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LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO Al Presidente della Regione Lazio Nicola ZINGARETTI e p.c. agli Assessori della Regione Lazio ai Consiglieri Regionali Roma, 12 giugno ’13 Presidente Zingaretti, siamo un gruppo sempre più nutrito di Comitati che rappresentano molti cittadini di Cerveteri e dei Comuni limitrofi e non è la prima volta che ci rivolgiamo a Lei. Già nello scorso mese di dicembre, quando Lei era ancora Presidente della Provincia, Le abbiamo scritto una lettera (che per comodità Le alleghiamo in copia) per rappresentarLe la nostra estrema preoccupazione riguardo alla realizzazione di un impianto a biogas a Pian della Carlotta, la cui costruzione era già allora quasi terminata. Non abbiamo avuto risposta alcuna. Ora che Lei è Presidente della Regione Lazio torniamo a rappresentarLe non più la nostra estrema preoccupazione, bensì la nostra estrema indignazione. E’ difficile riscontrare in un provvedimento amministrativo una tale concentrazione di illegittimità, carenze e superficialità, tanto da chiedersi se un’istruttoria vera e propria ci sia effettivamente stata. Ma gli ultimi sviluppi della situazione, di cui Lei, pur nella diversa veste, continua ad avere la responsabilità politica, sono ancora più allarmanti. La pronuncia di valutazione di incidenza della Regione Lazio del 16 novembre 2010 ha ritenuto che fossero superabili i vincoli relativi alla ZPS prescrivendo che: “i lavori dovranno essere eseguiti nel minor tempo possibile, al fine di ridurre il tempo di esposizione a disturbi da rumore e di presenza umana e sospesi, al fine di non interferire con la stagione riproduttiva di diverse specie di uccelli, nei mesi da Aprile a Giugno”. I Comitati locali hanno ricordato tale

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LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO

 Al Presidente della Regione LazioNicola ZINGARETTIe p.c.agli Assessori della Regione Lazioai Consiglieri Regionali

 Roma, 12 giugno ’13

 Presidente Zingaretti,

siamo un gruppo sempre più nutrito di Comitati che rappresentano molti cittadini di Cerveteri e dei Comuni limitrofi e non è la prima volta che ci rivolgiamo a Lei. Già nello scorso mese di dicembre, quando Lei era ancora Presidente della Provincia, Le abbiamo scritto una lettera (che per comodità Le alleghiamo in copia) per rappresentarLe la nostra estrema preoccupazione riguardo alla realizzazione di un impianto a biogas a Pian della Carlotta, la cui costruzione era già allora quasi terminata. Non abbiamo avuto risposta alcuna. Ora che Lei è Presidente della Regione Lazio torniamo a rappresentarLe non più la nostra estrema preoccupazione, bensì la nostra estrema indignazione. E’ difficile riscontrare in un provvedimento amministrativo una tale concentrazione di illegittimità, carenze e superficialità, tanto da chiedersi se un’istruttoria vera e propria ci sia effettivamente stata. Ma gli ultimi sviluppi della situazione, di cui Lei, pur nella diversa veste, continua ad avere la responsabilità politica, sono ancora più allarmanti.

La pronuncia di valutazione di incidenza della Regione Lazio del 16 novembre 2010 ha ritenuto che fossero superabili i vincoli relativi alla ZPS prescrivendo che: “i lavori dovranno essere eseguiti nel minor tempo possibile, al fine di ridurre il tempo di esposizione a disturbi da rumore e di presenza umana e sospesi, al fine di non interferire con la stagione riproduttiva di diverse specie di uccelli, nei mesi da Aprile a Giugno”. I Comitati locali hanno ricordato tale obbligo a tutte le autorità competenti (quali il Corpo forestale dello Stato ed il Comune di Cerveteri) fin dal 29 marzo ed hanno continuato a tempestarle di solleciti. Ciò nonostante, come dimostra inequivocabilmente la documentazione fotografica in nostro possesso,  i lavori sono proseguiti indisturbati con intenso utilizzo e traffico di mezzi pesanti. Un avvocato penalista da noi incaricato lo scorso 5 aprile ha presentato al Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri una denuncia-querela in ordine alla gravissima violazione e,  il successivo 29 aprile, gli stessi Comitati hanno inviato alla Regione Lazio, Area Conservazione Natura, il seguente telegramma: “Nonostante obbligo sospensione lavori mesi aprile-giugno ex Valutazione incidenza prot. n. 49574 del 16 novembre 2010, nonostante numerosissime lettere et diffide degli scriventi Comitati at Comune Cerveteri, Corpo forestale dello Stato Manziana et esposto NOE Carabinieri Roma del 5 aprile 2013, lavori costruzione impianto proseguiti intensamente intero mese aprile. Chiedesi urgentissimo intervento codesta Amministrazione”. La Regione, per tutta risposta, in data 3 maggio, ha concesso alla Società Sasso Green Power una deroga alla sospensione dei lavori “Considerato che i lavori rimanenti da realizzare per il completamento dell’impianto, sono di finiture e montaggi interni alle strutture realizzate che non richiedono l’uso di macchinari particolarmente rumorosi”. L’illegittimità e l’inopportunità di tale provvedimento

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sono di tutta evidenza. Innanzi tutto il suddetto provvedimento è in insanabile contrasto con la comunicazione di fine lavori indirizzata dall’amministratore della Società Sasso Green Power alla Provincia di Roma in data 22 aprile. Se i lavori, come comunicato, alla suddetta data erano stati ultimati, non era evidentemente necessaria alcuna deroga. In secondo luogo, non era egualmente necessaria una specifica deroga per semplici “finiture e montaggi interni alle strutture realizzate”. Peraltro, a tutto voler concedere, dal 1° al 22 aprile, la Società ha lavorato in aperta violazione dell’obbligo di sospensione. In realtà, vincoli che per i comuni cittadini comportano divieti rigorosissimi di opere anche molto modeste e di scarsissimo impatto, non hanno impedito alla Provincia di autorizzare, e alla Società Sasso Green Power di eseguire, un impianto a biogas il cui impatto è sotto tutti i profili (ambientale, paesaggistico, economico, sanitario) insostenibile. Il tutto con l’avallo e la collaborazione della Regione Lazio.

A ciò si aggiunga che il Comune di Cerveteri, sollecitato dai cittadini, ha incaricato il dott. Stefano Montanari – direttore scientifico del Laboratorio Nanodiagnostics di Modena ed esperto indiscusso nella materia ambientale – di redigere una perizia (che pure le alleghiamo, unitamente a un documento di “Osservazioni” da noi redatto) contenente la valutazione ecologica dell’impianto in questione. I risultati di tale perizia comprovano ed aggravano notevolmente tutti i timori già in precedenza manifestati.

Dopo una premessa in cui viene opportunamente chiarita la pericolosità del particolato inorganico  generato da ogni forma di combustione –  il quale è capace di transitare dagli alveoli polmonari al sistema circolatorio e, da qui, ad ogni organo o tessuto provocando patologie che sono le più diverse (forme tumorali, patologie cardiovascolari, neurologiche e della riproduzione, tra cui forme di malformazione fetale) ma che per la loro origine comune vengono classificate come “nanopatologie” – la perizia passa ad esaminare, uno per uno, gli aspetti che avrebbero dovuto trovare considerazione nel corso del procedimento di autorizzazione. A parte alcune affermazioni palesemente false (quali quella che l’impianto sorge in una zona “lontana da insediamenti urbani”, mentre di fatto la distanza misurata su carta topografica dalla prima casa abitata è di circa 250 m., dal primo centro abitato circa800 m., dal paese 1 km, dalla scuola materna 1,2 km e altrettanto da un centro agrituristico), alcune “dimenticanze” (quali la presenza di corsi d’acqua, sorgenti sulfuree e ferruginose, acque idrotermali, movimenti franosi, aziende agricole biologiche, ecc.), alcune incongruenze (quali la capacità della trincea che è indicata la prima volta in circa 12.000 m³ e nella pagina seguente in 6.500 m³), nonché ripetute affermazioni del tutto apoditticheriguardo all’innocuità dell’impianto e all’assenza di rischi, quello che emerge con maggiore evidenza è la totale mancanza di dati tecnici essenziali riguardanti l’alimentazione dell’impianto, le precauzioni assunte per evitare il rischio di ricontaminazione dei digestati, l’effettiva quantità di Azoto contenuta nel biogas e la presenza di altri componenti, la temperatura di uscita dei fumi, il computo emissivo, la previsione di controlli chimici e biologici su ciò che entra nell’impianto e ciò che ne esce. Per non parlare della Valutazione di incidenza, che come già prima di lui l’esperto Guido Proia, il dott. Montanari definisce “una ricerca scolastica compilata frettolosamente non sul campo ma a tavolino con dei copia-incolla da fonti generiche anche piuttosto datate (…), un documento che, a dispetto del titolo, non offre alcuna informazione sull’incidenza dell’impianto, un aspetto assolutamente impossibile da trascurare non fosse altro perché è il soggetto del documento”.

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Ma l’aspetto, già ripetutamente segnalato, che resta probabilmente il più critico riguarda cauzione fideiussoria, ritenuta dalla Provincia congrua, per la restitutio in integrum del sito. La perizia sottolinea che: “Come sempre, la documentazione liquida in poche parole vaghe (Relazione Progetto di Ripristino del 13 aprile 2010 aggiornato al 21 settembre 2010) su come attuare un’impresa che viene definita come concettualmente molto semplice, ma che, stando freddamente ai fatti e, se non altro, all’esperienza, è impossibile. Come si farà, allo smantellamento, a restituire allo stato ante operam un terreno occupato da una costruzione come quella dell’impianto, terreno che non si può non prevedere inquinato dalle ricadute di cui si è detto, resta senza risposta. Non spiega come si farà a disfarsi di manufatti quali le coperture dei digestori (coperture dichiarate di plastica senza specificare di che plastica si tratti); se si trattasse di cloruro di polivinile (PVC), come vagamente accennato nel suddetto documento, il loro smaltimento sarebbe quanto meno problematico non potendosi ricorrere all’incenerimento a pena, tra i tanti altri inquinanti, di produrre diossine e sostanze diossino-simili clorurate. Come siano smaltite, reimpiegate o riciclate le apparecchiature meriterebbe un approfondimento, e lo stesso vale per la demolizione, trasporto e riciclaggio di digestori, vasche di stoccaggio, muri, cabine e tutto il resto. Né si accenna al ripristino dell’ambiente, dalla purezza delle falde acquifere alla composizione del terreno, dalle inevitabili variazioni di microflora e flora, microfauna e fauna, fino alle interazioni con la salute umana. Degna della massima attenzione è la frase non sono necessarie bonifiche di alcun genere poiché le fonti rinnovabili (insilato di mais, sorgo, triticale) utilizzate per alimentare l’impianto di degradazione anaerobica ed il processo di degradazione stesso non creano rifiuti incompatibili con lo sversamento in terreno agricolo, il quale anzi si avvantaggia delle caratteristiche ammendanti, quindi arricchenti, del digestato dell’impianto di produzione di biogas. Il che lascia intravedere l’intenzione di rovesciare al suolo, addirittura senza interramento, il digestato. A riprova di come non ci si renda conto di quali e di quale entità siano le opere effettive da mettere in pratica, pur dimenticando per un attimo quelle impossibili anche se sono la soverchiante maggioranza, si veda la fidejussione prestata, una garanzia che ammonta a 85.473,65 Euro, somma che potrebbe coprire una frazione assolutamente esigua dei costi e, di fatto, inutile. Nessuna garanzia, invece, viene prestata per i danni che potrebbero essere dimostrati come dovuti all’impianto a carico degli agricoltori non coinvolti nell’affare (per esempio, alcuni gestori locali di colture biologiche che ricevono contributi comunitari), degli allevatori, degli operatori turistici, dei proprietari di immobili e, soprattutto, di chi potrebbe risultare affetto da patologie. In caso di danno accertato nessuna di queste categorie godrebbe di una protezione economica, visto anche che la società a responsabilità limitata proponente ha un capitale sociale di appena 20.000 Euro”. E’ appena il caso di aggiungere, per stabilire un ordine di grandezza, che per il ripristino dei luoghi (attigui) in cui è stata autorizzata una cava di calcare (senza costruzioni!) è stata prevista una cauzione di  364.327 Euro! Va sottolineato che il problema del ripristino dello stato dei luoghi potrebbe non doversi necessariamente porre fra 15 anni, ma molto prima, e anche immediatamente qualora intervenissero provvedimenti giudiziari o amministrativi di annullamento dell’autorizzazione ovvero di blocco definitivo dei lavori . Certamente, i cittadini su qualcuno dovranno rivalersi per il risarcimento dei danni eventualmente accertati e le istituzioni responsabili non saranno indenni da tale tipo di responsabilità, nonché da quella per eventuali danni all’erario.

Un minimo di senso della legalità (la parola “etica” è ormai obsoleta) imporrebbe di annullare questo abnorme provvedimento che fa ricadere

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esclusivamente sui cittadini tutti i costi e tutti i rischi di un’operazione meramente speculativa che, a vantaggio di un privato che non svolge nemmeno un’attività agricola, danneggia irrimediabilmente un paesaggio ampiamente tutelato (ZPS, PAI, Natura 2000, ecc.) per i suoi singolari pregi naturalistici, paesaggistici, archeologici e termali senza alcuna utilità sociale (in Italia si produce già energia in esubero rispetto al fabbisogno). Saranno come sempre i cittadini a pagare per gli incentivi (nella bolletta elettrica), la svalutazione dei loro immobili, la perdita di chances per una cooperativa che non potrà mai attuare i suoi scopi statutari valorizzando il territorio e creando posti di lavoro, i danni alla loro salute e a quella dei loro figli. Comitato Terra nostraCoordinamento Rifiuti Zero per il LazioSalviamo il Paesaggio                ALLEGATO N. 1 – Lettera al(l’allora) Presidente della Provincia in data 12.12.2012, con allegato un documento riepilogativo delle illegittimità del provvedimento di autorizzazione                                                                                    Al Presidente della Provincia                                                                                  Nicola ZINGARETTI                                                                                  Via IV Novembre 119/A                                                                                  00187     R O M A Presidente Zingaretti,siamo un gruppo sempre più nutrito di comitati che rappresentano molti cittadini di Cerveteri e dei Comuni limitrofi e vogliamo rappresentarLe la nostra estrema preoccupazione riguardo alla realizzazione di un impianto a biogas a Pian della Carlotta, la cui costruzione è ormai quasi terminata. E’ appena il caso di sottolineare che l’impianto il questione è localizzato in una Zona a Protezione Speciale, di particolare pregio sotto il profilo paesaggistico, archeologico, turistico, idrotermale.Il primo motivo di sconcerto, prima ancora che di preoccupazione, riguarda il procedimento che ha portato all’approvazione del progetto dell’impianto in questione, progetto sul quale il Comune di Cerveteri aveva dato, a seguito di una delibera di contrarietà (la n. 140 del 30.09.2011), parere negativo. Un procedimento a dir poco

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fulmineo, caratterizzato da illegittimità, superficialità e anomalie tali da indurci a tentare di acquisire la documentazione completa così da verificare, oltre alla regolarità e congruità dell’istruttoria, dati tecnici imprescindibili quali ad esempio: la quantità e la qualità di ciò che entra; l’analisi chimica di ciò che entra nel processo e di ciò che ne esce; le sostanze chimiche eventualmente addizionate al processo; quantità e qualità delle polveri primarie e secondarie; le zone di ricaduta suddivise per singolo inquinante; l’incidenza prevista sulla composizione del suolo; l’incidenza prevista sulla composizione delle acque di superficie e di falda; l’incidenza su flora e fauna, microflora e la microfauna; l’incidenza sulla salute umana; il tipo di preparazione del personale impiegato; la qualifica di chi si deve occupare delle eventuali emergenze; il rispetto della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 e della Direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, in vigore dal 17 febbraio 2012. Il controllo di tali dati è essenziale, soprattutto ove si consideri che non sono state invitate alla Conferenza di servizi né   la ASL   competente, né l’ARPA . Ripetute istanze di accesso presentate alla Provincia da soggetti diversi, compreso il Comune di Cerveteri, hanno consentito l’acquisizione di una documentazione scarsa e poco significativa; la documentazione integrale sembra essere inaccessibile e blindata. Le ipotesi sono due: o la documentazione relativa ai dati sopra elencati esiste e non viene resa accessibile (perché?), o non esiste e allora l’intero procedimento è irrimediabilmente viziato.Visto che le istituzioni (nella specie la Provincia) non sembrano molto interessate alla salute dei cittadini, abbiamo provveduto noi ad approfondire le problematiche relative agli impianti a biogas e partecipando a numerose conferenze di biologi, scienziati, medici e tecnici abbiamo acquisito una consapevolezza sempre maggiore della pericolosità, insalubrità e sostanziale inutilità di tali impianti.Gli interventi del Prof. Bohnel a Capalbio e del Prof. Gianni Tamino, biologo dell’Università di Padova, al convegno tenutosi recentemente a Manziana, corredati dalla relazione di due medici dell’ISDE, ci hanno definitivamente chiarito molti dubbi afferenti i diversi aspetti della questione. Per brevità ne elenchiamo solo alcuni:Aspetto sanitarioLe centrali a biogas non sono affatto innocue. La fermentazione anaerobica favorisce la produzione di batteri sporigeni anaerobi come il clostridium botulinum che attraverso, il digestato sparso nei campi, colpiscono in modo anche mortale animali d’allevamento, specie volatili, e persone. Posto che il 90% dei batteri è assolutamente sconosciuto e che le loro interazioni non sono ancora note, posto che il territorio dell’Alto Lazio presenta già un tasso d’inquinamento d’insieme (“effetto cumulativo”) allarmante, e considerata l’alta percentuale di gravi patologie anche mortali legate all’inquinamento, soprattutto nei bambini, ci chiediamo che tipo di responsabilità si stia prendendo un politico o un amministratore nel favorire la proliferazioni di queste centrali. Per non parlare del rapporto CO2 – ossigeno, che con la progressiva sottrazione di aree verdi e di deforestazione, salta, favorendo l’effetto serra.Aspetto ambientaleIl territorio dell’Alto Lazio presenta delle fragilità drammatiche che, unite ai cambiamenti climatici in atto, promettono ai nostri figli un futuro allarmante. Moltitudine di fonti d’inquinamento (radon, arsenico, emissioni tossiche continue, inquinamento falde acquifere, microcistine, siti inquinati da stoccaggi armi chimiche, sversamenti in cave dismesse di rifiuti tossici, percolati, ecc.) stanno mettendo a durissima prova il delicato equilibrio degli organismi viventi, e quindi dell’interazione ambiente-salute-futuro. Peraltro,

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- l’uso generoso di pesticidi per favorire più raccolti l’anno da destinare a una macchina favorisce l’inquinamento delle falde acquifere e la desertificazione dei terreni, con conseguente alterazione del micro e macroclima;- la combustione del “biogas” è fonte di emissioni tossiche;- il biogas è più inquinante del metano perché contiene metano soltanto al 55-60%;- i limiti di legge misurano la quantità di sostanze inquinanti per metro cubo, ignorando che il calcolo reale andrebbe fatto sul totale di metri cubi prodotti in un anno. È o non è un imbroglio?Aspetto energeticoL’Alto Lazio ha il più grande polo energetico d’Europa (centrali di Civitavecchia e Montalto di Castro) e quindi non è vero che ha bisogno di energia elettrica. In un computo nazionale, l’Italia ha 50.000 MW in più del necessario: la potenza installata è quasi il doppio della massima potenza richiesta alla punta.Aspetto eticoSi preferisce consumare selvaggiamente centinaia di ettari di terreni agricoli, mandandoli ad erosione sicura, per dar da mangiare a una macchina piuttosto che alle persone, aprendo peraltro la porta all’uso degli OGM. Che futuro prepariamo?Aspetto economicoQueste centrali sono in linea con un modello di sviluppo economico lineare che finirà col determinare una serie di dittature (del cibo, dell’acqua, dell’aria, ecc.), perché logica del profitto vuole che nella scarsità il profitto cresce.Aspetto politicoTruffare semanticamente il prossimo ponendo il prefisso “bio” a qualcosa che fa solo male va contro ogni forma di equità sociale e quindi contro qualsiasi forma di buona politica.Dire che le biomasse sono fonti rinnovabili è politicamente e scientificamente scorretto. Le biomasse usate in questo modo non sono più recuperabili. Il digestato è inutilizzabile, tanto che si è pensato alla sua pelletizzazione: non va in discarica, non va in un inceneritore, viene venduto e bruciato direttamente dal consumatore. E, senza saperlo, ognuno di noi diventa complice di un ampio processo d’inquinamento. È buona politica questa?L’unica fonte davvero rinnovabile, e democratica, è il SOLE. Basterebbe un decimillesimo dell’energia solare per coprire il fabbisogno di tutta l’energia umana. Buona politica vorrebbe che si applicasse questa logica. Le forze politiche locali non si sono dimostrate insensibili alla problematica dell’impianto a biogas di Pian della Carlotta e sappiamo che sono state approvate sia alla Provincia che al Comune di Cerveteri mozioni di contrarietà ed opposizione alla sua realizzazione. Ma nonostante ciò i lavori procedono a ritmo serrato e il senso di impotenza della popolazione si sta trasformando in indignazione e rabbia. Non è accettabile che il territorio venga gestito dall’alto, depredato di tutte le sue risorse a fini esclusivamente speculativi, senza che i cittadini possano minimamente intervenire nelle scelte che li coinvolgono. Questa non è democrazia e la cosiddetta “sovranità popolare” è un’espressione obsoleta priva di reale significato. Abbiamo provato a percorrere la via del ricorso al TAR, con scarse speranze visto che a causa della totale mancanza di pubblicità e di comunicazione  ci siamo mossi in ritardo, e altre vie giudiziarie se necessario percorreremo, ma sicuramente alle ormai prossime consultazioni elettorali cercheremo di arrivare con consapevolezza e senso di responsabilità. 

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Ci aspettiamo che Lei, prima delle Sue dimissioni da Presidente della Provincia, ci faccia conoscere la Sua posizione ufficiale e ci auguriamo che, forte del sostegno del Suo Consiglio Provinciale e come garante della salute dei cittadini, possa fermare la devastazione ambientale di un luogo così pregevole sotto il profilo archeologico, paesaggistico e naturalistico.Desideriamo inoltre conoscere, in via generale, la Sua posizione riguardo al dilagare di impianti a biogas, biomasse e digestori anaerobici in tutta la Provincia e nel Lazio. La sappiamo infatti impegnata nella prossima campagna elettorale e un Suo chiaro intendimento potrebbe utilmente orientare molti cittadini e appartenenti ai numerosi comitati ambientalisti presenti su tutto il territorio.Compatibilmente con i suoi impegni desideriamo invitare Lei e l'Assessore Civita alla manifestazione che si terrà a Cerveteri contro il biogas il prossimo sabato 15 dicembre alle ore 10. Potrebbe essere un'occasione per individuare un percorso congiunto condiviso.Cordiali saluti 

 

AUTORIZZAZIONE DELLA PROVINCIA DI ROMA ALLA COSTRUZIONE E ALL’ESERCIZIO DI UN IMPIANTO A BIOGAS DENOMINATO “IMPIANTO BIOGAS DA DERRATE AGRICOLE” NEL COMUNE DI CERVETERI, LOCALITA’ SASSO, PIAN DELLA CARLOTTA.

 

E’ necessario premettere che l’impianto in questione è situato in una zona particolarmente pregiata dal punto di vista paesaggistico, naturalistico, termale e archeologico. Essa è infatti ricca di acque termali ed è letteralmente coperta di siti archeologici di epoca etrusca e romana relativi ad insediamenti e necropoli con tombe a camera e fossa,  tra i quali spicca il famoso insediamento termale delle Aquae Caeretanae. Nell’area interessata, sito NATURA 2000, è stata rilevata la presenza di avifauna di interesse comunitario (nibbio reale, biancone, lanario, falco pellegrino, ecc.) e proprio per queste sue caratteristiche uniche è soggetta a numerosi vincoli tra cui quello di Zona a Protezione Speciale. La località è di interesse UNESCO (pur non rientrando nella Buffer Zone) in quanto prossima al comprensorio della Banditaccia e infatti l’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale Unesco ha espresso, in data 16 novembre 2012, una Raccomandazione con la quale; “esprime profonda preoccupazione per i pericoli derivanti alla Necropoli di Cerveteri e al territorio circostante dai progetti di realizzazione di un impianto di biogas in località Pian della Carlotta (Comune di Cerveteri) e di un centro di trattamento e smaltimento dei rifiuti a Pizzo del Prete (Comune di Fiumicino); valuta negativamente i progetti in quanto situati nei pressi del più importante sito archeologico etrusco del nostro Paese e disattendono i principi di tutela e salvaguardia dei patrimoni dell’Umanità; condanna i provvedimenti finora adottati dalla Provincia di Roma e dalla Regione Lazio e disapprova ogni scelta che non venga assunta con il pieno consenso dei cittadini e degli enti locali di riferimento; chiede l’immediata revoca/annullamento di tali scelte, a tutela del sito e dei territori limitrofi, onde riaffermare l’inviolabilità del Patrimonio Mondiale Unesco”.

La determinazione dirigenziale n. 7756 del 4 novembre 2011, con la quale la Provincia di Roma ha autorizzato la costruzione e l’esercizio dell’impianto in

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questione (originariamente le richieste erano per due impianti) è affetta da numerosissime e gravi illegittimità:

A) Mancanza di pareri essenziali. Non sono state convocate alla Conferenza di Servizi, e quindi non hanno espresso il loro parere, la ASL competente e l’ARPA Lazio. E’ quindi mancata qualunque valutazione riguardo ai profili igienico-sanitari e all’impatto odorigeno dell’impianto.

B) Parere negativo del Comune di Cerveteri. Il parere negativo del Comune è stato disatteso con una motivazione giuridicamente e tecnicamente inaccettabile: la Conferenza di Servizi ha infatti ritenuto che tale parere circa la non compatibilità dell’impianto con l’area prescelta sia “un atto di mero indirizzo politico non essendo fondato su motivazioni che, a parere del Presidente della Conferenza dei Servizi, evidenzino elementi di natura tecnica tali da legittimare il rigetto dell’istanza”. Invece il Comune in tutti gli atti istruttori (nota del 12/7/2011, verbale della Conferenza di Servizi del 13/7/2011, nota del 28 luglio 2011) ha sottolineato che “gli interessi per lo sviluppo turistico-termale del comprensorio in argomento hanno origine non recente”; che “gli impianti in oggetto presentano numerosi profili di incompatibilità sia con il progetto di realizzazione del Parco Termale Medical SPA nell’area compresa tra via Orti della Paola e via delle Terme Calidae, sia con il sito archeologico ivi esistente”; che sussiste il “rischio di infiltrazioni nelle falde di acque termali dei reflui della produzione di biogas”, il “rischio che il progettato centro termale possa essere investito dai residui della trasformazione delle derrate alimentari in biogas ed energia”, nonché il “rischio di esposizione a qualsiasi evento accidentale dovesse verificarsi in termini di emanazione in atmosfera”; che gli impianti di produzione energia da biomasse, a prescindere da come vengono progettati e costruiti e da come vengono gestiti, “classificano” il territorio in cui vengono ubicati, mentre analogo effetto si verifica anche riguardo alle attività turistico ricettive e termali. Con la delibera di Giunta del 30 settembre 2011, il Comune si è pronunciato sfavorevolmente riferendosi all’ordinanza sindacale n. 55 del 2010 “con la quale è stato interdetto il traffico veicolare nel tratto di strada interessato ai previsti accessi agli impianti nonché i limiti di massa di carico di 7 tonnellate e di velocità 30km/ora, interessante via Pian della Carlotta, nel tratto a partire 100 metri oltre intersezione con Orti della Paola fino a strada direzione Tolfa/S. Severa”; ai numerosi vincoli sull’area interessata (vincolo paesaggistico – P.A.I. – idrogeologico – ZPS e relativi PTPR); all’incompatibilità degli impianti “con le scelte e gli intendimenti dell’Amministrazione comunale in relazione alla connotazione ed alla destinazione delle aree circostanti”.  Il parere espresso dal Comune si fonda su dati e su studi documentati quali la relazione del geologo dott. Francesco Gervasi, con la quale è stata evidenziata la pericolosità della realizzazione dell’impianto sotto diversi profili, sia dal punto di vista paesaggistico sia dal punto di vista della tenuta dell’impianto, con conseguenze inquinanti ed altamente dannose per il territorio.

Peraltro, in presenza di un motivato dissenso del Comune, non poteva proprio essere concessa l’autorizzazione. L’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 dispone infatti che “… ove venga espresso motivato dissenso da parte di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesistico-territoriale, del patrimonio storico artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell’articolo 120 della Costituzione, è rimessa dall’amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa (omissis) con la regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale….”. La giurisprudenza (si veda in particolare la sentenza del TAR Piemonte 21 dicembre 2011, n. 1342) ha

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confermato che la natura della Conferenza di servizi è decisoria, tra l’altro, quando “l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più amministrazioni pubbliche (art. 14 commi 2 e 4 legge 241/1990” e che pertanto in tali casi, sempre che il dissenso verta su profili “paesaggistico-territoriali”, la questione deve essere rimessa al Consiglio dei Ministri.

C) Vincoli. Benché nella determinazione dirigenziale di approvazione si prenda atto che dal Certificato di destinazione urbanistica del Comune di Cerveteri “l’area risulti sottoposta a vincolo ZPS, parte a vincolo PAI – parte aree di attenzione geomorfologica e parte aree sottoposte a tutela per pericolo di frana – aree a pericolo A; parte a vincolo paesaggistico; parte a vincolo idrogeologico”, manca il benché minimo accenno ad eventuali prevalenti ragioni che consentano di non tenerne conto.

D) Viabilità. Anche la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici ha sottolineato che in Conferenza si sarebbe dovuto esaminare in maniera particolareggiata e approfondita il tema della viabilità per l’accesso all’impianto industriale dal momento che sulla strada, in parte comunale e in parte di proprietà dell’Arsial, vige il divieto di transito per i mezzi con più di 7 tonnellate di carico. Invece il problema della viabilità è stato affrontato con estrema superficialità, trascurando del tutto l’impatto sul territorio del transito dei mezzi pesanti diretti all’impianto. Detto transito si dovrebbe svolgere in parte sulla strada provinciale Manziana-Furbara, sulla quale vige il limite di velocità di 50 km orari, e in parte sulla strada comunale/privata che si distacca dalla provinciale e sulla quale vige – oltre il divieto di transito per i mezzi con più di 7 tonnellate di carico – il limite di velocità di 30 kmorari. Anche se la Società Agricola Aurelia possiede 800 ettari di terreno, di essi soltanto circa 200 sono idonei alla coltivazione di mais. Ciò significa che la produzione della Società, per sua stessa ammissione, coprirebbe non più del 40-50% del fabbisogno dell’impianto, con necessità di importare dall’esterno le derrate necessarie (è del tutto irrealistica e quindi inattendibile l’ipotesi di reperire tali derrate sul territorio). Ciò comporta il transito di un camion ogni ora ovvero, più realisticamente, ogni mezz’ora, con ogni intuibile conseguenze riguardo a ingorghi, rumore, danni al manto stradale, emissioni, ecc. Senza considerare l’impossibilità di controllare l’effettiva natura dei materiali trasportati.

E)  Indeterminatezza dei dati di alimentazione dell’impianto. L’impianto è qualificato come “biogas da derrate agricole” ma non sono disponibili dati tecnici imprescindibili quali ad esempio: la quantità e la qualità di ciò che entra; l’analisi chimica di ciò che entra nel processo e ciò che ne esce; le sostanze chimiche eventualmente addizionate al processo; quantità e qualità delle polveri primarie e secondarie; le zone di ricaduta suddivise per singolo inquinante; l’incidenza prevista  sulla composizione del suolo nonché sulla composizione delle acque di superficie e di falda; l’incidenza su flora e fauna, microflora e microfauna; l’incidenza sulla salute umana; il tipo di preparazione del personale impiegato, ecc. Questa considerazione non è peregrina poiché il D.lgs 29.12.2003 n. 387, all’art. 2, recita: “Ai fini del presente decreto… per biomasse si intende: la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte dei rifiuti industriali e urbani”, precisando poi, all’art. 17, che “…sono ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili i rifiuti, ivi compresa, anche tramite il ricorso a misure promozionali, la frazione non biodegradabile ed i combustibili derivati dai rifiuti (C.D.R.)…”. Una centrale a biogas, in pratica, può utilizzare qualsiasi combustibile ammesso dalla legge purchè si riesca, in qualche modo, a farlo fermentare. Il Comune di Cerveteri ha commissionato al dottor Montanari, una

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vera autorità in materia, una perizia proprio riguardo alla sicurezza dell’impianto e – anche se la perizia non è stata ancora depositata – lo stesso dottor Montanari ha anticipato pubblicamente in occasione del Consiglio comunale aperto che si è tenuto a Cerveteri il 18 aprile scorso che i suddetti dati, ed altri indispensabili, sono del tutto mancanti.

F) Studio di Valutazione di Incidenza dell’impianto. Come risulta dalla relazione di un esperto contattato, lo Studio di Valutazione di Incidenza non è stato redatto tenendo conto delle Linee Guida per la procedura di valutazione di incidenza di cui alla D.G.R. 29 gennaio 2010 n. 64. Mancano una descrizione generale del contesto ambientale in cui si colloca il progetto, una descrizione delle componenti naturalistiche con individuazione degli habitat di interesse comunitario e cartografie in scala adeguata. Appare evidente come il testo dello Studio sia stato realizzato con un semplice copia e incolla da altri testi, senza ricerche sul campo e senza nemmeno la consultazione della bibliografia esistente e copiosa. Per ciascuna specie di interesse comunitario trattata dallo studio viene semplicemente fornita una raccolta di informazioni, di fonte bibliografica, generiche, inappropriate e gravemente fuorvianti quando non errate. Per nessuna specie viene riportata un’analisi delle presenze nell’area di progetto o nelle aree immediatamente circostanti, né informazioni su densità, coppie nidificanti o altri parametri di popolazione. Non si capisce per quale motivo sia stata trattata la lontra, del tutto assente nell’area di progetto; per gli uccelli rapaci non viene fornita alcuna indicazione sulla loro presenza e stato di conservazione nella Zona di Protezione Speciale, nonostante la situazione dei rapaci nella ZPS sia una delle meglio conosciute in Italia; incomprensibile è il riferimento alla presenza della Ghiandaia marina dell’Elba (?!).

G) Fidejussione. Appare assolutamente incongruo l’importo della cauzione a garanzia dell’esecuzione degli interventi di dismissione e delle opere di messa in pristino, da versare a favore dell’Amministrazione provinciale mediante fidejussione bancaria, fissato dalla Provincia. La somma di 85.473,65 euro è  infatti decisamente inferiore alla media che si aggira notoriamente, per gli impianti similari e di eguale potenza, tra i 200.000 e i 300.000 euro (importo assolutamente giustificato dall’entità dei lavori necessari per demolire l’impianto, rimuovere e asportare tutto il materiale, ripristinare lo stato antecedente, ripiantumare, ecc.). Peraltro manca un vero e proprio progetto di ripristino. Non è superfluo ricordare che la Soc. Sasso Green Power ha un capitale sociale di soli 20.000 euro, totalmente inidoneo a coprire qualsivoglia risarcimento dei danni.

H) Voltura. Seppure al di fuori del procedimento di approvazione, devono essere avanzate fortissime perplessità circa la Determinazione dirigenziale n. 23 del 5 gennaio 2012 con la quale la Provincia di Roma ha autorizzato la voltura dell’autorizzazione originariamente rilasciata alla Società Agricola Aurelia S.r.l. alla Società Sasso Green Power S.r.l. E’ da sottolineare innanzi tutto che la Società Sasso Green Power è stata costituita il 18 ottobre 2011 ed è stata iscritta nel registro delle imprese il 21 ottobre successivo, quasi contestualmente all’autorizzazione da parte della Provincia. L’istanza di voltura è stata presentata il 1° dicembre 2011, nemmeno un mese dopo che è divenuta esecutiva la determinazione dirigenziale di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio dell’impianto. Amministratore unico della Soc. Agricola Aurelia risulta il sig. Giancarlo Rosi, mentre l’amministratore unico della Soc. Sasso Green Power è il sig. Leonardo Giombini; peraltro il sig. Rosi è co-amministratore, insieme al sig. Giombini, della Soc. Sasso Green Power. Elemento di rilievo è che il capitale sociale della Soc. Sasso Green Power ammonta a € 20.000, di cui al momento della voltura erano stati versati soltanto € 5.000. Inoltre, a quanto si legge nella stampa locale, il sig. Giombini

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sarebbe “finito in carcere due volte per evasione fiscale, false fatturazioni, associazione a delinquere e riciclaggio”. Appare evidente che la Provincia ha peccato, a dir poco, di scarsa cautela.

I) Qualificazione della Società quale azienda agricola. Una delle carenze più vistose è quella riguardante la mancanza di dati riguardo alla qualificazione di azienda agricola della Società che ha chiesto e ottenuto l’autorizzazione. Non è dato infatti sapere se tale società abbia o meno un fatturato che per almeno il 50% provenga da attività agricole. Non è un dato di secondario rilievo: il digestato non è infatti qualificabile come rifiuto quando tale percentuale venga rispettata (ed è logico, in quanto in tal caso l’impianto a biogas viene alimentato con i liquami e i residui agricoli dell’azienda stessa); in caso contrario il digestato è considerato rifiuto con tutte le conseguenze che ne derivano:a)                  trova piena applicazione la normativa di cui alla Convenzione di Aarhus ed alla Direttiva del Parlamento Europeo 2011/92/UE e del Consiglio del 13 dicembre 2011 riguardanti la partecipazione pubblica nelle decisioni su attività specifiche e, in particolare, su quelle relative agli impianti chimici per la produzione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto o potassio (fertilizzanti semplici o composti) e alla gestione dei rifiuti. Tali norme prevedono che, sin dai primi momenti del processo decisionale in materia ambientale, il pubblico interessato deve essere informato, o da un avviso pubblico o individualmente, circa: l’attività proposta e la richiesta su cui verrà presa una decisione; la natura delle possibili decisioni o la bozza di decisione; l’autorità pubblica responsabile della decisione; la procedura prevista, con ogni possibile informazione circa le modalità di partecipazione; il fatto che l’attività proposta è soggetta ad una procedura nazionale o transfrontaliera di valutazione dell’impatto ambientale;b)                 deve essere applicata la procedura di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e non quella semplificata con ricorso ad una Conferenza di servizi. Ovviamente, dovevano partecipare obbligatoriamente al procedimento l’ASL e l’ARPA;c)                  si applica tutta la normativa, a carattere amministrativo, civile e penale, sullo smaltimento dei rifiuti;d)                 è da verificare se la Società sia in possesso dei requisiti per usufruire degli incentivi.Non ci sono agli atti elementi che facciano pensare che la Soc. Agricola Aurelia fosse in possesso di tali requisiti all’atto della domanda di autorizzazione ma è senz’altro poco probabile che li possieda la Soc. Sasso Green Power che ha ottenuto la voltura dell’autorizzazione pochi giorni dopo il suo rilascio. 

*************   ALLEGATO N. 2 

 OSSERVAZIONI SULLA PERIZIA DEL DOTTOR MONTANARI

   

1. Premesse.

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La perizia elaborata dal dott. Stefano Montanari ha evidenziato, come del resto era stato dal medesimo anticipato nel corso del Consiglio comunale aperto del 18 aprile scorso, aspetti tecnico-sanitari estremamente preoccupanti.

Nelle premesse viene opportunamente chiarita la pericolosità del particolato inorganico  generato da ogni forma di combustione, il quale è capace di transitare dagli alveoli polmonari al sistema circolatorio e, da qui, ad ogni organo o tessuto, dove – trattandosi di particelle nella maggior parte dei casi non biodegradabili e non biocompatibili – viene sequestrato in maniera irreversibile con la possibilità di provocare danni cellulari non facilmente rilevabili. Anche le polveri cadute a terra – depositandosi su frutta, verdura, cereali, foraggio, ecc. – diventano alimento per uomini e animali  e, una volta introdotte nell’apparato digerente, possono subire una sorte del tutto analoga a quelle inalate, passando nel sangue e quindi ad organi e tessuti con conseguenze identiche. Le patologie che ne possono derivare sono le più diverse (forme tumorali, patologie cardiovascolari, neurologiche e della riproduzione, tra cui forme di malformazione fetale) ma per la loro origine comune vengono classificate come “nanopatologie”, dove il prefisso “nano” indica una genesi principale da nanopolveri. E in effetti, come è ormai pacificamente riconosciuto, più le particelle sono piccole, più facilmente riescono a penetrare nell’organismo innescando le patologie sopra indicate.

Particolare attenzione è dedicata al cosiddetto particolato secondario, il quale si forma in atmosfera per condensazione fotocatalitica tra alcuni gas (per esempio, l’ozono) e i radicali liberi presenti nell’aria, da una parte, e da quelli emessi dalla combustione (principalmente ossidi di Carbonio, di Azoto e di Zolfo, ma anche gas di natura organica che variano a seconda della composizione del gas bruciato) dall’altra. Queste particelle si formano in tempi che possono essere anche di qualche giorno e sono capaci di percorrere distanze notevoli; ad esse aderiscono sostanze inquinanti non necessariamente prodotte dall’impianto che ha generato le polveri ma provenienti da altre fonti quali i gas di scarico dei motori a scoppio, gli effluenti di impianti industriali che lavorano ad alta temperatura, i fumi dovuti al riscaldamento delle abitazioni, ecc. Tra le sostanze inquinanti più note che viaggiano “attaccate” al particolato secondario (e che non potrebbero raggiungere grandi distanze se non avessero un “portatore”) ci sono le diossine e i furani diossino-simili, agenti teratogeni (ovvero che provocano lo sviluppo anomalo di organi nell’embrione) e anche classificati cancerogeni dall’apposita Agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Riguardo agli ossidi di Azoto, si sottolinea nella perizia che mentre in condizioni normali l’Azoto (che rappresenta l’80% dell’atmosfera) e l’Ossigeno (che ne rappresenta il 20%) non reagiscono tra loro, con l’innalzamento della temperatura nel processo di combustione avviene la reazione reciproca e si formano quindi quantità enormi di ossidi di Azoto.

Queste premesse di carattere generale, sottolineando i reali pericoli per la salute che presentano gli impianti a biogas anche quando risultano a norma, rendono particolarmente allarmanti le carenze tecniche e istruttorie rilevate nella documentazione sulla base della quale la Provincia ha svolto il procedimento di autorizzazione. 

 2. Ubicazione dell’impianto.La perizia non manca di sottolineare i ben noti pregi paesaggistici, naturalistici,

idrotermali e archeologici del luogo, che è soggetto a diversi vincoli tra cui il Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) e quello di Zona a Protezione Speciale (ZPS) ed è pure di interesse UNESCO. Il sito di costruzione è identificato dal Piano Territoriale e

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Paesaggistico (PTPR) nel Paesaggio Naturale di Continuità, il che significa una zona situata all’interno o poco fuori rispetto a paesaggi di alto valore naturale o seminaturale il cui rispetto e la cui protezione sono tutelati dalla legge. In questi territori sono consentiti interventi volti al recupero ambientale per il ripristino della sua naturalità.

Importante (e di notevole gravità) è la constatazione che sebbene dichiarato in più punti della documentazione che l’impianto sorge in una zona “lontana da insediamenti urbani”, di fatto la distanza misurata su carta topografica dalla prima casa abitata è di circa 250 m., dal primo centro abitato circa 800 m., dal paese 1 km, dalla scuola materna 1,2 km e altrettanto da un centro agrituristico.

Nelle immediate vicinanze è pure ubicata una cava di fluorite ora apparentemente esaurita del minerale ma tuttora in attività per altri (?!?) scopi. Qui esiste un invaso di acqua sorgiva utilizzata a scopo irriguo. Circa 4 km a est dell’impianto di trova, gestito dall’ACEA, il pozzo che preleva l’acqua potabile per tutta la zona della località Sasso.

Numerosi corsi d’acqua scorrono attorno al territorio occupato dall’Azienda Agricola Aurelia o l’attraversano all’interno dell’area dove si prevede di utilizzare il digestato.  Nella stessa zona sgorgano diverse sorgenti d’acqua sia fredda che calda ed esistono pure sorgenti sulfuree e ferruginose. Molte falde sono assai superficiali, tanto da bagnare vistosamente il suolo.

Secondo quanto riportato dal Sindaco nel documento del 29 agosto 2012 (ricorso per l’annullamento in autotutela degli atti autorizzativi) nella zona insiste un movimento franoso.

Si afferma poi che entro il territorio esistono colture agricole di cui alcune biologiche e ci sono pure piantagioni di ulivo.

Queste affermazioni, sebbene la situazione descritta sia senz’altro conosciuta e quindi non giustifichi di per sé un intervento in via di urgenza, sono però prova palese di un grave difetto di istruttoria che fa da “sfondo” alle più gravi carenze di seguito rilevate.

  3. Caratteristiche dell’impianto.L’impianto è costituito da fermentatori  anaerobici a secco che, nelle

intenzioni dichiarate, trattano prevalentemente mais, sorgo e triticale coltivati in loco, su 120 ettari di una proprietà agricola di circa 800 ettari. La fermentazione dei vegetali produce un gas (“biogas”) che viene bruciato in un cogeneratore (produttore di elettricità e calore) dalla potenza elettrica dichiarata di 999 kW. Il residuo è un compostato (“digestato”) sia in fase solida che in fase liquida. Il vegetale insilato sarà conservato in una trincea della capacità di circa 12.000 m³, capacità che però alla pagina seguente è indicata in 6.500 m³. Può trattarsi di una svista o di una descrizione inesatta, ma indubbiamente deve essere chiarita la dimensione effettiva delle trincee, anche al fine di verificare in sede di collaudo la conformità al progetto delle opere eseguite.

 4. AlimentazioneNella perizia si rileva innanzi tutto l’imprescindibile necessità di chiarire che

cosa si intende nel documento relativo alla Conferenza dei servizi prot. 11/11/10 quando si dice che l’impianto sarà alimentato prevalentemente a biomasse. Poiché il decreto legislativo n. 387 del 2003 consente l’impiego della FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano), resta teoricamente aperta la possibilità che venga impiegata, per alimentare l’impianto, anche la parte biodegradabile dei rifiuti

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industriali e urbani; poiché nulla si dice a proposito della genetica dei vegetali impiegati, potrebbe trattarsi di organismi geneticamente modificati (che potrebbero alterare le caratteristiche di colture analoghe nelle vicinanze, con conseguente danno per gli agricoltori che non potrebbero più commerciare il loro prodotto come esente da OGM); poichè il mais, il sorgo e il triticale sarebbero coltivati a scopo non alimentare, per la loro crescita potrebbero essere impiegati concimi o pesticidi in quantità non consone ad un consumo umano o animale, circostanza questa che annullerebbe il significato del prefisso “bio” del neologismo biomassa. Nulla si dice infine del consumo di acqua che le coltivazioni comporterebbero. La società richiedente l’autorizzazione dichiara che eventuali integrazioni alle forniture (sicuramente necessarie) verranno effettuate mediante acquisti in loco non meglio specificati, ma desta perplessità e preoccupazione la circostanza che non sia stata seminata e coltivata nei terreni dell’azienda alcuna sorta di vegetali e che nella zona non esistano coltivazioni idonee a “integrare” e tanto meno a fornire in toto materie prime per alimentare l’impianto una volta terminato ed entrato in esercizio.

 5. PrecauzioniSi legge nella perizia che i vegetali vengono insilati ed entrano nella struttura a

flusso continuo. Anche se questo sistema comporta costi inferiori rispetto a quello detto “a batch” in cui il processo è discontinuo (cioè, una volta caricato il digestore, si lascia che la fermentazione proceda senza prelievi e senza aggiunte), tuttavia è meno sicuro per il rischio di ricontaminazione dei digestati. La presenza di spore di Clostridium, diversi batteri gram-positivi anaerobici responsabili di tetano, gangrena gassosa, tossinfezioni alimentari, necrosi dei tessuti, botulismo, è stata denunciata ripetutamente in letteratura, in particolare dal prof. Helge Böhnel dell’Università di Göttingen. A parte la loro patogenicità, tali batteri vivono secondo un metabolismo che produce anidride carbonica, tanto che la regione Emilia Romagna ha vietato l’uso di impianti a biogas nelle zone in cui viene prodotto il formaggio parmigiano reggiano per evitare che le forme esplodano. La Svezia impone l’obbligo di pastorizzare i digestati prima che questi siano sparsi sul terreno, ma se il procedimento può essere vantaggioso per neutralizzare l’Escherichia coli, nulla può contro le spore. Peraltro, il problema della ricontaminazione dei digestati nella documentazione esaminata non è nemmeno sfiorato, benché rassicurazioni in proposito fossero particolarmente necessarie – oltre che per la salute di persone e animali – anche in considerazione del fatto che il sito è una Zona a Protezione Speciale per la presenza di specie, in particolare avicole, ritenute meritevoli di protezione a livello europeo. La probabilità che sia la flora che la fauna possono essere contaminate dalle spore in questione è tutt’altro che remota e avrebbe imposto idonee precauzioni.

 6. Inquinamento delle falde acquifereE’ ovvio, afferma la perizia (pag. 10) che il digestato sparso al suolo produrrà un

percolato che andrà ad intridere il terreno e, con il tempo, a raggiungere le falde acquifere. Ma nella documentazione esaminata non c’è traccia dei corsi d’acqua e delle sorgenti presenti in loco, come non c’è la minima menzione dei fertilizzanti che saranno eventualmente impiegati tenendo conto della composizione del terreno e delle necessità di eventuali coltivazioni. Nella perizia si accenna ai pericoli di un eccesso di sali dell’acido nitrico, ovvero di perdita di Azoto sotto forma di ammoniaca o di ossidi emessi in atmosfera a seguito dello spargimento di digestati senza interramento. Non va dimenticato che il digestato, quando non è il residuo di coltivazioni agricole, è a tutti gli effetti considerato un rifiuto tanto che in alcune circostanze viene addirittura

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smaltito in discarica. L’assoluta mancanza di dati   ante operam   e di specifiche analisi e proiezioni è particolarmente allarmante non solo per le considerazioni di cui al punto precedente (presenza di flora e fauna protette), ma anche per la presenza in zona di acque pregiate per la loro possibilità di utilizzo termale. Un inquinamento a loro carico (praticamente irreversibile) ne annullerebbe il valore oltre, naturalmente, a limitarne fortemente l’impiego anche per usi potabili e irrigui.

 7. Polveri secondarieManca qualsiasi valutazione riguardo alla formazione di polveri secondarie,

ossia alla conoscenza della effettiva quantità di Azoto contenuto negli 11.280 m³ giornalieri di biogas usati dal motore, come non è specificata la temperatura di uscita dei fumi. Secondo quanto affermato nella perizia la conoscenza della temperatura è inderogabile se si vuole avere un’idea della quantità di ossidi di Azoto prodotti dalla reazione tra Ossigeno e Azoto atmosferici, reazione evitabile solo con un’emissione di fumi a temperatura ambiente. Inoltre, si sarebbe dovuto valutare quali fonti inquinanti locali producano le sostanze che possono valersi dell’azione di trasporto di quelle polveri, quali siano le quantità di quegli inquinanti, quali le aree di diffusione e di ricaduta, quale la massima persistenza (si vedano  le Premesse). La presenza di Cloro ed eventualmente di Rame nei vegetali impiegati renderebbe estremamente probabile la formazione di diossine, ormai pacificamente riconosciute come cancerogene. Ebbene, non disponendosi di un’analisi chimica dei materiali di ingresso e del biogas, qualsiasi valutazione risulta impossibile, tanto da chiedersi su quali basi si sostenga qua e là in tutta la documentazione l’innocuità dell’impianto, qualificando addirittura come “pulita” l’energia ricavata.

 8. Bilancio dell’anidride carbonica.Secondo quanto riportato nella perizia, sarebbe del tutto opinabile

l’affermazione che il bilancio relativo alla produzione e alla cattura di anidride carbonica sarebbe in pareggio (Relazione agronomica del 15 dicembre 2010). Il calcolo riportato a pag. 7 della Risposta alla Richiesta di integrazioni della Provincia prot. 42869 non terrebbe conto almeno della CO2 prodotta dalle coltivazioni, dai trasporti e dalla gestione dei rifiuti, considerando solo una frazione minima della realtà e su quella ragionando in maniera fuorviante (ritenuta tale anche in via generale dall’Institute for Environment and Sustainability del Joint Research Centre della Commissione Europea).

 9. Composizione reale del biogasQuanto poi ai componenti principali del biogas, la documentazione tratta in

maniera incompleta e contraddittoria le reciproche proporzioni fra metano e anidride carbonica nonché la presenza e la proporzione di altri gas. Un esempio vistoso di carenza di dati sarebbe quello relativo allo Zolfo, ed in particolare al processo di desolforazione descritto (in meno di 8 righe) nella Risposta alla Richiesta di integrazioni della Provincia prot. 42869. Il relatore afferma che a tal fine è sufficiente insufflare aria per fare intervenire due “bacilli ubiqui” (il Thiobacillus e il Sulfolobus) i quali ossiderebbero H2S a S, ma tale affermazione è scientificamente contestata nella perizia dove, ancora una volta, si lamenta l’assoluta inadeguatezza della documentazione. In particolare, la perizia è particolarmente critica riguardo all’asserzione (pag. 12 della Relazione) che “sulla base di quanto relazionato si può concludere che la realizzazione dell’impianto a biogas in un’area agricola si qualifica come un’opera che ha un modesto impatto ambientale, in quanto nei luoghi

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non sono presenti situazioni di fragilità ambientale e pertanto non provocherà incidenze significative”, asserzione che appare palesemente priva di qualunque fondamento scientifico in mancanza di una disamina chimicamente comprensibile. Come totalmente inattendibile è l’affermazione (pag. 11) che “non sono previsti in alcuna fase del progetto produzioni di rifiuti”, laddove si trascura che – a parte il fatto che polveri e gas prodotti sia dall’impianto che dai mezzi di trasporto adibiti al rifornimento sono da considerare a tutti gli effetti rifiuti – anche il digestato stesso è incluso dalla Comunità Europea tra i rifiuti con tanto di codice (190606).

 10. Restitutio ad integrumQuesto è probabilmente l’aspetto che resta più critico. Come sempre, la

documentazione liquida in poche parole vaghe (si veda la relazione Progetto di Ripristino del 13 aprile 2010 aggiornato al 21 settembre 2010) l’impresa di ripristino come “ concettualmente molto semplice ” ( !!! ), ma non spiega poi come si farà, allo smantellamento, a restituire allo stato   ante operam   un terreno che non si può non prevedere inquinato dalle ricadute di cui si è detto. Non spiega come si farà a disfarsi di manufatti quali le coperture dei digestori (coperture dichiarate di plastica senza specificare di che plastica si tratti); se si trattasse di cloruro di polivinile (PVC), come vagamente accennato nel suddetto documento, il loro “smaltimento” sarebbe quanto meno problematico non potendosi ricorrere all’incenerimento a pena, tra i tanti altri inquinanti, di produrre diossine e sostanze diossino-simili clorurate. Come siano smaltite, reimpiegate o riciclate le apparecchiature meriterebbe un approfondimento, e lo stesso vale per la demolizione, trasporto e riciclaggio di digestori, vasche di stoccaggio, muri, cabine e tutto il resto. Né si accenna al ripristino dell’ambiente, dalla purezza delle falde acquifere alla composizione del terreno, dalle inevitabili variazioni di microflora e flora, microfauna e fauna, fino alle interazioni con la salute umana. Degna della massima attenzione è la frase “ non sono necessarie bonifiche di alcun genere poiché le fonti rinnovabili (insilato di mais, sorgo, triticale) utilizzate per alimentare l’impianto di degradazione anaerobica ed il processo di degradazione stesso non creano rifiuti incompatibili con lo sversamento in terreno agricolo, il quale anzi si avvantaggia delle caratteristiche ammendanti, quindi arricchenti, del digestato dell’impianto di produzione di biogas ”. Il che lascia intravedere l’intenzione di rovesciare al suolo, addirittura senza interramento, il digestato. “A riprova di come non ci si renda conto di quali e di quale entità siano le opere effettive da mettere in pratica, pur dimenticando per un attimo quelle impossibili anche se sono la soverchiante maggioranza, si veda la fidejussione prestata, una garanzia che ammonta a 85.473,65 Euro, somma che potrebbe coprire una frazione assolutamente esigua dei costi e, di fatto, inutile. Nessuna garanzia, invece, viene prestata per i danni che potrebbero essere dimostrati come dovuti all’impianto a carico degli agricoltori non coinvolti nell’affare (per esempio, alcuni gestori locali di colture biologiche che ricevono contributi comunitari), degli allevatori, degli operatori turistici, dei proprietari di immobili e, soprattutto, di chi potrebbe risultare affetto da patologie. In caso di danno accertato nessuna di queste categorie godrebbe di una protezione economica, visto anche che la società a responsabilità limitata proponente ha un capitale sociale di appena 20.000 Euro”.

 11. Valutazione di incidenzaAnche il dott. Montanari ha confermato quanto sostenuto da tempo dai comitati

(confortati dalla relazione dell’esperto Guido Proia) riguardo al documento chiamato Valutazione d’Incidenza, definendolo “una ricerca scolastica compilata

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frettolosamente non sul campo ma a tavolino con dei copia-incolla da fonti generiche anche piuttosto datate (…), un documento che, a dispetto del titolo, non offre alcuna informazione sull’incidenza dell’impianto, un aspetto assolutamente impossibile da trascurare non fosse altro perché è il soggetto del documento”.

 12. Computo emissivoDalla documentazione non risulta alcun computo emissivo, risultando del tutto

trascurata l’osservanza del principio ormai universalmente accettato secondo cui, aprendo una fonte inquinante, qualunque essa sia e di qualunque entità, è necessario chiuderne contemporaneamente una preferibilmente di maggiore portata o, nella peggiore delle evenienze, di portata uguale. La Provincia di Roma si è riservata (Conferenza dei servizi, Protocollo 11/1/10) di esprimere un parere sulle emissioni ma non è dato sapere su quali dati si baserà visto che i dati non esistono.

 13. Bilancio energeticoSecondo il dott. Montanari  “Appare evidente che la sola giustificazione

dell’esistenza di un impianto simile è quella degli introiti garantiti dagli incentivi di legge, stante il fatto che, se si tiene conto del dispendio energetico imputabile ad ognuno dei passaggi che la gestione del sistema prevede, il bilancio è decisamente negativo, cosa che è compensata, in una prospettiva nazionale, dal grande eccesso di potenziale energetico installato in Italia rispetto alla domanda effettiva”. In effetti, l’Italia è tecnicamente autosufficiente. La richiesta massima storica è stata, nel 2011, di circa 56,8 GW, laddove le centrali esistenti potevano erogare una potenza massima netta di circa 118 GW. A causa della persistente crisi economica e grazie ad impianti industriali e domestici meno energivori la domanda energetica è in calo costante mentre, paradossalmente, è in aumento l’offerta garantita dai numerosissimi impianti di combustione, diretta o indiretta, che stanno sorgendo grazie agli incentivi di cui godono. E’ quindi del tutto indimostrata l’utilità sociale di produrre ulteriori 999kW di elettricità, con buona pace dell’art. 41 della Costituzione secondo il quale l’iniziativa economica “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”.

 14. Destinazione del calore prodottoDel tutto vaga è la destinazione del calore prodotto, il cui uso per riscaldare

serre è accennato come ipotetico e non trova il minimo riscontro in strutture realizzate o almeno progettate. Il realtà il calore, usato per il processo stesso e per il resto presumibilmente disperso nell’ambiente, non produce alcuna utilità sociale.

 15. Controlli chimici e biologici.La documentazione è singolarmente silenziosa per ciò che attiene ai controlli

chimici e biologici su ciò che entra nell’impianto e ciò che ne esce. 16. Previsione e gestione dei rischiLa già citata Valutazione d’incidenza si occupa anche del rischio di incidenti

legati al funzionamento dell’impianto affermando, al paragrafo 11.4, che “Non esistono rischi di incendi legati alle sostanze e tecnologie che verranno utilizzate”. Tale apodittica dichiarazione lascia stupiti visto che questo tipo di impianto è tutt’altro che esente da rischi, come risulta dall’abbondante casistica registrata in Germania ma anche in Italia, ed è coerente con la totale mancanza di previsioni riguardo ad addestramenti per il personale o informazioni adeguate rivolte alla popolazione.

Page 18: Web viewIl territorio dell’Alto Lazio presenta delle fragilità drammatiche che, unite ai cambiamenti climatici in atto, promettono ai nostri figli un futuro allarmante

  CONCLUSIONILa perizia può, ad una lettura superficiale, apparire generica, ma in realtà

tale genericità è inevitabilmente indotta dalla totale mancanza di dati significativi nella documentazione esaminata. Mancanza questa che assume la stessa rilevanza di dati  a valenza negativa e che, testimoniando un’istruttoria non tanto frettolosa quanto colposamente superficiale, induce motivi di allarme talmente gravi e numerosi sotto il profilo dei rischi per la salute di animali e persone e per la salvaguardia dell’ambiente (un ambiente, peraltro, particolarmente tutelato) da indurre a condividere le conclusioni finali del dott. Montanari il quale, a chiusura, ritiene “non sia possibile fare altro che congelare lo stato delle cose arrestando ogni attività della centrale in attesa delle moltissime delucidazioni richieste e del tutto inderogabili per una valutazione credibile”.