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G I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O V ita n. Anno 113 DOMENICA 10 GENNAIO 2010 1,10 Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma, 2, DCB Filiale di Pistoia Direzione, Redazione e Amministrazione: PISTOIA Via Puccini, 38 Tel. 0573/308372 Fax 0573/25149 e_mail: [email protected] Abb. annuo 42,00 (Sostenitore 65,00) c/c p.n. 11044518 Pistoia La CONTIENE I.P. 1 1 C’è un fatto che sta succedendo sotto i nostri occhi che non può più essere ignorato o disatteso. Si tratta dell’insorgenza sempre più insisten- te della cosiddetta religione civile, cioè della religione (nel nostro caso della religione cristiana) intesa come anima e centro di vita della società, da sola incapace di porre i fondamenti di un suo retto funzionamento, in qualche modo della sua stessa esistenza. A richiederla sono soprattutto (se non proprio esclusivamente) gli scettici, i non credenti, coloro che oggi vengono comunemente classificati come atei devoti. Si direbbe una razza nuova rispetto alle nostre tradizionali conoscenze e classificazioni, di cui dobbiamo prendere atto. Abbiamo qui sotto un recente articolo di un noto politologo italiano, che su una rivista di larga diffusione, tesse l’elogio di questa tendenza e lamenta che il nostro paese non la faccia propria, così come hanno fatto, per esempio gli Stati Uniti d’America, da considerarsi fino a prova con- traria (veramente qualche dubbio chi scrive l’avrebbe) come la più gran- de democrazia del mondo. La religione come un tessuto connettivo, un fondamento comune, quasi un collante invisibile, che può unire insieme i pensieri e le volontà indistintamente di tutti, appunto credenti e non cre- denti, in difesa delle proprie tradizioni e della propria identità nazionale, minacciate dalla presenza massiccia di culture profondamente legate ad altre antitetiche religioni. I primi, cioè i credenti, i cristiani, i cattolici, dovrebbero essere conten- ti che la loro religione venga adottata per soddisfare una esigenza che si fa sempre più urgente e incalzante. La religione come l’ultima ciambella di salvataggio di un sistema che fa acqua da molte parti. Che si vuole di più? Così, abbiamo visto con una certa sorpresa, persone che conoscono solo di nome la chiesa, con tutto ciò che essa rappresenta, difendere a oltranza la presenza dei crocifissi nelle sale pubbliche, raccomandare con forza i presepi e gli altri simboli della nostra fede, parlare con entusiasmo dei campanili, che in nessun modo si vuole siano soppiantati dagli esotici minareti, con i loro cantori pronti a disturbarci cinque volte al giorno coi loro lamentevoli richiami a Dio e alla preghiera. Proprio in queste ultime ore si è arrivati a chiedere al Papa di farsi promotore di una nuova guerra contro i musulmani, simile a quella vittoriosa di Lepanto, che sgominò per secoli il pericolo di un’invasione e della conseguente dominazione de- gli antichi “turchi”. Bisogna difendere la civiltà cristiana a ogni costo, a qualunque prezzo. La religione esaltata di nuovo, anche se in forme diver- se rispetto al passato, come un Instrumentum regni, come uno strumento utile per la vita della società. Ora si dà il caso che siano proprio i credenti a rimanere perplessi e scontenti di fronte alle nuove proposte, per i gravi equivoci che esse na- scondono. Anzi, quanto più sono credenti, tanto più manifestano i loro dubbi e le loro contrarietà. Ma perché mai? Perché non permettere che gli altri si avvicinino alla religione per trovare un fondamento etico-politico alla coesione nazionale? Perché avere paura di questa invasione di perso- ne, che altrimenti non si vedrebbero mai dalle nostre parti? Gli atei devoti magari non crederanno a nulla, ma è proprio necessario respingerli così drasticamente mentre si avvicinano (senza varcarle, per carità) alle porte delle nostre chiese? Perché in questo modo la religione, almeno la religione cristiana, per- derebbe la parte migliore di se stessa: il senso della trascendenza che fa parte della sua stessa essenza, la sua originalità, la sua strutturale diffe- renza, il “di più” che le appartiene di diritto, la sua vocazione profetica. Pericolo da cui la chiesa deve attentamente guardarsi, anche sulla base delle tristi esperienze del passato. Ancora una volta, la mano tesa nei no- stri riguardi va decisamente respinta. Questa invocata alleanza porta con sé compromessi e rischi di straordinaria gravità. L’autentica, la vera, tradizione cristiana ha altre origini e altri ob- biettivi. Essa nasce dal Vangelo di Cristo che ha predicato l’ubbidienza a Dio, la fratellanza universale, l’amore, il perdono, la solidarietà, l’umil- tà, l’abbassamento e la croce. La chiesa non potrà mai fare propri quei principi e quei metodi che la renderebbero serva delle logiche mondane del potere. L’articolo prima citato invoca l’aiuto dei teologi per salvare la politica. Un’invocazione di aiuto che non possiamo accettare. Anche se le espressioni cambiano, nessun teologo potrà mai rispondere in modo dissi- mile da questo. Giordano Frosini Le ambiguità della “religione civile” Brillano ancora i profumi del Natale. Agrifogli ricamati di poesia per l’anno che scompare. Desiderio di viva luce per l’anno appena nato fra veli di nebbia e nostalgia di cose perdute. Triste la tasca interna del cuore. Fumi ed echi di guerre senza fine. Muri di egoismo lungo il cammino su strade di sale. Muti gli alberi, grigio il respiro del tempo. Nei sogni arcobaleni ponti di speranza di giustizia e di pace a rallegrare il cuore. E la campana della Chiesa a risvegliare le anime assopite nelle pieghe oscure della vita a ricordarci l’Amore e il perdono del Signore. Lalla Calderoni PERCHE’ AVERE PAURA DELL’ ALTRO ? DAL FERRO A PAGINA 2 L’anno 2010 (l’anno della speranza)

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G I O R N A L E C A T T O L I C O T O S C A N O

V ita n.

Anno 113

DOMENICA10 GENNAIO 2010

€ 1,10

Poste italiane s.p.a. Sped. in a.p.D.L. 353/2003 (conv. inL. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma, 2, DCB Filiale di PistoiaDirezione, Redazionee Amministrazione:PISTOIA Via Puccini, 38Tel. 0573/308372 Fax 0573/25149e_mail: [email protected]. annuo € 42,00(Sostenitore € 65,00)c/c p.n. 11044518 Pistoia

LaCONTIENE I.P.

11

C’è un fatto che sta succedendo sotto i nostri occhi che non può più essere ignorato o disatteso. Si tratta dell’insorgenza sempre più insisten-te della cosiddetta religione civile, cioè della religione (nel nostro caso della religione cristiana) intesa come anima e centro di vita della società, da sola incapace di porre i fondamenti di un suo retto funzionamento, in qualche modo della sua stessa esistenza. A richiederla sono soprattutto (se non proprio esclusivamente) gli scettici, i non credenti, coloro che oggi vengono comunemente classificati come atei devoti. Si direbbe una razza nuova rispetto alle nostre tradizionali conoscenze e classificazioni, di cui dobbiamo prendere atto.

Abbiamo qui sotto un recente articolo di un noto politologo italiano, che su una rivista di larga diffusione, tesse l’elogio di questa tendenza e lamenta che il nostro paese non la faccia propria, così come hanno fatto, per esempio gli Stati Uniti d’America, da considerarsi fino a prova con-traria (veramente qualche dubbio chi scrive l’avrebbe) come la più gran-de democrazia del mondo. La religione come un tessuto connettivo, un fondamento comune, quasi un collante invisibile, che può unire insieme i pensieri e le volontà indistintamente di tutti, appunto credenti e non cre-denti, in difesa delle proprie tradizioni e della propria identità nazionale, minacciate dalla presenza massiccia di culture profondamente legate ad altre antitetiche religioni.

I primi, cioè i credenti, i cristiani, i cattolici, dovrebbero essere conten-ti che la loro religione venga adottata per soddisfare una esigenza che si fa sempre più urgente e incalzante. La religione come l’ultima ciambella di salvataggio di un sistema che fa acqua da molte parti. Che si vuole di più? Così, abbiamo visto con una certa sorpresa, persone che conoscono solo di nome la chiesa, con tutto ciò che essa rappresenta, difendere a oltranza la presenza dei crocifissi nelle sale pubbliche, raccomandare con forza i presepi e gli altri simboli della nostra fede, parlare con entusiasmo dei campanili, che in nessun modo si vuole siano soppiantati dagli esotici minareti, con i loro cantori pronti a disturbarci cinque volte al giorno coi loro lamentevoli richiami a Dio e alla preghiera. Proprio in queste ultime ore si è arrivati a chiedere al Papa di farsi promotore di una nuova guerra contro i musulmani, simile a quella vittoriosa di Lepanto, che sgominò per secoli il pericolo di un’invasione e della conseguente dominazione de-gli antichi “turchi”. Bisogna difendere la civiltà cristiana a ogni costo, a qualunque prezzo. La religione esaltata di nuovo, anche se in forme diver-se rispetto al passato, come un Instrumentum regni, come uno strumento utile per la vita della società.

Ora si dà il caso che siano proprio i credenti a rimanere perplessi e scontenti di fronte alle nuove proposte, per i gravi equivoci che esse na-scondono. Anzi, quanto più sono credenti, tanto più manifestano i loro dubbi e le loro contrarietà. Ma perché mai? Perché non permettere che gli altri si avvicinino alla religione per trovare un fondamento etico-politico alla coesione nazionale? Perché avere paura di questa invasione di perso-ne, che altrimenti non si vedrebbero mai dalle nostre parti? Gli atei devoti magari non crederanno a nulla, ma è proprio necessario respingerli così drasticamente mentre si avvicinano (senza varcarle, per carità) alle porte delle nostre chiese?

Perché in questo modo la religione, almeno la religione cristiana, per-derebbe la parte migliore di se stessa: il senso della trascendenza che fa parte della sua stessa essenza, la sua originalità, la sua strutturale diffe-renza, il “di più” che le appartiene di diritto, la sua vocazione profetica. Pericolo da cui la chiesa deve attentamente guardarsi, anche sulla base delle tristi esperienze del passato. Ancora una volta, la mano tesa nei no-stri riguardi va decisamente respinta. Questa invocata alleanza porta con sé compromessi e rischi di straordinaria gravità.

L’autentica, la vera, tradizione cristiana ha altre origini e altri ob-biettivi. Essa nasce dal Vangelo di Cristo che ha predicato l’ubbidienza a Dio, la fratellanza universale, l’amore, il perdono, la solidarietà, l’umil-tà, l’abbassamento e la croce. La chiesa non potrà mai fare propri quei principi e quei metodi che la renderebbero serva delle logiche mondane del potere. L’articolo prima citato invoca l’aiuto dei teologi per salvare la politica. Un’invocazione di aiuto che non possiamo accettare. Anche se le espressioni cambiano, nessun teologo potrà mai rispondere in modo dissi-mile da questo.

Giordano Frosini

Le ambiguità della “religione civile”

Brillano ancora i profumi del Natale.Agrifogli ricamati di poesiaper l’anno che scompare.Desiderio di viva luceper l’anno appena natofra veli di nebbiae nostalgia di cose perdute.Triste la tasca interna del cuore.Fumi ed echi di guerre senza fine.Muri di egoismolungo il cammino su strade di sale.

Muti gli alberi,grigio il respiro del tempo.Nei sogni arcobaleniponti di speranzadi giustizia e di pacea rallegrare il cuore.E la campana della Chiesaa risvegliare le anime assopitenelle pieghe oscure della vitaa ricordarci l’Amoree il perdono del Signore.

Lalla Calderoni

PERCHE’ AVERE PAURA DELL’ALTRO?

DAL FERRO A PAGINA 2

L’anno 2010 (l’anno della speranza)

2 n. 1 10 Gennaio 2010LaVitain primo piano

La paura della xenofobiaLe migrazioni nel mondo contemporaneo, con lo sposta-mento di circa 200 milioni di persone, sono uno dei fatti più significativi del nostro tempo, accanto alla crisi economica, che ha investito tutti indistintamen-te. Le due realtà finiscono per incrociarsi e dare luogo, accanto a fenomeni di solidarietà, ad at-teggiamenti di conflittualità e di xenofobia, pericolosa proiezione mitica razionalizzata quest’ul-tima di esperienze emotive di insicurezza e di paura vissute più o meno confusamente. L’Istituto Rezzara ha promosso sul fenome-no il 42° Convegno sui problemi internazionali di Recoaro Terme (11-13 settembre 2009), di cui raccogliamo i più significativi approfondimenti.

MIGRAZIONI: FONTE DI CRESCITA E DI PAURA

Le migrazioni hanno sem-pre caratterizzato la storia dei popoli e ne hanno via via segnato i passaggi epocali più complessi e determinanti. Dal-l’incontro di culture diverse sono nate le grandi civiltà. Le migrazioni però sono state anche e sono attualmente, so-prattutto nel primo impatto, causa di conflittualità, di pau-re e di insicurezze ingigantite collettivamente, motivo di au-mento della criminalità.

In pochi anni l’Italia, con oltre 4 milioni di soggiornanti, ha raggiunto livelli di inciden-za della popolazione immi-grata (6,7% circa) prossimi a quelli di Paesi europei con una ben più lunga tradizione di ricezione di popolazione stra-niera, anche se ancora ridotti rispetto ad altri Stati (il 34% in Lussemburgo, il 24% in Au-stralia e in Svizzera, il 21,2% in Nuova Zelanda, il 19,8% in Canada).

LE CAUSE DELL’IMMIGRAZIONE

Le cause dell’immigrazione sono molteplici e complesse e non possono essere ricondotte solamente alla povertà e al sottosviluppo, in quanto si riferiscono al 3% della popola-zione mondiale, mentre pover-tà e sottosviluppo colpiscono una porzione ben più ampia dell’umanità. Gli immigrati appartengono frequentemente alla classe media che decide ed ha la possibilità di emigrare per migliorare o restaurare la propria condizione di vita. Arrivano per lo più o con pas-saporto turistico o sfruttando servizi presenti nelle aree di transito per acquisire even-tuali documenti, per attuare matrimoni e viaggi. Le bar-riere rigide spesso finiscono per esasperare la criminalità di queste zone di transito. In genere coloro che emigrano sono lavoratori e lavoratrici che gli stessi italiani accolgo-no, assumono, proteggono e non di rado sfruttano, e che contribuiscono al saldo demo-grafico dei Paese, al funziona-mento della produzione e al

riequilibrio dei meccanismi di previdenza sociale. Contem-poraneamente, con le rimesse ai familiari di parte dei loro guadagni, danno un apporto significativo allo sviluppo dei Paesi d’origine, riequilibran-do la bilancia dei pagamenti e consentendo la richiesta di prestiti ai grandi investitori mondiali.

L’INSERIMENTO NELLA SOCIETÀ

L’inserimento degli immi-grati nel Paese di accoglienza non è né facile né scontato. Non è soltanto una questione di porte aperte e di unione di forze a livello internazionale. Richiede che ciascun Paese si impegni di avviare processi di integrazione dei nuovi arriva-ti, senza sconti circa la dignità del migrante, anche quando è irregolare. L’immigrato a sua volta non può avere solo

pretese, bensi deve offfire il suo contributo, rispettando l’identità e le leggi del Paese di destino, impegnarsi per una giusta integrazione (non assi-milazione) in esso e impararne la lingua. Le mutue relazioni sono orientate a generare una società nuova, nel rispetto reciproco delle diversità com-patibili. Si attua una “globa-lizzazione dal basso” delle persone comuni, delle famiglie e delle loro reti di relazioni, attraverso un dialogo fraterno, inteso come confronto, intera-zione, capacità di ascoltare e di entrare nella visione dell’altro, disponibilità ad accoglierlo, senza semplicismi e superfi-cialità e senza rinunciare alla propria identità.

Nelle società occidentali sembra in sviluppo il senti-mento di ostilità nei confronti delle diversità culturali. Un quarto dei cittadini europei

non ritiene fonte di arricchi-mento sociale la diversità etnica, culturale e religiosa e due terzi (con un incremen-to dei 50% rispetto al 1997) sono convinti che la società multiculturale abbia raggiun-to il limite di sostenibilità. Il fenomeno è complesso ed è riconducibile ai forti e rapidi flussi migratori, a un deficit di solidarietà per il diffuso indi-vidualismo ed egocentrismo, e al ruolo svolto dai mass-media nel diffondere e nell’ingigan-tire i pregiudizi. Fondamen-talmente gli atteggiamenti di ostilità appartengono alla rappresentazione sociale, per cui gli immigrati diventano Il cittadini diversamente abi-li”, presenza utile sin tanto che essa produce reddito, ma presenza ingombrante allor-quando essa indossa i panni di una presenza di persone con tratti culturali, religiosi e di stili di vita diversi. Trattandosi di un problema cognitivo, le risposte possono venire dagli studi psico-sociali per supera-re i pregiudizi, passando dal pregiudizio negativo a quello positivo, alla luce di un con-cetto di cultura intesa come sedimentazione storica inseri-ta in un processo che si svolge nel tempo e che si evolve con-tinuamente. Tale modello di-venta sostenibile perchè ridu-ce la discriminazione, pone al primo posto non tanto il mul-ticulturalismo in quanto tale, quanto la ricerca insieme della coesione sociale per conciliare benessere dei cittadini (inclusi gli immigrati) e interessi col-lettivi (bene comune).

I PREGIUDIZI SOCIALII pregiudizi sociali appar-

tengono al vivere quotidiano e sono utili scorciatoie mentali di semplificazione della realtà

Le immigrazioni hanno caratterizzato la storia dei popoli ed hanno segnato i passaggi epocali più

complessi e determinanti. Dopo il primo impatto conflittuale hanno fatto nascere le civiltà

di Giuseppe Dal Ferro

attraverso stereotipi, che ven-gono estesi ad ampi settori della realtà. Appartengono contemporaneamente alla realtà oggettiva e soggettiva, al la razionalità e all’emotività. Sono fenomeni sociali natura-li, pericolosi se vengono stru-mentalizzati politicamente per creare paura e per giustificare la mancanza di progettazione del futuro. Si finisce allora per riversare i problemi non risolti e non risolvibili in qualche capro espiatorio favorendo il nascere della xenofobia. La crescita della paura e dell’in-sicurezza, secondo alcune indagini europee, sembra col-pire soprattutto l’Italia (57%) rispetto alla Germania (29%) e alla Francia (21 %).

Le religioni nella globa-lizzazione si incontrano e si trovano a convivere. Possono diventare causa di conflitti se assunte a difesa di posizioni ideologiche perché in tal caso alimentano i pregiudizi. Si configurano allora come iden-tità reattive, ripiegate su forme tradizionaliste, in difesa di interessi particolari. Nella mi-sura in cui invece sono ricerca del divino e incontro di vita nel quotidiano nella ricerca dei problemi di senso, diven-tano strumenti di comprensio-ne, di mutuo rispetto, di reci-proco stimolo, superamento del contingente nella ricerca di ciò che trascende e unisce. In questo senso aiutano a supera-re i pregiudizi e a creare punti fra persone diverse fra loro.

REGOLAREI FLUSSI MIGRATORI

I flussi migratori vanno regolati nel quadro di politi-che internazionali di coope-razione e solidarietà, essendo utopia limitarsi alle politiche nazionalistiche e localistiche. Principio base di riferimento è l’affermazione di Benedetto XVI: “Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fonda-mentali inalienabili che vanno rispettati da tutti in ogni si-tuazione”. Regolare l’immi-grazione con norme precise ed applicate è assicurare agli immigrati condizioni certe di legalità, di vita umana circa l’alloggio, le cure sanitarie, il lavoro, l’assistenza, in una pa-rola assicurare ad essi i tratti di una cittadinanza piena ed attiva, riconosciuta e non trop-po differita nel tempo, aperta soprattutto a quanti nascono nel nostro Paese. Il principio accennato dei diritti umani, sanzionati anche dal diritto in-ternazionale, mette forti dubbi sulla legittimità della prassi del “respingimento”, che non considera il diritto di presen-tare domanda di asilo politico ai rifugiati, e sul “reato penale dell’immigrazione clandesti-na”.

310 Gennaio 2010 n. 1LaVita cultura

Poeti ContemporaneiSANTO NATALE

Volano, e sono ancora in viaggiole parole-anima dell’attesaper un amore a misura del cielo infinitocosi da far luce su questo nostro tempoche ha la bocca più fredda del ghiaccio.Ma se ascolti il Padre che sempre vienevedrai quanto il suo Cuore lo richiama,lo invita, lo trattiene nella carità,lo stringe a sé al modo di quella rosa làche cerca i sentieri del vento,lo Spirito che dà vita al passare del giorno.E già viene ora la voce di Gesùnel cui mistero di povertà rifulgeil volo del roveto sul tempo,il silenzio profumato dall’alito dei campiin cui trovare, finalmente, il paese della vitache tutti ricordiamo a mente:si, tutti, proprio tutti con Luisiamo nati a Betlemme.

Comunità di San Leolino

“Ma l’abbiamo sempre saputo: un uomo è interes-sante non soltanto per i suoi talenti, ma soprattutto per la classe -pittoresca, originale, irripetibile- dei suoi difetti. E a te è accaduto in modo speciale: i difetti che volge-vano virilmente in ‘charme’, il fascino del solitario che s’è consacrato a uno scopo: parlar chiaro come ‘vis et robur’ im-pongono... Quelli che ti hanno apprezzato, sostenuto e voluto bene, che hanno spesso preso cappello perché non concorda-vano con certe tue scelte per-sonali, ma seguitavano a ve-nirti appresso, o ti lasciavano -è accaduto- risoluti all’addio e visibilmente inconsolabili, costoro non hanno più trovato chi -per naso, bravura, e arte del fioretto- potesse, sapesse o volesse interpretare il seguito del Montanelli sortito di scena per cause di forza maggiore”

Così Giorgio Torelli, vec-chio leone del giornalismo italiano e con il “solitario ca-valiere errante in difesa degli

orfani del buon senso e dei diseredati dalla volgarità del potere” coglie l’immagine del “personaggio”, che è “piaciuto a tutti e dispiaciuto a pochis-simi (sempre troppo pochi per te che, privo di avversari da

infilzare, avresti avuto la ‘Let-tera 22’ spuntata)”; e lo fa con i modi non usuali, tra aristocra-zia della lingua e quotidianità del parlare, come si nota in questa ulteriore puntualizza-zione: “Sei diventato appe-

santito dal monumento dei giardinetti e dal francobollo che ti ritrae, ‘sant’Indro’, buo-no per tutte le cause, malanni e opportunità, e così magnani-mo da non negarsi al sostegno dei punti di vista più spaiati e dei dirizzoni interessati”. Pare a tutti noi, che abbiamo conosciuto il “Direttore” solo dai suoi interventi puntuali e costruttivi, di ritrovarcelo accanto con queste parole suc-cessive di Torelli: “Tu opporrai -mi par di sentirti- che lo sape-vi, che gl’italiani han fatto dire ai personaggi della loro storia quel che non hanno mai detto pur di aggiudicarsi la loro postuma paternità spirituale. Figurarsi se non l’avrebbero fatto con te che sei dove, una bella volta, ci farai sapere. Tu chioserai: così vanno le cose del mondo”.

Dopo “Nota di servizio per Indro”, Giorgio Torelli privile-gia la parola “giorni” per indi-care capitoli fondamentali del percorso giornalistico di Mon-tanelli, e sono quelli del “solo contro tutti”, “di marcia... di spari e di scrittura sotto la ten-da di un tenente spilungone in Abissinia”, di “una polemica ‘a salve’ (in scena Giovannino Guareschi, in un delizioso teatrino tra amici compatibili e campioni d’ironia...)”, del momento “sempre rinviato” (ci riporta nella realtà degli affetti, con i soliti alti e bassi, sintetizzati nella constatazione “Colette... andava sposa, con-vinta che Indro si associasse all’evento con distrazione... E sceglieva me -così periferico alla loro storia- per sfogarsi”); i “giorni” delle “occasioni della schiettezza”, con “Due esempi... del subitaneo parlar chiaro di Indro, insofferente dei filtri di comodo e pronto ai rischi dei precisarsi controcor-rente secondo coscienza, stile,

Edito da Ancora

Non avrete altro Indro...

Fra le molte ragioni che spesso ci inducono a visitare una esposizione d’arte, la mostra Caroline van der Me-rwe. Sculture ed altre opere, in corso fino al 17 gennaio nella “Villa Smilea” a Montale, ne annovera una ulteriore, quella di poter attingere alle potenzia-lità espressive delle sculture esposte anche con uno dei sensi abitualmente interdetti ai visitatori: il tatto. In questa mostra infatti non solo è consentito toccare le opere, ma si è invitati a farlo; e non per un ghiribizzo, ma per cogliere il frutto di una lunga, nobile e meritoria ricerca che l’autrice sudafricana ha condotto fin dall’inizio della sua pluri-decennale attività creativa con gruppi di non vedenti, avviati ad un uso della percezione tattile che non li escluda dal godimento né dalla produzione del manufatto artistico.

Nata in Tanzania, Caroline van der Merwe si trasferisce con la famiglia in Sud Africa dove completa la sua forma-zione, inizia a lavorare, si sposa, diventa madre. Viaggia molto e trascorre diversi anni fra l’America e l’Europa e, dopo la morte del suo primo marito, dagli anni ‘80 del Novecento decide di abitare (con il nuovo compagno) in Italia, continuan-do peraltro a viaggiare.

La mostra di Villa Smilea offre la possibilità di venire in contatto con una campionatura non amplissima del lavoro della van der Merwe, ma con un’articolazione sufficiente a renderci partecipi della pluralità dei registri espressivi dell’artista e della qualità alta dei suoi lavori, ampiamente presenti in musei e in prestigiose collezioni private di diversi continenti.

Già dal tratto misurato e sicuro del-le figure su carta del 1966 e dei disegni degli anni ‘70, nonché dalla composta espressività del Ritratto di Silvia (2001)

Le opere di Caroline van der Merwe a Montale

Una mostra da toccaree della vibrante ironia di Ritratto di Jacob (2001), entrambi in terracotta, esposti nella prima sala, è possibile co-gliere l’eco consonante con alcune delle figure della migliore tradizione artistica europea, filtrate da un alfabeto e da un lessico che si nutre del suo vissuto, come nel caso di Deborah, terracotta del 2007 raffigurante una sorta di domestica Ve-nere callipigia africana i cui lineamenti ricorrono anche in altre opere presenti in mostra e trovano il loro più alto sigillo nella terracotta del 2007 Madre (nell’ultima saletta della mostra) in cui la forza armonica dei volumi esaltati dall’essenziale, raffinato cromatismo conferiscono all’opera il carattere di una Maestà.

Cardine tematico del lavoro della van der Merwe è l’uomo, la sua figura, la sua condizione, le sua lotta con i molti lacci, interiori ed esteriori, che lo avviluppano e lo rendono prigioniero. Diverse sculture e molti disegni affron-tano questo tema con una incisività espressiva che raggiunge il suo culmine nell’ultimo spazio della mostra, in cui il gesso del 1988 Prigioniero (un busto umano con il petto squarciato dal quale fuoriescono i lacci che lo imprigionano) e il trittico in bronzo Metamorfosi, Crocifisso e Mario formano un crescen-do drammatico di notevole forza ed evocano con grande efficacia la tragica condizione dell’uomo, confitto all’inter-sezione fra le componenti orizzontale e verticale dell’esistenza, violentemente attraversato o fuso da quella stessa tensione ascensionale che in tante opere della van der Merwe sembra incalzarlo nel suo incessante anelito di liberazione e di realizzazione. Notevoli all’interno della mostra anche la solennità ieratica di Dolce attesa, sia in gesso che in bronzo (2006), o la bella stilizzazione di

Angelo (2006), gesso in cui la torsione della testa esalta nel frammento della figura l’ energia delle ali, che evocano la classicità di una Nike, mentre il petto maschile è proteso come quello di una polena siderale. Ma tutta la mostra si offre alla fruizione con esiti rilevanti e incisivamente comunicativi.

Merito dunque al Comune di Mon-tale per la realizzazione e la promo-zione di questa iniziativa come primo momento del progetto “Vedere con le mani” a cura del Centro Studi Ricerche Espressive di Pistoia, con il patrocinio della Provincia di Pistoia, e la colla-borazione dei Comuni di Pistoia, di Quarrata e dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti.

Le foto e il materiale promozionale sono di Filippo Giansanti e di Fabrizio Pelamatti. La nota introduttiva è di Claudio Giorgetti.

La mostra è visitabile nel pomerig-gio di giovedì, venerdì e sabato, dalle ore 15,30 alle 18,30.

L’ingresso è gratuito. Moreno Fabbri

abitudine e ben torniti convin-cimenti” (parlano Giambor-tolo Parisi, pilota da caccia, e padre Piero Gheddo, legato a Montanelli per la presentazio-ne entusiasta alle sue pubbli-cazioni, che conclude incisiva-mente: “Era un uomo assetato di Dio, voleva parlare e sentire qualcosa di questo inafferrabi-le Creatore e Signore di tutte le cose, di cui percepiva la presenza ma non riusciva a in-contrare per ottenere risposte ai suoi interrogativi”).

Nelle pagine “Bijouterie”, troviamo un po’ di tutto, an-che perché Giorgio Torelli ha una lunga storia da proporci, accanto al personaggio dei personaggi: dalla presenza di Giovannino Guareschi (“...è stato l’uomo - diceva - più schietto che ho cono-sciuto” e l’amico di sempre aggiunge, pensando al ritratto di Novello posto nello studio, “Si sentiva... le spalle guardate da un galantuomo di carattere, un altro duellante irriducibi-le”), a papa Wojtyla (“... gli piacque a scatola chiusa perché polacco”), a Giovanni Spadolini direttore del “Corriere” (per lui, candi-dato alle elezioni, in un teatro milanese, “esordì pacato con una sentenza, pronunciata in gravità e ponderatezza: ‘Spa-dolini è un animale politico”’, seguita bonariamente da “con il che m’è riuscito di dare del-l’animale in pubblico al mio direttore”), alla “predica” fi-nale: “Un vero giornalista, per restare libero e mai condizio-nato, dovrebbe essere scapolo, orfano e bastardo…”. Dopo l’esperienza africana, con l’in-dimenticabile “Baba Camillo”, Torelli se ne va, ma in amici-zia, se l’elogio dell’immortale direttore gli valse “una laurea in giornalismo senza perga-mena”. E, forse, ha proprio ragione nel pensare a Indro Montanelli, in una sera lunare, con questi versi di Emily Di-ckinson: “Non ho mai parlato con Dio né visitato il cielo / eppure so dov’è come se aves-si il biglietto per entrare”.

Giorgio Torelli ci racconta con nostalgia un Montanelli fuori dai consueti stereotipi

di Angelo Rescaglio

4 n. 1 10 Gennaio 2010LaVitaattualità ecclesiale

Forse (soltanto) ades-so si sta cominciando a placare l’eco del salto della transenna da par-te della giovane che ha trascinato a terra il Papa durante la processione della messa di Natale. La notizia, insomma, c’era tutta e le testate che l’han-no documentata hanno fatto il loro dovere. Ma nemmeno stavolta i me-dia hanno evitato i soliti eccessi, in riferimento alle immagini dell’accaduto. E così lo spezzone del filma-to in cui si vede la ragazza scavalcare le transenne e agguantare la veste del Santo Padre trascinan-dolo giù, mentre veni-va fermata dagli uomini della scorta, sono state proposte e riproposte per più di tre giorni di fila, non soltanto su internet ma anche e soprattutto in televisione. E ancora una volta si è rischiata l’overdose.

Moltissimi spettatori hanno assistito all’evento durante la diretta di RaiU-no, ma chi non era davan-

Il salto infinitoti al televisore durante la telecronaca è stato spinto dalla curiosità a cercare di capire cosa fosse successo. I quotidiani online hanno immediatamente reso disponibili le immagini nei loro siti e su Youtube i filmati ufficiali e amato-riali sono stati “cliccatis-simi”. Chi avesse voluto vedere con i suoi occhi quel che era accaduto, non avrebbe avuto che l’imbarazzo della scelta. Nonostante ciò, tutti i te-legiornali hanno mostrato ripetutamente, in tutte le edizioni e per più giorni, le immagini, anche quan-do i contorni della notizia erano compiutamente delineati. A quale scopo tanta ridondanza e tale insistita ripetizione?

Fatte salve le esigenze informative di cui sopra, non c’è dubbio che si sia ecceduto. La ripetizione ossessiva del filmato ha finito per rafforzare la voglia di mettersi in evi-denza dei soliti gruppi di esagitati che su Facebook e su altri social network

in qualche modo la loro esistenza al mondo im-mortalandoli a futura memoria (visiva).

A fronte delle immagi-ni dell’episodio mostrate all’eccesso, altre invece sono state impropria-mente relegate in secondo piano. Un trattamento mediatico ben diverso, infatti, è stato riservato al pranzo natalizio del Papa con i poveri, svolto presso la mensa della Comunità di Sant’Egidio. Come ha sottolineato il presidente e fondatore della Comu-nità, Andrea Riccardi, è stata la prima volta che un Pontefice si è seduto a pranzare con gli ospiti della Sant’Egidio. Anche in occasione della visita alla mensa dei poveri, Be-nedetto XVI non si è sot-tratto al bagno di folla per salutare le persone che lo aspettavano, soprattutto i bambini assiepati dietro le transenne.

Già, le transenne… Evidentemente non tutte suscitano lo stesso l’inte-resse mediatico.

con la quale si può arriva-re a tu per tu con il Papa, secondo quanto le imma-gini hanno documentato. In fondo, ci piaccia o no, gli squilibrati alimentano la loro tendenza a gesti insani anche in ragione della spettacolarizzazio-ne che possono ottenere, come se i mezzi di comu-nicazione certificassero

Cari Amici! E’ per me un’esperienza

commovente essere con voi, essere qui nella famiglia di Sant’Egidio, essere con gli amici di Gesù, perché Gesù ama proprio le persone soffe-renti, le persone in difficoltà e vuole averle come i suoi fratelli e sorelle. Grazie per questa possibilità. E sono lieto e ringrazio quanti con amore e competenza hanno preparato il cibo - e realmente ho sentito la competenza di questa cuci-na, complimenti! E ringrazio anche coloro che lo hanno servito con competenza, così scorrevolmente che in un’ora abbiamo fatto un grande pran-zo! Grazie, complimenti!

Conosco un po’ la storia di alcuni di voi, come riflesso delle situazioni umane qui presenti - tutte presenti nella famiglia di Sant’Egidio e nel-l’amore del nostro Dio. Ecco, durante il pranzo, ho ascoltato storie dolorose e cariche di umanità, ma anche la storia di un amore trovato qui: storie di anziani, emigrati, gente senza fissa dimora, zingari, disabili, persone con problemi econo-mici o altre difficoltà, tutti, in un modo o nell’altro, provati dalla vita. Sono qui tra voi per dirvi che vi sono vicino e vi voglio bene e che le vostre persone e le vostre vicende

BENEDETTO XVI A PRANZO CON I POVERI

“Siete il tesorodella chiesa”

coraggiare tutti a perseverare in questo cammino di fede. Con le parole di San Giovanni Crisostomo vorrei ricordare: “Pensa che diventi sacerdote di Cristo, dando con la tua propria mano non carne ma pane, non sangue ma un bicchiere d’acqua” (Omelie sul Vangelo di Matteo, 42,3). Quale ricchezza offre alla vita l’amore di Dio, che si esprime nel servizio concreto verso i fratelli che sono nella necessità! Come San Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma, quando i magistrati romani di quel tempo gli chiesero di mostrare, di dare i tesori della Chiesa, ha mostrato i poveri della Chiesa di Roma come il vero tesoro della Chiesa. Pos-siamo riprendere questo gesto di San Lorenzo e dire che voi siete proprio il tesoro della Chiesa.

Amare, servire dona la gioia del Signore, che ci dice: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35). In questo tempo di particolari difficoltà economiche ciascuno sia se-gno di speranza e testimone di un mondo nuovo per chi, chiuso nel proprio egoismo e illuso di poter essere felice da solo, vive nella tristezza o in una gioia effimera che lascia il cuore vuoto.

Sono trascorsi pochi giorni dal Natale: Dio si è fatto Bam-bino, si è fatto vicino a noi per dirci che ci ama ed ha bisogno del nostro amore. A tutti augu-ro con affetto buone feste e la gioia di sperimentare sempre di più l’amore di Dio. Invoco la protezione della Vergine della Visitazione, Colei che ci insegna ad andare “in fretta” verso i bisogni dei fratelli, e con affetto tutti vi benedico. Grazie!

non sono lontane dai miei pen-sieri, ma al centro e nel cuore della comunità dei credenti, e così anche nel mio cuore.

Attraverso gesti di amo-re di quanti seguono Gesù diventa visibile la verità che “(Dio) per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possia-mo rispondere con l’amore” (Enc. Deus caritas est, 17). Gesù dice: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vesti-to, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,35-36). E con-clude: “tutto quello che avete

fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (v. 40). Ascoltando que-ste parole, come non sentirsi davvero amici di quelli in cui il Signore si riconosce? E non solo amici, ma anche familiari. Sono venuto tra voi proprio nella Festa della Santa Fami-glia, perché, in un certo senso, essa vi assomiglia. Infatti, an-che la Famiglia di Gesù, fin dai suoi primi passi, ha incontrato difficoltà: ha vissuto il disagio di non trovare ospitalità, fu costretta ad emigrare in Egitto per la violenza del Re Erode. Voi sapete bene cosa significa difficoltà, ma avete qui qualcu-no che vi vuole bene e vi aiuta, anzi, qualcuno qui ha trovato

la sua famiglia grazie al servi-zio premuroso della Comunità di Sant’Egidio, che offre un segno dell’amore di Dio per i poveri.

Qui oggi si realizza quanto avviene a casa: chi serve e aiu-ta si confonde con chi è aiutato e servito, e al primo posto si trova chi è maggiormente nel bisogno. Mi torna alla mente l’espressione del Salmo: “Ecco, come è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal 133,1). L’impegno di far sentire in famiglia chi è solo o nel bi-sogno, così lodevolmente por-tato avanti dalla Comunità di Sant’Egidio, nasce dall’ascolto attento della Parola di Dio e dalla preghiera. Desidero in-

Pubblichiamo il testo integrale del discorso che il Papa ha rivolto

alla comunitàdi Sant’Egidio,

al termine del pranzo con i poveri

Le transenne in san Pietroe quelle a sant’Egidio

di Marco Deriu

hanno inneggiato all’au-trice del salto, una giova-ne con problemi psichici certificati ed evidenti. E non si può escludere che qualche altro individuo

mentalmente disturbato possa provare a emulare il gesto della ragazza, anche soltanto per finire sotto i riflettori, proprio in forza della presunta “facilità”

510 Gennaio 2010 n. 1LaVita attualità ecclesiale

Battesimo del Signore Is 40, 1-5.9-11; Lc 3,15-16. 21-22

La Paro la e le paro le

“Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”Il secondo Isaia è un profeta anonimo vissuto circa due secoli dopo il grande pro-feta Isaia. Prende imprestato il nome del predecessore per rivolgere un messaggio di consolazione e di speranza al popolo esiliato in Babilonia. Lo può fare perché, vivendo in mezzo a chi soffre, sentendo lui stesso nella sua carne il disprezzo, l’oppressione, lo sfruttamento di straniero deportato, non può non desiderare per il suo popolo e per sé la fine di questa tragica situazione. Esiliato con gli esiliati ne condivide tristezza, nostalgia della patria e speranza. Una speranza che diviene certezza di ritorno perché fondata sulla fedeltà del Dio dell’Esodo. Dio, però, si supererà nella liberazione degli esiliati. Il nuovo esodo, a differenza del primo, sarà rapido, trionfale, guidato da un Dio che si manifesterà di nuovo come “nostro Dio” e farà così apparire agli occhi di tutti gli uomini quanto Lui vale, cioè manifesterà “la sua gloria”. Il profeta annuncia a Gerusalemme la notizia del prossimo ritorno degli esiliati. La città santa si può preparare. Vedrà arrivare un corteo felice e trionfale perché in esso “il Signore viene con potenza e il suo braccio esercita il dominio”. La potenza e il dominio sono quelli di un pastore che fa pascolare il suo gregge. Il finale del brano è davvero divino. Gli agnellini, cioè i piccoli, i deboli, i malati hanno diritto di essere coricati sul petto del Signore che si preoccupa di rallentare il passo per condurre dolcemente le pecore madri, che racchiudono nel ventre la garanzia della vita.

“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”“Il popolo era in attesa”. Così inizia il brano di Luca della liturgia odierna. L’aspettativa per la venuta del Messia è provocata dalla situazione drammatica in cui il popolo vive. Israele, infatti, non è più terra promessa: terra di libertà e vita degna per tutti. Dominato, sfogliato, derubato della libertà e dei beni indi-spensabili alla vita da parte degli invasori romani e delle classi dirigenti locali, il popolo non sopporta più il peso di questa situazione e attende ansiosamente chi può liberarlo dall’oppressore romano e può ristabilire nel paese la giustizia e il diritto. Perciò nel Battista che si scaglia contro farisei e sadducei, che predica la conversione e invita alla condivisione dei beni, alla pratica della giustizia e della sua non violenza, intravede il possibile Messia. Il Battista dichiara, tuttavia, di non essere lui il Cristo ed ha premura di consolare il popolo annunciando l’imminente venuta del “più forte”, colui che battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Ed ecco il più forte presentarsi sulle rive del Giordano per chiedere a Giovanni di essere battezzato. Cerchiamo di vedere cosa vuole risaltare l’evangelista nel racconto del battesimo di Gesù.* “Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo…”Luca mette Gesù in fila, tra il popolo, per essere immerso nella stessa acqua in cui cercano di purificarsi gli esecrati pubblicani, i temuti e violenti soldati ed ogni altra sorte di peccatori. Dalla mangiatoia di Betlemme all’esilio in Egitto, dalla vita nascosta di Nazaret alle rive e alle acque del Giordano continua il cammino di abbassamento del Signore. Per afferrare in tutta la sua portata questa volontà di annientamento di Gesù, questa scelta di essere ultimo tra gli ultimi, solidale con gli emarginati, è opportuno rileggere alcuni passi del Nuovo Testamento. “Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato” (Eb 4,15). “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne come un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Immerso nell’acqua sembra, senz’esserlo, peccatore tra i peccatori, in realtà sta addos-sandosi i peccati degli altri: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore” (2 Cor 5,21). Pensando al battesimo della croce S. Paolo arriva ad affermare: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: maledetto chi è appeso al legno” (Gal 3,13).* “Stava in preghiera”Il cielo si apre non al momento dell’immersione battesimale ma quando Gesù è in atteggiamento di preghiera. Luca ci tiene a proporci Gesù in preghiera nelle tappe fondamentali della sua missione: la scelta dei dodici, la proclamazione delle Beatitudini, la professione di fede di Pietro, la Trasformazione, quando insegna “il Padre nostro e quando supplica il Padre nel monte degli Ulivi e al Calvario quando consegna la sua vita nelle mani del Padre.* “Discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea come una colomba”Gesù riceve l’investitura messianica. La comunicazione dello Spirito sarà permanente per Gesù. Lo guiderà lungo tutta la sua vita.* “Venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento”Questa proclamazione avviene, va sottolineato, nel contesto del battesimo. Gesù è dichiarato dal Padre figlio amato mentre sceglie di mescolarsi con la folla e perché si immerge nell’acqua con i peccatori. Per questo Gesù riceve l’investi-tura regale (Sal 2,7) ed è proclamato servo di JHWH (Is 42). È quindi un re ma un re povero, umile, servo che, nell’ascolto obbediente della Parola, porterà il diritto alle nazioni. Non griderà, non spezzerà la canna incrinata. Sarà il servo sofferente che non si sottrarrà agli oltraggi e alla tortura fino a diventare disprezzato, reietto dagli uomini, uomo dei dolori. Solidale con l’umanità fino ad essere trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Per questa obbedienza al Padre e per questo servizio di solidarietà meriterà l’investitura regale come canta un antico inno cristiano incluso da S. Paolo nella lettera ai Filippesi: “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,8s). Nella linea del Vangelo di questa domenica vale la pena che come battezzati, cristiani, cioè seguaci del Cristo, ci poniamo alcune domande. Il comportamento di Gesù al Giordano ci spinge ad imitarlo nella solidarietà con gli ultimi? Se non abbiamo il coraggio di essere ultimi e poveri facciamo almeno la scelta preferenziale in favore dei poveri? Enzo Benesperi

Grande e intensa partecipa-zione alla 42ª Marcia per la pace, promossa dalla Cei in collabora-zione con Pax Christi e Caritas, e celebrata a L’Aquila l’ultimo giorno dell’anno. L’evento, che ha preso il titolo del messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace, “Se vuoi coltivare la pace custodisci il creato”, ha avuto inizio l’ultimo giorno dell’anno a Terni con una tavola rotonda, per poi raggiungere il capoluogo abruzzese. Migliaia di persone, per lo più giovani, provenienti da ogni parte d’Italia, si sono ritrovati in piazza Duomo, nel cuore della città ferita; insieme a loro anche don Ciotti, che hanno dichiarato: “Abbiamo ancora una volta voluto mostrare affetto e solidarietà verso questo territorio e la sua gente, in piena coerenza con l’appello del Santo Padre. Se si fosse rispettato e difeso il territorio, quella notte a L’Aquila molte vite sarebbero state risparmiate. Bisogna cammi-nare nella giustizia per costruire la pace”.

La Marcia ha attraversato il centro della città dopo un momen-to ecumenico presieduto da mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, che ha ribadito l’importanza del creato, “primo dei beni comuni”, e “l’urgenza verso i problemi ambientali”, soffermandosi sul messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace. Monsignor Miglio ha detto: “Siamo qui per confermare la nostra solidarietà ad un territorio divenuto cuore del

nostro Paese, delle nostre Chiese”. Passando per i luoghi simbolo

del terremoto, la Marcia ha sostato davanti alle macerie della Casa dello studente, ascoltando la te-stimonianza di chi quella notte ha perso tutto: il passato, il presente, il futuro. Migliaia di fiaccole han-no illuminato via XX Settembre, la “via dolorosa” degli aquilani: è scesa qualche lacrima non solo dai volti di chi guardando i resti del-la propria città ha rivissuto quei momenti drammatici ma anche di chi, venuto da lontano, si è sentito coinvolto, ha voluto condividere la tragedia. Dopo il buio del centro, la luce di piazza d’Armi, luogo che per mesi ha ospitato migliaia di sfollati: qui, in una tenda allestita per l’occasione, l’arcivescovo di L’Aquila, mons. Giuseppe Moli-nari, ha presieduto la celebrazione eucaristica, animata dal coro dei giovani della diocesi.

Nell’omelia mons. Molinari si è rivolto alla sua gente: “Su l’Aquila, capitale del dolore, una grande croce si è innalzata, con su scritti i nomi di chi è stato ucciso dal terremoto, di chi ha perso casa e lavoro”. Dopo mesi così dolorosi per l’intera città “il nuovo anno sia pieno di solidarietà e speranza, una speranza costruttiva soprat-tutto di nuovi rapporti tra tutti”: é questo l’augurio dei numerosi

aquilani presenti alla Marcia, abi-tanti di un territorio ferito e smar-rito, che hanno voluto partecipare a questo evento “perché è giusto esserci, perché non possiamo ab-bandonare o dimenticare la nostra città, perché dobbiamo fare qual-cosa per la nostra Chiesa, la nostra comunità”.

C’è chi, tra le lacrime, ha ricor-dato le festività passate, vissute in casa con tutta la famiglia riunita; “oggi non c’è più nulla di quanto avevamo, ma noi ci siamo ancora, viviamo ancora. Per questo, uniti come stasera, possiamo rialzarci e ripartire”. Qualcuno, con sincerità, ha confessato di aver preso parte alla Marcia solo perché spinto da un amico, ma al termine della celebrazione eucaristica è rimasto nella grande tenda per festeggiare insieme a volti noti e sconosciuti il nuovo anno: “Contento di essere venuto e di aver ritrovato quello spirito di condivisione e fratellan-za che si perse dopo il 6 aprile”. Mentre i giovani fanno festa in attesa della mezzanotte, una vo-lontaria della Caritas aquilana ha commentato: “Credevo che la par-tecipazione sarebbe stata inferiore alle aspettative. Invece c’è stata molta gente, giunta qui da molto lontano per darci sostegno e forza. La loro presenza ci darà il coraggio necessario per andare avanti”.

MARCIA PER LA PACE

Il buio e la luceL’Aquila: “capitale” del dolore, della solidarietà

e della speranzadi Alessandra Cirri

6 n. 1 10 Gennaio 2010LaVita

Le migrazioni, hanno sempre caratterizzato la storia dei popoli del nostro Con-tinente e ne hanno via via segnatoi passaggi epocali più complessi e determinanti per il suo futuro. La diversità di culture, di tradizioni religiose e civili, di linguaggi e di costu-mi, di cui sono portatori tanti immigrati, pone problemi nuovi per la nostra società, che, in passato, era considera-ta una terra di emigrazione e che oggi è approdo per tanti immigrati provenienti da mol-ti Paesi del mondo.

La paura del diverso, le conflittualità che nascono, l’in-capacità di procedere su vie di integrazione da una parte e dall’altra, atteggiamenti di ri-fiuto e di xenofobia, latente in molti ed esplicita, per fortuna, in pochi, ma comunque pronta a scatenarsi nell’opinione pub-blica di fronte a qualche caso celatante di illegalità o di de-

Gli stranieri nei consigli pastoraliPer dialogare ed accogliere, occorre rispettare

le identità senza nascondere le diversitàdi Cesare Nosiglia, vescovo di Vicenza

linquenza, fanno parte ormai del nostro vivere quotidiano. I mass media poi aggravano questa situazione, perché esa-sperano, a volte, i casi limite e diffondono una mentalità ed una cultura di sospetto e di insicurezza, che va ben oltre la realtà e fonda un costume di pensiero e di vita diffuso (...).

L’emigrazione non è dun-que un fatto solo sociale o politico, ma per la Chiesa è anche un fattore positivo dove si misura la sua capacità di essere e di manifestarsi quale sacramento di unità e di pace per l’intero genere umano.

Nel nostro paese, poi, assi-stiamo a un fatto sorprenden-te. Da un lato vediamo quanto la gente sia aperta e disponi-

bile ad aiutare e sostenere le opere missionarie, dal l’altra vediamo che, quando questo stesso mondo viene a vivere nella porta accanto, scattano paure e rifiuti di ogni genere e si ingenerano estraneità ed emarginazioni, che possono anche portare a ghettizzare lo straniero immigrato o ad accu-sarlo di ogni possibile crimine.

Non mancano comunità che aprono le loro chiese o locali per accogliere gruppi di immigrati per le celebrazioni e per incontri. Nei consigli pa-storali, inoltre, stanno entran-do sempre più le presenze di fratelli e sorelle immigrati.

C’è dunque un cammino di avanzamento notevole, che, ne sono certo, porterà a risultati

positivi anche sul piano della integrazione, a cominciare dai minori. Resta determinante, tuttavia, la necessità di edu-care e formare le famiglie. i ragazzi, i giovani, le comunità a questa nuova cultura di ac-coglienza e a relazioni meno superficiali con gli immigrati che sono tra noi. Tutto ciò senza farsi troppe illusioni nel tempo e gestendo i fatti. Le diversità restano e spesso sono anche portatrici di chiusure e contrasti, che non possono es-sere ignorati o sorvolati senza correre il rischio di trovarsi di fronte a situazioni poi di grave difficoltà nei rapporti reciproci. Per dialogare e per accogliere, rispettandosi gli uni gli altri, occorre accettare le identità di ciascuno senza nascondere le diversità, a vol-te anche sostanziali e non solo esteriori, di impostazione di vita. di cultura, di religione, di leggi e norme di riferimento.

Lettere in Redazione“Speriamoche mela cavo”

Grazie a Dio al di 30 del mese di luglio dell’an-no Domini 2008, mi sono trovato a fare alcune consi-derazioni di tipo economico della nostra Italia, premetto che non ho nessuna laurea o qual si voglia altro titolo di scuole pubbliche italiane, ma giunto ormai all’età della pensione e devo dire quasi per miracolo Dio ringrazian-do sono quasi per dire come nel tema di quell’alunno… “che forse anch’io speriamo che me la cavo”. Non credo assolutamente che il “pove-ro dottor Biagi” non volesse in nessun modo dar lavoro ai giovani! Fatto sta che sia con la flessibilità del lavoro sia per i contratti a tempo sia per diminuire il nostro costo del lavoro sia per comodità dei datori di lavoro sia per non saprei altro aggiungere, ma devo far presente che il lavoro è un diritto e non “un tempo a tempo” chi ha orecchie intenda, i nostri giovani, non solo non hanno la possibilità di avere un la-voro su cui contare, ma non possono nemmeno imparare un lavoro, ammesso che oggi sia ancora possibile, sì perché un artigiano non si può permettere di prendere un ragazzo… visto le tasse che paga! sballottati qua e là, e inoltre con l’introduzione dell’euro ormai lo stipen-dio di un operaio va dagli 800-850 euro e dai 1500-1800 nei casi migliori almeno per quanto io sappia, ma dato che l’euro vale le nostre

una tela per future soluzioni con gli onorevoli D’Alema e Casini! Ma il cavaliere non demorde, dicendo che lui ci proverà, ricorrendo infine al referendum confermativo e abrogativo al quale vuole aderire anche lui.

Dulcis in fundo, il tenta-tivo di sollevare dall’incari-co di ministro dell’economia Tremonti con il vicepremie-rato, per il fatto di non aver condiviso l’abrogazione della tassa Irap: una tassa già ridotta da Prodi e che sostituisce alcune altre tasse tra le quali quella della salu-te, l’Invim, l’Iciap, con una perdita di 40.000 miliardi di euro che servono per coprire il deficit della sanità. Tutti gli economisti, compreso il governatore della Banca d’Italia Draghi, e lo stesso ministero dell’economia gli negano il via libera, a meno che non trovi il sistema di ridurre la spesa pubblica, fuori controllo, risparmian-do sulla spesa sanitaria, pen-sionistica e previdenziale, riducendo le spese militari e quant’altro.

Ultima riflessione: quan-do i capi di stato stranieri perdono le elezioni o cadono in disgrazia si ritirano a vita privata e non ritornano più in parlamento. Si dice che senza l’immortale cavaliere l’Italia andrebbe in rovina (forse il Pdl sì), ma in realtà, “dopo un Papa se ne fa un altro”. Anche perché la gen-te si stanca di vedere sempre le stesse facce. Questo vale per tutti gli schieramenti e le personalità politiche na-zionali, locali. E questo per il bene del rinnovamento e delle alternanze democra-tiche.

Mauro Manetti

vecchie 2000 lire ne consegue che il potere di acquisto si è subito dimezzato, è inutile vedere la pubblicità di infini-ti istituti bancari che offrono mutui “agevolati!”, ma se nei dodici mesi di un anno il creditore lavora solo sei mesi spiegatemi voi come possa arrivare a chiedere un mu-tuo, e quale sia la banca che lo elargiscearrivata poi la cri-si mondiale per caro greggio storie di mutui americani che sinceramente ben non capi-sco, (eppure il sistema ban-cario italiano non è l’ultimo arrivato su questa “palla che gira”). Detto in poche parole ho la sensazione che si è così azzerato il costo del lavoro azzerando gli stipendi alla gente semplice che lavora e che ha mandato avanti sino ad oggi la nostra Italia.

A questo punto ho do-vuto non potendone fare a meno il confronto degli stipendi dei nostri politici, fra quirinale, senato, camera, regioni, comuni, ministeri, magistratura e cosi via, se non erro un consigliere regionale percepisce uno stipendio mensile che è pari a 20 volte quello di un ope-raio, e così via il rapporto tra politico passa ben oltre le 20, 30, volte e più quello di un operaio e come se tutto questo non bastasse a questa emerita classe, il politico o chi per lui, vedi ammini-strazione pubblica, quando arriva l’età della pensione/i, “chi ha orecchie intenda” l’Inps non da loro la normale pensione/i ma il così detto/i “vitalizio/i” su cui non pa-

gano nessuna tassa, ma sino ad oggi in quale piatto han-no mangiato questi signori, ho che sbadato! Le tasse sulla pensione sono pagate dalla classe della “manova-lanza” non abbia ha essere che l’Inps vada di brutto in attivo! Certo è che sia natu-rale un buon stipendio e una buona pensione, ma sulla pensione/i non pagare le tasse… E’ un principio… “e il modo ancor m’offende”.

Chiedo e mi domando veramente dove sono gli “italiani”, secondo il mio modesto modo di vedere questi politici (tutti) stanno di fatto dilapidando vera-mente il nostro amato bel paese.

Finché il rapporto retri-buzione fra operai e ammi-nistratori, politici sarà così alto (20, 30, 40… e più) senza contare tutti gli altri privilegi che ruotano solo intorno a essi, e che questo costume creato dalla amministrazione pubblica comporta.

Non vedo soluzione per il nostro stato economico, dato che fra le altre cose non abbiamo nessuna risorsa energetica, ma solo la fanta-sia e l’ingegno di umili per-sone che si alzano il mattino alle ore sei e si rimboccano le maniche di giorno in giorno.

Siamo circa 60 milioni di italiani, ma abbiamo il rap-porto più alto del mondo fra popolazione e rappresentanti politici, tanto è vero che se la Cina avesse questo rapporto di rappresentanza per fare una riunione non basterebbe uno stadio olimpico.

P.S. con lo stipendio di un ministro italiano, si pa-gano tre ministri di un qua-lunque paese della comunità dell’area euro!!! “la spesa pubblica”.

Certamente non vorrei vivere in Cina ma se non prendete provvedimenti in merito non so tutto questo stato di “cose” quanto possa ancora durare.

(P.S. E’ passato già un anno ma quanto sopra scritto rimane a maggior ragione ancora del tutto valido).

In fede... dalla ToscanaLettera firmata

e riprodotta nella sua stesura originale

La conflittualità fra le istituzioninon giovaalla democrazia

Il presidente del con-siglio Berlusconi va fuori le righe e stecca; mi riferisco al commento che ha fatto, alcuni mesi fa, sul Presidente della Repubblica Giorgio Na-politano, definito “comunista di sinistra”, che lo avrebbe tradito presso la consulta costituzionale, non appog-giando il lodo Alfano: una vera e propria gaffe, segno di debolezza di nervi… Ber-lusconoi ha anche detto che non ha paura dei processi intentati contro di lui. D’altra parte, finora è stato sempre

assolto in seconda istanza, perché nel frattempo i suoi ministri serventi gli hanno confezionato leggi “ad per-sonam” come, ad esempio, la prescrizione delle scadenze dei processi da 10 a 5 anni, e lo stesso lodo Alfano (per l’immunità alle quattro cari-che dello Stato) che era stato ideato allo scopo di ritardare un suo processo importan-te. Dopo la bocciatura di quest’ultimo, Berlusconi se l’è presa di nuovo con i magistrati, definendoli “to-ghe rosse” e auspicando la riforma della magistratura: dalle nomine del Csm (anzi 2 Csm!) alla consulta costitu-zionale, alla separazione del-le carriere fra Pm e giudici. Infine ha messo una ipoteca sul suo futuro politico dicen-do che vuole fare la riforma di stampo presidenzialista (tipo la Francia) con elezione diretta del premier, ben sa-pendo che per raggiungere questo obbiettivo bisogna fare una vera rivoluzione costituzionale, passando dal sistema parlamentare attuale a quello presidenziale. Certo, si può far tutto, ma il cava-liere sogna a occhi aperti, illudendosi di avere in par-lamento il 66% dei consensi, che non ha e non avrà perché la sua età è da pensione e un delfino carismatico come lui nel Pdl non c’è; il suo poten-ziale successore, il presidente della camera dei deputati Fini, è di fatto emarginato e contrario a questa soluzione poiché corre per la presti-giosa poltrona di Presidente della Repubblica, tessendo

PistoiaSetteN. 1 10 Gennaio 2010

Un “Veliero”per il lavoro

Con il 18 dicembre si è conclusa l’edizione 2009 del progetto Veliero. Attraverso questo progetto hanno trovato occupazione stabile (contratto di lavoro full – time) 10 persone svantaggiate. Complessivamente sono transitate all’interno del progetto 43 persone con varie problematiche legate alla tossicodipendenza, detenzione, invalidità civile, disagio socio economico, nonché minori segnalati dal Tribunale dei minorenni di Firenze. Di questi 43: 11 stanno ancora proseguendo il loro percorso d’inserimento lavorativo; 25 soggetti hanno usufruito di un periodo di formazione – lavoro e inseriti in stage aziendale presso delle aziende del territorio pistoiese; 7 sono stati accompagnati verso le politiche attive del mercato del lavoro (iscrizione centro per l’impiego, iscrizione categorie protette, colloqui di orientamento..).

E’ un ulteriore riprova che utilizzando un labora-torio pre-lavorativo protetto, dove si svolgono delle attività manuali con la presenza di un docente esperto e di un tutor per la trasmissione graduale delle com-petenze professionali e trasversali, e successivamente l’inserimento degli allievi direttamente nelle aziende promuovendo dei tirocini formativi, è possibile trovare sbocchi occupazionali, seppur in periodi di grave crisi economica come quella attuale ed in più per persone svantaggiate. Il percorso che anche quest’anno abbiamo realizzato ed i risultati conseguiti non è frutto di parti-colare bravura, quanto lo sforzo di trovare un contatto diretto e personale fra le aziende e persone interessate cercando di sgombrare il terreno da possibili equivoci e incomprensioni. Per la particolarità delle persone inserite nel contesto aziendale è necessario un ruolo di mediazione ma senza che questo divenga talmente pesante da ottenere risultati opposti.

Questo risultato è anche frutto di un lavoro di rete dove più attori hanno contribuito con risorse economi-che: la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia; la Fondazione Raggio di Luce onlus; la Caritas diocesana; il Comune di Pistoia (Sasc) e gli Istituti raggruppati. Siamo grati a loro che ci hanno permesso di svolgere il nostro scopo statutario che è rappresentato per l’appunto dall’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, mentre ci accingiamo a predisporre quanto necessario per la prossima edizione del progetto “Veliero” 2010.

La cooperativa sociale acquista una rinnovata importanza in tempi di crisi come quella che stiamo vivendo affermando che oltre ai conti puramente eco-nomici ci sono fattori (quello della partecipazione e quello di essere azienda non lucrativa onlus) capaci di fare la differenza nel panorama del mondo del lavoro. Riaffermare che occorre investire nelle persone, oltre che su uno standard tecnologico accettabile, significa in-trodurre elementi di progresso e di sviluppo sull’intera economia. Un’economia che guardi puramente alla redditività senza guardare alla distribuzione produce ulteriori motivi di squilibrio sull’intera società.

Resta per noi come cooperativa sociale l’impegno di rinnovare anche idealmente le motivazioni che stanno alla base di questo agire. Pur essendo un soggetto privato il terzo settore (di cui facciamo parte) sempre più si attribuisce un ruolo pubblico cercando di indicare una strada più equa e solidale al vivere sociale delle nostre comunità.

INFO: In Cammino Società Cooperativa - via Sei Arcole 25/c – 51100 Pistoia, tel. 0573/451361, fax 0573/[email protected] - www.incamminocooperativa.org

Dal 2 al 7 agosto 2010, in occasione dell’Anno Santo com-postellano, la diocesi di Pistoia organizza un pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo Giacomo, patrono cittadino.

Come spiega il direttore del-l’Ufficio diocesano pellegrinaggi Luciano Bani, il pellegrinaggio a

Ufficio pellegrinaggi diocesano

Pellegrinaggio a Santiago de Compostela, Fatima e Lisbona

Santiago de Compostela prevede anche soste a Lisbona, città natale di Sant’Antonio, a Fatima, luogo delle apparizzioni ai tre pasto-relli nel 1917, a Coimbra, città prestigiosa per la sua università e per aver ospitato nel convento della Santa Trinità suor Lucia, una delle veggenti, e ad Oporto.

Infine, l’arrivo a san Giacomo di Compostella per venerare il santo e acquistare l’indulgenza giubilare. Sulla via del ritorno è prevista una sosta anche nella città di Braga. La scadenza delle prenotazioni è fissata per il 31 gennaio 2010 al fine di reperire la disponibilità sui voli aerei.

Prenotazioni tel 335.6151860, o presso il parroco della propria parrocchia, o all’ufficio dioce-sano pellegrinaggi che è aperto il martedì e venerdì dalle 10 alle 12. Nel paginone centrale pubblichiamo il programma del pellegrinaggio.

Daniela Raspollini

Come ogni anno, la Chiesa universale si riunisce per riflette-re sulla condizione dei migranti; riflettere da cristiani e pregare perché la dimensione della vera carità cresca in ciascun credente e in ogni comunità, generando opzioni esistenziali capaci di convertire ciascuno di noi alla fratellanza autentica,vissuta e testimoniata da Cristo.

La tematica di questa gior-nata, oltre a ribadire la dignità di ogni persona migrante “che, in quanto tale, possiede diritti ina-lienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione”(Caritas in veritate, n.62), ci impone di analizzare e conoscere al meglio la condizione del minore immi-grato, giunto qui in tenera età o nato tra noi: quali prospettive, quali speranze, quali difficoltà caratterizzano la sua vita nella nuova terra che accoglie la sua famiglia o che, nei casi più diffi-cili, accoglie la sua solitudine?

Come in ogni famiglia, il bambino immigrato è ricchezza e speranza; è amato e seguito con cura perché conservi le proprie radici culturali e rie-sca ad apprezzare la nuova realtà, inserendosi con dignità e sicurezza nei nuovi contesti scolastici e sociali.

Negli ultimi anni, nella real-tà pistoiese, molte famiglie im-migrate hanno compiuto passi significativi nella direzione di

una piena integrazione, che per i minori si avvia e si concretizza proprio attraverso la scolariz-zazione.

Valorizzare con serietà l’im-pegno scolastico è obiettivo teoricamente affermato e voluto da ogni famiglia immigrata, che si scontra, però, con numerose difficoltà, soprattutto derivanti dalla scarsa padronanza della lingua italiana da parte dei ge-nitori. Anche per questo motivo, il servizio di sostegno scolastico per i bambini della scuola ele-mentare e media, offerto da tempo dall’Associazione San Martino de Porres, è sempre più richiesto. Nella stessa direzione, è particolarmente efficace anche il servizio di alfabetizzazione offerta agli adulti, che numero-sissimi cercano di apprendere più consapevolmente la lingua italiana.

Nella contingenza attuale, però, molti ostacoli alla dignità e all’integrazione dei bambini immigrati derivano realistica-mente dalla crisi occupazionale che ha coinvolto la nostra realtà. La perdita o la precarietà del lavoro, che ha colpito tanti capifamiglia immigrati, ha ri-prodotto condizioni di sofferen-za e impoverimento anche in moltissime famiglie immigrate. Seppur ormai dignitosamente integrate, tali famiglie vedono ripresentarsi problemi econo-

mici molto seri, che hanno fatto aumentare le richieste di aiuto e di supporto presso i centri diocesani di ascolto, anche da parte di immigrati che avevano iniziato a camminare in autono-mia (Dossier 2009 sulle povertà in Toscana).

Ancora più seria è la condi-zione in cui si trovano a vivere quegli adolescenti che partono da soli dalle loro terre d’origine, spesso inviati dalla disperazione della loro stessa famiglia, che li lascia partire sperando per loro in un futuro migliore di quello che vivrebbero in patria, a causa delle continue guerre e delle gravi forme di precarietà esi-stenziale. L’accoglienza di questi minori è sempre particolarmente difficile e impone l’attivazione di complessi percorsi di sostegno, di cui si fanno promotori per primi le Istituzioni locali, sotto la cui guida i minorenni possono realmente ricostruire la loro dignità personale.

Per riflettere con attenzione su queste problematiche, la do-menica 17 gennaio la comunità ecclesiale pistoiese è invitata a partecipare alla Celebrazione eucaristica, presieduta da monsi-gnor Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia, che si terrà alle ore 10 nella chiesa di San Paolo, frequentata assiduamente anche da giovani albanesi, residenti nel pistoiese.

17 gennaio - Giornata mondiale del migrante e del rifugiato politico

Il minore migrantee rifugiato:

una speranza per il futuroNel pomeriggio del 17

gennaio,dalle ore 15.30, presso l’Aula magna del seminario vescovile (via Puccini, 36), la tematica Il minore migrante e rifugiato: un speranza per il futuro sarà affrontata da due importanti interventi.

Don Umberto Guidotti, missionario diocesano in Bra-sile e in Mozambico, tratterà di alcuni aspetti della condizione dei minori nella realtà della globalizzazione.

La dottoressa Federica Tad-dei, dirigente del Centro Affidi dei Servizi Sociali del Comune di Pistoia, tratterà dei percorsi e delle prospettive che le politiche comunali individuano per risol-vere le varie problematiche dei minori immigrati a Pistoia.

Seguiranno alcune testimo-nianze di operatori impegnati nelle associazioni di volontaria-to, che seguono particolarmente i minori immigrati.

A conclusione delle riflessio-ni, sarà proiettato un film-docu-mentario: “Sillabario africano” a cura di Amref.

A tutti gli interessati e, in particolare, agli operatori pa-storali delle parrocchie e realtà diocesane un caldo invito a condividere con la Caritas Dio-cesana e con l’Associazione San Martino de Porres questo impor-tante momento di riflessione.

Paola Bellandi

8 n. 1 10 Gennaio 2010LaVitacomunità ecclesiale

S toria individuale e collettiva, ricordi di un tem-po passato, testimonianza di una vita vissuta per la comunità sono stati gli ingre-dienti dell’incontro di sabato mattina all’Hotel Artemura, organizzato dal “Centro Stu-di Giuseppe Donati” e dal senatore Vannino Chiti, per festeggiare i novant’anni di don Giovanni Gentilini.

In questo clima familia-re e “natalizio” –secondo una definizione del vescovo monsignor Mansueto Bian-chi– si sono susseguiti gli interventi e le rievocazioni del presidente del Centro “Donati” Giancarlo Niccolai, di Vannino Chiti, del vescovo e del Sindaco di Pistoia Ren-zo Berti.

Niccolai ha così spiegato il senso dell’incontro: “E’ stata un’idea di Vannino per festeggiare il suo vecchio par-roco, al quale è molto legato. Basti pensare che, quando fu nominato ministro, volle per prima cosa andare a Sarripoli a comunicare a don Gentilini la propria gioia.”

“Mi sembra giusto –ha affermato Chiti– rendere omaggio ad una persona che compie novant’anni man-tenendo una così grande forza fisica e mentale. Da ragazzo ero suo parrocchiano a Le Grazie: don Gentilini c’ha incontrati da bambini

Calamecca

Don Costanzinicavaliere, un presepein suo nome

Quest’anno i numerosi presepi realizzati nel paese sono stati dedicati a don Agostino Costanzini, meglio conosciuto come il sacer-dote dalle molte chiese. Lo afferma il presidente della Pro loco Luigi Masala. Vogliamo esprimere al prete -prosegue Masala- il nostro ringraziamento per il servizio sacerdotale che svolge nel paese. Le natività sono state collocate nei punti principali: dove soggiornò il condottiero fiorentino Francesco Ferrucci e nel quale il paese si riconosce. Nei luoghi dove nel settembre 1944 furono fucilate dalle truppe tedesche 18 persone. Di recente don Costanzini è stato nomi-nato cavaliere della Repubblica italiana per particolari benemerenze. Il sacerdote è nato a Pistoia nel 1932, ordinato prete dal vescovo di Pistoia Mario Longo Dorni nel 1957. E’ parroco di Avaglio, presta servizio in nove chiese dei Comuni di Piteglio e Marliana. Chiesa di San Michele di Avaglio, di San Leonardo a Serra, provvede alle funzioni di Panicagliora, in Valle di Forfora chiesa di San Miniato a Calamecca, Santa Maria Assunta di Crespole, dice la messa a San Bartolomeo di Lanciole e a San Luigi di Casa di Monte; in estate anche nelle chiesetta sepolocro della Macchia degli Antonini, nella cappella del ristorante il Bimbo di Femminamorta. Si sposta verso i vari luoghi, con una panda bianca dono della popolazione. Sempre sorridente, una fede incrollabile, tanto affetto verso i parrocchiani rendono più grande il personaggio. La popolazione nutre per lui affetto e stima, al suo passaggio si pensa che transiti l’umiltà e la preghiera.

Giorgio Ducceschi

Solidarietà

De Franceschi, un aiuto alla Caritas

Una bella storia di Natale. Che ci auguriamo, si ripeta spesso nel corso del 2010, a Pistoia e lontano da qui. Gli studenti e i docenti del “Laboratorio di allestimento del verde” dell’Istituto Agrario Barone De Franceschi, raccogliendo la proposta del preside Mario Di Carlo e del professor Eugenio Fagnoni della Fondazione De Franceschi, si sono fatti promotori di un concreto e significativo gesto di solidarietà. Per rispondere alle esigenze dei cittadini in difficoltà economica, hanno acquistato, con i soldi che di solito venivano messi a disposizione dalla scuola per i gli auguri istituzionali, generi di prima necessità, come pasta, fagioli e pomodori, ma non solo, desti-nandoli alla Caritas diocesana, affinché fossero tosto distribuiti alle persone in stato di indigenza. La cerimonia di consegna delle cibarie al responsabile della Caritas, Marcello Suppressa, si è svolta con la simbolica accensione delle luci che hanno addobbato un magnifico abete, alto più di 25 metri di altezza, posizionato all’ingresso della scuola, alla presenza dei già citati Di Carlo e Fagnoni e del vice preside dell’Istituto, Carlo Rai. Porgendo una mano al prossimo, hanno fatto “nascere” l’“Albero della Solidarietà”. “E’ stato un modo differente, ma dolce di fare gli auguri di Natale -ha affermato Di Carlo-. Ci scusiamo con le istituzioni che non riceveranno il nostro bigliettino augurale, ma crediamo che capiranno la scelta dei nostri alunni. Un modo di avvicinarsi alla vita reale”. “Abbiamo ritenuto -ha aggiunto Fagnoni- che fosse opportuno, per una scuola in cui, oltre alle materie professionali, si insegnano i valori della solidarietà e della collaborazione, attuare un gesto concreto”. “A nome di chi, in questo momento, è meno fortunato -ha asserito Soppressa- ringrazio il ‘De Franceschi’ della sensibilità mostrata. Trovo che il suggerimento dei professori, raccolto dagli allievi, sia un eccellente modo di educare alla vita”.

Gianluca Barni

Il 12 dicembre, presso l’Isti-tuto Suore Mantellate, si è svolta la Festa missionaria o della solidarietà. Come spiega Suor Aureliana, “la festa missionaria è un momento di particolare aggregazione degli exalunni, degli alunni e dei loro genitori. Ci si ritrova nella preparazione e si condividono i valori che si vivono in chiacchierate sul quo-tidiano”, riflettendo anche su come si vive in altre situazioni dove operano in missione le Suore Mantellate.

In particolare, Suor Aure-liana parla della missione nello Swaziland, in Sud Africa.

“La scuola - spiega - è stata istituita per i mulatti, rifiutati dai neri e dai bianchi. Attorno alla missione ora è sorto un villaggio. Le nostre Madri hanno

Il 12 dicembre all’Istituto Suore Mantellate

Festa missionariao della solidarietàanche costruito una diga che ha permesso di portare l’acqua nelle case. Attiguo alla scuola c’è l’ambulatorio a cui arrivano quotidianamente casi disperati, ora in prevalenza ammalati di Hiv. Nella capitale, Mambane, c’è una casa per l’accoglienza delle lavoratrici che trovano letti, docce e fornelli per essere sicure in una città difficile”.

In Swaziland le suore colla-borano con Medici senza frontie-re per la cura dei malati di Aids e sono stati preparati molti orti

per la produzione di verdure importanti nell’alimentazione degli ammalati. I 900 bambini della scuola consumano il pran-zo dato dalla missione perché rientrando nelle loro abitazioni, dopo molti chilometri spesso percorsi a piedi, non sempre potrebbero trovarlo.

Un’altra “stazione missiona-ria” si trova in Uganda, a Kisoga. L’attività è rivolta sempre verso la scuola e l’orfanatrofio, che accoglie bambini i cui genitori sono morti per l’Hiv.

“Un’attività importante – spiega Suor Aureliana _ è stata quella della costruzione di case in mattoni per sostituire quelle costruite con fango e lamiere. Inoltre, sempre con il contributo di volontari pistoiesi, sono stati costruiti dormitori per gli alunni maschi che vengono da lontano e non possono ritornare alle loro abitazioni in giornata e cinque aule con i relativi servizi e aule per laboratori”.

In Uganda, la povertà è estremamente diffusa. “Anche

I 90 anni di don Gentilinie guidati durante la crescita, permettendoci di fare grandi esperienze di vita, creando un gruppo coeso e facendoci conoscere il mondo fuori del paese. È stato disponibile in modo assoluto, standoci vicino sia nei momenti belli sia in quelli brutti, prestando attenzione ai problemi delle persone senza giudicarle. Gli faccio i miei migliori auguri, gli vogliamo bene.”

Anche Berti ha inseri-to nel contesto la propria storia personale: “Ho vis-suto un’esperienza simile a quella di Vannino, ho un ricordo molto positivo del periodo della comunione e della cresima, trascorso a Marinasco, vicino La Spezia. La parrocchia era un punto di riferimento per le diverse frazioni circostanti. Pochi giorni fa sono stato là con la mia famiglia e mi ha addolo-rato molto vedere la chiesa in stato d’abbandono e il campo di calcio, in cui giocavo da piccolo, nella più totale incu-ria. Penso che si debba fare il possibile per tornare a dimen-sioni di questa natura, a realtà nelle quali ci sia il senso della collettività, esperienze come quella di Don Gentilini sono, in questo senso, estremamen-

te preziose.”“Se penso al clima na-

talizio –ha esordito il ve-scovo– mi viene in mente il raccoglimento attorno al focolare: stamattina il focola-re è don Gentilini. Vedo tutte le generazioni riunite intorno al focolare, che irradia di luce e calore la vita delle persone. Don Gentilini è un uomo at-taccato alla vita: sono note la sua passione per le escursioni in montagna e l’abilità come latinista e grecista.

Oltretutto –ha scherzato il vescovo– è nato il primo di Gennaio: non ha voluto farsi scappare nemmeno un giorno.”

Il vescovo ha concluso il proprio intervento con una nota d’affetto nei confronti di don Gentilini: “Stamattina le consegneranno una targa, e la targa è l’ultimo elemento che si aggiunge ad un’automobile nuova. Lei, a novant’anni, viene targato, ha ancora un lungo cammino da fare. La carrozzeria è valida, il motore è ancora quello di prima.”

Don Gentilini ha afferma-to di “non meritare un’ini-ziativa simile”. “Ho vissuto al Le Grazie una grande esperienza pastorale, viven-do anche –dati i tempi che

correvano– grandi conflitti, ma sempre con reciproco rispetto. C’è sempre stata grande armonia anche con i comunisti; malgrado le con-trapposizioni avevo buoni rapporti con tutti.”

L’ex parroco de Le Grazie si è poi lasciato andare ad alcune simpatiche e com-muoventi reminiscenze di un mondo che non c’è più: “Una domenica a Le Grazie, du-rante un comizio comunista, l’oratore parlò anche contro la chiesa. Io, che ascoltavo dall’interno della parrocchia, mi annotai tutto, e nell’omelia della domenica seguente ri-battei punto per punto.”

Don Gentilini ha conclu-so ringraziando i presenti: “Sono riconoscente a tutti voi, che mi avete dimostrato così grande stima; Dio ve ne renda merito.”

Nel finale sono stati con-segnati al festeggiato una targa e un quadro, opera di Rossella Baldecchi. La mattinata si è conclusa con un brindisi, durante il quale molti dei presenti hanno salutato personalmente Don Gentilini, con un atto d’affet-to che è l’abbraccio di tutta una comunità.

Jacopo Golisano

“I bambini aiutano i bam-bini”. E’ questo il titolo del progetto per assistere i bambini africani considerati “stregoni” attraverso una raccolta di fondi particolare alla quale hanno ade-rito anche tanti ragazzini della diocesi di Pistoia: il 6 gennaio, in occasione della Giornata mon-diale dell’infanzia missionaria, saranno proprio loro a riportare al Centro missionario diocesano i salvadanai che hanno ricevuto durante il periodo dell’Avvento e che hanno riempito con piccoli sacrifici. Quei soldi andranno ai loro coetanei africani abbando-nati sulle strade perché accusati di “portare male” e di essere posseduti dai demoni: una

Giornata Infanzia Missionaria

I bambini aiutano i bambini

Per l’Epifania riporteranno i salvadanai riempiti con piccoli sacrifici per 5 grandi

progetti

tragedia che coinvolge decine di migliaia di piccoli dai 2 ai 10 anni e che il Papa, nel suo recente viaggio in Africa, ha bollato con dure parole di condanna.

Nato per sensibilizzare i bambini sulle problematiche delle parti del mondo più in

sofferenza, l’iniziativa fa parte di un gruppo di cinque progetti scelti dalla Pontificia opera infanzia missionaria che riguar-dano altrettanti continenti verso cui si indirizzeranno le raccolte dai salvadanai dei bambini di tutta Italia.

Oltre a quello mirato a ga-rantire assistenza alimentare e sanitaria ai bambini “stregoni” della diocesi di Djougou in Benin, i bambini pistoiesi con-tribuiranno anche ai progetti relativi alle diocesi di Buku (Azerbaigian) e Bouganville (Nuova Guinea): qui, in parti-colare, con interventi medici in favore di bambini con problemi respiratori.

Maggiori informazioni sul sito della Pontificia Opera Infan-zia Missionaria (www.poim.it).

se la guerra non è arrivata dove sorge la missione, - prosegue Suor Aureliana - per proteggere i bambini dalle razzie dei ribelli, è stato necessario assumere dei sorveglianti per proteggere la missione sia di giorno che di notte”.

Sempre in Uganda continua il progetto della costruzione di case, destinate in prevalenza a nonne vedove con a carico i ni-poti orfani. Il progetto ha visto in prima linea nell’offerta Pistoia. Per poter sostenere queste fami-

glie anomale costituite da vecchi, si acquistano animali da cortile, maialini, semi per gli orti per renderli in parte autonomi.

Per promuovere una cer-ta indipendenza nelle donne, spesso ammalate, sono state inviate macchine da cucire che permettono la lavorazione di manufatti ed è stato istituito un laboratorio di cestini che ven-gono commercializzati in Italia attraverso la rete del commercio equo e solidale.

Daniela Raspollini

910 Gennaio 2010 n. 1LaVita comunità ecclesiale

corso gramsci, 159/b - cell. 338.5308048 - pistoiaaperto pranzo e cena

In prossimità dell’Anno giubilare visitandino che avrà inizio il 24 gennaio 2010 e ter-minerà il 13 dicembre 2010, riteniamo opportuno descri-vere gli aspetti più salienti e significativi della madre Maria Margherita Livizzani fondatrice del Monastero della Visitazione di Pistoia.

Quando l’ordine claustrale della Visitazione aveva già conseguito una discreta dif-fusione a livello europeo, nel piccolo ducato di Modena il 3 aprile 1679 veniva alla luce dal marchese Paolo Camillo Livizzani e da donna Ippolita Maria Mulazzani, suor Maria Margherita. Al Battesimo ebbe il nome di Fulvia.

All’età di 8 anni, secondo i costumi aristocratici dell’epoca, la madre affidò la piccola Maria Margherita e l’altra figlioletta Giulia alle religiose del Mo-nastero di Modena “sapendo benissimo quanto siano abili le figliuole del sempre celebre S. Francesco di Sales a coltivare piante novelle, a far sì che a suo tempo, coll’assistenza della grazia celeste, producano frutti preziosi di vita eterna”. Le mo-nache, tra cui una zia materna, posero ogni cura e dedizione per la sua educazione e formazione cristiana. La piccola marchesina non tardò a manifestare la sua precoce intelligenza e la sua vi-vace accortezza. In poco tempo, sensibile all’opera dello Spirito Santo che lavorava misteriosa-mente in quest’anima innocente, comprese che Dio l’aveva scelta al suo servizio. La sua conferma alla chiamata celeste avvenne il giorno medesimo in cui ricevette per la prima volta il pane degli angeli. Ella infatti garantì al Signore la sua adesione alla vita claustrale visitandina.

Proprio in quegli anni venne celebrato il matrimonio del duca di Modena Francesco II d’Este con la principessa Margherita Farnese. Nella felice circostanza l’alto sovrano modenese fece richiesta al marchese Livizzani di poter annoverare anche sua figlia fra le damigelle d’onore per la sua sposa. I marchesi Livizzani pur conoscendo il pio desiderio della loro bambina di seguire le regole salesiane, pie-namente desolati, la condussero alla corte ducale. Probabilmen-te i genitori, considerando il contesto societario dell’epoca, pensavano già al futuro della loro figlia integrata nel mondo aristocratico.

Il clamore, i fasti e il benes-sere della corte non scalfirono affatto la ferma e strenua vo-lontà di Maria Margherita “che aveva sempre nella mente e nel cuore la visione del monastero, più bello e desiderabile d’una reggia”.

L’adolescente Maria Mar-gherita nonostante il dissenso dei genitori e del duca, il 26 giugno 1694 indossò l’abito visitandino e si avviò così in un profondo e appassionato noviziato. L’anno successivo fu idonea alla professione dei

Monastero della Visitazione

Storia della fondatriceMadre Livizzanivoti. In quell’occasione partico-larmente significative furono le sue parole con le quali dichia-rava di sentirsi “abbandonata a Lui come goccia d’acqua che si perde nel mare”.

La neo visitandina con spiri-to di obbedienza alla regola sale-siana fu infermiera impeccabile, generosa e in seguito esercitò il ruolo di maestre delle novizie. In questo periodo rifulsero in suor Maria Margherita le sue eccelse virtù religiose. Infatti il suo messaggio formativo, educativo ed ecclesiale fu espresso con un’ inequivocabile fermezza mista ad una profonda saggezza, tale da meritarsi la considerazione e l’affetto delle novizie. E tanta fu la sua risolutezza da rifiutare le dimostrazioni affettive delle no-vizie, dicendo: “Sentite, figliole: io non voglio essere l’idolo dei vostri affetti.”

Sebbene suor Maria Mar-gherita evidenziasse un at-teggiamento intransigente e inflessibile nei confronti delle novizie e delle sue consorelle, si sottoponeva quotidianamente a lunghe riflessioni riconoscendo davanti all’intera Comunità le lacune del suo comportamen-to. A questo proposito merita riportare le sue stesse parole: “Mi sono sentita qualche volta annoiata in ascoltar qualchedu-na. Ho ripreso talvolta alcuna con troppo calore. Potevo usare maggior diligenza in visitare le inferme, e sollevarle con mag-gior destrezza, compatendo le loro miserie…”. Ricorda Santa Giovanna F. De Chantal: “Se non siamo piccole e veramente umili annienteremo i disegni del Cuore di Gesù”.

Suor Maria Margherita con molta frequenza affidava alla bontà divina il proposito di conseguire una stabilità del carattere più dolce e tenero. Quando la preghiera è convinta, fiduciosa e filiale produce sem-pre i suoi frutti. Non può passare inosservata la supplica di una figlia al proprio padre. In realtà la sua fede e la sua perenne venerazione a Gesù Crocifisso destarono gradualmente in lei un amore sconfinato alle umi-liazioni e all’umiltà; più tardi dichiarerà una “confessione” molto sublime: “Intorno alla carità, del prossimo , vedo qual è la regola, che Gesù mi dà, e come la devo praticare, soffren-do, compatendo,scusando, e fare il possibile per sollevarlo”. In sostanza la vita cristiana è un perenne superamento di noi stessi fino a raggiungere la pienezza di Cristo. Scrive San Francesco di Sales: “L’anima che passa dal peccato alla vita di per-fezione, non pensi di farlo tutto d’un tratto. L’aurora sgombra le tenebre a poco a poco”.

La madre del Monastero di Modena suor M. Vittoria

PRESIDENZA E DIREZIONE GENERALE Largo Treviso, 3 - Pistoia - Tel. 0573.3633

- [email protected] - [email protected] PISTOIA

Corso S. Fedi, 25 - Tel 0573 974011 - [email protected] FILIALI

CHIAZZANO Via Pratese, 471 (PT) - Tel 0573 93591 - [email protected]

PISTOIA Via F. D. Guerrazzi, 9 - Tel 0573 3633 - [email protected]

MONTALE Piazza Giovanni XXIII, 1 - (PT) - Tel 0573 557313 - [email protected]

MONTEMURLO Via Montales, 511 (PO) - Tel 0574 680830 - [email protected]

SPAZZAVENTO Via Provinciale Lucchese, 404 (PT) - Tel 0573 570053 - [email protected]

LA COLONNA Via Amendola, 21 - Pieve a Nievole (PT) - Tel 0572 954610 - [email protected]

PRATO Via Mozza sul Gorone 1/3 - Tel 0574 461798 - [email protected]

S. AGOSTINO Via G. Galvani 9/C-D- (PT) - Tel. 0573 935295 - [email protected]

CAMPI BISENZIO Via Petrarca, 48 - Tel. 055 890196 - [email protected]

BOTTEGONEVia Magellano, 9 (PT) - Tel. 0573 947126 - [email protected]

Domitilla Tarini nel corso del suo superiorato non sottovalutò mai le alte qualità ecclesiali di suor Maria Margherita. Anzi, ne intese immediatamente il suo valore educativo. Quando nel luglio 1714 la Madre Tarini ven-ne designata a fondare la prima comunità della Visitazione della Toscana a Massa e Cozzile (Pi-stoia), ritenne doveroso di avere con sé suor Maria Margherita come sua assistente.

Suor Maria Margherita Li-vizzani, al termine della sua quasi ventennale permanenza modenese raggiunse Massa e Cozzile, quel suggestivo borgo medievale nel cuore della Valdi-nievole immerso nel verdegrigio degli ulivi. Il suo livello di ma-turazione monastico era molto consolidato e soddisfacente. La nascita del Monastero compor-tò inevitabilmente numerose difficoltà in particolar modo dal punto di vista materiale. In alcuni manoscritti apprendiamo quanto sia grande e convinta la fiducia di suor Maria Margherita Livizzani nella divina provvi-denza. Si legge che un giorno mentre stava scrivendo terminò i fogli; in modo laconico disse: “Iddio provvederà la carta”. Al-l’insaputa di tutte, improvvisa-mente un benefattore di Pistoia portò una risma di carta.

A Massa e Cozzile trascorse ben 23 anni assumendo inizial-mente l’ufficio di economa e in un secondo tempo le venne af-fidata la direzione del noviziato. All’età di 42 anni il 29 maggio 1721, venne eletta per la prima volta superiora del monastero della Visitazione di Massa e Cozzile. Le venne riconfermata la più alta carica monastica per altri due trienni.

A Pistoia era presente una plurisecolare comunità religiosa che aveva adottato la regola di S. Agostino. Questa, chiamata il Monastero delle Vergini, a seguito di numerose vicissi-tudini si era ridotta ai minimi termini. Il vescovo di Pistoia, monsignor Federigo Alemanni, particolarmente sensibile al suo recupero, nel corso di una delle sue visite al monastero di Massa e Cozzile, pensò di attuare nella sua città un Monastero salesiano da poter supplire a quello delle vergini. Terminato il durevole

protocollo burocratico ecclesiale e civile, l’11 giugno 1736 “la Sa-cra Congregazione dei vescovi e dei regolari, dopo la favorevole informazione dell’ordinario, accordò benignamente la gra-zia, con favorevole decreto”. Il giorno anteriore alla festa della Visitazione dell’anno 1736 suor Maria Margherita Livizzani, an-cora superiora del Monastero di Massa e Cozzile, le fu ingiunto epistolarmente “d’introdurre l’istituto nel nobilissimo mo-nastero delle vergini di Pistoia, e che dal sommo Pontefice era stata eletta superiora, con facoltà di condurre seco due compa-gne”. Vane e inutili furono le sue resistenze per sottrarsi al nuovo dovere ecclesiale che l’attendeva. Numerosi furono i messaggi di incoraggiamento pervenuti da numerose e distin-te personalità. Alla rassegnata madre Livizzani non le rimase altro che obbedire.

Il passaggio dalla comuni-tà massese a quella nuova di Pistoia lasciò nel cuore della Madre Livizzani un profondo dolore. Accompagnata da due assistenti giunse a Pistoia il 26 febbraio 1736, un martedì. Per due trienni consecutivi esercitò con zelo il ruolo di superiora e di maestra delle novizie. In questo periodo il monastero di Pistoia rifulse per la presenza di anime sante sul limpido esempio della madre Livizzani. La Madre, non fu soltanto un chiaro modello di santità ma anche di incessante carità verso i poveri di Pistoia.

Nell’autunno 1756 sebbene la salute psico-fisica della madre Maria Margherita Livizzani avesse già segnalato qualche cedimento fu colpita da un forte malessere. Il 17 gennaio 1757 infatti cadde sul pavimento della loro chiesetta come morta. Trasportata in camera dalle con-sorelle e visitata dal medico del monastero rimase agonizzante per sei giorni nel corso dei quali ricevette dal vescovo l’estrema unzione e successivamente la benedizione apostolica.

Il 23 gennaio 1757 alle otto di sera “rendé la sua bell’anima a chi l’aveva creata, adorna della battesimale innocenza, e di tutte le virtù, che sono tanto proprie di un anima perfetta”.

Carlo Pellegrini

Parrocchia di Vignole

Corso d’organoDomenica 20 dicembre si è tenuto il saggio finale del corso

propedeutico per organi antichi condotto dalla professoressa Mariella Mochi dell’Accademia di organo di Pistoia, sull’antico e prestigioso Organo Agati del 1797 della parrocchia di San Michele Arcngelo a Vignole. A questo corso hanno partecipato 8 allievi, alcuni dei quali hanno palesato attitudini e qualità originali per continuare quest’attività fino all’accademia o al conservatorio. Al saggio finale era presente anche il rappresentante della Fondazione Banche del Credito Cooperativo di Vignole e Pistoia, Alberto Bonti, che si è congratulato con gli organizzatori. L’intenzione è di ripetere per il prossimo anno il 2° corso di livello di perfezionamento previo consenso e finanziamento della Fondazione.

Concerto natalizioSabato 26 dicembre si è svolto nella chiesa di Vignole il consueto

concerto natalizio, organizzato dalla Banda Filarmonica Giuseppe Verdi di Quarrata, con la sponsorizzazione della Banca di Credito cooperativo di Vignole, con il patrocinio del Comune di Quarrata. Hanno partecipato alla manifestazione anche la Corale polifonica “Terra Betinga” di Agliana e i cantanti Stefano Arnetoli, Marco Dro-vandi e Benedetta Gaggioli (tutti quarratini doc), che si sono alternati alla corale Terra Betinga e alla Filarmonica Verdi, eseguendo alcuni brani classici dal repertorio operistico Il Comune di Quarrata era rappresentato dall’assessore Gaggioli, mentre la Banca di Credito Cooperativo di Vignole era presente con il presidente Giancarlo Gori e il vicepresidente Franco Benesperi; per la chiesa di Vignole era presente il parroco don Patrizio Fabbri.

Mauro Manetti

10 n. 1 10 Gennaio 2010LaVitacomunità e territorio

MALTEMPO: DANNI E RESPONSABILITÀ A CURA DI PATRIZIO CECCARELLI

Intanto il coordina-mento dei comitati di Firenze, Prato e Pistoia e il comitato «Il Guado» di Bottegone parlano di disa-stro annunciato e puntano il dito su chi da troppo tempo promette interven-ti, senza realizzarli.

«Già da anni sostenia-mo quanto sia importante la ripulitura dei fiumi, per prevenire disastri annun-ciati, per mantenere in buono stato le briglie ed immagazzinare l’acqua, rallentandone la veloci-tà verso la piana». È la denuncia del comitato il Guado di Bottegone, la zona dove è avvenuta la rottura del torrente Ombrone. «Un’indagi-ne eseguita alcuni anni fa dall’amministrazio-ne comunale di Pistoia – sottolinea il comitato - ha evidenziato che su 500 chilometri di fiumi e

I comitati

«Disastro annunciato»torrenti, ben 450 erano e sono ancora a rischio».

Il Comitato si chiede dove e come sono stati spesi i 50 miliardi di lire che la Provincia si vantava di aver speso tra il ‘99 e il 2000 in interventi idraulici e lavori effettuati sugli argini dei fiumi. Sempre secondo il comitato, le casse d’espansione non sono la soluzione perché sono solo l’aggiunta di altri chilometri di argini da controllare. «In tutti gli eventi alluvionali dal ’95 in poi -osserva il co-mitato - non vi è stata la tracimazione dell’acqua, malgrado il superamen-to dei livelli di guardia, ma la rottura degli argini causata dalla mancata ma-

nutenzione da parte degli organi competenti. E dopo il danno la beffa: si inter-viene in urgenza con costi aggiuntivi che ricadono su noi cittadini».

«I tanti disastri annun-ciati in questi giorni di neve e di pioggia –sotto-linea in una nota il coor-dinamento dei comitati della Piana- ci inducono a chiederci per quale mo-tivo si paga il consorzio di bonifica della piana quando puntualmente in casi di emergenza come questi si constata che la pulizia di fiumi, torrenti, canali e gore non è fatta come si dovrebbe e perché sia nelle strade del centro che in quelle della peri-feria si vedono tombini

«Se il Consorzio di bonifica Ombrone-Bi-senzio si fosse occupato di ben mantenere tutti i fiumi classificati sul suo territorio di competenza – sostiene il consigliere comunale Alessio Barto-lomei (FI-Pdl) -, unico sco-po statutario per il quale il consorzio è nato, molti dei danni e dei disagi di questi giorni si sarebbero potuti evitare».

«Chiedo alla Provin-cia di Pistoia – aggiunge l’esponente del centrode-stra - quanto sia ancora sopportabile l’atteggia-mento di un consorzio che spende meno del 40% dei 6 milioni di euro che annualmente drena dalle tasche dei cittadini per il suo scopo statutario e usa il resto dei soldi per eseguire opere in av-valimento di altri enti, diventando mero ente progettista e appaltatore. Quanto sia ancora possi-bile tollerare un consorzio che confonde la manu-tenzione ordinaria delle opere idrauliche con il solo taglio dell’erba… Quanto sia tollerabile che negli ultimi 10 anni siano aumentati i contributi consortili del 130% e a parità di km di fiumi da mantenere, circa 580, sia più che raddoppiato il personale del consorzio che ormai ha superato le 50 unità».

«Gli allagamenti e i disastri di questi giorni – conclude Bartolomei -, non possono essere ar-chiviati come inevitabili

Le opposizioni

«Molti disagisi potevano evitare»

Critiche nei confronti del ConsorzioOmbrone, che risponde «il cedimento

degli argini non è colpa nostra»

episodi di maltempo, ma devono pungolarci a pas-sare dalle parole ai fatti per cambiare la gestione di un organismo con-sortile che così com’è ha dimostrato di non servire a nulla».

«Il cedimento degli argini – risponde Paolo Bargellini, presidente del Consorzio Ombrone-Bi-senzio - non è colpa no-stra», ma è da attribuire ad una «miscela del ter-reno inadatto a tenere gli argini». «Adesso - conti-nua Bargellini - stiamo ripristinando la miscela adeguata».

Critiche nei confron-ti dell’operato del Con-sorzio Ombrone anche dal consigliere comuna-le Alessandro Capecchi (An-Pdl), che in un’inter-rogazione al presidente del consiglio comunale e al sindaco chiede «se la situazione di disagio regi-strata in località Bottego-ne, con relativa rottura di un argine, avrebbe potuto essere evitata con una mi-gliore e più puntuale ma-nutenzione ordinaria e/o straordinaria degli argi-ni». E la capogruppo della Lega Nord in consiglio provinciale, Alessandra Nesti, in un’interrogazio-ne alla Provincia chiede «quali sono le priorità individuate dalla Provin-cia in merito agli investi-menti infrastrutturali per prevenire o minimizzare gli esiti nefasti delle per-turbazioni atmosferiche nelle aree più sensibili del territorio provinciale».

Ammontano a diversi milioni di euro i danni causati dal mal-tempo in provincia di Pistoia. Per il momento è difficile fare una stima precisa, certo è che quel-la tra Natale e l’ultimo dell’anno è stata una set-timana tremenda. Tanti i cittadini della Piana le cui case sono state alla-gate, molte le aziende agricole e artigiane che hanno subito danni in-genti. Solo nella frazio-ne del Bottegone sono circa 250 le abitazioni alluvionate e a Quarrata sono decine le case finite sott’acqua a causa della rottura del torrente Om-brone avvenuta in terri-torio pistoiese, una tren-tina in via Ricasoli pres-so la frazione di Barba, altre in via Guado De’ Sarti, altre ancora in via Ceccarelli, lungo la stra-da ex Statale 66 ad Olmi, a causa della tracimazio-ne del fosso Quadrelli, infine, in via di Brana a Ferruccia sponda quar-ratina. Proprio in questa strada si sono registrati i danni maggiori, una de-cina le abitazioni colpite dal numero civico 173 al 181 e due case dichiarate inagibili dai Vigili del Fuoco di Pistoia. Paura anche a Badia a Pacciana dove la Brana, ingrossata dalla pioggia battente, ha tracimato senza però causare grossi danni alle abitazioni.

Gravissima, invece, la situazione in collina e in montagna: a Pracchia, in particolare, dove due grosse frane hanno co-stretto all’evacuazione

Alluvioni e frane: si contano i danniLa Provincia ha chiesto lo stato

di calamità naturale

Sul posto sono arri-vati anche i tecnici della Regione Emilia Roma-gna, che ha la compe-tenza autorizzativa sugli interventi, i quali hanno garantito la massima col-laborazione con gli enti pistoiesi e toscani.

Per consentire agli uomini e ai macchinari di operare in sicurezza la strada provinciale 632 è rimasta chiusa al transito in orario diurno per alcuni giorni. Danni ingenti a causa delle frane anche nel Comune di Sambuca. « Abbiamo avuto la frana sulla sta-tale 64, in località Valdi-bura (Pavana) – dice il sindaco Marcello Melani -, che è di competenza

Anas, ma che ci ha visto fortemente impegnati nello smaltimento del traffico leggero. Poi abbiamo avuto frane in diverse strade comunali: Docciola, Torri, Paniga-le, Torraccia di Pavana, Case Santini, Sette Ponti, Poggio di Torri, Caviana, Casette e Campeda. E’ prevista una spesa, per le somme urgenze, (ria-pertura della strada) di 60.000 euro, che per un Comune come il nostro

alcune famiglie, mentre sia il personale addetto che quello dei cantieri comunali, e centinaia di volontari che, di fronte ad una grande emer-genza, hanno saputo dare una risposta forte, importante e tempestiva, hanno dovuto cimentarsi in una vera e propria corsa contro il tempo per mettere in sicurezza il Reno.

«In Case Petrucci – riferisce il comandante provinciale della Fore-stale, Vincenzo Rinnone - abbiamo identificato

un nuovo movimento franoso che si sta scol-lando dalla sommità e minaccia dei fabbricati posti lungo la pendice, con pericolo anche per la sottostante viabilità. Ho allertato immediatamen-te la Prefettura e tramite questa gli enti territoriali competenti, vale a dire il Comune di Pistoia, quello di San Marcello, la Comunità Montana, per mettere in atto tutti gli accorgimenti tecnici per cercare di contenere l’avanzata del nuovo movimento franoso».

Scoppiala protesta

per la scarsa manutenzione

di gore e tombinie per la presenza

di chilometridi argini a rischio

non è poca cosa, ma per il ripristino totale ser-virà almeno 1 milione e 140mila euro».

La giunta provinciale ha già chiesto lo stato di calamità e contestual-mente ha deliberato lo stanziamento, con pre-lievo dal fondo di riser-va, di 300.000 euro per interventi più urgenti sui corsi d’acqua e 100.000 euro sulla viabilità, ma per ripristinare i danni occorreranno svariati milioni di euro e intanto c’è chi parla di disastro annunciato.

e grate non puliti tanto che addirittura ci cresce l’erba».

«Eppure –denuncia ancora il documento dei comitati - la manuten-zione delle strade e il drenaggio delle acque nelle fognature dovrebbe essere garantito dall’ente pubblico attraverso la manutenzione ordinaria, invece ecco che dopo ogni pioggia le strade si alla-gano perché l’acqua non defluisce dai tombini».

1110 Gennaio 2010 n. 1LaVita

Potrebbe essere il 31 marzo di quest’anno, la data in cui il presidente della Repubblica, Gior-gio Napolitano, visiterà Pistoia. Nulla di certo per il momento, ma Pro-vincia e Comune di Pi-stoia hanno ufficialmen-te invitato il presidente per quel giorno, in occa-sione dell’inaugurazione del cippo che ricorda i martiri della Fortezza, ai quali lo stesso Napolita-no ha attribuito la meda-glia d’oro alla memoria. L’invito è stato rinnovato anche nel corso della visita a Roma di una delegazione istituzio-nale, guidata da Renzo Benesperi e composta da rappresentanti dell’As-sociazione internaziona-le produttori del verde «Moreno Vannucci», delle istituzioni locali e delle organizzazioni professionali agricole e dell’artigianato, ricevu-ta dal Capo dello Stato nel cortile d’onore del Quirinale il 21 dicembre scorso, in occasione della cerimonia di donazione dell’albero di Natale.

Provincia e Comune

Atteso a Pistoia il presidente Napolitano

L’importante kermesse storico-cul-turale sulla struttura immobiliare che fu origi-nariamente eretta quale convento monastico nel 1531 ed ospitò succes-sivamente un secondo convento, due chiese e quindi un educandato femminile (appunto il Conservatorio intitolato a Santa Caterina) e poi, fino ai primi anni ’60 del secolo scorso, una scuola di avviamento profes-sionale ed ospita adesso la sede dell’Agenzia per il turismo ‘Abetone-Pis-toia-Montagna Pistoiese’ si è svolta nella sala consiliare del municipio, alla presenza di autorità

tre ad abbellire il cortile d’onore del Quirinale, abbiamo modo di porta-re dei messaggi al Presi-dente sulla volontà e la tenacia degli operatori agricoli del nostro terri-torio».

Il presidente Napoli-tano, anche quest’anno si è intrattenuto qualche minuto a parlare con i componenti della dele-gazione pistoiese ed ha confermato appunto l’in-tenzione di voler visitare Pistoia prima della fine del suo settennato. Della

Ex conservatorio di San Marcello

Archivio storico

L’invito ufficiale degli enti locali è stato rinnovato durante la visita al Quirinale

di una delegazione pistoiese in occasione del dono dell’albero di Natale

di Patrizio Ceccarelli

Presentato l’inventariodi Alessandro Tonarelli

e del Mugello. Per noi è una soddisfazione, perché questa mani-festazione sociale è di grande rilievo simboli-co, infatti, questo dono viene fatto a nome delle popolazioni che vivono nelle nostre montagne e campagne. Il verde oggi, come ci è stato ricordato nel summit di Copena-ghen, è indispensabile per la qualità della vita, e in questa occasione, ol-

Società Pistoiese di Storia Patria

Disponibile il Bullettino 2009

Presso la sede della Società Pistoiese di Storia Patria (Via dei Pappagalli 29, apertura mercoledì e sa-bato ore 16.30-19.30; tel. 0573977317) è da alcuni giorni disponibile al pubblico il nuovo volume del Bullettino Storico Pistoiese, giunto ormai al centoundicesimo anno di pubblicazione. Espressione delle attività di ricerca svolte dalla medesima Società, il Bullettino si configura come la principale rivista di informazione sulla storia locale e sulla vita culturale a Pistoia e in provincia. Anche il volume 2009 si mantiene fedele ad una tradizione da tempo consolidata, proponendo, oltre alla parte monografica, interessanti rubriche incentrate su aspetti specifici del dibattito culturale a Pistoia: notizie di eventi, rassegne di convegni, re-censioni e note delle pubblicazioni più recenti sulla storia locale. Nella sezione dedicata agli articoli sulla storia pistoiese si segnalano i bei saggi di U. Cirri Su le riforme di Scipione de’Ricci e di E. Ulivi Sull’identità della madre di Leonardo da Vinci, oltre a molti altri contributi su ricerche di ambito locale. Una lettura nel complesso godibile e scorrevole, concepita per un pubblico ampio, caldamente consigliata a tutti coloro che si appassionano della storia di Pistoia o che, più semplicemente, desiderano venire a conoscenza delle attività culturali – spesso colpevolmente trascurate dai media – promosse nella nostra città.

Andrea Capecchi

E’ stato approvato all’unanimità dall’ultimo consiglio comunale di Agliana l’introduzione di un nuovo articolo nel regolamento edilizio che prevede l’obbligatorietà, per gli edifici di nuova costruzione, di installare impianti per la produzi-one di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il provvedimento recepisce così le disposizioni del

Per i nuovi edifici ad Agliana

Obbligo di energia pulitacomma 1-bis dell’art. 4 del Dpr 380/01 ed è sta-to illustrato al consiglio comunale dall’assessore all’urbanistica, nonché vicesindaco, Italo Fon-tana.

Il testo del nuovo articolo del regolamento comunale dispone infatti, a partire dallo scorso 1 gennaio 2010, che: “per gli edifici di nuova costruzione,

di cui alla lett. a) del comma 1 dell’art. 78 della LR 1/05, il rilascio del titolo abilitativo ed-ilizio, compatibilmente con la realizzabilità tecnica dell’intervento, è subordinato alla instal-lazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnov-abili in modo da garan-tire una produzione en-ergetica: a) non inferiore

a 1kW per ciascuna unità abitativa prevista; b) non inferiore a 5 kW per i fabbricati industriali, di estensione superficiale non inferiore a 100 metri quadrati”.

Questo obbligo deve essere dimostrato con specifica relazione tec-nica, redatta da tecnico abilitato in materia, da allegare all’istanza.

M. B.

supera indubbiamente quello prettamente locale, offrendo anche occasione di approfon-dimento sul sistema educativo dal ‘700 a oggi. L’importante pub-blicazione raccoglie, in 134 pagine, atti ufficiali arricchiti da suggestive immagini, è stata re-alizzata grazie a studi condotti da appassionati ricercatori locali quali Adriano Lori, Olga Can-tini Pangoli, Andrea Dazzi e la purtroppo recentemente scomparsa Cristina Masini e la sua redazione è stata curata della Cooperativa cul-turale Scripta manent.

istituzionali e rappre-sentanti di vari sodalizi culturali. La pubblica-zione è stata realizzata dal -recentemente ri-conosciuto quale Fon-dazione- Conservatorio femminile di Santa Ca-terina con il contributo di Regione Toscana, Provin-cia di Pistoia, Comune di San Marcello e Fon-dazione Cassa di rispar-

mio di Pistoia e Pescia e rappresenta l’atto finale del riordino dell’archivio storico, perseguito per oltre un ventennio sotto la supervisione della Soprintendenza archi-vistica per la Toscana. La documentazione trattata dall’inventario riveste indubbiamente un’importanza storico-culturale il cui spessore

delegazione pistoiese (in tutto una trentina di per-sone), hanno fatto parte, tra gli altri, il presidente del Consiglio provinciale Silvano Calistri, l’asses-sore al personale del Co-mune di Pistoia Alberto Niccolai, la presidente della Comunità Montana Carla Struffaldi, i sindaci di Pescia, Roberta Mar-chi e Cutigliano, Carluc-cio Ceccarelli,l’assessore di Sambuca Maurizio

Berti, il comandante provinciale della Fore-stale Vincenzo Rinnone, il presidente della Cia Luciano Aroni, il diret-tore del Cespevi Paolo Marzialetti e il direttore della Comunità montana Roberto Fedeli.

«E’ il settimo anno consecutivo – ha detto Benesperi - che la no-stra associazione cura questa iniziativa con le

Comunità montane del-l’Appennino Pistoiese, ma in altre occasioni sono state presenti anche quelle della Garfagnana

La consegna dell’abete al Presidente Napolitano

12 n. 1 10 Gennaio 2010LaVita

NUOTO

Con Alice,un 2010 da favola?

Un 2010 da mille e una notte? Visto come si è concluso il 2009, di-remmo proprio di sì. Nuova superba prestazione di Alice Nesti (nella foto) e della sua squadra, la piccola gran-de Nuotatori Pistoiesi. La 20enne portacolori del nuoto nostrano e i suoi compagni di club hanno ben figurato a Colle Val d’Elsa, nella fase regionale della prestigiosa Coppa Brema. Alice, non nuova a exploit del genere (basti pensare ai numerosi titoli tricolori vinti a livello giovanile e ai brillanti piazzamenti conseguiti agli Italiani assoluti), è stata addirittura fantastica nei 200 misti, chiusi al primo posto con tanto di nuovo record tosca-no in 2’13”33. Con questa performance, è riuscita nell’impresa di migliorare il precedente primato, appartenente a una delle più importanti nuotatrici italiane, la livornese Ilaria Tocchini: classe 1967, specializzata nella farfalla, la Tocchini, nel frattempo ritiratasi, si aggiudicò due medaglie d’argento ai Campionati europei: nella 4x100 mista a Strasburgo nel 1987 e nei 100 farfalla a Vienna nel 1995, oltre ad aver disputato una finale olimpica nei 200 farfalla a Barcellona nel 1992, chiusa all’ottavo posto. Tocchini che conquistò pure oltre 50 titoli italiani e fu più volte primatista nazionale sia nei 100 che nei 200 farfalla. Ma tutta la Nuotatori Pistoiesi ha dato buone notizie: meritano elogi, infatti, anche gli altri componenti della formazione a partire da Lorenzo Compiani, passando per Niccolò Bonacchi, Giulia Gabbrielleschi, Lorenzo Gabrielli, Chiara Magnolfi, Lorenzo Iacometti, Sara Bianchi, per finire a Chiara Chechi e Matteo Bellucci. “Siamo rientrati da Colle Val d’Elsa pienamente soddisfatti _ le parole del tecni-co Massimiliano Lombardi _ perché i ragazzi hanno fornito validissime prove. In sostanza, il lavoro procede bene e ci sono i presupposti per far bene anche l’anno prossimo”. Intanto, da questo mese di gennaio, cambieranno le regole sui costumi: in pratica sarà come ripartire da zero. Un’altra sfida che la Nuota-tori di patron Giancarlo Lotti è pronta ad affrontare.

Gianluca Barni

di Enzo Cabella

contropiede

E’ stata una bella domenica, la prima di gennaio, per Carmatic e Pi-stoiese. Hanno vinto tutt’e due, dimo-strando di avere forza, qualità tecniche e tattiche, spirito di gruppo, mentalità vincente. La Carmatic ha battuto il Rimini, agganciandolo in classifica al quarto posto: una posizione ideale per conquistare l’accesso alle finali di cop-pa Italia. Manca una sola partita alla fine del girone d’andata e se la squadra di Moretti riuscirà a vincere a Udine l’accesso sarà matematico. Una grande opportunità, quindi, per la squadra biancorossa, che proprio contro Rimi-ni ha dato una chiara dimostrazione delle sue potenzialità, conquistando il quinto successo consecutivo (!). E’ stata una partita che ha fornito mo-menti di gioco spettacolare, al quale hanno partecipato — e non poteva essere altrimenti — due grandi stelle del basket di qualche anno fa: Gregor Fucka e Carlton Myers. Campioni che hanno fatto grande la Fortitudo Bologna, in A1, i quali il primo nella Carmatic e il secondo nel Rimini, stan-no ancora facendo la differenza in A2. Qualcuno si chiede come sia possibile. La spiegazione può avere una doppia valenza: uno, sono pochi i campioni di nazionalità italiana; due, la massiccia presenza degli stranieri, che soffocano e intralciano la crescita e la comparsa dei giovani di casa nostra. Comunque sia, bisogna ribadire che la crescita del-la Carmatic sta procedendo oltre ogni

previsione. Se la squadra di Moretti dovesse sbancare Udine, allora non ci sarebbero più dubbi: avrebbe i mezzi per puntare alla promozione in A1.

Anche la Pistoiese, vincendo sul difficile campo del Montemurlo, ha confermato di essersi scrollata di dos-so tutte le scorie che aveva accumula-to nelle prime 12 partite di campiona-to. Ha vinto e convinto contro un av-versario scorbutico e su un campo di dimensioni ristrette dove la squadra di Di Stefano, dotata di qualità tecni-che superiori a tutte le altre squadre del campionato (Pianese compresa), fatica a sviluppare convenientemen-te il suo gioco. Ma, come abbiamo già avuto modo di dire nel recente passato, la squadra ha acquisito la mentalità della categoria oltre ad una mentalità vincente, grazie alla quale riesce a superare momenti difficili. Una chiara prova di quanto diciamo si è avuta proprio a Montemurlo, dove, dopo aver subìto il pareggio a una ventina di minuti dalla fine, ha saputo reagire con orgoglio e forza d’animo, segnando in extremis la rete della vittoria, che permette alla squadra di ridurre il distacco dalla capolista Pia-nese a 7 punti. Un distacco senz’altro rilevante ma non più apparentemente incolmabile come sembrava un mese fa. Ora la squadra deve continuare su questo metro, non avere flessioni né fisiche né psicologiche se vuol conqui-stare la vetta.

economia e lavoro

s p o r t p i s t o i e s e

Nonostante la bufera che ha sconvolto l’economia mon-diale siamo riusciti ad arrivare al nuovo anno. Con le ossa più o meno rotte, con aziende forse un po’ più traballanti di prima, passando attraverso paure, sacrifici, tagli doloro-si… ma ce l’abbiamo fatta. E se i prossimi sei mesi saranno ancora bui, dobbiamo avere fiducia che con l’estate tor-neremo a risalire la china. La perseverenza ci ripagherà.

Ci sono ancora molte sfide che ci attendono, ma il solo fatto di essere riusciti ad arri-vare fin qui è la dimostrazione concreta del valore di avere come compagni di viaggio determinazion, impegno e uno sguardo sempre rivolto al futuro.

Ogni piccola impresa è una pietra preziosa per ricreare lavoro, un solido mattone per ricostruire il futuro della no-stra economia.

Per questo voglio dire gra-zie a tutti gli imprenditori che

LETTERA APERTA DEL PRESIDENTE DI CONFARTIGIANATO PISTOIA

“Grazie agli imprenditori.La perseveranza ci ripagherà”

sono riusciti a tirare avanti, che hanno cercato di resistere, che non hanno voluto mollare. Grazie a chi ha continuato a credere nella propria azienda, a chi non ha ceduto alla paura. Grazie a chi ha capito il valore di resistere insieme, stando uniti all’interno dell’Associa-zione, a chi ha sentito Con-fartigianato come la propria casa e magari ha addirittura ritagliato parte del suo tempo per dedicarlo alle battaglie sin-dacali e a sedersi a quei tavoli di discussione dai quali siamo riusciti a riportare anche risul-tati importanti.

E’ infatti in virtù degli sforzi fatti dall’Associazione - e quindi dagli imprenditori che l’hanno sostenuta - che abbiamo ottenuto l’accordo con i sindacati per la cassa integrazione anche per i tito-lari d’impresa e sottoscritto protocolli con le banche per congelare i mutui, che siamo arrivati all’Iva per cassa e che abbiamo finalmente vinto la

battaglia per la tutela del vero made in Italy.

Al di là di quanto fatto fno-ra, Confartigianato continuerà ad essere al fianco delle im-prese per aiutarle a resistere ancora, a risalire la china, per far sì che l’esperienza e la com-petenza di ogni imprenditore non vadano in alcun modo disperse.

Se la nostra azienda è il nostro cantiere, l’Associazione è il nostro laboratorio, la no-stra officina delle idee. E non dimentichiamo che è un luogo aperto ad accogliere istanze e progetti: ora più di prima usia-mo l’Associazione per con-frontarci e affrontare le sfide che ci si parano davanti.

Ora più che mai guardiamo avanti, senza perdere la fidu-cia, ma, anzi, sentendoci prota-gonisti del nostro futuro.

In un aforisma di Peter Schultz si legge: «Tre persone erano al lavoro in un cantiere edile. Avevano il medesimo compito, ma quando fu loro

chiesto quale fosse il loro lavo-ro, le risposte furono diverse. “Spacco pietre” rispose il pri-mo. “Mi guadagno da vivere” rispose il secondo. “Partecipo alla costruzione di una catte-drale” disse il terzo».

Credo che tutti noi dob-biamo e possiamo sentirci partecipi della costruzione di qualcosa di grande come una cattedrale.

Massimo Donnini

Massimo Donnini

1310 Gennaio 2010 n. 1LaVita dall’ItaliaPolitica e società

Oltre i buoni

propositiSarà il 2010 l’anno

della ripresa non solo economica?

“Sembra che la lievitazione progressiva della litigiosìtà politica fino al metodo dell’insulto sistematico e dell’odio personale e violento, abbia raggiunto finalmente una qualche svolta di civiltà” ha detto il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, al Te Deum di fine anno. Il cardinale ha rilanciato i “ripetuti appelli per quel confronto rispettoso e non ideologico che deve caratterizzare la vita politica di ogni società veramente democra-tica”. Come già in altre occasioni è stato molto esplicito nell’interpretare il senso di smarrimento collettivo che serpeggia, anche per gli effetti della crisi economica: “La fiducia ne risente e la coesione sociale ne resta intaccata., quella coesione che se è sempre doverosa, tanto più è necessaria nei momenti di difficoltà”. D’altro canto il card. Bagnasco non ha mancato di sottolineare come “la gente non s’arrende: vuole uscire da questa contingenza non come prima, ma meglio di ieri, più saggia e più determinata nel perseguire le cose e i valori che contano”. Questo è forse il punto ed il pungolo, anche per le forze politiche. Non molto dissimile la posizione espressa dal presidente della Repubblica in un messaggio di fine anno apprezzato in modo pressoché unanime, in cui esortava tutti a prendere sul serio le possibilità che si aprono con il nuovo anno, sul terreno istituzionale, come su quello economico-sociale.

Mancano pochi giorni alla de-finizione delle candidature per le elezioni regionali, ormai imminenti. Le difficoltà che gli schieramenti de-notano nelle proposte sono un segno eloquente. D’altra parte le cronache degli ultimi mesi hanno dimostrato che il gioco al rialzo delle polemiche e del conflitto non porta da nessuna parte. Per chi non punta a modeste e marginali rendite elettorali le pole-miche non servono. Occorre invece guardare un po’ più avanti degli interessi a corto raggio.

D’altro canto non servono depre-cazioni e predicazioni: occorre mostra-re concretamente che portano più voti programmi, progetti e realizzazioni concrete che non la declamazione retorica o la sterile contrapposizione amico-nemico. Per fare la giustizia, ammonisce costantemente il Papa, oc-corrono i giusti. Così per un dibattito politico di qualità occorre aumentare la qualità complessiva di tutti gli attori e il tono.

Abbiamo letto in questi giorni che i buoni propositi per il nuovo anno non servono: questo può essere, più che un buon proposito, un impegno collettivo, in particolare da parte dell’opinione pubblica: battersi per la qualità, esigere, da tutti, e prima di tut-to dalla politica, una qualità adeguata. Sanzionando tutti coloro che tentano o tendono a speculare al ribasso.

Francesco Bonini

L’APPELLO DEL PRESIDENTE

Un nuovo slancioLe scelte per uscire insieme dalla crisi

di Francesco Bonini

Punta in alto il ministro Renato Brunetta. Dopo le sue mosse per stanare i fannulloni, rendere trasparenti gli stipen-di dei pubblici funzionari e imporre per legge la gentilez-za a tutti i dipendenti della pubblica amministrazione, adesso vorrebbe nientemeno cambiare l’articolo 1 della Costituzione: «L’Italia è una Repubblica democratica fon-data sul lavoro». A suo dire questa affermazione «non significa nulla». In effetti da tempo e da più parti l’articolo 1, nell’enunciato iniziale, è stato giudicato retorico, se non banale, quindi inutile. Non ha tutti i torti. Che bisogno c’è di rimarcare «sul lavoro»? C’è forse qualche Stato, a meno che non sia il paese di Ben-godi, fondato sulla rendita, o sull’ozio? D’altra parte, anche cambian-do la parola “lavoro” con la parola “libertà”, come sug-gerito da alcuni, il risultato non cambierebbe granché sul piano dell’ovvietà dell’affer-mazione. Stabilito che l’Italia è una Repubblica democratica, perché aggiungere «fondata sulla libertà? Ci sono forse repubbliche democratiche fondate sulla schiavitù, sulla

negazione della libertà? Se le parole hanno un senso, la ri-sposta è no, salvo a intendere “democratica” tra virgolette, come al tempo delle repubbli-che “democratiche” del blocco comunista. Non è certo il caso dell’Italia, dove l’aggettivo democratico applicato al so-stantivo Repubblica dovrebbe intendersi (salvo pareri in con-trario) nel suo significato pie-no e reale, dunque esaustivo. Per dire che – forse – baste-rebbe l’enunciato: «L’Italia è una repubblica democratica», senza ulteriori aggiunte. Se proprio aggiunte si volesse-ro apportare, Brunetta dovreb-be pensare ad altro. Noi stessi auspicavamo qui un mese fa che il ministro si desse da fare per modificare l’articolo 1 in questo senso: «L’Italia è una Repubblica democratica fon-data sul lavoro, la trasparenza

COLPO D’OCCHIO

La Repubblicadel gioco?

A proposito di modifiche dell’art. 1 della Costituzione

di Piero Isola

e la gentilezza». Con il che sa-rebbero sancite costituzional-mente alcune tra le aspirazioni (ché tali sono, per ora) brunet-tiane di riformare la pubblica amministrazione. Un’altra aggiunta si potrebbe fare, e questa basata su un dato di fatto e di costume in-tervenuto nel frattempo, dal 1948, quando fu approvata la Carta costituzionale, ad oggi: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e sul gioco», intendendo per “gioco” lotto, lotterie, scom-messe e ammennicoli vari, dal Superenalotto al Gratta e vinci,

per i quali gli italiani secondo stime per difetto (non tenendo conto del gioco clandestino) hanno speso nel 2009 la bella somma di circa 53,4 miliardi di euro. Cifra che più eloquente non si può (solo la spesa per il Superenalotto è aumentata del 33 per cento). È evidente che ormai in Italia, oltre che sul lavoro, si punta sul gioco per tentare di migliorare la propria situazione. Dunque anche il gioco, oltre che il lavoro, sia inserito tra i “valori” fondanti della Repubblica. Pure noi abbiamo giocato, ov-viamente.

È un messaggio di sereni-tà, la tradizionale allocuzione di fine anno del presidente della Repubblica, ma di una serenità seria, fattiva ed ope-rosa. Non c’è nessuna retorica dei buoni sentimenti, quanto la consapevolezza delle critici-tà, delle risorse, e dei traguar-di del Paese. Ne consegue un appello serio e convinto per consolidare l’uscita dalla crisi, per fare fronte ai costi della crisi, per potere competere in uno scenario non facile. “Il nuovo slancio di cui ha biso-gno l’Italia, per andare oltre la crisi, verso un futuro più sicu-ro, richiede riforme, richiede convinzione e partecipazione diffuse in tutte le sfere sociali, richiede recupero di valori condivisi”. Tre in particola-re sono stati i temi al centro dell’attenzione del capo dello Stato: “Solidarietà umana, coe-sione sociale, unità nazionale”. Così come è stata centrale l’insistenza sui giovani, un patrimonio da valorizzare. Su questa ispirazione di fondo, che traguarda il modello di sviluppo sociale complessivo, non è mancata l’affermazione di una positiva sintonia con il Papa e con le istanze e l’impe-gno della Chiesa e del mondo cattolico.

L’ampio messaggio del presidente Giorgio Napolitano tocca tutti i temi sensibili del-l’agenda politica, economica e sociale, con uno sguardo che va anche oltre l’Italia, alla solidarietà occidentale e agli scenari della globalizzazione. Lo fa con uno spirito costrut-tivo che, più che la semplice

mediatico. Ma è anche vero che corre costantemente il rischio di ingolfarsi, come un vecchio motore sottoposto a impulsi contraddittori.

È una delle caratteristiche nazionali, che traspare anche dal messaggio presidenziale e che tutti noi conosciamo bene. Ne deriva una certa dissocia-zione tra dire e fare, che spes-so ci penalizza collettivamen-te. Superare questa sindrome profonda, come l’Italia e gli italiani hanno saputo fare in momenti topici di una storia collettiva, che tra poco taglierà il traguardo dei 150 anni, è possibile anche oggi. Richiede qualcosa di più a tutti, prima di tutto alla politica. Non a caso oggi è ancora una volta all’ordine del giorno il tema istituzionale. Nulla di più lon-tano, a stare ai sondaggi, dalle preoccupazioni degli italiani. Eppure la reciproca legittima-zione tra le forze politiche e, dunque, le condizioni per una rinnovata operosità delle isti-tuzioni, sono una condizione cruciale per nuovi, condivisi, traguardi di sviluppo. Uno sviluppo che, come sappiamo, per essere vero deve potere toccare e coinvolgere tutti. Deve svilupparsi anche in senso verticale, guardare alla solidarietà inter-generazionale che opportunamente Benedet-to XVI ha messo al centro del suo messaggio per la Giornata mondiale della pace 2010.

constatazione dell’esistente o la ricerca di un minimo di consenso complessivo, richia-ma un percorso da sviluppare, uno stile da seguire, delle deci-

sioni da prendere. Ha ragione il presidente della Repubblica: il Paese reale è molto meno diviso di quanto lo rappresenti un certo dibattito politico e

14 n. 1 10 Gennaio 2010LaVitadall’Italia

La deflagrazione di una bomba ad alto potenziale ha svegliato domenica 3 gen-naio la città di Reggio Cala-bria. Un ordigno è esploso poco prima dell’alba davanti all’ingresso dell’edificio che ospita la Procura generale e a poche centinaia di metri dal Palazzo di Giustizia.

Combattere il sistema della violenza. La Calabria è “continuamente colpi-ta da atti di violenza e di criminalità”, dice al Sir il presidente della Conferenza Episcopale Calabra, mons. Vittorio Mondello: questa volta “ancora di più – ag-giunge - perché si è alzato il tiro colpendo una istituzione importante come quella del-la Procura della Repubblica di Reggio Calabria. E questo preoccupa e non poco”.

Mons. Mondello parla di episodio “grave perché fino-ra non si erano mai registrati atti contro i magistrati”: “è la prima volta che succede una cosa di questo genere e questo è preoccupante. Invece di fermarsi si alza il tiro e si colpisce lo Stato”. Per mons. Mondello, che è anche arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, “siamo di fronte a gente violenta, senza scrupoli e senza coscienza. Noi continueremo a lavorare combattendo questi sistemi, predicando un messaggio di speranza e di coesione”.

La gente vuole reagire alle ‘ndrine. “L’unica cer-tezza, che al momento si ha, è che la ‘ndrangheta ha voluto fare avvertire la sua presenza”, spiega al Sir il direttore del settimanale cattolico “L’Avvenire di Ca-labria, mons. Filippo Curato-la: “gli arresti effettuati negli

E’ tempo di riscossaLa città reagisce

alla graveintimidazione

mafiosadi Raffaele Iaria ultimi periodi e specialmente

il sequestro di un enorme numero di beni – aggiunge - hanno di sicuro inferto un duro colpo alla malavita organizzata. Che non ci sta a scomparire e ha voluto invia-re un chiaro messaggio”.

“Ovviamente alla ma-gistratura, al cui impegno, congiunto a quello delle forze dell’ordine, si deve questa straordinaria stagione di speranza contro il male secolare delle mafie nelle terre del sud ha detto ancora mons. Curatola - Cosa possa accadere adesso, nessuno può dirlo. Ogni previsione parrebbe al momento az-zardata, tranne una e cioè che la gente non ci sta più a subire un clima di violenza e reagisce in maniera sempre più forte contro la presenza delle ‘ndrine”.

“Questa città – afferma Vincenzo Schirripa, respon-

sabile della Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Reggio Calabria-Bova - ha le risorse per reagire: sarebbe il momento di tirarle fuori”. Per Schirripa occorre “lavorare nel quotidiano. Ognuno di noi – dice al Sir - è immerso in un tessuto di relazioni dove poter trasmet-tere messaggi di speranza e poter isolare la parte malata del tessuto sociale”.

Costruire un tessuto di relazioni sane. “Parliamo – conclude Schirripa - di sfida educativa: incarnare questa sfida educativa dalle nostre parti significa misurarsi an-che con questi fenomeni”. Da qui l’impegno a lavorare per costruire “un tessuto di relazioni sane, una econo-mia sana ed isolare questi fenomeni che si manifestano anche in modo eclatante”.

Basta silenzio. Reggio Calabria è stata “colpita

In Italia ci sono 1 milione e 776 mila iscritti all’università, la quale ogni anno immette sul mercato del lavoro quasi 300mila laureati di primo o secondo livello.

Secondo il rapporto 2008 del Ministero dell’Istruzione, il tasso di disoccupazione dei lau-reati italiani (5,2%) è superiore a quello dei loro pari europei (3,9%); risulta inoltre che l’Italia è l’unico paese dell’Unione nel quale la percentuale di disoccu-pazione è più elevata nei laureati che nei diplomati.

Questa tendenza, secondo il rapporto, s’inverte solo a partire dai 35 anni d’età in su. La relazione, tuttavia, non indaga se i laureati svolgano un lavoro in sintonia con il loro titolo di studi ed è quindi impossibile stabilire se un archeologo stia catalogando resti paleoitaliani in Val Camonica o se, invece, stia aprendo bottiglie di merlot nell’ennesimo winebar.

Dai dati elaborati dal Mini-stero viene più volte sottolineato come il maggior beneficio della laurea, l’occupazione, si sviluppi solo con il passare degli anni, dopo aver compiuto i 35 anni di età.

La statistica elaborata po-trebbe essere letta però da una diversa prospettiva: visto che nei dati non c’è correlazione tra titolo di studio e profilo pro-fessionale e che l’età media di un laureato, comprensiva delle lauree brevi che sono quelle meno professionalizzanti e più spendibili sul mercato, è di 25 anni, restano almeno altri 10 anni d’attesa per usufruire del tanto atteso beneficio.

Un arco temporale che le statistiche non spiegano. Po-

trebbero venire in soccorso altri strumenti come l’inchiesta giornalistica “Giovani e belli” del giornalista Concetto Vecchio o il film di Paolo Virzi “Tutta la vita davanti”. In entrambi i casi si dà conto di cosa accada ai neolaureati italiani.

Il canovaccio è presto ser-vito: dopo la laurea, i dottori di ultima generazione si affannano, proprio fino ai 35 anni, a cercare un lavoro adatto a loro, ossia nel ramo della loro specializ-zazione.

Molti, dopo aver collezio-nato stage gratuiti e pile di contratti di lavoro a tempo determinato, gettano la spugna e si accontentano del primo lavoro dignitoso che venga loro proposto.

Altri, i più fortunati e spesso i migliori, trovano il lavoro dei loro sogni, scoprendo però più tardi di esser pagati meno di una cassiera da grande magazzino.

Si dirà, è finzione, questa non è la realtà degli studenti italiani. Secondo Domenico de Masi, docente di sociologia del lavoro, ex rettore dell’Università La Sapienza, nonché affermato divulgatore e conferenziere, la realtà è invece quella che tutti vorrebbero disconoscere.

Incontrato durante la pre-sentazione del neonato Festival della Formazione di Mirano da lui ideato, che da quest’anno -grazie a conferenzieri del cali-

STUDIO E LAVORO

“La laurea serve per capirela realtà, non per lavorare”

L’ex rettore dell’università La Sapienza di Roma, analizza la situazione dei giovani di oggi. Ogni anno conseguono la laurea breve 300mila giovani, ma molti di loro

attendono anni per trovare un lavoro stabile, adatto a ciò che hanno studiato e

remunerato in modo dignitoso.Il sociologo Domenico De Masi dice:

“Sono consumatori che non producono, sottoproletariato altamente scolarizzato”

di Marco Dori

dati degli ultimi anni, le offerte di lavoro che prevedono la laurea sono del 6%?

Questo ragionamento, vali-do oggi, se lo ponevano anche ai primi del Novecento. Allora si laureavano 6mila persone l’anno e 3mila di loro erano costrette ad emigrare per trovare lavoro. Noi non abbiamo esportato solo braccianti, è bene ricordarlo. Fat-te le dovute proporzioni, se oggi si laureano 300mila persone....

Ma allora non è bene dirlo ai ragazzi che si iscrivono all’università?

Come aveva pronosticato Keynes negli anni ‘30 nel suo intervento “Prospettive econo-miche per i nostri nipoti”, ossia gli attuali neo dottori, man mano che l’evoluzione econo-mica sarebbe andata espanden-dosi, non allo stesso modo si sarebbero aperte le prospettive economiche legate ai ruoli più ambiti. Quando in cima c’è qualcuno, di solito ci resta. In questi anni si è solo creato un nuovo strato sociale, quello del sottoproletariato altamente scolarizzato.

Intende le nuove genera-zioni di laureati con lavoro precario?

Esattamente. Io li chiamo consumatori che non produ-cono. Non hanno la possibilità

bro di Oliviero Toscani, Philippe Daverio, Antonio Scurati, Pier Luigi Celli- punta a diventare il più importante meeting italiano sui temi del sapere applicato al mondo del lavoro, De Masi trac-

cia una prospettiva realistica e affatto consolatoria per le nuove legioni di laureati.

Professor De Masi, ha senso la rincorsa alla laurea quando,

di mantenersi né di produrre nel senso comune del termine. Come paragone, li potremmo associare alle donne di inizio secolo: lavoravano a casa, non erano indipendenti economica-mente, eppure consumavano. I trentenni di oggi, come Keynes profetizzò, pur lavorando poco, sono costretti a consumare sen-za però produrre.

Quindi a cosa serve la laurea?

Diciamo che serve, prima di tutto, a leggere un giornale o a capire una trasmissione di Bruno Vespa. Mi spiego: in una società in costante evoluzione, in rapidissima mutazione, esse-re informati e formati dovrebbe aiutare ad adeguarsi a questi ritmi. Pensi alla formazione: oggi in media si spendono 25 anni per prepararsi al mondo del lavoro e non basta. Ogni anno è necessario aggiornarsi; oppure adattarsi a nuove situa-zioni lavorative. Io auspico una società in cui tutti sono laureati: è l’unica soluzione.

Ma è produttiva una socie-tà di sottoproletari laureati?

La stessa domanda se la po-sero nel 1887 quando il Ministro dell’Istruzione Bacelli introdus-se la quinta elementare obbliga-toria. In Parlamento si discusse a lungo a cosa sarebbero serviti cosi tanti alfabetizzati

Però, assodato che la laurea vale quello che vale, come mai continuano a nascere universi-tà su università?

Ma è chiaro (De Masi sor-ride): per dare lavoro ai pro-fessori...

BOMBA A REGGIO CALABRIA

ancora e questa volta nelle istituzioni più impegnate e rappresentative”, afferma Mimmo Nasone, referente di Libera di Reggio Cala-bria, secondo il quale “a fronte dell’ottimo lavoro dei magistrati, nonostante le difficoltà, probabilmente c’è forse un silenzio della gente. E questo ci preoccupa”. Per questo il coordinamento reg-gino di Libera ha promosso un “sit-in silenzioso” che si è svolto lunedì 4 gennaio davanti al luogo dove è scoppiata la bomba invi-tando “le forze sane” della città a essere presenti per esprimere un segno di sen-tita vicinanza all’istituzione intimidita, e per ribadire la nostra ferma volontà di isolare la criminalità mafiosa ed ogni forma di violenza”. Un silenzio, questo, che reagisce rispetto a un altro che subisce.

L’associazione Libera, nel “rinnovare il suo im-pegno contro ogni mafia e cultura mafiosa” – si legge in una nota a firma di Nasone - esprime “la propria solida-rietà alla Procura Generale della Repubblica di Reggio Calabria che, nel quotidia-no servizio per la ricerca della giustizia nella verità, è certamente un sicuro punto di riferimento per i tanti cittadini onesti di questa città che deve tenacemente e coraggiosamente reagire alla sempre più asfissiante pre-senza della ‘ndrangheta”.

La sera stessa dello scop-pio della bomba un’altra manifestazione spontanea di cittadini che si sono ri-trovati davanti al Tribunale e in silenzio si sono passati, di mano in mano, un cartello con la scritta “Basta silenzio. Riscossa. Solidarietà alla magistratura”.

Molti i messaggi di soli-darietà arrivati alla Procura della Repubblica reggina: tra queste quella del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e delle prin-cipali cariche istituzionali italiane.

1510 Gennaio 2010 n. 1LaVita dall’estero

Yemen a rischio implosionepovertà e terrorismo le sfide

Dopo sei mesi dalle contrastate elezioni del 12 giugno scorso la con-testazione contro il po-tere è ancora viva e forte in Iran. Anzi la protesta occasionale di allora è diventata ormai un’op-posizione permanente. Ha alzato il tiro mirando dall’eletto e discusso Ahmadinejad alla guida suprema del Paese Ali Khamenei.

Ed ha allargato i suoi bersagli passando dalla protesta per i brogli elet-torali alla denuncia della violazione dei diritti umani nel Paese. Negli ultimi sei mesi, nono-stante i quattromila arre-sti, le decine di migliaia di morti nelle manifesta-zioni, i cinque condan-nati a morte, il regime non è riuscito ad arginare la protesta e gli almeno quindici morti nelle ma-nifestazioni di domenica scorsa rappresentano il bilancio di sangue gior-naliero più pesante degli ultimi mesi. Ormai il mo-vimento di protesta è in grado di appropriarsi di fatto delle feste del regi-me scendendo in piazza, ad esempio, il 18 settem-bre scorso in occasione della giornata di solida-rietà per la Palestina e il 4 novembre per l’anni-versario dell’occupazione dell’ambasciata ameri-cana di trent’anni fa. Ed è capace di trasformare

ogni funerale importante in una manifestazione contro il potere come si è visto in occasione delle esequie del grande ayatollah Montazeri.

L’opposizione è or-mai una nebulosa che attraversa tutti i ceti e i protagonisti del Paese, dai politici sconfitti, ai dignitari religiosi caduti in disgrazia, ai tecnocrati, ai commercianti del bazar per finire con gli studenti che sono la punta di dia-mante del movimento e che significano molto in un Paese composto pre-valentemente da giovani con una popolazione stu-dentesca di tre milioni di ragazzi.

Di fronte a questo movimento capace di portare in piazza fino a cinquecentomila persone, il regime sembra ormai che stia esaurendo le sue armi di repressione. L’arresto degli oppositori sale dalla manovalanza generica e colpisce gli stessi collaboratori di Hossein Mousavi e di Mehdi Karrubi che, come grandi sconfitti delle ele-zioni, sono ancora i punti di riferimento anche se non sono più i capi di un

movimento che di fatto li ha superati. Il divieto di ingresso ai giornalisti stranieri, la rigida censu-ra sui giornali locali non possono impedire che l’informazione e la comu-nicazione passi attraverso quella rete di cellulari, di Internet, di Twitter che, nonostante tutti i tentativi di disturbo, rappresenta ormai la grande minaccia per tutti i regimi auto-ritari. La repressione si trova davanti sempre di più la via senza sbocchi di situazioni di questo ge-nere. Non ci sono carceri sufficienti per eliminare una ribellione di massa e ogni allargamento della repressione rischia la guerra civile.

D’altra parte, un mo-vimento di opposizione fatto senza capi ha punti di forza e punti di debo-lezza. La sua mancanza di leader gli permette di sottrarsi meglio alla repressione come un grande fenomeno di “so-cietà civile invisibile”. Ma questa struttura di massa senza volto rimane molto vaga negli obiettivi e nei programmi. Alla fine di novembre gli osservatori sono stati colpiti dal fatto

che, mentre Ahmadinejad sembrava più malleabile sul problema scottante del nucleare, proprio i riformatori lo hanno accusato di cedimento. Siamo evidentemente in una fase di lotta interna così acuta che anche ogni drammatico problema internazionale viene strumentalizzato a questo fine.

Per il momento l’uni-co obiettivo unificante della protesta è la difesa dei diritti umani. Non è un fine da poco. Prima di tutto perché sinora è perseguito con la pratica della non violenza in un mondo islamico in cui spesso l’opposizione in-terna si fa sentire con il terrorismo. E soprattutto perché il tema dei diritti umani è rivendicato per la prima volta con questa forza e con questo seguito in quel mondo islamico che molti continuano a descrivere come costitu-zionalmente impermea-bile alla democrazia. E forse a questa speranza dell’opposizione iraniana è oggi legata anche la speranza di tutti in un mondo più pacifico.

Romanello Cantini

IRAN

Una protesta senza leaderÈ una “società civile invisibile” a battersi contro la repressione

Unico Stato a forma repubblicana nella pe-nisola arabica, lo Yemen rischia di implodere a causa a causa delle ten-sioni interne e interna-zionali. Tra le prime, c’è quella nella regione di Saada, nel nord est del Paese, non lontano dalla frontiera con l’Arabia Saudita, che è teatro di un violento conflitto dal giugno 2004.

Malgrado l’annuncio di un cessate il fuoco nel luglio 2008, i combatti-menti sono ripresi nel-l’autunno di quest’anno. “L’avvitarsi del conflitto, la sua brutalità, le decine di migliaia di vittime e di sfollati, e il rischio di reazioni a catena, in una zona che è anche territo-rio delle principali tribù del Paese, sono ancora pressocché ignorati”, osserva Pierrre Bernin, ricercatore alla Sorbo-na. Il governo accusa la ribellione di volere il ritorno dell’imamato zaidita, che ha regnato nel Paese fino al 1962, anno della rivoluzione repubblicana, rivolu-zione che fu preludio di una lunga guerra civile con, da una parte l’Ara-

Le autorità di Sanàa affermano inoltre che la guerriglia è sostenuta dall’Iran e partecipa, allo stesso titolo degli Hezbollah libanesi, allo sviluppo di un “arco sciita” attraverso il Me-

bia Saudita alleata con i lealisti, e dall’altra l’Egit-

to di Nasser al fianco dei repubblicani.

dio oriente: ciò anche per assicurarsi il sostegno del regime saudita, che teme la crescente capa-cità di influenza del suo rivale iraniano. Accuse che vengono respinte dai leader dei ribelli, che proclamano la loro real-tà verso la repubblica e assicurano di voler sem-plicemente preservare l’identità religiosa.

La regione di Saada, d’altro canto, essendo stata uno degli ultimi bastioni dei lealisti, è rimasta a lungo lontana dalle politiche di svilup-po promosse dai governi repubblicani. Secondo le autorità di Sanàa è in atto uno scontro ideo-logici tra la repubblica, e un gruppo religioso estremista, mentre per i ribelli si tratta della resi-stenza alla repressione di una minoranza religiosa.

“Il persistere delle ostilità, che continuano dal 2004 nonostante il cessate il fuoco e le me-diazioni, in particolare quella del Qatar del 2007 – spiega ancora Bernin – è in parte dovuto al-l’emergere di interessi economici che si sovrap-pongono alle rivalità in-terne al potere: il control-lo del commercio illegale verso l’Arabia Saudita e delle sponde del mar Rosso, che facilitano il traffico di carburante diesel e di armi verso il Corno d’Africa, costitui-scono una posta in gioco di prim’ordine”.

L’avvitamento della situazione è anche legato al ruolo crescente giocato dalle componenti tribali: il conflitto è entrato in una spirale di violenza che favorisce meccanismi di vendetta e vendette trasversali basate essen-zialmente sulla solidarie-tà tribale. La democrati-cità del sistema politico stesso è spesso messa in discussione dalla rete di legami tribali che per-sistono nelle strutture istituzionali e che man-tengono il loro potere a livello locale, causando dispersione dell’autorità statale. Destabilizzante, particolarmente brutale, la guerra di Saada ha per effetto di indebolire ancora di più il potere centrale nelle regioni del Nord: l’economia di guerra, così come l’in-stabilità cronica e la re-pressione contribuiscono a favorire lo sviluppo di

gruppi violenti, alcuni dei quali vicini ad Al Qaeda.

All’estero, intanto, i sauditi mantengono un atteggiamento duplice: mentre la monarchia degli Al Saud considera ufficialmente la guerra yemenita un affare inter-no, certe frange saudite finanziano lo sforzo di guerra yemenita e al tempo stesso le milizie tribali, alimentando in questo modo i combat-timenti. Stati uniti ed Unione Europea, invece, hanno eccessivamente focalizzato l’intervento sulla lotta al terrorismo e non si sono impegnati molto nella ricerca di una soluzione pacifica, dando così indirettamen-te carta bianca al gover-no di Sanàa.

Di più, l’unificazione del nord e del sud nel 1990 suscita da un paio d’anni una forte conte-stazione nei governato-rati dell’ex Yemen del Sud, le cui popolazioni si ritengono vittime di discriminazione, e la contestazione prende sempre più apertamente accenti secessionisti man mano che la repressione aumenta.

D’altro canto, i dati economici e sociali non aiutano: da essi si evince che la ricchezza ottenuta dall’industria estrattiva, principale risorsa del Paese, non viene ridistri-buita e almeno il 44 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia della povertà. Particolarmente grave, poi appare il bilancio so-ciale, con il minor tasso di alfabetizzazione della regione e il più alto indi-ce percentuale di crescita demografica.

Le principali sfide a breve termine, quindi – secondo gli studiosi – riguardano la necessità di una rafforzamento del potere centrale, al fine di garantire la presenza dello Stato, eliminare i vuoti di potere in alcune regioni ed estirpare le ra-dici dei movimenti fon-damentalisti che cercano di installarsi nel Paese. Ma lo stato deve anche curarsi maggiormente della propria economia, diversificandola, perché gli aiuti internazionali, che hanno dato respiro al paese, non possono che essere una soluzione provvisoria.

Il Paese torna al centro del dibattito internazionale e nel mirino delle forze Usa

di Angela Carusone

16 musica e spettacolo n. 1 10 Gennaio 2010LaVita

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Le atmosfere sono quelle de “Il bacio della pantera” e “Le catene della colpa”.

Insomma Jacques Tourneur: cinema clas-sico degli anni ’40. Una fotografia che richiama quelle atmosfere sospe-se, firmata da Robert Ri-chardson (“Bastardi senza gloria”). Martin Scorsese (Oscar migliore regia per “The Departed”, 2006) assembla attori fidati, il soggetto giusto, l’ispi-razione autentica. Lo fa solo ogni 3-4 film.

Si tratta di “Shutter Island”, opera molto co-stosa, prevista nell’uscita per i primi di ottobre scorso ma la Paramount ne ha rinviato il lancio al prossimo febbraio, esclu-dendolo dalla corsa agli Oscar. Per proteggerlo, si dice. Ma Scorsese teme che il film finisca nel

“ghetto” dorato delle opere “maledette”. Si fanno infatti paragoni con Orson Welles, per-ché il regista italoame-ricano rarefa il racconto appoggiandosi a modelli alti, lontani dagli stan-dard frenetici di oggi. Il soggetto viene dal ro-manzo omonimo di Ten-nis Lehane (Piemme in Italia), autore di “Mystic River”: intreccio di sogni e terrore avvolto dalla nebbia e dalla pioggia sferzante. «La stratifica-zione di questo racconto è tale –afferma Scorsese- che dopo una settimana di lavoro mi sono reso conto che avrei dovuto girare 3 film nello stesso momento». Nell’isola di Shutter, davanti alla co-sta del Massachusetts, vi era un tempo un mani-comio criminale: «Dalle strutture in acciaio, dalle barelle abbandonate ve-nivano bagliori sinistri che stringevano l’anima; sono partito da lì». I

corridoi e le hall dell’edi-ficio, infatti, non hanno niente da invidiare alla rude cupezza degli hotel di “Shining” e “Psyco”. La vicenda da un lato vede un’investigazione su un’assassina fuggita dall’ospedale criminale, dall’altro s’addentra nei misteri di quel luogo impenetrabile, umido, tale da rendere evane-

scente qualsiasi risultato dell’inchiesta. Una forma labirintica del racconto, che affascina lo spettato-re. Un cast importante: Leonardo Di Caprio, Ben Kingsley, Emily Mortimer (la mogliettina premurosa di “Match-point).

All’indirizzo web del film, un trailer che lascia senza fiato.

di Leonardo Soldati

Tanto tristi non sembrano, anzi: trovano sempre il modo di sod-disfare i propri capricci e nel gruppo rinnovano la forza per superare anche i momenti più difficili. Sono le “Casalinghe disperate” (“Desperate Housewives”) tornate in onda su RaiDue (merco-ledì, 21.05) per lasciare che anche gli spettatori italiani possano curio-sare all’interno del loro mondo e dei loro senti-menti. La serie, partita nel 2004, è ambientata a Wisteria Lane, nell’im-maginaria città di Fair-view. Protagoniste sono quattro casalinghe im-pegnate nelle battaglie quotidiane per la gestio-ne della casa, dei figli, dei mariti, delle amiche. Sullo sfondo, alcuni “mi-steri” (il sottotitolo della produzione è “I segreti di Wisteria Lane”) che stravolgono l’apparente normalità della periferia statunitense e diventano spesso oggetto delle loro discussioni.

La serie inizia con il suicidio di Mary Alice, che per le puntate suc-cessive assume il ruolo della narratrice esterna. È lei a sapere tutto di tutti e a intervenire spes-so con commenti e giu-dizi rivolti direttamente

allo spettatore. La vicen-da si sviluppa attraverso percorsi narrativi da telenovela, rappresentan-do le vicissitudini delle quattro amiche, vicine di casa: Bree, Gabrielle,

Lynette e Susan. Ciascu-na di loro rappresenta caratteri diversi, non senza qualche nevrosi specifica.

Bree è una donna ultra-conservatrice, ha

si ritira dalle scene dopo aver sposato un ricco uomo d’affari che a un certo punto finisce in carcere e, quando esce, si rende protagonista di una relazione nascosta con la cameriera. Ga-brielle si consola con un altro riccone, ma torna presto fra le braccia del primo marito, che a un certo punto perde la vi-sta (la ritroverà più tardi, insieme a un lavoro im-pegnativo che lo porta a essere spesso fuori casa e non aver tempo per la moglie e i figli nel frat-tempo arrivati). Lynette è una donna in carriera, madre di quattro bambi-ni, che vive una relazio-ne dai sentimenti alterni nei confronti del marito. Fra le altre peripezie, attraversa anche le cure per un linfoma e si rende protagonista di qualche infedeltà coniugale, fino a scoprire di essere in attesa di altri due ge-melli. Susan, la quarta del gruppo, è una donna divorziata, insicura e maldestra, che si inna-mora del vicino e spesso

DENTRO LA TV

Quattro donne confuse

CINEMA

Di Caprio nell’oscuro“Shutter island”

Discreto successo per “Desperate Housewives”

Homo Videns

entra in conflitto con le amiche sempre per ra-gioni sentimentali. A un certo punto si sposa e ha un figlio, ma poi lascia il marito dopo che entram-bi sono rimasti coinvolti in un incidente che ha provocato la morte di una madre e una figlia.

Come si vede, le vicende personali e del gruppo somigliano mol-ti di più alle peripezie dei protagonisti di una “pièce” teatrale o di un romanzo rosa. Troppo altalenanti i sentimenti, troppo scarso il valore dato al matrimonio e agli affetti autentici. I carat-teri dei personaggi ven-gono tratteggiati con un evidente tono caricatura-le che li rende poco cre-dibili proprio in quanto per niente verosimili. Il tono della narrazione oscilla fra la commedia e il poliziesco, fra la soap opera e il dramma. Non mancano larghi spazi di vera e propria satira con-tro la società americana, a rendere quasi teatrale la rappresentazione. Se si guarda la serie come si assisterebbe alla nar-razione di una storiella senza pretese, non si cor-re il rischio di scambiare per vero quello che non lo è, lontano da qualun-que eventuale tentazione di immedesimazione.

sposato un medico e ha avuto due figli. Nono-stante le apparenze, la sua non è una vita facile: il marito è stato ucciso dal farmacista, il figlio è omosessuale, la figlia è una ragazza madre. Lei reagisce alle disgrazie prima rifugiandosi nel-l’alcol e successivamente sposando un dentista. Di tutt’altra pasta è Ga-brielle, ex modella che

II n. 1 10 Gennaio 2010LaVitainserto gennaio 2010

La Conferenzadi Copenhagen sul clima

a cura di Marinella Sichi

Se vuoi coltivare la Pace,custodisci il creato

Alcuni brani del messaggio del Papa per la celebrazione della Giornata mondiale della paceIl rispetto del creato riveste grande rilevanza, sostiene il santo

Padre anche perché “ la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio “ la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza e l’autentico sviluppo umano integrale ed evitare guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti dell’umanità. Se a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace,queste sono legate alle mi-nacce originate dalla noncuranza - se non addirittura dall’abuso - nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito. Per tale mo-tivo è indispensabile che l’umanità rinnovi e rafforzi “ quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino “. RIVEDERE IL MODELLO DI SVILUPPO

Papa Ratzinger sostiene che la crisi ecologica è fortemente con-nessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato. Suggerisce una revisione profonda del modello di sviluppo, nonché la necessità di riflettere sul senso dell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta, sostiene, lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo. L’umanità ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale; ha bisogno di riscoprire quei valori che costituiscono un solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti.

Le crisi attuali di carattere economico, alimentare, ambientale o sociale sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. Esse ob-bligano a un modo di vivere improntato alla sobrietà e alla solidarietà, con nuove regole e forme di impegno. Solo così l’attuale crisi diventa occasione di sviluppo di nuova progettualità.

SOLIDARIETÀ INTERGENERAZIONALEDobbiamo constatare, aggiunge il Papa, che una moltitudine di per-

sone, in diversi Paesi e regioni del pianeta, sperimenta crescenti difficoltà a causa della negligenza nel governo dell’ambiente. L’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali, non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future. Il degrado ambientale è il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici, che si trasformano in una seria minaccia per i più deboli. Per contrastare tale fenomeno, è necessario che l’attività economica rispetti maggiormente l’ambiente. I costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle generazioni futu-re: “Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana”. La solidarietà universale è per noi un beneficio oltre che un dovere.

ECOLOGIA UMANA Papa Ratzinger sostiene che occuparsi dell’ambiente richieda una

visione larga e globale del mondo abbinato ad uno sforzo comune e responsabile per passare da una logica centrata sull’egoistico interesse nazionalistico ad una visione che abbracci le necessità di tutti i popoli. Il degrado della natura, aggiunge il Papa è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui quando “l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio “. La famiglia e la società devono insegnare ai giovani il rispetto di se stessi e dell’ambiente. I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri. Occorre salvaguardare il patrimonio umano della società. Questo patrimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale naturale, che è fondamento del rispetto della persona umana e del creato.

CUSTODIRE IL CREATO PER COLTIVARE LA PACE Se vogliamo coltivare la pace, dobbiamo custodire il creato, sostie-

ne il Santo Padre. La ricerca della pace da parte di tutti gli uomini di buona volontà sarà senz’altro facilitata dal comune riconoscimento del rapporto inscindibile che esiste tra Dio, gli esseri umani e l’intero creato. Proteggere l’ambiente naturale per costruire un mondo di pace è dovere di ogni persona. Il Papa invita i responsabili delle nazioni e quanti ad ogni livello hanno a cuore le sorti dell’umanità ad affrontare con rinnovato impegno la salvaguardia del creato e la realizzazione della pace; una provvidenziale opportunità per consegnare alle nuove generazioni la prospettiva di un futuro migliore per tutti.

Invita ancora i credenti ad elevare la loro preghiera a Dio affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuoni, sia accolto e vissuto il pressante appello: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato.

La conferenza si è conclusa con la sigla dell’accordo bilaterale fra Usa e Cina poi allargato ad altri paesi come India, Brasile e Sud Africa. Se, come è giusto che sia, noi assumiamo il punto di riferimento della vita di milioni di donne e di uomini che su questo pianeta vivono, della sorte di que-sto pianeta, quello di Copenhagen è un grande fallimento. Si affievo-liscono le speranze di eguaglianza e fratellanza soprattutto per quelli che saranno nei prossimi anni i processi di cambiamento climatico e le drammatiche conseguenze per la vita di milioni di persone.

IL FALLIMENTO DI COP15 L’accordo di Copenhagen, dal

punto di vista della definizione di rapporti di potere tra le potenze, grandi ed emergenti, può essere considerato un successo. Dei reali contenuti sappiamo ancora poco, solo che è stato siglato tra le nuove potenze regionali emergenti che contano dopo la crisi economica finanziaria degli ultimi due anni. Il grande soggetto politico globale assente dalla scena di Copenhagen è stato l’Unione Europea che mes-sa a margine dal nuovo assetto di governance globale, non sigla ac-cordi ne come singoli stati ne come Unione in quanto tale.

Le nuove potenze regionali emergenti, Cina, India, Brasile, e Sud Africa, che nonostante la crisi stanno mantenendo livelli di cre-scita del Pil intorno al 10% annuo, hanno fatto della crisi economica finanziaria una occasione di riven-dicazione trasferendo il loro peso economico produttivo in peso politico sulla scena globale. Du-rante la conferenza la Cina si era candidata come leader dei paesi in via di Sviluppo, ma questa pa-rola suona canzonatoria per molti paesi Africani. La Cina è l’attore principale di un rapporto di stile neocoloniale, con una feroce corsa all’appropriazione delle enormi risorse minerarie, naturali, agrico-le finanche umane che è iniziata da pochi anni sul continente Afri-cano. Ecco come l’equità si abbina al cambiamento climatico e fa di questo un fattore di uguaglianza oppure di sfruttamento dei più potenti verso i più deboli.

L’accordo di Copenhagen è il fallimento di una governance multilaterale e ugualitaria, nell’ac-cordo siglato non vi è pari dignità tra gli attori sulla scena internazio-nale, vi è invece la definizione di nuove gerarchie che rappresenta-no nuovi poteri economici e politi-ci su scala planetaria. Questi ultimi sono feroci nei rapporti tra di loro e nei rapporti con i perdenti sulla scena globale dove fanno sentire tutto il loro potere.

Nonostante le manifestazioni degli ambientalisti del 16 mattina e dell’assedio della sede dell’Onu,

gli accrediti nei confronti delle associazioni ,non governative im-pegnate nella lotta al cambiamento climatico erano stati in gran parte cancellati, mantenendone solo una piccola parte a favore delle grandi ONG amiche, ancillari rispetto ai governi, titolate ad entrare nella sala della conferenza. Si è trattata di una rappresentazione simbolica, aperta al tributo delle associazio-ni non governative. Di fatto si è trattato di un ambito nuovo, non di una conferenza in quanto tale, ma di un summit dove tutti i paesi non si confrontavano su di un piano di parità, ma solo i governi che contano. Anche Obama ha definito i contenuti dell’accordo, una intesa non perfetta, un primo passo; all’interno del quale non è assunto nessun impegno, non è prevista una sola cifra dei tagli che i paesi firmatari dovrebbero rispet-tare nella riduzione di emissione di anidride carbonica, ne una data di scadenza entro la quale le quote di emissione dovrebbero essere ridotte.

Un accordo quindi senza date di scadenza, senza impegni spe-cifici dei livelli di emissione, ma imbottito di tanti soldi. Un fondo di cento miliardi di dollari che do-vrà servire ad aiutare i cosiddetti paesi in via di sviluppo a ridurre le loro emissioni. Gli Usa saranno costretti ad essere i maggiori con-tributori nel tentativo di dimostra-re che a Copenhagen è successo qualcosa. Il vero braccio di ferro non è stato quello di contenere entro i due gradi l’innalzamento della temperatura media terrestre entro il 2050, in quanto non è stato spiegato come e chi dovrà ridurre le emissioni responsabili del ri-scaldamento; facendo appello alla difesa della sovranità nazionale gli stati hanno negato la possibilità che ci fossero strutture interna-zionali in grado di controllare le emissioni dei singoli paesi. Quindi siamo giunti ad un accordo for-male che cerca di salvare la faccia degli Stati Uniti, ma nella realtà accetta le condizioni cinesi.

Copenhagen sembra aver

spazzato via una illusione, che ci fosse dal punto di vista del potere un esito scontato, cioè una scelta già compiuta in direzione della co-siddetta green economy, una unica volontà dal punto di vista dell’eco-nomia di mercato di andare nella direzione delle fonti energetiche cosiddette pulite, rinnovabili e che si trattasse dal punto di vista dei movimenti di denunciare sempli-cemente quanto vi è di mistificato ed errato negli elementi di sfrut-tamento che permangono dentro la scelta della green economy. Esisteva già vincente ed egemone sul versante capitalistico la linea incarnata dalla presidenza degli Usa. Copenhagen invece dimostra che non c’è una scelta univoca, non c’è una leadership sul ciclo capitalistico globale, non c’è sul fronte dei movimenti soltanto da radicalizzare questa prospettiva e costruire una opinione pubblica favorevole, che denunciasse i li-miti ed i ritardi e che spingesse in quella direzione, ma un terreno di conflitto apertissimo e dall’esito tutt’altro che scontato. Non è detto che la linea della green economy del passaggio in termini reali ad un sistema energetico pulito e so-stenibile sia quello vincente, anzi il quadro che esce da CPH mostra l’accelerazione della crisi ecologica e l’appesantimento dei processi di sfruttamento in atto.

Lo spazio dei movimenti, che si misurano in termini radicali sul terreno della crisi ecologica, cercando effettivamente di co-struire pratiche di indipendenza energetica anche attraverso forme politico istituzionali e spazi politi-ci istituzionali di conflitto, intorno a questi temi, sul terreno delle go-vernance non trovano uno spazio vero di azione su uno scenario de-finito e compiuto. A Copenhagen si vedono invece prevalere quelle forze che a livello di grandi gruppi multinazionali controllano gran parte delle politiche energetiche e queste potenze si confrontano sullo scenario della governance internazionale pendendo da tut-t’altra parte.

III10 Gennaio 2010 n. 1LaVita inserto gennaio 2010

Se da un lato il motore a scop-pio ha consentito maggiori contatti inducendo una spirale positiva di conoscenza e condivisione delle tecnologie che hanno migliorato il benessere, dall’altro ha reso necessario lo sfruttamento dei grandi giacimenti di idrocarburi immagazzinati nelle viscere della terra durante i millenni passati. L’enorme utilizzo dei giacimenti di petrolio, gas, carbone, ecc è considerata la principale causa delle emissioni di gas serra. A loro volta essi sono responsabili del riscaldamento globale,

LE RESPONSABILITÀDEI PAESI

Il presidente Obama durante il suo discorso in occasione della Conferenza sul clima che si è recen-temente svolta a Copenhagen ha sottolineato la grande responsabi-lità dei paesi ricchi e dell’America impegnandosi ad una svolta nei consumi energetici. Il presidente ha dichiarato: “Sono qui per agire, non per parlare”.

Nonostante le parole del Pre-sidente Usa il vertice di Cop15 si è concluso in maniera deludente in base ai molti commentatori internazionali, agli ambientalisti e alla stessa Comunità Europea che speravano in un impegno cogente che coinvolgesse in un accordo multilaterale tutti i paesi con vari gradi di responsabilità ad indivi-duare chiaramente le soglie e le quantità di emissioni consentite.

Le strategie adottate, una di mitigazione applicata preventiva-mente con lo scopo di prevenire o almeno rallentare le variazioni del clima e contenere gli effetti del riscaldamento, cercando di controllare e ridurre la emissioni. La seconda, più probabile sarà la strategia di adattamento, nel tentativo di minimizzare le con-seguenze negative derivanti dal cambiamento.

Molti analisti hanno sotto-lineato che dopo la conferenza mondiale di Rio de Janeiro nel 1992 base della Convenzione sui cam-biamenti climatici ed i suggestivi impegni fissati con il protocollo di Kyoto, gli sforzi diplomatici sono stati inconsistenti, mentre le emissioni sono incessantemente aumentate. La frattura fra i paesi industrializzati ed i paesi poveri è enorme, saranno questi ultimi a pagare in termini di vite umane e di danni il prezzo più alto; mentre i paesi ricchi adotteranno strategie di adattamento con interventi nei contesti coinvolti dalle catastrofi naturali (frane alluvioni ecc.), nei paesi poveri la popolazione subirà i disastri con alti costi in vite umane.

IL SISTEMA CLIMATICOE L’EFFETTO SERRA

Il sistema climatico è alimentato dall’energia proveniente dal sole; questa interagisce con la superficie terrestre e con l’atmosfera in modo che il sistema sole – terra si trovi in

Il clima cambia nel tempoequilibrio energetico. I raggi solari penetrano nell’atmosfera raggiun-gendo in buona parte la superficie terrestre dove in parte vengono assorbiti ed in parte riflessi ed in parte trattenuti producendo quello che viene definito l’effetto serra. Tra i gas contenuti in atmosfera, la maggiore presenza di taluni gas come il CO2 riduce la dissipazione della radiazione infrarossa terrestre che comporta l’accumulo di energia termica e quindi l’innalzamento della temperatura superficiale fino al raggiungimento di un punto di equilibrio termico-radiativo tra le radiazioni solari in arrivo e le radiazioni infrarosse in uscita.

Per dare un’idea dell’entità del fenomeno, in assenza di gas serra, la temperatura superficiale media della Terra sarebbe di circa -18 °C mentre, grazie alla presenza dei gas serra in primis e del resto dell’at-mosfera, il valore effettivo è di circa +14 °C, ovvero molto al di sopra del punto di congelamento dell’acqua consentendo così la vita come la conosciamo. L’effetto serra si mani-festa dunque come un’alterazione del bilancio termico-radiativo alla superficie. È importante rilevare che l’acqua, sotto forma di vapore, costituisce essa stessa il più potente gas serra atmosferico.

Il luogo in cui noi viviamo è condizionato dal clima che si mo-difica in base ad alcuni fattori come l’altitudine, la maggiore o minore distanza dal mare, la latitudine, cioè distanza dall’equatore, dai venti. Ad esempio il clima è più temperato nel Mediterraneo a causa della cir-colazione generale atmosferica, che influisce attraverso lo scambio di calore tra la regione calda del Golfo del Messico che viene a lambire le coste europee. Se la corrente del Golfo dovesse arrestarsi, ed in ere molto distanti dalla nostra è già accaduto, le temperature si ridurrebbero dra-sticamente e la Francia sarebbe rico-perta dalla tundra. Anche le attività umane possono incidere sul clima, modificando l’ambiente naturale e gli equilibri degli ecosistemi. Si pensi alla deforestazione equatoriale, in ta-lune zone, se la foresta viene tagliata, il terreno si inaridisce e gli alberi non riescono a ricrescere, modificando di conseguenza il clima.

L’uomo moderno si sente meno condizionato dal clima rispetto ai suoi antenati che hanno vissuto sul pianeta anche solo alcune centinaia di anni fa. Prima della rivoluzione industriale, anche soltanto nella pri-ma metà del 700, gli eventi climatici potevano essere catastrofici, un sem-plice sbalzo di temperatura poteva causare la morte per raffreddore di uomini e bestiame. Nell’antichità il clima era temuto, la natura era per-cepita come maligna perché fautrice di disgrazie, malattie e carestie. Gli uomini si adattavano ai cambiamen-ti del clima e delle stagioni, ma si trattava di popolazioni in gran parte composte da popoli migratori che con il cambiare del clima e delle stagioni si spostavano verso gli ambienti naturali più accoglienti dove la vita risultava più semplice, oppure rima-nevano ed adottavano quella che oggi viene definita una tecnica di adatta-mento. Si pensi al popoli esquimesi, si sono adattati al clima polare, non solo riguardo agli usi alimentari, ma anche adeguandone le consuetudini sociali. Ad esempio gli esquimesi non conoscono il sentimento dalla rabbia, se vengono aggrediti si rattristano, questa caratteristica ha consentito loro di sopravvivere in gruppi affia-tati, durante i lunghi inverni siderali, dove un solo individuo da solo non potrebbe sopravvivere.

Durante il diciannovesimo se-colo, ma soprattutto durante il ven-tesimo secolo si sono notati alcuni fenomeni di modifica del clima terrestre, globalmente la temperatura della terra aumentava in maniera considerevole. Nel corso delle varie ere geologiche si sono verificati

periodi di riscaldamento a cui sono succedute altrettante glaciazioni, ma mai nel corso della storia del pianeta queste modifiche si sono realizzate in tempi storici, quindi non nell’arco di milioni di anni, ma nell’arco di un centinaio di anni. Si è quindi potuto sperimentare nell’arco di tempo di una sola vita umana il cambiamento climatico. Siamo ormai abituati alle prime foto che mostrano i ghiacciai alpini rapportate alle foto attuali, dove si può subito constatare come le masse di ghiaccio si siano ridotte in pochi decenni.

Più difficile è stato, per la comuni-tà scientifica internazionale, stabilirne le cause. Vi è stata molta reticenza ad ammettere le responsabilità dell’atti-vità umana rispetto all’aumento della temperatura terrestre. Per alcune de-cenni molti scienziati si sono scontrati fino ad arrivare alla diretta manipo-lazione di documenti ufficiali per na-scondere le cause e le responsabilità. Attualmente, la quasi totalità della comunità scientifica è concorde nel riconoscere che le responsabilità del cambiamento climatico sono dovute all’aumento di attività produttrici di calore svolte dagli uomini.

Perché nel periodo precedente l’industrializzazione l’uomo non contribuiva al surriscaldamento del pianeta? Analizzeremo i due princi-pali fattori concomitanti che ne hanno modificato l’andamento: l’aumento della popolazione e l’utilizzo dei combustibili fossili nell’industria.

Il numero degli abitanti della terra è rimasto pressoché inalterato nei secoli. Solo intorno alla metà del 1900 si è avuto sia un aumento dei nati che un allungamento della vita media. Il pianeta quindi è divenuto considerevolmente più popoloso. Il grafico mostra bene l’aumento della popolazione mondiale che è passata da circa 2 miliardi di abitanti nel 1950 alle stime attuali di 6 miliardi e otto-centomila individui. La grande popo-lazione vivente ha usufruito in larga misura dei notevoli vantaggi ottenuti attraverso il progresso scientifico e le scoperte della medicina che hanno consentito la cura di innumerevoli malattie. Si è ridotta la fatica umana grazie al massiccio utilizzo delle macchine in ogni settore di attività. Da quando è apparso l’uomo sul pianeta la vita non era mai stata così lunga e soddisfacente. L’utilizzo di combustibili fossili come il petrolio ha facilitato gli spostamenti.

Il climaIl clima è l’insieme delle condizioni atmosferiche di una regione con-siderate in relazione a lunghi periodi di tempo (De Mauro, dizionario di lingua italiana). • La classificazione dei climi• Clima alpino, all’aumentare dell’altitudine l’aria diventa più

fredda essendo meno densa. • Clima marittimo caratterizzato da ridotte escursioni di tem-

peratura per l’azione termoregolatrice del mare.• Clima continentale caratterizzato da inverni molto freddi ed

estati molto calde e afose.• Clima desertico con scarsissime precipitazioni ed una tempe-

ratura media sempre alta. • Clima steppico, caratterizzato dalla scarsità di precipitazioni• Clima nivale, distinguono due sottotipi fondamentali: il clima

della tundra e il clima dei ghiacci perenni a cui si può associare anche il clima alpino.

• Clima temperato caratterizzato da inverni miti, piogge inver-nali o autunno-primaverili un periodo estivo di aridità in cui i massimi termostatici coincidono con i minimi pluviometrici.

• Clima equatoriale umido e afoso, caratterizzato da temperature molto elevate.

• Clima Monsonico dominato dal regine dei monsoni, tipico di alcune regioni dell’Asia caratterizzato da un’estate molto piovosa ed un inverno secco e più fresco.

• Clima polare caratterizzato da basse temperature che raramen-te superano i 10 gradi anche nei giorni più caldi d’estate.

• Clima tropicale caratterizzato da temperature annue molto elevate.

• Clima oceanico caratterizzato da piccole variazioni di tem-peratura, dovute all’enorme riserva di calore immagazzinata dalle acque.

CLIMA DA WIKIPEDIA, L’ENCICLOPEDIA LIBERAIl clima viene definito come l’insieme delle condizioni atmo-sferiche (temperatura, umidità, pressione, venti...) medie che caratterizzano una determinata regione geografica ottenute da rilevazioni omogenee dei dati atmosferici per lunghi periodi di tempo. La parole clima viene dal greco clinamen che vuol dire ‘inclinazione’: il clima infatti è in massima parte una funzione dell’inclinazione dei raggi solari sulla superficie della Terra al variare della latitudine. Esso determinandone la flora e la fauna, influenza le attività economiche, le abitudini e la cultura delle popolazioni che abitano il territorio con un certo clima.

POPOLAZIONE DELLA TERRA STIMATA DALL’ANNO ZERO AL PRESENTE