle, daipoli della Via Lattea a quella che si può chiamare zonaequatoriale; inoltre, l'addensamento aumenta più rapida-mente, quanto più ci accostiamo alla Via Lattea. Noidunque dobbiamo accettare questo fatto senza discuter-lo.

AMMASSI STELLARI E NEBULOSE IN RAPPORTOCON LA VIA LATTEA.

Un fatto importantissimo, che ci dimostra anch'essola struttura del cielo, è la distribuzione delle due catego-rie di fenomeni celesti, conosciuti col nome di ammassistellari e di nebulose. Quantunque possiamo formareuna quasi continua serie che dalle stelle doppie, le qualihanno un moto di rotazione intorno al loro centro comu-ne di gravità, arriva a quelle triple ed anche quadruple,radunate in nuclei ed aggregazioni d'infinita estensione,delle quali le Pleiadi dànno il migliore esempio, perchèle loro sei stelle visibili ad occhio nudo, guardate con unpotentissimo telescopio, diventano di centinaia e centi-naia, e le fotografie in tre ore d'esposizione ne danno unnumero di due mila, nondimeno nessuna di queste corri-sponde alla numerosa classe di quelle chiamate ammas-si, sia globulari che irregolari, e che sono numerosissi-

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Sarà necessario far notare che da questo diagramma sipossono ricavare risultati identici a quelli degli altri due,vale a dire un addensamento continuo delle stelle, daipoli della Via Lattea a quella che si può chiamare zonaequatoriale; inoltre, l'addensamento aumenta più rapida-mente, quanto più ci accostiamo alla Via Lattea. Noidunque dobbiamo accettare questo fatto senza discuter-lo.

AMMASSI STELLARI E NEBULOSE IN RAPPORTOCON LA VIA LATTEA.

Un fatto importantissimo, che ci dimostra anch'essola struttura del cielo, è la distribuzione delle due catego-rie di fenomeni celesti, conosciuti col nome di ammassistellari e di nebulose. Quantunque possiamo formareuna quasi continua serie che dalle stelle doppie, le qualihanno un moto di rotazione intorno al loro centro comu-ne di gravità, arriva a quelle triple ed anche quadruple,radunate in nuclei ed aggregazioni d'infinita estensione,delle quali le Pleiadi dànno il migliore esempio, perchèle loro sei stelle visibili ad occhio nudo, guardate con unpotentissimo telescopio, diventano di centinaia e centi-naia, e le fotografie in tre ore d'esposizione ne danno unnumero di due mila, nondimeno nessuna di queste corri-sponde alla numerosa classe di quelle chiamate ammas-si, sia globulari che irregolari, e che sono numerosissi-

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mi, tanto che Giovanni Herschel ne conobbe circa sei-cento, più di cinquanta anni fa. Molti di questi ammassisono fra i più lucenti e i più belli che si vedano nel fir-mamento, anche guardando con un telescopio o con uncannocchiale dei più perfetti. Tali sono la luminosa mac-chia chiamata Presepe o Alveare, nella costellazione delCancro, e quella che si trova nell'elsa della spada di Per-seo.

Nell'emisfero meridionale si osserva una stella foscadi quarta grandezza, ω del Centauro, lo splendore dellaquale, secondo Giovanni Herschel, aumenta sempre ver-so il centro. Con un buon telescopio si vede che essa èinvece un gruppo di stelle, il cui insieme ha un diametrolungo circa due terzi quello della luna; le stelle sono tut-te di tredicesima e quindicesima grandezza, questo èperciò il corpo più meraviglioso che si ammiri nella vol-ta celeste. Herschel lo descrive come circondato da unmerletto formato di stelle. Oggi, con una buona fotogra-fia, si vede che la detta cintura è formata da più di 6000stelle, alcuni astronomi assicurano anzi che essa nondebba averne meno di 10.000.

Nell'emisfero settentrionale uno dei più belli di taliammassi è quello della costellazione di Ercole, cono-sciuto col nome di 13 Messier. Può esser osservato adocchio nudo o con un semplice cannocchiale, ed alloraappare come una stella di sesta grandezza, ma se lo os-serviamo con un telescopio, si scopre che esso è formatoda un gruppo globulare di stelle. Il gran telescopio diLick ne risolve la parte centrale, più densa, in stelle di-

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mi, tanto che Giovanni Herschel ne conobbe circa sei-cento, più di cinquanta anni fa. Molti di questi ammassisono fra i più lucenti e i più belli che si vedano nel fir-mamento, anche guardando con un telescopio o con uncannocchiale dei più perfetti. Tali sono la luminosa mac-chia chiamata Presepe o Alveare, nella costellazione delCancro, e quella che si trova nell'elsa della spada di Per-seo.

Nell'emisfero meridionale si osserva una stella foscadi quarta grandezza, ω del Centauro, lo splendore dellaquale, secondo Giovanni Herschel, aumenta sempre ver-so il centro. Con un buon telescopio si vede che essa èinvece un gruppo di stelle, il cui insieme ha un diametrolungo circa due terzi quello della luna; le stelle sono tut-te di tredicesima e quindicesima grandezza, questo èperciò il corpo più meraviglioso che si ammiri nella vol-ta celeste. Herschel lo descrive come circondato da unmerletto formato di stelle. Oggi, con una buona fotogra-fia, si vede che la detta cintura è formata da più di 6000stelle, alcuni astronomi assicurano anzi che essa nondebba averne meno di 10.000.

Nell'emisfero settentrionale uno dei più belli di taliammassi è quello della costellazione di Ercole, cono-sciuto col nome di 13 Messier. Può esser osservato adocchio nudo o con un semplice cannocchiale, ed alloraappare come una stella di sesta grandezza, ma se lo os-serviamo con un telescopio, si scopre che esso è formatoda un gruppo globulare di stelle. Il gran telescopio diLick ne risolve la parte centrale, più densa, in stelle di-

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stinte, le quali, secondo Giovanni Herschel, sono mi-gliaia di migliaia.

Questi due bellissimi ammassi stellari sono descrittiin molte moderne pubblicazioni di astronomia popolare,che ne dànno un'idea splendida. Quando si potranno stu-diare più profondamente, è probabile che ci aiuteranno aspiegare molti dei difficili problemi che riguardano lacostituzione e lo sviluppo dell'Universo stellare. Attual-mente, ai fini del presente lavoro, dobbiamo contentarcidi rilevare il fatto che ci desta più interesse, cioè la di-stribuzione che hanno nel cielo gli ammassi stellari, perconstatare che essi abbondano più specialmente nellaVia Lattea e nelle immediate vicinanze di questa, cosache era stata bensì già notata, ma che non era sembrataimportante, finchè Proctor, e più tardi Sidney Waters,non disegnarono una mappa dei due emisferi celesti,contenente tutti gli ammassi stellari e tutte le nebulose.Il resultato fu di gran vantaggio. Gli ammassi si vedonofitti e sparsi per tutto il corso della Via Lattea e lungo isuoi margini, mentre nelle altre parti del cielo sono si-tuati a grandi intervalli. La sola eccezione che si nota èrappresentata dalle Nuvole di Magellano, situatenell'emisfero australe, nelle quali si scorgono col tele-scopio molti ammassi, e se vi fosse bisogno di provare ilrapporto fisico di questi ammassi colla Via Lattea, ba-sterebbe considerare la quantità che se ne scorgono inquelle immense estensioni nebulose, che sembrano farparte integrale della Via Lattea stessa. Considerandoqueste due eccezioni, è probabile che soltanto la vente-

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stinte, le quali, secondo Giovanni Herschel, sono mi-gliaia di migliaia.

Questi due bellissimi ammassi stellari sono descrittiin molte moderne pubblicazioni di astronomia popolare,che ne dànno un'idea splendida. Quando si potranno stu-diare più profondamente, è probabile che ci aiuteranno aspiegare molti dei difficili problemi che riguardano lacostituzione e lo sviluppo dell'Universo stellare. Attual-mente, ai fini del presente lavoro, dobbiamo contentarcidi rilevare il fatto che ci desta più interesse, cioè la di-stribuzione che hanno nel cielo gli ammassi stellari, perconstatare che essi abbondano più specialmente nellaVia Lattea e nelle immediate vicinanze di questa, cosache era stata bensì già notata, ma che non era sembrataimportante, finchè Proctor, e più tardi Sidney Waters,non disegnarono una mappa dei due emisferi celesti,contenente tutti gli ammassi stellari e tutte le nebulose.Il resultato fu di gran vantaggio. Gli ammassi si vedonofitti e sparsi per tutto il corso della Via Lattea e lungo isuoi margini, mentre nelle altre parti del cielo sono si-tuati a grandi intervalli. La sola eccezione che si nota èrappresentata dalle Nuvole di Magellano, situatenell'emisfero australe, nelle quali si scorgono col tele-scopio molti ammassi, e se vi fosse bisogno di provare ilrapporto fisico di questi ammassi colla Via Lattea, ba-sterebbe considerare la quantità che se ne scorgono inquelle immense estensioni nebulose, che sembrano farparte integrale della Via Lattea stessa. Considerandoqueste due eccezioni, è probabile che soltanto la vente-

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sima parte del numero totale degli ammassi stellari sitrovi al di fuori della Via Lattea.

Le nebulose furono, per lungo tempo, confuse cogliammassi stellari, perchè generalmente si credeva chebastasse un buon telescopio perchè apparissero tali, e lastessa Via Lattea non veniva altrimenti considerata. Maquando lo spettroscopio dimostrò che molte delle nebu-lose risultavano principalmente, od anche esclusivamen-te, di gas incandescenti, mentre nè i più potenti telesco-pi, nè le prove fotografiche, ancora più efficaci nelle ri-cerche, davano dati sicuri e sufficienti per risolvere ilproblema «se fra queste vaste estensioni di gas incande-scenti esistessero delle stelle, formanti evidentementeparte di quelle», si comprese come le nebulose rappre-sentino un fenomeno celeste speciale, opinione che furinforzata e resa certa dal modo addirittura unico colquale esse sono distribuite.

Poche, del tipo più grande e regolare, come si può os-servare nella grande nebulosa d'Orione, visibile ad oc-chio nudo, nella nebulosa spirale d'Andromeda e nellastupenda nebulosa Buco di Chiave che si scorge intornoa η di Argus, sono situate nella Via Lattea o vicine adessa. Ma tolte queste e altre poche eccezioni, la maggio-ranza delle più piccole nebulose irriducibili pare che lasfugga, essendovi uno spazio quasi interamente sgom-bro tra queste e i limiti della Via Lattea, tanto nell'emi-sfero settentrionale che in quello meridionale. Invece,nei punti più distanti della Via Lattea se ne scorgono ingran numero sulla volta celeste; nell'emisfero meridio-

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sima parte del numero totale degli ammassi stellari sitrovi al di fuori della Via Lattea.

Le nebulose furono, per lungo tempo, confuse cogliammassi stellari, perchè generalmente si credeva chebastasse un buon telescopio perchè apparissero tali, e lastessa Via Lattea non veniva altrimenti considerata. Maquando lo spettroscopio dimostrò che molte delle nebu-lose risultavano principalmente, od anche esclusivamen-te, di gas incandescenti, mentre nè i più potenti telesco-pi, nè le prove fotografiche, ancora più efficaci nelle ri-cerche, davano dati sicuri e sufficienti per risolvere ilproblema «se fra queste vaste estensioni di gas incande-scenti esistessero delle stelle, formanti evidentementeparte di quelle», si comprese come le nebulose rappre-sentino un fenomeno celeste speciale, opinione che furinforzata e resa certa dal modo addirittura unico colquale esse sono distribuite.

Poche, del tipo più grande e regolare, come si può os-servare nella grande nebulosa d'Orione, visibile ad oc-chio nudo, nella nebulosa spirale d'Andromeda e nellastupenda nebulosa Buco di Chiave che si scorge intornoa η di Argus, sono situate nella Via Lattea o vicine adessa. Ma tolte queste e altre poche eccezioni, la maggio-ranza delle più piccole nebulose irriducibili pare che lasfugga, essendovi uno spazio quasi interamente sgom-bro tra queste e i limiti della Via Lattea, tanto nell'emi-sfero settentrionale che in quello meridionale. Invece,nei punti più distanti della Via Lattea se ne scorgono ingran numero sulla volta celeste; nell'emisfero meridio-

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nale specialmente ed intorno al polo galassico poi, esseabbondano straordinariamente. La distribuzione dellenebulose è dunque esattamente inversa di quella degliammassi stellari, ma le une e gli altri sono in relazionetanto intima con la Via Lattea, cioè col piano fondamen-tale del sistema siderale, come la chiama Giovanni Her-schel, che siamo costretti a considerarle tutte come partiimportanti di un grandioso e mirabile Universo simme-trico, ed i loro notevoli ed opposti modi di distribuzionenel cielo possono, probabilmente, offrirci il mezzo distudiare questo Universo e comprendere i cambiamentiche continuamente vi avvengono. La carta celeste cheriproduciamo in fine del volume, col gentile permessodella R. Società Astronomica, ha un'importanza grandis-sima, anzi è indispensabile per comprendere con chia-rezza la natura e la costituzione del vasto sistema side-reo che ci circonda.

Un accurato esame dei due emisferi celesti ci daràun'idea chiara dei fatti più salienti della distribuzionedegli ammassi stellari e delle nebulose, che potrà servir-ci di descrizione o ragguaglio numerico.

La forma di molte di queste nebulose è strana; moltesono assolutamente irregolari, come quella d'Orione, delBuco di Chiave, nell'emisfero meridionale, e molte altre.Qualcuna presenta una forma spirale nettamente deli-neata, come quelle di Andromeda e del Cane da Caccia;altre hanno una forma anulare o circolare, come quelledella Lira e del Cigno; molte di esse sono chiamate ne-bulose planetarie, perchè hanno la forma di un disco dai

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nale specialmente ed intorno al polo galassico poi, esseabbondano straordinariamente. La distribuzione dellenebulose è dunque esattamente inversa di quella degliammassi stellari, ma le une e gli altri sono in relazionetanto intima con la Via Lattea, cioè col piano fondamen-tale del sistema siderale, come la chiama Giovanni Her-schel, che siamo costretti a considerarle tutte come partiimportanti di un grandioso e mirabile Universo simme-trico, ed i loro notevoli ed opposti modi di distribuzionenel cielo possono, probabilmente, offrirci il mezzo distudiare questo Universo e comprendere i cambiamentiche continuamente vi avvengono. La carta celeste cheriproduciamo in fine del volume, col gentile permessodella R. Società Astronomica, ha un'importanza grandis-sima, anzi è indispensabile per comprendere con chia-rezza la natura e la costituzione del vasto sistema side-reo che ci circonda.

Un accurato esame dei due emisferi celesti ci daràun'idea chiara dei fatti più salienti della distribuzionedegli ammassi stellari e delle nebulose, che potrà servir-ci di descrizione o ragguaglio numerico.

La forma di molte di queste nebulose è strana; moltesono assolutamente irregolari, come quella d'Orione, delBuco di Chiave, nell'emisfero meridionale, e molte altre.Qualcuna presenta una forma spirale nettamente deli-neata, come quelle di Andromeda e del Cane da Caccia;altre hanno una forma anulare o circolare, come quelledella Lira e del Cigno; molte di esse sono chiamate ne-bulose planetarie, perchè hanno la forma di un disco dai

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contorni sfumati, precisamente come quello dei pianeti.Molte possiedono delle stelle, ed anche gruppi di stelle,che evidentemente formano parte integrante di esse, equesto più specialmente si può osservare nelle nebulosemaggiori, ma esse sono relativamente poche e di tipopiù o meno eccezionale, perchè la maggior parte dellenebulose sono molto piccole, e in generale visibili sola-mente con un buon telescopio, e tanto tenui da lasciarel'osservatore in dubbio sulla loro vera forma e natura.

Giovanni Herschel nel 1864 contò 5000 nebulose, maverso il 1890 ne furono scoperte oltre 8000 e più.L'applicazione della camera ottica ne ha accresciuto tan-to il numero, che possiamo dire con certezza che esseascendano a centinaia e centinaia di migliaia.

Lo spettroscopio dimostra che le più grandi e quellepiù irregolari sono composte di gas, e che quelle anularie planetarie sono altrettanto lucide quanto le più brillantistelle; di questo genere ne esistono moltissime nella ViaLattea, o nelle vicinanze di essa. Il loro spettro dà unalinea verde non prodotta da alcun elemento terrestre.

Con il gran telescopio di Lick, molte delle nebuloseplanetarie ci appariscono irregolari e qualche volta conla forma di un anello compresso, intrecciato, o in altrestrane forme. Molte delle nebulose più piccole sonodoppie ed anche triple, ma la loro forma precisa e il loromovimento ci rimangono ancora sconosciuti.

La grande maggioranza delle piccole nebulose, cheoccupano un grande spazio del cielo lontano dalla ViaLattea, sono spesso dette irriducibili, perchè i più grandi

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contorni sfumati, precisamente come quello dei pianeti.Molte possiedono delle stelle, ed anche gruppi di stelle,che evidentemente formano parte integrante di esse, equesto più specialmente si può osservare nelle nebulosemaggiori, ma esse sono relativamente poche e di tipopiù o meno eccezionale, perchè la maggior parte dellenebulose sono molto piccole, e in generale visibili sola-mente con un buon telescopio, e tanto tenui da lasciarel'osservatore in dubbio sulla loro vera forma e natura.

Giovanni Herschel nel 1864 contò 5000 nebulose, maverso il 1890 ne furono scoperte oltre 8000 e più.L'applicazione della camera ottica ne ha accresciuto tan-to il numero, che possiamo dire con certezza che esseascendano a centinaia e centinaia di migliaia.

Lo spettroscopio dimostra che le più grandi e quellepiù irregolari sono composte di gas, e che quelle anularie planetarie sono altrettanto lucide quanto le più brillantistelle; di questo genere ne esistono moltissime nella ViaLattea, o nelle vicinanze di essa. Il loro spettro dà unalinea verde non prodotta da alcun elemento terrestre.

Con il gran telescopio di Lick, molte delle nebuloseplanetarie ci appariscono irregolari e qualche volta conla forma di un anello compresso, intrecciato, o in altrestrane forme. Molte delle nebulose più piccole sonodoppie ed anche triple, ma la loro forma precisa e il loromovimento ci rimangono ancora sconosciuti.

La grande maggioranza delle piccole nebulose, cheoccupano un grande spazio del cielo lontano dalla ViaLattea, sono spesso dette irriducibili, perchè i più grandi

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e potenti telescopi non ci dicono niente di esse, le qualisono anche troppo deboli perchè lo spettroscopio nepossa indicare con precisione la struttura. Molte di essehanno forma cometaria, e non è fuor di luogo il credereche la loro struttura non sia molto dissimile da quella ditali corpi celesti.

Abbiamo così passato in rivista, i principali corpi chepossiamo osservare nel cielo al di fuori del sistema sola-re, tanto per quel che riguarda il numero e la distribuzio-ne delle stelle lucide, visibili ad occhio nudo, quanto perquelle visibili soltanto col telescopio; la forma e le prin-cipali caratteristiche della Via Lattea ed inoltre il nume-ro e la distribuzione di quei meravigliosi fenomeni cele-sti, quali sono gli ammassi stellari e le nebulose, nei lorospeciali rapporti con la Via Lattea. Quest'esame ci hadato un'idea chiara dell'armonia dell'intero Universo vi-sibile, dimostrandoci che ogni cosa che noi possiamoscorgere nel cielo e della quale possiamo ottenere unacerta conoscenza con l'aiuto dei moderni e giganteschitelescopi, o delle lastre fotografiche, o dello spettrosco-pio, mezzo ancora più meraviglioso degli altri, formaparte di un vasto sistema che brevemente e propriamen-te è stato chiamato Universo stellare.

Nel seguente capitolo avanzeremo ancora di un passonelle nostre investigazioni, e parleremo di quel che è anostra conoscenza circa la distanza e il movimento dellestelle; così, acquistando alcune importanti e necessariecognizioni, arriveremo più facilmente all'argomento cheabbiamo preso a trattare.

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e potenti telescopi non ci dicono niente di esse, le qualisono anche troppo deboli perchè lo spettroscopio nepossa indicare con precisione la struttura. Molte di essehanno forma cometaria, e non è fuor di luogo il credereche la loro struttura non sia molto dissimile da quella ditali corpi celesti.

Abbiamo così passato in rivista, i principali corpi chepossiamo osservare nel cielo al di fuori del sistema sola-re, tanto per quel che riguarda il numero e la distribuzio-ne delle stelle lucide, visibili ad occhio nudo, quanto perquelle visibili soltanto col telescopio; la forma e le prin-cipali caratteristiche della Via Lattea ed inoltre il nume-ro e la distribuzione di quei meravigliosi fenomeni cele-sti, quali sono gli ammassi stellari e le nebulose, nei lorospeciali rapporti con la Via Lattea. Quest'esame ci hadato un'idea chiara dell'armonia dell'intero Universo vi-sibile, dimostrandoci che ogni cosa che noi possiamoscorgere nel cielo e della quale possiamo ottenere unacerta conoscenza con l'aiuto dei moderni e giganteschitelescopi, o delle lastre fotografiche, o dello spettrosco-pio, mezzo ancora più meraviglioso degli altri, formaparte di un vasto sistema che brevemente e propriamen-te è stato chiamato Universo stellare.

Nel seguente capitolo avanzeremo ancora di un passonelle nostre investigazioni, e parleremo di quel che è anostra conoscenza circa la distanza e il movimento dellestelle; così, acquistando alcune importanti e necessariecognizioni, arriveremo più facilmente all'argomento cheabbiamo preso a trattare.

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CAPITOLO V.DISTANZA DELLE STELLE.

MOTO DEL SOLE ATTRAVERSOLO SPAZIO.

Nelle età più antiche, prima che gli uomini si fosseroformati un'idea esatta della distanza che passa fra noi ele stelle, la semplice concezione di una sfera di cristallo,alla quale fossero attaccati quei punti luminosi, e che gi-rasse ogni giorno intorno ad un asse situato vicino allanostra stella Polare, era sufficiente alla spiegazione delfenomeno. Ma quando Copernico indovinò il vero anda-mento dei corpi celesti, ed affermò che la terra e i piane-ti gravitano intorno al sole ad una distanza di molti mi-lioni di miglia, e quando questo suo dire fu appoggiatodalle leggi di Kepler e dalle scoperte del cannocchialedel Galilei, allora sorse un'altra difficoltà, che gli astro-nomi non furono capaci di risolvere. Se, dicevano essi,la terra rotea intorno al sole ad una distanza che non puòesser meno (secondo le misure di Kepler, ricavate dalla

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CAPITOLO V.DISTANZA DELLE STELLE.

MOTO DEL SOLE ATTRAVERSOLO SPAZIO.

Nelle età più antiche, prima che gli uomini si fosseroformati un'idea esatta della distanza che passa fra noi ele stelle, la semplice concezione di una sfera di cristallo,alla quale fossero attaccati quei punti luminosi, e che gi-rasse ogni giorno intorno ad un asse situato vicino allanostra stella Polare, era sufficiente alla spiegazione delfenomeno. Ma quando Copernico indovinò il vero anda-mento dei corpi celesti, ed affermò che la terra e i piane-ti gravitano intorno al sole ad una distanza di molti mi-lioni di miglia, e quando questo suo dire fu appoggiatodalle leggi di Kepler e dalle scoperte del cannocchialedel Galilei, allora sorse un'altra difficoltà, che gli astro-nomi non furono capaci di risolvere. Se, dicevano essi,la terra rotea intorno al sole ad una distanza che non puòesser meno (secondo le misure di Kepler, ricavate dalla

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distanza di Marte quando è in opposizione) di 13 milio-ni e mezzo di miglia, come avviene che le stelle più vi-cine non cambiano la loro apparente posizione, se guar-diamo dalla parte opposta di questa orbita enorme? Co-pernico, e dopo di lui Kepler e Galilei, strenuamente so-stennero che ciò avviene perchè le stelle sono ad unacosì enorme distanza dalla terra, che l'orbita terrestrenon è che un atomo al paragone. Ma ciò sembrò assolu-tamente incredibile anche al grande osservatore TychoBrahè, e perciò la teoria di Copernico non fu general-mente e immediatamente accettata, come lo sarebbe sta-to senza quella obiezione.

Galilei ebbe sempre l'idea fissa che un giorno si sa-rebbe potuta fare questa misura, e suggerì anche il mododi compierla, che oggi viene adoperato come quello chedà più sicuri resultati. Ma la distanza del sole non fu daprima misurata con molta accuratezza, cosa che fu fattasolamente sul finire del secolo decimottavo, durante ilpassaggio di Venere, con osservazioni fatte per mezzo distrumenti perfetti. Tale distanza è presentemente stabili-ta di circa 92 milioni e 780 mila miglia e se errore vipuò essere, è solamente nel numero 780.000, e dicendoche essa è di 92 milioni di miglia e tre quarti, si può es-ser sicuri che la cifra sia esatta.

Con tale enorme linea di base, quale è il doppio diquesta distanza, la quale giova facendo le necessarie os-servazioni ad intervalli di circa sei mesi, quando la terrasi trova cioè ai punti opposti della sua orbita, sembròcerto che qualche parallasse delle stelle più vicine potes-

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distanza di Marte quando è in opposizione) di 13 milio-ni e mezzo di miglia, come avviene che le stelle più vi-cine non cambiano la loro apparente posizione, se guar-diamo dalla parte opposta di questa orbita enorme? Co-pernico, e dopo di lui Kepler e Galilei, strenuamente so-stennero che ciò avviene perchè le stelle sono ad unacosì enorme distanza dalla terra, che l'orbita terrestrenon è che un atomo al paragone. Ma ciò sembrò assolu-tamente incredibile anche al grande osservatore TychoBrahè, e perciò la teoria di Copernico non fu general-mente e immediatamente accettata, come lo sarebbe sta-to senza quella obiezione.

Galilei ebbe sempre l'idea fissa che un giorno si sa-rebbe potuta fare questa misura, e suggerì anche il mododi compierla, che oggi viene adoperato come quello chedà più sicuri resultati. Ma la distanza del sole non fu daprima misurata con molta accuratezza, cosa che fu fattasolamente sul finire del secolo decimottavo, durante ilpassaggio di Venere, con osservazioni fatte per mezzo distrumenti perfetti. Tale distanza è presentemente stabili-ta di circa 92 milioni e 780 mila miglia e se errore vipuò essere, è solamente nel numero 780.000, e dicendoche essa è di 92 milioni di miglia e tre quarti, si può es-ser sicuri che la cifra sia esatta.

Con tale enorme linea di base, quale è il doppio diquesta distanza, la quale giova facendo le necessarie os-servazioni ad intervalli di circa sei mesi, quando la terrasi trova cioè ai punti opposti della sua orbita, sembròcerto che qualche parallasse delle stelle più vicine potes-

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se essere misurata, e molti astronomi si consacrarono aldetto lavoro coll'aiuto dei migliori strumenti; ma biso-gnava sormontare enormi difficoltà, e pochi resultati,veramente soddisfacenti, furono potuti ottenere fino allaseconda metà del secolo decimonono. La distanza di cir-ca quaranta stelle è stata misurata con abbastanza cer-tezza, sebbene bisogni ammettere la possibilità ed anchela probabilità d'errore; di circa altre trenta conosciamouna parallasse di un decimo di secondo e forse meno;ma anche questo calcolo è tutt'ora incerto.

Le due stelle più vicine a noi sono: α del Centauro ela 61a del Cigno. La prima è una delle stelle più brillantidell'emisfero meridionale, ed è circa 275 mila volte piùlontana da noi del Sole. La luce emanata da questa stellaimpiega, per giungere fino a noi, 4 anni e un quarto, equesto viaggio della luce, come viene chiamato, è undato che gli astronomi usano come mezzo facile per de-terminare la distanza delle stelle fisse in miglia, che nelsuddetto caso sarebbe di circa 25 milioni di milioni.L'altra, la 61a del Cigno, è una stella della quinta gran-dezza circa, e nondimeno è la seconda tra le più vicine anoi, e la sua luce impiega circa sette anni e un quartoper giungere alla terra. Se non avessimo altre distanzedeterminate che queste due, i fatti sarebbero nonostantedella più alta importanza, perchè essi c'insegnano, primadi tutto, che la grandezza e lo splendore di una stellanon provano la sua vicinanza a noi, e di questo fatto visono molte altre prove; in secondo luogo ci fornisconol'idea di un probabile minimum di distanza tra i soli indi-

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se essere misurata, e molti astronomi si consacrarono aldetto lavoro coll'aiuto dei migliori strumenti; ma biso-gnava sormontare enormi difficoltà, e pochi resultati,veramente soddisfacenti, furono potuti ottenere fino allaseconda metà del secolo decimonono. La distanza di cir-ca quaranta stelle è stata misurata con abbastanza cer-tezza, sebbene bisogni ammettere la possibilità ed anchela probabilità d'errore; di circa altre trenta conosciamouna parallasse di un decimo di secondo e forse meno;ma anche questo calcolo è tutt'ora incerto.

Le due stelle più vicine a noi sono: α del Centauro ela 61a del Cigno. La prima è una delle stelle più brillantidell'emisfero meridionale, ed è circa 275 mila volte piùlontana da noi del Sole. La luce emanata da questa stellaimpiega, per giungere fino a noi, 4 anni e un quarto, equesto viaggio della luce, come viene chiamato, è undato che gli astronomi usano come mezzo facile per de-terminare la distanza delle stelle fisse in miglia, che nelsuddetto caso sarebbe di circa 25 milioni di milioni.L'altra, la 61a del Cigno, è una stella della quinta gran-dezza circa, e nondimeno è la seconda tra le più vicine anoi, e la sua luce impiega circa sette anni e un quartoper giungere alla terra. Se non avessimo altre distanzedeterminate che queste due, i fatti sarebbero nonostantedella più alta importanza, perchè essi c'insegnano, primadi tutto, che la grandezza e lo splendore di una stellanon provano la sua vicinanza a noi, e di questo fatto visono molte altre prove; in secondo luogo ci fornisconol'idea di un probabile minimum di distanza tra i soli indi-

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pendenti l'uno dall'altro, distanza che, in proporzionedella loro grandezza, essendo qualcuno di essi conosciu-to come molte e molte volte più grande del nostro sole,non è quanto potremmo credere. Questo minimum dilontananza è forse dovuto al fatto che si sono messi inrapporto fra loro, a causa della gravitazione universale,quei soli che per l'appunto erano un tempo più vicini fraloro.

Perchè questa misura della distanza delle stelle più vi-cine possa esser chiaramente intesa da tutti coloro chedesiderano avere una cognizione esatta della scala diquesto vasto Universo del quale facciamo parte, spie-gheremo pianamente e con brevità il nuovo metodoadottato come migliore.

Chi non è estraneo ai principî fondamentali della tri-gonometria, o misurazione, sa che anche una distanzainaccessibile può essere accuratamente determinata, sepossiamo misurare la linea che intercede fra due punti,dai quali si possa scorgere l'inaccessibile oggetto, e seabbiamo un buono strumento per la misura degli angoli.L'esattezza dipenderà prima di tutto dalla nostra base, li-nea che non deve essere eccessivamente corta in parago-ne della distanza che si deve misurare. Se questa linea dibase è la metà od anche un quarto di quella da misurarsi,il resultato può essere esatto se la misura viene diretta-mente eseguita sul terreno, ma se è lunga soltanto lacentesima o millesima parte, un piccolo errore nella mi-sura della lunghezza della base o nel valore degli angoline farà risultare, nel totale, uno grandissimo.

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pendenti l'uno dall'altro, distanza che, in proporzionedella loro grandezza, essendo qualcuno di essi conosciu-to come molte e molte volte più grande del nostro sole,non è quanto potremmo credere. Questo minimum dilontananza è forse dovuto al fatto che si sono messi inrapporto fra loro, a causa della gravitazione universale,quei soli che per l'appunto erano un tempo più vicini fraloro.

Perchè questa misura della distanza delle stelle più vi-cine possa esser chiaramente intesa da tutti coloro chedesiderano avere una cognizione esatta della scala diquesto vasto Universo del quale facciamo parte, spie-gheremo pianamente e con brevità il nuovo metodoadottato come migliore.

Chi non è estraneo ai principî fondamentali della tri-gonometria, o misurazione, sa che anche una distanzainaccessibile può essere accuratamente determinata, sepossiamo misurare la linea che intercede fra due punti,dai quali si possa scorgere l'inaccessibile oggetto, e seabbiamo un buono strumento per la misura degli angoli.L'esattezza dipenderà prima di tutto dalla nostra base, li-nea che non deve essere eccessivamente corta in parago-ne della distanza che si deve misurare. Se questa linea dibase è la metà od anche un quarto di quella da misurarsi,il resultato può essere esatto se la misura viene diretta-mente eseguita sul terreno, ma se è lunga soltanto lacentesima o millesima parte, un piccolo errore nella mi-sura della lunghezza della base o nel valore degli angoline farà risultare, nel totale, uno grandissimo.

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Per misurare la distanza della luna, il diametro dellaterra, o almeno una grande parte di esso, ha servito dibase. Se due osservatori si pongono ad una grande di-stanza l'uno dall'altro, ed uno di essi, dopo un intervallodi nove o dieci ore, può esaminare la luna da una posi-zione sei o sette mila miglia lontano dall'altro, conun'accurata misura della sua distanza angolare dall'astro,e del tempo del suo passaggio sopra il meridiano delluogo, osservato con uno strumento di transito, lo spo-stamento angolare può essere trovato ad una distanzadeterminata e con grande esattezza, sia pure la distanzatrenta volte maggiore della lunghezza che si è presacome base. La distanza del pianeta Marte, il più vicino anoi, fu misurata allo stesso modo. La sua distanza, quan-do trovasi nel punto più vicino e durante la più favore-vole opposizione, è di circa trentasei milioni di miglia,cioè 4.000 volte maggiore del diametro terrestre; peròsono state necessarie le più accurate osservazioni, più epiù volte ripetute, per ottenere un risultato il più appros-simativo che fosse possibile. Dato questo, per la leggedi Kepler sul rapporto proporzionale della distanza deipianeti dal sole e col tempo impiegato da essi nella lororivoluzione, la distanza di tutti gli altri pianeti e quelladel sole stesso può essere accertata. Però questo metodonon dà risultati tali da soddisfare gli astronomi, perchè èdalla distanza del sole che dipende quella di tutti gli altricorpi del sistema solare. Fortunatamente vi sono altridue metodi per eseguire questa importante misurazione,ed il resultato ottenuto con essi si avvicina di più alla

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Per misurare la distanza della luna, il diametro dellaterra, o almeno una grande parte di esso, ha servito dibase. Se due osservatori si pongono ad una grande di-stanza l'uno dall'altro, ed uno di essi, dopo un intervallodi nove o dieci ore, può esaminare la luna da una posi-zione sei o sette mila miglia lontano dall'altro, conun'accurata misura della sua distanza angolare dall'astro,e del tempo del suo passaggio sopra il meridiano delluogo, osservato con uno strumento di transito, lo spo-stamento angolare può essere trovato ad una distanzadeterminata e con grande esattezza, sia pure la distanzatrenta volte maggiore della lunghezza che si è presacome base. La distanza del pianeta Marte, il più vicino anoi, fu misurata allo stesso modo. La sua distanza, quan-do trovasi nel punto più vicino e durante la più favore-vole opposizione, è di circa trentasei milioni di miglia,cioè 4.000 volte maggiore del diametro terrestre; peròsono state necessarie le più accurate osservazioni, più epiù volte ripetute, per ottenere un risultato il più appros-simativo che fosse possibile. Dato questo, per la leggedi Kepler sul rapporto proporzionale della distanza deipianeti dal sole e col tempo impiegato da essi nella lororivoluzione, la distanza di tutti gli altri pianeti e quelladel sole stesso può essere accertata. Però questo metodonon dà risultati tali da soddisfare gli astronomi, perchè èdalla distanza del sole che dipende quella di tutti gli altricorpi del sistema solare. Fortunatamente vi sono altridue metodi per eseguire questa importante misurazione,ed il resultato ottenuto con essi si avvicina di più alla

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certezza ed alla precisione. Il primo di questi metodipuò adoperarsi le rare volte in cui il pianeta Venere, pas-sando sul disco solare, può esser veduto dalla terra.

Diagramma del passaggio di Venere.

Quando ciò accade, l'osservazione del passaggio,come è chiamato, si fa da parecchi punti del globo, lon-tani fra di loro. La distanza fra questi luoghi può esserfacilmente e con sicurezza calcolata dalla latitudine elongitudine. Il diagramma che precede illustra il sempli-ce modo di determinare la distanza del sole. La descri-zione che ne dà Proctor nel suo trattato Vecchia e nuovaAstronomia è così chiara, che la copio testualmente.

«V rappresenta Venere che passa fra la terra E, ed ilsole S; un osservatore collocato al punto E vedrà Venerea v', mentre un altro osservatore col locato al punto E' lavedrà a v. La misura della distanza v v', comparata aldiametro del disco solare, determina gli angoli v V v', edE V E', e la distanza, E V può esser calcolata con la baseconosciuta E E'. Per esempio, sappiamo (dalle propor-zioni conosciute del sistema solare perchè determinatedalle sue rivoluzioni, secondo la legge di Kepler) che traE V e V v è la proporzione come 28 a 72 o 7 a 18; quin-di la proporzione E E' : v v' dà il medesimo risultato.Supponiamo dunque che la distanza fra le due stazioni

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certezza ed alla precisione. Il primo di questi metodipuò adoperarsi le rare volte in cui il pianeta Venere, pas-sando sul disco solare, può esser veduto dalla terra.

Diagramma del passaggio di Venere.

Quando ciò accade, l'osservazione del passaggio,come è chiamato, si fa da parecchi punti del globo, lon-tani fra di loro. La distanza fra questi luoghi può esserfacilmente e con sicurezza calcolata dalla latitudine elongitudine. Il diagramma che precede illustra il sempli-ce modo di determinare la distanza del sole. La descri-zione che ne dà Proctor nel suo trattato Vecchia e nuovaAstronomia è così chiara, che la copio testualmente.

«V rappresenta Venere che passa fra la terra E, ed ilsole S; un osservatore collocato al punto E vedrà Venerea v', mentre un altro osservatore col locato al punto E' lavedrà a v. La misura della distanza v v', comparata aldiametro del disco solare, determina gli angoli v V v', edE V E', e la distanza, E V può esser calcolata con la baseconosciuta E E'. Per esempio, sappiamo (dalle propor-zioni conosciute del sistema solare perchè determinatedalle sue rivoluzioni, secondo la legge di Kepler) che traE V e V v è la proporzione come 28 a 72 o 7 a 18; quin-di la proporzione E E' : v v' dà il medesimo risultato.Supponiamo dunque che la distanza fra le due stazioni

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sia di 7000 miglia, v v' sarà di 18.000 miglia, e per mez-zo di una misurazione accurata, troveremo che v v' è laquarantottesima parte del diametro solare. Il diametrosolare calcolato e misurato in tal guisa, è 48 volte18.000 miglia, vale a dire 864.000 miglia; e dalla suaapparente grandezza, quella cioè di un globo 107⅓ voltemaggiore del suo proprio diametro lontano da noi, dedu-ciamo che la sua distanza da noi è 92,736,000 miglia.

Essendovi due osservatori, la proporzione della di-stanza v v' al diametro del disco solare, non può esseremisurata direttamente, ma ciascuno di loro misureràl'apparente distanza angolare del pianeta, dai più bassi aipiù alti limiti del sole, quando traversa il disco, e cosìpotremo conoscere la distanza angolare fra le due lineedi transito. La distanza v v' può essere anche ottenutanotando accuratamente i tempi del più alto e più bassopassaggio di Venere, poichè, essendo la linea di passag-gio considerevolmente più corta nell'uno che nell'altro,si otterrà per le proprietà conosciute del circolo l'esattaproporzione della distanza fra esse ed il diametro delsole, e siccome si crede che questo metodo dia le cifrepiù esatte, viene generalmente adottato. A tale scopo lastazione dei due osservatori deve esser situata in modoche la lunghezza delle due corde v e v' possa essere as-sai disuguale; la misurazione sarà così più facile.»

L'altro metodo per determinare la distanza del sole, èil misurare la velocità della luce. Ciò fu fatto per la pri-ma volta dal fisico francese Fizeau nel 1849, per mezzodi specchi roteanti velocemente; l'esperimento è descrit-

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sia di 7000 miglia, v v' sarà di 18.000 miglia, e per mez-zo di una misurazione accurata, troveremo che v v' è laquarantottesima parte del diametro solare. Il diametrosolare calcolato e misurato in tal guisa, è 48 volte18.000 miglia, vale a dire 864.000 miglia; e dalla suaapparente grandezza, quella cioè di un globo 107⅓ voltemaggiore del suo proprio diametro lontano da noi, dedu-ciamo che la sua distanza da noi è 92,736,000 miglia.

Essendovi due osservatori, la proporzione della di-stanza v v' al diametro del disco solare, non può esseremisurata direttamente, ma ciascuno di loro misureràl'apparente distanza angolare del pianeta, dai più bassi aipiù alti limiti del sole, quando traversa il disco, e cosìpotremo conoscere la distanza angolare fra le due lineedi transito. La distanza v v' può essere anche ottenutanotando accuratamente i tempi del più alto e più bassopassaggio di Venere, poichè, essendo la linea di passag-gio considerevolmente più corta nell'uno che nell'altro,si otterrà per le proprietà conosciute del circolo l'esattaproporzione della distanza fra esse ed il diametro delsole, e siccome si crede che questo metodo dia le cifrepiù esatte, viene generalmente adottato. A tale scopo lastazione dei due osservatori deve esser situata in modoche la lunghezza delle due corde v e v' possa essere as-sai disuguale; la misurazione sarà così più facile.»

L'altro metodo per determinare la distanza del sole, èil misurare la velocità della luce. Ciò fu fatto per la pri-ma volta dal fisico francese Fizeau nel 1849, per mezzodi specchi roteanti velocemente; l'esperimento è descrit-

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to in molti trattati di fisica. Questo metodo ha ora rag-giunto un tal grado di perfezione, che la misura della di-stanza del sole, così ottenuta, è assolutamente esattaquanto quella che si ottiene col passaggio di Venere. Lavelocità della luce determina la distanza del sole, perchèil tempo impiegato da questa per giungere dal sole allaterra, come si sa, è di 8 minuti e 13 secondi e un terzo;questo calcolo fu compiuto per la prima volta nel 1675per mezzo dell'ecclissi dei satelliti di Giove. Questi sa-telliti roteano intorno al pianeta ognuno in un periodo ditempo che varia da un giorno e tre quarti a sedici giorni,ed a cagione del loro movimento, vicinissimo al pianodell'eclittica ed all'immensa orbita di Giove, i tre più vi-cini al pianeta vengono ecclissati ad ogni rivoluzione.Questa rapida rivoluzione dei satelliti e la frequenza del-le loro ecclissi, ci mettono in grado di determinare congrande esattezza il periodo di ogni loro ritorno, special-mente dopo diversi anni di accurate osservazioni. Fu os-servato che quando Giove è alla sua più grande distanzadalla terra, le ecclissi dei suoi satelliti avvengono pocopiù di 8 minuti dopo il tempo calcolato dal medio perio-do di rivoluzione, e quando il pianeta è più vicino a noi,le ecclissi avvengano presso a poco con un equivalenteanticipo. Dopo che ulteriori osservazioni ebbero dimo-strato che non vi è differenza fra il calcolo e l'osserva-zione quando il pianeta si trova alla maggior distanza danoi, e che l'errore nasce ed aumenta esattamente in pro-porzione della diminuente distanza, allora fu cosa palesee chiara che la sola causa atta a produrre tale fenomeno,

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to in molti trattati di fisica. Questo metodo ha ora rag-giunto un tal grado di perfezione, che la misura della di-stanza del sole, così ottenuta, è assolutamente esattaquanto quella che si ottiene col passaggio di Venere. Lavelocità della luce determina la distanza del sole, perchèil tempo impiegato da questa per giungere dal sole allaterra, come si sa, è di 8 minuti e 13 secondi e un terzo;questo calcolo fu compiuto per la prima volta nel 1675per mezzo dell'ecclissi dei satelliti di Giove. Questi sa-telliti roteano intorno al pianeta ognuno in un periodo ditempo che varia da un giorno e tre quarti a sedici giorni,ed a cagione del loro movimento, vicinissimo al pianodell'eclittica ed all'immensa orbita di Giove, i tre più vi-cini al pianeta vengono ecclissati ad ogni rivoluzione.Questa rapida rivoluzione dei satelliti e la frequenza del-le loro ecclissi, ci mettono in grado di determinare congrande esattezza il periodo di ogni loro ritorno, special-mente dopo diversi anni di accurate osservazioni. Fu os-servato che quando Giove è alla sua più grande distanzadalla terra, le ecclissi dei suoi satelliti avvengono pocopiù di 8 minuti dopo il tempo calcolato dal medio perio-do di rivoluzione, e quando il pianeta è più vicino a noi,le ecclissi avvengano presso a poco con un equivalenteanticipo. Dopo che ulteriori osservazioni ebbero dimo-strato che non vi è differenza fra il calcolo e l'osserva-zione quando il pianeta si trova alla maggior distanza danoi, e che l'errore nasce ed aumenta esattamente in pro-porzione della diminuente distanza, allora fu cosa palesee chiara che la sola causa atta a produrre tale fenomeno,

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era il fatto che la luce non ha una velocità infinita, mapercorre invece lo spazio in un tempo determinato. Non-dimeno, benchè questa fosse un'assai importante spiega-zione, scorsero ben due secoli prima di poterne dare unaprova sicura, ottenuta soltanto per mezzo di due difficilimetodi di misura, quello della vera distanza del sole dal-la terra e quello della celerità della luce per ogni secon-do. I risultati ottenuti con quest'ultimo metodo corri-spondono quasi esattamente con quelli dedotti dalle ec-clissi dei satelliti di Giove e dalla distanza dal sole allaterra, misurata durante il passaggio di Venere.

Ma il problema di misurare la distanza del sole e tro-vare per tal modo la dimensione dell'orbita dei pianetidel nostro sistema, diventa insignificante a confrontodelle enormi difficoltà che s'incontrano per determinarela distanza delle stelle.

Molti, e forse la maggioranza, di coloro che leggonole opere di astronomia popolare, non hanno che pocheconoscenze delle matematiche, e non sanno il vero si-gnificato di un angolo, di un minuto, di un secondo, cre-do quindi opportuno darne qui alcune spiegazioni.

Un angolo di un grado (1°) è la 360ma parte di un cir-colo veduto dal suo centro, la 90ma parte di un angoloretto, la 60ma parte di ogni angolo di un triangolo equila-tero. Per esaminare con esattezza il valore di un angolodi un grado, basterà disegnare una corta linea (B C) lun-ga un decimo di pollice, ed un punto (A), alla distanzadi cinque pollici e tre quarti da esso (esattamente pollici

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era il fatto che la luce non ha una velocità infinita, mapercorre invece lo spazio in un tempo determinato. Non-dimeno, benchè questa fosse un'assai importante spiega-zione, scorsero ben due secoli prima di poterne dare unaprova sicura, ottenuta soltanto per mezzo di due difficilimetodi di misura, quello della vera distanza del sole dal-la terra e quello della celerità della luce per ogni secon-do. I risultati ottenuti con quest'ultimo metodo corri-spondono quasi esattamente con quelli dedotti dalle ec-clissi dei satelliti di Giove e dalla distanza dal sole allaterra, misurata durante il passaggio di Venere.

Ma il problema di misurare la distanza del sole e tro-vare per tal modo la dimensione dell'orbita dei pianetidel nostro sistema, diventa insignificante a confrontodelle enormi difficoltà che s'incontrano per determinarela distanza delle stelle.

Molti, e forse la maggioranza, di coloro che leggonole opere di astronomia popolare, non hanno che pocheconoscenze delle matematiche, e non sanno il vero si-gnificato di un angolo, di un minuto, di un secondo, cre-do quindi opportuno darne qui alcune spiegazioni.

Un angolo di un grado (1°) è la 360ma parte di un cir-colo veduto dal suo centro, la 90ma parte di un angoloretto, la 60ma parte di ogni angolo di un triangolo equila-tero. Per esaminare con esattezza il valore di un angolodi un grado, basterà disegnare una corta linea (B C) lun-ga un decimo di pollice, ed un punto (A), alla distanzadi cinque pollici e tre quarti da esso (esattamente pollici

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5, 72957795), e da questo punto tirare due linee che rag-giungano B e C; l'angolo A è di un grado.

In tutti i lavori astronomici un grado è consideratocome un angolo molto grande. Anche prima dell'inven-zione del telescopio, gli antichi astronomi fissarono laposizione delle stelle e dei pianeti a metà o ad un quartodi grado. Proctor credette che la posizione delle stelle edei pianeti determinata da Tycho Brahé fosse esatta conuna correzione di circa uno o due minuti d'arco. Un mi-nuto d'arco si ottiene dividendo la linea B C in sessantaparti eguali e calcolando la distanza fra due delle divi-sioni ottenute, ad occhio nudo, guardando dal punto A.Alcune persone che posseggono una vista acuta, posso-no vedere oggetti minutissimi a dieci ed anche undicipollici di distanza, perciò possiamo raddoppiare la di-stanza A B, e facendo la linea B C la trecentesima partedella lunghezza di un pollice, avremo l'angolo di un mi-nuto, che Tycho Brahé fu forse capace di misurare. Qua-le sia il valore d'un minuto sanno perfettamente gliastronomi moderni, perchè a loro lo dimostrò il fatto chela massima differenza fra la posizione calcolata e quellaosservata di Urano, che facilitò ad Adams ed a Leverrierla ricerca e la scoperta di Nettuno, era solamente di unminuto e mezzo, spazio così piccolo da essere quasi in-visibile ai nostri occhi, così che se vi fossero stati due

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5, 72957795), e da questo punto tirare due linee che rag-giungano B e C; l'angolo A è di un grado.

In tutti i lavori astronomici un grado è consideratocome un angolo molto grande. Anche prima dell'inven-zione del telescopio, gli antichi astronomi fissarono laposizione delle stelle e dei pianeti a metà o ad un quartodi grado. Proctor credette che la posizione delle stelle edei pianeti determinata da Tycho Brahé fosse esatta conuna correzione di circa uno o due minuti d'arco. Un mi-nuto d'arco si ottiene dividendo la linea B C in sessantaparti eguali e calcolando la distanza fra due delle divi-sioni ottenute, ad occhio nudo, guardando dal punto A.Alcune persone che posseggono una vista acuta, posso-no vedere oggetti minutissimi a dieci ed anche undicipollici di distanza, perciò possiamo raddoppiare la di-stanza A B, e facendo la linea B C la trecentesima partedella lunghezza di un pollice, avremo l'angolo di un mi-nuto, che Tycho Brahé fu forse capace di misurare. Qua-le sia il valore d'un minuto sanno perfettamente gliastronomi moderni, perchè a loro lo dimostrò il fatto chela massima differenza fra la posizione calcolata e quellaosservata di Urano, che facilitò ad Adams ed a Leverrierla ricerca e la scoperta di Nettuno, era solamente di unminuto e mezzo, spazio così piccolo da essere quasi in-visibile ai nostri occhi, così che se vi fossero stati due

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pianeti, uno nel luogo calcolato, l'altro nel luogo osser-vato, sarebbero apparsi addirittura in una sola visione.

Per poter bene spiegare che cosa significhi un secon-do d'arco, guardiamo questo circolo (○), che abbiamocercato che avesse il più esattamente possibile un deci-mo di pollice di diametro.

Se guardiamo questo cerchio dopo averlo allontanatoda noi di 28 piedi ed 8 pollici, otterremo un angolo di unminuto, e se noi lo metteremo ad una distanza di quasi1730 piedi, cioè ad un terzo di miglio, ridurremo l'ango-lo ad un secondo. Ma la stella fissa più vicina a noi, αdel Centauro, ha una parallasse di solamente tre quartidi secondo, perciò la distanza dal sole alla terra, circa 92milioni e tre quarti di miglia, non appare immensa, para-gonata alla stella più vicina, cioè al piccolo cerchio sud-descritto ad un terzo di miglio di distanza. Per vederequesto circolo alla detta distanza occorrerebbe un eccel-lente telescopio di una potenza di almeno cento ingran-dimenti; per vederne una piccola parte e misurare laproporzione di detta parte con l'intero, bisognerebbe unafortissima luce, ed un telescopio astronomico di grandepotenza.

CHE COSA È UN MILIONE?

Ma quando bisogna trattare di milioni, ed anche dimigliaia di milioni, sorgono altre difficoltà, perchè po-

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pianeti, uno nel luogo calcolato, l'altro nel luogo osser-vato, sarebbero apparsi addirittura in una sola visione.

Per poter bene spiegare che cosa significhi un secon-do d'arco, guardiamo questo circolo (○), che abbiamocercato che avesse il più esattamente possibile un deci-mo di pollice di diametro.

Se guardiamo questo cerchio dopo averlo allontanatoda noi di 28 piedi ed 8 pollici, otterremo un angolo di unminuto, e se noi lo metteremo ad una distanza di quasi1730 piedi, cioè ad un terzo di miglio, ridurremo l'ango-lo ad un secondo. Ma la stella fissa più vicina a noi, αdel Centauro, ha una parallasse di solamente tre quartidi secondo, perciò la distanza dal sole alla terra, circa 92milioni e tre quarti di miglia, non appare immensa, para-gonata alla stella più vicina, cioè al piccolo cerchio sud-descritto ad un terzo di miglio di distanza. Per vederequesto circolo alla detta distanza occorrerebbe un eccel-lente telescopio di una potenza di almeno cento ingran-dimenti; per vederne una piccola parte e misurare laproporzione di detta parte con l'intero, bisognerebbe unafortissima luce, ed un telescopio astronomico di grandepotenza.

CHE COSA È UN MILIONE?

Ma quando bisogna trattare di milioni, ed anche dimigliaia di milioni, sorgono altre difficoltà, perchè po-

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chi sono coloro che sanno farsi un'idea esatta di ciò chesia un milione. Fu suggerito che, in ogni grande scuola,le mura di una stanza fossero destinate a dimostrare aprima vista che cosa sia un milione. Per far ciò occorre-rebbero un centinaio di fogli di carta grandi circa quat-tro o sei pollici quadrati; supponiamo che siano di quat-tro. In un quadretto sì e in uno no, dovrebbe collocarsiun'ostia da suggellare, in modo da lasciare eguale spaziobianco fra le macchie nere. Ogni dieci ostie bisognereb-be lasciare doppio spazio, per poter distinguere ognicentinaio di ostie (10 × 10). Ciascun foglio dovrebbecontenere 10000 ostie tutte visibili distintamente dalcentro di una stanza di 20 piedi di grandezza; ogni serieorizzontale o verticale dovrebbe contenere mille ostie,dunque cento di esse dovrebbero contenere un milionedi ostie, occupando uno spazio lungo in ogni filare 450piedi, ovvero cinque volte 90 piedi, ed avrebbero in talguisa coperto tutte le pareti di una stanza di 30 piediquadrati di superficie e alta 25 piedi dal pavimento alsoffitto, lasciando spazio per le porte, ma non per le fi-nestre, dovendo prender luce solamente dall'alto. Unasola stanza così disposta avrebbe gran valore in un pae-se dove abitualmente si parla di milioni, e ove i milionisi sprecano con tanta facilità, ma dove nessuno conoscenulla della scienza moderna, e tratta inconsideratamenteil molto ed il poco, senza avere un'idea precisa di quantosia grande la cifra di uno di quei milioni, dei quali nelledue scienze moderne, l'astronomia e la fisica, bisognatrattare a centinaia, a migliaia ed anche a milioni. In

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chi sono coloro che sanno farsi un'idea esatta di ciò chesia un milione. Fu suggerito che, in ogni grande scuola,le mura di una stanza fossero destinate a dimostrare aprima vista che cosa sia un milione. Per far ciò occorre-rebbero un centinaio di fogli di carta grandi circa quat-tro o sei pollici quadrati; supponiamo che siano di quat-tro. In un quadretto sì e in uno no, dovrebbe collocarsiun'ostia da suggellare, in modo da lasciare eguale spaziobianco fra le macchie nere. Ogni dieci ostie bisognereb-be lasciare doppio spazio, per poter distinguere ognicentinaio di ostie (10 × 10). Ciascun foglio dovrebbecontenere 10000 ostie tutte visibili distintamente dalcentro di una stanza di 20 piedi di grandezza; ogni serieorizzontale o verticale dovrebbe contenere mille ostie,dunque cento di esse dovrebbero contenere un milionedi ostie, occupando uno spazio lungo in ogni filare 450piedi, ovvero cinque volte 90 piedi, ed avrebbero in talguisa coperto tutte le pareti di una stanza di 30 piediquadrati di superficie e alta 25 piedi dal pavimento alsoffitto, lasciando spazio per le porte, ma non per le fi-nestre, dovendo prender luce solamente dall'alto. Unasola stanza così disposta avrebbe gran valore in un pae-se dove abitualmente si parla di milioni, e ove i milionisi sprecano con tanta facilità, ma dove nessuno conoscenulla della scienza moderna, e tratta inconsideratamenteil molto ed il poco, senza avere un'idea precisa di quantosia grande la cifra di uno di quei milioni, dei quali nelledue scienze moderne, l'astronomia e la fisica, bisognatrattare a centinaia, a migliaia ed anche a milioni. In

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ogni città considerevole dovrebbe instituirsi una sala ogalleria, che dovrebbe avere un milione disposto sopra isuoi muri, nel modo descritto più sopra. E non importe-rebbe che i muri fossero poi ricoperti di carte, ornamentio pitture, purchè, tolte queste, il milione visibile, da po-tersi contare, rimanesse come una permanente lezioneper tutti coloro che la desiderassero. Io sono sicuro checiò avrebbe un benefico effetto sopra molte delle umaneazioni e sopra molti degli umani pensieri. Ognuno po-trebbe costruirsi questo quadro da sè in piccole propor-zioni, prendendo un centinaio di fogli di carta da inge-gnere, dividendoli in tanti quadretti ed attaccandovi pic-colissime ostie. Facendo così potrebbe farsi un'idea delmilione, sebbene non tanto evidente come quando è rap-presentato in grandi proporzioni.

Allo scopo di render possibile ad ogni lettore del pre-sente volume il farsi un concetto del numero di unitàcomprese in un milione, ho fatto il computo delle lettereche questo volume contiene, ed ho trovato che ammon-tano a circa 42000013, cioè considerevolmente meno del-la metà di un milione. Rifate il conto durante la lettura,e vi persuaderete che se ogni lettera fosse una lira sterli-na, ne avremmo in due di questi volumi tante quante neoccorrono per la costruzione di una nave. E se ciascunalettera dei due volumi fosse lunga un miglio, giunge-remmo a poco più della centesima parte della distanzache intercede fra noi e il sole.

13 Edizione inglese. – N. dell'E.

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ogni città considerevole dovrebbe instituirsi una sala ogalleria, che dovrebbe avere un milione disposto sopra isuoi muri, nel modo descritto più sopra. E non importe-rebbe che i muri fossero poi ricoperti di carte, ornamentio pitture, purchè, tolte queste, il milione visibile, da po-tersi contare, rimanesse come una permanente lezioneper tutti coloro che la desiderassero. Io sono sicuro checiò avrebbe un benefico effetto sopra molte delle umaneazioni e sopra molti degli umani pensieri. Ognuno po-trebbe costruirsi questo quadro da sè in piccole propor-zioni, prendendo un centinaio di fogli di carta da inge-gnere, dividendoli in tanti quadretti ed attaccandovi pic-colissime ostie. Facendo così potrebbe farsi un'idea delmilione, sebbene non tanto evidente come quando è rap-presentato in grandi proporzioni.

Allo scopo di render possibile ad ogni lettore del pre-sente volume il farsi un concetto del numero di unitàcomprese in un milione, ho fatto il computo delle lettereche questo volume contiene, ed ho trovato che ammon-tano a circa 42000013, cioè considerevolmente meno del-la metà di un milione. Rifate il conto durante la lettura,e vi persuaderete che se ogni lettera fosse una lira sterli-na, ne avremmo in due di questi volumi tante quante neoccorrono per la costruzione di una nave. E se ciascunalettera dei due volumi fosse lunga un miglio, giunge-remmo a poco più della centesima parte della distanzache intercede fra noi e il sole.

13 Edizione inglese. – N. dell'E.

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Ed ora che ci siamo fatta un'idea vera del valore di unmilione, potremo meglio comprendere le cifre delle qua-li abbiamo già parlato.

Dopo aver considerato attentamente queste cifre, edanche parzialmente calcolato questa enorme distanza,possiamo fare il primo passo, paragonare cioè questa di-stanza con quella della stella fissa più vicina a noi. Ab-biamo veduto come la parallasse di detta stella è trequarti di un secondo d'arco, numero che significa esserquesta stella 271,400 volte più lontana da noi del nostrosole. Dopo aver compreso cosa sia un milione, e sapen-do che il sole è 92 volte e tre quarti questa distanza dallaterra, in miglia, spazio che a mala pena possiamo conce-pire, troviamo che bisogna moltiplicare questa quasi in-concepibile distanza 271,400 volte – più di un quarto dimilione – per ottenere quella che ci separa dalla stellafissa più vicina. Così cominceremo a comprendere, ben-chè imperfettamente, quanto sia vasto il sistema dei soliintorno alla terra, e quale sia l'immensità dell'Universomateriale, che noi vediamo, in modo così meraviglioso estupendo, spiegare davanti ai nostri occhi la magnificen-za delle sue stelle e della sua misteriosa Via Lattea.

Questi preliminari, quantunque possano parere un po'lunghi, sono stati necessari affinchè i lettori potesseroformarsi un'idea delle grandi difficoltà da sormontareper misurare una qualsiasi di tali distanze. Ora mi pro-pongo di esporre quali sono queste difficoltà e comesono state superate, e spero anche di dimostrare che lecifre dateci dagli astronomi non sono mere supposizioni,

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Ed ora che ci siamo fatta un'idea vera del valore di unmilione, potremo meglio comprendere le cifre delle qua-li abbiamo già parlato.

Dopo aver considerato attentamente queste cifre, edanche parzialmente calcolato questa enorme distanza,possiamo fare il primo passo, paragonare cioè questa di-stanza con quella della stella fissa più vicina a noi. Ab-biamo veduto come la parallasse di detta stella è trequarti di un secondo d'arco, numero che significa esserquesta stella 271,400 volte più lontana da noi del nostrosole. Dopo aver compreso cosa sia un milione, e sapen-do che il sole è 92 volte e tre quarti questa distanza dallaterra, in miglia, spazio che a mala pena possiamo conce-pire, troviamo che bisogna moltiplicare questa quasi in-concepibile distanza 271,400 volte – più di un quarto dimilione – per ottenere quella che ci separa dalla stellafissa più vicina. Così cominceremo a comprendere, ben-chè imperfettamente, quanto sia vasto il sistema dei soliintorno alla terra, e quale sia l'immensità dell'Universomateriale, che noi vediamo, in modo così meraviglioso estupendo, spiegare davanti ai nostri occhi la magnificen-za delle sue stelle e della sua misteriosa Via Lattea.

Questi preliminari, quantunque possano parere un po'lunghi, sono stati necessari affinchè i lettori potesseroformarsi un'idea delle grandi difficoltà da sormontareper misurare una qualsiasi di tali distanze. Ora mi pro-pongo di esporre quali sono queste difficoltà e comesono state superate, e spero anche di dimostrare che lecifre dateci dagli astronomi non sono mere supposizioni,

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nè probabilità, ma vere misure, che, in certi limiti e toltipossibili errori, possono darci una assai precisa ideadell'Universo visibile.

MISURA DELLE DISTANZE STELLARI

La difficoltà principale di questo calcolo è che la di-stanza è tanto grande, che la più lunga e la più utile li-nea di base, il diametro dell'orbita terrestre, non com-prende che un angolo di poco più di un secondo, mentreper le altre minori è meno di un secondo e spesso sol-tanto una piccola frazione di esso. Ma questa difficoltà,per quanto grande sia, è resa maggiore dal fatto che nonvi sono punti fissi nel cielo, dai quali cominciare a mi-surare, poichè sappiamo che molte delle stelle si muo-vono e tutte in varia maniera, e che il sole stesso si spo-sta fra le stelle con una velocità non ancora ben determi-nata, benchè se ne conosca la direzione. Conoscendo imovimenti della terra, quantunque complicatissimi, fudapprima tentato di determinare il cambiamento di posi-zione delle stelle per mezzo di accurate osservazioni, ri-petute più volte a sei mesi d'intervallo l'una dall'altra, eproprio nel momento del loro passaggio sul meridianodella loro distanza dallo zenit. Sottraendo allora dalleosservazioni ottenute tutti i movimenti compiuti dallaterra, quali la precessione degli equinozi e la mutazionedell'asse, e tenendo conto della refrazione e della aberra-

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nè probabilità, ma vere misure, che, in certi limiti e toltipossibili errori, possono darci una assai precisa ideadell'Universo visibile.

MISURA DELLE DISTANZE STELLARI

La difficoltà principale di questo calcolo è che la di-stanza è tanto grande, che la più lunga e la più utile li-nea di base, il diametro dell'orbita terrestre, non com-prende che un angolo di poco più di un secondo, mentreper le altre minori è meno di un secondo e spesso sol-tanto una piccola frazione di esso. Ma questa difficoltà,per quanto grande sia, è resa maggiore dal fatto che nonvi sono punti fissi nel cielo, dai quali cominciare a mi-surare, poichè sappiamo che molte delle stelle si muo-vono e tutte in varia maniera, e che il sole stesso si spo-sta fra le stelle con una velocità non ancora ben determi-nata, benchè se ne conosca la direzione. Conoscendo imovimenti della terra, quantunque complicatissimi, fudapprima tentato di determinare il cambiamento di posi-zione delle stelle per mezzo di accurate osservazioni, ri-petute più volte a sei mesi d'intervallo l'una dall'altra, eproprio nel momento del loro passaggio sul meridianodella loro distanza dallo zenit. Sottraendo allora dalleosservazioni ottenute tutti i movimenti compiuti dallaterra, quali la precessione degli equinozi e la mutazionedell'asse, e tenendo conto della refrazione e della aberra-

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zione della luce, si tentò di stabilire quale fosse l'effettorimasto, dovuto alla differenza di posizione dalla qualele stelle sono viste in epoche diverse. Con tal mezzomolti risultati si ebbero, ma molto migliori ne abbiamoavuti da più recenti osservazioni e da metodi migliori.Questi primi risultati, per quanto ottenuti con strumentiperfetti e da dotti eccellenti, sono pieni d'errori che sem-brano inevitabili. Gli strumenti stessi sono soggetti a di-latazioni e a contrazioni a causa dei cambiamenti ditemperatura, e quando questi cambiamenti sono improv-visi, una parte dello strumento può essere alterata più diun'altra, la qualcosa produce spesso errori che, quantun-que piccoli, possano cambiare considerevolmente la ci-fra totale. Altra causa d'errore è la rifrazione atmosferi-ca, che può cambiare d'ora in ora secondo le differentistagioni. Ma la cosa più grave è forse il fatto che il livel-lo su cui poggia lo strumento cambia con grande facili-tà, anche quando la base sia di solida roccia. Tanto ilcambiamento di temperatura, come l'umidità del suolo,possono alterare il livello, inoltre sappiamo che i terre-moti e i lenti movimenti di elevazione e di depressionesono molto frequenti. In conseguenza di tutte questecause, le misure attuali di differenza di posizione dellestelle nelle diverse epoche dell'anno, misure che am-montano a minime frazioni di secondo, si sono ricono-sciute troppo incerte per determinare il calcolo di certipiccoli angoli con l'esattezza dovuta.

Conosciamo però un altro metodo, il quale, evitandoquasi tutte queste cause d'errore, è preferito ed adottato

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zione della luce, si tentò di stabilire quale fosse l'effettorimasto, dovuto alla differenza di posizione dalla qualele stelle sono viste in epoche diverse. Con tal mezzomolti risultati si ebbero, ma molto migliori ne abbiamoavuti da più recenti osservazioni e da metodi migliori.Questi primi risultati, per quanto ottenuti con strumentiperfetti e da dotti eccellenti, sono pieni d'errori che sem-brano inevitabili. Gli strumenti stessi sono soggetti a di-latazioni e a contrazioni a causa dei cambiamenti ditemperatura, e quando questi cambiamenti sono improv-visi, una parte dello strumento può essere alterata più diun'altra, la qualcosa produce spesso errori che, quantun-que piccoli, possano cambiare considerevolmente la ci-fra totale. Altra causa d'errore è la rifrazione atmosferi-ca, che può cambiare d'ora in ora secondo le differentistagioni. Ma la cosa più grave è forse il fatto che il livel-lo su cui poggia lo strumento cambia con grande facili-tà, anche quando la base sia di solida roccia. Tanto ilcambiamento di temperatura, come l'umidità del suolo,possono alterare il livello, inoltre sappiamo che i terre-moti e i lenti movimenti di elevazione e di depressionesono molto frequenti. In conseguenza di tutte questecause, le misure attuali di differenza di posizione dellestelle nelle diverse epoche dell'anno, misure che am-montano a minime frazioni di secondo, si sono ricono-sciute troppo incerte per determinare il calcolo di certipiccoli angoli con l'esattezza dovuta.

Conosciamo però un altro metodo, il quale, evitandoquasi tutte queste cause d'errore, è preferito ed adottato

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per tali misure: il calcolo, cioè, della distanza fra duestelle, apparentemente situate l'una vicina all'altra, unadelle quali abbia un gran movimento proprio e l'altranon ne abbia alcuno che sia a noi sensibile. Il primo aintravedere un movimento proprio nelle stelle fu Halleynel 1717, il quale osservò che molte stelle alle quali Ip-parco, 130 anni avanti G. C., aveva assegnato un posto,non erano nella posizione che avrebbero dovuto avere.Altre osservazioni fatte da antichi astronomi, special-mente quella della occultazione delle stelle dietro il di-sco lunare, portarono al medesimo risultato. Dopo Hal-ley le stelle furono osservate con molta maggiore accu-ratezza, e fu constatato che alcune si muovono in modosensibile d'anno in anno, mentre altre si spostano tantolentamente che solo dopo 40 o 50 anni può esser calco-lato il loro cambiamento di posizione. Il movimento piùnotevole, proprio di una stella, che si sia potuto determi-nare, oscilla fra 7" e 8" in un anno, mentre per altre stel-le occorrono 20, 50 ed anche 100 anni, prima che unegual movimento possa constatarsi. Dapprima fu credu-to che le stelle più brillanti dovessero avere un movi-mento proprio più rapido, perchè si supponeva che fos-sero anche più vicine a noi, ma fu poi constatato chemolte stelle delle meno appariscenti si muovono con ra-pidità uguale a quella di alcune più brillanti, mentre inmolte delle più brillanti non si può constare alcun movi-mento. Fra questi corpi celesti, la stella che si muovecon maggior rapidità non raggiunge la sesta grandezza.

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per tali misure: il calcolo, cioè, della distanza fra duestelle, apparentemente situate l'una vicina all'altra, unadelle quali abbia un gran movimento proprio e l'altranon ne abbia alcuno che sia a noi sensibile. Il primo aintravedere un movimento proprio nelle stelle fu Halleynel 1717, il quale osservò che molte stelle alle quali Ip-parco, 130 anni avanti G. C., aveva assegnato un posto,non erano nella posizione che avrebbero dovuto avere.Altre osservazioni fatte da antichi astronomi, special-mente quella della occultazione delle stelle dietro il di-sco lunare, portarono al medesimo risultato. Dopo Hal-ley le stelle furono osservate con molta maggiore accu-ratezza, e fu constatato che alcune si muovono in modosensibile d'anno in anno, mentre altre si spostano tantolentamente che solo dopo 40 o 50 anni può esser calco-lato il loro cambiamento di posizione. Il movimento piùnotevole, proprio di una stella, che si sia potuto determi-nare, oscilla fra 7" e 8" in un anno, mentre per altre stel-le occorrono 20, 50 ed anche 100 anni, prima che unegual movimento possa constatarsi. Dapprima fu credu-to che le stelle più brillanti dovessero avere un movi-mento proprio più rapido, perchè si supponeva che fos-sero anche più vicine a noi, ma fu poi constatato chemolte stelle delle meno appariscenti si muovono con ra-pidità uguale a quella di alcune più brillanti, mentre inmolte delle più brillanti non si può constare alcun movi-mento. Fra questi corpi celesti, la stella che si muovecon maggior rapidità non raggiunge la sesta grandezza.

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È cosa che tutti possiamo osservare: il movimento de-gli oggetti non si può vedere ad una certa distanza tantobene quanto da vicino, anche quando la celerità nonvarî. Se vediamo un uomo sulla cima di un monte aqualche miglio lontano da noi, dobbiamo osservarlo perun certo tempo prima di poter affermare ch'egli camminio stia fermo. Oggetti così enormi quali le stelle, si pos-sono quindi muovere anche con una velocità di moltemiglia in un secondo, nondimeno richiedono anni edanni di indefessa osservazione per darci la sicurezza cheesse si muovano.

È stato accertato che il movimento proprio di circa uncentinaio di stelle è annualmente maggiore di un secon-do d'arco; molte altre ne hanno uno minore, e la mag-gior parte non ha moto apprezzabile, cosa probabilmen-te dovuta alla loro grande distanza da noi. Non è dunquedifficile il caso di vedere una o due stelle immobili, vici-nissime ad una terza che abbia un celerissimo movimen-to proprio (qualche cosa più d'un decimo di secondo puòdirsi tale). Allora la stella o le stelle che appariscono im-mobili possono servire come punto fisso per la misura-zione. Quindi tutto ciò che rimane a fare è calcolare congrande esattezza la distanza angolare che passa fra lastella errante e quella fissa, ad intervalli di sei mesi.

La misurazione può esser fatta in ogni notte serena, eognuna delle osservazioni compiute può esser paragona-ta poi con quella fatta dopo un intervallo di sei mesi. Sene possono così fare circa cento all'anno, e la media deltotale, tenendo però conto dello spostamento della terra

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È cosa che tutti possiamo osservare: il movimento de-gli oggetti non si può vedere ad una certa distanza tantobene quanto da vicino, anche quando la celerità nonvarî. Se vediamo un uomo sulla cima di un monte aqualche miglio lontano da noi, dobbiamo osservarlo perun certo tempo prima di poter affermare ch'egli camminio stia fermo. Oggetti così enormi quali le stelle, si pos-sono quindi muovere anche con una velocità di moltemiglia in un secondo, nondimeno richiedono anni edanni di indefessa osservazione per darci la sicurezza cheesse si muovano.

È stato accertato che il movimento proprio di circa uncentinaio di stelle è annualmente maggiore di un secon-do d'arco; molte altre ne hanno uno minore, e la mag-gior parte non ha moto apprezzabile, cosa probabilmen-te dovuta alla loro grande distanza da noi. Non è dunquedifficile il caso di vedere una o due stelle immobili, vici-nissime ad una terza che abbia un celerissimo movimen-to proprio (qualche cosa più d'un decimo di secondo puòdirsi tale). Allora la stella o le stelle che appariscono im-mobili possono servire come punto fisso per la misura-zione. Quindi tutto ciò che rimane a fare è calcolare congrande esattezza la distanza angolare che passa fra lastella errante e quella fissa, ad intervalli di sei mesi.

La misurazione può esser fatta in ogni notte serena, eognuna delle osservazioni compiute può esser paragona-ta poi con quella fatta dopo un intervallo di sei mesi. Sene possono così fare circa cento all'anno, e la media deltotale, tenendo però conto dello spostamento della terra

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avvenuto negli intervalli, darà un risultato più vero diqualunque singola misura. Questo modo di misurazionepuò esser fatto con assoluta accuratezza quando le duestelle si mostrano contemporaneamente nel campo deltelescopio, sia usando il micrometro, sia usando un altrostrumento chiamato eliometro, espressamente costruitoa questo scopo. L'eliometro è un telescopio astronomicoassai grande, il cui obbiettivo è diviso esattamente indue parti; queste due metà si fanno sdrucciolare unasull'altra per mezzo di una vite perfetta ed aggiustata inmodo da poter misurare la distanza angolare di due og-getti con la massima approssimazione. La misura si de-duce dal numero di giri che deve fare la vite per metterele due stelle a contatto l'una dell'altra, in modo chel'immagine di ciascuna sia riflessa in una delle metàdell'obiettivo.

Ma il più importante vantaggio di questo metodo èquello di determinare la parallasse, la quale, come diceGiovanni Herschel, evita tutte le cause d'errore che ren-dono i vecchi metodi così incerti ed inesatti. Non occor-rono correzioni di precessione, nutazione, aberrazione orefrazione, poichè l'effetto delle due stelle è eguale; nep-pure v'influisce alcuna alterazione di livello dalla qualelo strumento potrebbe essere pregiudicato, poichè le mi-sure della distanza angolare, ottenute con questo meto-do, sono affatto indipendenti, da tali movimenti. A pro-vare l'esattezza della determinazione della parallassecompiuta col detto strumento, basterà far rilevarel'importanza che le dànno gli astronomi, i quali ricono-

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avvenuto negli intervalli, darà un risultato più vero diqualunque singola misura. Questo modo di misurazionepuò esser fatto con assoluta accuratezza quando le duestelle si mostrano contemporaneamente nel campo deltelescopio, sia usando il micrometro, sia usando un altrostrumento chiamato eliometro, espressamente costruitoa questo scopo. L'eliometro è un telescopio astronomicoassai grande, il cui obbiettivo è diviso esattamente indue parti; queste due metà si fanno sdrucciolare unasull'altra per mezzo di una vite perfetta ed aggiustata inmodo da poter misurare la distanza angolare di due og-getti con la massima approssimazione. La misura si de-duce dal numero di giri che deve fare la vite per metterele due stelle a contatto l'una dell'altra, in modo chel'immagine di ciascuna sia riflessa in una delle metàdell'obiettivo.

Ma il più importante vantaggio di questo metodo èquello di determinare la parallasse, la quale, come diceGiovanni Herschel, evita tutte le cause d'errore che ren-dono i vecchi metodi così incerti ed inesatti. Non occor-rono correzioni di precessione, nutazione, aberrazione orefrazione, poichè l'effetto delle due stelle è eguale; nep-pure v'influisce alcuna alterazione di livello dalla qualelo strumento potrebbe essere pregiudicato, poichè le mi-sure della distanza angolare, ottenute con questo meto-do, sono affatto indipendenti, da tali movimenti. A pro-vare l'esattezza della determinazione della parallassecompiuta col detto strumento, basterà far rilevarel'importanza che le dànno gli astronomi, i quali ricono-

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scono altresì la grande utilità e forse la superiorità delnuovo metodo nella fotografia. Questo metodo fu dap-prima adottato dal professore Pritchard dell'osservatoriodi Oxford, con un magnifico riflettore di 13 pollicid'apertura. Il suo gran vantaggio è che tutte le piccolestelle in vicinanza di quella di cui si cerca la parallasse,si vedono nella loro esatta posizione sulla lastra, e che ladistanza che passa fra loro può essere esattamente misu-rata. Paragonando le lastre impressionate a sei mesi diintervallo, ciascuna di queste stelle dà una determinazio-ne di parallasse, così che il calcolo complessivo ci con-durrà ad un resultato esatto. Se anche il resultato, peruna stella qualunque, fosse notevolmente diverso daquello ottenuto per le altre, sarebbe, secondo ogni pro-babilità, attribuibile ad un moto proprio particolare aquesta stella, e quindi potrebbe essere rigettato.

Per comprendere l'ingente lavoro dedicato dagliastronomi a questo difficile problema, basterà sapereche per misurare, col mezzo della fotografia, la 61a delCigno furono fatte 330 lastre diverse, nel 1886-87, equindi 30000 misurazioni della distanza fra le due stelleriprodotte. Il resultato ottenuto si avvicina alla determi-nazione che Sir Roberto Ball aveva fatta per mezzo delmicrometro, ed il metodo fu subito accettato dagli astro-nomi, quale eccellente. Sebbene, per regola, le stelle chehanno grande movimento proprio siano relativamentevicine a noi, non v'è una regolare proporzione fra questevelocità, il che dimostra che la rapidità del movimentodelle stelle varia grandemente. Di cinquanta stelle, la di-

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scono altresì la grande utilità e forse la superiorità delnuovo metodo nella fotografia. Questo metodo fu dap-prima adottato dal professore Pritchard dell'osservatoriodi Oxford, con un magnifico riflettore di 13 pollicid'apertura. Il suo gran vantaggio è che tutte le piccolestelle in vicinanza di quella di cui si cerca la parallasse,si vedono nella loro esatta posizione sulla lastra, e che ladistanza che passa fra loro può essere esattamente misu-rata. Paragonando le lastre impressionate a sei mesi diintervallo, ciascuna di queste stelle dà una determinazio-ne di parallasse, così che il calcolo complessivo ci con-durrà ad un resultato esatto. Se anche il resultato, peruna stella qualunque, fosse notevolmente diverso daquello ottenuto per le altre, sarebbe, secondo ogni pro-babilità, attribuibile ad un moto proprio particolare aquesta stella, e quindi potrebbe essere rigettato.

Per comprendere l'ingente lavoro dedicato dagliastronomi a questo difficile problema, basterà sapereche per misurare, col mezzo della fotografia, la 61a delCigno furono fatte 330 lastre diverse, nel 1886-87, equindi 30000 misurazioni della distanza fra le due stelleriprodotte. Il resultato ottenuto si avvicina alla determi-nazione che Sir Roberto Ball aveva fatta per mezzo delmicrometro, ed il metodo fu subito accettato dagli astro-nomi, quale eccellente. Sebbene, per regola, le stelle chehanno grande movimento proprio siano relativamentevicine a noi, non v'è una regolare proporzione fra questevelocità, il che dimostra che la rapidità del movimentodelle stelle varia grandemente. Di cinquanta stelle, la di-

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stanza delle quali sia stata ben determinata, la velocitàdel movimento reale varia da una a due centinaia di mi-glia per secondo e forse anche più. Di sei stelle con unmovimento proprio annuale di meno di un decimo di se-condo, ve n'è una con una parallasse di circa la metà diun secondo, un'altra di un nono, ed esse sono più vicinea noi che molte altre stelle che hanno un movimento an-nuale di diversi secondi. Ciò potrebbe anche esser attri-buito a una vera lentezza di movimento, ma è, quasi concertezza, causato, in parte, dal genere del loro movimen-to, che le avvicina o le allontana da noi. Tale movimentoquindi è solamente suscettibile di misurazione per mez-zo dello spettroscopio, la qualcosa non era stata fattaquando furono pubblicate le liste delle parallassi e deimovimenti propri, dai quali erano stati dedotti questifatti. È evidente che la vera direzione e la velocità delmovimento di una stella non possono esser conosciute,finchè questo movimento radiale, come viene chiamato,cioè quello che l'avvicina o l'allontana da noi, non siastato misurato. E poichè quest'elemento tende sempre adaumentare la celerità di movimento visualmente osser-vata, non possiamo, per la sua mancanza, amplificare ilvero movimento delle stelle.

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stanza delle quali sia stata ben determinata, la velocitàdel movimento reale varia da una a due centinaia di mi-glia per secondo e forse anche più. Di sei stelle con unmovimento proprio annuale di meno di un decimo di se-condo, ve n'è una con una parallasse di circa la metà diun secondo, un'altra di un nono, ed esse sono più vicinea noi che molte altre stelle che hanno un movimento an-nuale di diversi secondi. Ciò potrebbe anche esser attri-buito a una vera lentezza di movimento, ma è, quasi concertezza, causato, in parte, dal genere del loro movimen-to, che le avvicina o le allontana da noi. Tale movimentoquindi è solamente suscettibile di misurazione per mez-zo dello spettroscopio, la qualcosa non era stata fattaquando furono pubblicate le liste delle parallassi e deimovimenti propri, dai quali erano stati dedotti questifatti. È evidente che la vera direzione e la velocità delmovimento di una stella non possono esser conosciute,finchè questo movimento radiale, come viene chiamato,cioè quello che l'avvicina o l'allontana da noi, non siastato misurato. E poichè quest'elemento tende sempre adaumentare la celerità di movimento visualmente osser-vata, non possiamo, per la sua mancanza, amplificare ilvero movimento delle stelle.

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MOVIMENTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPAZIO.

Vi è ancora un altro importante fattore che interessal'apparente movimento di tutte le stelle; il movimentodel nostro sole, che, essendo una stella, ha un movimen-to suo proprio. Guglielmo Herschel sospettò e studiòquesto movimento un secolo fa, e conchiuse che la dire-zione del suo movimento si compie verso un punto dellacostellazione d'Ercole; nè ciò differì molto da quello chein seguito fu confermato, quando furono compiute altrepiù accurate osservazioni. Il mezzo per determinare que-sto movimento è semplicissimo, ma nel medesimo tem-po presenta molte difficoltà. Se viaggiamo in ferrovia,gli oggetti vicini passano davanti i nostri occhi congrande rapidità, mentre gli oggetti lontani rimangono vi-sibili a lungo, e quelli che sono lontanissimi ci sembrarimangano stazionari per molto tempo. Per la stessa ra-gione, se il nostro sole si muove nello spazio in unaqualsiasi direzione, ci sembrerà che le stelle a noi piùvicine viaggino nella direzione opposta a noi, mentre lepiù lontane rimangono stazionarie. Questo movimentodelle stelle più vicine è dedotto dal paragone e dall'esa-me del loro movimento proprio, e fu trovato che in unaparte dei cieli vi è una preponderanza di moto proprio inuna direzione e deficienza nella direzione opposta, men-tre in direzione degli angoli retti di queste, i movimentipropri delle stelle non sono in media più grandi in unadirezione che nell'altra. Ma poichè il moto proprio dellestelle è così piccolo ed anche così irregolare, solamente

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MOVIMENTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPAZIO.

Vi è ancora un altro importante fattore che interessal'apparente movimento di tutte le stelle; il movimentodel nostro sole, che, essendo una stella, ha un movimen-to suo proprio. Guglielmo Herschel sospettò e studiòquesto movimento un secolo fa, e conchiuse che la dire-zione del suo movimento si compie verso un punto dellacostellazione d'Ercole; nè ciò differì molto da quello chein seguito fu confermato, quando furono compiute altrepiù accurate osservazioni. Il mezzo per determinare que-sto movimento è semplicissimo, ma nel medesimo tem-po presenta molte difficoltà. Se viaggiamo in ferrovia,gli oggetti vicini passano davanti i nostri occhi congrande rapidità, mentre gli oggetti lontani rimangono vi-sibili a lungo, e quelli che sono lontanissimi ci sembrarimangano stazionari per molto tempo. Per la stessa ra-gione, se il nostro sole si muove nello spazio in unaqualsiasi direzione, ci sembrerà che le stelle a noi piùvicine viaggino nella direzione opposta a noi, mentre lepiù lontane rimangono stazionarie. Questo movimentodelle stelle più vicine è dedotto dal paragone e dall'esa-me del loro movimento proprio, e fu trovato che in unaparte dei cieli vi è una preponderanza di moto proprio inuna direzione e deficienza nella direzione opposta, men-tre in direzione degli angoli retti di queste, i movimentipropri delle stelle non sono in media più grandi in unadirezione che nell'altra. Ma poichè il moto proprio dellestelle è così piccolo ed anche così irregolare, solamente

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dopo un'elaborata e matematica investigazione del mo-vimento di centinaia ed anche di migliaia di stelle, si èpotuta stabilire la direzione del sole. Gli astronomi con-vennero che il movimento si compie verso un punto del-la costellazione d'Ercole vicino al braccio steso della fi-gura di questa costellazione; ma ulteriori studi intorno aquesto problema, fondati sul confronto dei movimenti diparecchie migliaia di stelle, situate in ogni parte dei cie-li, hanno condotto alla conclusione che la più probabiledirezione del movimento solare (sempre che il puntoverso il quale il sole si muove sia veramente determina-to) sia nella adiacente costellazione della Lira, e nonlontano dalla lucentissima stella Vega. Tale è la direzio-ne che il professor Newcomb di Washington crede la piùprobabile, quantunque vi sia ancor campo per altre inve-stigazioni. Rendersi ragione della velocità del movimen-to è molto più difficile che fissare la sua direzione, per-chè per ora non è stata calcolata che la distanza di pochestelle, e poche di queste si trovano in posizione atta adare buoni risultati. Il calcolo fatto nel 1890 dimostròche il moto doveva essere di circa 15 miglia al secondo,ma recentemente l'americano Campbell ha determinato,per mezzo dell'elettroscopio, il movimento in linea ra-diale di un considerevole numero di stelle, che si avvici-nano o che si allontanano dall'apice solare, e facendo lamedia di questi movimenti, ho calcolato che quello delsole deve esser di circa 12 miglia e mezzo al secondo, eprobabilmente questa è la cifra che più si avvicina allarealtà.

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dopo un'elaborata e matematica investigazione del mo-vimento di centinaia ed anche di migliaia di stelle, si èpotuta stabilire la direzione del sole. Gli astronomi con-vennero che il movimento si compie verso un punto del-la costellazione d'Ercole vicino al braccio steso della fi-gura di questa costellazione; ma ulteriori studi intorno aquesto problema, fondati sul confronto dei movimenti diparecchie migliaia di stelle, situate in ogni parte dei cie-li, hanno condotto alla conclusione che la più probabiledirezione del movimento solare (sempre che il puntoverso il quale il sole si muove sia veramente determina-to) sia nella adiacente costellazione della Lira, e nonlontano dalla lucentissima stella Vega. Tale è la direzio-ne che il professor Newcomb di Washington crede la piùprobabile, quantunque vi sia ancor campo per altre inve-stigazioni. Rendersi ragione della velocità del movimen-to è molto più difficile che fissare la sua direzione, per-chè per ora non è stata calcolata che la distanza di pochestelle, e poche di queste si trovano in posizione atta adare buoni risultati. Il calcolo fatto nel 1890 dimostròche il moto doveva essere di circa 15 miglia al secondo,ma recentemente l'americano Campbell ha determinato,per mezzo dell'elettroscopio, il movimento in linea ra-diale di un considerevole numero di stelle, che si avvici-nano o che si allontanano dall'apice solare, e facendo lamedia di questi movimenti, ho calcolato che quello delsole deve esser di circa 12 miglia e mezzo al secondo, eprobabilmente questa è la cifra che più si avvicina allarealtà.

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ALCUNI RISULTATI NUMERICI DELLE PRECEDENTIMISURE.

Le misure delle distanze e dei movimenti propri diuna grandissima quantità di stelle, del movimento delnostro sole nello spazio (moto proprio), e la accurata de-terminazione della luminosità relativa delle stelle piùbrillanti, paragonata con quella del nostro sole e conquella che varia da stella a stella, ci ha dato alcuni im-portantissimi risultati numerici, i quali servono come in-dicazioni per determinare approssimativamente l'esten-sione dell'Universo stellare.

Le parallassi di circa 50 stelle sono state da recentemisurate parecchie volte, ed i resultati ottenuti sonoconsiderati dal professor Newcomb come rispondentialla realtà e quindi importantissimi. Queste parallassivariano da un centesimo a tre quarti di secondo. Trestelle di prima grandezza: Rigel, Canopus ed α del Ci-gno, non hanno una parallasse misurabile, benchè moltiastronomi abbiano fatto molti sforzi per ottenere talemisura; ciò rappresenta un'altra prova del fatto che losplendore di una stella non dimostra la sua vicinanza.Altre sei stelle hanno una parallasse di un quindicesimodi secondo soltanto, e cinque di esse sono di prima o diseconda grandezza. Queste nove stelle hanno piccolissi-ma parallasse od anche ne sono prive del tutto; sei sonocomprese nella Via Lattea o vicine a questa. Un'altra in-dicazione della loro immensa lontananza è dimostrataanche dal fatto che esse non hanno moto proprio appa-

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ALCUNI RISULTATI NUMERICI DELLE PRECEDENTIMISURE.

Le misure delle distanze e dei movimenti propri diuna grandissima quantità di stelle, del movimento delnostro sole nello spazio (moto proprio), e la accurata de-terminazione della luminosità relativa delle stelle piùbrillanti, paragonata con quella del nostro sole e conquella che varia da stella a stella, ci ha dato alcuni im-portantissimi risultati numerici, i quali servono come in-dicazioni per determinare approssimativamente l'esten-sione dell'Universo stellare.

Le parallassi di circa 50 stelle sono state da recentemisurate parecchie volte, ed i resultati ottenuti sonoconsiderati dal professor Newcomb come rispondentialla realtà e quindi importantissimi. Queste parallassivariano da un centesimo a tre quarti di secondo. Trestelle di prima grandezza: Rigel, Canopus ed α del Ci-gno, non hanno una parallasse misurabile, benchè moltiastronomi abbiano fatto molti sforzi per ottenere talemisura; ciò rappresenta un'altra prova del fatto che losplendore di una stella non dimostra la sua vicinanza.Altre sei stelle hanno una parallasse di un quindicesimodi secondo soltanto, e cinque di esse sono di prima o diseconda grandezza. Queste nove stelle hanno piccolissi-ma parallasse od anche ne sono prive del tutto; sei sonocomprese nella Via Lattea o vicine a questa. Un'altra in-dicazione della loro immensa lontananza è dimostrataanche dal fatto che esse non hanno moto proprio appa-

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rente, o al più ne hanno uno lievissimo. Tutto ciò prova,secondo le ricerche già fatte da astronomi studiosi sulladistribuzione delle stelle, che la maggior parte di esse,di qualunque grandezza esse siano, sparse per la ViaLattea o lungo i confini di essa, appartengono certo a unmedesimo immenso sistema; anzi diremo che apparten-gono addirittura ad esso. Questa conclusione ha per noiun gran valore, perchè c'insegna che i più grandi deisoli, come Rigel e Betelgeuse della costellazione d'Orio-ne, Antares in quella dello Scorpione, Deneb in quelladel Cigno (α Cygni) e Canopo (α Argus) sono, con ogniprobabilità, lontane da noi quanto lo sono le innumere-voli piccole stelle, che dànno alla Via Lattea il suoaspetto di nebulosa.

Ora sarà bene che consideriamo alquanto l'importanzadi quello che abbiamo detto. Il prof. Newcomb, una del-le più grandi autorità per questi problemi, dice che lalunga serie di calcoli fatti per scoprire la parallasse diCanopus, la stella più brillante dell'emisfero meridiona-le, avrebbe dato una parallasse di un centesimo di se-condo, ammettendo che tale parallasse possa esistere.Però il risultato converge sempre a meno di 0"000! Peresempio, quando possiamo supporre che la parallasse diquesta stella sia meno di un centesimo di secondo, dire-mo che essa è di 1/125. Alla suddetta distanza la luceimpiegherà per giungere a noi circa quattrocento anni,quindi, se supponiamo che questa lucentissima stella siasituata un poco più in qua dalla Via Lattea, bisogneràaccordare a quel luminoso cerchio di stelle una distanza

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rente, o al più ne hanno uno lievissimo. Tutto ciò prova,secondo le ricerche già fatte da astronomi studiosi sulladistribuzione delle stelle, che la maggior parte di esse,di qualunque grandezza esse siano, sparse per la ViaLattea o lungo i confini di essa, appartengono certo a unmedesimo immenso sistema; anzi diremo che apparten-gono addirittura ad esso. Questa conclusione ha per noiun gran valore, perchè c'insegna che i più grandi deisoli, come Rigel e Betelgeuse della costellazione d'Orio-ne, Antares in quella dello Scorpione, Deneb in quelladel Cigno (α Cygni) e Canopo (α Argus) sono, con ogniprobabilità, lontane da noi quanto lo sono le innumere-voli piccole stelle, che dànno alla Via Lattea il suoaspetto di nebulosa.

Ora sarà bene che consideriamo alquanto l'importanzadi quello che abbiamo detto. Il prof. Newcomb, una del-le più grandi autorità per questi problemi, dice che lalunga serie di calcoli fatti per scoprire la parallasse diCanopus, la stella più brillante dell'emisfero meridiona-le, avrebbe dato una parallasse di un centesimo di se-condo, ammettendo che tale parallasse possa esistere.Però il risultato converge sempre a meno di 0"000! Peresempio, quando possiamo supporre che la parallasse diquesta stella sia meno di un centesimo di secondo, dire-mo che essa è di 1/125. Alla suddetta distanza la luceimpiegherà per giungere a noi circa quattrocento anni,quindi, se supponiamo che questa lucentissima stella siasituata un poco più in qua dalla Via Lattea, bisogneràaccordare a quel luminoso cerchio di stelle una distanza

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tale che la luce dovrà impiegare per superarla cinque-cento anni. Ora possiamo comprendere tutto il vantag-gio che ricaviamo dal conoscere che cosa sia veramenteun milione. Una persona che abbia veduto una volta lospazio di una muraglia alta più di 100 piedi e lunga 20,completamente coperto di quadretti di un quarto di pol-lice, quando tenterà di immaginarsi ogni quadretto lun-go un miglio, si formerà un'idea molto differente di unmilione di miglia, da quella che si è fatta nel leggeresemplicemente un milione, però non potrà mai figurarsila sua lunghezza reale. Ma se abbiamo veramente vedu-to un milione, possiamo in parte comprendere la veloci-tà della luce, la quale, percorrendo questo milione di mi-glia in meno di 5 secondi e mezzo, non impiega meno di4 anni e un terzo per giungere a noi dalla stella più vici-na! Per comprendere questa cosa quasi inaccessibile allamente umana, prendiamo la distanza della stella più vi-cina, che è di 26 milioni di milioni di miglia; cerchiamodi rievocare dinanzi agli occhi nostri quel muro alto elargo e coperto, dal suolo al soffitto da quadretti grandiun quarto di pollice, e immaginiamo che tutti quei qua-dretti siano lunghi un miglio. Mettete insieme tutte que-ste linee lunghe un miglio, una dopo l'altra, ma nonavrete raggiunto neppure la ventesima sesta parte delladistanza della stella più vicina! Questo milione di volteun milione di miglia deve essere ripetuto ventisei volteper raggiungere la stella fissa più vicina. Sembra proba-bile che ciò indichi la distanza media di tutte le altrestelle, fino alla sesta grandezza, e fors'anco di un grande

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tale che la luce dovrà impiegare per superarla cinque-cento anni. Ora possiamo comprendere tutto il vantag-gio che ricaviamo dal conoscere che cosa sia veramenteun milione. Una persona che abbia veduto una volta lospazio di una muraglia alta più di 100 piedi e lunga 20,completamente coperto di quadretti di un quarto di pol-lice, quando tenterà di immaginarsi ogni quadretto lun-go un miglio, si formerà un'idea molto differente di unmilione di miglia, da quella che si è fatta nel leggeresemplicemente un milione, però non potrà mai figurarsila sua lunghezza reale. Ma se abbiamo veramente vedu-to un milione, possiamo in parte comprendere la veloci-tà della luce, la quale, percorrendo questo milione di mi-glia in meno di 5 secondi e mezzo, non impiega meno di4 anni e un terzo per giungere a noi dalla stella più vici-na! Per comprendere questa cosa quasi inaccessibile allamente umana, prendiamo la distanza della stella più vi-cina, che è di 26 milioni di milioni di miglia; cerchiamodi rievocare dinanzi agli occhi nostri quel muro alto elargo e coperto, dal suolo al soffitto da quadretti grandiun quarto di pollice, e immaginiamo che tutti quei qua-dretti siano lunghi un miglio. Mettete insieme tutte que-ste linee lunghe un miglio, una dopo l'altra, ma nonavrete raggiunto neppure la ventesima sesta parte delladistanza della stella più vicina! Questo milione di volteun milione di miglia deve essere ripetuto ventisei volteper raggiungere la stella fissa più vicina. Sembra proba-bile che ciò indichi la distanza media di tutte le altrestelle, fino alla sesta grandezza, e fors'anco di un grande

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numero di stelle telescopiche. Ma poichè noi abbiamogià detto che le stelle brillanti della Via Lattea debbonoessere in sostanza un centinaio di volte più remote danoi di queste stelle più vicine, possiamo stabilire un mi-nimum di distanza per questo vasto anello siderale. Cosìche la Via Lattea potrà anche essere immensamente piùlontana, ma è difficile che la sua distanza sia, anche dipoco, minore di quella che abbiamo stabilito.

POSTO PROBABILE DELLE STELLE

Dopo aver ottenuto un minimo della distanza di ognistella di prima grandezza, e dopo aver misurato lo splen-dore (o emissione di luce) di ognuna, possiamo esserpresso a poco sicuri del posto che ognuna di esse occu-pa. In base a tali dati è stato stabilito che Canopus emet-te una quantità di luce diecimila volte maggiore di quel-la del nostro sole; se la superficie della stella possiedeadunque un grado di splendore uguale a quello del sole,essa deve avere un diametro più lungo un centinaio divolte. Però bisogna riflettere che Canopus è una stellabianca dello stesso tipo di Sirio, e che quindi è moltoprobabile che sia invece più luminoso del sole. Se talesplendore fosse soltanto 20 volte maggiore, il diametrodella stella dovrebbe essere soltanto 22 volte e mezzoquello solare. Ora, siccome le stelle di questo tipo sonoprobabilmente in uno stato del tutto gassoso, e meno

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numero di stelle telescopiche. Ma poichè noi abbiamogià detto che le stelle brillanti della Via Lattea debbonoessere in sostanza un centinaio di volte più remote danoi di queste stelle più vicine, possiamo stabilire un mi-nimum di distanza per questo vasto anello siderale. Cosìche la Via Lattea potrà anche essere immensamente piùlontana, ma è difficile che la sua distanza sia, anche dipoco, minore di quella che abbiamo stabilito.

POSTO PROBABILE DELLE STELLE

Dopo aver ottenuto un minimo della distanza di ognistella di prima grandezza, e dopo aver misurato lo splen-dore (o emissione di luce) di ognuna, possiamo esserpresso a poco sicuri del posto che ognuna di esse occu-pa. In base a tali dati è stato stabilito che Canopus emet-te una quantità di luce diecimila volte maggiore di quel-la del nostro sole; se la superficie della stella possiedeadunque un grado di splendore uguale a quello del sole,essa deve avere un diametro più lungo un centinaio divolte. Però bisogna riflettere che Canopus è una stellabianca dello stesso tipo di Sirio, e che quindi è moltoprobabile che sia invece più luminoso del sole. Se talesplendore fosse soltanto 20 volte maggiore, il diametrodella stella dovrebbe essere soltanto 22 volte e mezzoquello solare. Ora, siccome le stelle di questo tipo sonoprobabilmente in uno stato del tutto gassoso, e meno

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dense quindi del nostro sole, la loro enorme distanzasupposta non può essere molto lontana dalla realtà. Si ècreduto che le stelle del tipo Sirio abbiano, in generale,una superficie più luminosa di quella del nostro sole. βdell'Auriga, di seconda grandezza e del tipo Sirio, è unadelle stelle doppie la cui distanza è stata misurata. Ciòha indotto il Gore a credere di poter affermare che lamassa di tale sistema binario sia cinque volte maggioreche quella del sole, e che la sua luminosità superi quellasolare centosettanta volte. Ora, se la densità di questo si-stema è minore di quella del sole, lo splendore della suasuperficie dovrà essere considerevolmente maggiore. Siè constatato che un'altra stella doppia, γ del Leone, è tre-cento volte più brillante del nostro sole, sebbene abbiala stessa densità, ma bisognerebbe ricercare se, trattan-dosi di un corpo sette volte meno denso dell'aria, abbiaun'estensione di superficie tale da emettere la medesimaquantità di luce, nel caso che il suo potere luminoso nonfosse maggiore, ad aree uguali, di quello del sole.

È evidente adunque, per tutte queste considerazioni,che alcune stelle sono molto più grandi e molto più lu-minose del sole; sono queste un gran numero delle piùgrandi, delle quali il movimento proprio, osservato se-condo gli attuali mezzi di misura, abbastanza considere-vole, dimostra che sono relativamente più vicine a noi;anche quelle che hanno soltanto una quinta parte di lucedel nostro sole. Queste stelle quindi debbono essere re-lativamente grandi, oppure, indubbiamente, molto piùluminose. Nel caso delle stelle doppie è stato dimostrato

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dense quindi del nostro sole, la loro enorme distanzasupposta non può essere molto lontana dalla realtà. Si ècreduto che le stelle del tipo Sirio abbiano, in generale,una superficie più luminosa di quella del nostro sole. βdell'Auriga, di seconda grandezza e del tipo Sirio, è unadelle stelle doppie la cui distanza è stata misurata. Ciòha indotto il Gore a credere di poter affermare che lamassa di tale sistema binario sia cinque volte maggioreche quella del sole, e che la sua luminosità superi quellasolare centosettanta volte. Ora, se la densità di questo si-stema è minore di quella del sole, lo splendore della suasuperficie dovrà essere considerevolmente maggiore. Siè constatato che un'altra stella doppia, γ del Leone, è tre-cento volte più brillante del nostro sole, sebbene abbiala stessa densità, ma bisognerebbe ricercare se, trattan-dosi di un corpo sette volte meno denso dell'aria, abbiaun'estensione di superficie tale da emettere la medesimaquantità di luce, nel caso che il suo potere luminoso nonfosse maggiore, ad aree uguali, di quello del sole.

È evidente adunque, per tutte queste considerazioni,che alcune stelle sono molto più grandi e molto più lu-minose del sole; sono queste un gran numero delle piùgrandi, delle quali il movimento proprio, osservato se-condo gli attuali mezzi di misura, abbastanza considere-vole, dimostra che sono relativamente più vicine a noi;anche quelle che hanno soltanto una quinta parte di lucedel nostro sole. Queste stelle quindi debbono essere re-lativamente grandi, oppure, indubbiamente, molto piùluminose. Nel caso delle stelle doppie è stato dimostrato

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che si tratta di quest'ultima spiegazione; ma sembra pro-vato che le altre stelle siano invece molto più grandi diquel che si ritenga. Fino agli ultimi tempi, con le attualimisure, non si aveva alcun criterio per determinare conprecisione il posto di una stella, poichè le distanze sonocosì grandi, che i telescopi più potenti non mostrano cheun semplice punto luminoso. Ma adesso che si è riuscitia misurare la distanza di una buona quantità di stelle,siamo capaci di determinare il limite delle loro attualidimensioni.

Siccome la stella fissa a noi più vicina, α del Centau-ro, ha una parallasse di 0"75, dobbiamo supporre che, sequesta stella avesse un diametro grande quanto la di-stanza che intercede fra la terra e il sole (la quale non èmolto maggiore di 100 diametri solari), essa dovrebbescorgersi come un disco ben definito, grande quanto ilprimo satellite di Giove. Se tale diametro fosse soltantola decima parte di quel che supponiamo, ai nostri mi-gliori telescopi la stella apparirebbe ancora come un di-sco. Roynard notò, che se l'ipotesi nebulare è vera, e seil nostro sole si estendeva in altri tempi fino all'orbita diNettuno, vuol dire che fra i milioni di soli visibili, ve nesono altri a diversi stadi di sviluppo. Ma se ogni soleavesse un diametro press'a poco eguale, e se fosse lonta-no circa cento volte la distanza di α del Centauro, lo ve-dremmo col telescopio di Lick con un diametro di un se-condo. Diremo quindi che non vi sono stelle con discovisibile, il che prova che non vi sono soli della richiesta

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che si tratta di quest'ultima spiegazione; ma sembra pro-vato che le altre stelle siano invece molto più grandi diquel che si ritenga. Fino agli ultimi tempi, con le attualimisure, non si aveva alcun criterio per determinare conprecisione il posto di una stella, poichè le distanze sonocosì grandi, che i telescopi più potenti non mostrano cheun semplice punto luminoso. Ma adesso che si è riuscitia misurare la distanza di una buona quantità di stelle,siamo capaci di determinare il limite delle loro attualidimensioni.

Siccome la stella fissa a noi più vicina, α del Centau-ro, ha una parallasse di 0"75, dobbiamo supporre che, sequesta stella avesse un diametro grande quanto la di-stanza che intercede fra la terra e il sole (la quale non èmolto maggiore di 100 diametri solari), essa dovrebbescorgersi come un disco ben definito, grande quanto ilprimo satellite di Giove. Se tale diametro fosse soltantola decima parte di quel che supponiamo, ai nostri mi-gliori telescopi la stella apparirebbe ancora come un di-sco. Roynard notò, che se l'ipotesi nebulare è vera, e seil nostro sole si estendeva in altri tempi fino all'orbita diNettuno, vuol dire che fra i milioni di soli visibili, ve nesono altri a diversi stadi di sviluppo. Ma se ogni soleavesse un diametro press'a poco eguale, e se fosse lonta-no circa cento volte la distanza di α del Centauro, lo ve-dremmo col telescopio di Lick con un diametro di un se-condo. Diremo quindi che non vi sono stelle con discovisibile, il che prova che non vi sono soli della richiesta

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grandezza, e dimostra una volta di più, benchè non tantoevidentemente, che l'ipotesi nebulare non è accettabile.

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grandezza, e dimostra una volta di più, benchè non tantoevidentemente, che l'ipotesi nebulare non è accettabile.

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CAPITOLO VI.UNITÀ ED EVOLUZIONEDEL SISTEMA STELLARE

Tutto ciò che abbiamo detto sulle nuove scoperteastronomiche, che si riferiscono ai soggetti che noi trat-teremo, daranno, come speriamo, un'idea tanto su quelloche abbiamo già esposto, quanto sui problemi difficili epur così interessanti, che ci accingiamo a risolvere.

I più eminenti astronomi, in ogni parte del mondo, sidedicano alla ricerca della soluzione di tali problemi, enon già soltanto perchè essi sono di un gran valore in-trinseco, ma perchè tale soluzione segnerebbe un passodi più verso la conoscenza completa dell'Universo che cicirconda. Si mira a fare, nel sistema stellare, quello cheDarwin fece nel mondo organico: scuoprire, cioè, il pro-cesso delle variazioni che si succedono nel cielo, mo-strando inoltre come le nebulose, piene di mistero, i va-rii tipi di stelle e i gruppi e i sistemi di esse stiano in re-lazione fra loro.

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CAPITOLO VI.UNITÀ ED EVOLUZIONEDEL SISTEMA STELLARE

Tutto ciò che abbiamo detto sulle nuove scoperteastronomiche, che si riferiscono ai soggetti che noi trat-teremo, daranno, come speriamo, un'idea tanto su quelloche abbiamo già esposto, quanto sui problemi difficili epur così interessanti, che ci accingiamo a risolvere.

I più eminenti astronomi, in ogni parte del mondo, sidedicano alla ricerca della soluzione di tali problemi, enon già soltanto perchè essi sono di un gran valore in-trinseco, ma perchè tale soluzione segnerebbe un passodi più verso la conoscenza completa dell'Universo che cicirconda. Si mira a fare, nel sistema stellare, quello cheDarwin fece nel mondo organico: scuoprire, cioè, il pro-cesso delle variazioni che si succedono nel cielo, mo-strando inoltre come le nebulose, piene di mistero, i va-rii tipi di stelle e i gruppi e i sistemi di esse stiano in re-lazione fra loro.

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Come Darwin risolvette il problema dell'origine dellespecie organiche, mostrando come esse provengano daaltre specie così adesso si tende a dimostrare come tuttele forme di esistenza si siano sviluppate da forme pree-sistenti. In tal modo gli astronomi credono di poter arri-vare a spiegare il problema dell'evoluzione dei soli datipi di stelle primitive, e potere altresì formarsi un intel-ligibile concetto del modo con cui l'intero Universo stel-lare ha potuto divenire ciò che è.

Le opere scritte su questo soggetto sono quasi infini-te, e molte ingegnose supposizioni ed ipotesi sono stateavanzate. Ma le difficoltà che sussistono ancora sonopur sempre grandissime, e i dati da coordinarsi eccessi-vamente numerosi, pur non essendo che necessari fram-menti di un intero sconosciuto. Nondimeno alcune con-clusioni fondate si sono potute stabilire, e l'accordocompleto di molti pensatori e di molti osservatori, l'unodall'altro indipendenti, sui fondamentali principiidell'evoluzione stellare, ci dà il diritto di supporre cheandiamo sempre progredendo, benchè ancor lentamente,con una stabile base di verità verso la soluzione del piùstupendo problema scientifico, che l'intelletto umanoabbia mai osato di approfondire.

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Come Darwin risolvette il problema dell'origine dellespecie organiche, mostrando come esse provengano daaltre specie così adesso si tende a dimostrare come tuttele forme di esistenza si siano sviluppate da forme pree-sistenti. In tal modo gli astronomi credono di poter arri-vare a spiegare il problema dell'evoluzione dei soli datipi di stelle primitive, e potere altresì formarsi un intel-ligibile concetto del modo con cui l'intero Universo stel-lare ha potuto divenire ciò che è.

Le opere scritte su questo soggetto sono quasi infini-te, e molte ingegnose supposizioni ed ipotesi sono stateavanzate. Ma le difficoltà che sussistono ancora sonopur sempre grandissime, e i dati da coordinarsi eccessi-vamente numerosi, pur non essendo che necessari fram-menti di un intero sconosciuto. Nondimeno alcune con-clusioni fondate si sono potute stabilire, e l'accordocompleto di molti pensatori e di molti osservatori, l'unodall'altro indipendenti, sui fondamentali principiidell'evoluzione stellare, ci dà il diritto di supporre cheandiamo sempre progredendo, benchè ancor lentamente,con una stabile base di verità verso la soluzione del piùstupendo problema scientifico, che l'intelletto umanoabbia mai osato di approfondire.

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L'UNITÀ DELL'UNIVERSO STELLARE.

Durante la seconda metà del secolo decimonono l'opi-nione degli astronomi rafforzò sempre e sempre più ilconcetto che tutto l'Universo visibile, stelle e nebulose,costituisca un completo e collegato sistema. Negli ultimiquindici anni specialmente, i molteplici dati accumulatidai dotti studiosi hanno tanto fermamente stabilito que-sta opinione, che poche sono le autorità scientifiche didiverso parere. L'idea che le nebulose siano molto piùlontane da noi delle stelle, preponderò anche dopo chefu abbandonata dal suo principale sostenitore. QuandoGuglielmo Herschel, adoperando ancora il suo imperfet-to telescopio, asserì che la Via Lattea non era altro cheun ammasso di stelle, e che quelle che erano state dettenebulose in fondo non potevano essere che gruppi distelle, fu creduto possibile che anche le nebulose osser-vate coi più potenti telescopi, e che mantenevano ancoraun'apparenza nebulosa, fossero altrettanti gruppi o siste-mi stellari, e che, per arrivare a conoscere la loro veranatura, non occorresse altro che uno strumento di forzamaggiore. Questa congettura si appoggiò sul fatto chemolte nebulose hanno una forma anulare, quasi imitan-do in tal modo, in piccolo, la forma della Via Lattea;tanto che quando Herschel scoprì a migliaia le nebulosedi questo tipo, parlava di esse come di distinti Universi,sparsi nell'immensurabile profondità dello spazio.

Ora, benchè l'idea precisa dell'immensità dell'Univer-so stellare, del quale la Via Lattea con i suoi gruppi di

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L'UNITÀ DELL'UNIVERSO STELLARE.

Durante la seconda metà del secolo decimonono l'opi-nione degli astronomi rafforzò sempre e sempre più ilconcetto che tutto l'Universo visibile, stelle e nebulose,costituisca un completo e collegato sistema. Negli ultimiquindici anni specialmente, i molteplici dati accumulatidai dotti studiosi hanno tanto fermamente stabilito que-sta opinione, che poche sono le autorità scientifiche didiverso parere. L'idea che le nebulose siano molto piùlontane da noi delle stelle, preponderò anche dopo chefu abbandonata dal suo principale sostenitore. QuandoGuglielmo Herschel, adoperando ancora il suo imperfet-to telescopio, asserì che la Via Lattea non era altro cheun ammasso di stelle, e che quelle che erano state dettenebulose in fondo non potevano essere che gruppi distelle, fu creduto possibile che anche le nebulose osser-vate coi più potenti telescopi, e che mantenevano ancoraun'apparenza nebulosa, fossero altrettanti gruppi o siste-mi stellari, e che, per arrivare a conoscere la loro veranatura, non occorresse altro che uno strumento di forzamaggiore. Questa congettura si appoggiò sul fatto chemolte nebulose hanno una forma anulare, quasi imitan-do in tal modo, in piccolo, la forma della Via Lattea;tanto che quando Herschel scoprì a migliaia le nebulosedi questo tipo, parlava di esse come di distinti Universi,sparsi nell'immensurabile profondità dello spazio.

Ora, benchè l'idea precisa dell'immensità dell'Univer-so stellare, del quale la Via Lattea con i suoi gruppi di

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stelle sarebbe la base fondamentale, sia, come ho dimo-strato, quasi irragiungibile, pure l'idea di un numero illi-mitato di altri Universi, infinitamente remoti da noi, epure a noi visibili, preponderava tanto sulla immagina-zione nostra, che divenne quasi una volgarità dell'astro-nomia popolare, e agli stessi astronomi non fu cosa faci-le combatterla. La colpa di tale errata idea fu, in parte,dei voluminosi scritti di Guglielmo Herschel, che si tro-vano, quasi tutti, negli atti della Società Reale, ma chesono poco letti, e nei quali egli indica il suo cambiamen-to di opinione soltanto con brevi sentenze, che possonofacilmente sfuggire. Sembra che Proctor sia stato il pri-mo astronomo che abbia studiato gli scritti di Herschel;egli confessava di essere stato costretto a leggerli bencinque volte, prima di potere afferrare e rendersi contodelle opinioni dell'autore nei differenti periodi.

Ma il primo che dimostrò esattamente la distribuzionedelle nebulose non fu già un astronomo, ma il più gran-de studioso delle scienze in generale, Herbert Spencer.In certi suoi articoli importantissimi intitolati: Cennisull'ipotesi nebulare, pubblicati nella Westminster Re-view del luglio 1858, egli sostiene che le nebulose for-mano veramente parte della Via Lattea e del nostro Uni-verso stellare. Un solo passo dei suoi scritti dirà su checosa si basano i suoi argomenti, i quali, è necessario ag-giungere, sono stati parzialmente riportati da GiovanniHerschel nei suoi Principii di Astronomia:

«Se non vi fosse che una sola nebulosa, sarebbe unacuriosa coincidenza che questa sola nebulosa fosse po-

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stelle sarebbe la base fondamentale, sia, come ho dimo-strato, quasi irragiungibile, pure l'idea di un numero illi-mitato di altri Universi, infinitamente remoti da noi, epure a noi visibili, preponderava tanto sulla immagina-zione nostra, che divenne quasi una volgarità dell'astro-nomia popolare, e agli stessi astronomi non fu cosa faci-le combatterla. La colpa di tale errata idea fu, in parte,dei voluminosi scritti di Guglielmo Herschel, che si tro-vano, quasi tutti, negli atti della Società Reale, ma chesono poco letti, e nei quali egli indica il suo cambiamen-to di opinione soltanto con brevi sentenze, che possonofacilmente sfuggire. Sembra che Proctor sia stato il pri-mo astronomo che abbia studiato gli scritti di Herschel;egli confessava di essere stato costretto a leggerli bencinque volte, prima di potere afferrare e rendersi contodelle opinioni dell'autore nei differenti periodi.

Ma il primo che dimostrò esattamente la distribuzionedelle nebulose non fu già un astronomo, ma il più gran-de studioso delle scienze in generale, Herbert Spencer.In certi suoi articoli importantissimi intitolati: Cennisull'ipotesi nebulare, pubblicati nella Westminster Re-view del luglio 1858, egli sostiene che le nebulose for-mano veramente parte della Via Lattea e del nostro Uni-verso stellare. Un solo passo dei suoi scritti dirà su checosa si basano i suoi argomenti, i quali, è necessario ag-giungere, sono stati parzialmente riportati da GiovanniHerschel nei suoi Principii di Astronomia:

«Se non vi fosse che una sola nebulosa, sarebbe unacuriosa coincidenza che questa sola nebulosa fosse po-

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sta in una lontana regione dello spazio, in modo da esse-re in linea retta, attraverso uno spazio privo di stelle,proprio col nostro sistema siderale. Ma se vi fossero duenebulose, ed ambedue fossero situate come abbiamodetto, la cosa diventerebbe anche più strana. E che cosadiremmo trovando migliaia di nebulose poste nella gui-sa suddetta? Dovremmo credere che in migliaia di casiqueste lontane Vie Lattee siano in linea retta, nelle loroposizioni visibili, attraverso spazi più diradati, con lanostra? Questo non e cosa credibile.»

Egli allora applica il medesimo argomento alla distri-buzione delle nebulose in generale.

«In quella zona di spazio celeste, dove le stelle sonoin numero quasi eccessivo, le nebulose sono rare, men-tre nei due opposti spazi celesti, molto remoti da quellazona, le nebulose abbondano. Alcune nebulose giaccio-no nelle vicinanze del grande cerchio formato della ViaLattea, o sul piano di essa, ma la maggior quantità tro-vasi intorno ai poli galassici. Devesi anche questo attri-buire a mero caso?»

E conclude, dalla riunione di tali evidenze, che «leprove di una fisica connessione, divengono palpabili».

Nulla potrebbe esservi di più chiaro e di più incalzan-te, ma lo Spencer non è un astronomo, sì bene uno scrit-tore che pubblicò i suoi articoli in un periodico relativa-mente poco letto, e poco conosciuto dal mondo astrono-mico. Fu in questi ultimi 15 anni che Proctor, con le sueelaborate carte ed i suoi varii studi presentati alla Socie-tà reale e alla Real Società astronomica dal 1869 al

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sta in una lontana regione dello spazio, in modo da esse-re in linea retta, attraverso uno spazio privo di stelle,proprio col nostro sistema siderale. Ma se vi fossero duenebulose, ed ambedue fossero situate come abbiamodetto, la cosa diventerebbe anche più strana. E che cosadiremmo trovando migliaia di nebulose poste nella gui-sa suddetta? Dovremmo credere che in migliaia di casiqueste lontane Vie Lattee siano in linea retta, nelle loroposizioni visibili, attraverso spazi più diradati, con lanostra? Questo non e cosa credibile.»

Egli allora applica il medesimo argomento alla distri-buzione delle nebulose in generale.

«In quella zona di spazio celeste, dove le stelle sonoin numero quasi eccessivo, le nebulose sono rare, men-tre nei due opposti spazi celesti, molto remoti da quellazona, le nebulose abbondano. Alcune nebulose giaccio-no nelle vicinanze del grande cerchio formato della ViaLattea, o sul piano di essa, ma la maggior quantità tro-vasi intorno ai poli galassici. Devesi anche questo attri-buire a mero caso?»

E conclude, dalla riunione di tali evidenze, che «leprove di una fisica connessione, divengono palpabili».

Nulla potrebbe esservi di più chiaro e di più incalzan-te, ma lo Spencer non è un astronomo, sì bene uno scrit-tore che pubblicò i suoi articoli in un periodico relativa-mente poco letto, e poco conosciuto dal mondo astrono-mico. Fu in questi ultimi 15 anni che Proctor, con le sueelaborate carte ed i suoi varii studi presentati alla Socie-tà reale e alla Real Società astronomica dal 1869 al

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1875, si guadagnò l'attenzione del mondo scientifico,contribuendo così, forse più di ogni altro dotto, a stabili-re fermamente il grande principio dell'Unità fondamen-tale dell'Universo stellare, principio il quale è stato ac-cettato da quasi tutti gli astronomi più eminenti delmondo civile.

L'EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO STELLARE.

In mezzo a questa enorme quantità di studi, osserva-zioni e ipotesi speculative sopra questo grande e tantodifficile problema, è difficile farsi ragione di ciò che èpiù importante e di ciò che è più vero. Ma tenteremo diappianare queste difficoltà in modo che i lettori abbianocognizione dei più notevoli fatti che hanno rapporto colsuddetto problema, oltre a quelli già esposti, e possanodarsi ragione delle cose poco comprensibili che incontracolui che muove i primi passi su questa via, e delle varieidee e ipotesi che sono state emesse per spiegare i fattied appianare le difficoltà; senza di che essi non potreb-bero essere in grado di apprezzare, sia pure imperfetta-mente, le meraviglie ed il mistero del vasto e stupendoUniverso, nel quale noi viviamo e del quale siamo i piùimportanti abitatori.

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1875, si guadagnò l'attenzione del mondo scientifico,contribuendo così, forse più di ogni altro dotto, a stabili-re fermamente il grande principio dell'Unità fondamen-tale dell'Universo stellare, principio il quale è stato ac-cettato da quasi tutti gli astronomi più eminenti delmondo civile.

L'EVOLUZIONE DELL'UNIVERSO STELLARE.

In mezzo a questa enorme quantità di studi, osserva-zioni e ipotesi speculative sopra questo grande e tantodifficile problema, è difficile farsi ragione di ciò che èpiù importante e di ciò che è più vero. Ma tenteremo diappianare queste difficoltà in modo che i lettori abbianocognizione dei più notevoli fatti che hanno rapporto colsuddetto problema, oltre a quelli già esposti, e possanodarsi ragione delle cose poco comprensibili che incontracolui che muove i primi passi su questa via, e delle varieidee e ipotesi che sono state emesse per spiegare i fattied appianare le difficoltà; senza di che essi non potreb-bero essere in grado di apprezzare, sia pure imperfetta-mente, le meraviglie ed il mistero del vasto e stupendoUniverso, nel quale noi viviamo e del quale siamo i piùimportanti abitatori.

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IL SOLE COME STELLA TIPICA.

È oramai un fatto fuori ogni discussione che le stellesono soli; alcune cognizioni sul nostro sole rappresente-ranno adunque dei preliminari indispensabili per studia-re più profondamente la loro natura e farsi un'idea deicambiamenti che hanno subìto.

Sappiamo che la densità del sole è soltanto un quartoquella della terra, cioè una volta e mezzo meno di quelladell'acqua. Che il sole non possa esser solido, è provatodalla forza di gravità alla sua superficie, che è ventiseivolte e mezzo quella che esiste alla superficie terrestre.Se il sole fosse solido, i suoi materiali sarebbero cosìcomplessi, che la sua densità non potrebbe essere cheventi volte maggiore, invece che quattro volte minore diquella della terra. Tutto ci porta a credere, dunque, chela massa solare sia gassosa, ma talmente compressa dal-la forza di gravità, da avere tutte le proprietà di un liqui-do.

Qualche cifra, indicante la vasta dimensione del solee la quantità di luce e calore che emette, ci farà com-prendere meglio i fenomeni che presenta e l'interpetra-zione che ne è stata data.

Proctor afferma che ogni pollice quadrato della super-ficie del sole emani tanta luce quanto venticinque archielettrici, ed il prof. Langloy ha dimostrato, a forza diesperimenti, che il sole è cinquemila trecento volte piùluminoso e ottantasette volte più calorifico del metallo

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IL SOLE COME STELLA TIPICA.

È oramai un fatto fuori ogni discussione che le stellesono soli; alcune cognizioni sul nostro sole rappresente-ranno adunque dei preliminari indispensabili per studia-re più profondamente la loro natura e farsi un'idea deicambiamenti che hanno subìto.

Sappiamo che la densità del sole è soltanto un quartoquella della terra, cioè una volta e mezzo meno di quelladell'acqua. Che il sole non possa esser solido, è provatodalla forza di gravità alla sua superficie, che è ventiseivolte e mezzo quella che esiste alla superficie terrestre.Se il sole fosse solido, i suoi materiali sarebbero cosìcomplessi, che la sua densità non potrebbe essere cheventi volte maggiore, invece che quattro volte minore diquella della terra. Tutto ci porta a credere, dunque, chela massa solare sia gassosa, ma talmente compressa dal-la forza di gravità, da avere tutte le proprietà di un liqui-do.

Qualche cifra, indicante la vasta dimensione del solee la quantità di luce e calore che emette, ci farà com-prendere meglio i fenomeni che presenta e l'interpetra-zione che ne è stata data.

Proctor afferma che ogni pollice quadrato della super-ficie del sole emani tanta luce quanto venticinque archielettrici, ed il prof. Langloy ha dimostrato, a forza diesperimenti, che il sole è cinquemila trecento volte piùluminoso e ottantasette volte più calorifico del metallo

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riscaldato al calor bianco in un accumulatore di Besse-mer.

Tutta la quantità di calore solare che la terra riceve, sepotesse venir utilizzata completamente, basterebbe a farmuovere continuamente una macchina della forza di trecavalli per ogni corda quadrata della superficie del no-stro globo. La grandezza del sole è tale, che se la nostraterra fosse nel suo centro, non solamente vi sarebbe am-pio spazio per l'orbita della luna, ma anche per un altrosatellite posto 190000 miglia lontano da questa, ed en-trambi si potrebbero muovere nell'interno del sole. Lamassa del sole è 745 volte più grande che quella di tuttigli altri pianeti presi insieme, e da ciò deriva la grandeforza di gravitazione che li obbliga nelle loro lontane or-bite.

Ciò che possiamo vedere della superficie del sole è lafotosfera, ovvero lo strato esteriore gassoso, cioè mate-ria parzialmente liquida, mantenuta ad un definito livel-lo dalla forza di gravità. La fotosfera ha un'apparenzagranulare, e per questo presenta alcune differenze nellasuperficie e nella luminosità, benchè l'osservazione del-la sua periferia indichi che queste irregolarità non sonomolto pronunciate. Questa superficie è apparentementeinterrotta da quelle che soglionsi chiamare macchie delsole, e che per molto tempo furono credute cavità, dallequali trasparisse un nucleo opaco, ma che ora si credenon siano altro che ammassi di materia raffreddata,sgorgante dal sole, la quale formerebbe anche le promi-nenze che osserviamo durante le ecclissi solari. Tali

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riscaldato al calor bianco in un accumulatore di Besse-mer.

Tutta la quantità di calore solare che la terra riceve, sepotesse venir utilizzata completamente, basterebbe a farmuovere continuamente una macchina della forza di trecavalli per ogni corda quadrata della superficie del no-stro globo. La grandezza del sole è tale, che se la nostraterra fosse nel suo centro, non solamente vi sarebbe am-pio spazio per l'orbita della luna, ma anche per un altrosatellite posto 190000 miglia lontano da questa, ed en-trambi si potrebbero muovere nell'interno del sole. Lamassa del sole è 745 volte più grande che quella di tuttigli altri pianeti presi insieme, e da ciò deriva la grandeforza di gravitazione che li obbliga nelle loro lontane or-bite.

Ciò che possiamo vedere della superficie del sole è lafotosfera, ovvero lo strato esteriore gassoso, cioè mate-ria parzialmente liquida, mantenuta ad un definito livel-lo dalla forza di gravità. La fotosfera ha un'apparenzagranulare, e per questo presenta alcune differenze nellasuperficie e nella luminosità, benchè l'osservazione del-la sua periferia indichi che queste irregolarità non sonomolto pronunciate. Questa superficie è apparentementeinterrotta da quelle che soglionsi chiamare macchie delsole, e che per molto tempo furono credute cavità, dallequali trasparisse un nucleo opaco, ma che ora si credenon siano altro che ammassi di materia raffreddata,sgorgante dal sole, la quale formerebbe anche le promi-nenze che osserviamo durante le ecclissi solari. Tali

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macchie sembrano scure, ma intorno ad esse si vede unapenombra circolare, dalla quale si diramano delle lun-ghe strie lucide somiglianti a fasci di paglia, che la tra-versano e la lambiscono. Qualche volta delle parti luci-de si vedono sovrapposte alle macchie oscure, ed anchesuccede che le traversino completamente. Queste appa-renze luminose, chiamate facule, stanno vicine alle mac-chie ed anche le circondano quasi completamente. Lemacchie del sole appariscono talora abbondanti sul suodisco, talora sono poco numerose, ma di tale grandezzada poter esser vedute ad occhio nudo, protetto da unpezzo di vetro affumicato. È stato osservato che perqualche anno le macchie aumentano di numero, rag-giungendo il massimo dopo un periodo di undici anni, eche poi diminuiscono; ma questa media non è esatta,poichè l'intervallo fra il massimo e il minimo varia danove anni a tredici, e il minimo non si constata mai allagiusta metà fra due massimi, ma tende ad oltrepassarla,piuttosto che a raggiungerla. Ma ciò che desta interesseè, che le variazioni nel magnetismo terrestre e le violen-te commozioni nel sole, indicate dal subitaneo apparir inesso dalle facule, sono sempre seguite da disturbi ma-gnetici sulla terra.

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macchie sembrano scure, ma intorno ad esse si vede unapenombra circolare, dalla quale si diramano delle lun-ghe strie lucide somiglianti a fasci di paglia, che la tra-versano e la lambiscono. Qualche volta delle parti luci-de si vedono sovrapposte alle macchie oscure, ed anchesuccede che le traversino completamente. Queste appa-renze luminose, chiamate facule, stanno vicine alle mac-chie ed anche le circondano quasi completamente. Lemacchie del sole appariscono talora abbondanti sul suodisco, talora sono poco numerose, ma di tale grandezzada poter esser vedute ad occhio nudo, protetto da unpezzo di vetro affumicato. È stato osservato che perqualche anno le macchie aumentano di numero, rag-giungendo il massimo dopo un periodo di undici anni, eche poi diminuiscono; ma questa media non è esatta,poichè l'intervallo fra il massimo e il minimo varia danove anni a tredici, e il minimo non si constata mai allagiusta metà fra due massimi, ma tende ad oltrepassarla,piuttosto che a raggiungerla. Ma ciò che desta interesseè, che le variazioni nel magnetismo terrestre e le violen-te commozioni nel sole, indicate dal subitaneo apparir inesso dalle facule, sono sempre seguite da disturbi ma-gnetici sulla terra.

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CIÒ CHE CIRCONDA IL SOLE.

Quello che noi chiamiamo sole non è che il nucleosferico e lucente di un corpo nebuloso. Questo nucleo ècomposto di materia allo stato gassoso, ma così com-pressa che potrebbe paragonarsi, come abbiamo detto,ad un liquido o ad un fluido viscoso. Circa 40 degli ele-menti che compongono il sole si deducono dalle lineescure del suo spettro, ma potremmo affermare che viesistono, o sotto una forma, o sotto un'altra, tutti gli ele-menti che noi conosciamo.

Questa ardente e semiliquida superficie solare vienchiamata fotosfera, perchè da essa emanano la luce ed ilcalore che arrivano al nostro globo. Immediatamente so-pra questa luminosa superficie vi è la cromosfera, o stra-to assorbente, consistente in densi vapori metallici diuno spessore di poche centinaia di miglia. La cromosfe-ra, quantunque incandescente, è in parte più fredda dellasuperficie della fotosfera. Lo spettro del sole, preso nelmomento del suo ecclissi totale, attraverso una fenditurache sia diretta in modo tangente alla periferia del sole, cifa vedere una massa di linee lucenti, che corrispondonoquasi del tutto alle linee scure dell'ordinario spettro sola-re. Comprendiamo perciò che vi è uno strato di vapore,il quale assorbe i raggi speciali emessi da ciascun ele-mento e che formano le sue caratteristiche linee colora-te, trasformandole in linee scure. Ma siccome linee co-lorate che corrispondano a tutte le linee scure dello spet-tro solare non se ne vedono in questo strato, si ritiene

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CIÒ CHE CIRCONDA IL SOLE.

Quello che noi chiamiamo sole non è che il nucleosferico e lucente di un corpo nebuloso. Questo nucleo ècomposto di materia allo stato gassoso, ma così com-pressa che potrebbe paragonarsi, come abbiamo detto,ad un liquido o ad un fluido viscoso. Circa 40 degli ele-menti che compongono il sole si deducono dalle lineescure del suo spettro, ma potremmo affermare che viesistono, o sotto una forma, o sotto un'altra, tutti gli ele-menti che noi conosciamo.

Questa ardente e semiliquida superficie solare vienchiamata fotosfera, perchè da essa emanano la luce ed ilcalore che arrivano al nostro globo. Immediatamente so-pra questa luminosa superficie vi è la cromosfera, o stra-to assorbente, consistente in densi vapori metallici diuno spessore di poche centinaia di miglia. La cromosfe-ra, quantunque incandescente, è in parte più fredda dellasuperficie della fotosfera. Lo spettro del sole, preso nelmomento del suo ecclissi totale, attraverso una fenditurache sia diretta in modo tangente alla periferia del sole, cifa vedere una massa di linee lucenti, che corrispondonoquasi del tutto alle linee scure dell'ordinario spettro sola-re. Comprendiamo perciò che vi è uno strato di vapore,il quale assorbe i raggi speciali emessi da ciascun ele-mento e che formano le sue caratteristiche linee colora-te, trasformandole in linee scure. Ma siccome linee co-lorate che corrispondano a tutte le linee scure dello spet-tro solare non se ne vedono in questo strato, si ritiene

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che un assorbimento speciale debba avvenire nella at-mosfera e forse nella corona. Norman Lockyer, nel suolibro Inorganic Evolution, giunge fino a dire che il verostrato avvolgente del sole, che nel suo assorbimentoproduce le linee scure dello spettro solare, non è addirit-tura la cromosfera, ma uno strato al di sopra di questa, edi una temperatura più bassa. Sopra lo strato avvolgentetrovasi la cromosfera, una vasta massa di emanazionirosee o scarlatte, che circonda il sole ad un'altezza di4000 miglia. Il sole, durante l'ecclissi, mostra un contor-no ondulato e soggetto a grandi cambiamenti di forma,che sono prodotti dalle variabili protuberanze cui abbia-mo accennato. Queste protuberanze sono di due specie:le quiescenti, che per lo più rappresentano enormi nuvo-le, e le eruttive, che s'inalzano come torri e gettanofiamme che possono somigliarsi a grandi alberi fronzuti.Durante la loro elevazione queste fiamme raggiungonouna velocità di più di 300 miglia al secondo, riabbassan-dosi con una rapidità quasi eguale. Tanto la cromosfera,quanto le protuberanze quiescenti pare siano veramentegassose, composte d'idrogeno, elio e coronio; quelleeruttive sono composte di materie metalliche, special-mente di calcio.

Le protuberanze aumentano di grandezza e di nume-ro, secondo l'aumentare delle macchie del sole.

Intorno alla rossa cromosfera ed alle protuberanze sisvolge infine la meravigliosa bianca gloria della corona,che si estende ad una enorme distanza dal sole.

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che un assorbimento speciale debba avvenire nella at-mosfera e forse nella corona. Norman Lockyer, nel suolibro Inorganic Evolution, giunge fino a dire che il verostrato avvolgente del sole, che nel suo assorbimentoproduce le linee scure dello spettro solare, non è addirit-tura la cromosfera, ma uno strato al di sopra di questa, edi una temperatura più bassa. Sopra lo strato avvolgentetrovasi la cromosfera, una vasta massa di emanazionirosee o scarlatte, che circonda il sole ad un'altezza di4000 miglia. Il sole, durante l'ecclissi, mostra un contor-no ondulato e soggetto a grandi cambiamenti di forma,che sono prodotti dalle variabili protuberanze cui abbia-mo accennato. Queste protuberanze sono di due specie:le quiescenti, che per lo più rappresentano enormi nuvo-le, e le eruttive, che s'inalzano come torri e gettanofiamme che possono somigliarsi a grandi alberi fronzuti.Durante la loro elevazione queste fiamme raggiungonouna velocità di più di 300 miglia al secondo, riabbassan-dosi con una rapidità quasi eguale. Tanto la cromosfera,quanto le protuberanze quiescenti pare siano veramentegassose, composte d'idrogeno, elio e coronio; quelleeruttive sono composte di materie metalliche, special-mente di calcio.

Le protuberanze aumentano di grandezza e di nume-ro, secondo l'aumentare delle macchie del sole.

Intorno alla rossa cromosfera ed alle protuberanze sisvolge infine la meravigliosa bianca gloria della corona,che si estende ad una enorme distanza dal sole.

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Come le protuberanze della cromosfera sono soggettead un periodico cambiamento di forma e di grandezza,corrispondente a determinati periodi delle macchie, cosìun minimo di macchie solari corrisponde con una massi-ma estensione della corona.

Durante l'ecclissi totale del luglio 1878, poco tempoprima del quale la superficie del sole, osservata attenta-mente, si era mostrata quasi interamente chiara, si scor-sero due enormi fiamme equatorali che sorgevano all'este all'ovest del sole, e si avanzavano per una diecina dimilioni di miglia, mentre ai poli l'estensione della coro-na era molto minore. Nelle ecclissi del 1882 e 1883,quando le macchie del sole erano al massimo, la coronaera regolarmente lucida, di una meravigliosa lucentezza,ma non raggiunse una grande estensione. Fatti analoghisono stati notati ad ogni ecclisse, quindi non si può piùdubitare che non esista un rapporto fra questi due feno-meni.

Si crede che la luce abbagliante della corona solarederivi da tre cause: dalle particelle incandescenti, solideo liquide, che il sole emette, dalla luce riflessa da questeparticelle, e finalmente dai gas e dalle emissioni gasso-se. Nello spettro solare si scorge un raggio verde parti-colare, che si suppone provenga da un gas che è statochiamato coronio; del resto lo spettro somiglia a quellodella luce riflessa del sole. L'enorme estensione dellacorona in grandi fiamme angolari sembra indicare inol-tre l'esistenza di forze elettriche repulsive, analoghe aquelle prodotte dalla coda delle comete.

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Come le protuberanze della cromosfera sono soggettead un periodico cambiamento di forma e di grandezza,corrispondente a determinati periodi delle macchie, cosìun minimo di macchie solari corrisponde con una massi-ma estensione della corona.

Durante l'ecclissi totale del luglio 1878, poco tempoprima del quale la superficie del sole, osservata attenta-mente, si era mostrata quasi interamente chiara, si scor-sero due enormi fiamme equatorali che sorgevano all'este all'ovest del sole, e si avanzavano per una diecina dimilioni di miglia, mentre ai poli l'estensione della coro-na era molto minore. Nelle ecclissi del 1882 e 1883,quando le macchie del sole erano al massimo, la coronaera regolarmente lucida, di una meravigliosa lucentezza,ma non raggiunse una grande estensione. Fatti analoghisono stati notati ad ogni ecclisse, quindi non si può piùdubitare che non esista un rapporto fra questi due feno-meni.

Si crede che la luce abbagliante della corona solarederivi da tre cause: dalle particelle incandescenti, solideo liquide, che il sole emette, dalla luce riflessa da questeparticelle, e finalmente dai gas e dalle emissioni gasso-se. Nello spettro solare si scorge un raggio verde parti-colare, che si suppone provenga da un gas che è statochiamato coronio; del resto lo spettro somiglia a quellodella luce riflessa del sole. L'enorme estensione dellacorona in grandi fiamme angolari sembra indicare inol-tre l'esistenza di forze elettriche repulsive, analoghe aquelle prodotte dalla coda delle comete.

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In rapporto con la corona del sole resta lo strano feno-meno detto luce zodiacale. La luce zodiacale è quelladelicata nebulosità che spesso si vede d'estate, dopo iltramonto, e in autunno prima del sorger del sole; è diforma piramidale o conica, e dal sole si dirige lungo ilpiano dell'eclittica. In favorevoli condizioni ne è stata inestate seguita la traccia sul firmamento dalla parte orien-tale, fino a 180°dalla posizione del sole, il che sembraindicare che tale fenomeno si estenda al di là dell'orbitaterrestre.

Lunghe e ripetute osservazioni, fatte dalla sommitàdel Pic du Midi, hanno dimostrato che la luce zodiacalesi estende veramente quanto abbiamo detto, e che ha lesue origini quasi precisamente nel piano dell'equatoresolare. Perciò possiamo supporre che essa sia prodottada minute particelle proiettate dal sole nella sua aureoladi luce e di fiamme, visibile solamente durante l'ecclissi.

Altri studi accurati dei fenomeni solari hanno potutostabilire con certezza che nulla di ciò che circonda ilsole, dallo strato avvolgente fino alla stessa corona, puòchiamarsi in alcun modo atmosfera. La concomitanza diuna forza enorme di gravità, con una quantità di caloretale da mantenere ogni elemento allo stato liquido o gas-soso, conduce a conseguenze che noi difficilmente pos-siamo seguire e comprendere. Evidentemente nell'inter-no del sole si compie un costante movimento o circola-zione, che è causa delle facule, delle macchie, dell'inten-sità luminosa della fotosfera, della cromosfera, con lesue grandiose corruscazioni di fiamme e protuberanze

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In rapporto con la corona del sole resta lo strano feno-meno detto luce zodiacale. La luce zodiacale è quelladelicata nebulosità che spesso si vede d'estate, dopo iltramonto, e in autunno prima del sorger del sole; è diforma piramidale o conica, e dal sole si dirige lungo ilpiano dell'eclittica. In favorevoli condizioni ne è stata inestate seguita la traccia sul firmamento dalla parte orien-tale, fino a 180°dalla posizione del sole, il che sembraindicare che tale fenomeno si estenda al di là dell'orbitaterrestre.

Lunghe e ripetute osservazioni, fatte dalla sommitàdel Pic du Midi, hanno dimostrato che la luce zodiacalesi estende veramente quanto abbiamo detto, e che ha lesue origini quasi precisamente nel piano dell'equatoresolare. Perciò possiamo supporre che essa sia prodottada minute particelle proiettate dal sole nella sua aureoladi luce e di fiamme, visibile solamente durante l'ecclissi.

Altri studi accurati dei fenomeni solari hanno potutostabilire con certezza che nulla di ciò che circonda ilsole, dallo strato avvolgente fino alla stessa corona, puòchiamarsi in alcun modo atmosfera. La concomitanza diuna forza enorme di gravità, con una quantità di caloretale da mantenere ogni elemento allo stato liquido o gas-soso, conduce a conseguenze che noi difficilmente pos-siamo seguire e comprendere. Evidentemente nell'inter-no del sole si compie un costante movimento o circola-zione, che è causa delle facule, delle macchie, dell'inten-sità luminosa della fotosfera, della cromosfera, con lesue grandiose corruscazioni di fiamme e protuberanze

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eruttive. Sembra però impossibile che questo incessantee violento movimento possa aver luogo, senza qualchegrande rinnovamento di materiale, periodico o continuo,per mantenere il calore, la circolazione interna e suppli-re al consumo.

Forse i movimenti del sole attraverso lo spazio lo por-tano a contatto con grandi masse di materia, che lo ali-mentano continuamente, chè altrimenti la superficieesterna si raffredderebbe con rapidità e la vita planetariacesserebbe.

I varii strati solari manifestano l'agitazione internacon eruzioni ed esplosioni; l'immensa bianca e luminosaaureola non ha maggior densità della coda delle comete,anzi, probabilmente, non la raggiunge, perchè frequen-temente le comete irrompono in essa senza perder nulladella loro velocità.

Il fatto che nessuno degli strati solari esterni è visibilea noi finchè la luce della fotosfera non sia coperta, men-tre tutti svaniscono nell'istante medesimo che, finita lafase totale dell'ecclissi, il primo raggio di luce solare cigiunge direttamente, fornisce un'altra prova della loroestrema tenuità; però non possiamo dubitare che talistrati rappresentino il limite del disco solare. Questistrati sono formati da materie liquide o gassose, nellequali veramente non si può stabilire uno stato ben di-stinto, ed emesse da esplosioni o da forze elettriche.Queste materie, rapidamente raffreddate, si solidificanoin minute particelle o molecole fisiche. Grande quantitàdi queste materie ricade sulla superficie del sole, ma una

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eruttive. Sembra però impossibile che questo incessantee violento movimento possa aver luogo, senza qualchegrande rinnovamento di materiale, periodico o continuo,per mantenere il calore, la circolazione interna e suppli-re al consumo.

Forse i movimenti del sole attraverso lo spazio lo por-tano a contatto con grandi masse di materia, che lo ali-mentano continuamente, chè altrimenti la superficieesterna si raffredderebbe con rapidità e la vita planetariacesserebbe.

I varii strati solari manifestano l'agitazione internacon eruzioni ed esplosioni; l'immensa bianca e luminosaaureola non ha maggior densità della coda delle comete,anzi, probabilmente, non la raggiunge, perchè frequen-temente le comete irrompono in essa senza perder nulladella loro velocità.

Il fatto che nessuno degli strati solari esterni è visibilea noi finchè la luce della fotosfera non sia coperta, men-tre tutti svaniscono nell'istante medesimo che, finita lafase totale dell'ecclissi, il primo raggio di luce solare cigiunge direttamente, fornisce un'altra prova della loroestrema tenuità; però non possiamo dubitare che talistrati rappresentino il limite del disco solare. Questistrati sono formati da materie liquide o gassose, nellequali veramente non si può stabilire uno stato ben di-stinto, ed emesse da esplosioni o da forze elettriche.Queste materie, rapidamente raffreddate, si solidificanoin minute particelle o molecole fisiche. Grande quantitàdi queste materie ricade sulla superficie del sole, ma una

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certa quantità, come polvere finissima, viene continua-mente spinta all'esterno da una repulsione elettrica; si hacosì la corona e la luce zodiacale. Le immense fiammecoronali, ed anche il cerchio molto più vasto della lucezodiacale, sono dunque, con tutta probabilità, dovuti allestesse cause, ed hanno una costituzione fisica simile aquella delle code delle comete.

Poichè la luce del sole che giunge fino a noi, passa at-traverso lo strato avvolgente e la rossa cromosfera, il co-lore ne è alquanto modificato, perciò si crede che se talistrati solari non esistessero, non solamente la luce ed ilcalore del sole sarebbero considerevolmente maggiori,ma il suo colore sarebbe del più perfetto bianco o tende-rebbe al turchiniccio, invece di avere quell'apparenza unpo' giallognola che possiamo constatare.

LE IPOTESI NEBULARI E METEORICHE.

Come la costituzione del sole, e quella dei suoi agentiche producono intorno alla sua orbe fenomeni di magne-tismo e di elettricità, ci servono di guida per dedurre lacostituzione delle stelle e delle nebulose e la possibileazione che esercitano l'una sull'altra ed altresì sul nostroglobo, così il modo di evoluzione del sole e di tutto il si-stema solare da qualche preesistente condizione, ci aiutaa intuire la probabile ragione della costituzione dell'Uni-

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certa quantità, come polvere finissima, viene continua-mente spinta all'esterno da una repulsione elettrica; si hacosì la corona e la luce zodiacale. Le immense fiammecoronali, ed anche il cerchio molto più vasto della lucezodiacale, sono dunque, con tutta probabilità, dovuti allestesse cause, ed hanno una costituzione fisica simile aquella delle code delle comete.

Poichè la luce del sole che giunge fino a noi, passa at-traverso lo strato avvolgente e la rossa cromosfera, il co-lore ne è alquanto modificato, perciò si crede che se talistrati solari non esistessero, non solamente la luce ed ilcalore del sole sarebbero considerevolmente maggiori,ma il suo colore sarebbe del più perfetto bianco o tende-rebbe al turchiniccio, invece di avere quell'apparenza unpo' giallognola che possiamo constatare.

LE IPOTESI NEBULARI E METEORICHE.

Come la costituzione del sole, e quella dei suoi agentiche producono intorno alla sua orbe fenomeni di magne-tismo e di elettricità, ci servono di guida per dedurre lacostituzione delle stelle e delle nebulose e la possibileazione che esercitano l'una sull'altra ed altresì sul nostroglobo, così il modo di evoluzione del sole e di tutto il si-stema solare da qualche preesistente condizione, ci aiutaa intuire la probabile ragione della costituzione dell'Uni-

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verso stellare e della connessione dei cambiamenti chevi avvengono.

Sul principio del secolo decimonono il gran matema-tico Laplace pubblicò il suo celebre lavoro sulla teorianebulare dell'origine del sistema solare, e quantunque inesso non tratti che di suggestive probabilità, senza alcunappoggio di dati o di calcoli o di altro procedimento ma-tematico, tal libro nondimeno è tenuto in gran conto, ela apparente probabilità e semplicità della teoria iviesposta la fanno quasi universalmente accettare. Talevolume non è che uno studio dell'evoluzione dell'Uni-verso stellare. L'ipotesi, esposta con molta brevità, affer-ma che l'intera massa della materia del sistema solareformasse un tempo una massa sferoidale o globulare digas incandescenti, che si estendeva al di là del più lonta-no pianeta, animata di un lento moto di rivoluzione in-torno ad un asse. Tale massa si raffreddò nel corso deltempo e si contrasse, la sua velocità di rotazione aumen-tò e divenne così grande che, in epoche successive, ab-bandonò degli anelli, i quali, a causa di lievi irregolarità,si infransero, e, obbedendo alla universale legge di gra-vitazione, diedero origine ai pianeti. Continuando lacontrazione ne resultò il sole tal quale lo vediamo ades-so.

Per circa mezzo secolo l'ipotesi nebulare fu general-mente accettata, ma durante questi ultimi quindici annisono state elevate tante difficoltà e tante obbiezioni, cheè divenuto impossibile il considerarla anche soltantocome una stentata ipotesi. Altre ipotesi sono state fatte

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verso stellare e della connessione dei cambiamenti chevi avvengono.

Sul principio del secolo decimonono il gran matema-tico Laplace pubblicò il suo celebre lavoro sulla teorianebulare dell'origine del sistema solare, e quantunque inesso non tratti che di suggestive probabilità, senza alcunappoggio di dati o di calcoli o di altro procedimento ma-tematico, tal libro nondimeno è tenuto in gran conto, ela apparente probabilità e semplicità della teoria iviesposta la fanno quasi universalmente accettare. Talevolume non è che uno studio dell'evoluzione dell'Uni-verso stellare. L'ipotesi, esposta con molta brevità, affer-ma che l'intera massa della materia del sistema solareformasse un tempo una massa sferoidale o globulare digas incandescenti, che si estendeva al di là del più lonta-no pianeta, animata di un lento moto di rivoluzione in-torno ad un asse. Tale massa si raffreddò nel corso deltempo e si contrasse, la sua velocità di rotazione aumen-tò e divenne così grande che, in epoche successive, ab-bandonò degli anelli, i quali, a causa di lievi irregolarità,si infransero, e, obbedendo alla universale legge di gra-vitazione, diedero origine ai pianeti. Continuando lacontrazione ne resultò il sole tal quale lo vediamo ades-so.

Per circa mezzo secolo l'ipotesi nebulare fu general-mente accettata, ma durante questi ultimi quindici annisono state elevate tante difficoltà e tante obbiezioni, cheè divenuto impossibile il considerarla anche soltantocome una stentata ipotesi. Altre ipotesi sono state fatte

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che sembrano più acconce ad accordarsi con i fatti chenoi osserviamo nel nostro sistema solare e con la naturadi essi, i quali, se non dànno adito ad alcuna obbiezionecontro la teoria nebulare, ne fanno nascere alcune altre.L'obbiezione fondamentale contro la teoria di Laplace è,che un gas tanto tenue, come deve essere stata la nebu-losa solare, anche qualora essa si estendesse solamentesino a Urano o a Saturno, non è possibile che avesse al-cuna coesione, e perciò non può aver respinto anelli alunghi intervalli, mentre avveniva il condensamento, masoltanto e continuamente piccoli frammenti. Tali piccoliframmenti, raffreddandosi rapidamente, avrebbero costi-tuito solide particelle simili a polvere meteorica, che sisarebbero riunite formando un gran numero di piccolipianeti, o, restando in istato di particelle per un periodoindefinito, avrebbero formato degli anelli, come quellidi Saturno, o come quello immenso degli asteroidi.

Un'altra egualmente valida obbiezione all'ipotesi diLaplace è questa: se la nebulosa, quando si estendeva aldi là dell'orbita di Nettuno, poteva avere una densità sol-tanto uguale all'incirca a un duecentomilionesimo diquella della nostra atmosfera al livello del mare, dovevaessere molte centinaia di volte meno densa alla sua su-perficie, e nella regione superficiale sarebbe stata espo-sta al freddo dello spazio stellare, freddo che solidifi-cherebbe l'idrogeno. Perciò è evidente che i gas di tutti imetalli, come degli altri elementi solidi, non potrebberoesistere come tali, ma rapidamente e forse istantanea-mente diverrebbero prima liquidi e quindi solidi, for-

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che sembrano più acconce ad accordarsi con i fatti chenoi osserviamo nel nostro sistema solare e con la naturadi essi, i quali, se non dànno adito ad alcuna obbiezionecontro la teoria nebulare, ne fanno nascere alcune altre.L'obbiezione fondamentale contro la teoria di Laplace è,che un gas tanto tenue, come deve essere stata la nebu-losa solare, anche qualora essa si estendesse solamentesino a Urano o a Saturno, non è possibile che avesse al-cuna coesione, e perciò non può aver respinto anelli alunghi intervalli, mentre avveniva il condensamento, masoltanto e continuamente piccoli frammenti. Tali piccoliframmenti, raffreddandosi rapidamente, avrebbero costi-tuito solide particelle simili a polvere meteorica, che sisarebbero riunite formando un gran numero di piccolipianeti, o, restando in istato di particelle per un periodoindefinito, avrebbero formato degli anelli, come quellidi Saturno, o come quello immenso degli asteroidi.

Un'altra egualmente valida obbiezione all'ipotesi diLaplace è questa: se la nebulosa, quando si estendeva aldi là dell'orbita di Nettuno, poteva avere una densità sol-tanto uguale all'incirca a un duecentomilionesimo diquella della nostra atmosfera al livello del mare, dovevaessere molte centinaia di volte meno densa alla sua su-perficie, e nella regione superficiale sarebbe stata espo-sta al freddo dello spazio stellare, freddo che solidifi-cherebbe l'idrogeno. Perciò è evidente che i gas di tutti imetalli, come degli altri elementi solidi, non potrebberoesistere come tali, ma rapidamente e forse istantanea-mente diverrebbero prima liquidi e quindi solidi, for-

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mando della polvere meteorica, anche prima che la con-trazione fosse tale da produrre un aumento di velocitànella rotazione, capace di respingere una parte delle ma-terie gassose.

Su ciò si fonda l'ipotesi meteorica che va prendendosempre maggior vigore, perchè si appoggia sul fatto chetroviamo prove di tale solida materia in tutti gli spaziplanetari che ci circondano, poichè essa cade continua-mente sopra la terra, tanto che ne possiamo raccoglieresulle nevi artiche ed alpine, come in tutti i più profondiabissi dell'oceano, dove non vi sono sufficienti depositiorganici per nasconderla. Di essa è costituito, come è,stato da poco dimostrato, l'anello di Saturno. Migliaia dianelli di mole immensa, composti di solide particelle, siaggirano intorno al sole, e quando la nostra terra s'incro-cia con uno di questi anelli e le loro particelle entranonella nostra atmosfera planetaria velocemente, la confri-cazione le infiamma ed ecco che vediamo delle stellecadenti. La coda delle comete, la corona del sole, la lucezodiacale, sono tre grandi e strani fenomeni, i quali, senon si possono spiegare con alcuna teoria di formazionegassosa, ricevono la loro intelligibile spiegazione, di-cendo che provengono da minutissime particelle solide,microscopica polvere cosmica, slanciata nello spaziodalla violenta repulsione elettrica emanata dal sole.

Avendo queste ed altre prove che la materia solida va-ria in grandezza, tanto da rivaleggiare coll'orbe maesto-sa di Giove o di Saturno, e scendere fino alle inconcepi-bili minute particelle lanciate a mille milioni di miglia

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mando della polvere meteorica, anche prima che la con-trazione fosse tale da produrre un aumento di velocitànella rotazione, capace di respingere una parte delle ma-terie gassose.

Su ciò si fonda l'ipotesi meteorica che va prendendosempre maggior vigore, perchè si appoggia sul fatto chetroviamo prove di tale solida materia in tutti gli spaziplanetari che ci circondano, poichè essa cade continua-mente sopra la terra, tanto che ne possiamo raccoglieresulle nevi artiche ed alpine, come in tutti i più profondiabissi dell'oceano, dove non vi sono sufficienti depositiorganici per nasconderla. Di essa è costituito, come è,stato da poco dimostrato, l'anello di Saturno. Migliaia dianelli di mole immensa, composti di solide particelle, siaggirano intorno al sole, e quando la nostra terra s'incro-cia con uno di questi anelli e le loro particelle entranonella nostra atmosfera planetaria velocemente, la confri-cazione le infiamma ed ecco che vediamo delle stellecadenti. La coda delle comete, la corona del sole, la lucezodiacale, sono tre grandi e strani fenomeni, i quali, senon si possono spiegare con alcuna teoria di formazionegassosa, ricevono la loro intelligibile spiegazione, di-cendo che provengono da minutissime particelle solide,microscopica polvere cosmica, slanciata nello spaziodalla violenta repulsione elettrica emanata dal sole.

Avendo queste ed altre prove che la materia solida va-ria in grandezza, tanto da rivaleggiare coll'orbe maesto-sa di Giove o di Saturno, e scendere fino alle inconcepi-bili minute particelle lanciate a mille milioni di miglia

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nello spazio e che formano la coda delle comete, talemateria deve veramente esistere anche intorno a noi, e,per la collisione fra le sue particelle, o coll'atmosferaplanetaria, può produrre luce, calore ed emanazioni gas-sose. Noi attingiamo da ciò una tal quantità di fatti ed'osservazioni per l'ipotesi meteorica, da distruggere lateoria di Laplace, che le nebulose siano essenzialmentegassose.

Durante l'ultima metà del secolo decimonono, moltiscrittori manifestarono delle nuove idee sulla possibileorigine del sistema solare, e, per quel che ne so io, Proc-tor fu il primo a spiegare tale origine in tutte le sue piùminute particolarità, dimostrando come la vera ipotesisoddisfacesse a molte delle particolarità circa la gran-dezza e la disposizione dei pianeti e dei loro satelliti,cose che l'ipotesi nebulare non ha mai spiegato. Su que-sto tema egli insistette molto nel capitolo riguardante lemeteore e le comete, nel suo libro pubblicato nel 1870:Other Worlds than Ours.

Proctor sostiene, invece della nebulosa incandescentedi Laplace, che lo spazio ora occupato dal sistema sola-re, per una distanza a noi ancora sconosciuta, fosse untempo occupato da numerosa quantità di parcelle solide,di tutte le materie che sappiamo esistere sulla terra, sulsole e sulle stelle. Queste materie erano disperse irrego-larmente, come ce lo dimostra la distribuzione che alpresente hanno nell'Universo, e tutte erano in movimen-to, così come sono in movimento tutte le stelle e le altre

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nello spazio e che formano la coda delle comete, talemateria deve veramente esistere anche intorno a noi, e,per la collisione fra le sue particelle, o coll'atmosferaplanetaria, può produrre luce, calore ed emanazioni gas-sose. Noi attingiamo da ciò una tal quantità di fatti ed'osservazioni per l'ipotesi meteorica, da distruggere lateoria di Laplace, che le nebulose siano essenzialmentegassose.

Durante l'ultima metà del secolo decimonono, moltiscrittori manifestarono delle nuove idee sulla possibileorigine del sistema solare, e, per quel che ne so io, Proc-tor fu il primo a spiegare tale origine in tutte le sue piùminute particolarità, dimostrando come la vera ipotesisoddisfacesse a molte delle particolarità circa la gran-dezza e la disposizione dei pianeti e dei loro satelliti,cose che l'ipotesi nebulare non ha mai spiegato. Su que-sto tema egli insistette molto nel capitolo riguardante lemeteore e le comete, nel suo libro pubblicato nel 1870:Other Worlds than Ours.

Proctor sostiene, invece della nebulosa incandescentedi Laplace, che lo spazio ora occupato dal sistema sola-re, per una distanza a noi ancora sconosciuta, fosse untempo occupato da numerosa quantità di parcelle solide,di tutte le materie che sappiamo esistere sulla terra, sulsole e sulle stelle. Queste materie erano disperse irrego-larmente, come ce lo dimostra la distribuzione che alpresente hanno nell'Universo, e tutte erano in movimen-to, così come sono in movimento tutte le stelle e le altre

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masse cosmiche, che si muovono verso un centro o siaggirano intorno ad esso.

Date queste condizioni, nei punti in cui la materia siaccumulò maggiormente dovevano esistere dei centri diattrazione e di gravitazione, che provocarono necessa-riamente tale maggiore accumulazione; l'urto continuodi queste materie che si addensavano doveva produrreluce e calore. Coll'andar del tempo, se la quantità di ma-teria cosmica era molta, come il resultato dimostra chedoveva essere, qualunque sia la teoria che preferiamo, ilnostro sole così formato doveva acquistare a poco apoco la sua mole presente, nonchè un sufficiente gradodi calore a causa delle collisioni e della gravità, tanto daessere interamente trasformato in istato liquido o gasso-so. Mentre ciò avveniva, dovettero formarsi dei centri diaggregazione secondari, i quali trattennero una partedella materia che si aggirava sotto l'attrazione della mas-sa centrale, e – fatto da attribuirsi alla quasi uniformedirezione e velocità, con la quale l'intero sistema roteava– ciascun subordinato centro dovette roteare intorno allamassa centrale in spazi differenti, ma tutti nella stessadirezione.

Proctor espone la probabilità che la più grande aggre-gazione esterna dovette essere ad una grande distanzadalla massa centrale, e, formatasi questa, ogni centro piùlontano dal sole dovette essere tanto più piccolo quantopiù remoto, mentre le aggregazioni che si formarono in-ternamente alla prima, dovettero, per regola, diventarepiù piccole via via che si avvicinavano al centro. Così si

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masse cosmiche, che si muovono verso un centro o siaggirano intorno ad esso.

Date queste condizioni, nei punti in cui la materia siaccumulò maggiormente dovevano esistere dei centri diattrazione e di gravitazione, che provocarono necessa-riamente tale maggiore accumulazione; l'urto continuodi queste materie che si addensavano doveva produrreluce e calore. Coll'andar del tempo, se la quantità di ma-teria cosmica era molta, come il resultato dimostra chedoveva essere, qualunque sia la teoria che preferiamo, ilnostro sole così formato doveva acquistare a poco apoco la sua mole presente, nonchè un sufficiente gradodi calore a causa delle collisioni e della gravità, tanto daessere interamente trasformato in istato liquido o gasso-so. Mentre ciò avveniva, dovettero formarsi dei centri diaggregazione secondari, i quali trattennero una partedella materia che si aggirava sotto l'attrazione della mas-sa centrale, e – fatto da attribuirsi alla quasi uniformedirezione e velocità, con la quale l'intero sistema roteava– ciascun subordinato centro dovette roteare intorno allamassa centrale in spazi differenti, ma tutti nella stessadirezione.

Proctor espone la probabilità che la più grande aggre-gazione esterna dovette essere ad una grande distanzadalla massa centrale, e, formatasi questa, ogni centro piùlontano dal sole dovette essere tanto più piccolo quantopiù remoto, mentre le aggregazioni che si formarono in-ternamente alla prima, dovettero, per regola, diventarepiù piccole via via che si avvicinavano al centro. Così si

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spiegherebbe lo stato incandescente del centro della ter-ra, che non sarebbe per tal modo dovuto al primitivo ca-lore della materia, allo stato gassoso da cui si formò,condizione fisica impossibile, ma al calore che si sareb-be sviluppato nel processo di accentramento, per la col-lisione di masse meteoriche ivi cadute e per la propriagravità, forza producente continuamente condensazionee calore.

Ciò ammesso, Giove dovrebbe così essersi formatoprobabilmente prima d'ogni altro pianeta, e dopo diesso, a lassi di tempo enormi, Saturno, Urano e Nettuno;mentre l'aggregazione dei pianeti interni sarebbe stataminore, poichè il potere più grande di attrazione del soleavrebbe loro accordato, relativamente, poca opportunitàdi appropriarsi la materia meteorica che di continuo ca-deva verso il centro.

NATURA METEORICA DELLE NEBULOSE.

Avendo così stabilito che materia nebulosa esiste ve-rosimilmente dentro i limiti del sistema solare, non allostato gassoso, ma consistente in solide particelle, oppu-re, se vi sono gas in combustione associati a materie so-lide, che la causa di ciò deve esser il calore dovuto allacollisione con altre particelle solide, o ad accumulazionidi gas ad una temperatura più bassa delle meteore quan-do entrano nella nostra atmosfera, è facil cosa ammette-

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spiegherebbe lo stato incandescente del centro della ter-ra, che non sarebbe per tal modo dovuto al primitivo ca-lore della materia, allo stato gassoso da cui si formò,condizione fisica impossibile, ma al calore che si sareb-be sviluppato nel processo di accentramento, per la col-lisione di masse meteoriche ivi cadute e per la propriagravità, forza producente continuamente condensazionee calore.

Ciò ammesso, Giove dovrebbe così essersi formatoprobabilmente prima d'ogni altro pianeta, e dopo diesso, a lassi di tempo enormi, Saturno, Urano e Nettuno;mentre l'aggregazione dei pianeti interni sarebbe stataminore, poichè il potere più grande di attrazione del soleavrebbe loro accordato, relativamente, poca opportunitàdi appropriarsi la materia meteorica che di continuo ca-deva verso il centro.

NATURA METEORICA DELLE NEBULOSE.

Avendo così stabilito che materia nebulosa esiste ve-rosimilmente dentro i limiti del sistema solare, non allostato gassoso, ma consistente in solide particelle, oppu-re, se vi sono gas in combustione associati a materie so-lide, che la causa di ciò deve esser il calore dovuto allacollisione con altre particelle solide, o ad accumulazionidi gas ad una temperatura più bassa delle meteore quan-do entrano nella nostra atmosfera, è facil cosa ammette-

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re che le nebulose cosmiche e le stelle abbiano avutouna simile origine.

Da questo punto di vista si suppone che le nebulosesiano un'immensa aggregazione di meteore, o di polverecosmica, oppure gas dei più persistenti, roteanti conmoto circolare o spirale o in fiamme irregolari e sparse,così che le particelle separate possano essere divise inmigliaia e forse in centinaia di migliaia; nondimeno an-che le nebulose solamente visibili col telescopio, posso-no contenere tanta materia quanta ne comprende l'interosistema solare. Da questa tanto semplice origine e dallevestigia che possiamo vederne nel cielo, diremo chequasi tutte le forme di soli e di sistemi si sono formateper mezzo delle leggi conosciute del movimento, dellaproduzione del calore, e delle azioni chimiche. Coluiche più difende questo modo di vedere è al presentel'inglese Sir Norman Lockyer, che in numerosi giornalie nelle sue opere intitolate: The Meteoric Hypothesis eInorganic Evolution, lo ha svolto eminentemente, dopoaver fatto studi profondi e pazienti ricerche, che gli frut-tarono molte conoscenze, e nelle quali fu coadiuvato daastronomi europei e americani. Queste teorie si sono fat-ta strada a poco a poco nella mente di quasi ogni astro-nomo e matematico, come ben dimostreranno i brevicenni che sono per dare a guisa di spiegazione piana efacile dei tanti fenomeni che presenta l'Universo stella-re.

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re che le nebulose cosmiche e le stelle abbiano avutouna simile origine.

Da questo punto di vista si suppone che le nebulosesiano un'immensa aggregazione di meteore, o di polverecosmica, oppure gas dei più persistenti, roteanti conmoto circolare o spirale o in fiamme irregolari e sparse,così che le particelle separate possano essere divise inmigliaia e forse in centinaia di migliaia; nondimeno an-che le nebulose solamente visibili col telescopio, posso-no contenere tanta materia quanta ne comprende l'interosistema solare. Da questa tanto semplice origine e dallevestigia che possiamo vederne nel cielo, diremo chequasi tutte le forme di soli e di sistemi si sono formateper mezzo delle leggi conosciute del movimento, dellaproduzione del calore, e delle azioni chimiche. Coluiche più difende questo modo di vedere è al presentel'inglese Sir Norman Lockyer, che in numerosi giornalie nelle sue opere intitolate: The Meteoric Hypothesis eInorganic Evolution, lo ha svolto eminentemente, dopoaver fatto studi profondi e pazienti ricerche, che gli frut-tarono molte conoscenze, e nelle quali fu coadiuvato daastronomi europei e americani. Queste teorie si sono fat-ta strada a poco a poco nella mente di quasi ogni astro-nomo e matematico, come ben dimostreranno i brevicenni che sono per dare a guisa di spiegazione piana efacile dei tanti fenomeni che presenta l'Universo stella-re.

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CENNI DEL DOTTORE ROBERTS SULLE NEBULOSE ASPIRALE.

Il dottor Isacco Roberts, che possiede uno dei più beitelescopi costruiti per la fotografia delle stelle e dellenebulose, ha dato il suo parere sull'evoluzione stellarenel Knowledge del febbraio 1897, illustrando il suoscritto con quattro magnifiche fotografie di nebulosespirali.

Questa strana forma di nebulose fu dapprima credutarara, oggi però si è compreso che è frequentissima, per-ché le lastre fotografiche ce ne hanno mostrato un grannumero, e si è constatato inoltre che molte nebulose trale piú estese, apparentemente di forma molto irregolare,quali le Nuvole di Magellano, presentano incerte traccedi struttura spirale. Le nebulose che attualmente si cono-scono sono all'incirca diecimila, e continuamente se nescoprono delle altre; molto tempo dovrà ancora passareprima che si siano potute studiare e fotografare tutte,ma, per quel poco che ne sappiamo al presente, possia-mo asserire che la maggior parte di esse presenta unaforma spirale.

Il dottor Roberts dice che le nebulose spirali dellequali si posseggono fotografie, presentano tutte la carat-teristica di un nucleo circondato da una densa nebulosi-tà, nella quale sono sparse delle stelle. Queste stellesono disposte più o meno simmetricamente, e sembrache seguano anch'esse una disposizione spirale intornoal nucleo. Fuori della nebulosità visibile si trovano an-

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CENNI DEL DOTTORE ROBERTS SULLE NEBULOSE ASPIRALE.

Il dottor Isacco Roberts, che possiede uno dei più beitelescopi costruiti per la fotografia delle stelle e dellenebulose, ha dato il suo parere sull'evoluzione stellarenel Knowledge del febbraio 1897, illustrando il suoscritto con quattro magnifiche fotografie di nebulosespirali.

Questa strana forma di nebulose fu dapprima credutarara, oggi però si è compreso che è frequentissima, per-ché le lastre fotografiche ce ne hanno mostrato un grannumero, e si è constatato inoltre che molte nebulose trale piú estese, apparentemente di forma molto irregolare,quali le Nuvole di Magellano, presentano incerte traccedi struttura spirale. Le nebulose che attualmente si cono-scono sono all'incirca diecimila, e continuamente se nescoprono delle altre; molto tempo dovrà ancora passareprima che si siano potute studiare e fotografare tutte,ma, per quel poco che ne sappiamo al presente, possia-mo asserire che la maggior parte di esse presenta unaforma spirale.

Il dottor Roberts dice che le nebulose spirali dellequali si posseggono fotografie, presentano tutte la carat-teristica di un nucleo circondato da una densa nebulosi-tà, nella quale sono sparse delle stelle. Queste stellesono disposte più o meno simmetricamente, e sembrache seguano anch'esse una disposizione spirale intornoal nucleo. Fuori della nebulosità visibile si trovano an-

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cora altre stelle, disposte anch'esse su linee curve, cheavvalorano la convinzione di un'antica maggiore esten-sione della nebulosa. Questo carattere così preciso ci fasùbito pensare ad una possibile spiegazione della dispo-sizione delle stelle in numerose e delicate linee curve inogni parte del cielo, che, cioè, esse abbiano tutte avutoorigine da nebulose spirali, la cui sostanza materiale siastata da esse assorbita.

Il dottor Roberts annuncia parecchi problemi riguar-danti questi corpi celesti: – Quale è la materia di cuisono formate le nebulose? – Da che è causato il vortico-so movimento che produce la loro forma a spirale? –Egli trova la risposta a queste domande nelle evanescen-ti nuvole di materia nebulosa, spesso di vastissimaestensione, che esistono in molte parti del cielo, e cosìnumerose che il solo Guglielmo Herschel potè rilevarneben 52, molte delle quali sono state confermate da foto-grafie recenti. Roberts considera queste nebulosità ocome corpi semplicemente gassosi, o come frammisti disolide particelle. Egli inoltre enumera delle piccole mas-se nebulose, in processo di condensazione o separazio-ne, in forma più regolare, delle nebulose spirali in diver-si stadi di condensazione o di aggregazione, delle nebu-lose ellittiche, e finalmente delle nebulose globulari. Inquest'ultima categoria di nebulose appare evidente, datutte le fotografie che ne sono state eseguite, che la con-densazione in stelle, o in corpi simili a stelle, si va com-piendo.

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cora altre stelle, disposte anch'esse su linee curve, cheavvalorano la convinzione di un'antica maggiore esten-sione della nebulosa. Questo carattere così preciso ci fasùbito pensare ad una possibile spiegazione della dispo-sizione delle stelle in numerose e delicate linee curve inogni parte del cielo, che, cioè, esse abbiano tutte avutoorigine da nebulose spirali, la cui sostanza materiale siastata da esse assorbita.

Il dottor Roberts annuncia parecchi problemi riguar-danti questi corpi celesti: – Quale è la materia di cuisono formate le nebulose? – Da che è causato il vortico-so movimento che produce la loro forma a spirale? –Egli trova la risposta a queste domande nelle evanescen-ti nuvole di materia nebulosa, spesso di vastissimaestensione, che esistono in molte parti del cielo, e cosìnumerose che il solo Guglielmo Herschel potè rilevarneben 52, molte delle quali sono state confermate da foto-grafie recenti. Roberts considera queste nebulosità ocome corpi semplicemente gassosi, o come frammisti disolide particelle. Egli inoltre enumera delle piccole mas-se nebulose, in processo di condensazione o separazio-ne, in forma più regolare, delle nebulose spirali in diver-si stadi di condensazione o di aggregazione, delle nebu-lose ellittiche, e finalmente delle nebulose globulari. Inquest'ultima categoria di nebulose appare evidente, datutte le fotografie che ne sono state eseguite, che la con-densazione in stelle, o in corpi simili a stelle, si va com-piendo.

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Il dott. Roberts adotta l'opinione di Sir Norman Loc-kyer, cioè che le collisioni di meteoriti in seno a ognisciame o nuvola, potrebbero produrre nebulosità lumi-nosa; se avvenissero inoltre delle collisioni fra diversisciami di meteoriti, ne risulterebbero le condizioni volu-te per spiegare il movimento vorticoso, e il caratteristicoaspetto della nebulosità delle nebulose spirali. Quasi tut-te le collisioni fra ineguali masse di materia diffusa,quando manchi una qualsiasi massa centrale intorno allaquale la materia sia costretta a gravitare, debbono pro-vocare dei movimenti spirali. E bisogna anche notareche, sebbene le stelle formatesi nelle circonvoluzionispirali delle nebulose seguano la disposizione di quellespire, e la mantengano anche dopo che hanno assimilatotutta la materia della nebulosa, nondimeno, osservandotale nebulosa dal margine delle spire, la disposizionedelle stelle che vi sono incluse apparirà in linea retta.Così, non soltanto i numerosi gruppi di stelle disposte inlinee curve, ma altresì quelli che ci appariscono in unalinea quasi perfettamente retta, dimostrano – intuendonela remota origine – che essi provengono da nebulosespirali.

Il movimento è il risultato necessario della gravitazio-ne; sappiamo infatti che ogni stella, ogni pianeta, ogninebulosa deve muoversi nello spazio; sappiamo altresìche tutti i movimenti celesti – eccettuati i sistemi chehanno una connessione fisica, o che hanno avuto un'ori-gine comune – sono apparentemente diretti nelle più di-verse direzioni. Come nacquero questi movimenti e da

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Il dott. Roberts adotta l'opinione di Sir Norman Loc-kyer, cioè che le collisioni di meteoriti in seno a ognisciame o nuvola, potrebbero produrre nebulosità lumi-nosa; se avvenissero inoltre delle collisioni fra diversisciami di meteoriti, ne risulterebbero le condizioni volu-te per spiegare il movimento vorticoso, e il caratteristicoaspetto della nebulosità delle nebulose spirali. Quasi tut-te le collisioni fra ineguali masse di materia diffusa,quando manchi una qualsiasi massa centrale intorno allaquale la materia sia costretta a gravitare, debbono pro-vocare dei movimenti spirali. E bisogna anche notareche, sebbene le stelle formatesi nelle circonvoluzionispirali delle nebulose seguano la disposizione di quellespire, e la mantengano anche dopo che hanno assimilatotutta la materia della nebulosa, nondimeno, osservandotale nebulosa dal margine delle spire, la disposizionedelle stelle che vi sono incluse apparirà in linea retta.Così, non soltanto i numerosi gruppi di stelle disposte inlinee curve, ma altresì quelli che ci appariscono in unalinea quasi perfettamente retta, dimostrano – intuendonela remota origine – che essi provengono da nebulosespirali.

Il movimento è il risultato necessario della gravitazio-ne; sappiamo infatti che ogni stella, ogni pianeta, ogninebulosa deve muoversi nello spazio; sappiamo altresìche tutti i movimenti celesti – eccettuati i sistemi chehanno una connessione fisica, o che hanno avuto un'ori-gine comune – sono apparentemente diretti nelle più di-verse direzioni. Come nacquero questi movimenti e da

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che cosa siano regolati noi non sappiamo, ma tali movi-menti esistono, e possono esser causa di collisioni, lequali, quando avvengono tra grandi corpi o masse dimateria diffusa, dànno origine ai varii tipi di stelle per-manenti, mentre, se la collisione avviene tra ammassipiù piccoli, si formano quelle stelle temporanee, chehanno interessato tanto gli astronomi di tutti i tempi. Bi-sogna ancora notare che, sebbene sembri che il movi-mento di ogni stella si compia in linea retta, pure – poi-chè lo spazio nel quale noi percepiamo tale movimentoè minimo – il vero moto stellare può essere un'orbitacurva intorno ad un qualche corpo centrale, o attorno alcentro di gravità di qualche ammasso di astri luminosiod opachi, il quale potrebbe essere relativamente immo-bile. Di tali centri ne potrebbero esistere a migliaia in-torno a noi, la qualcosa spiegherebbe sufficientementel'apparente moto delle stelle in tutte le direzioni.

UNA SUPPOSIZIONE SULL'ORIGINE DELLENEBULOSE SPIRALI.

In un notevole scritto comparso nell'AstrophysicalJournal (luglio 1901) T. C. Chamberlin si intrattienedell'origine delle nebulose spirali come degli sciami me-teorici e delle comete. La sua opinione, che probabil-mente può esser vera, non rischiara del tutto il mistero.

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che cosa siano regolati noi non sappiamo, ma tali movi-menti esistono, e possono esser causa di collisioni, lequali, quando avvengono tra grandi corpi o masse dimateria diffusa, dànno origine ai varii tipi di stelle per-manenti, mentre, se la collisione avviene tra ammassipiù piccoli, si formano quelle stelle temporanee, chehanno interessato tanto gli astronomi di tutti i tempi. Bi-sogna ancora notare che, sebbene sembri che il movi-mento di ogni stella si compia in linea retta, pure – poi-chè lo spazio nel quale noi percepiamo tale movimentoè minimo – il vero moto stellare può essere un'orbitacurva intorno ad un qualche corpo centrale, o attorno alcentro di gravità di qualche ammasso di astri luminosiod opachi, il quale potrebbe essere relativamente immo-bile. Di tali centri ne potrebbero esistere a migliaia in-torno a noi, la qualcosa spiegherebbe sufficientementel'apparente moto delle stelle in tutte le direzioni.

UNA SUPPOSIZIONE SULL'ORIGINE DELLENEBULOSE SPIRALI.

In un notevole scritto comparso nell'AstrophysicalJournal (luglio 1901) T. C. Chamberlin si intrattienedell'origine delle nebulose spirali come degli sciami me-teorici e delle comete. La sua opinione, che probabil-mente può esser vera, non rischiara del tutto il mistero.

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Una ben conosciuta legge naturale ci insegna che sedue corpi, aventi le dimensioni delle stelle, passano nel-lo spazio a una data distanza fra loro, il più piccolo èesposto ad esser ridotto in frantumi, a causa della diffe-rente attrazione del più grande e più denso. Originaria-mente ciò fu provato nel caso di corpi gassosi o liquidi,e la distanza alla quale il più piccolo sarebbe distrutto(detto limite di Roche) è calcolato supponendo che ilcorpo minore sia una massa liquida. Chamberlin nondi-meno dimostra che anche un corpo solido può esserfrantumato ad una distanza minore, distanza che dipen-derà inoltre della sua grandezza e della sua forza di coe-sione. Però, se la grandezza dei due corpi aumenta, do-vrebbe aumentare anche la distanza minima alla qualeavverrebbe la frantumazione, finchè, supponendo che idue corpi siano grandi come due soli, il limite di distan-za sarebbe uguale a quello necessario nel caso di duemasse liquide o gassose.

La distruzione del corpo avviene a causa di una bennota legge riguardante la gravità differenziale dei duelati di un corpo, causa della deformazione di un liquido,e dell'ineguale stiramento in un solido. Quando le varia-zioni della forza di gravità avvengono lentamente edhanno un piccolo valore, le maree che accadono nei li-quidi e le deformazioni che si verificano nei solidi sonolievissime, come nel caso che si constata sulla terra, ovele maree che avvengono nell'oceano e nell'atmosferasono di piccola entità, come quelle che si verificano,senza dubbio, nella parte interna liquida, sulla quale la

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Una ben conosciuta legge naturale ci insegna che sedue corpi, aventi le dimensioni delle stelle, passano nel-lo spazio a una data distanza fra loro, il più piccolo èesposto ad esser ridotto in frantumi, a causa della diffe-rente attrazione del più grande e più denso. Originaria-mente ciò fu provato nel caso di corpi gassosi o liquidi,e la distanza alla quale il più piccolo sarebbe distrutto(detto limite di Roche) è calcolato supponendo che ilcorpo minore sia una massa liquida. Chamberlin nondi-meno dimostra che anche un corpo solido può esserfrantumato ad una distanza minore, distanza che dipen-derà inoltre della sua grandezza e della sua forza di coe-sione. Però, se la grandezza dei due corpi aumenta, do-vrebbe aumentare anche la distanza minima alla qualeavverrebbe la frantumazione, finchè, supponendo che idue corpi siano grandi come due soli, il limite di distan-za sarebbe uguale a quello necessario nel caso di duemasse liquide o gassose.

La distruzione del corpo avviene a causa di una bennota legge riguardante la gravità differenziale dei duelati di un corpo, causa della deformazione di un liquido,e dell'ineguale stiramento in un solido. Quando le varia-zioni della forza di gravità avvengono lentamente edhanno un piccolo valore, le maree che accadono nei li-quidi e le deformazioni che si verificano nei solidi sonolievissime, come nel caso che si constata sulla terra, ovele maree che avvengono nell'oceano e nell'atmosferasono di piccola entità, come quelle che si verificano,senza dubbio, nella parte interna liquida, sulla quale la

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crosta terrestre, relativamente sottile, si può alla meglioadattare. Ma se invece supponiamo due soli, sia lumino-si che oscuri, il movimento dei quali si compia in mododa avvicinarli l'uno all'altro, quando saranno abbastanzavicini ognuno di essi devierà, e ognuno comincerà a gi-rare attorno al comune centro di gravità con velocità im-mensa, di circa 100 miglia al secondo. A una considere-vole distanza cominceranno a protendere delle emana-zioni liquide l'un verso l'altro, e quando il limite di resi-stenza sarà quasi raggiunto, la forza di gravità aumente-rà così rapidamente, che anche una massa liquida nonpotrà prendere la sua forma necessaria con sufficienterapidità, e i violenti sforzi interni produrranno l'effettodi una esplosione, riducendo l'intera massa (la più pic-cola delle due) in minutissimi frammenti.

Ma è anche dimostrato che durante questo processo ledue parti allungate della massa sferica originaria eserci-terebbero tale azione sulla gravità, da produrre un au-mento di rotazione, che all'avvicinarsi della crisi finale,distenderebbe di più, a sua volta, l'allungamento dellamassa, la qual cosa contribuirebbe all'esplosione. Questarapida rotazione della massa che tende ad allungarsi, co-municherebbe necessariamente nel momento della di-struzione ai frammenti di essa un moto spirale, inizian-do così una nebulosa spirale, della quale le dimensioni el'aspetto dipenderebbero necessariamente dalla dimen-sione e dalla costituzione delle due masse originarie, edalla forza esplosiva generata dal loro avvicinamento.

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crosta terrestre, relativamente sottile, si può alla meglioadattare. Ma se invece supponiamo due soli, sia lumino-si che oscuri, il movimento dei quali si compia in mododa avvicinarli l'uno all'altro, quando saranno abbastanzavicini ognuno di essi devierà, e ognuno comincerà a gi-rare attorno al comune centro di gravità con velocità im-mensa, di circa 100 miglia al secondo. A una considere-vole distanza cominceranno a protendere delle emana-zioni liquide l'un verso l'altro, e quando il limite di resi-stenza sarà quasi raggiunto, la forza di gravità aumente-rà così rapidamente, che anche una massa liquida nonpotrà prendere la sua forma necessaria con sufficienterapidità, e i violenti sforzi interni produrranno l'effettodi una esplosione, riducendo l'intera massa (la più pic-cola delle due) in minutissimi frammenti.

Ma è anche dimostrato che durante questo processo ledue parti allungate della massa sferica originaria eserci-terebbero tale azione sulla gravità, da produrre un au-mento di rotazione, che all'avvicinarsi della crisi finale,distenderebbe di più, a sua volta, l'allungamento dellamassa, la qual cosa contribuirebbe all'esplosione. Questarapida rotazione della massa che tende ad allungarsi, co-municherebbe necessariamente nel momento della di-struzione ai frammenti di essa un moto spirale, inizian-do così una nebulosa spirale, della quale le dimensioni el'aspetto dipenderebbero necessariamente dalla dimen-sione e dalla costituzione delle due masse originarie, edalla forza esplosiva generata dal loro avvicinamento.

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Ecco adunque uno dei più suggestivi fenomeni, ilquale sembra offrire la prova che questo possa essereuno dei modi con che si originano le nebulose spirali.Quando la distruzione esplosiva avviene, le due protu-beranze od allungamenti della massa si separano, e poi-chè ognuna di esse avrà un rapido movimento di rota-zione, le spirali che ne risulteranno saranno due. Ora ilfatto è che quasi tutte le nebulose spirali ben caratteriz-zate posseggono due appendici o bracci, l'uno oppostoall'altro, come possiamo constatare in M. 100 dellaChioma di Bernice, in M. 51 dei Cani, e in altre fotogra-fie eseguite dal dottor Roberts. Nè sembra probabile chevi sia stata un'altra causa diversa, la quale abbia potutodare origine, in queste nebulose, a una doppia spiralepiuttosto che ad una sola.

L'EVOLUZIONE DELLE STELLE DOPPIE.

Il numero delle stelle doppie o multiple che si sonoandate scoprendo è aumentato rapidamente, poichè mol-ti studiosi si sono esclusivamente dedicati a tale còmpi-to. Durante la prima metà del secolo decimonono ne fu-rono constatate a migliaia, e man mano che la potenzadei telescopi crebbe, il loro numero ascese a centinaia dimigliaia. Un catalogo pubblicato recentementedall'osservatorio di Yerkes contiene l'elenco di ben 1290di tali stelle, scoperte fra il 1871 e il 1899 da un solo os-

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Ecco adunque uno dei più suggestivi fenomeni, ilquale sembra offrire la prova che questo possa essereuno dei modi con che si originano le nebulose spirali.Quando la distruzione esplosiva avviene, le due protu-beranze od allungamenti della massa si separano, e poi-chè ognuna di esse avrà un rapido movimento di rota-zione, le spirali che ne risulteranno saranno due. Ora ilfatto è che quasi tutte le nebulose spirali ben caratteriz-zate posseggono due appendici o bracci, l'uno oppostoall'altro, come possiamo constatare in M. 100 dellaChioma di Bernice, in M. 51 dei Cani, e in altre fotogra-fie eseguite dal dottor Roberts. Nè sembra probabile chevi sia stata un'altra causa diversa, la quale abbia potutodare origine, in queste nebulose, a una doppia spiralepiuttosto che ad una sola.

L'EVOLUZIONE DELLE STELLE DOPPIE.

Il numero delle stelle doppie o multiple che si sonoandate scoprendo è aumentato rapidamente, poichè mol-ti studiosi si sono esclusivamente dedicati a tale còmpi-to. Durante la prima metà del secolo decimonono ne fu-rono constatate a migliaia, e man mano che la potenzadei telescopi crebbe, il loro numero ascese a centinaia dimigliaia. Un catalogo pubblicato recentementedall'osservatorio di Yerkes contiene l'elenco di ben 1290di tali stelle, scoperte fra il 1871 e il 1899 da un solo os-

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servatore, S. W. Barnham. Queste stelle furono scopertetutte per mezzo del telescopio, ma nell'ultimo quarto disecolo lo spettroscopio ci ha rivelato tutto un mondonuovo di stelle doppie, di un'estensione enorme e di uninteresse immenso. Le stelle doppie telescopiche sonostate osservate abbastanza esattamente, tanto da poterdeterminare le loro orbite, le quali si compiono in un pe-riodo che varia da un minimo di undici anni a un massi-mo di centinaia od anche di un migliaio e più. Ma lospettroscopio ci dice che le stelle doppie visibili al tele-scopio non sono che una piccolissima quantità dei siste-mi binari esistenti. L'importanza immensa di tale sco-perta consiste nel fatto che essa permette di calcolare itempi di rivoluzione delle stelle telescopiche doppie ol-tre questo minimo, attraverso una non interrotta serie diperiodi di qualche anno, a quelli che ascendono soltantoa qualche mese, a qualche giorno, ed anche a qualcheora. Queste riduzioni di periodi sono necessariamenteuniti a corrispondenti riduzioni di distanza, tanto che ledue stelle debbono essere a contatto, così che attualmen-te può avvenire che una stella doppia si origini, senzache il fatto possa venire osservato. Questa possibilità èstata anticipatamente annunziata dal dottor Lee di Chi-gago nel 1892, ed egli stesso l'ha confermata dopo molteosservazioni compiute nel breve spazio di dieci anni.

In una importante comunicazione alla Nature (12 set-tembre 1901) Alessandro W. Roberts, di Lovedale (Afri-ca del Sud), dà alcuni dei principali risultati ottenuti inquesto genere di ricerche. Naturalmente tutte le stelle

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servatore, S. W. Barnham. Queste stelle furono scopertetutte per mezzo del telescopio, ma nell'ultimo quarto disecolo lo spettroscopio ci ha rivelato tutto un mondonuovo di stelle doppie, di un'estensione enorme e di uninteresse immenso. Le stelle doppie telescopiche sonostate osservate abbastanza esattamente, tanto da poterdeterminare le loro orbite, le quali si compiono in un pe-riodo che varia da un minimo di undici anni a un massi-mo di centinaia od anche di un migliaio e più. Ma lospettroscopio ci dice che le stelle doppie visibili al tele-scopio non sono che una piccolissima quantità dei siste-mi binari esistenti. L'importanza immensa di tale sco-perta consiste nel fatto che essa permette di calcolare itempi di rivoluzione delle stelle telescopiche doppie ol-tre questo minimo, attraverso una non interrotta serie diperiodi di qualche anno, a quelli che ascendono soltantoa qualche mese, a qualche giorno, ed anche a qualcheora. Queste riduzioni di periodi sono necessariamenteuniti a corrispondenti riduzioni di distanza, tanto che ledue stelle debbono essere a contatto, così che attualmen-te può avvenire che una stella doppia si origini, senzache il fatto possa venire osservato. Questa possibilità èstata anticipatamente annunziata dal dottor Lee di Chi-gago nel 1892, ed egli stesso l'ha confermata dopo molteosservazioni compiute nel breve spazio di dieci anni.

In una importante comunicazione alla Nature (12 set-tembre 1901) Alessandro W. Roberts, di Lovedale (Afri-ca del Sud), dà alcuni dei principali risultati ottenuti inquesto genere di ricerche. Naturalmente tutte le stelle

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variabili si trovano fra quelle doppie spettroscopiche;esse rappresentano una parte di quella categoria di stel-le, il cui piano orbitale è in direzione della nostra visua-le, cosicchè, durante la loro rivoluzione, una delle dueecclissa l'altra in parte o in tutto. In alcuni di questi casivi sono molte irregolarità, come un doppio massimo eminimo di ineguale lunghezza, dovuto forse a sistemitripli o ad altre cause ancora ignorate; ma siccome nonhanno che un periodo breve, e si mostrano all'osservato-re costantemente come una stella unica anche nel campodel più potente telescopio, così si sono riuniti in unaspeciale categoria di sistemi doppi spettroscopici.

Sin oggi si conoscono 22 di tali sistemi variabili, deltipo di Algol, ognuno dei quali è formato evidentementeda una stella luminosa e da un corpo oscuro, che è vici-nissimo alla prima e la ecclissa o del tutto o soltanto inparte ad ogni rivoluzione. In questi casi la densità dei si-stemi può esser determinata con sufficiente esattezza; èstato calcolato che, in media, tale densità è soltanto laquinta parte di quella dell'acqua, e l'ottava parte delladensità del nostro sole. Ma se molti di questi sistemisono grandi come il sole, o anche di dimensioni consi-derevolmente maggiori, è evidente che debbono trovarsiin uno stato del tutto gassoso, e che, anche possedendoun grande calore, deve nondimeno essere di una costitu-zione meno complessa di quella del nostro sole. A. W.Roberts afferma che più di cinque di queste ventiduestelle variabili gravitano in assoluto contatto, formandodei sistemi della forma dei dumbbell (manubri da ginna-

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variabili si trovano fra quelle doppie spettroscopiche;esse rappresentano una parte di quella categoria di stel-le, il cui piano orbitale è in direzione della nostra visua-le, cosicchè, durante la loro rivoluzione, una delle dueecclissa l'altra in parte o in tutto. In alcuni di questi casivi sono molte irregolarità, come un doppio massimo eminimo di ineguale lunghezza, dovuto forse a sistemitripli o ad altre cause ancora ignorate; ma siccome nonhanno che un periodo breve, e si mostrano all'osservato-re costantemente come una stella unica anche nel campodel più potente telescopio, così si sono riuniti in unaspeciale categoria di sistemi doppi spettroscopici.

Sin oggi si conoscono 22 di tali sistemi variabili, deltipo di Algol, ognuno dei quali è formato evidentementeda una stella luminosa e da un corpo oscuro, che è vici-nissimo alla prima e la ecclissa o del tutto o soltanto inparte ad ogni rivoluzione. In questi casi la densità dei si-stemi può esser determinata con sufficiente esattezza; èstato calcolato che, in media, tale densità è soltanto laquinta parte di quella dell'acqua, e l'ottava parte delladensità del nostro sole. Ma se molti di questi sistemisono grandi come il sole, o anche di dimensioni consi-derevolmente maggiori, è evidente che debbono trovarsiin uno stato del tutto gassoso, e che, anche possedendoun grande calore, deve nondimeno essere di una costitu-zione meno complessa di quella del nostro sole. A. W.Roberts afferma che più di cinque di queste ventiduestelle variabili gravitano in assoluto contatto, formandodei sistemi della forma dei dumbbell (manubri da ginna-

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stica). I periodi variano da 12 giorni a nove ore, ma, ol-tre questi, si ha una serie di lunghi periodi, come nelladoppia stella di Castore, in cui trascorrono più di milleanni perchè una rivoluzione sia completa.

Durante l'osservazione delle suddette cinque stelle,Roberts constatò che una di esse, X della Carena, si eraallontanata dalla sua compagna, così che, invece di tro-varsi aderenti, erano distanti l'una dall'altra un decimodel loro diametro. Egli suppose che questo fatto fosseuna prova sicura dell'origine di un sistema stellare.

Un anno dopo comparve una memoria (in Knowled-ge, ottobre 1903) sulle ricerche del professore Camp-bell, compiute all'osservatorio di Lick. In essa si diceche per oltre 350 stelle, osservate allo spettroscopio, si èconstatato il fatto che una ogni otto è spettroscopica-mente doppia. L'osservatore è talmente impressionatoda questo numero, verificato aumentando l'accuratezzadelle misure, che aggiunge: «Una stella che non siaspettroscopicamente doppia è una rarissima eccezione».Il prof. G. Darwin aveva già dimostrato che il dum-bellè una figura di equilibrio di una massa fluida roteante;ora noi sappiamo che tali figure esistono, e che rappre-sentano la base degli innumerevoli e sempre crescenti dinumero sistemi di stelle doppie spettroscopiche, che sivanno scoprendo.

L'origine di queste stelle doppie è anche di specialeinteresse, perchè viene a suffragare la ben conosciutaspiegazione data dal prof. Darwin sull'origine della luna,che si sarebbe formata da un frammento della terra,

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stica). I periodi variano da 12 giorni a nove ore, ma, ol-tre questi, si ha una serie di lunghi periodi, come nelladoppia stella di Castore, in cui trascorrono più di milleanni perchè una rivoluzione sia completa.

Durante l'osservazione delle suddette cinque stelle,Roberts constatò che una di esse, X della Carena, si eraallontanata dalla sua compagna, così che, invece di tro-varsi aderenti, erano distanti l'una dall'altra un decimodel loro diametro. Egli suppose che questo fatto fosseuna prova sicura dell'origine di un sistema stellare.

Un anno dopo comparve una memoria (in Knowled-ge, ottobre 1903) sulle ricerche del professore Camp-bell, compiute all'osservatorio di Lick. In essa si diceche per oltre 350 stelle, osservate allo spettroscopio, si èconstatato il fatto che una ogni otto è spettroscopica-mente doppia. L'osservatore è talmente impressionatoda questo numero, verificato aumentando l'accuratezzadelle misure, che aggiunge: «Una stella che non siaspettroscopicamente doppia è una rarissima eccezione».Il prof. G. Darwin aveva già dimostrato che il dum-bellè una figura di equilibrio di una massa fluida roteante;ora noi sappiamo che tali figure esistono, e che rappre-sentano la base degli innumerevoli e sempre crescenti dinumero sistemi di stelle doppie spettroscopiche, che sivanno scoprendo.

L'origine di queste stelle doppie è anche di specialeinteresse, perchè viene a suffragare la ben conosciutaspiegazione data dal prof. Darwin sull'origine della luna,che si sarebbe formata da un frammento della terra,

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staccatosi a causa della veloce rotazione del nostro pia-neta. Ora sembra certo che i soli si scindano spesso inidentica maniera, ma, forse a causa dei loro gas che sitrovano allo stato incandescente, pare che di solito essidiano origine a globi uguali fra di loro.

Concluderemo dunque affermando che l'evoluzionedi questo tipo di sistemi stellari è un fatto constatato,pur ignorando se tutte le altre stelle doppie abbiano avu-to origine in questo modo.

AMMASSI STELLARI E STELLE VARIABILI

Gli ammassi stellari numerosissimi, che si mostranoal telescopio di tante strane e belle forme, possono esserconsiderati come i fenomeni più curiosi del cielo, che sioffrano all'indagine degli astronomi filosofi.

Molti di questi gruppi, formati di stelle non numerosee di forma irregolare, ci inducono a credere ch'essi ab-biano avuto origine da nebulose anch'esse irregolari o diforma strana, e che si siano formati nelle spirali di que-ste per un processo di aggregazione simile a quello de-scrittoci dal dottor Roberts. Ma per altri ammassi densie globulari, bellissimi corpi celesti visibili soltanto al te-lescopio, qualcuno dei quali contiene perfino 6000 stel-le, senza noverare quelle addensate al centro che non èpossibile contare, non è facile la spiegazione. Uno deiproblemi che questi ammassi suggeriscono è quello ri-

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staccatosi a causa della veloce rotazione del nostro pia-neta. Ora sembra certo che i soli si scindano spesso inidentica maniera, ma, forse a causa dei loro gas che sitrovano allo stato incandescente, pare che di solito essidiano origine a globi uguali fra di loro.

Concluderemo dunque affermando che l'evoluzionedi questo tipo di sistemi stellari è un fatto constatato,pur ignorando se tutte le altre stelle doppie abbiano avu-to origine in questo modo.

AMMASSI STELLARI E STELLE VARIABILI

Gli ammassi stellari numerosissimi, che si mostranoal telescopio di tante strane e belle forme, possono esserconsiderati come i fenomeni più curiosi del cielo, che sioffrano all'indagine degli astronomi filosofi.

Molti di questi gruppi, formati di stelle non numerosee di forma irregolare, ci inducono a credere ch'essi ab-biano avuto origine da nebulose anch'esse irregolari o diforma strana, e che si siano formati nelle spirali di que-ste per un processo di aggregazione simile a quello de-scrittoci dal dottor Roberts. Ma per altri ammassi densie globulari, bellissimi corpi celesti visibili soltanto al te-lescopio, qualcuno dei quali contiene perfino 6000 stel-le, senza noverare quelle addensate al centro che non èpossibile contare, non è facile la spiegazione. Uno deiproblemi che questi ammassi suggeriscono è quello ri-

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guardante la loro stabilità. Il prof. Simon Newcomb cosìsi esprime a questo proposito: «Come mai delle migliaiadi stelle si sono potute addensare in uno spazio così li-mitato, e nondimeno restare ben distinte, senza formareun'unica massa? Accadrà questo forse in avvenire, e for-meranno tali stelle un unico corpo? A queste domande sipotrà rispondere in modo soddisfacente, soltanto dopoche si saranno compiute delle osservazioni per molti se-coli, bisognerà dunque lasciarne la soluzione agli astro-nomi dell'avvenire.»

Questi gruppi stellari presentano alcuni caratteri note-voli, che possiamo giudicare quali prove della possibileloro origine e della loro costituzione essenziale. Esami-nandole attentamente, molti di essi ci sembrano menoirregolari di quello che a prima vista si sarebbe potutocredere. Vi si scorgono degli spazi vuoti od anche dellefenditure ben definite; molti presentano una strutturaraggiata, in altri si osservano delle appendici curve, e al-cuni hanno dei centri incerti. I loro confini sono cosìprecisi, come quelli che qualche volta si vedono, quan-tunque in una forma molto più pronunciata, nelle grandinebulose; si crederebbe quasi che questi gruppi non sia-no che il risultato del condensamento di nebulose im-mense, nelle quali si siano manifestati da principio nu-merosi centri di aggregazione, i quali, a loro volta, sianostati attratti dal centro comune di gravità dell'intera mas-sa. L'idea di questa loro origine si presenta subito allamente riflettendo che, mentre le nebulose telescopichepiù piccole restano lontane dalla Via Lattea, le più gran-

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guardante la loro stabilità. Il prof. Simon Newcomb cosìsi esprime a questo proposito: «Come mai delle migliaiadi stelle si sono potute addensare in uno spazio così li-mitato, e nondimeno restare ben distinte, senza formareun'unica massa? Accadrà questo forse in avvenire, e for-meranno tali stelle un unico corpo? A queste domande sipotrà rispondere in modo soddisfacente, soltanto dopoche si saranno compiute delle osservazioni per molti se-coli, bisognerà dunque lasciarne la soluzione agli astro-nomi dell'avvenire.»

Questi gruppi stellari presentano alcuni caratteri note-voli, che possiamo giudicare quali prove della possibileloro origine e della loro costituzione essenziale. Esami-nandole attentamente, molti di essi ci sembrano menoirregolari di quello che a prima vista si sarebbe potutocredere. Vi si scorgono degli spazi vuoti od anche dellefenditure ben definite; molti presentano una strutturaraggiata, in altri si osservano delle appendici curve, e al-cuni hanno dei centri incerti. I loro confini sono cosìprecisi, come quelli che qualche volta si vedono, quan-tunque in una forma molto più pronunciata, nelle grandinebulose; si crederebbe quasi che questi gruppi non sia-no che il risultato del condensamento di nebulose im-mense, nelle quali si siano manifestati da principio nu-merosi centri di aggregazione, i quali, a loro volta, sianostati attratti dal centro comune di gravità dell'intera mas-sa. L'idea di questa loro origine si presenta subito allamente riflettendo che, mentre le nebulose telescopichepiù piccole restano lontane dalla Via Lattea, le più gran-

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di abbondano invece nelle vicinanze di essa, come gliammassi stellari, i quali sono numerosissimi, tanto nellaVia Lattea che nelle immediate vicinanze di questa,mentre scarseggiano altrove, se si eccettuano le due va-ste nebulose delle Nuvole di Magellano, e le vicinanzedi esse. Da queste osservazioni possiamo concludereche i due fenomeni possano essere complementari l'unodell'altro; la condensazione delle nebulose essendosi piùrapidamente compiuta ove il materiale era più abbon-dante, ne è risultato un gran numero di gruppi stellari,dove esistono molte nebulose.

Uno dei caratteri più sorprendenti dei gruppi di stelleglobulari, del quale è necessario occuparci, è la presenzadi numerosissime stelle variabili in alcuni di essi, men-tre in altri se ne constatano poche o punte. L'osservato-rio di Harvard per molti anni si è dedicato a questo ge-nere di ricerche astronomiche, e il risultato è consacratonella recente opera The Stars, del prof. Newcomb.L'autore ci fa sapere che ventitrè gruppi di stelle sonostati osservati per mezzo dello spettroscopio, e che il nu-mero delle stelle esaminate nei limiti di ogni gruppo va-ria, da 145 a 3000, e che il loro numero totale è di19050. Oltre a questo numero totale, 509 stelle sono sta-te trovate variabili, ma il curioso si è la notevole diver-genza nelle proporzioni delle variabili e l'intero numerodi stelle esaminate nei diversi gruppi. In due di essi, seb-bene ne siano state osservate ben 1279, non ne fu trova-ta variabile neppur una; in tre altri la proporzione era da1050 a 500; in altri cinque ve ne era una ogni 100, ed il

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di abbondano invece nelle vicinanze di essa, come gliammassi stellari, i quali sono numerosissimi, tanto nellaVia Lattea che nelle immediate vicinanze di questa,mentre scarseggiano altrove, se si eccettuano le due va-ste nebulose delle Nuvole di Magellano, e le vicinanzedi esse. Da queste osservazioni possiamo concludereche i due fenomeni possano essere complementari l'unodell'altro; la condensazione delle nebulose essendosi piùrapidamente compiuta ove il materiale era più abbon-dante, ne è risultato un gran numero di gruppi stellari,dove esistono molte nebulose.

Uno dei caratteri più sorprendenti dei gruppi di stelleglobulari, del quale è necessario occuparci, è la presenzadi numerosissime stelle variabili in alcuni di essi, men-tre in altri se ne constatano poche o punte. L'osservato-rio di Harvard per molti anni si è dedicato a questo ge-nere di ricerche astronomiche, e il risultato è consacratonella recente opera The Stars, del prof. Newcomb.L'autore ci fa sapere che ventitrè gruppi di stelle sonostati osservati per mezzo dello spettroscopio, e che il nu-mero delle stelle esaminate nei limiti di ogni gruppo va-ria, da 145 a 3000, e che il loro numero totale è di19050. Oltre a questo numero totale, 509 stelle sono sta-te trovate variabili, ma il curioso si è la notevole diver-genza nelle proporzioni delle variabili e l'intero numerodi stelle esaminate nei diversi gruppi. In due di essi, seb-bene ne siano state osservate ben 1279, non ne fu trova-ta variabile neppur una; in tre altri la proporzione era da1050 a 500; in altri cinque ve ne era una ogni 100, ed il

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resto aveva la proporzione di 1 a 6. Di 900 stelle esami-nate in un gruppo stellare, ve ne erano 132 variabili!

Riflettendo che le variabili formano soltanto una par-te – ed anche piccola – dei sistemi delle stelle doppie,possiamo dire che in tutti i gruppi che posseggono unaelevata percentuale di variabili – anzi una molto fortepercentuale, ed in qualche caso forse tutte – debbonoesistere delle stelle doppie o multiple, gravitanti una in-torno all'altra. Con questa molto notevole evidenza, ag-giunta a quanto si afferma per la prevalenza delle stelledoppie e variabili fra le stelle in generale, possiamo ac-cettare quel che dice il prof. Newcomb, il quale uniscela sua testimonianza a quella del prof. Campbell già ri-cordato, cioè che «è probabile che tra tutte le stelle esi-stenti, quelle solitarie siano l'eccezione piuttosto che laregola. Se ciò, è vero, la regola deve riferirsi con mag-gior ragione alle stelle di un ammasso condensato.»

L'EVOLUZIONE DELLE STELLE.

Finchè gli astronomi non ebbero a loro disposizione iltelescopio, nè il mezzo ancora migliore di ricerche rap-presentato dalla fotografia, nulla poteva sapersi sullavera costituzione delle stelle, nè del loro processo dievoluzione. La loro apparente grandezza, i loro movi-menti, e di poche anche la distanza, si erano potuti de-terminare, ma soltanto la differenza nella loro colorazio-

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resto aveva la proporzione di 1 a 6. Di 900 stelle esami-nate in un gruppo stellare, ve ne erano 132 variabili!

Riflettendo che le variabili formano soltanto una par-te – ed anche piccola – dei sistemi delle stelle doppie,possiamo dire che in tutti i gruppi che posseggono unaelevata percentuale di variabili – anzi una molto fortepercentuale, ed in qualche caso forse tutte – debbonoesistere delle stelle doppie o multiple, gravitanti una in-torno all'altra. Con questa molto notevole evidenza, ag-giunta a quanto si afferma per la prevalenza delle stelledoppie e variabili fra le stelle in generale, possiamo ac-cettare quel che dice il prof. Newcomb, il quale uniscela sua testimonianza a quella del prof. Campbell già ri-cordato, cioè che «è probabile che tra tutte le stelle esi-stenti, quelle solitarie siano l'eccezione piuttosto che laregola. Se ciò, è vero, la regola deve riferirsi con mag-gior ragione alle stelle di un ammasso condensato.»

L'EVOLUZIONE DELLE STELLE.

Finchè gli astronomi non ebbero a loro disposizione iltelescopio, nè il mezzo ancora migliore di ricerche rap-presentato dalla fotografia, nulla poteva sapersi sullavera costituzione delle stelle, nè del loro processo dievoluzione. La loro apparente grandezza, i loro movi-menti, e di poche anche la distanza, si erano potuti de-terminare, ma soltanto la differenza nella loro colorazio-

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ne ha potuto far conoscere, sebbene in modo imperfetto,perfino il grado della loro temperatura. La scopertadell'analisi spettrale ci ha dato i mezzi di ottenere datiben precisi sulla costituzione fisica e chimica delle stel-le, iniziando così un nuovo ramo di scienza, l'astrofisica,la quale ha già raggiunto un grande sviluppo, tanto dafornire abbondante materiale per la pubblicazione di pe-riodici speciali e di alcuni importanti volumi. Per verodire, questo ramo della scienza è ben complicato, mapoichè esso non è in rapporto diretto coll'argomento dicui ci occupiamo, abbiamo voluto soltanto farne un cen-no, per dire come alcuni dei suoi risultati abbiano avutala loro importanza per le questioni riguardanti la classi-ficazione e l'evoluzione delle stelle.

Dopo lunghe serie di accurati e pazienti esperimenti,siamo arrivati a conoscere che gli spettri dei diversi ele-menti sono soggetti a variare, secondo il grado di tem-peratura cui sono sottoposti, man mano che questa tem-peratura si fa aumentare, per mezzo di una batteria elet-trica producente una scintilla lunga parecchi piedi. Que-ste variazioni degli spettri non avvengono nella posizio-ne relativa delle linee scure, ma soltanto nel loro nume-ro, nella ampiezza e nella intensità. Altre variazionisono dovute alla densità dell'ambiente nel quale gli ele-menti sono riscaldati, e al suo grado di purezza chimica.Conosciute queste diverse modificazioni spettrali, e pa-ragonatele con lo spettro solare, e con quello delle sueappendici, è stato possibile determinare, dallo spettro,non soltanto la temperatura di una stella, in confronto a

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ne ha potuto far conoscere, sebbene in modo imperfetto,perfino il grado della loro temperatura. La scopertadell'analisi spettrale ci ha dato i mezzi di ottenere datiben precisi sulla costituzione fisica e chimica delle stel-le, iniziando così un nuovo ramo di scienza, l'astrofisica,la quale ha già raggiunto un grande sviluppo, tanto dafornire abbondante materiale per la pubblicazione di pe-riodici speciali e di alcuni importanti volumi. Per verodire, questo ramo della scienza è ben complicato, mapoichè esso non è in rapporto diretto coll'argomento dicui ci occupiamo, abbiamo voluto soltanto farne un cen-no, per dire come alcuni dei suoi risultati abbiano avutala loro importanza per le questioni riguardanti la classi-ficazione e l'evoluzione delle stelle.

Dopo lunghe serie di accurati e pazienti esperimenti,siamo arrivati a conoscere che gli spettri dei diversi ele-menti sono soggetti a variare, secondo il grado di tem-peratura cui sono sottoposti, man mano che questa tem-peratura si fa aumentare, per mezzo di una batteria elet-trica producente una scintilla lunga parecchi piedi. Que-ste variazioni degli spettri non avvengono nella posizio-ne relativa delle linee scure, ma soltanto nel loro nume-ro, nella ampiezza e nella intensità. Altre variazionisono dovute alla densità dell'ambiente nel quale gli ele-menti sono riscaldati, e al suo grado di purezza chimica.Conosciute queste diverse modificazioni spettrali, e pa-ragonatele con lo spettro solare, e con quello delle sueappendici, è stato possibile determinare, dallo spettro,non soltanto la temperatura di una stella, in confronto a

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quella della scintilla elettrica o a quella del sole, ma an-che lo stadio di sviluppo cui l'astro è giunto.

Il primo risultato generale ottenuto da queste ricerche,ci afferma che le stelle più calde sono quelle turchine obianche, le quali posseggono uno spettro che tende alvioletto, e che mostra delle linee colorate indicanti l'esi-stenza soltanto di gas, specialmente idrogeno ed elio.

Vengono dopo quelle che hanno uno spettro più bre-ve, e che non tende tanto al violetto; queste stelle hannoun colorito giallognolo, e a questo tipo appartiene il no-stro sole. Infatti, tutte le stelle di questa categoria pre-sentano le caratteristiche dello spettro solare, cioè le li-nee scure dovute alla presenza e all'assorbimento dei va-pori metallici, specialmente del ferro, allo stato gassoso.

Le stelle che appartengono al terzo gruppo hanno unpiù corto spettro, e sono di color rosso. Il loro spettropresenta delle linee che indicano la presenza del carbo-nio.

Spesso questi tre gruppi di stelle vengono denotati co-gli appellativi di stelle gassose, stelle metalliche e stellecarboniche; alcuni astronomi indicano anche il primogruppo col nome di stelle siriane, perchè Sirio, quantun-que non sia la stella più infocata, ne rappresenta caratte-risticamente il tipo, e il secondo col nome di stelle sola-ri; finalmente altri astronomi parlano semplicemente distelle di prima classe, di seconda classe, etc. secondo ilsistema di classificazione che hanno adottato.

Si comprese ben presto però che nè il calore, nè latemperatura delle stelle potevano fornire una sicura in-

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quella della scintilla elettrica o a quella del sole, ma an-che lo stadio di sviluppo cui l'astro è giunto.

Il primo risultato generale ottenuto da queste ricerche,ci afferma che le stelle più calde sono quelle turchine obianche, le quali posseggono uno spettro che tende alvioletto, e che mostra delle linee colorate indicanti l'esi-stenza soltanto di gas, specialmente idrogeno ed elio.

Vengono dopo quelle che hanno uno spettro più bre-ve, e che non tende tanto al violetto; queste stelle hannoun colorito giallognolo, e a questo tipo appartiene il no-stro sole. Infatti, tutte le stelle di questa categoria pre-sentano le caratteristiche dello spettro solare, cioè le li-nee scure dovute alla presenza e all'assorbimento dei va-pori metallici, specialmente del ferro, allo stato gassoso.

Le stelle che appartengono al terzo gruppo hanno unpiù corto spettro, e sono di color rosso. Il loro spettropresenta delle linee che indicano la presenza del carbo-nio.

Spesso questi tre gruppi di stelle vengono denotati co-gli appellativi di stelle gassose, stelle metalliche e stellecarboniche; alcuni astronomi indicano anche il primogruppo col nome di stelle siriane, perchè Sirio, quantun-que non sia la stella più infocata, ne rappresenta caratte-risticamente il tipo, e il secondo col nome di stelle sola-ri; finalmente altri astronomi parlano semplicemente distelle di prima classe, di seconda classe, etc. secondo ilsistema di classificazione che hanno adottato.

Si comprese ben presto però che nè il calore, nè latemperatura delle stelle potevano fornire una sicura in-

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formazione sulla loro natura e sul loro stadio di svilup-po, poichè – a meno di supporre che le stelle, sin daquando cominciarono ad esistere, siano state sempre in-focate, e tutte le evidenze sarebbero contro questa sup-posizione – esse debbono attraversare un periodo in cuiil calore aumenta gradatamente, fino a raggiungere ilmassimo, al quale periodo deve seguirne un altro, du-rante il quale ogni calore e ogni luce si disperdono. Lateoria meteorica sull'origine di tutti i corpi celesti lumi-nosi, la quale è molto adottata, spiega, a parer nostro, losviluppo graduale delle stelle e delle nebulose. Il suo piùvalido propugnatore, Sir Norman Lockyer, ha espostouno schema completo dell'evoluzione e della decadenzastellare, che brevemente riferiremo.

Lasciando da parte le nebulose, ci occuperemo dellestelle le quali posseggono uno spettro rigato o scanalato,indicante una temperatura relativamente bassa, e con li-nee che affermano la presenza del ferro, del manganese,del calcio e di altri metalli. Queste stelle sono più omeno di color rosso: Antares, nella costellazione delloScorpione, è una delle più brillanti stelle di questo tipo.Si suppone che in questi corpi si vada compiendo unprocesso di aggregazione, e che il loro volume e il lorocalore aumentino continuamente, e che quindi essi sianosoggetti a notevoli cambiamenti. α del Cigno ha unaspetto simile, ma presenta uno sviluppo maggiore diidrogeno, ed è più calda. Un calore più grande si consta-ta in Rigel e in β della Croce, nelle quali sono evidentigrandi masse di idrogeno, di elio, di ossigeno, di azoto e

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formazione sulla loro natura e sul loro stadio di svilup-po, poichè – a meno di supporre che le stelle, sin daquando cominciarono ad esistere, siano state sempre in-focate, e tutte le evidenze sarebbero contro questa sup-posizione – esse debbono attraversare un periodo in cuiil calore aumenta gradatamente, fino a raggiungere ilmassimo, al quale periodo deve seguirne un altro, du-rante il quale ogni calore e ogni luce si disperdono. Lateoria meteorica sull'origine di tutti i corpi celesti lumi-nosi, la quale è molto adottata, spiega, a parer nostro, losviluppo graduale delle stelle e delle nebulose. Il suo piùvalido propugnatore, Sir Norman Lockyer, ha espostouno schema completo dell'evoluzione e della decadenzastellare, che brevemente riferiremo.

Lasciando da parte le nebulose, ci occuperemo dellestelle le quali posseggono uno spettro rigato o scanalato,indicante una temperatura relativamente bassa, e con li-nee che affermano la presenza del ferro, del manganese,del calcio e di altri metalli. Queste stelle sono più omeno di color rosso: Antares, nella costellazione delloScorpione, è una delle più brillanti stelle di questo tipo.Si suppone che in questi corpi si vada compiendo unprocesso di aggregazione, e che il loro volume e il lorocalore aumentino continuamente, e che quindi essi sianosoggetti a notevoli cambiamenti. α del Cigno ha unaspetto simile, ma presenta uno sviluppo maggiore diidrogeno, ed è più calda. Un calore più grande si consta-ta in Rigel e in β della Croce, nelle quali sono evidentigrandi masse di idrogeno, di elio, di ossigeno, di azoto e

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anche di carbonio, con scarse tracce di metalli. Se consi-deriamo le stelle più calde, quali ε di Orione e due stelledella costellazione di Argo, possiamo constatare che vipredomina l'idrogeno, con poche tracce metalliche e car-boniche. La serie delle stelle che vanno verso il raffred-damento è caratterizzata, nello spettro, da spesse lineed'idrogeno, e da altre più sottili indicanti elementi me-tallici, e tale serie è rappresentata gradualmente da Sirio,Arturo, dal nostro sole, e finalmente dalla 19a dei Pesci,i cui spettri presentano molte scanalature indicanti ilcarbonio, ma poche ed incerte indicanti la presenza dimetalli. Continuando il processo di raffreddamento, sioriginano le stelle oscure.

Così abbiamo uno schema completo dell'evoluzionestellare, che rappresenta una catena non interrotta dallemal definite ed enormemente diffuse masse di gas e dipolvere cosmica che chiamiamo nebulose, alle nebuloseplanetarie e stellari, alle stelle variabili e doppie, a quel-le rosse o bianche e, finalmente, a quelle che ci traman-dano una luce interamente turchiniccia. Non dobbiamodimenticare che le più brillanti delle stelle, che presenta-no uno spettro esclusivamente gassoso, e che si trovanoal punto culminante della fase ascendente nell'evoluzio-ne stellare, non sono per questo nè più nè altrettanto ar-denti di quelle che si trovano nella fase discendente,perchè uno dei paradossi apparenti della fisica ci avverteche un corpo può diventare più caldo durante il processodi contrazione con perdita di calore. La ragione di ciò èche il corpo, raffreddandosi, si contrae, diviene quindi

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anche di carbonio, con scarse tracce di metalli. Se consi-deriamo le stelle più calde, quali ε di Orione e due stelledella costellazione di Argo, possiamo constatare che vipredomina l'idrogeno, con poche tracce metalliche e car-boniche. La serie delle stelle che vanno verso il raffred-damento è caratterizzata, nello spettro, da spesse lineed'idrogeno, e da altre più sottili indicanti elementi me-tallici, e tale serie è rappresentata gradualmente da Sirio,Arturo, dal nostro sole, e finalmente dalla 19a dei Pesci,i cui spettri presentano molte scanalature indicanti ilcarbonio, ma poche ed incerte indicanti la presenza dimetalli. Continuando il processo di raffreddamento, sioriginano le stelle oscure.

Così abbiamo uno schema completo dell'evoluzionestellare, che rappresenta una catena non interrotta dallemal definite ed enormemente diffuse masse di gas e dipolvere cosmica che chiamiamo nebulose, alle nebuloseplanetarie e stellari, alle stelle variabili e doppie, a quel-le rosse o bianche e, finalmente, a quelle che ci traman-dano una luce interamente turchiniccia. Non dobbiamodimenticare che le più brillanti delle stelle, che presenta-no uno spettro esclusivamente gassoso, e che si trovanoal punto culminante della fase ascendente nell'evoluzio-ne stellare, non sono per questo nè più nè altrettanto ar-denti di quelle che si trovano nella fase discendente,perchè uno dei paradossi apparenti della fisica ci avverteche un corpo può diventare più caldo durante il processodi contrazione con perdita di calore. La ragione di ciò èche il corpo, raffreddandosi, si contrae, diviene quindi

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più denso, perchè una parte della sua massa grava di piùverso il centro, ed in tal guisa produce un aumento dicalore, il quale, benchè sia in senso assoluto minore diquello irradiato nello spazio, cagionerà, date certe con-dizioni, un aumento di calore alla superficie; l'essenzialesi è che il corpo in questione sia assolutamente gassoso,in modo da permettere una libera circolazione dalla su-perficie al centro. Questa legge è così spiegata dal prof.S. Newcomb: «Quando una massa sferica di gas incan-descente si contrae per l'irradiamento del suo calore nel-lo spazio, la sua temperatura si eleva sempre, fino a chesi mantiene lo stato gassoso».

In altri termini: se la compressione viene provocatada forze esteriori, senza perdita di calore, il globo diven-terà più caldo, e l'aumento di calore sarà calcolabile aseconda della compressione. Ma il calore che si perdeperchè quella data contrazione sia possibile, è minoredell'aumento di calore che la contrazione stessa produce,poichè la leggera diminuzione del calore totale, in uncorpo più piccolo, fa aumentare la temperatura dellamassa.

Ma se le stelle, come con ogni ragione si deve crede-re, differiscono anche nella costituzione chimica, poichèalcune sono formate principalmente di gas permanenti,mentre altre presentano, in proporzioni differenti, diver-si elementi metallici e non metallici, sarebbe necessariopossedere una classificazione relativa alla costituzionestellare, come ne abbiamo una per la temperatura. Il cor-

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più denso, perchè una parte della sua massa grava di piùverso il centro, ed in tal guisa produce un aumento dicalore, il quale, benchè sia in senso assoluto minore diquello irradiato nello spazio, cagionerà, date certe con-dizioni, un aumento di calore alla superficie; l'essenzialesi è che il corpo in questione sia assolutamente gassoso,in modo da permettere una libera circolazione dalla su-perficie al centro. Questa legge è così spiegata dal prof.S. Newcomb: «Quando una massa sferica di gas incan-descente si contrae per l'irradiamento del suo calore nel-lo spazio, la sua temperatura si eleva sempre, fino a chesi mantiene lo stato gassoso».

In altri termini: se la compressione viene provocatada forze esteriori, senza perdita di calore, il globo diven-terà più caldo, e l'aumento di calore sarà calcolabile aseconda della compressione. Ma il calore che si perdeperchè quella data contrazione sia possibile, è minoredell'aumento di calore che la contrazione stessa produce,poichè la leggera diminuzione del calore totale, in uncorpo più piccolo, fa aumentare la temperatura dellamassa.

Ma se le stelle, come con ogni ragione si deve crede-re, differiscono anche nella costituzione chimica, poichèalcune sono formate principalmente di gas permanenti,mentre altre presentano, in proporzioni differenti, diver-si elementi metallici e non metallici, sarebbe necessariopossedere una classificazione relativa alla costituzionestellare, come ne abbiamo una per la temperatura. Il cor-

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so evolutivo dei gruppi stellari che sono diversamentecostituiti, ci si potrebbe così rivelare assai dissimile.

Malgrado questa restrizione, il processo di evoluzionee di decadenza dei soli, per fasi di crescente e decre-scente temperatura, come dice Sir Norman Lockyer, èchiaro e suggestivo. Durante il periodo ascendente lamassa e il calore di una stella aumentano, per il conti-nuo accentramento di materie meteoriche che la gravitàattira, o che cadono per virtù del proprio moto di masseindipendenti. Questo processo dura fino a che tutta lamateria, che circonda la stella a una certa distanza, nonsia stata utilizzata, in modo che il corpo raggiunga ilmassimo volume, il massimo calore e la massima luce.

A questo punto la perdita di calore che avviene per ir-radiazione non è abbastanza compensata dal flusso dinuova materia, e si determina una lenta contrazione, ac-compagnata da un leggero aumento di temperatura.Quindi, dovuti alle più stabili condizioni, si formanocontinuamente strati di metalli allo stato gassoso, i qualiimpediscono la soverchia dispersione di calore, e atte-nuano la soverchia luce della massa. Con ciò si spiegacome alcuni corpi, come il nostro sole, possano esserepiù caldi delle stelle più brillanti e più bianche, pur nontramandando altrettanto calore. In tal modo la dispersio-ne di calore è minore, e questo ci può dare la spiegazio-ne del fatto indubitabile che dalle lunghissime epochegeologiche ad oggi vi è stata pochissima diminuzionenella quantità di calore che il sole ci tramanda.

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so evolutivo dei gruppi stellari che sono diversamentecostituiti, ci si potrebbe così rivelare assai dissimile.

Malgrado questa restrizione, il processo di evoluzionee di decadenza dei soli, per fasi di crescente e decre-scente temperatura, come dice Sir Norman Lockyer, èchiaro e suggestivo. Durante il periodo ascendente lamassa e il calore di una stella aumentano, per il conti-nuo accentramento di materie meteoriche che la gravitàattira, o che cadono per virtù del proprio moto di masseindipendenti. Questo processo dura fino a che tutta lamateria, che circonda la stella a una certa distanza, nonsia stata utilizzata, in modo che il corpo raggiunga ilmassimo volume, il massimo calore e la massima luce.

A questo punto la perdita di calore che avviene per ir-radiazione non è abbastanza compensata dal flusso dinuova materia, e si determina una lenta contrazione, ac-compagnata da un leggero aumento di temperatura.Quindi, dovuti alle più stabili condizioni, si formanocontinuamente strati di metalli allo stato gassoso, i qualiimpediscono la soverchia dispersione di calore, e atte-nuano la soverchia luce della massa. Con ciò si spiegacome alcuni corpi, come il nostro sole, possano esserepiù caldi delle stelle più brillanti e più bianche, pur nontramandando altrettanto calore. In tal modo la dispersio-ne di calore è minore, e questo ci può dare la spiegazio-ne del fatto indubitabile che dalle lunghissime epochegeologiche ad oggi vi è stata pochissima diminuzionenella quantità di calore che il sole ci tramanda.

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Per quel che riguarda la questione dell'ipotesi meteo-rica, uno dei nostri primi matematici, il prof. GiorgioDarwin, così si esprime: «L'idea che i corpi planetari siaccrescano per l'aggregamento di meteore è plausibile, efors'anco appare più probabile dell'altra ipotesi, secondola quale l'intero sistema solare provenga da uno statogassoso». Per conto mio aggiungo che una delle princi-pali obbiezioni che siano state fatte è che le meteoresono già troppo complicate, per poter essere consideratecome materia primitiva, della quale i soli e i mondi sia-no stati fatti, obbiezione che non trovo valida. La mate-ria primordiale, qualunque essa fosse, deve essere stataimpiegata continuamente, e se collisioni tra globi grandie immensi non sono mai avvenute – e ciò viene asseritoda molti astronomi – allora le particelle meteoriche,qualunque fosse la loro grandezza, avrebbero prodottociò che sembra una complicazione di costituzione mine-rale. L'Universo materiale, probabilmente, ha esistitomolto tempo prima dei primitivi elementi, e si è poi apoco a poco trasformato in essi, dando origine ai mine-rali che troviamo sopra la terra, e a molti altri ancora.Non sarà mai adunque abbastanza ripetuta l'affermazio-ne che nessuna spiegazione, nessuna teoria potrà maicondurci alla vera origine delle cose; soltanto potremofar qualche passo incerto nelle tenebre del passato, percomprendere, per quanto imperfettamente, il processoseguìto dal mondo, o Universo, per svilupparsi ed ab-bandonare la sua primitiva e più semplice condizione.

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Per quel che riguarda la questione dell'ipotesi meteo-rica, uno dei nostri primi matematici, il prof. GiorgioDarwin, così si esprime: «L'idea che i corpi planetari siaccrescano per l'aggregamento di meteore è plausibile, efors'anco appare più probabile dell'altra ipotesi, secondola quale l'intero sistema solare provenga da uno statogassoso». Per conto mio aggiungo che una delle princi-pali obbiezioni che siano state fatte è che le meteoresono già troppo complicate, per poter essere consideratecome materia primitiva, della quale i soli e i mondi sia-no stati fatti, obbiezione che non trovo valida. La mate-ria primordiale, qualunque essa fosse, deve essere stataimpiegata continuamente, e se collisioni tra globi grandie immensi non sono mai avvenute – e ciò viene asseritoda molti astronomi – allora le particelle meteoriche,qualunque fosse la loro grandezza, avrebbero prodottociò che sembra una complicazione di costituzione mine-rale. L'Universo materiale, probabilmente, ha esistitomolto tempo prima dei primitivi elementi, e si è poi apoco a poco trasformato in essi, dando origine ai mine-rali che troviamo sopra la terra, e a molti altri ancora.Non sarà mai adunque abbastanza ripetuta l'affermazio-ne che nessuna spiegazione, nessuna teoria potrà maicondurci alla vera origine delle cose; soltanto potremofar qualche passo incerto nelle tenebre del passato, percomprendere, per quanto imperfettamente, il processoseguìto dal mondo, o Universo, per svilupparsi ed ab-bandonare la sua primitiva e più semplice condizione.

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CAPITOLO VII.IL NUMERO DELLE STELLE È

INFINITO?

Molti dei critici della mia prima nota su questo argo-mento14 hanno dato un gran peso all'obbiezione rivolta-mi, cioè all'impossibilità in cui siamo di provare chel'Universo – di cui noi vediamo soltanto una parte – nonsia infinito. Un dotto astronomo conosciutissimo15 ha af-fermato che – a meno che non possa venir dimostratoche il nostro Universo abbia dei limiti – ogni argomen-tazione, fondata sulla posizione che noi occupiamo inesso, non è sostenibile.

14 L'idea fondamentale di questo libro fu riassunta dapprimabrevemente dal Wallace in un articolo pubblicato in The Fort-nightly Review, marzo 1903. – N. d. T.

15 Evidentemente qui l'autore accenna a H. H. Turner, profes-sore di astronomia ad Oxford, il quale nella stessa FortnightlyReview, aprile 1903, replicò brevemente all'articolo del Wallace. –N. d. T.

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CAPITOLO VII.IL NUMERO DELLE STELLE È

INFINITO?

Molti dei critici della mia prima nota su questo argo-mento14 hanno dato un gran peso all'obbiezione rivolta-mi, cioè all'impossibilità in cui siamo di provare chel'Universo – di cui noi vediamo soltanto una parte – nonsia infinito. Un dotto astronomo conosciutissimo15 ha af-fermato che – a meno che non possa venir dimostratoche il nostro Universo abbia dei limiti – ogni argomen-tazione, fondata sulla posizione che noi occupiamo inesso, non è sostenibile.

14 L'idea fondamentale di questo libro fu riassunta dapprimabrevemente dal Wallace in un articolo pubblicato in The Fort-nightly Review, marzo 1903. – N. d. T.

15 Evidentemente qui l'autore accenna a H. H. Turner, profes-sore di astronomia ad Oxford, il quale nella stessa FortnightlyReview, aprile 1903, replicò brevemente all'articolo del Wallace. –N. d. T.

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Io ho cercato di dilucidare l'obbiezione, piuttosto cheammettere incautamente che, se la massima evidenzasembra giustificarla, ogni ricerca intorno al posto chenoi occupiamo nell'Universo è inutile, poichè, se dob-biamo considerar l'Universo come infinito, non potremopiù distinguervi alcuna differenza di posizione. Manemmeno questo modo di vedere sarebbe in alcun modoesatto, poichè se anche l'Universo materiale fosse infini-to e contenesse un numero infinito di stelle, simili aquelle che noi possiamo scorgere, dovrebbe esistere an-cora un'infinita varietà di distribuzione e di ordinamenti,che darebbero a certe posizioni vantaggi maggiori diquelli che noi, a quanto credo, attualmente possediamo.

Supponiamo, per esempio, che al di là del vasto anel-lo formato dalla Via Lattea le stelle vadano diminuendorapidamente di numero in tutte le direzioni, per unaestensione che sia 100 o anche 1000 volte quella dellaVia Lattea stessa, e che quindi, per una estensione altret-tanto grande, vadano aumentando lentamente un'altravolta, per formare nuovi sistemi o Universi, diversi deltutto dal nostro sia per la forma che per la costituzione,e così lontani da non possedere alcuna influenza sul no-stro globo. Io sostengo che in tal caso il nostro posto nelnostro Universo stellare dovrebbe avere assolutamentela stessa importanza, e dovrebbe essere consideratocome se il nostro fosse l'unico Universo materiale esi-stente, con attiva emissione di energia e aggregazione dimateria, come se l'apparente diminuzione del numerodelle stelle – fatto del resto già osservato – possa farci

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Io ho cercato di dilucidare l'obbiezione, piuttosto cheammettere incautamente che, se la massima evidenzasembra giustificarla, ogni ricerca intorno al posto chenoi occupiamo nell'Universo è inutile, poichè, se dob-biamo considerar l'Universo come infinito, non potremopiù distinguervi alcuna differenza di posizione. Manemmeno questo modo di vedere sarebbe in alcun modoesatto, poichè se anche l'Universo materiale fosse infini-to e contenesse un numero infinito di stelle, simili aquelle che noi possiamo scorgere, dovrebbe esistere an-cora un'infinita varietà di distribuzione e di ordinamenti,che darebbero a certe posizioni vantaggi maggiori diquelli che noi, a quanto credo, attualmente possediamo.

Supponiamo, per esempio, che al di là del vasto anel-lo formato dalla Via Lattea le stelle vadano diminuendorapidamente di numero in tutte le direzioni, per unaestensione che sia 100 o anche 1000 volte quella dellaVia Lattea stessa, e che quindi, per una estensione altret-tanto grande, vadano aumentando lentamente un'altravolta, per formare nuovi sistemi o Universi, diversi deltutto dal nostro sia per la forma che per la costituzione,e così lontani da non possedere alcuna influenza sul no-stro globo. Io sostengo che in tal caso il nostro posto nelnostro Universo stellare dovrebbe avere assolutamentela stessa importanza, e dovrebbe essere consideratocome se il nostro fosse l'unico Universo materiale esi-stente, con attiva emissione di energia e aggregazione dimateria, come se l'apparente diminuzione del numerodelle stelle – fatto del resto già osservato – possa farci

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supporre che tale diminuzione continui, tanto che a unadistanza a noi sconosciuta non ne esista più alcuna16. Maio non voglio discutere se altri Universi esistano, mate-riali o no, nè propendo per l'affermativa o per la negati-va. Io credo che tutte le speculazioni su ciò che può esi-stere o non esistere nello spazio infinito siano prive dialcun valore. Ho limitato strettamente le mie ricerche aciò che è sino all'evidenza dimostrato dagli astronomicontemporanei, e alle dirette conseguenze logiche che sene possono trarre. Nondimeno, con mia grande sorpresa,il mio più grande avversario dichiara che «il più graveerrore del dottor Wallace è per l'appunto quello di averragionato dell'infinito, cui non può arrivare l'intellettoumano dalla stretta cerchia che noi possiamo abbraccia-re con la nostra limitata percezione». Io, per certo, mailo feci, ma lo fecero molti altri astronomi. Il defuntoRiccardo Proctor non solo discusse continuamente laquestione riguardante la materia infinita e lo spazio infi-nito, ma inoltre argomentò, dai supposti attributi dellaDivinità, sulla necessità che questo nostro Universo ma-teriale sia infinito; e l'ultimo capitolo della sua operaOther Worlds than Ours è interamente dedicato a taleargomento. In un suo lavoro successivo, intitolato OurPlace among Infinities, egli dice che «l'ammaestramentodella scienza ci mette in presenza della indiscutibile in-finità del tempo e dello spazio, e della infinità probabile

16 In una lettera al Knowledge, giugno 1903, W. H. T. Monckarriva alla stessa conclusione per mezzo di formule matematiche.

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supporre che tale diminuzione continui, tanto che a unadistanza a noi sconosciuta non ne esista più alcuna16. Maio non voglio discutere se altri Universi esistano, mate-riali o no, nè propendo per l'affermativa o per la negati-va. Io credo che tutte le speculazioni su ciò che può esi-stere o non esistere nello spazio infinito siano prive dialcun valore. Ho limitato strettamente le mie ricerche aciò che è sino all'evidenza dimostrato dagli astronomicontemporanei, e alle dirette conseguenze logiche che sene possono trarre. Nondimeno, con mia grande sorpresa,il mio più grande avversario dichiara che «il più graveerrore del dottor Wallace è per l'appunto quello di averragionato dell'infinito, cui non può arrivare l'intellettoumano dalla stretta cerchia che noi possiamo abbraccia-re con la nostra limitata percezione». Io, per certo, mailo feci, ma lo fecero molti altri astronomi. Il defuntoRiccardo Proctor non solo discusse continuamente laquestione riguardante la materia infinita e lo spazio infi-nito, ma inoltre argomentò, dai supposti attributi dellaDivinità, sulla necessità che questo nostro Universo ma-teriale sia infinito; e l'ultimo capitolo della sua operaOther Worlds than Ours è interamente dedicato a taleargomento. In un suo lavoro successivo, intitolato OurPlace among Infinities, egli dice che «l'ammaestramentodella scienza ci mette in presenza della indiscutibile in-finità del tempo e dello spazio, e della infinità probabile

16 In una lettera al Knowledge, giugno 1903, W. H. T. Monckarriva alla stessa conclusione per mezzo di formule matematiche.

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della materia e dei suoi effetti; siamo quindi in presenzadi una infinità di energia. Ma la scienza niente ci dice,niente c'insegna circa queste infinità che rimangono in-concepibili; tuttavia forse potremo giungere a persua-derci della loro realtà.»

Tutto ciò è molto logico, e quest'ultima affermazioneè altamente importante. Nondimeno molti scrittori con-fessano che queste idee di infinità esercitano un'influen-za sui loro ragionamenti. Nell'opera postuma di Proctor:Old and New Astronomy, il defunto Ranyard, che se nefece editore, scrisse: «Se noi rigettiamo come un'aberra-zione della nostra mente la supposizione che l'Universosia non infinito, ci troveremo di fronte a un dilemma: ol'etere che ci trasmette la luce delle stelle non è perfetta-mente elastico, o una grande quantità della luce emessadalle stelle è obliterata da corpi oscuri.» Abbiamo quiun dotto astronomo, che confessa di avere ripugnanzaper l'idea di un Universo finito, il quale semplifichereb-be i suoi ragionamenti sugli attuali fenomeni che noipossiamo osservare. In tal modo egli fa esattamentequello di cui sono stato accusato io, erroneamente, dalmio critico. Ma, mettendo da parte qualsiasi idea o pre-venzione su quanto sopra abbiamo detto, vediamo qualisiano i fatti reali, indagati coi migliori strumenti astro-nomici, e quali le naturali e logiche illazioni che da talifatti si possono ritrarre.

L'opinione degli astronomi che più accuratamentehanno studiato l'argomento di cui ci occupiamo, è, ingenerale, favorevole all'affermazione che l'Universo

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della materia e dei suoi effetti; siamo quindi in presenzadi una infinità di energia. Ma la scienza niente ci dice,niente c'insegna circa queste infinità che rimangono in-concepibili; tuttavia forse potremo giungere a persua-derci della loro realtà.»

Tutto ciò è molto logico, e quest'ultima affermazioneè altamente importante. Nondimeno molti scrittori con-fessano che queste idee di infinità esercitano un'influen-za sui loro ragionamenti. Nell'opera postuma di Proctor:Old and New Astronomy, il defunto Ranyard, che se nefece editore, scrisse: «Se noi rigettiamo come un'aberra-zione della nostra mente la supposizione che l'Universosia non infinito, ci troveremo di fronte a un dilemma: ol'etere che ci trasmette la luce delle stelle non è perfetta-mente elastico, o una grande quantità della luce emessadalle stelle è obliterata da corpi oscuri.» Abbiamo quiun dotto astronomo, che confessa di avere ripugnanzaper l'idea di un Universo finito, il quale semplifichereb-be i suoi ragionamenti sugli attuali fenomeni che noipossiamo osservare. In tal modo egli fa esattamentequello di cui sono stato accusato io, erroneamente, dalmio critico. Ma, mettendo da parte qualsiasi idea o pre-venzione su quanto sopra abbiamo detto, vediamo qualisiano i fatti reali, indagati coi migliori strumenti astro-nomici, e quali le naturali e logiche illazioni che da talifatti si possono ritrarre.

L'opinione degli astronomi che più accuratamentehanno studiato l'argomento di cui ci occupiamo, è, ingenerale, favorevole all'affermazione che l'Universo

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stellare abbia una estensione limitata, e che anche lestelle, quindi, siano in numero limitato. Qualche citazio-ne, insieme ai fatti e alle osservazioni sui quali è fonda-ta, potrà spiegar meglio il loro pensiero su questo argo-mento.

Miss A. M. Clerke nel suo mirabile volume: The Sy-stem of the Stars, dice: «Il mondo siderale ha tutte le ap-parenze di un sistema finito. È quasi certezza la probabi-lità che lo spazio sparso di stelle sia di dimensioni misu-rabili, poichè, in caso diverso, se le stelle cioè fosseroinnumerevoli, si avrebbe una tale quantità di radiazioniluminose, da fugare ogni tenebre dal nostro cielo, e lospazio immenso, rosseggiante di raggi di inestinguibilisoli, affaticherebbe i nostri sensi col suo monotonosplendore.... A meno che, come si afferma, la luce nonci arrivi attenuata a causa della lontananza.... Ma l'affer-mazione non ci dimostra che tale perdita sia reale anzicontrari indizi la combattono, e l'asserzione che essainevitabilmente avvenga dipende da analogie che posso-no essere del tutto fantastiche. Per ora quindi noi dob-biamo tener poco conto di un problematico effetto diuna più che incerta causa.»

Il professor Simon Newcomb, uno dei più illustriastronomi e matematici americani, in un suo recente vo-lume: The Stars, 1902, arriva ad una conclusione simile.Il suo libro si chiude con queste parole: «L'insieme dellestelle che noi chiamiamo Universo ha una estensione li-mitata. Le stelle più piccole, che noi possiamo vederesoltanto con l'aiuto di un potente telescopio, non sono,

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stellare abbia una estensione limitata, e che anche lestelle, quindi, siano in numero limitato. Qualche citazio-ne, insieme ai fatti e alle osservazioni sui quali è fonda-ta, potrà spiegar meglio il loro pensiero su questo argo-mento.

Miss A. M. Clerke nel suo mirabile volume: The Sy-stem of the Stars, dice: «Il mondo siderale ha tutte le ap-parenze di un sistema finito. È quasi certezza la probabi-lità che lo spazio sparso di stelle sia di dimensioni misu-rabili, poichè, in caso diverso, se le stelle cioè fosseroinnumerevoli, si avrebbe una tale quantità di radiazioniluminose, da fugare ogni tenebre dal nostro cielo, e lospazio immenso, rosseggiante di raggi di inestinguibilisoli, affaticherebbe i nostri sensi col suo monotonosplendore.... A meno che, come si afferma, la luce nonci arrivi attenuata a causa della lontananza.... Ma l'affer-mazione non ci dimostra che tale perdita sia reale anzicontrari indizi la combattono, e l'asserzione che essainevitabilmente avvenga dipende da analogie che posso-no essere del tutto fantastiche. Per ora quindi noi dob-biamo tener poco conto di un problematico effetto diuna più che incerta causa.»

Il professor Simon Newcomb, uno dei più illustriastronomi e matematici americani, in un suo recente vo-lume: The Stars, 1902, arriva ad una conclusione simile.Il suo libro si chiude con queste parole: «L'insieme dellestelle che noi chiamiamo Universo ha una estensione li-mitata. Le stelle più piccole, che noi possiamo vederesoltanto con l'aiuto di un potente telescopio, non sono,

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per la maggior parte, separate da noi da una distanzamaggiore di quelle che hanno un grado di splendore piùintenso, esse non sono altro che stelle meno luminose,situate in una regione presso a poco equidistante» (pag.319). E a pag. 229 di questa stessa opera dà ragione del-la sua conclusione nei seguenti termini: «Vi è una leggeottica che viene a diradare in certo qual modo la que-stione. Supponiamo che le stelle siano sparse in unospazio infinito, in modo tale che, in media, qualsiasi re-gione dello spazio sia ugualmente ricca di stelle. A unadata distanza immaginiamo una sfera che abbia per cen-tro il nostro sole, al di là di questa sfera immaginiamoneun'altra di raggio più grande, e al di là di questa ancoraaltre e altre sfere equidistanti, in numero infinito. In talmodo avremo un'infinita successione di spazi sferici,ognuno di un uguale spessore.

«Il volume di ognuno di questi strati sferici sarà pres-so a poco proporzionale ai quadrati dei diametri dellesfere che lo limitano. Ciascuna delle regioni limitate tradue superficie sferiche conterà un numero di stelle, chediventerà maggiore proporzionalmente al quadrato delraggio della regione stessa. Poichè la quantità di luceche noi riceviamo da ogni stella è inversa al quadratodella distanza della stella stessa, è evidente che la quan-tità totale di luce emessa da tutte le stelle di ciascunadelle regioni sferiche immaginate sarà costante, per cui,immaginando sempre nuove sfere, possiamo immagina-re anche un aumento di luce sempre uguale per ogni sfe-ra aggiunta, e in modo illimitato. Il risultato di ciò sa-

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per la maggior parte, separate da noi da una distanzamaggiore di quelle che hanno un grado di splendore piùintenso, esse non sono altro che stelle meno luminose,situate in una regione presso a poco equidistante» (pag.319). E a pag. 229 di questa stessa opera dà ragione del-la sua conclusione nei seguenti termini: «Vi è una leggeottica che viene a diradare in certo qual modo la que-stione. Supponiamo che le stelle siano sparse in unospazio infinito, in modo tale che, in media, qualsiasi re-gione dello spazio sia ugualmente ricca di stelle. A unadata distanza immaginiamo una sfera che abbia per cen-tro il nostro sole, al di là di questa sfera immaginiamoneun'altra di raggio più grande, e al di là di questa ancoraaltre e altre sfere equidistanti, in numero infinito. In talmodo avremo un'infinita successione di spazi sferici,ognuno di un uguale spessore.

«Il volume di ognuno di questi strati sferici sarà pres-so a poco proporzionale ai quadrati dei diametri dellesfere che lo limitano. Ciascuna delle regioni limitate tradue superficie sferiche conterà un numero di stelle, chediventerà maggiore proporzionalmente al quadrato delraggio della regione stessa. Poichè la quantità di luceche noi riceviamo da ogni stella è inversa al quadratodella distanza della stella stessa, è evidente che la quan-tità totale di luce emessa da tutte le stelle di ciascunadelle regioni sferiche immaginate sarà costante, per cui,immaginando sempre nuove sfere, possiamo immagina-re anche un aumento di luce sempre uguale per ogni sfe-ra aggiunta, e in modo illimitato. Il risultato di ciò sa-

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rebbe questo: che se il sistema stellare si estendesse infi-nitamente, il cielo sarebbe completamente coperto da unbagliore simile alla luce del sole.»

Ma la quantità di luce che ci inviano le stelle è stima-ta da un quattordicesimo a un ventesimo, o, al minimo,a un decimo di quella della luna, mentre la luce solare èuguale a quella che emetterebbero 300.000 lune piene.La luce delle stelle equivale adunque alla sestamilione-sima parte di quella solare. Tenendo questo bene inmente, le possibili cause della quasi scomparsa dellaluce stellare, (se le stelle fossero infinite e distribuite, inmedia, così fitte al di là della Via Lattea come quelleche vi sono contenute) rappresentano delle ipotesi addi-rittura assurde. Tali cause sarebbero: 1. la perdita di luceattraverso l'etere; 2. le stelle opache o la polvere meteo-rica, che intercetterebbero una parte di luce. In quantoalla prima causa, come generalmente è ammesso, non visono fatti evidenti che la provino, nondimeno si può cre-dere con molta evidenza che se essa esiste, la sua azioneè così piccola da non produrre alcun effetto sensibile peruna distanza minore di centinaia e forse di migliaia divolte quella della Via Lattea. Questa probabilità la desu-miamo dal fatto che le stelle le più brillanti non sonosempre, e neppure in gran parte, le più vicine a noi,come vien provato dal lento moto proprio di esse e dallamancanza di parallasse misurabile. Gore dimostra che,su venticinque stelle le quali hanno un movimento pro-prio annuo di due secondi, soltanto due oltrepassano laterza grandezza. Molte stelle di prima grandezza, com-

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rebbe questo: che se il sistema stellare si estendesse infi-nitamente, il cielo sarebbe completamente coperto da unbagliore simile alla luce del sole.»

Ma la quantità di luce che ci inviano le stelle è stima-ta da un quattordicesimo a un ventesimo, o, al minimo,a un decimo di quella della luna, mentre la luce solare èuguale a quella che emetterebbero 300.000 lune piene.La luce delle stelle equivale adunque alla sestamilione-sima parte di quella solare. Tenendo questo bene inmente, le possibili cause della quasi scomparsa dellaluce stellare, (se le stelle fossero infinite e distribuite, inmedia, così fitte al di là della Via Lattea come quelleche vi sono contenute) rappresentano delle ipotesi addi-rittura assurde. Tali cause sarebbero: 1. la perdita di luceattraverso l'etere; 2. le stelle opache o la polvere meteo-rica, che intercetterebbero una parte di luce. In quantoalla prima causa, come generalmente è ammesso, non visono fatti evidenti che la provino, nondimeno si può cre-dere con molta evidenza che se essa esiste, la sua azioneè così piccola da non produrre alcun effetto sensibile peruna distanza minore di centinaia e forse di migliaia divolte quella della Via Lattea. Questa probabilità la desu-miamo dal fatto che le stelle le più brillanti non sonosempre, e neppure in gran parte, le più vicine a noi,come vien provato dal lento moto proprio di esse e dallamancanza di parallasse misurabile. Gore dimostra che,su venticinque stelle le quali hanno un movimento pro-prio annuo di due secondi, soltanto due oltrepassano laterza grandezza. Molte stelle di prima grandezza, com-

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preso Canopus, che per splendore è la seconda stella frale più brillanti, sono così lontane che non è stato possi-bile calcolare la loro parallasse, per quanti sforzi si sia-no ripetutamente fatti. Queste stelle debbono adunqueesser molto più lontane di molte altre piccole e telesco-piche, e forse altrettanto lontane che la Via Lattea, nellaquale è possibile scorgere tante stelle brillanti; quindi, seuna considerevole quantità di luce venisse dispersa nelpercorrere tale distanza, poche dovrebbero essere le stel-le tra quelle di prima, seconda e terza grandezza moltolontane da noi. Delle ventitre stelle di prima grandezzasoltanto dieci hanno una parallasse di un ventesimo disecondo, e cinque delle più piccole tra esse hanno unaparallasse di appena uno o due centesimi di secondo; didue di esse non si può affermare se una parallasse esista.Vi sono inoltre 309 stelle della grandezza 3,5; ebbene,soltanto trentuna di esse posseggono un movimento pro-prio maggiore di 100 secondi in un secolo, e soltanto di-ciotto hanno una parallase che supera un ventesimo disecondo. Questi dati sono stati tolti dalle tavole conte-nute nel volume del professor Newcomb, ed hanno ungrandissimo significato, perchè provano che le stelle piùbrillanti non sono quelle a noi più vicine, e più ancoraperchè dimostrano che delle settantadue stelle la cui di-stanza è stata misurata con una certezza assai approssi-mativa, soltanto ventitre superano la grandezza 3,5, conuna parallasse maggiore di un cinquantesimo di secon-do, mentre non sono meno di 49 quelle inferiori all'otta-

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preso Canopus, che per splendore è la seconda stella frale più brillanti, sono così lontane che non è stato possi-bile calcolare la loro parallasse, per quanti sforzi si sia-no ripetutamente fatti. Queste stelle debbono adunqueesser molto più lontane di molte altre piccole e telesco-piche, e forse altrettanto lontane che la Via Lattea, nellaquale è possibile scorgere tante stelle brillanti; quindi, seuna considerevole quantità di luce venisse dispersa nelpercorrere tale distanza, poche dovrebbero essere le stel-le tra quelle di prima, seconda e terza grandezza moltolontane da noi. Delle ventitre stelle di prima grandezzasoltanto dieci hanno una parallasse di un ventesimo disecondo, e cinque delle più piccole tra esse hanno unaparallasse di appena uno o due centesimi di secondo; didue di esse non si può affermare se una parallasse esista.Vi sono inoltre 309 stelle della grandezza 3,5; ebbene,soltanto trentuna di esse posseggono un movimento pro-prio maggiore di 100 secondi in un secolo, e soltanto di-ciotto hanno una parallase che supera un ventesimo disecondo. Questi dati sono stati tolti dalle tavole conte-nute nel volume del professor Newcomb, ed hanno ungrandissimo significato, perchè provano che le stelle piùbrillanti non sono quelle a noi più vicine, e più ancoraperchè dimostrano che delle settantadue stelle la cui di-stanza è stata misurata con una certezza assai approssi-mativa, soltanto ventitre superano la grandezza 3,5, conuna parallasse maggiore di un cinquantesimo di secon-do, mentre non sono meno di 49 quelle inferiori all'otta-

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va e nona grandezza, le quali sono a noi più vicine diquelle più brillanti!

Se esaminiamo le stelle di cui la parallasse è stata mi-surata dal professor Newcomb, troviamo che la parallas-se media di trentadue stelle delle più lucenti (a comin-ciare dalla grandezza 3,5, sino a Sirio) è di 0,11 di se-condo, e quella di quarantuna altre stelle, minori dellagrandezza 3, 5, e sino alla grandezza 9,5, è di 0,21 di se-condo, il che dimostra che in media soltanto la metà diqueste stelle sono più lontane da noi di quelle più bril-lanti.

A una identica conclusione è giunto Thomas Lewis,dell'osservatorio di Greenwich, nel 1895, cioè, che lestelle comprese tra le grandezze 2,70 e 8,40 circa, hannoin media una parallasse che è doppia di quella delle stel-le più lucenti. Questo fatto strano e inaspettato può esserconsiderato come evidentemente contrario all'idea cheavvenga una certa dispersione di luce nelle stelle più di-stanti, al paragone della luce di quelle più vicine, poi-chè, se una tal dispersione avvenisse, il fatto sarebbe dimolto più difficile spiegazione, perchè esso tenderebbead esagerare la dispersione della luce delle stelle piùlontane. Le stelle più brillanti essendo quasi tutte da noipiù lontane di quello che non siano le meno lucenti finoall'ottava o nona grandezza, si può ritenere che, se vera-mente una dispersione di luce avviene, le stelle più bril-lanti debbono essere realmente molto più luminose diquello che ci sembra, perchè a causa della enorme lonta-nanza una parte della loro luce si disperde prima di

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va e nona grandezza, le quali sono a noi più vicine diquelle più brillanti!

Se esaminiamo le stelle di cui la parallasse è stata mi-surata dal professor Newcomb, troviamo che la parallas-se media di trentadue stelle delle più lucenti (a comin-ciare dalla grandezza 3,5, sino a Sirio) è di 0,11 di se-condo, e quella di quarantuna altre stelle, minori dellagrandezza 3, 5, e sino alla grandezza 9,5, è di 0,21 di se-condo, il che dimostra che in media soltanto la metà diqueste stelle sono più lontane da noi di quelle più bril-lanti.

A una identica conclusione è giunto Thomas Lewis,dell'osservatorio di Greenwich, nel 1895, cioè, che lestelle comprese tra le grandezze 2,70 e 8,40 circa, hannoin media una parallasse che è doppia di quella delle stel-le più lucenti. Questo fatto strano e inaspettato può esserconsiderato come evidentemente contrario all'idea cheavvenga una certa dispersione di luce nelle stelle più di-stanti, al paragone della luce di quelle più vicine, poi-chè, se una tal dispersione avvenisse, il fatto sarebbe dimolto più difficile spiegazione, perchè esso tenderebbead esagerare la dispersione della luce delle stelle piùlontane. Le stelle più brillanti essendo quasi tutte da noipiù lontane di quello che non siano le meno lucenti finoall'ottava o nona grandezza, si può ritenere che, se vera-mente una dispersione di luce avviene, le stelle più bril-lanti debbono essere realmente molto più luminose diquello che ci sembra, perchè a causa della enorme lonta-nanza una parte della loro luce si disperde prima di

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giungere a noi. Certamente bisogna convenire che non èstato dimostrato che la luce non subisca alcuna disper-sione traversando lo spazio, ma d'altro canto è precisa-mente all'opposta conclusione che noi potremmo venire:se le stelle più distanti fossero sensibilmente offuscateda questa causa, ciò potrebbe esser considerato comeprova che se vi è perdita di luce, essa deve esser cosìpiccola da non aver alcuna importanza nei limiti del no-stro sistema stellare, del quale noi esclusivamente ci oc-cupiamo.

Questo notevole fatto della enorme distanza dellamaggior parte delle stelle più brillanti rappresenta un al-tro valido argomento contro la dispersione della lucecausata da corpi oscuri o da polvere cosmica, poichè, sela luce delle stelle che hanno una parallasse minore diun quindicesimo di secondo non viene diminuita inmodo apprezzabile, il fatto non può avere alcuna impor-tanza nei limiti del nostro Universo.

Tanto il signor E. V. Maunder dell'osservatorio diGreenwich, che il professore W. W. Turner dell'osserva-torio di Oxford, annettono molta importanza a questicorpi oscuri, e il già menzionato Sir Robert Ball asseri-sce che «le stelle oscure sono incomparabilmente piúnumerose di quelle che noi possiamo vedere.... e che seci provassimo a contar tutte le stelle che esistono nel no-stro Universo, limitandoci a quelle di cui possiamo scor-gere il temporaneo splendore, sarebbe lo stesso che sevolessimo valutare il numero dei ferri di cavallo che esi-stono in Inghilterra, computando soltanto quelli che

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giungere a noi. Certamente bisogna convenire che non èstato dimostrato che la luce non subisca alcuna disper-sione traversando lo spazio, ma d'altro canto è precisa-mente all'opposta conclusione che noi potremmo venire:se le stelle più distanti fossero sensibilmente offuscateda questa causa, ciò potrebbe esser considerato comeprova che se vi è perdita di luce, essa deve esser cosìpiccola da non aver alcuna importanza nei limiti del no-stro sistema stellare, del quale noi esclusivamente ci oc-cupiamo.

Questo notevole fatto della enorme distanza dellamaggior parte delle stelle più brillanti rappresenta un al-tro valido argomento contro la dispersione della lucecausata da corpi oscuri o da polvere cosmica, poichè, sela luce delle stelle che hanno una parallasse minore diun quindicesimo di secondo non viene diminuita inmodo apprezzabile, il fatto non può avere alcuna impor-tanza nei limiti del nostro Universo.

Tanto il signor E. V. Maunder dell'osservatorio diGreenwich, che il professore W. W. Turner dell'osserva-torio di Oxford, annettono molta importanza a questicorpi oscuri, e il già menzionato Sir Robert Ball asseri-sce che «le stelle oscure sono incomparabilmente piúnumerose di quelle che noi possiamo vedere.... e che seci provassimo a contar tutte le stelle che esistono nel no-stro Universo, limitandoci a quelle di cui possiamo scor-gere il temporaneo splendore, sarebbe lo stesso che sevolessimo valutare il numero dei ferri di cavallo che esi-stono in Inghilterra, computando soltanto quelli che

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sono in fabbricazione.» Ma la proporzione delle stelleoscure (o nebulose) con quelle brillanti non può esserdeterminata a priori, perchè essa dipende dalle causedel calore delle stelle, e dalla frequenza con cui questecause agiscono nella vita delle stelle luminose. Sarebbenecessario conoscere bene, prima della costanza dellaluce delle stelle brillanti durante il periodo storico, e conmolta maggior precisione, la durata delle lunghissimeepoche nelle quali il nostro sole ha alimentato la vitadella terra, epoche che debbono essere immensamenteminori della intera esistenza del nostro luminare, consi-derato come donatore di luce e di calore, poichè la vitadel maggior numero delle stelle deve esser misurata acentinaia e forse a migliaia di milioni d'anni. Ma nonpossediamo alcuna cognizione sulla rapidità del proces-so di formazione delle stelle. Quelle che sono chiamatenuove, e che appariscono occasionalmente, appartengo-no evidentemente a un diverso tipo; il loro bagliore simostra d'un tratto e presto si dilegua, sopravvenendouna totale oscurità, quindi tali stelle ridivengono del tut-to invisibili. Ma le vere stelle, con ogni probabilità, pas-sano per i loro stadi di sviluppo (origine, aumento, ma-turità e decadenza) con estrema lentezza. Non è quindipossibile per noi determinare, per mezzo dell'osserva-zione diretta, il momento in cui si originano e quello incui si spengono. Da questo punto di vista esse somiglia-no alle specie del mondo organico. Esse dapprimaavrebbero potuto, probabilmente, essere a noi note, ai li-miti estremi della visibilità telescopica o della sensibili-

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sono in fabbricazione.» Ma la proporzione delle stelleoscure (o nebulose) con quelle brillanti non può esserdeterminata a priori, perchè essa dipende dalle causedel calore delle stelle, e dalla frequenza con cui questecause agiscono nella vita delle stelle luminose. Sarebbenecessario conoscere bene, prima della costanza dellaluce delle stelle brillanti durante il periodo storico, e conmolta maggior precisione, la durata delle lunghissimeepoche nelle quali il nostro sole ha alimentato la vitadella terra, epoche che debbono essere immensamenteminori della intera esistenza del nostro luminare, consi-derato come donatore di luce e di calore, poichè la vitadel maggior numero delle stelle deve esser misurata acentinaia e forse a migliaia di milioni d'anni. Ma nonpossediamo alcuna cognizione sulla rapidità del proces-so di formazione delle stelle. Quelle che sono chiamatenuove, e che appariscono occasionalmente, appartengo-no evidentemente a un diverso tipo; il loro bagliore simostra d'un tratto e presto si dilegua, sopravvenendouna totale oscurità, quindi tali stelle ridivengono del tut-to invisibili. Ma le vere stelle, con ogni probabilità, pas-sano per i loro stadi di sviluppo (origine, aumento, ma-turità e decadenza) con estrema lentezza. Non è quindipossibile per noi determinare, per mezzo dell'osserva-zione diretta, il momento in cui si originano e quello incui si spengono. Da questo punto di vista esse somiglia-no alle specie del mondo organico. Esse dapprimaavrebbero potuto, probabilmente, essere a noi note, ai li-miti estremi della visibilità telescopica o della sensibili-

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tà fotografica, come stelle o piccole nebulose, el'aumento della loro luce deve esser avvenuto così lenta-mente, da dover essere trascorsi centinaia e migliaiad'anni prima che noi le potessimo distinguere distinta-mente.

Non accettare questo argomento solo per il fatto chenoi non abbiamo mai veduto il nascere di una vera stellapermanente, il che deve essere perciò molto raro, rap-presenta una cosa assurda e priva di alcun valore. Nuovestelle possono avere origine ogni anno ed anche ognigiorno, senza che sia possibile, per noi, l'accorgercene.Se ciò realmente accadesse, la riserva dei corpi oscuri,sia riuniti in grande masse, sia allo stato di polvere co-smica, lungi dall'essere incomparabilmente più numero-sa delle stelle visibili e delle nebulose, potrebbe ancheessere uguale, o, al più, poco più grande, e in questocaso, considerando l'enorme distanza che separa le stelle(o i sistemi stellari) l'una dall'altra, non potremmo rice-vere alcuna apprezzabile impressione se alla nostra vi-suale fosse nascosto un considerevole numero dei corpiluminosi che costituiscono l'Universo stellare. L'argo-mento del professor Newcomb, adunque, circa la picco-la quantità di luce perduta dalle stelle non è reso menovalido dai fatti e dagli argomenti addotti contro di esso.

W. H. T. Monck, in una lettera ad Knowledge (mag-gio 1903) appoggia fortemente la mia opinione dicendo:«La quantità di luce emessa dalla luna piena secondo imiei calcoli è di 1/300.000 appena quella del sole. Suppo-niamo che i corpi oscuri siano 150.000 volte più nume-

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tà fotografica, come stelle o piccole nebulose, el'aumento della loro luce deve esser avvenuto così lenta-mente, da dover essere trascorsi centinaia e migliaiad'anni prima che noi le potessimo distinguere distinta-mente.

Non accettare questo argomento solo per il fatto chenoi non abbiamo mai veduto il nascere di una vera stellapermanente, il che deve essere perciò molto raro, rap-presenta una cosa assurda e priva di alcun valore. Nuovestelle possono avere origine ogni anno ed anche ognigiorno, senza che sia possibile, per noi, l'accorgercene.Se ciò realmente accadesse, la riserva dei corpi oscuri,sia riuniti in grande masse, sia allo stato di polvere co-smica, lungi dall'essere incomparabilmente più numero-sa delle stelle visibili e delle nebulose, potrebbe ancheessere uguale, o, al più, poco più grande, e in questocaso, considerando l'enorme distanza che separa le stelle(o i sistemi stellari) l'una dall'altra, non potremmo rice-vere alcuna apprezzabile impressione se alla nostra vi-suale fosse nascosto un considerevole numero dei corpiluminosi che costituiscono l'Universo stellare. L'argo-mento del professor Newcomb, adunque, circa la picco-la quantità di luce perduta dalle stelle non è reso menovalido dai fatti e dagli argomenti addotti contro di esso.

W. H. T. Monck, in una lettera ad Knowledge (mag-gio 1903) appoggia fortemente la mia opinione dicendo:«La quantità di luce emessa dalla luna piena secondo imiei calcoli è di 1/300.000 appena quella del sole. Suppo-niamo che i corpi oscuri siano 150.000 volte più nume-

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rosi di quelli luminosi, allora tutto il cielo dovrebbe es-sere tanto luminoso quanto la parte illuminata dallaluna; ma tutti sappiamo che ciò non avviene. Ma si èdetto che le stelle, se sono infinite, devono estendersi in-finitamente in una certa direzione, per esempio in quelladella via Lattea, e sta bene, ma dove troviamo, osser-vando i punti più luminosi della Via Lattea, uno spaziodi grandezza angolare uguale a quello della luna, chetramandi a noi la medesima quantità di luce? Nei puntipiù brillanti la luce forse non arriva ad essere la centesi-ma parte di quella della luna piena».

Concludiamo adunque affermando che, se anche lestelle oscure fossero 15 milioni di volte più numerose diquelle luminose, l'argomento del Prof. Newcomb sareb-be ancora applicabile contro un infinito Universo di stel-le della stessa densità media della parte a noi visibile.

EVIDENZA TELESCOPICA DEI LIMITI DEL SISTEMASTELLARE

Sul principio del secolo decimonono i telescopi, chesi facevano vieppiù potenti, accrebbero in modo consi-derevole il numero delle stelle visibili, si credette quindiche il numero di queste sarebbe divenuto infinito, per-chè le stelle parevano davvero in numero infinito, tantoche non sarebbe stato possibile contarle. Ma in questiultimi anni è stato osservato che l'aumento delle stelle

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rosi di quelli luminosi, allora tutto il cielo dovrebbe es-sere tanto luminoso quanto la parte illuminata dallaluna; ma tutti sappiamo che ciò non avviene. Ma si èdetto che le stelle, se sono infinite, devono estendersi in-finitamente in una certa direzione, per esempio in quelladella via Lattea, e sta bene, ma dove troviamo, osser-vando i punti più luminosi della Via Lattea, uno spaziodi grandezza angolare uguale a quello della luna, chetramandi a noi la medesima quantità di luce? Nei puntipiù brillanti la luce forse non arriva ad essere la centesi-ma parte di quella della luna piena».

Concludiamo adunque affermando che, se anche lestelle oscure fossero 15 milioni di volte più numerose diquelle luminose, l'argomento del Prof. Newcomb sareb-be ancora applicabile contro un infinito Universo di stel-le della stessa densità media della parte a noi visibile.

EVIDENZA TELESCOPICA DEI LIMITI DEL SISTEMASTELLARE

Sul principio del secolo decimonono i telescopi, chesi facevano vieppiù potenti, accrebbero in modo consi-derevole il numero delle stelle visibili, si credette quindiche il numero di queste sarebbe divenuto infinito, per-chè le stelle parevano davvero in numero infinito, tantoche non sarebbe stato possibile contarle. Ma in questiultimi anni è stato osservato che l'aumento delle stelle

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visibili al telescopio non è così grande come si sarebbepotuto credere, e che, in molte parti del cielo, una lungaesposizione delle lastre fotografiche ha rivelato, relati-vamente, l'esistenza di poche stelle, oltre quelle ottenuteda una più breve esposizione del medesimo apparec-chio.

La testimonianza del signor I. E. Gore, è molto espli-cita. Egli afferma: «La poca riflessione che alcuni con-sacrano a questo argomento, produce il risultato di farcredere che il numero delle stelle sia infinito o almenocosì grande da non potersi contare. Questa idea è deltutto assurda, e non può attribuirsi che ad una completaignoranza delle scoperte astronomiche. È senza dubbiovero che, per una certa estensione, più il telescopio ado-perato per esaminare il cielo è potente, più il numerodelle stelle sembra aumentare, benchè sia indiscutibileche esista un limite nell'aumento del potere visivo tele-scopico, ed ogni evidenza chiaramente dimostri che ciandiamo rapidamente avvicinando a tale limite. Ma seb-bene il numero delle stelle visibili nelle Pleiadi sia au-mentato da quando il telescopio fu adoperato per la pri-ma volta, e sebbene la fotografia abbia in sèguito accre-sciuto anche maggiormente il numero delle stelle che sitrovano in questo bellissimo gruppo, è stato recentemen-te osservato che una più lunga esposizione (più di treore) aggiunge poche stelle al numero di quelle visibilinella fotografia presa all'osservatorio di Parigi nel 1885,nella quale se ne contano circa 2000. Inoltre, assiemecon questo gran numero di stelle che occupano una così

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visibili al telescopio non è così grande come si sarebbepotuto credere, e che, in molte parti del cielo, una lungaesposizione delle lastre fotografiche ha rivelato, relati-vamente, l'esistenza di poche stelle, oltre quelle ottenuteda una più breve esposizione del medesimo apparec-chio.

La testimonianza del signor I. E. Gore, è molto espli-cita. Egli afferma: «La poca riflessione che alcuni con-sacrano a questo argomento, produce il risultato di farcredere che il numero delle stelle sia infinito o almenocosì grande da non potersi contare. Questa idea è deltutto assurda, e non può attribuirsi che ad una completaignoranza delle scoperte astronomiche. È senza dubbiovero che, per una certa estensione, più il telescopio ado-perato per esaminare il cielo è potente, più il numerodelle stelle sembra aumentare, benchè sia indiscutibileche esista un limite nell'aumento del potere visivo tele-scopico, ed ogni evidenza chiaramente dimostri che ciandiamo rapidamente avvicinando a tale limite. Ma seb-bene il numero delle stelle visibili nelle Pleiadi sia au-mentato da quando il telescopio fu adoperato per la pri-ma volta, e sebbene la fotografia abbia in sèguito accre-sciuto anche maggiormente il numero delle stelle che sitrovano in questo bellissimo gruppo, è stato recentemen-te osservato che una più lunga esposizione (più di treore) aggiunge poche stelle al numero di quelle visibilinella fotografia presa all'osservatorio di Parigi nel 1885,nella quale se ne contano circa 2000. Inoltre, assiemecon questo gran numero di stelle che occupano una così

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piccola area del cielo, degli spazi vuoti, relativamentegrandi, si scorgono fra le stelle, ed un'occhiata data allafotografia originale basta per far comprendere quale am-pio spazio vi sarebbe per contenerne un numero molto emolto maggiore di quello che vediamo, tanto che io cre-do che se tutto il cielo fosse ricco di stelle come lo spa-zio occupato dalle Pleiadi, ve ne sarebbero almeno 33milioni in ambedue gli emisferi.»

Quindi, rammentando che il prof. Celoria, con un te-lescopio che rende visibili le stelle sino all'undecimagrandezza, potè vedere su per giù soltanto lo stesso nu-mero di stelle, vicino al polo della Via Lattea, di quelloveduto da Guglielmo Herschel con un telescopio, moltopiù grande e più potente, il Gore osserva: «La loro as-senza sembra fornirci una sicura prova che stelle moltodeboli non esistono in quella direzione e che, da quellaparte almeno, l'Universo siderale sia limitato».

Giovanni Herschel accenna al medesimo fenomeno, edice che anche nella Via Lattea si trovano «spazi assolu-tamente oscuri e affatto privi di stelle, anche di quelledella più piccola grandezza telescopica», ed aggiungeancora: «Se pure non mancano affatto, piccolissimesono le stelle e così poco numerose da farci irresistibil-mente concludere che in quelle regioni vediamo vera-mente al di là dello strato stellare, poichè altrimenti sa-rebbe impossibile, supponendo che la luce emessa dallestelle non sia intercettata, che il numero di quelle appar-tenenti alle più piccole grandezze non vada continua-mente aumentando all'infinito. Inoltre in tali casi il fon-

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piccola area del cielo, degli spazi vuoti, relativamentegrandi, si scorgono fra le stelle, ed un'occhiata data allafotografia originale basta per far comprendere quale am-pio spazio vi sarebbe per contenerne un numero molto emolto maggiore di quello che vediamo, tanto che io cre-do che se tutto il cielo fosse ricco di stelle come lo spa-zio occupato dalle Pleiadi, ve ne sarebbero almeno 33milioni in ambedue gli emisferi.»

Quindi, rammentando che il prof. Celoria, con un te-lescopio che rende visibili le stelle sino all'undecimagrandezza, potè vedere su per giù soltanto lo stesso nu-mero di stelle, vicino al polo della Via Lattea, di quelloveduto da Guglielmo Herschel con un telescopio, moltopiù grande e più potente, il Gore osserva: «La loro as-senza sembra fornirci una sicura prova che stelle moltodeboli non esistono in quella direzione e che, da quellaparte almeno, l'Universo siderale sia limitato».

Giovanni Herschel accenna al medesimo fenomeno, edice che anche nella Via Lattea si trovano «spazi assolu-tamente oscuri e affatto privi di stelle, anche di quelledella più piccola grandezza telescopica», ed aggiungeancora: «Se pure non mancano affatto, piccolissimesono le stelle e così poco numerose da farci irresistibil-mente concludere che in quelle regioni vediamo vera-mente al di là dello strato stellare, poichè altrimenti sa-rebbe impossibile, supponendo che la luce emessa dallestelle non sia intercettata, che il numero di quelle appar-tenenti alle più piccole grandezze non vada continua-mente aumentando all'infinito. Inoltre in tali casi il fon-

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do del cielo, veduto tra le stelle, è per lo più perfetta-mente oscuro, cosa che non avverrebbe se vi si trovasseun'innumerevole moltitudine di stelle, anche se esse fos-sero tanto piccole da non poter essere osservate.» E ag-giunge ancora: «Per una larga estensione della Via Lat-tea, ed in ambidue gli emisferi, osservasi un'uniformeoscurità del cielo, sul quale si disegnano le stelle, el'assenza di una innumerevole moltitudine, o di un ec-cessivo accumulo di stelle più piccole, ma di visibilegrandezza, e la mancanza del bagliore prodottodall'addensarsi della luce proveniente dagli ammassi distelle troppo piccole per essere scorte ad occhio nudo –il che sarebbe indispensabile per appoggiare la opinionecontraria – sono fatti che devono essere, a mio parere,considerati come indizi non equivoci che le dimensionidella Via Lattea, nelle direzioni dove queste condizioniesistono, sono, non solamente non infinite, ma occupanouno spazio che i nostri potenti telescopi possono pene-trare ed anche oltrepassare.»17

Quest'opinione espressa da un astronomo, che fra glialtri scienziati contemporanei è forse l'autorità più com-petente, e che a questo quesito scientifico ha dedicatomolta parte della sua vita, studiando con grande amoretutto l'Universo stellare, non può esser leggermente tra-scurata, per accettare le congetture di coloro che voglio-no farci credere ad un'infinità di stelle, a meno che non

17 Outlines of Astronomy, (ultima edizione) (pp. 518-9. – Leparole in corsivo sono dell'Herschel.

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do del cielo, veduto tra le stelle, è per lo più perfetta-mente oscuro, cosa che non avverrebbe se vi si trovasseun'innumerevole moltitudine di stelle, anche se esse fos-sero tanto piccole da non poter essere osservate.» E ag-giunge ancora: «Per una larga estensione della Via Lat-tea, ed in ambidue gli emisferi, osservasi un'uniformeoscurità del cielo, sul quale si disegnano le stelle, el'assenza di una innumerevole moltitudine, o di un ec-cessivo accumulo di stelle più piccole, ma di visibilegrandezza, e la mancanza del bagliore prodottodall'addensarsi della luce proveniente dagli ammassi distelle troppo piccole per essere scorte ad occhio nudo –il che sarebbe indispensabile per appoggiare la opinionecontraria – sono fatti che devono essere, a mio parere,considerati come indizi non equivoci che le dimensionidella Via Lattea, nelle direzioni dove queste condizioniesistono, sono, non solamente non infinite, ma occupanouno spazio che i nostri potenti telescopi possono pene-trare ed anche oltrepassare.»17

Quest'opinione espressa da un astronomo, che fra glialtri scienziati contemporanei è forse l'autorità più com-petente, e che a questo quesito scientifico ha dedicatomolta parte della sua vita, studiando con grande amoretutto l'Universo stellare, non può esser leggermente tra-scurata, per accettare le congetture di coloro che voglio-no farci credere ad un'infinità di stelle, a meno che non

17 Outlines of Astronomy, (ultima edizione) (pp. 518-9. – Leparole in corsivo sono dell'Herschel.

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possa provarsi, in modo assoluto, il contrario. Ma, men-tre nessuna prova evidente può essere addotta per prova-re l'infinità, chè anzi tutti i fatti e tutti gli indizi accenna-no, come abbiamo detto, ad una conclusione opposta,noi dobbiamo fidarci di questa evidenza, e ammettereche l'Universo stellare abbia un'estensione limitata.

Il dottor Isaac Roberts, dopo avere adoperato per lemedesime ricerche le lastre fotografiche, scrive: «Undi-ci anni or sono furono prese delle fotografie della gran-de nebulosa di Andromeda col riflettore di venti pollici,prolungando l'esposizione delle lastre anche per quattroore. Sopra alcune di esse si videro le immagini dellestelle fino alla diciassettesima e diciottesima grandezza,nonchè quelle delle nebulose del medesimo grado displendore. Le pellicole delle lastre ottenute in quei gior-ni erano meno sensibili di quelle che avevano servitocinque anni prima, e durante questo periodo erano statefotografate le nebulose con una esposizione di oltrequattro ore e con un riflettore di venti pollici; ma nèestensione delle nebulose, nè aumento nel numero dellestelle può scorgersi tanto sulle prime che sulle secondelastre, quantunque le immagini delle stelle e delle nebu-lose abbiano maggiore intensità su queste ultime.»

Fatti esattamente simili sono stati osservati nellagrande nebulosa di Orione e nel gruppo dalle Pleiadi.Nella Via Lattea sono state prese delle fotografie dellacostellazione del Cigno coi medesimi strumenti, conesposizioni che variano da un'ora a due ore e mezzo, manessun indizio dell'esistenza di qualche stella di luce più

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possa provarsi, in modo assoluto, il contrario. Ma, men-tre nessuna prova evidente può essere addotta per prova-re l'infinità, chè anzi tutti i fatti e tutti gli indizi accenna-no, come abbiamo detto, ad una conclusione opposta,noi dobbiamo fidarci di questa evidenza, e ammettereche l'Universo stellare abbia un'estensione limitata.

Il dottor Isaac Roberts, dopo avere adoperato per lemedesime ricerche le lastre fotografiche, scrive: «Undi-ci anni or sono furono prese delle fotografie della gran-de nebulosa di Andromeda col riflettore di venti pollici,prolungando l'esposizione delle lastre anche per quattroore. Sopra alcune di esse si videro le immagini dellestelle fino alla diciassettesima e diciottesima grandezza,nonchè quelle delle nebulose del medesimo grado displendore. Le pellicole delle lastre ottenute in quei gior-ni erano meno sensibili di quelle che avevano servitocinque anni prima, e durante questo periodo erano statefotografate le nebulose con una esposizione di oltrequattro ore e con un riflettore di venti pollici; ma nèestensione delle nebulose, nè aumento nel numero dellestelle può scorgersi tanto sulle prime che sulle secondelastre, quantunque le immagini delle stelle e delle nebu-lose abbiano maggiore intensità su queste ultime.»

Fatti esattamente simili sono stati osservati nellagrande nebulosa di Orione e nel gruppo dalle Pleiadi.Nella Via Lattea sono state prese delle fotografie dellacostellazione del Cigno coi medesimi strumenti, conesposizioni che variano da un'ora a due ore e mezzo, manessun indizio dell'esistenza di qualche stella di luce più

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debole fu notato in alcuna di essa, e il fatto è stato con-fermato ancora da altre fotografie prese in altri puntidella sfera celeste.

LEGGE DEL NUMERO DECRESCENTE DELLE STELLE.

Ora noi ci faremo a considerare un'altra prova nonmeno importante delle due già accennate, quella che po-trebbe esser considerata come una legge secondo la qua-le diminuisce il numero delle stelle oltre una certa gran-dezza, come è stato osservato con potentissimi telesco-pi.

Da qualche anno la grandezza delle stelle è stata cal-colata con molta esattezza per mezzo di accurati esperi-menti fotometrici. Le stelle fino alla sesta grandezza,che sono visibili ad occhio nudo, sono chiamate stellelucenti. Tutte le stelle più deboli sono telescopiche, eman mano che la grandezza decresce, secondo una serienella quale la differenza di luce fra ciascuna successivagrandezza è eguale, si arriva alla diciassettesima gran-dezza, che indica il limite di visibilità nei più grandi te-lescopi attualmente esistenti. Con la scala ora usata, unastella di qualsiasi grandezza dà quasi due volte e mezzomaggior luce di un'altra che appartenga alla grandezzasuccessiva, e, per accurati confronti, l'apparente splen-dore di ogni stella è stabilito a un decimo di una gran-dezza che facilmente può essere osservata. Certamente,

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debole fu notato in alcuna di essa, e il fatto è stato con-fermato ancora da altre fotografie prese in altri puntidella sfera celeste.

LEGGE DEL NUMERO DECRESCENTE DELLE STELLE.

Ora noi ci faremo a considerare un'altra prova nonmeno importante delle due già accennate, quella che po-trebbe esser considerata come una legge secondo la qua-le diminuisce il numero delle stelle oltre una certa gran-dezza, come è stato osservato con potentissimi telesco-pi.

Da qualche anno la grandezza delle stelle è stata cal-colata con molta esattezza per mezzo di accurati esperi-menti fotometrici. Le stelle fino alla sesta grandezza,che sono visibili ad occhio nudo, sono chiamate stellelucenti. Tutte le stelle più deboli sono telescopiche, eman mano che la grandezza decresce, secondo una serienella quale la differenza di luce fra ciascuna successivagrandezza è eguale, si arriva alla diciassettesima gran-dezza, che indica il limite di visibilità nei più grandi te-lescopi attualmente esistenti. Con la scala ora usata, unastella di qualsiasi grandezza dà quasi due volte e mezzomaggior luce di un'altra che appartenga alla grandezzasuccessiva, e, per accurati confronti, l'apparente splen-dore di ogni stella è stabilito a un decimo di una gran-dezza che facilmente può essere osservata. Certamente,

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a causa della differenza nel colore delle stelle, questedeterminazioni non possono essere fatte con assolutaesattezza, ma se vi è qualche errore è di poca importan-za. Secondo questa scala, una stella di sesta grandezzadà circa la centesima parte di luce, in media, di una stel-la di prima. Sirio, che è eccezionalmente luminoso, dànove volte maggior luce di qualsiasi stella di primagrandezza.

Sappiamo che dalla prima alla sesta grandezza le stel-le aumentano in numero con una crescente proporzione,che è circa tre volte e mezzo maggiore di quella dellaprecedente grandezza. Il Prof. Newcomb afferma che lestelle fino alla sesta grandezza sono 7647. Per le altregrandezze il numero e così grande, che è difficile poter-lo calcolare con precisione, nondimeno vi è una meravi-gliosa continuazione della medesima legge di aumentosino alla decima grandezza, che si crede comprenda duemilioni trecento undici mila stelle, il che è molto vicinoalla proporzione di 3,5 determinata per le stelle lucenti.

Ma al di là della decima grandezza, nel gran numerodi stelle deboli visibili solamente con l'aiuto dei migliorie dei più grandi telescopi, constatiamo un subitaneocambiamento nella proporzione con cui cresce il nume-ro delle stelle, man mano che diminuisce la grandezza.Queste stelle sono talmente numerose che è impossibilecontarle, così come è difficile contare le stelle di gran-dezza maggiore; pure parecchie volte ne è stata tentatala prova da diversi astronomi, i quali hanno diviso il cie-lo in piccole aree, ottenendo con questo mezzo una me-

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a causa della differenza nel colore delle stelle, questedeterminazioni non possono essere fatte con assolutaesattezza, ma se vi è qualche errore è di poca importan-za. Secondo questa scala, una stella di sesta grandezzadà circa la centesima parte di luce, in media, di una stel-la di prima. Sirio, che è eccezionalmente luminoso, dànove volte maggior luce di qualsiasi stella di primagrandezza.

Sappiamo che dalla prima alla sesta grandezza le stel-le aumentano in numero con una crescente proporzione,che è circa tre volte e mezzo maggiore di quella dellaprecedente grandezza. Il Prof. Newcomb afferma che lestelle fino alla sesta grandezza sono 7647. Per le altregrandezze il numero e così grande, che è difficile poter-lo calcolare con precisione, nondimeno vi è una meravi-gliosa continuazione della medesima legge di aumentosino alla decima grandezza, che si crede comprenda duemilioni trecento undici mila stelle, il che è molto vicinoalla proporzione di 3,5 determinata per le stelle lucenti.

Ma al di là della decima grandezza, nel gran numerodi stelle deboli visibili solamente con l'aiuto dei migliorie dei più grandi telescopi, constatiamo un subitaneocambiamento nella proporzione con cui cresce il nume-ro delle stelle, man mano che diminuisce la grandezza.Queste stelle sono talmente numerose che è impossibilecontarle, così come è difficile contare le stelle di gran-dezza maggiore; pure parecchie volte ne è stata tentatala prova da diversi astronomi, i quali hanno diviso il cie-lo in piccole aree, ottenendo con questo mezzo una me-

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dia approssimativa, così che è ora possibile conoscereapprossimativamente il numero delle stelle visibili, sinoalla diciassettesima grandezza. Dopo aver fatto studispeciali su questo soggetto, gli astronomi hanno annun-ciato che il numero totale delle stelle visibili non deveeccedere i 100 milioni.18

Ma se noi consideriamo il numero delle stelle sinoalla nona grandezza, numero che possiamo asserire diconoscere quasi esattamente, e calcoliamo quindi il nu-mero delle stelle in ciascuna successiva grandezza, finoalla diciassettesima, secondo la medesima proporzionedi aumento, la quale corrisponde molto da vicino anchea quella delle stelle di maggior grandezza, secondo ilGore il numero totale delle stelle dovrebbe essere di cir-ca mille quattrocento milioni. Come può credersi, nes-suno di questi calcoli la pretende ad esattezza, essi peròsono fondati su tutti i fatti che possono riuscire utili alloscopo, e sono in generale accettati dagli astronomi comequelli che più si avvicinano alla realtà. La discrepanzatra questi risultati è così enorme, che probabilmente nes-sun accurato astronomo che osservi il cielo con un tele-scopio molto potente, dubita che vi sia una vera e rapi-dissima diminuzione nel numero delle stelle più deboli,in confronto di quelle più brillanti.

Ma vi è ancora un altro indice del diminuir continuodelle stelle, che potrebbe esser giudicato come conclu-

18 Concise Knowledge Astronomy di J. E. Gore. – (pp. 541-2).

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dia approssimativa, così che è ora possibile conoscereapprossimativamente il numero delle stelle visibili, sinoalla diciassettesima grandezza. Dopo aver fatto studispeciali su questo soggetto, gli astronomi hanno annun-ciato che il numero totale delle stelle visibili non deveeccedere i 100 milioni.18

Ma se noi consideriamo il numero delle stelle sinoalla nona grandezza, numero che possiamo asserire diconoscere quasi esattamente, e calcoliamo quindi il nu-mero delle stelle in ciascuna successiva grandezza, finoalla diciassettesima, secondo la medesima proporzionedi aumento, la quale corrisponde molto da vicino anchea quella delle stelle di maggior grandezza, secondo ilGore il numero totale delle stelle dovrebbe essere di cir-ca mille quattrocento milioni. Come può credersi, nes-suno di questi calcoli la pretende ad esattezza, essi peròsono fondati su tutti i fatti che possono riuscire utili alloscopo, e sono in generale accettati dagli astronomi comequelli che più si avvicinano alla realtà. La discrepanzatra questi risultati è così enorme, che probabilmente nes-sun accurato astronomo che osservi il cielo con un tele-scopio molto potente, dubita che vi sia una vera e rapi-dissima diminuzione nel numero delle stelle più deboli,in confronto di quelle più brillanti.

Ma vi è ancora un altro indice del diminuir continuodelle stelle, che potrebbe esser giudicato come conclu-

18 Concise Knowledge Astronomy di J. E. Gore. – (pp. 541-2).

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dente, e, per quel che rammento, non è stato ancora ac-cennato in questa relazione. Perciò ne dirò brevemente.

IL RAPPORTO TRA LA LUCEE IL NUMERO DELLE STELLE PIÙ DEBOLI.

Il Prof. Newcomb accenna ad un buon resultato di-pendente dal fatto che, mentre la media della luce tra lestelle di successive grandezze più piccole diminuisce inproporzione di 2,5, il loro numero aumenta nella propor-zione di 3,5. Da ciò ne resulta che, fintanto che questalegge di aumento continua, il totale della luce delle stel-le va aumentando di circa il cinque per cento, per cia-scuna grandezza successiva, come si vede dalla seguen-te tavola:

GRANDEZZA 1 LUCE TOTALE = 1

» 2 » = 1,4

» 3 » = 2,0

» 4 » = 2,8

» 5 » = 4,0

» 6 » = 5,7

» 7 » = 8,0

» 8 » = 11,3

» 9 » = 16,0

» 10 » = 22,6

Luce totale delle prime 10 grandezze = 74,8

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dente, e, per quel che rammento, non è stato ancora ac-cennato in questa relazione. Perciò ne dirò brevemente.

IL RAPPORTO TRA LA LUCEE IL NUMERO DELLE STELLE PIÙ DEBOLI.

Il Prof. Newcomb accenna ad un buon resultato di-pendente dal fatto che, mentre la media della luce tra lestelle di successive grandezze più piccole diminuisce inproporzione di 2,5, il loro numero aumenta nella propor-zione di 3,5. Da ciò ne resulta che, fintanto che questalegge di aumento continua, il totale della luce delle stel-le va aumentando di circa il cinque per cento, per cia-scuna grandezza successiva, come si vede dalla seguen-te tavola:

GRANDEZZA 1 LUCE TOTALE = 1

» 2 » = 1,4

» 3 » = 2,0

» 4 » = 2,8

» 5 » = 4,0

» 6 » = 5,7

» 7 » = 8,0

» 8 » = 11,3

» 9 » = 16,0

» 10 » = 22,6

Luce totale delle prime 10 grandezze = 74,8

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Dunque, il totale della luce emessa dal numero com-plessivo delle stelle, sino alla decima grandezza, è set-tantaquattro volte più grande di quello delle poche dellaprima grandezza. Noi vediamo ancora che la luce totaleemessa dalle stelle di qualsiasi grandezza, è circa duevolte maggiore di quella delle stelle di due grandezzeprecedenti, così che possiamo calcolare facilmente qualluce addizionale potremmo ricevere da ciascuna gran-dezza addizionale, se esse continuassero a crescere innumero al di là della decima grandezza, come avvienesino alla grandezza suddetta. È stato calcolato, dopo ac-curatissime osservazioni, che il totale della luce dellestelle sino alla grandezza 9½ è un ottantesimo di quellodella luna piena, benchè di talune sia anche assai mag-giore. Ma se noi continuiamo la tavola della proporzio-ne di luce, partendoci dal più basso punto luminoso e ar-rivando alla grandezza diciassettesima e ½, troveremo,se il numero delle stelle anderà sempre crescendo con lamedesima proporzione, che la luce complessiva di essedovrebbe essere almeno sette volte maggiore di quelladella luna piena, mentre le misure fotometriche la limi-tano soltanto a un ventesimo. Rapportando il calcolodella proporzione di luce solamente alle stelle visibilicoi più potenti telescopi, senza comprenderne alcuna diquelle delle quali soltanto la fotografia ha provato l'esi-stenza, avremo in questo caso una dimostrazione che ilnumero delle stelle dalla decima fino alla diciassettesi-ma grandezza diminuisce rapidamente. Dobbiamo ricor-darci che le più piccole stelle telescopiche sono in enor-

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Dunque, il totale della luce emessa dal numero com-plessivo delle stelle, sino alla decima grandezza, è set-tantaquattro volte più grande di quello delle poche dellaprima grandezza. Noi vediamo ancora che la luce totaleemessa dalle stelle di qualsiasi grandezza, è circa duevolte maggiore di quella delle stelle di due grandezzeprecedenti, così che possiamo calcolare facilmente qualluce addizionale potremmo ricevere da ciascuna gran-dezza addizionale, se esse continuassero a crescere innumero al di là della decima grandezza, come avvienesino alla grandezza suddetta. È stato calcolato, dopo ac-curatissime osservazioni, che il totale della luce dellestelle sino alla grandezza 9½ è un ottantesimo di quellodella luna piena, benchè di talune sia anche assai mag-giore. Ma se noi continuiamo la tavola della proporzio-ne di luce, partendoci dal più basso punto luminoso e ar-rivando alla grandezza diciassettesima e ½, troveremo,se il numero delle stelle anderà sempre crescendo con lamedesima proporzione, che la luce complessiva di essedovrebbe essere almeno sette volte maggiore di quelladella luna piena, mentre le misure fotometriche la limi-tano soltanto a un ventesimo. Rapportando il calcolodella proporzione di luce solamente alle stelle visibilicoi più potenti telescopi, senza comprenderne alcuna diquelle delle quali soltanto la fotografia ha provato l'esi-stenza, avremo in questo caso una dimostrazione che ilnumero delle stelle dalla decima fino alla diciassettesi-ma grandezza diminuisce rapidamente. Dobbiamo ricor-darci che le più piccole stelle telescopiche sono in enor-

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me preponderanza nella Via Lattea e nelle vicinanze diquesta. Ad una certa distanza dall'area occupata dallaVia Lattea, esse diminuiscono rapidamente ed ai suoipoli sono quasi totalmente assenti, e questo è dimostratodal fatto già riferito, che il Prof. Celoria di Milano, conun telescopio di un'apertura minore di tre pollici, contòin una regione quasi altrettante stelle, quante ne avevacontate l'Herschel con un riflettore di 10 pollici. Ma sel'Universo stellare ha un'estensione senza limiti, difficil-mente si può supporre che tale illimitata estensione esi-sta in un solo piano; quindi l'assenza di stelle minime edi luce galassica diffusa nella maggior parte del cielo,deve esser ritenuta come prova certa che la miriade dipiccolissime stelle che vediamo nella Via Lattea appar-tengono veramente a questa e non alla profondità dellospazio che si vede al di là.

A me pare che in tale modo noi abbiamo una provadiretta che le stelle del nostro Universo siano veramentein numero limitato; ciò si può dimostrare con quattro di-verse argomentazioni, che, con maggiore o minor forza,mirano tutte alla conclusione che l'Universo stellare chevediamo intorno a noi, lungi dall'essere infinito, è stret-tamente limitato nell'estensione, nella forma e nella co-stituzione ben definita. Questi argomenti possono essereriassunti brevemente come segue:

1) Il Prof. Newcomb dimostra che, se le stelle fosseroin numero infinito, se quelle che noi vediamo non fosse-ro che una ben meschina parte del numero totale di essee se non vi fossero sufficienti corpi oscuri per mitigare

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me preponderanza nella Via Lattea e nelle vicinanze diquesta. Ad una certa distanza dall'area occupata dallaVia Lattea, esse diminuiscono rapidamente ed ai suoipoli sono quasi totalmente assenti, e questo è dimostratodal fatto già riferito, che il Prof. Celoria di Milano, conun telescopio di un'apertura minore di tre pollici, contòin una regione quasi altrettante stelle, quante ne avevacontate l'Herschel con un riflettore di 10 pollici. Ma sel'Universo stellare ha un'estensione senza limiti, difficil-mente si può supporre che tale illimitata estensione esi-sta in un solo piano; quindi l'assenza di stelle minime edi luce galassica diffusa nella maggior parte del cielo,deve esser ritenuta come prova certa che la miriade dipiccolissime stelle che vediamo nella Via Lattea appar-tengono veramente a questa e non alla profondità dellospazio che si vede al di là.

A me pare che in tale modo noi abbiamo una provadiretta che le stelle del nostro Universo siano veramentein numero limitato; ciò si può dimostrare con quattro di-verse argomentazioni, che, con maggiore o minor forza,mirano tutte alla conclusione che l'Universo stellare chevediamo intorno a noi, lungi dall'essere infinito, è stret-tamente limitato nell'estensione, nella forma e nella co-stituzione ben definita. Questi argomenti possono essereriassunti brevemente come segue:

1) Il Prof. Newcomb dimostra che, se le stelle fosseroin numero infinito, se quelle che noi vediamo non fosse-ro che una ben meschina parte del numero totale di essee se non vi fossero sufficienti corpi oscuri per mitigare

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la quantità complessiva della loro luce, noi dovremmoriceverne da esse, teoricamente, più che dal sole. Hodetto, ed assai lungamente, che nessuna delle cause ac-cennate di disperdimento di luce ha un valore, perl'enorme sproporzione fra la luce ipotetica e quella realeche emettono le stelle, e perciò l'argomento del Prof.Newcomb deve ritenersi come valido contro l'idea di unUniverso infinito, cosa che del resto non è certo contra-ria all'esistenza di altri Universi nello spazio. Ma di que-sti noi niente possiamo sapere, cioè se sono materiali onon materiali, e il ricercar di essi sarebbe cosa meno cheinutile.

2) Il secondo argomento si basa sul fatto che, in ognipunto del cielo e nella Via Lattea stessa, esistono spaziimmensi: fenditure, viuzze, spazi circolari, dove le stelleo mancano affatto, o sono deboli e poche. In molte diqueste aree i più grandi e potenti telescopi non scopronomaggior numero di stelle che quelli più piccoli, e questestelle spiccano sempre sopra un fondo intensamentescuro. Guglielmo Herschel, Humboldt, Giovanni Her-schel, R. A. Proctor e molti altri astronomi ancora vi-venti, sostengono che da queste aree oscure, fenditure,spazi circolari, possiamo vedere, al di là del nostro Uni-verso stellare, profondità prive di stelle.

3) Il terzo argomento è rappresentato dal fatto notevo-le che il costante aumento del numero delle stelle sinoalla nona e decima grandezza segue costantemente unaproporzione, e la cambia gradualmente o subitamentedopo, cosicchè il numero totale delle stelle dalla decima

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la quantità complessiva della loro luce, noi dovremmoriceverne da esse, teoricamente, più che dal sole. Hodetto, ed assai lungamente, che nessuna delle cause ac-cennate di disperdimento di luce ha un valore, perl'enorme sproporzione fra la luce ipotetica e quella realeche emettono le stelle, e perciò l'argomento del Prof.Newcomb deve ritenersi come valido contro l'idea di unUniverso infinito, cosa che del resto non è certo contra-ria all'esistenza di altri Universi nello spazio. Ma di que-sti noi niente possiamo sapere, cioè se sono materiali onon materiali, e il ricercar di essi sarebbe cosa meno cheinutile.

2) Il secondo argomento si basa sul fatto che, in ognipunto del cielo e nella Via Lattea stessa, esistono spaziimmensi: fenditure, viuzze, spazi circolari, dove le stelleo mancano affatto, o sono deboli e poche. In molte diqueste aree i più grandi e potenti telescopi non scopronomaggior numero di stelle che quelli più piccoli, e questestelle spiccano sempre sopra un fondo intensamentescuro. Guglielmo Herschel, Humboldt, Giovanni Her-schel, R. A. Proctor e molti altri astronomi ancora vi-venti, sostengono che da queste aree oscure, fenditure,spazi circolari, possiamo vedere, al di là del nostro Uni-verso stellare, profondità prive di stelle.

3) Il terzo argomento è rappresentato dal fatto notevo-le che il costante aumento del numero delle stelle sinoalla nona e decima grandezza segue costantemente unaproporzione, e la cambia gradualmente o subitamentedopo, cosicchè il numero totale delle stelle dalla decima

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sino alla diciassettesima grandezza è solamente di circaun decimo di quel che dovrebbe essere se il numerocontinuamente aumentasse con le medesime proporzio-ni. Quello che dobbiamo dedurre da tutto ciò è ovvio,cioè: che le stelle deboli divengono sempre e sempre piùdiradate nello spazio, e che il fondo scuro sul quale levediamo ci dimostra che, eccettuate le regioni della ViaLattea, non vi sono moltitudini di piccole stelle invisibi-li al di fuori di essa.

4) L'ultimo argomento che parla in favore dell'opinio-ne che l'Universo stellare non sia infinito, e che valida-mente appoggia i tre primi, è il calcolo del numero dellestelle dalla quantità di luce di ciascuna successiva gran-dezza.

I quattro differenti argomenti ora addotti possono rite-nersi come atti a costituire, il più approssimativamenteche le circostanze lo permettano, una prova soddisfacen-te che l'Universo stellare, del quale il nostro sistema so-lare forma una parte, ha limiti definiti; e che perciò unapiù concreta conoscenza della sua forma, della sua strut-tura e della sua estensione non sarà cosa impossibile pergli astronomi dell'avvenire.

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sino alla diciassettesima grandezza è solamente di circaun decimo di quel che dovrebbe essere se il numerocontinuamente aumentasse con le medesime proporzio-ni. Quello che dobbiamo dedurre da tutto ciò è ovvio,cioè: che le stelle deboli divengono sempre e sempre piùdiradate nello spazio, e che il fondo scuro sul quale levediamo ci dimostra che, eccettuate le regioni della ViaLattea, non vi sono moltitudini di piccole stelle invisibi-li al di fuori di essa.

4) L'ultimo argomento che parla in favore dell'opinio-ne che l'Universo stellare non sia infinito, e che valida-mente appoggia i tre primi, è il calcolo del numero dellestelle dalla quantità di luce di ciascuna successiva gran-dezza.

I quattro differenti argomenti ora addotti possono rite-nersi come atti a costituire, il più approssimativamenteche le circostanze lo permettano, una prova soddisfacen-te che l'Universo stellare, del quale il nostro sistema so-lare forma una parte, ha limiti definiti; e che perciò unapiù concreta conoscenza della sua forma, della sua strut-tura e della sua estensione non sarà cosa impossibile pergli astronomi dell'avvenire.

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CAPITOLO VIII.I NOSTRI RAPPORTI CON LA

VIA LATTEA.

Ormai ci avviciniamo al vero scopo delle nostre ricer-che, la determinazione cioè del nostro vero posto in que-sto vasto ma limitato Universo, e dell'influenza che que-sta posizione esercita sul nostro globo, facendolo il tea-tro dove la vita si sviluppa nelle sue più perfette forme.

Cominceremo a stabilire i nostri rapporti con la ViaLattea, di cui tanto ci siamo intrattenuti nel quarto capi-tolo, perchè dobbiamo convenire che essa è la più im-portante caratteristica della volta celeste.

Giovanni Herschel la chiama piano fondamentale delsistema siderale, e più che la studiamo, più siamo co-stretti a convincerci che tutto l'Universo stellare: stelle,gruppi di stelle e nebulose, sono in qualche modo inrapporto con essa, o almeno da essa dipendenti e in-fluenzate. La Via Lattea non soltanto contiene un mag-gior numero di stelle delle prime grandezze, più che

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CAPITOLO VIII.I NOSTRI RAPPORTI CON LA

VIA LATTEA.

Ormai ci avviciniamo al vero scopo delle nostre ricer-che, la determinazione cioè del nostro vero posto in que-sto vasto ma limitato Universo, e dell'influenza che que-sta posizione esercita sul nostro globo, facendolo il tea-tro dove la vita si sviluppa nelle sue più perfette forme.

Cominceremo a stabilire i nostri rapporti con la ViaLattea, di cui tanto ci siamo intrattenuti nel quarto capi-tolo, perchè dobbiamo convenire che essa è la più im-portante caratteristica della volta celeste.

Giovanni Herschel la chiama piano fondamentale delsistema siderale, e più che la studiamo, più siamo co-stretti a convincerci che tutto l'Universo stellare: stelle,gruppi di stelle e nebulose, sono in qualche modo inrapporto con essa, o almeno da essa dipendenti e in-fluenzate. La Via Lattea non soltanto contiene un mag-gior numero di stelle delle prime grandezze, più che

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qualunque altra parte del cielo, ma preponderano in essaanche i gruppi stellari, una grande quantità di materianebulosa diffusa, ed innumerevoli miriadi di piccolissi-me stelle che le dànno l'apparenza di una nuvola. Quellaè la regione dove degli strani incendi formano nuovestelle, e dove enormi stelle allo stato gassoso – qualcunaprobabilmente 1000 ed anche 10000 volte più grandedel nostro sole, e di grande calore e lucentezza – abbon-dano più che in ogni altra parte del cielo. È quasi certoche queste stelle immense e le miriadi di quelle piccolis-sime, appena visibili con i più forti telescopi, sono vera-mente in rapporto fra loro, e che insieme costituiscono iltipico aspetto della via Lattea. In tal caso le stelle piùdeboli sono veramente le più piccole tanto che non pos-sono esser distinte, e se ciò è, formano la prima aggre-gazione dello strato nebuloso e forse forniscono il com-bustibile per l'intenso splendore dei soli giganteschi. Sequesto è vero, la via Lattea deve essere il teatro d'azionedi forze molteplici e di continue combinazioni dalla ma-teria, che a noi non è dato potere osservare, perchè trop-po immensa la distanza che la separa da noi. Fra i tantimilioni delle sue stelle telescopiche, possono ogni annoapparirne e sparirne centinaia e migliaia, senza che noice ne accorgiamo, finchè le carte fotografiche non sa-ranno ancor più complete e non si potrà scrutare il cielonei suoi più piccoli intervalli. Non possiamo dubitareche dei cambiamenti siano avvenuti in molte delle piùgrandi nebulose in questi ultimi 50 anni, e analoghicambiamenti constateremo ben presto nelle stelle e nelle

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qualunque altra parte del cielo, ma preponderano in essaanche i gruppi stellari, una grande quantità di materianebulosa diffusa, ed innumerevoli miriadi di piccolissi-me stelle che le dànno l'apparenza di una nuvola. Quellaè la regione dove degli strani incendi formano nuovestelle, e dove enormi stelle allo stato gassoso – qualcunaprobabilmente 1000 ed anche 10000 volte più grandedel nostro sole, e di grande calore e lucentezza – abbon-dano più che in ogni altra parte del cielo. È quasi certoche queste stelle immense e le miriadi di quelle piccolis-sime, appena visibili con i più forti telescopi, sono vera-mente in rapporto fra loro, e che insieme costituiscono iltipico aspetto della via Lattea. In tal caso le stelle piùdeboli sono veramente le più piccole tanto che non pos-sono esser distinte, e se ciò è, formano la prima aggre-gazione dello strato nebuloso e forse forniscono il com-bustibile per l'intenso splendore dei soli giganteschi. Sequesto è vero, la via Lattea deve essere il teatro d'azionedi forze molteplici e di continue combinazioni dalla ma-teria, che a noi non è dato potere osservare, perchè trop-po immensa la distanza che la separa da noi. Fra i tantimilioni delle sue stelle telescopiche, possono ogni annoapparirne e sparirne centinaia e migliaia, senza che noice ne accorgiamo, finchè le carte fotografiche non sa-ranno ancor più complete e non si potrà scrutare il cielonei suoi più piccoli intervalli. Non possiamo dubitareche dei cambiamenti siano avvenuti in molte delle piùgrandi nebulose in questi ultimi 50 anni, e analoghicambiamenti constateremo ben presto nelle stelle e nelle

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masse nebulose della Via Lattea. Il dottor Isaac Robertsafferma di aver veduto dei cambiamenti nelle nebulosenel breve intervallo di otto anni.

LA VIA LATTEA È UN GRAN CERCHIO.

Malgrado le sue irregolarità, le sue divisioni e le suediramazioni divergenti, gli astronomi, in generale, con-vengono che la forma della Via Lattea è quella di ungran cerchio.

Giovanni Herschel, le cui cognizioni profonde ne fan-no uno scienziato incomparabile, dice che il suo anda-mento è conforme, per quanto le sue irregolarità di limi-te ci permettano di seguirlo, a quello d'un gran circolo, edà l'ascensione retta e la declinazione dei punti dove in-crocia l'equinoziale, in figure le quali rappresentanoquei punti come assolutamente opposti l'uno all'altro.Egli determina i poli anche con altre figure, atte a dimo-strare che sono quelli di un gran circolo; e dopo aver ri-ferito il giudizio di Struwe, che non la crede un gran cir-colo, aggiunge: «Non mi rimuovo dalla mia opinione».Il prof. Newcomb dice che la posizione della Via Lattea«è quasi sempre quella di un gran circolo della sfera», einoltre aggiunge che «sembra esser dimostrato in duemodi che noi siamo nel piano galassico stesso: 1. perl'eguaglianza del numero delle stelle in tutte le direzionidel suo piano e dei suoi poli; 2. per il fatto che la linea

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masse nebulose della Via Lattea. Il dottor Isaac Robertsafferma di aver veduto dei cambiamenti nelle nebulosenel breve intervallo di otto anni.

LA VIA LATTEA È UN GRAN CERCHIO.

Malgrado le sue irregolarità, le sue divisioni e le suediramazioni divergenti, gli astronomi, in generale, con-vengono che la forma della Via Lattea è quella di ungran cerchio.

Giovanni Herschel, le cui cognizioni profonde ne fan-no uno scienziato incomparabile, dice che il suo anda-mento è conforme, per quanto le sue irregolarità di limi-te ci permettano di seguirlo, a quello d'un gran circolo, edà l'ascensione retta e la declinazione dei punti dove in-crocia l'equinoziale, in figure le quali rappresentanoquei punti come assolutamente opposti l'uno all'altro.Egli determina i poli anche con altre figure, atte a dimo-strare che sono quelli di un gran circolo; e dopo aver ri-ferito il giudizio di Struwe, che non la crede un gran cir-colo, aggiunge: «Non mi rimuovo dalla mia opinione».Il prof. Newcomb dice che la posizione della Via Lattea«è quasi sempre quella di un gran circolo della sfera», einoltre aggiunge che «sembra esser dimostrato in duemodi che noi siamo nel piano galassico stesso: 1. perl'eguaglianza del numero delle stelle in tutte le direzionidel suo piano e dei suoi poli; 2. per il fatto che la linea

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centrale della Via Lattea è circolare, mentre noi non po-tremmo vederla tale se la fissassimo da un punto chenon fosse nel suo piano centrale.» (The Stars; pag. 317).Miss Clerke, nella sua History of Astronomy, parla della«nostra situazione nel piano galassico» come di una in-discutibile verità astronomica, e Sir Norman Lockyer, inuno scritto pubblicato nel 1899, dice: «La linea mediadella Via Lattea non si può veramente distinguere da ungran cerchio»; e appresso, nel medesimo scritto, aggiun-ge che «i lavori recenti, e specialmente quelli di Gouldnell'Argentina, dimostrano in modo assoluto che essa èun gran cerchio»19.

Questo fatto dunque non dà luogo a discussione. LaVia Lattea è un gran cerchio che divide la sfera celestein due parti eguali, come si vede dalla terra, e perciò ilpiano centrale di questo cerchio deve passare attraversola terra. Naturalmente tutto l'insieme avendo dimensionicosì vaste, e la Via Lattea variando da dieci a trenta gra-di di ampiezza, il piano nel suo corso circolare non puòesser calcolato con perfetta esattezza. Ma questo non hagrande importanza. Quando sia disegnata con cura soprauna carta, come quella di Sidney Waters, che si trovaalla fine di questo volume, possiamo scorgere che la sualinea centrale segue un corso assolutamente circolare,conforme quanto più approssimativamente sia possibilead un gran cerchio. Noi ci troviamo perciò certamenteben addentro allo spazio che potrebbe essere chiuso se i

19 Nature; 26 ottobre 1899.

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centrale della Via Lattea è circolare, mentre noi non po-tremmo vederla tale se la fissassimo da un punto chenon fosse nel suo piano centrale.» (The Stars; pag. 317).Miss Clerke, nella sua History of Astronomy, parla della«nostra situazione nel piano galassico» come di una in-discutibile verità astronomica, e Sir Norman Lockyer, inuno scritto pubblicato nel 1899, dice: «La linea mediadella Via Lattea non si può veramente distinguere da ungran cerchio»; e appresso, nel medesimo scritto, aggiun-ge che «i lavori recenti, e specialmente quelli di Gouldnell'Argentina, dimostrano in modo assoluto che essa èun gran cerchio»19.

Questo fatto dunque non dà luogo a discussione. LaVia Lattea è un gran cerchio che divide la sfera celestein due parti eguali, come si vede dalla terra, e perciò ilpiano centrale di questo cerchio deve passare attraversola terra. Naturalmente tutto l'insieme avendo dimensionicosì vaste, e la Via Lattea variando da dieci a trenta gra-di di ampiezza, il piano nel suo corso circolare non puòesser calcolato con perfetta esattezza. Ma questo non hagrande importanza. Quando sia disegnata con cura soprauna carta, come quella di Sidney Waters, che si trovaalla fine di questo volume, possiamo scorgere che la sualinea centrale segue un corso assolutamente circolare,conforme quanto più approssimativamente sia possibilead un gran cerchio. Noi ci troviamo perciò certamenteben addentro allo spazio che potrebbe essere chiuso se i

19 Nature; 26 ottobre 1899.

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suoi margini, a nord e a sud, fossero connessi attraversoil vasto abisso che li separa, e con ogni probabilità nonmolto lungi dal piano centrale dello spazio compreso.

LA FORMA DELLA VIA LATTEAE LA NOSTRA POSIZIONE NEL SUO PIANO.

Benchè dal punto donde noi la vediamo la Via Latteaformi nello spazio celeste un gran circolo, non si devecredere che essa abbia necessariamente una figura circo-lare. Essendo il suo spessore ineguale e irregolare aisuoi orli, potrebbe avere una forma ellittica o anche an-golosa, senza che perciò fosse necessario vederla in talmodo. Se noi ci trovassimo all'aperto, in mezzo a unprato di due o tre miglia di diametro e circondato da bo-schi di estensione e spessore disuguali e di colorito di-verso, ci riuscirebbe difficile giudicare la forma del pra-to, che potrebbe essere circolare, ovale, esagonale o an-che del tutto irregolare, nè saremmo capaci di affermarese i suoi confini fossero più vicini a noi da un lato piut-tosto che dall'altro. Inoltre i boschi che circondano ilprato potrebbero formare una stretta cintura di poco mauniforme spessore, oppure una cintura che in qualchepunto fosse larga qualche iarda appena, mentre in alcunialtri potrebbe estendersi per miglia e miglia. Ecco per-chè gli apprezzamenti dati dagli scienziati, circa l'esten-sione della Via Lattea in direzione del suo piano, cioè

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suoi margini, a nord e a sud, fossero connessi attraversoil vasto abisso che li separa, e con ogni probabilità nonmolto lungi dal piano centrale dello spazio compreso.

LA FORMA DELLA VIA LATTEAE LA NOSTRA POSIZIONE NEL SUO PIANO.

Benchè dal punto donde noi la vediamo la Via Latteaformi nello spazio celeste un gran circolo, non si devecredere che essa abbia necessariamente una figura circo-lare. Essendo il suo spessore ineguale e irregolare aisuoi orli, potrebbe avere una forma ellittica o anche an-golosa, senza che perciò fosse necessario vederla in talmodo. Se noi ci trovassimo all'aperto, in mezzo a unprato di due o tre miglia di diametro e circondato da bo-schi di estensione e spessore disuguali e di colorito di-verso, ci riuscirebbe difficile giudicare la forma del pra-to, che potrebbe essere circolare, ovale, esagonale o an-che del tutto irregolare, nè saremmo capaci di affermarese i suoi confini fossero più vicini a noi da un lato piut-tosto che dall'altro. Inoltre i boschi che circondano ilprato potrebbero formare una stretta cintura di poco mauniforme spessore, oppure una cintura che in qualchepunto fosse larga qualche iarda appena, mentre in alcunialtri potrebbe estendersi per miglia e miglia. Ecco per-chè gli apprezzamenti dati dagli scienziati, circa l'esten-sione della Via Lattea in direzione del suo piano, cioè

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nella direzione in cui noi la guardiamo, sono stati molte-plici. Ma recentemente, dopo lunghi studi e accurate os-servazioni, gli astronomi si sono trovati d'accordo circala sua forma e la sua estensione, come potrà vedersi daifatti e dagli apprezzamenti che stiamo per esporre.

Miss Clerke, dopo avere esposte le diverse opinionidi parecchi astronomi – e per quel che riguarda la storiadella moderna astronomia, i suoi apprezzamenti hannomolto valore – dice che probabilmente la Via Lattea èquel che sembra che sia, cioè un immenso anello, condipendenze o diramazioni che si staccano da essa e siestendono in tutte le direzioni, producendo l'effettocomplessivo che noi vediamo. Ma una nuova opinionesembra che ora si faccia strada: si afferma che tuttol'Universo stellare sia sferico o sferoidale, e la Via Lat-tea il suo equatore, e perciò, con ogni probabilità, il pia-no di essa deve essere circolare o presso a poco. Si so-stiene anche che la Via Lattea abbia un moto di rotazio-ne, forse molto lento, perchè altrimenti non si potrebbeimmaginare per quale altra causa essa abbia potuto assu-mere la forma di un immenso anello, e come abbia potu-to mantenere tale forma, dopo essersi così formata.

Il Prof. Newcomb, considerando che il numero dellestelle sparse intorno alla Via Lattea, in tutte le direzioni,è presso a poco eguale, opina che non vi debba essergrande differenza nella nostra distanza da qualsivogliaparte di essa; da ciò possiamo dedurre che il suo piano èapprossimativamente circolare o ampiamente ellittico.

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nella direzione in cui noi la guardiamo, sono stati molte-plici. Ma recentemente, dopo lunghi studi e accurate os-servazioni, gli astronomi si sono trovati d'accordo circala sua forma e la sua estensione, come potrà vedersi daifatti e dagli apprezzamenti che stiamo per esporre.

Miss Clerke, dopo avere esposte le diverse opinionidi parecchi astronomi – e per quel che riguarda la storiadella moderna astronomia, i suoi apprezzamenti hannomolto valore – dice che probabilmente la Via Lattea èquel che sembra che sia, cioè un immenso anello, condipendenze o diramazioni che si staccano da essa e siestendono in tutte le direzioni, producendo l'effettocomplessivo che noi vediamo. Ma una nuova opinionesembra che ora si faccia strada: si afferma che tuttol'Universo stellare sia sferico o sferoidale, e la Via Lat-tea il suo equatore, e perciò, con ogni probabilità, il pia-no di essa deve essere circolare o presso a poco. Si so-stiene anche che la Via Lattea abbia un moto di rotazio-ne, forse molto lento, perchè altrimenti non si potrebbeimmaginare per quale altra causa essa abbia potuto assu-mere la forma di un immenso anello, e come abbia potu-to mantenere tale forma, dopo essersi così formata.

Il Prof. Newcomb, considerando che il numero dellestelle sparse intorno alla Via Lattea, in tutte le direzioni,è presso a poco eguale, opina che non vi debba essergrande differenza nella nostra distanza da qualsivogliaparte di essa; da ciò possiamo dedurre che il suo piano èapprossimativamente circolare o ampiamente ellittico.

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L'esistenza delle nebulose anulari aggiunge verosimi-glianza a questa opinione.

Norman Lockyer accenna a fatti che tendono allastessa conclusione. In un articolo della Nature dell'8 no-vembre 1900 egli dice: «Noi sappiamo che le stelle gas-sose sono, non soltanto confinate nella Via Lattea, maanche le più remote in ogni direzione in qualsiasi longi-tudine galassica, e tutte hanno un piccolo movimentoproprio». E quindi, riferendosi alle stelle più calde chesono da ogni lato le più remote da noi, aggiunge: «Èperchè noi siamo nel centro, perchè il sistema solare ènel centro, che noi osserviamo i suddetti effetti». E con-stata altresì che la nebulosa anulare della Lira rappre-senta presso a poco la forma del nostro intero sistema,ed aggiunge: «Noi sappiamo per pratica che nel nostrosistema il centro è la regione più risparmiata dagli scon-volgimenti e perciò allo stato più freddo».

Questi diversi fatti, da noi semplicemente accennati,che hanno portato alla medesima conclusione molti deipiù eminenti astronomi, contribuiscono tutti a una con-seguenza ben precisa, cioè che la nostra posizione, oquella del sistema solare, non può esser molto lontanadal centro del vasto anello di stelle che costituiscono laVia Lattea; inoltre i medesimi fatti fanno supporre chequest'anello abbia una forma quasi circolare. Ma perquel che riguarda la nostra posizione nel piano della ViaLattea, non è possibile determinarla con precisione, peròpossiamo ritenere come certo che se noi fossimo moltolontani dal centro, per esempio in modo che un quarto

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L'esistenza delle nebulose anulari aggiunge verosimi-glianza a questa opinione.

Norman Lockyer accenna a fatti che tendono allastessa conclusione. In un articolo della Nature dell'8 no-vembre 1900 egli dice: «Noi sappiamo che le stelle gas-sose sono, non soltanto confinate nella Via Lattea, maanche le più remote in ogni direzione in qualsiasi longi-tudine galassica, e tutte hanno un piccolo movimentoproprio». E quindi, riferendosi alle stelle più calde chesono da ogni lato le più remote da noi, aggiunge: «Èperchè noi siamo nel centro, perchè il sistema solare ènel centro, che noi osserviamo i suddetti effetti». E con-stata altresì che la nebulosa anulare della Lira rappre-senta presso a poco la forma del nostro intero sistema,ed aggiunge: «Noi sappiamo per pratica che nel nostrosistema il centro è la regione più risparmiata dagli scon-volgimenti e perciò allo stato più freddo».

Questi diversi fatti, da noi semplicemente accennati,che hanno portato alla medesima conclusione molti deipiù eminenti astronomi, contribuiscono tutti a una con-seguenza ben precisa, cioè che la nostra posizione, oquella del sistema solare, non può esser molto lontanadal centro del vasto anello di stelle che costituiscono laVia Lattea; inoltre i medesimi fatti fanno supporre chequest'anello abbia una forma quasi circolare. Ma perquel che riguarda la nostra posizione nel piano della ViaLattea, non è possibile determinarla con precisione, peròpossiamo ritenere come certo che se noi fossimo moltolontani dal centro, per esempio in modo che un quarto

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del suo diametro restasse da una parte e tre quartidall'altra, le apparenze non sarebbero tali quali sono, epotremmo facilmente determinare l'eccentricità dellanostra posizione. Se noi fossimo ad un terzo del suo dia-metro da una parte e a due terzi dall'altra, io credo am-missibile l'opinione che tale fatto sarebbe stato accertatodai varii metodi di ricerche più efficaci. Bisogna adun-que che noi siamo in qualche luogo fra l'attuale centro eun cerchio, il cui raggio sia un terzo della distanza dellaVia Lattea, e se noi siamo a mezza strada circa tra que-ste due posizioni, la nostra situazione viene a esserepresso a poco lontana del vero centro della Via Latteasoltanto di un sesto del raggio, e di un dodicesimo deldiametro di questa; quindi, se noi facciamo parte di ungruppo di stelle gravitanti lentamente intorno a questocentro, avremo probabilmente tutti i vantaggi che pro-vengono dal fatto di possedere una posizione quasi cen-trale nel sistema stellare.

Il problema riguardante il nostro posto nel gran cer-chio della Via Lattea è di grandissima importanza dalpunto di vista dell'argomento che intraprendo a trattare,così che mi occorre accennare e trattenermi sopra ognifatto che abbia rapporto con esso. Ecco uno di tali fattial quale, almeno secondo la mia opinione, non è statodato finora quel peso che merita.

Si crede, in generale, che il maggiore splendore diqualche punto della Via Lattea non sia da attribuirsi aduna maggior vicinanza, perchè una superficie mantieneil suo grado di luce qualunque sia la distanza dalla quale

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del suo diametro restasse da una parte e tre quartidall'altra, le apparenze non sarebbero tali quali sono, epotremmo facilmente determinare l'eccentricità dellanostra posizione. Se noi fossimo ad un terzo del suo dia-metro da una parte e a due terzi dall'altra, io credo am-missibile l'opinione che tale fatto sarebbe stato accertatodai varii metodi di ricerche più efficaci. Bisogna adun-que che noi siamo in qualche luogo fra l'attuale centro eun cerchio, il cui raggio sia un terzo della distanza dellaVia Lattea, e se noi siamo a mezza strada circa tra que-ste due posizioni, la nostra situazione viene a esserepresso a poco lontana del vero centro della Via Latteasoltanto di un sesto del raggio, e di un dodicesimo deldiametro di questa; quindi, se noi facciamo parte di ungruppo di stelle gravitanti lentamente intorno a questocentro, avremo probabilmente tutti i vantaggi che pro-vengono dal fatto di possedere una posizione quasi cen-trale nel sistema stellare.

Il problema riguardante il nostro posto nel gran cer-chio della Via Lattea è di grandissima importanza dalpunto di vista dell'argomento che intraprendo a trattare,così che mi occorre accennare e trattenermi sopra ognifatto che abbia rapporto con esso. Ecco uno di tali fattial quale, almeno secondo la mia opinione, non è statodato finora quel peso che merita.

Si crede, in generale, che il maggiore splendore diqualche punto della Via Lattea non sia da attribuirsi aduna maggior vicinanza, perchè una superficie mantieneil suo grado di luce qualunque sia la distanza dalla quale

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la vediamo. Ciascun pianeta ha la sua particolare lucen-tezza o il suo potere riflettivo, chiamato tecnicamentealbedo, ed esso rimane inalterato a qualsiasi distanza,purchè le altre condizioni siano eguali. Malgrado questaben nota verità, Giovanni Herschel osserva che il mag-gior splendore della parte meridionale della Via Latteasuscita l'impressione di una maggiore vicinanza, si puòquindi supporre che noi occupiamo un posto eccentriconel suo piano. Questo modo di vedere è stato adottato damolti scrittori, come se esso rappresentasse un fatto si-curo, o almeno l'espressione di un'opinione fondata,piuttosto che una semplice impressione, la quale poi èanche assolutamente falsa. Mi accingo dunque ad espor-re i fenomeni che hanno un reale interesse per la que-stione.

È evidente che se la Via Lattea fosse veramente dilarghezza uniforme per tutta la sua estensione, allora ladifferenza apparente nella sua ampiezza indicherebbeuna differenza di distanza. Nelle parti più vicine a noiapparirebbe più ampia; in quelle più remote più stretta,ma in queste diverse direzioni non dovrebbe notarsi al-cuna differenza nel grado di splendore. Noi dovremmoaspettarci adunque che nelle parti a noi più vicine lestelle luminose, come quelle comprese in qualsivoglialimite di grandezza, siano in media più numerose, e piùrade nelle parti più lontane. Ma questa differenza non èstata mai notata; vi è invece una speciale corrisponden-za, e molto suggestiva, nelle parti opposte della Via Lat-tea. Nella bellissima carta delle nebulose e gruppi stella-

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la vediamo. Ciascun pianeta ha la sua particolare lucen-tezza o il suo potere riflettivo, chiamato tecnicamentealbedo, ed esso rimane inalterato a qualsiasi distanza,purchè le altre condizioni siano eguali. Malgrado questaben nota verità, Giovanni Herschel osserva che il mag-gior splendore della parte meridionale della Via Latteasuscita l'impressione di una maggiore vicinanza, si puòquindi supporre che noi occupiamo un posto eccentriconel suo piano. Questo modo di vedere è stato adottato damolti scrittori, come se esso rappresentasse un fatto si-curo, o almeno l'espressione di un'opinione fondata,piuttosto che una semplice impressione, la quale poi èanche assolutamente falsa. Mi accingo dunque ad espor-re i fenomeni che hanno un reale interesse per la que-stione.

È evidente che se la Via Lattea fosse veramente dilarghezza uniforme per tutta la sua estensione, allora ladifferenza apparente nella sua ampiezza indicherebbeuna differenza di distanza. Nelle parti più vicine a noiapparirebbe più ampia; in quelle più remote più stretta,ma in queste diverse direzioni non dovrebbe notarsi al-cuna differenza nel grado di splendore. Noi dovremmoaspettarci adunque che nelle parti a noi più vicine lestelle luminose, come quelle comprese in qualsivoglialimite di grandezza, siano in media più numerose, e piùrade nelle parti più lontane. Ma questa differenza non èstata mai notata; vi è invece una speciale corrisponden-za, e molto suggestiva, nelle parti opposte della Via Lat-tea. Nella bellissima carta delle nebulose e gruppi stella-

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ri del signor Sidney Waters, pubblicata dalla R. SocietàAstronomica e riprodotta, con la dovuta autorizzazione,in fine di questo volume, la Via Lattea è disegnata intutta la sua estensione, in tutte le sue più minute parti.Questa carta ci dimostra che in ambidue gli emisferi laVia Lattea raggiunge la sua massima estensione a destraed a sinistra dei margini della carta, e appare di unaeguale superficie, mentre nel centro di ciascun emisfero,nei punti rispettivamente più vicini tanto al polo nordquanto al polo sud, appare più ristretta; e quantunque laparte che si trova nell'emisfero sud sia più luminosa epiù nettamente definita, nondimeno l'estensione realeche limita la parte più debole non è molto disugualedell'opposto segmento.

Notiamo qui una significante simmetria nelle propor-zioni della Via Lattea, cosa che, insieme con la quasi as-soluta simmetria con la quale sono disposte le stelle inogni parte del vasto anello, ci induce a crederla di formaquasi circolare, ed a supporre che la nostra posizione nelsuo piano sia quasi centrale. Inoltre la Via Lattea possie-de un'altra caratteristica che non si può trascurare. Disolito si dice che essa sia doppia per una considerevoleparte della sua estensione, e, generalmente, i mappa-mondi celesti indicano lo sdoppiamento in modo esage-rato, specialmente nell'emisfero del nord. Questa scis-sione fu considerata di molta importanza, e indusse acredere ad una spaccatura del suo disco, o anche feceemettere l'altra ipotesi che esistessero due regolari anelliseparati, e che il più vicino nascondesse a noi, in parte,

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ri del signor Sidney Waters, pubblicata dalla R. SocietàAstronomica e riprodotta, con la dovuta autorizzazione,in fine di questo volume, la Via Lattea è disegnata intutta la sua estensione, in tutte le sue più minute parti.Questa carta ci dimostra che in ambidue gli emisferi laVia Lattea raggiunge la sua massima estensione a destraed a sinistra dei margini della carta, e appare di unaeguale superficie, mentre nel centro di ciascun emisfero,nei punti rispettivamente più vicini tanto al polo nordquanto al polo sud, appare più ristretta; e quantunque laparte che si trova nell'emisfero sud sia più luminosa epiù nettamente definita, nondimeno l'estensione realeche limita la parte più debole non è molto disugualedell'opposto segmento.

Notiamo qui una significante simmetria nelle propor-zioni della Via Lattea, cosa che, insieme con la quasi as-soluta simmetria con la quale sono disposte le stelle inogni parte del vasto anello, ci induce a crederla di formaquasi circolare, ed a supporre che la nostra posizione nelsuo piano sia quasi centrale. Inoltre la Via Lattea possie-de un'altra caratteristica che non si può trascurare. Disolito si dice che essa sia doppia per una considerevoleparte della sua estensione, e, generalmente, i mappa-mondi celesti indicano lo sdoppiamento in modo esage-rato, specialmente nell'emisfero del nord. Questa scis-sione fu considerata di molta importanza, e indusse acredere ad una spaccatura del suo disco, o anche feceemettere l'altra ipotesi che esistessero due regolari anelliseparati, e che il più vicino nascondesse a noi, in parte,

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quello più lontano, mentre varie combinazioni spiralierano immaginate da altri, come necessarie per spiegaremeglio l'apparenza generale della Via Lattea. Ma conuna nuova carta, ricavata da quella più grande dell'astro-nomo lord Rosse, il Dott. Boeddicker, che dedicò cinqueanni a disegnarla, ci fa vedere che non vi è una verascissione in qualsivoglia parte di essa nell'emisferonord, ma invece per tutta la sua estensione essa apparecome un intreccio di strisce e diramazioni, diverse fraloro per lo splendore, mentre d'altro canto i suoi contor-ni, benchè sfumati e appena distinti, pure la limitanonettamente. I medesimi caratteri si notano nell'emisferosud che è stato designato dal Dott. Gould.

Un'altra caratteristica, che ben si osserva nelle piùesatte carte celesti, è la curva regolare della linea centra-le della Via Lattea. Si può benissimo scorgerla anche adocchio, ma se con un compasso cerchiamo il raggio ed ilcentro di curvatura, vedremo che l'esatta curva circolaresi trova sempre al centro delle masse nebulose, e che ilmedesimo raggio, riportato allo stesso modo nell'oppo-sto emisfero, dà un eguale resultato. È da notare che,quantunque la Via Lattea sia situata obliquamente suqueste carte, il centro della curva sarà in ascensione ret-ta circa a 0 ore e 40 minuti nell'emisfero sud, e in quellonord, in ascensione retta, a 12 ore e 40 minuti, mentre ilraggio di curvatura avrà presso a poco la lunghezza del-la corda di 8 ore di A. R., se misurato dal margine dellacarta. Questa grande regolarità della curva della lineacentrale della Via Lattea appoggia fortemente l'ipotesi

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quello più lontano, mentre varie combinazioni spiralierano immaginate da altri, come necessarie per spiegaremeglio l'apparenza generale della Via Lattea. Ma conuna nuova carta, ricavata da quella più grande dell'astro-nomo lord Rosse, il Dott. Boeddicker, che dedicò cinqueanni a disegnarla, ci fa vedere che non vi è una verascissione in qualsivoglia parte di essa nell'emisferonord, ma invece per tutta la sua estensione essa apparecome un intreccio di strisce e diramazioni, diverse fraloro per lo splendore, mentre d'altro canto i suoi contor-ni, benchè sfumati e appena distinti, pure la limitanonettamente. I medesimi caratteri si notano nell'emisferosud che è stato designato dal Dott. Gould.

Un'altra caratteristica, che ben si osserva nelle piùesatte carte celesti, è la curva regolare della linea centra-le della Via Lattea. Si può benissimo scorgerla anche adocchio, ma se con un compasso cerchiamo il raggio ed ilcentro di curvatura, vedremo che l'esatta curva circolaresi trova sempre al centro delle masse nebulose, e che ilmedesimo raggio, riportato allo stesso modo nell'oppo-sto emisfero, dà un eguale resultato. È da notare che,quantunque la Via Lattea sia situata obliquamente suqueste carte, il centro della curva sarà in ascensione ret-ta circa a 0 ore e 40 minuti nell'emisfero sud, e in quellonord, in ascensione retta, a 12 ore e 40 minuti, mentre ilraggio di curvatura avrà presso a poco la lunghezza del-la corda di 8 ore di A. R., se misurato dal margine dellacarta. Questa grande regolarità della curva della lineacentrale della Via Lattea appoggia fortemente l'ipotesi

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che la sua origine sia dovuta ad un moto rotatorio che lacreò e che la mantiene.

L'AMMASSO SOLARE.

Attualmente quasi tutti gli astronomi si accordano nelconvenire che vi è un ammasso stellare del quale il no-stro sole fa parte, benchè le sue esatte dimensioni, laforma e i limiti di esso siano ancora discutibili. Gugliel-mo Herschel molto tempo fa arrivò alla conclusione chela Via Lattea fosse «composta di stelle disseminate inmodo molto diverso di quelle che sono più immediata-mente intorno a noi.» Il dottor Gould credette che vifossero circa cinquecento stelle brillanti più vicine a noidella Via Lattea, e le chiamò gruppo solare. Miss Clerkeosserva che la reale esistenza di un tal gruppo è indicatadal fatto, che un elenco di stelle disposte in ordine foto-metrico manifesta una sistematica eccedenza di stellebrillanti appartenenti almeno alla quarta grandezza, to-gliendo così ogni dubbio che vi sia una vera condensa-zione stellare nelle vicinanze del sole, e che lo spaziocubico medio, per ogni stella, è minore entro una sferache includa il sole, e abbia un raggio di circa 146 anni diluce, e maggiore al di là di essa.»20

Ma l'investigazione che su questo soggetto più c'inte-ressa, è quella fatta dal prof. Kapteyn di Groninga, uno

20 The System of the Stars. – p. 385.

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che la sua origine sia dovuta ad un moto rotatorio che lacreò e che la mantiene.

L'AMMASSO SOLARE.

Attualmente quasi tutti gli astronomi si accordano nelconvenire che vi è un ammasso stellare del quale il no-stro sole fa parte, benchè le sue esatte dimensioni, laforma e i limiti di esso siano ancora discutibili. Gugliel-mo Herschel molto tempo fa arrivò alla conclusione chela Via Lattea fosse «composta di stelle disseminate inmodo molto diverso di quelle che sono più immediata-mente intorno a noi.» Il dottor Gould credette che vifossero circa cinquecento stelle brillanti più vicine a noidella Via Lattea, e le chiamò gruppo solare. Miss Clerkeosserva che la reale esistenza di un tal gruppo è indicatadal fatto, che un elenco di stelle disposte in ordine foto-metrico manifesta una sistematica eccedenza di stellebrillanti appartenenti almeno alla quarta grandezza, to-gliendo così ogni dubbio che vi sia una vera condensa-zione stellare nelle vicinanze del sole, e che lo spaziocubico medio, per ogni stella, è minore entro una sferache includa il sole, e abbia un raggio di circa 146 anni diluce, e maggiore al di là di essa.»20

Ma l'investigazione che su questo soggetto più c'inte-ressa, è quella fatta dal prof. Kapteyn di Groninga, uno

20 The System of the Stars. – p. 385.

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dei più diligenti studiosi della distribuzione delle stelle,il quale fonda la sua opinione specialmente sul movi-mento stellare, che giudica l'indizio migliore della di-stanza, in mancanza di una esatta determinazione dellaparallasse. Egli si è servito dei movimenti propri e deglispettri di più di 2000 stelle, e ha trovato che un conside-revole numero di esse, che hanno movimento proprio eche presentano uno spettro sul tipo di quello solare, cir-condano da ogni parte il nostro sole, e non sembra cheaumentino in densità, come fanno le stelle le più lonta-ne, verso la Via Lattea. Egli trovò altresì che verso ilcentro di questo gruppo stellare le stelle sono più fitteche verso il limite esterno (novantotto volte di più), cheil gruppo è di forma irregolare e che la massima com-pressione è, almeno per quel che si può accertare, nelcentro del cerchio formato dalla Via Lattea, e che il soleè situato a qualche distanza da questo punto centrale.21

È un fatto molto suggestivo quello che molte dellestelle comprese in questo gruppo hanno lo spettro sultipo di quello solare, cosa che dimostra come esse ab-biano una costituzione chimica identica a quella del no-stro sole, e siano press'a poco al medesimo stadio dievoluzione. Forse queste stelle hanno avuto origine dauna grande massa nebulosa situata nel centro del pianogalassico, o almeno nelle vicinanze di esso, e gravitano,probabilmente, intorno ad un comune centro di gravità.

21 Questo riassunto delle ricerche del prof. Kapteyn è statotolto da un articolo di miss Clerke, pubblicato nel Knowledgedell'aprile 1893.

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dei più diligenti studiosi della distribuzione delle stelle,il quale fonda la sua opinione specialmente sul movi-mento stellare, che giudica l'indizio migliore della di-stanza, in mancanza di una esatta determinazione dellaparallasse. Egli si è servito dei movimenti propri e deglispettri di più di 2000 stelle, e ha trovato che un conside-revole numero di esse, che hanno movimento proprio eche presentano uno spettro sul tipo di quello solare, cir-condano da ogni parte il nostro sole, e non sembra cheaumentino in densità, come fanno le stelle le più lonta-ne, verso la Via Lattea. Egli trovò altresì che verso ilcentro di questo gruppo stellare le stelle sono più fitteche verso il limite esterno (novantotto volte di più), cheil gruppo è di forma irregolare e che la massima com-pressione è, almeno per quel che si può accertare, nelcentro del cerchio formato dalla Via Lattea, e che il soleè situato a qualche distanza da questo punto centrale.21

È un fatto molto suggestivo quello che molte dellestelle comprese in questo gruppo hanno lo spettro sultipo di quello solare, cosa che dimostra come esse ab-biano una costituzione chimica identica a quella del no-stro sole, e siano press'a poco al medesimo stadio dievoluzione. Forse queste stelle hanno avuto origine dauna grande massa nebulosa situata nel centro del pianogalassico, o almeno nelle vicinanze di esso, e gravitano,probabilmente, intorno ad un comune centro di gravità.

21 Questo riassunto delle ricerche del prof. Kapteyn è statotolto da un articolo di miss Clerke, pubblicato nel Knowledgedell'aprile 1893.

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Il professor S. Newcomb ha esaminato se i risultati diKapteyn siano fondati sopra un materiale accettabile eattualmente giovevole. Egli si è servito di due recenticataloghi di stelle, uno dei quali comprende quelle chehanno un movimento proprio di 10" all'anno, delle qualive ne sono 295, e l'altro comprende quasi 1500 stelle,che hanno «un movimento proprio apprezzabile.» Essesono situate in due zone ciascuna di 5 gradi di ampiez-za, e traversano in più punti il corso della Via Lattea.Questo è un buon punto di partenza per le deduzioni sul-la distribuzione delle stelle più vicine rispetto alla ViaLattea. Il resultato fu che, in media, queste stelle nonsono più numerose nella Via Lattea e nelle sue vicinanzeche altrove, ed il Prof. Newcomb si esprime così a talproposito: «La conclusione è importante e di molto inte-resse. Se noi potessimo togliere dalla volta celeste, tuttele stelle che non hanno movimento proprio abbastanzagrande da esser visibile, rimarrebbero stelle di tutte legrandezze, ma esse sarebbero sparse nel cielo in modoquasi uniforme, e avrebbero una piccola o nessuna ten-denza ad affollarsi intorno alla Via Lattea, eccettuataforse la regione verso la 19a ora di ascensione retta.»22

22 The Stars, p. 256. – La regione qui accennata è quella dovela Via Lattea raggiunge la sua più grande larghezza, benchè siaquasi eguale anche nell'opposta regione, e dove, forse più che al-trove, si spinge verso di noi.

Miss A. M. Clerke mi fa noto che nell'aprile 1901 Kapteyn ri-tirò l'opinione emessa nel 1893 circa la parallasse e i movimentipropri, come non vera nè fondata sopra validi ragionamenti. Ma

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Il professor S. Newcomb ha esaminato se i risultati diKapteyn siano fondati sopra un materiale accettabile eattualmente giovevole. Egli si è servito di due recenticataloghi di stelle, uno dei quali comprende quelle chehanno un movimento proprio di 10" all'anno, delle qualive ne sono 295, e l'altro comprende quasi 1500 stelle,che hanno «un movimento proprio apprezzabile.» Essesono situate in due zone ciascuna di 5 gradi di ampiez-za, e traversano in più punti il corso della Via Lattea.Questo è un buon punto di partenza per le deduzioni sul-la distribuzione delle stelle più vicine rispetto alla ViaLattea. Il resultato fu che, in media, queste stelle nonsono più numerose nella Via Lattea e nelle sue vicinanzeche altrove, ed il Prof. Newcomb si esprime così a talproposito: «La conclusione è importante e di molto inte-resse. Se noi potessimo togliere dalla volta celeste, tuttele stelle che non hanno movimento proprio abbastanzagrande da esser visibile, rimarrebbero stelle di tutte legrandezze, ma esse sarebbero sparse nel cielo in modoquasi uniforme, e avrebbero una piccola o nessuna ten-denza ad affollarsi intorno alla Via Lattea, eccettuataforse la regione verso la 19a ora di ascensione retta.»22

22 The Stars, p. 256. – La regione qui accennata è quella dovela Via Lattea raggiunge la sua più grande larghezza, benchè siaquasi eguale anche nell'opposta regione, e dove, forse più che al-trove, si spinge verso di noi.

Miss A. M. Clerke mi fa noto che nell'aprile 1901 Kapteyn ri-tirò l'opinione emessa nel 1893 circa la parallasse e i movimentipropri, come non vera nè fondata sopra validi ragionamenti. Ma

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Rivolgendo per poco la nostra attenzione a quanto ab-biamo detto, comprenderemo che le stelle di ogni gran-dezza che sono in media le più vicine noi, sono sparsenel firmamento in «ogni direzione» e «quasi in modouniforme». Questo dimostra in modo certo che esse for-mano un ammasso, e che il nostro sole non è lontano dalcentro di questo ammasso. Inoltre il prof. Newcomb af-ferma la «notevole eguaglianza nel numero delle stellenelle direzioni opposte rispetto a noi, tanto da non poterrivelar alcuna notevole differenza fra il numero dellestelle che si trovano ai poli opposti della Via Lattea, eneppure, per quel che fino ad ora sappiamo, fra la densi-tà di esse nelle diverse regioni, ugualmente distanti, del-la Via Lattea.» (The Stars, p. 315). Egli afferma inoltre ap. 317, sempre allo stesso proposito, che «per quel chepossiamo dire e giudicare dal numero delle stelle in tuttele direzioni e dall'aspetto della Via Lattea, il nostro si-stema è vicino al centro dell'Universo stellare.»

Io credo che i miei lettori si saranno fatta un'ideachiara che i quattro principali fatti astronomici enunciatinel mio articolo inserito nell'Indipendent di New York e

io aggiungo che questa opinione è propugnata tuttora, benchè nonassolutamente, dal prof. Newcomb e da altri astronomi, i qualisono arrivati indipendentemente da essa a simili resultati. Potreb-be anche darsi quindi che la conclusione del prof. Kapteyn nonavesse bisogno di molte modificazioni. Il Newcomb ci dice anche(The Stars, p. 214, nota) che ha veduto i più recenti scritti di Kap-teyn, cioè quelli dopo il 1901, che non esprimono alcun dubbiosulla conclusione che abbiamo qui riferita.

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Rivolgendo per poco la nostra attenzione a quanto ab-biamo detto, comprenderemo che le stelle di ogni gran-dezza che sono in media le più vicine noi, sono sparsenel firmamento in «ogni direzione» e «quasi in modouniforme». Questo dimostra in modo certo che esse for-mano un ammasso, e che il nostro sole non è lontano dalcentro di questo ammasso. Inoltre il prof. Newcomb af-ferma la «notevole eguaglianza nel numero delle stellenelle direzioni opposte rispetto a noi, tanto da non poterrivelar alcuna notevole differenza fra il numero dellestelle che si trovano ai poli opposti della Via Lattea, eneppure, per quel che fino ad ora sappiamo, fra la densi-tà di esse nelle diverse regioni, ugualmente distanti, del-la Via Lattea.» (The Stars, p. 315). Egli afferma inoltre ap. 317, sempre allo stesso proposito, che «per quel chepossiamo dire e giudicare dal numero delle stelle in tuttele direzioni e dall'aspetto della Via Lattea, il nostro si-stema è vicino al centro dell'Universo stellare.»

Io credo che i miei lettori si saranno fatta un'ideachiara che i quattro principali fatti astronomici enunciatinel mio articolo inserito nell'Indipendent di New York e

io aggiungo che questa opinione è propugnata tuttora, benchè nonassolutamente, dal prof. Newcomb e da altri astronomi, i qualisono arrivati indipendentemente da essa a simili resultati. Potreb-be anche darsi quindi che la conclusione del prof. Kapteyn nonavesse bisogno di molte modificazioni. Il Newcomb ci dice anche(The Stars, p. 214, nota) che ha veduto i più recenti scritti di Kap-teyn, cioè quelli dopo il 1901, che non esprimono alcun dubbiosulla conclusione che abbiamo qui riferita.

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nella Fortnightly Review, articolo che fu discusso ed an-che addirittura riprovato da parecchi critici astronomi,sono evidentemente appoggiati su basi di tanta verità edevidenza, che non è possibile negare più a lungo chesono, almeno provvisoriamente, ben stabiliti.

Questi fatti sono: 1. che l'Universo stellare non èd'infinita estensione; 2. che il nostro sole è situato nelpiano centrale della Via Lattea; 3. che è situato, almeno,molto vicino al centro del detto piano; 4. che siamo cir-condati da un gruppo stellare di sconosciuta estensione,il quale occupa un posto non lontano dal centro dellaVia Lattea, e perciò vicino al centro dell'Universo stella-re.

E queste quattro proposizioni non sono soltanto tutteavvalorate da evidenze indiscutibili, alcune delle qualicredo non siano state addotte in loro appoggio, ma essesono state ammesse come valide e convergenti tutte almedesimo resultato da molti astronomi, i quali hannoespresso la loro convinzione nel modo chiaro da me sur-riferito. È alla loro opinione concludente che io mi ap-pello adottandole; nondimeno due dotti astronomi, mieicritici, negano che vi siano dati sicuri perchè il nostroUniverso possa esser giudicato di non infinita estensio-ne; uno di essi anzi chiama questa opinione «un mito» emi accusa di averlo fatto nascere. Ambidue si trovanod'accordo nel formulare un'obbiezione alla mia tesi prin-cipale, quella cioè che non è necessario che la nostra po-sizione astronomica sia nel centro dell'Universo stellare,perchè abbia un significato ed uno scopo per quel che ri-

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nella Fortnightly Review, articolo che fu discusso ed an-che addirittura riprovato da parecchi critici astronomi,sono evidentemente appoggiati su basi di tanta verità edevidenza, che non è possibile negare più a lungo chesono, almeno provvisoriamente, ben stabiliti.

Questi fatti sono: 1. che l'Universo stellare non èd'infinita estensione; 2. che il nostro sole è situato nelpiano centrale della Via Lattea; 3. che è situato, almeno,molto vicino al centro del detto piano; 4. che siamo cir-condati da un gruppo stellare di sconosciuta estensione,il quale occupa un posto non lontano dal centro dellaVia Lattea, e perciò vicino al centro dell'Universo stella-re.

E queste quattro proposizioni non sono soltanto tutteavvalorate da evidenze indiscutibili, alcune delle qualicredo non siano state addotte in loro appoggio, ma essesono state ammesse come valide e convergenti tutte almedesimo resultato da molti astronomi, i quali hannoespresso la loro convinzione nel modo chiaro da me sur-riferito. È alla loro opinione concludente che io mi ap-pello adottandole; nondimeno due dotti astronomi, mieicritici, negano che vi siano dati sicuri perchè il nostroUniverso possa esser giudicato di non infinita estensio-ne; uno di essi anzi chiama questa opinione «un mito» emi accusa di averlo fatto nascere. Ambidue si trovanod'accordo nel formulare un'obbiezione alla mia tesi prin-cipale, quella cioè che non è necessario che la nostra po-sizione astronomica sia nel centro dell'Universo stellare,perchè abbia un significato ed uno scopo per quel che ri-

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guarda la vita e lo sviluppo dell'uomo sulla terra, e, perquel che ne sappiamo, qui unicamente. Mi occuperò oradi questa obbiezione, l'unica che a mio parere abbia unacerta importanza.

IL MOVIMENTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPAZIO.

I due astronomi che mi fecero l'onore di criticare ilmio primo articolo, accordano grande importanza al fat-to che, se io avessi anche provato che il sole occupa unaposizione quasi centrale nel gran sistema stellare, ciònon avrebbe alcuna importanza, perchè, attesa la veloci-tà con la quale il sole viaggia, «cinque milioni d'anni faesso doveva trovarsi nelle profondità della Via Lattea. Incinque milioni d'anni avremmo dovuto traversare com-pletamente l'abisso che essa circonda, ritornando nuova-mente a rappresentare un membro di uno dei gruppi chela costituiscono, ma dalla parte opposta. E dieci milionid'anni sono considerati dai geologi e dai biologi comeuna bazzecola in paragone del tempo che occorre perchècerti fatti si compiano». Così parla uno dei miei critici.L'altro, che si mostra più benevolo, dice: «Se vi fosse uncentro nell'Universo visibile e se noi l'occupassimooggi, non sarebbe stato così ieri e non sarebbe così do-mani. Sappiamo che il sistema solare si muove fra lestelle con una tale velocità che ci porterebbe al posto diSirio in centomila anni, ammesso che viaggiassimo in

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guarda la vita e lo sviluppo dell'uomo sulla terra, e, perquel che ne sappiamo, qui unicamente. Mi occuperò oradi questa obbiezione, l'unica che a mio parere abbia unacerta importanza.

IL MOVIMENTO DEL SOLE ATTRAVERSO LO SPAZIO.

I due astronomi che mi fecero l'onore di criticare ilmio primo articolo, accordano grande importanza al fat-to che, se io avessi anche provato che il sole occupa unaposizione quasi centrale nel gran sistema stellare, ciònon avrebbe alcuna importanza, perchè, attesa la veloci-tà con la quale il sole viaggia, «cinque milioni d'anni faesso doveva trovarsi nelle profondità della Via Lattea. Incinque milioni d'anni avremmo dovuto traversare com-pletamente l'abisso che essa circonda, ritornando nuova-mente a rappresentare un membro di uno dei gruppi chela costituiscono, ma dalla parte opposta. E dieci milionid'anni sono considerati dai geologi e dai biologi comeuna bazzecola in paragone del tempo che occorre perchècerti fatti si compiano». Così parla uno dei miei critici.L'altro, che si mostra più benevolo, dice: «Se vi fosse uncentro nell'Universo visibile e se noi l'occupassimooggi, non sarebbe stato così ieri e non sarebbe così do-mani. Sappiamo che il sistema solare si muove fra lestelle con una tale velocità che ci porterebbe al posto diSirio in centomila anni, ammesso che viaggiassimo in

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direzione di esso, cosa che non è. Nei cinquanta o centomilioni d'anni durante i quali, secondo i geologi, questaterra è diventata abitabile, dobbiamo aver passato da vi-cino a milioni di stelle, tanto a destra che a sinistra. Nel-la cocciuta idea che ha il Wallace di limitare lo spaziodell'Universo, ha certamente dimenticato una cosa mol-to importante al suo scopo... limitarne anche il tempo;ma questa sarebbe stata cosa più ardua a farsi di fronte acerti fatti constatati.... Dunque, mentre noi avremmotranquillamente potuto godere di una posizione centraleper una serie non interrotta di centinaia di milionid'anni, abbiamo invece avuto il tempo di traversarel'Universo da parte a parte.»23

Ora, la maggioranza dei lettori di questi due critici,conoscendo l'alta posizione ufficiale che ambedue gliscrittori occupano, potrebbe accettare l'affermazionesuddetta come un fatto dimostrato, senza domandar al-tro, con la convinzione che tutta la mia argomentazionesia perciò di nessun valore, e che il mio dire non sia al-tro che un fantastico sogno. Ma io, d'altra parte, possodimostrare che i fatti esposti dai miei contradittori, peresempio il movimento del sole, non sono in alcun modoprovati, perchè appoggiati a presunzioni che potrebberoessere addirittura erronee. Ed inoltre, ammettendo che ifatti possano essere sostanzialmente veri, essi hanno en-trambi omesso di dimostrarli in modo irrefutabile, edhanno fatto delle restrizioni, le quali distruggono le con-

23 Vedi il Knowoledge e la Fortnightly Review di aprile 1903.

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direzione di esso, cosa che non è. Nei cinquanta o centomilioni d'anni durante i quali, secondo i geologi, questaterra è diventata abitabile, dobbiamo aver passato da vi-cino a milioni di stelle, tanto a destra che a sinistra. Nel-la cocciuta idea che ha il Wallace di limitare lo spaziodell'Universo, ha certamente dimenticato una cosa mol-to importante al suo scopo... limitarne anche il tempo;ma questa sarebbe stata cosa più ardua a farsi di fronte acerti fatti constatati.... Dunque, mentre noi avremmotranquillamente potuto godere di una posizione centraleper una serie non interrotta di centinaia di milionid'anni, abbiamo invece avuto il tempo di traversarel'Universo da parte a parte.»23

Ora, la maggioranza dei lettori di questi due critici,conoscendo l'alta posizione ufficiale che ambedue gliscrittori occupano, potrebbe accettare l'affermazionesuddetta come un fatto dimostrato, senza domandar al-tro, con la convinzione che tutta la mia argomentazionesia perciò di nessun valore, e che il mio dire non sia al-tro che un fantastico sogno. Ma io, d'altra parte, possodimostrare che i fatti esposti dai miei contradittori, peresempio il movimento del sole, non sono in alcun modoprovati, perchè appoggiati a presunzioni che potrebberoessere addirittura erronee. Ed inoltre, ammettendo che ifatti possano essere sostanzialmente veri, essi hanno en-trambi omesso di dimostrarli in modo irrefutabile, edhanno fatto delle restrizioni, le quali distruggono le con-

23 Vedi il Knowoledge e la Fortnightly Review di aprile 1903.

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clusioni che essi fanno derivare da fatti molto dubbiosi.I lettori dei miei critici dovranno comprendere cheun'apologia ufficiale, sia di medicina, di legge o discienza, non può essere accettata, finchè non sia stataudita la parte avversa. Cercheremo quindi di studiare ifatti quali veramente sono.

Il prof. Simon Newcomb calcola che, se vi fossero100 milioni di stelle nell'Universo stellare e se ciascunafosse cinque volte maggiore del nostro sole e la sua lucesi diffondesse in uno spazio per traversare il quale oc-corressero 30.000 anni, ogni massa che traversasse untal sistema con una velocità maggiore di 25 miglia al se-condo, sarebbe slanciata nello spazio per mai più ritor-nare. Ma poichè vi sono molte stelle, le quali, almenoapparentemente, hanno una velocità maggiore di quellasuddetta, ne viene per conseguenza che l'Universo visi-bile dovrebbe cambiare sempre. Inoltre ciò lascia sup-porre che questa grande velocità non sarebbe stata ac-quistata nel sistema stesso, ma che i corpi che la posseg-gono l'avrebbero acquistata fuori di esso, cosa che im-porterebbe l'esistenza di altri Universi oltre il nostro. Perl'esattezza dei precedenti dati, l'autorità del prof. New-comb è sufficiente garanzia, ma bisogna modificare as-sai i fatti sui quali il ragionamento è fondato, e questoaltera di molto il resultato. Se non erro, il dire che il nu-mero delle stelle è di cento milioni nasce dal conto, oestimo fatto delle stelle di successive grandezze nelledifferenti parti del cielo, e questa valutazione non devecomprendere altro che quelle dei più densi gruppi, senza

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clusioni che essi fanno derivare da fatti molto dubbiosi.I lettori dei miei critici dovranno comprendere cheun'apologia ufficiale, sia di medicina, di legge o discienza, non può essere accettata, finchè non sia stataudita la parte avversa. Cercheremo quindi di studiare ifatti quali veramente sono.

Il prof. Simon Newcomb calcola che, se vi fossero100 milioni di stelle nell'Universo stellare e se ciascunafosse cinque volte maggiore del nostro sole e la sua lucesi diffondesse in uno spazio per traversare il quale oc-corressero 30.000 anni, ogni massa che traversasse untal sistema con una velocità maggiore di 25 miglia al se-condo, sarebbe slanciata nello spazio per mai più ritor-nare. Ma poichè vi sono molte stelle, le quali, almenoapparentemente, hanno una velocità maggiore di quellasuddetta, ne viene per conseguenza che l'Universo visi-bile dovrebbe cambiare sempre. Inoltre ciò lascia sup-porre che questa grande velocità non sarebbe stata ac-quistata nel sistema stesso, ma che i corpi che la posseg-gono l'avrebbero acquistata fuori di esso, cosa che im-porterebbe l'esistenza di altri Universi oltre il nostro. Perl'esattezza dei precedenti dati, l'autorità del prof. New-comb è sufficiente garanzia, ma bisogna modificare as-sai i fatti sui quali il ragionamento è fondato, e questoaltera di molto il resultato. Se non erro, il dire che il nu-mero delle stelle è di cento milioni nasce dal conto, oestimo fatto delle stelle di successive grandezze nelledifferenti parti del cielo, e questa valutazione non devecomprendere altro che quelle dei più densi gruppi, senza

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tener conto di quelle innumerevoli della Via Lattea, al dilà della portata del telescopio, e senza considerare nè lestelle oscure, che molti astronomi hanno supposto sianopiù numerose di quelle luminose, nè la moltitudine dellenebulose, grandi e piccole.24

Nell'ultima sua opera il prof. Newcomb dice: «Il nu-mero totale delle stelle è da contarsi a centinaia di milio-ni», e perciò il potere del sistema di trattenere i corpiche comprende, deve essere molte volte più grande diquello suddetto, e deve esser tanto grande da mantenerenei loro limiti anche le stelle che si muovono con unarapidità vertiginosa, come Arturo, che si crede possiedauna velocità maggiore di tremila miglia al secondo. An-che un'altra, e non meno importante conclusione può ri-cavarsi dai calcoli del Newcomb. Egli presume che lestelle siano distribuite quasi con uniforme regolarità pertutto lo spazio compreso dal sistema. Ma i fatti sonomolto differenti. L'esistenza di ammassi, taluni dei qualicomprendono diverse migliaia di stelle, è un esempiodella loro irregolarità di distribuzione, ed ognuno diquesti innumerevoli ammassi potrebbe probabilmentecambiare il corso di qualunque stella delle più velociche gli passasse vicina. La più grande nebulosa potrebbeavere la medesima potenza, poichè Ranyard, che limita isuoi calcoli in modo da ottenere dei risultati minimi,

24 Sir R. Ball, in un articolo del Good Words (aprile 1903)dice che la luminosità è un fenomeno eccezionale della natura, eche le stelle luminose non sono altro che le lucciole dell'Univer-so, al paragone della miriade degli altri animali.

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tener conto di quelle innumerevoli della Via Lattea, al dilà della portata del telescopio, e senza considerare nè lestelle oscure, che molti astronomi hanno supposto sianopiù numerose di quelle luminose, nè la moltitudine dellenebulose, grandi e piccole.24

Nell'ultima sua opera il prof. Newcomb dice: «Il nu-mero totale delle stelle è da contarsi a centinaia di milio-ni», e perciò il potere del sistema di trattenere i corpiche comprende, deve essere molte volte più grande diquello suddetto, e deve esser tanto grande da mantenerenei loro limiti anche le stelle che si muovono con unarapidità vertiginosa, come Arturo, che si crede possiedauna velocità maggiore di tremila miglia al secondo. An-che un'altra, e non meno importante conclusione può ri-cavarsi dai calcoli del Newcomb. Egli presume che lestelle siano distribuite quasi con uniforme regolarità pertutto lo spazio compreso dal sistema. Ma i fatti sonomolto differenti. L'esistenza di ammassi, taluni dei qualicomprendono diverse migliaia di stelle, è un esempiodella loro irregolarità di distribuzione, ed ognuno diquesti innumerevoli ammassi potrebbe probabilmentecambiare il corso di qualunque stella delle più velociche gli passasse vicina. La più grande nebulosa potrebbeavere la medesima potenza, poichè Ranyard, che limita isuoi calcoli in modo da ottenere dei risultati minimi,

24 Sir R. Ball, in un articolo del Good Words (aprile 1903)dice che la luminosità è un fenomeno eccezionale della natura, eche le stelle luminose non sono altro che le lucciole dell'Univer-so, al paragone della miriade degli altri animali.

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giudica che la mole della nebulosa d'Orione è un milio-ne e mezzo di volte più grande del nostro sole, e che vipossono essere moltissime altre nebulose ugualmentegrandi. Il fatto più saliente è che il vasto anello della ViaLattea, che i moderni astronomi ritengono sia, non sol-tanto apparentemente, ma anche realmente, più denso distelle e di masse di materia nebulosa che qualunque al-tra parte del cielo, è possibile che comprenda in sè unaben grande parte della materia dell'Universo visibile.Ciò è anche più probabile per il fatto che la maggiorparte degli ammassi stellari si trovano lungo la sua area,molte delle più grandi stelle gassose le appartengono, edil continuo apparirvi di stelle nuove è una prova che ivisovrabbondano materie in varie forme, che cagionanofrequenti collisioni generatrici di calore, così come lafrequente caduta di meteoriti sul nostro globo dimostracome vi sia un'esuberanza di materia meteorica nel si-stema solare.

È noto ai matematici che in qualunque sistema di cor-pi soggetti alle leggi della gravitazione, una cosa comeil movimento rettilineo non può aver luogo, nè alcun au-mento di moto può prodursi in tal sistema a causa di unaforza di gravitazione capace di lanciare al di fuori diesso alcuna delle masse interne del sistema stesso.L'ultima tendenza deve essere verso una concentrazione,anzichè verso una dispersione.

Sarebbe perciò ragionevole considerare soltanto qualimovimenti e quali velocità abbiano le stelle, e se questimovimenti e queste velocità siano stati prodotti dalla

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giudica che la mole della nebulosa d'Orione è un milio-ne e mezzo di volte più grande del nostro sole, e che vipossono essere moltissime altre nebulose ugualmentegrandi. Il fatto più saliente è che il vasto anello della ViaLattea, che i moderni astronomi ritengono sia, non sol-tanto apparentemente, ma anche realmente, più denso distelle e di masse di materia nebulosa che qualunque al-tra parte del cielo, è possibile che comprenda in sè unaben grande parte della materia dell'Universo visibile.Ciò è anche più probabile per il fatto che la maggiorparte degli ammassi stellari si trovano lungo la sua area,molte delle più grandi stelle gassose le appartengono, edil continuo apparirvi di stelle nuove è una prova che ivisovrabbondano materie in varie forme, che cagionanofrequenti collisioni generatrici di calore, così come lafrequente caduta di meteoriti sul nostro globo dimostracome vi sia un'esuberanza di materia meteorica nel si-stema solare.

È noto ai matematici che in qualunque sistema di cor-pi soggetti alle leggi della gravitazione, una cosa comeil movimento rettilineo non può aver luogo, nè alcun au-mento di moto può prodursi in tal sistema a causa di unaforza di gravitazione capace di lanciare al di fuori diesso alcuna delle masse interne del sistema stesso.L'ultima tendenza deve essere verso una concentrazione,anzichè verso una dispersione.

Sarebbe perciò ragionevole considerare soltanto qualimovimenti e quali velocità abbiano le stelle, e se questimovimenti e queste velocità siano stati prodotti dalla

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forza di gravità esistente in aggregazioni più vaste, mo-dificate forse da forze elettriche repulsive, da collisionie dai resultati di queste collisioni. Noi possiamo studiarei cambiamenti visibili che avvengono in alcuni gruppied in alcune nebulose, come indici delle forze che pro-babilmente hanno influito sulle attuali condizionidell'intero Universo stellare.

Esaminando le belle fotografie di nebulose del dott.Roberts e di altri osservatori, scorgiamo che esse hannoforme diverse. Molte sono assolutamente irregolari esembrano piuttosto cirri di nuvole, ma molte, la maggiorparte, presentano una ben definita spirale, o indicanoche si avviano verso una tal forma; questo è il caso dimolte nebulose irregolari. Esiste poi un'infinità di nebu-lose che hanno la forma di un anello, e di solito nelladensa nebulosità del loro centro s'intravede una stella,separata da uno spazio oscuro di dimensioni variabilidall'anello esterno. Tutte le nebulose di questa specieposseggono stelle immerse nella loro nebulosità, chefanno apparentemente parte della loro struttura, ed altre,le quali non differiscono, almeno in apparenza, dallestelle ordinarie, e che il dottor Roberts crede siano situa-te fra noi e la nebulosa. In molte delle nebulose spirali lestelle si trovano spesso nelle volute della spirale stessa,mentre altre linee curve di stelle si vedono proprio al dilà della nebulosa, così che è impossibile di poter evitarela conclusione che sono realmente in rapporto fra loro,che le linee esterne delle stelle indicano che la nebulosaebbe alle origini una estensione maggiore, e che il suo

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forza di gravità esistente in aggregazioni più vaste, mo-dificate forse da forze elettriche repulsive, da collisionie dai resultati di queste collisioni. Noi possiamo studiarei cambiamenti visibili che avvengono in alcuni gruppied in alcune nebulose, come indici delle forze che pro-babilmente hanno influito sulle attuali condizionidell'intero Universo stellare.

Esaminando le belle fotografie di nebulose del dott.Roberts e di altri osservatori, scorgiamo che esse hannoforme diverse. Molte sono assolutamente irregolari esembrano piuttosto cirri di nuvole, ma molte, la maggiorparte, presentano una ben definita spirale, o indicanoche si avviano verso una tal forma; questo è il caso dimolte nebulose irregolari. Esiste poi un'infinità di nebu-lose che hanno la forma di un anello, e di solito nelladensa nebulosità del loro centro s'intravede una stella,separata da uno spazio oscuro di dimensioni variabilidall'anello esterno. Tutte le nebulose di questa specieposseggono stelle immerse nella loro nebulosità, chefanno apparentemente parte della loro struttura, ed altre,le quali non differiscono, almeno in apparenza, dallestelle ordinarie, e che il dottor Roberts crede siano situa-te fra noi e la nebulosa. In molte delle nebulose spirali lestelle si trovano spesso nelle volute della spirale stessa,mentre altre linee curve di stelle si vedono proprio al dilà della nebulosa, così che è impossibile di poter evitarela conclusione che sono realmente in rapporto fra loro,che le linee esterne delle stelle indicano che la nebulosaebbe alle origini una estensione maggiore, e che il suo

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materiale ha servito ad accrescere il numero delle stelle.Molte di queste nebulose a spirale presentano bellissimee regolari circonvoluzioni, le quali generalmente hannonel centro una vasta massa stellare, come nella M 100della Chioma di Berenice e nella I 84 della stessa costel-lazione, come si può vedere nel vol. II, tav. 14 della rac-colta di fotografie del dottor Roberts. Le strisce bianchee diritte che traversano la nebulosa delle Pleiadi e moltealtre sono giudicate dal dott. Roberts nebulose spiraliche noi vediamo di sghembo. In altri casi i gruppi distelle sono più o meno nebulosi, e la distribuzione dellestelle par che indichi la loro origine da nebulose a spira-le. Bisogna notare che molti di quei corpi celesti cheGiovanni Herschel classificò come nebulose planetarie,sono rivelati dalle migliori fotografie quali vere formeanulari, benchè spesso la distinzione fra l'anello e lamassa centrale sia piccola.

Ma se queste forme anulari con un nucleo centrale,spesso vastissimo, sono causate, date certe condizioni,dall'azione delle leggi ordinarie di moto sopra masse piùo meno estese di materia rada, perchè non può supporsiche le medesime leggi, agendo sopra una simile materiadispersa un tempo per lo spazio ove ora esiste l'Univer-so stellare, o anche al di là di quel che supponiamo esse-re i suoi limiti più lontani, abbiano provocato l'aggrega-zione dell'immensa formazione anulare della Via Lattea,con tutti i centri subordinati di concentrazione e disper-sione che vediamo in essa e intorno ad essa? E se questaè una supposizione ragionevole, non potremo noi spera-

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materiale ha servito ad accrescere il numero delle stelle.Molte di queste nebulose a spirale presentano bellissimee regolari circonvoluzioni, le quali generalmente hannonel centro una vasta massa stellare, come nella M 100della Chioma di Berenice e nella I 84 della stessa costel-lazione, come si può vedere nel vol. II, tav. 14 della rac-colta di fotografie del dottor Roberts. Le strisce bianchee diritte che traversano la nebulosa delle Pleiadi e moltealtre sono giudicate dal dott. Roberts nebulose spiraliche noi vediamo di sghembo. In altri casi i gruppi distelle sono più o meno nebulosi, e la distribuzione dellestelle par che indichi la loro origine da nebulose a spira-le. Bisogna notare che molti di quei corpi celesti cheGiovanni Herschel classificò come nebulose planetarie,sono rivelati dalle migliori fotografie quali vere formeanulari, benchè spesso la distinzione fra l'anello e lamassa centrale sia piccola.

Ma se queste forme anulari con un nucleo centrale,spesso vastissimo, sono causate, date certe condizioni,dall'azione delle leggi ordinarie di moto sopra masse piùo meno estese di materia rada, perchè non può supporsiche le medesime leggi, agendo sopra una simile materiadispersa un tempo per lo spazio ove ora esiste l'Univer-so stellare, o anche al di là di quel che supponiamo esse-re i suoi limiti più lontani, abbiano provocato l'aggrega-zione dell'immensa formazione anulare della Via Lattea,con tutti i centri subordinati di concentrazione e disper-sione che vediamo in essa e intorno ad essa? E se questaè una supposizione ragionevole, non potremo noi spera-

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re che, concentrando tutta la nostra attenzione sopra al-cuni dei sistemi meglio caratterizzati e più favorevol-mente situati, tanto di forma anulare come a spirale,possiamo ottenere sufficienti cognizioni del loro internomovimento, che potrebbero servirci come guida percomprendere il tipo di movimento che speriamo trovarenel grande anello galassico e nelle stelle ad esso subor-dinate? Allora, forse, potremo scoprire che il movimen-to proprio delle stelle e del nostro sole, che ora ci sem-bra molto dubbioso ed errato, fa veramente parte di unaserie di movimenti orbitali limitati e diretti dalle forzedel gran sistema al quale essi appartengono, cosicchè, seanche tal movimento non sia matematicamente stabile,può esserlo sufficientemente per una durata di molte mi-gliaia di milioni di anni.

È molto suggestivo il fatto che la posizione calcolatadell'apice solare, cioè del punto verso il quale par cheesso si muova, si trova, secondo recenti osservazioni,più vicina al piano della Via Lattea di quel che fosse fi-nora creduto, ed il Prof. Newcomb le assegna un postovicino alla fulgida stella Vega nella costellazione dellaLira, e gli sembra che tal punto debba essere il più esat-to. Altri calcolatori la collocano più verso l'est, mentreRancken ed Otto Stumpe assegnano la sua posizione at-tuale nella Via Lattea, e G. C. Bompas è di parere che ilpiano del movimento del sole coincida molto da vicinocon quello della Via Lattea. Rancken trova che 106 stel-le prossime alla Via Lattea, presentano, nel loro quasiimpercettibile moto proprio, una tendenza a dirigersi da

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re che, concentrando tutta la nostra attenzione sopra al-cuni dei sistemi meglio caratterizzati e più favorevol-mente situati, tanto di forma anulare come a spirale,possiamo ottenere sufficienti cognizioni del loro internomovimento, che potrebbero servirci come guida percomprendere il tipo di movimento che speriamo trovarenel grande anello galassico e nelle stelle ad esso subor-dinate? Allora, forse, potremo scoprire che il movimen-to proprio delle stelle e del nostro sole, che ora ci sem-bra molto dubbioso ed errato, fa veramente parte di unaserie di movimenti orbitali limitati e diretti dalle forzedel gran sistema al quale essi appartengono, cosicchè, seanche tal movimento non sia matematicamente stabile,può esserlo sufficientemente per una durata di molte mi-gliaia di milioni di anni.

È molto suggestivo il fatto che la posizione calcolatadell'apice solare, cioè del punto verso il quale par cheesso si muova, si trova, secondo recenti osservazioni,più vicina al piano della Via Lattea di quel che fosse fi-nora creduto, ed il Prof. Newcomb le assegna un postovicino alla fulgida stella Vega nella costellazione dellaLira, e gli sembra che tal punto debba essere il più esat-to. Altri calcolatori la collocano più verso l'est, mentreRancken ed Otto Stumpe assegnano la sua posizione at-tuale nella Via Lattea, e G. C. Bompas è di parere che ilpiano del movimento del sole coincida molto da vicinocon quello della Via Lattea. Rancken trova che 106 stel-le prossime alla Via Lattea, presentano, nel loro quasiimpercettibile moto proprio, una tendenza a dirigersi da

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Cassiopea a Orione, la qualcosa, a quanto si suppone,devesi, almeno in parte, attribuire al movimento del no-stro sole in direzione opposta.

In molte altre parti del cielo si vedono gruppi di stelleche hanno un movimento proprio quasi identico, feno-meno che il defunto R. A. Proctor chiama star-drift(corrente di stelle), accennando specialmente a cinquestelle dell'Orsa Maggiore, che tutte si muovono nellamedesima direzione. E benchè ciò sia stato negato dapiù recenti scrittori, il prof. Newcomb, nel suo recentelibro The Stars, dichiara che Proctor aveva ragione, espiega che l'errore dei critici deve attribuirsi al fatto cheessi non hanno tenuto conto della divergenza dei circoliin ascensione retta. Le Pleiadi sono un altro gruppo lecui stelle tendono alla medesima direzione; sono moltosuggestive le nuove fotografie che mostrano questogruppo immenso incastrato in una vasta nebulosa, laquale deve avere un movimento proprio, mentre alcunedelle piccole stelle non ne partecipano. Anche in Cas-siopea vi sono tre stelle che si muovono insieme, e nonvi è dubbio che vi sono molti altri gruppi similmenteconnessi che rimangono, per ora, a noi sconosciuti.

Questi fatti hanno grandissima e importante influenzasulla questione del movimento del nostro sole nello spa-zio. Questo movimento è stato determinato paragonandoquelli di un gran numero di stelle, le quali sono creduteaffatto indipendenti l'una dall'altra, e che si muovono, sepure è così, a caso. Miss Clerke, nel suo System of theStars, s'intrattiene su questo punto con molta chiarezza:

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Cassiopea a Orione, la qualcosa, a quanto si suppone,devesi, almeno in parte, attribuire al movimento del no-stro sole in direzione opposta.

In molte altre parti del cielo si vedono gruppi di stelleche hanno un movimento proprio quasi identico, feno-meno che il defunto R. A. Proctor chiama star-drift(corrente di stelle), accennando specialmente a cinquestelle dell'Orsa Maggiore, che tutte si muovono nellamedesima direzione. E benchè ciò sia stato negato dapiù recenti scrittori, il prof. Newcomb, nel suo recentelibro The Stars, dichiara che Proctor aveva ragione, espiega che l'errore dei critici deve attribuirsi al fatto cheessi non hanno tenuto conto della divergenza dei circoliin ascensione retta. Le Pleiadi sono un altro gruppo lecui stelle tendono alla medesima direzione; sono moltosuggestive le nuove fotografie che mostrano questogruppo immenso incastrato in una vasta nebulosa, laquale deve avere un movimento proprio, mentre alcunedelle piccole stelle non ne partecipano. Anche in Cas-siopea vi sono tre stelle che si muovono insieme, e nonvi è dubbio che vi sono molti altri gruppi similmenteconnessi che rimangono, per ora, a noi sconosciuti.

Questi fatti hanno grandissima e importante influenzasulla questione del movimento del nostro sole nello spa-zio. Questo movimento è stato determinato paragonandoquelli di un gran numero di stelle, le quali sono creduteaffatto indipendenti l'una dall'altra, e che si muovono, sepure è così, a caso. Miss Clerke, nel suo System of theStars, s'intrattiene su questo punto con molta chiarezza:

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«Il pretendere che i movimenti assoluti delle stelle nonabbiano preferenza per una direzione piuttosto che perun'altra, forma la base di ogni investigazione finoracompiuta riguardo alla translazione del sistema solare.Le scarse cognizioni intorno a questo argomento, acqui-state con tanto faticoso lavoro, sùbito cadrebbero nelnulla se questo punto d'appoggio fosse lievemente ri-mosso. In tutte le investigazioni fatte sul moto del sole,il movimento delle stelle è stato considerato come ca-sualmente irregolare; ma se potessimo provare che talemovimento è in un modo qualunque sistematico, ilmodo di ragionare adottato (e per ora non ve ne è altropossibile per noi) diverrebbe senza valore, ed i suoi ri-sultati nulli e chimerici. Questo punto, dunque, di tantointeresse e l'evidenza di esso meritano tutta la nostra at-tenzione».

W. H. S. Monck, dotto e ben noto astronomo, ha lastessa opinione. Egli dice: «La prova di questo movi-mento trova una base nel seguente ragionamento: Seprendiamo un sufficiente numero di stelle, il loro veromovimento, in qualsiasi direzione, dovrà essere eguale eperciò l'apparente preponderanza di moto, che noi osser-viamo in qualche particolare direzione, deve attribuirsi aun vero movimento del sole. Ma non è impossibile cheun regolare movimento della maggioranza delle stellescelte per queste ricerche possa conciliare i fatti osser-vati, con un sole senza movimento. In secondo luogo, seil sole non è nell'esatto centro di gravità dell'Universo,noi potremmo anche calcolare l'orbita ch'esso percorre

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«Il pretendere che i movimenti assoluti delle stelle nonabbiano preferenza per una direzione piuttosto che perun'altra, forma la base di ogni investigazione finoracompiuta riguardo alla translazione del sistema solare.Le scarse cognizioni intorno a questo argomento, acqui-state con tanto faticoso lavoro, sùbito cadrebbero nelnulla se questo punto d'appoggio fosse lievemente ri-mosso. In tutte le investigazioni fatte sul moto del sole,il movimento delle stelle è stato considerato come ca-sualmente irregolare; ma se potessimo provare che talemovimento è in un modo qualunque sistematico, ilmodo di ragionare adottato (e per ora non ve ne è altropossibile per noi) diverrebbe senza valore, ed i suoi ri-sultati nulli e chimerici. Questo punto, dunque, di tantointeresse e l'evidenza di esso meritano tutta la nostra at-tenzione».

W. H. S. Monck, dotto e ben noto astronomo, ha lastessa opinione. Egli dice: «La prova di questo movi-mento trova una base nel seguente ragionamento: Seprendiamo un sufficiente numero di stelle, il loro veromovimento, in qualsiasi direzione, dovrà essere eguale eperciò l'apparente preponderanza di moto, che noi osser-viamo in qualche particolare direzione, deve attribuirsi aun vero movimento del sole. Ma non è impossibile cheun regolare movimento della maggioranza delle stellescelte per queste ricerche possa conciliare i fatti osser-vati, con un sole senza movimento. In secondo luogo, seil sole non è nell'esatto centro di gravità dell'Universo,noi potremmo anche calcolare l'orbita ch'esso percorre

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intorno a questo centro di gravità, ma le nostre osserva-zioni sul suo reale movimento non sono nè bastante-mente numerose, nè bastantemente accurate, per poteraffermare che il suo movimento è una linea retta piutto-sto che un'orbita».

Questo «movimento regolare» che renderebbe ognicalcolo fatto del movimento del sole inesatto e senzaimportanza, è da molti astronomi ritenuto come una in-discutibile realtà. La corrente stellare (stars-drift) allaquale primo di ogni altro accennò il Proctor, è stata os-servata in molti altri gruppi di stelle, e la curiosa distri-buzione delle stelle in ogni parte del cielo, in linea rettao in curve regolari o spirali, fa ritenere che vi siano mol-te relazioni della medesima specie. Ma dei movimentiregolari anche più estesi sono stati osservati o suppostidagli astronomi. Sir D. Gill, dopo uno studio accurato,crede di aver trovato dati sicuri sulla rotazione dellestelle fisse più luminose, nel loro insieme, rispetto allestelle fisse più deboli, nel loro insieme. Maxwell Hall hatrovato delle indicazioni sul movimento di un grandeammasso stellare, che comprende il nostro sole, intornoad un centro comune situato in direzione di ε di Andro-meda, e ad una distanza di circa 490 anni di luce. Questidue ultimi movimenti non sono ancora stabiliti, ma misembra che provino due fatti importanti: (a) che emi-nenti astronomi credono che dei movimenti regolari esi-stano nelle stelle, perchè altrimenti non avrebbero dedi-cato tanti studi faticosi alla constatazione del fatto; (b)che dei movimenti regolari generali, qualunque ne sia la

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intorno a questo centro di gravità, ma le nostre osserva-zioni sul suo reale movimento non sono nè bastante-mente numerose, nè bastantemente accurate, per poteraffermare che il suo movimento è una linea retta piutto-sto che un'orbita».

Questo «movimento regolare» che renderebbe ognicalcolo fatto del movimento del sole inesatto e senzaimportanza, è da molti astronomi ritenuto come una in-discutibile realtà. La corrente stellare (stars-drift) allaquale primo di ogni altro accennò il Proctor, è stata os-servata in molti altri gruppi di stelle, e la curiosa distri-buzione delle stelle in ogni parte del cielo, in linea rettao in curve regolari o spirali, fa ritenere che vi siano mol-te relazioni della medesima specie. Ma dei movimentiregolari anche più estesi sono stati osservati o suppostidagli astronomi. Sir D. Gill, dopo uno studio accurato,crede di aver trovato dati sicuri sulla rotazione dellestelle fisse più luminose, nel loro insieme, rispetto allestelle fisse più deboli, nel loro insieme. Maxwell Hall hatrovato delle indicazioni sul movimento di un grandeammasso stellare, che comprende il nostro sole, intornoad un centro comune situato in direzione di ε di Andro-meda, e ad una distanza di circa 490 anni di luce. Questidue ultimi movimenti non sono ancora stabiliti, ma misembra che provino due fatti importanti: (a) che emi-nenti astronomi credono che dei movimenti regolari esi-stano nelle stelle, perchè altrimenti non avrebbero dedi-cato tanti studi faticosi alla constatazione del fatto; (b)che dei movimenti regolari generali, qualunque ne sia la

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specie, devono esistere, altrimenti questi risultati non sisarebbero potuti ottenere.

W. W. Campbell dell'osservatorio di Lick così diceper quel che riguarda l'incertezza delle determinazionidel movimento solare: «Il movimento del sistema solareè puramente una quantità relativa, che si riferisce a deidati gruppi di stelle. I risultati dei varii gruppi possonodifferire grandemente, e tutti esser corretti. Sarebbe faci-le scegliere un gruppo di stelle in rapporto al quale ilmovimento solare diminuisse di 180° del valore già as-segnato. (Astrophysical Journal. vol. XIII. p. 87. 1901).

Bisogna ricordarsi che in un gruppo uniforme di stel-le, nel quale ognuna di esse si muova intorno ad un cen-tro di gravità comune al gruppo intero, non prevale lalegge di Kepler, perchè secondo questa legge le velocitàangolari dovrebbero essere tutte identiche, cosicchè lestelle più distanti dal centro dovrebbero muoversi piùrapidamente delle più vicine, però con le modificazionidovute alla differente densità del gruppo. Ma se il grup-po è quasi sferoidale, vi devono essere stelle che simuovono intorno al centro secondo molteplici piani, laqualcosa ci farebbe scorgere dei movimenti apparenti inmolte direzioni, sebbene quelle le quali si muovesserosecondo il nostro piano, paragonate con le stelle più re-mote situate fuori del gruppo, ci sembrerebbero tutteanimate da un movimento nella medesima direzione edella medesima velocità, formando così una di quellecorrenti di stelle delle quali abbiamo già parlato. Inoltre,se nel processo di formazione del nostro ammasso furo-

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specie, devono esistere, altrimenti questi risultati non sisarebbero potuti ottenere.

W. W. Campbell dell'osservatorio di Lick così diceper quel che riguarda l'incertezza delle determinazionidel movimento solare: «Il movimento del sistema solareè puramente una quantità relativa, che si riferisce a deidati gruppi di stelle. I risultati dei varii gruppi possonodifferire grandemente, e tutti esser corretti. Sarebbe faci-le scegliere un gruppo di stelle in rapporto al quale ilmovimento solare diminuisse di 180° del valore già as-segnato. (Astrophysical Journal. vol. XIII. p. 87. 1901).

Bisogna ricordarsi che in un gruppo uniforme di stel-le, nel quale ognuna di esse si muova intorno ad un cen-tro di gravità comune al gruppo intero, non prevale lalegge di Kepler, perchè secondo questa legge le velocitàangolari dovrebbero essere tutte identiche, cosicchè lestelle più distanti dal centro dovrebbero muoversi piùrapidamente delle più vicine, però con le modificazionidovute alla differente densità del gruppo. Ma se il grup-po è quasi sferoidale, vi devono essere stelle che simuovono intorno al centro secondo molteplici piani, laqualcosa ci farebbe scorgere dei movimenti apparenti inmolte direzioni, sebbene quelle le quali si muovesserosecondo il nostro piano, paragonate con le stelle più re-mote situate fuori del gruppo, ci sembrerebbero tutteanimate da un movimento nella medesima direzione edella medesima velocità, formando così una di quellecorrenti di stelle delle quali abbiamo già parlato. Inoltre,se nel processo di formazione del nostro ammasso furo-

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no da esso attirate aggregazioni più piccole che possede-vano già un movimento di rotazione, queste potrebberoora roteare in direzione diversa di quelli che si formaro-no dalla originale nebulosa, aumentando così la diversi-tà degli apparenti movimenti.

La dimostrazione, così brevemente esposta, giustificapienamente, ne convengo, le censure fattemi dagli astro-nomi miei avversari riferite al principio di questo capi-tolo. Ambedue sostengono l'opinione generalmente ac-cettata circa la direzione del nostro sole, quasi si trattas-se di dati astronomici sicuri e indiscutibili, come la di-stanza del sole dalla terra; naturalmente saranno staticompresi dalla maggior parte dei loro lettori, digiuni dimatematiche! A me pare che se anche le autorità da mecitate avessero ragione, l'intero loro calcolo non rappre-senterebbe che una semplice presunzione, poichè è cer-tamente in qualche modo errato, per non dire del tutto.Ecco la mia risposta ad una parte della loro critica.

In secondo luogo, essi asseriscono, non soltanto che ilmovimento del sole è ora in linea retta, ma anche che èstato sempre tale fin da epoche remotissime, allorchèentrò nel sistema stellare da una parte, e che continueràa muoversi in tal guisa, finchè non abbia raggiunto gliopposti limiti estremi del detto sistema. A questa affer-mazione non è dato il valore di una loro opinione perso-nale, ma essi parlano del fatto come di cosa certa, ser-vendosi delle parole: così dev'essere, e così sarà.... sen-za lasciar campo a dubbio veruno. Ma ciò implical'annullamento della legge di gravitazione, perchè sotto

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no da esso attirate aggregazioni più piccole che possede-vano già un movimento di rotazione, queste potrebberoora roteare in direzione diversa di quelli che si formaro-no dalla originale nebulosa, aumentando così la diversi-tà degli apparenti movimenti.

La dimostrazione, così brevemente esposta, giustificapienamente, ne convengo, le censure fattemi dagli astro-nomi miei avversari riferite al principio di questo capi-tolo. Ambedue sostengono l'opinione generalmente ac-cettata circa la direzione del nostro sole, quasi si trattas-se di dati astronomici sicuri e indiscutibili, come la di-stanza del sole dalla terra; naturalmente saranno staticompresi dalla maggior parte dei loro lettori, digiuni dimatematiche! A me pare che se anche le autorità da mecitate avessero ragione, l'intero loro calcolo non rappre-senterebbe che una semplice presunzione, poichè è cer-tamente in qualche modo errato, per non dire del tutto.Ecco la mia risposta ad una parte della loro critica.

In secondo luogo, essi asseriscono, non soltanto che ilmovimento del sole è ora in linea retta, ma anche che èstato sempre tale fin da epoche remotissime, allorchèentrò nel sistema stellare da una parte, e che continueràa muoversi in tal guisa, finchè non abbia raggiunto gliopposti limiti estremi del detto sistema. A questa affer-mazione non è dato il valore di una loro opinione perso-nale, ma essi parlano del fatto come di cosa certa, ser-vendosi delle parole: così dev'essere, e così sarà.... sen-za lasciar campo a dubbio veruno. Ma ciò implical'annullamento della legge di gravitazione, perchè sotto

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l'influenza di questa il movimento in linea retta in mez-zo a migliaia di milioni di soli di varia grandezza è cosaimpossibile, e d'altro canto l'affermazione racchiudel'idea che il sole debba aver cominciato la sua corsa mo-vendo da qualche altro sistema, dalla parte apposta dellaVia Lattea, con una direzione rigorosamente determina-ta, perchè non avvenissero da un lato collisioni con unaltro sole o un gruppo di soli, nè fosse possibiledall'altro avvicinarsi troppo ad altri corpi, scansando an-che le masse nebulose durante il suo passaggio attraver-so il nucleo dell'Universo stellare.

Ecco la mia replica al punto principale della critica ri-voltami, e ciò basterà, io credo, a far comprendere chenulla nel mio articolo è così privo di base quanto quelloche è esposto nello scritto critico che ho testè esaminato.

Considerando dunque quanto sia chiara l'evidenza,non posso accettare il postulato di coloro che ci vorreb-bero far credere che la nostra posizione, non lontana dalcentro dell'Universo stellare, non sia che una tempora-nea coincidenza senza significato veruno, e che il nostrosole e la miriade delle altre simili masse prossime a noi,vi si siano riunite per caso e si disperderanno nello spa-zio che le circonda, senza mai più incontrarsi. Finchèquesto non sarà provato da una indiscutibile dimostra-zione, a me sembra molto più accettabile l'idea che noipercorriamo un'orbita intorno al centro di gravità di unvasto ammasso, come lo indicano le investigazioni diKapteyn, di Newcomb, e di altri astronomi, e, conse-guentemente, che la posizione centrale che noi occupia-

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l'influenza di questa il movimento in linea retta in mez-zo a migliaia di milioni di soli di varia grandezza è cosaimpossibile, e d'altro canto l'affermazione racchiudel'idea che il sole debba aver cominciato la sua corsa mo-vendo da qualche altro sistema, dalla parte apposta dellaVia Lattea, con una direzione rigorosamente determina-ta, perchè non avvenissero da un lato collisioni con unaltro sole o un gruppo di soli, nè fosse possibiledall'altro avvicinarsi troppo ad altri corpi, scansando an-che le masse nebulose durante il suo passaggio attraver-so il nucleo dell'Universo stellare.

Ecco la mia replica al punto principale della critica ri-voltami, e ciò basterà, io credo, a far comprendere chenulla nel mio articolo è così privo di base quanto quelloche è esposto nello scritto critico che ho testè esaminato.

Considerando dunque quanto sia chiara l'evidenza,non posso accettare il postulato di coloro che ci vorreb-bero far credere che la nostra posizione, non lontana dalcentro dell'Universo stellare, non sia che una tempora-nea coincidenza senza significato veruno, e che il nostrosole e la miriade delle altre simili masse prossime a noi,vi si siano riunite per caso e si disperderanno nello spa-zio che le circonda, senza mai più incontrarsi. Finchèquesto non sarà provato da una indiscutibile dimostra-zione, a me sembra molto più accettabile l'idea che noipercorriamo un'orbita intorno al centro di gravità di unvasto ammasso, come lo indicano le investigazioni diKapteyn, di Newcomb, e di altri astronomi, e, conse-guentemente, che la posizione centrale che noi occupia-

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mo adesso è permanente. Se anche l'orbita del nostrosole avesse un diametro mille volte più grande di quelladi Nettuno, questa cifra non rappresenterebbe che unapiccola frazione del diametro della Via Lattea, poichè leproporzioni del nostro Universo sono così vaste, chel'orbita del sole potrebbe essere anche centinaia di mi-gliaia di volte maggiore, e lasciarci nondimeno profon-damente immersi nell'ammasso solare, molto più vicinialla parte densa e centrale, che alle sue regioni esternepiù diradate.

E qui ci conviene abbandonare questo argomento, al-meno per ora. Dopo che avremo studiato l'evidenza delnostro assunto, resa più chiara dalle essenziali condizio-ni dello sviluppo della vita sul nostro globo, per i nume-rosi indizi che possediamo che queste condizioni nonpossono esistere in nessun altro dei pianeti del nostro si-stema solare, daremo uno sguardo generale alle conclu-sioni alle quali saremo arrivati.

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mo adesso è permanente. Se anche l'orbita del nostrosole avesse un diametro mille volte più grande di quelladi Nettuno, questa cifra non rappresenterebbe che unapiccola frazione del diametro della Via Lattea, poichè leproporzioni del nostro Universo sono così vaste, chel'orbita del sole potrebbe essere anche centinaia di mi-gliaia di volte maggiore, e lasciarci nondimeno profon-damente immersi nell'ammasso solare, molto più vicinialla parte densa e centrale, che alle sue regioni esternepiù diradate.

E qui ci conviene abbandonare questo argomento, al-meno per ora. Dopo che avremo studiato l'evidenza delnostro assunto, resa più chiara dalle essenziali condizio-ni dello sviluppo della vita sul nostro globo, per i nume-rosi indizi che possediamo che queste condizioni nonpossono esistere in nessun altro dei pianeti del nostro si-stema solare, daremo uno sguardo generale alle conclu-sioni alle quali saremo arrivati.

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CAPITOLO IX.L'UNIFORMITÀ DELLA MATERIA

E DELLE SUE LEGGINELL'UNIVERSO STELLARE

Nel secondo capitolo di questo volume ho detto chenessuno dei precedenti scrittori che si occuparono dellaquestione della probabilità che anche gli altri pianeti sia-no abitati, ha trattato questo soggetto in modo adeguato,poichè non solamente si sono dimostrati addiritturaignoranti del delicato equilibrio delle condizioni, per lequali soltanto può esser possibile la vita sopra un qual-siasi pianeta, ma hanno altresì omesso ogni notizia, ogniprova del fatto che, non solo le condizioni devono essertali da rendere ora la vita possibile, ma che queste con-dizioni debbono aver persistito durante lunghe epochegeologiche, necessarie al lento sviluppo della vita dallesue forme più rudimentali. Sarà perciò necessario entra-re nelle minute particolarità della fisica e della chimica,che sono essenzialmente necessarie per un continuo svi-

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CAPITOLO IX.L'UNIFORMITÀ DELLA MATERIA

E DELLE SUE LEGGINELL'UNIVERSO STELLARE

Nel secondo capitolo di questo volume ho detto chenessuno dei precedenti scrittori che si occuparono dellaquestione della probabilità che anche gli altri pianeti sia-no abitati, ha trattato questo soggetto in modo adeguato,poichè non solamente si sono dimostrati addiritturaignoranti del delicato equilibrio delle condizioni, per lequali soltanto può esser possibile la vita sopra un qual-siasi pianeta, ma hanno altresì omesso ogni notizia, ogniprova del fatto che, non solo le condizioni devono essertali da rendere ora la vita possibile, ma che queste con-dizioni debbono aver persistito durante lunghe epochegeologiche, necessarie al lento sviluppo della vita dallesue forme più rudimentali. Sarà perciò necessario entra-re nelle minute particolarità della fisica e della chimica,che sono essenzialmente necessarie per un continuo svi-

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luppo della vita organica, e parlare delle combinazioni,delle condizioni fisiche e meccaniche che si richiedonoperchè la vita sia possibile sopra un pianeta.

L'UNIFORMITÀ DELLA MATERIA.

Una delle più importanti e laboriose scoperte dovuteallo spettroscopio, è la meravigliosa identità degli ele-menti e dei corpi composti che esistono sulla terra, nelsole, nelle stelle e nelle nebulose, e quella delle leggichimiche e fisiche che determinano lo stato e la formaassunta dalle diverse materie. Più della metà del numerototale degli elementi conosciuti sono stati già scopertinel sole, compresi tutti quelli che compongono il mate-riale solido della terra, fatta eccezione dell'ossigeno. Èquesta una grande conquista, se consideriamo le specialicondizioni che ci permisero di scoprirla. Però noi pos-siamo riconoscere un elemento nel sole soltanto quandoesiste alla sua superficie allo stato incandescente, od an-che al disopra della sua superficie sotto forma di gas piùfreddo. Molti degli elementi solari raramente, e forsemai, vengono alla superficie di una così enorme mole; ese qualche volta vi si mostrano, non sono in quantitàsufficiente nè hanno la purezza voluta per produrre dellelinee precise nello spettroscopio, mentre i gas più freddio i vapori bisogna che manchino o siano troppo rarefatti

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luppo della vita organica, e parlare delle combinazioni,delle condizioni fisiche e meccaniche che si richiedonoperchè la vita sia possibile sopra un pianeta.

L'UNIFORMITÀ DELLA MATERIA.

Una delle più importanti e laboriose scoperte dovuteallo spettroscopio, è la meravigliosa identità degli ele-menti e dei corpi composti che esistono sulla terra, nelsole, nelle stelle e nelle nebulose, e quella delle leggichimiche e fisiche che determinano lo stato e la formaassunta dalle diverse materie. Più della metà del numerototale degli elementi conosciuti sono stati già scopertinel sole, compresi tutti quelli che compongono il mate-riale solido della terra, fatta eccezione dell'ossigeno. Èquesta una grande conquista, se consideriamo le specialicondizioni che ci permisero di scoprirla. Però noi pos-siamo riconoscere un elemento nel sole soltanto quandoesiste alla sua superficie allo stato incandescente, od an-che al disopra della sua superficie sotto forma di gas piùfreddo. Molti degli elementi solari raramente, e forsemai, vengono alla superficie di una così enorme mole; ese qualche volta vi si mostrano, non sono in quantitàsufficiente nè hanno la purezza voluta per produrre dellelinee precise nello spettroscopio, mentre i gas più freddio i vapori bisogna che manchino o siano troppo rarefatti

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per non produrre un assorbimento tale da rendere le lorolinee spettrali visibili.

Si crede anche che molti elementi siano dissociati perl'intenso calore solare, e che molti non siano quindi rico-noscibili da noi, o anche che esistono alla sua superficieforse sotto una forma sconosciuta sulla terra. Le lineedello spettro solare, delle quali le cause rimangono a noiancora ignote, possano avere tale origine. Una di questelinee era quella dell'helium, gas che poi fu trovato in unraro minerale chiamato cleveite e che ora è stato scoper-to anche in molte stelle. Alcune stelle hanno spettri so-migliantissimi a quello del sole. Le linee scure di essisono quasi sempre molto numerose, e parecchie corri-spondono esattamente con quelle dello spettro solare;non possiamo quindi dubitare della somiglianza, quasiperfetta, della loro costituzione fisica, anzi possiamosupporre che esse posseggano le stesse condizioni delsole, per quel che riguarda il calore e lo stadio di svilup-po. Altre stelle, come abbiamo detto, presentano moltelinee d'idrogeno, qualche volta unite a bellissime lineemetalliche. Dallo spettro delle nebulose in confrontosappiamo poco, ma molte di esse sono del tutto gassose,mentre altre presentano uno spettro continuo che indicauna costituzione più complessa.

Ben altre cognizioni sui corpi celesti abbiamo ottenu-te per mezzo dell'analisi dei numerosi meteoriti che ca-dono sulla terra, la maggior parte dei quali appartienealle numerose correnti che circolano intorno al sole, erappresentano di certo dei saggi della materia planetaria.

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per non produrre un assorbimento tale da rendere le lorolinee spettrali visibili.

Si crede anche che molti elementi siano dissociati perl'intenso calore solare, e che molti non siano quindi rico-noscibili da noi, o anche che esistono alla sua superficieforse sotto una forma sconosciuta sulla terra. Le lineedello spettro solare, delle quali le cause rimangono a noiancora ignote, possano avere tale origine. Una di questelinee era quella dell'helium, gas che poi fu trovato in unraro minerale chiamato cleveite e che ora è stato scoper-to anche in molte stelle. Alcune stelle hanno spettri so-migliantissimi a quello del sole. Le linee scure di essisono quasi sempre molto numerose, e parecchie corri-spondono esattamente con quelle dello spettro solare;non possiamo quindi dubitare della somiglianza, quasiperfetta, della loro costituzione fisica, anzi possiamosupporre che esse posseggano le stesse condizioni delsole, per quel che riguarda il calore e lo stadio di svilup-po. Altre stelle, come abbiamo detto, presentano moltelinee d'idrogeno, qualche volta unite a bellissime lineemetalliche. Dallo spettro delle nebulose in confrontosappiamo poco, ma molte di esse sono del tutto gassose,mentre altre presentano uno spettro continuo che indicauna costituzione più complessa.

Ben altre cognizioni sui corpi celesti abbiamo ottenu-te per mezzo dell'analisi dei numerosi meteoriti che ca-dono sulla terra, la maggior parte dei quali appartienealle numerose correnti che circolano intorno al sole, erappresentano di certo dei saggi della materia planetaria.

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Si crede che molti di essi siano frantumi di comete, el'orbita di taluni indica che provengono dallo spaziostellare, e che sono caduti nel nostro sistema cedendoalla forza di attrazione dei più grandi pianeti. È quasicerto che le pietre meteoriche ci portano frequentementela materia delle più lontane regioni dello spazio, e pro-babilmente sono la mostra dei costituenti solidi delle ne-bulose o delle stelle più fredde. È però un fatto moltosuggestivo quello che nessuna di queste meteore contie-ne un elemento che non sia terrestre. In alcuni meteoritisono stati trovati fino a ventiquattro elementi; non saràdunque senza importanza darne i nomi: ossigeno, idro-geno, cloro, zolfo, fosforo, carbonio, silicio, ferro, ni-chel, cobalto, magnesio, cromio, manganese, rame, sta-gno, antimonio, alluminio, calcio, potassio, sodio, litio,titanio, arsenico e vanadio. Sette di questi elementi,quelli stampati in corsivo, non sono stati riscontrati nelsole; l'ossigeno, il cloro, lo zolfo e il fosforo, che costi-tuiscono molti dei più comuni minerali, formano unaimportante lacuna negli elementi solari e stellari. Notia-mo anche che, quantunque le meteore non ci abbianofornito nuovi elementi, hanno però presentato alcunenuove combinazioni di questi elementi, formanti mine-rali diversi da quelli che si trovano nelle nostre rocce.

Il fatto che nei meteoriti non esistono minerali propriad esse, ma alcuni che sono invece comuni con la terra,i quali hanno anche una struttura somigliante alle sfalda-ture, venature ed anche alle superfici levigate dei nostriminerali, viene in aiuto della teoria meteorica dell'origi-

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Si crede che molti di essi siano frantumi di comete, el'orbita di taluni indica che provengono dallo spaziostellare, e che sono caduti nel nostro sistema cedendoalla forza di attrazione dei più grandi pianeti. È quasicerto che le pietre meteoriche ci portano frequentementela materia delle più lontane regioni dello spazio, e pro-babilmente sono la mostra dei costituenti solidi delle ne-bulose o delle stelle più fredde. È però un fatto moltosuggestivo quello che nessuna di queste meteore contie-ne un elemento che non sia terrestre. In alcuni meteoritisono stati trovati fino a ventiquattro elementi; non saràdunque senza importanza darne i nomi: ossigeno, idro-geno, cloro, zolfo, fosforo, carbonio, silicio, ferro, ni-chel, cobalto, magnesio, cromio, manganese, rame, sta-gno, antimonio, alluminio, calcio, potassio, sodio, litio,titanio, arsenico e vanadio. Sette di questi elementi,quelli stampati in corsivo, non sono stati riscontrati nelsole; l'ossigeno, il cloro, lo zolfo e il fosforo, che costi-tuiscono molti dei più comuni minerali, formano unaimportante lacuna negli elementi solari e stellari. Notia-mo anche che, quantunque le meteore non ci abbianofornito nuovi elementi, hanno però presentato alcunenuove combinazioni di questi elementi, formanti mine-rali diversi da quelli che si trovano nelle nostre rocce.

Il fatto che nei meteoriti non esistono minerali propriad esse, ma alcuni che sono invece comuni con la terra,i quali hanno anche una struttura somigliante alle sfalda-ture, venature ed anche alle superfici levigate dei nostriminerali, viene in aiuto della teoria meteorica dell'origi-

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ne del sole e dei pianeti; poichè le meteore sembranoframmenti di soli e di mondi, ma non gli elementi primi-tivi della loro costituzione. Non ometteremo di dire chequesti casi sono eccezionali, e Sorby, che ha compiutostudi speciali sulle meteore, è d'opinione che il materialedel quale esse sono formate doveva trovarsi allo stato difusione o anche di vapore, come ne deve esistere nelsole, il quale materiale si è condensato poi in minuteparticelle globulari, che si sono riunite in masse piùgrandi e poi spezzate per urti reciproci, per riunirsi an-cora e ancora separarsi mille e mille volte, e così pre-sentare delle caratteristiche che si accordano completa-mente con la teoria meteorica.

Recentemente T. C. Chamberlin si è giovato dellateoria della deformazione delle maree, per provare che icorpi solidi nello spazio, quantunque mai giungano invero contatto, devono qualche volta dividersi in nume-rosi frammenti solo passando l'uno vicino all'altro. Spe-cialmente nel caso che un corpo piccolo passi vicino aduno più grande, vi è una certa distanza di avvicinamento(chiamata limite di Roche) nella quale l'aumento dellaforza differenziale di gravità sarà sufficiente per divide-re in due parti il corpo più piccolo e produrre così fram-menti che circoleranno intorno ad esso o si disperderan-no nello spazio25. È in questo modo che i grandi meteo-riti, che presentano struttura planetaria, devono originar-si. Di certo, questi meteoriti devono essere stati rara-

25 The Astrophysical Journal. Vol. XIV, luglio 1901, p. 17.

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ne del sole e dei pianeti; poichè le meteore sembranoframmenti di soli e di mondi, ma non gli elementi primi-tivi della loro costituzione. Non ometteremo di dire chequesti casi sono eccezionali, e Sorby, che ha compiutostudi speciali sulle meteore, è d'opinione che il materialedel quale esse sono formate doveva trovarsi allo stato difusione o anche di vapore, come ne deve esistere nelsole, il quale materiale si è condensato poi in minuteparticelle globulari, che si sono riunite in masse piùgrandi e poi spezzate per urti reciproci, per riunirsi an-cora e ancora separarsi mille e mille volte, e così pre-sentare delle caratteristiche che si accordano completa-mente con la teoria meteorica.

Recentemente T. C. Chamberlin si è giovato dellateoria della deformazione delle maree, per provare che icorpi solidi nello spazio, quantunque mai giungano invero contatto, devono qualche volta dividersi in nume-rosi frammenti solo passando l'uno vicino all'altro. Spe-cialmente nel caso che un corpo piccolo passi vicino aduno più grande, vi è una certa distanza di avvicinamento(chiamata limite di Roche) nella quale l'aumento dellaforza differenziale di gravità sarà sufficiente per divide-re in due parti il corpo più piccolo e produrre così fram-menti che circoleranno intorno ad esso o si disperderan-no nello spazio25. È in questo modo che i grandi meteo-riti, che presentano struttura planetaria, devono originar-si. Di certo, questi meteoriti devono essere stati rara-

25 The Astrophysical Journal. Vol. XIV, luglio 1901, p. 17.

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mente veri pianeti dipendenti da un sole, ma piuttostomolto frequentemente piccoli soli oscuri, che possonoavere molte delle proprietà fisiche dei pianeti, e dei qua-li possono esistere miriadi negli spazi stellari.

In conclusione, poichè abbiamo cognizioni positivedell'esistenza di una grande parte degli elementi del no-stro mondo tanto nel sole che nelle stelle, nei pianeti edin tutto lo spazio stellare, e scarse indicazioni su quelliche non troviamo sul globo terrestre, diremo che l'interoUniverso stellare è, generalmente parlando, costruitocon una serie di corpi elementari eguali a quelli che noipossiamo studiare sulla terra e dei quali si compone tut-to il regno della natura, cioè animali, vegetali e minerali.L'evidenza di queste identità di sostanze è, in verità,molto più completa di quello che ci potremmo aspettare– considerando i mezzi limitati che abbiamo per farecerte investigazioni – tanto che sarebbe presunzione ildire che qualche importante differenza debba esistere.

Se dagli elementi della materia passiamo alle leggiche la governano, troviamo prove anche più chiare dellaloro identità. Che alla legge fondamentale di gravitazio-ne obbedisca tutto l'Universo fisico, è un fatto quasi evi-dente per le stelle doppie, roteanti intorno ad un centrocomune di gravità in una orbita ellittica, la quale corri-sponde benissimo tanto alle osservazioni che al calcolo.Che le leggi della luce siano le stesse qui come in tuttolo spazio planetario, è indicato dal fatto che la vera mi-sura della velocità della luce sulla superficie terrestre dàun risultato assolutamente identico a quello prevalente

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mente veri pianeti dipendenti da un sole, ma piuttostomolto frequentemente piccoli soli oscuri, che possonoavere molte delle proprietà fisiche dei pianeti, e dei qua-li possono esistere miriadi negli spazi stellari.

In conclusione, poichè abbiamo cognizioni positivedell'esistenza di una grande parte degli elementi del no-stro mondo tanto nel sole che nelle stelle, nei pianeti edin tutto lo spazio stellare, e scarse indicazioni su quelliche non troviamo sul globo terrestre, diremo che l'interoUniverso stellare è, generalmente parlando, costruitocon una serie di corpi elementari eguali a quelli che noipossiamo studiare sulla terra e dei quali si compone tut-to il regno della natura, cioè animali, vegetali e minerali.L'evidenza di queste identità di sostanze è, in verità,molto più completa di quello che ci potremmo aspettare– considerando i mezzi limitati che abbiamo per farecerte investigazioni – tanto che sarebbe presunzione ildire che qualche importante differenza debba esistere.

Se dagli elementi della materia passiamo alle leggiche la governano, troviamo prove anche più chiare dellaloro identità. Che alla legge fondamentale di gravitazio-ne obbedisca tutto l'Universo fisico, è un fatto quasi evi-dente per le stelle doppie, roteanti intorno ad un centrocomune di gravità in una orbita ellittica, la quale corri-sponde benissimo tanto alle osservazioni che al calcolo.Che le leggi della luce siano le stesse qui come in tuttolo spazio planetario, è indicato dal fatto che la vera mi-sura della velocità della luce sulla superficie terrestre dàun risultato assolutamente identico a quello prevalente

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ai limiti del sistema solare, perchè il risultato della mi-sura fatta per mezzo delle ecclissi dei satelliti di Giove,e la velocità direttamente misurata della luce, sono quasiesattamente eguali al risultato ottenuto durante il pas-saggio di Venere, o durante la nostra più vicina distanzaai pianeti Marte o Eros.

Inoltre abbiamo scoperto che le più recondite leggiche governano la luce sono identiche, tanto nel sole chenelle stelle, a quelle che è stato possibile osservare conle limitate risorse di un laboratorio sperimentale. I pic-coli cambiamenti di posizione delle linee spettrali pro-dotti da una sorgente di luce che si muova verso di noi oche si allontani, ci rendono possibile il calcolo di questaspecie di movimento anche nelle più lontane stelle, neipianeti e nella luna, e questi resultati possono esserecontrollati dal movimento della terra, tanto nella sua or-bita, come nella sua rotazione. Queste ultime prove siaccordano con le determinazioni teoriche di ciò chedeve avvenire, determinazioni dipendenti dall'onda dilunghezza delle differenti linee scure dello spettro sola-re, ottenute con le misure compiute nel laboratorio.

Nello stesso modo, i piccoli cambiamenti in larghezzao in sottigliezza delle linee spettrali, il loro sdoppiamen-to, l'aumento o la diminuzione del loro numero, come laloro distribuzione in forma di scanalature, tutto può es-sere interpetrato dagli esperimenti fatti in laboratorio, iquali dimostrano che tali fenomeni son dovuti a cambia-menti di pressione, di temperatura o del campo magneti-co, dando così novella prova che le stesse leggi fisiche e

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ai limiti del sistema solare, perchè il risultato della mi-sura fatta per mezzo delle ecclissi dei satelliti di Giove,e la velocità direttamente misurata della luce, sono quasiesattamente eguali al risultato ottenuto durante il pas-saggio di Venere, o durante la nostra più vicina distanzaai pianeti Marte o Eros.

Inoltre abbiamo scoperto che le più recondite leggiche governano la luce sono identiche, tanto nel sole chenelle stelle, a quelle che è stato possibile osservare conle limitate risorse di un laboratorio sperimentale. I pic-coli cambiamenti di posizione delle linee spettrali pro-dotti da una sorgente di luce che si muova verso di noi oche si allontani, ci rendono possibile il calcolo di questaspecie di movimento anche nelle più lontane stelle, neipianeti e nella luna, e questi resultati possono esserecontrollati dal movimento della terra, tanto nella sua or-bita, come nella sua rotazione. Queste ultime prove siaccordano con le determinazioni teoriche di ciò chedeve avvenire, determinazioni dipendenti dall'onda dilunghezza delle differenti linee scure dello spettro sola-re, ottenute con le misure compiute nel laboratorio.

Nello stesso modo, i piccoli cambiamenti in larghezzao in sottigliezza delle linee spettrali, il loro sdoppiamen-to, l'aumento o la diminuzione del loro numero, come laloro distribuzione in forma di scanalature, tutto può es-sere interpetrato dagli esperimenti fatti in laboratorio, iquali dimostrano che tali fenomeni son dovuti a cambia-menti di pressione, di temperatura o del campo magneti-co, dando così novella prova che le stesse leggi fisiche e

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chimiche agiscono nell'identico modo tanto sulla terracome nelle più remote profondità dello spazio.

Queste diverse scoperte ci dànno la convinzione chel'Universo materiale è essenzialmente unico, sia che loconsideriamo dal punto di vista delle leggi chimiche efisiche, sia da quello delle sue relazioni meccaniche diforma e di struttura. Esso risulta del tutto costituito deimedesimi elementi che ci sono tanto familiari sulla ter-ra; dello stesso etere, di cui le vibrazioni ci trasmettonola luce e il calore, l'elettricità e il magnetismo ed una in-tera legione di altre forze misteriose ed imperfettamenteconosciute; della gravità che agisce per ogni dovenell'immenso spazio. Qualunque siano le vie e i mezziche adoperiamo per cercare d'attingere nuove cognizionisull'Universo stellare, constatiamo sempre le medesimeleggi che governano la meccanica, la fisica, la chimica eche prevalgono anche sul nostro globo, così che in molticasi si son potuti riprodurre quasi perfettamente nei no-stri laboratori i fenomeni che dapprima si erano osserva-ti nel sole e nelle stelle.

Possiamo perciò esser sicuri, quasi senza alcuna re-strizione, che essendo gli elementi gli stessi, esseri orga-nizzati secondo la nostra stessa intima natura potrebberovivere in tutto l'Universo. Le forme della vita, se pure lavita esiste altrove, possono variare quasi infinitamente,come variano sulla terra, ma in tutte queste numerose ediverse forme, dal fungo e dal muschio al rosaio, allapalma e alla quercia; dal mollusco, dal verme, dalla far-falla agli uccelli, agli elefanti e all'uomo, i biologi rico-

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chimiche agiscono nell'identico modo tanto sulla terracome nelle più remote profondità dello spazio.

Queste diverse scoperte ci dànno la convinzione chel'Universo materiale è essenzialmente unico, sia che loconsideriamo dal punto di vista delle leggi chimiche efisiche, sia da quello delle sue relazioni meccaniche diforma e di struttura. Esso risulta del tutto costituito deimedesimi elementi che ci sono tanto familiari sulla ter-ra; dello stesso etere, di cui le vibrazioni ci trasmettonola luce e il calore, l'elettricità e il magnetismo ed una in-tera legione di altre forze misteriose ed imperfettamenteconosciute; della gravità che agisce per ogni dovenell'immenso spazio. Qualunque siano le vie e i mezziche adoperiamo per cercare d'attingere nuove cognizionisull'Universo stellare, constatiamo sempre le medesimeleggi che governano la meccanica, la fisica, la chimica eche prevalgono anche sul nostro globo, così che in molticasi si son potuti riprodurre quasi perfettamente nei no-stri laboratori i fenomeni che dapprima si erano osserva-ti nel sole e nelle stelle.

Possiamo perciò esser sicuri, quasi senza alcuna re-strizione, che essendo gli elementi gli stessi, esseri orga-nizzati secondo la nostra stessa intima natura potrebberovivere in tutto l'Universo. Le forme della vita, se pure lavita esiste altrove, possono variare quasi infinitamente,come variano sulla terra, ma in tutte queste numerose ediverse forme, dal fungo e dal muschio al rosaio, allapalma e alla quercia; dal mollusco, dal verme, dalla far-falla agli uccelli, agli elefanti e all'uomo, i biologi rico-

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noscono una fondamentale unità di sostanza e di struttu-ra, dipendente da un'assoluta necessità di accrescimento,di movimento, di sviluppo, di procreazione di altri orga-nismi, composti tutti degli stessi elementi, combinatinelle stesse proporzioni, e tutti obbedienti alle medesi-me leggi.

Certo non possiamo affermare che la vita organicanon possa esistere in condizioni diverse da quelle checonosciamo, o che possiamo concepire, condizioni chepossono prevalere in Universi del tutto differenti dal no-stro, e perciò governati da leggi affatto diverse, ma den-tro l'Universo da noi conosciuto non possiamo assoluta-mente supporre altra forma di vita che quella che noi co-nosciamo, nè leggi che la governano diverse da quelleche nella terra prevalgono.

Ci accingiamo adesso a descrivere quali siano le con-dizioni indispensabili della esistenza e del continuo svi-luppo della vita vegetale ed animale.

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noscono una fondamentale unità di sostanza e di struttu-ra, dipendente da un'assoluta necessità di accrescimento,di movimento, di sviluppo, di procreazione di altri orga-nismi, composti tutti degli stessi elementi, combinatinelle stesse proporzioni, e tutti obbedienti alle medesi-me leggi.

Certo non possiamo affermare che la vita organicanon possa esistere in condizioni diverse da quelle checonosciamo, o che possiamo concepire, condizioni chepossono prevalere in Universi del tutto differenti dal no-stro, e perciò governati da leggi affatto diverse, ma den-tro l'Universo da noi conosciuto non possiamo assoluta-mente supporre altra forma di vita che quella che noi co-nosciamo, nè leggi che la governano diverse da quelleche nella terra prevalgono.

Ci accingiamo adesso a descrivere quali siano le con-dizioni indispensabili della esistenza e del continuo svi-luppo della vita vegetale ed animale.

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CAPITOLO X.I CARATTERI ESSENZIALI

DELL'ORGANISMO VIVENTE

Prima di tentar di comprendere quali siano le condi-zioni fisiche indispensabili per lo sviluppo ed il mante-nimento su un pianeta di un vario e complesso sistemadi vita organica, paragonabile a quella del nostro globo,dobbiamo cercar di acquistare alcune cognizionisull'essenza di questa vita, sulla natura e sulle proprietàfondamentali dell'organismo vivente.

Fisiologi e filosofi hanno più volte tentato di definirla vita, ma per lo più, mirando ad un'assoluta generalità,le loro definizioni sono state incerte e non istruttive.Così il De Blainville la definisce: «Il doppio lavorio in-terno di composizione e di decomposizione, simultanea-mente generale e continuo»; mentre Herbert Spencer nedà questa definizione: «La vita è un continuo adatta-mento delle condizioni interne con quelle esterne». Manessuna di queste definizioni è sufficientemente precisa,

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CAPITOLO X.I CARATTERI ESSENZIALI

DELL'ORGANISMO VIVENTE

Prima di tentar di comprendere quali siano le condi-zioni fisiche indispensabili per lo sviluppo ed il mante-nimento su un pianeta di un vario e complesso sistemadi vita organica, paragonabile a quella del nostro globo,dobbiamo cercar di acquistare alcune cognizionisull'essenza di questa vita, sulla natura e sulle proprietàfondamentali dell'organismo vivente.

Fisiologi e filosofi hanno più volte tentato di definirla vita, ma per lo più, mirando ad un'assoluta generalità,le loro definizioni sono state incerte e non istruttive.Così il De Blainville la definisce: «Il doppio lavorio in-terno di composizione e di decomposizione, simultanea-mente generale e continuo»; mentre Herbert Spencer nedà questa definizione: «La vita è un continuo adatta-mento delle condizioni interne con quelle esterne». Manessuna di queste definizioni è sufficientemente precisa,

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piana, distintiva della vita organica, ed entrambe potreb-bero benissimo applicarsi ai cambiamenti che avvengo-no in un sole o in un pianeta, o al sollevamento o allagraduale formazione di un continente. Una delle piùvecchie definizioni, quella di Aristotile, sembra avvici-narsi di più alla realtà: «La vita è l'insieme di atti di nu-trizione, di accrescimento e di distruzione». Ma questedefinizioni della vita non soddisfano completamente,perchè applicate ad un'idea astratta, piuttosto che a unorganismo realmente vivente. Le meraviglie e i misteridella vita, tal quale noi la conosciamo, risiedono nelcorpo che la manifesta, e questo corpo vivente non è su-scettibile di definizione. I caratteri essenziali di un cor-po vivente, considerato nel suo maggior grado di svilup-po, sono questi: In primo luogo esso è costituito in tuttoe per tutto di materia molto complicata, ma di formemolto instabili, imperocchè ogni particella di esso è inistato di continuo accrescimento o decadenza, perchè as-sorbisce e si appropria della materia morta, mette questamateria nell'interno del suo corpo, agisce sopra di essameccanicamente e chimicamente, rigettando quel che ènocivo o inutile, ed adoperando il resto per il rinnova-mento di ogni atomo della sua struttura interna ed ester-na, e abbandonando nel medesimo tempo, particella perparticella, ogni parte consunta o morta della propria so-stanza. In secondo luogo, per potere compiere le funzio-ni su accennate, tutto il corpo dell'organismo vivente èpercorso da vasi ramificati o da tessuti porosi, attraversoi quali passano liquidi e gas che aiutano i processi di nu-

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piana, distintiva della vita organica, ed entrambe potreb-bero benissimo applicarsi ai cambiamenti che avvengo-no in un sole o in un pianeta, o al sollevamento o allagraduale formazione di un continente. Una delle piùvecchie definizioni, quella di Aristotile, sembra avvici-narsi di più alla realtà: «La vita è l'insieme di atti di nu-trizione, di accrescimento e di distruzione». Ma questedefinizioni della vita non soddisfano completamente,perchè applicate ad un'idea astratta, piuttosto che a unorganismo realmente vivente. Le meraviglie e i misteridella vita, tal quale noi la conosciamo, risiedono nelcorpo che la manifesta, e questo corpo vivente non è su-scettibile di definizione. I caratteri essenziali di un cor-po vivente, considerato nel suo maggior grado di svilup-po, sono questi: In primo luogo esso è costituito in tuttoe per tutto di materia molto complicata, ma di formemolto instabili, imperocchè ogni particella di esso è inistato di continuo accrescimento o decadenza, perchè as-sorbisce e si appropria della materia morta, mette questamateria nell'interno del suo corpo, agisce sopra di essameccanicamente e chimicamente, rigettando quel che ènocivo o inutile, ed adoperando il resto per il rinnova-mento di ogni atomo della sua struttura interna ed ester-na, e abbandonando nel medesimo tempo, particella perparticella, ogni parte consunta o morta della propria so-stanza. In secondo luogo, per potere compiere le funzio-ni su accennate, tutto il corpo dell'organismo vivente èpercorso da vasi ramificati o da tessuti porosi, attraversoi quali passano liquidi e gas che aiutano i processi di nu-

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trizione e di escrezione, dei quali abbiamo parlato. IlProf. Burbon Sanderson spiega bene la cosa, dicendo:«Il carattere più tipico della materia vivente, paragonatacon quella non vivente, è che essa cambia sempre, ed èsempre la stessa.» Questi cambiamenti sono tanto piùnotevoli, perchè accompagnati od anche provocati dauna grande quantità di lavoro meccanico, negli animaliper mezzo delle loro attività normali, messe in opera pertrovare il nutrimento, per rinnovare continuamente e ri-costruire tutto il loro organismo, e con altri mezzi anco-ra; nelle piante per mezzo del processo di ricostruzionedella loro struttura, il che spesso implica l'innalzamentodi tonnellate di materiale nell'aria, come fanno gli alberidelle foreste. Un recente scrittore dice: «Il più notevolee forse il fondamentale fenomeno della vita è quello chepotrebbe chiamarsi scambio di energia, ovvero funzionedel commercio nell'energia. La principale funzione fisi-ca della materia vivente par che consista nell'assorbireenergia, e, dopo averla ammassata ad un molto alto po-tenziale, distribuirla partitamente in forme cinetiche oattive.»26

Il terzo carattere, e forse il più meraviglioso di tutti, èil potere che ha ogni organismo vivente di riprodursi emoltiplicarsi. La generazione nelle forme inferiori av-viene per un processo di autodivisione o di scissione,nelle superiori per mezzo di cellule riproduttive, le qua-li, quantunque nel loro primo stadio di sviluppo siano

26 F. J. Allen. – What is Life?

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trizione e di escrezione, dei quali abbiamo parlato. IlProf. Burbon Sanderson spiega bene la cosa, dicendo:«Il carattere più tipico della materia vivente, paragonatacon quella non vivente, è che essa cambia sempre, ed èsempre la stessa.» Questi cambiamenti sono tanto piùnotevoli, perchè accompagnati od anche provocati dauna grande quantità di lavoro meccanico, negli animaliper mezzo delle loro attività normali, messe in opera pertrovare il nutrimento, per rinnovare continuamente e ri-costruire tutto il loro organismo, e con altri mezzi anco-ra; nelle piante per mezzo del processo di ricostruzionedella loro struttura, il che spesso implica l'innalzamentodi tonnellate di materiale nell'aria, come fanno gli alberidelle foreste. Un recente scrittore dice: «Il più notevolee forse il fondamentale fenomeno della vita è quello chepotrebbe chiamarsi scambio di energia, ovvero funzionedel commercio nell'energia. La principale funzione fisi-ca della materia vivente par che consista nell'assorbireenergia, e, dopo averla ammassata ad un molto alto po-tenziale, distribuirla partitamente in forme cinetiche oattive.»26

Il terzo carattere, e forse il più meraviglioso di tutti, èil potere che ha ogni organismo vivente di riprodursi emoltiplicarsi. La generazione nelle forme inferiori av-viene per un processo di autodivisione o di scissione,nelle superiori per mezzo di cellule riproduttive, le qua-li, quantunque nel loro primo stadio di sviluppo siano

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addirittura irriconoscibili fisicamente e chimicamentecome appartenenti a specie molto diverse, pure posseg-gono il misterioso potere di sviluppare un perfetto orga-nismo, eguale in tutte le sue parti all'essere dal qualeprovengono, nella forma e negli organi, in modo che laprole somigli sorprendentemente al genitore nei più mi-nuti particolari di forma e di colore, nei capelli o nellepenne, nei denti o negli artigli, nelle scaglie, nelle spine,nelle creste, le quali si riproducono con la più stupefa-cente esattezza, pur subendo spesso, durante lo svilup-po, metamorfosi e cambiamenti tali che, se non ne fossi-mo testimoni oculari, ma ci venissero raccontate comecose che avvengono in lontane regioni, giudicheremmocome strane ed impossibili favole di viaggiatori, comequelle di Sindbad il marino.

Perchè le sostanze dei corpi viventi possano esser ca-paci di subire questi continui cambiamenti, conservandosempre la stessa forma e la stessa struttura nelle loro piùpiccole parti, bisogna che siano in un costante stato diflusso, mentre d'altro canto, rimanendo sensibilmenteinalterate, è anche necessario che le molecole che lecompongono siano così combinate da esser facile la loroseparazione e la loro unione, cioè, secondo il vero ter-mine, labili e caduche; e tali sono le molecole organicheper la loro chimica composizione, la quale, sebbene ri-sulti di pochi elementi, è nondimeno di struttura moltocomplicata, perchè un gran numero di atomi chimici visi trovano combinati in un'infinità di modi.

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addirittura irriconoscibili fisicamente e chimicamentecome appartenenti a specie molto diverse, pure posseg-gono il misterioso potere di sviluppare un perfetto orga-nismo, eguale in tutte le sue parti all'essere dal qualeprovengono, nella forma e negli organi, in modo che laprole somigli sorprendentemente al genitore nei più mi-nuti particolari di forma e di colore, nei capelli o nellepenne, nei denti o negli artigli, nelle scaglie, nelle spine,nelle creste, le quali si riproducono con la più stupefa-cente esattezza, pur subendo spesso, durante lo svilup-po, metamorfosi e cambiamenti tali che, se non ne fossi-mo testimoni oculari, ma ci venissero raccontate comecose che avvengono in lontane regioni, giudicheremmocome strane ed impossibili favole di viaggiatori, comequelle di Sindbad il marino.

Perchè le sostanze dei corpi viventi possano esser ca-paci di subire questi continui cambiamenti, conservandosempre la stessa forma e la stessa struttura nelle loro piùpiccole parti, bisogna che siano in un costante stato diflusso, mentre d'altro canto, rimanendo sensibilmenteinalterate, è anche necessario che le molecole che lecompongono siano così combinate da esser facile la loroseparazione e la loro unione, cioè, secondo il vero ter-mine, labili e caduche; e tali sono le molecole organicheper la loro chimica composizione, la quale, sebbene ri-sulti di pochi elementi, è nondimeno di struttura moltocomplicata, perchè un gran numero di atomi chimici visi trovano combinati in un'infinità di modi.

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La base fisica della vita, come la chiama Huxley, è ilprotoplasma, sostanza composta principalmente di soliquattro dei più comuni elementi, tre gas: azoto, idroge-no, ossigeno, e un solido metalloide: il carbonio. Tutti iprodotti speciali delle piante e degli animali si chiamanoperciò combinazioni del carbonio, ed il loro studio rap-presenta uno dei più estesi rami della chimica moderna.La loro complicazione è indicata dal fatto che le mole-cole di zucchero contengono 45 atomi, e quelle di steari-na non meno di 173. I composti chimici del carboniosono molto più numerosi di quelli di tutti gli altri ele-menti presi insieme, e sono meravigliose la varietà e lacomplicazione delle sue possibili combinazioni, la qualcosa spiega il fatto che tutti i varii tessuti animali: pelle,corno, capelli, unghie, denti, muscoli, nervi, etc., sonoformati dei medesimi quattro elementi, con qualche pic-cola quantità occasionale di zolfo, fosforo, silice e calce,e produce ancor più meraviglia il pensare che questi tes-suti sono identici, tanto nella pecora e nel bue che sonoerbivori, quanto nella foca che mangia pesce, e nella ti-gre carnivora. E quel che sorprende più ancora è che leinnumerevoli e diverse sostanze prodotte dalle piante odagli animali sono tutte formate dei medesimi tre oquattro elementi; tali sono le infinite varietà degli acidiorganici, dall'acido prussico a quello dei varii frutti, laimmensa varietà di zuccheri, gomme ed amidi, le nume-rose e differenti specie d'olio e di cera, la varietà deglioli essenziali, parecchie forme di trementina, ed altre so-stanze, come la canfora, la resina, il caoutchouc, la gut-

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La base fisica della vita, come la chiama Huxley, è ilprotoplasma, sostanza composta principalmente di soliquattro dei più comuni elementi, tre gas: azoto, idroge-no, ossigeno, e un solido metalloide: il carbonio. Tutti iprodotti speciali delle piante e degli animali si chiamanoperciò combinazioni del carbonio, ed il loro studio rap-presenta uno dei più estesi rami della chimica moderna.La loro complicazione è indicata dal fatto che le mole-cole di zucchero contengono 45 atomi, e quelle di steari-na non meno di 173. I composti chimici del carboniosono molto più numerosi di quelli di tutti gli altri ele-menti presi insieme, e sono meravigliose la varietà e lacomplicazione delle sue possibili combinazioni, la qualcosa spiega il fatto che tutti i varii tessuti animali: pelle,corno, capelli, unghie, denti, muscoli, nervi, etc., sonoformati dei medesimi quattro elementi, con qualche pic-cola quantità occasionale di zolfo, fosforo, silice e calce,e produce ancor più meraviglia il pensare che questi tes-suti sono identici, tanto nella pecora e nel bue che sonoerbivori, quanto nella foca che mangia pesce, e nella ti-gre carnivora. E quel che sorprende più ancora è che leinnumerevoli e diverse sostanze prodotte dalle piante odagli animali sono tutte formate dei medesimi tre oquattro elementi; tali sono le infinite varietà degli acidiorganici, dall'acido prussico a quello dei varii frutti, laimmensa varietà di zuccheri, gomme ed amidi, le nume-rose e differenti specie d'olio e di cera, la varietà deglioli essenziali, parecchie forme di trementina, ed altre so-stanze, come la canfora, la resina, il caoutchouc, la gut-

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taperca e l'estesa serie di alcaloidi vegetali, quali la ni-cotina del tabacco, la morfina, che si estrae dall'oppio, lastricnina, la curarina ed altri veleni, la chinina, la bella-donna ed altri simili medicinali alcaloidi, insieme congli essenziali principii delle nostre comuni bevande: thè,caffè, coca ed altre, troppo numerose per poterle ram-mentare tutte. Tutte queste sostanze sono formate deiquattro comuni elementi, dei quali il nostro organismo sicompone quasi esclusivamente. Se ciò non fosse indi-scutibilmente provato, non sarebbe certamente credibile.

Il prof. F. J. Allen crede che il più importante elemen-to del protoplasma sia quello che conferisce al viventeorganismo la proprietà più essenziale, l'instabilità estre-ma, cioè l'azoto. Questo elemento, quantunque inerteper sè stesso, sùbito entra in combinazione quandoun'energia interviene; il suo più spiccato carattere è laformazione di ammoniaca, composto di azoto e di idro-geno, sotto l'azione delle scariche elettriche attraversol'atmosfera. Oltre l'ammoniaca, altri ossidi di azoto, chesi formano nell'atmosfera nella stessa guisa, sono laprincipale sorgente dell'azoto che viene assimilato dallepiante, e, per mezzo di esse, dagli animali, poichè, ben-chè le piante siano in continuo contatto con l'azoto libe-ro dell'aria, esse non possono assorbirlo. Per mezzo del-le foglie le piante assorbono l'ossigeno ed il biossido dicarbonio, necessari al loro tessuto legnoso, per mezzodelle radici assorbono l'acqua nella quale sono discioltiammoniaca e ossidi di azoto, e con questo materiale fab-bricano il protoplasma che costituisce la intera sostanza

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taperca e l'estesa serie di alcaloidi vegetali, quali la ni-cotina del tabacco, la morfina, che si estrae dall'oppio, lastricnina, la curarina ed altri veleni, la chinina, la bella-donna ed altri simili medicinali alcaloidi, insieme congli essenziali principii delle nostre comuni bevande: thè,caffè, coca ed altre, troppo numerose per poterle ram-mentare tutte. Tutte queste sostanze sono formate deiquattro comuni elementi, dei quali il nostro organismo sicompone quasi esclusivamente. Se ciò non fosse indi-scutibilmente provato, non sarebbe certamente credibile.

Il prof. F. J. Allen crede che il più importante elemen-to del protoplasma sia quello che conferisce al viventeorganismo la proprietà più essenziale, l'instabilità estre-ma, cioè l'azoto. Questo elemento, quantunque inerteper sè stesso, sùbito entra in combinazione quandoun'energia interviene; il suo più spiccato carattere è laformazione di ammoniaca, composto di azoto e di idro-geno, sotto l'azione delle scariche elettriche attraversol'atmosfera. Oltre l'ammoniaca, altri ossidi di azoto, chesi formano nell'atmosfera nella stessa guisa, sono laprincipale sorgente dell'azoto che viene assimilato dallepiante, e, per mezzo di esse, dagli animali, poichè, ben-chè le piante siano in continuo contatto con l'azoto libe-ro dell'aria, esse non possono assorbirlo. Per mezzo del-le foglie le piante assorbono l'ossigeno ed il biossido dicarbonio, necessari al loro tessuto legnoso, per mezzodelle radici assorbono l'acqua nella quale sono discioltiammoniaca e ossidi di azoto, e con questo materiale fab-bricano il protoplasma che costituisce la intera sostanza

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del regno animale. L'energia per produrre questi compo-sti di azoto è data ad esse quando subiscono nuove vi-cende; tale è il prodursi nell'atmosfera dell'ammoniacaper mezzo dell'elettricità, perchè questa, infiltrandosi nelterreno per mezzo della pioggia, dà principio alla lungaserie delle operazioni importantissime nella produzionedelle forme più importanti della vita.

Ma le notevoli trasformazioni e combinazioni checontinuamente avvengono in ogni corpo vivente e cherappresentano veramente le condizioni essenziali dellavita, dipendono esse pure da certe condizioni fisiche ne-cessarie, delle quali non si può fare a meno. Il prof. Al-len nota: «La sensibilità dell'azoto, la sua facilità nelcambiare stato di combinazione e d'energia, par che di-penda da certe condizioni di temperatura, pressione,etc., che esistono alla superficie della terra. Molti dei fe-nomeni vitali avvengono ad una temperatura che restafra quella del ghiaccio fondente e 104° F. Se la tempera-tura generale della superficie della terra si elevasse o di-minuisse di 72° F. (aumento relativamente piccolo) tuttoil corso della vita sarebbe cambiato od anche estinto».

Un altro importante fatto, e forse il più essenziale re-lativamente alla vita, è che nell'atmosfera esiste una pic-cola ma permanente proporzione di gas acido carbonico,la quale rappresenta la riserva dalla quale tutto il carbo-nio che si trova nel regno animale e in quello vegetaleoriginariamente deriva. Le foglie delle piante assorbonol'acido carbonico contenuto nell'atmosfera, e la specialesostanza detta clorofilla, alla quale esse debbono il loro

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del regno animale. L'energia per produrre questi compo-sti di azoto è data ad esse quando subiscono nuove vi-cende; tale è il prodursi nell'atmosfera dell'ammoniacaper mezzo dell'elettricità, perchè questa, infiltrandosi nelterreno per mezzo della pioggia, dà principio alla lungaserie delle operazioni importantissime nella produzionedelle forme più importanti della vita.

Ma le notevoli trasformazioni e combinazioni checontinuamente avvengono in ogni corpo vivente e cherappresentano veramente le condizioni essenziali dellavita, dipendono esse pure da certe condizioni fisiche ne-cessarie, delle quali non si può fare a meno. Il prof. Al-len nota: «La sensibilità dell'azoto, la sua facilità nelcambiare stato di combinazione e d'energia, par che di-penda da certe condizioni di temperatura, pressione,etc., che esistono alla superficie della terra. Molti dei fe-nomeni vitali avvengono ad una temperatura che restafra quella del ghiaccio fondente e 104° F. Se la tempera-tura generale della superficie della terra si elevasse o di-minuisse di 72° F. (aumento relativamente piccolo) tuttoil corso della vita sarebbe cambiato od anche estinto».

Un altro importante fatto, e forse il più essenziale re-lativamente alla vita, è che nell'atmosfera esiste una pic-cola ma permanente proporzione di gas acido carbonico,la quale rappresenta la riserva dalla quale tutto il carbo-nio che si trova nel regno animale e in quello vegetaleoriginariamente deriva. Le foglie delle piante assorbonol'acido carbonico contenuto nell'atmosfera, e la specialesostanza detta clorofilla, alla quale esse debbono il loro

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colorito verde, ha il potere di decomporre questo acidosotto l'azione della luce solare, adoperando il carbonionecessario alla vita della pianta e rigettando l'ossigeno.Nei laboratori il carbonio non può esser separatodall'ossigeno che per mezzo del calore, sotto l'azione delquale certi metalli bruciano, combinandosi con l'ossige-no, e ponendo in libertà il carbonio. La clorofilla ha unastruttura chimica molto complicata, ma imperfettamenteconosciuta; si crede però che essa possa solamente for-marsi quando il suolo contenga del ferro. Le foglie dellepiante, così spesso considerate come semplici appendiciornamentali, rappresentano una delle più meravigliosestrutture degli organismi viventi, poichè decompongonoalla temperatura ordinaria l'acido carbonico, facendoquello che nessun'altro agente della natura può fare, eutilizzando a tale scopo uno speciale gruppo di ondeeteree, le sole che, a quanto sembra, abbiano questo po-tere. La complessità del processo vitale che avviene nel-le foglie è ben descritta nel seguente passo:

«Abbiamo visto come le foglie verdi contengano gas,acqua e sali disciolti, e come possano mettere a profittospeciali onde eteree. L'energia attiva delle onde è adope-rata per trasmutare un semplice composto inorganico inuno più complicato e organico, il quale nel processo direspirazione è ridotto di nuovo in sostanze semplici,mentre la sua energia potenziale è trasformata in cineti-ca. Questi scambi metabolici avvengono nelle cellule vi-venti che posseggono un'attività intensa. Delle correntitraversano il protoplasma e il succo cellulare in ogni di-

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colorito verde, ha il potere di decomporre questo acidosotto l'azione della luce solare, adoperando il carbonionecessario alla vita della pianta e rigettando l'ossigeno.Nei laboratori il carbonio non può esser separatodall'ossigeno che per mezzo del calore, sotto l'azione delquale certi metalli bruciano, combinandosi con l'ossige-no, e ponendo in libertà il carbonio. La clorofilla ha unastruttura chimica molto complicata, ma imperfettamenteconosciuta; si crede però che essa possa solamente for-marsi quando il suolo contenga del ferro. Le foglie dellepiante, così spesso considerate come semplici appendiciornamentali, rappresentano una delle più meravigliosestrutture degli organismi viventi, poichè decompongonoalla temperatura ordinaria l'acido carbonico, facendoquello che nessun'altro agente della natura può fare, eutilizzando a tale scopo uno speciale gruppo di ondeeteree, le sole che, a quanto sembra, abbiano questo po-tere. La complessità del processo vitale che avviene nel-le foglie è ben descritta nel seguente passo:

«Abbiamo visto come le foglie verdi contengano gas,acqua e sali disciolti, e come possano mettere a profittospeciali onde eteree. L'energia attiva delle onde è adope-rata per trasmutare un semplice composto inorganico inuno più complicato e organico, il quale nel processo direspirazione è ridotto di nuovo in sostanze semplici,mentre la sua energia potenziale è trasformata in cineti-ca. Questi scambi metabolici avvengono nelle cellule vi-venti che posseggono un'attività intensa. Delle correntitraversano il protoplasma e il succo cellulare in ogni di-

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rezione, e queste correnti passano anche da cellula a cel-lula, le quali possono essere in comunicazione per mez-zo di sottili filamenti di protoplasma. I gas utilizzabili equelli respinti dalla respirazione e dall'assimilazione cir-colano intorno e dentro le cellule, e ciascuna particelladi protoplasma, ossidata o no, è il centro d'un'area diperturbazione. Il protoplasma puro è egualmente sensi-bile a tutti i raggi, ma quando è associato con la clorofil-la, è sensibile a certi raggi rossi e violetti, i quali, spe-cialmente quelli rossi, agiscono nella separazione deglielementi dell'acido carbonico, nell'assimilazione del car-bonio e nell'espulsione dell'ossigeno.»27

Questa vigorosa attività della vita sempre desta nellefoglie, nelle radici e nel contenuto delle cellule nutre lapianta e l'adorna della sorprendente bellezza dei suoigermogli e delle sue foglie, di fiori, di frutti; e nel mede-simo tempo produce ricchezza di odori, sapori, colori etessuti di fibre; varie specie di legname, radici e tuberi,gomme, oli e resine innumerevoli, sostanze che rendonoil mondo della vita vegetale forse più vario, più bello,più giocondo e più indispensabile alla nostra natura, diquello animale.

Ma non possiamo far confronti. Potrebbero esistere lepiante senza gli animali, ma non gli animali senza lepiante. E di tutte queste misteriose meraviglie della vitavegetale, meraviglie e misteri dei quali mai ponderiamo

27 Vedi l'art. Vegetable Physiology nella Chambers's Encyclo-poedia.

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rezione, e queste correnti passano anche da cellula a cel-lula, le quali possono essere in comunicazione per mez-zo di sottili filamenti di protoplasma. I gas utilizzabili equelli respinti dalla respirazione e dall'assimilazione cir-colano intorno e dentro le cellule, e ciascuna particelladi protoplasma, ossidata o no, è il centro d'un'area diperturbazione. Il protoplasma puro è egualmente sensi-bile a tutti i raggi, ma quando è associato con la clorofil-la, è sensibile a certi raggi rossi e violetti, i quali, spe-cialmente quelli rossi, agiscono nella separazione deglielementi dell'acido carbonico, nell'assimilazione del car-bonio e nell'espulsione dell'ossigeno.»27

Questa vigorosa attività della vita sempre desta nellefoglie, nelle radici e nel contenuto delle cellule nutre lapianta e l'adorna della sorprendente bellezza dei suoigermogli e delle sue foglie, di fiori, di frutti; e nel mede-simo tempo produce ricchezza di odori, sapori, colori etessuti di fibre; varie specie di legname, radici e tuberi,gomme, oli e resine innumerevoli, sostanze che rendonoil mondo della vita vegetale forse più vario, più bello,più giocondo e più indispensabile alla nostra natura, diquello animale.

Ma non possiamo far confronti. Potrebbero esistere lepiante senza gli animali, ma non gli animali senza lepiante. E di tutte queste misteriose meraviglie della vitavegetale, meraviglie e misteri dei quali mai ponderiamo

27 Vedi l'art. Vegetable Physiology nella Chambers's Encyclo-poedia.

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la grandezza, perchè sono a noi troppo familiari, ci sem-bra sufficiente questa sola spiegazione: tutto si deve allespeciali proprietà del protoplasma. E può ben dire Hux-ley che il protoplasma non è solamente una sostanza, maun meccanismo messo in moto dal calore e dalla luce,capace di produrre migliaia di resultati più sorprendentidi tutti i meccanismi che mente umana abbia mai inven-tato.

Ma oltre la funzione vegetale dell'assorbimentodell'acido carbonico dell'atmosfera, che separa ed utiliz-za il carbonio rigettando l'ossigeno, piante ed animalicontinuamente assorbono ossigeno dall'atmosfera, e talfenomeno è così universale che l'ossigeno è giudicatonutrimento del protoplasma, perchè senza di esso il pro-toplasma non potrebbe continuare a vivere. Inoltre è laparticolare, ma del tutto ignota, struttura del protopla-sma che lo rende atto alla funzione che procura allepiante l'assorbimento di una enorme quantità d'acqua.

Benchè il protoplasma sia una sostanza così compli-cata da sfidare ogni analisi chimica, tanto che potrebbeparagonarsi a un elaborato edifizio di atomi racchiuso inuna molecola, nella quale ciascun atomo occupa il do-vuto posto, come ogni pietra scolpita in una cattedralegotica, nondimeno esso è il punto di partenza, il mate-riale del quale sono formate le infinitamente varie strut-ture dei corpi viventi. La grande mobilità e instabilitàdella costruzione di queste molecole rende il protopla-sma suscettibile di continue modificazioni di costituzio-ne e di forma; per mezzo di sostituzioni o di addizioni di

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la grandezza, perchè sono a noi troppo familiari, ci sem-bra sufficiente questa sola spiegazione: tutto si deve allespeciali proprietà del protoplasma. E può ben dire Hux-ley che il protoplasma non è solamente una sostanza, maun meccanismo messo in moto dal calore e dalla luce,capace di produrre migliaia di resultati più sorprendentidi tutti i meccanismi che mente umana abbia mai inven-tato.

Ma oltre la funzione vegetale dell'assorbimentodell'acido carbonico dell'atmosfera, che separa ed utiliz-za il carbonio rigettando l'ossigeno, piante ed animalicontinuamente assorbono ossigeno dall'atmosfera, e talfenomeno è così universale che l'ossigeno è giudicatonutrimento del protoplasma, perchè senza di esso il pro-toplasma non potrebbe continuare a vivere. Inoltre è laparticolare, ma del tutto ignota, struttura del protopla-sma che lo rende atto alla funzione che procura allepiante l'assorbimento di una enorme quantità d'acqua.

Benchè il protoplasma sia una sostanza così compli-cata da sfidare ogni analisi chimica, tanto che potrebbeparagonarsi a un elaborato edifizio di atomi racchiuso inuna molecola, nella quale ciascun atomo occupa il do-vuto posto, come ogni pietra scolpita in una cattedralegotica, nondimeno esso è il punto di partenza, il mate-riale del quale sono formate le infinitamente varie strut-ture dei corpi viventi. La grande mobilità e instabilitàdella costruzione di queste molecole rende il protopla-sma suscettibile di continue modificazioni di costituzio-ne e di forma; per mezzo di sostituzioni o di addizioni di

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altri elementi può servire a speciali scopi, così quandolo zolfo è assorbito in piccola quantità e fuso nella strut-tura molecolare, si formano i corpi proteici. Questi sonomolto abbondanti nelle costituzioni animali, dànno leproprietà nutritive alla carne, al cacio, alle uova e ad al-tri prodotti animali; tali sostanze si trovano altresì nelregno vegetale, specialmente nelle noci ed in altri ali-menti come il grano, i piselli, etc., etc., i quali sono ge-neralmente denotati col nome di alimenti azotati e sonomolto nutritivi, ma non tanto facilmente digeribili comela carne. Le sostanze proteiche esistono sotto formemolto varie, e spesso contengono fosforo e zolfo, ma laloro principale caratteristica è la grande quantità di idro-geno che contengono, mentre molti altri prodotti animalie vegetali, come le radici, i tuberi, i grani ed anche igrassi e gli oli, sono costituiti principalmente d'amido edi zucchero. Il prof. W. D. Haliburton così descrive lesostanze proteiche nel loro aspetto chimico e fisiologi-co: «Le sostanze proteiche si trovano soltanto in quei la-boratori viventi che sono gli animali e le piante, la mate-ria di esse è essenzialmente il materiale che si trova nelprotoplasma. La molecola di questa sostanza è la piùcomplicata che si conosca, e spesso contiene cinque, seied anche sette elementi. Il lavoro per comprendere ilmodo con cui essa è composta è naturalmente vasto e iprogressi sono lenti, ma a poco a poco si riuscirà a scio-gliere il quesito, e questa ultima conquista della chimicaorganica, quando che avvenga, darà nuovi lumi ai fisio-

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altri elementi può servire a speciali scopi, così quandolo zolfo è assorbito in piccola quantità e fuso nella strut-tura molecolare, si formano i corpi proteici. Questi sonomolto abbondanti nelle costituzioni animali, dànno leproprietà nutritive alla carne, al cacio, alle uova e ad al-tri prodotti animali; tali sostanze si trovano altresì nelregno vegetale, specialmente nelle noci ed in altri ali-menti come il grano, i piselli, etc., etc., i quali sono ge-neralmente denotati col nome di alimenti azotati e sonomolto nutritivi, ma non tanto facilmente digeribili comela carne. Le sostanze proteiche esistono sotto formemolto varie, e spesso contengono fosforo e zolfo, ma laloro principale caratteristica è la grande quantità di idro-geno che contengono, mentre molti altri prodotti animalie vegetali, come le radici, i tuberi, i grani ed anche igrassi e gli oli, sono costituiti principalmente d'amido edi zucchero. Il prof. W. D. Haliburton così descrive lesostanze proteiche nel loro aspetto chimico e fisiologi-co: «Le sostanze proteiche si trovano soltanto in quei la-boratori viventi che sono gli animali e le piante, la mate-ria di esse è essenzialmente il materiale che si trova nelprotoplasma. La molecola di questa sostanza è la piùcomplicata che si conosca, e spesso contiene cinque, seied anche sette elementi. Il lavoro per comprendere ilmodo con cui essa è composta è naturalmente vasto e iprogressi sono lenti, ma a poco a poco si riuscirà a scio-gliere il quesito, e questa ultima conquista della chimicaorganica, quando che avvenga, darà nuovi lumi ai fisio-

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logi e rischiarerà molti punti ancora oscuri della fisiolo-gia.»28

La funzione del protoplasma, e delle sue modificazio-ni ancora più meravigliose, è quella di assorbire e tra-sformare un gran numero di altri elementi nelle varieparti dell'organismo vivente, perchè servano alle parti-colari funzioni. Gli elementi che più comunemente ven-gono assorbiti e trasformati sono la silice nei fusti dellegraminacee, la calce e il magnesio nelle ossa degli ani-mali, il ferro nel sangue, e molti altri.

Oltre i quattro principali elementi costituenti il proto-plasma, molti animali e molte piante contengono, inqualche parte dei loro tessuti, fosforo, zolfo, cloro, sili-cio, sodio, potassio, calcio, magnesio, ferro, e meno fre-quentemente fluoro, iodio, bromo, litio, rame, mangane-se e alluminio, elementi che si riscontrano in organi otessuti speciali. Le molecole di tutti questi elementisono portate dal fluido protoplasmatico nei punti doveoccorrono, per esser trasformate in sostanza vivente,con la medesima precisione e con gli stessi scopi concui i mattoni, le pietre, il ferro, la calce, il legno, e i cri-stalli si utilizzano, ciascuno nei luoghi dove occorrono,per fabbricare un grande edifizio.29

28 Comunicazione all'Associazione Britannica, 1902. Sezionefisiologica.

29 Questa enumerazione degli elementi che entrano nella co-stituzione degli animali e delle piante è stata tolta dallo scritto delprof. F. J. Allen, precedentemente citato.

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logi e rischiarerà molti punti ancora oscuri della fisiolo-gia.»28

La funzione del protoplasma, e delle sue modificazio-ni ancora più meravigliose, è quella di assorbire e tra-sformare un gran numero di altri elementi nelle varieparti dell'organismo vivente, perchè servano alle parti-colari funzioni. Gli elementi che più comunemente ven-gono assorbiti e trasformati sono la silice nei fusti dellegraminacee, la calce e il magnesio nelle ossa degli ani-mali, il ferro nel sangue, e molti altri.

Oltre i quattro principali elementi costituenti il proto-plasma, molti animali e molte piante contengono, inqualche parte dei loro tessuti, fosforo, zolfo, cloro, sili-cio, sodio, potassio, calcio, magnesio, ferro, e meno fre-quentemente fluoro, iodio, bromo, litio, rame, mangane-se e alluminio, elementi che si riscontrano in organi otessuti speciali. Le molecole di tutti questi elementisono portate dal fluido protoplasmatico nei punti doveoccorrono, per esser trasformate in sostanza vivente,con la medesima precisione e con gli stessi scopi concui i mattoni, le pietre, il ferro, la calce, il legno, e i cri-stalli si utilizzano, ciascuno nei luoghi dove occorrono,per fabbricare un grande edifizio.29

28 Comunicazione all'Associazione Britannica, 1902. Sezionefisiologica.

29 Questa enumerazione degli elementi che entrano nella co-stituzione degli animali e delle piante è stata tolta dallo scritto delprof. F. J. Allen, precedentemente citato.

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L'organismo però non si costruisce, ma cresce a pocoa poco. Ogni organo, ogni fibra, cellula o tessuto è for-mato di diversi materiali, i quali sono prima decompostinelle loro molecole elementari, poi trasformati dal pro-toplasma o da speciali dissolventi formati da esso, e tra-sportati dal fluido vitale nei luoghi dove sono necessari,e dove formano atomo per atomo, molecola per moleco-la, la sostanza della quale entrano a far parte.

Ma il sorprendente processo di accrescimento di ogniorganismo è di gran lunga superato da quello meravi-glioso di riproduzione. Ogni essere vivente, il più per-fetto, nasce da una sola microscopica cellula fecondatada un'altra microscopica cellula, appartenente a un di-verso individuo. Queste cellule sfuggono spesso ai piùpotenti microscopi, e sono difficilmente distinguibilidalle altre cellule che si trovano nelle piante e negli ani-mali, e delle quali si compongono i loro tessuti. Questecellule speciali si originano in maniera del tutto propria,ed invece di entrare a far parte dell'organismo, si svilup-pano fatalmente in un completo essere vivente con tuttigli organi, le funzioni e i caratteri dei genitori, così dapoter ben dirsi che esso appartiene alla medesima spe-cie. Se il crescere di un organismo vivente è un mistero,che cosa diremo di questo riprodursi di migliaia di orga-nismi complicati, dei quali ciascuno ha i suoi specialicaratteri, mentre tutti nascono da piccoli germi o cellule,nelle quali non è possibile fare alcuna distinzione speci-fica, neppure con un microscopio potente? E anche que-sto è dovuto al lavoro del protoplasma, sotto l'influenza

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L'organismo però non si costruisce, ma cresce a pocoa poco. Ogni organo, ogni fibra, cellula o tessuto è for-mato di diversi materiali, i quali sono prima decompostinelle loro molecole elementari, poi trasformati dal pro-toplasma o da speciali dissolventi formati da esso, e tra-sportati dal fluido vitale nei luoghi dove sono necessari,e dove formano atomo per atomo, molecola per moleco-la, la sostanza della quale entrano a far parte.

Ma il sorprendente processo di accrescimento di ogniorganismo è di gran lunga superato da quello meravi-glioso di riproduzione. Ogni essere vivente, il più per-fetto, nasce da una sola microscopica cellula fecondatada un'altra microscopica cellula, appartenente a un di-verso individuo. Queste cellule sfuggono spesso ai piùpotenti microscopi, e sono difficilmente distinguibilidalle altre cellule che si trovano nelle piante e negli ani-mali, e delle quali si compongono i loro tessuti. Questecellule speciali si originano in maniera del tutto propria,ed invece di entrare a far parte dell'organismo, si svilup-pano fatalmente in un completo essere vivente con tuttigli organi, le funzioni e i caratteri dei genitori, così dapoter ben dirsi che esso appartiene alla medesima spe-cie. Se il crescere di un organismo vivente è un mistero,che cosa diremo di questo riprodursi di migliaia di orga-nismi complicati, dei quali ciascuno ha i suoi specialicaratteri, mentre tutti nascono da piccoli germi o cellule,nelle quali non è possibile fare alcuna distinzione speci-fica, neppure con un microscopio potente? E anche que-sto è dovuto al lavoro del protoplasma, sotto l'influenza

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del calore e dell'umidità, e i moderni fisiologi sperano dipoter arrivare a comprendere come ciò possa avvenire.È bene che qui non siano omesse le opinioni degli scrit-tori moderni per quel che riguarda questo punto impor-tante della scienza. Riferendosi ad una difficoltà solle-vata da Clerk-Maxwell, il quale 25 anni fa disse che nonvi era spazio sufficiente, nelle cellule riproduttive, per imilioni di molecole necessarie per servire come unitàd'accrescimento per tutti i differenti tessuti del corpo deipiù perfetti animali, il prof. M. Kendrick dice: «Ma oggisi può credere, in base ai dati esistenti, che le vescicolegerminative possono contenere un milione di milioni dimolecole organiche. Per lo sviluppo di tutte le parti diun perfetto organismo occorrono complesse disposizionidi queste molecole, per poter soddisfare a tutte le richie-ste della teoria della eredità. Senza dubbio, il germe è unsistema materiale che passa dall'uno all'altro. L'opinionedei fisici è che le molecole siano in istato variabile dimovimento, ed i pensatori sono spinti verso una teoriacinetica delle molecole e degli atomi di materia solida,la quale può riuscire utile come la teoria cinetica deigas. Vi sono movimenti atomici e movimenti molecola-ri. È possibile che le particolarità dell'azione vitale pos-sano esser determinate dal particolare movimento che siverifica nelle molecole di ciò che chiamiamo materia vi-vente. Differirebbe nelle specie per alcuni dei movimen-ti di cui si occupano i fisici. La vita è continuamentecreata e mantenuta dalla materia non vivente, cosa chepossiamo ogni giorno verificare nell'accrescimento di un

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del calore e dell'umidità, e i moderni fisiologi sperano dipoter arrivare a comprendere come ciò possa avvenire.È bene che qui non siano omesse le opinioni degli scrit-tori moderni per quel che riguarda questo punto impor-tante della scienza. Riferendosi ad una difficoltà solle-vata da Clerk-Maxwell, il quale 25 anni fa disse che nonvi era spazio sufficiente, nelle cellule riproduttive, per imilioni di molecole necessarie per servire come unitàd'accrescimento per tutti i differenti tessuti del corpo deipiù perfetti animali, il prof. M. Kendrick dice: «Ma oggisi può credere, in base ai dati esistenti, che le vescicolegerminative possono contenere un milione di milioni dimolecole organiche. Per lo sviluppo di tutte le parti diun perfetto organismo occorrono complesse disposizionidi queste molecole, per poter soddisfare a tutte le richie-ste della teoria della eredità. Senza dubbio, il germe è unsistema materiale che passa dall'uno all'altro. L'opinionedei fisici è che le molecole siano in istato variabile dimovimento, ed i pensatori sono spinti verso una teoriacinetica delle molecole e degli atomi di materia solida,la quale può riuscire utile come la teoria cinetica deigas. Vi sono movimenti atomici e movimenti molecola-ri. È possibile che le particolarità dell'azione vitale pos-sano esser determinate dal particolare movimento che siverifica nelle molecole di ciò che chiamiamo materia vi-vente. Differirebbe nelle specie per alcuni dei movimen-ti di cui si occupano i fisici. La vita è continuamentecreata e mantenuta dalla materia non vivente, cosa chepossiamo ogni giorno verificare nell'accrescimento di un

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corpo per assimilazione di nutrimento. La creazione del-la materia vivente dalla non vivente può avvenire con latrasmissione alla materia morta di movimenti molecola-ri, i quali abbiano una forma sui generis». Questa èl'opinione fisiologica moderna, sul «modo come ciòpossa avvenire», ed essa sembra molto più intelligibile,della vecchia teoria sull'origine dell'accetta di pietra,data da Adriano Tollius nel 1649, e citata da E. B. Tylor,il quale dice: «I disegni delle comuni accette di pietra edei martelli, come i naturalisti raccontano, sono stati ge-nerati nel cielo da un'esalazione di folgore conglobata inun nuvolo d'umore circonfuso, fusi da intenso caloreche, unito all'umidità, fece la punta all'arme, fuggendodalla parte asciutta e lasciando l'altra parte più densa;ma l'esalazione produsse una così forte pressione, che siaprì una via attraverso il nuvolo e dette così origine ailampi ed ai tuoni. Ma – aggiunge – se questa è veramen-te la maniera con la quale sono state generate, è stranoche non sian rotondi e che abbiano dei fori. Questo glipare cosa incredibile.»30 E così, quando i fisiologi cerca-no di evitare la responsabilità dell'opinione che possaesistere nel germe altro che moto e materia, giudicanoche lo sviluppo, tanto dell'elefante che dell'uomo, è pro-babilmente dovuto a piccole cellule internamente ugua-li, che agiscano per mezzo di «dati movimenti» e della«trasmissione di movimenti che hanno una forma suigeneris». In conclusione, però, si sarebbe tentati d'escla-

30 Early History of Mankind. – 2a. ediz. p. 227.

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corpo per assimilazione di nutrimento. La creazione del-la materia vivente dalla non vivente può avvenire con latrasmissione alla materia morta di movimenti molecola-ri, i quali abbiano una forma sui generis». Questa èl'opinione fisiologica moderna, sul «modo come ciòpossa avvenire», ed essa sembra molto più intelligibile,della vecchia teoria sull'origine dell'accetta di pietra,data da Adriano Tollius nel 1649, e citata da E. B. Tylor,il quale dice: «I disegni delle comuni accette di pietra edei martelli, come i naturalisti raccontano, sono stati ge-nerati nel cielo da un'esalazione di folgore conglobata inun nuvolo d'umore circonfuso, fusi da intenso caloreche, unito all'umidità, fece la punta all'arme, fuggendodalla parte asciutta e lasciando l'altra parte più densa;ma l'esalazione produsse una così forte pressione, che siaprì una via attraverso il nuvolo e dette così origine ailampi ed ai tuoni. Ma – aggiunge – se questa è veramen-te la maniera con la quale sono state generate, è stranoche non sian rotondi e che abbiano dei fori. Questo glipare cosa incredibile.»30 E così, quando i fisiologi cerca-no di evitare la responsabilità dell'opinione che possaesistere nel germe altro che moto e materia, giudicanoche lo sviluppo, tanto dell'elefante che dell'uomo, è pro-babilmente dovuto a piccole cellule internamente ugua-li, che agiscano per mezzo di «dati movimenti» e della«trasmissione di movimenti che hanno una forma suigeneris». In conclusione, però, si sarebbe tentati d'escla-

30 Early History of Mankind. – 2a. ediz. p. 227.

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mare, con un antico autore: «Credo che sia difficile cre-derlo».

Questo breve cenno delle conclusioni alle quali sonoarrivati i fisiologi e i chimici, circa la struttura e la com-posizione dell'organismo dei corpi viventi, credo sia sta-to opportuno, perchè spesso i lettori, profani di scienza,non possono farsi un'idea delle incomparabili meravigliedel misterioso processo della vita, e attraversano il mon-do silenziosi e indifferenti, senza conoscer nulla dellecose che li circondano. È quanto avviene fra le nostrepopolazioni, i due terzi delle quali si affollano per le cit-tà, mossi da tante e diverse occupazioni, senza mai sen-tire il bisogno della vita dei campi, senza averne maiprovato l'incanto. Essi cercano di divagarsi, di eccitarsifrequentando teatri, sale dove si suona, dove si giuoca,dove si beve. E queste persone non hanno l'idea di quelche perdono nel tenersi sempre lontane dalla pace cheloro offre la natura, dai suoi stupendi panorami, dai pro-fumi, dalle bellezze della vegetazione, dai suoi profondie forse insondabili misteri di creazione, di vita e di mor-te.

Molti ammirano gli uomini di scienza per le profondee molteplici cognizioni che posseggono su queste mate-rie, e molti lettori colti saranno, ne sono sicuro, sorpresinel sentire che taluni fenomeni, apparentemente tantosemplici, come il succhiamento delle piante per mezzodelle radici, non siano stati per anco completamentespiegati. Così è il profondo mistero della vita e del suoprocesso di produzione e riproduzione: benchè i nostri

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mare, con un antico autore: «Credo che sia difficile cre-derlo».

Questo breve cenno delle conclusioni alle quali sonoarrivati i fisiologi e i chimici, circa la struttura e la com-posizione dell'organismo dei corpi viventi, credo sia sta-to opportuno, perchè spesso i lettori, profani di scienza,non possono farsi un'idea delle incomparabili meravigliedel misterioso processo della vita, e attraversano il mon-do silenziosi e indifferenti, senza conoscer nulla dellecose che li circondano. È quanto avviene fra le nostrepopolazioni, i due terzi delle quali si affollano per le cit-tà, mossi da tante e diverse occupazioni, senza mai sen-tire il bisogno della vita dei campi, senza averne maiprovato l'incanto. Essi cercano di divagarsi, di eccitarsifrequentando teatri, sale dove si suona, dove si giuoca,dove si beve. E queste persone non hanno l'idea di quelche perdono nel tenersi sempre lontane dalla pace cheloro offre la natura, dai suoi stupendi panorami, dai pro-fumi, dalle bellezze della vegetazione, dai suoi profondie forse insondabili misteri di creazione, di vita e di mor-te.

Molti ammirano gli uomini di scienza per le profondee molteplici cognizioni che posseggono su queste mate-rie, e molti lettori colti saranno, ne sono sicuro, sorpresinel sentire che taluni fenomeni, apparentemente tantosemplici, come il succhiamento delle piante per mezzodelle radici, non siano stati per anco completamentespiegati. Così è il profondo mistero della vita e del suoprocesso di produzione e riproduzione: benchè i nostri

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fisiologi ci abbiano rivelato un'infinità di fatti curiosi, equalche volta anche istruttivi, non hanno potuto ancoraoffrircene una spiegazione intelligibile e vera. Le com-plicazioni infinite e la tanta confusione di minute parti-colarità, che si trovano in tutti i trattati di fisiologia delregno animale e vegetale, sopraffanno i lettori con lagrande massa di cognizioni che vi si trovano, ed essisono tratti a concludere che dopo tali elaborate ricerchenulla può esser rimasto incognito, e protestano contro leobbiezioni che si possono fare, perchè ormai le forze ele leggi che governano la meccanica, la fisica e la chi-mica sono ben conosciute. Perciò ho pensato che fosseben fatto l'accennare brevemente alle diverse opinionisu questo soggetto, per mostrare, con le parole che han-no adoprato su tale argomento le più competenti e dotteautorità viventi, quanto complicati siano i fenomeni, ecome i nostri maestri siano ancora lungi dal potercenedare un'adeguata spiegazione.

Voglio sperare che le poche parole dette a questo pro-posito avranno fornito ai miei lettori un'idea, sia pur pal-lida, delle infinite complicazioni della vita e dei variiproblemi che ad essa si riferiscono, perchè in tal modoessi saranno meglio preparati ad apprezzare la sorpren-dente delicatezza dell'ingranaggio di questa macchina,delle sue forze, delle infinite necessità che la circonda-no, che sole la rendono possibile, e, soprattutto, a dareuno sguardo al panorama delle tante e lunghe epoche,attraverso le quali si è compiuto lo sviluppo della vita. È

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fisiologi ci abbiano rivelato un'infinità di fatti curiosi, equalche volta anche istruttivi, non hanno potuto ancoraoffrircene una spiegazione intelligibile e vera. Le com-plicazioni infinite e la tanta confusione di minute parti-colarità, che si trovano in tutti i trattati di fisiologia delregno animale e vegetale, sopraffanno i lettori con lagrande massa di cognizioni che vi si trovano, ed essisono tratti a concludere che dopo tali elaborate ricerchenulla può esser rimasto incognito, e protestano contro leobbiezioni che si possono fare, perchè ormai le forze ele leggi che governano la meccanica, la fisica e la chi-mica sono ben conosciute. Perciò ho pensato che fosseben fatto l'accennare brevemente alle diverse opinionisu questo soggetto, per mostrare, con le parole che han-no adoprato su tale argomento le più competenti e dotteautorità viventi, quanto complicati siano i fenomeni, ecome i nostri maestri siano ancora lungi dal potercenedare un'adeguata spiegazione.

Voglio sperare che le poche parole dette a questo pro-posito avranno fornito ai miei lettori un'idea, sia pur pal-lida, delle infinite complicazioni della vita e dei variiproblemi che ad essa si riferiscono, perchè in tal modoessi saranno meglio preparati ad apprezzare la sorpren-dente delicatezza dell'ingranaggio di questa macchina,delle sue forze, delle infinite necessità che la circonda-no, che sole la rendono possibile, e, soprattutto, a dareuno sguardo al panorama delle tante e lunghe epoche,attraverso le quali si è compiuto lo sviluppo della vita. È

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alle condizioni che prevalgono nel mondo che ci circon-da, che volgeremo adesso tutta la nostra attenzione.

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alle condizioni che prevalgono nel mondo che ci circon-da, che volgeremo adesso tutta la nostra attenzione.

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CAPITOLO XI.LE CONDIZIONI INDISPENSABILI

ALLA VITA ORGANICA.

Le condizioni fisiche, che sulla superficie del nostroglobo sembrano necessarie allo sviluppo ed al manteni-mento degli organismi viventi, possono esser così ripar-tite:

1. Regolarità nella distribuzione del calore, dalla qua-le risulti un limitato grado di temperatura.

2. Una quantità sufficiente di luce e di calore solare.3. Acqua in grande abbondanza e distribuita dapper-

tutto.4. Un'atmosfera di sufficiente densità, costituita di

gas i quali rappresentino la parte principale nella vitadegli animali e delle piante. Tali sono: l'ossigeno, l'acidocarbonico, il vapore acqueo, l'azoto e l'ammoniaca, iquali devono esistere in una data proporzione.

5. Alternanza del giorno e della notte.

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CAPITOLO XI.LE CONDIZIONI INDISPENSABILI

ALLA VITA ORGANICA.

Le condizioni fisiche, che sulla superficie del nostroglobo sembrano necessarie allo sviluppo ed al manteni-mento degli organismi viventi, possono esser così ripar-tite:

1. Regolarità nella distribuzione del calore, dalla qua-le risulti un limitato grado di temperatura.

2. Una quantità sufficiente di luce e di calore solare.3. Acqua in grande abbondanza e distribuita dapper-

tutto.4. Un'atmosfera di sufficiente densità, costituita di

gas i quali rappresentino la parte principale nella vitadegli animali e delle piante. Tali sono: l'ossigeno, l'acidocarbonico, il vapore acqueo, l'azoto e l'ammoniaca, iquali devono esistere in una data proporzione.

5. Alternanza del giorno e della notte.

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LIEVE TEMPERATURA RICHIESTAPER L'ACCRESCIMENTO E LO SVILUPPO.

La maggior parte dei fenomeni vitali avvengono fra latemperatura dell'acqua che gela e 104° Fahr. e ciò, aquanto si crede, si deve specialmente alle proprietàdell'azoto e dei gas che si trovano mescolati a questo, iquali solamente fra queste temperature possono mante-nere i caratteri indispensabili per la vita, cioè: estremasensibilità e instabilità, facilità di cambiare, per quel cheriguarda le combinazioni chimiche e l'energia, ed altreproprietà che sole rendono possibili la nutrizione,l'accrescimento e la riproduzione continua. La più pic-cola oscillazione di temperatura oltre questi limiti, secontinuata per un tempo considerevole, distruggerebbecertamente molte forme esistenti, e non sarebbe difficileche distruggesse anche ogni ulteriore sviluppo dellavita, eccettuate alcune forme più imperfette.

Per dare un esempio degli effetti diretti dell'aumentodella temperatura, rammenteremo la coagulazionedell'albumina. Questa sostanza è una delle proteiche, erappresenta una parte importante nei fenomeni vitali,tanto degli animali che delle piante; ma la sua fluidità,la proprietà di combinarsi facilmente e quella di cambiardi forma, sono da essa perdute a qualsiasi grado di coa-gulazione, che sopravviene a circa 160° F.

La grande importanza per ogni organismo di avereuna temperatura moderata è dimostrata con abbastanzaefficacia dal complicato e ben disposto meccanismo per

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LIEVE TEMPERATURA RICHIESTAPER L'ACCRESCIMENTO E LO SVILUPPO.

La maggior parte dei fenomeni vitali avvengono fra latemperatura dell'acqua che gela e 104° Fahr. e ciò, aquanto si crede, si deve specialmente alle proprietàdell'azoto e dei gas che si trovano mescolati a questo, iquali solamente fra queste temperature possono mante-nere i caratteri indispensabili per la vita, cioè: estremasensibilità e instabilità, facilità di cambiare, per quel cheriguarda le combinazioni chimiche e l'energia, ed altreproprietà che sole rendono possibili la nutrizione,l'accrescimento e la riproduzione continua. La più pic-cola oscillazione di temperatura oltre questi limiti, secontinuata per un tempo considerevole, distruggerebbecertamente molte forme esistenti, e non sarebbe difficileche distruggesse anche ogni ulteriore sviluppo dellavita, eccettuate alcune forme più imperfette.

Per dare un esempio degli effetti diretti dell'aumentodella temperatura, rammenteremo la coagulazionedell'albumina. Questa sostanza è una delle proteiche, erappresenta una parte importante nei fenomeni vitali,tanto degli animali che delle piante; ma la sua fluidità,la proprietà di combinarsi facilmente e quella di cambiardi forma, sono da essa perdute a qualsiasi grado di coa-gulazione, che sopravviene a circa 160° F.

La grande importanza per ogni organismo di avereuna temperatura moderata è dimostrata con abbastanzaefficacia dal complicato e ben disposto meccanismo per

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mantenere un grado di calore uniforme nell'interno delcorpo. Il calore normale del sangue, in un uomo, è di98° F. ed è costantemente mantenuto, cambiando solo diun grado o due, anche se la esterna temperatura è più di50° sotto zero. Le alte temperature sulla superficie terre-stre non sorpassano di molto la media, come non la sor-passano quelle basse. Per lo più nei tropici la temperatu-ra aerea spesso raggiunge 96° F.; nelle regioni aride enei deserti, dove più s'inoltrano i limiti dei tropici, non èraro il caso che sorpassi 110° F. e che qualche volta rag-giunga anche 115° e 120° F. come in Australia enell'India Centrale. Nondimeno, con un nutrimento adat-to e un facile regime la temperatura del sangue di unuomo sano non si eleverà nè si abbasserà più di un gra-do o tutt'al più di due. La grande importanza di questauniformità di temperatura in tutti gli organi vitali è di-mostrata dal fatto che, quando durante una febbre latemperatura dell'ammalato cresce anche di sei gradi suquella normale, il suo stato è critico, e se poi cresce disette od otto gradi, è indizio quasi sicuro di una catastro-fe. Anche nel regno vegetale le sementi non germoglia-no con una temperatura di quattro o cinque gradi soprazero.

Questa delicata sensibilità alle variazioni della tempe-ratura interne si comprende molto bene, se consideriamola complicazione e la instabilità del protoplasma e ditutte le sostanze proteiche dell'organismo vivente, el'importanza dei processi di nutrizione e di accrescimen-to, che comprendono un moto costante del fluido e in-

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mantenere un grado di calore uniforme nell'interno delcorpo. Il calore normale del sangue, in un uomo, è di98° F. ed è costantemente mantenuto, cambiando solo diun grado o due, anche se la esterna temperatura è più di50° sotto zero. Le alte temperature sulla superficie terre-stre non sorpassano di molto la media, come non la sor-passano quelle basse. Per lo più nei tropici la temperatu-ra aerea spesso raggiunge 96° F.; nelle regioni aride enei deserti, dove più s'inoltrano i limiti dei tropici, non èraro il caso che sorpassi 110° F. e che qualche volta rag-giunga anche 115° e 120° F. come in Australia enell'India Centrale. Nondimeno, con un nutrimento adat-to e un facile regime la temperatura del sangue di unuomo sano non si eleverà nè si abbasserà più di un gra-do o tutt'al più di due. La grande importanza di questauniformità di temperatura in tutti gli organi vitali è di-mostrata dal fatto che, quando durante una febbre latemperatura dell'ammalato cresce anche di sei gradi suquella normale, il suo stato è critico, e se poi cresce disette od otto gradi, è indizio quasi sicuro di una catastro-fe. Anche nel regno vegetale le sementi non germoglia-no con una temperatura di quattro o cinque gradi soprazero.

Questa delicata sensibilità alle variazioni della tempe-ratura interne si comprende molto bene, se consideriamola complicazione e la instabilità del protoplasma e ditutte le sostanze proteiche dell'organismo vivente, el'importanza dei processi di nutrizione e di accrescimen-to, che comprendono un moto costante del fluido e in-

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cessanti decomposizioni e combinazioni molecolari chedebbono effettuarsi con la più grande regolarità. E ben-chè alcuni degli animali più elevati, compreso l'uomo,siano così perfettamente organizzati da potersi adattare eproteggere da sè stessi, così da rendersi atti a vivere nel-le condizioni di temperatura le più diverse, nondimenociò non succede nella maggioranza dei casi, specialmen-te nei tipi inferiori. Nelle regioni artiche, per esempio,non si trovano rettili. Bisogna però non dimenticare chenè il freddo estremo nè l'estremo caldo regnano perpe-tuamente in ogni parte del globo; esiste anzi una grandediversità di stagioni, e non vi è animale che passi l'interasua vita dove la temperatura non superi mai il grado del-la congelazione.

LA NECESSITÀ DELLA LUCE SOLARE.

Noi non sappiamo se gli animali più perfetti, compre-so l'uomo, si sarebbero sviluppati sulla terra, senza laluce del sole, dato anche che nessun'altra delle condizio-ni volute fosse mancata. Benchè tale questione non ab-bia attinenza con l'argomento che ho impreso a trattare,bisogna nondimeno constatare che essa è una delle piùimportanti. Senza le piante gli animali non potrebberovivere, perchè essi non hanno il potere di formare il pro-toplasma con materie inorganiche. Solo le piante hannola facoltà di assimilare il carbonio dalla piccola quantità

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cessanti decomposizioni e combinazioni molecolari chedebbono effettuarsi con la più grande regolarità. E ben-chè alcuni degli animali più elevati, compreso l'uomo,siano così perfettamente organizzati da potersi adattare eproteggere da sè stessi, così da rendersi atti a vivere nel-le condizioni di temperatura le più diverse, nondimenociò non succede nella maggioranza dei casi, specialmen-te nei tipi inferiori. Nelle regioni artiche, per esempio,non si trovano rettili. Bisogna però non dimenticare chenè il freddo estremo nè l'estremo caldo regnano perpe-tuamente in ogni parte del globo; esiste anzi una grandediversità di stagioni, e non vi è animale che passi l'interasua vita dove la temperatura non superi mai il grado del-la congelazione.

LA NECESSITÀ DELLA LUCE SOLARE.

Noi non sappiamo se gli animali più perfetti, compre-so l'uomo, si sarebbero sviluppati sulla terra, senza laluce del sole, dato anche che nessun'altra delle condizio-ni volute fosse mancata. Benchè tale questione non ab-bia attinenza con l'argomento che ho impreso a trattare,bisogna nondimeno constatare che essa è una delle piùimportanti. Senza le piante gli animali non potrebberovivere, perchè essi non hanno il potere di formare il pro-toplasma con materie inorganiche. Solo le piante hannola facoltà di assimilare il carbonio dalla piccola quantità

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di acido carbonico che si trova nell'atmosfera, e quelladi formare con questo e con gli altri elementi necessarigià indicati i meravigliosi composti di carbonio che rap-presentano la base della vita animale. Ma tale risultato siottiene soltanto per mezzo della luce solare, non solo,ma anche per mezzo di una data parte di questa luce;quindi, non solamente il sole è necessario come agentedi luce e calore, ma è altresì certo che non tutti i soliavrebbero potuto essere atti allo scopo. Era necessarioche il sole possedesse i raggi speciali adatti a questecombinazioni, e siccome sappiamo che le stelle differi-scono grandemente pei loro spettri, e per conseguenzaper la natura della loro luce, possiamo supporre che nontutte sarebbero capaci di operare questa grande trasfor-mazione, principale condizione per rendere la vita ani-male possibile sulla nostra terra, e probabilmente sopraaltre.

L'ACQUA PRINCIPIO ESSENZIALEDELLA VITA ORGANICA.

Accenneremo anche all'assoluta necessità dell'acqua,la quale rappresenta una grande percentuale nel materia-le di ogni organismo vivente, ed almeno i tre quarti delnostro corpo. Quindi è necessario che l'acqua sia semprepresente, sia pure sotto forma diversa, sopra qualunqueglobo dove è possibile la vita. Nè gli animali nè le pian-

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di acido carbonico che si trova nell'atmosfera, e quelladi formare con questo e con gli altri elementi necessarigià indicati i meravigliosi composti di carbonio che rap-presentano la base della vita animale. Ma tale risultato siottiene soltanto per mezzo della luce solare, non solo,ma anche per mezzo di una data parte di questa luce;quindi, non solamente il sole è necessario come agentedi luce e calore, ma è altresì certo che non tutti i soliavrebbero potuto essere atti allo scopo. Era necessarioche il sole possedesse i raggi speciali adatti a questecombinazioni, e siccome sappiamo che le stelle differi-scono grandemente pei loro spettri, e per conseguenzaper la natura della loro luce, possiamo supporre che nontutte sarebbero capaci di operare questa grande trasfor-mazione, principale condizione per rendere la vita ani-male possibile sulla nostra terra, e probabilmente sopraaltre.

L'ACQUA PRINCIPIO ESSENZIALEDELLA VITA ORGANICA.

Accenneremo anche all'assoluta necessità dell'acqua,la quale rappresenta una grande percentuale nel materia-le di ogni organismo vivente, ed almeno i tre quarti delnostro corpo. Quindi è necessario che l'acqua sia semprepresente, sia pure sotto forma diversa, sopra qualunqueglobo dove è possibile la vita. Nè gli animali nè le pian-

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te potrebbero vivere senza di essa. E deve esistere inquantità e distribuzione tali, da poter esser costantemen-te utile in ogni parte del globo dove la vita è possibile,ed è egualmente necessario che sia esistita in egual pro-fusione in tutte le grandi epoche geologiche, durante lequali la vita vi è sviluppata. Se diamo uno sguardo a tut-te le condizioni speciali che hanno assicurato questacontinua distribuzione dell'acqua sulla nostra terra, cipersuaderemo anche che questa grande quantità d'acqua,la sua larga distribuzione e la sua disposizione alla su-perficie terrestre, rappresentano quelle condizioni essen-ziali che giovano a tenere la temperatura a quel datogrado che, come abbiamo visto, è la prima condizioneper lo sviluppo ed il mantenimento della vita.

L'ATMOSFERA DEVE ESSERE SUFFICIENTEMENTEDENSA E COMPOSTA DI GAS PROPORZIONATI.

L'atmosfera di un pianeta sul quale lo sviluppo dellavita è possibile deve avere diverse qualità, le quali perònon dipendono l'una dall'altra; la coincidenza di taliqualità può rappresentare quindi un raro fenomenonell'Universo. Il primo di questi caratteri è un sufficien-te grado di densità necessario per due scopi, cioè: per-chè possa mantenere una provvisione bastevole di calo-re, e perchè possa somministrare ossigeno, acido carbo-

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te potrebbero vivere senza di essa. E deve esistere inquantità e distribuzione tali, da poter esser costantemen-te utile in ogni parte del globo dove la vita è possibile,ed è egualmente necessario che sia esistita in egual pro-fusione in tutte le grandi epoche geologiche, durante lequali la vita vi è sviluppata. Se diamo uno sguardo a tut-te le condizioni speciali che hanno assicurato questacontinua distribuzione dell'acqua sulla nostra terra, cipersuaderemo anche che questa grande quantità d'acqua,la sua larga distribuzione e la sua disposizione alla su-perficie terrestre, rappresentano quelle condizioni essen-ziali che giovano a tenere la temperatura a quel datogrado che, come abbiamo visto, è la prima condizioneper lo sviluppo ed il mantenimento della vita.

L'ATMOSFERA DEVE ESSERE SUFFICIENTEMENTEDENSA E COMPOSTA DI GAS PROPORZIONATI.

L'atmosfera di un pianeta sul quale lo sviluppo dellavita è possibile deve avere diverse qualità, le quali perònon dipendono l'una dall'altra; la coincidenza di taliqualità può rappresentare quindi un raro fenomenonell'Universo. Il primo di questi caratteri è un sufficien-te grado di densità necessario per due scopi, cioè: per-chè possa mantenere una provvisione bastevole di calo-re, e perchè possa somministrare ossigeno, acido carbo-

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nico e vapore acqueo in quella quantità richiesta dallavita animale e vegetale.

Considerata come serbatoio di calore e regolatrice ditemperatura, un'atmosfera piuttosto densa è di prima ne-cessità, perchè cooperi con la grande quantità e l'ampiadistribuzione dell'acqua di cui ci siamo già occupati. Ladifferenza che passa fra i caratteri del nostro sud-ovest edel nostro nord-est, è eliminata dal vento, potente distri-butore di calore e di umidità. Si deve alle particolariproprietà dell'atmosfera se i raggi del sole passano libe-ramente attraverso di essa e giungono fino alla terra e lariscaldano; nello stesso tempo tali proprietà rappresenta-no un mezzo per prevenire una rapida dispersione delcalore non luminoso così utilizzato. Ma il calore accu-mulato durante il giorno viene distribuito durante la not-te, e in tal guisa è assicurata un'uniformità di temperatu-ra, che altrimenti non potrebbe verificarsi. Questi effettisi constatano facilmente nelle maggiori altitudini, dovela temperatura diventa sempre più bassa, fino a una nonmolto grande elevazione, ed anche nei tropici, ove sitrova la neve durante tutte le stagioni dell'anno, per ilfatto che l'aria rarefatta non è capace di mantenere il ca-lore, ma anzi permette che quello acquistato si disperdapiù liberamente che nell'aria densa, ed ecco perchè lenotti sono più fredde. All'altezza di 18.000 piedi la den-sità dell'atmosfera è precisamente la metà di quella cheresta al livello del mare; tale altitudine è considerevol-mente maggiore di quella della linea delle nevi anchesotto l'equatore, ne vien di conseguenza che se la nostra

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nico e vapore acqueo in quella quantità richiesta dallavita animale e vegetale.

Considerata come serbatoio di calore e regolatrice ditemperatura, un'atmosfera piuttosto densa è di prima ne-cessità, perchè cooperi con la grande quantità e l'ampiadistribuzione dell'acqua di cui ci siamo già occupati. Ladifferenza che passa fra i caratteri del nostro sud-ovest edel nostro nord-est, è eliminata dal vento, potente distri-butore di calore e di umidità. Si deve alle particolariproprietà dell'atmosfera se i raggi del sole passano libe-ramente attraverso di essa e giungono fino alla terra e lariscaldano; nello stesso tempo tali proprietà rappresenta-no un mezzo per prevenire una rapida dispersione delcalore non luminoso così utilizzato. Ma il calore accu-mulato durante il giorno viene distribuito durante la not-te, e in tal guisa è assicurata un'uniformità di temperatu-ra, che altrimenti non potrebbe verificarsi. Questi effettisi constatano facilmente nelle maggiori altitudini, dovela temperatura diventa sempre più bassa, fino a una nonmolto grande elevazione, ed anche nei tropici, ove sitrova la neve durante tutte le stagioni dell'anno, per ilfatto che l'aria rarefatta non è capace di mantenere il ca-lore, ma anzi permette che quello acquistato si disperdapiù liberamente che nell'aria densa, ed ecco perchè lenotti sono più fredde. All'altezza di 18.000 piedi la den-sità dell'atmosfera è precisamente la metà di quella cheresta al livello del mare; tale altitudine è considerevol-mente maggiore di quella della linea delle nevi anchesotto l'equatore, ne vien di conseguenza che se la nostra

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atmosfera avesse solo la metà della densità attuale, laterra non sarebbe adatta alle più alte forme della vitaanimale. Non è cosa facile il poter dire con esattezzaquale sarebbe il resultato circa il clima, ma sembra pro-babile che, eccettuate forse alcune aree limitate nei tro-pici, dove le condizioni potrebbero essere molto favore-voli, tutta la superficie terrestre sarebbe coperta di nevee di ghiaccio. Ciò sarebbe inevitabile, perchè l'evapora-zione dell'oceano, sotto un'azione più diretta del calore,avverrebbe molto più rapidamente che al presente, epoichè il vapore che si eleva in un'atmosfera più rarefat-ta diventa freddo più presto, la neve cadrebbe, quasiperpetuamente, però nelle regioni equatoriali non rimar-rebbe perpetuamente, sulla superficie della terra. Parecosa certa quindi che con una densità atmosferica chefosse la metà di quella attualmente esistente, la vita sa-rebbe quasi impossibile sulla terra, anche a voler tenereconto soltanto della troppo bassa temperatura. Ed a que-sta, si aggiungerebbe certamente un'altra difficoltà: laindispensabile somministrazione di ossigeno per gli ani-mali e di acido carbonico per le piante. È probabilequindi che una riduzione di densità, anche di un quartosoltanto di quella attuale, basterebbe per rendere la mag-gior parte del nostro globo una vasta agglomerazione dineve e di ghiaccio, lasciando la rimanente superficieesposta a tali estremi di clima, che solamente forme im-perfette di vita potrebbero originarvisi e conservarvisi.

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atmosfera avesse solo la metà della densità attuale, laterra non sarebbe adatta alle più alte forme della vitaanimale. Non è cosa facile il poter dire con esattezzaquale sarebbe il resultato circa il clima, ma sembra pro-babile che, eccettuate forse alcune aree limitate nei tro-pici, dove le condizioni potrebbero essere molto favore-voli, tutta la superficie terrestre sarebbe coperta di nevee di ghiaccio. Ciò sarebbe inevitabile, perchè l'evapora-zione dell'oceano, sotto un'azione più diretta del calore,avverrebbe molto più rapidamente che al presente, epoichè il vapore che si eleva in un'atmosfera più rarefat-ta diventa freddo più presto, la neve cadrebbe, quasiperpetuamente, però nelle regioni equatoriali non rimar-rebbe perpetuamente, sulla superficie della terra. Parecosa certa quindi che con una densità atmosferica chefosse la metà di quella attualmente esistente, la vita sa-rebbe quasi impossibile sulla terra, anche a voler tenereconto soltanto della troppo bassa temperatura. Ed a que-sta, si aggiungerebbe certamente un'altra difficoltà: laindispensabile somministrazione di ossigeno per gli ani-mali e di acido carbonico per le piante. È probabilequindi che una riduzione di densità, anche di un quartosoltanto di quella attuale, basterebbe per rendere la mag-gior parte del nostro globo una vasta agglomerazione dineve e di ghiaccio, lasciando la rimanente superficieesposta a tali estremi di clima, che solamente forme im-perfette di vita potrebbero originarvisi e conservarvisi.

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I GAS DELL'ATMOSFERA.

Venendo ora a considerare i gas che costituisconol'atmosfera, vi è ragion di credere che essi forminoun'amalgama così perfetto nei suoi rapporti con la vitaanimale e vegetale, quanto la densità e la temperatura.Fin dalla prima considerazione fatta su questo soggetto,potremmo concludere che l'ossigeno è l'elemento più es-senziale alla vita animale, mentre il resto è di minor im-portanza; ma ulteriori considerazioni ci dimostrano chel'azoto, benchè rappresenti un semplice diluentedell'ossigeno per quel che riguarda la respirazione deglianimali, è di prima necessità per le piante, che lo ricava-no dall'ammoniaca che si forma nell'atmosfera e che lapioggia porta al suolo; e benchè l'atmosfera contengasoltanto un milionesimo d'ammoniaca, pure da una cosìpiccola proporzione dipende l'esistenza della vita anima-le nel nostro mondo, poichè nè gli animali nè le piantepotrebbero ricavare direttamente dall'atmosfera l'azotoper i loro tessuti.

Un altro gas fondamentale ed importante dell'atmo-sfera terrestre è l'acido carbonico, il quale rappresentacirca quattro parti in dieci mila parti d'aria, e, come ab-biamo già detto, è la sorgente a cui le piante attingonomateriale sufficiente per i loro tessuti, così come il pro-toplasma e le sostanze proteiche sono assolutamente ne-cessari al nutrimento degli animali. Un fatto importantee da rilevarsi è che l'acido carbonico, così necessarioalle piante, ed agli animali per mezzo delle piante, è

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I GAS DELL'ATMOSFERA.

Venendo ora a considerare i gas che costituisconol'atmosfera, vi è ragion di credere che essi forminoun'amalgama così perfetto nei suoi rapporti con la vitaanimale e vegetale, quanto la densità e la temperatura.Fin dalla prima considerazione fatta su questo soggetto,potremmo concludere che l'ossigeno è l'elemento più es-senziale alla vita animale, mentre il resto è di minor im-portanza; ma ulteriori considerazioni ci dimostrano chel'azoto, benchè rappresenti un semplice diluentedell'ossigeno per quel che riguarda la respirazione deglianimali, è di prima necessità per le piante, che lo ricava-no dall'ammoniaca che si forma nell'atmosfera e che lapioggia porta al suolo; e benchè l'atmosfera contengasoltanto un milionesimo d'ammoniaca, pure da una cosìpiccola proporzione dipende l'esistenza della vita anima-le nel nostro mondo, poichè nè gli animali nè le piantepotrebbero ricavare direttamente dall'atmosfera l'azotoper i loro tessuti.

Un altro gas fondamentale ed importante dell'atmo-sfera terrestre è l'acido carbonico, il quale rappresentacirca quattro parti in dieci mila parti d'aria, e, come ab-biamo già detto, è la sorgente a cui le piante attingonomateriale sufficiente per i loro tessuti, così come il pro-toplasma e le sostanze proteiche sono assolutamente ne-cessari al nutrimento degli animali. Un fatto importantee da rilevarsi è che l'acido carbonico, così necessarioalle piante, ed agli animali per mezzo delle piante, è

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pure per essi un potente veleno, perchè quando si trovanell'aria in quantità maggiore della normale, come suc-cede nelle città e nei mal ventilati edifizi, diventa peri-colosissimo alla salute, la qual cosa, a quanto si crede, ècagionata, almeno in parte, dalle varie emanazioni cor-poree ed altre impurità associate ad esso. La percentualed'acido carbonico può anche ascendere all'uno per cen-to, e l'aria, a quanto si afferma, può venire respirata perun certo tempo, senza che ciò produca effetti nocivi, maaumentando la detta quantità, si può subito produrre unasoffocazione. È probabile perciò che nell'aria l'acidocarbonico esista in minore proporzione dell'uno per cen-to, altrimenti sarebbe dannoso alla vita; ma d'altro cantoè fuor di dubbio che, se questa ne fosse stata sempre laproporzione, la vita avrebbe potuto svilupparsi adattan-dosi ad essa. Considerando dunque che questo gas vele-noso viene emanato in grande copia dagli animali piùperfetti come un prodotto della respirazione, sarebbestato evidentemente pericoloso per la conservazione del-la vita se la quantità che forma un costante costituentedell'atmosfera fosse stata maggiore di quella che è.

IL VAPOR D'ACQUA DELL'ATMOSFERA.

Il vapor d'acqua, che si trova nell'atmosfera in grandie variabili quantità, è essenziale alla vita organica perdue ragioni: esso previene da un lato la troppo rapida

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pure per essi un potente veleno, perchè quando si trovanell'aria in quantità maggiore della normale, come suc-cede nelle città e nei mal ventilati edifizi, diventa peri-colosissimo alla salute, la qual cosa, a quanto si crede, ècagionata, almeno in parte, dalle varie emanazioni cor-poree ed altre impurità associate ad esso. La percentualed'acido carbonico può anche ascendere all'uno per cen-to, e l'aria, a quanto si afferma, può venire respirata perun certo tempo, senza che ciò produca effetti nocivi, maaumentando la detta quantità, si può subito produrre unasoffocazione. È probabile perciò che nell'aria l'acidocarbonico esista in minore proporzione dell'uno per cen-to, altrimenti sarebbe dannoso alla vita; ma d'altro cantoè fuor di dubbio che, se questa ne fosse stata sempre laproporzione, la vita avrebbe potuto svilupparsi adattan-dosi ad essa. Considerando dunque che questo gas vele-noso viene emanato in grande copia dagli animali piùperfetti come un prodotto della respirazione, sarebbestato evidentemente pericoloso per la conservazione del-la vita se la quantità che forma un costante costituentedell'atmosfera fosse stata maggiore di quella che è.

IL VAPOR D'ACQUA DELL'ATMOSFERA.

Il vapor d'acqua, che si trova nell'atmosfera in grandie variabili quantità, è essenziale alla vita organica perdue ragioni: esso previene da un lato la troppo rapida

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perdita d'umidità delle foglie e delle piante, quando sitrovano esposte al sole, e viene d'altro canto assorbitodalla superficie delle foglie e dai giovani germogli, chein tal modo ottengono acqua e anche una piccola quanti-tà di ammoniaca, quando quella assorbita dalle radici èinsufficiente. Ma la maggiore importanza vitale del va-pore acqueo è quella di somministrare l'idrogeno, il qua-le, unendosi con l'azoto dell'atmosfera sotto l'azione del-le scariche elettriche, produce l'ammoniaca, componenteprincipale di tutte le sostanze proteiche delle piante, so-stanze che sono il fondamento della vita animale.

Da questo breve cenno della destinazione dei diversigas che compongono la nostra atmosfera, si può com-prendere che la loro proporzione è antagonistica, e cheuna più considerevole quantità di uno di essi rappresen-terebbe un fatto che nuocerebbe o immediatamente o nelrisultato finale. E siccome gli elementi che costituisconola massa della materia vivente posseggono proprietà talida renderla adatta allo scopo, possiamo concludere chele proporzioni con cui i gas esistono nella nostra atmo-sfera non possono andar disgiunte, in qualsiasi luogo,dalle forme organiche che si sono sviluppate.

L'ALTERNANZA DEL GIORNO E DELLA NOTTE.

Benchè sia difficile lo stabilire in modo sicuro sel'alternanza della luce e delle tenebre a così brevi inter-

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perdita d'umidità delle foglie e delle piante, quando sitrovano esposte al sole, e viene d'altro canto assorbitodalla superficie delle foglie e dai giovani germogli, chein tal modo ottengono acqua e anche una piccola quanti-tà di ammoniaca, quando quella assorbita dalle radici èinsufficiente. Ma la maggiore importanza vitale del va-pore acqueo è quella di somministrare l'idrogeno, il qua-le, unendosi con l'azoto dell'atmosfera sotto l'azione del-le scariche elettriche, produce l'ammoniaca, componenteprincipale di tutte le sostanze proteiche delle piante, so-stanze che sono il fondamento della vita animale.

Da questo breve cenno della destinazione dei diversigas che compongono la nostra atmosfera, si può com-prendere che la loro proporzione è antagonistica, e cheuna più considerevole quantità di uno di essi rappresen-terebbe un fatto che nuocerebbe o immediatamente o nelrisultato finale. E siccome gli elementi che costituisconola massa della materia vivente posseggono proprietà talida renderla adatta allo scopo, possiamo concludere chele proporzioni con cui i gas esistono nella nostra atmo-sfera non possono andar disgiunte, in qualsiasi luogo,dalle forme organiche che si sono sviluppate.

L'ALTERNANZA DEL GIORNO E DELLA NOTTE.

Benchè sia difficile lo stabilire in modo sicuro sel'alternanza della luce e delle tenebre a così brevi inter-

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valli sia assolutamente necessaria per lo sviluppo dellediverse e delle più perfette forme della vita, o se unmondo nel quale la luce fosse costante sarebbe egual-mente adatto a tale scopo, è logico il credere che, proba-bilmente, i giorni e le notti sono dei fattori veramenteimportanti. Tutta la natura è un complesso di movimentiritmici di specie, varietà, gradi e durate infinitamente di-versi. Tutti i movimenti e le funzioni di ogni cosa viven-te sono periodici: produzione e riproduzione, assimila-zione e consumo si alternano continuamente. Tutto ilnostro organismo è soggetto alla fatica ed ha bisogno diriposo. Ogni stimolo deve agire per breve tempo, altri-menti porterebbe a risultati dannosi, ecco il vantaggiodelle tenebre: gli eccitamenti della luce e del caloresono sopiti, almeno in parte, ed è benvenuto «il dolce ri-storo, il sonno benefico sulla stanca natura», che dà ri-poso a tutti i sensi ed alle facoltà del corpo e della men-te, e ci prepara nuovo vigore per un altro periodo d'atti-vità e di godimento della vita.

Le piante, come gli animali, sono rinvigorite da que-sto riposo notturno, e tutti gli esseri, probabilmente, go-dono il benefizio del riposo di un più o meno faticoso elungo lavoro, sia durante l'estate che nell'inverno, nellastagione asciutta e in quella umida, ed è un fatto moltosignificante che ai tropici, dove l'influenza del calore edella luce è maggiore, i giorni e le notti siano di egualedurata, dando così un egual periodo di attività e di ripo-so, mentre nelle fredde regioni artiche alla corta estate,durante la quale la luce è quasi perpetua e tutte le fun-

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valli sia assolutamente necessaria per lo sviluppo dellediverse e delle più perfette forme della vita, o se unmondo nel quale la luce fosse costante sarebbe egual-mente adatto a tale scopo, è logico il credere che, proba-bilmente, i giorni e le notti sono dei fattori veramenteimportanti. Tutta la natura è un complesso di movimentiritmici di specie, varietà, gradi e durate infinitamente di-versi. Tutti i movimenti e le funzioni di ogni cosa viven-te sono periodici: produzione e riproduzione, assimila-zione e consumo si alternano continuamente. Tutto ilnostro organismo è soggetto alla fatica ed ha bisogno diriposo. Ogni stimolo deve agire per breve tempo, altri-menti porterebbe a risultati dannosi, ecco il vantaggiodelle tenebre: gli eccitamenti della luce e del caloresono sopiti, almeno in parte, ed è benvenuto «il dolce ri-storo, il sonno benefico sulla stanca natura», che dà ri-poso a tutti i sensi ed alle facoltà del corpo e della men-te, e ci prepara nuovo vigore per un altro periodo d'atti-vità e di godimento della vita.

Le piante, come gli animali, sono rinvigorite da que-sto riposo notturno, e tutti gli esseri, probabilmente, go-dono il benefizio del riposo di un più o meno faticoso elungo lavoro, sia durante l'estate che nell'inverno, nellastagione asciutta e in quella umida, ed è un fatto moltosignificante che ai tropici, dove l'influenza del calore edella luce è maggiore, i giorni e le notti siano di egualedurata, dando così un egual periodo di attività e di ripo-so, mentre nelle fredde regioni artiche alla corta estate,durante la quale la luce è quasi perpetua e tutte le fun-

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zioni della vita, specialmente di quella vegetale, si com-piono con grande rapidità, succede un lungo riposo in-vernale, in cui i giorni sono più corti, e per conseguenzail periodo delle tenebre più lungo.

Certamente questa è una induzione piuttosto che unaprova, ed è possibile che in un mondo dove il giorno siaperpetuo, o in uno dove la notte sia senza interruzione,la vita possa esistere; ma se diamo uno sguardo allagrande varietà delle condizioni fisiche che sembrano ne-cessarie per lo sviluppo e la conservazione della vitanelle sue infinite varietà, comprenderemo come ogni in-fluenza anche leggermente dannosa possa turbare l'ordi-ne e l'armonia della continua evoluzione, che abbiamoveduto essere necessaria.

Ho considerato l'alternanza del giorno e della nottesolamente per quel che riguarda la presenza o l'assenzadella luce, ma credo che essa sia molto più importanteper quel che riguarda il calore; per noi anzi, sotto questoaspetto, la quistione diviene di grande e forse di vitaleimportanza. Con la divisione in dodici ore di giorno e indodici di notte, in media, non vi è tempo, anche sotto lalatitudine dei tropici, perchè la terra diventi eccessiva-mente calda, tanto da nuocere alla vita; mentre inveceuna considerevole parte del calore assorbito dal suolo,dall'acqua e dall'atmosfera è serbata per la notte, a finedi impedire troppo subitanei e dannosi contrasti tra ilcaldo e il freddo. Se i giorni e le notti fossero stati di piùlunga durata, per esempio di cinquanta o di cento ore, èindubitabile che durante un giorno così lungo il calore

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zioni della vita, specialmente di quella vegetale, si com-piono con grande rapidità, succede un lungo riposo in-vernale, in cui i giorni sono più corti, e per conseguenzail periodo delle tenebre più lungo.

Certamente questa è una induzione piuttosto che unaprova, ed è possibile che in un mondo dove il giorno siaperpetuo, o in uno dove la notte sia senza interruzione,la vita possa esistere; ma se diamo uno sguardo allagrande varietà delle condizioni fisiche che sembrano ne-cessarie per lo sviluppo e la conservazione della vitanelle sue infinite varietà, comprenderemo come ogni in-fluenza anche leggermente dannosa possa turbare l'ordi-ne e l'armonia della continua evoluzione, che abbiamoveduto essere necessaria.

Ho considerato l'alternanza del giorno e della nottesolamente per quel che riguarda la presenza o l'assenzadella luce, ma credo che essa sia molto più importanteper quel che riguarda il calore; per noi anzi, sotto questoaspetto, la quistione diviene di grande e forse di vitaleimportanza. Con la divisione in dodici ore di giorno e indodici di notte, in media, non vi è tempo, anche sotto lalatitudine dei tropici, perchè la terra diventi eccessiva-mente calda, tanto da nuocere alla vita; mentre inveceuna considerevole parte del calore assorbito dal suolo,dall'acqua e dall'atmosfera è serbata per la notte, a finedi impedire troppo subitanei e dannosi contrasti tra ilcaldo e il freddo. Se i giorni e le notti fossero stati di piùlunga durata, per esempio di cinquanta o di cento ore, èindubitabile che durante un giorno così lungo il calore

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diventerebbe tanto eccessivo da essere pernicioso, e for-se tale da non permettere l'esistenza della maggior partedelle forme della vita. D'altro canto, la mancanza, per unegual spazio di tempo, del calore solare provocherebbeuna temperatura molto inferiore a quella dell'acqua chegela. È per lo meno molto incerto se la vita animale, diqualsiasi forma, avrebbe potuto svilupparsi in un talcontrasto continuo di temperatura.

Ci accingiamo adesso ad esporre le caratteristiche es-senziali del nostro globo, combinatesi insieme per faresviluppare e per mantenere le varie e complicate condi-zioni che abbiamo veduto esser necessarie alla vita cheesiste intorno a noi.

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diventerebbe tanto eccessivo da essere pernicioso, e for-se tale da non permettere l'esistenza della maggior partedelle forme della vita. D'altro canto, la mancanza, per unegual spazio di tempo, del calore solare provocherebbeuna temperatura molto inferiore a quella dell'acqua chegela. È per lo meno molto incerto se la vita animale, diqualsiasi forma, avrebbe potuto svilupparsi in un talcontrasto continuo di temperatura.

Ci accingiamo adesso ad esporre le caratteristiche es-senziali del nostro globo, combinatesi insieme per faresviluppare e per mantenere le varie e complicate condi-zioni che abbiamo veduto esser necessarie alla vita cheesiste intorno a noi.

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CAPITOLO XII.LA TERRA IN RAPPORTO CON

LO SVILUPPO E CON LACONSERVAZIONE DELLA VITA

La prima circostanza della quale bisogna occuparsi,studiando se un pianeta sia o no abitabile, è la sua di-stanza dal sole. Sappiamo che il potere che ha il sole diriscaldare la terra basta largamente ad ogni forma divita, tanto infinitamente varia nelle sue manifestazioni.Molte prove si presentano a noi per dimostrare che, sel'aria e l'acqua non avessero la potenza eguagliatrice chehanno, se non fossero distribuite come lo sono sul no-stro globo, il calore emanato dal sole sarebbe qualchevolta eccessivo e qualche volta deficiente. In alcune par-ti dell'Africa, dell'Australia e dell'India il suolo sabbiosodiviene tanto infocato che un uovo cuocerebbe al solocontatto della terra. D'altra parte, ad una altitudine dicirca dodicimila piedi e alla latitudine di 40° gela ogninotte, ed anche durante il giorno nei luoghi riparati dal

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CAPITOLO XII.LA TERRA IN RAPPORTO CON

LO SVILUPPO E CON LACONSERVAZIONE DELLA VITA

La prima circostanza della quale bisogna occuparsi,studiando se un pianeta sia o no abitabile, è la sua di-stanza dal sole. Sappiamo che il potere che ha il sole diriscaldare la terra basta largamente ad ogni forma divita, tanto infinitamente varia nelle sue manifestazioni.Molte prove si presentano a noi per dimostrare che, sel'aria e l'acqua non avessero la potenza eguagliatrice chehanno, se non fossero distribuite come lo sono sul no-stro globo, il calore emanato dal sole sarebbe qualchevolta eccessivo e qualche volta deficiente. In alcune par-ti dell'Africa, dell'Australia e dell'India il suolo sabbiosodiviene tanto infocato che un uovo cuocerebbe al solocontatto della terra. D'altra parte, ad una altitudine dicirca dodicimila piedi e alla latitudine di 40° gela ogninotte, ed anche durante il giorno nei luoghi riparati dal

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sole. Ora, questi due estremi di temperatura sono contra-ri alla vita, e se uno di essi persistesse in una considere-vole parte della superficie terrestre, lo sviluppo organicodiventerebbe impossibile. Ma il calore emanato dal soleè inverso al quadrato della sua distanza, così che a mez-za distanza avremmo un calore quattro volte più grande,e a una distanza doppia solamente un quarto di calore. Adue terzi di distanza avremmo un calore due volte mag-giore, e, considerando i due fatti dell'estrema sensibilitàdel protoplasma e della facile coagulazione dell'albumi-na, sembra certo che noi ci troviamo in quella che si po-trebbe chiamare la zona temperata del sistema solare, eche non potremmo esser rimossi dalla nostra presenteposizione, senza compromettere una considerevole partedelle forme di vita ora esistenti sopra la terra, o almenosenza che lo sviluppo attuale della vita, in tutte le suefasi e gradazioni, si rendesse impossibile.

L'OBBLIQUITÀ DELL'ECLITTICA.

Gli effetti dell'obbliquità dell'equatore terrestre sulpiano della sua orbita intorno al sole, dalla quale dipen-dono il variare delle stagioni e l'ineguaglianza dei giornie delle notti in tutte le zone temperate, sono noti a tutti.Però non si suppone che questa obbliquità sia di unagrande importanza relativamente alla possibilità dellosviluppo e del mantenimento della vita sul nostro globo,

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sole. Ora, questi due estremi di temperatura sono contra-ri alla vita, e se uno di essi persistesse in una considere-vole parte della superficie terrestre, lo sviluppo organicodiventerebbe impossibile. Ma il calore emanato dal soleè inverso al quadrato della sua distanza, così che a mez-za distanza avremmo un calore quattro volte più grande,e a una distanza doppia solamente un quarto di calore. Adue terzi di distanza avremmo un calore due volte mag-giore, e, considerando i due fatti dell'estrema sensibilitàdel protoplasma e della facile coagulazione dell'albumi-na, sembra certo che noi ci troviamo in quella che si po-trebbe chiamare la zona temperata del sistema solare, eche non potremmo esser rimossi dalla nostra presenteposizione, senza compromettere una considerevole partedelle forme di vita ora esistenti sopra la terra, o almenosenza che lo sviluppo attuale della vita, in tutte le suefasi e gradazioni, si rendesse impossibile.

L'OBBLIQUITÀ DELL'ECLITTICA.

Gli effetti dell'obbliquità dell'equatore terrestre sulpiano della sua orbita intorno al sole, dalla quale dipen-dono il variare delle stagioni e l'ineguaglianza dei giornie delle notti in tutte le zone temperate, sono noti a tutti.Però non si suppone che questa obbliquità sia di unagrande importanza relativamente alla possibilità dellosviluppo e del mantenimento della vita sul nostro globo,

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sembra anzi che il fatto sia un accidente appena degnodi nota, perchè si crede che una obliquità diversa, o an-che la totale mancanza di essa, sarebbe egualmente van-taggiosa. È indubitabile però che la direzione dell'asseterrestre, qualunque possa essere, considerata da questopunto di vista, è di grandissima importanza.

Supponiamo in primo luogo che l'asse della terra gia-cesse, come quello di Urano, quasi esattamente sul pia-no della sua orbita, cioè diretto verso il sole. Non v'è dadubitare che tale posizione renderebbe il nostro globoinadatto allo sviluppo della vita, perchè ne resulterebbeun terribile contrasto di stagioni: al solstizio d'invernoregnerebbe su metà del nostro globo la notte artica, conun freddo anche maggiore di quello che regna attual-mente nelle regioni polari, e sull'altra metà, regnerebbeal solstizio d'estate il giorno continuo con un sole verti-cale e tal grado di calore, che non potrebbero essere inalcun modo sopportati. Ai due equinozi tutto il globogodrebbe di giorni e di notti eguali, perchè i nostri tropi-ci, e parte della zona subtropicale, avrebbero a mezzo-giorno il sole tanto vicino allo zenit, da avere un climaessenzialmente tropicale, ed il passaggio fra un mese disole continuo ed un mese di ininterrotta notte sarebbecosì rapido, da sembrar quasi impossibile che la vitaanimale e vegetale potesse svilupparsi in simili terribilicondizioni.

L'altra direzione estrema dell'asse terrestre, esatta-mente ad angolo retto col piano dell'orbita, sarebbe for-se più favorevole, benchè sempre svantaggiosa. Tutta la

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sembra anzi che il fatto sia un accidente appena degnodi nota, perchè si crede che una obliquità diversa, o an-che la totale mancanza di essa, sarebbe egualmente van-taggiosa. È indubitabile però che la direzione dell'asseterrestre, qualunque possa essere, considerata da questopunto di vista, è di grandissima importanza.

Supponiamo in primo luogo che l'asse della terra gia-cesse, come quello di Urano, quasi esattamente sul pia-no della sua orbita, cioè diretto verso il sole. Non v'è dadubitare che tale posizione renderebbe il nostro globoinadatto allo sviluppo della vita, perchè ne resulterebbeun terribile contrasto di stagioni: al solstizio d'invernoregnerebbe su metà del nostro globo la notte artica, conun freddo anche maggiore di quello che regna attual-mente nelle regioni polari, e sull'altra metà, regnerebbeal solstizio d'estate il giorno continuo con un sole verti-cale e tal grado di calore, che non potrebbero essere inalcun modo sopportati. Ai due equinozi tutto il globogodrebbe di giorni e di notti eguali, perchè i nostri tropi-ci, e parte della zona subtropicale, avrebbero a mezzo-giorno il sole tanto vicino allo zenit, da avere un climaessenzialmente tropicale, ed il passaggio fra un mese disole continuo ed un mese di ininterrotta notte sarebbecosì rapido, da sembrar quasi impossibile che la vitaanimale e vegetale potesse svilupparsi in simili terribilicondizioni.

L'altra direzione estrema dell'asse terrestre, esatta-mente ad angolo retto col piano dell'orbita, sarebbe for-se più favorevole, benchè sempre svantaggiosa. Tutta la

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superficie della terra, dall'equatore ai poli, godrebbe digiorni eguali alle notti, ed ogni parte riceverebbe egualquantità di calore solare per tutto il corso dell'anno, eperciò non vi sarebbero cambiamenti di stagione. Ma ilcalore varierebbe secondo la latitudine. Nella nostra lati-tudine, al sole di mezzogiorno e per tutto l'anno, la tem-peratura resterebbe al di sotto di 40° F., cioè quella checonstatiamo ora agli equinozi, e godremmo così un'eter-na primavera. Però la costanza del calore nelle regioniequatoriali e tropicali, e del freddo in quelle polari, pro-vocherebbe una più rapida circolazione d'aria, e proba-bilmente dei perenni venti di nord-ovest renderebbero ilnostro clima troppo freddo e troppo umido. Verso i poliil sole si manterrebbe eternamente all'orizzonte, o alme-no vicino ad esso, dando una quantità di calore cosìscarsa che il mare resterebbe perpetuamente ghiacciato ela terra sempre coperta da un alto strato di neve. Questostato di cose, con ogni probabilità, si estenderebbe an-che verso la zona temperata, e forse anche più al sud,rendendo per tal modo la vita impossibile nelle nostrelatitudini, perchè i resultati, qualunque fossero, sarebbe-ro dovuti a cause permanenti, e noi sappiamo quanta po-tenza hanno la neve ed il ghiaccio di estendere la loroinfluenza sulle aree adiacenti, se non ne sono impeditidal calore estivo o dai venti caldi ed umidi.

Riassumendo tutto quello che noi abbiamo detto,sembra probabile che questa posizione dell'asse terrestrefarebbe sì che una molto più piccola parte della sua su-perficie sarebbe capace di alimentare tanta variata e lus-

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superficie della terra, dall'equatore ai poli, godrebbe digiorni eguali alle notti, ed ogni parte riceverebbe egualquantità di calore solare per tutto il corso dell'anno, eperciò non vi sarebbero cambiamenti di stagione. Ma ilcalore varierebbe secondo la latitudine. Nella nostra lati-tudine, al sole di mezzogiorno e per tutto l'anno, la tem-peratura resterebbe al di sotto di 40° F., cioè quella checonstatiamo ora agli equinozi, e godremmo così un'eter-na primavera. Però la costanza del calore nelle regioniequatoriali e tropicali, e del freddo in quelle polari, pro-vocherebbe una più rapida circolazione d'aria, e proba-bilmente dei perenni venti di nord-ovest renderebbero ilnostro clima troppo freddo e troppo umido. Verso i poliil sole si manterrebbe eternamente all'orizzonte, o alme-no vicino ad esso, dando una quantità di calore cosìscarsa che il mare resterebbe perpetuamente ghiacciato ela terra sempre coperta da un alto strato di neve. Questostato di cose, con ogni probabilità, si estenderebbe an-che verso la zona temperata, e forse anche più al sud,rendendo per tal modo la vita impossibile nelle nostrelatitudini, perchè i resultati, qualunque fossero, sarebbe-ro dovuti a cause permanenti, e noi sappiamo quanta po-tenza hanno la neve ed il ghiaccio di estendere la loroinfluenza sulle aree adiacenti, se non ne sono impeditidal calore estivo o dai venti caldi ed umidi.

Riassumendo tutto quello che noi abbiamo detto,sembra probabile che questa posizione dell'asse terrestrefarebbe sì che una molto più piccola parte della sua su-perficie sarebbe capace di alimentare tanta variata e lus-

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sureggiante vita animale e vegetale, quanta adesso neammiriamo; poichè la troppa uniformità delle condizio-ni dell'ambiente sarebbe contraria del tutto alla grandelegge del ritmo, che sembra prevalere in tutto l'Univer-so, anzi, in altri termini, addirittura sfavorevole, e lo svi-luppo della vita avrebbe presumibilmente preso un an-damento diverso da quello presente.

Sembra perciò indubitabile che una posizione obliquadell'asse sia la più favorevole, e che quella che possiedela terra abbia specialmente il vantaggio dell'alternarsidelle stagioni e nello stesso tempo quello delle buonecondizioni climatiche sopra la più larga area possibile.Noi sappiamo che durante la maggior parte delle epochenelle quali si sviluppò la vita, quest'area era molto piùvasta che al presente, poichè una lussureggiante vegeta-zione di alberi a foglie caduche o persistenti e di arbusti,che si estendeva sino al circolo polare artico, determinòla formazione dei giacimenti carboniferi nelle due epo-che paleozoica e terziaria. Queste condizioni estrema-mente favorevoli per la vita organica, che prevalsero so-pra una così larga parte della superficie terrestre e persi-stettero durante un'epoca relativamente recente, condu-cono alla conclusione che non è possibile un grado diobbliquità più favorevole di quello che noi attualmentepossediamo.

Daremo adesso una breve dimostrazione dell'eviden-za di questa affermazione.

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sureggiante vita animale e vegetale, quanta adesso neammiriamo; poichè la troppa uniformità delle condizio-ni dell'ambiente sarebbe contraria del tutto alla grandelegge del ritmo, che sembra prevalere in tutto l'Univer-so, anzi, in altri termini, addirittura sfavorevole, e lo svi-luppo della vita avrebbe presumibilmente preso un an-damento diverso da quello presente.

Sembra perciò indubitabile che una posizione obliquadell'asse sia la più favorevole, e che quella che possiedela terra abbia specialmente il vantaggio dell'alternarsidelle stagioni e nello stesso tempo quello delle buonecondizioni climatiche sopra la più larga area possibile.Noi sappiamo che durante la maggior parte delle epochenelle quali si sviluppò la vita, quest'area era molto piùvasta che al presente, poichè una lussureggiante vegeta-zione di alberi a foglie caduche o persistenti e di arbusti,che si estendeva sino al circolo polare artico, determinòla formazione dei giacimenti carboniferi nelle due epo-che paleozoica e terziaria. Queste condizioni estrema-mente favorevoli per la vita organica, che prevalsero so-pra una così larga parte della superficie terrestre e persi-stettero durante un'epoca relativamente recente, condu-cono alla conclusione che non è possibile un grado diobbliquità più favorevole di quello che noi attualmentepossediamo.

Daremo adesso una breve dimostrazione dell'eviden-za di questa affermazione.

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PERSISTENZA DEI CLIMI TEMPERATI NELLE EPOCHEGEOLOGICHE.

Tutta la scienza geologica ci afferma che in epocheremote i climi della terra erano generalmente più unifor-mi, sebbene forse un po' più caldi di quello che non sia-no adesso, la qualcosa è evidentemente dimostrata dalladiversa distribuzione delle terre e dei mari, per la qualele acque calde degli oceani tropicali penetravano in tuttele parti dei continenti (i quali erano allora molto più fra-stagliati di adesso) e si spingevano liberamente sino alleregioni artiche. Appena diamo uno sguardo al periodoterziario, troviamo indizi di un clima più caldo nellazona temperata settentrionale, e se consideriamo la se-conda metà di questo periodo, troviamo abbondanti in-dizi, in entrambi i regni vegetale ed animale, di climitemperati vicini al circolo artico, o, per meglio dire, vi-cini al luogo ove esso attualmente si trova.

Sulle coste occidentali della Groenlandia, a 70° di la-titudine nord, si trovano in abbondanza piante fossili,benissimo conservate, fra cui molte e diverse specie diquerci, faggi, pioppi, platani, viti, avellane, pruni, noci,sequoie e numerosi arbusti, centotrentasette specie intutto, che stanno ad indicare una vegetazione comequella che adesso si trova nella zona temperatadell'America e dell'Asia Orientale. Ed anche più al nord,nello Spitzbergen, a 78° o 79° di latitudine nord, si trovauna flora somigliante a questa, benchè non così variata,ma composta di querci, pioppi, betulle, platani, vischio,

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PERSISTENZA DEI CLIMI TEMPERATI NELLE EPOCHEGEOLOGICHE.

Tutta la scienza geologica ci afferma che in epocheremote i climi della terra erano generalmente più unifor-mi, sebbene forse un po' più caldi di quello che non sia-no adesso, la qualcosa è evidentemente dimostrata dalladiversa distribuzione delle terre e dei mari, per la qualele acque calde degli oceani tropicali penetravano in tuttele parti dei continenti (i quali erano allora molto più fra-stagliati di adesso) e si spingevano liberamente sino alleregioni artiche. Appena diamo uno sguardo al periodoterziario, troviamo indizi di un clima più caldo nellazona temperata settentrionale, e se consideriamo la se-conda metà di questo periodo, troviamo abbondanti in-dizi, in entrambi i regni vegetale ed animale, di climitemperati vicini al circolo artico, o, per meglio dire, vi-cini al luogo ove esso attualmente si trova.

Sulle coste occidentali della Groenlandia, a 70° di la-titudine nord, si trovano in abbondanza piante fossili,benissimo conservate, fra cui molte e diverse specie diquerci, faggi, pioppi, platani, viti, avellane, pruni, noci,sequoie e numerosi arbusti, centotrentasette specie intutto, che stanno ad indicare una vegetazione comequella che adesso si trova nella zona temperatadell'America e dell'Asia Orientale. Ed anche più al nord,nello Spitzbergen, a 78° o 79° di latitudine nord, si trovauna flora somigliante a questa, benchè non così variata,ma composta di querci, pioppi, betulle, platani, vischio,

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avellane, pini, e di molte piante acquatiche, come moltese ne trovano nella Norvegia Occidentale e nell'Alaska,quasi venti gradi più al sud.

E risalendo a tempi anche più remoti, al periodo cre-taceo, si sono trovate nella Groenlandia piante fossili,cioè felci, cicadee, conifere e certi alberi e arbusti comeil pioppo, la sassifraga, la magnolia, il mirto e molti al-tri, che presentano caratteri simili e spesso identici aquelli delle specie fossili del medesimo periodo, che sitrovano nell'Europa Centrale e negli Stati Uniti, deno-tando per tal modo un'uniformità di clima, forse dovutaalle grandi correnti oceaniche, che portavano le acquecalde dei tropici nei mari artici.

Ed in tempi più remoti ancora, nel periodo giurassico,abbiamo prove di un clima temperato nella SiberiaOrientale, ed in Andö, nella Norvegia, proprio a setten-trione del circolo artico, dove sono stati rinvenuti moltiresti di piante e di grossissimi rettili, eguali a quelli tro-vati nel medesimo strato in tutte le parti del mondo. Fe-nomeni simili si constatano anche nel periodo preceden-te, nel triassico, che passeremo sotto silenzio, comequello più remoto ancora, il carbonifero, durante il qualesi formarono i grandi giacimenti di carbone, prodotti dauna lussureggiante vegetazione, consistente principal-mente in felci, giganteschi equiseti e conifere primitive.Lo sviluppo esuberante di queste piante, che spesso sitrovano benissimo conservate ed in grande quantità,sembra indicare un'atmosfera in cui l'acido carbonicoera molto più abbondante che ai nostri giorni, la qual

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avellane, pini, e di molte piante acquatiche, come moltese ne trovano nella Norvegia Occidentale e nell'Alaska,quasi venti gradi più al sud.

E risalendo a tempi anche più remoti, al periodo cre-taceo, si sono trovate nella Groenlandia piante fossili,cioè felci, cicadee, conifere e certi alberi e arbusti comeil pioppo, la sassifraga, la magnolia, il mirto e molti al-tri, che presentano caratteri simili e spesso identici aquelli delle specie fossili del medesimo periodo, che sitrovano nell'Europa Centrale e negli Stati Uniti, deno-tando per tal modo un'uniformità di clima, forse dovutaalle grandi correnti oceaniche, che portavano le acquecalde dei tropici nei mari artici.

Ed in tempi più remoti ancora, nel periodo giurassico,abbiamo prove di un clima temperato nella SiberiaOrientale, ed in Andö, nella Norvegia, proprio a setten-trione del circolo artico, dove sono stati rinvenuti moltiresti di piante e di grossissimi rettili, eguali a quelli tro-vati nel medesimo strato in tutte le parti del mondo. Fe-nomeni simili si constatano anche nel periodo preceden-te, nel triassico, che passeremo sotto silenzio, comequello più remoto ancora, il carbonifero, durante il qualesi formarono i grandi giacimenti di carbone, prodotti dauna lussureggiante vegetazione, consistente principal-mente in felci, giganteschi equiseti e conifere primitive.Lo sviluppo esuberante di queste piante, che spesso sitrovano benissimo conservate ed in grande quantità,sembra indicare un'atmosfera in cui l'acido carbonicoera molto più abbondante che ai nostri giorni, la qual

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cosa è anche probabile dato il piccolo numero e il tipoimperfetto degli animali terrestri, consistenti in pochi in-setti e qualche anfibio.

Ma la cosa che più colpisce è che veri strati di carbo-ne con fossili simili a quelli nostri, si trovano nello Spi-tzbergen e nella Siberia Orientale, ambedue nel circoloartico, il che indica una grande uniformità di clima, eprobabilmente un'atmosfera più densa e con vapori piùpesanti, i quali avrebbero ricoperto la terra e conservatoil calore portato nei mari artici dalle correnti dell'oceanodelle regioni più calde.

Le primitive rocce siluriane si trovano copiose nelleregioni artiche, ma i fossili sono esclusivamente di ani-mali marini. Essi però presentano i medesimi fenomenicirca il clima, perchè i coralli ed i molluschi cefalopodi,trovati nei giacimenti artici, somigliano molto a quellidelle altre parti del globo31.

Abbiamo molti altri indizi che per tutta la durata deglienormi periodi trascorsi per lo sviluppo delle varie for-me di vita sulla terra, i grandi fenomeni della naturapoco differirono da quelli che presentano i nostri tempi.I lenti processi per i quali i varii resti animali e vegetalifurono preservati, sono dimostrati dallo stato perfettonel quale questi fossili esistono. Spesso i tronchi deglialberi, delle cicadee e delle felci si trovano ancora ritti,

31 Per notizie più complete di questa flora e di questa faunaartiche, vedi le opere di C. Lyell, A. Geikie ed altri geologi. Uncompleto sommario si trova nella Island Life, or Insular Faunasand Floras dell'autore di questo volume.

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cosa è anche probabile dato il piccolo numero e il tipoimperfetto degli animali terrestri, consistenti in pochi in-setti e qualche anfibio.

Ma la cosa che più colpisce è che veri strati di carbo-ne con fossili simili a quelli nostri, si trovano nello Spi-tzbergen e nella Siberia Orientale, ambedue nel circoloartico, il che indica una grande uniformità di clima, eprobabilmente un'atmosfera più densa e con vapori piùpesanti, i quali avrebbero ricoperto la terra e conservatoil calore portato nei mari artici dalle correnti dell'oceanodelle regioni più calde.

Le primitive rocce siluriane si trovano copiose nelleregioni artiche, ma i fossili sono esclusivamente di ani-mali marini. Essi però presentano i medesimi fenomenicirca il clima, perchè i coralli ed i molluschi cefalopodi,trovati nei giacimenti artici, somigliano molto a quellidelle altre parti del globo31.

Abbiamo molti altri indizi che per tutta la durata deglienormi periodi trascorsi per lo sviluppo delle varie for-me di vita sulla terra, i grandi fenomeni della naturapoco differirono da quelli che presentano i nostri tempi.I lenti processi per i quali i varii resti animali e vegetalifurono preservati, sono dimostrati dallo stato perfettonel quale questi fossili esistono. Spesso i tronchi deglialberi, delle cicadee e delle felci si trovano ancora ritti,

31 Per notizie più complete di questa flora e di questa faunaartiche, vedi le opere di C. Lyell, A. Geikie ed altri geologi. Uncompleto sommario si trova nella Island Life, or Insular Faunasand Floras dell'autore di questo volume.

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con le radici nel terreno che li nutriva. Grandi foglie dipioppo, di acero, di quercia e di altre piante si trovanoconservate tanto bene, che potrebbero esser raccolte daun botanico per il suo erbario, e lo stesso può dirsi dellebellissime felci dei periodi permiano e carbonifero.Queste e molte altre forme, benissimo conservate si ve-dono solidificate nel fango, o nelle sabbie di antichi lidimarini, ed esse che non differiscono per nientenell'aspetto da quelle si vedono oggigiorno e per ognidove. Egualmente ammirabili sono i segni delle goccedi pioggia che si osservano nelle rocce di quasi tutte leepoche. Carlo Lyell ha illustrato le impronte di gocce dipioggia recenti nelle immense pianure fangose dellaNuova Scozia, e le ha messe in confronto con le goccedi pioggia impresse sopra una lastra di schisto presa inuna formazione carbonifera del medesimo paese; le unee le altre sono quasi identiche, come se i due fenomenifossero avvenuti a pochi giorni di distanza. La grandez-za delle gocciole è press'a poco uguale, ed indica unagrande somiglianza delle condizioni atmosferiche gene-rali.

Non bisogna dimenticare che la presenza della piog-gia in tutte le epoche geologiche denota, come abbiamoveduto nell'ultimo capitolo, una costante ed universaledistribuzione di polvere atmosferica. Le due principalisorgenti di questa polvere, la cui quantità totalenell'atmosfera deve essere enorme, sono i vulcani e i de-serti, e perciò possiamo esser sicuri che questi due gran-di fenomeni della natura siano sempre esistiti. Dei vul-

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con le radici nel terreno che li nutriva. Grandi foglie dipioppo, di acero, di quercia e di altre piante si trovanoconservate tanto bene, che potrebbero esser raccolte daun botanico per il suo erbario, e lo stesso può dirsi dellebellissime felci dei periodi permiano e carbonifero.Queste e molte altre forme, benissimo conservate si ve-dono solidificate nel fango, o nelle sabbie di antichi lidimarini, ed esse che non differiscono per nientenell'aspetto da quelle si vedono oggigiorno e per ognidove. Egualmente ammirabili sono i segni delle goccedi pioggia che si osservano nelle rocce di quasi tutte leepoche. Carlo Lyell ha illustrato le impronte di gocce dipioggia recenti nelle immense pianure fangose dellaNuova Scozia, e le ha messe in confronto con le goccedi pioggia impresse sopra una lastra di schisto presa inuna formazione carbonifera del medesimo paese; le unee le altre sono quasi identiche, come se i due fenomenifossero avvenuti a pochi giorni di distanza. La grandez-za delle gocciole è press'a poco uguale, ed indica unagrande somiglianza delle condizioni atmosferiche gene-rali.

Non bisogna dimenticare che la presenza della piog-gia in tutte le epoche geologiche denota, come abbiamoveduto nell'ultimo capitolo, una costante ed universaledistribuzione di polvere atmosferica. Le due principalisorgenti di questa polvere, la cui quantità totalenell'atmosfera deve essere enorme, sono i vulcani e i de-serti, e perciò possiamo esser sicuri che questi due gran-di fenomeni della natura siano sempre esistiti. Dei vul-

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cani possediamo una prova sicura, indipendentementedalla polvere che dovevano produrre, nella grande quan-tità di lava, di ceneri vulcaniche e di altri indizi nondubbi di antichi vulcani in tutte le formazioni geologi-che. Anche i deserti nei tempi remoti dovevano certa-mente esistere, benchè non così estesi come al presente;ed è un fatto molto significante che questi due fenome-ni, che per lo più sono giudicati come una macchia nelbell'aspetto della natura, e si oppongono alla nostra cre-denza in un Creatore benefico, sono essenzialmente ne-cessari, come ne abbiamo adesso la prova, perchè la ter-ra possa essere abitata.

Però, nonostante questa prevalenza di calore e di uni-formità di condizioni, abbiamo la prova di considerevolicambiamenti di clima in due periodi, in quello eocene enell'antico permiano, nei quali si hanno le provedell'azione del ghiaccio, tanto che i geologi credono chevi siano state delle epoche veramente glaciali. Ma sem-bra più probabile che si tratti soltanto di geli locali, di-pendenti dalle elevazioni del terreno o da altre specialicondizioni, atte a produrre in certe aree dei ghiacciai.

L'insieme delle prove geologiche indica la meravi-gliosa continuità delle condizioni favorevoli alla vita,anzi ci dimostra che la maggioranza delle condizioni cli-matiche era anche più favorevole di adesso, poichè unagrande parte della terra verso il polo nord fu un tempoadatta ad un'abbondante vegetazione, e con ogni proba-bilità la vita animale vi fu egualmente rigogliosa. Noisappiamo anche che mai vi fu interruzione nello svilup-

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cani possediamo una prova sicura, indipendentementedalla polvere che dovevano produrre, nella grande quan-tità di lava, di ceneri vulcaniche e di altri indizi nondubbi di antichi vulcani in tutte le formazioni geologi-che. Anche i deserti nei tempi remoti dovevano certa-mente esistere, benchè non così estesi come al presente;ed è un fatto molto significante che questi due fenome-ni, che per lo più sono giudicati come una macchia nelbell'aspetto della natura, e si oppongono alla nostra cre-denza in un Creatore benefico, sono essenzialmente ne-cessari, come ne abbiamo adesso la prova, perchè la ter-ra possa essere abitata.

Però, nonostante questa prevalenza di calore e di uni-formità di condizioni, abbiamo la prova di considerevolicambiamenti di clima in due periodi, in quello eocene enell'antico permiano, nei quali si hanno le provedell'azione del ghiaccio, tanto che i geologi credono chevi siano state delle epoche veramente glaciali. Ma sem-bra più probabile che si tratti soltanto di geli locali, di-pendenti dalle elevazioni del terreno o da altre specialicondizioni, atte a produrre in certe aree dei ghiacciai.

L'insieme delle prove geologiche indica la meravi-gliosa continuità delle condizioni favorevoli alla vita,anzi ci dimostra che la maggioranza delle condizioni cli-matiche era anche più favorevole di adesso, poichè unagrande parte della terra verso il polo nord fu un tempoadatta ad un'abbondante vegetazione, e con ogni proba-bilità la vita animale vi fu egualmente rigogliosa. Noisappiamo anche che mai vi fu interruzione nello svilup-

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po di essa, nè epoche durante le quali avvenisse, per so-verchia variazione di temperatura, la distruzione dellavita, e che mai è avvenuto un abbassamento tale dasommergere l'intera superficie della terra. Benchè le os-servazioni che la geologia può fare siano assai imperfet-te, sono nondimeno, per quel che riguarda l'insieme,complete in modo da stupire, e sempre assistiamo a nuo-vi progressi di questa scienza, dal semplice al complica-to, dall'incerto al certo. I tipi, uno dopo l'altro, divengo-no nettamente specificati e adattati a seconda delle con-dizioni del luogo e del clima; e quando essi spariscono,cedono il posto ad altri tipi, via via più perfetti, semprein armonia con le condizioni cambiate. Sembra che ilcarattere generale dei cambiamenti inorganici sia andatoda condizioni insulari a condizioni continentali, accom-pagnate da un cambiamento di clima, la cui uniformitàdiminuiva, che dal caldo e dall'umidità quasi subtropica-li, estendendosi sino al circolo artico, passava per diver-se aree, tropicali, temperate e fredde, e perciò atte allepiù grandi varietà di forme della vita e a stimolare larazza umana che si dibatteva prima contro le varie forzedella natura e poi le utilizzava, alla civiltà ed allo svi-luppo sociale.

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po di essa, nè epoche durante le quali avvenisse, per so-verchia variazione di temperatura, la distruzione dellavita, e che mai è avvenuto un abbassamento tale dasommergere l'intera superficie della terra. Benchè le os-servazioni che la geologia può fare siano assai imperfet-te, sono nondimeno, per quel che riguarda l'insieme,complete in modo da stupire, e sempre assistiamo a nuo-vi progressi di questa scienza, dal semplice al complica-to, dall'incerto al certo. I tipi, uno dopo l'altro, divengo-no nettamente specificati e adattati a seconda delle con-dizioni del luogo e del clima; e quando essi spariscono,cedono il posto ad altri tipi, via via più perfetti, semprein armonia con le condizioni cambiate. Sembra che ilcarattere generale dei cambiamenti inorganici sia andatoda condizioni insulari a condizioni continentali, accom-pagnate da un cambiamento di clima, la cui uniformitàdiminuiva, che dal caldo e dall'umidità quasi subtropica-li, estendendosi sino al circolo artico, passava per diver-se aree, tropicali, temperate e fredde, e perciò atte allepiù grandi varietà di forme della vita e a stimolare larazza umana che si dibatteva prima contro le varie forzedella natura e poi le utilizzava, alla civiltà ed allo svi-luppo sociale.

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LA QUANTITÀ DELL'ACQUAE LA SUA DISTRIBUZIONE SUL GLOBO.

Sappiamo che l'oceano occupa più dei due terzi dellasuperficie della terra; ma noi non teniamo nel dovutoconto questa massa d'acqua, enorme in proporzione diquella terrestre, e poichè il trattare questo argomento èdi grande importanza per quel che riguarda la storiageologica del globo e lo speciale soggetto che abbiamopreso a discutere, il parlarne ora non sarà cosa oziosa.

Secondo le valutazioni fatte più recentemente, l'areaasciutta del nostro globo è 0,28 della intera superficie equella dell'acqua di 0,72. Le principali altezze della terrasul livello del mare sono di 2250 piedi, mentre la pro-fondità degli oceani è di 13,860 piedi; dunque la super-ficie coperta dalle acque è dieci volte e mezzo maggioredi quella terrestre, e la profondità media degli oceani seivolte maggiore dell'altezza media della terra. Ciò è dicerto dovuto al fatto che le terre depresse si estendonomolto di più che la terra asciutta, e gli altipiani e le altemontagne rappresentano in confronto una ben piccolaparte della superficie totale. Ma se le grandi profonditàoceaniche hanno, press'a poco, la medesima altezza del-le montagne, tuttavia in alcuni punti le enormi areedell'oceano hanno profondità sufficienti per sommerger-vi tutte le montagne dell'Europa e delle zone temperatedell'America, eccettuandone solo qualcuna. Da ciò ap-pare chiaro che la massa d'acqua dell'oceano, ancheomettendo i piccoli mari, è tredici volte maggiore di

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LA QUANTITÀ DELL'ACQUAE LA SUA DISTRIBUZIONE SUL GLOBO.

Sappiamo che l'oceano occupa più dei due terzi dellasuperficie della terra; ma noi non teniamo nel dovutoconto questa massa d'acqua, enorme in proporzione diquella terrestre, e poichè il trattare questo argomento èdi grande importanza per quel che riguarda la storiageologica del globo e lo speciale soggetto che abbiamopreso a discutere, il parlarne ora non sarà cosa oziosa.

Secondo le valutazioni fatte più recentemente, l'areaasciutta del nostro globo è 0,28 della intera superficie equella dell'acqua di 0,72. Le principali altezze della terrasul livello del mare sono di 2250 piedi, mentre la pro-fondità degli oceani è di 13,860 piedi; dunque la super-ficie coperta dalle acque è dieci volte e mezzo maggioredi quella terrestre, e la profondità media degli oceani seivolte maggiore dell'altezza media della terra. Ciò è dicerto dovuto al fatto che le terre depresse si estendonomolto di più che la terra asciutta, e gli altipiani e le altemontagne rappresentano in confronto una ben piccolaparte della superficie totale. Ma se le grandi profonditàoceaniche hanno, press'a poco, la medesima altezza del-le montagne, tuttavia in alcuni punti le enormi areedell'oceano hanno profondità sufficienti per sommerger-vi tutte le montagne dell'Europa e delle zone temperatedell'America, eccettuandone solo qualcuna. Da ciò ap-pare chiaro che la massa d'acqua dell'oceano, ancheomettendo i piccoli mari, è tredici volte maggiore di

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quella della terra sopra il livello del mare, e se tutta lasuperficie asciutta ed il fondo del mare fossero portati almedesimo livello, vale a dire se la massa solida del glo-bo diventasse uno sferoide livellato, sarebbe tutto coper-to d'acqua per uno spessore di circa due miglia. Il dia-gramma che diamo renderà la cosa più intelligibile eservirà ad illustrare quel che segue.

In questo diagramma la lunghezza delle sezioni, raffi-guranti rispettivamente la terra e l'oceano, è proporzio-nata alla loro area, mentre la larghezza di ciascuna èproporzionata alle maggiori altezze e profondità rispetti-ve, quindi le due sezioni sono in esatta proporzione colvolume che rappresentano.

Un semplice esame di questo diagramma è sufficienteper farci scorgere l'errore antico, ancora sostenuto daqualche geologo e da molti biologi, cioè che l'oceano edi continenti abbiano ripetutamente cambiato di posto du-rante le epoche geologiche, e che sui grandi oceani laterra sia emersa più volte, facilitando così la distribuzio-ne degli insetti, degli uccelli, dei rettili e dei mammiferi.Non dobbiamo dimenticare che, quantunque il diagram-ma presenti i continenti e gli oceani nel loro insieme,

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quella della terra sopra il livello del mare, e se tutta lasuperficie asciutta ed il fondo del mare fossero portati almedesimo livello, vale a dire se la massa solida del glo-bo diventasse uno sferoide livellato, sarebbe tutto coper-to d'acqua per uno spessore di circa due miglia. Il dia-gramma che diamo renderà la cosa più intelligibile eservirà ad illustrare quel che segue.

In questo diagramma la lunghezza delle sezioni, raffi-guranti rispettivamente la terra e l'oceano, è proporzio-nata alla loro area, mentre la larghezza di ciascuna èproporzionata alle maggiori altezze e profondità rispetti-ve, quindi le due sezioni sono in esatta proporzione colvolume che rappresentano.

Un semplice esame di questo diagramma è sufficienteper farci scorgere l'errore antico, ancora sostenuto daqualche geologo e da molti biologi, cioè che l'oceano edi continenti abbiano ripetutamente cambiato di posto du-rante le epoche geologiche, e che sui grandi oceani laterra sia emersa più volte, facilitando così la distribuzio-ne degli insetti, degli uccelli, dei rettili e dei mammiferi.Non dobbiamo dimenticare che, quantunque il diagram-ma presenti i continenti e gli oceani nel loro insieme,

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esso offre anche con sufficiente esattezza le proporzionidi ciascuno dei grandi continenti che sono adiacenti adessi. Inoltre bisogna riflettere che non vi possono esseredelle considerevoli elevazioni, senza che vi sia in altroluogo una corrispondente depressione, poichè se questanon esistesse, si avrebbe un vasto spazio vuoto sotto laterra elevata, priva di alcun sostegno, o in qualche luogovicino. Guardando il diagramma e contemporaneamenteun mappamondo, immaginiamo che il fondo dell'oceanosi alzi a poco a poco e formi un continente che ricon-giunga l'Africa col Sud America o con l'Australia, ipote-si che sono state entrambe sostenute da molti biologi. Èchiaro che mentre si verifica tale inalzamento in un pun-to, qualche altra terra continentale, oppure qualche partedel letto dell'oceano, deve abbassarsi in proporzionecorrispondente. Quindi se tal cambiamento di altitudinesopra una estensione continentale fosse avvenuto, apoco a poco e a periodi differenti, sarebbe stato quasiimpossibile di potere evitare, in qualsiasi modo, che unintero continente venisse sommerso, e fors'anche tutti icontinenti esistenti, per compensare col loro abbassa-mento l'elevarsi del terreno. Nuovi continenti sarebberosorti così dai profondi abissi dell'oceano. Possiamo con-chiudere dunque che, eccettuando una zona relativa-mente stretta intorno ai continenti, le grandi profonditàdell'oceano sono una permanente necessità della superfi-cie terrestre. È per l'appunto questa stabilità della distri-buzione generale della terra e delle acque che ha mante-nuto la vita sul globo terrestre. Se il gran bacino oceani-

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esso offre anche con sufficiente esattezza le proporzionidi ciascuno dei grandi continenti che sono adiacenti adessi. Inoltre bisogna riflettere che non vi possono esseredelle considerevoli elevazioni, senza che vi sia in altroluogo una corrispondente depressione, poichè se questanon esistesse, si avrebbe un vasto spazio vuoto sotto laterra elevata, priva di alcun sostegno, o in qualche luogovicino. Guardando il diagramma e contemporaneamenteun mappamondo, immaginiamo che il fondo dell'oceanosi alzi a poco a poco e formi un continente che ricon-giunga l'Africa col Sud America o con l'Australia, ipote-si che sono state entrambe sostenute da molti biologi. Èchiaro che mentre si verifica tale inalzamento in un pun-to, qualche altra terra continentale, oppure qualche partedel letto dell'oceano, deve abbassarsi in proporzionecorrispondente. Quindi se tal cambiamento di altitudinesopra una estensione continentale fosse avvenuto, apoco a poco e a periodi differenti, sarebbe stato quasiimpossibile di potere evitare, in qualsiasi modo, che unintero continente venisse sommerso, e fors'anche tutti icontinenti esistenti, per compensare col loro abbassa-mento l'elevarsi del terreno. Nuovi continenti sarebberosorti così dai profondi abissi dell'oceano. Possiamo con-chiudere dunque che, eccettuando una zona relativa-mente stretta intorno ai continenti, le grandi profonditàdell'oceano sono una permanente necessità della superfi-cie terrestre. È per l'appunto questa stabilità della distri-buzione generale della terra e delle acque che ha mante-nuto la vita sul globo terrestre. Se il gran bacino oceani-

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co non fosse stato stabile e avesse cambiato di posto conla terra nei varii periodi delle epoche geologiche, avreb-be quasi certamente inghiottito a poco a poco la terra,distruggendo così tutta la vita organica del mondo.

Quest'opinione è confermata da molte prove ed è ac-cettata dai geologi e dai fisici; di alcune di esse daremoora un breve cenno.

1. Nessuno dei continenti presenta vasti depositi ma-rini di una qualunque epoca geologica, cosa che nonmancherebbe certamente, se i continenti fossero statiqualche volta sommersi nell'oceano, e se si fossero poiinnalzati sopra le acque; inoltre nessuno di essi presentadelle estese formazioni corrispondenti ai depositi ocea-nici argillosi o melmosi, cosa che certo non manchereb-be nemmeno se essi un tempo avessero formato il lettodell'oceano.

2. Tutti i continenti presentano una quasi completa econtinua serie di rocce di tutte le età geologiche, ed inognuno dei grandi periodi geologici si constatano traccedi acque dolci e depositi di estuari ed antiche superficidi terreno, che indicano continuità di condizioni conti-nentali od insulari.

3. Tutti i grandi oceani posseggono, sparse in mezzoad essi, poche o molte isole chiamate oceaniche, di ori-gine vulcanica o coralligena, nelle quali non si riscontraalcuno strato di antiche rocce, nè alcuna indicazione dimammiferi o anfibi indigeni. Pare incredibile quindiche, se l'oceano avesse un tempo contenuto grandi con-tinenti, e se queste isole oceaniche fossero, come anche

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co non fosse stato stabile e avesse cambiato di posto conla terra nei varii periodi delle epoche geologiche, avreb-be quasi certamente inghiottito a poco a poco la terra,distruggendo così tutta la vita organica del mondo.

Quest'opinione è confermata da molte prove ed è ac-cettata dai geologi e dai fisici; di alcune di esse daremoora un breve cenno.

1. Nessuno dei continenti presenta vasti depositi ma-rini di una qualunque epoca geologica, cosa che nonmancherebbe certamente, se i continenti fossero statiqualche volta sommersi nell'oceano, e se si fossero poiinnalzati sopra le acque; inoltre nessuno di essi presentadelle estese formazioni corrispondenti ai depositi ocea-nici argillosi o melmosi, cosa che certo non manchereb-be nemmeno se essi un tempo avessero formato il lettodell'oceano.

2. Tutti i continenti presentano una quasi completa econtinua serie di rocce di tutte le età geologiche, ed inognuno dei grandi periodi geologici si constatano traccedi acque dolci e depositi di estuari ed antiche superficidi terreno, che indicano continuità di condizioni conti-nentali od insulari.

3. Tutti i grandi oceani posseggono, sparse in mezzoad essi, poche o molte isole chiamate oceaniche, di ori-gine vulcanica o coralligena, nelle quali non si riscontraalcuno strato di antiche rocce, nè alcuna indicazione dimammiferi o anfibi indigeni. Pare incredibile quindiche, se l'oceano avesse un tempo contenuto grandi con-tinenti, e se queste isole oceaniche fossero, come anche

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al presente spesso si afferma, parte di quei continentisommersi, non un frammento di alcuna delle anticherocce, le quali rappresentano un carattere essenziale ditutti i continenti, rimanga a dimostrare la loro origine.Nell'Atlantico troviamo: le Azorre, Madera, Sant'Elena;nell'Oceano Indiano: Maurizio, Borbone e l'isola di Ker-guelen; nel Pacifico: le Figi, Samoa, il gruppo della So-cietà, quello delle Sandwich e Galapagos, e tutte, senzaeccezioni, ci suggeriscono la stessa idea, cioè che sononate dalle profondità dell'oceano, da vulcani sottomarinio da formazioni coralligene, senza avere mai appartenu-to ad un'area continentale.

4. Il fondo dei grandi oceani, ora ben conosciuti permezzo degli scandagli e per la collocazione dei cavi te-legrafici sottomarini, ci conferma nell'opinione che nonesistette mai in alcuna parte di essi una terra continenta-le; se continente vi fosse stato, si troverebbero traccedella sua esistenza, perchè almeno qualcuna di quelletante catene di monti, che rappresentano il carattere tipi-co di ogni continente, vi sarebbe rimasta. Constaterem-mo dei pendii di 20 a 50 gradi e delle valli circondate darocce scoscese, come nel lago di Lucerna e in cento al-tri, o catene di rocce come quelle del Roraima, e filari diprecipizi, come i Ghâts dell'India o i fiords della Norve-gia, non sarebbero infrequenti. Ma nulla di tutto ciò èstato trovato nell'abisso dell'oceano, bensì vaste pianure,le quali, se fossero prosciugate, presenterebbero una su-perficie molto piana, senza alcun brusco cambiamento.Bisogna adunque ammettere che depositi terrestri mai

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al presente spesso si afferma, parte di quei continentisommersi, non un frammento di alcuna delle anticherocce, le quali rappresentano un carattere essenziale ditutti i continenti, rimanga a dimostrare la loro origine.Nell'Atlantico troviamo: le Azorre, Madera, Sant'Elena;nell'Oceano Indiano: Maurizio, Borbone e l'isola di Ker-guelen; nel Pacifico: le Figi, Samoa, il gruppo della So-cietà, quello delle Sandwich e Galapagos, e tutte, senzaeccezioni, ci suggeriscono la stessa idea, cioè che sononate dalle profondità dell'oceano, da vulcani sottomarinio da formazioni coralligene, senza avere mai appartenu-to ad un'area continentale.

4. Il fondo dei grandi oceani, ora ben conosciuti permezzo degli scandagli e per la collocazione dei cavi te-legrafici sottomarini, ci conferma nell'opinione che nonesistette mai in alcuna parte di essi una terra continenta-le; se continente vi fosse stato, si troverebbero traccedella sua esistenza, perchè almeno qualcuna di quelletante catene di monti, che rappresentano il carattere tipi-co di ogni continente, vi sarebbe rimasta. Constaterem-mo dei pendii di 20 a 50 gradi e delle valli circondate darocce scoscese, come nel lago di Lucerna e in cento al-tri, o catene di rocce come quelle del Roraima, e filari diprecipizi, come i Ghâts dell'India o i fiords della Norve-gia, non sarebbero infrequenti. Ma nulla di tutto ciò èstato trovato nell'abisso dell'oceano, bensì vaste pianure,le quali, se fossero prosciugate, presenterebbero una su-perficie molto piana, senza alcun brusco cambiamento.Bisogna adunque ammettere che depositi terrestri mai

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raggiunsero gli abissi dell'oceano, poichè non risenten-dosi l'azione delle onde a qualche centinaio di piedi diprofondità, le tracce della terra asciutta una volta som-mersa, sarebbero state indistruttibili. La loro totale as-senza rappresenta perciò la dimostrazione che nessunodei grandi oceani occupa adesso il posto di un grandecontinente sommerso.

COME SI PRODUSSERO LE PROFONDITÀ OCEANICHE.

È un ben arduo problema quello di tentar di determi-nare come ebbero origine i vasti bacini riempitidall'oceano, specialmente quello del Pacifico. Quando lasuperficie del globo era ancora allo stato di fusione, do-veva necessariamente prendere la forma di uno sferoidecompresso ai poli, a cagione della sua rotazione, che sisuppone dovesse essere immensa. La crosta formata dalraffreddamento graduale di un globo simile doveva ave-re la stessa forma generale, ma per la sua sottigliezzadoveva frantumarsi facilmente o inclinarsi, in modo daadattarsi a qualche ineguale forza dell'interno. Mentre lacrosta diventava più spessa, la intera massa lentamentesi raffreddava e si contraeva, si dovevano formare cosìdei crepacci e delle alture, i primi per funzionare da cra-teri dell'attività dei vulcani, le formazioni dei quali siconstatano in tutte le epoche geologiche; le altre rappre-sentavano rudimenti di catene di monti, nei quali le roc-

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raggiunsero gli abissi dell'oceano, poichè non risenten-dosi l'azione delle onde a qualche centinaio di piedi diprofondità, le tracce della terra asciutta una volta som-mersa, sarebbero state indistruttibili. La loro totale as-senza rappresenta perciò la dimostrazione che nessunodei grandi oceani occupa adesso il posto di un grandecontinente sommerso.

COME SI PRODUSSERO LE PROFONDITÀ OCEANICHE.

È un ben arduo problema quello di tentar di determi-nare come ebbero origine i vasti bacini riempitidall'oceano, specialmente quello del Pacifico. Quando lasuperficie del globo era ancora allo stato di fusione, do-veva necessariamente prendere la forma di uno sferoidecompresso ai poli, a cagione della sua rotazione, che sisuppone dovesse essere immensa. La crosta formata dalraffreddamento graduale di un globo simile doveva ave-re la stessa forma generale, ma per la sua sottigliezzadoveva frantumarsi facilmente o inclinarsi, in modo daadattarsi a qualche ineguale forza dell'interno. Mentre lacrosta diventava più spessa, la intera massa lentamentesi raffreddava e si contraeva, si dovevano formare cosìdei crepacci e delle alture, i primi per funzionare da cra-teri dell'attività dei vulcani, le formazioni dei quali siconstatano in tutte le epoche geologiche; le altre rappre-sentavano rudimenti di catene di monti, nei quali le roc-

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ce sono quasi sempre curvate, ripiegate od anche posteuna sopra l'altra, fatto che sta ad indicare l'esistenza digrandi forze, dovute all'adattamento di una crosta solidasopra un interno fluido o semifluido.

Durante tutto questo processo pare che non vi sianostate forze sufficienti per produrre un oceano quale è ilPacifico, una grande depressione, cioè, che copre quasiun terzo della superficie terrestre. L'oceano Atlantico,essendo più piccolo e quasi opposto al Pacifico, ma diuna profondità presso a poco eguale, può esser conside-rato come un fenomeno complementare, che si può spie-gare come un effetto delle medesime cause che crearonola cavità più vasta.

Per quel che io ne so, solamente una causa mi sembraadeguata alla formazione di questi grandi oceani, e sic-come questa causa è sostenuta da prove astronomicheindipendenti, e si riferisce direttamente al soggetto prin-cipale trattato in questo volume, ne parleremo breve-mente.

Qualche anno fa il prof. Giorgio Darwin, di Cambrid-ge, arrivò ad una conclusione sicura circa l'origine dellaluna, la quale è ora relativamente bene spiegata da SirRobert Ball nel piccolo volume popolare: Time andTide. L'autore espone la cosa brevemente. Le maree,egli dice, producono un attrito sulla nostra terra e lenta-mente fanno aumentare la durata dei nostri giorni, e fan-no sì che la luna retroceda da noi. Il giorno si è allunga-to solamente di una piccola frazione di secondo in milleanni, e la luna è retrocessa in modo egualmente imper-

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ce sono quasi sempre curvate, ripiegate od anche posteuna sopra l'altra, fatto che sta ad indicare l'esistenza digrandi forze, dovute all'adattamento di una crosta solidasopra un interno fluido o semifluido.

Durante tutto questo processo pare che non vi sianostate forze sufficienti per produrre un oceano quale è ilPacifico, una grande depressione, cioè, che copre quasiun terzo della superficie terrestre. L'oceano Atlantico,essendo più piccolo e quasi opposto al Pacifico, ma diuna profondità presso a poco eguale, può esser conside-rato come un fenomeno complementare, che si può spie-gare come un effetto delle medesime cause che crearonola cavità più vasta.

Per quel che io ne so, solamente una causa mi sembraadeguata alla formazione di questi grandi oceani, e sic-come questa causa è sostenuta da prove astronomicheindipendenti, e si riferisce direttamente al soggetto prin-cipale trattato in questo volume, ne parleremo breve-mente.

Qualche anno fa il prof. Giorgio Darwin, di Cambrid-ge, arrivò ad una conclusione sicura circa l'origine dellaluna, la quale è ora relativamente bene spiegata da SirRobert Ball nel piccolo volume popolare: Time andTide. L'autore espone la cosa brevemente. Le maree,egli dice, producono un attrito sulla nostra terra e lenta-mente fanno aumentare la durata dei nostri giorni, e fan-no sì che la luna retroceda da noi. Il giorno si è allunga-to solamente di una piccola frazione di secondo in milleanni, e la luna è retrocessa in modo egualmente imper-

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cettibile. Ma siccome queste forze sono costanti ed han-no sempre agito sulla terra e sulla luna, così, se noi re-trocediamo passo a passo per un passato quasi infinito,arriveremo a un tempo in cui la rotazione terrestre eracosì rapida, che la gravità all'equatore poteva appenatrattenere le parti più esterne, le quali si estendevano inmodo che la forma dell'intera massa doveva somigliarea quella di un formaggio coi margini arrotondati. E nellamedesima epoca la distanza della luna era tanto poca,che quasi toccava la terra. Tutto ciò è il risultato di cal-coli matematici e della nota legge degli effetti della gra-vità e della marea; e siccome è difficile immaginare cheuna sì grande mole come la luna, possa avere avuto ori-gine altrimenti, si suppone che nel primo periodo la ter-ra e la luna formassero uno stesso corpo e che la luna sisia separata dalla massa madre, a causa della forza cen-trifuga generata dalla rapida rotazione della terra. Se aquell'epoca la terra sia stata liquida o solida, e come ve-ramente sia avvenuta la separazione nè il prof. Darwin,nè Robert Ball lo hanno saputo spiegare; ma un fattoche dà molto a pensare è che recentemente si è potutovedere, per mezzo dello spettroscopio, che in poco tem-po delle stelle doppie hanno avuto origine in questomodo da una stella unica, come abbiamo visto nel sestocapitolo. Sembra però probabile che in simili casi lastella madre sia allo stato gassoso.

Queste investigazioni del prof. G. Darwin sono stateapplicate dal rev. Osmond Fisher, nel suo bello e impor-tante lavoro Physics of the Earth's Crust, per quel che

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cettibile. Ma siccome queste forze sono costanti ed han-no sempre agito sulla terra e sulla luna, così, se noi re-trocediamo passo a passo per un passato quasi infinito,arriveremo a un tempo in cui la rotazione terrestre eracosì rapida, che la gravità all'equatore poteva appenatrattenere le parti più esterne, le quali si estendevano inmodo che la forma dell'intera massa doveva somigliarea quella di un formaggio coi margini arrotondati. E nellamedesima epoca la distanza della luna era tanto poca,che quasi toccava la terra. Tutto ciò è il risultato di cal-coli matematici e della nota legge degli effetti della gra-vità e della marea; e siccome è difficile immaginare cheuna sì grande mole come la luna, possa avere avuto ori-gine altrimenti, si suppone che nel primo periodo la ter-ra e la luna formassero uno stesso corpo e che la luna sisia separata dalla massa madre, a causa della forza cen-trifuga generata dalla rapida rotazione della terra. Se aquell'epoca la terra sia stata liquida o solida, e come ve-ramente sia avvenuta la separazione nè il prof. Darwin,nè Robert Ball lo hanno saputo spiegare; ma un fattoche dà molto a pensare è che recentemente si è potutovedere, per mezzo dello spettroscopio, che in poco tem-po delle stelle doppie hanno avuto origine in questomodo da una stella unica, come abbiamo visto nel sestocapitolo. Sembra però probabile che in simili casi lastella madre sia allo stato gassoso.

Queste investigazioni del prof. G. Darwin sono stateapplicate dal rev. Osmond Fisher, nel suo bello e impor-tante lavoro Physics of the Earth's Crust, per quel che

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riguarda i bacini degli oceani; egli afferma che il Pacifi-co è il vuoto lasciato sulla terra quando la maggior partedella massa della luna si staccò da essa.

Adottando, come faccio io, la teoria della origine del-la terra per successivo accrescimento meteorico di mate-ria solida, bisogna considerare il nostro pianeta come ilprodotto da uno di quegli immensi anelli di meteore, chesempre, in gran numero, si aggirano intorno al sole, eche nei primitivi periodi, già da noi considerati, erano innumero maggiore e di più vasta mole. A cagionedell'irregolarità di distribuzione in questo anello, e perlo sconvolgimento cagionato da altri corpi, si sarebberoinevitabilmente formate delle masse di diversa grandez-za, e la più grande di esse avrebbe col tempo attirato asè le altre e così formato il pianeta. Durante i primi stadidel processo, le particelle sarebbero state tanto piccole esi sarebbero riunite tanto lentamente, da produrre pococalore, ne sarebbe risultata quindi una semplice agglo-merazione di materia fredda. Ma continuando il proces-so, la mole dell'incipiente pianeta dovette divenire con-siderevole (forse la metà della terra) ed il resto dell'anel-lo sarebbe caduto su di essa con velocità sempre cre-scente. Questo fatto, insieme con la compressione dovu-ta alla gravità della crescente massa, poteva, quando ilpianeta aveva quasi raggiunto la sua presente grandezza,produrre sufficiente calore da liquefare gli strati esterni,mentre la parte centrale rimaneva solida, e fluida a qual-che distanza dal centro, e negli interstizi probabilmenterestava una grande quantità di gas pesanti. Quando

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riguarda i bacini degli oceani; egli afferma che il Pacifi-co è il vuoto lasciato sulla terra quando la maggior partedella massa della luna si staccò da essa.

Adottando, come faccio io, la teoria della origine del-la terra per successivo accrescimento meteorico di mate-ria solida, bisogna considerare il nostro pianeta come ilprodotto da uno di quegli immensi anelli di meteore, chesempre, in gran numero, si aggirano intorno al sole, eche nei primitivi periodi, già da noi considerati, erano innumero maggiore e di più vasta mole. A cagionedell'irregolarità di distribuzione in questo anello, e perlo sconvolgimento cagionato da altri corpi, si sarebberoinevitabilmente formate delle masse di diversa grandez-za, e la più grande di esse avrebbe col tempo attirato asè le altre e così formato il pianeta. Durante i primi stadidel processo, le particelle sarebbero state tanto piccole esi sarebbero riunite tanto lentamente, da produrre pococalore, ne sarebbe risultata quindi una semplice agglo-merazione di materia fredda. Ma continuando il proces-so, la mole dell'incipiente pianeta dovette divenire con-siderevole (forse la metà della terra) ed il resto dell'anel-lo sarebbe caduto su di essa con velocità sempre cre-scente. Questo fatto, insieme con la compressione dovu-ta alla gravità della crescente massa, poteva, quando ilpianeta aveva quasi raggiunto la sua presente grandezza,produrre sufficiente calore da liquefare gli strati esterni,mentre la parte centrale rimaneva solida, e fluida a qual-che distanza dal centro, e negli interstizi probabilmenterestava una grande quantità di gas pesanti. Quando

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l'aumento di volume dovuto alla caduta delle meteorediminuì e fu così ridotto da essere insufficiente a mante-nere il calore nei punti dove la terra era sempre liquefat-ta; si sarebbe formata una crosta, che aveva raggiunto lametà, e forse i tre quarti del suo spessore attuale, quandose ne separò la luna.

Cerchiamo ora di farci un'idea chiara del modo concui avvenne la cosa. Noi dovevamo avere un globo assaipiù grande di quel che non è ora la terra; primo, perchèallora faceva parte di esso il materiale che formò laluna; poi, perchè era più caldo, roteante tanto rapida-mente da diventare schiacciato ai poli, mentre la cinturaequatoriale sporgeva enormemente e probabilmenteavrebbe mutata la sua forma in quella anulare con unleggero aumento di rotazione, che si crede si compissein circa 4 ore soltanto. Questo globo avrebbe avuto unacrosta relativamente molto sottile, sotto la quale, ad unaprofondità sconosciuta, forse a poche centinaia di migliae forse a molte migliaia di miglia, restavano delle rocceallo stato di fusione. Intanto l'attrazione solare, agendosull'interno liquido, produceva in esso delle maree, fa-cendo sì che la sottile crosta si alzasse e si abbassasseogni due ore, ma per poco, per circa un piede solamente,tanto da non esser possibile una frattura; però si calcolache questa leggera ondulazione ritmica coincidesse colnormale periodo di ondulazione dovuto ad una cosìgrande massa di liquido pesante, e così contribuisse adaumentare l’instabilità dovuta alla rapida rotazione.

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l'aumento di volume dovuto alla caduta delle meteorediminuì e fu così ridotto da essere insufficiente a mante-nere il calore nei punti dove la terra era sempre liquefat-ta; si sarebbe formata una crosta, che aveva raggiunto lametà, e forse i tre quarti del suo spessore attuale, quandose ne separò la luna.

Cerchiamo ora di farci un'idea chiara del modo concui avvenne la cosa. Noi dovevamo avere un globo assaipiù grande di quel che non è ora la terra; primo, perchèallora faceva parte di esso il materiale che formò laluna; poi, perchè era più caldo, roteante tanto rapida-mente da diventare schiacciato ai poli, mentre la cinturaequatoriale sporgeva enormemente e probabilmenteavrebbe mutata la sua forma in quella anulare con unleggero aumento di rotazione, che si crede si compissein circa 4 ore soltanto. Questo globo avrebbe avuto unacrosta relativamente molto sottile, sotto la quale, ad unaprofondità sconosciuta, forse a poche centinaia di migliae forse a molte migliaia di miglia, restavano delle rocceallo stato di fusione. Intanto l'attrazione solare, agendosull'interno liquido, produceva in esso delle maree, fa-cendo sì che la sottile crosta si alzasse e si abbassasseogni due ore, ma per poco, per circa un piede solamente,tanto da non esser possibile una frattura; però si calcolache questa leggera ondulazione ritmica coincidesse colnormale periodo di ondulazione dovuto ad una cosìgrande massa di liquido pesante, e così contribuisse adaumentare l’instabilità dovuta alla rapida rotazione.

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La massa lunare è circa la cinquantesima parte diquella terrestre; un calcolo facilissimo ci dimostra che learee del Pacifico, dell'Atlantico e dell'Oceano Indiano,prese insieme, rappresentano circa due terzi del nostroglobo, questa estensione richiede uno spessore o profon-dità di circa quaranta miglia per fornire il materiale perla luna. Certo, dobbiamo presumere che vi fossero molteirregolarità nello spessore della crosta terrestre e nellasua rigidità relativa, e quando il momento critico vennee la terra non potè più a lungo contendere la sua protu-beranza equatoriale alla forza centrifuga dovuta alla ro-tazione, agevolata dalla ondulazione della marea internaprodotta dal sole, invece di un anello continuato che sistaccasse lentamente, la crosta, nel punto dove era piùdebole, potè dividersi in due o più masse immense, esiccome l'onda della marea passò attraverso la frattura,una quantità del liquido sottostante sgorgò fuori, e siriunì in una massa globosa a poca distanza dalla terra,continuando a roteare con essa per qualche tempo e conla stessa velocità. Ma poichè l'azione della marea è sem-pre eguale nelle parti opposte del globo, fu provocataun'altra eguale rottura, che formò, a quanto è lecito sup-porre, il bacino dell'Atlantico, che, come possiamo ve-dere sopra un piccolo mappamondo, si trova quasi esat-tamente opposto alla parte centrale del Pacifico. Appenaqueste due grandi masse si furono separate dalla terra,questa riacquistò gradualmente il suo equilibrio, e lematerie liquefatte che erano nell'interno, le quali orariempirebbero i grandi bacini degli oceani, si abbassaro-

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La massa lunare è circa la cinquantesima parte diquella terrestre; un calcolo facilissimo ci dimostra che learee del Pacifico, dell'Atlantico e dell'Oceano Indiano,prese insieme, rappresentano circa due terzi del nostroglobo, questa estensione richiede uno spessore o profon-dità di circa quaranta miglia per fornire il materiale perla luna. Certo, dobbiamo presumere che vi fossero molteirregolarità nello spessore della crosta terrestre e nellasua rigidità relativa, e quando il momento critico vennee la terra non potè più a lungo contendere la sua protu-beranza equatoriale alla forza centrifuga dovuta alla ro-tazione, agevolata dalla ondulazione della marea internaprodotta dal sole, invece di un anello continuato che sistaccasse lentamente, la crosta, nel punto dove era piùdebole, potè dividersi in due o più masse immense, esiccome l'onda della marea passò attraverso la frattura,una quantità del liquido sottostante sgorgò fuori, e siriunì in una massa globosa a poca distanza dalla terra,continuando a roteare con essa per qualche tempo e conla stessa velocità. Ma poichè l'azione della marea è sem-pre eguale nelle parti opposte del globo, fu provocataun'altra eguale rottura, che formò, a quanto è lecito sup-porre, il bacino dell'Atlantico, che, come possiamo ve-dere sopra un piccolo mappamondo, si trova quasi esat-tamente opposto alla parte centrale del Pacifico. Appenaqueste due grandi masse si furono separate dalla terra,questa riacquistò gradualmente il suo equilibrio, e lematerie liquefatte che erano nell'interno, le quali orariempirebbero i grandi bacini degli oceani, si abbassaro-

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no ad un livello inferiore di qualche miglio dalla super-ficie, raffreddandosi tanto da formare una crosta sottile.La parte più grande della Luna che così si formavaavrebbe attirato a sè le altre parti più piccole, e così sisarebbe originato il nostro satellite. Da quel tempol'attrito delle maree, provocate tanto dal sole che dallaluna, avrebbe cominciato ad allungare gradualmente inostri giorni e più rapidamente i nostri mesi, come cispiega Robert Ball nel suo volume.

Riferiremo ancora un altro fenomeno egualmente im-portante, e che sembra confermare l'origine dei grandibacini oceanici. Nel libro di Osmond Fisher ci vienespiegato come le variazioni della forza di gravità inmolti punti del globo, siano stati determinati dalle osser-vazioni fatte per mezzo del pendolo, e come queste va-riazioni ci aiutino a misurare lo spessore della crosta so-lida, la quale ha un peso specifico minore dell'interno li-quefatto, sul quale si è formato. Con questo mezzo noiabbiamo ottenuto un risultato di molta importanza. Os-servando molte isole oceaniche, abbiamo potuto provareche la crosta che resta sotto l'oceano è considerevolmen-te più densa della crosta dei continenti, però è più sotti-le, e ciò ci fa supporre che la media della massa dellacrosta sottomarina eguagli quella della crosta continen-tale, ed è questa la ragione che mantiene la terra roteantein equilibrio. Ora, tanto la sottigliezza quanto la densitàcrescente della crosta terrestre ci sembrano molto benespiegate dalla teoria sull'origine dei bacini oceanici. Lanuova crosta doveva necessariamente rimanere per mol-

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no ad un livello inferiore di qualche miglio dalla super-ficie, raffreddandosi tanto da formare una crosta sottile.La parte più grande della Luna che così si formavaavrebbe attirato a sè le altre parti più piccole, e così sisarebbe originato il nostro satellite. Da quel tempol'attrito delle maree, provocate tanto dal sole che dallaluna, avrebbe cominciato ad allungare gradualmente inostri giorni e più rapidamente i nostri mesi, come cispiega Robert Ball nel suo volume.

Riferiremo ancora un altro fenomeno egualmente im-portante, e che sembra confermare l'origine dei grandibacini oceanici. Nel libro di Osmond Fisher ci vienespiegato come le variazioni della forza di gravità inmolti punti del globo, siano stati determinati dalle osser-vazioni fatte per mezzo del pendolo, e come queste va-riazioni ci aiutino a misurare lo spessore della crosta so-lida, la quale ha un peso specifico minore dell'interno li-quefatto, sul quale si è formato. Con questo mezzo noiabbiamo ottenuto un risultato di molta importanza. Os-servando molte isole oceaniche, abbiamo potuto provareche la crosta che resta sotto l'oceano è considerevolmen-te più densa della crosta dei continenti, però è più sotti-le, e ciò ci fa supporre che la media della massa dellacrosta sottomarina eguagli quella della crosta continen-tale, ed è questa la ragione che mantiene la terra roteantein equilibrio. Ora, tanto la sottigliezza quanto la densitàcrescente della crosta terrestre ci sembrano molto benespiegate dalla teoria sull'origine dei bacini oceanici. Lanuova crosta doveva necessariamente rimanere per mol-

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to tempo più sottile di quella antica, perchè formatasipiù tardi; però doveva divenire in poco tempo sufficien-temente fredda, tanto da permettere che i vapori acqueidell'atmosfera, che attraverso le fessure erano emessidall'interno liquefatto, si raccogliessero nei bacini ocea-nici, dove si raffreddavano rapidamente, acquistandouna temperatura e una pressione uniformi. Queste con-dizioni avrebbero cagionato un costante e continuo ac-crescersi dello spessore e una compattezza di strutturamaggiore che nelle aree continentali, nè si può menoma-mente dubitare che è a questa uniformità di condizioni,piuttosto che al diminuire della temperatura durante lamaggior parte delle epoche geologiche, fino a raggiun-gere soltanto qualche grado sopra lo zero, che noi dob-biamo la notevole consistenza dei vasti e profondi baci-ni oceanici, dai quali, come abbiamo veduto, dipende ingrande parte la vita terrestre.

Vi è ancora un altro fatto che appoggia in qualchemodo questa teoria sull'origine dei bacini dell'oceano ela loro quasi assoluta simmetria in rapporto con l'equa-tore. Tanto l'Atlantico che il Pacifico si estendono aduna eguale distanza, a nord e a sud della linea equatoria-le, eguaglianza che non poteva prodursi altrimenti cheper influenza diretta della rotazione della terra. I maripolari che confinano con i due grandi oceani sono moltomeno profondi, e non possono essere considerati comefacienti parte integrale dei bacini oceanici.

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to tempo più sottile di quella antica, perchè formatasipiù tardi; però doveva divenire in poco tempo sufficien-temente fredda, tanto da permettere che i vapori acqueidell'atmosfera, che attraverso le fessure erano emessidall'interno liquefatto, si raccogliessero nei bacini ocea-nici, dove si raffreddavano rapidamente, acquistandouna temperatura e una pressione uniformi. Queste con-dizioni avrebbero cagionato un costante e continuo ac-crescersi dello spessore e una compattezza di strutturamaggiore che nelle aree continentali, nè si può menoma-mente dubitare che è a questa uniformità di condizioni,piuttosto che al diminuire della temperatura durante lamaggior parte delle epoche geologiche, fino a raggiun-gere soltanto qualche grado sopra lo zero, che noi dob-biamo la notevole consistenza dei vasti e profondi baci-ni oceanici, dai quali, come abbiamo veduto, dipende ingrande parte la vita terrestre.

Vi è ancora un altro fatto che appoggia in qualchemodo questa teoria sull'origine dei bacini dell'oceano ela loro quasi assoluta simmetria in rapporto con l'equa-tore. Tanto l'Atlantico che il Pacifico si estendono aduna eguale distanza, a nord e a sud della linea equatoria-le, eguaglianza che non poteva prodursi altrimenti cheper influenza diretta della rotazione della terra. I maripolari che confinano con i due grandi oceani sono moltomeno profondi, e non possono essere considerati comefacienti parte integrale dei bacini oceanici.

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L'ACQUA REGOLATRICE DELLA TEMPERATURA.

L'importanza dell'acqua come regolatrice della tem-peratura sulla terra è tanto grande, che se anche essa esi-stesse sul nostro pianeta in quantità sufficiente da sop-perire a tutti i bisogni delle piante e degli animali, senzaperò formare i grandi oceani, è quasi certo che sul no-stro globo non si sarebbero originate nè mantenute levarie forme di vita che ora esistono.

L'effetto degli oceani è duplice. Dobbiamo al grandecalore specifico dell'acqua, cioè alla sua proprietà di as-sorbire il calore lentamente, ma in grande quantità, e diemetterlo con eguale lentezza, se la superficie delle ac-que dell'oceano e dei mari sono riscaldate dal sole, cosìche la sera di una calda giornata possiamo constatareche sono divenute del tutto calde anche ad una profondi-tà di parecchi piedi. L'aria possiede un calore specificominore di quello dell'acqua, tanto che un dato volumed'acqua, raffreddandosi di un grado, può riscaldare di ungrado quattro volumi eguali d'aria; ed essendo l'aria 770volte più leggera dell'acqua, ne viene che il calore pro-veniente da un piede cubo d'acqua, scalderà 3000 piedicubi d'aria. Perciò l'enorme superficie dei mari e deglioceani, la maggior parte dei quali si trova nei tropici,scalda la parte più densa e più bassa dell'aria, special-mente durante la notte, e questo calore è trasportato daiventi in tutte le parti del globo, mitigando in tal guisa ilclima. Un altro e ben spiccato effetto si deve alle grandicorrenti oceaniche, quali il Gulf-Stream e la corrente del

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L'ACQUA REGOLATRICE DELLA TEMPERATURA.

L'importanza dell'acqua come regolatrice della tem-peratura sulla terra è tanto grande, che se anche essa esi-stesse sul nostro pianeta in quantità sufficiente da sop-perire a tutti i bisogni delle piante e degli animali, senzaperò formare i grandi oceani, è quasi certo che sul no-stro globo non si sarebbero originate nè mantenute levarie forme di vita che ora esistono.

L'effetto degli oceani è duplice. Dobbiamo al grandecalore specifico dell'acqua, cioè alla sua proprietà di as-sorbire il calore lentamente, ma in grande quantità, e diemetterlo con eguale lentezza, se la superficie delle ac-que dell'oceano e dei mari sono riscaldate dal sole, cosìche la sera di una calda giornata possiamo constatareche sono divenute del tutto calde anche ad una profondi-tà di parecchi piedi. L'aria possiede un calore specificominore di quello dell'acqua, tanto che un dato volumed'acqua, raffreddandosi di un grado, può riscaldare di ungrado quattro volumi eguali d'aria; ed essendo l'aria 770volte più leggera dell'acqua, ne viene che il calore pro-veniente da un piede cubo d'acqua, scalderà 3000 piedicubi d'aria. Perciò l'enorme superficie dei mari e deglioceani, la maggior parte dei quali si trova nei tropici,scalda la parte più densa e più bassa dell'aria, special-mente durante la notte, e questo calore è trasportato daiventi in tutte le parti del globo, mitigando in tal guisa ilclima. Un altro e ben spiccato effetto si deve alle grandicorrenti oceaniche, quali il Gulf-Stream e la corrente del

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Giappone, che portano l'acqua calda dei tropici alle re-gioni temperate ed artiche, e in tal modo rendono abita-bili molte contrade, che altrimenti soffrirebbero troppo irigori di un inverno quasi artico. Queste correnti sonoperò dovute direttamente ai venti, ed appartengonoquindi ai beneficii dell'atmosfera.

L'altra azione eguagliatrice, che è dovuta principal-mente alla grande estensione degli oceani, è rappresen-tata dalla enorme evaporazione che avviene alla loro su-perficie, ed alla quale la terra deve quasi tutta la sua ac-qua, in forma di pioggia o di fiumi. È evidente che, senon vi fosse una sufficiente superficie liquida dalla qua-le potesse prodursi una quantità di vapore acqueo ba-stante a questo scopo, la terra si trasformerebbe gradata-mente in aride lande. Noi non sappiamo quanto sia ne-cessaria alla vita una estesa superficie d'acqua, ma sequesta prendesse il posto della superficie terrestre e vi-ceversa, ci sembra probabile che la maggior parte dellaterra diventerebbe inabitabile. Il vapore continuamenteprodotto ha inoltre l'importante effetto di equilibrare latemperatura, ma di questo ci occuperemo meglio e piùestesamente nel prossimo capitolo, che tratteràdell'atmosfera.

Vi sono delle cose che hanno una relazione direttacon la provvista d'acqua che la terra possiede, e il lororapporto con lo sviluppo della vita richiede qualchenota. Che cosa abbia determinato la presenza di tutta laquantità d'acqua sulla terra, come sugli altri pianeti, nonsi può ancora affermare, ma si presume che il fenomeno

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Giappone, che portano l'acqua calda dei tropici alle re-gioni temperate ed artiche, e in tal modo rendono abita-bili molte contrade, che altrimenti soffrirebbero troppo irigori di un inverno quasi artico. Queste correnti sonoperò dovute direttamente ai venti, ed appartengonoquindi ai beneficii dell'atmosfera.

L'altra azione eguagliatrice, che è dovuta principal-mente alla grande estensione degli oceani, è rappresen-tata dalla enorme evaporazione che avviene alla loro su-perficie, ed alla quale la terra deve quasi tutta la sua ac-qua, in forma di pioggia o di fiumi. È evidente che, senon vi fosse una sufficiente superficie liquida dalla qua-le potesse prodursi una quantità di vapore acqueo ba-stante a questo scopo, la terra si trasformerebbe gradata-mente in aride lande. Noi non sappiamo quanto sia ne-cessaria alla vita una estesa superficie d'acqua, ma sequesta prendesse il posto della superficie terrestre e vi-ceversa, ci sembra probabile che la maggior parte dellaterra diventerebbe inabitabile. Il vapore continuamenteprodotto ha inoltre l'importante effetto di equilibrare latemperatura, ma di questo ci occuperemo meglio e piùestesamente nel prossimo capitolo, che tratteràdell'atmosfera.

Vi sono delle cose che hanno una relazione direttacon la provvista d'acqua che la terra possiede, e il lororapporto con lo sviluppo della vita richiede qualchenota. Che cosa abbia determinato la presenza di tutta laquantità d'acqua sulla terra, come sugli altri pianeti, nonsi può ancora affermare, ma si presume che il fenomeno

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sia dovuto, in tutto o in parte, al fatto che la massa delpianeta è sufficiente per trattenere, con la sua forza digravità, l'ossigeno e l'idrogeno, elementi dei qualil'acqua è composta. Siccome i due gas si combinano fa-cilmente per formare l'acqua, ma invece non si possonoseparare che in condizioni speciali, la quantitàdell'acqua dipende dalla provvista d'idrogeno, il quale,allo stato libero, si trova raramente sulla terra. Il fattoimportante è che noi possediamo una così grande quan-tità d'acqua che, se la superficie del globo presentassedappertutto l'aspetto accidentato dei continenti, senza leimmense depressioni oceaniche, cioè, ma soltanto cate-ne di monti, l'acqua esistente potrebbe coprire tutto ilglobo per un'altezza di due miglia, lasciando emergeresoltanto le sommità delle montagne più alte, come pic-cole isole, tra le quali se ne noterebbe qualcuna piùgrande, formata da quel che è ora l'altipiano del Tibet ola catena delle Ande meridionali.

Noi non sappiamo vedere per qual ragione tale distri-buzione regolare dell'acqua alla superficie della terranon sia avvenuta, pare anzi probabile che il solo fattoche lo ha impedito sia stata la fortunata coincidenza del-la formazione dei grandi bacini oceanici. Per quanto ioabbia fatto delle ricerche, credo che nessuno abbia datouna sufficiente spiegazione di tale fenomeno, oltreOsmond Fisher, di cui riferirò l'opinione, e che fa dipen-dere il fenomeno da tre sole circostanze:

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sia dovuto, in tutto o in parte, al fatto che la massa delpianeta è sufficiente per trattenere, con la sua forza digravità, l'ossigeno e l'idrogeno, elementi dei qualil'acqua è composta. Siccome i due gas si combinano fa-cilmente per formare l'acqua, ma invece non si possonoseparare che in condizioni speciali, la quantitàdell'acqua dipende dalla provvista d'idrogeno, il quale,allo stato libero, si trova raramente sulla terra. Il fattoimportante è che noi possediamo una così grande quan-tità d'acqua che, se la superficie del globo presentassedappertutto l'aspetto accidentato dei continenti, senza leimmense depressioni oceaniche, cioè, ma soltanto cate-ne di monti, l'acqua esistente potrebbe coprire tutto ilglobo per un'altezza di due miglia, lasciando emergeresoltanto le sommità delle montagne più alte, come pic-cole isole, tra le quali se ne noterebbe qualcuna piùgrande, formata da quel che è ora l'altipiano del Tibet ola catena delle Ande meridionali.

Noi non sappiamo vedere per qual ragione tale distri-buzione regolare dell'acqua alla superficie della terranon sia avvenuta, pare anzi probabile che il solo fattoche lo ha impedito sia stata la fortunata coincidenza del-la formazione dei grandi bacini oceanici. Per quanto ioabbia fatto delle ricerche, credo che nessuno abbia datouna sufficiente spiegazione di tale fenomeno, oltreOsmond Fisher, di cui riferirò l'opinione, e che fa dipen-dere il fenomeno da tre sole circostanze:

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1. Dalla formazione di un satellite in un periodo mol-to remoto dello sviluppo del pianeta, quando la sua cro-sta aveva acquistato già un certo spessore.

2. Dal fatto che il satellite era molto più grande, inproporzione del corpo che gli diede origine, di qualun-que altro del sistema solare.

3. Dalla causa che produsse questo satellite, cioè lospaccarsi del pianeta per la rapidissima rotazione, com-binata con le maree provocate dal sole nel suo fluido in-terno, e con un grado di oscillazione di questo fluido in-terno coincidente col periodo della marea32.

Io non sono abbastanza profondo in matematica pergiudicare se questa teoria dell'origine della luna sia giu-stificata, e se la spiegazione del modo col quale si sonoformati i grandi bacini oceanici sia esatta. La teoria del-la marea sull'origine della luna, spiegata matematica-mente dal prof. G. H. Darwin, è stata appoggiata da sirRobert Ball ed accettata da molti astronomi; d'altro can-to le ricerche del rev. Osmond Fisher intorno alla Phy-sics of the Earth's Crust, insieme con la sua dottrina ma-tematica e coi suoi lavori sperimentali come geologo,dànno alla sua opinione sull'origine dei bacini oceanicimolto valore e molta importanza. Come abbiamo vedu-to, l'esistenza di questi vasti e profondi bacini oceanici,prodotti da una serie di eventi così strani da essere addi-rittura unici nel sistema solare, rappresenta una parte

32 Il prof. G. H. Darwin dice che è quasi certo che nessun altrosatellite, come nessun altro pianeta, ebbe la stessa origine dellaluna.

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1. Dalla formazione di un satellite in un periodo mol-to remoto dello sviluppo del pianeta, quando la sua cro-sta aveva acquistato già un certo spessore.

2. Dal fatto che il satellite era molto più grande, inproporzione del corpo che gli diede origine, di qualun-que altro del sistema solare.

3. Dalla causa che produsse questo satellite, cioè lospaccarsi del pianeta per la rapidissima rotazione, com-binata con le maree provocate dal sole nel suo fluido in-terno, e con un grado di oscillazione di questo fluido in-terno coincidente col periodo della marea32.

Io non sono abbastanza profondo in matematica pergiudicare se questa teoria dell'origine della luna sia giu-stificata, e se la spiegazione del modo col quale si sonoformati i grandi bacini oceanici sia esatta. La teoria del-la marea sull'origine della luna, spiegata matematica-mente dal prof. G. H. Darwin, è stata appoggiata da sirRobert Ball ed accettata da molti astronomi; d'altro can-to le ricerche del rev. Osmond Fisher intorno alla Phy-sics of the Earth's Crust, insieme con la sua dottrina ma-tematica e coi suoi lavori sperimentali come geologo,dànno alla sua opinione sull'origine dei bacini oceanicimolto valore e molta importanza. Come abbiamo vedu-to, l'esistenza di questi vasti e profondi bacini oceanici,prodotti da una serie di eventi così strani da essere addi-rittura unici nel sistema solare, rappresenta una parte

32 Il prof. G. H. Darwin dice che è quasi certo che nessun altrosatellite, come nessun altro pianeta, ebbe la stessa origine dellaluna.

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importante nell'aver reso la terra atta allo sviluppo delleforme più perfette della vita animale, e non sembra im-probabile che, senza di essi, le condizioni sarebbero sta-te tali da rendere qualsiasi forma della vita terrestre dif-ficilmente possibile.

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importante nell'aver reso la terra atta allo sviluppo delleforme più perfette della vita animale, e non sembra im-probabile che, senza di essi, le condizioni sarebbero sta-te tali da rendere qualsiasi forma della vita terrestre dif-ficilmente possibile.

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CAPITOLO XIII.LA TERRA IN RELAZIONE CON

LA VITA.CONDIZIONI ATMOSFERICHE.

Abbiamo veduto, nel decimo capitolo, che la base fi-sica della vita, il protoplasma, è composto di quattroelementi: ossigeno, azoto, idrogeno e carbonio; e chetanto le piante quanto gli animali assorbono in grandecopia l'ossigeno libero dell'aria per associarlo nel loroprocesso vitale, mentre l'acido carbonico e l'ammoniacache si trovano nell'atmosfera sembrano destinati esclusi-vamente alle piante. È impossibile affermare se la vitaavesse potuto originarsi e svilupparsi con un'atmosferacomposta di elementi diversi, ma certe sue condizionifisiche sembrano assolutamente indispensabili, qualun-que siano gli elementi di cui potrebbe essere composta.La prima di queste condizioni è che l'atmosfera che sitrova alla superficie del pianeta abbia una data densitàed una certa massa, così da non esser troppo tenue per

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CAPITOLO XIII.LA TERRA IN RELAZIONE CON

LA VITA.CONDIZIONI ATMOSFERICHE.

Abbiamo veduto, nel decimo capitolo, che la base fi-sica della vita, il protoplasma, è composto di quattroelementi: ossigeno, azoto, idrogeno e carbonio; e chetanto le piante quanto gli animali assorbono in grandecopia l'ossigeno libero dell'aria per associarlo nel loroprocesso vitale, mentre l'acido carbonico e l'ammoniacache si trovano nell'atmosfera sembrano destinati esclusi-vamente alle piante. È impossibile affermare se la vitaavesse potuto originarsi e svilupparsi con un'atmosferacomposta di elementi diversi, ma certe sue condizionifisiche sembrano assolutamente indispensabili, qualun-que siano gli elementi di cui potrebbe essere composta.La prima di queste condizioni è che l'atmosfera che sitrova alla superficie del pianeta abbia una data densitàed una certa massa, così da non esser troppo tenue per

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compiere le sue varie funzioni a tutte le altitudini dovesi trova una considerevole estensione di terra.

Ciò che determina la quantità di materia gassosa sullasuperficie di un pianeta è principalmente la sua massa,assieme con la temperatura media della sua superficie.Le molecole dei gas sono in istato di rapido movimentoin tutte le direzioni, e quelle dei gas più leggeri hannoun moto più rapido ancora. La velocità media delle mo-lecole è stata grossolanamente determinata sotto variecondizioni di pressione e di temperatura, ed anche ilprobabile maximum e minimum della loro velocità, e daquesti dati e da certi fatti conosciuti circa le atmosfereplanetarie, G. Johnstone Stoney, membro della R. Socie-tà, ha calcolato quali gas sfuggirebbero dall'atmosferadella terra e degli altri pianeti. Egli afferma che tutti igas che costituiscono l'atmosfera hanno relativamenteminor velocità molecolare di movimento, e che la forzadi gravità esistente ai limiti superiori dell'atmosfera ter-restre è più che sufficiente per trattenerli; ed ecco il per-chè della stabilità della sua composizione. Vi sono altridue gas, idrogeno ed helium, ambidue presentinell'atmosfera, ma essi non vi si trovano mai in quantitàsufficiente per esser misurata, ed hanno tanto movimen-to molecolare da potere sfuggire. Per ciò che riguardal'idrogeno, se la terra fosse più grande e di una massamaggiore di quello che è, così da trattenere l'idrogeno,le conseguenze sarebbero disastrose, perchè quando unaquantità di questo gas si fosse accumulata, formerebbecoll'ossigeno dell'atmosfera un composto esplosivo, ed

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compiere le sue varie funzioni a tutte le altitudini dovesi trova una considerevole estensione di terra.

Ciò che determina la quantità di materia gassosa sullasuperficie di un pianeta è principalmente la sua massa,assieme con la temperatura media della sua superficie.Le molecole dei gas sono in istato di rapido movimentoin tutte le direzioni, e quelle dei gas più leggeri hannoun moto più rapido ancora. La velocità media delle mo-lecole è stata grossolanamente determinata sotto variecondizioni di pressione e di temperatura, ed anche ilprobabile maximum e minimum della loro velocità, e daquesti dati e da certi fatti conosciuti circa le atmosfereplanetarie, G. Johnstone Stoney, membro della R. Socie-tà, ha calcolato quali gas sfuggirebbero dall'atmosferadella terra e degli altri pianeti. Egli afferma che tutti igas che costituiscono l'atmosfera hanno relativamenteminor velocità molecolare di movimento, e che la forzadi gravità esistente ai limiti superiori dell'atmosfera ter-restre è più che sufficiente per trattenerli; ed ecco il per-chè della stabilità della sua composizione. Vi sono altridue gas, idrogeno ed helium, ambidue presentinell'atmosfera, ma essi non vi si trovano mai in quantitàsufficiente per esser misurata, ed hanno tanto movimen-to molecolare da potere sfuggire. Per ciò che riguardal'idrogeno, se la terra fosse più grande e di una massamaggiore di quello che è, così da trattenere l'idrogeno,le conseguenze sarebbero disastrose, perchè quando unaquantità di questo gas si fosse accumulata, formerebbecoll'ossigeno dell'atmosfera un composto esplosivo, ed

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uno sprazzo di luce o una piccola fiamma cagionerebbe-ro una esplosione così violenta e distruggitrice, tale darender forse il nostro pianeta non più adatto allo svilup-po della vita. Ci sembra, dunque, che ad una massa piut-tosto limitata corrisponda un più sicuro grado di abitabi-lità, meno forse in certi pianeti, ove l'idrogeno liberonon sia continuamente rifornito.

Le funzioni meccaniche più importanti dell'atmosfe-ra, dipendenti dalla sua densità, sono forse le seguenti:1. La produzione dei venti, i quali in molti modi procu-rano l'eguaglianza della temperatura e le correnti dellasuperficie dell'oceano. 2. La distribuzione dell'umiditàsopra la terra, per mezzo delle nuvole, le quali hannoancora un'altra importante funzione.

I venti dipendono principalmente dalla distribuzionelocale del calore nell'aria, specialmente nella zona equa-toriale, dove il calore, costantemente presente, sale adun alto grado, cosa da attribuirsi al sole, che a mezzo-giorno si trova in quei luoghi quasi in posizione vertica-le, come avviene nei tropici una volta l'anno, con giornilunghi e di una temperatura eguale a quella dell'equato-re, producendo altresì quella continua cintura di aridelande o deserti che circondano quasi interamente il glo-bo nelle regioni tropicali. L'aria riscaldata essendo piùleggera, l'aria più fredda delle zone temperate scorrecontinuamente verso di essa, spingendola in su e deter-minando dei reflussi verso il nord e verso il sud. Ma sequesto flusso si muove da un'area di meno rapida rota-zione, dirigendosi verso un'altra di rotazione più rapida,

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uno sprazzo di luce o una piccola fiamma cagionerebbe-ro una esplosione così violenta e distruggitrice, tale darender forse il nostro pianeta non più adatto allo svilup-po della vita. Ci sembra, dunque, che ad una massa piut-tosto limitata corrisponda un più sicuro grado di abitabi-lità, meno forse in certi pianeti, ove l'idrogeno liberonon sia continuamente rifornito.

Le funzioni meccaniche più importanti dell'atmosfe-ra, dipendenti dalla sua densità, sono forse le seguenti:1. La produzione dei venti, i quali in molti modi procu-rano l'eguaglianza della temperatura e le correnti dellasuperficie dell'oceano. 2. La distribuzione dell'umiditàsopra la terra, per mezzo delle nuvole, le quali hannoancora un'altra importante funzione.

I venti dipendono principalmente dalla distribuzionelocale del calore nell'aria, specialmente nella zona equa-toriale, dove il calore, costantemente presente, sale adun alto grado, cosa da attribuirsi al sole, che a mezzo-giorno si trova in quei luoghi quasi in posizione vertica-le, come avviene nei tropici una volta l'anno, con giornilunghi e di una temperatura eguale a quella dell'equato-re, producendo altresì quella continua cintura di aridelande o deserti che circondano quasi interamente il glo-bo nelle regioni tropicali. L'aria riscaldata essendo piùleggera, l'aria più fredda delle zone temperate scorrecontinuamente verso di essa, spingendola in su e deter-minando dei reflussi verso il nord e verso il sud. Ma sequesto flusso si muove da un'area di meno rapida rota-zione, dirigendosi verso un'altra di rotazione più rapida,

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allora il corso d'aria diverge e produce i venti alisei delnord-est e del sud-est; e se questa inondazione d'aria chesi muove dall'equatore, avanzandosi verso un'area dimeno rapida rotazione, si dirige verso ponente, producei venti del sud-ovest tanto prevalenti al nord dell'Atlanti-co, e generalmente a nord delle zone temperate e nelnord-ovest dell'emisfero meridionale.

È fuori la zona degli uniformi venti alisei e nella re-gione a pochi gradi da ciascun lato dai tropici, che pre-valgono le procelle e i tifoni. Questi sono enormi turbinidi vento dovuti all'eccessivo calore dell'atmosfera dellearide regioni che abbiamo rammentate, che determinal'irrompere dell'aria fredda da varie direzioni, e produceun movimento rotatorio che aumenta rapidamente, fin-chè non si sia ristabilito l'equilibrio. Le procelle delleIndie Occidentali e dell'isola Maurizio, come i tifoni deimari orientali, si riannodano a questa causa; e taluni diessi sono così violenti che nessuna costruzionedell'uomo può resistere, e gli alberi più grossi e più vi-gorosi sono troncati, ridotti in pezzi da essi. Ma se lanostra atmosfera fosse più densa di quello che è, il suopotere distruttivo sarebbe ancor più grande, e se si ag-giungesse ad essa una maggior quantità di calore solare,sia per una posizione più vicina al sole, sia a causa di unsole di maggiori dimensioni, che tramandasse quindimaggior calore, queste tempeste potrebbero esser cosìviolente e così frequenti, da rendere una parte conside-revole della terra assolutamente inabitabile.

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allora il corso d'aria diverge e produce i venti alisei delnord-est e del sud-est; e se questa inondazione d'aria chesi muove dall'equatore, avanzandosi verso un'area dimeno rapida rotazione, si dirige verso ponente, producei venti del sud-ovest tanto prevalenti al nord dell'Atlanti-co, e generalmente a nord delle zone temperate e nelnord-ovest dell'emisfero meridionale.

È fuori la zona degli uniformi venti alisei e nella re-gione a pochi gradi da ciascun lato dai tropici, che pre-valgono le procelle e i tifoni. Questi sono enormi turbinidi vento dovuti all'eccessivo calore dell'atmosfera dellearide regioni che abbiamo rammentate, che determinal'irrompere dell'aria fredda da varie direzioni, e produceun movimento rotatorio che aumenta rapidamente, fin-chè non si sia ristabilito l'equilibrio. Le procelle delleIndie Occidentali e dell'isola Maurizio, come i tifoni deimari orientali, si riannodano a questa causa; e taluni diessi sono così violenti che nessuna costruzionedell'uomo può resistere, e gli alberi più grossi e più vi-gorosi sono troncati, ridotti in pezzi da essi. Ma se lanostra atmosfera fosse più densa di quello che è, il suopotere distruttivo sarebbe ancor più grande, e se si ag-giungesse ad essa una maggior quantità di calore solare,sia per una posizione più vicina al sole, sia a causa di unsole di maggiori dimensioni, che tramandasse quindimaggior calore, queste tempeste potrebbero esser cosìviolente e così frequenti, da rendere una parte conside-revole della terra assolutamente inabitabile.

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I costanti e uniformi venti alisei compiono una impor-tantissima funzione, provocando quelle grandi correntioceaniche che tanto contribuiscono all'equilibrio dellatemperatura. Il Gulf Stream è per noi la più importantedi queste correnti, perchè rappresenta la parte principalenel mantenere il clima mite di cui noi e tutta l'EuropaOccidentale godiamo, clima che regna anche ad unaconsiderevole distanza al di là del circolo artico. Questacorrente e quella del Giappone, che compie lo stesso uf-ficio in tutte le regioni temperate settentrionali del Paci-fico, rendono una grande parte del globo meglio adattaalla vita organica, di quel che sarebbe senza queste be-nefiche influenze.

Noi dobbiamo queste correnti regolatrici quasi deltutto alla configurazione e alla posizione dei continenti,e specialmente al fatto che essi sono così situati, da la-sciare un vasto spazio di oceano lungo la zona equato-riale, dilungandosi invece a nord e a sud verso le regioniartiche e antartiche. Se la medesima estensione di terra,i continenti cioè, fossero stati diversamente raggruppati,in modo da occupare, per esempio, una parte considere-vole degli oceani equatoriali – e tale sarebbe il caso, sel'Africa si allargasse tanto da raggiungere il Sud Ameri-ca, e se l'Asia si spingesse verso il sud-est, così da occu-pare una parte del Pacifico equatoriale – allora le grandicorrenti oceaniche sarebbero state o troppo deboli ofors'anco non sarebbero esistite. Senza queste correnti lezone temperate, tanto del nord che del sud, sarebberostate coperte di ghiaccio, mentre nelle parti più estese

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I costanti e uniformi venti alisei compiono una impor-tantissima funzione, provocando quelle grandi correntioceaniche che tanto contribuiscono all'equilibrio dellatemperatura. Il Gulf Stream è per noi la più importantedi queste correnti, perchè rappresenta la parte principalenel mantenere il clima mite di cui noi e tutta l'EuropaOccidentale godiamo, clima che regna anche ad unaconsiderevole distanza al di là del circolo artico. Questacorrente e quella del Giappone, che compie lo stesso uf-ficio in tutte le regioni temperate settentrionali del Paci-fico, rendono una grande parte del globo meglio adattaalla vita organica, di quel che sarebbe senza queste be-nefiche influenze.

Noi dobbiamo queste correnti regolatrici quasi deltutto alla configurazione e alla posizione dei continenti,e specialmente al fatto che essi sono così situati, da la-sciare un vasto spazio di oceano lungo la zona equato-riale, dilungandosi invece a nord e a sud verso le regioniartiche e antartiche. Se la medesima estensione di terra,i continenti cioè, fossero stati diversamente raggruppati,in modo da occupare, per esempio, una parte considere-vole degli oceani equatoriali – e tale sarebbe il caso, sel'Africa si allargasse tanto da raggiungere il Sud Ameri-ca, e se l'Asia si spingesse verso il sud-est, così da occu-pare una parte del Pacifico equatoriale – allora le grandicorrenti oceaniche sarebbero state o troppo deboli ofors'anco non sarebbero esistite. Senza queste correnti lezone temperate, tanto del nord che del sud, sarebberostate coperte di ghiaccio, mentre nelle parti più estese

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dei continenti sarebbe regnato invece un caldo così in-tenso, da impedire lo sviluppo delle più alte forme dellavita animale, della quale abbiamo considerato, nei capi-toli X e XI, la delicatezza del meccanismo e gli stretti li-miti di temperatura in cui è possibile.

Sembra dunque che non vi siano ragioni plausibili perdiscutere della opportunità della distribuzione dei mari edella terra, se non per constatare le eccezionali condi-zioni che originarono il nostro satellite, sul quale si for-marono in tal guisa degli immensi vani lungo le regioniequatoriali, dove la forza centrifuga, come le internemaree provocate dal sole, avevano maggiore intensità, edove fu inevitabile che la crosta sottile si rompesse. Mapoichè le autorità scientifiche più competenti dichiaranoche nulla indica una simile origine per i satelliti degli al-tri pianeti, tutta la serie delle condizioni favorevoli allavita che si constatano sulla terra diventa sempre più me-ravigliosa.

LE NUVOLE, LORO IMPORTANZA E LORO CAUSE.

Pochi sono quelli che si fanno un adeguato concettodella vera natura delle nuvole, e della importante in-fluenza che esse hanno nell'abitabilità del nostro mondo.

In media la quantità di pioggia che cade sugli oceaniè molto minore che sulla terra, perchè su tutte le regioniove regnano i venti alisei splende generalmente un cielo

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dei continenti sarebbe regnato invece un caldo così in-tenso, da impedire lo sviluppo delle più alte forme dellavita animale, della quale abbiamo considerato, nei capi-toli X e XI, la delicatezza del meccanismo e gli stretti li-miti di temperatura in cui è possibile.

Sembra dunque che non vi siano ragioni plausibili perdiscutere della opportunità della distribuzione dei mari edella terra, se non per constatare le eccezionali condi-zioni che originarono il nostro satellite, sul quale si for-marono in tal guisa degli immensi vani lungo le regioniequatoriali, dove la forza centrifuga, come le internemaree provocate dal sole, avevano maggiore intensità, edove fu inevitabile che la crosta sottile si rompesse. Mapoichè le autorità scientifiche più competenti dichiaranoche nulla indica una simile origine per i satelliti degli al-tri pianeti, tutta la serie delle condizioni favorevoli allavita che si constatano sulla terra diventa sempre più me-ravigliosa.

LE NUVOLE, LORO IMPORTANZA E LORO CAUSE.

Pochi sono quelli che si fanno un adeguato concettodella vera natura delle nuvole, e della importante in-fluenza che esse hanno nell'abitabilità del nostro mondo.

In media la quantità di pioggia che cade sugli oceaniè molto minore che sulla terra, perchè su tutte le regioniove regnano i venti alisei splende generalmente un cielo

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senza nuvole e quindi cade poca pioggia, ma nella zonadi calma che intercede fra quelli, cioè presso l'equatore,il cielo è nuvoloso e le pioggie frequenti. Ciò si devealla temperatura più elevata, per cui l'aria umida che sitrova alla superficie dell'oceano viene portata in sudall'aria fresca più pesante del nord e del sud in regionipiù fredde, dove non esiste vapor acqueo in gran quanti-tà; quivi l'umidità si condensa e cade in pioggia. Gene-ralmente, dove i venti soffiano sopra grandi estensionidi acqua o di terra, specialmente se vi sono monti o alti-piani molto elevati a causa dei quali l'aria pesante edumida raggiunge altezze dove la temperatura è più bas-sa, si formano le nuvole, e la pioggia cade più o menoabbondante. Ma se il terreno è di natura arido e molto ri-scaldato dal sole, l'aria diviene capace di trattenere mag-gior quantità di vapore acqueo, ed anche dense nuvoledi pioggia, che si disperdono senza che cada una solagoccia. Per queste semplici cause che agiscono sullagrande area marina, che sul nostro globo supera quellaterrestre, la maggior parte dalla superficie della terra èprovvista d'acqua dalla pioggia, la quale, cadendo moltopiù abbondantemente nei luoghi elevati, e perciò piùfreddi, s'infiltra nel suolo, per poi ricomparire in innu-merevoli sorgenti e ruscelletti, che bagnano e abbelli-scono la terra, e indi, riunendosi, formano i grandi fiu-mi, che ritornano al mare donde ebbero origine.

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senza nuvole e quindi cade poca pioggia, ma nella zonadi calma che intercede fra quelli, cioè presso l'equatore,il cielo è nuvoloso e le pioggie frequenti. Ciò si devealla temperatura più elevata, per cui l'aria umida che sitrova alla superficie dell'oceano viene portata in sudall'aria fresca più pesante del nord e del sud in regionipiù fredde, dove non esiste vapor acqueo in gran quanti-tà; quivi l'umidità si condensa e cade in pioggia. Gene-ralmente, dove i venti soffiano sopra grandi estensionidi acqua o di terra, specialmente se vi sono monti o alti-piani molto elevati a causa dei quali l'aria pesante edumida raggiunge altezze dove la temperatura è più bas-sa, si formano le nuvole, e la pioggia cade più o menoabbondante. Ma se il terreno è di natura arido e molto ri-scaldato dal sole, l'aria diviene capace di trattenere mag-gior quantità di vapore acqueo, ed anche dense nuvoledi pioggia, che si disperdono senza che cada una solagoccia. Per queste semplici cause che agiscono sullagrande area marina, che sul nostro globo supera quellaterrestre, la maggior parte dalla superficie della terra èprovvista d'acqua dalla pioggia, la quale, cadendo moltopiù abbondantemente nei luoghi elevati, e perciò piùfreddi, s'infiltra nel suolo, per poi ricomparire in innu-merevoli sorgenti e ruscelletti, che bagnano e abbelli-scono la terra, e indi, riunendosi, formano i grandi fiu-mi, che ritornano al mare donde ebbero origine.

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NUVOLE E PIOGGIA DIPENDONO DAL PULVISCOLODELL'ATMOSFERA.

Il magnifico sistema della circolazione dell'acqua chesi compie per mezzo dell'atmosfera, come abbiamo disopra accennato, pareva del tutto spiegato e non si cre-deva che il suo processo richiedesse ulteriori schiari-menti, ma circa venticinque anni or sono fu fatto un cu-rioso esperimento che dimostrò come esista in tale pro-cesso un altro agente, che era rimasto totalmente inos-servato. Se immettiamo un sottile getto di vapore in duegrandi recipienti di vetro, uno pieno di aria ordinaria,l'altro d'aria filtrata attraverso uno strato di bambagia,che impedisce il passaggio ad ogni particella di materiasolida, vedremo il primo recipiente empirsi subito di undenso vapore dall'aspetto nuvoloso, mentre nell'altro re-cipiente l'aria ed il vapore rimarranno perfettamente tra-sparenti ed invisibili. Un altro esperimento si può fareper imitare il più che sia possibile ciò che avviene in na-tura. I due recipienti sono preparati allo stesso modo,ma in ciascuno di essi si pone una piccola quantitàd'acqua, aspettando l'evaporazione finchè l'aria non siasatura di vapore che rimane in ambedue invisibile. I vasivengono quindi leggermente raffreddati, e sùbito unadensa nuvola si forma in quello pieno d'aria non filtrata,mentre l'altro rimane perfettamente trasparente. Questiesperimenti provano che il semplice raffreddarsidell'aria sotto la temperatura della rugiada non bastaperchè i vapori acquei si condensino in gocce, così da

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NUVOLE E PIOGGIA DIPENDONO DAL PULVISCOLODELL'ATMOSFERA.

Il magnifico sistema della circolazione dell'acqua chesi compie per mezzo dell'atmosfera, come abbiamo disopra accennato, pareva del tutto spiegato e non si cre-deva che il suo processo richiedesse ulteriori schiari-menti, ma circa venticinque anni or sono fu fatto un cu-rioso esperimento che dimostrò come esista in tale pro-cesso un altro agente, che era rimasto totalmente inos-servato. Se immettiamo un sottile getto di vapore in duegrandi recipienti di vetro, uno pieno di aria ordinaria,l'altro d'aria filtrata attraverso uno strato di bambagia,che impedisce il passaggio ad ogni particella di materiasolida, vedremo il primo recipiente empirsi subito di undenso vapore dall'aspetto nuvoloso, mentre nell'altro re-cipiente l'aria ed il vapore rimarranno perfettamente tra-sparenti ed invisibili. Un altro esperimento si può fareper imitare il più che sia possibile ciò che avviene in na-tura. I due recipienti sono preparati allo stesso modo,ma in ciascuno di essi si pone una piccola quantitàd'acqua, aspettando l'evaporazione finchè l'aria non siasatura di vapore che rimane in ambedue invisibile. I vasivengono quindi leggermente raffreddati, e sùbito unadensa nuvola si forma in quello pieno d'aria non filtrata,mentre l'altro rimane perfettamente trasparente. Questiesperimenti provano che il semplice raffreddarsidell'aria sotto la temperatura della rugiada non bastaperchè i vapori acquei si condensino in gocce, così da

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formare nebbie o nuvole, ma bisogna altresì che piccoleparticelle di materia solida o liquida si trovino presenti,per offrire dei nuclei attorno ai quali la condensazione siinizi. Perciò la densità di una nuvola dipenderà, non sol-tanto dalla quantità di vapore che si trova nell'atmosfera,ma altresì dalla presenza di numerose e minute particel-le di pulviscolo, sulle quali possa avvenire la condensa-zione.

Che questo pulviscolo esista ovunque nell'aria, anchealle più grandi altezze, non è una supposizione, ma unfatto inoppugnabile. Esponendo dischi di cristallo untidi glicerina in differenti luoghi e ad altitudini diverse, siè potuto calcolare il numero di queste particelle conte-nute in ciascun piede cubo d'aria, ed è stato trovato che,non soltanto esse esistono dappertutto a un basso livello,ma anche, e in numero considerevole, sopra le vette del-le più alte montagne. Queste solide particelle agisconoanche in un'altra guisa: nelle regioni elevate dell'atmo-sfera esse diventano freddissime per irradiamento, e cosìcondensano col loro contatto il vapor d'acqua, appuntocome lo condensano gli steli dell'erba quando si formala rugiada.

Quando il vapore esce da una macchina, vediamo unadensa nube bianca, una vera nuvola in miniatura, e senoi siamo vicini ad essa durante un tempo freddo edumido, sentiamo delle piccole gocce d'acqua, provenien-ti da essa, caderci sul viso, ma se è una giornata calda,la nube immediatamente si eleva e sparisce completa-mente. La stessa cosa, ma su più larga scala, avviene in

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formare nebbie o nuvole, ma bisogna altresì che piccoleparticelle di materia solida o liquida si trovino presenti,per offrire dei nuclei attorno ai quali la condensazione siinizi. Perciò la densità di una nuvola dipenderà, non sol-tanto dalla quantità di vapore che si trova nell'atmosfera,ma altresì dalla presenza di numerose e minute particel-le di pulviscolo, sulle quali possa avvenire la condensa-zione.

Che questo pulviscolo esista ovunque nell'aria, anchealle più grandi altezze, non è una supposizione, ma unfatto inoppugnabile. Esponendo dischi di cristallo untidi glicerina in differenti luoghi e ad altitudini diverse, siè potuto calcolare il numero di queste particelle conte-nute in ciascun piede cubo d'aria, ed è stato trovato che,non soltanto esse esistono dappertutto a un basso livello,ma anche, e in numero considerevole, sopra le vette del-le più alte montagne. Queste solide particelle agisconoanche in un'altra guisa: nelle regioni elevate dell'atmo-sfera esse diventano freddissime per irradiamento, e cosìcondensano col loro contatto il vapor d'acqua, appuntocome lo condensano gli steli dell'erba quando si formala rugiada.

Quando il vapore esce da una macchina, vediamo unadensa nube bianca, una vera nuvola in miniatura, e senoi siamo vicini ad essa durante un tempo freddo edumido, sentiamo delle piccole gocce d'acqua, provenien-ti da essa, caderci sul viso, ma se è una giornata calda,la nube immediatamente si eleva e sparisce completa-mente. La stessa cosa, ma su più larga scala, avviene in

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natura. Quando è bel tempo vediamo abbondanti nuvo-loni continuamente passare sopra la nostra testa, eppurenon piove, perchè le piccole gocciole d'acqua scendonolentamente verso la terra e l'aria calda e secca li riducenuovamente e continuamente in vapore invisibile.Quando è bel tempo inoltre spesso vediamo una piccolanuvola sopra la vetta di qualche montagna, dove rimanestazionaria per un tempo assai lungo, anche se la brezzatira abbastanza forte. La vetta della montagna è più fred-da dell'aria che la circonda ed i vapori invisibili si con-densano in nuvole, passando sopra di essa; ma se questenuvole sono trasportate oltre la sommità, in un'aria piùsecca e più calda, nuovamente svaporano e scompari-scono. Sul monte della Tavola, presso il Capo di BuonaSperanza, questo fenomeno che avviene su vasta scala èstato chiamato la tovaglia della tavola: la massa di tuttala nuvola fioccosa par che sia attaccata un po' al di sottodel picco del monte, dove rimane, stazionaria, anche perpiù mesi, mentre all'intorno di essa il cielo è azzurro e ilsole risplende.

Un altro fenomeno che indica la presenza della polve-re atmosferica dappertutto, fino ad un'enorme altezza, èil colore azzurro del cielo. Questo colore è prodotto dal-le particelle di polvere eccessivamente piccole sospesenell'aria fino ad una grande altezza, probabilmente an-che a venti, trenta o più miglia, le quali riflettono soltan-to la luce della breve onda luminosa della linea azzurradello spettro; e anche questo è stato dimostrato speri-mentalmente. Se un cilindro di vetro lungo qualche pie-

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natura. Quando è bel tempo vediamo abbondanti nuvo-loni continuamente passare sopra la nostra testa, eppurenon piove, perchè le piccole gocciole d'acqua scendonolentamente verso la terra e l'aria calda e secca li riducenuovamente e continuamente in vapore invisibile.Quando è bel tempo inoltre spesso vediamo una piccolanuvola sopra la vetta di qualche montagna, dove rimanestazionaria per un tempo assai lungo, anche se la brezzatira abbastanza forte. La vetta della montagna è più fred-da dell'aria che la circonda ed i vapori invisibili si con-densano in nuvole, passando sopra di essa; ma se questenuvole sono trasportate oltre la sommità, in un'aria piùsecca e più calda, nuovamente svaporano e scompari-scono. Sul monte della Tavola, presso il Capo di BuonaSperanza, questo fenomeno che avviene su vasta scala èstato chiamato la tovaglia della tavola: la massa di tuttala nuvola fioccosa par che sia attaccata un po' al di sottodel picco del monte, dove rimane, stazionaria, anche perpiù mesi, mentre all'intorno di essa il cielo è azzurro e ilsole risplende.

Un altro fenomeno che indica la presenza della polve-re atmosferica dappertutto, fino ad un'enorme altezza, èil colore azzurro del cielo. Questo colore è prodotto dal-le particelle di polvere eccessivamente piccole sospesenell'aria fino ad una grande altezza, probabilmente an-che a venti, trenta o più miglia, le quali riflettono soltan-to la luce della breve onda luminosa della linea azzurradello spettro; e anche questo è stato dimostrato speri-mentalmente. Se un cilindro di vetro lungo qualche pie-

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de viene riempito d'aria pura, dalla quale sono state toltetutte le particelle di polvere per mezzo del filtro, e fa-cendola passare sopra un filo di platino scaldato al colorrosso, un raggio di luce elettrica che traversi il cilindrone lascierà l'interno completamente oscuro, se guardatolateralmente, perchè la luce, traversandolo in linea retta,non illumina l'aria. Ma se invece un po' d'aria è passataper il filtro con tanta rapidità da permetterle di portarseco tutte le particelle di polvere più minute, il cilindrocomincerà a riempirsi di una luce turchiniccia, che apoco a poco prenderà il più bel colore azzurro, eguale aquello che ammiriamo nel firmamento. Se poi si sosti-tuisce all'aria filtrata, aria non filtrata, il colore turchinose ne va e la luce solita del giorno lo sostituisce.

Anche l'ossigeno liquido è turchiniccio, e molte per-sone hanno supposto che ciò possa spiegare il colore az-zurro del cielo. Ma su ciò non vi è di certo possibile di-scussione, perchè il colore turchino dell'ossigeno liquidodiventa molto sbiadito nel gas, il quale è attenuato anchedall'azoto incolore, e non può, per conseguenza, esserepercettibile nello spessore della nostra atmosfera. Eavesse pure una tinta turchina percettibile, noi non po-tremmo scorgerla per l'oscurità dello spazio che resta aldi là di esso, però gli oggetti bianchi veduti attraverso diesso, per esempio le nuvole e la luna, ci apparirebberoazzurri, cosa che non avviene. Il colorito azzurro chenoi vediamo nel cielo è luce riflessa, e siccome l'ariapura è affatto trasparente, debbono esistere particelle so-lide o liquide, così piccole da riflettere soltanto la luce

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de viene riempito d'aria pura, dalla quale sono state toltetutte le particelle di polvere per mezzo del filtro, e fa-cendola passare sopra un filo di platino scaldato al colorrosso, un raggio di luce elettrica che traversi il cilindrone lascierà l'interno completamente oscuro, se guardatolateralmente, perchè la luce, traversandolo in linea retta,non illumina l'aria. Ma se invece un po' d'aria è passataper il filtro con tanta rapidità da permetterle di portarseco tutte le particelle di polvere più minute, il cilindrocomincerà a riempirsi di una luce turchiniccia, che apoco a poco prenderà il più bel colore azzurro, eguale aquello che ammiriamo nel firmamento. Se poi si sosti-tuisce all'aria filtrata, aria non filtrata, il colore turchinose ne va e la luce solita del giorno lo sostituisce.

Anche l'ossigeno liquido è turchiniccio, e molte per-sone hanno supposto che ciò possa spiegare il colore az-zurro del cielo. Ma su ciò non vi è di certo possibile di-scussione, perchè il colore turchino dell'ossigeno liquidodiventa molto sbiadito nel gas, il quale è attenuato anchedall'azoto incolore, e non può, per conseguenza, esserepercettibile nello spessore della nostra atmosfera. Eavesse pure una tinta turchina percettibile, noi non po-tremmo scorgerla per l'oscurità dello spazio che resta aldi là di esso, però gli oggetti bianchi veduti attraverso diesso, per esempio le nuvole e la luna, ci apparirebberoazzurri, cosa che non avviene. Il colorito azzurro chenoi vediamo nel cielo è luce riflessa, e siccome l'ariapura è affatto trasparente, debbono esistere particelle so-lide o liquide, così piccole da riflettere soltanto la luce

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turchina. Nell'atmosfera più bassa le particelle che pro-ducono la pioggia sono più grandi, e riflettono tutti iraggi; così il colore azzurro si attenua vicino all'orizzon-te, e per il combinarsi della refrazione e della riflessionepresenta i varii e bellissimi colori del sorgere e del tra-montare del sole.

Questi magnifici colori, prodotti dalla polveredell'atmosfera, benchè procurino godimenti ai nostri oc-chi, non si possono però considerare come essenzialialla vita; ma vi è un'altra circostanza, concomitante conla presenza di polvere nell'atmosfera, la quale, benchèpoco apprezzata, può avere effetti che possono appenaesser calcolati. Se non vi fosse polvere nell'atmosfera, ilcielo apparirebbe scuro anche a mezzogiorno, meno chenello spazio occupato dal disco solare, e le stelle sareb-bero visibili alla luce del giorno come di notte; e questoaccadrebbe perchè l'aria che non riflette la luce non è vi-sibile. Noi quindi non riceveremmo la luce direttamentedal cielo, come ora avviene, ed i lati dei monti, dellecase e di tutti gli oggetti solidi rivolti a nord sarebberototalmente oscuri, ammenocchè non fosse rivolta controdi essi qualche superficie che riflettesse la luce. La su-perficie del suolo sarebbe illuminata dal sole per breveestensione, e questa sarebbe la sola sorgente di luce per ipunti dove i raggi del sole non arrivassero direttamente.Perchè nelle case vi fosse luce in quantità sufficiente,dovrebbero essere fabbricate quasi al livello del suolo osopra un terreno che si andasse elevando verso il nord econ muri di cristallo tutt'intorno, fino al suolo, per rice-

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turchina. Nell'atmosfera più bassa le particelle che pro-ducono la pioggia sono più grandi, e riflettono tutti iraggi; così il colore azzurro si attenua vicino all'orizzon-te, e per il combinarsi della refrazione e della riflessionepresenta i varii e bellissimi colori del sorgere e del tra-montare del sole.

Questi magnifici colori, prodotti dalla polveredell'atmosfera, benchè procurino godimenti ai nostri oc-chi, non si possono però considerare come essenzialialla vita; ma vi è un'altra circostanza, concomitante conla presenza di polvere nell'atmosfera, la quale, benchèpoco apprezzata, può avere effetti che possono appenaesser calcolati. Se non vi fosse polvere nell'atmosfera, ilcielo apparirebbe scuro anche a mezzogiorno, meno chenello spazio occupato dal disco solare, e le stelle sareb-bero visibili alla luce del giorno come di notte; e questoaccadrebbe perchè l'aria che non riflette la luce non è vi-sibile. Noi quindi non riceveremmo la luce direttamentedal cielo, come ora avviene, ed i lati dei monti, dellecase e di tutti gli oggetti solidi rivolti a nord sarebberototalmente oscuri, ammenocchè non fosse rivolta controdi essi qualche superficie che riflettesse la luce. La su-perficie del suolo sarebbe illuminata dal sole per breveestensione, e questa sarebbe la sola sorgente di luce per ipunti dove i raggi del sole non arrivassero direttamente.Perchè nelle case vi fosse luce in quantità sufficiente,dovrebbero essere fabbricate quasi al livello del suolo osopra un terreno che si andasse elevando verso il nord econ muri di cristallo tutt'intorno, fino al suolo, per rice-

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vere il più che fosse possibile la luce riflessa dal terreno.Quale effetto questa specie di luce avrebbe sulla vegeta-zione è difficile dire, ma gli alberi e gli arbusti cresce-rebbero forse rivolti del tutto verso il sud, l'est e l'ovest,in modo da esser illuminati il più direttamente possibiledai raggi del sole. Più notevole sarebbero le conseguen-ze dell'azione solare, prolungata per un giorno intero,sull'evaporazione della terra, che diventerebbe arida equasi brulla nei luoghi che ora sono coperti di vegeta-zione; i cactus dell'Arizona e le euforbie del sud Africaoccuperebbero una grande parte della superficie terre-stre.

Mettendo ora da parte l'argomento della luce e del ca-lore, ci occuperemo di un altro importante aspetto dellaquistione, cioè della mancanza delle nuvole e dellapioggia, e considereremo quello che avverrebbe ed inqual modo potrebbe ritornare alla terra l'enorme quantitàd'acqua evaporata per il continuo calore solare.

La prima e più ovvia conseguenza sarebbe un'abbon-danza anormale di rugiada, la quale verrebbe depositataquasi tutte le notti sopra ogni forma di vegetazione fron-dosa. E non soltanto tutte le graminacee e gli altri erbag-gi, ma tutte le foglie degli arbusti e degli alberi assorbi-rebbero una tal quantità di rugiada, da tener loro luogodi pioggia, e sufficiente per i loro bisogni. Ma sarebbequasi impossibile fare delle irrigazioni, delle coltivazio-ni, etc., perchè il suolo brullo diventerebbe intensamentearido e infocato durante il giorno, e durante la notte ri-

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vere il più che fosse possibile la luce riflessa dal terreno.Quale effetto questa specie di luce avrebbe sulla vegeta-zione è difficile dire, ma gli alberi e gli arbusti cresce-rebbero forse rivolti del tutto verso il sud, l'est e l'ovest,in modo da esser illuminati il più direttamente possibiledai raggi del sole. Più notevole sarebbero le conseguen-ze dell'azione solare, prolungata per un giorno intero,sull'evaporazione della terra, che diventerebbe arida equasi brulla nei luoghi che ora sono coperti di vegeta-zione; i cactus dell'Arizona e le euforbie del sud Africaoccuperebbero una grande parte della superficie terre-stre.

Mettendo ora da parte l'argomento della luce e del ca-lore, ci occuperemo di un altro importante aspetto dellaquistione, cioè della mancanza delle nuvole e dellapioggia, e considereremo quello che avverrebbe ed inqual modo potrebbe ritornare alla terra l'enorme quantitàd'acqua evaporata per il continuo calore solare.

La prima e più ovvia conseguenza sarebbe un'abbon-danza anormale di rugiada, la quale verrebbe depositataquasi tutte le notti sopra ogni forma di vegetazione fron-dosa. E non soltanto tutte le graminacee e gli altri erbag-gi, ma tutte le foglie degli arbusti e degli alberi assorbi-rebbero una tal quantità di rugiada, da tener loro luogodi pioggia, e sufficiente per i loro bisogni. Ma sarebbequasi impossibile fare delle irrigazioni, delle coltivazio-ni, etc., perchè il suolo brullo diventerebbe intensamentearido e infocato durante il giorno, e durante la notte ri-

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terrebbe tanto del suo calore, da impedire che la rugiadasi formasse sopra di esso.

Ma un altro mezzo efficace per far ritornare i vaporiacquei dell'atmosfera alla terra ed all'oceano potrebbenondimeno esistere, a quanto credo, cioè montagne ecolline di sufficiente altezza per mantenersi relativa-mente più fredde delle terre basse. L'aria che viene dallasuperficie dell'oceano è costantemente carica di umidità,e da qualunque parte della terra, il vento soffiasse, l'ariasarebbe trasportata sul pendio dei colli in più fredde re-gioni, dove si condenserebbe rapidamente sulla vegeta-zione ed anche sull'arida terra, sulle rocce dei pendiiesposti a nord, che si raffredderebbero sufficientementedurante il pomeriggio e nella notte, tanto da restare piùfredde dell'atmosfera. La quantità di vapore così con-densato farebbe diminuire la pressione atmosferica, edallora l'aria più bassa potrebbe elevarsi, trascinando secomolto vapore. Questo potrebbe dare origine a torrentiperenni, specialmente sui pendii del nord e dell'est. Mapoichè l'evaporazione sarebbe assai maggiore di quelche è al presente, a cagione dell'incessante riscaldamen-to operato dal sole; così anche la quantità dell'acqua ri-tornante sulla terra sarebbe maggiore; ma siccome nonpotrebbe essere distribuita in modo uniforme sopra laterra, come lo è adesso, ne resulterebbe, forse, che ifianchi immensi delle grandi montagne sarebbero deva-stati da impetuosi torrenti, che renderebbero in tal modoquasi impossibile una vegetazione permanente, mentrealtre e più vaste aree, per mancanza d'acqua, diventereb-

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terrebbe tanto del suo calore, da impedire che la rugiadasi formasse sopra di esso.

Ma un altro mezzo efficace per far ritornare i vaporiacquei dell'atmosfera alla terra ed all'oceano potrebbenondimeno esistere, a quanto credo, cioè montagne ecolline di sufficiente altezza per mantenersi relativa-mente più fredde delle terre basse. L'aria che viene dallasuperficie dell'oceano è costantemente carica di umidità,e da qualunque parte della terra, il vento soffiasse, l'ariasarebbe trasportata sul pendio dei colli in più fredde re-gioni, dove si condenserebbe rapidamente sulla vegeta-zione ed anche sull'arida terra, sulle rocce dei pendiiesposti a nord, che si raffredderebbero sufficientementedurante il pomeriggio e nella notte, tanto da restare piùfredde dell'atmosfera. La quantità di vapore così con-densato farebbe diminuire la pressione atmosferica, edallora l'aria più bassa potrebbe elevarsi, trascinando secomolto vapore. Questo potrebbe dare origine a torrentiperenni, specialmente sui pendii del nord e dell'est. Mapoichè l'evaporazione sarebbe assai maggiore di quelche è al presente, a cagione dell'incessante riscaldamen-to operato dal sole; così anche la quantità dell'acqua ri-tornante sulla terra sarebbe maggiore; ma siccome nonpotrebbe essere distribuita in modo uniforme sopra laterra, come lo è adesso, ne resulterebbe, forse, che ifianchi immensi delle grandi montagne sarebbero deva-stati da impetuosi torrenti, che renderebbero in tal modoquasi impossibile una vegetazione permanente, mentrealtre e più vaste aree, per mancanza d'acqua, diventereb-

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bero aride lande, che soltanto potrebbero accogliere queipochi e particolari tipi di vegetazione che vivono oraesclusivamente in simili regioni. Certo, non possiamoaffermare che tali condizioni, avrebbero impedito lo svi-luppo delle alte forme della vita, come non possiamonegarlo, ma indubbiamente esse sarebbero state moltosfavorevoli, ed avrebbero avuto le conseguenze disa-strose delle quali abbiamo parlato. Difficilmente si puòimmaginare come, con i venti e con la struttura dellerocce, in tutto e per tutto eguali a quelli che ora sono, ilmondo avrebbe potuto essere addirittura privo di polve-re atmosferica. Se però quest'atmosfera fosse stata moltomeno densa di quello che è, di metà, per esempio, cosache avrebbe potuto avvenire assai facilmente, allora iventi avrebbero avuto minor forza per trasportar la pol-vere, e all'altezza alla quale per lo più sogliono formarsile nuvole, non vi sarebbero state sufficienti particelle so-lide perchè esse potessero formarsi. Allora la nebbia, vi-cinissima alla superficie della terra, avrebbe tenuto ilposto delle nuvole, la qualcosa sarebbe stata assai con-traria alla vita umana ed a quella di molti animali traipiù perfetti che ora abitano il nostro globo.

L'abbondanza di polvere atmosferica sparsa nell'ariache circonda la terra è un importantissimo fenomeno.Poichè il colore azzurro del cielo è universale, tuttal'atmosfera deve essere invasa da miriadi di ultra micro-scopiche particelle di pulviscolo, le quali, non solamen-te riflettono i raggi azzurri, non solamente ci mostranola volta del cielo azzurra, ma, unite alla polvere più

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bero aride lande, che soltanto potrebbero accogliere queipochi e particolari tipi di vegetazione che vivono oraesclusivamente in simili regioni. Certo, non possiamoaffermare che tali condizioni, avrebbero impedito lo svi-luppo delle alte forme della vita, come non possiamonegarlo, ma indubbiamente esse sarebbero state moltosfavorevoli, ed avrebbero avuto le conseguenze disa-strose delle quali abbiamo parlato. Difficilmente si puòimmaginare come, con i venti e con la struttura dellerocce, in tutto e per tutto eguali a quelli che ora sono, ilmondo avrebbe potuto essere addirittura privo di polve-re atmosferica. Se però quest'atmosfera fosse stata moltomeno densa di quello che è, di metà, per esempio, cosache avrebbe potuto avvenire assai facilmente, allora iventi avrebbero avuto minor forza per trasportar la pol-vere, e all'altezza alla quale per lo più sogliono formarsile nuvole, non vi sarebbero state sufficienti particelle so-lide perchè esse potessero formarsi. Allora la nebbia, vi-cinissima alla superficie della terra, avrebbe tenuto ilposto delle nuvole, la qualcosa sarebbe stata assai con-traria alla vita umana ed a quella di molti animali traipiù perfetti che ora abitano il nostro globo.

L'abbondanza di polvere atmosferica sparsa nell'ariache circonda la terra è un importantissimo fenomeno.Poichè il colore azzurro del cielo è universale, tuttal'atmosfera deve essere invasa da miriadi di ultra micro-scopiche particelle di pulviscolo, le quali, non solamen-te riflettono i raggi azzurri, non solamente ci mostranola volta del cielo azzurra, ma, unite alla polvere più

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grossolana delle altitudini più basse, diffondono la lucedel giorno, dànno forma e moto alle nuvole fioccose,determinano la benigna pioggia del cielo, che rinfrescala terra e la fa bella di foglie e di fiori. In ogni parte delvasto Oceano Pacifico, le cui isole devono produrre unminimo di polvere, il cielo è sempre azzurro, e le isolestesse che vi sono sparse a migliaia non mancano mai dipioggia. Sulle grandi foreste della vallata delle Amazzo-ni, dove la polvere deve prodursi in piccola quantità, lenuvole si scorgono in grande copia e la pioggia cade ab-bondante. Poichè esistono due grandi naturali sorgentidi polvere: i vulcani attivi e i deserti delle più aride re-gioni del mondo, mentre la densità e la sorprendentemobilità dell'atmosfera, non soltanto portano le finissi-me particelle di polvere ad altezze enormi, ma le distri-buiscono con sorprendente uniformità in tutta la suaestensione.

Ogni particella di polvere è indubbiamente più pesan-te dell'aria, e se l'atmosfera fosse tranquilla, cadrebbe interra in tempo relativamente breve. Tyndall trovò chel'aria d'una cantina, situata sotto la Royal Institution inAlbemarle-Street, che non era stata aperta da più mesi,era così pura che un raggio di luce elettrica che vi fu in-trodotto rimase addirittura invisibile. Accurate osserva-zioni sperimentali hanno dimostrato non solo che l'aria èin continuo movimento, ma anche che questo movimen-to è eccessivamente irregolare, difficilmente orizzontale,ma sempre diretto in alto o in basso o in ogni altra dire-zione obliqua, e in innumerevoli spire e turbini. Questa

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grossolana delle altitudini più basse, diffondono la lucedel giorno, dànno forma e moto alle nuvole fioccose,determinano la benigna pioggia del cielo, che rinfrescala terra e la fa bella di foglie e di fiori. In ogni parte delvasto Oceano Pacifico, le cui isole devono produrre unminimo di polvere, il cielo è sempre azzurro, e le isolestesse che vi sono sparse a migliaia non mancano mai dipioggia. Sulle grandi foreste della vallata delle Amazzo-ni, dove la polvere deve prodursi in piccola quantità, lenuvole si scorgono in grande copia e la pioggia cade ab-bondante. Poichè esistono due grandi naturali sorgentidi polvere: i vulcani attivi e i deserti delle più aride re-gioni del mondo, mentre la densità e la sorprendentemobilità dell'atmosfera, non soltanto portano le finissi-me particelle di polvere ad altezze enormi, ma le distri-buiscono con sorprendente uniformità in tutta la suaestensione.

Ogni particella di polvere è indubbiamente più pesan-te dell'aria, e se l'atmosfera fosse tranquilla, cadrebbe interra in tempo relativamente breve. Tyndall trovò chel'aria d'una cantina, situata sotto la Royal Institution inAlbemarle-Street, che non era stata aperta da più mesi,era così pura che un raggio di luce elettrica che vi fu in-trodotto rimase addirittura invisibile. Accurate osserva-zioni sperimentali hanno dimostrato non solo che l'aria èin continuo movimento, ma anche che questo movimen-to è eccessivamente irregolare, difficilmente orizzontale,ma sempre diretto in alto o in basso o in ogni altra dire-zione obliqua, e in innumerevoli spire e turbini. Questa

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complicazione del movimento deve estendersi molto inalto, forse a cinquanta miglia ed anche più, per potereprovvedere ad un sufficiente spessore di quelle minutis-sime particelle, alle quali il cielo deve il suo bel coloreazzurro.

Tutte queste complicazioni di movimenti sono dovuteall'azione del sole che riscalda la superficie terrestre,alla grande irregolarità di questa superficie ed alla suacapacità d'assorbire il calore. In qualsiasi regione, siasabbia, roccia o nuda argilla, se esposta al sole, tuttosarà bruciato, mentre un'altra regione, coperta di densavegetazione, a causa dell'evaporazione prodotta dal sole,rimarrà relativamente fredda, e così sarà delle più freddesuperfici dei laghi e dei fiumi alpini. Ma se l'aria fossemeno densa di quello che è, questi movimenti sarebberomeno energici, e tutta la polvere che si sarebbe alzata aduna considerevole altezza ricadrebbe sulla terra, a causadel proprio peso, molto più rapidamente di quel che av-viene adesso, e, per conseguenza, vi sarebbe nell'atmo-sfera meno polvere permanente di quella che vi è, cosache inevitabilmente diminuirebbe la quantità delle piog-ge e produrrebbe in parte anche gli altri dannosi effettidei quali abbiamo già parlato.

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complicazione del movimento deve estendersi molto inalto, forse a cinquanta miglia ed anche più, per potereprovvedere ad un sufficiente spessore di quelle minutis-sime particelle, alle quali il cielo deve il suo bel coloreazzurro.

Tutte queste complicazioni di movimenti sono dovuteall'azione del sole che riscalda la superficie terrestre,alla grande irregolarità di questa superficie ed alla suacapacità d'assorbire il calore. In qualsiasi regione, siasabbia, roccia o nuda argilla, se esposta al sole, tuttosarà bruciato, mentre un'altra regione, coperta di densavegetazione, a causa dell'evaporazione prodotta dal sole,rimarrà relativamente fredda, e così sarà delle più freddesuperfici dei laghi e dei fiumi alpini. Ma se l'aria fossemeno densa di quello che è, questi movimenti sarebberomeno energici, e tutta la polvere che si sarebbe alzata aduna considerevole altezza ricadrebbe sulla terra, a causadel proprio peso, molto più rapidamente di quel che av-viene adesso, e, per conseguenza, vi sarebbe nell'atmo-sfera meno polvere permanente di quella che vi è, cosache inevitabilmente diminuirebbe la quantità delle piog-ge e produrrebbe in parte anche gli altri dannosi effettidei quali abbiamo già parlato.

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ELETTRICITÀ ATMOSFERICA.

Abbiamo veduto che gli organismi vegetali prendonola maggior parte dell'azoto che si trova nei loro tessutidall'ammoniaca che si forma nell'atmosfera e che s'infil-tra nel suolo per mezzo della pioggia. Questa sostanzapuò solamente formarsi per mezzo delle scariche elettri-che, o dei fulmini, i quali provocano la combinazionedell'idrogeno, che si trova nel vapore acqueo, con l'azo-to libero dell'aria. Le nuvole sono agenti importantinell'accumulazione dell'elettricità in quantità sufficienteper produrre le violente scariche che noi conosciamo colnome di fulmini, e non sappiamo se, senza la presenzadelle nuvole, potessero avvenire nell'atmosfera scarichecapaci di decomporre i vapori acquei come abbiamodetto. Le nuvole adunque non ci apportano soltanto ilbenefico effetto di produrre la pioggia e di mitigare ilcalore continuo del sole, ma hanno altresì il potere dicomporre pei vegetali quelle sostanze chimiche, chesono della più alta importanza nel regno animale. Perquel che ne sappiamo, la vita animale non potrebbe esi-stere sulla terra senza questa sorgente di azoto, e perconseguenza senza le nuvole e senza la folgore; e le nu-vole, come abbiamo testè veduto, dipendono principal-mente dalla necessaria quantità di polvere atmosferica.

A questa quantità necessaria di polvere provvedono ivulcani e i deserti, ma la sua costante presenza e la suadistribuzione nell'aria dipendono dalla densità dell'atmo-sfera, la quale a sua volta dipende da altri due agenti:

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ELETTRICITÀ ATMOSFERICA.

Abbiamo veduto che gli organismi vegetali prendonola maggior parte dell'azoto che si trova nei loro tessutidall'ammoniaca che si forma nell'atmosfera e che s'infil-tra nel suolo per mezzo della pioggia. Questa sostanzapuò solamente formarsi per mezzo delle scariche elettri-che, o dei fulmini, i quali provocano la combinazionedell'idrogeno, che si trova nel vapore acqueo, con l'azo-to libero dell'aria. Le nuvole sono agenti importantinell'accumulazione dell'elettricità in quantità sufficienteper produrre le violente scariche che noi conosciamo colnome di fulmini, e non sappiamo se, senza la presenzadelle nuvole, potessero avvenire nell'atmosfera scarichecapaci di decomporre i vapori acquei come abbiamodetto. Le nuvole adunque non ci apportano soltanto ilbenefico effetto di produrre la pioggia e di mitigare ilcalore continuo del sole, ma hanno altresì il potere dicomporre pei vegetali quelle sostanze chimiche, chesono della più alta importanza nel regno animale. Perquel che ne sappiamo, la vita animale non potrebbe esi-stere sulla terra senza questa sorgente di azoto, e perconseguenza senza le nuvole e senza la folgore; e le nu-vole, come abbiamo testè veduto, dipendono principal-mente dalla necessaria quantità di polvere atmosferica.

A questa quantità necessaria di polvere provvedono ivulcani e i deserti, ma la sua costante presenza e la suadistribuzione nell'aria dipendono dalla densità dell'atmo-sfera, la quale a sua volta dipende da altri due agenti:

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dalla forza di gravità, dipendente dal volume del piane-ta, e dalla quantità assoluta dei gas che costituisconol'atmosfera.

Ed allora noi possiamo dire che il vasto, invisibileoceano d'aria in cui viviamo è per noi tanto necessario,che l'esserne privi, anche per pochi minuti, riescirebbefatale alla nostra vita. E ciò non basta, perchè ben altrisono i benefici effetti prodotti da esso, ma noi di solitone facciamo poco conto, a meno che gli uragani e letempeste, o un eccessivo freddo o un intenso caldo, nonci rammentino quanto sia delicato l'equilibrio delle con-dizioni dalle quali dipende il nostro benessere ed anchela nostra vita.

I cenni che mi sono provato a dare intorno alle variefunzioni dell'atmosfera dimostrano che la sua struttura èmolto complicata, una macchina meravigliosa, per cosìdire, la quale, per i diversi gas che la compongono, perle sue azioni e le sue reazioni sull'acqua e sulla terra, perla produzione delle scariche elettriche, che fornisconogli elementi dei quali si compone tutto l'organismo dellavita, rinnovantesi continuamente col medesimo mezzo,può esser davvero considerata come la vera sorgente e ilfondamento della vita stessa. Possiamo persuaderci diciò, non soltanto considerando che la nostra vita dipen-de assolutamente da essa, ma altresì per i terribili effettiprodotti dal più piccolo grado d'impurità di questo vitaleelemento. Eppure è presso le nazioni che pretendono iltitolo di più incivilite, che pretendono di farsi guidaredalle leggi della natura, e che ripongono tutta la loro

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dalla forza di gravità, dipendente dal volume del piane-ta, e dalla quantità assoluta dei gas che costituisconol'atmosfera.

Ed allora noi possiamo dire che il vasto, invisibileoceano d'aria in cui viviamo è per noi tanto necessario,che l'esserne privi, anche per pochi minuti, riescirebbefatale alla nostra vita. E ciò non basta, perchè ben altrisono i benefici effetti prodotti da esso, ma noi di solitone facciamo poco conto, a meno che gli uragani e letempeste, o un eccessivo freddo o un intenso caldo, nonci rammentino quanto sia delicato l'equilibrio delle con-dizioni dalle quali dipende il nostro benessere ed anchela nostra vita.

I cenni che mi sono provato a dare intorno alle variefunzioni dell'atmosfera dimostrano che la sua struttura èmolto complicata, una macchina meravigliosa, per cosìdire, la quale, per i diversi gas che la compongono, perle sue azioni e le sue reazioni sull'acqua e sulla terra, perla produzione delle scariche elettriche, che fornisconogli elementi dei quali si compone tutto l'organismo dellavita, rinnovantesi continuamente col medesimo mezzo,può esser davvero considerata come la vera sorgente e ilfondamento della vita stessa. Possiamo persuaderci diciò, non soltanto considerando che la nostra vita dipen-de assolutamente da essa, ma altresì per i terribili effettiprodotti dal più piccolo grado d'impurità di questo vitaleelemento. Eppure è presso le nazioni che pretendono iltitolo di più incivilite, che pretendono di farsi guidaredalle leggi della natura, e che ripongono tutta la loro

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gloria nel progresso delle scienze, che troviamo la piùgrande apatia, la più grande indifferenza riguardantel'impurità di questo importantissimo e necessarissimoelemento vitale. L'indifferenza di queste nazioni arriva atal punto, che la maggior parte delle loro popolazioni nesono danneggiate, e la loro vitalità ne è menomata, per-chè costrette a respirare aria più o meno impura e malsa-na per quasi tutta la loro vita. Le immense e sempre cre-scenti città dove esistono vaste manifatture, esalano va-pori e gas velenosi, nelle catapecchie si affollano milio-ni di creature che sono costrette a vivere in condizioniterribili ed insalubri, testimoni di questa delittuosa apa-tia, di questa incredibile e inumana indifferenza.

È da più di cinquanta anni che sono state dimostratele inevitabili conseguenze di queste lacrimevoli condi-zioni, nondimeno in questo periodo di tempo niented'importante è stato fatto per migliorarle, e niente si fa.In queste belle ed estese regioni vi è ampio spazio edaria pura e sovrabbondante per ogni individuo, ma laclasse ricca e sapiente, coloro che fanno le leggi, coloroche c'insegnano la religione, gli uomini di scienza, tutticonsacrano la loro vita e le loro energie a tutto quanto èestraneo a questa piaga dolorosa della nostra società,quantunque il problema rappresenti la parte principale,essenziale della salute e del benessere del popolo, allaquale dovrebbe esser subordinata ogni altra cosa. Finchèciò non sarà fatto accuratamente, completamente, la no-stra civiltà sarà nulla, nulla la nostra scienza, nulla la

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gloria nel progresso delle scienze, che troviamo la piùgrande apatia, la più grande indifferenza riguardantel'impurità di questo importantissimo e necessarissimoelemento vitale. L'indifferenza di queste nazioni arriva atal punto, che la maggior parte delle loro popolazioni nesono danneggiate, e la loro vitalità ne è menomata, per-chè costrette a respirare aria più o meno impura e malsa-na per quasi tutta la loro vita. Le immense e sempre cre-scenti città dove esistono vaste manifatture, esalano va-pori e gas velenosi, nelle catapecchie si affollano milio-ni di creature che sono costrette a vivere in condizioniterribili ed insalubri, testimoni di questa delittuosa apa-tia, di questa incredibile e inumana indifferenza.

È da più di cinquanta anni che sono state dimostratele inevitabili conseguenze di queste lacrimevoli condi-zioni, nondimeno in questo periodo di tempo niented'importante è stato fatto per migliorarle, e niente si fa.In queste belle ed estese regioni vi è ampio spazio edaria pura e sovrabbondante per ogni individuo, ma laclasse ricca e sapiente, coloro che fanno le leggi, coloroche c'insegnano la religione, gli uomini di scienza, tutticonsacrano la loro vita e le loro energie a tutto quanto èestraneo a questa piaga dolorosa della nostra società,quantunque il problema rappresenti la parte principale,essenziale della salute e del benessere del popolo, allaquale dovrebbe esser subordinata ogni altra cosa. Finchèciò non sarà fatto accuratamente, completamente, la no-stra civiltà sarà nulla, nulla la nostra scienza, nulla la

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nostra religione e la nostra politica, che rimarranno oltreogni dire spregevoli.

Considerando la nostra meravigliosa atmosfera e lesue varie relazioni con la vita umana e con tutte le altreforme di vita, mi son sentito costretto ad alzare la miavoce in favore dei fanciulli e della oltraggiata umanità.E non formeranno una lega, gli uomini e le donne cheposseggono sentimenti umanitari, per combattere senzatregua, finchè non si sia rimediato a tanta vergogna, enon si saranno tolti dalla nostra società i nove decimidei mali che l'affliggono? Tutto deve esser messo in noncale dinanzi a questo dovere. Come in una guerra di di-fesa la resistenza non deve trovare impedimenti, e tutti idiritti privati debbono subordinarsi al bene pubblico,così nella guerra contro questa bruttura, contro questomorbo, contro questa miseria, nulla deve frapporsi, nèprivati interessi, nè antichi diritti; così saremo sicuri divincere. Ecco il sermone che i predicatori dovrebberorecitare durante le prediche e fuori delle prediche, finchètutti non abbiamo inteso e non siano convinti. Sia questoil nostro grido di guerra: «Aria pura, acqua pura per tut-ta l'umanità. Anatema per colui che dirà: – Non possia-mo farlo. Benedizioni per colui che dirà: – Sarà fatto.»

Occorreranno cinque, dieci, venti anni, per toglierequesta piaga terribile dalla società; ma ogni piccolo mi-glioramento, ogni riforma che si vada facendo a poco apoco, sarà sempre efficace, finchè non si sia effettuatauna grande riforma fondamentale. Quando il popolo po-trà respirare aria pura, bere acqua pura, vivere di ali-

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nostra religione e la nostra politica, che rimarranno oltreogni dire spregevoli.

Considerando la nostra meravigliosa atmosfera e lesue varie relazioni con la vita umana e con tutte le altreforme di vita, mi son sentito costretto ad alzare la miavoce in favore dei fanciulli e della oltraggiata umanità.E non formeranno una lega, gli uomini e le donne cheposseggono sentimenti umanitari, per combattere senzatregua, finchè non si sia rimediato a tanta vergogna, enon si saranno tolti dalla nostra società i nove decimidei mali che l'affliggono? Tutto deve esser messo in noncale dinanzi a questo dovere. Come in una guerra di di-fesa la resistenza non deve trovare impedimenti, e tutti idiritti privati debbono subordinarsi al bene pubblico,così nella guerra contro questa bruttura, contro questomorbo, contro questa miseria, nulla deve frapporsi, nèprivati interessi, nè antichi diritti; così saremo sicuri divincere. Ecco il sermone che i predicatori dovrebberorecitare durante le prediche e fuori delle prediche, finchètutti non abbiamo inteso e non siano convinti. Sia questoil nostro grido di guerra: «Aria pura, acqua pura per tut-ta l'umanità. Anatema per colui che dirà: – Non possia-mo farlo. Benedizioni per colui che dirà: – Sarà fatto.»

Occorreranno cinque, dieci, venti anni, per toglierequesta piaga terribile dalla società; ma ogni piccolo mi-glioramento, ogni riforma che si vada facendo a poco apoco, sarà sempre efficace, finchè non si sia effettuatauna grande riforma fondamentale. Quando il popolo po-trà respirare aria pura, bere acqua pura, vivere di ali-

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menti semplici, quando potrà lavorare, divertirsi e ripo-sare con tutte le regole volute dall'igiene, allora, sola-mente allora, sarà il tempo di decidere quali saranno lealtre riforme più urgenti.

Non bisogna dimenticare che noi ci crediamo arrivatiad un alto grado di civiltà, che ci crediamo sapienti, al-tamente umanitari, enormemente ricchi, mentre non civergogniamo di dire: «È impossibile accomodar le cosein modo che il popolo non respiri aria impura, anormale,attossicata!»

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menti semplici, quando potrà lavorare, divertirsi e ripo-sare con tutte le regole volute dall'igiene, allora, sola-mente allora, sarà il tempo di decidere quali saranno lealtre riforme più urgenti.

Non bisogna dimenticare che noi ci crediamo arrivatiad un alto grado di civiltà, che ci crediamo sapienti, al-tamente umanitari, enormemente ricchi, mentre non civergogniamo di dire: «È impossibile accomodar le cosein modo che il popolo non respiri aria impura, anormale,attossicata!»

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CAPITOLO XIV.LA TERRA È IL SOLO PIANETA

ABITABILE DEL SISTEMASOLARE.

Avendo dimostrato in questi ultimi tre capitoli, quan-to numerose, quanto complicate siano le condizioni cherendono possibile la vita sul nostro pianeta, e come sia-no ben equilibrate le forze opposte, e quanto curiosi edelicati i mezzi per i quali avvengono le indispensabilicombinazioni degli elementi, sarà relativamente facile ildimostrare come tutti gli altri pianeti siano totalmentedisadatti tanto per lo sviluppo, quanto per la conserva-zione delle più alte forme della vita, e come, forse, sol-tanto qualche forma di vita più bassa e più rudimentalevi possa allignare.

Allo scopo di spiegar tale probabilità con chiarezza,ci occuperemo delle più importanti condizioni fisiche ebiologiche, e vedremo come esse si manifestino sui variipianeti.

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CAPITOLO XIV.LA TERRA È IL SOLO PIANETA

ABITABILE DEL SISTEMASOLARE.

Avendo dimostrato in questi ultimi tre capitoli, quan-to numerose, quanto complicate siano le condizioni cherendono possibile la vita sul nostro pianeta, e come sia-no ben equilibrate le forze opposte, e quanto curiosi edelicati i mezzi per i quali avvengono le indispensabilicombinazioni degli elementi, sarà relativamente facile ildimostrare come tutti gli altri pianeti siano totalmentedisadatti tanto per lo sviluppo, quanto per la conserva-zione delle più alte forme della vita, e come, forse, sol-tanto qualche forma di vita più bassa e più rudimentalevi possa allignare.

Allo scopo di spiegar tale probabilità con chiarezza,ci occuperemo delle più importanti condizioni fisiche ebiologiche, e vedremo come esse si manifestino sui variipianeti.

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MASSA DI UN PIANETA E SUA ATMOSFERA.

L'altezza e la densità dell'atmosfera è, per diversi rap-porti, importantissima per quel che concerne la vita.Dalla sua densità dipende la circolazione dell'umidità, lapossibilità di trattenere una quantità bastevole di polvereatmosferica per la formazione delle nuvole, di traspor-tarne le particelle ultramicroscopiche ad altezza e inquantità sufficiente per diffondere la luce solare e riflet-terla in tutto il firmamento, di sollevare le onde del mareper arieggiare le sue acque e produrre le correnti oceani-che che sono grandi eguagliatrici di temperatura.

Questa densità dipende da due condizioni: la massadel pianeta e la quantità dei gas atmosferici. Vi sonobuone ragioni per credere che quest'ultima dipenda di-rettamente dalla prima, perchè è solamente quando unacerta massa è raggiunta da un pianeta, che i gas più leg-geri e permanenti possono dimorare sulla superficie diesso; è per questo, secondo il dott. G. Johnstone Stoney,che ha fatto studi speciali su questo soggetto, che la lunanon ha potuto ritenere altro che qualche gas pesante,come l'acido carbonico, o qualche altro più pesante an-cora, come il bisolfato di carbonio, mentre nessuna par-ticella d'ossigeno o di azoto può rimanere alla sua super-ficie, perchè la sua massa è più piccola di quella dellaterra di circa un ottantesimo. Si crede che esista unaconsiderevole quantità di gas nello spazio interstellare, eprobabilmente anche nel sistema solare, ma forse taligas sono allo stato liquido o solido, e perciò possono es-

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MASSA DI UN PIANETA E SUA ATMOSFERA.

L'altezza e la densità dell'atmosfera è, per diversi rap-porti, importantissima per quel che concerne la vita.Dalla sua densità dipende la circolazione dell'umidità, lapossibilità di trattenere una quantità bastevole di polvereatmosferica per la formazione delle nuvole, di traspor-tarne le particelle ultramicroscopiche ad altezza e inquantità sufficiente per diffondere la luce solare e riflet-terla in tutto il firmamento, di sollevare le onde del mareper arieggiare le sue acque e produrre le correnti oceani-che che sono grandi eguagliatrici di temperatura.

Questa densità dipende da due condizioni: la massadel pianeta e la quantità dei gas atmosferici. Vi sonobuone ragioni per credere che quest'ultima dipenda di-rettamente dalla prima, perchè è solamente quando unacerta massa è raggiunta da un pianeta, che i gas più leg-geri e permanenti possono dimorare sulla superficie diesso; è per questo, secondo il dott. G. Johnstone Stoney,che ha fatto studi speciali su questo soggetto, che la lunanon ha potuto ritenere altro che qualche gas pesante,come l'acido carbonico, o qualche altro più pesante an-cora, come il bisolfato di carbonio, mentre nessuna par-ticella d'ossigeno o di azoto può rimanere alla sua super-ficie, perchè la sua massa è più piccola di quella dellaterra di circa un ottantesimo. Si crede che esista unaconsiderevole quantità di gas nello spazio interstellare, eprobabilmente anche nel sistema solare, ma forse taligas sono allo stato liquido o solido, e perciò possono es-

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sere attratti anche da una massa piccola come quelladella luna; ma siccome il calore della sua superficie,quando è esposta ai raggi del sole, li farebbe immediata-mente tornare allo stato gassoso, essi svanirebbero subi-to. Quando un pianeta raggiunge il volume di almeno unquarto della terra, allora soltanto è capace di trattenere ilvapore acqueo, uno dei gas più essenziali: ma una massacosì piccola come quella della luna, non può avere cheuna quantità di atmosfera molto limitata, e tanto rarefat-ta da non esser capace di produrre gli effetti voluti perpoter contribuire al mantenimento della vita. Perchè ciòsia possibile, la massa del pianeta non può esser minoredi quella della terra, ed ecco un altro degli ordinamentimeravigliosi dei quali abbiamo già parlato. Il dott. John-stone Stoney arriva alla conclusione che l'idrogeno esaladalla terra perchè continuamente prodotto dai vulcanisottomarini, nelle regioni vulcaniche, da vegetali in pu-trefazione e da altre sorgenti, nondimeno, quantunque inpiccola quantità se ne constati l'esistenza nell'atmosfera,non è uno dei normali costituenti di essa.33.

La quantità d'idrogeno che combinata con l'ossigenoforma la massa acquea dei nostri vasti e profondi oceaniè enorme, e se ve ne fosse solamente un decimo più diquella che esiste, tutta la superficie del globo ne sarebbesommersa. È difficile spiegare come la quantità d'idro-geno sia, non solo sufficiente, ma misurata quasi, per

33 Transactions of Royal Dublin Society, Vol. VI. Ser. II, parteXIII. «Delle atmosfere dei pianeti e dei satelliti», di G. JohnstoneStoney, membro della R. S., etc.

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sere attratti anche da una massa piccola come quelladella luna; ma siccome il calore della sua superficie,quando è esposta ai raggi del sole, li farebbe immediata-mente tornare allo stato gassoso, essi svanirebbero subi-to. Quando un pianeta raggiunge il volume di almeno unquarto della terra, allora soltanto è capace di trattenere ilvapore acqueo, uno dei gas più essenziali: ma una massacosì piccola come quella della luna, non può avere cheuna quantità di atmosfera molto limitata, e tanto rarefat-ta da non esser capace di produrre gli effetti voluti perpoter contribuire al mantenimento della vita. Perchè ciòsia possibile, la massa del pianeta non può esser minoredi quella della terra, ed ecco un altro degli ordinamentimeravigliosi dei quali abbiamo già parlato. Il dott. John-stone Stoney arriva alla conclusione che l'idrogeno esaladalla terra perchè continuamente prodotto dai vulcanisottomarini, nelle regioni vulcaniche, da vegetali in pu-trefazione e da altre sorgenti, nondimeno, quantunque inpiccola quantità se ne constati l'esistenza nell'atmosfera,non è uno dei normali costituenti di essa.33.

La quantità d'idrogeno che combinata con l'ossigenoforma la massa acquea dei nostri vasti e profondi oceaniè enorme, e se ve ne fosse solamente un decimo più diquella che esiste, tutta la superficie del globo ne sarebbesommersa. È difficile spiegare come la quantità d'idro-geno sia, non solo sufficiente, ma misurata quasi, per

33 Transactions of Royal Dublin Society, Vol. VI. Ser. II, parteXIII. «Delle atmosfere dei pianeti e dei satelliti», di G. JohnstoneStoney, membro della R. S., etc.

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riempire d'acqua i vasti bacini dell'oceano, lasciandouna superficie asciutta bastante per l'ampio sviluppodella vita animale e vegetale, senza che ciò produca ef-fetti nocivi sul clima. Ma noi siamo testimoni di questocompleto adattamento in tutte le cose. Prima di tutto ab-biamo un satellite unico per la sua grandezza in con-fronto al pianeta cui appartiene, e apparentemente diorigine posteriore, e se l'origine di questo satellite è do-vuta realmente alla terra, il fatto è stato sicuramente uni-co nel sistema solare. La conseguenza di questo modod'origine, a quanto si crede, è rappresentata dai profondibacini oceanici, simmetricamente disposti in rapportoall'equatore, cosa importantissima per la circolazionedelle acque. Evidentemente la terra deve aver possedutouna giusta quantità d'idrogeno, di cui non possiamo in-travedere l'origine, che ha prodotto l'acqua necessariaper riempire quei vani immensi, così da lasciareun'ampia area di terra asciutta; ma se l'acqua fosse stataun solo decimo di più, avrebbe interamente sommerso laterra. Inoltre è sovrabbondato tanto ossigeno, che bastaper formare un'atmosfera di sufficiente densità, perchèsia adatta alla vita. Nè sarebbe potuto accadere chel'idrogeno sovrabbondante evaporasse nel momento incui invece si formò l'acqua, perchè l'idrogeno evaporalentamente, ma invece si combina tanto facilmente conl'ossigeno libero appena scocca una scintilla elettrica,che non si può dubitare che tutta la quantità di idrogenoesistente sia stata utilizzata nella formazione delle acque

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riempire d'acqua i vasti bacini dell'oceano, lasciandouna superficie asciutta bastante per l'ampio sviluppodella vita animale e vegetale, senza che ciò produca ef-fetti nocivi sul clima. Ma noi siamo testimoni di questocompleto adattamento in tutte le cose. Prima di tutto ab-biamo un satellite unico per la sua grandezza in con-fronto al pianeta cui appartiene, e apparentemente diorigine posteriore, e se l'origine di questo satellite è do-vuta realmente alla terra, il fatto è stato sicuramente uni-co nel sistema solare. La conseguenza di questo modod'origine, a quanto si crede, è rappresentata dai profondibacini oceanici, simmetricamente disposti in rapportoall'equatore, cosa importantissima per la circolazionedelle acque. Evidentemente la terra deve aver possedutouna giusta quantità d'idrogeno, di cui non possiamo in-travedere l'origine, che ha prodotto l'acqua necessariaper riempire quei vani immensi, così da lasciareun'ampia area di terra asciutta; ma se l'acqua fosse stataun solo decimo di più, avrebbe interamente sommerso laterra. Inoltre è sovrabbondato tanto ossigeno, che bastaper formare un'atmosfera di sufficiente densità, perchèsia adatta alla vita. Nè sarebbe potuto accadere chel'idrogeno sovrabbondante evaporasse nel momento incui invece si formò l'acqua, perchè l'idrogeno evaporalentamente, ma invece si combina tanto facilmente conl'ossigeno libero appena scocca una scintilla elettrica,che non si può dubitare che tutta la quantità di idrogenoesistente sia stata utilizzata nella formazione delle acque

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dell'oceano, rispetto alle quali la quantità che provienedall'interno della terra è relativamente piccola.

Nè qui finiscono le meraviglie di un mirabile ordina-mento. Tutti i fatti che abbiamo esposti stanno a dimo-strare che tutte le condizioni della massa terrestre sonosufficienti per la vita, e che se il nostro globo fosse statoun poco più grande, e proporzionatamente più denso,probabilmente la vita non vi sarebbe stata possibile. Fraun pianeta del diametro di 8000 miglia ed uno di 9500,la differenza non è grande, se si riflette all'enorme volu-me degli altri pianeti. Eppure questo piccolo aumento didiametro accrescerebbe il volume di due terzi, con unaumento corrispondente di densità, dovuta ad una mag-gior gravità. La massa sarebbe stata perciò circa il dop-pio di quello che è, quindi i gas attratti e ritenuti dallagravità sarebbero stati in quantità doppia, doppia quindila quantità dell'acqua prodotta, poichè l'idrogeno nonavrebbe potuto evaporare. E se la superficie del globofosse stata solamente più grande di una metà, l'acqua sa-rebbe stata sufficiente per elevarsi a più miglia di altez-za su tutta la sua superficie.

ABITABILITÀ DEGLI ALTRI PIANETI.

Se noi consideriamo gli altri pianeti del sistema sola-re, troviamo in grande copia studi e relazioni che ci par-lano della loro mole e della possibilità che siano abitati.

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dell'oceano, rispetto alle quali la quantità che provienedall'interno della terra è relativamente piccola.

Nè qui finiscono le meraviglie di un mirabile ordina-mento. Tutti i fatti che abbiamo esposti stanno a dimo-strare che tutte le condizioni della massa terrestre sonosufficienti per la vita, e che se il nostro globo fosse statoun poco più grande, e proporzionatamente più denso,probabilmente la vita non vi sarebbe stata possibile. Fraun pianeta del diametro di 8000 miglia ed uno di 9500,la differenza non è grande, se si riflette all'enorme volu-me degli altri pianeti. Eppure questo piccolo aumento didiametro accrescerebbe il volume di due terzi, con unaumento corrispondente di densità, dovuta ad una mag-gior gravità. La massa sarebbe stata perciò circa il dop-pio di quello che è, quindi i gas attratti e ritenuti dallagravità sarebbero stati in quantità doppia, doppia quindila quantità dell'acqua prodotta, poichè l'idrogeno nonavrebbe potuto evaporare. E se la superficie del globofosse stata solamente più grande di una metà, l'acqua sa-rebbe stata sufficiente per elevarsi a più miglia di altez-za su tutta la sua superficie.

ABITABILITÀ DEGLI ALTRI PIANETI.

Se noi consideriamo gli altri pianeti del sistema sola-re, troviamo in grande copia studi e relazioni che ci par-lano della loro mole e della possibilità che siano abitati.

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I pianeti più piccoli, Marte e Mercurio, non hanno mas-sa sufficiente per trattenere i vapori acquei, e senza diciò non possono essere abitabili. Tutti gli altri pianetimaggiori non possono avere che ben poca quantità dimateria solida, come indica la loro poca densità rispettoalla loro enorme massa, e perciò vi sono buone ragioniper credere che un pianeta, perchè sia atto al pieno svi-luppo della vita, debba prima di tutto essere limitato nelsuo volume e più direttamente nella sua massa. Se laterra possiede un'atmosfera specificamente costituita eduna massa d'acqua giusta rispetto alla sua utilità per losviluppo della vita, e se le stesse condizioni sono neces-sarie negli altri pianeti del sistema solare, l'unico pianetasul quale la vita può esser possibile è Venere. Nondime-no potrebbe darsi che cause eccezionali abbiano dotatogli altri pianeti di eguali vantaggi per i due elementidell'aria e dell'acqua, noi quindi considereremo breve-mente alcune delle altre condizioni che per la vita sonoindispensabili sulla terra, e di cui è quasi impossibileconcepire l'esistenza sopra gli altri pianeti del sistemasolare.

UN PICCOLO E DETERMINATOLIMITE DI TEMPERATURA.

Abbiamo già visto quanto siano ristretti i limiti neiquali la temperatura della superficie di un pianeta deve

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I pianeti più piccoli, Marte e Mercurio, non hanno mas-sa sufficiente per trattenere i vapori acquei, e senza diciò non possono essere abitabili. Tutti gli altri pianetimaggiori non possono avere che ben poca quantità dimateria solida, come indica la loro poca densità rispettoalla loro enorme massa, e perciò vi sono buone ragioniper credere che un pianeta, perchè sia atto al pieno svi-luppo della vita, debba prima di tutto essere limitato nelsuo volume e più direttamente nella sua massa. Se laterra possiede un'atmosfera specificamente costituita eduna massa d'acqua giusta rispetto alla sua utilità per losviluppo della vita, e se le stesse condizioni sono neces-sarie negli altri pianeti del sistema solare, l'unico pianetasul quale la vita può esser possibile è Venere. Nondime-no potrebbe darsi che cause eccezionali abbiano dotatogli altri pianeti di eguali vantaggi per i due elementidell'aria e dell'acqua, noi quindi considereremo breve-mente alcune delle altre condizioni che per la vita sonoindispensabili sulla terra, e di cui è quasi impossibileconcepire l'esistenza sopra gli altri pianeti del sistemasolare.

UN PICCOLO E DETERMINATOLIMITE DI TEMPERATURA.

Abbiamo già visto quanto siano ristretti i limiti neiquali la temperatura della superficie di un pianeta deve

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mantenersi, per essere adatta allo sviluppo della vita, eabbiamo anche visto quanto siano numerose e delicatele condizioni della densità atmosferica, dell'estensione estabilità oceanica, della distribuzione del calore, chedeve essere sufficientemente uniforme. Delle lievi alte-razioni, in più o in meno, renderebbero la terra inadattaall'abitabilità, perchè l'atmosfera diverrebbe o troppocalda o troppo fredda. Come allora supporre che uno de-gli altri pianeti, che ricevono una quantità di calore sola-re molto maggiore o molto minore, possa con tutte lepossibili differenze di condizioni, esser capace di darorigine, conservare e pienamente e variamente sviluppa-re la vita?

Marte, per ogni unità della sua superficie, riceve unaquantità di calore solare che è meno della metà di quellache riceve la terra, ed è quasi certo che su di esso nonesiste acqua (le sue nevi polari debbono esser prodotteda acido carbonico o da qualche altro gas pesante). Neconsegue adunque che, sebbene su di esso possa ancheprodursi una vita vegetale di forme basse, le più alte for-me di vita animale vi sono del tutto impossibili. Il suopiccolo volume e la sua piccola massa (quest'ultima unnono soltanto di quella della terra) non possono permet-tergli di possedere che un'atmosfera di azoto e di ossige-no molto rarefatta, dato che questi due gas vi esistano.Tale mancanza di densità lo rende inoltre incapace ditrattenere durante la notte la piccola quantità di caloreassorbita durante il giorno, come possiamo intuire dalsuo limitato potere di riflessione, che dimostra esservi

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mantenersi, per essere adatta allo sviluppo della vita, eabbiamo anche visto quanto siano numerose e delicatele condizioni della densità atmosferica, dell'estensione estabilità oceanica, della distribuzione del calore, chedeve essere sufficientemente uniforme. Delle lievi alte-razioni, in più o in meno, renderebbero la terra inadattaall'abitabilità, perchè l'atmosfera diverrebbe o troppocalda o troppo fredda. Come allora supporre che uno de-gli altri pianeti, che ricevono una quantità di calore sola-re molto maggiore o molto minore, possa con tutte lepossibili differenze di condizioni, esser capace di darorigine, conservare e pienamente e variamente sviluppa-re la vita?

Marte, per ogni unità della sua superficie, riceve unaquantità di calore solare che è meno della metà di quellache riceve la terra, ed è quasi certo che su di esso nonesiste acqua (le sue nevi polari debbono esser prodotteda acido carbonico o da qualche altro gas pesante). Neconsegue adunque che, sebbene su di esso possa ancheprodursi una vita vegetale di forme basse, le più alte for-me di vita animale vi sono del tutto impossibili. Il suopiccolo volume e la sua piccola massa (quest'ultima unnono soltanto di quella della terra) non possono permet-tergli di possedere che un'atmosfera di azoto e di ossige-no molto rarefatta, dato che questi due gas vi esistano.Tale mancanza di densità lo rende inoltre incapace ditrattenere durante la notte la piccola quantità di caloreassorbita durante il giorno, come possiamo intuire dalsuo limitato potere di riflessione, che dimostra esservi

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nella sua scarsa atmosfera poca quantità di nuvole. Du-rante la maggior parte delle ventiquattro ore, la tempera-tura della sua superficie resterebbe al di sotto del puntodi congelazione, la qualcosa, assieme con la completaassenza di vapori acquei e d'acqua, aggiungerebbeun'altra difficoltà per la vita animale.

Su Venere le condizioni sono egualmente contrariealla vita, ma non del medesimo ordine. Questo pianetariceve dal sole una quantità di calore doppia di quellache riceviamo noi; soltanto questo fatto renderebbe ne-cessaria qualche straordinaria combinazione che potessemodificare o ridurre l'eccessivo grado di temperatura.Però noi sappiamo che Venere ha un carattere speciale,che basterebbe da solo a rendervi impossibile la vitaanimale, e fors'anco quella delle più basse forme vegeta-li. Questa sua particolarità risiede nel fatto che, a causadell'azione della marea provocata dal sole, il suo giornocoincide col suo anno, o, per parlare più propriamente, ilsuo moto di rotazione si compie in un uguale spazio ditempo che quello di rivoluzione intorno al sole. Venereadunque presenta al sole sempre la stessa faccia, cosìche per un suo emisfero è perpetuo giorno, mentrenell'altro regna perpetua notte, mentre un incessante cre-puscolo, dovuto alla rifrazione, resta in una stretta zonalimitrofa alla metà illuminata. Ma sulla faccia che nonriceve mai direttamente i raggi solari, la temperaturadeve essere eccessivamente fredda, tanto che verso ilcentro dell'emisfero non può elevarsi sopra lo zero oquasi, mentre l'altra faccia, esposta ad un perenne calore

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nella sua scarsa atmosfera poca quantità di nuvole. Du-rante la maggior parte delle ventiquattro ore, la tempera-tura della sua superficie resterebbe al di sotto del puntodi congelazione, la qualcosa, assieme con la completaassenza di vapori acquei e d'acqua, aggiungerebbeun'altra difficoltà per la vita animale.

Su Venere le condizioni sono egualmente contrariealla vita, ma non del medesimo ordine. Questo pianetariceve dal sole una quantità di calore doppia di quellache riceviamo noi; soltanto questo fatto renderebbe ne-cessaria qualche straordinaria combinazione che potessemodificare o ridurre l'eccessivo grado di temperatura.Però noi sappiamo che Venere ha un carattere speciale,che basterebbe da solo a rendervi impossibile la vitaanimale, e fors'anco quella delle più basse forme vegeta-li. Questa sua particolarità risiede nel fatto che, a causadell'azione della marea provocata dal sole, il suo giornocoincide col suo anno, o, per parlare più propriamente, ilsuo moto di rotazione si compie in un uguale spazio ditempo che quello di rivoluzione intorno al sole. Venereadunque presenta al sole sempre la stessa faccia, cosìche per un suo emisfero è perpetuo giorno, mentrenell'altro regna perpetua notte, mentre un incessante cre-puscolo, dovuto alla rifrazione, resta in una stretta zonalimitrofa alla metà illuminata. Ma sulla faccia che nonriceve mai direttamente i raggi solari, la temperaturadeve essere eccessivamente fredda, tanto che verso ilcentro dell'emisfero non può elevarsi sopra lo zero oquasi, mentre l'altra faccia, esposta ad un perenne calore

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solare, che ha un'intensità doppia di quello che pervienea noi, deve avere una temperatura troppo elevata perchèpossa esistervi il protoplasma. Probabilmente adunquenon vi si può trovare alcuna forma di vita animale.

Sembra che Venere possegga un'atmosfera densa; ilsuo splendore ci dice che noi vediamo soltanto la super-ficie di uno spesso strato di nuvole, la qualcosa deve mi-tigare di molto l'eccessivo calore solare; ma siccome lasua massa è poco più dei tre quarti di quella della nostraterra, non può sicuramente avere i medesimi gas chepossediamo noi. Per le straordinarie condizioni che pre-valgono sulla superficie di questo pianeta, sembra quasiimpossibile che la temperatura della parte illuminatapossa mantenersi in uno stato tale di uniformità, attoallo sviluppo della vita in tutte le sue più alte forme.

Anche Mercurio presenta la stessa particolarità, quel-la cioè di tenere rivolta al sole sempre la stessa faccia, esiccome è tanto più piccolo e tanto più vicino al sole,l'alternarsi del caldo e del freddo deve esservi anche piùeccessivo, ed il discutere se la vita vi sia possibile misembra cosa superflua. La sua massa è solamente un tre-dicesimo di quella della nostra terra, i vapori acquei nonvi possono essere stazionari, e, con tutta probabilità,neppure l'azoto e l'ossigeno. La sua atmosfera adunquedeve esser ben misera, come possiamo credere per il suolimitato potere di riflessione. La luce solare assorbitadeve essere circa l'83 per cento, e quella riflessa sola-mente il 17 per cento, mentre le nuvole riflettono il 72per cento. In conclusione adunque, su questo pianeta

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solare, che ha un'intensità doppia di quello che pervienea noi, deve avere una temperatura troppo elevata perchèpossa esistervi il protoplasma. Probabilmente adunquenon vi si può trovare alcuna forma di vita animale.

Sembra che Venere possegga un'atmosfera densa; ilsuo splendore ci dice che noi vediamo soltanto la super-ficie di uno spesso strato di nuvole, la qualcosa deve mi-tigare di molto l'eccessivo calore solare; ma siccome lasua massa è poco più dei tre quarti di quella della nostraterra, non può sicuramente avere i medesimi gas chepossediamo noi. Per le straordinarie condizioni che pre-valgono sulla superficie di questo pianeta, sembra quasiimpossibile che la temperatura della parte illuminatapossa mantenersi in uno stato tale di uniformità, attoallo sviluppo della vita in tutte le sue più alte forme.

Anche Mercurio presenta la stessa particolarità, quel-la cioè di tenere rivolta al sole sempre la stessa faccia, esiccome è tanto più piccolo e tanto più vicino al sole,l'alternarsi del caldo e del freddo deve esservi anche piùeccessivo, ed il discutere se la vita vi sia possibile misembra cosa superflua. La sua massa è solamente un tre-dicesimo di quella della nostra terra, i vapori acquei nonvi possono essere stazionari, e, con tutta probabilità,neppure l'azoto e l'ossigeno. La sua atmosfera adunquedeve esser ben misera, come possiamo credere per il suolimitato potere di riflessione. La luce solare assorbitadeve essere circa l'83 per cento, e quella riflessa sola-mente il 17 per cento, mentre le nuvole riflettono il 72per cento. In conclusione adunque, su questo pianeta

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esiste intenso caldo in un emisfero, eccessivo freddo, re-lativamente, nell'altro; esso possiede un'atmosfera pove-ra e manca d'acqua, e quindi da tutti i punti di vista ècompletamente disadatto per gli organismi viventi.

Anche supponendo che il perenne strato di nuvole,che osserviamo su Venere, possa mantenere sulla suasuperficie una temperatura corrispondente ai bisognidella vita animale, il tempestoso tumultuare della sua at-mosfera, cagionato dagli eccessivi contrasti di tempera-tura e l'altro contrasto fra la luce e le tenebre nei suoidue emisferi, devono essere molto contrari alla vita, seanche non la impediscono addirittura. Nella maggiorparte di quell'emisfero che mai riceve dal sole un raggiodi calore e di luce, l'acqua ed i vapori acquei devono es-servi convertiti in neve ed in ghiaccio, e sembra quasiimpossibile che anche l'aria non si congeli. Perchè ciònon avvenga, è necessario che si verifichi una rapidacircolazione di tutta l'atmosfera, la qualcosa è certamen-te prodotta dall'enorme e permanente differenza di tem-peratura tra i due emisferi. Indizi di rifrazione dovuta auna densa atmosfera, sono visibili durante il passaggiodel pianeta sul disco solare ed anche quando esso si tro-va in congiunzione col sole, e la rifrazione è così grandeda farci supporre che Venere abbia un'atmosfera moltopiù alta della nostra. Però durante la rapida circolazionedi una tale atmosfera, caldissima da una parte del piane-ta e freddissima dall'altra, la maggior parte dei vaporiacquei debbono riunirsi nella parte oscura tanto rapida-mente, quanto rapidamente si producono nella parte ri-

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esiste intenso caldo in un emisfero, eccessivo freddo, re-lativamente, nell'altro; esso possiede un'atmosfera pove-ra e manca d'acqua, e quindi da tutti i punti di vista ècompletamente disadatto per gli organismi viventi.

Anche supponendo che il perenne strato di nuvole,che osserviamo su Venere, possa mantenere sulla suasuperficie una temperatura corrispondente ai bisognidella vita animale, il tempestoso tumultuare della sua at-mosfera, cagionato dagli eccessivi contrasti di tempera-tura e l'altro contrasto fra la luce e le tenebre nei suoidue emisferi, devono essere molto contrari alla vita, seanche non la impediscono addirittura. Nella maggiorparte di quell'emisfero che mai riceve dal sole un raggiodi calore e di luce, l'acqua ed i vapori acquei devono es-servi convertiti in neve ed in ghiaccio, e sembra quasiimpossibile che anche l'aria non si congeli. Perchè ciònon avvenga, è necessario che si verifichi una rapidacircolazione di tutta l'atmosfera, la qualcosa è certamen-te prodotta dall'enorme e permanente differenza di tem-peratura tra i due emisferi. Indizi di rifrazione dovuta auna densa atmosfera, sono visibili durante il passaggiodel pianeta sul disco solare ed anche quando esso si tro-va in congiunzione col sole, e la rifrazione è così grandeda farci supporre che Venere abbia un'atmosfera moltopiù alta della nostra. Però durante la rapida circolazionedi una tale atmosfera, caldissima da una parte del piane-ta e freddissima dall'altra, la maggior parte dei vaporiacquei debbono riunirsi nella parte oscura tanto rapida-mente, quanto rapidamente si producono nella parte ri-

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scaldata, quantunque qui ne rimangano in sufficientequantità, tanto da formare uno strato di nuvole moltobasso, che somigliano ai nostri cirri. L'occasionale illu-minazione della parte eternamente buia di Venere puòesser cagionata da un'elettrica incandescenza, dovutaall'attrito del perpetuo flusso e riflusso dell'atmosfera, eaccresciuto fors'anche dal riverbero d'una vasta superfi-cie di nevi eterne. Considerando tutte queste eccezionalicaratteristiche del pianeta, sembra certo che le sue con-dizioni, in rapporto al clima, non possono essere al pre-sente tali da mantenere quella temperatura che è neces-saria alla vita, ed è anche poco probabile che nel suoprimo periodo esso abbia posseduto e mantenuto la ne-cessaria stabilità durante le lunghe epoche richieste peril suo sviluppo.

Prima di esaminare le condizioni di vita esistenti suipianeti maggiori, sarà bene esporre un argomento, ilquale fu supposto potesse diminuire le difficoltà giàesposte per la vita in quei pianeti che hanno un volumequasi uguale a quello della terra, e che si trovano, pressoa poco, a un'uguale distanza dal sole.

GLI ESTREMI LIMITI DI VITA SULLA TERRA.

Per rispondere all'evidenza la quale dimostra quantoperfetti debbano essere gli adattamenti richiesti perchèla vita possa svilupparsi, spesso si obietta che la vita

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scaldata, quantunque qui ne rimangano in sufficientequantità, tanto da formare uno strato di nuvole moltobasso, che somigliano ai nostri cirri. L'occasionale illu-minazione della parte eternamente buia di Venere puòesser cagionata da un'elettrica incandescenza, dovutaall'attrito del perpetuo flusso e riflusso dell'atmosfera, eaccresciuto fors'anche dal riverbero d'una vasta superfi-cie di nevi eterne. Considerando tutte queste eccezionalicaratteristiche del pianeta, sembra certo che le sue con-dizioni, in rapporto al clima, non possono essere al pre-sente tali da mantenere quella temperatura che è neces-saria alla vita, ed è anche poco probabile che nel suoprimo periodo esso abbia posseduto e mantenuto la ne-cessaria stabilità durante le lunghe epoche richieste peril suo sviluppo.

Prima di esaminare le condizioni di vita esistenti suipianeti maggiori, sarà bene esporre un argomento, ilquale fu supposto potesse diminuire le difficoltà giàesposte per la vita in quei pianeti che hanno un volumequasi uguale a quello della terra, e che si trovano, pressoa poco, a un'uguale distanza dal sole.

GLI ESTREMI LIMITI DI VITA SULLA TERRA.

Per rispondere all'evidenza la quale dimostra quantoperfetti debbano essere gli adattamenti richiesti perchèla vita possa svilupparsi, spesso si obietta che la vita

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può ora esistere anche in certe estreme condizioni, tantocol calore tropicale che con i freddi polari, nei cocentideserti come nelle umide foreste tropicali, nell'aria comenell'acqua, sulle alte montagne come nelle pianure. Que-sto è un fatto indubitabile e vero, esso però non provache la vita si sarebbe potuta sviluppare anche in unmondo dove questi estremi avrebbero rappresentato ilcarattere principale climatico di tutta la sua superficie. Ideserti sono abitati perchè vi sono le oasi, dove l'acquasi trova in abbondanza, come nelle fertili aree che li cir-condano. Le regioni artiche sono abitate perchè vi esisteun'estate e durante l'estate una vegetazione, se la lorosuperficie fosse sempre ghiacciata, non vi sarebbe vege-tazione e per conseguenza non vita animale.

R. A. Proctor tratta l'argomento della diversità dellecondizioni sotto le quali la vita può veramente esisteresulla terra, e lo tratta bene, quanto probabilmente puòesser trattato. Egli dice: «Quando noi consideriamo levarie condizioni sotto le quali la vita prevale, e vediamoche per rendere la vita possibile non vi è differenza direlazioni climatiche, di elevatezze di terreno, d'aria od'acqua, di freschezza delle acque più o meno salate o didensità d'aria, almeno per quel che ci hanno insegnato inostri studi, siamo costretti a concludere che il poteredella natura per alimentare la vita è veramente sconfina-to.»

Questo è vero, ma bisogna far delle riserve. La solaspecie animale che veramente può vivere nelle più di-verse condizioni di clima, è l'uomo, perchè il suo intel-

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può ora esistere anche in certe estreme condizioni, tantocol calore tropicale che con i freddi polari, nei cocentideserti come nelle umide foreste tropicali, nell'aria comenell'acqua, sulle alte montagne come nelle pianure. Que-sto è un fatto indubitabile e vero, esso però non provache la vita si sarebbe potuta sviluppare anche in unmondo dove questi estremi avrebbero rappresentato ilcarattere principale climatico di tutta la sua superficie. Ideserti sono abitati perchè vi sono le oasi, dove l'acquasi trova in abbondanza, come nelle fertili aree che li cir-condano. Le regioni artiche sono abitate perchè vi esisteun'estate e durante l'estate una vegetazione, se la lorosuperficie fosse sempre ghiacciata, non vi sarebbe vege-tazione e per conseguenza non vita animale.

R. A. Proctor tratta l'argomento della diversità dellecondizioni sotto le quali la vita può veramente esisteresulla terra, e lo tratta bene, quanto probabilmente puòesser trattato. Egli dice: «Quando noi consideriamo levarie condizioni sotto le quali la vita prevale, e vediamoche per rendere la vita possibile non vi è differenza direlazioni climatiche, di elevatezze di terreno, d'aria od'acqua, di freschezza delle acque più o meno salate o didensità d'aria, almeno per quel che ci hanno insegnato inostri studi, siamo costretti a concludere che il poteredella natura per alimentare la vita è veramente sconfina-to.»

Questo è vero, ma bisogna far delle riserve. La solaspecie animale che veramente può vivere nelle più di-verse condizioni di clima, è l'uomo, perchè il suo intel-

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letto lo fa in certo modo il signore della natura. Nessunodegli animali più imperfetti dell'uomo ha un tale privile-gio, e la diversità di condizioni non è, in verità, cosìgrande quanto sembra che sia, poichè di regola gli strettilimiti non sono in alcun luogo sorpassati, e vi è sempreun'alternanza d'inverno e d'estate. Inoltre l'emigrazioneè sempre possibile, e le lande inospitali possono venirabbandonate.

I GRANDI PIANETI SONO TUTTI INABILITABILI.

Avendo già dimostrato che le condizioni di Marte,tanto per quel che riguarda l'acqua, quanto per l'atmo-sfera e la temperatura, sono assolutamente inadatte almantenimento della vita, opinione che ci siamo formataper l'accordo che esiste fra i principii generali e le osser-vazioni telescopiche, possiamo ora occuparci degli altripianeti, i quali, per lungo tempo, furono creduti inadattialla vita anche dai più ardenti propugnatori della «vitanegli altri mondi».

La loro lontananza del sole – Giove, il più vicino, èda esso cinque volte più lontano della terra, e riceve so-lamente un venticinquesimo di luce e di calore di quelche riceviamo noi per ogni unità di superficie – rende lavita quasi impossibile, ammesso anche che le altre con-dizioni siano tutte favorevoli, poichè manca una tempe-ratura adeguata alle necessità della vita organica. Ma la

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letto lo fa in certo modo il signore della natura. Nessunodegli animali più imperfetti dell'uomo ha un tale privile-gio, e la diversità di condizioni non è, in verità, cosìgrande quanto sembra che sia, poichè di regola gli strettilimiti non sono in alcun luogo sorpassati, e vi è sempreun'alternanza d'inverno e d'estate. Inoltre l'emigrazioneè sempre possibile, e le lande inospitali possono venirabbandonate.

I GRANDI PIANETI SONO TUTTI INABILITABILI.

Avendo già dimostrato che le condizioni di Marte,tanto per quel che riguarda l'acqua, quanto per l'atmo-sfera e la temperatura, sono assolutamente inadatte almantenimento della vita, opinione che ci siamo formataper l'accordo che esiste fra i principii generali e le osser-vazioni telescopiche, possiamo ora occuparci degli altripianeti, i quali, per lungo tempo, furono creduti inadattialla vita anche dai più ardenti propugnatori della «vitanegli altri mondi».

La loro lontananza del sole – Giove, il più vicino, èda esso cinque volte più lontano della terra, e riceve so-lamente un venticinquesimo di luce e di calore di quelche riceviamo noi per ogni unità di superficie – rende lavita quasi impossibile, ammesso anche che le altre con-dizioni siano tutte favorevoli, poichè manca una tempe-ratura adeguata alle necessità della vita organica. Ma la

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loro molto bassa densità, combinata con un volume im-menso, ci rende sicuri che nessuno di essi possiede unasuperficie solida e neppure gli elementi dei quali una su-perficie potrebbe esser formata.

Si crede che Giove, Saturno, Urano e Nettuno abbia-no una considerevole quantità di calore interno, perònon sufficiente di certo a mantenere i metalli e gli altrielementi, dei quali il sole e la terra sono formati, allostato di vapore, perchè se così fosse questi pianeti sareb-bero invece stelle planetarie, e brillerebbero di luce pro-pria. Inoltre, se una considerevole parte della loro massafosse formata dai detti elementi, sia allo stato liquidoche allo stato solido, la loro densità sarebbe molto mag-giore di quella della terra; invece essa è molto minore.Giove ha una densità che è uguale a quella della terra,quella di Saturno è di un ottavo, Urano e Nettuno pos-seggono invece una densità media, benchè il loro volu-me sia più piccolo di quello di Saturno.

Da ciò si vede che il sistema solare è formato da duegruppi di pianeti molto differenti fra loro. Il gruppoesterno, composto di quattro grandissimi pianeti, quasidel tutto gassosi, e forse formati addirittura di gas per-manenti, i quali possono soltanto essere liquefatti o soli-dificati ad una temperatura molto bassa, in nessun altromodo potremmo conciliare la loro piccola densità con laloro immensa mole; e il gruppo interno, formatoanch'esso di quattro pianeti, che differiscono del tuttodai precedenti, perchè sono tutti di piccola mole (la terraè il più grande), ed hanno tutti una densità proporzionata

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loro molto bassa densità, combinata con un volume im-menso, ci rende sicuri che nessuno di essi possiede unasuperficie solida e neppure gli elementi dei quali una su-perficie potrebbe esser formata.

Si crede che Giove, Saturno, Urano e Nettuno abbia-no una considerevole quantità di calore interno, perònon sufficiente di certo a mantenere i metalli e gli altrielementi, dei quali il sole e la terra sono formati, allostato di vapore, perchè se così fosse questi pianeti sareb-bero invece stelle planetarie, e brillerebbero di luce pro-pria. Inoltre, se una considerevole parte della loro massafosse formata dai detti elementi, sia allo stato liquidoche allo stato solido, la loro densità sarebbe molto mag-giore di quella della terra; invece essa è molto minore.Giove ha una densità che è uguale a quella della terra,quella di Saturno è di un ottavo, Urano e Nettuno pos-seggono invece una densità media, benchè il loro volu-me sia più piccolo di quello di Saturno.

Da ciò si vede che il sistema solare è formato da duegruppi di pianeti molto differenti fra loro. Il gruppoesterno, composto di quattro grandissimi pianeti, quasidel tutto gassosi, e forse formati addirittura di gas per-manenti, i quali possono soltanto essere liquefatti o soli-dificati ad una temperatura molto bassa, in nessun altromodo potremmo conciliare la loro piccola densità con laloro immensa mole; e il gruppo interno, formatoanch'esso di quattro pianeti, che differiscono del tuttodai precedenti, perchè sono tutti di piccola mole (la terraè il più grande), ed hanno tutti una densità proporzionata

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alla loro massa. La terra è il pianeta maggiore e il piùdenso di tutto il gruppo, e non solamente è situata a unadistanza dal sole che permette all'acqua di rimanere allostato liquido su quasi tutta la sua superficie, la qual cosaè dovuta al temperato calore solare, ma possiede altresìmolti caratteri essenziali che le assicurano una grandeeguaglianza di temperatura al presente, come gliela han-no assicurata negli enormi periodi geologici, durante iquali la vita terrestre ha esistito. Abbiamo già detto chenessuno degli altri pianeti possiede adesso questi carat-teri, ed è quasi egualmente cosa certa che non li hannoposseduti mai per il passato, e che mai li possederannoper l'avvenire.

L'ESTREMO ARGOMENTO PER L'ABITABILITÀ DEIPIANETI.

Quantunque Proctor e molti altri astronomi sianod'opinione che la maggior parte dei pianeti non possanoessere ora abitabili, nondimeno spesso viene manifesta-ta l'idea che possano esserlo stati per il passato, o che lopossano essere per l'avvenire. Taluni sono ora troppocaldi, altri sono ora troppo freddi, taluni hanno troppaacqua, tali altri ne sono affatto privi, ma tutti passanoper una propria serie di stadii, e durante alcuni di questistadii la vita può esservi stata o può divenirvi possibile.Quest'argomento, benchè vago, può destare l'attenzione

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alla loro massa. La terra è il pianeta maggiore e il piùdenso di tutto il gruppo, e non solamente è situata a unadistanza dal sole che permette all'acqua di rimanere allostato liquido su quasi tutta la sua superficie, la qual cosaè dovuta al temperato calore solare, ma possiede altresìmolti caratteri essenziali che le assicurano una grandeeguaglianza di temperatura al presente, come gliela han-no assicurata negli enormi periodi geologici, durante iquali la vita terrestre ha esistito. Abbiamo già detto chenessuno degli altri pianeti possiede adesso questi carat-teri, ed è quasi egualmente cosa certa che non li hannoposseduti mai per il passato, e che mai li possederannoper l'avvenire.

L'ESTREMO ARGOMENTO PER L'ABITABILITÀ DEIPIANETI.

Quantunque Proctor e molti altri astronomi sianod'opinione che la maggior parte dei pianeti non possanoessere ora abitabili, nondimeno spesso viene manifesta-ta l'idea che possano esserlo stati per il passato, o che lopossano essere per l'avvenire. Taluni sono ora troppocaldi, altri sono ora troppo freddi, taluni hanno troppaacqua, tali altri ne sono affatto privi, ma tutti passanoper una propria serie di stadii, e durante alcuni di questistadii la vita può esservi stata o può divenirvi possibile.Quest'argomento, benchè vago, può destare l'attenzione

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di alcuni lettori; sarà necessario perciò confutarlo, tantopiù che questa idea prevale ancora fra gli astronomi.

In una critica al mio articolo pubblicato nella Fort-nightly Review, Cammillo Flammarion, dell'osservatoriodi Parigi, drammaticamente dice: «Sì, la vita è universa-le, perchè il tempo è uno dei suoi fattori. Ieri la luna,oggi la terra, domani Giove, tutti gli astri nel volger deltempo saranno a vicenda culle e tombe».34

Si è affermato che la luna sia stata altra volta abitata eche Giove lo diventerà in un remoto futuro, ma non sisono esaminate le principali condizioni fisiche di questidue astri tanto diversi, che li rendono, non solamenteora, ma per sempre, incapaci di sviluppare e mantenerela vita terrestre o aerea. Questa vaga supposizione, chenon possiamo giudicare come un argomento, circa l'atti-tudine alla vita, passata o futura, di tutti i pianeti e di al-cuni dei satelliti del sistema solare, è resa nulla da unadifficoltà d'indole generale, alla quale pare che i suoipropugnatori non abbiano accordato mai alcuna consi-derazione; e trattandosi di un'obiezione che rafforzeràancor più la mia idea circa la posizione unica di cuigode la terra nel sistema solare, sarà bene presentarla algiudizio dei lettori.

34 Knowledge, giugno 1903.

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di alcuni lettori; sarà necessario perciò confutarlo, tantopiù che questa idea prevale ancora fra gli astronomi.

In una critica al mio articolo pubblicato nella Fort-nightly Review, Cammillo Flammarion, dell'osservatoriodi Parigi, drammaticamente dice: «Sì, la vita è universa-le, perchè il tempo è uno dei suoi fattori. Ieri la luna,oggi la terra, domani Giove, tutti gli astri nel volger deltempo saranno a vicenda culle e tombe».34

Si è affermato che la luna sia stata altra volta abitata eche Giove lo diventerà in un remoto futuro, ma non sisono esaminate le principali condizioni fisiche di questidue astri tanto diversi, che li rendono, non solamenteora, ma per sempre, incapaci di sviluppare e mantenerela vita terrestre o aerea. Questa vaga supposizione, chenon possiamo giudicare come un argomento, circa l'atti-tudine alla vita, passata o futura, di tutti i pianeti e di al-cuni dei satelliti del sistema solare, è resa nulla da unadifficoltà d'indole generale, alla quale pare che i suoipropugnatori non abbiano accordato mai alcuna consi-derazione; e trattandosi di un'obiezione che rafforzeràancor più la mia idea circa la posizione unica di cuigode la terra nel sistema solare, sarà bene presentarla algiudizio dei lettori.

34 Knowledge, giugno 1903.

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LIMITAZIONE DEL CALORE SOLARE.

Da oltre mezzo secolo esiste una grande differenza diopinioni fra i geologi ed i fisici circa l'attuale o la possi-bile durata, in anni, della vita organica sopra la terra. Igeologi, fortemente impressionati dai meravigliosi re-sultati prodotti dai lenti processi che distruggono le roc-ce, e che, depositando i materiali di cui esse sono com-poste nei mari e nei laghi, e facendoli poi emergere, for-mano nuovamente delle vaste superfici asciutte, le quali,nuovamente portate via dalla pioggia e dai venti, consu-mate dal calore e dal freddo, dalla neve e dal ghiaccio,ridiventavano colline e valli e grandi catene di monti;impressionati ancora dal fatto che le più alte montagne,in ogni parte del globo, spesso presentano sulle loro piùalte sommità strati di rocce che contengono organismimarini, conchiudono che esse ebbero origine dal fondodel mare. E inoltre, per il fatto che le più alte montagnesono anche le più recenti, e che queste grandi caratteri-stiche della superficie terrestre sono, per lo più, gli ulti-mi esempi dell'azione delle forze immani che devonoavere agito dal principio alla fine dei tempi geologici,studiando per tutta la loro vita le più minute evidenze diquesti cambiamenti, i geologi sono giunti a concludereche si tratta di enormi periodi, misurabili soltanto a cen-tinaia di milioni di anni.

E gli studi dei fossili che rimangono dei lunghi perio-di occorsi per le formazioni delle rocce, rafforzano que-sto mondo di vedere. In tutte le epoche della storia della

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LIMITAZIONE DEL CALORE SOLARE.

Da oltre mezzo secolo esiste una grande differenza diopinioni fra i geologi ed i fisici circa l'attuale o la possi-bile durata, in anni, della vita organica sopra la terra. Igeologi, fortemente impressionati dai meravigliosi re-sultati prodotti dai lenti processi che distruggono le roc-ce, e che, depositando i materiali di cui esse sono com-poste nei mari e nei laghi, e facendoli poi emergere, for-mano nuovamente delle vaste superfici asciutte, le quali,nuovamente portate via dalla pioggia e dai venti, consu-mate dal calore e dal freddo, dalla neve e dal ghiaccio,ridiventavano colline e valli e grandi catene di monti;impressionati ancora dal fatto che le più alte montagne,in ogni parte del globo, spesso presentano sulle loro piùalte sommità strati di rocce che contengono organismimarini, conchiudono che esse ebbero origine dal fondodel mare. E inoltre, per il fatto che le più alte montagnesono anche le più recenti, e che queste grandi caratteri-stiche della superficie terrestre sono, per lo più, gli ulti-mi esempi dell'azione delle forze immani che devonoavere agito dal principio alla fine dei tempi geologici,studiando per tutta la loro vita le più minute evidenze diquesti cambiamenti, i geologi sono giunti a concludereche si tratta di enormi periodi, misurabili soltanto a cen-tinaia di milioni di anni.

E gli studi dei fossili che rimangono dei lunghi perio-di occorsi per le formazioni delle rocce, rafforzano que-sto mondo di vedere. In tutte le epoche della storia della

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umanità, ed anche nei tempi preistorici durante i qualil'uomo esistette sulla terra, molte specie di animali sonostate distrutte, ma non vi sono prove che, da queste, al-tre se ne siano sviluppate. Questa êra umana, per quantopossiamo spingere lo sguardo indietro, e ritornareall'epoca glaciale ed anche a quelle preglaciali, non puòavere avuto una durata minore di un milione di anni, evi sono anche di quelli che affermano che essa sia stataanche di più milioni di anni. Durante questo periododebbono essere avvenuti di certo considerevoli altera-zioni di livello, escavazioni di valli, depositi di letti im-mensi di ghiaia ed altri grandi cambiamenti della super-ficie terrestre. Sono stati adottati dei criteri di misura deltempo geologico, studiando i più piccoli cambiamentiavvenuti durante il periodo storico. Questi criteri di mi-sura, bisogna convenirne, sono abbastanza imperfetti,ma sono sempre meglio che nulla, ed è paragonando ipiccoli cambiamenti con quelli più grandi che devonoessere avvenuti durante ogni stadio successivo dello svi-luppo geologico, che si è potuto giungere a questi ap-prezzamenti del tempo geologico.

Tali risultati sono anche appoggiati dai paleontologi,per i quali il vasto panorama delle forme successive del-la vita rappresenta quasi una realtà sempre presente.Considerando l'ultimo stadio del periodo terziario, ilpliocene di Carlo Lyell, tutte le nuove forme di vitasembra che abbiano precorso molte delle nostre specieancora esistenti; facendo un altro passo addietro e consi-derando il miocene, si trovano indizi di un clima più

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umanità, ed anche nei tempi preistorici durante i qualil'uomo esistette sulla terra, molte specie di animali sonostate distrutte, ma non vi sono prove che, da queste, al-tre se ne siano sviluppate. Questa êra umana, per quantopossiamo spingere lo sguardo indietro, e ritornareall'epoca glaciale ed anche a quelle preglaciali, non puòavere avuto una durata minore di un milione di anni, evi sono anche di quelli che affermano che essa sia stataanche di più milioni di anni. Durante questo periododebbono essere avvenuti di certo considerevoli altera-zioni di livello, escavazioni di valli, depositi di letti im-mensi di ghiaia ed altri grandi cambiamenti della super-ficie terrestre. Sono stati adottati dei criteri di misura deltempo geologico, studiando i più piccoli cambiamentiavvenuti durante il periodo storico. Questi criteri di mi-sura, bisogna convenirne, sono abbastanza imperfetti,ma sono sempre meglio che nulla, ed è paragonando ipiccoli cambiamenti con quelli più grandi che devonoessere avvenuti durante ogni stadio successivo dello svi-luppo geologico, che si è potuto giungere a questi ap-prezzamenti del tempo geologico.

Tali risultati sono anche appoggiati dai paleontologi,per i quali il vasto panorama delle forme successive del-la vita rappresenta quasi una realtà sempre presente.Considerando l'ultimo stadio del periodo terziario, ilpliocene di Carlo Lyell, tutte le nuove forme di vitasembra che abbiano precorso molte delle nostre specieancora esistenti; facendo un altro passo addietro e consi-derando il miocene, si trovano indizi di un clima più

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caldo in Europa e di un gran numero di mammiferi chesomigliano molto a quelli che abitano attualmente i tro-pici; però le specie sono affatto distinte, e spesso anche igeneri e le famiglie. Risalendo così nel passato dellastoria della terra, giungiamo a circa la metà del periodoterziario, ma se facciamo un confronto tra i grandi cam-biamenti avvenuti nelle forme della vita, nel clima e nel-la superficie terrestre in tale mezzo periodo, e quelli mi-nimi avvenuti durante l'epoca umana, sentiamo la neces-sità di moltiplicare il tempo occorso più e più volte.

Nondimeno l'intero periodo terziario, durante il qualetutti i grandi gruppi degli animali più perfetti si svilup-parono da precedenti forme più generali e, relativamentepoche, è per altro il più corto dei tre grandi periodi geo-logici. Il mesozoico, o secondario, sembra sia stato piùlungo, poichè ha prodotto maggiori cambiamenti sullacrosta terrestre come nelle forme della vita; ed il paleo-zoico, o primario, che ci riconduce a quelle forme pri-mitive di vita che possiamo ancora scorgere in alcuni re-sti fossili, è stato sempre creduto dai geologi lungo al-meno quanto i due altri presi insieme, e probabilmenteanche molto di più.

Da queste varie considerazioni i geologi hanno valu-tato il tempo geologico durante il periodo di formazionedelle prime rocce fossili, ed hanno concluso che sonostati necessari almeno duecento milioni di anni. Ma dal-la varietà delle forme della vita in questo primo periodo,si può dedurre che l'epoca della vita deve avere avutouna più lunga durata. Parlando della svariata fauna ma-

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caldo in Europa e di un gran numero di mammiferi chesomigliano molto a quelli che abitano attualmente i tro-pici; però le specie sono affatto distinte, e spesso anche igeneri e le famiglie. Risalendo così nel passato dellastoria della terra, giungiamo a circa la metà del periodoterziario, ma se facciamo un confronto tra i grandi cam-biamenti avvenuti nelle forme della vita, nel clima e nel-la superficie terrestre in tale mezzo periodo, e quelli mi-nimi avvenuti durante l'epoca umana, sentiamo la neces-sità di moltiplicare il tempo occorso più e più volte.

Nondimeno l'intero periodo terziario, durante il qualetutti i grandi gruppi degli animali più perfetti si svilup-parono da precedenti forme più generali e, relativamentepoche, è per altro il più corto dei tre grandi periodi geo-logici. Il mesozoico, o secondario, sembra sia stato piùlungo, poichè ha prodotto maggiori cambiamenti sullacrosta terrestre come nelle forme della vita; ed il paleo-zoico, o primario, che ci riconduce a quelle forme pri-mitive di vita che possiamo ancora scorgere in alcuni re-sti fossili, è stato sempre creduto dai geologi lungo al-meno quanto i due altri presi insieme, e probabilmenteanche molto di più.

Da queste varie considerazioni i geologi hanno valu-tato il tempo geologico durante il periodo di formazionedelle prime rocce fossili, ed hanno concluso che sonostati necessari almeno duecento milioni di anni. Ma dal-la varietà delle forme della vita in questo primo periodo,si può dedurre che l'epoca della vita deve avere avutouna più lunga durata. Parlando della svariata fauna ma-

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rina del periodo cambriano, il prof. Ramsay dice: «Perle varie forme della vita riconosciute come primitivenon esiste alcuna prova che esse siano vissute proprio alprincipio della serie zoologica. Generalmente, al para-gone del primitivo passato, sia in senso biologico che inquello fisico, tutti i fenomeni che hanno rapporti conquesto antico periodo sembrano, secondo me, che sianoaddirittura di data recente, poichè i climi del mare e del-la terra erano eguali a quelli dei quali ora il mondo frui-sce.» Ed il prof. Huxley sostiene un'opinione molto si-mile a questa, quando dichiara: «Se le piccole differenzeche esistono fra le forme del coccodrillo dei primordidell'epoca secondaria e quello dei nostri tempi fornisco-no un mezzo per approssimarci ad una valutazione me-dia della rapidità con la quale si sono operati i cambia-menti dei rettili, è quasi una cosa che sbigottisce il ri-flettere come, potendoci internare nei tempi remoti delperiodo paleozoico, possiamo sperare di giungere aquella stirpe comune da cui devono esser derivati i coc-codrilli e le lucertole, gli Ornithoscelidi e i Plesiosauri,che hanno raggiunto un tanto perfetto sviluppo nell'epo-ca triassica.»

Di fronte a queste domande dei geologi, nelle qualiessi sono quasi tutti unanimi, valenti fisici, dopo molteconsiderazioni sulle possibili sorgenti del calore emana-to dal sole, conoscendo quale sia la rapidità della propa-gazione del calore, dichiarano, con assoluta convinzio-ne, che il nostro sole non può essere esistito come corpopropagatore di calore per un così lungo periodo, e vor-

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rina del periodo cambriano, il prof. Ramsay dice: «Perle varie forme della vita riconosciute come primitivenon esiste alcuna prova che esse siano vissute proprio alprincipio della serie zoologica. Generalmente, al para-gone del primitivo passato, sia in senso biologico che inquello fisico, tutti i fenomeni che hanno rapporti conquesto antico periodo sembrano, secondo me, che sianoaddirittura di data recente, poichè i climi del mare e del-la terra erano eguali a quelli dei quali ora il mondo frui-sce.» Ed il prof. Huxley sostiene un'opinione molto si-mile a questa, quando dichiara: «Se le piccole differenzeche esistono fra le forme del coccodrillo dei primordidell'epoca secondaria e quello dei nostri tempi fornisco-no un mezzo per approssimarci ad una valutazione me-dia della rapidità con la quale si sono operati i cambia-menti dei rettili, è quasi una cosa che sbigottisce il ri-flettere come, potendoci internare nei tempi remoti delperiodo paleozoico, possiamo sperare di giungere aquella stirpe comune da cui devono esser derivati i coc-codrilli e le lucertole, gli Ornithoscelidi e i Plesiosauri,che hanno raggiunto un tanto perfetto sviluppo nell'epo-ca triassica.»

Di fronte a queste domande dei geologi, nelle qualiessi sono quasi tutti unanimi, valenti fisici, dopo molteconsiderazioni sulle possibili sorgenti del calore emana-to dal sole, conoscendo quale sia la rapidità della propa-gazione del calore, dichiarano, con assoluta convinzio-ne, che il nostro sole non può essere esistito come corpopropagatore di calore per un così lungo periodo, e vor-

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rebbero perciò ridurre di molto il tempo durante il qualela vita probabilmente è esistita sopra la terra, afferman-do che al più deve esser limitato a un quarto di quello ri-chiesto dai geologi. In uno dei suoi ultimi articoli lordKelvin dice: «La dinamica ci prova irrefragabilmenteche tutta la vita del nostro sole, come corpo luminoso, èstata di un molto limitato numero di milioni di anni, cheforse non arriva a cinquanta milioni, o forse resta tra icinquanta e i cento milioni.» (Phil. Mag., vol. II, Ser.VI, p. 175 agosto 1901). – Nella mia Island Life (cap.X.) io stesso ho esposto le ragioni che ci permettono disupporre che i cambiamenti di stratificazione o biologicisi sono operati con molta maggior rapidità di quel chepossa supporsi, e che il tempo geologico (intendendocon ciò il tempo occorso per lo sviluppo della vita soprala terra), può esser ridotto così da essere compreso nelmassimo periodo indicato dai fisici. Ma non vi sarà dicerto tempo da perdere, e tutti i pianeti dipendenti dalnostro sole, il periodo d'abitabilità dei quali o è già pas-sato, o deve venire, non possono avere avuto, o non po-tranno aver tempo sufficiente per la necessaria e lentaevoluzione delle più alte forme della vita. Inoltre tutti ifisici ritengono che il sole va raffreddandosi, e che lasua vita futura sarà ben più corta di quella passata. Inuna lettura fatta alla Royal Institution (pubblicata nellaNatura Series, 1889) lord Kelvin dice: «Mi sembra chesarebbe oltre ogni dire temerario l'asserire che la terraabbia goduto sinora della luce del sole da più di venti

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rebbero perciò ridurre di molto il tempo durante il qualela vita probabilmente è esistita sopra la terra, afferman-do che al più deve esser limitato a un quarto di quello ri-chiesto dai geologi. In uno dei suoi ultimi articoli lordKelvin dice: «La dinamica ci prova irrefragabilmenteche tutta la vita del nostro sole, come corpo luminoso, èstata di un molto limitato numero di milioni di anni, cheforse non arriva a cinquanta milioni, o forse resta tra icinquanta e i cento milioni.» (Phil. Mag., vol. II, Ser.VI, p. 175 agosto 1901). – Nella mia Island Life (cap.X.) io stesso ho esposto le ragioni che ci permettono disupporre che i cambiamenti di stratificazione o biologicisi sono operati con molta maggior rapidità di quel chepossa supporsi, e che il tempo geologico (intendendocon ciò il tempo occorso per lo sviluppo della vita soprala terra), può esser ridotto così da essere compreso nelmassimo periodo indicato dai fisici. Ma non vi sarà dicerto tempo da perdere, e tutti i pianeti dipendenti dalnostro sole, il periodo d'abitabilità dei quali o è già pas-sato, o deve venire, non possono avere avuto, o non po-tranno aver tempo sufficiente per la necessaria e lentaevoluzione delle più alte forme della vita. Inoltre tutti ifisici ritengono che il sole va raffreddandosi, e che lasua vita futura sarà ben più corta di quella passata. Inuna lettura fatta alla Royal Institution (pubblicata nellaNatura Series, 1889) lord Kelvin dice: «Mi sembra chesarebbe oltre ogni dire temerario l'asserire che la terraabbia goduto sinora della luce del sole da più di venti

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milioni d'anni, e il supporre che ne godrà ancora per untempo maggiore di cinque o sei milioni.»

Queste citazioni servono a dimostrare come i fisici e igeologi siano molto lontani dall'avere ottenuto un'esattavalutazione dell'età passata e di quella futura del sole, eche vi è grande difficoltà per metterli di accordo sui verifatti della storia geologica della terra, e su tutto l'anda-mento dello sviluppo della vita sopra di essa. Perciò ri-torniamo alla solita conclusione, che non vi è stato enon vi è tempo da perdere: che tutto il passato periododella vita del sole è stato utilizzato per lo sviluppo dellavita sulla terra, e che il futuro non sarà molto più lungodi quel che può essere occorso per il compimento delgran dramma della storia umana e per lo sviluppo dellepiene facoltà morali e mentali dell'uomo.

Abbiamo dunque un molto potente argomento, da undifferente punto di vista di quelli che abbiamo antece-dentemente considerati, per concludere che il postodell'uomo nel sistema solare è unico, e che nessun altropianeta ha potuto sviluppare, nè potrà sviluppare, unacosì perfetta e completa serie di vita come quella che laterra possiede presentemente; e che se anche le condi-zioni biologiche fossero state molto più favorevoli diquelle che abbiamo osservato sui pianeti Mercurio, Ve-nere, e Marte, non sarebbe stato possibile che esse aves-sero conservato per una durata sufficiente quella unifor-mità di condizioni, richiesta per lo sviluppo della vita,perchè fin da età sconosciute devono essere andati lenta-mente verso la loro presente condizione del tutto inadat-

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milioni d'anni, e il supporre che ne godrà ancora per untempo maggiore di cinque o sei milioni.»

Queste citazioni servono a dimostrare come i fisici e igeologi siano molto lontani dall'avere ottenuto un'esattavalutazione dell'età passata e di quella futura del sole, eche vi è grande difficoltà per metterli di accordo sui verifatti della storia geologica della terra, e su tutto l'anda-mento dello sviluppo della vita sopra di essa. Perciò ri-torniamo alla solita conclusione, che non vi è stato enon vi è tempo da perdere: che tutto il passato periododella vita del sole è stato utilizzato per lo sviluppo dellavita sulla terra, e che il futuro non sarà molto più lungodi quel che può essere occorso per il compimento delgran dramma della storia umana e per lo sviluppo dellepiene facoltà morali e mentali dell'uomo.

Abbiamo dunque un molto potente argomento, da undifferente punto di vista di quelli che abbiamo antece-dentemente considerati, per concludere che il postodell'uomo nel sistema solare è unico, e che nessun altropianeta ha potuto sviluppare, nè potrà sviluppare, unacosì perfetta e completa serie di vita come quella che laterra possiede presentemente; e che se anche le condi-zioni biologiche fossero state molto più favorevoli diquelle che abbiamo osservato sui pianeti Mercurio, Ve-nere, e Marte, non sarebbe stato possibile che esse aves-sero conservato per una durata sufficiente quella unifor-mità di condizioni, richiesta per lo sviluppo della vita,perchè fin da età sconosciute devono essere andati lenta-mente verso la loro presente condizione del tutto inadat-

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ta. Giove, ed i pianeti che si trovano al di là di esso, peri quali si suppone che lo sviluppo della vita avverrà inun remoto futuro, cioè quando si saranno lentamenteraffreddati tanto da rendere la loro superficie abitabile,saranno allora molto meno illuminati e scarsamente ri-scaldati da un sole che si raffredda rapidamente, per cuidiventeranno, ed è la migliore supposizione, globi di so-lido ghiaccio. Questo è quel che c'insegna la scienza delventesimo secolo. Nondimeno si trova qualche astrono-mo, il quale, più di qualunque altro uomo di scienza do-vrebbe occuparsi dei risultati delle scienze sorelle, allequali tanto deve l'astronomia, che si perde in rapsodiecome la seguente: «Nel nostro sistema solare questa pic-cola terra non ha avuto alcun privilegio speciale dallanatura, ed è assurdo il voler confinare la vita nel circolodella chimica terrestre.» E più oltre: «La infinità ci cir-conda da ogni parte, la vita è universale ed eterna, ma lanostra esistenza non è che un fugace momento, la vibra-zione di un atomo in un raggio di sole, e il nostro piane-ta non è che un'isola errante nel celeste arcipelago, alquale il pensiero non darà mai limite alcuno.»35.

In luogo degli «strani mondi roteanti» ho tentato diesporre le ragionevoli conclusioni date dagli studiosipensatori che hanno ricercato la natura e la origine delmondo sul quale viviamo e dell'Universo che ci circon-da. Lascio ai miei lettori il decidere quale sia la guidadella quale possiamo fidarci.

35 Camillo Flammarion nel Knowledge, giugno 1903.

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ta. Giove, ed i pianeti che si trovano al di là di esso, peri quali si suppone che lo sviluppo della vita avverrà inun remoto futuro, cioè quando si saranno lentamenteraffreddati tanto da rendere la loro superficie abitabile,saranno allora molto meno illuminati e scarsamente ri-scaldati da un sole che si raffredda rapidamente, per cuidiventeranno, ed è la migliore supposizione, globi di so-lido ghiaccio. Questo è quel che c'insegna la scienza delventesimo secolo. Nondimeno si trova qualche astrono-mo, il quale, più di qualunque altro uomo di scienza do-vrebbe occuparsi dei risultati delle scienze sorelle, allequali tanto deve l'astronomia, che si perde in rapsodiecome la seguente: «Nel nostro sistema solare questa pic-cola terra non ha avuto alcun privilegio speciale dallanatura, ed è assurdo il voler confinare la vita nel circolodella chimica terrestre.» E più oltre: «La infinità ci cir-conda da ogni parte, la vita è universale ed eterna, ma lanostra esistenza non è che un fugace momento, la vibra-zione di un atomo in un raggio di sole, e il nostro piane-ta non è che un'isola errante nel celeste arcipelago, alquale il pensiero non darà mai limite alcuno.»35.

In luogo degli «strani mondi roteanti» ho tentato diesporre le ragionevoli conclusioni date dagli studiosipensatori che hanno ricercato la natura e la origine delmondo sul quale viviamo e dell'Universo che ci circon-da. Lascio ai miei lettori il decidere quale sia la guidadella quale possiamo fidarci.

35 Camillo Flammarion nel Knowledge, giugno 1903.

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CAPITOLO XV.LE STELLE POSSEGGONO

SISTEMI PLANETARI? – SONOESSE UTILI A NOI?

Molti di coloro che hanno scritto sulla pluralità deimondi, da Fontanelle a Proctor, prendendo in considera-zione l'enorme numero di stelle e la loro apparente inuti-lità per il nostro globo, hanno presunto che molte di essedevono avere un sistema di pianeti gravitanti intorno adesse, e che alcuni di questi pianeti potrebbero in ognievento possedere degli esseri, alcuni dei quali di bassaorganizzazione, e alcuni perfetti almeno quanto lo siamonoi. Uno dei nostri più celebri astronomi moderni, ilquale scriveva appena venti anni fa, adotta la medesimaopinione, dicendo: «I soli, che noi chiamiamo stelle,non sono stati creati di certo per beneficio nostro, e pocaè davvero l'utilità che da loro ricavano gli abitanti delglobo terrestre. Poca è la luce che ci viene da esse; unpiccolo satellite addizionale, assai più piccolo della

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CAPITOLO XV.LE STELLE POSSEGGONO

SISTEMI PLANETARI? – SONOESSE UTILI A NOI?

Molti di coloro che hanno scritto sulla pluralità deimondi, da Fontanelle a Proctor, prendendo in considera-zione l'enorme numero di stelle e la loro apparente inuti-lità per il nostro globo, hanno presunto che molte di essedevono avere un sistema di pianeti gravitanti intorno adesse, e che alcuni di questi pianeti potrebbero in ognievento possedere degli esseri, alcuni dei quali di bassaorganizzazione, e alcuni perfetti almeno quanto lo siamonoi. Uno dei nostri più celebri astronomi moderni, ilquale scriveva appena venti anni fa, adotta la medesimaopinione, dicendo: «I soli, che noi chiamiamo stelle,non sono stati creati di certo per beneficio nostro, e pocaè davvero l'utilità che da loro ricavano gli abitanti delglobo terrestre. Poca è la luce che ci viene da esse; unpiccolo satellite addizionale, assai più piccolo della

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luna, sarebbe stato molto più utile di tanti milioni distelle, che si rivelano a noi solo per mezzo del telesco-pio. Dunque esse devono essere state create per uno sco-po ben diverso, e possiamo quindi supporre, con moltaprobabilità di non errare, che almeno quelle che hannolo spettro sul tipo di quello solare, devono rappresentarei centri di sistemi planetari presso a poco simili al no-stro.»36

Qui l'autore discute delle condizioni necessarie peruna vita analoga a quella terrestre, cioè la temperatura,la rotazione, la massa, l'atmosfera, l'acqua, etc., anzi egliè il solo autore tra quelli che io conosco, il quale si oc-cupi seriamente di queste condizioni, però sorvola rapi-damente su di esse, e arriva alla conclusione che, nelcaso delle stelle di tipo solare, è probabile che un piane-ta, situato alla voluta distanza, sia adatto alla vita. Eglistima che il numero delle stelle di questo tipo, e che so-migliano quindi immensamente al sole, sia di circa diecimilioni, e che se soltanto una su dieci possedesse unpianeta alla distanza voluta e ove tutte le altre condizio-ni della vita fossero pienamente stabilite, esisterebberoun milione di mondi adatti alla vita animale. Concludequindi che, con tutta probabilità, esistono molte stelleche posseggono un pianeta abitato, gravitante intorno adesse.

Vi sono però molte circostanze delle quali il dettoscrittore non tiene conto, ma che contribuiscono a dimi-

36 J. E. Gore, The Worlds of Space, cap. III.

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luna, sarebbe stato molto più utile di tanti milioni distelle, che si rivelano a noi solo per mezzo del telesco-pio. Dunque esse devono essere state create per uno sco-po ben diverso, e possiamo quindi supporre, con moltaprobabilità di non errare, che almeno quelle che hannolo spettro sul tipo di quello solare, devono rappresentarei centri di sistemi planetari presso a poco simili al no-stro.»36

Qui l'autore discute delle condizioni necessarie peruna vita analoga a quella terrestre, cioè la temperatura,la rotazione, la massa, l'atmosfera, l'acqua, etc., anzi egliè il solo autore tra quelli che io conosco, il quale si oc-cupi seriamente di queste condizioni, però sorvola rapi-damente su di esse, e arriva alla conclusione che, nelcaso delle stelle di tipo solare, è probabile che un piane-ta, situato alla voluta distanza, sia adatto alla vita. Eglistima che il numero delle stelle di questo tipo, e che so-migliano quindi immensamente al sole, sia di circa diecimilioni, e che se soltanto una su dieci possedesse unpianeta alla distanza voluta e ove tutte le altre condizio-ni della vita fossero pienamente stabilite, esisterebberoun milione di mondi adatti alla vita animale. Concludequindi che, con tutta probabilità, esistono molte stelleche posseggono un pianeta abitato, gravitante intorno adesse.

Vi sono però molte circostanze delle quali il dettoscrittore non tiene conto, ma che contribuiscono a dimi-

36 J. E. Gore, The Worlds of Space, cap. III.

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nuire considerevolmente il numero supposto. Sappiamobene che l'immenso numero di stelle delle più piccolegrandezze sono più vicine a noi della maggior parte del-le stelle di prima e di seconda grandezza, perciò è moltoprobabile che le prime, come anche un considerevolenumero di quelle poco luminose, cioè delle stelle tele-scopiche, siano veramente di piccole dimensioni, comed'altro canto è evidente che molte delle stelle più ri-splendenti sono molto più grandi del nostro sole; adogni modo, molto probabilmente, ne devono esistere diquelle che sono dieci volte più piccole. Orbene, noi ab-biamo visto come tutto il periodo in cui il nostro sole haemesso luce e calore sia stato, secondo le migliori auto-rità scientifiche, sufficiente appena allo sviluppo dellavita terrestre. Ma la durata di un sole, come propagatoredi calore, dipende prima di tutto dalla sua massa e daglielementi che la costituiscono. Soli che siano molto piùpiccoli del nostro non possono, soltanto per questo fatto,emanare un'adeguata quantità di luce e di calore per untempo sufficiente e abbastanza uniformemente, da per-mettere lo sviluppo della vita sui pianeti, anche se questisi trovino alla dovuta distanza e posseggano un ben di-sposto ordinamento di tutte le altre condizioni che ho di-mostrato necessarie. Inoltre, noi dobbiamo fare astrazio-ne, come addirittura disadatta allo sviluppo della vita, ditutta la regione della Via Lattea, a causa delle forze ec-cessive che vi agiscono, come ci dimostra l'immensamole di molte stelle, il loro sterminato potere come pro-pagatrici di calore, l'accumularsi di stelle e di materia

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nuire considerevolmente il numero supposto. Sappiamobene che l'immenso numero di stelle delle più piccolegrandezze sono più vicine a noi della maggior parte del-le stelle di prima e di seconda grandezza, perciò è moltoprobabile che le prime, come anche un considerevolenumero di quelle poco luminose, cioè delle stelle tele-scopiche, siano veramente di piccole dimensioni, comed'altro canto è evidente che molte delle stelle più ri-splendenti sono molto più grandi del nostro sole; adogni modo, molto probabilmente, ne devono esistere diquelle che sono dieci volte più piccole. Orbene, noi ab-biamo visto come tutto il periodo in cui il nostro sole haemesso luce e calore sia stato, secondo le migliori auto-rità scientifiche, sufficiente appena allo sviluppo dellavita terrestre. Ma la durata di un sole, come propagatoredi calore, dipende prima di tutto dalla sua massa e daglielementi che la costituiscono. Soli che siano molto piùpiccoli del nostro non possono, soltanto per questo fatto,emanare un'adeguata quantità di luce e di calore per untempo sufficiente e abbastanza uniformemente, da per-mettere lo sviluppo della vita sui pianeti, anche se questisi trovino alla dovuta distanza e posseggano un ben di-sposto ordinamento di tutte le altre condizioni che ho di-mostrato necessarie. Inoltre, noi dobbiamo fare astrazio-ne, come addirittura disadatta allo sviluppo della vita, ditutta la regione della Via Lattea, a causa delle forze ec-cessive che vi agiscono, come ci dimostra l'immensamole di molte stelle, il loro sterminato potere come pro-pagatrici di calore, l'accumularsi di stelle e di materia

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nebulosa, il gran numero di gruppi stellari e, special-mente (poichè quella è la regione delle stelle nuove) legrandi collisioni di masse di materia, sufficientementegrandi per divenire temporaneamente visibili alla im-mensa distanza alla quale noi ci troviamo, ma eccessiva-mente piccole paragonate con i soli, la durata della lucedei quali è misurata a milioni di anni. La Via Lattea èdunque il teatro di un gran movimento e di una grandeattività, e la materia che in essa esiste subisce continuicambiamenti, ed in conseguenza non è bastantementestabile per possedere, per lunghi periodi, mondi abitati.

Limiteremo dunque la possibilità dei sistemi planetarisimili al nostro, adatti cioè allo sviluppo della vita, allestelle situate dentro il cerchio della Via Lattea, ma lonta-ne da essa, cioè a quelle che compongono il gruppo so-lare, il numero delle quali è stato valutato in modi moltodiversi, tanto che lo si fa variare da poche centinaia aparecchie migliaia. Però tale numero è sempre ben pic-colo, se lo paragoniamo alle centinaia di milioni di stelleche comprende l'Universo stellare. Ma anche qui trovia-mo che soltanto una parte di esse può essere adatta allavita. Il professore Newcomb opina, come qualche altroastronomo, che le stelle, in generale, abbiano una piùpiccola massa in proporzione della luce che dànno, diquella che possiede il nostro sole, e dopo un'elaboratadiscussione conclude che le stelle più lucenti sono inmedia molto meno dense del nostro sole, e per conse-guenza non potranno dare luce e calore per un periodocosì lungo, e siccome il periodo di attività solare è stato

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nebulosa, il gran numero di gruppi stellari e, special-mente (poichè quella è la regione delle stelle nuove) legrandi collisioni di masse di materia, sufficientementegrandi per divenire temporaneamente visibili alla im-mensa distanza alla quale noi ci troviamo, ma eccessiva-mente piccole paragonate con i soli, la durata della lucedei quali è misurata a milioni di anni. La Via Lattea èdunque il teatro di un gran movimento e di una grandeattività, e la materia che in essa esiste subisce continuicambiamenti, ed in conseguenza non è bastantementestabile per possedere, per lunghi periodi, mondi abitati.

Limiteremo dunque la possibilità dei sistemi planetarisimili al nostro, adatti cioè allo sviluppo della vita, allestelle situate dentro il cerchio della Via Lattea, ma lonta-ne da essa, cioè a quelle che compongono il gruppo so-lare, il numero delle quali è stato valutato in modi moltodiversi, tanto che lo si fa variare da poche centinaia aparecchie migliaia. Però tale numero è sempre ben pic-colo, se lo paragoniamo alle centinaia di milioni di stelleche comprende l'Universo stellare. Ma anche qui trovia-mo che soltanto una parte di esse può essere adatta allavita. Il professore Newcomb opina, come qualche altroastronomo, che le stelle, in generale, abbiano una piùpiccola massa in proporzione della luce che dànno, diquella che possiede il nostro sole, e dopo un'elaboratadiscussione conclude che le stelle più lucenti sono inmedia molto meno dense del nostro sole, e per conse-guenza non potranno dare luce e calore per un periodocosì lungo, e siccome il periodo di attività solare è stato

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appena sufficiente per la vita, il numero dei soli di tiposolare e di massa bastevole, deve essere molto limitato.Inoltre, se vi sono fra le stelle alcune che hanno una co-stituzione fisica simile al nostro sole ed una massa egua-le o maggiore, solamente una parte del loro periodo lu-minoso sarebbe adatta per alimentare la vita planetaria.Mentre sono nel periodo di formazione, appropriandosimasse di materia solida o gassosa, sarebbero soggette atali oscillazioni di temperatura ed a tali catastrofi erutti-ve, quando una massa più grande dell'ordinario fosse at-tratta verso di loro, che tutto questo periodo, forse lamaggior parte della loro esistenza, dovrebbe esser toltodal calcolo del tempo in cui il sole produce pianeti. Etutte queste stelle hanno per noi varii gradi di luminosi-tà. È quasi certo che è soltanto quando il volume di unsole è quasi completato e il suo calore ha raggiunto ilmassimo, che l'epoca dello sviluppo della vita deve co-minciare sopra i pianeti che gli stanno alla voluta distan-za, e che posseggono tutti gli altri requisiti necessari.

Si potrebbe dire che vi è un gran numero di stelle aldi là del nostro gruppo solare, ma sempre dentro il cer-chio della Via Lattea, come anche verso i poli di essa, dicui non mi sono qui occupato. Ma di queste regioni po-chissimo si sa, poichè è impossibile sapere se le stelle,in questa direzione, si trovino nella parte esterioredell'ammasso solare, o in regioni al di là di esso. Alcuniastronomi, a quanto sembra, credono che quelle regionipossano essere prive di stelle, ed io ho tentato di esporrequal'è, o sembra essere l'opinione generale su questo

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appena sufficiente per la vita, il numero dei soli di tiposolare e di massa bastevole, deve essere molto limitato.Inoltre, se vi sono fra le stelle alcune che hanno una co-stituzione fisica simile al nostro sole ed una massa egua-le o maggiore, solamente una parte del loro periodo lu-minoso sarebbe adatta per alimentare la vita planetaria.Mentre sono nel periodo di formazione, appropriandosimasse di materia solida o gassosa, sarebbero soggette atali oscillazioni di temperatura ed a tali catastrofi erutti-ve, quando una massa più grande dell'ordinario fosse at-tratta verso di loro, che tutto questo periodo, forse lamaggior parte della loro esistenza, dovrebbe esser toltodal calcolo del tempo in cui il sole produce pianeti. Etutte queste stelle hanno per noi varii gradi di luminosi-tà. È quasi certo che è soltanto quando il volume di unsole è quasi completato e il suo calore ha raggiunto ilmassimo, che l'epoca dello sviluppo della vita deve co-minciare sopra i pianeti che gli stanno alla voluta distan-za, e che posseggono tutti gli altri requisiti necessari.

Si potrebbe dire che vi è un gran numero di stelle aldi là del nostro gruppo solare, ma sempre dentro il cer-chio della Via Lattea, come anche verso i poli di essa, dicui non mi sono qui occupato. Ma di queste regioni po-chissimo si sa, poichè è impossibile sapere se le stelle,in questa direzione, si trovino nella parte esterioredell'ammasso solare, o in regioni al di là di esso. Alcuniastronomi, a quanto sembra, credono che quelle regionipossano essere prive di stelle, ed io ho tentato di esporrequal'è, o sembra essere l'opinione generale su questo

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molto difficile soggetto, in due diagrammi dell'Universostellare che sono inseriti a pagg. 402 e 403. Le regioni aldi là del nostro gruppo e ai lati del piano della Via Lat-tea sono quelle dove abbondano le piccole nebulose irri-ducibili, il che starebbe ad indicare che ivi la formazio-ne dei soli non è ancora attiva. La carta celeste in cuisono segnate le nebulose e gli ammassi, che si trova allafine del volume, illustra ed appoggia questo modo di ve-dere.

SISTEMI STELLARI DOPPI E MULTIPLI

Nel sesto capitolo abbiamo già visto quanto siano sta-te rapide e straordinarie le scoperte sempre crescentidelle stelle doppie spettroscopiche, cioè di due stellecosì vicine l'una all'altra, tanto da sembrare una sola, an-che osservate coi più potenti telescopi. La ricerca siste-matica di tali stelle è stata iniziata solamente da pochianni, nondimeno ne sono state constatate già moltissi-me, ed il loro numero cresce con tanta rapidità da sor-prendere gli astronomi. Uno dei più indefessi studiosi inquesta materia, il prof. Campbell dell'osservatorio diLick, opina che se l'accuratezza di queste misure au-menta, queste scoperte giungeranno a stabilire che «unastella che non sia spettroscopica doppia, sarà una raraeccezione». Altri illustri astronomi hanno espresso lamedesima opinione. Ma questi sistemi di stelle che gra-

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molto difficile soggetto, in due diagrammi dell'Universostellare che sono inseriti a pagg. 402 e 403. Le regioni aldi là del nostro gruppo e ai lati del piano della Via Lat-tea sono quelle dove abbondano le piccole nebulose irri-ducibili, il che starebbe ad indicare che ivi la formazio-ne dei soli non è ancora attiva. La carta celeste in cuisono segnate le nebulose e gli ammassi, che si trova allafine del volume, illustra ed appoggia questo modo di ve-dere.

SISTEMI STELLARI DOPPI E MULTIPLI

Nel sesto capitolo abbiamo già visto quanto siano sta-te rapide e straordinarie le scoperte sempre crescentidelle stelle doppie spettroscopiche, cioè di due stellecosì vicine l'una all'altra, tanto da sembrare una sola, an-che osservate coi più potenti telescopi. La ricerca siste-matica di tali stelle è stata iniziata solamente da pochianni, nondimeno ne sono state constatate già moltissi-me, ed il loro numero cresce con tanta rapidità da sor-prendere gli astronomi. Uno dei più indefessi studiosi inquesta materia, il prof. Campbell dell'osservatorio diLick, opina che se l'accuratezza di queste misure au-menta, queste scoperte giungeranno a stabilire che «unastella che non sia spettroscopica doppia, sarà una raraeccezione». Altri illustri astronomi hanno espresso lamedesima opinione. Ma questi sistemi di stelle che gra-

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vitano tanto vicine l'una all'altra, sono generalmenteclassificate fuori della categoria dei soli che produconola vita. I disordini di marea che reciprocamente provo-cano devono essere enormi, e questo deve esser contra-rio allo sviluppo dei pianeti, a meno che essi non sianomolto vicini al loro sole, ma in questo caso la loro posi-zione sarebbe invece molto contraria alla vita.

Vediamo dunque che i risultati delle più recenti ricer-che sulle stelle si oppongono recisamente alla vecchiaidea, che le innumerevoli miriadi di corpi luminosi pos-seggano tutti dei pianeti gravitanti intorno ad essi, e cheil vero scopo della loro esistenza sia quello di alimentar-vi la vita, come il nostro sole l'alimenta sopra la terra.Quest'asserzione è molto lontana del vero, così che mol-tissime stelle sono state messe da parte come addiritturadisadatte a tale scopo, e quando, per successive elimina-zioni della stessa natura, ne fu ridotto il numero a pochimilioni o anche a poche migliaia, avvenne l'ultima sor-prendente scoperta, che l'intera legione delle stelle con-tiene cioè dei sistemi doppî, che aumentano in numerocon tanta rapidità da far affermare da parte di sommiastronomi contemporanei che una stella isolata sarà fraloro considerata come una rara eccezione. Questa im-mensa generalizzazione toglierebbe di mezzo, di un solcolpo, la maggior parte delle stelle e lascerebbe il nostrosole, che è certamente isolato, e forse qualche altro di si-mile mole, come i soli capaci, fra la legione stellare, dialimentare la vita sopra qualcuno dei pianeti che circola-no intorno ad essi.

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vitano tanto vicine l'una all'altra, sono generalmenteclassificate fuori della categoria dei soli che produconola vita. I disordini di marea che reciprocamente provo-cano devono essere enormi, e questo deve esser contra-rio allo sviluppo dei pianeti, a meno che essi non sianomolto vicini al loro sole, ma in questo caso la loro posi-zione sarebbe invece molto contraria alla vita.

Vediamo dunque che i risultati delle più recenti ricer-che sulle stelle si oppongono recisamente alla vecchiaidea, che le innumerevoli miriadi di corpi luminosi pos-seggano tutti dei pianeti gravitanti intorno ad essi, e cheil vero scopo della loro esistenza sia quello di alimentar-vi la vita, come il nostro sole l'alimenta sopra la terra.Quest'asserzione è molto lontana del vero, così che mol-tissime stelle sono state messe da parte come addiritturadisadatte a tale scopo, e quando, per successive elimina-zioni della stessa natura, ne fu ridotto il numero a pochimilioni o anche a poche migliaia, avvenne l'ultima sor-prendente scoperta, che l'intera legione delle stelle con-tiene cioè dei sistemi doppî, che aumentano in numerocon tanta rapidità da far affermare da parte di sommiastronomi contemporanei che una stella isolata sarà fraloro considerata come una rara eccezione. Questa im-mensa generalizzazione toglierebbe di mezzo, di un solcolpo, la maggior parte delle stelle e lascerebbe il nostrosole, che è certamente isolato, e forse qualche altro di si-mile mole, come i soli capaci, fra la legione stellare, dialimentare la vita sopra qualcuno dei pianeti che circola-no intorno ad essi.

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Ma noi non sappiamo con sicurezza se altri soli similiesistano, e, se esistono, non sappiamo se abbiano deipianeti, e se hanno dei pianeti, non sappiamo se si trova-no alla distanza voluta, o abbiano una massa sufficienteper rendere la vita possibile. Ma se anche queste prima-rie condizioni non mancassero, e se vi potessero esserenon uno o due, ma dozzine di corpi, soddisfacenti tutti atali condizioni, quale probabilità vi può essere che tuttele altre condizioni di perfetto ordinamento, di delicatoequilibrio delle forze più opposte – che abbiano vedutoprevalere sopra la terra, e la combinazione delle quali èdovuta a tale eccezionale caso, che non può esistere so-pra alcun altro pianeta conosciuto – siano coesistenti an-cora in alcuno dei possibili pianeti di questi possibilisoli?

Io voglio ammettere anche che tutte queste probabili-tà possano coesistere, purchè si possa presumere chetutte le stelle possano essere, nelle loro parti più essen-ziali, simili al nostro sole, poichè in tal caso sarebbecosa ridicola il supporre che questo sia il solo in una po-sizione tale da alimentare la vita. Ma quando sappiamoche enormi categorie di stelle, come quelle gassose dipiccola densità, le solari che crescono in grandezza etemperatura, quelle che sono molto più piccole del no-stro sole, le nebulose, probabilmente tutte le stelle dellaVia Lattea, e tutte le miriadi delle doppie telescopiche,vera verga d'Aronne che minaccia di sopprimere tutto ilresto, sono tutte, per diverse ragioni, nell'impossibilitàdi possedere pianeti capaci dello sviluppo della vita, al-

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Ma noi non sappiamo con sicurezza se altri soli similiesistano, e, se esistono, non sappiamo se abbiano deipianeti, e se hanno dei pianeti, non sappiamo se si trova-no alla distanza voluta, o abbiano una massa sufficienteper rendere la vita possibile. Ma se anche queste prima-rie condizioni non mancassero, e se vi potessero esserenon uno o due, ma dozzine di corpi, soddisfacenti tutti atali condizioni, quale probabilità vi può essere che tuttele altre condizioni di perfetto ordinamento, di delicatoequilibrio delle forze più opposte – che abbiano vedutoprevalere sopra la terra, e la combinazione delle quali èdovuta a tale eccezionale caso, che non può esistere so-pra alcun altro pianeta conosciuto – siano coesistenti an-cora in alcuno dei possibili pianeti di questi possibilisoli?

Io voglio ammettere anche che tutte queste probabili-tà possano coesistere, purchè si possa presumere chetutte le stelle possano essere, nelle loro parti più essen-ziali, simili al nostro sole, poichè in tal caso sarebbecosa ridicola il supporre che questo sia il solo in una po-sizione tale da alimentare la vita. Ma quando sappiamoche enormi categorie di stelle, come quelle gassose dipiccola densità, le solari che crescono in grandezza etemperatura, quelle che sono molto più piccole del no-stro sole, le nebulose, probabilmente tutte le stelle dellaVia Lattea, e tutte le miriadi delle doppie telescopiche,vera verga d'Aronne che minaccia di sopprimere tutto ilresto, sono tutte, per diverse ragioni, nell'impossibilitàdi possedere pianeti capaci dello sviluppo della vita, al-

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lora sorgono in gran numero le probabilità contrarieall'esistenza di numerosi soli accompagnati da pianetiabitabili. Ma l'abitabilità di tutti i pianeti e dei più gran-di satelliti, un tempo creduta tanto probabile, anzi cosasicura, ora è quasi messa da banda, tanto che Gore, par-lando della vita nei sistemi stellari, presume che sola-mente un pianeta per ciascun sole possa essere abitabile.Così può avvenire, ed io sono di questa opinione, chefra le tante miriadi di stelle, per quel che sappiamo diesse, sempre e sempre più diminuirà lo scarso residuo diquelle che, a quanto possiamo supporre, illuminano e vi-vificano pianeti abitabili. E se a tanto poche probabilitàaggiungiamo la pochissima verosimiglianza che ognunodi questi pianeti possegga, contemporaneamente e peruna sufficiente durata, tutto l'ordine delicato e complica-to delle condizioni che, come sappiamo, sono indispen-sabili per un pieno sviluppo della vita, allora il presume-re che soltanto sul nostro globo possa esistere, comple-tamente e perfettamente, un tale sviluppo, non sarà cosairragionevole, come finora è stato creduto.

SONO LE STELLE UTILI PER NOI?

Quando, nella mia prima pubblicazione che si riferivaa questo soggetto, dissi che qualche emanazione prove-niente dalle stelle poteva essere o benefica o contrariaalla vita, e che una posizione centrale poteva forse esser

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lora sorgono in gran numero le probabilità contrarieall'esistenza di numerosi soli accompagnati da pianetiabitabili. Ma l'abitabilità di tutti i pianeti e dei più gran-di satelliti, un tempo creduta tanto probabile, anzi cosasicura, ora è quasi messa da banda, tanto che Gore, par-lando della vita nei sistemi stellari, presume che sola-mente un pianeta per ciascun sole possa essere abitabile.Così può avvenire, ed io sono di questa opinione, chefra le tante miriadi di stelle, per quel che sappiamo diesse, sempre e sempre più diminuirà lo scarso residuo diquelle che, a quanto possiamo supporre, illuminano e vi-vificano pianeti abitabili. E se a tanto poche probabilitàaggiungiamo la pochissima verosimiglianza che ognunodi questi pianeti possegga, contemporaneamente e peruna sufficiente durata, tutto l'ordine delicato e complica-to delle condizioni che, come sappiamo, sono indispen-sabili per un pieno sviluppo della vita, allora il presume-re che soltanto sul nostro globo possa esistere, comple-tamente e perfettamente, un tale sviluppo, non sarà cosairragionevole, come finora è stato creduto.

SONO LE STELLE UTILI PER NOI?

Quando, nella mia prima pubblicazione che si riferivaa questo soggetto, dissi che qualche emanazione prove-niente dalle stelle poteva essere o benefica o contrariaalla vita, e che una posizione centrale poteva forse esser

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necessaria, allo scopo di equilibrare queste emanazioni,uno degli astronomi miei critici rise di tale idea, e di-chiarò che «possiamo errare nello spazio, senza tema dirischiar nulla, tanto nelle notti serene, come in quellenuvolose in cui non possiamo vedere le stelle.»37 Il miocritico non ci dice come egli sappia che sia proprio così.Egli asserisce ciò positivamente, senza alcuna restrizio-ne, come se si trattasse di cosa sicura. È dunque bene ildomandare se vi sia qualche prova da addurre per questacosa tutt'ora indecisa.

Gli astronomi sono tanto occupati dei numerosi e va-rii fenomeni che l'Universo stellare presenta, e dei tantie difficili problemi che vorrebbero risolvere, che pochihanno dato molta attenzione a casi di minore importan-za, ma non di minore interesse. Un problema meno im-portante è, senza dubbio, quello la cui soluzione potreb-be rivelarci quanto calore e quali altre irradiazioni rice-viamo dalle stelle, ma dalle poche osservazioni fatte, èresultato che hanno, esse pure, importanza relativa.

Negli anni 1900 e 1901 E. F. Nichols, dell'osservato-rio di Yerkes, fece una serie di esperimenti con un radio-metro di speciale costruzione, per determinare la quanti-tà di calore emesso da certe stelle. Il resultato ottenutofu che Vega dà circa 1/200.000.000 di calore di una candelaad un metro di distanza, e Arturo circa due volte e duedecimi di più.

37 The Fortnightly Review, aprile 1903, p. 60.

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necessaria, allo scopo di equilibrare queste emanazioni,uno degli astronomi miei critici rise di tale idea, e di-chiarò che «possiamo errare nello spazio, senza tema dirischiar nulla, tanto nelle notti serene, come in quellenuvolose in cui non possiamo vedere le stelle.»37 Il miocritico non ci dice come egli sappia che sia proprio così.Egli asserisce ciò positivamente, senza alcuna restrizio-ne, come se si trattasse di cosa sicura. È dunque bene ildomandare se vi sia qualche prova da addurre per questacosa tutt'ora indecisa.

Gli astronomi sono tanto occupati dei numerosi e va-rii fenomeni che l'Universo stellare presenta, e dei tantie difficili problemi che vorrebbero risolvere, che pochihanno dato molta attenzione a casi di minore importan-za, ma non di minore interesse. Un problema meno im-portante è, senza dubbio, quello la cui soluzione potreb-be rivelarci quanto calore e quali altre irradiazioni rice-viamo dalle stelle, ma dalle poche osservazioni fatte, èresultato che hanno, esse pure, importanza relativa.

Negli anni 1900 e 1901 E. F. Nichols, dell'osservato-rio di Yerkes, fece una serie di esperimenti con un radio-metro di speciale costruzione, per determinare la quanti-tà di calore emesso da certe stelle. Il resultato ottenutofu che Vega dà circa 1/200.000.000 di calore di una candelaad un metro di distanza, e Arturo circa due volte e duedecimi di più.

37 The Fortnightly Review, aprile 1903, p. 60.

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Nel 1895 e nel 1896 G. M. Minchin fece una serie diesperimenti sulla misura elettrica della luce stellare permezzo di una camera fotoelettrica di speciale costruzio-ne, sensibile a tutti i raggi dello spettro ed anche a qual-che raggio ultra rosso ed ultra violetto, alla quale fu uni-to un delicatissimo elettrometro. Il telescopio impiegatoper concentrare la luce aveva un riflettore di due piedi diapertura. Minchin fu assistito in questi esperimenti dalprof. G. F. Fitzgerald, membro della Società Reale, delCollegio della Trinità di Dublino, il che può considerarsicome una garanzia dell'accuratezza delle osservazioni. Ilresultato ottenuto fu questo:

SORGENTE DI LUCEDEVIAMENTO

INMILLIMETRI

LUCEIN CANDELE

MISURAELETTRICAIN VOLTS

1896 Candela alla distanza di10 piedi 18,70

Betelgeuse (grandezza 0,9) 12,80 0,685 0,026

Aldebaran (grandezza 1,1) 5,21 0,279 0,012

Procione (grandezza 0,5) 4,89 0,261 0,011

α del Cigno (grandezza 1,3) 4,90 0,262 0,011

Polare (grandezza 2,1) 3,10 0,166 0,007

1 volt. 432,00

1895 Arturo (grandezza 0,3) 8,2 1,01 0,019

Vega (grandezza 0,1) 11,5 1,42 0,026

Candela a 10 piedi 8,1

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Nel 1895 e nel 1896 G. M. Minchin fece una serie diesperimenti sulla misura elettrica della luce stellare permezzo di una camera fotoelettrica di speciale costruzio-ne, sensibile a tutti i raggi dello spettro ed anche a qual-che raggio ultra rosso ed ultra violetto, alla quale fu uni-to un delicatissimo elettrometro. Il telescopio impiegatoper concentrare la luce aveva un riflettore di due piedi diapertura. Minchin fu assistito in questi esperimenti dalprof. G. F. Fitzgerald, membro della Società Reale, delCollegio della Trinità di Dublino, il che può considerarsicome una garanzia dell'accuratezza delle osservazioni. Ilresultato ottenuto fu questo:

SORGENTE DI LUCEDEVIAMENTO

INMILLIMETRI

LUCEIN CANDELE

MISURAELETTRICAIN VOLTS

1896 Candela alla distanza di10 piedi 18,70

Betelgeuse (grandezza 0,9) 12,80 0,685 0,026

Aldebaran (grandezza 1,1) 5,21 0,279 0,012

Procione (grandezza 0,5) 4,89 0,261 0,011

α del Cigno (grandezza 1,3) 4,90 0,262 0,011

Polare (grandezza 2,1) 3,10 0,166 0,007

1 volt. 432,00

1895 Arturo (grandezza 0,3) 8,2 1,01 0,019

Vega (grandezza 0,1) 11,5 1,42 0,026

Candela a 10 piedi 8,1

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N. B. – La candela di paragone illuminava direttamente la ca-mera, ove la luce della stella era concentrata da uno specchio didue piedi.

La superficie sensibile sulla quale la luce della stellafu concentrata aveva un diametro di un ventesimo dipollice. Perciò dobbiamo diminuire la quantità dellaluce in candele, indicata su questa tavola, in proporzionedel quadrato del diametro dello specchio, (un ventesimodi pollice) per ciascuna, eguale a 1/23 0400. Se noi faccia-mo la necessaria riduzione nella casella di Vega edeguagliamo la distanza alla quale la candela fu posta, ot-terremo il seguente risultato:

OSSERVATORI STELLE POTENZA DELLA CANDELAA 10 PIEDI

Minchin Vega 1162 250

Nichols Vega 122000000

Questa enorme differenza sul resultato si può con cer-tezza attribuire al fatto che l'apparato di Nichols misura-va solamente il calore, mentre la camera di Minchin mi-surava quasi tutti i raggi, e perciò Nichols trovò che Ar-turo era una stella rossa più calda di Vega, che è unastella bianca, ma Minchin, misurando l'emissione dellaluce e di altri raggi chimici, trovò che Vega era conside-revolmente più energica di Arturo. Questi confronti cidicono anche che altri metodi di misura possono darci

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N. B. – La candela di paragone illuminava direttamente la ca-mera, ove la luce della stella era concentrata da uno specchio didue piedi.

La superficie sensibile sulla quale la luce della stellafu concentrata aveva un diametro di un ventesimo dipollice. Perciò dobbiamo diminuire la quantità dellaluce in candele, indicata su questa tavola, in proporzionedel quadrato del diametro dello specchio, (un ventesimodi pollice) per ciascuna, eguale a 1/23 0400. Se noi faccia-mo la necessaria riduzione nella casella di Vega edeguagliamo la distanza alla quale la candela fu posta, ot-terremo il seguente risultato:

OSSERVATORI STELLE POTENZA DELLA CANDELAA 10 PIEDI

Minchin Vega 1162 250

Nichols Vega 122000000

Questa enorme differenza sul resultato si può con cer-tezza attribuire al fatto che l'apparato di Nichols misura-va solamente il calore, mentre la camera di Minchin mi-surava quasi tutti i raggi, e perciò Nichols trovò che Ar-turo era una stella rossa più calda di Vega, che è unastella bianca, ma Minchin, misurando l'emissione dellaluce e di altri raggi chimici, trovò che Vega era conside-revolmente più energica di Arturo. Questi confronti cidicono anche che altri metodi di misura possono darci

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risultati anche più precisi, ma non possiamo a meno dinotare che tali piccole differenze devono necessaria-mente ben poco influire sul mondo organico.

Vi sono però alcune considerazioni che tendono a unrisultato contrario. Minchin parla del fatto inaspettatoche Betelgeuse manifesta un'energia elettrica maggioredel doppio di quella di Procione, stella molto più gran-de; ciò indica che molte stelle, di minor grandezza visi-va, possono emanare una quantità maggiore di energia,la quale, come ora noi sappiamo, può prendere moltestrane e varie forme, e probabilmente può avere qualcheinfluenza sulla vita organica. Nè possiamo dire che laquantità di tale energia sia troppo piccola per ottenerequalche effetto sensibile, poichè sappiamo che la picco-lissima quantità di luce emessa dalle più piccole stelletelescopiche produce tali alterazioni chimiche, sopra lelastre fotografiche, tanto da formare distinte immaginianche adoperando lenti o riflettori relativamente piccoli,e con una esposizione di due o tre ore appena. E se nonfosse la luce diffusa nel firmamento circostante, la qualeagisce sopra le lastre, e rende assai sbiadite le immaginiche vi rimangono impresse, potrebbero esser fotografateanche altre stelle molto più piccole.

Sappiamo che non tutti i raggi emessi da un corpo,ma soltanto una parte di essi è capace di produrre questieffetti, sappiamo altresì che le stelle posseggono moltespecie di radiazioni, alcune delle quali probabilmentenon sono state ancora scoperte, paragonabili ai raggi X,e ad altre forme di radiazione. Dobbiamo altresì ram-

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risultati anche più precisi, ma non possiamo a meno dinotare che tali piccole differenze devono necessaria-mente ben poco influire sul mondo organico.

Vi sono però alcune considerazioni che tendono a unrisultato contrario. Minchin parla del fatto inaspettatoche Betelgeuse manifesta un'energia elettrica maggioredel doppio di quella di Procione, stella molto più gran-de; ciò indica che molte stelle, di minor grandezza visi-va, possono emanare una quantità maggiore di energia,la quale, come ora noi sappiamo, può prendere moltestrane e varie forme, e probabilmente può avere qualcheinfluenza sulla vita organica. Nè possiamo dire che laquantità di tale energia sia troppo piccola per ottenerequalche effetto sensibile, poichè sappiamo che la picco-lissima quantità di luce emessa dalle più piccole stelletelescopiche produce tali alterazioni chimiche, sopra lelastre fotografiche, tanto da formare distinte immaginianche adoperando lenti o riflettori relativamente piccoli,e con una esposizione di due o tre ore appena. E se nonfosse la luce diffusa nel firmamento circostante, la qualeagisce sopra le lastre, e rende assai sbiadite le immaginiche vi rimangono impresse, potrebbero esser fotografateanche altre stelle molto più piccole.

Sappiamo che non tutti i raggi emessi da un corpo,ma soltanto una parte di essi è capace di produrre questieffetti, sappiamo altresì che le stelle posseggono moltespecie di radiazioni, alcune delle quali probabilmentenon sono state ancora scoperte, paragonabili ai raggi X,e ad altre forme di radiazione. Dobbiamo altresì ram-

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mentare l'infinita varietà e la grande instabilità dei pro-dotti protoplasmatici degli organismi viventi, molti deiquali sono forse tanto sensibili ai raggi speciali, quantole lastre fotografiche, e che le radiazioni stellari non silimitano ad un'azione di pochi minuti o di poche ore, madurano per tutto il giorno e per tutta la notte, e persisto-no, quando il cielo è sereno, per mesi ed anni. Così glieffetti cumulati di queste debolissime radiazioni posso-no divenire notevoli. È probabile che la loro azione ab-bia maggior influenza sulle piante, nelle quali si trovanotutte le condizioni richieste perchè si accumuli e si uti-lizzi, e perchè esse posseggono un grande sviluppo disuperficie, rappresentata dalle foglie, esposta a tutte leradiazioni. Un albero grande può presentare molte centi-naia di piedi di superficie di ricezione, ed anche gli ar-busti e le erbe spesso hanno l'area totale del loro foglia-me grande quanto l'obbiettivo dei nostri più grandi tele-scopi. Alcuni dei più complicati processi chimici cheavvengono nelle piante, possono essere aiutati da questeradiazioni, e la loro azione sarebbe aumentata dal fattoche, venendo da ogni direzione della superficie dei cieli,i raggi provenienti dalle stelle sarebbero capaci di arri-vare e di agire sopra ogni foglia nelle più fitte masse difogliame. Il crescere delle piante, fenomeno che si veri-fica durante la notte, può essere in parte dovuto a questoagente.

Certo tutto ciò non rappresenta che una pura specula-zione, ma io ammetto – riferendomi al fatto che la lucedelle stelle più deboli produce dei cambiamenti fisici

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mentare l'infinita varietà e la grande instabilità dei pro-dotti protoplasmatici degli organismi viventi, molti deiquali sono forse tanto sensibili ai raggi speciali, quantole lastre fotografiche, e che le radiazioni stellari non silimitano ad un'azione di pochi minuti o di poche ore, madurano per tutto il giorno e per tutta la notte, e persisto-no, quando il cielo è sereno, per mesi ed anni. Così glieffetti cumulati di queste debolissime radiazioni posso-no divenire notevoli. È probabile che la loro azione ab-bia maggior influenza sulle piante, nelle quali si trovanotutte le condizioni richieste perchè si accumuli e si uti-lizzi, e perchè esse posseggono un grande sviluppo disuperficie, rappresentata dalle foglie, esposta a tutte leradiazioni. Un albero grande può presentare molte centi-naia di piedi di superficie di ricezione, ed anche gli ar-busti e le erbe spesso hanno l'area totale del loro foglia-me grande quanto l'obbiettivo dei nostri più grandi tele-scopi. Alcuni dei più complicati processi chimici cheavvengono nelle piante, possono essere aiutati da questeradiazioni, e la loro azione sarebbe aumentata dal fattoche, venendo da ogni direzione della superficie dei cieli,i raggi provenienti dalle stelle sarebbero capaci di arri-vare e di agire sopra ogni foglia nelle più fitte masse difogliame. Il crescere delle piante, fenomeno che si veri-fica durante la notte, può essere in parte dovuto a questoagente.

Certo tutto ciò non rappresenta che una pura specula-zione, ma io ammetto – riferendomi al fatto che la lucedelle stelle più deboli produce dei cambiamenti fisici

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ben evidenti, e che anche i più lievi effetti di calore sonomisurabili, come le forze elettro meccaniche cagionateda esso – che, quando consideriamo i milioni, anzi lecentinaia di milioni di stelle che agiscono simultanea-mente sopra ogni organismo che può essere sensibilealla loro azione, il supporre che devono produrvi qual-che effetto, e forse importante, mi sembra non sia cosada esser sommariamente respinta come del tutto assur-da, e alla quale non deve darsi alcuna importanza.

Ma non è a queste possibili e dirette azioni delle stellesopra gli organismi viventi che io attribuisco molto va-lore, per quel che riguarda la nostra posizione centralenell'Universo stellare. Ulteriori considerazioni su questosoggetto mi hanno convinto che la fondamentale impor-tanza di questa posizione è addirittura fisica, come giàaffermarono Normanno Lockyer e molti altri astronomi.Riassumendo, adunque, la posizione centrale sembra sial'unica dove i soli possano avere una sufficiente stabilitàe longevità, tanto da esser capaci di cooperare al lungoprocesso dello sviluppo della vita in qualche pianeta daessi dipendente. Tratteremo questo soggetto, svolgendo-lo ancora più nel prossimo capitolo, col quale conclude-remo.

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ben evidenti, e che anche i più lievi effetti di calore sonomisurabili, come le forze elettro meccaniche cagionateda esso – che, quando consideriamo i milioni, anzi lecentinaia di milioni di stelle che agiscono simultanea-mente sopra ogni organismo che può essere sensibilealla loro azione, il supporre che devono produrvi qual-che effetto, e forse importante, mi sembra non sia cosada esser sommariamente respinta come del tutto assur-da, e alla quale non deve darsi alcuna importanza.

Ma non è a queste possibili e dirette azioni delle stellesopra gli organismi viventi che io attribuisco molto va-lore, per quel che riguarda la nostra posizione centralenell'Universo stellare. Ulteriori considerazioni su questosoggetto mi hanno convinto che la fondamentale impor-tanza di questa posizione è addirittura fisica, come giàaffermarono Normanno Lockyer e molti altri astronomi.Riassumendo, adunque, la posizione centrale sembra sial'unica dove i soli possano avere una sufficiente stabilitàe longevità, tanto da esser capaci di cooperare al lungoprocesso dello sviluppo della vita in qualche pianeta daessi dipendente. Tratteremo questo soggetto, svolgendo-lo ancora più nel prossimo capitolo, col quale conclude-remo.

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CAPITOLO XVI.STABILITÀ DEL SISTEMA

STELLARE.IMPORTANZA DELLA NOSTRA

POSIZIONE CENTRALE

Una delle maggiori difficoltà, per quel che riguarda ilvasto sistema di stelle che ci circonda, è la questionedella sua permanente stabilità, se non assoluta e indefi-nita, nondimeno per un periodo abbastanza lungo, qual-cosa come molti milioni di anni, necessari perchè la no-stra vita terrestre abbia potuto svilupparsi. Questo perio-do, nel caso della terra, come ho già sufficientemente di-mostrato, ha avuto dal principio alla fine un carattere es-senziale, quello di una grande uniformità, la quale èquasi certo durerà ancora per qualche milione d'anni.

Ma i nostri astronomi matematici possono non trova-re indizi della stabilità dell'Universo stellare nel suo in-sieme, se esso è solamente soggetto alla legge di gravi-

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CAPITOLO XVI.STABILITÀ DEL SISTEMA

STELLARE.IMPORTANZA DELLA NOSTRA

POSIZIONE CENTRALE

Una delle maggiori difficoltà, per quel che riguarda ilvasto sistema di stelle che ci circonda, è la questionedella sua permanente stabilità, se non assoluta e indefi-nita, nondimeno per un periodo abbastanza lungo, qual-cosa come molti milioni di anni, necessari perchè la no-stra vita terrestre abbia potuto svilupparsi. Questo perio-do, nel caso della terra, come ho già sufficientemente di-mostrato, ha avuto dal principio alla fine un carattere es-senziale, quello di una grande uniformità, la quale èquasi certo durerà ancora per qualche milione d'anni.

Ma i nostri astronomi matematici possono non trova-re indizi della stabilità dell'Universo stellare nel suo in-sieme, se esso è solamente soggetto alla legge di gravi-

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tazione. Replicando ad alcune questioni su questo pun-to, il mio amico prof. Giorgio Darwin scrive così: «Unsistema simmetrico e anulare di corpi, può gravitare inun circolo, con o senza un corpo centrale, ma tale siste-ma non sarebbe stabile, e se i corpi fossero di mole ine-guale e non disposti simmetricamente, il disordine delsistema avverrebbe assai più rapidamente che nel casoideale della simmetria.»

Ciò significa che il gran sistema anulare della ViaLattea non è stabile. Ma se così è, la sua esistenza è piùmisteriosa che mai. Quantunque nelle particolarità lasua struttura sia molto irregolare, l'insieme è meraviglio-samente simmetrico, e sembra quasi impossibile che lasua forma anulare possa esser il risultato di una casualeaggregazione di materia, proveniente da una preesisten-te e differente forma. I gruppi stellari sono egualmenteinstabili, o, per meglio dire, non si conosce nulla, perchènulla è stato detto circa la loro stabilità o instabilità, se-condo i professori Newcomb e Darwin.

E. T. Whittaker, segretario della Real Società Astro-nomica, al quale il prof. Darwin inviò il mio quesito,scrive: «Dubito assai che il principale fenomenodell'Universo stellare sia una conseguenza assoluta dellalegge di gravitazione. Io pure studiai indefessamente lenebulose a spirale, ed arrivai ad una certa spiegazione,ma elettrodinamica e non gravitativa. In conclusione ri-mane da vedersi se fra i corpi di quella immensa esten-sione della Via Lattea e delle nebulose, l'effetto che noichiamiamo di gravitazione è dato dalla legge di Newton;

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tazione. Replicando ad alcune questioni su questo pun-to, il mio amico prof. Giorgio Darwin scrive così: «Unsistema simmetrico e anulare di corpi, può gravitare inun circolo, con o senza un corpo centrale, ma tale siste-ma non sarebbe stabile, e se i corpi fossero di mole ine-guale e non disposti simmetricamente, il disordine delsistema avverrebbe assai più rapidamente che nel casoideale della simmetria.»

Ciò significa che il gran sistema anulare della ViaLattea non è stabile. Ma se così è, la sua esistenza è piùmisteriosa che mai. Quantunque nelle particolarità lasua struttura sia molto irregolare, l'insieme è meraviglio-samente simmetrico, e sembra quasi impossibile che lasua forma anulare possa esser il risultato di una casualeaggregazione di materia, proveniente da una preesisten-te e differente forma. I gruppi stellari sono egualmenteinstabili, o, per meglio dire, non si conosce nulla, perchènulla è stato detto circa la loro stabilità o instabilità, se-condo i professori Newcomb e Darwin.

E. T. Whittaker, segretario della Real Società Astro-nomica, al quale il prof. Darwin inviò il mio quesito,scrive: «Dubito assai che il principale fenomenodell'Universo stellare sia una conseguenza assoluta dellalegge di gravitazione. Io pure studiai indefessamente lenebulose a spirale, ed arrivai ad una certa spiegazione,ma elettrodinamica e non gravitativa. In conclusione ri-mane da vedersi se fra i corpi di quella immensa esten-sione della Via Lattea e delle nebulose, l'effetto che noichiamiamo di gravitazione è dato dalla legge di Newton;

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e per l'appunto l'ordinaria formula di attrazione elettro-statica cade, quando consideriamo le masse moventisicon tanta velocità.»

Accettando queste opinioni di due matematici chehanno studiato il problema con speciale attenzione, nonpossiamo affermare che le leggi di gravitazione sianostate le sole a determinare la forma presente dell'Univer-so stellare. Ciò è cosa assai importante per noi, perchèin tal modo evitiamo di arrivare ad una conclusione chemolti astronomi credono inevitabile, cioè che il movi-mento proprio delle stelle non può essere spiegato dalleforze gravitative del sistema stesso. Nel capitolo ottavodi questo lavoro ho citato i calcoli del prof. Newcombcirca il risultato della legge di gravitazione in un Uni-verso di cento milioni di stelle, ognuna delle quali abbiaun volume cinque volte maggiore del nostro sole, mo-ventesi in una sfera, per traversare la quale fossero ne-cessari almeno trentamila anni. In tal caso un corpo, ca-dendo dai limiti esterni del sistema verso il centro, po-trebbe acquistare una velocità massima di venticinquemiglia al secondo, e perciò ogni corpo, in qualunqueparte dell'Universo si trovasse, possedendo una velocitàmaggiore, passerebbe nell'infinito spazio; ma siccomemolte stelle, almeno per quel che si crede, hanno unavelocità maggiore di quella supposta dal prof. New-comb, ne verrebbe per conseguenza che, non soltantoesse dovrebbero allontanarsi dal nostro Universo, mache mai più potrebbero ad esso appartenere, poichè laloro velocità altrove aumenterebbe. Questa sembra esse-

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e per l'appunto l'ordinaria formula di attrazione elettro-statica cade, quando consideriamo le masse moventisicon tanta velocità.»

Accettando queste opinioni di due matematici chehanno studiato il problema con speciale attenzione, nonpossiamo affermare che le leggi di gravitazione sianostate le sole a determinare la forma presente dell'Univer-so stellare. Ciò è cosa assai importante per noi, perchèin tal modo evitiamo di arrivare ad una conclusione chemolti astronomi credono inevitabile, cioè che il movi-mento proprio delle stelle non può essere spiegato dalleforze gravitative del sistema stesso. Nel capitolo ottavodi questo lavoro ho citato i calcoli del prof. Newcombcirca il risultato della legge di gravitazione in un Uni-verso di cento milioni di stelle, ognuna delle quali abbiaun volume cinque volte maggiore del nostro sole, mo-ventesi in una sfera, per traversare la quale fossero ne-cessari almeno trentamila anni. In tal caso un corpo, ca-dendo dai limiti esterni del sistema verso il centro, po-trebbe acquistare una velocità massima di venticinquemiglia al secondo, e perciò ogni corpo, in qualunqueparte dell'Universo si trovasse, possedendo una velocitàmaggiore, passerebbe nell'infinito spazio; ma siccomemolte stelle, almeno per quel che si crede, hanno unavelocità maggiore di quella supposta dal prof. New-comb, ne verrebbe per conseguenza che, non soltantoesse dovrebbero allontanarsi dal nostro Universo, mache mai più potrebbero ad esso appartenere, poichè laloro velocità altrove aumenterebbe. Questa sembra esse-

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re stata l'idea degli astronomi, i quali hanno affermatoche, anche con la moderata rapidità che possiede, il no-stro sole, in cinque milioni d'anni, si internerrebbe pro-fondamente nella Via Lattea. A questo ho già dato ade-guata risposta, ma voglio metter sotto gli occhi dei mieilettori un eccellente ed importante commento fatto adun'osservazione del defunto prof. Huxley, ed il resultatovoi lo rileverete dai calcoli matematici che dipenderan-no interamente dai dati che voi adotterete.

Nel Philosophical Magazine (gennaio 1902) si trovaun bell'articolo di lord Kelvin, nel quale l'autore discuteil medesimo problema che Newcomb discusse moltoprima; ma, partendo da differenti presunzioni, egual-mente basate sopra fatti accertati e probabilità da quellededotte, ottenne un assai differente resultato.

Lord Kelvin immagina una sfera di raggio tale cheuna stella posta all'estremità di questo abbia una paral-lasse di un millesimo di secondo (0",001) equivalente a3215 anni di luce. Distribuita con uniformità in tuttaquesta sfera, immagina della materia eguale in massa amille milioni di soli come il nostro. Se questa materiaobbedisse alla legge di gravitazione, comincerebbe amuoversi in principio con grandissima lentezza, special-mente verso il centro. Ma in venticinque milioni di annimolti di questi soli acquisterebbero una velocità dalledodici alle venti miglia al secondo, mentre altri percor-rerebbero poco meno ed altri probabilmente più di set-tanta miglia al secondo. Queste velocità si accordano ingenerale con le velocità misurate nelle stelle, e lord Kel-

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re stata l'idea degli astronomi, i quali hanno affermatoche, anche con la moderata rapidità che possiede, il no-stro sole, in cinque milioni d'anni, si internerrebbe pro-fondamente nella Via Lattea. A questo ho già dato ade-guata risposta, ma voglio metter sotto gli occhi dei mieilettori un eccellente ed importante commento fatto adun'osservazione del defunto prof. Huxley, ed il resultatovoi lo rileverete dai calcoli matematici che dipenderan-no interamente dai dati che voi adotterete.

Nel Philosophical Magazine (gennaio 1902) si trovaun bell'articolo di lord Kelvin, nel quale l'autore discuteil medesimo problema che Newcomb discusse moltoprima; ma, partendo da differenti presunzioni, egual-mente basate sopra fatti accertati e probabilità da quellededotte, ottenne un assai differente resultato.

Lord Kelvin immagina una sfera di raggio tale cheuna stella posta all'estremità di questo abbia una paral-lasse di un millesimo di secondo (0",001) equivalente a3215 anni di luce. Distribuita con uniformità in tuttaquesta sfera, immagina della materia eguale in massa amille milioni di soli come il nostro. Se questa materiaobbedisse alla legge di gravitazione, comincerebbe amuoversi in principio con grandissima lentezza, special-mente verso il centro. Ma in venticinque milioni di annimolti di questi soli acquisterebbero una velocità dalledodici alle venti miglia al secondo, mentre altri percor-rerebbero poco meno ed altri probabilmente più di set-tanta miglia al secondo. Queste velocità si accordano ingenerale con le velocità misurate nelle stelle, e lord Kel-

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vin crede che vi sia nella suddetta distanza, tanta mate-ria quanta ne comprende un milione di soli. Quindi, ag-giunge, se noi supponiamo che esistano dieci milioni disoli dentro la medesima sfera, la velocità prodotta sareb-be molto più grande di quella che noi conosciamo nellestelle; può darsi adunque che esista una quantità di ma-teria molto minore di quella che sarebbe compresa indieci milioni di soli, ed aggiunge che se questa materianon fosse distribuita nella sfera con uniformità, allora,qualunque ne fosse l'irregolarità, il moto acquistato sa-rebbe maggiore. Questo serve a dimostrare una volta dipiù che i 1000 milioni di soli basterebbero per produrrel'effetto osservato nel movimento stellare. Egli calcolòallora la media della distanza che dovrebbe intercederefra ciascuna dei 1000 milioni di stelle, e trovò che è dicirca 300 milioni di milioni di miglia. Ma la stella piùvicina al nostro sole ne è lontana circa ventisei milionidi milioni di miglia, cioè, come l'evidenza dimostra, èsituata nella parte più densa del gruppo solare. Questocompensa largamente della relativa mancanza di stellenello spazio compreso fra il nostro gruppo e la Via Lat-tea, e in tutta la regione che si trova verso i poli dellaVia Lattea, come dimostra il diagramma del IV capitolo,e la relativa densità della maggior parte della Via Latteastessa, può servire a completare la media.

Precedenti scrittori sono giunti a conclusioni diverse,pur seguendo lo stesso metodo d'argomentazione, per ilfatto che il loro ragionamento è basato su diversi pre-supposti. Il prof. Newcomb, di cui le conclusioni, pub-

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vin crede che vi sia nella suddetta distanza, tanta mate-ria quanta ne comprende un milione di soli. Quindi, ag-giunge, se noi supponiamo che esistano dieci milioni disoli dentro la medesima sfera, la velocità prodotta sareb-be molto più grande di quella che noi conosciamo nellestelle; può darsi adunque che esista una quantità di ma-teria molto minore di quella che sarebbe compresa indieci milioni di soli, ed aggiunge che se questa materianon fosse distribuita nella sfera con uniformità, allora,qualunque ne fosse l'irregolarità, il moto acquistato sa-rebbe maggiore. Questo serve a dimostrare una volta dipiù che i 1000 milioni di soli basterebbero per produrrel'effetto osservato nel movimento stellare. Egli calcolòallora la media della distanza che dovrebbe intercederefra ciascuna dei 1000 milioni di stelle, e trovò che è dicirca 300 milioni di milioni di miglia. Ma la stella piùvicina al nostro sole ne è lontana circa ventisei milionidi milioni di miglia, cioè, come l'evidenza dimostra, èsituata nella parte più densa del gruppo solare. Questocompensa largamente della relativa mancanza di stellenello spazio compreso fra il nostro gruppo e la Via Lat-tea, e in tutta la regione che si trova verso i poli dellaVia Lattea, come dimostra il diagramma del IV capitolo,e la relativa densità della maggior parte della Via Latteastessa, può servire a completare la media.

Precedenti scrittori sono giunti a conclusioni diverse,pur seguendo lo stesso metodo d'argomentazione, per ilfatto che il loro ragionamento è basato su diversi pre-supposti. Il prof. Newcomb, di cui le conclusioni, pub-

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blicate qualche hanno fa, sono generalmente accettate,presume cento milioni di stelle, ciascuna cinque voltepiù grande del nostro sole, in totale perciò equivalenti acinquecento milioni di soli, e le distribuisce uniforme-mente in una sfera che abbia un diametro di 30 milaanni di luce; così alla metà della materia totale immagi-nata da lord Kelvin, fa corrispondere un'estensione cin-que volte maggiore. Il risultato è che la gravitazione po-trebbe produrre soltanto un massimo di velocità di ven-ticinque miglia al secondo, mentre invece lord Kelvinopina che si produrrebbe una velocità massima di set-tanta miglia al secondo e forse anche maggiore. Questiultimi calcoli creano una insuperabile difficoltà per quelche riguarda la velocità delle stelle, la quale è superiorea quelle che può produrre la forza di gravitazione, per-chè le velocità astrattamente calcolate rappresentano ilresultato inevitabile cui debbono sottostare i corpi distri-buiti uniformemente nello spazio. La distribuzione irre-golare, tal quale noi la vediamo per ogni dove dell'Uni-verso, produrrebbe maggiore o minore velocità; e se ter-remo poi conto delle collisioni ed anche del maggior av-vicinarsi delle grandi masse, che cagionano le grandi ca-tastrofi distruttive nel cielo, potremmo avere un aumen-to di movimento quasi come quello suddetto, ma sicco-me questo movimento nell'interno del sistema sarebbeprodotto per gravitazione, dovrebbe egualmente esserdeterminato dalla legge di gravitazione.

Affinchè i lettori possano meglio intendere il calcolodi lord Kelvin ed anche la conclusione generale degli

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blicate qualche hanno fa, sono generalmente accettate,presume cento milioni di stelle, ciascuna cinque voltepiù grande del nostro sole, in totale perciò equivalenti acinquecento milioni di soli, e le distribuisce uniforme-mente in una sfera che abbia un diametro di 30 milaanni di luce; così alla metà della materia totale immagi-nata da lord Kelvin, fa corrispondere un'estensione cin-que volte maggiore. Il risultato è che la gravitazione po-trebbe produrre soltanto un massimo di velocità di ven-ticinque miglia al secondo, mentre invece lord Kelvinopina che si produrrebbe una velocità massima di set-tanta miglia al secondo e forse anche maggiore. Questiultimi calcoli creano una insuperabile difficoltà per quelche riguarda la velocità delle stelle, la quale è superiorea quelle che può produrre la forza di gravitazione, per-chè le velocità astrattamente calcolate rappresentano ilresultato inevitabile cui debbono sottostare i corpi distri-buiti uniformemente nello spazio. La distribuzione irre-golare, tal quale noi la vediamo per ogni dove dell'Uni-verso, produrrebbe maggiore o minore velocità; e se ter-remo poi conto delle collisioni ed anche del maggior av-vicinarsi delle grandi masse, che cagionano le grandi ca-tastrofi distruttive nel cielo, potremmo avere un aumen-to di movimento quasi come quello suddetto, ma sicco-me questo movimento nell'interno del sistema sarebbeprodotto per gravitazione, dovrebbe egualmente esserdeterminato dalla legge di gravitazione.

Affinchè i lettori possano meglio intendere il calcolodi lord Kelvin ed anche la conclusione generale degli

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astronomi, circa la forma e la dimensione dell'Universostellare, riproduco due diagrammi, uno del piano centra-le della Via Lattea, l'altro di una sezione attraverso isuoi poli; ambedue sono disegnati sulla medesima scalae dimostrano che il diametro totale attraverso la Via Lat-tea, è di 3600 anni di luce, vale a dire circa la metà diquello richiesto da Lord Kelvin per il suo ipotetico Uni-verso. Dico questo perchè le dimensioni date da essosono quelle che bastano a provocare i movimenti pressoil centro, quali li posseggono adesso le stelle, in un pe-riodo minimo di 25 milioni di anni dopo l'iniziale asset-to, e quali si suppone che ritorneranno in epoche ulterio-ri, quindi tutto il sistema potrebbe essere molto aumen-tato d'estensione per l'aggregazione verso il centro e vi-cino a questo. Queste dimensioni sembra si accordinosufficientemente con le reali distanze delle stelle già mi-surate. La parallasse più piccola misurata con sufficienteprecisione, secondo l'elenco del Prof. Newcomb, è quel-la di γ di Cassiopea, che è di un centesimo di secondo(0",01), mentre lord Kelvin non ne dà alcuna più piccoladi 0",02, e queste sarebbero tutte comprese nell'ammas-so solare, come ho dimostrato.

Deve comprendersi chiaramente che queste due illu-strazioni sono semplici diagrammi, che mostrano le se-zioni principali dell'Universo stellare secondo i migliorie più attendibili dati con proporzionate dimensioni, perquanto l'andamento e la distribuzione delle stelle e leopinioni degli astronomi che hanno studiato attentamen-te il soggetto possono armonizzare fra loro. Non posso

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astronomi, circa la forma e la dimensione dell'Universostellare, riproduco due diagrammi, uno del piano centra-le della Via Lattea, l'altro di una sezione attraverso isuoi poli; ambedue sono disegnati sulla medesima scalae dimostrano che il diametro totale attraverso la Via Lat-tea, è di 3600 anni di luce, vale a dire circa la metà diquello richiesto da Lord Kelvin per il suo ipotetico Uni-verso. Dico questo perchè le dimensioni date da essosono quelle che bastano a provocare i movimenti pressoil centro, quali li posseggono adesso le stelle, in un pe-riodo minimo di 25 milioni di anni dopo l'iniziale asset-to, e quali si suppone che ritorneranno in epoche ulterio-ri, quindi tutto il sistema potrebbe essere molto aumen-tato d'estensione per l'aggregazione verso il centro e vi-cino a questo. Queste dimensioni sembra si accordinosufficientemente con le reali distanze delle stelle già mi-surate. La parallasse più piccola misurata con sufficienteprecisione, secondo l'elenco del Prof. Newcomb, è quel-la di γ di Cassiopea, che è di un centesimo di secondo(0",01), mentre lord Kelvin non ne dà alcuna più piccoladi 0",02, e queste sarebbero tutte comprese nell'ammas-so solare, come ho dimostrato.

Deve comprendersi chiaramente che queste due illu-strazioni sono semplici diagrammi, che mostrano le se-zioni principali dell'Universo stellare secondo i migliorie più attendibili dati con proporzionate dimensioni, perquanto l'andamento e la distribuzione delle stelle e leopinioni degli astronomi che hanno studiato attentamen-te il soggetto possono armonizzare fra loro. Non posso

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certamente affermare che l'ordinamento dell'Universosia realmente tanto regolare quanto nel mio disegno, maho tentato, per mezzo di chiaroscuri, di rappresentare ledensità stellari relative delle diverse parti dello spazioche ci circonda. Alcune altre brevi spiegazioni mi sem-brano necessarie.

DIAGRAMMA DELL’UNIVERSO STELLARE (Piano)

1. Parte centrale dell'ammasso solare. – 2. Orbita del sole(macchia nera). – 3 Limite esterno dell'ammasso solare. – 4. ViaLattea.

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certamente affermare che l'ordinamento dell'Universosia realmente tanto regolare quanto nel mio disegno, maho tentato, per mezzo di chiaroscuri, di rappresentare ledensità stellari relative delle diverse parti dello spazioche ci circonda. Alcune altre brevi spiegazioni mi sem-brano necessarie.

DIAGRAMMA DELL’UNIVERSO STELLARE (Piano)

1. Parte centrale dell'ammasso solare. – 2. Orbita del sole(macchia nera). – 3 Limite esterno dell'ammasso solare. – 4. ViaLattea.

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DIAGRAMMA DELL’UNIVERSO STELLARE (Sezione)

Sezione attraverso i poli della Via LatteaL'ammasso solare, rappresentato molto densamente

nella parte centrale, occupa un decimo del diametro diquesta; è nelle vicinanze della parte esterna di questoaddensamento centrale che si crede sia situato il nostrosole. Al di là di questo ammasso sembra esista uno spa-zio quasi vuoto, passato il quale si incontra la parte piùesterna dell'ammasso, consistente in rare stelle sparse,che formano in tal guisa una specie di gruppo anulare,somigliante nella forma alla bellissima nebulosa anulareche si vede nella costellazione della Lira, come hanno

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DIAGRAMMA DELL’UNIVERSO STELLARE (Sezione)

Sezione attraverso i poli della Via LatteaL'ammasso solare, rappresentato molto densamente

nella parte centrale, occupa un decimo del diametro diquesta; è nelle vicinanze della parte esterna di questoaddensamento centrale che si crede sia situato il nostrosole. Al di là di questo ammasso sembra esista uno spa-zio quasi vuoto, passato il quale si incontra la parte piùesterna dell'ammasso, consistente in rare stelle sparse,che formano in tal guisa una specie di gruppo anulare,somigliante nella forma alla bellissima nebulosa anulareche si vede nella costellazione della Lira, come hanno

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detto parecchi astronomi. Vi sono delle prove dirette infavore di questa forma anulare. Il prof. Newcomb, nelsuo recente libro: The Stars, dà un elenco di quelle stellela cui parallasse è ben conosciuta; sono sessantanove, edordinate secondo il valore delle loro parallassi si trovache non meno di trentacinque hanno una parallasse fra0"1, e 0"4 di secondo, il che dimostra che esse fannoparte della massa centrale; la parallasse di tre altre è da0"4 a 0"75, e ciò indica che queste attualmente sono lepiù vicine a noi, pur essendo a una enorme distanza.Quelle che hanno una parallasse più piccola di un deci-mo, fino a un centesimo di secondo, sono soltanto 31 intutto, ma siccome sono diffuse in una sfera che è grandedieci volte il loro diametro, e perciò mille volte il volu-me della sfera contenente quelle che hanno una parallas-se maggiore di un decimo di secondo, devono essere im-mensamente più numerose, benchè molto più rade. Ilfatto più importante è che, se arriviamo ad una parallas-se di 0",06, troviamo solamente tre stelle già misurate,per cui quelle fra 0",02 e 0",06 con egual grado di paral-lasse, sono ventisei, e siccome queste sono sparse in tut-te le direzioni, indicano uno spazio quasi vuoto seguitoda un anello esterno di media densità.

Nello spazio enorme che resta fra il nostro ammasso ela Via Lattea ed anche sopra e sotto il suo piano e versoi poli di essa, le stelle sono molto rade, e forse sonosparse con maggior densità nel piano della Via Latteache ai lati di esso, dove le nebulose irresolubili sono intanta copia, nè è forse improbabile che esista uno spazio

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detto parecchi astronomi. Vi sono delle prove dirette infavore di questa forma anulare. Il prof. Newcomb, nelsuo recente libro: The Stars, dà un elenco di quelle stellela cui parallasse è ben conosciuta; sono sessantanove, edordinate secondo il valore delle loro parallassi si trovache non meno di trentacinque hanno una parallasse fra0"1, e 0"4 di secondo, il che dimostra che esse fannoparte della massa centrale; la parallasse di tre altre è da0"4 a 0"75, e ciò indica che queste attualmente sono lepiù vicine a noi, pur essendo a una enorme distanza.Quelle che hanno una parallasse più piccola di un deci-mo, fino a un centesimo di secondo, sono soltanto 31 intutto, ma siccome sono diffuse in una sfera che è grandedieci volte il loro diametro, e perciò mille volte il volu-me della sfera contenente quelle che hanno una parallas-se maggiore di un decimo di secondo, devono essere im-mensamente più numerose, benchè molto più rade. Ilfatto più importante è che, se arriviamo ad una parallas-se di 0",06, troviamo solamente tre stelle già misurate,per cui quelle fra 0",02 e 0",06 con egual grado di paral-lasse, sono ventisei, e siccome queste sono sparse in tut-te le direzioni, indicano uno spazio quasi vuoto seguitoda un anello esterno di media densità.

Nello spazio enorme che resta fra il nostro ammasso ela Via Lattea ed anche sopra e sotto il suo piano e versoi poli di essa, le stelle sono molto rade, e forse sonosparse con maggior densità nel piano della Via Latteache ai lati di esso, dove le nebulose irresolubili sono intanta copia, nè è forse improbabile che esista uno spazio

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vuoto al di là del nostro ammasso, ed anche di conside-revole ampiezza. Almeno così è stato supposto, ma diquesto non possiamo esser sicuri, finchè non si trovinoaltri mezzi di misura per le parallassi che restano fra uncentesimo ed un cinquecentesimo di secondo.

Questi diagrammi servono altresì a mettere in rilievoun altro punto importantissimo per le opinioni che soste-niamo. Mettendo il sistema solare verso i margini ester-ni della densa agglomerazione centrale dell'ammasso so-lare, (ed è possibile che questo ammasso includa unagrande parte di stelle oscure e sia quindi molto più den-so verso il centro di quel che appare ai nostri occhi) sipuò benissimo supporre che il sistema solare rotei con lealtre stelle che compongono l'intero ammasso intorno alcentro di gravità del sistema stesso, poichè la forza digravità verso quel centro può essere forse venti o anchecento volte più grande che verso la meno densa e lamolto più remota parte del gruppo.

Il sole, come indica il diagramma, è di circa 30 annidi luce lontano dal centro, il che corrisponde ad una pa-rallasse di poco più di un decimo di secondo, cioè a unaattuale distanza di centonovanta milioni di milioni dimiglia, eguale a circa settantamila volte la distanza delsole da Nettuno. Nondimeno vediamo che questa posi-zione è relativamente tanto poco lontana dal vero centrodell'Universo stellare, che se dobbiamo qualche benefi-ca influenza a questa posizione centrale, in rapporto allaVia Lattea, certo ne godiamo come se fossimo situatiproprio nel centro. Ma se la situazione è quella già indi-

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vuoto al di là del nostro ammasso, ed anche di conside-revole ampiezza. Almeno così è stato supposto, ma diquesto non possiamo esser sicuri, finchè non si trovinoaltri mezzi di misura per le parallassi che restano fra uncentesimo ed un cinquecentesimo di secondo.

Questi diagrammi servono altresì a mettere in rilievoun altro punto importantissimo per le opinioni che soste-niamo. Mettendo il sistema solare verso i margini ester-ni della densa agglomerazione centrale dell'ammasso so-lare, (ed è possibile che questo ammasso includa unagrande parte di stelle oscure e sia quindi molto più den-so verso il centro di quel che appare ai nostri occhi) sipuò benissimo supporre che il sistema solare rotei con lealtre stelle che compongono l'intero ammasso intorno alcentro di gravità del sistema stesso, poichè la forza digravità verso quel centro può essere forse venti o anchecento volte più grande che verso la meno densa e lamolto più remota parte del gruppo.

Il sole, come indica il diagramma, è di circa 30 annidi luce lontano dal centro, il che corrisponde ad una pa-rallasse di poco più di un decimo di secondo, cioè a unaattuale distanza di centonovanta milioni di milioni dimiglia, eguale a circa settantamila volte la distanza delsole da Nettuno. Nondimeno vediamo che questa posi-zione è relativamente tanto poco lontana dal vero centrodell'Universo stellare, che se dobbiamo qualche benefi-ca influenza a questa posizione centrale, in rapporto allaVia Lattea, certo ne godiamo come se fossimo situatiproprio nel centro. Ma se la situazione è quella già indi-

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cata, non esiste alcun'altra difficoltà per ammettere cheil movimento proprio trasporta il sole da un lato all'altrodella Via Lattea in un tempo minore di quello richiestoper lo sviluppo della vita sopra la terra. E se l'ammassodi cui fa parte il sole è veramente presso a poco globula-re e sufficientemente denso, tanto da servire come cen-tro di gravità per tutte le stelle dell'altro ammasso che viruota intorno, tutte le stelle che lo compongono e chenon sono situate nel piano del suo equatore, e quindi inquello della Via Lattea, devono roteare obliquamente,secondo varii angoli, rispetto all'angolo di 90°. Questinumerosi movimenti divergenti, insieme coi movimentidelle stelle che si trovano esternamente all'ammasso, al-cuna delle quali può roteare intorno ad altri centri digravità che potrebbero essere anche corpi oscuri, dareb-bero forse una sufficiente spiegazione del movimento dimolte stelle, apparentemente disordinato.

UNIFORME QUANTITÀ DI CALOREDOVUTA ALLA POSIZIONE CENTRALE

Siamo arrivati ad un punto del più grande interesseper quel che riguarda il problema del quale cerchiamo lasoluzione. Abbiamo veduto quanto grande sia la diffe-renza che passa fra le diverse valutazioni del tempo cal-colato per tutto lo sviluppo della vita, secondo i geologie i fisici, ma la posizione che abbiamo ora indicata per il

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cata, non esiste alcun'altra difficoltà per ammettere cheil movimento proprio trasporta il sole da un lato all'altrodella Via Lattea in un tempo minore di quello richiestoper lo sviluppo della vita sopra la terra. E se l'ammassodi cui fa parte il sole è veramente presso a poco globula-re e sufficientemente denso, tanto da servire come cen-tro di gravità per tutte le stelle dell'altro ammasso che viruota intorno, tutte le stelle che lo compongono e chenon sono situate nel piano del suo equatore, e quindi inquello della Via Lattea, devono roteare obliquamente,secondo varii angoli, rispetto all'angolo di 90°. Questinumerosi movimenti divergenti, insieme coi movimentidelle stelle che si trovano esternamente all'ammasso, al-cuna delle quali può roteare intorno ad altri centri digravità che potrebbero essere anche corpi oscuri, dareb-bero forse una sufficiente spiegazione del movimento dimolte stelle, apparentemente disordinato.

UNIFORME QUANTITÀ DI CALOREDOVUTA ALLA POSIZIONE CENTRALE

Siamo arrivati ad un punto del più grande interesseper quel che riguarda il problema del quale cerchiamo lasoluzione. Abbiamo veduto quanto grande sia la diffe-renza che passa fra le diverse valutazioni del tempo cal-colato per tutto lo sviluppo della vita, secondo i geologie i fisici, ma la posizione che abbiamo ora indicata per il

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sole, nella parte estrema dell'ammasso stellare centrale,può fornirci qualche aiuto per risolvere il quesito. Quel-la che si ricerca è la ragione per la quale il calore solaresi sia mantenuto durante gli enormi periodi geologici,che presentano sorprendente uniformità di temperatura.L'immenso ammasso anulare centrale, con la sua massacentrale condensata, che presumibilmente ha impiegatoper formarsi un tempo molto più lungo di quello duranteil quale la terra ha ricevuto calore dal sole, in tutto que-sto tempo deve avere esercitato un'attrazione potentesulla materia diffusa nello spazio intorno ad esso, spazioche adesso è, apparentemente, quasi vuoto, se lo parago-niamo a quello che deve essere stato. Constatiamo alcu-ni residui di quella materia nei numerosi meteoriti checadono nel nostro sistema. Una posizione verso la parteesterna di questa aggregazione centrale di soli sarebbeevidentemente molto favorevole per l'accrescimento diuna considerevole massa. L'enorme distanza che separai corpi componenti la parte esterna di tutto l'ammasso,(cioè l'anello esterno) permetterebbe invece ad unagrande quantità di materia fluttuante di sfuggire, ma isoli più grandi, situati vicini alla superficie dell'internoaddensamento dell'ammasso, attirerebbero e si appro-prierebbero la maggior parte di questa materia.38

38 Scrivendo questo capitolo mi è capitato sott'occhio unapubblicazione di Luigi D'Auria, che applica le matematiche almovimento stellare. Sono contento di constatare che, pure parten-do da considerazioni assolutamente differenti, l'autore abbia cre-duto necessario di collocare il sistema solare ad una distanza dal

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sole, nella parte estrema dell'ammasso stellare centrale,può fornirci qualche aiuto per risolvere il quesito. Quel-la che si ricerca è la ragione per la quale il calore solaresi sia mantenuto durante gli enormi periodi geologici,che presentano sorprendente uniformità di temperatura.L'immenso ammasso anulare centrale, con la sua massacentrale condensata, che presumibilmente ha impiegatoper formarsi un tempo molto più lungo di quello duranteil quale la terra ha ricevuto calore dal sole, in tutto que-sto tempo deve avere esercitato un'attrazione potentesulla materia diffusa nello spazio intorno ad esso, spazioche adesso è, apparentemente, quasi vuoto, se lo parago-niamo a quello che deve essere stato. Constatiamo alcu-ni residui di quella materia nei numerosi meteoriti checadono nel nostro sistema. Una posizione verso la parteesterna di questa aggregazione centrale di soli sarebbeevidentemente molto favorevole per l'accrescimento diuna considerevole massa. L'enorme distanza che separai corpi componenti la parte esterna di tutto l'ammasso,(cioè l'anello esterno) permetterebbe invece ad unagrande quantità di materia fluttuante di sfuggire, ma isoli più grandi, situati vicini alla superficie dell'internoaddensamento dell'ammasso, attirerebbero e si appro-prierebbero la maggior parte di questa materia.38

38 Scrivendo questo capitolo mi è capitato sott'occhio unapubblicazione di Luigi D'Auria, che applica le matematiche almovimento stellare. Sono contento di constatare che, pure parten-do da considerazioni assolutamente differenti, l'autore abbia cre-duto necessario di collocare il sistema solare ad una distanza dal

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I diversi pianeti del nostro sistema cominciarono aformarsi da una quantità di materia che fluttuava vicinoal piano dell'eclittica, ma molta di questa, che veniva daaltre direzioni, deve essere stata attirata verso il sole overso i soli suoi vicini. Parte di questa sarebbe diretta-mente caduta su di esso, altre masse, derivanti da diffe-renti direzioni, si sarebbero urtate l'una con l'altra,avrebbero avuto il loro movimento interrotto, e sarebbe-ro cadute sul sole. E fino a che la materia, mai in grandimasse, continuava a cadere su di esso, gli aumenti cheavvenivano nel suo volume e nel suo calore sarebberostati talmente lenti e graduali, da non essere in alcunmodo nocivi ad un pianeta situato alla distanza della ter-ra.

Il punto saliente del quale desidero qui parlare è chein tempi remoti la maggior parte della materia dell'interoUniverso stellare fu, o per la forza di gravità, o per unacombinazione di forze elettriche, come ci ha detto Whit-taker, attratta nel grande anello che forma il sistema del-la Via Lattea, il quale, come si può presumere, rotea len-tamente. Invece fu rallentato il flusso originario dellamateria verso il centro della massa dell'Universo stella-

centro non molto lontana dalla posizione che gli ho data io. Egliscrive: «Vi sono buone ragioni per supporre che il sistema solaresia situato quasi nel centro della Via Lattea, e siccome questocentro, secondo la nostra ipotesi, coinciderebbe col centrodell'Universo, la distanza di centocinquantanove anni di luce pre-sunta non è troppo grande, nè può essere troppo piccola.» Jour-nal of the Franklin Institute, marzo 1903.

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I diversi pianeti del nostro sistema cominciarono aformarsi da una quantità di materia che fluttuava vicinoal piano dell'eclittica, ma molta di questa, che veniva daaltre direzioni, deve essere stata attirata verso il sole overso i soli suoi vicini. Parte di questa sarebbe diretta-mente caduta su di esso, altre masse, derivanti da diffe-renti direzioni, si sarebbero urtate l'una con l'altra,avrebbero avuto il loro movimento interrotto, e sarebbe-ro cadute sul sole. E fino a che la materia, mai in grandimasse, continuava a cadere su di esso, gli aumenti cheavvenivano nel suo volume e nel suo calore sarebberostati talmente lenti e graduali, da non essere in alcunmodo nocivi ad un pianeta situato alla distanza della ter-ra.

Il punto saliente del quale desidero qui parlare è chein tempi remoti la maggior parte della materia dell'interoUniverso stellare fu, o per la forza di gravità, o per unacombinazione di forze elettriche, come ci ha detto Whit-taker, attratta nel grande anello che forma il sistema del-la Via Lattea, il quale, come si può presumere, rotea len-tamente. Invece fu rallentato il flusso originario dellamateria verso il centro della massa dell'Universo stella-

centro non molto lontana dalla posizione che gli ho data io. Egliscrive: «Vi sono buone ragioni per supporre che il sistema solaresia situato quasi nel centro della Via Lattea, e siccome questocentro, secondo la nostra ipotesi, coinciderebbe col centrodell'Universo, la distanza di centocinquantanove anni di luce pre-sunta non è troppo grande, nè può essere troppo piccola.» Jour-nal of the Franklin Institute, marzo 1903.

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re, che probabilmente attrasse a sè le più vicine quantitàdel materiale sparso in tutte le direzioni nello spazio in-torno ad esso.

Se la grande massa di materia immaginata da lordKelvin non ebbe un moto di rivoluzione, ma cadde con-tinuamente verso il centro, i movimenti sviluppatisiquando i corpi più distanti si avvicinarono a quel centro,sarebbero stati rapidissimi: ma se vi fossero caduti daogni direzione, sarebbero divenuti sempre più densa-mente aggregati, e collisioni tremende e calamitose sa-rebbero frequentemente avvenute, ed avrebbero resa laparte centrale dell'Universo la meno solida e la menoatta allo sviluppo della vita.

Nelle condizioni che attualmente prevalgono, tuttociò avviene a rovescio. La quantità di materia che rima-ne fra il nostro gruppo e la Via Lattea essendo relativa-mente piccola, l'aggregamento attorno ai soli avvienepiù regolarmente e più lentamente. I movimenti acqui-stati dal nostro sole e dagli altri soli vicini, sono statifrenati da due cause: 1) La loro vicinanza al centro delgruppo lentamente formatosi, in cui il moto dovuto allagravità è minimo; 2) la leggera attrazione differenzialelungi dal centro della Via Lattea dalla parte più vicina anoi. Inoltre quest'azione protettiva della Via Lattea si èanche verificata, in minore proporzione, nella formazio-ne dall'anello esterno del gruppo solare, il quale ha cosìpreservato il centro del gruppo stesso da un troppo ab-bondante e diretto flusso di grandi agglomeramenti dimateria.

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re, che probabilmente attrasse a sè le più vicine quantitàdel materiale sparso in tutte le direzioni nello spazio in-torno ad esso.

Se la grande massa di materia immaginata da lordKelvin non ebbe un moto di rivoluzione, ma cadde con-tinuamente verso il centro, i movimenti sviluppatisiquando i corpi più distanti si avvicinarono a quel centro,sarebbero stati rapidissimi: ma se vi fossero caduti daogni direzione, sarebbero divenuti sempre più densa-mente aggregati, e collisioni tremende e calamitose sa-rebbero frequentemente avvenute, ed avrebbero resa laparte centrale dell'Universo la meno solida e la menoatta allo sviluppo della vita.

Nelle condizioni che attualmente prevalgono, tuttociò avviene a rovescio. La quantità di materia che rima-ne fra il nostro gruppo e la Via Lattea essendo relativa-mente piccola, l'aggregamento attorno ai soli avvienepiù regolarmente e più lentamente. I movimenti acqui-stati dal nostro sole e dagli altri soli vicini, sono statifrenati da due cause: 1) La loro vicinanza al centro delgruppo lentamente formatosi, in cui il moto dovuto allagravità è minimo; 2) la leggera attrazione differenzialelungi dal centro della Via Lattea dalla parte più vicina anoi. Inoltre quest'azione protettiva della Via Lattea si èanche verificata, in minore proporzione, nella formazio-ne dall'anello esterno del gruppo solare, il quale ha cosìpreservato il centro del gruppo stesso da un troppo ab-bondante e diretto flusso di grandi agglomeramenti dimateria.

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Quantunque la materia che compone la parte esternadell'Universo originario sia stata, fino ad una grandeestensione, compresa nel vasto sistema della Via Lattea,sembra probabile, e fors'anche è certo, che qualchequantità di materia sia sfuggita alla forza d'attrazione,passando attraverso i suoi numerosi spazii aperti, indica-ti dalle fenditure, dai canali e dalle macchie che si trova-no nella Via Lattea, e che sono state già descritte, af-fluendo così senza impedimenti verso il centro dellamassa dell'intero sistema. La quantità di materia che dairemotissimi spazii che si trovano al di là della Via Lat-tea avrebbe in tal modo raggiunto il gruppo centrale, po-trebbe anche essere ben poca cosa in confronto di quellatrattenuta per costruire il meraviglioso sistema stellare,ma il suo totale potrebbe nondimeno esser tanto grandeda sostenere una parte importante nella formazionedell'ammasso solare centrale. Tale materia avrebbe per-ciò affluito quasi continuamente verso l'ammasso, e nelmomento in cui lo raggiungeva la sua velocità sarebbestata grandissima. Quindi, se la materia è copiosamentediffusa, e consiste in masse di piccola o mediocre gran-dezza in confronto dei pianeti e delle stelle, forniscel'energia necessaria per portare questi corpi, lentamenteformatisi, alla voluta intensità di calore per dare originea stelle luminose.

Così, io credo, abbiamo trovata un'adeguata spiega-zione per il lunghissimo e continuo periodo in cui il soleha emesso luce e calore, come fors'anco di molti altrisoli che abbiano su per giù una simile posizione nel

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Quantunque la materia che compone la parte esternadell'Universo originario sia stata, fino ad una grandeestensione, compresa nel vasto sistema della Via Lattea,sembra probabile, e fors'anche è certo, che qualchequantità di materia sia sfuggita alla forza d'attrazione,passando attraverso i suoi numerosi spazii aperti, indica-ti dalle fenditure, dai canali e dalle macchie che si trova-no nella Via Lattea, e che sono state già descritte, af-fluendo così senza impedimenti verso il centro dellamassa dell'intero sistema. La quantità di materia che dairemotissimi spazii che si trovano al di là della Via Lat-tea avrebbe in tal modo raggiunto il gruppo centrale, po-trebbe anche essere ben poca cosa in confronto di quellatrattenuta per costruire il meraviglioso sistema stellare,ma il suo totale potrebbe nondimeno esser tanto grandeda sostenere una parte importante nella formazionedell'ammasso solare centrale. Tale materia avrebbe per-ciò affluito quasi continuamente verso l'ammasso, e nelmomento in cui lo raggiungeva la sua velocità sarebbestata grandissima. Quindi, se la materia è copiosamentediffusa, e consiste in masse di piccola o mediocre gran-dezza in confronto dei pianeti e delle stelle, forniscel'energia necessaria per portare questi corpi, lentamenteformatisi, alla voluta intensità di calore per dare originea stelle luminose.

Così, io credo, abbiamo trovata un'adeguata spiega-zione per il lunghissimo e continuo periodo in cui il soleha emesso luce e calore, come fors'anco di molti altrisoli che abbiano su per giù una simile posizione nel

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gruppo solare. Questi, avrebbero cominciato coll'aggre-garsi gradualmente in considerevoli masse per il lentomovimento della materia diffusa verso la parte centraledel primitivo Universo; in un ulteriore periodo, il loromovimento si sarebbe accresciuto per un costante e forteirrompere di materia, proveniente dalle regioni esteriori,e dotata di tal velocità, che sarebbe materialmente basta-ta per produrre e mantenere la temperatura voluta per unsole, quale il nostro, durante i lunghi periodi richiestiper l'ininterrotto sviluppo della vita. L'enorme estensio-ne di masse di materia diffusa nell'Universo originario,secondo lord Kelvin, come si è veduto, è della più gran-de importanza per quel che riguarda il risultato definiti-vo dell'evoluzione, perchè senza di ciò il moto relativa-mente lento ed il freddo delle regioni centrali non sareb-bero stati capaci di produrre e mantenere la necessariaenergia; mentre l'aggregamento della maggior parte del-la materia nel grande anello roteante della Via Lattea eraugualmente importante, allo scopo d'impedire troppograndi e troppo rapidi flussi di materia nelle centrali re-gioni più favorite.

Sembra chiaro però che, ammettendo come probabilialcuni dei processi sopra indicati, poco potremo suppor-re dell'influenza che avranno le grandi caratteristichedell'Universo stellare sopra il futuro sviluppo della vita.E tali caratteri sono: le vaste dimensioni, la forma cheha acquistato col vasto cerchio della Via Lattea, e la no-stra posizione, se non nel vero centro, almeno molto vi-cina ad esso. Sappiamo che il sistema stellare ha acqui-

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gruppo solare. Questi, avrebbero cominciato coll'aggre-garsi gradualmente in considerevoli masse per il lentomovimento della materia diffusa verso la parte centraledel primitivo Universo; in un ulteriore periodo, il loromovimento si sarebbe accresciuto per un costante e forteirrompere di materia, proveniente dalle regioni esteriori,e dotata di tal velocità, che sarebbe materialmente basta-ta per produrre e mantenere la temperatura voluta per unsole, quale il nostro, durante i lunghi periodi richiestiper l'ininterrotto sviluppo della vita. L'enorme estensio-ne di masse di materia diffusa nell'Universo originario,secondo lord Kelvin, come si è veduto, è della più gran-de importanza per quel che riguarda il risultato definiti-vo dell'evoluzione, perchè senza di ciò il moto relativa-mente lento ed il freddo delle regioni centrali non sareb-bero stati capaci di produrre e mantenere la necessariaenergia; mentre l'aggregamento della maggior parte del-la materia nel grande anello roteante della Via Lattea eraugualmente importante, allo scopo d'impedire troppograndi e troppo rapidi flussi di materia nelle centrali re-gioni più favorite.

Sembra chiaro però che, ammettendo come probabilialcuni dei processi sopra indicati, poco potremo suppor-re dell'influenza che avranno le grandi caratteristichedell'Universo stellare sopra il futuro sviluppo della vita.E tali caratteri sono: le vaste dimensioni, la forma cheha acquistato col vasto cerchio della Via Lattea, e la no-stra posizione, se non nel vero centro, almeno molto vi-cina ad esso. Sappiamo che il sistema stellare ha acqui-

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stato probabilmente la sua forma a causa di contingenzemolto semplici e molto generali; sappiamo altresì chesiamo situati quasi nel centro di questo vasto sistema.Sappiamo che il nostro sole ha emesso luce e calore,quasi uniformemente, per periodi incompatibili con unarapida aggregazione e con un ugualmente rapido raf-freddamento, che i fisici considerano inevitabile. Io hoimmaginato un andamento di sviluppo che avrebbe con-dotto ad un lento, ma continuo accrescimento della mas-sa centrale dei soli, ad un troppo lungo periodo di poten-za quasi stazionaria, propagatrice di calore, e ad uneguale lungo periodo di graduale raffreddamento, perio-do nel quale appunto potrebbe esser entrato il nostrosole.

Venendo alla fisica terrestre, ho dimostrato che, acausa della natura estremamente complicata delle condi-zioni richieste per rendere un mondo abitabile, e mante-nersi tale durante il tempo necessario per lo sviluppodella vita, è quasi del tutto improbabile che le altre ne-cessarie condizioni, come gli indispensabili adattamenti,possano coesistere su tutti gli altri pianeti e in tutti glialtri soli, che occupano una posizione favorevole egualealla nostra, che sono della voluta grandezza e che ema-nano il calore necessario.

In ultimo credo che tutte le prove che ho cercato diriunire conducano alla conclusione che la nostra terrasia, quasi con certezza, il solo pianeta abitato del nostrosistema solare, e che inoltre non è inconcepibile, nè im-probabile, che per produrre un mondo assolutamente

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stato probabilmente la sua forma a causa di contingenzemolto semplici e molto generali; sappiamo altresì chesiamo situati quasi nel centro di questo vasto sistema.Sappiamo che il nostro sole ha emesso luce e calore,quasi uniformemente, per periodi incompatibili con unarapida aggregazione e con un ugualmente rapido raf-freddamento, che i fisici considerano inevitabile. Io hoimmaginato un andamento di sviluppo che avrebbe con-dotto ad un lento, ma continuo accrescimento della mas-sa centrale dei soli, ad un troppo lungo periodo di poten-za quasi stazionaria, propagatrice di calore, e ad uneguale lungo periodo di graduale raffreddamento, perio-do nel quale appunto potrebbe esser entrato il nostrosole.

Venendo alla fisica terrestre, ho dimostrato che, acausa della natura estremamente complicata delle condi-zioni richieste per rendere un mondo abitabile, e mante-nersi tale durante il tempo necessario per lo sviluppodella vita, è quasi del tutto improbabile che le altre ne-cessarie condizioni, come gli indispensabili adattamenti,possano coesistere su tutti gli altri pianeti e in tutti glialtri soli, che occupano una posizione favorevole egualealla nostra, che sono della voluta grandezza e che ema-nano il calore necessario.

In ultimo credo che tutte le prove che ho cercato diriunire conducano alla conclusione che la nostra terrasia, quasi con certezza, il solo pianeta abitato del nostrosistema solare, e che inoltre non è inconcepibile, nè im-probabile, che per produrre un mondo assolutamente

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adatto in tutte le sue più piccole particolarità ad un ordi-nato sviluppo della vita organica perfetta, come l'ammi-riamo nell'uomo, un vasto e complicato Universo comequello che ci circonda possa essere stato assolutamentenecessario.

RIASSUNTO

Siccome gli argomenti che portano alla conclusionesu esposta sono svolti in dieci capitoli, gli ultimi di que-sto volume, potrà esser utile per i lettori un riassuntopiuttosto ampio di essi, dei fatti sui quali si fondano, edelle varie conclusioni successive alle quali sono arriva-ta.

1.) Uno dei più importanti risultati della astronomiamoderna è quello di avere stabilito l'unità dell'immensoUniverso stellare che vediamo intorno a noi. Questa opi-nione è fondata sopra un immenso numero di osserva-zioni, le quali dimostrano che la meravigliosa complica-zione nei particolari dell'ordinamento e nella distribu-zione delle stelle e delle nebulose, combinata con unanon meno notevole e generale simmetria, indica l'esi-stenza di un solo sistema di parti collegate fra loro, enon un certo numero di sistemi distinti, come fu unavolta supposto, tanto lontani da non aver fra loro alcunrapporto fisico.

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adatto in tutte le sue più piccole particolarità ad un ordi-nato sviluppo della vita organica perfetta, come l'ammi-riamo nell'uomo, un vasto e complicato Universo comequello che ci circonda possa essere stato assolutamentenecessario.

RIASSUNTO

Siccome gli argomenti che portano alla conclusionesu esposta sono svolti in dieci capitoli, gli ultimi di que-sto volume, potrà esser utile per i lettori un riassuntopiuttosto ampio di essi, dei fatti sui quali si fondano, edelle varie conclusioni successive alle quali sono arriva-ta.

1.) Uno dei più importanti risultati della astronomiamoderna è quello di avere stabilito l'unità dell'immensoUniverso stellare che vediamo intorno a noi. Questa opi-nione è fondata sopra un immenso numero di osserva-zioni, le quali dimostrano che la meravigliosa complica-zione nei particolari dell'ordinamento e nella distribu-zione delle stelle e delle nebulose, combinata con unanon meno notevole e generale simmetria, indica l'esi-stenza di un solo sistema di parti collegate fra loro, enon un certo numero di sistemi distinti, come fu unavolta supposto, tanto lontani da non aver fra loro alcunrapporto fisico.

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2.) Questa opinione è appoggiata da numerose e con-vergenti prove, tutte tendenti a dimostrare che le stellenon sono in numero infinito, come in altri tempi fu ge-neralmente creduto. Questa nuova opinione è ora soste-nuta da molti astronomi. I calcoli fatti da lord Kelvin, ri-feriti nella prima parte di questo capitolo, appoggianovalidamente questa opinione, perchè dimostrano che seil numero delle stelle si estendesse oltre quelle che ve-diamo e quelle delle quali possiamo ottenere diretta con-tezza, senza grande variazione della distanza media, al-lora la forza di gravità verso il centro avrebbe prodottoin media un movimento più rapido di quello che gene-ralmente le stelle hanno.

3.) Per generale consenso delle opinioni dei miglioriastronomi, è stato stabilito con certezza che la nostra po-sizione è vicina al centro dell'Universo stellare. Tutti sisono trovati d'accordo nel dire che la Via Lattea è di for-ma quasi circolare, come nell'affermare che il nostrosole è situato nel suo piano mediano, e che, quantunquenon nel vero centro del circolo galassico, pure non èmolto lontano da esso; e che di questo è segno evidenteil fatto che noi siamo situati più vicini ad esso da unaparte e più lontani dalla parte opposta. Dunque la posi-zione del sole, quasi centrale nel gran sistema stellare, èammessa quasi generalmente.

In quanto al problema dell'ammasso solare le opinionisono molto diverse, benchè tutti si trovino d'accordonell'ammettere l'esistenza di tale ammasso. La sua gran-dezza, la sua forma, la sua densità, la esatta posizione

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2.) Questa opinione è appoggiata da numerose e con-vergenti prove, tutte tendenti a dimostrare che le stellenon sono in numero infinito, come in altri tempi fu ge-neralmente creduto. Questa nuova opinione è ora soste-nuta da molti astronomi. I calcoli fatti da lord Kelvin, ri-feriti nella prima parte di questo capitolo, appoggianovalidamente questa opinione, perchè dimostrano che seil numero delle stelle si estendesse oltre quelle che ve-diamo e quelle delle quali possiamo ottenere diretta con-tezza, senza grande variazione della distanza media, al-lora la forza di gravità verso il centro avrebbe prodottoin media un movimento più rapido di quello che gene-ralmente le stelle hanno.

3.) Per generale consenso delle opinioni dei miglioriastronomi, è stato stabilito con certezza che la nostra po-sizione è vicina al centro dell'Universo stellare. Tutti sisono trovati d'accordo nel dire che la Via Lattea è di for-ma quasi circolare, come nell'affermare che il nostrosole è situato nel suo piano mediano, e che, quantunquenon nel vero centro del circolo galassico, pure non èmolto lontano da esso; e che di questo è segno evidenteil fatto che noi siamo situati più vicini ad esso da unaparte e più lontani dalla parte opposta. Dunque la posi-zione del sole, quasi centrale nel gran sistema stellare, èammessa quasi generalmente.

In quanto al problema dell'ammasso solare le opinionisono molto diverse, benchè tutti si trovino d'accordonell'ammettere l'esistenza di tale ammasso. La sua gran-dezza, la sua forma, la sua densità, la esatta posizione

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che esso occupa sono incerte, ma io ho cercato di segui-re, per quanto mi è stato possibile, le prove più evidenti.Se adottiamo l'idea generale di lord Kelvin di un gra-duale condensamento verso il suo centro di gravità diuna massa di materia enormemente diffusa, quel centrodovrà essere, press'a poco, anche il centro dell'ammasso.Inoltre, se la forza di gravità in questo centro, o vicinoad esso, fosse relativamente piccola, i movimenti pro-dotti sarebbero stati lenti, e le collisioni, dovute soltantoa diversità di movimenti, quando anche fossero avvenu-te, sarebbero state lievi. Dovremmo adunque constatarel'esistenza di molte aggregazioni di materia non lumino-sa, che ci spiegherebbero il perchè non troviamo nessu-na affluenza di stelle visibili nella direzione di questocentro; mentre, siccome nessuna stella ha un disco per-cettibile, difficilmente, da una grande distanza, potrem-mo scorgere le stelle oscure occultare quelle luminose.Perciò mi sembra che possa essere spiegata la forza laquale ha trattenuto il nostro sole in vicinanza della stes-sa orbita, intorno al centro di gravità di questo gruppocentrale, durante tutto il periodo della sua esistenzacome sole e della nostra come pianeta, salvandoci in talguisa da possibili e forse inevitabili collisioni disastroseo da contatti distruttivi, ai quali i soli della Via Lattea odelle regioni vicine, e altrove in regioni di minore esten-sione, sono o sono stati esposti. Sembra assolutamenteprobabile che in quelle regioni di movimenti più rapidi emeno infrenati, dove la materia si accumula maggior-mente in più vaste masse, le stelle non possano rimanere

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che esso occupa sono incerte, ma io ho cercato di segui-re, per quanto mi è stato possibile, le prove più evidenti.Se adottiamo l'idea generale di lord Kelvin di un gra-duale condensamento verso il suo centro di gravità diuna massa di materia enormemente diffusa, quel centrodovrà essere, press'a poco, anche il centro dell'ammasso.Inoltre, se la forza di gravità in questo centro, o vicinoad esso, fosse relativamente piccola, i movimenti pro-dotti sarebbero stati lenti, e le collisioni, dovute soltantoa diversità di movimenti, quando anche fossero avvenu-te, sarebbero state lievi. Dovremmo adunque constatarel'esistenza di molte aggregazioni di materia non lumino-sa, che ci spiegherebbero il perchè non troviamo nessu-na affluenza di stelle visibili nella direzione di questocentro; mentre, siccome nessuna stella ha un disco per-cettibile, difficilmente, da una grande distanza, potrem-mo scorgere le stelle oscure occultare quelle luminose.Perciò mi sembra che possa essere spiegata la forza laquale ha trattenuto il nostro sole in vicinanza della stes-sa orbita, intorno al centro di gravità di questo gruppocentrale, durante tutto il periodo della sua esistenzacome sole e della nostra come pianeta, salvandoci in talguisa da possibili e forse inevitabili collisioni disastroseo da contatti distruttivi, ai quali i soli della Via Lattea odelle regioni vicine, e altrove in regioni di minore esten-sione, sono o sono stati esposti. Sembra assolutamenteprobabile che in quelle regioni di movimenti più rapidi emeno infrenati, dove la materia si accumula maggior-mente in più vaste masse, le stelle non possano rimanere

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in una quasi stabile condizione di temperatura per unperiodo sufficientemente lungo, tanto da produrre un si-stema completo di sviluppo della vita sopra i pianeti, sepur ve ne sono.

4.) Varie dimostrazioni ultimamente date affermanol'esistenza di una quasi completa uniformità di materia edi leggi fisiche e chimiche in tutto l'Universo. Io credoche questa affermazione rappresenti un'indiscutibile ve-rità, e che essa sia della più grande importanza, se consi-deriamo le condizioni richieste per lo sviluppo ed ilmantenimento della vita, perchè ci assicura che condi-zioni simili, se non identiche, debbono prevalere dove lavita organica si è sviluppata o potrebbe svilupparsi.

5.) Ciò ci conduce all'esame dei caratteri essenzialidell'organismo vivente, che consiste in una più abbon-dante e più larga distribuzione degli elementi materialisoggetti alle leggi generali della materia. Le più eminen-ti autorità della fisiologia affermano la grande complica-zione dei composti chimici che costituiscono la base fi-sica della manifestazione della vita, la loro grande insta-bilità e la loro meravigliosa mobilità, unite a una grandestabilità di forma e di struttura, ed anche il loro sorpren-dente potere di arrivare a trasformazioni chimiche uni-che, e di ricavare dai più semplici elementi le più com-plicate strutture.

Ho tentato perciò di esporre i grandi fenomeni dellavita vegetale ed animale, in modo da render possibile aimiei lettori di farsi un pallido concetto della complica-zione, della delicatezza e dell'incomprensibilità delle in-

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in una quasi stabile condizione di temperatura per unperiodo sufficientemente lungo, tanto da produrre un si-stema completo di sviluppo della vita sopra i pianeti, sepur ve ne sono.

4.) Varie dimostrazioni ultimamente date affermanol'esistenza di una quasi completa uniformità di materia edi leggi fisiche e chimiche in tutto l'Universo. Io credoche questa affermazione rappresenti un'indiscutibile ve-rità, e che essa sia della più grande importanza, se consi-deriamo le condizioni richieste per lo sviluppo ed ilmantenimento della vita, perchè ci assicura che condi-zioni simili, se non identiche, debbono prevalere dove lavita organica si è sviluppata o potrebbe svilupparsi.

5.) Ciò ci conduce all'esame dei caratteri essenzialidell'organismo vivente, che consiste in una più abbon-dante e più larga distribuzione degli elementi materialisoggetti alle leggi generali della materia. Le più eminen-ti autorità della fisiologia affermano la grande complica-zione dei composti chimici che costituiscono la base fi-sica della manifestazione della vita, la loro grande insta-bilità e la loro meravigliosa mobilità, unite a una grandestabilità di forma e di struttura, ed anche il loro sorpren-dente potere di arrivare a trasformazioni chimiche uni-che, e di ricavare dai più semplici elementi le più com-plicate strutture.

Ho tentato perciò di esporre i grandi fenomeni dellavita vegetale ed animale, in modo da render possibile aimiei lettori di farsi un pallido concetto della complica-zione, della delicatezza e dell'incomprensibilità delle in-

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numeri forme di vita che possiamo ovunque scorgere.Tale concetto permetterà di comprendere quanto supre-mamente vasta sia la vita organica, di apprezzare forsemeglio i delicati, complicati e numerosi adattamenti del-la natura inorganica, senza la quale la vita non potrebbeora esistere, nè avrebbe potuto svilupparsi durantel'immensurabile passato.

6.) Le condizioni generali assolutamente indispensa-bili alla vita, quale essa si manifesta sul nostro pianeta,sono state discusse; per esempio: la luce e il calore sola-re, l'acqua universalmente distribuita sulla superficie delpianeta e nell'atmosfera, un'atmosfera di sufficientemen-te densità e composta soltanto dei diversi gas dei qualipuò formarsi il protoplasma, lo alternarsi della luce edelle tenebre, ed alcune altre.

7.) Avendo largamente discusso queste condizioni, edavendo spiegato le ragioni per le quali esse sono impor-tantissime, anzi indispensabili alla vita, siamo quindipassati a dimostrare come tali condizioni siano adem-piute sulla terra, e quanto numerosi, complicati e spessoprecisi siano gli adattamenti necessari per darle originee mantenerla, e come essi siano stati uniformi per tuttoil grande lasso di tempo occorso allo sviluppo della vita.Due capitoli sono stati dedicati a questo soggetto, e cre-do che i fatti che io ho esposti siano riusciti nuovi amolti dei miei lettori. Le combinazioni delle cause checonducono a questo resultato sono così varie, ed in mol-ti casi dipendono da tanto eccezionali particolarità di co-stituzione fisica, che sembra addirittura improbabile che

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numeri forme di vita che possiamo ovunque scorgere.Tale concetto permetterà di comprendere quanto supre-mamente vasta sia la vita organica, di apprezzare forsemeglio i delicati, complicati e numerosi adattamenti del-la natura inorganica, senza la quale la vita non potrebbeora esistere, nè avrebbe potuto svilupparsi durantel'immensurabile passato.

6.) Le condizioni generali assolutamente indispensa-bili alla vita, quale essa si manifesta sul nostro pianeta,sono state discusse; per esempio: la luce e il calore sola-re, l'acqua universalmente distribuita sulla superficie delpianeta e nell'atmosfera, un'atmosfera di sufficientemen-te densità e composta soltanto dei diversi gas dei qualipuò formarsi il protoplasma, lo alternarsi della luce edelle tenebre, ed alcune altre.

7.) Avendo largamente discusso queste condizioni, edavendo spiegato le ragioni per le quali esse sono impor-tantissime, anzi indispensabili alla vita, siamo quindipassati a dimostrare come tali condizioni siano adem-piute sulla terra, e quanto numerosi, complicati e spessoprecisi siano gli adattamenti necessari per darle originee mantenerla, e come essi siano stati uniformi per tuttoil grande lasso di tempo occorso allo sviluppo della vita.Due capitoli sono stati dedicati a questo soggetto, e cre-do che i fatti che io ho esposti siano riusciti nuovi amolti dei miei lettori. Le combinazioni delle cause checonducono a questo resultato sono così varie, ed in mol-ti casi dipendono da tanto eccezionali particolarità di co-stituzione fisica, che sembra addirittura improbabile che

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si possano tutte trovare combinate una seconda voltanell'Universo stellare, o nel sistema solare stesso. E quicade a proposito l'enumerazione di queste condizioni,che sono tutte più o meno indispensabili per la vita:

Distanza del pianeta dal sole.Massa del pianeta.Obliquità della sua eclittica.Quantità d'acqua relativamente alla terra.Distribuzione della terra e dell'acqua alla superficie.Stabilità di questa distribuzione, dipendente probabil-

mente dal modo unico con cui ebbe origine la nostraluna.

Un'atmosfera di sufficiente densità, e composta di gasconvenienti.

Un'adeguata quantità di polvere nell'atmosfera.Elettricità atmosferica.Molte di queste condizioni agiscono e reagiscono

l'una sull'altra, conducendo così ad un resultato compli-catissimo.

8.) Passando in rivista gli altri pianeti del sistema so-lare, abbiamo veduto come nessuno di essi possegga tut-te le complicate condizioni che sulla terra armonizzanotanto bene fra loro, e come, nella maggior parte dei casi,abbiano qualche deficienza che basta per farli toglieredalla categoria dei pianeti atti a produrre ed a nutrire lavita. Fra questi sono: Marte che è di piccola mole, e cheper ciò non può trattenere vapori acquei, e Venere, chegira sul suo asse in un tempo uguale a quello che impie-ga nel suo movimento di rivoluzione intorno al sole.

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si possano tutte trovare combinate una seconda voltanell'Universo stellare, o nel sistema solare stesso. E quicade a proposito l'enumerazione di queste condizioni,che sono tutte più o meno indispensabili per la vita:

Distanza del pianeta dal sole.Massa del pianeta.Obliquità della sua eclittica.Quantità d'acqua relativamente alla terra.Distribuzione della terra e dell'acqua alla superficie.Stabilità di questa distribuzione, dipendente probabil-

mente dal modo unico con cui ebbe origine la nostraluna.

Un'atmosfera di sufficiente densità, e composta di gasconvenienti.

Un'adeguata quantità di polvere nell'atmosfera.Elettricità atmosferica.Molte di queste condizioni agiscono e reagiscono

l'una sull'altra, conducendo così ad un resultato compli-catissimo.

8.) Passando in rivista gli altri pianeti del sistema so-lare, abbiamo veduto come nessuno di essi possegga tut-te le complicate condizioni che sulla terra armonizzanotanto bene fra loro, e come, nella maggior parte dei casi,abbiano qualche deficienza che basta per farli toglieredalla categoria dei pianeti atti a produrre ed a nutrire lavita. Fra questi sono: Marte che è di piccola mole, e cheper ciò non può trattenere vapori acquei, e Venere, chegira sul suo asse in un tempo uguale a quello che impie-ga nel suo movimento di rivoluzione intorno al sole.

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Nessuno di questi fatti era conosciuto quando Proctor sioccupò della questione dell'abitabilità dei pianeti. Tuttigli altri pianeti ora sono stati messi anch'essi da parte,cosa che anche Proctor aveva già fatto, perchè si è rico-nosciuto impossibile che allo stadio nel quale si trovanopossano alimentare la vita; però si crede che alcuni, seanche non al presente, possano essere stati, per il passa-to, teatro di uno sviluppo vitale, come altri potranno es-serlo nell'avvenire.

Per dimostrare la fallacia di queste supposizioni, ab-biamo discusso il problema della durata del sole comestabile propagatore di calore, e abbiamo veduto che èsolamente riducendo il tempo richiesto dai geologi e daibiologi per lo sviluppo della vita sopra la terra, ed allun-gando invece quello richiesto dai fisici per i maggiori li-miti, di durata del sole, che potremo fare armonizzarefra loro i due estremi. Possiamo affermare, dunque, chetutto il periodo della durata del sole come propagatoredi luce e di calore è stato necessario per lo sviluppo del-la vita sopra la terra, e che solamente sopra i pianeti, lecui fasi di sviluppo siano sincrone con quella della terra,l'evoluzione della vita è possibile. Per quei pianeti checompiono la loro evoluzione materiale o troppo lenta-mente o troppo celermente, non vi può essere stato onon vi sarà tempo sufficiente per tale sviluppo.

9.) La possibilità che le stelle posseggano pianeti attiad essere abitati è stata trattata assai diffusamente, e hodimostrato come poche siano le ragioni plausibili perfarcela ammettere. Ad ogni modo, le stelle che hanno

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Nessuno di questi fatti era conosciuto quando Proctor sioccupò della questione dell'abitabilità dei pianeti. Tuttigli altri pianeti ora sono stati messi anch'essi da parte,cosa che anche Proctor aveva già fatto, perchè si è rico-nosciuto impossibile che allo stadio nel quale si trovanopossano alimentare la vita; però si crede che alcuni, seanche non al presente, possano essere stati, per il passa-to, teatro di uno sviluppo vitale, come altri potranno es-serlo nell'avvenire.

Per dimostrare la fallacia di queste supposizioni, ab-biamo discusso il problema della durata del sole comestabile propagatore di calore, e abbiamo veduto che èsolamente riducendo il tempo richiesto dai geologi e daibiologi per lo sviluppo della vita sopra la terra, ed allun-gando invece quello richiesto dai fisici per i maggiori li-miti, di durata del sole, che potremo fare armonizzarefra loro i due estremi. Possiamo affermare, dunque, chetutto il periodo della durata del sole come propagatoredi luce e di calore è stato necessario per lo sviluppo del-la vita sopra la terra, e che solamente sopra i pianeti, lecui fasi di sviluppo siano sincrone con quella della terra,l'evoluzione della vita è possibile. Per quei pianeti checompiono la loro evoluzione materiale o troppo lenta-mente o troppo celermente, non vi può essere stato onon vi sarà tempo sufficiente per tale sviluppo.

9.) La possibilità che le stelle posseggano pianeti attiad essere abitati è stata trattata assai diffusamente, e hodimostrato come poche siano le ragioni plausibili perfarcela ammettere. Ad ogni modo, le stelle che hanno

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tale possibilità devono esser ben poche, e forse debbonoridursi ad alcune di quelle che compongono l'ammassosolare. Bisogna anche escludere quelle, numerosissime,vicine ai sistemi doppi, e quelle, in numero non minore,che sono in un periodo di aggregamento. Per le rima-nenti, le quali non potrei dire se debbono essere calcola-te a diecine o a centinaia, sono grandissime le probabili-tà che c'inducono a credere che non possano possederele complicate combinazioni di condizioni che esistonosulla terra.

10.) Ho riferito brevemente anche alcuni recenti cal-coli sulla irradiazione stellare, enunciando l'ipotesi chepuò darsi ch'esse abbiano importanti effetti sullo svilup-po della vita vegetale ed animale, e finalmente ho di-scusso il problema della stabilità dell'Universo stellare edei principali vantaggi che noi ripetiamo dalla nostraposizione centrale, della quale siamo persuasi per le ul-time ricerche del nostro grande matematico e fisico, lordKelvin.

CONCLUSIONE.

Avendo così esposto le prove più utili per appoggiarela questione trattata in questo libro, credo che alcunedelle mie affermazioni siano state dimostrate, e che al-cune altre presentino delle enormi probabilità in loro fa-vore.

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tale possibilità devono esser ben poche, e forse debbonoridursi ad alcune di quelle che compongono l'ammassosolare. Bisogna anche escludere quelle, numerosissime,vicine ai sistemi doppi, e quelle, in numero non minore,che sono in un periodo di aggregamento. Per le rima-nenti, le quali non potrei dire se debbono essere calcola-te a diecine o a centinaia, sono grandissime le probabili-tà che c'inducono a credere che non possano possederele complicate combinazioni di condizioni che esistonosulla terra.

10.) Ho riferito brevemente anche alcuni recenti cal-coli sulla irradiazione stellare, enunciando l'ipotesi chepuò darsi ch'esse abbiano importanti effetti sullo svilup-po della vita vegetale ed animale, e finalmente ho di-scusso il problema della stabilità dell'Universo stellare edei principali vantaggi che noi ripetiamo dalla nostraposizione centrale, della quale siamo persuasi per le ul-time ricerche del nostro grande matematico e fisico, lordKelvin.

CONCLUSIONE.

Avendo così esposto le prove più utili per appoggiarela questione trattata in questo libro, credo che alcunedelle mie affermazioni siano state dimostrate, e che al-cune altre presentino delle enormi probabilità in loro fa-vore.

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Le conclusioni alle quali sono arrivati i moderniastronomi sono:

1.) Che l'Universo stellare forma un tutto, e che,quantunque di enorme estensione, è nondimeno limitato,e i suoi limiti si possono determinare.

2.) Che il sistema solare è situato nel piano della ViaLattea e non lontano dal centro di questo piano, perciòla terra si trova vicina al centro dello Universo stellare.

3.) Che questo Universo è interamente costituito diuna medesima qualità fondamentale di materia, che èsoggetta alle medesime leggi fisiche e chimiche.

Le conclusioni, delle quali io credo di aver dimostratol'immensa probabilità sono:

4.) Che nessun altro pianeta del sistema solare, trannela nostra terra, sia abitato o abitabile.

5.) Che è pure grandissima la probabilità che non esi-sta alcun altro sole il quale possegga pianeti abitati.

6.) Che la posizione quasi centrale del nostro sole èprobabilmente permanente, e che essa è stata special-mente favorevole e forse assolutamente indispensabileallo sviluppo della vita sulla terra.

Queste ultime conclusioni dipendono dalla combina-zione di un gran numero di condizioni speciali, ciascunadelle quali deve essere non solo in ben definito rapportocon le altre, ma deve anche aver persistito simultanea-mente alle altre durante enormi periodi di tempo. Il va-lore da attribuirsi a queste affermazioni dipende daun'ampia e piena considerazione del complesso delle

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Le conclusioni alle quali sono arrivati i moderniastronomi sono:

1.) Che l'Universo stellare forma un tutto, e che,quantunque di enorme estensione, è nondimeno limitato,e i suoi limiti si possono determinare.

2.) Che il sistema solare è situato nel piano della ViaLattea e non lontano dal centro di questo piano, perciòla terra si trova vicina al centro dello Universo stellare.

3.) Che questo Universo è interamente costituito diuna medesima qualità fondamentale di materia, che èsoggetta alle medesime leggi fisiche e chimiche.

Le conclusioni, delle quali io credo di aver dimostratol'immensa probabilità sono:

4.) Che nessun altro pianeta del sistema solare, trannela nostra terra, sia abitato o abitabile.

5.) Che è pure grandissima la probabilità che non esi-sta alcun altro sole il quale possegga pianeti abitati.

6.) Che la posizione quasi centrale del nostro sole èprobabilmente permanente, e che essa è stata special-mente favorevole e forse assolutamente indispensabileallo sviluppo della vita sulla terra.

Queste ultime conclusioni dipendono dalla combina-zione di un gran numero di condizioni speciali, ciascunadelle quali deve essere non solo in ben definito rapportocon le altre, ma deve anche aver persistito simultanea-mente alle altre durante enormi periodi di tempo. Il va-lore da attribuirsi a queste affermazioni dipende daun'ampia e piena considerazione del complesso delle

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prove che ho tentato di esporre negli ultimi sette capitolidi questo libro, ed io mi appello a tali evidenze.

Questo completa il mio lavoro, fondato del tutto suifatti e sui principii accumulati dalla scienza moderna. Ese i fatti che ho esposti sono veri e validi i miei ragiona-menti, essi condurranno alla precisa conclusione chel'uomo, apice della vita organica cosciente, si è svilup-pato soltanto sul nostro globo e non altrove in tutto ilvasto Universo materiale che ci circonda. Io affermo chequesta è la deduzione logica dell'evidenza, se conside-riamo e valutiamo questa evidenza scevri di qualsiasiprevenzione. Sostengo che questa è una questione sullaquale non abbiamo diritto di formare a priori opinioninon fondate sulle prove, e prove che si oppongano aquesta conclusione, anche come improbabile, non ne ab-biamo assolutamente.

Ma ammettendo la accennata conclusione, essa nondeve suscitare allarme nelle menti scientifiche o in quel-le religiose, perchè può essere spiegata in due modi di-versi. Moltissime persone, compresa forse la maggio-ranza degli uomini di scienza, potranno ammettere chel'evidenza deve apparentemente condurre a questa con-clusione, ma che la sua spiegazione debba ricercarsi sol-tanto in una fortuita coincidenza. Vi potrebbero essercentinaia ed anche migliaia di pianeti atti alla vita, manon ve ne sarebbe stato alcuno, se il corso dell'Universoavesse alquanto differito. Forse aggiungeranno che se la

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prove che ho tentato di esporre negli ultimi sette capitolidi questo libro, ed io mi appello a tali evidenze.

Questo completa il mio lavoro, fondato del tutto suifatti e sui principii accumulati dalla scienza moderna. Ese i fatti che ho esposti sono veri e validi i miei ragiona-menti, essi condurranno alla precisa conclusione chel'uomo, apice della vita organica cosciente, si è svilup-pato soltanto sul nostro globo e non altrove in tutto ilvasto Universo materiale che ci circonda. Io affermo chequesta è la deduzione logica dell'evidenza, se conside-riamo e valutiamo questa evidenza scevri di qualsiasiprevenzione. Sostengo che questa è una questione sullaquale non abbiamo diritto di formare a priori opinioninon fondate sulle prove, e prove che si oppongano aquesta conclusione, anche come improbabile, non ne ab-biamo assolutamente.

Ma ammettendo la accennata conclusione, essa nondeve suscitare allarme nelle menti scientifiche o in quel-le religiose, perchè può essere spiegata in due modi di-versi. Moltissime persone, compresa forse la maggio-ranza degli uomini di scienza, potranno ammettere chel'evidenza deve apparentemente condurre a questa con-clusione, ma che la sua spiegazione debba ricercarsi sol-tanto in una fortuita coincidenza. Vi potrebbero essercentinaia ed anche migliaia di pianeti atti alla vita, manon ve ne sarebbe stato alcuno, se il corso dell'Universoavesse alquanto differito. Forse aggiungeranno che se la

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vita e l'uomo si sono manifestati, vuol dire che la loroproduzione era possibile, e se non ora, in qualche altrotempo, se non qui in qualche altro pianeta di qualche al-tro sole; ma noi possiamo esser sicuri di aver una voltacominciato ad esistere e se non precisamente tal qualisiamo al presente, come qualcosa di meglio o qualcosadi peggio.

Le altre persone, e sono forse la maggior parte, colorocioè i quali ritengono che la mente è essenzialmente su-periore alla materia e distinta da essa, non possono cre-dere che la vita, la coscienza, il pensiero siano deriva-zioni della materia, e sostengono che il complesso mera-viglioso delle forze che sembrano reggere la materiadebba essere il prodotto di una mente; e quando vedonola vita e la mente apparentemente sorgere dalla materiae dare alle sue miriadi di forme un complesso d'impene-trabili misteri, scorgono in questo sviluppo una provaaddizionale della supremazia della mente. Tali personeinclinerebbero verso la fede di un grande umanista delsecolo decimottavo, il dott. Bentley, che cioè l'anima diun uomo virtuoso è molto più importante ed eccellentedel sole, di tutti i pianeti e di tutte le stelle che brillanonel firmamento. Se diciamo a queste persone che visono forti ragioni per credere che l'uomo sia l'unico esupremo prodotto di questo vasto Universo, esse nontrovano difficoltà nell'andare anche più oltre, afferman-do che l'Universo fu veramente creato proprio a questoscopo.

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vita e l'uomo si sono manifestati, vuol dire che la loroproduzione era possibile, e se non ora, in qualche altrotempo, se non qui in qualche altro pianeta di qualche al-tro sole; ma noi possiamo esser sicuri di aver una voltacominciato ad esistere e se non precisamente tal qualisiamo al presente, come qualcosa di meglio o qualcosadi peggio.

Le altre persone, e sono forse la maggior parte, colorocioè i quali ritengono che la mente è essenzialmente su-periore alla materia e distinta da essa, non possono cre-dere che la vita, la coscienza, il pensiero siano deriva-zioni della materia, e sostengono che il complesso mera-viglioso delle forze che sembrano reggere la materiadebba essere il prodotto di una mente; e quando vedonola vita e la mente apparentemente sorgere dalla materiae dare alle sue miriadi di forme un complesso d'impene-trabili misteri, scorgono in questo sviluppo una provaaddizionale della supremazia della mente. Tali personeinclinerebbero verso la fede di un grande umanista delsecolo decimottavo, il dott. Bentley, che cioè l'anima diun uomo virtuoso è molto più importante ed eccellentedel sole, di tutti i pianeti e di tutte le stelle che brillanonel firmamento. Se diciamo a queste persone che visono forti ragioni per credere che l'uomo sia l'unico esupremo prodotto di questo vasto Universo, esse nontrovano difficoltà nell'andare anche più oltre, afferman-do che l'Universo fu veramente creato proprio a questoscopo.

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Con infinito spazio intorno a noi, con un tempo infi-nito nel passato e nel futuro, non vi sarebbe contradizio-ne nel concepire quest'idea. Un Universo grande quantolo è il nostro, che ha lo scopo di produrre miriadi di es-seri viventi, spirituali, intellettuali e morali con illimita-te possibilità di vita e di benessere, non è molto spropor-zionato al paragone di quella macchina complicata, allacui costruzione l'uomo ha dedicato tanta acutezzad'invenzione, e che finisce per fabbricare l'umile e vol-gare spillo. Nè è molto grande l'apparente spreco d'ener-gia che vi è in questo Universo, se lo paragoniamo aimilioni di ghiande che una quercia produce durante lasua vita, ognuna delle quali può dar origine a un albero,ma delle quali solamente una deve veramente, dopo pa-recchie centinaia d'anni, produrre l'altro albero che so-stituirà il genitore. E poichè si afferma che le ghiandenumerosamente prodotte servono come pasto per le be-stie, riflettiamo che le spore delle felci ed i semi delleorchidee non hanno tale scopo, e nondimeno se ne spre-cano innumerevoli milioni, mentre una sola spora o unsolo seme riprodurrà la forma primitiva. Lo stesso fattosi osserva anche fra gli animali, e specialmente fra quel-li di tipo inferiore, la maggior parte dei quali non servo-no a nulla. Sembrano infatti inutili le enormi varietà del-le specie e le immense orde degli individui. Noi cono-sciamo almeno diecimila specie distinte, ora viventi, disoli scarabei, ed in qualche parte dell'America sub-articale mosche vi sono qualche volta tanto abbondanti cheoscurano il sole; e quando pensiamo alle miriadi di mo-

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Con infinito spazio intorno a noi, con un tempo infi-nito nel passato e nel futuro, non vi sarebbe contradizio-ne nel concepire quest'idea. Un Universo grande quantolo è il nostro, che ha lo scopo di produrre miriadi di es-seri viventi, spirituali, intellettuali e morali con illimita-te possibilità di vita e di benessere, non è molto spropor-zionato al paragone di quella macchina complicata, allacui costruzione l'uomo ha dedicato tanta acutezzad'invenzione, e che finisce per fabbricare l'umile e vol-gare spillo. Nè è molto grande l'apparente spreco d'ener-gia che vi è in questo Universo, se lo paragoniamo aimilioni di ghiande che una quercia produce durante lasua vita, ognuna delle quali può dar origine a un albero,ma delle quali solamente una deve veramente, dopo pa-recchie centinaia d'anni, produrre l'altro albero che so-stituirà il genitore. E poichè si afferma che le ghiandenumerosamente prodotte servono come pasto per le be-stie, riflettiamo che le spore delle felci ed i semi delleorchidee non hanno tale scopo, e nondimeno se ne spre-cano innumerevoli milioni, mentre una sola spora o unsolo seme riprodurrà la forma primitiva. Lo stesso fattosi osserva anche fra gli animali, e specialmente fra quel-li di tipo inferiore, la maggior parte dei quali non servo-no a nulla. Sembrano infatti inutili le enormi varietà del-le specie e le immense orde degli individui. Noi cono-sciamo almeno diecimila specie distinte, ora viventi, disoli scarabei, ed in qualche parte dell'America sub-articale mosche vi sono qualche volta tanto abbondanti cheoscurano il sole; e quando pensiamo alle miriadi di mo-

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sche che sono esistite nei lunghi periodi geologici, lamente si sbigottisce di fronte a questa immensità di viteche a noi sembrano inutili.

Tutta la natura ci mostra la medesima strana misterio-sa storia dell'esuberanza della vita nelle infinite varietà,nell'inconcepibile quantità. Tutta questa vita sopra la no-stra terra si è elevata, perfezionata ed ha raggiunto unpunto culminante nell'uomo. Credo che sia un'idea co-mune e non impopolare, che durante lo intero processodel sorgere, dell'accrescersi e dello estinguersi delle for-me passate, la terra si sia preparata per il suo prodottofinale: l'uomo. Molta della lussureggiante ricchezza del-le cose viventi, l'infinita varietà di forma e di struttura,la squisita grazia e la bellezza incomparabile degli uc-celli, degli insetti, delle foglie e dei fiori possono esserestate semplici prodotti secondari del gran meccanismoche noi chiamiamo natura, il solo ed unico metodo pos-sibile per lo sviluppo dell'umanità.

Se l'Universo materiale ebbe bisogno di questa vastitàdi disegno (se disegno vi è), di questo vasto e meravi-glioso processo di sviluppo attraverso tutte le età, percreare la culla della vita a un essere destinato ad una esi-stenza più alta e permanente, ne viene di conseguenzache questa sia di una corrispondente vastità, complica-zione e bellezza. Ed anche se non vi fossero delle prove,come quelle che ho addotte, della posizione e dei carat-teri eccezionali ed indispensabili che distinguono la ter-ra, la vecchia idea che tutti i pianeti siano abitati e chetutte le stelle esistano per l'utilità di altri pianeti, e che i

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sche che sono esistite nei lunghi periodi geologici, lamente si sbigottisce di fronte a questa immensità di viteche a noi sembrano inutili.

Tutta la natura ci mostra la medesima strana misterio-sa storia dell'esuberanza della vita nelle infinite varietà,nell'inconcepibile quantità. Tutta questa vita sopra la no-stra terra si è elevata, perfezionata ed ha raggiunto unpunto culminante nell'uomo. Credo che sia un'idea co-mune e non impopolare, che durante lo intero processodel sorgere, dell'accrescersi e dello estinguersi delle for-me passate, la terra si sia preparata per il suo prodottofinale: l'uomo. Molta della lussureggiante ricchezza del-le cose viventi, l'infinita varietà di forma e di struttura,la squisita grazia e la bellezza incomparabile degli uc-celli, degli insetti, delle foglie e dei fiori possono esserestate semplici prodotti secondari del gran meccanismoche noi chiamiamo natura, il solo ed unico metodo pos-sibile per lo sviluppo dell'umanità.

Se l'Universo materiale ebbe bisogno di questa vastitàdi disegno (se disegno vi è), di questo vasto e meravi-glioso processo di sviluppo attraverso tutte le età, percreare la culla della vita a un essere destinato ad una esi-stenza più alta e permanente, ne viene di conseguenzache questa sia di una corrispondente vastità, complica-zione e bellezza. Ed anche se non vi fossero delle prove,come quelle che ho addotte, della posizione e dei carat-teri eccezionali ed indispensabili che distinguono la ter-ra, la vecchia idea che tutti i pianeti siano abitati e chetutte le stelle esistano per l'utilità di altri pianeti, e che i

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pianeti alla loro volta esistano per lo sviluppo della vita,è ora, con le nostre presenti cognizioni, addirittura im-probabile ed incredibile. Sarebbe cosa monotona in unUniverso, il cui carattere più generale è l'infinita varietà,e significherebbe che il dare un'anima vivente al corpodell'uomo, tanto sorprendentemente costruito, con le suefacoltà, le sue aspirazioni, il suo potere di fare il maleod il bene, era un facile còmpito, se poteva farsi perogni dove e in qualsiasi mondo. Significherebbe chel'uomo è un animale e nulla più, di nessuna importanzanell'Universo, e che non occorreva una così grande pre-parazione per il suo avvento; bastava forse uno spirito disecondo ordine ed una terra di terzo o quarto ordine.Dando uno sguardo al lungo, lento e complicato crescerdella natura che precedette la sua comparsa, all'immen-sità dell'Universo stellare con le sue migliaia di milionidi soli ed ai lunghi lassi di tempo durante i quali si è svi-luppato, ci sembra che tutto ciò sia l'appropriato ed ar-monioso ambiente, la necessaria somministrazione dimateriale, il laboratorio sufficientemente spazioso per laformazione di quel pianeta, che doveva produrre primail mondo organico, e poi l'uomo.

In uno dei suoi più bei passi il nostro grande poetauniversale esprime il suo pensiero sulla grandezza dellaumana natura: «Quale capolavoro è l'uomo! Quanto no-bile la sua ragione! Quanto infinite le sue facoltà! Quan-ta bellezza nelle sue forme, nelle sue movenze! Comeammirabile la sua espressione! Il suo agire è quello d'unangelo. La sua intelligenza è quella d'un Dio!» E per lo

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pianeti alla loro volta esistano per lo sviluppo della vita,è ora, con le nostre presenti cognizioni, addirittura im-probabile ed incredibile. Sarebbe cosa monotona in unUniverso, il cui carattere più generale è l'infinita varietà,e significherebbe che il dare un'anima vivente al corpodell'uomo, tanto sorprendentemente costruito, con le suefacoltà, le sue aspirazioni, il suo potere di fare il maleod il bene, era un facile còmpito, se poteva farsi perogni dove e in qualsiasi mondo. Significherebbe chel'uomo è un animale e nulla più, di nessuna importanzanell'Universo, e che non occorreva una così grande pre-parazione per il suo avvento; bastava forse uno spirito disecondo ordine ed una terra di terzo o quarto ordine.Dando uno sguardo al lungo, lento e complicato crescerdella natura che precedette la sua comparsa, all'immen-sità dell'Universo stellare con le sue migliaia di milionidi soli ed ai lunghi lassi di tempo durante i quali si è svi-luppato, ci sembra che tutto ciò sia l'appropriato ed ar-monioso ambiente, la necessaria somministrazione dimateriale, il laboratorio sufficientemente spazioso per laformazione di quel pianeta, che doveva produrre primail mondo organico, e poi l'uomo.

In uno dei suoi più bei passi il nostro grande poetauniversale esprime il suo pensiero sulla grandezza dellaumana natura: «Quale capolavoro è l'uomo! Quanto no-bile la sua ragione! Quanto infinite le sue facoltà! Quan-ta bellezza nelle sue forme, nelle sue movenze! Comeammirabile la sua espressione! Il suo agire è quello d'unangelo. La sua intelligenza è quella d'un Dio!» E per lo

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sviluppo di un essere simile, che cosa è mai un Universocome il nostro? Per quanto vasto possa sembrare allenostre facoltà, esso non è che un atomo nell'oceanodell'infinito. Nell'infinito spazio vi possono essere infi-niti Universi, ma è difficile per me il pensare che sianotutti Universi di materia, perchè sarebbe un troppo bassoconcetto dell'infinito potere. Qui, sulla terra, vediamomilioni di specie diverse d'animali, milioni di specie di-verse di piante, e ciascuna di queste specie è rappresen-tata spesso da molti milioni d'individui, eppure non visono due individui perfettamente eguali fra loro; se civolgiamo al cielo, non vedremo due pianeti, non due sa-telliti, eguali fra loro, al di là del nostro sistema vediamole stesse leggi prevalere, e non due stelle, non due am-massi, non due nebulose eguali fra loro. E allora, perchèvi dovrebbero essere altri Universi della stessa materia esoggetti alle medesime leggi, conseguenza ovviadell'ipotesi che le stelle siano in numero infinito e che siestendano attraverso ad uno spazio infinito?

Certo possono esistere, e fors'anche esistono, altriUniversi di una diversa specie di materia e soggetti adaltre leggi, forse molto più eterei, forse interamente im-materiali, e tali che noi possiamo concepirli come vera-mente spirituali. Ma, a meno che questi Universi (anchesupponendoli tutti un milione di volte più vasti del no-stro Universo stellare) non fossero infiniti in numero,essi non potrebbero riempire lo spazio infinito che li cir-conda, cosichè anche se fossero un milione di milioni,

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sviluppo di un essere simile, che cosa è mai un Universocome il nostro? Per quanto vasto possa sembrare allenostre facoltà, esso non è che un atomo nell'oceanodell'infinito. Nell'infinito spazio vi possono essere infi-niti Universi, ma è difficile per me il pensare che sianotutti Universi di materia, perchè sarebbe un troppo bassoconcetto dell'infinito potere. Qui, sulla terra, vediamomilioni di specie diverse d'animali, milioni di specie di-verse di piante, e ciascuna di queste specie è rappresen-tata spesso da molti milioni d'individui, eppure non visono due individui perfettamente eguali fra loro; se civolgiamo al cielo, non vedremo due pianeti, non due sa-telliti, eguali fra loro, al di là del nostro sistema vediamole stesse leggi prevalere, e non due stelle, non due am-massi, non due nebulose eguali fra loro. E allora, perchèvi dovrebbero essere altri Universi della stessa materia esoggetti alle medesime leggi, conseguenza ovviadell'ipotesi che le stelle siano in numero infinito e che siestendano attraverso ad uno spazio infinito?

Certo possono esistere, e fors'anche esistono, altriUniversi di una diversa specie di materia e soggetti adaltre leggi, forse molto più eterei, forse interamente im-materiali, e tali che noi possiamo concepirli come vera-mente spirituali. Ma, a meno che questi Universi (anchesupponendoli tutti un milione di volte più vasti del no-stro Universo stellare) non fossero infiniti in numero,essi non potrebbero riempire lo spazio infinito che li cir-conda, cosichè anche se fossero un milione di milioni,

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questi Universi sarebbero quasi impercettibili se parago-nati con la vastità dello spazio.

Dell'infinità noi veramente nulla sappiamo, meno chequesto: che essa esiste e che è inconcepibile. È questoun pensiero che annienta, che opprime. Vi sono taluniche ne parlano facilmente, con volubilità, come se sa-pessero quello che tale idea rappresenta, e presumono diconoscerla, esponendo argomenti e opinioni che essistessi sanno che non sono da accettarsi. Per me la suaesistenza è cosa alla quale non posso pensare, il pensar-vi, anzi, mi pare pazzia.

«O night! O stars, too rudely jarsThe finite with the infinite!»39

E concluderò riportando un brano di un bellissimoscritto di Proctor che parla dell'infinito:

«Inconcepibili davvero sono queste infinità di tempo,di spazio, di materia, di movimento e di vita. Inconcepi-bile è che tutto l'Universo possa essere in tutti i tempi ilteatro delle operazioni d'un potere infinito, onnipresente,onnisapiente, ed inconcepibile è come i suoi disegnipossano essere associati alla infinita evoluzione materia-le. Ma non è pensiero nuovo, non moderna scoperta checi facciano del tutto incapaci di concepire e comprende-re l'idea di un essere infinito, onnipossente, onnisciente,onnipresente ed eterno, dei cui disegni inscrutabili l'Uni-verso è l'incompresa manifestazione. La scienza, che si

39 Sono versi dei poeta J. H. Dell, già riportati dall'Autore nel-la pagina che segue la prefazione. Vedi ivi la traduzione.

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questi Universi sarebbero quasi impercettibili se parago-nati con la vastità dello spazio.

Dell'infinità noi veramente nulla sappiamo, meno chequesto: che essa esiste e che è inconcepibile. È questoun pensiero che annienta, che opprime. Vi sono taluniche ne parlano facilmente, con volubilità, come se sa-pessero quello che tale idea rappresenta, e presumono diconoscerla, esponendo argomenti e opinioni che essistessi sanno che non sono da accettarsi. Per me la suaesistenza è cosa alla quale non posso pensare, il pensar-vi, anzi, mi pare pazzia.

«O night! O stars, too rudely jarsThe finite with the infinite!»39

E concluderò riportando un brano di un bellissimoscritto di Proctor che parla dell'infinito:

«Inconcepibili davvero sono queste infinità di tempo,di spazio, di materia, di movimento e di vita. Inconcepi-bile è che tutto l'Universo possa essere in tutti i tempi ilteatro delle operazioni d'un potere infinito, onnipresente,onnisapiente, ed inconcepibile è come i suoi disegnipossano essere associati alla infinita evoluzione materia-le. Ma non è pensiero nuovo, non moderna scoperta checi facciano del tutto incapaci di concepire e comprende-re l'idea di un essere infinito, onnipossente, onnisciente,onnipresente ed eterno, dei cui disegni inscrutabili l'Uni-verso è l'incompresa manifestazione. La scienza, che si

39 Sono versi dei poeta J. H. Dell, già riportati dall'Autore nel-la pagina che segue la prefazione. Vedi ivi la traduzione.

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trova al cospetto di un grande e antico mistero, ripete asè stessa la grande e antica domanda: – Potrai tu maiscoprire la perfezione dell'onnipotente? E se alta come icieli, come vi arriverai? E se profonda come l'inferno,che potrai tu saperne? – E la scienza risponde a sè stes-sa: – Anche se ti avvicinerai all'onnipotente, non potraimai toccarlo.»

I bei versi, recentemente pubblicati, parto del genio diTennyson, tanto bene armonizzano con il soggetto delpresente volume, che, senz'altro, posso citarli:

LA DOMANDA

«Will my tiny spark of beingWholly vanish in your deeps and heights?

Must my day be dark by reason,O ye Heavens, of your boundless nights,

Rush of Suns and roll of systems,And your fiery ciash of meteorites?»40

LA RISPOSTA.

«Spirit, nearing yon dark portalAt the limit of thy human state,

40 O cieli, questa misera scintilla della vita sparirà del tuttonelle vostre immense profondità? Sarò io privo, durante l'infinitofuturo, dello splendore dei soli, dell'ordine mirabile dei sistemicelesti e dei fieri conflitti delle meteore?

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trova al cospetto di un grande e antico mistero, ripete asè stessa la grande e antica domanda: – Potrai tu maiscoprire la perfezione dell'onnipotente? E se alta come icieli, come vi arriverai? E se profonda come l'inferno,che potrai tu saperne? – E la scienza risponde a sè stes-sa: – Anche se ti avvicinerai all'onnipotente, non potraimai toccarlo.»

I bei versi, recentemente pubblicati, parto del genio diTennyson, tanto bene armonizzano con il soggetto delpresente volume, che, senz'altro, posso citarli:

LA DOMANDA

«Will my tiny spark of beingWholly vanish in your deeps and heights?

Must my day be dark by reason,O ye Heavens, of your boundless nights,

Rush of Suns and roll of systems,And your fiery ciash of meteorites?»40

LA RISPOSTA.

«Spirit, nearing yon dark portalAt the limit of thy human state,

40 O cieli, questa misera scintilla della vita sparirà del tuttonelle vostre immense profondità? Sarò io privo, durante l'infinitofuturo, dello splendore dei soli, dell'ordine mirabile dei sistemicelesti e dei fieri conflitti delle meteore?

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Fear not thou the hidden purposeOf that Power which alone is great,

Nor the myriad world, His shadow,Nor the silent Opener of the Gate.»41

41 O spirito, che ti affatichi a portare il misterioso messaggioall'estremo limite dell'esistenza umana, non temere quello che ti èignoto; un solo grande Potere esiste. Non temere la miriade deimondi, essi non sono che un'ombra; non temere il silenziosoSchiuditore della porta dell'eternità.

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Fear not thou the hidden purposeOf that Power which alone is great,

Nor the myriad world, His shadow,Nor the silent Opener of the Gate.»41

41 O spirito, che ti affatichi a portare il misterioso messaggioall'estremo limite dell'esistenza umana, non temere quello che ti èignoto; un solo grande Potere esiste. Non temere la miriade deimondi, essi non sono che un'ombra; non temere il silenziosoSchiuditore della porta dell'eternità.

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INDICE ALFABETICO

Acqua, sua necessità per la vita; sua quantità e distribu-zione; come regolatrice della temperatura.

Albedo.Alfa del Centauro, la più vicina stella.Algol e la sua compagna; cambiamenti nel suo colore.Allen F. J.; sulla materia vivente; nell'importanza

dell'azoto; sulle condizioni fisiche indispensabili perla vita.

Ammasso solare.Ammassi stellari.Ammassi globulari, loro stabilità.Ammassi globulari variabili.Ammoniaca, sua importanza per la vita.Anassimandro, sua teoria cosmica.Angoli di un minuto e di un secondo.Aria colpevolmente avvelenata.Arturo, suo rapido movimento.Astrofisica.Astronomi primitivi.

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INDICE ALFABETICO

Acqua, sua necessità per la vita; sua quantità e distribu-zione; come regolatrice della temperatura.

Albedo.Alfa del Centauro, la più vicina stella.Algol e la sua compagna; cambiamenti nel suo colore.Allen F. J.; sulla materia vivente; nell'importanza

dell'azoto; sulle condizioni fisiche indispensabili perla vita.

Ammasso solare.Ammassi stellari.Ammassi globulari, loro stabilità.Ammassi globulari variabili.Ammoniaca, sua importanza per la vita.Anassimandro, sua teoria cosmica.Angoli di un minuto e di un secondo.Aria colpevolmente avvelenata.Arturo, suo rapido movimento.Astrofisica.Astronomi primitivi.

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Astronomia nuova.Astronomia fotografica; applicata alla misura della di-

stanza delle stelle.Atmosfera, sue proprietà per la vita; sua composizione

necessaria; vapore acqueo in essa contenuto; suoi rap-porti con la vita; effetti della sua densità; sua com-plessa struttura; sua importanza per la nostra vita.

Azoto, sua importanza per la vita.Bacini dell'oceano, loro persistenza.Ball sir R., sulle stelle oscure; il tempo e la marea.Barnham S. W., sulle stelle doppie.Boeddicker, carta della Via Lattea.Brewster sir D., contro Whewell.Caldei, astronomi primitivi.Caldo e freddo alla superficie della terra.Calore solare, suoi supposti limiti, sua uniformità per un

lungo periodo di tempo; sua durata secondo i geologi.Campbell, sulle stelle spettroscopiche doppie; sull'incer-

tezza del movimento solare; sul numero dei sistemidoppi.

Carbonio, suoi numerosi composti; acido carbonico ne-cessario per la vita.

Chalmers, sulla pluralità dei mondi.Chamberlin, sull'origine delle nebulose; sul disgrega-

mento stellare.Clerke A., sui limiti del sistema stellare; sulla Via Lat-

tea; sull'ammasso solare; sull'incertezza del movi-mento del sole.

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Astronomia nuova.Astronomia fotografica; applicata alla misura della di-

stanza delle stelle.Atmosfera, sue proprietà per la vita; sua composizione

necessaria; vapore acqueo in essa contenuto; suoi rap-porti con la vita; effetti della sua densità; sua com-plessa struttura; sua importanza per la nostra vita.

Azoto, sua importanza per la vita.Bacini dell'oceano, loro persistenza.Ball sir R., sulle stelle oscure; il tempo e la marea.Barnham S. W., sulle stelle doppie.Boeddicker, carta della Via Lattea.Brewster sir D., contro Whewell.Caldei, astronomi primitivi.Caldo e freddo alla superficie della terra.Calore solare, suoi supposti limiti, sua uniformità per un

lungo periodo di tempo; sua durata secondo i geologi.Campbell, sulle stelle spettroscopiche doppie; sull'incer-

tezza del movimento solare; sul numero dei sistemidoppi.

Carbonio, suoi numerosi composti; acido carbonico ne-cessario per la vita.

Chalmers, sulla pluralità dei mondi.Chamberlin, sull'origine delle nebulose; sul disgrega-

mento stellare.Clerke A., sui limiti del sistema stellare; sulla Via Lat-

tea; sull'ammasso solare; sull'incertezza del movi-mento del sole.

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Clima, persistenza del clima temperato; climi dei tempigeologici.

Colore del cielo dovuto al pulviscolo atmosferico.Comte A., sulla impossibilità della reale conoscenza

della natura delle stelle.Corona solare.Cromosfera solare.Darwin G., sull'ipotesi meteorica; sull'origine della luna;

sull'instabilità dei sistemi anulari.D'Auria Luigi, sul movimento delle stelle (nota).Densità stellari.Distanza del sole.Distruzione delle masse stellari.Durata del calore solare.Eclittica, sua obbliquità in rapporto con la vita.Elementi, variazioni nei loro spettri; nel sole; nelle me-

teoriti; negli organismi.Elettricità atmosferica, suoi effetti.Eliometro.Empedocle.Eudossio, sul movimento dei pianeti.Evoluzione delle stelle.Facule del sole.Fisher, sui bacini oceanici; sullo spessore della crosta

sottomarina.Flammarion, sull'universalità della vita.Fontenelle, sulla pluralità dei mondi.Fotosfera solare.Galilei, sul numero delle stelle.

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Clima, persistenza del clima temperato; climi dei tempigeologici.

Colore del cielo dovuto al pulviscolo atmosferico.Comte A., sulla impossibilità della reale conoscenza

della natura delle stelle.Corona solare.Cromosfera solare.Darwin G., sull'ipotesi meteorica; sull'origine della luna;

sull'instabilità dei sistemi anulari.D'Auria Luigi, sul movimento delle stelle (nota).Densità stellari.Distanza del sole.Distruzione delle masse stellari.Durata del calore solare.Eclittica, sua obbliquità in rapporto con la vita.Elementi, variazioni nei loro spettri; nel sole; nelle me-

teoriti; negli organismi.Elettricità atmosferica, suoi effetti.Eliometro.Empedocle.Eudossio, sul movimento dei pianeti.Evoluzione delle stelle.Facule del sole.Fisher, sui bacini oceanici; sullo spessore della crosta

sottomarina.Flammarion, sull'universalità della vita.Fontenelle, sulla pluralità dei mondi.Fotosfera solare.Galilei, sul numero delle stelle.

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Gill, sul movimento regolare delle stelle.Giorno e notte, loro vantaggi.Giove e i suoi satelliti.Gore, sulle stelle della Via Lattea; sulla massa delle stel-

le doppie; sulla distanza delle stelle luminose; sui li-miti del sistema stellare; sul limitato numero dellestelle; sulla vita dei pianeti di altri soli.

Gould, sull'ammasso solare.Gravitazione, movimenti che produce e ipotesi di lord

Kelvin.Haliburton, sulle sostanze proteiche.Herschel Guglielmo, sulla Via Lattea.Herschel Giovanni, sui limiti del sistema stellare.Huggins W., sullo spettro delle stelle; misura del movi-

mento radiale delle stelle.Huxley, sul protoplasma; sulla durata della vita.Idrogeno, sua mancanza nell'atmosfera; perchè non è

trattenuto dalla terra.Inabitabilità dei grandi pianeti.Incertezza sul movimento solare.Infinito, sua inconoscibilità; opinione di Proctor.Ipotesi meteorica.Ipotesi nebulare; obbiezioni.Kapteyn, sull'ammasso solare.Kendrick, sulla vescicola germinativa.Kirschshoff e l'analisi spettrale.Lee, sull'origine delle stelle doppie.Leggi della materia e loro uniformità.Lewis, sulle stelle luminose lontane.

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Gill, sul movimento regolare delle stelle.Giorno e notte, loro vantaggi.Giove e i suoi satelliti.Gore, sulle stelle della Via Lattea; sulla massa delle stel-

le doppie; sulla distanza delle stelle luminose; sui li-miti del sistema stellare; sul limitato numero dellestelle; sulla vita dei pianeti di altri soli.

Gould, sull'ammasso solare.Gravitazione, movimenti che produce e ipotesi di lord

Kelvin.Haliburton, sulle sostanze proteiche.Herschel Guglielmo, sulla Via Lattea.Herschel Giovanni, sui limiti del sistema stellare.Huggins W., sullo spettro delle stelle; misura del movi-

mento radiale delle stelle.Huxley, sul protoplasma; sulla durata della vita.Idrogeno, sua mancanza nell'atmosfera; perchè non è

trattenuto dalla terra.Inabitabilità dei grandi pianeti.Incertezza sul movimento solare.Infinito, sua inconoscibilità; opinione di Proctor.Ipotesi meteorica.Ipotesi nebulare; obbiezioni.Kapteyn, sull'ammasso solare.Kendrick, sulla vescicola germinativa.Kirschshoff e l'analisi spettrale.Lee, sull'origine delle stelle doppie.Leggi della materia e loro uniformità.Lewis, sulle stelle luminose lontane.

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Lockyer N., sull'evoluzione inorganica; sull'evoluzionedelle stelle; sul posto del sistema solare.

Luce, sua velocità; necessità della luce solare; misuradella luce stellare; luce zodiacale.

Luna, perchè manca d'atmosfera; supposta origine dellaluna.

Lunghezza delle onde luminose e loro misura.Macchie solari; magnetismo e macchie solari.Marte, vi manca l'acqua; sue eccessive temperature.Materia uniforme in tutto l'Universo.Maunder, sulle stelle oscure.Maxwell, sul movimento delle stelle.Mercurio, sua inabitabilità.Meteoriti, loro elementi.Milione, che cosa è?Minchin, sulla radiazione stellare.Misura della distanza delle stelle.Monck, sul numero delle stelle non infinito; sull'incer-

tezza del movimento solare.Movimento del sole nello spazio.Movimento dei pianeti, e sua spiegazione primitiva.Movimento secondo la visuale.Movimento delle stelle.Nebulose spirali, loro origine; con spettri gasosi; loro

rapporti con la Via Lattea; loro distribuzione; loroforme; nebulose gassose; teoria meteorica sulle nebu-losi; nebulose planetarie ed anulari.

Newcomb, sull'ammasso solare; sulla velocità delle stel-le; sulla massa delle stelle; sul movimento stellare,

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Lockyer N., sull'evoluzione inorganica; sull'evoluzionedelle stelle; sul posto del sistema solare.

Luce, sua velocità; necessità della luce solare; misuradella luce stellare; luce zodiacale.

Luna, perchè manca d'atmosfera; supposta origine dellaluna.

Lunghezza delle onde luminose e loro misura.Macchie solari; magnetismo e macchie solari.Marte, vi manca l'acqua; sue eccessive temperature.Materia uniforme in tutto l'Universo.Maunder, sulle stelle oscure.Maxwell, sul movimento delle stelle.Mercurio, sua inabitabilità.Meteoriti, loro elementi.Milione, che cosa è?Minchin, sulla radiazione stellare.Misura della distanza delle stelle.Monck, sul numero delle stelle non infinito; sull'incer-

tezza del movimento solare.Movimento del sole nello spazio.Movimento dei pianeti, e sua spiegazione primitiva.Movimento secondo la visuale.Movimento delle stelle.Nebulose spirali, loro origine; con spettri gasosi; loro

rapporti con la Via Lattea; loro distribuzione; loroforme; nebulose gassose; teoria meteorica sulle nebu-losi; nebulose planetarie ed anulari.

Newcomb, sull'ammasso solare; sulla velocità delle stel-le; sulla massa delle stelle; sul movimento stellare,

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sulla distribuzione delle stelle; sulla loro parallasse;sulla loro stabilità in ammassi; sulla scarsezza di stel-le isolate; sui limiti del sistema stellare; sulla Via Lat-tea.

Newton, sull'abitabilità del sole.Nichols, sul calore stellare.Nuvole, loro importanza per la vita.Oceani, loro distribuzione; loro effetti sulla temperatura;

come furono prodotti.Pianeti, loro supposta abitabilità, i grandi pianeti sono

inabitabili; l'ultimo argomento sull'abitabilità dei pia-neti.

Pickering, sue misure di Algol.Pioggia nell'epoca carbonifera; dipende dal pulviscolo

atmosferico.Pleiadi, numero delle loro stelle.Pluralità dei mondi, scrittori che se ne sono occupati;

opinione di Proctor.Posidonio, sua misura della terra.Posto centrale del sole, e sua importanza.Principio di Doppler.Pritchard, sua misura fotografica delle distanze stellari.Processo vitale.Proctor, sulla vecchia e nuova astronomia; sull'infinito;

su altri mondi; sulla forma della Via Lattea; sulle opi-nioni di Herschel sull'Universo stellare; sulla teoriameteorica; sulla corrente stellare; sulla vita sotto di-verse forme.

Prodotti organici e loro differenze.

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sulla distribuzione delle stelle; sulla loro parallasse;sulla loro stabilità in ammassi; sulla scarsezza di stel-le isolate; sui limiti del sistema stellare; sulla Via Lat-tea.

Newton, sull'abitabilità del sole.Nichols, sul calore stellare.Nuvole, loro importanza per la vita.Oceani, loro distribuzione; loro effetti sulla temperatura;

come furono prodotti.Pianeti, loro supposta abitabilità, i grandi pianeti sono

inabitabili; l'ultimo argomento sull'abitabilità dei pia-neti.

Pickering, sue misure di Algol.Pioggia nell'epoca carbonifera; dipende dal pulviscolo

atmosferico.Pleiadi, numero delle loro stelle.Pluralità dei mondi, scrittori che se ne sono occupati;

opinione di Proctor.Posidonio, sua misura della terra.Posto centrale del sole, e sua importanza.Principio di Doppler.Pritchard, sua misura fotografica delle distanze stellari.Processo vitale.Proctor, sulla vecchia e nuova astronomia; sull'infinito;

su altri mondi; sulla forma della Via Lattea; sulle opi-nioni di Herschel sull'Universo stellare; sulla teoriameteorica; sulla corrente stellare; sulla vita sotto di-verse forme.

Prodotti organici e loro differenze.

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Protoplasma, sua complessità; sua sensibilità.Protuberanze solari.Pulviscolo atmosferico.Radiazioni stellari.Ranyard, sull'Universo infinito; sulla massa della nebu-

losa d'Orione.Ramsay, sui climi durante le epoche geologiche.Riproduzione.Roberts A. W. sull'origine delle stelle doppie.Roberts I., sui limiti del sistema stellare; sulle nebulose;

sulla teoria meteorica; fotografia delle nebulose.Sanderson, sulla materia vivente.Secchi, classificazione delle stelle.Sistema solare, sua posizione.Sistema stellare, sua limitazione; sua stabilità; sua sup-

posta forma primitiva.Sole; sua luce; suo calore; sua superficie; corona solare.Sorby, sulla costituzione dei meteoriti.Spencer H., sullo stato delle nebulose.Spettri, loro varietà; cambiamenti degli spettri degli ele-

menti; analisi spettrale.Stelle erranti; ammassi stellari e stelle variabili; stelle

doppie spettroscopiche; immenso numero delle stelledoppie; legge sulla diminuzione del numero dellestelle; movimento sistematico stellare; stelle più cal-de; evoluzione stellare; supposto numero infinito del-le stelle; distanza delle stelle; classificazione dellestelle; loro distribuzione; evoluzione delle stelle dop-pie.

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Protoplasma, sua complessità; sua sensibilità.Protuberanze solari.Pulviscolo atmosferico.Radiazioni stellari.Ranyard, sull'Universo infinito; sulla massa della nebu-

losa d'Orione.Ramsay, sui climi durante le epoche geologiche.Riproduzione.Roberts A. W. sull'origine delle stelle doppie.Roberts I., sui limiti del sistema stellare; sulle nebulose;

sulla teoria meteorica; fotografia delle nebulose.Sanderson, sulla materia vivente.Secchi, classificazione delle stelle.Sistema solare, sua posizione.Sistema stellare, sua limitazione; sua stabilità; sua sup-

posta forma primitiva.Sole; sua luce; suo calore; sua superficie; corona solare.Sorby, sulla costituzione dei meteoriti.Spencer H., sullo stato delle nebulose.Spettri, loro varietà; cambiamenti degli spettri degli ele-

menti; analisi spettrale.Stelle erranti; ammassi stellari e stelle variabili; stelle

doppie spettroscopiche; immenso numero delle stelledoppie; legge sulla diminuzione del numero dellestelle; movimento sistematico stellare; stelle più cal-de; evoluzione stellare; supposto numero infinito del-le stelle; distanza delle stelle; classificazione dellestelle; loro distribuzione; evoluzione delle stelle dop-pie.

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Stoney, sull'atmosfera e sulla gravità.Temperatura necessaria per l'esistenza; equilibrata

dall'acqua.Tennyson, sull'Uomo e sull'Universo.Terra, sua primitiva misura; in rapporto con la vita; è il

solo pianeta abitabile; non può trattenere l'idrogeno;sua massa.

Tollius Adriano, sulle accette di pietra.Uniformità della materia.Unità dell'Universo stellare.Universo stellare; sua evoluzione; diagrammi dell'Uni-

verso stellare.Venere, suo movimento; suo passaggio sul disco solare;

la vita vi è appena possibile, sue condizioni climati-che.

Venti, loro importanza per la vita.Via Lattea; sua forma; descrizione; opinione di Gore;

ammassi e nebulose in rapporto con la Via Lattea; suaprobabile distanza; essa è un gran cerchio.

Vita, sua unità; sua definizione; sue condizioni; è im-possibile sulle stelle; sommario delle condizioni chele sono indispensabili; sviluppo della vita sulla terrain rapporto con l'attività solare.

Whewell, sulla pluralità dei mondi.Wittaker, sulla gravitazione.

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Stoney, sull'atmosfera e sulla gravità.Temperatura necessaria per l'esistenza; equilibrata

dall'acqua.Tennyson, sull'Uomo e sull'Universo.Terra, sua primitiva misura; in rapporto con la vita; è il

solo pianeta abitabile; non può trattenere l'idrogeno;sua massa.

Tollius Adriano, sulle accette di pietra.Uniformità della materia.Unità dell'Universo stellare.Universo stellare; sua evoluzione; diagrammi dell'Uni-

verso stellare.Venere, suo movimento; suo passaggio sul disco solare;

la vita vi è appena possibile, sue condizioni climati-che.

Venti, loro importanza per la vita.Via Lattea; sua forma; descrizione; opinione di Gore;

ammassi e nebulose in rapporto con la Via Lattea; suaprobabile distanza; essa è un gran cerchio.

Vita, sua unità; sua definizione; sue condizioni; è im-possibile sulle stelle; sommario delle condizioni chele sono indispensabili; sviluppo della vita sulla terrain rapporto con l'attività solare.

Whewell, sulla pluralità dei mondi.Wittaker, sulla gravitazione.

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NEBULOSE ED AMMASSI STELLARIDELL'EMISFERO CELESTE SETTENTRIONALE

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NEBULOSE ED AMMASSI STELLARIDELL'EMISFERO CELESTE SETTENTRIONALE

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NEBULOSE ED AMMASSI STELLARIDELL'EMISFERO CELESTE MERIDIONALE

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NEBULOSE ED AMMASSI STELLARIDELL'EMISFERO CELESTE MERIDIONALE

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