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Luiss Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli Dipartimento di Scienze storiche e socio-politiche Sezione di ricerca sulla comunicazione LA PUBBLICITÀ SECONDO JACQUES SÉGUÉLA Lorenzo Ugolini Working Papers n. 2, 2006 © 2006, Pubblicazioni a cura della Sezione di ricerca sulla comunicazione del Dipartimento di Scienze Storiche e socio-politiche, Luiss Guido Carli, Roma - Via Oreste Tommasini, 1 - 00162 Roma - Tel. 06/86506.701 - Fax 06/86506.503 - E-mail: [email protected]

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Luiss Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli Dipartimento di Scienze storiche e socio-politiche Sezione di ricerca sulla comunicazione

LA PUBBLICITÀ SECONDO JACQUES SÉGUÉLA

Lorenzo Ugolini

Working Papers n. 2, 2006

© 2006, Pubblicazioni a cura della Sezione di ricerca sulla comunicazione del Dipartimento di Scienze Storiche e socio-politiche, Luiss Guido Carli, Roma - Via Oreste Tommasini, 1 - 00162 Roma - Tel. 06/86506.701 - Fax 06/86506.503 - E-mail: [email protected]

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INDICE Introduzione...................................................................................................................... 3 1. Le teorie di Jacques Séguéla in materia di pubblicità .............................................. 4

a. Il concetto di star ............................................................................................. 4 b. Il passaggio da marca a marca-persona e da marca-persona a marca-star .. 5 c. Il fisico, il carattere, lo stile............................................................................. 8 d. La capacità di rimanere nello star-system .................................................... 13 e. Il metodo Séguéla........................................................................................... 16

2. Il concetto di pubblicità di Séguéla, oltre gli stilemi della sua epoca: la pubblicità come arte ........................................................................................... 18

3. L’applicazione delle teorie di Séguéla alla pubblicità politica............................... 23 a. L’applicazione del metodo ............................................................................. 24 b. Le differenze tra pubblicità commerciale e pubblicità politica ..................... 26

4. Alcuni esempi ......................................................................................................... 28 a. La pubblicità per i Produits Libres di Carrefour .......................................... 28 b. La pubblicità Citroën..................................................................................... 31 c. La campagna La Force Tranquille: presidenziali in Francia,

per François Mitterand, 1981........................................................................ 39 d. Le campagne nell’est europeo: presidenziali in Bulgaria,

Želio Želev, 1990............................................................................................ 43 5. Conclusioni............................................................................................................. 46 Appendice....................................................................................................................... 47

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LA PUBBLICITÀ SECONDO JACQUES SÉGUÉLA

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Introduzione

Qual è il legame che unisce Marlboro e John Wayne, Marylin Monroe e Coca Cola, Microsoft e Woody Allen, Citroën e François Mitterrand? La risposta è allo stesso tem-po molto semplice e molto accattivante: si tratta, in tutti i casi, di vere e proprie star. E se pensate che sia errato o persino sacrilego accomunare i grandissimi personaggi di Hollywood, o grandi uomini politici, a semplici prodotti commerciali, provate a chie-dervi se non vi sia una certa similitudine tra le reazioni e le emozioni evocate da queste “entità”… e se non è quindi opportuno considerare quei prodotti alla stregua di vere e proprie star.

Su questa semplice ma rivoluzionaria considerazione si basano il pensiero in materia di pubblicità e la carriera di Jacques Séguéla, il pubblicitario francese che nel corso de-gli anni Settanta ed Ottanta ha saputo imprimere una svolta rivoluzionaria ad un mondo che si stava sempre più appiattendo sul classico metodo all’americana. Al sistema che imponeva di limitarsi a decantare in toni più o meno enfatici caratteristiche e qualità del prodotto pubblicizzato, a quella che viene comunemente chiamata reason why, Séguéla contrapporrà quella che lui stesso definisce passion why. La sua agenzia pubbli-citaria, che egli stesso ha fondato nel 1969 insieme a Bernard Roux, e che ora porta il nome di EuroRSCG, sarà pioniera di questo nuovo metodo, incentrato più sul desiderio e sulle passioni del pubblico. E proprio Jacques Séguéla dimostrerà uno spirito pionieristico ancora più radicale, portando negli anni Ottanta il suo metodo rivoluzionario fin dentro i salotti della politica: dimostrerà infatti che le sue idee in materia di pubblicità si posso-no applicare con successo anche al più ingessato mondo delle campagne elettorali, che egli condurrà con successo, prima per François Mitterrand e poi con molti altri candida-ti, francesi e non.

Probabilmente, una volta tanto non è esagerato parlare di un rivoluzionario, ovvia-mente nel campo della pubblicità. Jacques Séguéla è senza dubbio uno dei maggiori ar-tefici dei cambiamenti che metodo e linguaggio pubblicitario hanno conosciuto in Fran-cia e in Europa. Erede ideale dei grandi advertising-men americani (come Bill Bern-bach, Leo Burnett e David Ogilvy – quest’ultimo scozzese, ma che ha conosciuto il suc-cesso negli Stati Uniti), Séguéla ha saputo prendere il testimone da questi grandi nomi, e intraprendere, con metodo e creatività al tempo stesso, la strada del rinnovamento, di una nuova pubblicità. Una strada che lo stesso Séguéla amplierà (“ha inferto un colpo ancora più violento, portando a estreme conseguenze il percorso intrapreso dai suoi pre-decessori”1, come scrive Raffaello Volpe) e percorrerà poi fino in fondo, introducendo moltissime innovazioni, una su tutte, come abbiamo già detto, l’applicazione del suo metodo alla comunicazione politica.

Inoltre, per quanto riguarda il “personaggio Séguéla”, il suo impatto sul mondo della pubblicità e della comunicazione in generale è stato sicuramente reso più efficace dal

1 http://www.italianiliberi.it/Lettere/immagine.htm

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carattere stesso di Jacques Séguéla. Provocatorio, sfacciato, megalomane (in Francia fu coniato, appositamente per lui, il termine “ségualomania”), è il classico personaggio “scottante”. Si tratta inoltre di uno dei pochi pubblicitari che escono dall’ombra e si e-spongono in prima persona: il successo enorme ottenuto nel 1976, con la campagna dei Produits Libres per Carrefour, gli permette di presentarsi al pubblico come un vero e proprio guru della nuova via della pubblicità. Ed è così che Jacques Séguéla ha saputo innescare un circolo virtuoso, che ad ogni successo faceva seguire maggiore popolarità, a maggiore popolarità seguiva maggior diffusione delle sue idee, e infine di conseguen-za arrivava un maggior successo, e una maggior crescita, per lui come per tutta la pub-blicità francese, europea e mondiale.

1. Le teorie di Jacques Séguéla in materia di pubblicità

a. Il concetto di star Per quanto possa apparire insolito, il fondamento della teoria di Séguéla in materia

di pubblicità prende forma, a sua insaputa, nel 1959, allorché un timido e semiscono-sciuto sceneggiatore danese, Hans Jorgen Lembourn, si presenta a Marilyn Monroe per chiederle un’intervista. Quest’intervista, ad una vedette già in piena crisi di identità, si trasformerà in un profondo dialogo a cuore aperto, che spingerà Marilyn ad abbandona-re tutto e seguire lo sceneggiatore in quaranta giorni di fuga e passione. Nel 1980, Lem-bourn pubblica il libro Quaranta giorni con Marilyn, in cui, nel raccontare il suo rap-porto con la diva, dice: “nessuna descrizione può esprimere quello che era. Per la sem-plice ragione che, a causa della sua celebrità, lei diventava per ogni uomo che le si avvi-cinava una proiezione di se stesso nel sogno comune a tutti”.

Fu leggendo quel libro, ed in special modo quel passaggio, che Séguéla seppe dare finalmente un nome, e quindi un fondamento, al cammino che già da dieci anni aveva intrapreso nel mondo della pubblicità. “Avevo finalmente capito il meccanismo di quel cordone ombelicale che mi era sempre parso collegare il ventre di Hollywood e quello della nuova pubblicità che stavo cercando. Il filo d’Arianna della comunicazione era la star. Un essere unico e multiplo in cui ciascuno s’identifica e che si identifica con tutti. Ciascuno deve trovarvi il suo piacere, ma la marca deve soddisfare tutti”.

Da questo presupposto parte l’innovativa idea che farà di Séguéla uno dei maggiori pubblicitari del suo tempo. Il pubblico deve essere stimolato e incentivato a sognare, a desiderare. “Tocca alla pubblicità prendere il posto degli ormai fiacchi mercanti d’illu-sioni di Hollywood. Le nostre marche devono essere le nuove dive”2. Nasce così quella che Séguéla felicemente battezza la star strategy, in opposizione alla più classica copy strategy all’americana, che, come detto, consiste molto più semplicemente nel rimanere centrati sul prodotto magnificandone le doti. Séguéla lancia la sua sfida a questo metodo ritenendolo obsolescente, dato che “chi, nel 1982, può seriamente interessarsi ad un de-tersivo che non sa far altro che lavare?”3. Passare da una marca a una star, però, non è certo un cammino immediato. Séguéla, nel suo libro-simbolo Hollywood lava più bian-co, traccia le basi del procedimento che porterà una marca nei sogni del pubblico.

2 J. SÉGUÉLA, Hollywood lava più bianco, Lupetti, Milano 1985, pag. 19. 3 Ivi, pag. 41.

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b. Il passaggio da marca a marca-persona e da marca-persona a marca-star “Tocca alla comunicazione, figlia della pubblicità e nipotina della réclame, attribuire

ai prodotti quel valore onirico senza il quale la nostra pasta, il nostro olio, il nostro de-tersivo sarebbero solo pasta, olio, detersivo”4. Cosa fa di una marca-oggetto una marca-persona? Cosa trasforma una pasta, un olio, un detersivo? La risposta è semplice: il de-siderio. Il sogno del potenziale cliente. Il nuovo cliente, il potenziale cliente della nuova era della pubblicità, come abbiamo visto, è un cliente che nel prodotto non cerca più un semplice avere: ha bisogno di essere. La mente dell’acquirente è ormai satura di prodot-ti che sanno fare, che comunichino al cliente la sensazione di rimanere tagliati fuori.

Séguéla porta un esempio estremamente singolare: quello di Xavier Roberts. Si trat-ta di un imprenditore americano, arricchitosi nel giro di pochissimi mesi, da quando, nel 1981, ebbe un’idea estremamente audace: quella di vendere dei banalissimi pezzi di po-liestere, stampati in modo da apparire come una bambola. Il prodotto, in quanto tale, può apparire inutile e privo di interesse, o, per meglio dire, privo di una motivazione che spingerebbe il potenziale cliente all’acquisto. La grande idea di Roberts, però, fu quella di catalizzare intorno a questa bambola un universo onirico in cui centocinquan-tamila americani si affrettarono a tuffarsi. L’acquisto di questa bambola veniva presen-tato come una vera e propria adozione. L’acquirente era tenuto ad un giuramento, nel quale si impegna a prendersi cura di queste bambole, che, altra notevole accortezza, so-no l’una diversa dall’altra. In pochi mesi nacquero duemila centri di adozione e un o-spedale per curare le piccole pazienti di poliestere. In fin dei conti, cos’è questo prodot-to, se non unicamente un concentrato di sogni? Nessuno degli acquirenti è tanto credu-lone dal farsi ingannare, tutti sanno di star accudendo una bambola che non ha certo bi-sogno di cure per sopravvivere. Ma può l’uomo privarsi di fantasticherie?

Proprio per questo il metodo di Séguéla (che portava avanti l’agenzia con il cofon-datore Bernard Roux e con Alain Cayzac e Jean-Michel Goudard – dalle loro iniziali, il nome dell’agenzia: RSCG), cerca di andare oltre gli stilemi imposti dal modo “classico” di fare pubblicità. Là dove il metodo della Unique Selling Proposition si basava esclusi-vamente sulla palese presentazione del prodotto e dei suoi benefici, la RSCG si interro-ga sulla vera essenza dei prodotti. Un prodotto non può limitarsi ad essere unicamente quello che è: non può esimersi dal trasmettere qualcos’altro, perché è proprio quest’enti-tà in più che lo renderà appetibile agli occhi del consumatore. La marca è sempre stata rappresentata dal suo prodotto, ed è sempre stata considerata come un semplice oggetto: ma cosa ci impedisce di considerarla come una persona? La risposta che Séguéla propo-ne al suo stesso interrogativo è tanto immaginifica quanto, in realtà, reale: “Un prodotto nasce, […] un prodotto cresce, […] ma soprattutto un prodotto comunica. Dopotutto, facendone una marca, gli abbiamo dato il dono della parola. Si esprime in radiotempi, dimostra in telecomunicati, discorre in spot cinema, scrive in annunci stampa, disegna in manifesti. E questa incessante voglia di esistere ha successo. Le marche diventano poco a poco nostre amiche. Le scegliamo dapprima con circospezione, ma se ci sanno conquistare, non ne vogliamo più altre. Presto entrano a far parte della famiglia. Hanno la nostra fiducia. Non siamo disposti a perdonar loro un calo di qualità, né un’assenza, e a questo prezzo siamo loro fedeli. Insomma, i nostri rapporti con le marche diventano affettivi, se non passionali”5. Questo era il profilo del consumatore che si presentava sul mercato in quel periodo.

4 Ivi, pag. 43. 5 Ivi, pag. 47.

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Da questo discorso traspare con una certa ovvietà che la copy strategy poteva ri-spondere alle sue esigenze in maniera solo parziale. La sfida che lanciano Roux, Ségué-la, Cayzac e Goudard consiste proprio nel colmare questo vuoto: cercare di regalare, at-traverso la comunicazione, un’anima al prodotto: “cercare di trasformare i prodotti-oggetto in esseri viventi”6. Altri pubblicitari si erano avvicinati a questo concetto: Bill Bernbach già aveva espresso il suo disappunto per una tecnocrazia capace di creare un corpo ma incapace di far scorrere sangue nelle vene. Marcel Bleustein-Blanchet, mo-numento della pubblicità francese, intuì la possibile analogia tra una marca e una perso-na. Ma i primi ad andare fino in fondo furono proprio Bernard Roux, Jacques Séguéla, Alain Cayzac e Jean-Michel Goudard.

I quattro titolari di RSCG furono così portati ad interrogarsi sulla vera essenza di una persona, e conclusero che una persona si poteva esplicare nell’amalgama di tre cri-teri: il fisico, il carattere e lo stile. Il fisico è il primo biglietto da visita: una persona si identificherà attraverso la struttura fisica, il colore di occhi e capelli e tutta la serie di ca-ratteristiche estetiche. Il carattere altro non è che ciò che, nel linguaggio comune, viene per l’appunto definito “carattere” di una persona: “ci fa teneri o aggressivi, sanguigni o linfatici, sognatori o realisti. […] Ci fa condurre la vita che più ci assomiglia”7. Rimane da stabilire il canale che sarà percorso per esprimere il carattere: e questo è lo stile. So-stanzialmente, è la parte del carattere che si esprime all’esterno, e può essere dettato dal-le parole così come dai gesti, dalla pettinatura come dal vestito. “Marilyn Monroe non metteva mai due volte lo stesso vestito. La sua sarta glieli cuciva addosso,a fior di pelle. Così l’unico modo di sbottonarsi era un colpo di forbici. Woody Allen invece porta la stessa camicia scozzese dai tempi dei suoi esordi”8. Sono due facce della stessa meda-glia, sono due modi opposti ma in fin dei conti identici di esprimere la sostanza attra-verso l’apparenza, e quindi il carattere attraverso lo stile.

Parallelamente, anche le marche hanno un fisico, un carattere e uno stile. Il fisico è costituito dal prodotto, dalle sue caratteristiche, dalle sue capacità, e costituisce l’inevi-tabile punto di partenza dell’intero sistema, così come il fisico di una persona ne costi-tuisce l’inevitabile primo impatto sul prossimo. Il fisico della marca, però, è solo il pri-mo aspetto. Appare in effetti inutile, per un pubblicitario, limitarsi a magnificare le doti del prodotto, così come per una persona apparirebbe insufficiente il solo aspetto fisico. La seduzione, per una marca così come per una persona, passa anche da altri aspetti. L’insieme di questi aspetti costituisce il carattere della marca. Una campagna promo-zionale non può prescindere dal carattere della marca, un carattere insito nella marca stessa, al quale il pubblicitario deve dare vita. A quel punto, individuato e portato in su-perficie il carattere profondo della marca, rimane da esprimerlo attraverso lo stile. Lo stile è l’insieme di tutto ciò che è impaginazione, presentazione, tono, jingle, testo, im-magine.

Questa tripartizione, apparentemente semplicistica, offre un enorme ventaglio di combinazioni, tale che è sostanzialmente impossibile osservare due marche che si ritro-vino a battagliare sulla stessa combinazione di fisico, carattere e stile. È anzi indubbia-mente un aspetto molto interessante il valutare in quale punto due prodotti apparente-mente molto simili verificano le loro differenze di carattere. In nome di questa triparti-zione, di questa nuova visione della comunicazione pubblicitaria, l’agenzia RSCG si ri-trova a dover riconsiderare completamente il rapporto con la marca stessa: “Fino ad al-

6 Ivi, pag. 47. 7 Ivi, pag. 48. 8 Ivi, pagg. 48-49.

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lora ci eravamo accontentati di giudicare i loro risultati. […] Entrare in amicizia con le marche è un piacere ben diverso. I rapporti non sono più mercantili, ma sentimentali”9. I creativi impararono a trattare la marca come una vera e propria persona con la quale si ha normalmente a che fare, della quale si patiscono i bassi e si celebrano gli alti, con le quali si prova piacere a passare del tempo.

Il primo passo, a questo punto, è compiuto. Resta da fare il passo più lungo e più difficile. Essere una persona non era sufficiente. “Dovevamo trovare il filtro impossibile capace di rendere mitiche le nostre dulcinee”10. La persona doveva diventare star. Nel-l’analisi del concetto stesso di star, Jacques Séguéla individua tre caratteristiche princi-pali che distinguono la star dagli altri attori: la star sa convincere, sa durare e sa sedurre. Sa convincere in maniera quasi naturale, perché incarna i sogni, perché è essa stessa un sogno: “A lei basta apparire, e noi seguiamo”11. Inutile specificare perché questo con-cetto non possa non esercitare un fascino irresistibile su qualunque pubblicitario. Una star sa durare, perché il suo stesso essere star non è il frutto di un’infatuazione del mo-mento: non si diventa star grazie ad un film, ma interpretando decine di films senza per questo stancare il pubblico. “Sorprendere rimanendo sé stessi, rinnovarsi senza cambia-re”12. Infine, una star sa sedurre. È forse la caratteristica maggiormente necessaria: una star non esiste se non piace.

La traduzione di queste tre caratteristiche della star cinematografica si ritrova nella tripartizione teorizzata da Séguéla: un fisico per convincere, un carattere per durare, uno stile per sedurre. Il fisico, molto semplicemente, è costituito dal prodotto. Base di ogni campagna pubblicitaria, perché per ovvi motivi sarebbe quantomeno problematico fare una campagna senza un prodotto. Il prodotto costituisce il primo impatto della marca sul potenziale acquirente, così come il fisico è il biglietto da visita dell’attore. E così come il fisico dell’attore, il prodotto va curato e mantenuto all’altezza delle aspettative del fruitore. Quindi, così come Clark Gable ha avuto sempre i baffi, così come Woody Al-len avrà sempre gli occhiali, la Coca Cola sarà sempre gassata e Marlboro avrà sempre il suo pacchetto rosso.

Una volta appurato il fisico, bisogna compiere il passo più radicale: trovare il carat-tere che fissi definitivamente la vera natura della star. Si tratta di trovare un’anima che scaturisca dal fisico per i primi tempi, ma che poi del fisico diventi la guida per garanti-re la continuità del fascino. Una volta in più, vediamo come questa nuova concezione della pubblicità non si ferma più ad un mero avere, ad una elencazione delle caratteristi-che del prodotto, ma arriva fino all’essere, alla prerogativa più profonda della marca, ciò che le permetterà di durare nel tempo.

A questo punto l’ultimo passo è la ricerca dello stile, vale a dire il mezzo attraverso il quale il carattere si esprimerà. Si tratta, per fare un riassunto, del modo in cui il carat-tere si applica al fisico, il modo in cui al prodotto viene concesso di esprimere il suo ve-ro modo di essere. Così come Charlie Chaplin aveva il suo bastone, Coca Cola ha il suo logo “scritto”, inconfondibile ed inimitabile, che non cambia da quando, nel 1887, il ra-gionier Pemberton lo scrisse, di sua calligrafia, sulla cartella contenente i conti della dit-ta. Ma lo stile, come abbiamo visto, può anche variare: una campagna pubblicitaria, così come una star dello schermo, non deve per forza essere uguale a sé stessa. L’importante è che ogni stile scelto sia la corretta espressione del carattere della marca. Un cambio di

9 Ivi, pag. 50. 10 Ibidem. 11 Ivi, pag. 54. 12 Ivi, pag. 55.

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stile troppo repentino farebbe perdere alla persona come alla marca la fiducia e la fedel-tà del pubblico. Basti pensare come normalmente si reagisce di fronte ad una persona che si presenta radicalmente cambiata nel look, si può a quel punto tranquillamente im-maginare la reazione del pubblico se, per fare un esempio, la Coca Cola producesse con-fezioni blu. Infine, uno stile sempre uguale a sé stesso tende ad annoiare il pubblico e a volte è consigliabile modificare lo stile, pur restando fedeli alla linea guida segnata dal carattere.

Di nuovo, si viene a creare un apparente contrasto tra una visione piuttosto astratta di una marca che assume una sorta di essenza propria, e l’inevitabile concretezza di una campagna pubblicitaria che, com’è ovvio, deve essere prima o poi tradotta in scritti, immagini e suoni. Quello che però non bisogna dimenticare è che questa teoria di Jac-ques Séguéla è supportata da un precisissimo metodo. Séguéla non parla genericamente di fisico, carattere e stile, ma di un fisico, un carattere e uno stile che devono rispettare precise caratteristiche.

c. Il fisico, il carattere, lo stile Séguéla specifica quali sono le peculiarità che le tre componenti della marca-per-

sona devono avere per assurgere al rango di star. Ogni marca ha un suo fisico, un suo carattere e un suo stile, come abbiamo visto, ma inevitabilmente non può valere un di-scorso generalizzato a questo proposito, perché ogni marca ha le sue specificità che im-pediscono di creare una pubblicità universale, quella che, paradossalmente, farebbe ven-dere come la Coca Cola un qualsiasi detersivo a patto che avesse il nome, la confezione e la campagna della Coca Cola. Nella specificità di ogni marca, però, Séguéla individua alcune caratteristiche essenziali per il successo di fisico, carattere e stile.

Séguéla afferma che il fisico deve essere esigente, onesto, realista e fiducioso in sé stesso. Per esigente, Séguéla intende un prodotto che sia allo stesso tempo originale ed efficace, tanto da garantire una lunga persistenza sul mercato. Come abbiamo più volte ripetuto, il prodotto è responsabile del primo impatto della marca sul pubblico, ed è quindi necessario che questo impatto sia da un lato forte, che sappia colpire il potenziale acquirente, che trasmetta immediatamente alcune caratteristiche fondamentali. Ma va anche considerato che il prodotto non può colpire il pubblico solamente se preso in un determinato momento: deve avere caratteristiche tali da poter rimanere star anche in contesti in evoluzione. Un prodotto concepito e realizzato unicamente per venire incon-tro ad una moda magari passeggera è destinato a restar fuori dal novero delle star, per-ché è inevitabilmente destinato a solleticare dei desideri del pubblico che nascono da una particolare situazione sociale, politica, ambientale. Una persona che adeguasse il suo look ad una moda del momento sarebbe destinata a divenire obsoleta, ovviamente sempre al livello delle apparenze, nel giro di poco tempo, al primo cambiamento di mo-da. Un artista che cercasse di assecondare il pubblico concedendo la sua immagine alle lusinghe della moda sarebbe poi inevitabilmente costretta a cambiarla, e questo non può che limitare la sua durata nel tempo. Basti pensare a quello che succede in Italia con dei cantanti sempreverdi (potremmo fare l’esempio di Mina o di Lucio Battisti).

Allo stesso modo, il produttore non può accontentarsi di un prodotto che duri una stagione: deve voler creare un prodotto così innovativo e così avanzato, da potersi ga-rantire la presenza sul mercato per molti anni. L’esempio riportato da Séguéla riguarda Elnett, la lacca di L’Oréal: François Dalle, il padre di L’Oréal, si vanta giustamente di

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presentare ogni anno la maggioranza di nuovi brevetti in materia di cosmesi, ma allo stesso tempo di aver garantito ad Elnett di essere un prodotto di successo e d’avanguar-dia per venti e più anni.

Inoltre, ci dice Séguéla, il prodotto deve essere onesto. Un prodotto non può e non deve occultare le proprie debolezze, per due motivi apparentemente futili ma essenziali. In primis, ingannare l’acquirente è una via senza ritorno: è inutile cercare di spacciare un supermercato come il meno caro o un caffè come il più buono; se non lo è, il pubbli-co non è disposto a lasciarsi abbindolare e non acquisterebbe, o tutt’al più non riacqui-sterebbe, lo stesso prodotto. Allo stesso modo, sarebbe inutile cercare di presentare co-me bello un attore non proprio piacente: perché il pubblico dovrebbe ammirare un attore per la sua bellezza, o meglio, dovrebbe sognare di diventare bello come lui, se lo ritiene brutto?

Inoltre, i punti a sfavore di un determinato prodotto sono i primi che possono esser usati per distinguersi dalla concorrenza. L’arte del pubblicitario, in questo caso, sta nel saper trasformare quello che appare come un difetto in una particolarità che sappia stuz-zicare l’interesse del pubblico. Marion Morrisson, se avesse puntato sulla sua bellezza, non sarebbe mai diventato John Wayne; Barbra Streisand non poteva puntare sull’esteti-ca del suo profilo. Ma è proprio sfruttando questi particolari che un macchinista degli studi cinematografici e una giovane cantante in erba sono poi diventati John Wayne e Barbra Streisand: indiscutibilmente capaci e indiscutibilmente diversi da tutti gli altri. Allo stesso modo, un surrogato del caffè basato sull’utilizzo della cicoria, come Cicona in Francia, non ha certo potuto esprimere un’immagine pari a quella del caffè: ne sareb-be risultato unicamente un “caffè dei poveri”. È stato puntando sulla maggior digeribili-tà che Cicona ha rosicchiato diverse fette di mercato, diventando presto un prodotto di successo.

È doveroso notare come proprio questa caratteristica del prodotto è la prima tappa della critica di Séguéla al sistema classico di pubblicità. In questo modo Séguéla prende le distanze da un certo tipo di marketing incentrato unicamente sulla descrizione delle enfatizzate caratteristiche del prodotto. Il concetto è che, per l’appunto, non basta più spiegare perché un determinato prodotto è meglio di un altro, ingigantendo tra l’altro le qualità e ignorando i difetti, perché non vi è più pubblico che sia ancora disposto a farsi influenzare totalmente.

Il prodotto deve essere realista perché, per quanto possa sembrare lapalissiano, un prodotto alla fin fine è sempre un oggetto commerciale, e come tale va venduto. Questo aspetto, nonostante le apparenze, non contrasta con la creatività tanto invocata da Sé-guéla. Non si tratta di far apparire solamente l’aspetto concreto del prodotto, bensì di e-vitare assolutamente di trascurarlo. L’esempio che si può fare è quello del reggiseno. Con il passare degli anni, la concezione stessa del reggiseno è cambiata: da un indumen-to prettamente contenitivo, è diventato un mezzo di seduzione tra i più rinomati. Questo fa sì che, ovviamente, una casa produttrice di reggiseno deve puntare su un tono più sensuale. Ma non può certo prescindere dall’originale utilizzo, perché comunque una donna non sarebbe disposta a barattare interamente la sensualità con la comodità.

Infine, un prodotto deve essere fiducioso in sé stesso. Ovvero: non farsi scoraggiare o demotivare dalla sua stessa apparenza: “L’importante in un fisico non è tanto quello che è, ma quello che ci permette”13. Un modo per dire che Charlot non aveva bisogno di essere alto e prestante, o il nostro Aldo Fabrizi filiforme, dato che il loro scopo era di far

13 Ivi, pag. 88.

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ridere e per questo il loro fisico era perfetto. Allo stesso modo, un prodotto non si deve spaventare per il fatto che magari risponde a canoni che non sono quelli universalmente accettati per essere star: deve essere però in grado di fornire un servizio al pubblico.

Venendo a parlare del carattere della star, si viene a caratterizzare l’elemento fon-damentale, l’anima vera e propria della marca. Come abbiamo visto, è proprio il caratte-re che va a solleticare i sogni del pubblico in maniera più radicata. Un carattere che de-ve essere mantenuto anche nelle modifiche delle campagne. Un carattere che, come il fisico, deve rispettare quattro caratteristiche: deve essere elementare, archetipico, since-ro e simbolico.

Elementare ed archetipico, perché è comunque nel carattere della star, più che nel fi-sico e nello stile, che il pubblico si vuole rispecchiare. Il carattere non può andare ad in-carnare valori e fenomeni eccessivamente elaborati, perché inevitabilmente sarebbero percepiti come tali unicamente da una parte ristretta della popolazione. Così, il carattere deve essere semplice: Barilla esprime il carattere di familiarità, Philips è innovativa, Coca Cola è giovane. Allo stesso modo, una marca non può permettersi di uscire ecces-sivamente dai canoni: deve rispettare una serie di archetipi classici. L’esempio portato da Séguéla è quello del cliché dei films americani in cui il “buono” viene ingiustamente perseguitato, e, alla fine, viene sempre scagionato: solleticando in questo il senso della giustizia sociale, proprio degli americani, il film si garantisce il successo. A questo pun-to, se all’attore o al regista riesce di incarnare per molti film, senza per questo annoiare il pubblico, l’archetipo della giustizia, non potrà che assurgere al rango di star. Un e-sempio potrebbe essere, ai tempi nostri, Sylvester Stallone: il veterano del Vietnam Rambo, il pugile umile e squattrinato Rocky, più tutta una serie di personaggi non seria-li, fino ad arrivare al personaggio di Dredd, che meglio non potrebbe incarnare quell’ar-chetipo: un poliziotto contro il quale si eleva un complotto che lui, da solo, riesce a di-struggere. Allo stesso modo, vediamo come una marca ottiene lo stesso effetto non u-scendo mai dal seminato: se il carattere è la casa e la famiglia, come nel caso di Barilla, ci saranno un padre, una madre, un figlio maschio e una figlia femmina, possibilmente un animale domestico, e un arredamento generalmente piuttosto semplice. Solo così po-trà incarnare il prototipo della “famigliola felice”, che ogni famiglia sogna di imitare. Ovviamente, è necessario precisare come il carattere sia l’anima che c’è sotto all’imma-gine della famigliola felice: con ogni probabilità, nessuno è davvero convinto, per e-sempio, di dover avere un figlio maschio e una femmina per esser felice: ma è quell’im-magine archetipica che trasmette il senso di felicità che comunque, anche se in modo diverso, chiunque ambisce ad avere.

La sincerità del carattere va di pari passo con l’onestà del fisico: la sincerità è in ef-fetti la garanzia della longevità della marca. “Chi potrebbe ingannare tutto il mondo per sempre? La verità paga. Ma è giustizia, quindi costa cara”14. L’esempio, nel mondo hol-lywoodiano, è dato da Kirk Douglas, grandissimo attore noto per i suoi ruoli di “catti-vo”, lo stesso Douglas inviò una lettera di diffida alla giornalista che in un’intervista l’a-veva dipinto come un uomo calmo e tenero. Allo stesso modo, come vedremo quando descriveremo la campagna dei Produits Libres, Denis Defforey (il capo di Carrefour) impose ai suoi produttori di garantire che i Produits Libres fossero i migliori presenti sul mercato. Il carattere di Carrefour, ossìa la libertà, non poteva venir inficiato da una campagna menzognera. Fu così che, come vedremo, Séguéla preparò la pubblicità della lacca “libera” ammettendo senza particolari giri di parole che, nonostante le ricerche, il

14 Ivi, pag. 95.

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prodotto era qualitativamente inferiore all’equivalente prodotta da L’Oréal. Una sinceri-tà che il pubblico, come è stato poi accertato, ha gradito. Ancora una volta, il pubblico non si è fatto influenzare da falsi miti, ma ha saputo riconoscere, premiandola, la voce della sincerità. È così, quindi, che Carrefour ha saputo perpetrare nel tempo la propria immagine senza che essa venisse scalfita da passaggi a vuoto.

Infine, l’ultima caratteristica, forse la più importante, del carattere deve essere la simbolicità: una marca non si può limitare ad esprimere un concetto basilare, terra-terra, come magari il prezzo del prodotto. È qui che il carattere di una marca si discosta deci-samente dal fisico. Ed è qui che Séguéla va oltre tutto il mondo pubblicitario che lo pre-cedeva. L’esempio citato da Séguéla è estremamente significativo: ricorda un episodio in cui Jean-Pierre Aumont15 volle ritrarre Grace Kelly (ai tempi ancora diva di Holly-wood, e non ancora principessa di Monaco) nella sua casa, intenta a lavorare a maglia. Un’immagine se vogliamo “terrena” della star, che indiscutibilmente avrà fatto sentire Grace Kelly molto vicina al pubblico. Ma il ruolo della star non è quello di avvicinarsi al pubblico, quanto quello di far sì che il pubblico pensi che si possa avvicinare a lei. Non a caso la Metro Goldwyn Mayer, che stava cercando in quel periodo di rinforzare l’immagine di inaccessibilità della diva, la obbligò a fare marcia indietro in tutta fretta. “Uccidere il sogno vuol dire uccidere la star. Così come uccidere l’immaginario vuol dire uccidere la marca”16. Lo stesso principio può quindi applicarsi alla marca.

Rimane da analizzare lo stile della marca-star. Come abbiamo visto, lo stile è di fat-to la via attraverso la quale si esprime il carattere. Quello che per l’artista è il talento, per la marca è il modo in cui si presenta al pubblico. Inoltre, è opportuno segnalare che, a differenza del carattere, vera e propria innovazione del metodo séguéliano, lo stile è sempre esistito nelle campagne pubblicitarie, da qualunque metodo esse fossero ispirate. Allo stesso tempo, però, forse è proprio lo stile, tra le tre caratteristiche, ad essersi evo-luto maggiormente. Di pari passo con una società sempre più attenta al metodo oltre che al merito, lo stile ha dovuto adeguarsi ad una maggiore necessità di cura delle apparen-ze. Ed è per questo che necessariamente deve essere, secondo Jacques Séguéla, fastoso, sensazionale, armonico ed oltranzista.

La fastosità è una componente fondamentale della teoria pubblicitaria di Séguéla: la pubblicità, innanzi tutto, deve essere spettacolo. Deve saper colpire l’immaginazione del pubblico, deve saperlo distogliere dai problemi quotidiani e spingerlo a sognare. Come abbiamo visto prima, secondo Séguéla, a chi può interessare un detersivo che sa solo la-vare? Una pubblicità piatta, che non sa stuzzicare l’individuo, è destinata al fallimento. Ed è per questo che Séguéla ritiene necessario un investimento mirato alla realizzazione di campagne che siano altamente spettacolari, così come, continuando nel paragone con Hollywood, l’investimento di grandi mezzi per rendere un film sempre più spettacolare ne garantisce un certo successo. Séguéla critica profondamente la mentalità del mondo pubblicitario, sempre restìo a vedere le spese per la realizzazione delle campagne come investimenti. “Gli utenti francesi di pubblicità non hanno lo stesso gusto della scom-messa. Pronti a tutti gli investimenti nei loro studi, nei tests di mercato, nelle ricerche, nella gestione quotidiana dei loro budgets, diventano taccagni quando si passa alla rea-lizzazione. In pubblicità, Spartacus si trasforma regolarmente in Arpagone”17. Affronte-remo comunque quest’argomento più avanti.

15 Attore francese, scomparso di recente, nel 2001. 16 J. SÉGUÉLA, Hollywood lava più bianco, op. cit., pag. 97. 17 Ivi, pag. 101.

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Di pari passo con la fastosità va la sensazionalità dello stile. Così come deve colpire, la marca deve emergere in mezzo ad un bombardamento di informazioni di ogni genere e natura. Pochi dei messaggi ricevuti vengono incamerati in pianta stabile nella memo-ria del pubblico. Proprio per questo lo stile deve consentire alla marca di spiccare nella massa di proposte. Bisogna quindi evitare quelle che Séguéla chiama “la mezzatinta e la bassa voce”, ma non solo: è opportuno anche puntare sulla novità. L’innovativa distin-zione tra carattere e stile permette quindi di cambiare continuamente l’apparenza della campagna senza intaccarne la sostanza. Un singolo spot, o cartellone, o messaggio ra-diofonico, può venire presto a noia al pubblico. Un messaggio sempre diverso, ma che mantenga intatti i significati di fondo del precedente, garantisce la curiosità del pubblico e il suo interesse, la continuità affiancata dalla novità, il successo e la durata del medesi-mo. Ma per ottenere questo risultato, un altro aspetto deve essere assolutamente curato da chi realizza la campagna: la sua armonicità.

Cosa si intende per stile armonico? Le parole di Séguéla non lasciano dubbi al ri-guardo: “Il carattere è intoccabile. Niente, a parte una disfatta totale, può rimetterlo in discussione. Lo stile invece segue le mode, i costumi, gli andazzi dell’attualità. A lui spetta ogni diritto, ogni audacia per cercare di captare l’attenzione così fuggitiva delle nostre volubili audiences. L’unica ossessione è quella di non tradire mai la sua sacra sintonia con il fisico e con il carattere del prodotto. È la trilogia della marca”18. In que-sto momento, il pubblicitario si trasforma in sociologo. Aiutata dagli studi statistici fatti sui campioni di popolazione, la marca deve essere quindi in grado di solleticare gli a-spetti più attuali del pubblico al quale si rivolge. Prendiamo ad esempio le campagne della Coca Cola, il cui carattere, come abbiamo visto, è la gioventù. Tutti ricordiamo il mitico spot televisivo in cui un gruppo di ragazzi e ragazze, seduti in modo da formare un gigantesco albero di Natale con il logo della marca come base, intonano I’d like to buy the world a coke. Uno spot nato negli anni Settanta e che è arrivato fino ai giorni nostri, soprattutto grazie all’alone di mito che lo ha a lungo circondato. Dalla metà degli anni Novanta, però, questo spot è progressivamente sparito dai teleschermi: in effetti, il look e l’ambiente dei ragazzi rappresentati dallo spot cominciavano a distanziarsi troppo da quello che era il mondo giovanile di quel periodo, e richiamavano piuttosto la nostal-gia di coloro che giovani lo erano stati venti anni prima. Un “invecchiamento” che la Coca Cola doveva immediatamente correggere, il rischio era di snaturare il carattere. Non a caso in seguito gli spots della Coca Cola hanno rappresentato diverse situazioni del mondo giovanile (la cena con amici nel 2002, la “metropolitana ballerina” al ritmo del tormentone Chihuahua nel 2003) che le hanno garantito il continuo successo.

Infine, lo stile deve essere oltranzista, ovvero testardo. Lo stile deve essere in grado di sopportare le apparenti difficoltà iniziali che ogni campagna porta con sé. Spesso, di-ce Séguéla, le migliori idee vengono lasciate cadere per contrasto con il buon gusto e i buoni sentimenti. “Tra i pubblicitari l’autocensurarsi è più diffuso ancora dell’autocom-piacersi. Il che è tutto dire se si pensa alla vanità tipica del nostro mestiere”19. Il pubbli-citario deve saper estraniarsi dai condizionamenti della “prassi”: come abbiamo visto, deve saper seguire le esigenze della società: non deve quindi cambiare in base a delle regole prestabilite, senza che il pubblico ne abbia ravvisato l’esigenza. La testardaggine dello stile è come la fedeltà in amore, dice Séguéla: è la condizione sine qua non del successo.

18 Ivi, pag. 104. 19 Ivi, pag. 107.

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d. La capacità di rimanere nello star-system Abbiamo quindi visto che una marca deve rispettare la sua trilogia: deve possedere

un fisico, un carattere e uno stile, che riescano a consacrarla star. Inoltre, ogni singolo elemento della trilogia deve avere determinate caratteristiche per risultare efficace nel processo di starizzazione della marca. Cerchiamo ora di raggruppare questi elementi di-versi per vedere quali sono gli elementi generali che una marca deve ottenere per entrare a far parte e restare a lungo nello star system.

Innanzi tutto la star ha l’obbligo di rimanere fedele a sé stessa: è l’unico modo che ha per rimanere fedele anche al suo pubblico. Il pubblico non ha accettato John Wayne quando, nel 1958, nel film Il barbaro e la geisha di John Huston, si è presentato nei panni di un personaggio debole, che subisce gli eventi, e per di più nel ruolo di un am-basciatore, lui che dell’assenza di diplomazia aveva fatto una bandiera. Allo stesso mo-do, il pubblico difficilmente premia una marca che tradisca le aspettative e le richieste che ha un tempo accolto e soddisfatto. Questo, come abbiamo visto, nasce dalla necessi-tà della marca di cambiare rimanendo sé stessa, il che è poi l’unione dello stile e del ca-rattere.

La star deve quindi essere paziente. Deve saper aspettare il suo momento, deve sa-per valutare quali possono essere gli stimoli che imporrà al pubblico e dunque essere pronta a sostenerli. Gli esempi ci vengono direttamente da Séguéla: una certa Margheri-ta Carmen Cansino deve alla lungimiranza della Columbia, che le impose quattro anni di “palestra cinematografica” in film di secondo piano, il fatto di esser diventata poi Ri-ta Hayworth. E fu così che, al momento del primo film che la consacrò star, lei era già pronta per restarlo a lungo. Nel mondo della pubblicità, l’esempio citato da Séguéla ri-guarda la sua stessa campagna per la carta di credito Diners. Una campagna piuttosto innovativa, nell’ambito delle carte di credito, che consisteva nel seguire con un lungo reportage fotografico, le diverse cose che era possibile fare in un mese usando la carta. I francesi di quel periodo, però, erano ancora molto diffidenti nei confronti delle carte di credito, e preferivano decisamente i contanti. Pur scegliendo il giusto fisico e il giusto carattere, lo stile della marca mancava di armonicità. La campagna fallì, ma era sotto gli occhi di tutti che la stessa identica campagna avrebbe ottenuto un successo strepitoso, se il momento fosse stato più propizio.

Nonostante le apparenze lessicali, la terza caratteristica, la tenacia, è più vicina alla prima, la fedeltà a sé stessi, che alla seconda, la pazienza. Dove la fedeltà sta nel sapersi adeguare e saper modificare il proprio stile rimanendo fedeli al carattere, la tenacia sta nel saper resistere alle inevitabili tentazioni. Quante volte si vedono attori, noti per l’estrema caratterizzazione del proprio ruolo (basti pensare a John Wayne, il rude cow-boy, ma anche Greta Garbo, la femme fatale, Julie Andrews, la cantante risolutrice, An-thony Perkins, lo psicopatico, ma anche in tempi più recenti un Robin Williams, l’eter-no bambino, oppure Sharon Stone, la donna forte e seducente) decidere di cercare gloria fuori dai propri standard: forse perché vogliosi di dimostrare di essere attori a tutto ton-do, forse semplicemente per la noia di fare sempre lo stesso personaggio. A quel punto, però, è facile che il pubblico rimanga spaesato: non è difficile immaginare le reazioni nel vedere un Jack Nicholson amorevole padre di due bambine, o una Sharon Stone fon-dersi in lacrime per via dei maltrattamenti subiti dal marito malvagio, magari interpreta-to da un improbabile Robin Wiliams. Si rischia di perdere il proprio pubblico, senza per questo guadagnarne altro, dato che, con ogni probabilità, il pubblico per lo stesso ruolo

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tenderà a preferire l’attore che lo fa “di mestiere” piuttosto che l’emigrante da un altro carattere, il quale poco otterrà oltre a suscitare curiosità.

Jacques Séguéla ci fornisce l’applicazione di questa regola al mondo pubblicitario descrivendoci una sua campagna, in questo caso fallita. Il committente era Aldebert, uno dei maggiori gioiellieri di Francia. Sempre molto attento alle campagne pubblicita-rie della sua marca, si affidò alla RSCG per ottenere risonanza di livello nazionale, dato che al momento i suoi clienti principali erano ministri, emiri e grandi ricchi. Jacques Séguéla e i suoi soci puntarono su una campagna di forte personalità: “Fisico: il gioiel-liere di oggi. Carattere: la passione. Stile: primi piani e sensualità”20. La campagna pun-tò sull’affissione di primissimi piani di tre splendide donne. Oltre a portare in bella mo-stra i gioielli Aldebert, le protagoniste erano visibilmente tristi, fino ad arrivare a una delle tre che faceva scivolare una lacrima tra due diamanti – un’immagine che fece scal-pore in Francia. Le headline recitavano semplicemente “Voyou”, “Brute”, “Monstre”21. Il risultato fu un sicuro successo d’immagine, ma per quanto riguarda le vendite, ci fu un aspetto che, evidentemente, né Séguéla né René Denis, capo di Aldebert, avevano considerato: “Una nuova clientela, quella di Must de Cartier e di Louis Vuitton, si pre-cipitò a guardare le vetrine di questo nuovo seduttore. Ma non entrava. Gli habitués di Aldebert, invece, gente di buon senso e di bon ton, non si riconobbero in questa imma-gine audace, e se ne restarono a casa”22. L’errore fu quello di considerare la vocazione di Aldebert come quella di un gioielliere frivolo, in cui l’acquisto era una spesa. René Denis invece si considerava un “gioielliere-banchiere”, in cui l’acquisto era un investi-mento. Fu infatti tornando al carattere proprio della marca che Aldebert si riprese la sua clientela e ne acquistò della nuova. Una prova in più che il carattere della marca è, in-nanzi tutto, proprio della marca. Sta al pubblicitario farlo venire a galla, non certo in-ventarlo. E inoltre, vediamo come il carattere sia di fatto intoccabile, pena la disaffezio-ne da parte del pubblico.

La quarta caratteristica, il fatto che la marca debba essere perfezionista, di fatto si accompagna ad una forte necessità di autocritica. La star, e la marca, devono necessa-riamente autointerrogarsi di continuo, al fine di cercare sempre di apportare migliorie, di spingersi, per l’appunto, verso la perfezione. A costo di dover rischiare, per una star co-me per una marca, di colpire negativamente il suo pubblico. Perché restare immobili in una posizione inizialmente di dominio e di sicuro successo espone al rischio di esser su-perati da un concorrente che prima si ispira al successo della marca e poi innesta dal lato suo una marcia in più per superare l’antico capofila. Volendo fare un paragone “infor-matico”, sarebbe come se Microsoft si fosse accontentata di Windows 95, nel 1995 indi-scutibilmente superiore a ogni prodotto concorrente, ma che già nel 1998 dava segni di obsolescenza. A quel punto, se la ricerca di Microsoft si fosse fermata, molti concorrenti avrebbero potuto sviluppare l’idea stessa di Windows 95 per poi apportarvi migliorie che avrebbero regalato loro inevitabili quote superiori di mercato.

La marca deve poi essere non conformista. Come abbiamo visto, sia per quanto ri-guarda il fisico, sia per quanto riguarda carattere e stile, la marca-star deve avere una marcia in più. Il non-conformismo, ben diverso dall’anticonformismo nella misura in cui il primo è il non uniformarsi e il secondo è uniformarsi a canoni opposti al comune sentire, arriva in cima al lavoro di ricerca di fisico, carattere e stile, lavoro che può esse-re molto metodico; a quel punto, la star ha una zampata: può venire dalla bravura del

20 Ivi, pag. 127. 21 “Mascalzone”, “Bruto”, “Mostro”. 22 J. SÉGUÉLA, Hollywood lava più bianco, op.cit., pag. 128.

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pubblicitario, come fece ad esempio David Ogilvy con la benda nera sugli occhi dei mo-delli delle camicie Hathaway; può venire anche dal caso: a consacrare Chanel n°5 star incontrastabile dei profumi, più che le campagne pubblicitarie, è stata Marilyn Monroe, con la sua celebre battuta23.

La marca deve essere avventurosa. Francis Ford Coppola dice che “è molto più dif-ficile affrontare il successo del fallimento”; questo vale per la star cinematografica così come per la marca-star. Il padrone della marca e il pubblicitario devono essere capaci di saper gestire una situazione sul filo del rasoio, perché non possono non tenere la marca in quello stato: nel momento stesso in cui ha conquistato lo status di star, la marca si è anche tacitamente impegnata a sostenerlo. L’essere star è una condizione estremamente fragile: deve quindi saper rischiare per affermarsi continuamente, perché difficilmente il pubblico perdonerebbe il sedersi sugli allori. Si tratta di un discorso simile a quello fatto per il perfezionismo: credere di aver acquisito una permanenza duratura nel proprio campo è il primo passo per perderla. La pubblicità non è un mondo dove si può vivere di rendita. Se il perfezionismo è il continuo migliorarsi per la marca in sé, l’avventura è la continua ricerca di migliorare la pubblicità.

Infine, la marca-star deve essere eterna. Questa è l’ultima caratteristica che manca a chi ha già saputo brillantemente rispettare i sei punti precedenti. Come abbiamo già po-tuto intuire, la persistenza della marca nel novero delle star è fondamentale nella teoria séguéliana. Così come si è entrati tra le star, così come ci si è, bisogna vedere come e per quanto ci si starà. In questo, ci dice Séguéla, è essenziale la capacità della marca di invecchiare. “I pubblicitari non tengono mai conto della data di nascita di una marca. A furia di considerarle come prodotti senza anima né stato civile, finiscono spesso con l’assassinarle per averne dimenticato la data di nascita. Fra gli uomini, ogni età ha i suoi piaceri e i suoi limiti. Per i prodotti, ogni età ha le sue campagne e i suoi ritegni”24. Ed è per questo che Louis Vuitton perse pubblico, dopo quasi un secolo di storia, per aver tentato di cambiare il proprio modo di far pubblicità fino ad arrivare a toccare il sacro simbolo recanti le lettere L e V. Una cosa simile non è certamente permessa ad una ca-sata con cento e più anni di storia. Abbandonare il primo mezzo di seduzione per tro-varne un altro è molto difficile per una “vecchia signora” come Vuitton: in questo caso l’età non può non influire. Saper continuare a sedurre negli anni è la garanzia dell’im-mortalità. In questo, le star hanno un vantaggio, anche se è paradossale considerarlo ta-le: “Le star hanno un privilegio sulle marche: la loro sparizione non segna necessaria-mente la fine della loro esistenza. Marilyn uccisa dalla depressione, Wayne dal cancro, James Dean dalla sua Porsche, sono veramente spariti? La morte violenta è la miglior campagna pubblicitaria di una vedette. Peccato che sia l’ultima. Uscire di scena con successo significa entrare nel Pantheon dei ricordi. Gli eroi muoiono in piedi. Il pubbli-co non tollera di vedere i propri miti morire in un letto”25. Inevitabilmente, la marca che sparisce difficilmente entra nel mito: tutt’al più, una sua pubblicità può far sì che venga ricordata con simpatia o affetto (penso in questo caso alla Bialetti in Italia, una pubblici-tà che fece epoca). La star entra nel mito. Sedurre invecchiando è difficile per tutti, ma è l’unica via per accedere all’eternità.

23 Alla domanda: “Cosa mette addosso per dormire”, la diva rispose “Chanel n°5”. 24 Ivi, pag. 137. 25 Ibidem.

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e. Il metodo Séguéla Abbiamo notato come la grande discriminante tra il vecchio modo di concepire la

pubblicità e la nuova via prospettata da Séguéla sia sostanzialmente il ruolo più attivo svolto dal pubblico, dal potenziale acquirente. Un ruolo che svolge nel modo che gli è più naturale: semplicemente volendo, desiderando. È proprio questo desiderio che man-da alla marca una sorta di “richiesta di comunicazione”. Allo stesso modo, la marca ri-sponderà esprimendo il proprio carattere. Uno dei punti di contatto che si trovano su questa immaginifica via della comunicazione è senza dubbio incarnato dal pubblicitario.

Innanzi tutto, è opportuno sfatare un pregiudizio, legato ai pubblicitari in generale, e in particolare a Jacques Séguéla. L’immagine di Séguéla è quella del creativo a tutto tondo. Il successo conseguito da Séguéla con la campagna dei Produits Libres del 1978 per Carrefour (campagna che analizzeremo brevemente più avanti) lo ha consacrato agli occhi del grande pubblico, che però fino ad allora aveva consumato pubblicità nella stragrande maggioranza dei casi sotto la forma “antica” della Unique Selling Proposi-tion: ovvio, a quel punto, che uno come Séguéla, megalomane reo confesso, provocato-rio per vocazione e passionale per natura, apparisse come il tipo ideale del creativo, se-duto a guardare il cielo in attesa dell’ispirazione. Séguéla è anche questo, ma, soprattut-to, non è solo questo. E la sua pubblicità non si limita certamente al perseguimento del-l’idea del creativo, ma va anzi molto oltre. Non si tratta, come lo stesso Séguéla ammet-te, di un modo che si contrappone fermamente al metodo pubblicitario tradizionale, ma di un sistema che lo usa come punto di partenza e poi lo supera decisamente.

In alcuni casi si può avere l’impressione che la pubblicità informativa sia basilare e poco articolata mentre la pubblicità “onirica” sia frutto del genio estemporaneo di un creativo. In entrambi i casi, ci si sbaglia. In particolare, la pubblicità “onirica” di Ségué-la è frutto di un metodo ben preciso, un metodo che analizza minuziosamente ogni parte del messaggio (come abbiamo visto, distinguendo fisico, carattere e stile). Non solo: co-me detto, Séguéla sostiene che il carattere (vera innovazione e vero fulcro della sua teo-ria) non è figlio del pubblicitario, ma è insito nella marca stessa, da sempre; e che quindi il compito del pubblicitario è quello di saperlo esprimere. Questo fatto ci dice che la “tattica” pubblicitaria non può prescindere da uno strettissimo contatto con il cliente, con il pubblicizzato. Abbiamo visto che, nel caso di Aldebert, René Denis aveva diret-tamente espresso il vero carattere della marca, che la prima campagna aveva frainteso; nel caso dei Produits Libres, come vedremo, era stato lo stesso leader di Carrefour a mettere lo staff di Séguéla sulla giusta strada. Il metodo di Séguéla va anche oltre: se a livello teorico si può riassumere in quanto abbiamo detto nel capitolo, a livello pratico è rappresentato da una precisa tabella in cui il metodo viene sezionato in sette fasi e dieci tappe diverse. Proponiamo questa tabella in appendice.

Séguéla nel modello indica con molta precisione quello che lui chiama il “motore” delle diverse fasi: ed è lampante come il rigore sia la base sulla quale va ad incastonarsi l’immaginazione, visto che appare in nove tappe su dieci. Inoltre, vediamo come i crea-tivi entrino in gioco solo nella quinta tappa, per cominciare a tracciare una triade fisi-co/carattere/stile: prima, il compito di creare i presupposti di questa triade è del cliente e del servizio marketing, e si basa soprattutto su una serie di schemi rigorosi. L’unica concessione all’immaginazione è la compilazione da parte del cliente di un questionario, il cosiddetto “ritratto cinese” (allegato anch’esso in appendice), dove la marca comincia ad esser vista come una persona: vi sono domande del tipo “Se fosse un’automobile” o “L’animale che non vorrebbe mai essere”. In questo modo, il produttore stesso è obbli-

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gato a travalicare i limiti “fisici” del prodotto e ad immaginarlo in una versione immate-riale più duratura.

Infine vediamo che molto vengono considerati i dati “oggettivi”, vale a dire le ricer-che sulle preferenze del pubblico. Questo sfata un altro pregiudizio, quello che vorrebbe un pubblicitario volto a condizionare il pubblico: come possiamo vedere, più che altro cerca di rispondere a esigenze già espresse. Il ruolo degli “istituti di ricerca specializza-ti” (sesta tappa) è essenziale: in alcune campagne la valutazione di fisico, carattere e sti-le si basa sui dati riguardanti la clientela, e vedremo come la partecipazione delle ricer-che sulla popolazione diventerà irrinunciabile quando si parlerà di pubblicità politica. Analizzando i vari responsabili, vediamo come, sorprendentemente, nessuna tappa sia completamente appannaggio dei creativi: non si può mai rinunciare ad una base estre-mamente rigorosa.

Osserviamo quindi come Séguéla, pur essendo un creativo di altissimo livello, sia ben conscio che la creazione fine a sé stessa non conduce da nessuna parte. Alla creati-vità attribuisce grandissima importanza, non foss’altro per l’essenziale ruolo di “marcia in più” della campagna. Il metodo del brain storming, che poi è lo stesso degli inizi del-la sua carriera nel giornalismo (i bouclages26), mette sul tavolo una quantità enorme di idee, più o meno buone, e facilita il parto della campagna. Ma sia prima che dopo, a far-la da padrone è il metodo.

La tabella ci permette di ricollegarci ad un altro punto saliente del pensiero di Sé-guéla. Vediamo che l’obiettivo prefissato della fase 4 (una fase già avanzata ma che non si traduce ancora in un elemento concreto della campagna) è quello di “produrre un do-cumento di una pagina (destinato a durare dieci anni) che regoli ogni azione di comuni-cazione”. Colpisce innegabilmente questo impegno a lungo o lunghissimo termine, che l’agenzia prende nel momento in cui la campagna viene concepita. Ma non possiamo fare a meno di osservare che in realtà Séguéla ha già dato molto spesso grande impor-tanza alla durata della marca. Si tratta di un fil rouge che collega moltissimi aspetti, sia della triade fisico/carattere/stile, sia delle caratteristiche finali della marca. Non a caso egli conclude con il fatto che la marca deve essere eterna; e non a caso dice che questa caratteristica è la summa di tutte le altre. Spesso poi abbiamo visto come le varie carat-teristiche di fisico, carattere e stile fossero comunque incentrate sull’aspetto della persi-stenza dell’effetto fatto sul pubblico: l’onestà, la fedeltà a sé stessi, il fatto di essere esi-genti con il prodotto, oppure l’armonicità dello stile all’epoca nel quale è situato.

D’altro canto, in base a quello che abbiamo osservato e agli esempi che abbiamo ci-tato, è facile intuire come la durata sia essenziale per la star, sia come causa che come conseguenza. Non si diventa star in una notte, non si diventa star per un film ben riusci-to, per una canzone di successo, o per una campagna pubblicitaria azzeccata: la star, come abbiamo visto, nasce da tutto fuorché dalla casualità. E così come una star non na-

26 Séguéla applicò, come schema di lavoro, il sistema detto di bouclage (in italiano l’equivalente sa-

rebbe grossomodo “chiusura”, nel senso più giornalistico del termine, ovvero le decisioni finali a proposi-to dei pezzi che sarebbero apparsi sul giornale) che aveva imparato a Paris Match dal direttore Jean Prou-vost. Ricevendo una mole di articoli che sarebbero stati sufficienti a riempire quattro edizioni di Match, Prouvost convocava la redazione e spiegava (a quanto pare, con modi quantomeno spicci e senza mezzi termini) cosa voleva esattamente da un articolo e in che direzione si sarebbe dovuta muovere la rivista. Séguéla ricorda questi bouclages come delle inestimabili lezioni di giornalismo, che ha voluto riproporre in seno all’agenzia pubblicitaria: “Ho da sempre stabilito nell’agenzia questo principio di creazione attra-verso i bouclages. Generalmente è lì, in quella miscela di talenti e di atmosfera elettrica, che nascono le nostre grandi campagne” (J. SÉGUÉLA, Ne dites pas à ma mère que je suis dans la publicité… Elle me croit pianiste dans un bordel, Flammarion, Parigi, 1979, pag. 43)

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sce in poco tempo, una star non dura poco tempo. Possiamo chiamare star Sabrina Fe-rilli, paragonandola così a Sophia Loren? Possiamo chiamare star Alexia, paragonando-la così a Mina? E allo stesso modo, possiamo chiamare star Segafredo, paragonandolo così a Lavazza, o De Cecco paragonandola a Barilla?

Ovviamente, come abbiamo già avuto modo di analizzare, la durata non è il solo componente la starizzazione della marca. Ma ne è indiscutibilmente un tratto distintivo e osserviamo come Séguéla stesso lo consideri fondamentale, dato che sembra ritenerlo ancor più essenziale del successo stesso nel caratterizzare la marca-star. È sicuramente “più star”, per Séguéla, un cantante che, nell’arco di vent’anni, pubblica dieci album e vende due milioni di copie di ciascuno, piuttosto che un artista che in due anni pubblica due dischi da venti milioni di copie e poi sparisce nel nulla.

La ricetta di Séguéla perché il prodotto conosca un successo che si protragga a lungo nel tempo è, come abbiamo visto, il cambiare restando fedeli a sé stessi. Ovvero, non fuggire il cambiamento; al contrario, cercarlo con grande attenzione e perizia. Ma farlo seguendo una linea guida fissa che non dovrà mai cambiare. E questa linea guida è il ca-rattere della marca, vera innovazione apportata da Séguéla nella sua teoria. In pratica, non parlare più di cambiamento, ma di evoluzione. Il successo di una campagna pubbli-citaria non fa di quella marca una star. Tale può essere considerata se nel corso degli anni l’idea di fondo della marca saprà svilupparsi nelle campagne successive lasciando inalterato l’impatto sul pubblico. Sharon Stone, dopo il successo di Basic Instinct del 1992, è tutt’ora scelta per interpretare le parti della femme fatale, e nonostante siano passati più di dieci anni e alcuni problemi di salute, che hanno inevitabilmente ridotto l’impatto sensuale della sua apparenza fisica, è stata comunque prescelta per interpre-tarne il seguito. Allo stesso modo, una marca sarà star se dopo anni dal suo primo suc-cesso esprimerà ancora lo stesso concetto con la sua presenza e con il suo nome, anche se sotto una forma diversa.

Anche qui, ci troviamo di fronte ad un progetto ambizioso. Prima far sognare la gen-te, in un mondo in cui si cerca di farla restare il più possibile con i piedi per terra. Poi, colpirla, stupirla di continuo, in un contesto nel quale lo stupore non è propriamente di casa. Infine, continuare a farla sognare e a stupirla per molti anni. Il perché della scelta di una scaletta e di un planning di lavoro così preciso e minuzioso è spiegabile in quan-to l’obiettivo perseguito da Séguéla e dai suoi collaboratori è molto stimolante ma al-trettanto difficile da realizzare: creare qualcosa che sappia resistere per anni nel regno dell’effimero, senza cambiare in maniera radicale, ma evolvendosi nella maniera giusta, pur non tradendo le proprie origini.

La nuova pubblicità, quella che ha in Bill Bernbach, in Leo Burnett e in David O-gilvy dei capostipiti e in Séguéla uno dei maggiori continuatori, nonché uno dei primi cantori, non è una disciplina da visionari e tanto meno una scommessa rischiosa per gli investitori: si basa su un metodo ben preciso, e punta non ad un successo effimero ma ad un inserimento della marca nell’eterno olimpo delle star.

2. Il concetto di pubblicità di Séguéla, oltre gli stilemi della sua epoca: la pubblicità come arte Grazie al libro Hollywood lava più bianco, nel quale Jacques Séguéla descrive mi-

nuziosamente il processo di starizzazione della marca in parallelo con la più “canonica” star hollywoodiana, abbiamo un’idea chiara del metodo applicato da Séguéla nel corso

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della genesi delle sue campagne pubblicitarie. Prima di analizzare alcune campagne pubblicitarie particolarmente rappresentative, in ambo i sensi, della teoria séguéliana, cerchiamo di tirare brevemente le somme.

Séguéla cerca l’anello di congiunzione tra Hollywood e il mondo della pubblicità, un anello di congiunzione che ha sempre ritenuto palese ma non era mai riuscito ad e-splicitare. La star strategy esprime in maniera definitiva questo legame: per ottenere il successo di pubblico, la marca-persona deve incarnare per il mercato quello che a Hol-lywood è incarnato dalla star. Ovvero, non si deve limitare ad eccellere nel suo campo (recitativo per l’attore, commerciale per la marca) o ad avere un fascino popolare con facile presa sul pubblico: alla star è richiesto di far sognare il pubblico, di essere con-temporaneamente irraggiungibile da un lato e dall’altro di permettere al pubblico di ri-conoscersi in lei. Alla star non è richiesto di avere determinate caratteristiche qualitati-ve. Alla star è richiesto di incarnare un certo tipo di sogno, di desiderio del pubblico, in sostanza, di essere ciò che il pubblico ha sempre sognato.

Il concetto di star è il fulcro del pensiero di Séguéla. La star, o meglio, la “starizza-zione” è un fenomeno basilare per comprendere la maturazione e la natura della pubbli-cità, e questo per due aspetti fondamentali. Il primo, se vogliamo, è meramente tecnico: è attraverso la trasformazione della marca in star che Séguéla realizza il suo metodo pubblicitario e, sostanzialmente, l’efficacia del suo lavoro. Come abbiamo visto, nel so-stenere che non si nasce star, ma che la star è il frutto di un lavoro di intelligenza e di perseveranza, lavoro compiuto non solo e, soprattutto, non principalmente dalla star stessa. Così come il fisico, il carattere o lo stile della star hollywoodiana sono frutto del-la lungimiranza o dell’intuizione del loro mentore (e lampanti, in questo, sono gli esem-pi, riportati da Séguéla, di un Clark Gable bruttissima comparsa dalle orecchie a svento-la e di un John Wayne corpulento macchinista degli studios, letteralmente “starizzati” dal fiuto di Sam Goldwyn), la marca-star è il frutto dell’inventiva e dell’intuizione del pubblicitario. Se tuttora, tra i prodotti il cui brand esercita maggior richiamo, c’è la Marlboro, è per via dell’intuizione avuta ormai più di quarant’anni fa da Leo Burnett di trasformare un patinato uomo tatuato in un cowboy forte e vissuto. Per fare un parallelo con l’Italia, se ora, a livello prettamente commerciale, nel paese della pasta la marca per eccellenza è Barilla, probabilmente questo è dovuto al creativo che, per primo, pronun-ciò le parole “Dove c’è Barilla, c’è casa”.

Il secondo aspetto da considerare è di natura ideologica, ed è altrettanto fondamenta-le nell’interpretazione della pubblicità da parte di Séguéla. Uno dei punti nodali della sua differenziazione dalla pubblicità “classica” è proprio nel considerare la pubblicità come qualcosa in più del mero meccanismo attraverso il quale l’esistenza di un prodotto viene portata all’attenzione del potenziale acquirente. Lo scopo di Séguéla è quello di portare la pubblicità al livello di considerazione di tutte le altre arti. Si tratta per lui di un aspetto prioritario. Comprensibilmente, un pubblicitario si trova spesso a doversi muovere negli stessi ambiti degli artisti “classici” (la pittura, per tutto ciò che riguarda l’aspetto “cartaceo” delle pubblicità, la musica, nel caso di passaggi in radio, il cinema, nel caso dei filmati televisivi), traendone però una fama e una considerazione diverse quando non opposte. Si tende in effetti a considerare d’istinto il pubblicitario come un mistificatore, una persona che lavora avendoci come scopo precipuo quello di gettare fumo negli occhi del potenziale cliente per ottenere un acquisto basato su un momenta-neo ottenebramento della ragione. Séguéla si fa portavoce di un diverso modo di conce-pire la pubblicità: nella sua ottica, come abbiamo visto, il messaggio pubblicitario deve portare con sé una certa carica onirica, necessaria per poter evadere, per non costringersi

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a rinchiudersi in un mondo fatto di norme prestabilite, e soprattutto, in un periodo in cui così poco viene lasciato alle scelte passionali, per creare un rapporto incentrato proprio sulla passione tra la marca e il suo pubblico. Il concetto di marca-star è proprio il punto di contatto tra la marca e la carica onirica suscitata nel pubblico. Sarà la marca-star a da-re al pubblico qualcosa in più di un detersivo, di un caffè, di una macchina. Si passa per l’appunto dalla reason why, un acquisto effettuato perché il determinato prodotto ri-sponde a determinate esigenze dell’acquirente, a quella che lo stesso Séguéla battezza passion why, ovvero un acquisto effettuato sull’onda di una reazione emotiva nei con-fronti del prodotto, dal momento in cui il potenziale acquirente è affascinato dal prodot-to e vi si riconosce. Sostanzialmente, che vi sia tra l’acquirente e la marca lo stesso rap-porto di ammirazione, fiducia e immedesimazione che c’è tra spettatore e star, e non un mero apprezzamento del prodotto in sé (“Dimentichiamoci il discorso automobile, par-liamo all’automobilista”27).

Il problema dell’immagine della pubblicità è davvero un punto nodale in Séguéla, tanto da ricorrere in tutti i suoi libri, e emblematico in questo è il titolo di quello che è forse il suo libro più celebre, Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario, lei mi crede pianista in un bordello. L’aspetto più particolare del rapporto tra la teoria di Sé-guéla e l’immagine negativa della pubblicità, è che non solo Séguéla comprensibilmente non ritiene opportuno giustificarsi dell’utilizzo di un certo tipo di tecniche, ma anzi fa un vanto dell’avere come sue caratteristiche precipue proprio quelle che i detrattori con-siderano le peggiori della pubblicità28. Questo ci porta a fare un discorso molto più ap-profondito, basato su un terzo piano di analisi: dopo quello hollywoodiano e quello, de-rivato, della marca, vediamo quello della pubblicità in sé e per sé.

Abbiamo visto come Séguéla sostenga che una delle fondamentali differenze tra il suo metodo e quello “americano” consista nel non rifiutare i difetti della marca ma anzi farne parte decisiva della costruzione del carattere. Quindi, così come John Wayne da brutto è diventato vissuto, così come Cicona, invece di essere il caffè dei poveri è un caffè digeribile, allo stesso modo il pubblicitario non è un mistificatore, anzi: è uno dei primari veicoli di evasione dalla routine quotidiana. L’aspetto dell’evasione, del sogno, è fortissimo nella teoria di Séguéla. La pubblicità è spesso accusata di essere evasiva ri-guardo alle caratteristiche del prodotto, di costituire sostanzialmente la doratura di una pillola amara, di voler far credere al pubblico che il prodotto regalerà effetti che in realtà non può dare. Séguéla non solo non lo nega, ma va oltre: sostiene che il dovere del pub-blicitario è quello di regalare sogni. La sua espressione, già citata, “A chi può interessa-re un detersivo che sa solo lavare?” è fortemente emblematica.

Séguéla riconosce a quella che lui chiama copy strategy (ovvero il metodo tradizio-nale di pubblicizzare un prodotto segnalando i perché il prodotto merita di esser com-prato) un ruolo fondamentale nello sviluppo della pubblicità. È ovvio che un pubblico digiuno di ogni forma di pubblicità di fronte ad uno spot estremamente evocativo e poco concreto può restare indifferente o, peggio, colpito negativamente. Ma quello che dice Séguéla è che, in un periodo come il nostro, in cui la pubblicità è già uno strumento ma-

27 Ivi, pag. 140. 28 “Uccidere il sogno vuol dire uccidere la star. Così come uccidere l’immaginario vuol dire uccidere

la marca. Eppure questo salto nell’irreale continua a spaventare un utente di pubblicità. Più la nostra ri-flessione ci spinge verso rive insolite, più il cliente trema. Il mio prodotto è buono e costa poco, risponde al canto di sirena del suo pubblicitario, perché dobbiamo strafare? Basta dire le cose come stanno, e il gioco è fatto. Non si fanno più giochi di questo tipo al consumatore. La qualità e il prezzo gli sembrano il minimo indispensabile che una marca gli debba offrire. Quello che sia aspetta in primo luogo da una mar-ca è l’evasione” (Ivi, pag. 97).

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turo che il pubblico conosce, è arrivato il momento di superare i canoni prefissati e cer-care di stimolare il potenziale acquirente invece di limitarsi a passargli un’informazione preconfezionata. Si accusa la pubblicità di essere uno specchietto per le allodole, di o-mologare lo spettatore, di assoggettare le volontà? Séguéla risponde che il suo scopo è proprio l’opposto, stimolare, accattivare, rendere desiderabile. Si obietta che il desidera-re una marca-star non è un impulso consono ad un aspetto prettamente economico della vita? Séguéla rifiuta alla base proprio questo postulato: non esiste corrispondenza tra il concetto di “acquisto” e quello di sobrietà e riluttanza. Perché costringere il pubblico a vergognarsi delle sue passioni? Vi è forse una critica a colui che considera Marilyn Monroe come un mito? Allora perché criticare chi si lascia affascinare dalla Coca Cola? Séguéla si trova a dover combattere il periodo di pubblifobia29 della Francia dell’epoca, e non solo della Francia. Un periodo in cui la pubblicità è vista come una subdola forma di maleficio volto ad inquinare le coscienze. Questa posizione è stata fatta propria da tutta una gamma di pensatori e, purtroppo, a tutt’oggi non sembra esser superata. È di-ventata anzi una sorta di posizione a prescindere, un pregiudizio che conduce a veder sostenute l’inutilità, se non la nocività, della pubblicità, da persone che poi, come la maggior parte degli individui, ne rimangono comunque affascinate. Mi sia concesso di citare un’esperienza personale: mi è capitato, come immagino a tutti, di parlare con a-mici e conoscenti dell’oggetto di questo mio articolo e dei miei studi su Séguéla. Quan-do spiegavo in maniera estremamente semplificata questo pensiero del pubblicitario francese, e il fatto che fosse stato uno dei primissimi sostenitori di una pubblicità più onirica e meno scarna, la reazione della stragrande maggioranza di costoro fu: “Allora è colpa sua”. Persone diversissime tra loro, d’istinto sostenevano la stessa cosa: che la pubblicità dovesse essere meno evasiva e più informativa.

La posizione di Séguéla è molto estrema: egli considera la pubblicità come una vera e propria forma d’arte in tutto e per tutto. D’altro canto, se tra le arti figurano la musica, la pittura e il cinema… perché disprezzare a tal punto la pubblicità, che su musica, pittu-ra e cinema si basa? Il problema nell’ottica di Séguéla appare essere il troppo stretto le-game tra la pubblicità e l’acquisto del prodotto pubblicizzato. Così come il dipingere un capolavoro su commissione non è sintomo di attaccamento al denaro, così come incas-sare milioni per un bel film non è un furto, per lui la pubblicità non è un mero fatto eco-nomico, ma si spinge oltre. Non è solo la risultante di una serie di calcoli alle spalle e sulla mente del pubblico: è il frutto di un lavoro creativo che dei numeri classici della copy strategy fa unicamente un punto di partenza, per quanto essenziale.

Il dibattito, in realtà, è ben lungi dal giungere ad un termine. Si tratta, però, di riusci-re a portarlo avanti omettendo tutte le posizioni aprioristiche riguardanti la pubblicità. Non si può certo negare che, per alcuni dati oggettivi (come ad esempio il sinonimo pubblicità-interruzione di film e programmi televisivi, generalmente percepita come fa-stidiosa), la pubblicità abbia goduto e goda di un’immagine non particolarmente positi-va. Ma spesso e volentieri si cade nell’eccesso opposto: capita spesso di incontrare po-sizioni estremamente dure nei confronti della pubblicità, posizioni che però non forni-scono un’alternativa di qualsivoglia natura. La sensazione è che la critica principale sia

29 In un’intervista a me rilasciata, Séguéla identifica un percorso in tre tappe, che viene svolto da tutti

i paesi al momento della scoperta della pubblicità. In primis, un momento di “pubblifilia”, in cui il nuovo mezzo viene apprezzato e sfruttato; poi un periodo di “pubblifobia”, in cui come detto la pubblicità diven-ta di colpo la sorgente di tutti i mali del mondo, e infine un periodo di “pubblifollia”, che vede uno svi-luppo incontrollato del mezzo pubblicitario attraverso tutti i canali possibili. Ed è quello che stanno vi-vendo adesso i paesi più industrializzati, a detta di Séguéla.

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mossa più che altro in base ad un generico senso di inappropriatezza riguardante il le-game (svolto apparentemente dalla pubblicità) tra il senso di soddisfazione provato do-po un acquisto, e l’acquisto stesso, che viene percepito come una spesa e quindi un av-venimento non del tutto positivo. Come detto prima, la generica sensazione che la pub-blicità sia sostanzialmente un modo di indorare la pillola. E si arriva anche a considerare come una qualità, per una determinata marca, quella di non fare pubblicità.

A questo punto, il dibattito si riduce al vano tentativo di trovare un inesistente punto di contatto tra i due eccessi: da un lato chi potrebbe pensare, estremizzando il pensiero di Séguéla, che la pubblicità è un bene insostituibile della nostra società, dall’altro chi la rifiuta a priori. Ci troveremmo di fronte ad un netto decadimento di quello che in realtà è un dibattito molto interessante sul ruolo della pubblicità nella società della comunica-zione. Un dibattito aperto, che pone problematiche estremamente interessanti e sulle quali il pensiero di Séguéla potrebbe anche stupire.

In effetti, quando Séguéla parla di “pubblifollia”30, si riferisce ad un utilizzo perver-so del mezzo pubblicitario, che conduce all’attuale eccesso di pubblicità. Un eccesso che è sotto gli occhi di tutti: basti pensare all’enorme quantità di volantini presenti nelle buche delle lettere di tutti noi (tanto che sempre più palazzi hanno pensato di dedicare una buca delle lettere a parte per questo tipo di corrispondenza), all’incontrollata pre-senza di deturpanti manifesti in tutte le città oppure alla pubblicità su Internet, il famige-rato spam31. A quel punto, una critica è doverosa, non alla pubblicità in generale, ma a questo particolare modo di metterla in pratica. Séguéla non si erge al ruolo di difensore di ogni tipo di pubblicità, ma di una pubblicità artistica, affascinante, onirica. A questo punto, non può non criticare la pubblicità massificata dei tempi recenti, proprio perché, come dice egli stesso, “troppa pubblicità uccide la pubblicità”. Probabilmente, se la pubblicità fosse tutta sulla falsariga di spam e volantini, egli stesso ne sarebbe un detrat-tore.

Come uscirne? La ricetta proposta da Séguéla è molto semplice: è necessario che venga premiata la pubblicità di qualità. Una pubblicità ricca di idee, convincente, affa-scinante. C’è chi però sostiene che il problema è nella pubblicità in sé, e che a questo eccesso va risposto con provvedimenti restrittivi (legali e non) che, sostanzialmente,

30 Vedi nota precedente. 31 L’origine di questo termine ormai noiosamente noto a tutti gli utilizzatori frequenti di posta elet-

tronica è allo stesso tempo divertente e interessante proprio da un punto di vista pubblicitario. In effetti, lo spam come è conosciuto oggi nasce dal prodotto SPAM, acronimo di “Shoulder of Pork And haM”, ovve-ro “spalla di maiale e prosciutto” (vi sono altre varianti come “SPiced hAM” (prosciutto aromatizzato), “Spiced Pork and hAM” (maiale e prosciutto aromatizzati), “Specially Processed Army Meat” (carne per l'esercito fabbricata in modo speciale) oppure “Specially Processed Assorted Meat” (carne mista fabbrica-ta in modo speciale) per la versione light che contiene carne sia di maiale che di pollo). Si tratta di un blocco di carne in scatola, di scarsa qualità, che fu escluso dal razionamento alimentare in Inghilterra du-rante la Seconda Guerra Mondiale, e ne guadagnò una fama tutt’altro che desiderabile. Il collegamento con la posta indesiderata è dovuto ad una scenetta del gruppo comico britannico Monty Python: nella sce-netta, che si svolge in un ristorante, un gruppo di turisti vichinghi ordina alcuni piatti, chiedendo espres-samente che essi non contengano SPAM, “cosa che la cameriera puntualmente disattende - la scenetta è probabilmente legata proprio alla politica di razionamento bellico della carne. Nel finale tutti cantano una canzone che ripete infinite volte le dubbie virtù dello SPAM”. Ed è così che il termine SPAM è diventato sinonimo di “quantità eccessiva e qualità infima”, che ben si sposa con la posta elettronica indesiderata. In tutto ciò, è interessante notare come l’azienda produttrice dello SPAM, la Hormel, abbia voluto pren-dere le distanze da questo accostamento (imponendo quantomeno la distinzione tra lo SPAM - tutto maiu-scolo - carne in scatola e lo spam - tutto minuscolo - posta indesiderata), ma allo stesso tempo metta in vendita sul suo sito una serie di prodotti di merchandising che sfruttano palesemente il richiamo sia della scenetta dei Monty Python sia del nuovo utilizzo del termine spam.

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portino la pubblicità all’interno di canoni informativi, senza abbellimenti né infiocchet-tature. Come detto, il dibattito rimane aperto. 3. L’applicazione delle teorie di Séguéla alla pubblicità politica

Abbiamo finora analizzato l’idea che Jacques Séguéla ha portato avanti in tutti i suoi

ormai numerosi anni di carriera della pubblicità. Abbiamo visto come il suo metodo, ri-goroso e creativo allo stesso tempo, di attribuire a ogni marca un fisico, un carattere e uno stile per farne poi una star, ha conosciuto un successo enorme. Un successo che da un lato ha portato numerose marche da lui pubblicizzate ad un risultato commerciale che va oltre l’incremento delle vendite del prodotto, garantendo una durata nel tempo alla marca, e dall’altro lato ha garantito fama e considerazione a Séguéla stesso, spalan-candogli le porte al riconoscimento e all’ingresso nel novero dei grandi pubblicitari d’ogni tempo. In numerosi libri riguardanti il mestiere di copywriter, egli viene descritto come uno dei principali allievi dei più grandi maestri come Leo Burnett, David Ogilvy e Bill Bernbach, e a sua volta uno dei principali maestri della seconda generazione, quella seguente per l’appunto alle tre leggende della pubblicità sopracitate.

A differenza di molti altri pubblicitari, però, va detto che Jacques Séguéla ha saputo unire in maniera perfetta la pubblicità “classica” con quella politica, sapendo applicare il suo metodo anche ai candidati. Possiamo dire che, probabilmente, insieme a quella per i Produits Libres per Carrefour, la campagna che lo ha reso famoso in Francia e nel mondo è stata quella per le Elezioni Presidenziali francesi del 1981, dove il suo slogan “La Forza Tranquilla” ha permesso a François Mitterrand di sovvertire i pronostici che lo davano in svantaggio rispetto al presidente uscente Valery Giscard d’Estaing e di se-dere sul trono dell’Eliseo per la prima volta. Questa campagna, però, una volta ancora non è stata frutto di un’idea singola prodotta dalla pur vulcanica mente di un singolo creativo, bensì composta seguendo il rigoroso metodo dell’agenzia, lo stesso applicato alle marche commerciali. Si tratta di un dato curioso: se il metodo per la pubblicità “classica” consisteva nel dare il più possibile alla marca dei caratteri umani, per quanto riguarda i candidati lo scopo sarà accomunarli alle marche per poi intraprendere un se-condo livello di analisi che li farà “ritornare persone” secondo però il ben noto trittico “fisico-carattere-stile”. Quello che fa la differenza, al solito, è il carattere: ma per quanto la cosa possa sorprendere, stabilire il carattere di una persona è molto più facile rispetto a quello di una persona-che-deve-esser-venduta-come-marca, per via di ovvie semplifi-cazioni che possono avvenire quando si parla di un individuo nei termini classici.

L’approccio alla campagna è sostanzialmente identico per ciò che riguarda il meto-do applicato dal pubblicitario (o consigliere in materia di pubblicità, nel caso di pubbli-cità politica); vi sono altresì alcune innegabili differenze. Descriveremo adesso il meto-do e le sue applicazioni aiutandoci con alcuni esempi concreti di campagne elettorali re-alizzate da Séguéla, prima fra tutte per l’appunto quella realizzata per François Mitter-rand nel 1981. Ci soffermeremo quindi sulle differenze intercorrenti tra la pubblicità classica e quella politica e infine cercheremo di stabilire alcuni punti comuni a tutte le campagne séguéliane.

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a. L’applicazione del metodo Come detto, la grande innovazione che Jacques Séguéla introduce nel mondo della

politica è proprio una visione della comunicazione politica basata sui canoni della co-municazione commerciale. Con le dovute distinzioni, che affronteremo in seguito, Sé-guéla si propone di vendere il suo prodotto-candidato, proprio come se vendesse un de-tersivo o un’automobile. Il suo ragionamento è sempre lo stesso: la comunicazione poli-tica “classica”, fatta interamente di contenuti, è una fondamentale base dalla quale parti-re, ma è attualmente il minimo che ci si possa aspettare da un candidato: che abbia un programma chiaro e concreto per portare avanti un paese, così come un detersivo deve essere in grado di lavare un capo d’abbigliamento. A quel punto, però, è giusto lavorare sul pubblico, in questo caso sull’elettorato. Rispettare e stimolare i suoi sogni, i suoi de-sideri.

Nel suo libro più recente, tra quelli dedicati alla comunicazione politica, Le vertige des urnes (2000), Séguéla propone un decalogo di “regole” dell’elettorato, una sorta di guida in dieci punti agli aspetti in comune tra le varie campagne elettorali e, di conse-guenza, agli errori che non bisogna assolutamente compiere in sede di campagna eletto-rale: • Séguéla inizialmente afferma che si vota per un uomo e non per un partito. Questa

regola si basa sul concetto stesso che è alla base di tutte le campagne, politiche e non, di Séguéla: il concetto di star. La star è l’elemento che attirerà su di sé i sogni del pubblico, che saprà stuzzicare l’elettore elevandosi al di sopra degli altri. Nel 2002, durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali che vedevano Lio-nel Jospin candidato contro Jacques Chirac, l’atteggiamento del Partito Socialista francese ha penalizzato il suo stesso candidato, che perse molti voti presentandosi non come futuro presidente bensì come rappresentante del partito (venendo poi bat-tuto fin dal primo turno da Jean-Marie Le Pen);

• secondo: si vota un’idea e non un’ideologia, il che non vuol dire fuggire le ideologie di base, ma sapere che il pubblico non condividerà un programma dettagliato ma sa-prà condividere una visione del paese;

• terzo punto: si vota per il futuro e non per il passato. Proprio per questo, durante le sue numerose campagne elettorali nei paesi dell’Est dopo la caduta del Comunismo (Želev in Bulgaria, Walesa in Polonia, Havel in Cecoslovacchia), Séguéla sconsigliò i vari candidati dei partiti opposti al regime di utilizzare come slogan frasi ispirate al ruolo ricoperto in passato dai loro antagonisti e da loro stessi (esemplare in questo l’ingenuo slogan “I rappresentanti dell’Unione delle forze democratiche non vengo-no dai palazzi” proposto dall’entourage di Želev);

• il pubblico è disposto a riconoscere i meriti delle passate gestioni, ma più di tutto ha bisogno di nuove prospettive. Si vota per uno spettacolo e non per la banalità. In questo aspetto ritornano alla mente le varie componenti della star, in particolare il suo essere non-conformista e avventurosa. “Viene eletto colui che racconta al suo popolo il pezzo di storia che il popolo vuole sentire in quel momento. A condizione (e in questa condizione sta l’autodifesa della democrazia) di esserne l’eroe credibi-le”32;

• quinta regola: si vota per sé e non per un candidato. Si tratta di uno degli aspetti più interessanti della teoria di Séguéla, che dice che “un’elezione è più psicologica che

32 J. SÉGUÉLA, Le vertige des urnes, Flammarion, Parigi 2000, pag. 25.

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politica”33. L’elettore è alla ricerca delle sue risposte, non di risposte generalizzate. Questo aspetto richiama da un lato il metodo di Séguéla e la parte fondamentale nel-la quale il candidato prende conoscenza con il proprio elettorato e le sue esigenze. Dall’altro lato, vi è l’aspetto dell’avvenire, sempre ben presente in Séguéla, che par-la di un futuro basato sull’interattività, nella quale quindi il candidato non dovrà concentrarsi sui diversi obiettivi del suo elettorato bensì ormai definitivamente sulle esigenze del singolo elettore;

• sesta regola: si vota per il vero e non per il finto-somigliante. Ci si ricollega al-l’aspetto dell’onestà del prodotto, della sincerità del carattere e dell’armonicità dello stile. Più si va avanti negli anni e più il candidato è sottoposto ad una minuziosa dis-sezione da parte dei vari mezzi di comunicazione; nessuno quindi può permettersi di manipolare invece di comunicare. A questo punto, essere sé stessi è il modo miglio-re per comunicare la verità. Fu proprio questa semplice verità ad aiutare il solita-mente goffo Mitterrand nel primo scontro TV con Giscard: “quando il futuro presi-dente mi chiese se avessi qualche suggerimento da dargli, gli risposi: ‘Siate voi stes-so, non esiste altra scuola di telegenia’”34;

• la settima regola è: si vota per un destino e non per la banalità. Il candidato non de-ve mai dimenticare che il suo elettore non lo vota per accontentarsi, ma perché spera in un futuro migliore. Per il candidato, il modo migliore per garantirsi questo tipo di fiducia è promettere prospettive allettanti e mantenibili e poi, una volta eletto, sem-plicemente, mantenerle;

• ottava regola: si vota per un valore e non per una funzione. In questo è forte il ri-chiamo all’aspetto simbolico del carattere. “La differenza tra una star e una vedette è che la prima incarna un valore, la seconda una funzione. Da Marilyn donna-bambina a Sharon Stone donna-sesso, da Bogart il mistero a Depardieu l’orgoglio, il cinema non ha mai mancato a questa regola. Il candidato è la stessa situazione. Se non rap-presenta altro che un’azione, resta un uomo politico. Se simboleggia un impegno, eccolo uomo di Stato”35. Facile pensare a questo punto alla differenza tra il messag-gio di Giscard (“Ci vuole un presidente per la Francia”) e quello di Mitterrand (“La forza tranquilla”) nelle Presidenziali del 1981 che analizzeremo in seguito;

• la nona regola dice che si vota per un attivo, e non per un passivo. Il concetto è che l’azione paga sempre, perché è l’azione che spinge all’errore l’avversario; e, a detta di Séguéla, “non si vince un’elezione, è l’avversario che la perde”36;

• infine, si vota per un vincente e non per un perdente, il che al primo impatto può sembrare illogico dal punto di vista cronologico; ma basti pensare all’importanza dell’immagine di Mitterrand, che ha saputo, la prima volta da sfidante e la seconda da sfidato, imporre comunque all’avversario il ruolo di “secondo”. Si tratta di nuovo del richiamo alla fiducia in sé stessi e alla tenacia che una star deve avere. Vediamo quindi in questo decalogo finale come anche la pubblicità politica, secon-

do Séguéla, è la risultante della giusta unione tra fisico, carattere e stile. Nessuno di questi aspetti può esser trascurato: basti pensare a cosa succederebbe se si soprassedesse alla sesta regola, presentando solo candidati falsi dalle grandi ed insostenibili promesse. In compenso, il rispetto di questi “dieci comandamenti” della comunicazione politica ha garantito ai candidati di Séguéla numerosi e, soprattutto, duraturi successi. Di nuovo l’a-

33 Ibidem. 34 J. SÉGUÉLA, Hollywood lava più bianco, op. cit., pag. 29. 35 J. SEGUELA, Le vertige des urnes, op. cit., pag. 26. 36 Ivi, pag. 27.

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spetto della durata è importante. Spesso il passaggio di Séguéla ha coinciso con una svolta epocale nel paese dove si svolgevano le elezioni: basti pensare alle campagne nei paesi dell’est appena liberati dal comunismo, o alla campagna per Ricardo Lagos nel Ci-le del dopo-Pinochet. Se questi paesi non sono poi immediatamente ricaduti negli abissi del passato, è anche grazie ad un messaggio che ha fatto sognare i cittadini, che ha pro-spettato loro un futuro basato su un nuovo programma di diverso tipo, che avrebbe mi-gliorato la loro vita e quella dei loro figli, e, soprattutto, che è stato per lo più mantenu-to.

b. Le differenze tra pubblicità commerciale e pubblicità politica Per quanto riguarda la pubblicità politica, i dubbi e le rimostranze tradizionalmente

riservati alla pubblicità classica sono doppiamente rinforzati. In effetti, si può considera-re giusto il fatto di considerare alla stregua di un detersivo un candidato e il suo pro-gramma, i quali potenzialmente potrebbero decidere il destino di milioni di elettori? Il fatto è che, risponde Séguéla, non esiste campagna elettorale senza pubblicità, com’è ovvio. Oramai non è più possibile (ammesso che lo sia mai stato) per un candidato il fatto di presentarsi ad una elezione senza permettere all’elettore di conoscere il suo vol-to ed il suo programma. E a questo punto, le differenze tra il prodotto e il candidato vi possono pure essere, e vi sono indubbiamente, ma non toccano quel punto di vista: “Senza [pubblicità], non c’è vendita possibile. Questo dato di fatto è valido allo stesso modo per la politica. Vi sciocco, lo so, ma bando alle ipocrisie, l’atto elettorale è un atto di consumo come un altro”37. E proprio a dimostrarlo, in un atto che solo apparentemen-te è provocatorio, ma in realtà è anzi di un’estrema coerenza, vi è la posizione più volte ripetuta di una pubblicità che non è il mezzo fondamentale attraverso il quale viene elet-to un candidato, ma solo un aiuto. “La comunicazione non è né vizio né virtù, né mani-polazione, né miracolo, ma un semplice microfono. E come farsi sentire dalla folla sen-za amplificatore? Senza la tecnica, il cantante è muto anche se la qualità del suono non ha mai rimpiazzato il talento”38. Quindi, possiamo dire che “se è vero che conta soltanto il metodo, è anche vero che esso passa soltanto per la forma”39, una frase che potrebbe riassumere l’intero pensiero di Séguéla in materia di comunicazione politica.

Quali possono essere quindi le differenze tra i due tipi di pubblicità? Innanzi tutto, vi è una componente essenziale che distingue la pubblicità politica: la responsabilità dell’autore della campagna. In questo caso, la regola autoimpostasi da Séguéla rispetto all’onestà del prodotto è doppiamente fondamentale perché, come mi ha detto nell’inter-vista che mi ha rilasciato mentre svolgevo le mie ricerche, “è in gioco la salute di un pa-ese”. Non si tratta, in questo caso, di un detersivo che lava più nero quando la pubblicità dice che lava più bianco. In questo caso, per sette anni (nel caso delle presidenziali fran-cesi) il prodotto non può essere cambiato e neanche si può smettere di comprarlo. Quando parla della similitudine tra candidato e prodotto, infatti, Séguéla precisa che c’è una “differenza di taglia, dato che il prodotto è un uomo e la scelta è un abbonamento per sette anni non rimborsabile”40.

37 Ivi, pag. 12. 38 Ibidem. 39 J. SÉGUÉLA, Eltsin lava più bianco, op. cit., pag. 103. 40 J. SEGUELA, Le vertige des urnes, op. cit., pag. 12.

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Inoltre, va aggiunta una differenza nel vero e proprio genere di pubblicità, incentra-ta, nel caso della pubblicità politica, sull’offerta, a differenza di una pubblicità di con-sumo decisamente più incentrata sulla domanda. Si tratta insomma di non assecondare più alla lettera l’esigenza del pubblico, ma di far condividere la propria visione del pae-se. Anche perché, in un contesto politico, vi sono per forza di cose provvedimenti da portare avanti nonostante siano manifestamente impopolari.

Infine, dal punto di vista del linguaggio, si tratta di esser capaci di semplificare e non banalizzare. Gli argomenti trattati sono di massima importanza, è opportuno quindi utilizzare un linguaggio appropriato ed elevato, senza per questo però allontanarsi dalla gente. Da questo punto di vista, mi ha detto Séguéla, “è importantissimo l’accordo tra il messaggio e la sua presentazione”. In effetti ogni singolo messaggio, per quanto possa essere complicato o articolato, deve essere espresso con efficacia fin dal primo impatto con l’immagine; e questa cosa è in effetti più facile quando si parla di un prodotto com-merciale.

Dal punto di vista della tecnica di campagna, vale a dire quello che riguarda più strettamente il pubblicitario, vi è una differenza di tempi: ovvero spesso la risposta al-l’avversario deve esser coniata e messa in pratica (attraverso un manifesto, un’intervi-sta, un comunicato) in tempi brevissimi. “La freschezza delle campagne elettorali è che non hanno né il tempo né il timore di perdersi in consensi. Sottomesse alle pressioni dell’attualità, non agiscono, reagiscono. Il loro primo talento rimane l’ipersensibilità del momento e la capacità a trovare sul campo una risposta a tono”41. Questo non vuol dire ovviamente che l’intero svolgimento della campagna si basa sull’ispirazione del mo-mento; piuttosto, ne descrive questa componente, molto meno incisiva rispetto al merca-to dei prodotti commerciali, dove vige una concorrenza meno esplicita (Dash non è te-nuto a rispondere colpo su colpo a Dixan) e dei tempi più permissivi.

Infine, vi sono due differenze proprie di Jacques Séguéla, legate al suo modo di con-cepire le campagne elettorali. Innanzi tutto, egli non si è mai posto preclusioni di natura politica. L’unico requisito che egli chiede al candidato che richiede i suoi consigli è che questo candidato abbia delle idee politiche assolutamente democratiche: “La mia parte-cipazione non è mai politica ma è sempre democratica”42.

La seconda differenza, quella che fa ancor più onore all’impegno di Jacques Ségué-la, è che egli ha sempre lavorato gratis per tutti i candidati con i quali ha collaborato, anche con quelli che avrebbero potuto pagarlo (e molti non erano nelle condizioni di so-stenere un’eventuale spesa, in special modo nell’Europa dell’Est). Nell’ottica di Ségué-la, la sua collaborazione si proponeva uno scopo che nulla aveva a che vedere con l’in-troito economico: “Avevamo espressamente richiesto che la nostra collaborazione fosse interamente gratuita. Il nostro unico compenso consisteva nel cercare di far progredire la comunicazione politica”43. Questo aspetto ci conduce ad una breve conclusione: il fatto che Séguéla stesse collaborando a titolo gratuito fu l’oggetto, nel 1981 durante la prima campagna per Mitterrand, di un attacco, di persone che insinuarono che in realtà la sua collaborazione era stipendiata da fondi neri del Partito Socialista. L’aspetto sor-prendente e curioso, però, fu l’osservare che queste voci non provenissero, com’era in-vece lecito attendersi, dalla fazione politica opposta, bensì dalle altre agenzie pubblicita-rie. In generale, nella sua carriera, Séguéla si è dovuto spesso confrontare con l’ostraci-smo del mondo pubblicitario nei confronti delle sue teorie, forse troppo innovative per

41 Ivi, pag. 17. 42 Ivi, pagg. 10-11. 43 J. SÉGUÉLA, Hollywood lava più bianco, op. cit., pagg. 29-30.

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la concorrenza (basti pensare che persino “La Forza Tranquilla” fu considerato uno slo-gan mediocre e ben meno efficace dei due slogan degli avversari). La cosa che più sconvolge Séguéla è che il mondo della pubblicità si comporta all’esatto opposto del modo che lui riterrebbe opportuno e anche necessario. Egli si è spesso augurato che il mondo della pubblicità, avvezzo a divisioni e scontri intestini, sappia riunirsi per portare avanti un discorso di innovazione e miglioramento della qualità pubblicitaria; in realtà, avviene che il mondo della pubblicità, eternamente frammentato e polemico, si unisce intorno alla posizione antiséguéliana e per questo antiinnovativa. E si tratta di un pro-blema che Séguéla si pone nel 1981, ma che a tutt’oggi appare irrisolto, visto che nel suo libro Le futur a de l’avenir, nonché nell’intervista, Séguéla ribadisce la necessità di andare oltre all’odierno modo di far pubblicità, diminuendone l’enorme quantità per puntare ad una maggior qualità. Ma sono parole che, per il momento, sembrano non es-sere ascoltate.

4. Alcuni esempi a. La pubblicità per i Produits Libres di Carrefour

Nel 1976, Séguéla stava vivendo uno dei momenti più delicati della sua carriera di pubblicitario. Da poco, infatti, la sua agenzia aveva rilevato un’agenzia satellite di Ha-vas, la A.O.G., e soprattutto l’agenzia del suo ex-datore di lavoro, Robert Delpire, dal quale aveva ereditato anche un cospicuo buco finanziario. L’occasione per risollevarsi gli fu data da un’altra azienda che, in quel periodo, aveva bisogno di alzare la posta: Carrefour.

Il colosso francese della grande distribuzione aveva vissuto pochi anni prima il suo periodo d’oro, essendo stato il primo a creare gli ipermercati all’inizio degli anni Ses-santa. Carrefour era sinonimo di prezzi bassi e di convenienza per il cliente. Per ovvi motivi, però, con il passare degli anni l’idea di Carrefour aveva fatto scuola, e in quel periodo i prezzi di Carrefour non potevano dirsi con certezza i più convenienti: “e se Carrefour non è il meno caro, non è più Carrefour”44. Così come la RSC aveva avuto bi-sogno di una nuova iniezione di energia, ora Carrefour aveva bisogno di un’idea.

Quest’idea nacque durante un incontro tra Séguéla e Cayzac, e Denis Defforey e E-tienne Thil, direttore generale e direttore del marketing di Carrefour. La grande idea, l’idea che avrebbe regalato a Carrefour una seconda giovinezza, fu quella di andare oltre al concetto di marca: vale a dire creare dei prodotti, con il marchio dell’ipermercato, completamente privi di ogni concessione alla commercializzazione: dei Prodotti Bian-chi, estremamente spartani per tutto ciò che riguarda il packaging (che sarà, per l’ap-punto, una confezione del colore più neutro che ci possa essere: il bianco). Dei prodotti che siano frutto di ricerche approfondite per costituire un punto di riferimento per il re-sto del mercato. Ma dei prodotti che siano, grazie ad un accordo con i grandi produttori e ad un taglio radicale del guadagno dell’azienda, i meno cari in assoluto. Questo è il ca-rattere del prodotto Carrefour: innovativo ed economico.

Si trattava di una vera e propria rivoluzione, nell’ambito del commercio e nell’ambito della comunicazione commerciale. Lo scopo di Carrefour era quello di crea-re un vero e proprio punto di riferimento: i prodotti migliori al prezzo più basso. Una

44 J. SEGUELA, Ne dites pas à ma mère que je suis dans la publicité… elle me croit pianiste dans un bordel, op. cit., pag. 149.

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sfida a tutti i canoni vigenti del commercio. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, Carrefour non avrebbe certo lesinato: il budget, per una campagna di tre mesi, era di trenta milioni di franchi, il più alto nella storia della pubblicità francese. I nomi del di-rettore di marketing e del direttore della creazione della campagna possono sorprendere: si tratta di Bernard Brochand e Jacques Séguéla. Il direttore di marketing della prima agenzia pubblicitaria di Francia, braccio destro di Jacques Douce a Havas, e il creativo di spicco della sua maggiore concorrente. “Due uomini ugualmente brillanti, ma le cui differenze si affiancavano come le due ruote di uno stesso ingranaggio. [Séguéla] si chiude in casa, si circonda di creativi, alimenta il congegno con dei getti d’idee che ec-citano, incitano, sviluppano, ciascuno spingendo il proprio ingegno ad essere un po’ più vivace, un po’ più “succoso”, un po’ più folle di quello del vicino o di come è stato il suo stesso poco prima. In questo vento che soffia, Séguéla si trova a meraviglia, ispira, esclama, rettifica, si fa superare in modo che, grazie anche all’amor proprio, ognuno si senta in stato di grazia. Brochand interviene per riportare le cose alla logica e alla perti-nenza”45.

La grandissima sfida pubblicitaria, quella che renderà una campagna come quella per i prodotti Carrefour un caso unico, è sostanzialmente la natura stessa del prodotto: come si può pubblicizzare una marca non-marca? Inoltre, questo stesso paradosso insito nel prodotto stesso farà desistere diversi creativi dal collaborare con Séguéla: non vole-vano prestarsi a questa “profanazione della marca”. Infine, sfida nella sfida, tutta la campagna, per motivi di segretezza e di impatto, doveva concretizzarsi in tre mesi.

Come abbiamo visto, secondo Séguéla la campagna comincia con l’individuazione del fisico del prodotto, e quindi del carattere: è il carattere che costituisce il nucleo della campagna. Inizialmente Séguéla puntò sul concetto di fondo della qualità della vita, e volle agire sullo stesso piano del prodotto: l’anti-marca non poteva che esser pubbliciz-zata dall’anti-pubblicità. Propose così a Brochand una campagna in tono minore, senza squilli di tromba, strettamente informativa. Brochand rispose in maniera estremamente negativa: “Lanciando l’antimarca, voi uccidete la marca. E con cosa la rimpiazzate? Con il niente. Parlate di qualità della vita e cosa offrite? Del bianco. Della noia”46. Un colpo tremendo per Séguéla: sentirsi accusato di uccidere il sogno, lui che sul sogno ha basato la sua filosofia di pubblicitario.

Per rimettere in moto la macchina della campagna, Brochand pensò di far incontrare la creatività dell’équipe di Séguéla con dei dati informatici. Fu così che alla RSC si pre-sentò un giorno Bernard Cathelat, capo della CCA (Centre de Communication Avan-cée), nonché precursore di un metodo di studio dei gusti dei francesi basato su quelli che lui chiamava “flussi socioculturali”: “incrociando sul computer diverse centinaia di indagini di mercato tra le più disparate (circa dieci anni di sondaggi e di inchieste), ave-va tracciato un nuovo profilo-robot psicosociologico del Francese. Il consumatore dei dieci anni a venire”47. L’immagine che ne uscì fu decisamente rivoluzionaria: un france-se meno materialista, meno possessivo, meno legato alla quantità, ma decisamente più attratto dai piaceri della vita, dalla qualità e dalla sensualità. Il cittadino era cambiato, e profondamente: portava con sé una pressante esigenza di emancipazione. La traduzione di tutto questo, secondo Cathelat: sete di libertà. E proprio la libertà divenne quindi il concetto fondamentale, il carattere della campagna. Nacque così La marque libre, la marca libera. Il problema a quel punto era rendere partecipe il pubblico del suo stesso

45 M. GERMON, Jacques Séguéla, un Scapin de génie, Molière, Parigi 1988, pag. 65. 46 J. SEGUELA, que je suis dans la publicité… elle me croit pianiste dans un bordel, op. cit., pag. 154. 47 Ivi, pag. 155.

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moto di liberazione: e per fare ciò, il concetto di “marca libera” era troppo filosofico e troppo intellettuale. Si trattava di rendere libero l’acquirente, non la marca. In fin dei conti non era proprio il concetto di marca a dover essere superato?

L’idea decisiva venne in occasione di una visita al Laboratorio in cui tutti i prodotti venivano analizzati per poterne garantire la qualità. L’intera équipe di Séguéla fu con-dotta a visionare e testare con i propri occhi l’enorme sforzo produttivo e qualitativo compiuto da Carrefour. Durante la visita, poterono apprezzare come Carrefour avesse dato ordine di rispettare tutti i canoni di qualità imposti dalle normative francesi: i pro-dotti sarebbero stati accompagnati da una scheda tecnica che ne avrebbe descritto minu-ziosamente contenuto e composizione. Lo scopo è spiegato direttamente dal dottor E-stienne, responsabile dei controlli della produzione: “Saranno dei buoni prodotti, ma so-prattutto saranno dei prodotti onesti”48. Su queste basi, la centralità della campagna non poteva situarsi sulla marca-non-marca ma piuttosto sul prodotto-prodotto. Fu così che dalla marque libre nacquero i Produits Libres.

Determinato il fisico del prodotto (il pacchetto bianco, l’imballaggio spartano), de-terminato finalmente il carattere (il prodotto libero), rimaneva da decidere lo stile. Ini-zialmente spartano (lettere blu su sfondo bianco), dopo le rimostranze di Brochand lo sfondo divenne un cielo azzurro. Era stato intrapreso il binario giusto. La zampata deci-siva è firmata Séguéla: tra le diverse foto di cieli azzurri selezionate per la campagna, l’occhio gli cadde su quella di un gabbiano che si librava nei cieli di Parigi. Come e-sprimere meglio il concetto di libertà?

Fu così che apparvero i primi manifesti con il gabbiano. Il secondo passo fu una se-rie di manifesti con lo slogan più semplice e allo stesso efficace che ci sia: ecco a voi il detersivo detersivo, il caffè caffè, l’olio olio. Il richiamo alla vera essenza del prodotto.

La campagna suscitò il classico vespaio. Il mondo della pubblicità reagì in maniera violentissima. Jacques Douce impose a Bernard Brochand di prendere le distanze da quella che veniva considerata una vera e propria provocazione. L’intero gotha del mar-keting andò su tutte le furie. Fu un susseguirsi “di piagnistei, proteste e critiche. Si può vivere di marche e impiegare il proprio tempo, la propria energia e la propria ispirazione a vendere l’anti-marca? Sputare nel piatto in cui si mangia?”49. François Dalle, il patron di L’Oreal, fu forse l’esempio più incredibile. Di fatto, in nome di questo rifiuto della posizione di Carrefour, declinò l’offerta di una pubblicità gratuita e di sicuro successo: dato che la regola autoimposta dai creatori dei Produits Libres era di rispettare l’onestà assoluta, la pubblicità della lacca “libera” recitava esattamente così: “Ecco a voi la lacca lacca. Ma siamo spiacenti, non è la migliore del mercato: non siamo riusciti ad ugua-gliare le prestazioni di Elnett. Complimenti a L’Oreal”. Quale pubblicità migliore?

Le condanne arrivarono veramente da ogni parte. Il ministro del Consumo Christia-ne Scrivener convocò Denis Defforey per cercare di convincerlo a desistere da questa iniziativa. I grandi capi d’azienda insorsero anch’essi sostenendo che “il Presidente di Carrefour avrà fatto molto di più per accelerare il passaggio al socialismo rispetto ai si-gnori Maire, Marchais, Mitterrand e Seguy50 messi insieme”51. L’A.A.C.P., Association

48 Ivi, pag. 157. 49 M. GERMON, Jacques Séguéla, un Scapin de génie, op.cit., pag. 67. 50 Edmond Maire, Georges Marchais, François Mitterrand e Georges Seguy, allora leaders dei socia-

listi. 51 La frase uscì in un articolo di Jean Mothes sul giornale Investir ed è riportata da da J. SEGUELA, Ne

dites pas à ma mère que je suis dans la publicité… elle me croit pianiste dans un bordel, op. cit., pag. 165.

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des agences-conseils en publicité (Associazione delle agenzie-consigli in pubblicità) condannò ufficialmente l’iniziativa. Il professor Estienne rischiò di esser trasferito per aver avallato l’operazione. Insorse persino Marcel Bleustein-Blanchet, leggenda della pubblicità francese, lo stesso che nel suo libro più famoso, Rage de convaincre, aveva dichiarato “Siamo in un paese dove servono almeno dieci anni per far accettare un’idea. A un certo punto è seccante”52.

Ma se la concorrenza, nell’ambito della distribuzione come in quello della pubblici-tà, gridava allo scandalo, il pubblico dimostrò di gradire, e non poco, questa rivoluzione firmata Carrefour e RSC (allora non era ancora arrivato il quarto socio, Jean-Michel Goudard). I dati di vendita lasciano poco spazio a dubbi: in due settimane furono vendu-ti 130.000 pacchetti di caramelle senza coloranti, 100.000 scatole di biscotti, 320.000 litri d’olio, 420 tonnellate di pasta, 250 tonnellate di farina, tutti gli altri “prodotti libe-ri”, a cominciare dal detersivo per lavatrice, quello che Séguéla indica come “il prodotto per eccellenza che non esiste se non attraverso la sua marca”53, stavano rapidamente e-saurendo le scorte. Un mese dopo, i Produits Libres costituivano fino al 50% delle ven-dite nei propri rispettivi settori, erano stati provati da otto clienti su dieci e sette su dieci li ricompravano.

Il successo fece epoca. A tutt’oggi, la campagna per i Produits Libres è una pietra miliare della pubblicità francese. Inoltre, oserei dire soprattutto per i fini di questo stu-dio, il gabbiano, librandosi nel cielo, accompagna il definitivo ingresso di Jacques Sé-guéla nel ristretto novero dei personaggi pubblici. Se da un lato gli costa a livello pret-tamente economico, visto che tra i risultati della fronda di cui sopra vi è anche il ritiro di alcune commissioni, l’avventura dei Produits Libres gli regala fama e considerazione. “Oramai Jacques Séguéla si comporta pubblicamente come un profeta della pubblicità. I giornalisti lo chiamano, lui risponde. In abbondanza. E senza mai dimenticarsi di ricon-durre la propria azione all’aspetto filosofico di ciò che deve essere, secondo lui, la co-municazione”54. b. La pubblicità Citroën

Parlare di Jacques Séguéla e non parlare di Citroën sarebbe quasi sacrilego: è in ef-

fetti alla casa automobilistica francese che egli è più radicalmente legato, tanto da defi-nirla, nel libro Pub Story, “la marca della mia vita”. Cresciuto nel mito della casa del Quai de Javel, Séguéla avrà Citroën come leit-motiv lungo tutta la sua vita e la sua car-riera. La Citroën 2CV lo accompagna nel 1958 in un avventuroso giro del mondo porta-to a termine insieme all’inseparabile amico Jean-Claude Baudot. Sempre la Citroën se-gna il suo ingresso nel mondo della pubblicità, e sempre la Citroën è il suo primo bu-dget da creativo dell’agenzia Delpire. Infine, quando RSC rileverà Delpire, Séguéla le-gherà il suo nome e il suo affetto proprio alla grande casa automobilistica francese.

La storia di Citroën è costellata da grandi invenzioni. André Citroën, colui che nel 1913 fondò la casa, fu davvero un grande innovatore. Lo stesso simbolo della Citroën, i due galloni, richiama un tipo di ingranaggio, estremamente innovativo per l’epoca, che

52 M. BLEUSTEIN-BLANCHET, Rage de convaincre, riportato da JACQUES SEGUELA, Ne dites pas à ma

mère que je suis dans la publicité… elle me croit pianiste dans un bordel, op. cit., pag. 165. 53 J. SEGUELA, Ne dites pas à ma mère que je suis dans la publicité… elle me croit pianiste dans un

bordel, op. cit., pag. 166. 54 M. GERMON, Jacques Séguéla, un Scapin de génie, op. cit., pag. 66.

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essendo più efficace, più dolce e meno rumoroso rispetto al sistema “classico”, permise una migliore produzione. La prima Citroën, la “Type A”, presenta alcune caratteristiche decisamente rivoluzionarie: è una macchina debitamente accessoriata (fari, ruota di scorta, capote, accensione elettrica… si parla del 1919!), che consuma 7,5 litri ogni 100 km, ha una velocità massima di 65 km/h e, soprattutto, costa poco meno di ottomila franchi. Una macchina di qualità accessibile a tutti grazie ai moderni sistemi di produ-zione: sarà una scossa non solo per l’industria automobilistica, ma per tutta l’industria, francese ed europea. Quando la crisi americana si abbatte anche sull’Europa, nei primi anni Trenta, André Citroën alza la posta: inventa, primo al mondo, la trazione anteriore.

È sempre secondo la linea dell’innovazione che, nel 1948, sotto gli ordini di Pierre-Jules Boulanger, Citroën lancia la Due Cavalli. “Questa antimacchina, rapidamente di-venuta un mito su quattro ruote, diffonderà, come tutti i grandi modelli di Javel, una nuova filosofia dell’automobile. Strumenti privilegiati degli esploratori come dei medici di campagna, dei giovani come degli agricoltori, dei ricchi come dei poveri, cinque mi-lioni di esemplari si venderanno in quarant’anni di esistenza e la consacreranno, con la sua rivale, il Maggiolino, la macchina del secolo”55. Sette anni dopo, una nuova rivolu-zione: Citroën lancia le sospensioni idrauliche, faranno piazza pulita delle tecnologie antecedenti. Per esprimere l’impatto di queste nuove tecnologie, Séguéla sceglie un e-sempio triste ma efficace: “Trentotto anni più tardi, Prost vincerà il suo terzo mondiale di Formula 1 utilizzando le stesse sospensioni. E il giorno in cui la Federazione Auto-mobilistica, più interessata allo spettacolo che alla sicurezza, esigerà che le vetture ven-gano private dell’idrattività, Senna morirà per aver perso aderenza alle ruote”56. In que-sto, possiamo vedere già da subito come il fisico della marca, ovvero il prodotto, corri-sponda alle quattro caratteristiche citate da Séguéla. Il prodotto esigente, onesto, realista e fiducioso in sé stesso è la traduzione del pensiero, del sogno se vogliamo, di André Citroën: la macchina innovativa, qualitativamente elevata ed alla portata delle tasche di tutti.

Trattare la storia delle campagne pubblicitarie della Citroën è un’impresa decisa-mente ostica, che richiederebbe probabilmente l’intero spazio di una tesi di laurea. Basti pensare che una simile opera, una sorta di resoconto delle varie campagne, esiste in commercio, è un libro, “80 ans de publicité Citroën et toujours 20 ans”, pubblicato da Hoëbeke nel 1999, e curato, neanche a dirlo, da Jacques Séguéla. L’opera è molto lunga e complicata soprattutto perché, e di nuovo la cosa non può stupire, André Citroën fu un innovatore e un precursore anche in quell’ambito. In effetti, fin dal 1919, in occasione del lancio della prima Torpedo, Citroën associa all’immagine della macchina, oltre a una serie di dati tecnici, un testo pubblicitario che strizza l’occhio al bisogno di evasio-ne (con la velocità), allo stato sociale (con l’estetica) e allo stile di vita (con il confort). “Con mezzo secolo d’anticipo, André Citroën inventava la pubblicità dei sociostili”57. Si trattava ovviamente di réclame e non ancora di campagne pubblicitarie in senso stret-to, ma certo è che Citroën seppe già allora andare oltre al semplice nominare il prodotto e cominciò da subito a solleticare altre corde e altre esigenze.

Sulla falsariga dell’innovazione e della capacità di stupire si muoveranno anche le successive campagne Citroën, il cui punto più alto, in quel periodo, fu toccato negli anni Trenta, quando il nome di Citroën illuminò per anni la Tour Eiffel.

55 J. SEGUELA, Pub Story, Hoebeke, Parigi 1994, pagg. 68-69. 56 Ivi, pag. 69. 57 Ivi, pag. 70.

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Un’altra tappa fondamentale della pubblicità Citroën fu l’avvento di Claude Puech e Jacques Wolgensinger a capo della comunicazione della casa del Quai de Javel. A loro presto si affiancherà il creativo francese Robert Delpire, che caratterizzerà con il suo sti-le suggestivo e all’avanguardia tutte le campagne di Citroën del decennio 1960-1970, incentrate sul nuovo storico modello “DS”. L’era Delpire si concluderà allorché una cri-si del mercato dell’auto spingerà Citroën verso un ritorno ad una pubblicità più “bana-le”, più simile ai canoni dell’epoca, inaridendo così la vena creativa di Delpire.

Sei anni di piattezza conducono al passaggio dell’agenzia Delpire sotto l’egida di RSC, l’agenzia di Jacques Séguéla. Séguéla, che aveva lavorato per Delpire negli anni Sessanta, si trova quindi a dover affrontare un profondo e riconosciuto momento di piat-tezza tra le pubblicità di automobili, tutte incentrate sulle più banali reason why: con-sumo, velocità, spazio. Il creativo di Perpignan, però, colse la prima occasione possibile per smuovere questo momento di stasi. Il sasso nello stagno è uno slogan per la Citroën GSA: “brutto anatroccolo della produzione, non ha, per piacere, né la bruttezza della 2CV né la bellezza della DS. Mi si dice ‘Bisogna giocare sul consumo e sulla tenuta di strada’”58. La proposta di Séguéla è una foto della macchina con lo slogan “L’anti-tapecul”, un’espressione colorita per evidenziare come la stabilità della macchina a-vrebbe salvaguardato l’integrità dei glutei del passeggero. Uno slogan che passa e che viene stampato sui manifesti e affisso. Ma questo scatenerà le ire dei “grandi capi” di Citroën, che solleveranno Séguéla dalle pubblicità di quello e degli altri modelli. La GSA viene affidata ad un’altra agenzia, la Dupuy Compton, che realizza una campagna molto bella, in cui si vede la GSA aprirsi la strada su terreni impervi grazie ad un tappe-to rosso che si srotola davanti a lei. “La GSA rifà la strada” lo slogan. “Semplice, stupe-facente, efficace”, commenta Séguéla59. Ma le vendite non decollano: è proprio il mer-cato ad essere in crisi.

Siamo nel 1980: sul trono della pubblicità Citroën siede Georges Falconnet. Questi, come prima mossa, convoca Séguéla e gli dice che intende “licenziare” l’agenzia perché non apprezzava le ultime campagne pubblicitarie. Séguéla ebbe l’accortezza di rispon-dere che, se le cose stavano così, avrebbe concorso volentieri all’assegnazione del bu-dget, perché fare la pubblicità di Citroën era sempre stato il suo sogno. Fu così che ebbe modo di spiegare il motivo del suo “allontanamento” dalle campagne Citroën a Falcon-net, che a differenza di molti aveva gradito l’“Anti-tapecul”. Falconnet, deciso a dare una sterzata alla fiacca pubblicità della casa di Javel, diede carta bianca per sei mesi a Séguéla, con l’accordo che sarebbe stata l’ultima chiamata per RSCG.

Séguéla dimostra ancora una volta di non amare le regole troppo rigide o preconcet-te. Innanzi tutto, va contro alla tendenza del periodo che pubblicizzava solo i modelli e che, così facendo, stava distruggendo la marca. Il primo passo fu consacrare 15% del budget alla promozione del blasone. E tanto puntò sul blasone, che si concesse quello che poteva essere considerato come un sacrilegio: giocare con il sacro simbolo della Ci-troën, il doppio gallone. Un simbolo che diventerà, tra 1981 e 1984, un ombrello, un pianoforte, una gobba di dromedario, un materassino, un semaforo, un camion, un paio di gambe, una cassaforte… e tantissime altre cose, grazie alle illustrazioni di Raymond Savignac. Falconnet accettò, Citroën fu l’unica casa automobilistica, in quel periodo di crollo per tutti, a guadagnare quote di mercato.

Nel 1984, il capolavoro: un filmato che passerà alla storia. Lasciamo che sia Richard Raynal, creativo di RSCG e ideatore dello spot, a descriverlo: “Un luogo deserto, una

58 J. SEGUELA, 80 ans de publicité Citroën et toujours 20 ans, Hoebeke, Parigi 1999, pag. 127. 59 Ibidem.

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linea d’orizzonte dove, tra cielo e terra, si trova l’assurdità. Una città-fungo, rigida e demente. Una città senza colore e senza vita. Freddi viali, quadrivi inanimati, semafori inutili. Una città con il silenzio sullo sfondo. Angoscia. Di colpo, nella città senz’anima, una porta di ferro si apre, dolcemente e pesantemente. Squarciando il silenzio, un nitrito risuona, violentemente, un tuono di zoccoli colpisce l’asfalto. I grattacieli emettono il loro troppopieno di energia contenuta. I cavalli sono lasciati. Prendono possesso del-l’agglomerazione. Criniere al vento, l’orda selvaggia fa vibrare la carreggiata, la città è inghiottita, violentata, trapassata. I cavalli dell’immaginario ci portano via, ebbri di li-bertà. La vita prende possesso del grande deserto. E galoppano i nostri sogni!”60. Uno spot tanto complesso quanto di facile realizzazione: spiega Séguéla che far correre i ca-valli nel deserto a forma di doppio gallone fu semplicissimo, tanto che fu poi costretto ad aggiungere tre sparuti cavalli fuori dal gruppo, per dare una sensazione di maggiore veridicità, visto che, per quanto possa sembrare paradossale, l’originale sembrava finto. Un filmato che entra di diritto nel ristretto novero degli spot passati alla storia: a testi-moniarlo vi è l’incredibile numero di premi vinti dal filmato, in Francia come all’estero.

Sull’onda del successo per le pubblicità di marca, anche le pubblicità per i singoli prodotti conobbero un certo successo. Per quanto riguarda il lancio della BX, Séguéla e Falconnet si riproposero di seguire alla lettera i dettami della star-strategy, che, lo ri-cordiamo con le parole di Séguéla, “consiste nel trattare ogni marca come una persona, dotandola di un fisico (ciò che fa), un carattere (ciò che è), uno stile (come appare). Tra-sformammo quindi la BX in essere umano. I manifesti celebravano: ‘Lei sogna, lei ride, lei vive’”61. Il filmato che l’accompagnava mostrava la storia di una giovane coppia che, al rientro a casa dopo una serata, asseconda la follìa del momento e, grazie alla BX, po-che ore dopo è al mare. Una campagna di nuovo altamente rappresentativa dello stile classico di Jacques Séguéla: una pubblicità che accenda la passione per la marca, che faccia sognare il pubblico, e che, soprattutto, vada oltre il concetto di avere un determi-nato prodotto, ma si concentri più sull’essere. “Con questa campagna tentammo di ol-trepassare la linea di demarcazione dell’avere, per ritrovarci nella zona libera dell’essere. L’automobile non era più una cilindrata, una velocità di punta, un consumo o un numero di porte, essa era noi. Il sogno-vapore rimpiazzava il cavallo-vapore”62. Di nuovo Séguéla ribadisce il sogno di una pubblicità che crei affetto e sentimento tra cliente e marca. E fortunatamente, Falconnet la pensava come lui.

La Citroën Visa ebbe un successo piuttosto ridotto, per motivi prettamente estetici: in compenso, la breve campagna di affissioni che la accompagnò presentò un motivo d’interesse. Richard Raynal propose, come headline, “Ça décoiffe”, letteralmente tradu-cibile in “Spettina, scapiglia”. Un’espressione che ai tempi non significava nulla. Ma da allora è entrata pienamente nel linguaggio di tutti i giorni, tanto che ancora oggi è sino-nimo di grande stupore e meraviglia, quasi di sconvolgimento.

Nel 1985, per la campagna della CX2, Séguéla volle puntare sul concetto di innova-zione e di velocità, utilizzando uno stile più sensuale e provocatorio. Fu scelta una te-stimonial d’eccezione: Grace Jones. “Chi meglio di questa donna-belva poteva tradurre l’estetica e l’aggressività di questo modello al suo apogeo?”63. La campagna era compo-sta da un filmato e diversi manifesti, tutti inneggianti alla elevata, quasi futuristica tec-nologia e alla velocità. Uno di questi manifesti, nel quale veniva rappresentata Grace

60 J. SEGUELA, Pub Story, op. cit., pag. 71. 61 J. SEGUELA, 80 ans de publicité Citroën, op. cit., pag. 133. 62 Ibidem. 63 Ivi, pag. 137.

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Jones mentre “sputava” una CX2 lanciata a velocità folle, e che portava a caratteri gi-ganteschi la scritta “220 km/h”, fu vietata dall’allora ministro dei Trasporti Paul Quilès, che ovviamente con questa mossa spinse sull’acceleratore della diffusione della pubbli-cità stessa che aveva cercato di fermare. Un altro divieto a questa campagna, decisa-mente più radicale e spiacevole, obbligò Citroën a ritirare la campagna in Olanda, Ger-mania e Svizzera. Il problema in quei casi non fu la supposta “apologia della velocità”, ma il colore, a loro avviso troppo scuro, della pelle della testimonial. Un episodio triste che conferma però quanto ormai venisse considerata rilevante la pubblicità e il suo im-patto sul pubblico.

Le tre campagne successive conobbero un successo straordinario, pari solo a quella dei cavalli per spettacolarità e impatto. Nella prima, la Visa GTI era impegnata, sul pon-te di una portaerei della Marina francese (gentilmente concessa dal presidente Mitter-rand), in una gara di velocità con un jet, che ovviamente era vinta dall’autovettura. Im-possibilitata al decollo, però (per i miracoli ci stiamo attrezzando, come si suol dire), al-la fine della corsa la macchina precipitava per cinquanta metri... salvo poi riaffiorare sul ponte esterno di un sommergibile, con un guidatore bagnato e felice .

Nel secondo spot, realizzato per il lancio della Citroën AX, quest’ultima sfrecciava agilmente su uno dei monumenti più famosi e allo stesso tempo più misteriosi e intoc-cabili della terra: la Grande Muraglia Cinese. Vi furono non poche difficoltà di realizza-zione, ma alla fine il filmato fu realizzato. A chiosare il tutto, l’immagine di un vecchio cinese con indice e medio nel classico gesto simboleggiante la vittoria, e la scritta “La rivoluzione Citroën”. ancora una volta Citroën era arrivata oltre.

Per quanto possa sembrare già notevole l’impresa di far correre una macchina sulla muraglia cinese, il passo successivo fu se possibile ancora più audace. Per la prima vol-ta, infatti, una macchina (la AX) entrava nel tempio proibito di Lhasa, in Tibet. Un fil-mato commovente, al di là delle enormi e facilmente immaginabili difficoltà di realizza-zione (si girava a quota 4800 metri). A concludere, stavolta, un bambino tibetano, sem-pre con lo stesso gesto di vittoria, con l’headline “Rivoluzionario!”. Una foto che ha fat-to il giro del mondo.

Il passo finale fu un filmato in cui la AX correva sul tetto della ferrovia transameri-cana per poi finire sopra il vagone ristorante. Vi era sempre il vecchio cinese, ma in questo caso lo slogan “Rivoluzionario!” c’entrava come una mosca nella minestra (“come un capello in una zuppa”, per citare Séguéla). In crisi d’ispirazione, Séguéla tro-vò aiuto da un suo vecchio amico che era passato a trovarlo la sera, dopo le riprese del film. Questi gli suggerì una soluzione tanto insolita quanto simpatica: il cinese faceva il segno della vittoria, che è anche inequivocabilmente un “due”, e finiva nel vagone risto-rante? Bene, lo slogan poteva essere “Deux jambon-beurre!”, vale a dire, “Due panini al prosciutto, prego!”. Georges Falconnet lo approvò, e la campagna ebbe un notevole successo di pubblico. La critica in compenso si divise: chi vedeva nelle campagne di RSCG una divertente ed efficace innovazione si contrappose a chi pensava che forse Séguéla stesse passando il segno. Fu così che, dopo circa un decennio, Séguéla pensò di cambiare orizzonti. Come abbiamo visto, proprio dieci anni è il periodo che il metodo di Séguéla programma all’inizio della campagna. Il cambio di stile, quindi, non fu accolto come un dramma, anzi: fu l’occasione per restare sempre giovani. “Cambiare orizzonte ogni 10 anni rimane il miglior metodo per mantenere i propri vent’anni”64.

64 J. SEGUELA, Pub Story, op. cit., pag. 74.

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A convincere ulteriormente Séguéla dell’opportunità di correggere la rotta fu il cambio alla direzione di Citroën. A Georges Falconnet, stroncato da una malattia, suc-cesse Jacques Calvet, che di Citroën era anche il presidente. Séguéla aveva proposto, per il lancio della Citroën XM, un nuovo spot altamente spettacolare, che prevedeva di filmare la nuova vettura fissata sul tetto di un Boeing in procinto di decollare. La propo-sta fu sonoramente bocciata: “Jacques Calvet mi convocò per dirmi con fermezza: ‘Per dieci anni, le vostre creazioni hanno supplito alle carenze dei nostri prodotti. Ormai però abbiamo ripreso la strada dell’innovazione e della qualità. Sappiate farlo sapere! Nel ca-so non lo aveste capito, vendo delle macchine, non degli aerei. Séguéla, bisogna cam-biare genere o dovremo cambiare agenzia...’”65. L’occasione si presentò grazie all’idro-attività: tecnologia inventata, come abbiamo visto, circa trent’anni prima, era ormai per-fezionata e rendeva la XM una macchina estremamente stabile. La pubblicità si basava sull’headline “La roûte maîtrisée” (“la strada padroneggiata” o “domata”) e conobbe un successo notevole in molti paesi, confermando l’intuizione di Calvet: la pubblicità-spettacolo aveva fatto il suo tempo.

Purtroppo però gli sviluppi tecnologici cui accennò Calvet non erano poi così reali: in effetti la XM conobbe un successo discreto agli inizi, ma presentò poi dei forti difetti di fabbricazione, che causarono un ritorno di numerosi modelli alla casa madre. Citroën perse così molta della fiducia che aveva acquisito, il che, sommandosi alla crisi del mer-cato automobilistico dell’epoca, diede un duro colpo alla casa di Javel. Inoltre, questa crisi, come spesso accadeva, aveva spinto le grandi case automobilistiche a tornare alla fittizia tranquillità del marketing, vale a dire di pubblicità piatte e descrittive. Un ritor-no, anche se ininteressante dal punto di vista di Séguéla, che aveva però delle cause rea-li: vi era stato un radicale cambiamento della società dei consumi. La situazione econo-mica non certo favorevole obbligava l’acquirente a maggior prudenza ed attenzione. E la pubblicità doveva per forza adeguarvisi: “Negli anni precedenti, il nostro mestiere aveva per vocazione di risvegliare il bambino che sonnecchia in ogni acquirente. Di colpo, la crisi lo rendeva adulto e vaccinato, e si aspettava da ogni marca un discorso da adulto a adulto. [...] Lo spot che non portava motivi d’acquisto non aveva più ragion d’essere”66. Come abbiamo visto, Séguéla sempre più spesso ribadisce che una pubblici-tà che ignori o trascuri l’atteggiamento del cliente nei confronti della marca e dell’ac-quisto stesso è una pubblicità sostanzialmente inutile, che di fatto si condanna con le proprie mani all’inefficacia. Fu così che lui stesso convocò una sorta di gotha della pub-blicità automobilistica francese: con EuroRSCG67 collaboravano Scher, Lenoir e Lafar-ge, capifila di una nuova generazione di pubblicitari francesi che condividevano lo sco-po di Séguéla di portare ai massimi livelli la pubblicità francese. Inoltre, nello stesso momento, anche Citroën cambia leader: subentra Claude Satinet, sarà lui a dover con-durre il colosso francese fuori dalla crisi. “Il nuovo progetto dell’azienda si riassumeva

65 J. SEGUELA, 80 ans de publicité Citroën, op. cit., pag. 143. 66 Ivi, pag. 144. 67 La RSCG, in seguito ad una crisi economica profonda e ad un indebitamento spaventoso, fu co-

stretta nel 1991 ad associarsi con Eurocom (una filiale di Havas, l’eterno nemico), divenendo così Euro-RSCG, nome che porta ancora al giorno d’oggi. Questo da un lato ha privato RSCG dell’indipendenza totale che aveva prima, sancendo tra l’altro così la fine del sogno, spesso espresso da Séguéla, di ricorrere alle sole proprie forze per fare le scarpe ai “potenti” della pubblicità, ai quali era stato quindi costretto ad associarsi. Di contro, però, EuroRSCG diventava un gigante della pubblicità mondiale, stabilendosi al set-timo posto tra le agenzie pubblicitarie del mondo intero, e evidenziando palesi possibilità di crescita. L’intera descrizione della vicenda della fusione tra RSCG e Eurocom è contenuta nell’articolo di Bernard Lalanne su L’Expansion di Ottobre/Novembre 1991.

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in tre valori: seduzione (traducibile nella necessità di rimettere i propri prodotti in posi-zione di conquista), audacia (sviluppo del potenziale della marca) e alleanza (risposte alle attese del cliente). [...] Il messaggio che [Satinet] mi comunicò fu chiaro, netto e preciso. Ri-citroënizzare Citroën”68. Per far questo, Satinet chiamò a capo della pubbli-cità di Citroën Magda Salarich, una giovane dirigente che si era fatta le ossa nel marke-ting per la Spagna, e che dimostrò talento e sensibilità nel gestire la pubblicità della casa di Javel. Su indicazione della Salarich e grazie alla creatività della maxi-agenzia che stava affrontando quel periodo, nasce nel 1993 uno dei più fortunati slogan di Citroën: “Non vi immaginate tutto quello che Citroën può fare per voi”, slogan che nel 1996 sarà consacrato “Slogan preferito dai francesi”, e che accompagnerà una lunga serie di mani-festi e di spots. Il primo è forse il più famoso: con l’accompagnamento di una romantica ballata69 una lunga inquadratura mostrava due giovani che si baciano, mentre la teleca-mera gira su sé stessa. Alla fine del filmato, l’inquadratura si allargava e si poteva così scoprire che in realtà i due giovani si stavano baciando nell’abitacolo della nuova Xan-tia. Due anni dopo fu il momento di due manifesti “presidenziali”: il primo mostrava Mitterrand che, al momento dell’uscita dall’Eliseo, si affidava ad una Citroën per lascia-re la casa che aveva abitato per quattordici anni. Il testo: “Al momento delle grandi par-tenze, è bello sapere che si può contare sulla propria macchina”. Il secondo: il generale De Gaulle ritratto come al solito in piedi nella macchina, durante una manifestazione presidenziale. La macchina, ovviamente, è una Citroën DS, il testo recita: “Ci vuole un’ottima tenuta di strada per portare per anni un grand’uomo70 in piedi senza farlo va-cillare”. Infine, ad accompagnare questi manifesti, il filmato dell’attentato di Petit-Clamart, al quale De Gaulle sfuggì proprio grazie alle sospensioni della DS. Per quanto riguarda la pubblicità delle macchine (distinta da quella della marca), il manifesto più divertente è probabilmente quello che ritrae Carl Lewis, leggenda dell’atletica leggera, vestito da monaco. Una frase sotto la foto invitava a scoprire la sera stessa in televisione in anteprima mondiale cosa avesse spinto Lewis a questa scelta di vita. Il filmato serale fu una sorpresa per tutti: vi era semplicemente un’intervista di Lewis in cui il “Figlio Del Vento” dichiarava che “se conoscete una macchina che tiene meglio di me in cur-va71, mi faccio monaco”, e quindi... la Xantia!

Negli anni successivi, Citroën punta all’internazionalità. Per due spots sono scelte due delle principali modelle del periodo. Nel primo, un ragazzo, dopo aver vinto un ja-ckpot a Las Vegas, sfida la fortuna inginocchiandosi in mezzo ad una strada deserta. La prima macchina che arriva è una Citroën, che si ferma a un centimetro dal ragazzo. La voce fuori campo recita: “quest’uomo aveva una possibilità su mille di vincere il ja-ckpot, una su diecimila di trovare una Xantia – dominatrice della velocità grazie al suo ABS –, una su centomila a quel punto di veder scendere dalla macchina Cindy Cra-wford (che in effetti in quel momento scende dalla macchina) e una su un milione che lei non fosse accompagnata”. E proprio in quel momento appare anche un sospettosis-

68 J. SEGUELA, 80 ans de publicité Citroën, op. cit., pag. 145. 69 Unchained Melody nella versione dei Righteous Brothers, che proprio grazie a quello spot ebbe

una seconda ondata di successo, dopo quello, enorme, avuto per aver fatto parte della colonna sonora di Ghost nel 1990.

70 Vi è anche un piccolo gioco di parole, dato che in francese la parola “grand” significa “grande”, ma anche “alto” riferendosi alla statura. I due significati sono quindi validi, dal momento che il grande De Gaulle necessitava di sicurezza per la sua incolumità personale, e l’alto De Gaulle aveva indubbio biso-gno di maggior stabilità.

71 La tenuta in curva è una parte fondamentale della gara dei 200 metri piani, nella quale Lewis vinse due medaglie olimpiche nel 1984 (oro) e 1988 (argento) detenendone a lungo il record americano.

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simo fidanzato della modella, che mette fine all’incredibile serie dell’uomo. E, ovvia-mente, “Non immaginate tutto quello che Citroën può fare per voi”.

Il secondo spot puntava sulla sicurezza: veniva mostrato un crash-test della Xsara. Il corpo che veniva sottoposto al pericolo del test non era quello di un manichino, ma quello di una mannequin: Claudia Schiffer. La quale, dopo il colpo, usciva sorridendo dalla macchina. Uno spot molto evocativo, soprattutto per via del fatto che anche nella realtà fu Claudia Schiffer a sedere nell’abitacolo durante le riprese. Una notevole prova di coraggio della modella-attrice, che conferì un’inimitabile realismo alla scena.

Gli spot si susseguivano incessantemente: per il lancio della Xsara Picasso un mani-festo presentava la foto dell’artista e una scritta che diceva: “Scusa mamma, come mai il signore si chiama come la macchina?”. Proprio la Xsara Picasso e il suo altisonante no-me ispirano un altro spot nel 2000: nella decorazione della Xsara Picasso, la catena di montaggio impazzisce e comincia a dipingere la macchina come forse l’avrebbe fatto il grande Picasso. Quando però passa l’addetto al controllo, la macchina viene velocemen-te ritinteggiata di grigio e firmata “Picasso”.

Citroën continua a sfornare macchine d’avanguardia e spots all’altezza: la lunga se-rie di spots per la Citroën classe C (C2, C3, C3 Pluriel, C4, C5) in tempi recentissimi ha portato la casa di Javel ad una nuova giovinezza. L’ultimo spot in ordine di tempo, data-to novembre 2004, presenta una C4 che, di colpo animata, si trasforma assumendo ap-parenze antropomorfe e comincia a ballare. Lo slogan: “Tecnologia viva”, la firma, co-me sempre, EuroRSCG.

Difficile dire se la marca Citroën possa diventare eterna: viene naturalmente da pen-

sare che una marca pubblicizzata da quando esiste la pubblicità sia già eterna, quasi per definizione. La prima campagna Citroën, quella per la Torpedo, è datata maggio 1919; sono quindi ormai quasi 86 anni che esiste la pubblicità Citroën. E anche negli anni in cui, per inevitabili motivi storici, si è trattato di semplice réclame, Citroën ha saputo da-re qualcosa in più rispetto ai suoi concorrenti. Di fatto, quello che ha sempre tenuto a distanza Citroën dalla concorrenza è stato proprio l’aspetto tecnico, quello che, lanciato dallo stesso costruttore André Citroën (che di fatto basa la nascita stessa della marca su un’innovazione, come il simbolo stesso della casa sta ancora a testimoniare), sarà porta-to avanti da tutti i suoi successori, e segnerà con la sua assenza i rari momenti di stagna-zione della marca. A Citroën si devono molti degli sviluppi che ormai fanno parte di tut-te le macchine, in primis la trazione anteriore. Tutti elementi che portano ad intuire con discreta facilità il carattere fondamentale di Citroën: una marca innovativa, perenne-mente all’avanguardia. Dalla trazione alle sospensioni, dalla macchina in solo acciaio all’indistruttibilità della 2CV prima e della Xantia poi. A questo punto anche lo stile si adegua, con relativa facilità. Lo sforzo delle agenzie pubblicitarie si è concentrato più sulla creatività e sul richiamo di determinate immagini, sulla capacità, tanto ambita da Séguéla, di far sognare il pubblico. Citroën ha in effetti sempre avuto in sé un fisico esi-gente, onesto, realista e fiducioso in sé stesso, un carattere (l’innovatività) elementare, archetipico, sincero e simbolico, e uno stile fastoso, sensazionale, armonico e oltranzi-sta. Inoltre, se andiamo a ripercorrere le tappe della pubblicità di Citroën, la troviamo indiscutibilmente fedele a sé stessa, con la controprova dello scarso successo nei rari ca-si in cui la “retta via” è stata abbandonata (dunque, anche tendenzialmente tenace). Non si può non parlare di pazienza per una marca sugli scudi da ormai novant’anni. Perfe-zionista, per i numerosi casi di correzione di rotta, di analisi, e anche se necessario di ri-voluzione, come abbiamo visto accadere nei primi anni Novanta. Avventuriera, per

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l’altissimo numero di tabù infranti in tutta la sua vita, da quando ad inizio secolo ha messo la donna al volante a quando ha sfrecciato sulla Muraglia Cinese. Infine eterna, come abbiamo detto, per essere ancora una marca leader e pioniera di nuove frontiere proprio ora che si appresta a festeggiare il secolo di vita.

Insomma, per concludere, non deve stupire che Séguéla consideri Citroën “la marca della sua vita”. In effetti è raro che una marca “adempia” in maniera così completa alle regole imposte dal pubblicitario di Perpignan per esser considerati star. Verrebbe quasi da pensare che il percorso sia inverso, e che parte della star-strategy sia stata ispirata proprio dalla marca del Quai de Javel. Quello che si può certamente concludere, è che Citroën appartiene indiscutibilmente a quella ristretta cerchia di marche che possono fregiarsi del titolo di star.

c. La campagna La Force Tranquille: presidenziali in Francia, per François Mitte-rand, 1981 Lo svolgimento e la descrizione dell’elezione di François Mitterrand all’Eliseo nel

1981 costituisce la verifica ideale dell’applicazione del metodo di Jacques Séguéla alla pubblicità politica. In effetti, raramente nelle successive campagne che Séguéla avrà modo di dirigere si verificheranno in maniera così palese tutti i singoli passaggi del me-todo.

Séguéla aveva già collaborato in passato con Mitterrand e con il Partito Socialista. Aveva realizzato un manifesto per le municipali del 1977, che raffigurava Mitterrand mentre camminava su una spiaggia. Lo slogan: “Il socialismo, un’idea che fa la sua strada”. Tuttavia, il primo incontro tra Séguéla e Mitterrand avviene ai primi di maggio 1980, circa un anno prima delle elezioni presidenziali previste per il 10 maggio 1981. Séguéla, come spesso ha fatto e farà, aveva inviato la sua candidatura al candidato Mit-terrand, proponendogli i servigi del nuovo rivoluzionario metodo, e il futuro presidente, che aveva letto Ne dites pas à ma mère, accetta di incontrarlo. Mitterrand si disse an-noiato e irritato dalla pubblicità politica “classica”. Fu forse proprio per questo che si dimostrò invece molto interessato alla “nuova via” propugnata da Séguéla e dalla sua agenzia. “Il concetto di umanizzazione della marca lo avvinceva. Il suo assoluto rispetto degli uomini gli faceva improvvisamente rispettare di più anche questi prodotti-esseri di cui gli stavo parlando? Oppure aveva già percepito le potenzialità del nostro approccio applicato alla politica?”72. Fu così che, al momento di presentare Séguéla al Partito So-cialista, Mitterrand aveva deciso di percorrere la via pubblicitaria, e non quella politica, nel realizzare la sua campagna elettorale. Non solo: la scelta del metodo-Séguéla era doppiamente rivoluzionaria, perché una scelta comunque coraggiosa, come quella di ri-volgersi ad un’agenzia pubblicitaria indipendente (che infatti non fu ben vista dal parti-to), era raddoppiata dall’identità di quell’agenzia; in pratica, scegliendo Séguéla e RSCG, Mitterrand usciva dai canoni due volte. Nessuno può dire se avrebbe ottenuto lo stesso risultato anche senza la collaborazione della pubblicità RSCG (Séguéla stesso di-ce e ripete più volte che “una pubblicità non ha mai fatto eleggere un candidato”73), ma il fatto che di questa collaborazione si sia avvalso in una galoppata vincente ha di fatto legittimato e anzi celebrato questa nuova via della pubblicità (non a caso la dedica del

72 J. SÉGUÉLA, Hollywood lava più bianco, op. cit., pagg. 21-22. 73 J. SEGUELA, Le vertige des urnes, op. cit., pag. 12.

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libro Vote au dessus d’un nid de cocos è “A François Mitterrand, che ha fatto più pub-blicità lui a me di quanta non ne abbia fatta io a lui”).

In tutto questo, la parte più singolare fu che questo trionfo risultò inaspettato prati-camente a tutti quanti. In effetti, solo otto mesi prima del voto, i sondaggi davano Mit-terrand in netto svantaggio addirittura rispetto al suo concorrente interno al Partito So-cialista, Michel Rocard: un 50% contro 36%, e ciò metteva in dubbio persino la candi-datura di Mitterrand per la sfida con Giscard che, comunque, nessuno osava ritenere in discussione: troppo forte il vantaggio del presidente uscente per pensare che la contesa fosse aperta. Fu proprio in quel momento però che entrò in gioco la strategia comunica-tiva di Séguéla: “Di fronte a uno Chirac marchio-oggetto: ‘Io sono il presidente che vi serve’ e a un Giscard marchio-anonimo: ‘Ci vuole un presidente per la Francia’ (ma chi?) Mitterrand avrebbe opposto il suo marchio-persona”74. Si trattava comunque di un rischio: contrapporre a due candidati estremamente pragmatici l’immagine molto più immaginifica di un sognatore. Sognatore che, per di più, aveva ereditato dalle campagne presidenziali precedenti l’immagine di vecchio e, soprattutto, perdente. La soluzione fu contrapporre a Giscard e Chirac, due forze meramente fisiche, la forza di un carattere. Proprio la forza del carattere era il punto d’arrivo al quale tutto il lavoro dell’agenzia era finalizzato.

La prima tappa (che poi corrisponde alla fase 3 del metodo-RSCG, le due precedenti essendo state concluse nei mesi di riflessione e dibattito tra Mitterrand e Séguéla) fu quella di consultare indirettamente l’elettorato, attraverso i sondaggi della Cofremca. Il ritratto che ne risultò fu il primo passo, forse quello più rilevante nel prosieguo della campagna, verso la nascita del carattere del candidato. In effetti, il risultato fu una appa-rente tripartizione dell’elettorato francese. Da un lato, vi erano gli individui più impe-gnati ideologicamente, e sostanzialmente ribelli. Il loro scopo essenziale era quello di abbattere senza appello la società del momento, per poi ricostruirla. Un ritratto che ri-mandava direttamente a Georges Marchais, allora leader del Partito Comunista. Vi era poi un gruppo di elettori che avevano come priorità la sicurezza, l’ordine, la rispettabili-tà e, come segno distintivo, davano molta importanza al fattore economico, il che li ac-comunava inevitabilmente a Giscard. Infine, vi era un gruppo, che Cofremca battezzò “personalista”, che di fatto era più impegnato del gruppo giscardiano e più aperto verso la propria società rispetto agli impegnati di Marchais. Un gruppo la cui principale prio-rità era l’innovazione e il dinamismo. Si tratta di una tripartizione abbastanza comune, se non fosse che normalmente a scontrarsi maggiormente sono i primi e i secondi, men-tre il sondaggio di Cofremca annotava una netta maggioranza di elettori del terzo tipo. Elettori che al momento non erano ancora riconducibili a nessun candidato, anzi ne cer-cavano uno. Il dato emerso fu fondamentale, proprio per comprendere quale fosse il ta-sto sul quale avrebbe dovuto insistere Mitterrand, comunque propenso ideologicamente ad incarnare il candidato progressista, cantore del cambiamento interno alla società. In più, la cosa più sconcertante fu proprio il fatto che Giscard D’Estaing, presidente uscen-te, quindi plausibilmente colui che aveva più facilità ad accedere a questo tipo di dati, sembrò ignorarli.

La tappa successiva fu quella di cominciare a trattare non solo Mitterrand, ma anche gli altri tre plausibili candidati (Marchais, Giscard e Chirac), come delle vere e proprie marche, e valutare quali fossero le aspettative del popolo francese nei loro confronti; un compito che lo specialista di marketing d’opinione dell’agenzia, Jacques Pilhan, portò a

74 J. SÉGUÉLA, Hollywood lava più bianco, op. cit., pag. 22.

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termine producendo dei ritratti molto precisi. In particolare il ritratto di Giscard presen-tava un candidato “intelligente, ma tanto abile da rasentare il manipolatore. È seduttore, ma ciò va a detrimento della sua capacità di mantenere le promesse. […] È educato, ma altero. La fortuna gli ha sorriso, ma non si riesce ad amarlo. È mondano, elegante, raffi-nato, ma lontano dalla gente. Ha il gusto del visionario, ma i suoi sogni sono vacui. Per mancanza di rigore e di continuità. Ha una buona cultura: ma da tecnocrate. Le sue cur-ve e i suoi calcoli lo allontanano dalla realtà quotidiana. In poche parole, è l’uomo che piace”75.

Come abbiamo osservato, la politica di Séguéla era quella di non rinnegare assolu-tamente gli eventuali difetti della marca. Abbiamo visto che, nell’esempio di Cicona, non si poteva attribuire ad un caffè di cicoria le stesse proprietà di gusto del caffè classi-co; fu quindi strategicamente giusto non puntare su un inesistente gusto migliore, bensì su una miglior digeribilità. Per quanto possa sembrare insolito, il concetto di Séguéla permette di trattare un candidato allo stesso modo di un caffè di cicoria: “Si dice che è vecchio? Sarà un saggio. […] Si dice che è un intellettuale? Sarà un realista, amico del buon senso, vicino alla gente. […] Dicono che è un perdente? Sarà tenace. […] Dicono che è un tatticista? Sarà un uomo autentico. […] Si dice poi che è troppo letterario? Il fatto è che si appassiona”76. A Giscard uomo che piace sarà opposto l’uomo che vuole. Questa tattica è inoltre ben descritta nella tabella che Jacques Séguéla riporta nel libro Hollywood lava più bianco, e che noi proponiamo in appendice.

Si va quindi sempre più delineando la famosa “triade” della marca Mitterrand. Il fi-sico è “quello che Mitterrand farà, un cambiamento tranquillo. Carattere: quello che Mitterrand è, un uomo tranquillo”77. Per quanto riguarda lo stile, vi erano varie possibi-lità. Una sola cosa fu stabilita immediatamente: vi sarebbe stato un trait d’union, un e-lemento che avrebbe caratterizzato ogni singolo passaggio della campagna. Questo ele-mento fu scelto in base alla sua capacità di rappresentare una nazione, e ne era l’elemen-to più semplice e forse più simbolico: il tricolore.

Da quel punto in poi la campagna si articolò in tre passi progressivi. Il primo fu quello di presentare al pubblico l’uomo privato, allo scopo di renderlo il più possibile familiare e degno di fiducia. Alcuni rotocalchi pubblicarono quindi una doppia pagina, in cui una decina di personaggi francesi famosi (ad esempio la scrittrice Françoise Sa-gan) parlavano di François Mitterrand da uomo a uomo. L’immagine che ne uscì fu quella di un uomo distante dallo stereotipo negativo del politico manipolatore.

Il secondo passo fu quello dell’uomo di Stato. L’idea fu quella di presentare Mitter-rand insieme a quella che era la squadra di lavoro del Partito Socialista, simboleggiando così l’unità di intenti e l’azione basata sulla collaborazione; Giscard si presentava sem-pre più come un solitario. Il problema non fu nell’intenzione e nel significato, ma pro-prio nella foto in sé, che risultò decisamente fiacca, “da museo delle cere” per citare lo stesso Séguéla78. Bastò quel mezzo passo falso perché dal vertice del partito partisse la richiesta di far cadere la testa di Séguéla. Mitterrand seppe resistere, anche perché, da un lato, la campagna di Giscard inanellava passi falsi, e dall’altro Mitterrand aveva sba-ragliato Rocard nella corsa a candidato ufficiale del Partito (con un 83% che lascia sba-lorditi rispetto al 36% che gli davano i sondaggi solo pochi mesi prima) e, per la prima

75 Ivi, pag. 24. 76 Ivi, pag. 25. 77 J. SÉGUÉLA, Le vertige des urnes, op. cit., pag. 249. 78 J. SÉGUÉLA, Hollywood lava più bianco, op. cit., pag. 27.

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volta, risultava in vantaggio, seppur di un solo punto percentuale, in un ipotetico con-fronto con Giscard.

Il passo successivo, il terzo, si rivelò anche quello decisivo. Si trattava di presentare l’uomo politico. Il che consisteva ovviamente nella descrizione del programma, ma pri-ma ancora nello stabilire l’anima del candidato. Fu in quel momento che nacque lo slo-gan che fece la storia. In una lunga e affollata riunione, in cui erano radunate tutte le menti creative dell’agenzia RSCG, venne fuori di colpo l’anima dell’intera campagna: “La forza tranquilla”. Questo slogan, impresso sopra una foto di Mitterrand fermo sullo sfondo di una douce France, con un cielo azzurro, bianco e rosa (e quindi ecco la pre-senza del tricolore), rimarrà nella storia della comunicazione politica.

A questo punto, avendo stabilito l’irremovibile carattere, avendo definito lo stile, re-stava da rimettere all’ordine del giorno il fisico, che, come abbiamo visto, è “ciò che Mitterrand farà”, vale a dire il suo programma. Furono scelti due soli soggetti, quelli che diversi sondaggi davano tra i più sentiti dai francesi: il lavoro (con lo slogan “Il la-voro innanzi tutto”) e la condizione sociale, sia economica sia dal punto di vista della giustizia (“Un altro modo di vivere”), entrambi affissi su manifesti che richiamavano nel layout alla forza tranquilla. Infine, nei passaggi televisivi che spesso contrapponeva-no Mitterrand a Giscard, l’immagine che passò ai francesi fu per l’appunto quella di un uomo saldo nella sua intenzione di cambiare, di migliorare, di rinnovare; ancor di più, visto che il suo avversario aveva lasciato completamente perdere i concetti che sette an-ni prima lo avevano consacrato presidente (la “sua” force tranquille, nel 1974, era stato il termine décrispation, che significa decontrazione, e anche svecchiamento) per cercare di creare una sorta di allarmismo intorno alla paventata elezione del suo avversario; tut-to questo senza rendersi conto che egli andava decisamente contro alla volontà di cam-biamento che l’elettorato aveva espresso senza che lui se ne fosse curato. Vi sarebbe stato un quarto passo, che consisteva in un filmato e una canzone, una sorta di “inno po-litico disco-music” per Mitterrand, che fu però bloccato dagli stessi pubblicitari, ancora una volta in disaccordo con le idee all’avanguardia di Séguéla.

Il blocco delle pubblicità non si fermò al filmato: di fatto, prima delle elezioni, du-rante il cosiddetto rush finale, la pubblicità politica dovette ridursi ad un singolo mani-festo, per di più di piccole dimensioni. Fu però un manifesto che permise a Mitterrand di assestare un’ultima stoccata di grandi dimensioni. In quella foto, in effetti, Mitterrand appariva solo, in abiti classici, rivolto alla telecamera su uno sfondo non più azzurro-bianco-rosa ma decisamente blu-bianco-rosso. Di fatto, era una foto in cui Mitterrand appariva già come presidente, e confinava Giscard al ruolo di sfidante. Un Giscard che, dal lato suo, continuava instancabilmente ad ignorare le esigenze dell’elettorato, ricor-rendo a manifestazioni oceaniche e discorsi globalizzanti, quasi a voler consolidare un elettorato che gli era ormai sfuggito. Il Partito Socialista, in compenso, aveva sposato interamente la forza tranquilla, e aveva portato in giro per tutta la Francia il messaggio di cambiamento e di rinnovamento di Mitterrand, attraverso i suoi collaboratori come Jospin, Bérégovoy e Joxe.

Al primo turno, Giscard era in testa con il 28%, Mitterrand sfiorava il 26%, Chirac era fermo a 18. Quest’ultimo, però, diede il suo sostegno a Giscard in un modo tale (parlò di sostegno “a corda di impiccato”) che fu più favorevole a Mitterrand che al teo-rico beneficiario. Pochi giorni dopo vi sarebbe stata la sfida televisiva fra i due candidati al ballottaggio. I francesi, abituati ad un Mitterrand piuttosto noncurante del suo aspetto in queste evenienze (mal rasato, vestito senza cura, con i due canini, suo segno distinti-vo per anni, in bella evidenza) si trovano di fronte ad un uomo cambiato, con molta più

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cura dei dettagli, sorridente (i proverbiali canini avevano subito una opportuna limata, voluta dallo stesso Mitterrand), divertito, ma pronto ad affondare i colpi con la stessa grinta di prima. Giscard se ne accorgerà ben presto, quando il suo attacco “Lei è l’uomo del passato” sarà respinto con perdite dal contrattacco mitterrandiano “Lei è l’uomo del passivo”.

La vittoria su Giscard fu netta, e Mitterrand divenne il primo presidente socialista della storia di Francia. E, per dirla con lo stesso Séguéla, la cui séguélomania in questo caso è più che giustificata, “da quel giorno il socialismo alla francese ha fatto la sua en-trata nella storia del mondo, e il nostro star-system nella storia della pubblicità”79.

Probabilmente è tutt’altro che improprio scomodare la storia della pubblicità in que-sto frangente. Jacques Séguéla ha dimostrato, con l’indubbio successo della sua campa-gna, l’efficacia del suo metodo anche applicato alla comunicazione politica. A questo punto è facile capire come il nome di Jacques Séguéla sia stato subito visto come uno dei più grandi guru della pubblicità. Non sono passati neanche tre anni dalla pubblicità dei Produits Libres che ha cambiato per sempre le carte sulla tavola della pubblicità “classica”, ed ecco che anche la pubblicità politica viene sconvolta da un candidato che diventa una marca-persona. Giocare con questi paradossi è il pane quotidiano di Ségué-la.

d. Le campagne nell’est europeo: presidenziali in Bulgaria, Želio Želev, 1990 A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Sovietica aveva esteso

il proprio controllo e dominio alla quasi totalità dei paesi dell’Est europeo. Tra questi, la Bulgaria era forse il più povero. Si trattava della Cenerentola dell’Est: priva di un qual-sivoglia tipo di rilevanza nell’ambito dei paesi satelliti dell’URSS, la Bulgaria era di-ventata ben presto una dépendance a tutti gli effetti del potere di Mosca, priva persino di quel briciolo di indipendenza della quale godevano gli altri paesi (ad esempio la Roma-nia di Ceausescu). Il Cremlino inoltre l’aveva trasformata nella discarica di ogni sorta di rifiuto più o meno tossico. In più, da un punto di vista strettamente mediatico, la Bulga-ria non aveva elementi che potessero solleticare l’interesse dello spettatore occidentale: poche leggende, relativamente pochi monumenti, era anche “priva” di un dittatore san-guinario che potesse risvegliare la rabbia dei popoli democratici, e non aveva premi No-bel o grandi artisti. In questo clima, la Bulgaria si avvicina alle elezioni previste per il giugno del 1990.

Un emissario del movimento democratico bulgaro contattò Séguéla nel marzo del 1990, chiedendo una collaborazione per le elezioni che si sarebbero tenute di lì a poco. Séguéla accetterà in nome dell’ideale democratico, e una volta in più non si farà pagare e si accollerà le spese della campagna. Il movimento democratico bulgaro affondava le sue radici in un gruppo di filosofi ed intellettuali che, riunendosi nell’anfiteatro della Facoltà di Filosofia, per primi diedero il loro assenso e il loro appoggio alla politica del-la perestrojka di Mikhail Gorbaciov. Tra di loro si era immediatamente messo in luce come leader lo scrittore e filosofo Želio Želev. Di origini campagnole, Želev si laurea in filosofia dopo un lungo periodo di purgatorio: infatti, la sua tesi di laurea viene giudica-ta come sovversiva e censurata dal partito, e lui viene confinato nel paesino d’origine della moglie a fare il carpentiere per dieci anni. Nel 1981 scrive un pamphlet di critica

79 Ivi, pag. 22.

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feroce contro il comunismo, che riuscirà a pubblicare perché, ufficialmente, sarà presen-tato come una critica al nazismo. Nel 1990, Želev ha un solo scopo: portare la Bulgaria alla democrazia: “La frase che mi sussurra all’orecchio mi rassicura del tutto: ‘Sa, è fa-cile insegnare ad una nazione come essere rivoluzionaria, ma insegnare la democrazia richiede molta cultura e molto tempo. E il mio obiettivo non è la rivoluzione, ma la de-mocrazia’”80.

A livello prettamente politico, Želev si propone come collante di una miriade di nuovi partiti di ispirazione anticomunista, che però non hanno nessuna speranza di sov-vertire il Partito Comunista (ribattezzato per l’occasione Partito Socialista, ma, come disse in modo colorito lo stesso Želev, “un nuovo bordello con le stesse vecchie prosti-tute”81) se non unendosi. Il Partito ha ancora un indubbio predominio sia dal punto di vista economico sia da quello della mentalità radicata nella popolazione; inoltre, incute ancora un certo timore a chi vuole esprimere un pensiero democratico. Želev si propone di riunire questo insieme di partiti dietro di sé. Il suo progetto, filosofico prima che poli-tico, prevedeva l’apporto di tutte le parti della popolazione per creare una Bulgaria “u-nica e indivisibile”. Facile a questo punto per Séguéla individuare il carattere fondamen-tale della marca-Želev: l’unione.

Il primo passo compiuto da Séguéla a questo punto fu quello di iniziare i membri dell’Unione delle forze democratiche ai primi rudimenti della comunicazione. Il punto di partenza era piuttosto basso: “Erano un centinaio, tutti capi di partito e candidati de-putati dell’opposizione, seduti gli uni su seggiole sbilenche, gli altri direttamente per terra. […] Occorre riconoscere che lì, eravamo al grado zero della mediatica. Avevo di fronte degli zotici irsuti, usciti dai campi o dalle officine e venuti a presentarsi ai loro concittadini senza nemmeno ripulirsi”82.

Il primo consiglio che Séguéla diede loro fu insolito, e può far sorridere chi come noi è abituato ad un mondo politico fatto di individui curati e abili comunicatori, ma in quell’occasione era quanto mai opportuno: il primo passo sarebbe stato quello di andare da un barbiere, e di comprare un vestito scuro, una camicia chiara e una cravatta. “Avre-te soltanto pochi minuti di televisione ciascuno e una o due interviste per convincere la gente. Vi giudicheranno più dall’aspetto che dal vostro cervello”83. Innanzi tutto, quindi, armonizzare lo stile con le esigenze del paese: dei governanti giovani, volenterosi ma seri e capaci.

Il secondo consiglio fu più incentrato sul carattere: “Di fronte alle risorse di cui di-spone il nemico, avete una sola arma, ma essa può abbatterlo, ed è la vostra unione. Questa solidarietà deve manifestarsi in ogni vostro gesto, ogni vostra parola. Stabilire-mo insieme uno slogan. Sarà la vostra massima personale e deve scandire ogni vostra apparizione. Adotteremo un programma d’una decina di semplici punti. Sarà vostro compito diffonderlo. […] Dovete dar prova in ogni momento della vostra passione. I comunisti, dopo quarantacinque anni di smacchi, non potranno davvero mostrarsi infer-vorati. La passione seduce soprattutto i giovani. E sono loro a fare le rivoluzioni”84. In poche parole, ecco presentati fisico (il programma), carattere (l’unione) e lo stile (la passione). Il manifesto proposto rappresentava una carta della Bulgaria, i cui confini e-

80 J. SÉGUÉLA, Eltsin lava più bianco, op. cit., pag. 100. 81 La frase, che mi sono permesso di… addolcire, è riportata da J. SÉGUÉLA, Eltsin lava più bianco,

op. cit., pag. 99. 82 J. SÉGUÉLA, Eltsin lava più bianco, op. cit., pag. 103. 83 Ibidem. 84 Ivi, pag. 104.

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rano “fatti” di filo spinato. Lo slogan: “Quarantacinque anni ci bastano”. Infine, lo spot relativo presentava un ragazzo e una ragazza che, passeggiando nelle strade di Sofia, si trovano davanti un muro invalicabile con la stessa scritta presente sul manifesto. Esa-sperati, i due giovani si prendono per mano e si buttano a testa bassa contro il muro, che crolla e svela dietro di sé una verde e immensa prateria. Nel cielo si disegna a quel pun-to la scritta “D’ora in poi il tempo ci appartiene”, che sarà poi lo slogan dell’intera cam-pagna.

Vi furono poi diversi inconvenienti. Innanzi tutto, vi fu da rivoluzionare radicalmen-te l’approccio dei candidati dell’Unione delle forze democratiche alla comunicazione politica. Basti pensare che gli slogan proposti inizialmente dai candidati erano “Dob-biamo essere liberi oggi e ricchi domani”, “I leader dell’Unione delle forze democrati-che non vengono dai palazzi”, “Sono madre di famiglia e voterò Želev che promette la proprietà privata”, “Dio sia con noi”. “Se è vero che la pubblicità deve essere elementa-re, è anche vero che l’ingenuità ha i suoi limiti”, commenta Séguéla85.

Era stato poi problematico riuscire a dare a Želev quell’immagine presidenziale che aveva fatto la differenza per Mitterrand. Per far ciò, Séguéla aveva proposto a Želev di intraprendere una serie di viaggi di rappresentanza presso i governi dell’Europa occi-dentale. Nella realizzazione di questo giro dei paesi, però, Želev si dovette scontrare con il poco credito che gli veniva tributato. In Francia, nonostante l’impatto che Séguéla po-teva avere sul Presidente Mitterrand, il massimo di rappresentanza che ottenne fu di es-ser ricevuto da Giscard D’Estaing, capo dell’opposizione, e due incontri, che Séguéla definisce “semiclandestini”, con Mitterrand e Rocard. In pochi volevano legare il pro-prio nome ad un candidato che veniva considerato spacciato.

Altro ostacolo non irrilevante fu la scoperta che le elezioni erano sì democratiche, ma che questo aspetto fosse più che altro di facciata; basti pensare che i manifesti dell’Unione delle forze democratiche furono stampati in Grecia e contrabbandati a spal-la alle frontiere. Non vi era alternativa, perché i comunisti, dopo essersi accaparrati tutte le scorte di carta, avevano chiuso la stamperia.

Fu anche per questo che ad assistere alle elezioni del 10 giugno furono invitati alcu-ni osservatori internazionali, tra cui molti amici di Séguéla come la giornalista Christine Ockrent86. E furono proprio questi osservatori che, con grande rammarico di Séguéla, dovettero certificare che il Partito Socialista aveva vinto le elezioni senza brogli né abu-si. Le campagne del paese, indottrinate a dovere dai rappresentanti del Partito che ave-vano paventato un crollo della qualità della vita qualora Želev avesse vinto, avevano annullato la netta vittoria ottenuta dall’Unione delle forze democratiche nelle città. Da un punto di vista strettamente oggettivo, la campagna di Séguéla conobbe una sconfitta. Bisogna però dire che il suo messaggio era stato ben assimilato, dato che generò nei membri dell’Unione delle forze democratiche una innovativa tattica di comunicazione basata sull’apparire granitici in pubblico e allo stesso tempo incontrare la popolazione praticamente porta a porta. Fu proprio grazie a questo atteggiamento, forte e appassiona-to, che in meno di un anno il governo eletto il 10 giugno fu costretto a dimettersi da una pacifica sommossa popolare che portò Želev al potere in un modo insolito per coloro i

85 Ivi, pag. 106. 86 Christine Ockrent è uno dei più famosi mezzibusti della televisione francese. Divenne molto amica

di Séguéla in seguito ad un rappacificamento dopo uno scontro televisivo in cui Séguéla, come suo solito pacato e poco provocatorio, disse che era talmente fredda e rigida che sembrava andare sempre in onda dopo aver ingoiato un ombrello…

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quali sfruttano la spinta del popolo: vale a dire senza sparare un solo colpo e senza ver-sare una sola goccia di sangue: una vera lezione di democrazia. 5. Conclusioni

“È difficile dire di Jacques Séguéla qualcosa che non abbia già detto lui stesso di

sé”87. Questa frase di Emanuele Pirella raccoglie in sé, in maniera ironica ma molto per-tinente, molte delle caratteristiche del personaggio-Séguéla. Il successo conseguito con le sue campagne, in particolare con quella dei Produits Libres e con la prima campagna presidenziale per Mitterrand, gli hanno permesso di diffondere con maggior efficacia caratteristiche e innovazioni del suo metodo. E, com’è facile supporlo, la sua stessa sé-gualomania andava a nozze con questa possibilità di divenire un “guru” ufficiale della nuova via della pubblicità. Allo stesso tempo, però, bisogna ricordare che questo ruolo di “guru” non lo ha certo spinto a sedersi sugli allori di un successo notevole e roboante. È giusto ricordare che Jacques Séguéla è sempre stato ed è tuttora un pubblicitario all’avanguardia. Si è sempre battuto per una profonda innovazione del mondo della pubblicità, e, per questo, è un personaggio piuttosto controverso: numerosi sono stati i casi in cui si è trovato a doversi scontrare, oltre che con la mentalità pubblifobica degli inizi, con l’intero mondo pubblicitario, spesso restio ad accettare le accelerate che Sé-guéla imprimeva regolarmente al ritmo dello sviluppo dell’idea pubblicitaria. È proprio il caso, una volta tanto, di dire che “o lo si odia o lo si ama”. Come abbiamo visto, si tratta di un personaggio estremamente passionale, con un gusto innato per la provoca-zione.

A fronte di questo, va detto che ha una straordinaria capacità di guardare oltre, di sa-per prevedere in che modo vi saranno cambiamenti nel futuro più o meno prossimo. E anche oggi, avendo superato la soglia dei settant’anni, sta esplorando le nuove vie della comunicazione, in particolare la via della comunicazione via Internet, e non perde occa-sione di ribadire quelli che per lui rimangono gli elementi principali della pubblicità: la sua capacità di informare il pubblico facendolo sognare e stimolandone la partecipazio-ne emotiva. Ricordiamo infine come Séguéla sostenga con forza una posizione che ac-comuna la pubblicità alle altre forme d’arte. Si tratta di una posizione piuttosto impopo-lare, dal momento che si tende a non accomunare un prodotto considerato “alto”, come l’arte, ad un elemento con “bassi” fini commerciali come la pubblicità. Ma, dal momen-to che una campagna si appoggia inevitabilmente su supporti come cinema (nei filmati), scrittura (negli slogan) e pittura (nei manifesti), perché dovrebbe essere considerata la figlia indegna dell’arte? In fin dei conti, sostiene Séguéla, la pubblicità è ormai uno dei pochi modi che ha l’individuo per divertirsi, per scioccarsi, per sognare, per evadere. Ed è proprio per questo che la pubblicità non deve perdere la sua capacità di stimolare im-maginazione e riflessione dell’individuo. Ma allo stesso tempo deve esser conscia della crescente responsabilità che gli è attribuita, e dimostrarlo cercando di innalzare il livello qualitativo dell’offerta a fronte di una necessaria diminuzione quantitativa. Quest’ultimo è l’obiettivo che Séguéla si pone per il futuro.

87 E. PIRELLA, Il copywriter. Mestiere d’arte, Il Saggiatore, Milano 2001, pag. 86.

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APPENDICE

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di Francesco Bruno, Sonzogno, Milano, 1992 1993 – L’argent n’a pas d’idées, seules les idées font de l’argent, Seuil, Parigi 1994 – Pub Story, Hoebeke, Parigi 1995 – La publicité, Milan, Parigi 1995 – La parole de Dieu, Albin Michel, Parigi 1996 – Le futur a de l’avenir, Ramsay, Parigi 1999 – Citroën: 80 ans de pub et toujours 20 ans, Hoebeke, Parigi 2000 – Le vertige des urnes, Flammarion, Parigi 2001 – Job guide des métiers de demain, con Frederic Lassagne, Michel Lafon, Parigi b. altre opere GERMON M., 1988 – Jacques Séguéla, un scapin de génie, Molière, Parigi HIGGINS D. (a cura di), 1965 – The art of writing advertising, Advertising Publications Inc.; ed. italiana Ciao Papà, a cura di

Aldo Selleri, trad. di Mario Mariani, Lupetti&Co., Milano, 1988 LALANNE B., 1991 – La chute de la maison Séguéla, in L’Expansion, 31 ottobre/13 novembre PIRELLA E., 2001 – Il copywriter, mestiere d’arte, Il Saggiatore, Milano MAAREK P.J., 2002 – Les mauvais choix de communication de Lionel Jospin, in Quaderni, n. 48, autunno ESQUENAZI J.-P., 2003 – Lionel Jospin et la campagne de 2002. Erreur de communication ou erreur politique?, in Ving-

tième siècle. Revue d’histoire, n. 80, ottobre-dicembre c. pagine web http://www.italianiliberi.it/Lettere/immagine.htm - Articolo di Raffaello Volpe http://www.runningonline.it/rcomm/seguela.htm - Intervento di Jacques Séguéla alla conferenza “Il mar-

keting politico dopo la campagna 2001. Riflessioni tra addetti ai lavori”, 15 giugno 2001. http://www.evene.fr/citations/auteur.php?ida=789 - Breve biografia e raccolta di citazioni di Jacques Sé-

guéla. http://www.france5.fr/arts_culture/W00127/5/62278.cfm - Breve intervista a Jacques Séguéla.. http://membres.lycos.fr/jlafrite/Seguela/ - Breve profilo di Jacques Séguéla.

Page 52: Luiss · di pubblicità e la carriera di Jacques Séguéla, il pubblicitario francese che nel corso de- ... Leo Burnett e David Ogilvy – quest’ultimo scozzese, ma che ha conosciuto

Sezione di ricerca sulla comunicazione Dipartimento di Scienze Storiche e socio-politiche

Luiss Guido Carli

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http://www.vsd.fr/contenu_editorial/pages/magazine/kiosque/duel/duel133.php - Trascrizione di una in-tervista-duello con Thierry Saussez, consigliere in materia di pubblicità della destra francese.

http://www.infrarouge.fr/interviews/seguela_jacques.html - Intervista a tutto campo di Jacques Séguéla. http://www.exporevue.com/magazine/fr/interview_seguela.html - Lunga e completa intervista a Jacques

Séguéla, realizzata da Damien Sausset. Ho naturalmente fatto ricorso a numerosissime pagine Internet per le normali ricerche che un lavoro di

questo tipo esige (a proposito di vecchie pubblicità, musiche, precisazioni, e anche di risultati elettorali). Tra queste, segnalo solo una bella raccolta di spots pubblicitari (http://www.thestone.it/spottv.htm) e la raccolta dei risultati delle Presidenziali in Francia (http://membres.lycos.fr/gogswebsitef1/chiffres-sondages/elections.htm).