UNITELNews24-n-87 · Ambiente ASSOGGETTABILITÀ A VIA: MANCA IL DECRETO ATTUATIVO E LE REGIONI...

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n. 87 – dicembre 2014 Sommario

Pagina

NEWS Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, lavoro e previdenza, Pubblica Amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza 4

RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 39

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, energia, inquinamento, Pubblica Amministrazione, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 51

APPROFONDIMENTI

Ambiente IL RECUP ERO D I RIFIUTI P RESSO INS TALLAZIONI IN AIA ALLA L UCE DELLE MO DIFICHE INTRODOTTE DAL DECRETO "COMPETITIVITÀ E CRESCITA" L’articolo 13, c. 4, del D.L. n. 91/2014, conv. con modificazioni, in l. n. 116/2014, Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria,… Marco Fabrizio, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 11 dicembre 2014 56

Ambiente LE NUOVE NORME PER LA GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE Il Decreto Sblocca Italia (Decreto Legge, testo coordinato 12.09.2014 n° 133, G.U. 11.11.2014) contiene rilevanti novità relative ai servizi pubblici locali, in particolare per quanto riguarda il servizio idrico integrato. Giovanni La Banca, Il Sole 24 ORE – Ambiente24, 10 dicembre 2014 61

Ambiente ASSOGGETTABILITÀ A VIA: MANCA IL DECRETO ATTUATIVO E LE REGIONI INTERPRETANO "CASO PER CASO" È con l’inerzia caratteristica dei corpi pesanti che si vanno dispiegando gli effetti delle disposizioni normative in materia di VIA introdotte dal D.L. n. 91 del 24 giugno 2014 Carla Cimoroni, Il Sole 24 ORE – Ambiente24, 12 dicembre 2014 65

Appalti LA TRASPARENZA NEGLI ENTI LOCALI La trasparenza è uno dei principi che devono necessariamente reggere l’attività amministrativa, insieme a quelli di economicità, efficacia, imparzialità e pubblicità, fissati dall’art. 1, L. 7 agosto 1990, n. 241.Marco Porcu, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 – 25 novembre 2014 69

Pubblica amministrazione I COMUNI E LA LOTTA ALLA CONTRAFFAZIONE La contraffazione è un fenomeno che colpisce soprattutto le aree urbane, manifestando i suoi effetti in numerosi campi dell’economia e del vivere in comunità. Simone D’Antonio, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, 30 Novembre 2014, n. 11/12 72

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Pubblica amministrazione LA P UBBLICAZIONE D EI D OCUMENTI CONTAB ILI E LE ALTRE MISURE PER L A TRASPARENZA DELLA FINANZA LOCALE Il Dlgs n. 126/2014, recante disposizioni integrative e correttive al Dlgs n. 118/2011, ha introdotto, con l’adeguamento dei sistemi informativo-contabili… Paolo Canaparo, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, 30 Novembre 2014, n. 11/12 78

Pubblico Impiego I VINCOLI AL FINANZIAMENTO DEL TRATTAMENTO ACCESSORIO Con deliberazione n. 26/Qmig del 21 ottobre 2014, la sezione autonomie della Corte dei conti ha chiarito, con pronuncia di orientamento generale Donato Centrone, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa – 30 Novembre 2014, n. 11/12 85

Pubblico Impiego NO AL LICENZIAMENTO SENZA PREAVVISO DEL DIPENDENTE PUBBLICO IN DIFETTO DI SENTENZA DI CONDANNA Interessante questione è quella decisa con la sentenza n. 24728/14 dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro… Mario Piselli, Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali - Edizione del 21 novembre 2014 - Numero OnLine 89

Pubblico Impiego DIRITTI D I ROGITO DEI S EGRETARI, NEI P ICCOLI ENTI D OPO IL TAGLIO P OSSONO ANCH E AUMENTARE I segretari dei Comuni in cui non vi sono i dirigenti possono percepire i diritti di rogito per l'intera quota introitata dall'ente, purché restino entro il tetto di 1/5 del proprio trattamento economico annuo. Arturo Bianco, Il Sole 24ORE – Guida agli Enti locali, Edizione del 26 novembre 2014 - Numero OnLine 91

Pubblico Impiego ASSUNZIONI, LA SEZIONE AUTONOMIE BLOCCA IL CONTEGGIO DEI «RESTI» PER IL TURN OVER Gli enti locali, nel 2014, non possono utilizzare, quale capacità assunzionale, i "resti" provenienti dagli anni precedenti. Gianluca Bertagna, Il Sole 24ORE – Guida agli Enti locali, Edizione del 26 novembre 2014 - Numero OnLine 93

L’ESPERTO RISPONDE Appalti, edilizia e urbanistica, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 95

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Ambiente

La IPPC: pubblicate le linee di indirizzo sulle modalità applicative della disciplina

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha emanato in data 27 ottobre

2014 la Circolare, prot. 0022295 GAB “Linee di indirizzo sulle modalità applicative della disciplina in

materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, recata dal Titolo III-bis alla parte

seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, alla luce delle modifiche introdotte dal decreto

legislativo 4 marzo 2014, n.46”.

Le linee guida chiariscono i seguenti punti:

1. Definizione di sito

2. Definizione del concetto di attività connessa

3. Applicazione dell’istituto del rinnovo periodico

4. Modalità di gestione dei procedimenti in corso

5. Presentazione della relazione di riferimento

6. Soglie delle attività di fabbricazione di prodotti alimentari o mangimi

7. Chiarimenti in merito alla nozione di pollame

8. Chiarimenti in merito alla nozione di frantumatori di rifiuti metallici

9. Oggetto dei controlli

10. Sospensione dell’autorizzazione

11. Chiarimenti in merito alla capacità di incenerimento

12. Chiarimenti in merito agli obblighi di pubblicazione

13. Chiarimenti in merito all’impiego delle linee guida MTD

14. Primi chiarimenti in merito agli impianti esistenti non già soggetti ad AIA.

(Francesca Sartori, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 29 novembre 2014)

Appalti

Nelle gare pubbliche regolarizzazioni in dubbio per il Durc

Forti incertezze sui Durc (documento unico di regolarità contributiva) per le imprese che intendano

partecipare a gare pubbliche. La sentenza del Tar Bologna 27 novembre 2014 n. 1153 ritiene che

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l’impresa debba attestare con Durc la regolarità contributiva con riferimento al momento della

partecipazione alla gara. Non si possono quindi regolarizzare i debiti previdenziali fruendo del

termine quindicinale che l’ente previdenziale è tenuto ad assegnare all’impresa per fruire di

«agevolazioni normative e contributive» (art. 7 Dm lavoro 24 ottobre 2007). La regolarizzazione

sarebbe possibile solo per il cosiddetto Durc “interno”, ossia quello rilasciato dall’Inps per il

riconoscimento di benefici o sgravi contributivi all’impresa, mentre per partecipare alle gare occorre

il Durc “esterno”, per il quale non è prevista la regolarizzazione.

Di segno opposto è la sentenza del Consiglio di Stato 14 ottobre 2014 numero 5064, la quale

sottolinea che l’ente previdenziale è obbligato a consentire all’impresa di regolarizzare la posizione,

e ciò si riverbera in senso favorevole sugli appalti.

La tesi del Consiglio di Stato è condivisa anche dal Tar del Lazio, che nell’ordinanza sospensiva 4

dicembre 2014 n. 6255 si è espresso favorevolmente alla regolarizzazione. La possibilità di fruire di

15 giorni per regolarizzare la posizione contributiva (art. 7 Dm 24 ottobre 2007), senza quindi

distinguere tra Durc interno ed esterno, sembra anche coerente con l’articolo 4 del Dl 34/14

(convertito in legge 78/14), norma che consentirà di sostituire il Durc con un’interrogazione

telematica. Quando l’interrogazione sarà possibile (si attende un decreto del Lavoro) essa sarà

valida sia a fini previdenziali, sia per partecipare a gare di appalto, ed è previsto che siano

individuati i «requisiti di regolarità» e le «tipologie di pregresse irregolarità» ostative al godimento

di benefici normativi e contributivi. Quindi, non esiste né una regolarità assoluta, né un’irregolarità

netta, ma sono possibili zone intermedie, coerenti all’elasticità che l’articolo 38 del Dlgs 167/06

(sugli appalti pubblici) individua con il concetto di «violazioni gravi, definitivamente accertate» che

il Durc aiuta ad individuare. Inoltre va tenuta presente la modifica della legislazione sugli appalti

introdotta dall’art. 39 co.1 del Dl 90/14 (convertito in legge 114/14): l’articolo 38 del Dlgs 163/06

sui Lavori Pubblici è stato arricchito del comma 2 bis, il quale consente una certa elasticità e quindi

autorizza a leggere il Durc come regolarizzabile. La norma del 2014 prevede infatti che in

mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale della partecipazione a gare generi una

sanzione tra mille e 50mila euro e apra le porte ad una regolarizzazione entro 10 giorni. Se

esistono quindi le procedure per regolarizzare il Durc e anche le sanzioni per bilanciare eventuali

irregolarità, anche il Durc può essere regolarizzato.

(Guglielmo Saporito, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 10 dicembre 2014)

Il soccorso istruttorio alla luce della nuova disciplina L’istituto del soccorso istruttorio è disciplinato dall’art. 46, comma 1 D.Lgs. 163/2006, ai sensi del

quale “… le Stazioni appaltanti invitano, se necessario, i concorrenti a completare o a fornire

chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati”.

La norma è stata subito oggetto di un ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale, articolato tra

le teorie ispirate al principio del favor partecipationis e quelle volte al rispetto dell’opposto principio

della par condicio.

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La prima soluzione normativa alla vexata quaestio viene fornita dall’introduzione del comma 1-bis

dell’art. 46, D.Lgs. 163/2006 che stabilisce l’esclusione dalla gara solo nel caso in cui il codice, la

legge statale o il regolamento attuativo la comminino espressamente, limitando, fortemente, la

discrezionalità della P.A. nella determinazione della normativa di gara.

La tassatività può ritenersi rispettata, dunque, non solo attraverso l’introduzione di specifiche

clausole di esclusione, ma anche quando, pur non prevedendo espressamente l’esclusione, si

impongano, tuttavia, adempimenti doverosi o introducano norme di divieto, qualora sia certo il

carattere imperativo del precetto che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una

gara (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 9/2014; id. n. 23/2013; id. n. 21/2013).

Tutto ciò in applicazione del generale principio del giusto procedimento (art. 3, L. 241/1990) che

impone all’Amministrazione di superare il rigido formalismo in favore del principio del favor

partecipationis, ovviamente assicurando il pieno bilanciamento con i principi della par condicio,

dell’imparzialità e del buon andamento della P.A.

Di tal ché, il soccorso istruttorio troverà applicazione in ipotesi in cui si dovrà completare o

correggere errori materiali e refusi di dichiarazioni o documenti già presentati, inerenti ai requisiti

di ordine generale.

Anzi, esso diventa doveroso, in applicazione del principio di leale collaborazione (art. 46,

D.Lgs.163/2006), in virtù del quale la Stazione Appaltante è tenuta a richiedere o a consentire la

suddetta integrazione, in modo da rendere conforme l’offerta quanto richiesto dalla lex specialis di

gara (cfr. Cons. Stato 25 luglio 2014, n. 3962; T.A.R. Lazio 14 aprile 2014, n. 4031).

Il nuovo soccorso istruttorio

Il D.L. 24.6.2014, n. 90 (conv.dalla L. 11472014) introduce una profonda innovazione con l’art. 39:

“Semplificazione degli oneri formali nella partecipazione a procedure di affidamento dei contratti

pubblici”.

Viene inserito il comma 2-bis all’art. 38 D.Lgs.163/2006, che stabilisce che il soccorso istruttorio è

sempre possibile non solo per regolarizzare documenti già presentati, ma anche per integrare una

documentazione mancante con cui il concorrente è chiamato ad attestare il possesso dei requisiti di

ordine generale.

La norma si estende anche ai requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi ex art. 46,

comma 1-ter relativa a tutte le ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e

delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla

legge, al bando o al disciplinare di gara.

Viene stabilita, dunque, la prevalenza del dato sostanziale su quello formale, in quanto diventa

elemento imprescindibile il reale possesso di determinati requisiti e non la completezza della

documentazione di gara.

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Sicché il concorrente che ha presentato una dichiarazione ex art. 38 incompleta, o che ha omesso

in toto di presentarla, non può, ipso facto, essere escluso dalla gara, dovendo sempre essergli

consentito di sanare le omissioni, dimostrando di essere comunque in possesso di tutti i requisiti di

ordine generale di cui all’art. 38.

Il nuovo istituto del soccorso istruttorio prevede due differenti patologie della fattispecie

procedimentale.

In primis, si fa riferimento alla sanabilità di irregolarità essenziali (es., l’assenza del documento di

identità che deve accompagnare la dichiarazione in modo che questa possa produrre i suoi effetti

sostitutivi dei certificati), nel qual caso la Stazione Appaltante sarà obbligata a esercitare il dovere

del soccorso istruttorio, con imposizione, al concorrente, del pagamento di una sanzione pecuniaria

e di procedere a integrare la documentazione nei termini stabiliti dalla stessa. In assenza di tali

adempimenti, il concorrente sarà escluso.

In secundis, nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di

dichiarazioni non indispensabili, la Stazione Appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né

applica alcuna sanzione.

E in ciò si sostanzia l’elevata portata innovativa della disposizione in esame, in quanto permette,

seppur entro certi limiti, l’integrazione degli elementi documentali essenziali anche quando gli

stessi non sussistevano in sede di presentazione dell’offerta, creando, con ciò, difficoltà

interpretative in una fase procedimentale (quella dell’ammissione o meno al procedimento degli

operatori economici) che esige trasparenza e pari condizioni, non vantaggi arbitrari o elusivi delle

norme in materia.

La problematicità dell’innovazione che, anziché semplificare, sembrerebbe complicare la procedura

di gara, viene analizzata, seppur in via incidentale, dalla prima giurisprudenza amministrativa

emersa sul punto.

Anche se trattavasi di una fattispecie sorta in vigenza della precedente normativa, il Consiglio di

Stato ha preso atto dello ius superveniens di cui alla presente trattazione, affermando che, a

seguito della semplificazione così intervenuta, «in ogni caso andranno risolti problemi esegetici in

sede applicativa e, con riguardo alle fattispecie analoghe a quella all’esame e cioè alla omessa

dichiarazione di pregresse condanne, non appare possa, anche in caso di successiva

regolarizzazione, eliminarsi del tutto, ove non esplicitato, il “filtro” dell’Amministrazione» (v. Cons.

Stato, Sez. III, 8 settembre 2014, n. 4543; T.A.R. Puglia, Lecce, n. 2358/2014).

Alla luce delle argomentazioni suesposte, sembrerebbe, da una prima analisi normativa e

giurisprudenziale, che la nuova normativa così introdotta potrebbe, al netto delle esigenze di

semplificazione che intende meritevolmente perseguire, creare delle problematicità afferenti al

corretto bilanciamento degli interessi in gioco, in particolare quello della par condicio e quello

opposto del favor partecipationis.

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(Giovanni La Banca, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 10 dicembre 2014)

Affidamento di servizi complementari senza gara L’affidamento diretto di servizi complementari all’oggetto del progetto o del contratto originario, ai

sensi dell’art. 57, comma 5 D.Lgs. 163/2006, non può prescindere dal verificarsi di una circostanza

imprevista, non imputabile alla condotta dell’amministrazione.

Questo, il principio affermato dal Consiglio di Stato, con la sentenza 25 novembre 2014, n. 5827,

nell’ambito di un contratto per la fornitura di un multi servizio tecnologico.

Nel caso in esame, l’amministrazione aveva affidato direttamente, al soggetto gestore del servizio,

attività manutentive di impianti tecnologici non ricomprese nel contratto originario.

Con la decisione in commento, i Giudici amministrativi ritengono illegittimo l’agire dell’Ente, poiché

non hanno ritenuto esistenti i presupposti per poter procedere all’affidamento diretto, ovvero, il

verificarsi di una circostanza imprevedibile e l’esecuzione di attività necessarie per l’esecuzione

dell’opera o del servizio oggetto del progetto o del contratto iniziale.

La sentenza, considera il nuovo affidamento una illegittima estensione del contratto originario,

mentre l’imprevedibilità richiesta dalla norma, non si è verificata.

Non è stata ritenuta infatti plausibile la “controversa” motivazione addotta dall’amministrazione,

anche perché il verificarsi della circostanza c.d. imprevedibile è dipesa da un comportamento non

diligente della P.A.

(Marco Porcu, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 1 dicembre 2014)

Appalti, rischi penali per chi permette varianti ingiustificate Più sono «aggressivi» i ribassi con i quali vengono aggiudicati gli appalti, più frequenti sono le

varianti in corso d’opera, che spesso consentono all’appaltatore di recuperare gli “sconti” offerti

all’inizio e si giustificano solo formalmente con le classiche «cause impreviste e imprevedibili» che

permettono di riformare i contratti. E non è solo un fatto di frequenza: quando il ribasso d’asta

iniziale è stato superiore al 30%, almeno il 50% delle varianti approvate presentano problemi di

varia importanza, che se messi sotto controllo potrebbero sfociare in responsabilità anche penali

nei confronti di chi ha aggiudicato la gara. Non solo: nel 90% dei casi, l’importo della variante è

vicinissimo al ribasso d’asta iniziale, annullando di fatto il risparmio.

A dirlo è il primo esame delle varianti effettuato dall’Autorità nazionale anticorruzione guidata da

Raffaele Cantone. Il rapporto a volte perverso fra aggiudicazioni con ribassi extra e “correzioni”

successive in corso d’opera è un fatto noto, al punto che proprio per contrastare fenomeni di

questo tipo il decreto sulla Pubblica amministrazione (articolo 37 del Dl 90/2014) ha imposto agli

enti pubblici di trasmettere le varianti all’Autorità. I numeri elaborati dall’Anac, però, offrono per la

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prima volta una misurazione puntuale del fenomeno, e già evidenziano «condotte ricorrenti» che

«nella loro reiterazione testimoniano un’applicazione distorta dell’istituto della variante in corso

d’opera».

Il rapporto evidenzia in particolare undici di queste condotte ricorrenti, a partire dalle varianti

approvate sulla base di «motivazioni non coerenti» o addirittura «in sanatoria» di lavori già eseguiti

o ultimati fino alle modifiche che coprono errori di progettazione oppure che si presentano come

migliorative, ma in realtà finiscono per «comportare una sensibile riduzione della qualità

complessiva della realizzazione», per esempio quando prevedono l’utilizzo di materiali e tecnologie

meno pregiate di quelle previste nel contratto originario senza però modificare il costo.

L’analisi dell’Anac non si limita, tuttavia, a passare in rassegna la “fenomenologia della variante”. Il

passaggio cruciale, anzi, è quello successivo, che porta l’autorità a evidenziare le ricadute che

queste prassi possono avere in termini di responsabilità a carico delle stazioni appaltanti. Il Codice

dei contratti (articolo 132 del Dlgs 163/2006) permette infatti di modificare il contratto iniziale solo

quando ricorrono precise circostanze, come le cause o i rinvenimenti «imprevisti e imprevedibili»

oppure le «sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari» che mettono fuori regola

l’appalto originario. L’ampia maggioranza dei casi arrivati all'Anac sono giustificati con il primo

gruppo di motivazioni, quelle legate ai fattori imprevedibili, che però nelle relazioni dei responsabili

del procedimento spesso non sono dimostrate e servono «a nascondere carenze progettuali».

Quando il responsabile unico del procedimento riporta nella relazione «circostanze non veritiere»

oppure «motivazioni incoerenti con gli elementi di fatto», avverte il documento firmato da Cantone,

non si limita a perseguire «una scarsa trasparenza amministrativa», ma rischia di «integrare la

fattispecie penalmente rilevante di falso in atto pubblico». Non solo, perché con la trasmissione

della relazione all’Anac può scattare la sanzione fino a 51.545 euro dedicata dal Codice (articolo 6,

comma 11 del Dlgs 163/2006) a chi «fornisce informazioni o esibisce documenti non veritieri»: a

far scattare la sanzione sarebbe la stessa Autorità.

Conseguenze importanti possono ricadere anche sul responsabile del procedimento che approva

varianti «in sanatoria», per regolarizzare opere già eseguite. Chi firma queste correzioni ex post,

spiega l’Anac, «finisce per declinare alle proprie funzioni di controllo, nonché ai compiti di vigilanza

sull’ammissibilità delle varianti in corso d’opera», e presta il fianco alle responsabilità erariali e

disciplinari.

(Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 25 novembre 2014)

Sugli appalti controlli solo formali Le stazioni appaltanti fanno ampio utilizzo delle procedure negoziate per l’affidamento degli appalti,

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in un contesto di forte contrazione del mercato e con una maggiore complessità dei percorsi

selettivi. La fondazione PromoPA e l’Università di Roma Tor Vergata hanno analizzato, nell’edizione

2014 del rapporto «Come appalta la Pa» (che sarà presentato domani a Roma alla sede Ance) le

dinamiche del sistema degli affidamenti di lavori, servizi e forniture, mediante un confronto con gli

esperti delle amministrazioni aggiudicatrici e l’elaborazione delle informazioni rilasciate dall’Autorità

di vigilanza.

L’analisi dei dati pubblicati dall’Anac ha evidenziato per il 2013 l’andamento negativo degli appalti

di lavori, con una diminuzione del 13% delle procedure ordinarie (alla quale corrisponde una

contrazione del 6% dei volumi economici) e addirittura del 21% delle procedure di partenariato

pubblico-privato (con una riduzione di oltre il 50% delle risorse investite). Dalla contrazione del

mercato viene stimata in media una perdita in termini di volume di affari del 16,8 per cento.

Dal confronto con i soggetti che nelle amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate si

occupano di appalti emerge come sia chiaramente percepita una tendenza consolidata all’aumento

dei ribassi, che va di pari passo con un aumento della complessità delle procedure per affidamento

ed esecuzione degli appalti. Sull’anticorruzione e sulla trasparenza il giudizio appare univoco e

tendenzialmente negativo: le norme, oltre ad essere giudicate poco efficaci nella loro ratio, sono

considerate non idonee a migliorare la qualità delle procedure ma percepite come ulteriore

appesantimento degli adempimenti.

Tra gli operatori è comunque diffusa la convinzione che l’intervento in grado di incidere in misura

forte sulla trasparenza sia l’introduzione di tecnologie nel processo di appalto, da accompagnare

alla revisione del sistema delle Soa e la diffusione dei Protocolli di legalità. Allo stesso tempo, però,

in merito all’AvcPass, la ricerca rileva le molte perplessità degli operatori, per il timore che il

sistema si riveli un appesantimento.

Pur a fronte del maggior utilizzo del «Mepa» e delle procedure telematiche (ma con un indice

ancora molto basso rispetto al totale) permane un notevole utilizzo degli albi fornitori, soprattutto

da parte delle società partecipate, ma con una ridottissima percentuale di casi nei quali è adottato

un modello di valutazione dei fornitori. A questo aspetto corrisponde, in relazione all’esecuzione dei

contratti, l’utilizzo di strumenti di controllo in circa il 50% delle amministrazioni, anche se con una

prevalenza di soluzioni di verifica poco strutturate.

Per individuare i fornitori le stazioni appaltanti fanno largo uso della procedura negoziata senza

pubblicazione del bando di gara (26%), anche se aumenta il ricorso alle procedure aperte (24%),

che risultano comunque quelle con maggior volume economico gestito. La scelta di ricorrere alla

procedura negoziata è determinata da esigenze di semplicità del percorso ed è connessa anche alla

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riduzione del valore degli interventi trattati, ma curiosamente la ricerca evidenzia che molti

operatori vi ricorrono perché la normativa ha allentato i vincoli al suo utilizzo.

Le stazioni appaltanti dimostrano di essere molto legate al metodo selettivo più semplice e

immediato, poiché nel totale delle procedure prevale largamente la valutazione delle offerte con il

criterio del prezzo più basso (68%) con una forte contrazione del ricorso a quello dell’offerta

economicamente più vantaggiosa.

«Le gare al massimo ribasso - riflette Ezio Melzi, ad di BravoSolution che ha collaborato alla

definizione del rapporto - sono invise alle imprese che puntano su modalità più meritocratiche e

meno penalizzanti dal punto di vista economico. Oggi le soluzioni tecnologiche ci sono, e le Pa

potrebbero dare il giusto spazio alla componente qualitativa non solo nell’aggiudicazione, ma anche

con meccanismi trasparenti di valutazione delle performance dei fornitori».

(Alberto Barbiero, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 24 novembre 2014)

Atti riservati se la gara è «chiusa» Nuovi limiti all'accesso agli atti di gara da parte di un concorrente, se non c'è possibilità di ribaltare

il risultato. Li pone il Tar di Milano con la sentenza 30 ottobre 2014 n. 2587, che applica la

riservatezza anche a servizi di pulizia.

L'accesso è un diritto generale previsto dalla legge 241/1990 per favorire la partecipazione e

assicurare imparzialità e trasparenza dei procedimenti, ma a condizione che ci sia un interesse

diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata (articoli 22 e

24). Poi sono sopravvenute più norme, che hanno applicato il principio con intensità diversa di

volta in volta, allargando o limitando l'accesso (si veda la scheda sulla destra). Punto di equilibrio

tra restrizioni e ampliamenti è l'articolo 3 del Dpr 184/2006, che obbliga le amministrazioni ad

informare i controinteressati (cui si riferiscono i dati oggetto di accesso), affinché esprimano o

meno il proprio consenso.

Per il Tar di Milano, la norma sull'accesso civico (il Dlgs 33/2012, articolo 3) non amplia i diritti che

spettano ai partecipanti alle gare: per questi ultimi l'accesso è garantito, ma deve collegarsi a

un'esigenza di difesa in giudizio. Ciò significa che l'ente pubblico che ha gestito la gara deve

effettuare un accurato controllo in ordine all'effettiva utilità, per il richiedente, della

documentazione richiesta.

Nel caso specifico, poiché l'impresa di pulizie che chiedeva l'accesso alla documentazione si era

classificata sesta e non aveva impugnato l'esito della gara, non è emerso un interesse concreto ed

attuale a conoscere l'analisi dei costi dell'offerta della prima classificata. Quando le gare si svolgono

sulla base dell'offerta economicamente più vantaggiosa (e non sulla base del prezzo più basso),

può essere utile conoscere soluzioni, innovazioni e specifiche tecniche delle offerte risultate

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aggiudicatarie. Con un accesso agli atti di gara si possono conoscere fornitori, sistemi di

organizzazione, tecnologie utili per successive gare. Per ottenere ciò occorre tuttavia motivare

l'istanza di esibizione, affermando di aver intenzione di rivolgersi ad un organo giurisdizionale per

tutelare i propri interessi.

Quando vi è una richiesta del genere, cioè un cosiddetto accesso difensivo, l'unico argomento che

può tutelare la riservatezza dei dati delle imprese vincitrici è il diritto alla riservatezza commerciale

dei dati tecnologici, dei brevetti o dei segreti commerciali o industriali. In particolare se si tratta di

forniture, migliorie e tecniche di manutenzione. La fonte di questo diritto alla riservatezza dei dati è

la Direttiva comunitaria 93/36 (articolo 9, numero 3), che limita la pubblicazione di informazioni

successive ad una gara che possano pregiudicare interessi commerciali o generare una concorrenza

sleale.

Il chiarimento più utile su questa norma comunitaria proviene dalla Corte di giustizia della Ue

(sentenza della causa C-450/06, resa nel 2008), che riguardava una controversia relativa alla gara

per fornire le maglie dei cingoli destinati ai carri armati di tipo Leopard. Respingendo – nella

sostanza – l'istanza di accesso di un produttore che voleva conoscere le tecniche costruttive di altri

concorrenti, la Corte ha sottolineato che la commissione di gara deve garantire la riservatezza ed il

rispetto dei segreti commerciali.

Anche alle imprese di pulizie, nel caso deciso dal Tar di Milano, è stato applicato lo stesso principio

di riservatezza. L'argomentazione è stata che l'azienda interessata potrebbe imitare tecniche altrui

attraverso la scorciatoia dell'accesso alle offerte di gara.

Le modifiche alla 241

CONTRATTI PUBBLICI

Gli articoli 13 e 79 del Dlgs 163/2006 consentono l'accesso, esclusi appalti segretati per sicurezza

nazionale (articolo 17)

SPECIFICHE E ASTE

Ci sono norme particolari su specifiche tecniche di forniture, lavori e servizi (Dlgs 152/2008) e aste

elettroniche (articolo 85, comma 12, Dlgs 163/2006)

LIMITAZIONI

Riguardano andamento dei lavori e riserve (articolo 234, Dpr 207/2010)

ACCESSO CIVICO

Il Dlgs 33/2012, articolo 3, consente a chiunque di conoscere i dati oggetto di pubblicazione

obbligatoria: concorsi, sovvenzioni, esiti

(Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 13 novembre 2014)

Servizi pubblici, l'interdittiva non conta È legittimo non interrompere il contratto pubblico di fornitura o prestazione di servizi con l'impresa

vincitrice colpita da informazione interdittiva antimafia se questa non è sostituibile in tempi rapidi e

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la fornitura o il servizio è essenziale per l'interesse pubblico. Lo ha stabilito il Tar della Campania,

sede di Napoli, con la sentenza n. 5692/2014, resa dalla Prima sezione e depositata il 5 novembre.

I giudici hanno respinto il ricorso di un consorzio di aziende che aveva chiesto alla Regione di

subentrare alla società cui era stato affidato in via provvisoria il servizio di trasporto pubblico

locale, dopo che la società era stata sottoposta alle misure preventive del prefetto, in seguito agli

accertamenti degli organi di polizia.

Secondo il Tar, «ha natura eccezionale e suscettibile esclusivamente di stretta interpretazione» la

norma del Codice degli appalti (articolo 140, Dlgs 163/2006) che consente di interpellare gli altri

migliori offerenti – fino al quinto, aggiudicatario escluso – nel caso di interdittiva antimafia, ma

anche per fallimento, liquidazione coatta e concordato preventivo dell'appaltatore, risoluzione del

contratto per reati accertati, decadenza dell'attestazione di qualificazione, gravi inadempimenti,

irregolarità o ritardi.

La norma, afferma il Tar, «proprio perché riferita esclusivamente ai contratti relativi ai lavori

pubblici e in quanto norma di stretta interpretazione non è applicabile ai contratti aventi ad oggetto

prestazioni diverse dalla esecuzione di lavori pubblici, con particolare riferimento ai contratti per

forniture o per prestazione di servizi».

Per i giudici, confermando il gestore nonostante l'interdittiva, la Regione non ha fatto altro che

garantire le «esigenze di continuità del servizio». In questo modo, ha applicato correttamente il

Codice antimafia (comma 3, articolo 94, Dlgs 159/2011) che permette a tutte le Pa – inclusi enti

vigilati o controllati dallo Stato, stazioni uniche appaltanti e concessionarie di opere pubbliche – di

proseguire autorizzazioni, concessioni e contratti se l'opera è in corso di ultimazione o, come nel

caso in esame, non è sostituibile in tempi brevi chi fornisce beni e servizi ritenuti essenziali per

l'interesse pubblico.

(Francesco Clemente, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi 24, 14 novembre 2014)

Catasto

Riclassamento sempre motivato

È illegittimo il riclassamento catastale che non indichi gli elementi necessari per giustificare le

ragioni della variazione. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 23247 del 2014, che annulla

un classamento che l'Amministrazione aveva operato con un richiamo solo generico alle espressioni

contenute nella norma che prevede modifiche di classe (nel caso specifico, l'articolo 1, comma 335

della legge 311/2004). «Questa sentenza – sottolinea il presidente di Assoedilizia Achille Colombo

Clerici – è la prova della fondatezza della nostra posizione critica nei confronti di tutti quegli

accertamenti».

In particolare, si discuteva di un castello composto da 38 unità, a nove delle quali l'Agenzia delle

UNITELNews24 14

entrate aveva negato l'attribuzione della specifica categoria (A 9: castelli, palazzi con eminenti

pregi artistici o storici). Per fare ciò, l'ufficio si era limitato a richiamare la circostanza che il

Comune avesse richiesto la revisione del classamento, e aveva richiamato una generica

«evoluzione del mercato immobiliare» per negare a nove unità immobiliari la categoria A 9.

Secondo la Cassazione, invece, per modificare un classamento e cioè il valore degli immobili

presenti nella micro zona, sarebbe stato necessario dimostrare un significativo scostamento del

rapporto tra valore di mercato e valore catastale nella micro zona stessa, indicando il suddetto

rapporto e le dimensioni del relativo scostamento. Di qui l'annullamento del provvedimento

dell'Agenzia delle entrate, ed è il ritorno delle nove immobiliari nella categoria A 9. Accogliendo le

tesi del contribuente, la Cassazione tributaria illustra la procedura che l'Agenzia deve effettuare

quando attribuisce un nuovo classamento a seguito di variazioni: se la variazione si ricollega a

trasformazioni edilizie subite dall'unità immobiliare, l'atto deve recare l'analitica indicazione di tali

trasformazioni; se il nuovo classamento è adottato nell'ambito di una revisione dei parametri

catastali delle microzone in cui l'immobile situato, a causa di un significativo scostamento del

rapporto tra valore di mercato e valore catastale nella micro zona stessa rispetto all'analogo

rapporto tra valore di mercato e catastale nell'insieme delle micro zone comunali, l'Agenzia deve

indicare i suddetti rapporti tra valori e lo scostamento che emerge tra i valori stessi (di mercato e

catastale).

(Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 12 novembre 2014)

Riforma del catasto a corto di dati Il crollo del mercato immobiliare impone una revisione in corsa del sistema di calcolo delle future

rendite: a oggi mancano spesso i dati necessari alle elaborazioni statistiche.

Ieri, al convegno svoltosi a Milano nell'ambito di Urbanpromo 2014 sulla riforma degli estimi, il

vicedirettore delle Entrate, Gabriella Alemanno, ha illustrato come la struttura dell'ex Territorio stia

andando avanti: «Abbiamo costituito un gruppo di lavoro che a breve ultimerà la bozza del decreto

legislativo sulla riforma del sistema estimativo, che l'autorità politica porterà poi avanti. Ma

vogliamo garantire la "comprensibilità sociale" dell'operazione, con la massima trasparenza e

collaborazione con professioni e operatori». Le risorse, tuttavia, restano un problema da definire. A

margine del convegno, Gabriella Alemanno ha spiegato che, riguardo alle convenzioni con gli ordini

professionali per il necessario supporto «non so se saranno gratuite. La questione risorse è allo

studio di un gruppo di lavoro specifico». Sono comunque già stati stanziati 205 milioni per i

prossimi cinque anni.

A segnalare il problema maggiore è stato Arturo Angelini, della direzione del catasto: «Ci sono

quasi 5mila Comuni dove, nell'ultimo triennio, sono state effettuate meno di cento compravendite.

Su questa base mancano le grandi quantità di dati che sono il presupposto per un serio approccio

statistico. E se è un problema per le unità a destinazione ordinaria, figuriamoci per quelle

speciali!». La soluzione è quella di allargare gli ambiti territoriali: «Delle attuali 30mila microzone

UNITELNews24 15

alcune migliaia verranno accorpate, in modo da avere dati a sufficienza» ha detto Gianni Guerrieri,

il coordinatore del gruppo che sta lavorando al prossimo decreto legislativo (l'unico approvato, per

ora, è quello sulle commissioni censuarie, peraltro prodromico a tutto il resto). Anche perché

l'alternativa sarebbe fare stime puntuali «Che con 63 milioni di unità immobiliari è piuttosto

difficile».

Sulla validità del metodo statistico ha espresso forti dubbi Antonio Anzani, presidente di Aspesi

(promotori immobiliari), citando una serie di casi di immobili a prezzo reale zero o quasi ma con

valore catastale elevato. «Ma la riforma non potrà tenere conto degli infiniti casi singoli - ha

replicato Guerrieri -. Altrimenti non la faremo mai. Si tratta di ridurre il valore di dispersione tra

valori di mercato e catastali, attualmente fermi a 41, almeno a 25, rimuovendo almeno in parte le

iniquità».

Altro tema caldo quello dei rapporti con i Comuni: «Senza una collaborazione, forte, costante e

fedele non si riuscirà a correre - dice Guerrieri -; da loro devono arrivare informazioni

indispensabili». Sempre i Comuni sono poi stati citati come destinatari finali dell'obbligo di

invarianza di gettito: per Guerrieri «i conti si potranno fare solo a fine riforma» e il direttore delle

Entrate, Rossella Orlandi, ospite ieri di Skytg24 Economia, ha confermato che l'invarianza «si

otterrà con una rimodulazione delle aliquote che però saranno frutto di scelte politiche che

competono agli enti locali». Mentre a margine del convegno il presidente di Assoedilizia, Achille

Colombo Clerici, ha motivato il suo scetticismo: «Per esempio, risulta assai arduo poter verificare

l'incidenza del continuo processo di riqualificazione edilizia, che dà luogo a un ovvio incremento del

gettito per via dell'automatismo dell'aggiornamento catastale».

Il funzionamento delle commissioni censuarie nel primo decreto legislativo

LE «LOCALI»

La composizione

Tra i membri delle commissioni censuarie locali (il presidente è nominato dal presidente del

Tribunale locale) è prevista la presenza di: due tra quelli designati dall'agenzia delle Entrate; uno

tra quelli designati dall'Anci; tra quelli designati dal Prefetto, due su indicazione degli Ordini e

Collegi professionali e uno su indicazione e delle associazioni di categoria operanti nel settore

immobiliare; per le Commissioni censuarie provinciali di Trento e Bolzano, un rappresentante delle

due Province autonome

LA «CENTRALE»

Membri e presidente

La commissione censuaria centrale è composta da 25 componenti effettivi e 21 supplenti. Si

articola in tre sezioni (il numero è modificabile con decreto dell'Economia), di cui una competente

in materia di catasto terreni e due competenti in materia di catasto urbano. È presieduta da un

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magistrato ordinario o amministrativo con qualifica non inferiore a magistrato di cassazione o

equiparata, nominato da un Dpr previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del

ministro dell'Economia

LE NOMINE

Alle commissioni locali

Entro 60 giorni dalla richiesta del direttore regionale delle Entrate, l'Anci, il prefetto e la stessa

Agenzia comunicano le rispettive designazioni al presidente del Tribunale, che entro 30 giorni

sceglie i componenti; il direttore regionale provvede, con decreto, alla nomina

Alla commissione centrale

Entro 90 giorni dalla richiesta del direttore delle Entrate, l'Agenzia stessa, l'Anci e il Csm

comunicano le rispettive designazioni al ministro dell'Economia che nomina con proprio decreto i

componenti effettivi e supplenti

LE COMPETENZE

Le attività

In tema di competenze, le commissioni censuarie dovranno validare anche le previste funzioni

statistiche (che vanno a sostituire gli attuali quadri tariffari). Come fatto innovativo rispetto al

passato prossimo, ma che richiama il passato remoto (formazione del catasto edilizio urbano),

sono state introdotte procedure deflattive del contenzioso catastale: l'articolo 2, comma 3, lettera

a) della delega fiscale prevede particolari e appropriate misure di tutela anticipata del contribuente

sull'attribuzione delle nuove rendite

(Saverio Fossati, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 12 novembre 2014)

Per gli interventi liberi sparisce il «Docfa» Con lo Sblocca Italia (articolo 17, comma 1, lettera c, punto 3) viene prevista una modifica

all’articolo 6, comma 5, del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia

edilizia (Dpr 380/01) che ingenera però dei problemi in tema di procedimenti di variazione

catastale di immobili già censiti.

L’articolo 6 del testo unico disciplina le tipologie di interventi liberi avviabili con semplice

comunicazione al comune (opere di ordinaria e anche straordinaria manutenzione). Il comma 5 del

suddetto articolo, nella sua formulazione originaria, prevedeva che al termine dei lavori

l’interessato provvedesse, nei casi previsti dalle vigenti disposizioni, alla presentazione degli atti

d’aggiornamento catastale nel termine di 30 giorni dall’ultimazione dei lavori.

Il nuovo comma prevede, in tali casi, che la comunicazione d’inizio lavori, laddove integrata con la

comunicazione di fine dei lavori, sia tempestivamente inoltrata dal Comune alle Entrate e sia valida

anche ai fini delle variazioni catastali previste dalla legge. Tale semplificazione crea, però, un

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notevole “impasse” operativa negli aggiornamenti catastali, atteso che la comunicazione inoltrata

all’Agenzia non è immediatamente utilizzabile per l’aggiornamento degli atti catastali in quanto

necessita di una preventiva e complessa elaborazione finalizzata alla compilazione delle planimetrie

catastali nel formato standard e alla registrazione della eventuale nuova rendita e dei nuovi

identificativi catastali.

La disposizione ha un effetto ancora più dirompente in quanto tra le opere di straordinaria

manutenzione (modifiche all’articolo 3, lettera b, del Dpr 380/2001), sono state incluse la fusione e

il frazionamento di unità immobiliari urbane, purché non si modifichi la volumetria e la destinazione

d’uso.

In sostanza, con la nuova norma, i cittadini verranno sgravati dall’attuale obbligo di predisposizione

dell’accatastamento (Docfa), che passa a carico delle Entrate. La legge solleva il cittadino da

adempimenti burocratici, ma non dando dei termini perentori all’Agenzia per provvedere

probabilmente non centrerà l’obiettivo della semplificazione. È probabile, quindi, che

l’aggiornamento catastale troverà adempimento effettivo solo nei tempi tecnici (quasi sicuramente

lunghi) compatibili con l’operatività dei vari uffici. Si profila, quindi, all'orizzonte la possibilità di

ricostituzione di un nuovo arretrato nell’aggiornamento catastale.

Tale scenario verosimilmente potrà comportare per il cittadino possibili ritardi nella compravendita

immobiliare nei casi in cui l’Agenzia non provveda all’adeguamento della planimetria catastale allo

stato reale dell’immobile. Di fatto, l’articolo 19, comma 4, del Dl 78/10, convertito nella legge

122/10, per la libera commerciabilità di un immobile impone che la planimetria in catasto sia

conforme allo stato reale dell’immobile. Inoltre in caso di fusione o frazionamento, per

l’individuazione nell’atto notarile le unità immobiliari derivate debbono ricevere un nuovo

identificativo dalle Entrate. Quindi, nei casi di ritardi nell’aggiornamento catastale è probabile che

vada in fumo per il cittadino l’agevolazione prevista dalla nuova norma, in quanto, se ha urgenza di

stipula, si vedrà costretto a presentare volontariamente un Docfa.

Si auspica che la nuova disposizione sia sottoposta ad un adeguato monitoraggio per constatarne

l’effettiva applicabilità negli attuali procedimenti di aggiornamento catastale, senza ritardi nel

rispetto del termine ordinario di conclusione dei procedimenti amministrativi, che, non essendo

stato diversamente precisato, sembra da intendere in 30 giorni ex lege 241/90.

(Antonio Iovine, Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 26 novembre 2014)

Edilizia e urbanistica

Abusi edilizi, multe a chi non demolisce

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Prime incertezze applicative sul decreto legge 133/14 (cosiddetto "Sblocca Italia"), convertito nella

legge 164/14 ed entrato in vigore dal 12 novembre scorso.

La norma prevede, infatti, un'immediata sanzione pecuniaria tra 2mila e 20mila euro per gli abusi

edilizi di maggior calibro e in particolare per i casi di demolizioni non eseguite spontaneamente.

Dopo il pagamento di una prima sanzione, imposta dalla legge statale, le Regioni potranno

prevedere che le sanzioni stesse siano periodicamente reiterabili qualora l'ordine di demolizione

non venga eseguito nemmeno dopo il primo pagamento. Questo rischio di sanzioni rinnovate

ciclicamente riguarda gli interventi realizzati senza permesso di costruire, in totale difformità o con

variazioni essenziali (articolo 31, commi 4 bis e 4 quater del Dpr 380/01, introdotti dalla legge

164/14).

Sono interessati dalla novità una schiera di abusivisti, destinatari di ordinanze non eseguite, che

confidavano nell'inerzia delle amministrazioni o nelle lungaggini della giustizia amministrativa.

Oggi, proprio per rimediare a situazioni di abusivismo rimaste nel limbo della mancata esecuzione,

l'articolo 17 del Dl 133/14 prevede una sanzione supplementare collegata alla mera

inottemperanza all'ordine di ripristino e quindi non sostitutiva della demolizione.

Chi realizza un abuso edilizio integrale (senza permesso di costruire, in totale difformità o con

variazioni essenziali) ha 90 giorni di tempo per eliminarlo o per mettersi in regola con un eventuale

permesso in sanatoria. Già dal 91º giorno successivo all'invito del Comune a demolire (articolo 31

del Dpr 380/01, Testo Unico Edilizia), le Regioni potranno deliberare la reiterabilità della sanzione,

facendo scattare una nuova sanzione pecuniaria che potrebbe essere anche trimestrale, trattandosi

di abusi edilizi di particolare gravità.

Indipendentemente dalla reiterazione, che spetta agli enti territoriali decidere, la prima richiesta,

appunto da 2mila a 20mila euro, è oggi inevitabile perché prevista direttamente dal legislatore

statale. Questa sanzione pecuniaria colpisce il proprietario attuale dell'immobile, senza che abbia

rilievo la circostanza che l'abuso sia stato eseguito da altri o anni prima. La sanzione colpisce anche

coloro i quali hanno un ricorso pendente, visto che ne sono esclusi solo coloro i quali hanno

ottenuto un sospensiva da parte del giudice amministrativo.

Poiché si tratta di una sanzione di tipo dissuasivo, finalizzata a rendere effettiva la demolizione

disposta dal Comune, risulta difficile pensare alla possibilità di un ricorso che ostacoli la

riscossione: la sanzione pecuniaria completa, infatti, la reazione dell'ordinamento contro gli abusi di

maggiori dimensioni e non riapre i termini per contestare innanzi il Tar l'ordine di demolizione del

Comune (che andava impugnato nei 60 giorni). In taluni casi, si può pensare a chiedere una

sanatoria specialmente se l'evoluzione dello strumento urbanistico recepisce l'abuso e quindi rende

possibile chiedere il rilascio del permesso di costruire che sani la situazione: sul punto, tuttavia, vi

è un contrasto giurisprudenziale in quanto gli articoli 36 e 37 del Dpr 380/01 richiedono una doppia

conformità per la sanatoria, ossia la conformità sia al momento della realizzazione dell'abuso, sia al

momento della richiesta di sanatoria.

In specifici casi può essere possibile far presente l'esistenza di difficoltà tecniche nell'eliminazione

UNITELNews24 19

dell'abuso (quando cioè si intaccherebbe la struttura di un edificio, come prevede l'articolo 33 del

Dpr 380/01 per le ristrutturazioni in totale difformità). Anche questa, tuttavia, è una strada difficile

da percorrere, perché presuppone un vero e proprio dissesto statico di opere illegittime

nell'eliminazione dell'abuso

Le altre novità dello «Sblocca Italia»

COMUNICAZIONE D'INIZIO ATTIVITÀ

Nel decreto legge 133/14 sono state introdotte alcune modifiche alla disciplina relativa al Testo

unico dell'edilizia sull'attività edilizia libera.

Si tratta, nello specifico, degli interventi per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo e che si

possono effettuare liberamente.

Per quanto concerne gli interventi esenti anche dalla comunicazione d'inizio lavori, alcune novità

sono previste poi in materia di manutenzione ordinaria.

Il Dl 133/14 inserisce, infatti, un richiamo normativo al fine di definire gli interventi di

manutenzione ordinaria, ossia gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione,

rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie a integrare o mantenere

in efficienza gli impianti tecnologici esistenti

SEGNALAZIONE CERTIFICATA D'INIZIO ATTIVITÀ

La Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) prende il posto a tutti gli effetti della Dia e si

applica in tutti i casi intermedi rispetto a quelli di calibro superiore all'edilizia libera (articolo 6 Dpr

380/2001, edilizia libera) e di calibro inferiore all'attività che richiede permesso di costruire

(articolo 10 Dpr 380/2001). Serve una doppia valutazione di coerenza alla previsione e di

conformità alle previsioni di strumenti urbanistici, regolamenti edilizi e della disciplina urbanistica

edilizia vigente. L'errore non è consentito perché se c'è discordanza tra le previsioni del Testo unico

e le normative locali, prevale la norma più di dettaglio e cioè quella che motivatamente imponga un

titolo diverso dalla Scia. Il limite massimo per modificare con Scia il permesso di costruire, è

rappresentato dalla dichiarazione di ultimazione dei lavori

PERMESSO DI COSTRUIRE

Lo Sblocca Italia introduce due novità in materia di permesso di costruire.

La prima riguarda il termine per l'istruttoria; non è, infatti, più prevista una durata doppia (120 e

non 60 giorni) per i Comuni con popolazione superiore ai 100mila abitanti.

La possibilità di avere tempi più lunghi per l'istruttoria viene mantenuta solo per i progetti

particolarmente complessi.

In tutti i Comuni il permesso di costruire deve quindi essere rilasciato entro 90 giorni (60 giorni per

l'istruttoria della domanda e 30 per la decisione).

UNITELNews24 20

Il Dl 133/14 ha inoltre ampliato i casi in cui è possibile ricorrere alla proroga del permesso di

costruire mentre rimangono invariati i termini di decadenza del titolo edilizio: un anno dal rilascio

per l'avvio dei lavori e tre anni, successivi all'avvio, per il completamento dell'opera

I PERMESSI IN DEROGA

Per facilitare e incentivare gli interventi volti al recupero edilizio e alla riqualificazione urbana lo

Sblocca Italia ha previsto che i permessi di costruire possano essere in deroga (anche alle

destinazioni d'uso) per gli interventi privati di ristrutturazione edilizia attuati anche in aree

industriali dismesse.

Questa previsione permette di intervenire anche sforando i limiti del piano regolatore, quali

destinazioni d'uso, altezze, indici edilizi, previo accertamento dell'interesse pubblico con specifica

delibera del consiglio comunale. Il mutamento della destinazione d'uso non deve, tuttavia,

comportare un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, ossia un

aumento di superficie coperta rispetto a quella esistente prima dell'intervento

L'APPARATO SANZIONATORIO

Rafforzate le sanzioni per la mancata presentazione della comunicazione d'inizio lavori. L'omessa

trasmissione della comunicazione d'inizio lavori, prevista per alcune opere di edilizia libera, o della

comunicazione asseverata da un tecnico abilitato, per gli interventi di manutenzione straordinaria e

le opere di modifica interna sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti all'esercizio di impresa, o

di modifica della destinazione d'uso degli stessi, comporta la sanzione pecuniaria di mille euro.

Quest'ultima viene ridotta di due terzi nel caso in cui la comunicazione d'inizio lavori venga

effettuata spontaneamente se l'intervento è ancora in corso di esecuzione. L'incremento della

sanzione si deve anzitutto al tentativo di combattere il fenomeno dell'abusivismo edilizio

GLI ONERI DI CONCESSIONE

Le semplificazioni dello Sblocca Italia hanno un contrappeso di tipo economico. Alle agevolazioni

burocratiche, che consentono un più semplice riordino delle unità immobiliari, corrisponde la

possibilità per i Comuni di modulare gli oneri di concessione. Questi si suddividono in costo di

costruzione e oneri di urbanizzazione: i primi sono una percentuale sul valore delle opere che si

realizzano; i secondi corrispondono all'aumento del peso urbanistico dell'intervento e quindi delle

spese che l'ente locale sopporta per consentire standard qualitativi adeguati. Mentre si esclude il

contributo di costruzione per le opere di manutenzione straordinaria, è previsto uno sconto del

20% sui costi di costruzione per le ristrutturazioni, ma solo per le ristrutturazioni ed il recupero di

immobili dismessi

(Guglielmo Saporito, Il Sole 24 ORE, 23 novembre)

UNITELNews24 21

Pubblica amministrazione

Affidamento del servizio di riscossione dei tributi

Con la sentenza n. 5284/2014, la V Sezione si è pronunciata sull'art. 3, comma 24, della l. 248 del

2005, che, nel riformare il sistema di riscossione dei tributi statali attraverso la creazione di una

società a totale capitale pubblico (Riscossione s.p.a. in seguito denominata Equitalia s.p.a.), ha

disciplinato il periodo transitorio prevedendo che “fino al momento dell'eventuale cessione…… del

proprio capitale sociale alla Riscossione s.p.a… le aziende concessionarie possono trasferire ad altre

società il ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti

locali, nonché a quelle di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n.

446.

In questo caso:

a) fino al 31 dicembre 2010 ed in mancanza di diversa determinazione degli enti stessi, le predette

attività sono gestite dalle società cessionarie del predetto ramo d'azienda, se queste ultime

possiedono i requisiti per l'iscrizione all'albo di cui al medesimo articolo 53, comma uno, del

decreto legislativo n. 446 del 1997, in presenza dei quali tale iscrizione avviene di diritto...”

Alla stregua di tale disciplina transitoria, quindi, nel caso di trasferimento del ramo d'azienda

relativo alle attività svolte in regime di concessione per gli enti locali o di scissione di una società

già concessionaria del servizio di riscossione, le società cessionarie o risultanti da tale scissione

societaria sono titolate ex lege (fino a tutto il 2010) alla prosecuzione diretta del rapporto

concessorio con l'ente locale, salvo che quest'ultimo non adotti al riguardo una specifica “diversa

determinazione”.

Ciò posto, la V Sezione ha osservato come la diversa determinazione richiamata dalla norma debba

necessariamente sostanziarsi in una delibera di natura regolamentare assunta dall'organo elettivo

dell'Amministrazione e non di certo in un atto di carattere gestionale adottato da un suo organo

burocratico, come sostenuto dall'appellante. Da questo punto di vista, sotto il profilo testuale, il

termine “determinazione” usato dal legislatore ha una valenza oggettivamente neutra e, pertanto,

non è di per sé dirimente ai fini considerati. Non v'è dubbio, tuttavia, che nella genericità del

termine usato dal legislatore, l'unico parametro oggettivo di riferimento per la individuazione della

natura dell'atto in questione e del soggetto di conseguenza competente ad assumerlo sia quello

sistematico, con specifico riguardo all'assetto istituzionale degli enti locali ed alle finalità che la

diversa determinazione è normativamente preordinata a perseguire nell'ambito di tale assetto.

Del resto, l'art. 42 del T.U.E.L. disponga che il Consiglio comunale ha competenza relativamente

all'adozione (per quanto qui interessa) dei seguenti atti:

UNITELNews24 22

- “organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei

pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi

mediante convenzione” (lettera e);

- “appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o

che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nell'ordinaria

amministrazione e funzione servizi di competenza della giunta del segretario o di altri funzionari”

(lettera l).

Ciò premesso, hanno osservato i giudici di Palazzo Spada, secondo il consolidato orientamento

della giurisprudenza anche di questa Sezione, la riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento

di un'attività di servizio pubblico (v. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 1° luglio 2005, n. 3672). In

particolare, la decisione circa la modalità di gestione del servizio di riscossione delle entrate

comunali, nonché la conseguente determinazione di indire una procedura negoziata per la scelta

del soggetto incaricato del servizio stesso, costituiscono senz'altro una scelta di organizzazione del

servizio pubblico di riscossione che rientra, dunque, nell'ambito di applicazione della lettera e)

dell’art. 42 del T.U.E.L. sopra richiamata.

(Massimiliano Atelli, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 10 dicembre 2014)

Agenda p er le se mplificazioni 2015-2017: l'accelerazione dell'Italia passa per il digitale

Il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha affidato a un tweet e all’hashtag

#Repubblicasemplice l’annuncio dell’accordo tra Stato, Regioni e Comuni sull’Agenda per le

semplificazioni 2015-2017, approvata a norma dell’articolo 24 del decreto legge 24 giugno 2014, n.

90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 e recante “Misure urgenti per

la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”.

Nel documento programmatico, sottoscritto tra il ministero e gli enti locali e approvato dal

Consiglio dei ministri lo scorso 1° dicembre, sono previste 38 procedure di semplificazione, in

cinque settori strategici di intervento (cittadinanza digitale, welfare e salute, fisco, edilizia e

impresa) da attuarsi nei tempi indicati, al fine di ridurre di circa il 20% i costi degli oneri di

adempimento che gravano su cittadini e imprese.

Pin unico

Ai blocchi di partenza ad aprile 2015 è prevista, riguardo alla cittadinanza digitale, l’introduzione

del Pin unico: lo Spid, sistema unico di identità digitale, permetterà ai cittadini di autenticarsi e

accedere in sicurezza, con una sola chiave, a tutti i servizi on line erogati dalla pubblica

amministrazione.

UNITELNews24 23

Lo Spid sarà testato, in una fase iniziale, solo in alcune amministrazioni, tra cui Inps, Inail, Agenzia

delle Entrate, le Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana

e tre Comuni: Firenze, Lecce, Milano.

L’obiettivo di questa prima fase è raggiungere i tre milioni di accessi ai servizi on line della PA entro

settembre 2015, mentre entro dicembre 2017 la stima è di circa dieci milioni.

Codice Iuv

La semplificazione passerà anche attraverso i pagamenti elettronici: grazie al codice Iuv

(Identificativo unico del versamento) saranno facilitati, infatti, tutti i pagamenti verso la pubblica

amministrazione. Secondo il cronoprogramma dell’Agenda per le semplificazioni i cittadini potranno

pagare on line tributi, multe, rette scolastiche, entro dicembre 2016. Un ottimo intento, ma per

dare seguito a un effettivo servizio di pubblica utilità è necessario che tutte le PA si connettano al

Nodo dei pagamenti Spc, questione su cui si registrano ancora molti ritardi.

Marca da bollo digitale

Nell’ambito di questo specifico punto del documento programmatico, si annuncia inoltre

l’introduzione della marca da bollo digitale, secondo quanto disposto dall’Agenzia delle Entrate nel

provvedimento del 19 settembre 2014, che definisce la marca da bollo digitale come il “documento

informatico che costituisce la ricevuta di versamento dell’imposta di bollo ed attesta l’avvenuta

erogazione del servizio che associa l’Identificativo Univoco di Bollo Digitale (IUBD) con l’impronta

del documento ad esso correlato”. La dematerializzazione dei bolli prevede una fase pilota nel

primo semestre del 2015, il progetto sarà poi portato a compimento nei successivi diciotto mesi.

Nello specifico la marca da bollo digitale sarà introdotta nelle PA centrali e nelle Regioni entro

dicembre 2015, presso il 50% dei Comuni entro il dicembre 2016 e nel 90% dei Comuni entro il

dicembre 2017.

Nei prossimi mesi l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia per l’Italia digitale pubblicheranno l’elenco

delle PA che accetteranno i bolli digitali e quello degli intermediari che ne forniranno il servizio di

emissione, oltre a una guida operativa per gli utenti. Inoltre, le amministrazioni ospitanti sui propri

siti servizi interattivi che consentono di acquisire le istanze loro rivolte dovranno garantire un

collegamento, usufruendo della piattaforma ex articolo 81 del Codice dell’amministrazione digitale,

con i suddetti intermediari.

Il sistema, denominato @e.bollo, si baserà sull’associazione diretta tra un Identificativo univoco

UNITELNews24 24

bollo digitale (Iubd) e l’impronta del documento soggetto a imposta, l’esatta corrispondenza tra i

due renderà assolta l’imposta.

Interventi in Sanità

Il digitale renderà più semplice anche la burocrazia sanitaria, entro dicembre 2016 sarà garantito

l’accesso on line ai referti medici, progetto che rientra nella diffusione e nell’utilizzo capillare del

Fascicolo sanitario elettronico (su cui ancora si attende l’emanazione di un decreto da adottare ai

sensi dell’articolo 12, comma 7, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge

17 dicembre 2012, n. 221 e dell’articolo 13, comma 2-quater, del decreto legge 21 giugno 2013, n.

69, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, punto 3).

La tessera sanitaria elettronica sarà inoltre strettamente legata all’introduzione della dichiarazione

dei redditi precompilata dall’Agenzia delle Entrate. A partire dal 2016 infatti la dichiarazione dei

redditi di lavoratori dipendenti e pensionati sarà disponibile on line già comprensiva delle spese

sanitarie effettuate grazie ai dati trasmessi dalla tessera sanitaria.

Si prevede più agilità anche nelle questioni ereditarie: la dichiarazione di successione e gli

adempimenti necessari, quali domanda di voltura catastale e trascrizione potranno essere compilati

e inviati online. La fase di sperimentazione partirà a dicembre 2015 ed è previsto che il sistema

funzioni a pieno regime a dicembre del 2017.

Puntare al digitale per semplificare

L’Agenda per le semplificazioni 2015-2017, dunque, è ricca di buoni intenti, puntare al digitale per

gli obiettivi di semplificazione è indubbiamente un segno di innovazione per il Paese.

Con tali provvedimenti, inoltre, si prevede il monitoraggio di azioni e risultati per rendere

trasparente ai cittadini il work in progress. Sarà infatti valutata l’effettiva riduzione di tempi e costi

sull’esperienza diretta degli utenti, i dati saranno pubblicati on line e sarà possibile per cittadini e

imprese verificare costantemente l’effettiva attuazione dei 38 procedimenti previsti. Analisi

quantitative e qualitative saranno inoltre condotte per rilevare la percezione del cambiamento nella

quotidianità degli italiani.

Con il documento programmatico ci si pone, dunque, l’ambizioso obiettivo di riportare l’Italia ad

elevati livelli di competitività in Europa: snellire le procedure burocratiche e amministrative

significa accelerare i tempi per la creazione di nuove imprese e allo stesso tempo migliorare la

qualità della vita dei cittadini.

UNITELNews24 25

Tuttavia, è auspicabile che i provvedimenti e le misure previste si traducano in concrete

innovazioni che semplifichino e rendano più digitale il rapporto dei cittadini con le pubbliche

amministrazioni.

(Chiara Pascali, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 9 dicembre 2014)

Fattura elettronica senza rinvii Lo ha chiesto con forza ieri notte Rossella Orlandi, direttore dell’agenzia delle Entrate, durante

l’audizione effettuata dalla commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria

nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulla prospettiva di una razionalizzazione delle banche dati

pubbliche in materia economica e finanziaria. Banche dati a cui contribuiranno anche gli elementi

gestiti attraverso la fatturazione elettronica. Dati che, ha ribadito Rossella Orlandi, stanno

diventando sempre più precisi; in totale, dal 6 giugno al 30 novembre, il sistema di interscambio -

chiamato a gestire l’operazione - ha ricevuto 1.482.283 file di cui oltre 294mila (19,8%) sono stati

scartati per errori formali. Un elemento questo che aveva indotto il presidente del Consiglio

nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, Gerardo Longobardi, a chiedere un rinvio

dell’estensione a tutte le amministrazioni pubbliche se questa percentuale di errore fosse rimasta

così elevata. Rossella Orlandi ha precisato che, in realtà, i file scartati per errori che indicano una

difficoltà nell’utilizzo dei supporti (ad esempio formato e regole di colloquio) è pari a 97.789 file,

vale a dire poco più del 6% dei file ricevuti. E proprio per questo Rossella Orlandi ha ribadito come

la scelta di ritardare l’adeguamento «non appare in linea con gli obiettivi di efficientamento delle

fasi amministrative e contabili delle imprese». Da parte sua Longobardi ha insistito sugli aspetti

problematici relativi alla conservazione della fattura elettronica e ai costi che essa determina per

imprese e professionisti, proponendo che siano i server della Sogei a gestire, appunto, la

conservazione sostitutiva delle fatture elettroniche. In alternativa, sempre secondo Longobardi, si

potrebbero esonerare le imprese dalla conservazione visto che si tratta di documenti già in

possesso della Pa. Strade non percorribili, secondo Orlandi, stante l’attuale sistema normativo

(articolo 1, comma 9, legge 244/2007) che obbliga emittente e destinatario alla conservazione

sostitutiva. E Michele Pelillo (Pd), a questo riguardo, ha proposto di utilizzare lo strumento della

delega, in particolare un secondo provvedimento di semplificazione, per modificare la normativa in

senso più favorevole a imprese e professionisti. Da parte di Cristiano Cannarsa, presiedente

amministratore delegato di Sogei, è arrivata la conferma che il sistema operativo non avrà alcuna

difficoltà a sostenere il carico di lavoro in arrivo e che la scadenza del 31 marzo 2015 può essere

perfettamente sostenibile: a patto però che tutte le pubbliche amministrazioni si registrino sul sito

di Italia digitale e dispongano quindi di quel codice che è indispensabile affinché possa essere

emessa dal fornitore la fattura digitale.

(Giorgio Costa, Il Sole 24ORE, Norme e Tributi, 4 dicembre 2014)

UNITELNews24 26

Diritto di accesso ad esposti e denunce

Con la sentenza n. 1251/2014, il Tar Brescia ha chiarito che il privato che subisce un procedimento

di controllo vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del

potere – inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità –

suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti

pregiudizievoli per il denunciato (Consiglio di Stato, sez. V del 19 maggio 2009 n. 3081; sez. VI del

25 giugno 2007 n. 3601).

I giudici del Tar Brescia affermano inoltre:

- che l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’amministrazione, costituisce un

documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un

intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria

segnalazione la quale diventa un elemento nella disponibilità dell’amministrazione;

- che la sua divulgazione non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto

diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una

dichiarazione a carico di terzi (Tar Veneto, sez. III del 3 febbraio 2012 n. 116);

- che la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo al nostro ordinamento

giuridico (si veda Tar Brescia del 29 ottobre 2008 n. 1469), e gli autori degli esposti sono tutelati

dagli strumenti predisposti dall’ordinamento contro ogni forma di ritorsione o vendetta privata;

- che non può pertanto seriamente dubitarsi che la conoscenza integrale dell’esposto rappresenti

uno strumento indispensabile per la tutela degli interessi giuridici dell’istante, essendo intuitivo che

solo in questo modo egli potrebbe proporre (eventualmente) contro-denunce a tutela della propria

immagine verso l’esterno;

- che detto rilievo rende privi di qualsiasi fondamento giuridico i dubbi sull’uso strumentale e

ritorsivo della conoscenza dell’esposto che ha dato luogo ai procedimenti a carico del ricorrente,

non potendo ammettersi che pretese esigenze di riservatezza possano determinare un vulnus

intollerabile ad un diritto fondamentale della persona, quale quello dell’onore (Consiglio di Stato,

sez. V, n. 5132 del 28 settembre 2012);

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- che il principio di trasparenza dell’attività amministrativa vale sia per il denunciato nei confronti

del denunciante sia in senso inverso, in quanto la posizione di denunciante legittima l’accesso agli

atti della procedura che ha preso origine dall’esposto;

- che infatti, specularmente, la qualità di autore di un esposto che abbia dato luogo a un

procedimento lato sensu sanzionatorio è circostanza idonea a radicare la titolarità di una situazione

giuridicamente rilevante di accesso agli atti della pubblica amministrazione (Tar Toscana, sez. III,

n. 1569 del 16 ottobre 2014 e la giurisprudenza ivi richiamata);

- che è pur vero che, in un caso particolare sul quale si è confrontata la giurisprudenza – ossia

quello dell’accesso ai verbali redatti dalle autorità amministrative (Inps e Inail), titolari delle

funzioni di vigilanza sui rapporti di lavoro – è stata affermata una stringente esigenza di tutela dei

lavoratori che hanno reso le dichiarazioni agli organi ispettivi, per il possibile rischio di condotte

ritorsive provenienti dalla parte “forte” del rapporto contrattuale;

- che è stato tuttavia affermato che le suesposte necessità appaiono in ogni caso recessive,

rispetto alle esigenze difensive del datore, ove il rapporto d’impiego sia cessato (cfr. Tar Umbria –

n. 31 del 21 gennaio 2013);

- che deve pertanto in simili casi riconoscersi sussistente un evidente interesse diretto alla

conoscenza integrale dell’esposto, che permetterà all’interessato di valutare eventuali future azioni

da compiere.

Tar Brescia, sez. II, sentenza n. 1251 del 20 novembre 2014

(Massimiliano Atelli, Il Sole 24 ORE –Pubblica Amministrazione24, 27 novembre 2014)

Sì al danno er ariale nell e società in hous e, ma a r ispondere saranno gli

amministratori locali

Niente giurisdizione della Corte dei conti sugli amministratori delle società a capitale pubblico,

quando queste ultime difettano dei requisiti richiesti per la configurabilità dell’in house providing.

In particolare, quando a mancare è il requisito del vincolo statutario della chiusura dell’azionariato

al capitale privato. Con le decisioni nn. 22608 e 22609 del 24.10.2014, le SS.UU. della Cassazione

hanno, in questi termini, confermato l’indirizzo fatto proprio, al riguardo, sin da Cass., SS.UU.,

sent. n. 26283/2013.

Le conseguenze sulla verifica preliminare cui è tenuta la Corte dei conti

UNITELNews24 28

Nel confermare l’indirizzo inaugurato circa un anno fa, le SS.UU. pongono anzitutto una questione

di metodo, vincolando le Procure regionali prima e le Corti giudicanti contabili poi a scrutinare la

sussistenza, caso per caso, e con riferimento all’epoca in cui si sono svolti i fatti in contestazione,

della ricorrenza di un autentico in house providing. Ciò comporta, essenzialmente, una rigorosa

verifica dello statuto sociale e delle sue previsioni.

L’indagine sull’oggetto sociale

Anche l’eventuale ampiezza dell’oggetto sociale della società, sempre da valutarsi con riguardo

all’epoca dei fatti contestati, ha peraltro la sua rilevanza, ad avviso delle SS.UU. Da questo punto

di vista, a fare la differenza sarà, in particolare, la previsione di attività diverse da quelle

propriamente afferenti funzioni pubbliche o servizi pubblici (ferma restando, in alcuni casi, la

difficoltà di classificarne alcune, peraltro di diffusa intestazione a società a partecipazione pubblica,

quale ad esempio la gestione di parcheggi). Per conseguenza, Procure e Corti giudicanti contabili

saranno tenute a svolgere anche questo tipo di verifica.

La responsabilità “ascendente”

L’effetto naturale principale – ma anche quello destinato a far più discutere – dell’orientamento

fatto proprio dalle SS.UU. è certamente una sostanziale minor responsabilizzazione del

management delle società in house, che per un verso risulterà sì soggetto sul piano formale alla

giurisdizione della magistratura contabile, ma per altro verso è da considerarsi privo – sempre ad

avviso delle SS.UU. (sent. n. 26283/2013) –, in questo tipo di società, di un reale potere di

autodeterminazione, essendogli interdetto perfino un legittimo potere di opporre un motivato

dissenso alle direttive che gli vengano impartite dell’azionista pubblico. La conseguenza è che la

responsabilità per danno erariale finisce con il “risalire” verso l’alto, tenendo a concentrarsi in capo

a chi (gli amministratori locali) detiene, in definitiva, il potere di impartire direttive vincolanti agli

amministratori della società in house, e, di riflesso, quello di revocarli, laddove ne ricorrano i

presupposti.

(Massimiliano Atelli, Il Sole 24 ORE – Pubblica Amministrazione24, 18 novembre 2014)

Pubblico impiego

Incentivi di progettazione: la riforma Renzi non è retroattiva sull'an, ma sul quantum Il Dl 24 giugno 2014, n. 90 (art. 13), sebbene con le più tolleranti modifiche della legge di

conversione 11 agosto 2014, n. 114 (art. 13-bis), ha abbattuto la sua scure anche sugli incentivi di

progettazione destinati ai tecnici dipendenti delle amministrazioni alla stregua della legge 11

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febbraio 1994, n. 109 (c.d. legge Merloni) rifluito in buona sostanza nell’art. 92, commi 5 e 6, del

Dlgs 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. Codice dei contratti).

Tuttavia, mentre il Codice aveva confermato il diritto a percepire gli incentivi professionali fino al

2% dell’importo posto a base di gara di un’opera pubblica, nonché il 30% della tariffa professionale

per la redazione di progetti o di atti di pianificazione comunque denominati indistintamente al

predetto personale di livello dirigenziale o meno, il decreto legge Renzi-Madia lo ha dapprima

totalmente espunto, per poi reintrodurlo in sede di conversione, attraverso un emendamento unico,

con esclusione però dei tecnici dirigenti e con dei limiti quantitativi per i restanti dipendenti.

La sopravvivenza degli incentivi alle leggi di contenimento finanziario

Gli incentivi di progettazione, almeno fino al recentissimo intervento normativo, hanno resistito

anche alle misure di contenimento della spesa pubblica, in piena congiuntura depressiva, adottate

dal Dl 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 133

(recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”)

risultando sottratte, anche secondo la Corte dei conti, sezioni riunite, 4 ottobre 2011, n. 51, al

blocco dei fondi per la contrattazione decentrata ed alla crescita del trattamento economico

individuale introdotte dall’art. 9 per il personale pubblico.

Tuttavia, come anticipato, la riforma Renzi ha abrogato tali prebende solo per i tecnici dirigenti

locali in ragione della onnicomprensività del relativo trattamento economico, mentre ha previsto

che le amministrazioni destinano ad un fondo per la progettazione e l'innovazione risorse

finanziarie in misura non superiore al 2% degli importi posti a base di gara di un'opera o di un

lavoro, tenuto conto della complessità del progetto, ripartendolo nella misura dell’80% (la restante

quota essendo acquisita al bilancio dell’ente), per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i

criteri previsti dalla contrattazione decentrata integrativa del personale dei livelli e di un emanando

regolamento, tra il resp0onsabile del procedimento; gli incaricati della redazione del progetto, del

piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo; i loro collaboratori, in considerazione

dell’apporto di ciascuno ma comunque in un importo non superiore al 50% del trattamento

economico complessivo annuo lordo spettante al dipendente interessato.

Le quote parti dell'incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in

quanto affidate a personale esterno all'organico dell'amministrazione medesima, ovvero prive del

predetto accertamento, costituiscono economie.

Il parere del giudice contabile sui limiti della riforma Renzi

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In assenza di disposizioni intertemporali, due sono i nodi sciolti dal giudice contabile meneghino,

entrambi inerenti la data di decorrenza della riforma, ma il primo sotto il profilo del divieto di

erogazione ai dirigenti tecnici ed il secondo sotto quello del limite economico introdotto a livello

individuale.

La Corte dei conti, sezione di controllo regione Lombardia, con il parere n. 300 del 13 novembre

2014, quanto al problema dell’esclusione del personale dirigenziale, ritiene di far salve le

remunerazioni per le opere già eseguite, non avendo la legge n. 114 citata efficacia retroattiva non

trattandosi di norma di interpretazione autentica (cfr. Corte dei conti, Emilia Romagna, 19

settembre 2014, n. 183).

A tal proposito, peraltro, il tutore dell’erario rammenta che anche la sezione autonomie, 8 maggio

2009, n. 7, ha precisato che “dal compimento dell’attività nasce il diritto al compenso, intangibile

dalle disposizioni riduttive, che non hanno alcuna efficacia retroattiva. Né rileva, in contrario

avviso, che alla rigorosa applicazione del criterio della spettanza dell’incentivo nella misura vigente

all’atto del compimento della specifica attività, possa conseguire una differente consistenza del

beneficio in ordine alla stessa opera per la quale è stanziata la somma da ripartire, a seconda se la

stessa attività sia stata compiuta prima o dopo il 31 dicembre 2008. Ciò perché, ai fini della nascita

del diritto quello che rileva è il compimento effettivo dell’attività; dovendosi, anzi, tenere conto, per

questo specifico aspetto, che per le prestazioni di durata, cioè quelle che non si esauriscono in una

puntuale attività, ma si svolgono lungo un certo arco di tempo, dovrà considerarsi la frazione

temporale di attività compiuta … con la conseguenza che il 'quantum' del diritto al beneficio, quale

spettante sulla base della somma da ripartire nella misura vigente al momento in cui questo è

sorto, ossia al compimento delle attività incentivate, non possa essere modificato per effetto di

norme che riducano per il tempo successivo l’entità della somma da ripartire”.

Viceversa, quanto al tetto individuale di remunerazione, la Corte dei conti lombarda lo ritiene già

operativo, perché la norma effettua un chiaro riferimento al momento della corresponsione che non

condiziona la possibilità di erogare l’incentivo, ma si limita a determinarne (per relationem rispetto

al trattamento economico fruito) l’ammontare massimo.

Conclusioni

La novella, che si colloca sulla scia di quelle ostili alla sola classe dirigente, così interpretata ed

applicata risulta meno foriera di contenzioso, facendo salvi i diritti quesiti del personale dirigenziale

per prestazioni già svolte e responsabilità già assunte in vigenza del precedente regime

incentivante, spesso alternativo, in maniera totale o parziale, di quello inerente il c.d. risultato.

UNITELNews24 31

Permane, tuttavia, qualche perplessità sulla reale volontà ed efficacia contenitiva della misura,

atteso che l’eliminazione degli incentivi per i soli dirigenti, così formulata, non costituisce risparmio

di spesa per l’amministrazione, dovendo l’80% del 2% di cui all’art. 92 del Codice essere pur

sempre ripartito, sebbene tra un numero inferiore di dipendenti (cioè tutti i progettisti che non

abbiano qualifica dirigenziale), celando, piuttosto, la scelta di aderire ad un generale clima di

malcontento verso i vertici burocratici degli enti.

(Paola Cosmai, Il Sole 24 ORE – PubblicaAmministrazione24, 1 dicembre 2014)

Spazio agli incarichi per i pensionati Il divieto di conferire a pensionati incarichi dirigenziali o direttivi, di studio o di consulenza o,

ancora, cariche di governo di amministrazioni, enti o società controllate nonché authority,

compresa la Consob, non si applicherà ai commissari straordinari nominati temporaneamente al

vertice di enti pubblici o per specifici mandati governativi. E lo stesso vale per la nomina di

eventuali sub-commissari. Esclusi dal divieto saranno, poi, gli incarichi di ricerca (l’amministrazione

che li conferisce deve aver prima definito uno specifico programma di ricerca) e quelli di docenza, a

patto che siano “effettivi” e non fatti per aggirare il divieto. E consentiti saranno pure gli incarichi in

commissioni di concorso e gara oppure la partecipazione a organi collegiali consultivi, come per

esempio gli organi collegiali delle scuole.

Eccole le attese eccezioni alla norma contenuta nel decreto Madia (articolo 6 del Dl 90/2014), in

vigore dal 25 giugno, che ha perfezionato il divieto di affidare incarichi soggetti in quiescenza. Sono

specificate in una circolare della Funzione pubblica di imminente uscita. Un divieto già voluto due

anni fa dal Governo Monti (Dl 95/2012, articolo 5) ma che è stato facilmente aggirato con

numerose nomine successive, non solo governative. Ora il nuovo Esecutivo è tornato sul punto con

un orientamento rafforzato dalla volontà di realizzare una vera e propria “staffetta generazionale”

nelle pubbliche amministrazioni, da realizzare anche con strumenti come il divieto del

trattenimento in servizio, sul quale pure è attesa una circolare interpretativa.

Tra i divieti che dovranno rispettare tutte le amministrazioni la circolare interpretativa messa a

punto a palazzo Vidoni comprende anche quelli per contratti d’opera intellettuale a pensionati. Ma

non, per esempio, per altri tipi di contratti d’opera, come un caso di cui s’è occupata anche la Corte

dei conti, di conferimenti d’incarico a un falegname in pensione da parte di un ateneo universitario

per la realizzazione di un mobile. Possibili, inoltre, incarichi di carattere professionale, come per

esempio quelli legati ad attività legale o sanitaria, a patto di non ricadere nei casi supergettonati di

studio e consulenza.

La circolare è molto attesa dalle amministrazioni che, in queste settimane, hanno inviato numerosi

quesiti alla Funzione pubblica. Ma offre un’interpretazione che dovrebbe proteggere la norma anche

UNITELNews24 32

da eventuali ricorsi alla Consulta, visto che si escluderebbe la volontà di qualunque forma di

discriminazione nei confronti dei pensionati. Obiettivo vero è evitare aggiramenti a un divieto con

incarichi camuffati, in particolare di consulenza e studio, con cui di fatto si sono finora attribuiti

incarichi direttivi.

Le nomine vietate sono quelle successive all’entrata in vigore del decreto e vale per tutti i

pensionati, compresi quelli degli organi costituzionali, i quali ultimi si devono adeguare alle nuove

norme nell’ambito della loro autonomia.

Nella circolare si invitano le amministrazioni anche a non dare incarichi a persone prossime alla

pensione, a meno di non optare per la gratuità. Una carta, quest’ultima, prevista dalla norma e che

consente il superamento di tutti i divieti indicati solo a patto che, appunto, l'incarico sia gratuito,

non più lungo di un anno e non sia prorogabile né rinnovabile.

(Davide Colombo, Il Sole 24 ORE, Norme e Tributi, 25 novembre 2014)

Anatomia dell'invisibile: il concetto di cultura organizzativa

È nota a tutti la storia del “conosci te stesso”, come raccomanda l’Oracolo ad ogni visitatore del

tempio di Delfi. È da qui che ogni organizzazione, sia essa un’impresa privata o un ente pubblico,

dovrebbe partire. Il management è sempre più spesso chiamato ad implementare azioni di change

management, con l’obiettivo principale di rendere efficace ed efficiente l’azione organizzativa. Ma

spesso queste operazioni (vuoi il cambio della struttura organizzativa, vuoi l’implementazione di un

nuovo gestionale delle paghe) sono di fatto rigettate dall’organizzazione o meglio dalla cultura

organizzativa che la permea. Infatti l'organizzazione è soprattutto un sistema sociale in cui gli

individui portano con sé valori, norme ed aspettative; essi elaborano delle forme di comprensione

collettiva del mondo che li circonda, tali da fornire loro una sensazione di previsione e di controllo

sugli eventi in misura sufficiente per intraprendere delle azioni. E tale sistema è guidato dalla

cultura, che è una ragnatela di significati, vissuta dagli attori come un dato di fatto e nella sua

quotidiana ovvietà.

La nozione di cultura organizzativa

Alcune definizioni possono aiutare a comprendere questo complesso concetto del vivere

organizzativo:

a) la cultura è un fenomeno collettivo, perché si riferisce a orientamenti e valori comuni che danno

l'impronta all’agire del singolo componente, rendendolo conforme e coerente con quello

organizzativo;

UNITELNews24 33

b) la cultura è il risultato di un processo d’apprendimento concreto nella storia dell'impresa ovvero

un insieme di soluzioni pratiche consolidate nel tempo di problemi complessi, che vengono

trasferite e “socializzate” ai nuovi membri come vincenti ed appropriate nella risoluzione di

problemi critici analoghi.

La cultura è quindi un fenomeno complesso, una scatola nera, sconosciuta agli stessi appartenenti

ad una certa realtà organizzativa.

La struttura

Per “visualizzare” la struttura della cultura organizzativa è possibile utilizzare la metafora della

“cipolla a tre strati”.

Il primo strato riguarda il sistema simbolico; è costituito dalle espressioni visibili presenti

nell'impresa: si passa da elementi tangibili - quali il layout degli uffici, il modo di vestire,

l'architettura degli edifici aziendali, i documenti ufficiali - a elementi immateriali come storie

(esempio, il primo direttore generale), rituali (es., le riunioni periodiche), linguaggi (es., quello

utilizzato nella corrispondenza esterna), cerimonie (gli auguri formali in occasione delle principali

festività). Questi elementi sono simboli che preservano e rafforzano l'identità dell'organizzazione

agli occhi degli attori esterni ed interni. Ogni organizzazione, infatti, come ogni individuo, comunica

con l'ambiente in cui si ritrova immersa, trasmettendo non solo all'esterno l'immagine che ha di sé,

ma anche cercando, in certe occasioni, di falsarla, plasmando, a volte, le situazioni in modo da

comunicare significati simbolici che siano a lei favorevoli.

Il secondo strato è costituito dai valori, che sono la cristallizzazione di soluzioni che hanno portato

ripetutamente l’organizzazione ad avere esperienze di successo. Tali valori sono deducibili da

interviste mirate agli attori o dall'analisi documentale presente nell’organizzazione (bilanci sociali,

relazioni varie, documenti strategici ecc.): rimangono pertanto valori dichiarati e cioè ragioni che le

persone hanno idealmente di se stesse ovvero razionalizzazioni a posteriori del loro

comportamento

Arriviamo al terzo strato, quello più interno della “cipolla”. Dopo ripetuti successi nel tempo,

l'organizzazione sposta la sua attenzione e si concentra non più sugli effetti ma sulla credenza

stessa. Quest'ultima viene via via sempre più data per scontata, divenendo un ideale condiviso ed

indiscusso. Il valore diventa un assunto, che implica un comportamento automatico da parte

dell'attore quale risposta ad uno stimolo noto, indicandogli come la realtà debba essere percepita,

pensata e sentita.

UNITELNews24 34

Il gruppo

La cultura organizzativa implica necessariamente l'esistenza di un gruppo, che ha una continuità

storica e ha condiviso delle esperienze e dei problemi comunemente risolti. Tali soluzioni hanno

concesso al gruppo di adattarsi all'ambiente esterno tramite il raggiungimento del consenso sulla

strategia (missione fondamentale), sugli obiettivi, sui mezzi per raggiungere gli obiettivi, sulla

valutazione delle prestazioni (parametri che fissano in che misura gli obiettivi sono stati raggiunti)

e sulle strategie (correttive o difensive nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi fissati).

In conclusione, prima di ogni riflessione sul cambiamento organizzativo da implementare

nell’organizzazione, va posta particolare attenzione in quale contesto culturale si va ad operare. E

ciò presuppone un’analisi approfondita sulla cultura presente nell’organizzazione stessa. Ma questa

è un’altra storia.

(Stefano Bombace, Il Sole 24 ORE – PubblicaAmministrazione24, 17 novembre 2014)

Rifiuti

Terre da scavo, restyling per i piccoli cantieri

Una nuova disciplina sul deposito temporaneo di terre e rocce da scavo e la razionalizzazione e

semplificazione del riutilizzo nello stesso sito di questi materiali prodotti in piccoli cantieri. Così il

decreto Sblocca Italia introduce nuovi criteri per la semplificazione della disciplina sulle terre e

rocce da scavo, che si aggiungono a quelli già previsti nell aprima versione del Dl 133/14

(coordinamento disposizioni vigenti, esplicitazione norme abrogate, proporzionalità della disciplina,

divieto di introdurre livelli di regolamentazione superiori a quelli comunitari).

In realtà questi nuovi indirizzi per il riordino della normativa sono meno innovativi di quanto

potrebbero apparire ad una prima lettura e - forse - sono unicamente volti a confermare

disposizioni già esistenti che gli enti locali tendono ad interpretare restrittivamente, vanificando

così le finalità reali delle norme.

Il deposito temporaneo

La legge di conversione del Dl Sblocca Italia (Dl 164/2014) prevede che il futuro regolamento (Dpr)

di riorganizzazione della materia dovrà contenere anche una specifica disciplina sul deposito

temporaneo dei materiali da scavo che integri quella prevista dal Codice dell’ambiente (articolo 183

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Dlgs n. 152/2006).

In realtà, questo nuovo criterio, potrebbe creare non pochi fraintendimenti in futuro. Infatti, il

deposito temporaneo disciplinato dall’articolo 183 ha ad oggetto un’attività preliminare di gestione

dei rifiuti, la cui applicazione presupporrebbe che le terre e rocce da scavo non vengano riutilizzate

come sottoprodotti, ma debbano essere avviate a smaltimento o recupero come rifiuti.

Discorso diverso, invece, è il deposito temporaneo dei materiali scavati in attesa di essere

riutilizzati in altri cantieri come sottoprodotti. Questa possibilità non ricade nell’ipotesi disciplinata

dall’articolo 183, ma è già stata prevista dal Dm 161/2012 (siti di deposito intermedio) e potrebbe

già essere applicata analogicamente a tutti i cantieri anche nell’ambito della procedura semplificata

ex articolo 41 bis del Dl 69/2013.

Non è, dunque, chiaro il criterio ispiratore del legislatore e si auspica che la riorganizzazione della

disciplina di settore non confonda il deposito temporaneo di rifiuti con il deposito temporaneo di

sottoprodotti.

I piccoli cantieri

L’ulteriore criterio di semplificazione introdotto dalla legge di conversione rispetto ai piccoli cantieri

sembra più una dichiarazione di principio piuttosto che un criterio sostanziale.

Innanzitutto, il principio di razionalizzazione e semplificazione varrebbe solo per i piccoli cantieri

(fino a 6mila metri c ubi) e limitatamente a interventi di costruzione e manutenzione di reti e

infrastrutture, con esclusione di altri interventi di scavo sebbene di piccole dimensioni.

Non è neppure chiara la portata della semplificazione stessa che dovrebbe trovare applicazione solo

quando i materiali da scavo vengono riutilizzati nel medesimo cantiere di produzione.

Questa ipotesi, invero, è già prevista per tutti i cantieri (grandi o piccoli) dall’articolo 185, comma

1, lett. c) del Codice dell’ambiente il quale consente senza particolari formalismi il riutilizzo di suolo

non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione

nel medesimo sito di produzione, escludendo questo caso dalla disciplina sui rifiuti.

A questo punto, è legittimo domandarsi quali siano le effettive chances di successo della futura

norma di riorganizzazione e razionalizzazione del settore, dato che proprio i criteri di ispirazione di

questa norma sono confusi e tra loro contraddittori. Si auspica che chi metterà mano al nuovo

testo normativo segua i principi generali di razionalizzazione, semplificazione e proporzionalità

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inizialmente indicati nel Dl Sblocca Italia, senza concentrarsi sugli specifici criteri aggiuntivi appena

introdotti che rischiano di creare maggiore confusione.

La via d’uscita

Potrebbe, invece, essere opportuno che il legislatore, nel riorganizzare la materia, semplifichi la

possibilità di riutilizzo dei materiali da scavo prodotti in piccoli cantieri rispetto ad interventi di

manutenzione di reti e infrastrutture in siti esterni, prevedendo anche la possibilità di depositare

temporaneamente i materiali presso le sedi delle imprese esecutrici dei lavori, con facoltà delle

stesse di indicare successivamente (ma entro un periodo di tempo certo) i futuri siti di riutilizzo.

Forse erano queste le finalità che il legislatore intendeva perseguire con la legge di conversione,

anche se ciò che è scritto nel decreto Sblocca Italia ha un significato diverso.

Le semplificazioni

1 IL RIUTILIZZO 

Come previsione generale (applicabile anche ai piccoli cantieri) il Codice dell’ambiente esclude dalla

disciplina sui rifiuti il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato

nell’attività di costruzione, se è certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato

naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato. L’operatore deve dimostrare la non

contaminazione del materiale e la certezza del riutilizzo nel medesimo sito di produzione, ma non

sono previsti particolari adempimenti

Articolo 185, comma 1 lett. c) Dlgs n. 152/2006

2 LE REGOLE AD HOC

Il Codice dell’Ambiente (Dlgs 152/2006) fin dall’inizio aveva previsto che il ministero dell’Ambiente

dovesse adottare un regolamento specifico per semplificare il riutilizzo dei materiali provenienti

dalle costruzioni, incluse le terre e rocce da scavo, in particolare per i piccoli cantieri. La soglia

dimensionale è stata individuata in 6mila metri cubi. Questa norma ha trovato attuazione non con

un regolamento ministeriale ma con un’altra norma di legge (l’articolo 41 bis del Dl 69/2013)

Articolo 266, comma 7, del Dlgs n. 152/2006

3 I REQUISITI

In deroga alle regole generali (Dm 161/2012), il riutilizzo come sottoprodotti delle terre e rocce da

scavo provenienti da piccoli cantieri avviene sulla base di criteri specifici dichiarati dall’impresa:

-certezza del riutilizzo;

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-rispetto delle soglie di contaminazione (Csc)

-assenza di rischi per la salute;

-esclusione di preventivi trattamenti diversi dalla normale pratica industriale.

La disposizione nasce per i cantieri sotto i 6mila mc, ma è stata estesa a tutti i cantieri (tranne

quelli soggetti a Via o Aia)

Articolo 41 bis Dl n. 69/2013 n. 152/2006

4 LE INFRASTRUTTURE

La semplificazione del decreto Sblocca Italia prevede una nuova razionalizzazione del riutilizzo nello

stesso sito di terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni (max 6mila mc)

per la costruzione e manutenzione di reti e infrastrutture, escluse quelle provenienti da siti

contaminati. La semplificazione è limitata ai casi di:

-riutilizzo dei materiali nel medesimo sito di produzione;

-materiali originati in piccoli cantieri;

-costruzione e manutenzione di reti e infrastrutture

-Articolo 8, comma 1 lett. d bis), Dl n. 133/2014

(Federico Vanetti, Il Sole 24 ORE – Norme e tributi, 1 dicembre 2014)

Sicurezza

Infortuni senza «timbro»

Il decreto legislativo 81/2008 (Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) ha previsto

la soppressione del registro infortuni.

Sono però le Regioni a intervenire per semplificarne - in realtà non più di tanto - le procedure.

L’ultima è stata il Veneto: con la legge 32 del 22 ottobre 2014, ha disposto che, in attesa

dell’abrogazione dell’articolo 403 del Dpr 547/1955 (istitutivo del registro infortuni), il registro

infortuni non è soggetto all’obbligo di vidimazione stabilito dal decreto ministeriale 12 settembre

1958, purché sia tenuto in conformità a quanto stabilito dall’articolo 53 del Testo unico.

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Il provvedimento della Regione Veneto non è isolato. Ha iniziato la Provincia autonoma di Bolzano

con il decreto 18 del lontano 1992, cui hanno fatto seguito, dopo lunga parentesi, nel 2007 la

Provincia Autonoma di Trento (quindi prima della prevista cancellazione contenuta nel Testo unico

del 2008). Poi si sono aggiunte nel 2009 la Lombardia, nel 2013 la Liguria, il Friuli Venezia Giulia,

Puglia e Calabria e, il 28 marzo 2014, la Campania.

La Commissione per gli interpelli presso il ministero del Lavoro con l’interpello 9/2014 si è

doverosamente riportata all’articolo 53, comma 6, del Testo unico in base al quale fino ai sei mesi

successivi all’adozione del decreto interministeriale che elimina il registro, restano in vigore le

disposizioni relative al registro degli infortuni. Pertanto la Commissione ha ritenuto che, in attesa

dell’emanazione del decreto istitutivo del Sistema informativo nazionale (Sinp) con conseguente

eliminazione del registro dopo 180 giorni, il documento è obbligatorio per tutte le aziende che

ricadono nella sua sfera di applicazione.

La Commissione ha ribadito che il registro dovrà essere redatto conformemente al modello

approvato con il decreto del 1958 (come modificato dal Dm 5 dicembre 1996), tuttora in vigore,

vidimato presso l’Asl competente per territorio, salvo che nelle regioni che hanno abolito tale

prassi, e conservato a disposizione dell’organo di vigilanza sul luogo di lavoro. La mancata tenuta o

vidimazione del registro comporta l’applicazione della sanzione amministrativa (da 564 a 3.395

euro) prevista dall’articolo 89, comma 3, del decreto legislativo 626/1994.

Da considerare che il decreto istitutivo del registro non ne prevede soltanto la vidimazione ma

anche la conformità al modello stabilito nell’allegato

A al decreto stesso, la numerazione in ogni sua pagina, la dichiarazione nell’ultima pagina del

numero dei fogli che lo compongono e la data della sua istituzione che, necessariamente

corrisponderà a quella dell’inizio dell’attività, nonché le notizie, in caso di infortunio o malattia

professionale, riportate nel medesimo decreto ministeriale e ribadite dall’articolo 4, comma 5,

lettera o), del Dlgs 626/1994.

Sul punto è da notare che il legislatore dopo oltre sei anni dalla data di nascita del Testo unico

ancora non è riuscito a dare esecuzione alla previsione di legge. Infatti, ciò non è avvenuto

neanche con le novità introdotte con il decreto legge 69/2013 “del fare” che, pur disponendo

alcune semplificazioni in materia di lavoro intervenendo sul Dpr 1124 del 30 giugno 1965

(assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nulla ha disposto in merito

alle denunce degli infortuni sul lavoro che sono pur correlate al registro degli infortuni.

(Luigi Caiazza, Roberto Caiazza Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 21 novembre 2014)

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Legge e prassi

(G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)

Ambiente DECRETO-LEGGE 11 novembre 2014, n. 165 Disposizioni urgenti di correzione a recenti norme in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati e misure finanziarie relative ad enti territoriali. (G.U. 11 novembre 2014, n. 262) DELIBERA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 30 ottobre 2014 Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza delle avversita' atmosferiche che hanno colpito il territorio della regione Lombardia tra il 7 luglio ed il 31 agosto 2014. (G.U. 11 novembre 2014, n. 262) DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 6 novembre 2014 Ulteriori disposizioni di protezione civile finalizzate al superamento della situazione di criticita' determinatasi a seguito dei gravi eventi sismici che hanno colpito il territorio delle province di Parma, Reggio Emilia e Modena il giorno 23 dicembre 2008. (G.U. 11 novembre 2014, n. 262) DELIBERA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 30 ottobre 2014 Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche che hanno colpito il territorio delle provincie di Parma e Piacenza nei giorni 13 e 14 ottobre 2014. (G.U. 11 novembre 2014, n. 263) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 3 ottobre 2014 Integrazione e modifica del decreto 23 dicembre 2013, di attuazione dell'articolo 67-octies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante credito d'imposta in favore dei soggetti danneggiati dal sisma del maggio 2012. (G.U. 11 novembre 2014, n. 263) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 7 novembre 2014 Primi interventi urgenti di protezione civile conseguenti agli eccezionali eventi atmosferici verificatisi nei giorni dal 1° al 6 settembre 2014 nel territorio della provincia di Foggia. (G.U. 14 novembre 2014, n. 265) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 11 novembre 2014 Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici che nei giorni 19 e 20 settembre 2014 hanno colpito il territorio delle province di Firenze, Lucca,

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Pisa, Pistoia e Prato. (G.U. 17 novembre 2014, n. 267) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI DECRETO 23 ottobre 2014 Istituzione dell'elenco degli alberi monumentali d'Italia e principi e criteri direttivi per il loro censimento. (G.U. 18 novembre 2014, n. 268) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE COMUNICATO Adozione del Piano antincendio boschivo, con periodo di validita' 2013-2017, predisposto dall'Ente parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, ricadente nei territori delle regioni Abruzzo, Lazio e Marche, ai sensi dell'art. 8 comma 2 della legge 353/2000. (G.U. 19 novembre 2014, n. 269) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE COMUNICATO Adozione del Piano antincendio boschivo, con periodo di validita' 2012-2016, predisposto dalla Fondazione giustiniani Bandini quale ente gestore della Riserva naturale statale Abbadia di Fiastra, ricadente nel territorio della regione Marche, ai sensi dell'art. 8, comma 2 della legge 353/2000. (G.U. 19 novembre 2014, n. 269) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE COMUNICATO Adozione del Piano antincendio boschivo, con periodo di validita' 2014-2018, predisposto dall'Ente parco nazionale del Gargano, ricadente nel territorio della regione Puglia, ai sensi dell'art. 8 comma 2 della legge 353/2000. (G.U. 19 novembre 2014, n. 269) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 14 novembre 2014 Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche che nei giorni 13 e 14 ottobre hanno colpito il territorio delle province di Parma e Piacenza. (G.U. 21 novembre 2014, n. 271) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 14 novembre 2014 Primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche che nei giorni dal 9 al 13 ottobre 2014 hanno colpito il territorio della provincia di Genova e dei comuni di Borghetto di Vara, Ricco' del Golfo di Spezia e Varese Ligure nella Val di Vara in provincia di La Spezia. (Ordinanza n. 203). (G.U. 22 novembre 2014, n. 272) ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 24 novembre 2014 Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile relative agli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nei giorni dal 25 al 26 dicembre 2013, dal 4 al 5 e dal 16 al 20 gennaio 2014 nel territorio della regione Liguria. (Ordinanza n. 207). (G.U. 29 novembre 2014, n. 278) ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 24 novembre 2014 Ulteriori disposizioni di protezione civile per favorire e regolare il subentro del comune di Villa San Giovanni nelle iniziative finalizzate al definitivo superamento della situazione di criticita' conseguente all'attraversamento del contesto urbano da parte dei mezzi pesanti. (G.U. 29 novembre 2014, n. 278)

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PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 24 novembre 2014 Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile in conseguenza degli eccezionali eventi atmosferici verificatisi tra il 30 gennaio ed il 18 febbraio 2014 nel territorio della regione Veneto. (Ordinanza n. 205). (G.U. 1 dicembre 2014, n. 279) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 24 novembre 2014 Ulteriori disposizioni di protezione civile finalizzata al superamento della situazione di criticita' conseguente alle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nel mese di ottobre 2011 nel territorio della provincia di Massa Carrara. (G.U. 1 dicembre 2014, n. 279) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 18 settembre 2014 Comitato interministeriale per gli interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale ed il monitoraggio del territorio della regione Campania. (G.U. 4 dicembre 2014, n. 282) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 28 novembre 2014 Primi interventi urgenti di protezione civile conseguenti alle eccezionali avversita' atmosferiche verificatesi nel periodo dal 7 luglio al 31 agosto 2014 nel territorio della regione Lombardia. (G.U. 6 dicembre 2014, n. 284) DECRETO LEGISLATIVO 30 ottobre 2014, n. 178 Attuazione del regolamento (CE) n. 2173/2005 relativo all'istituzione di un sistema di licenze FLEGT per le importazioni di legname nella Comunita' europea e del regolamento (UE) n. 995/2010 che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legno e prodotti da esso derivati. (G.U. 10 dicembre 2014, n. 286) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI DECRETO 28 novembre 2014 Dichiarazione dell'esistenza del carattere di eccezionalita' degli eventi calamitosi verificatisi nella regione Lombardia. (G.U. 10 dicembre 2014, n. 286) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI DECRETO 28 novembre 2014 Modifica del decreto 9 settembre 2014 relativo alla dichiarazione dell'esistenza del carattere di eccezionalita' degli eventi calamitosi verificatisi nella regione Marche. (G.U. 10 dicembre 2014, n. 286) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI DECRETO 28 novembre 2014 Modifica al decreto 5 agosto 2014, recante «Disposizioni nazionali di attuazione del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio e del regolamento (CE) n. 555/08 della Commissione per quanto riguarda le comunicazioni relative agli anticipi». (G.U. 10 dicembre 2014, n. 286) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 2 dicembre 2014

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Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della regione autonoma della Sardegna nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticita' determinatasi in conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche verificatesi nel mese di novembre 2013 nel territorio della medesima regione. (G.U. 10 dicembre 2014, n. 286) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA DEL CAPO DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE 2 dicembre 2014 Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della regione Puglia nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticita' determinatasi in conseguenza delle eccezionali avversita' atmosferiche verificatesi nei giorni 7 ed 8 ottobre 2013 nei comuni di Ginosa, Castellaneta, Palagianello e Laterza in provincia di Taranto. (G.U. 10 dicembre 2014, n. 286)

Appalti MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI DECRETO 24 settembre 2014 Avvio della procedura per l'istituzione dell'elenco degli operatori economici di fiducia della Direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura per l'espletamento delle procedure di acquisizione in economia, dirette all'affidamento di appalti di servizi. (G.U. 14 novembre 2014, n. 264) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 24 ottobre 2014 Procedure e schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori pubblici e per la redazione e la pubblicazione del programma annuale per l'acquisizione di beni e servizi. (G.U. 5 dicembre 2014, n. 283)

Economia, fisco, agevolazioni e incentivi MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 24 settembre 2014 Riordino degli interventi di sostegno alla nascita e allo sviluppo di start-up innovative in tutto il territorio nazionale. (G.U. 13 novembre 2014, n. 264) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI DECRETO 7 novembre 2014 Approvazione del modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell'attestazione, nonche' delle relative istruzioni per la compilazione ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159. (G.U. 17 novembre 2014, n. 267, S.O. n. 87) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 10 ottobre 2014 Modifiche dei termini per la presentazione delle domande per l'accesso al credito d'imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati di cui all'articolo 24 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. (G.U. 18 novembre 2014, n. 268) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE

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DECRETO 6 novembre 2014 Esclusione della regione Campania dalla sperimentazione di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118. (G.U. 18 novembre 2014, n. 268) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 23 settembre 2014 Attuazione dell'art. 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, relativo al contributo tramite voucher alle micro, piccole e medie imprese per la digitalizzazione dei processi aziendali e l'ammodernamento tecnologico. (G.U. 19 novembre 2014, n. 269) DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 17 novembre 2014, n. 172 Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, in materia di criteri e procedure per l'utilizzazione della quota dell'otto per mille dell'Irpef devoluta alla diretta gestione statale. (G.U. 26 novembre 2014, n. 275) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 20 ottobre 2014 Rideterminazione del cofinanziamento nazionale pubblico a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183/1987 per il Programma Operativo Regionale (POR) Umbria FESR dell'obiettivo Competitivita' regionale e occupazione, programmazione 2007-2013, per le annualita' dal 2007 al 2013 al netto del prefinanziamento del 7,5 per cento. (G.U. 26 novembre 2014, n. 275) DECRETO LEGISLATIVO 21 novembre 2014, n. 175 Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata. (G.U. 28 novembre 2014, n. 277) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 17 ottobre 2014, n. 176 Disciplina del microcredito, in attuazione dell'articolo 111, comma 5, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (G.U. 1 dicembre 2014, n. 279) DECRETO MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE 1 dicembre 2014 Integrazione dell'elenco allegato al decreto 20 ottobre 2014 relativo alla sospensione, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari a favore dei contribuenti colpiti dagli eventi metereologici del 10 - 14 ottobre 2014 verificatisi nelle regioni: Liguria, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Friuli-Venezia Giulia. (G.U. 2 dicembre 2014, n. 280) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 24 ottobre 2014, n. 177 Regolamento di modifica dell'articolo 2 del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 29 ottobre 1996, n. 603, in materia di documenti sottratti al diritto di accesso. (G.U. 3 dicembre 2014, n. 281) AGENZIA DELLE ENTRATE PROVVEDIMENTO 20 novembre 2014 Estensione delle modalita' di versamento, mediante modello «F24» ed «F24 Enti pubblici» dei diritti

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relativi ai titoli di proprieta' industriale e delle tasse sulle concessioni governative sui marchi. (G.U. 3 dicembre 2014, n. 281) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Comunicato relativo alla circolare direttoriale n. 64180 del 24 novembre 2014 concernente ulteriori istruzioni utili all'espletamento delle procedure previste dal decreto direttoriale 11 marzo 2014, recante disposizioni in merito alle modalita' di erogazione delle agevolazioni in favore di programmi di investimento finalizzati al perseguimento di specifici obiettivi di innovazione, miglioramento competitivo e tutela ambientale nelle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. (G.U. 3 dicembre 2014, n. 281) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 15 ottobre 2014 Intervento del Fondo per la crescita sostenibile in favore di grandi progetti di ricerca e sviluppo nell'ambito di specifiche tematiche rilevanti per l'«industria sostenibile». (G.U. 5 dicembre 2014, n. 283) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 28 novembre 2014 Esenzione dall'IMU, prevista per i terreni agricoli, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. (G.U. 6 dicembre 2014, n. 284, S.O. n. 93) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 31 ottobre 2014 Attuazione dell'art. 1, commi 522 - 525, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, concernente la riduzione delle risorse spettanti alle regioni a statuto ordinario, per l'anno 2014. (G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)

Energia MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 6 novembre 2014 Rimodulazione degli incentivi per la produzione di elettricita' da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico spettanti ai soggetti che aderiscono all'opzione di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n. 9. (G.U. 18 novembre 2014, n. 268) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Risoluzione anticipata della convenzione Cip6 per gli impianti alimentati da combustibili di processo o residui o recuperi di energia. (G.U. 20 novembre 2014, n. 270) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 20 ottobre 2014 Cofinanziamento nazionale pubblico a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183/1987 delle attivita' dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) per il programma Euratom, anno 2013. (G.U. 26 novembre 2014, n. 275)

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DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 26 settembre 2014 Piano infrastrutturale per i veicoli alimentati ad energia elettrica, ai sensi dell'articolo 17-septies del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83. (G.U. 2 dicembre 2014, n. 280)

Immobili AGENZIA DEL DEMANIO DECRETO 27 novembre 2014 Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato. (Decreto n. 30331). (G.U. 2 dicembre 2014, n. 280) AGENZIA DEL DEMANIO DECRETO 27 novembre 2014 Rettifica dell'allegato A del decreto n. 25933 del 19 luglio 2002 e del decreto n. 28212 del 26 novembre 2013, recante: «Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.». (Decreto n. 30337). (G.U. 2 dicembre 2014, n. 280) AGENZIA DEL DEMANIO DECRETO 27 novembre 2014 Rettifica dell'allegato A del decreto n. 28216 del 26 novembre 2013, recante: «Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.». (Decreto n. 30335). (G.U. 2 dicembre 2014, n. 280) AGENZIA DEL DEMANIO DECRETO 4 dicembre 2014 Rettifica del decreto n. 30337 del 27 novembre 2014 relativo alla rettifica dell'allegato A del decreto n. 25933 del 19 luglio 2002 e del decreto n. 28212 del 26 novembre 2013, recante: «Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.». (G.U. 9 dicembre 2014, n. 285) AGENZIA DEL DEMANIO DECRETO 4 dicembre 2014 Rettifica del decreto n. 30331 del 27 novembre 2014 recante: «Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato.». (G.U. 9 dicembre 2014, n. 285) AGENZIA DEL DEMANIO DECRETO 4 dicembre 2014 Individuazione di beni immobili di proprieta' dello Stato. (G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)

Lavoro, previdenza e professione MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

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COMUNICATO Avviso relativo al decreto interministeriale, recante modalità e criteri di assegnazione di risorse agli enti pubblici della regione Calabria per l'assunzione, entro l'anno 2014 con contratto a tempo determinato, di lavoratori socialmente utili, di pubblica utilità ed ex articolo 7, decreto legislativo 468/1997 (G.U. 12 novembre 2014, n. 263) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI COMUNICATO Linee di indirizzo per la presentazione di progetti sperimentali di volontariato finanziati con il Fondo per il volontariato, di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266 - Anno 2014. (G.U. 14 novembre 2014, n. 264) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI COMUNICATO Approvazione della delibera adottata dal Comitato nazionale dei delegati della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti in data 26-27 giugno 2014. (G.U. 17 novembre 2014, n. 267) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI COMUNICATO Approvazione della delibera n. 20562/14 adottata dal Consiglio di amministrazione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti in data 7 maggio 2014. (G.U. 18 novembre 2014, n. 268) AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI COMUNICATO CCNL per il riconoscimento ai direttori dei servizi generali ed amministrativi dell'indennita' di cui all'art. 19, comma 5-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 4, comma 70, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (G.U. 19 novembre 2014, n. 269) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI DECRETO 24 ottobre 2014 Concessione del prolungamento degli interventi di sostegno al reddito, ai sensi dell'articolo 12, comma 5-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. (Decreto n. 85708) (G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)

Pubblica amministrazione LEGGE 11 novembre 2014, n. 164 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive. (G.U. 11 novembre 2014, n. 262, S.O. n. 85) MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 24 ottobre 2014

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Attribuzione ai comuni delle regioni a statuto ordinario, della regione Siciliana e della regione Sardegna del contributo, pari a 110,7 milioni di euro, quale rimborso del minor gettito dell'imposta municipale propria relativo ai terreni agricoli posseduti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola ed ai fabbricati rurali ad uso strumentale, a decorrere dall'anno 2014 (G.U. 11 novembre 2014, n. 262) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 26 settembre 2014 Criteri per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l'esercizio delle funzioni provinciali. (G.U. 12 novembre 2014, n. 263) AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO DECRETO 28 ottobre 2014 Criteri di determinazione del rendimento individuale ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. (G.U. 12 novembre 2014, n. 263) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 22 settembre 2014 Definizione degli schemi e delle modalita' per la pubblicazione su internet dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci preventivi e consuntivi e dell'indicatore annuale di tempestivita' dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni. (G.U. 14 novembre 2014, n. 265) MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DECRETO 7 novembre 2014 Variazione della misura dell'indennita' di trasferta spettante agli ufficiali giudiziari. (G.U. 19 novembre 2014, n. 269) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AGENZIA PER L'ITALIA DIGITALE COMUNICATO Linee guida per la valutazione della conformita' del sistema e degli strumenti di autenticazione utilizzati nel processo di generazione della firma digitale. (G.U. 21 novembre 2014, n. 271) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 6 novembre 2014 Determinazione a conguaglio del contributo compensativo spettante ai comuni a seguito dell'abolizione della seconda rata dell'IMU 2013. (G.U. 21 novembre 2014, n. 271) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 6 novembre 2014 Attribuzione del contributo di 625 milioni di euro ai comuni. (G.U. 21 novembre 2014, n. 271) MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 24 ottobre 2014 Riparto del contributo ex articolo 2-bis del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, introdotto in sede di conversione dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, per l'attibuzione ai comuni del minor gettito dell'imposta municipale propria (IMU) relativo agli immobili equiparati all'abitazione principale, per l'anno 2013. (G.U. 25 novembre 2014, n. 274) COMUNICATO Determinazione delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilita' interno relativo all'anno

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2013. (G.U. 25 novembre 2014, n. 274) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI M INISTRI - DIPA RTIMENTO P ER GLI AFFARI REGIONALI, LE AUTONOMIE E LO SPORT DECRETO 16 gennaio 2014 Fondo nazionale integrativo per i comuni montani. (G.U. 27 novembre 2014, n. 276) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE COMUNICATO Integrazioni alla descrizione delle voci contabili dei modelli allegati al decreto 14 maggio 2013, recante: «Certificazioni di bilancio di previsione 2013 delle amministrazioni provinciali, dei comuni, delle comunita' montane e delle unioni dei comuni.». (G.U. 27 novembre 2014, n. 276) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELIBERA 1 agosto 2014 Interventi nel settore dei sistemi di Trasporto Rapido di Massa. (G.U. 3 dicembre 2014, n. 281) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 30 settembre 2014 Approvazione del piano triennale per la riduzione del disavanzo e per il riequilibrio strutturale di bilancio di Roma Capitale. (G.U. 4 dicembre 2014, n. 282) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 28 novembre 2014 Ripartizione delle risorse, per l'anno 2012, da attribuire alle regioni a fronte degli oneri per gli accertamenti medico legali sui dipendenti assenti da servizio per malattia effettuati dalle aziende sanitarie locali. (G.U. 4 dicembre 2014, n. 282) MINISTERO DELL'INTERNO DECRETO 1 dicembre 2014 Determinazione per alcuni comuni della regione Sicilia interessati da flussi migratori, degli importi delle spese escluse dal computo dello specifico obiettivo di saldo finanziario, ai fini del patto di stabilita' interno, per l'anno 2014. (G.U. 4 dicembre 2014, n. 282) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 10 ottobre 2014 Attribuzione di risorse alle sezioni del Fondo per la crescita sostenibile relativa alla promozione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione e al rafforzamento della struttura produttiva. (G.U. 4 dicembre 2014, n. 282) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 15 ottobre 2014 Intervento del Fondo per la crescita sostenibile in favore di grandi progetti di ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione elettroniche e per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana. (G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)

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MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Determinazione della sanzione al comune di Villamaina per il mancato rispetto del patto di stabilita' interno, relativo all'anno 2013 (G.U. 4 dicembre 2014, n. 282)

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 24 ottobre 2014 Definizione delle caratteristiche del sistema pubblico per la gestione dell'identita' digitale di cittadini e imprese (SPID), nonche' dei tempi e delle modalita' di adozione del sistema SPID da parte delle pubbliche amministrazioni e delle imprese. (G.U. 9 dicembre 2014, n. 285)

Sicurezza MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 29 ottobre 2014 Estensione dell'attivita' di certificazione della societa' Rina Service S.p.A., in Genova, per l'esecuzione delle procedure di valutazione della conformita' dell'equipaggiamento marittimo alle direttive 96/98/CE e 98/85/CE e successivi emendamenti. (G.U. 11 novembre 2014, n. 262) DECRETO-LEGGE 18 novembre 2014, n. 168 Proroga di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero e gli adempimenti relativi alle armi per uso scenico, nonche' ad altre armi ad aria compressa o gas compresso destinate all'attivita' amatoriale e agonistica. (G.U. 18 novembre 2014, n. 268) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 4 novembre 2014 Integrazioni e modifiche al decreto 5 marzo 2014 recante approvazione dell'elenco degli esplosivi, degli accessori detonanti e dei mezzi di accensione riconosciuti idonei all'impiego nelle attivita' estrattive, per l'anno 2014 (G.U. 20 novembre 2014, n. 270) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 11 novembre 2014 Attuazione della direttiva 2013/52/UE della Commissione del 30 ottobre 2013, recante modifica della direttiva 96/98/CE del Consiglio sull'equipaggiamento marittimo, gia' attuata con decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1999, n. 407. (G.U. 2 dicembre 2014, n. 280, S.O. n. 92)

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Giurisprudenza

Appalti

Corte di cassazione - Sezione IV penale - Sentenza 19 novembre 2014 n. 47751

NOTA Se l'appalto è parziale il committente risponde dell'infortunio del terzo «Il contratto di appalto non solleva da precise dirette responsabilità il committente allorché lo

stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, in quanto, in

tal caso, rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, compreso quello di controllare

direttamente le condizioni di sicurezza dei cantiere». Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza

47751/2014, confermando, sotto questo aspetto, la responsabilità per omicidio colposo

dell'amministratore di una società, incaricata dal Comune di Catania della realizzazione di una

condotta idrica, a seguito di un infortunio mortale occorso ad un motociclista caduto a causa della

mancata segnalazione del dislivello del manto stradale dovuto ai lavori di scavo.

Il ruolo di garanzia - La Suprema corte ha ricondotto il ruolo di garanzia dell'imprenditore verso i

terzi all'obbligazione personale «al rispetto scrupoloso delle cautele prevenzionali del caso e in

special modo ad apporre la completa segnaletica di pericolo prevista» contratta col municipio.

Inoltre, prosegue la sentenza, pur avendo dato in subappalto «le opere di scavo, messa in opera e

connessione delle tubature», la committente «si era riservata di fornire la conduttura, e l'opera di

saldatura dei relativi tranci, di pari passo con l'andamento dello scavo, sorgendo, così, all'evidenza,

una esigenza di coordinamento, vigilanza e verifica certamente esuberante rispetto ai poteri del

nudo committente». Da questa «speciale ingerenza», giustificata dalla parzialità dell'appalto e dagli

obblighi assunti nei confronti del comune di Catania, «deriva la sussistenza del ruolo di garanzia

nei confronti degli utenti della strada» in capo all'imprenditore.

Sì alla att enuanti - Per i giudici di Piazza Cavour, invece, non è stata dimostrata la condotta

sleale dell'imputato, «unica ragione per la quale è stata esclusa la prevalenza delle attenuanti

generiche e la meritevolezza della non menzione». Nel condannarlo, infatti, la Corte d'Appello ha

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attribuito alla sua volontà di nascondere le proprie responsabilità la frettolosa bitumazione della

strada, avvenuta il giorno successivo all'incidente. L'asfalto, tuttavia, argomenta la Cassazione, era

stato messo dalla impresa appaltatrice, e, quindi, «sarebbe occorso dimostrare che artefice, o,

perlomeno, istigatore o suggeritore della condotta diretta ad inquinare le prove era stato

l'imputato». Non essendo per questo sufficiente l'apodittico asserto secondo il quale l'imputato non

poteva essere all'oscuro dell'operazione «stante il suo costante interessamento ai lavori e la sua

presenza sul luogo dell'incidente il giorno dell'accaduto». Infatti, conclude la sentenza, per la prima

parte l'affermazione costituisce «un assioma fondato sul sospetto mero» e per la seconda parte si

appalesa illogica, in quanto vista la gravità del sinistro la presenza dell'imprenditore

era «ampiamente giustificata», né se ne può desumere che abbia «influito sulla decisione di

bitumare al più presto lo scavo».

(Francesco Machina Grifeo, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 19 novembre 2014)

T.A.R. Liguria, Sez. II, 21 novembre 2014, n. 1690

NOTA Oneri per la sicurezza: negli appalti di servizi di natura intellettuale non occorre indicarli Il T.A.R. Liguria, Sez. II, 21 novembre 2014, n. 1690 ribadisce che negli appalti di servizi di natura

intellettuale non occorre indicare gli oneri per la sicurezza.

Il Collegio è stato chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto per l'annullamento del

provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara d’appalto a procedura negoziata indetta per

l’affidamento dei servizi e delle prestazioni relative alla direzione lavori, alla misurazione, alla

redazione di tutti gli atti e documenti della contabilità e al coordinamento sicurezza in fase di

esecuzione lavori e per ogni altra prestazione richiesta per il completamento dell’incarico fino alla

ultimazione e al certificato di regolare esecuzione dei lavori per l’omessa indicazione nella lettera

di invito dei costi per la sicurezza non soggetti a ribasso.

Preliminarmente il Collegio osserva che l’omessa indicazione nella lettera di invito dei costi per la

sicurezza non soggetti a ribasso costituisce una circostanza direttamente incidente sulla

formulazione dell’offerta e, in conseguenza, deve essere immediatamente contestata, per rilevare il

pregiudizio che ne derivava ai danni della concorrente, senza attendere l’esito sfavorevole della

gara (Cons. Stato, Sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671; Cons. Stato, 26 novembre 2009, n. 7442;

T.A.R Liguria, Sez. II, 21 marzo 2014, n. 453).

Comunque, la giurisprudenza amministrativa, dopo talune oscillazioni, ha chiarito che negli appalti

di servizi di natura intellettuale non occorre indicare gli oneri per la sicurezza, poiché le attività da

svolgersi non sono caratterizzate da profili di interesse in tema di sicurezza sul lavoro (cfr., fra le

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ultime, Cons. Stato, Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3054).

In particolare, non si profilano in tale ambito rischi da interferenze esterne (derivanti, per esempio,

dalle particolari condizioni dei luoghi in cui dovrà svolgersi l’attività) ed è per questa ragione che

l’art. 26, comma 3-bis, D.Lgs. 81/2008, esclude espressamente l’obbligo per la stazione appaltante

di indicare detti oneri nel bando di gara (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 378).

L’indicazione dei costi aziendali per la sicurezza da parte dei singoli concorrenti, invece, risulta

funzionale al giudizio di anomalia e nessuna disposizione normativa prevede la comminatoria di

esclusione per l'omessa indicazione degli stessi nell’offerta (Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n.

3056; T.A.R. Liguria, sez. II, 29 agosto 2014, n. 1323).

Infine, il Collegio osserva che una eventuale anomalia dell’offerta aggiudicataria non

comporterebbe né la riedizione dell’intera procedura competitiva né l’aggiudicazione in favore della

ricorrente, ma solo lo scorrimento della graduatoria e la conseguente aggiudicazione in favore di

una delle concorrenti che vi occupano una posizione anteriore alla ricorrente.

(Francesco Garritano, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 27 novembre 2014)

Pubblica Amministrazione

Tribunale di Palermo - Sentenza 13 ottobre 2014

NOTA Anche le società in house possono fallire L’assoggettabilità alle procedure fallimentari deriva dallo spostarsi del baricentro della legislazione

culminato con la spending review. Un risultato coerente conl progressivo ridimensionarsi della

partecipazione statale nell’esercizio dell’attività d'impresa, seguita anche alla soppressione del

ministero delle Partecipazioni statali. In questi termini si sofferma il Tribunale di Palermo, con

sentenza del 13 ottobre, nell’arrivare a dichiarare lo stato di insolvenza di una società per azioni il

cui oggetto era la riorganizzazione le modalità di gestione del servizio di smaltimento rifiuti

attraverso la presa in carico della raccolta, trasporto, smaltimento e riciclaggio.

La società, nel negare l’applicabilità della Legge fallimentare (che avrebbe condotto

all’amministrazione straordinaria), aveva sostenuto che la normativa civilistica e fallimentare sono

concordi nel mandare esenti da fallimento gli enti pubblici economici, sottoponendoli piuttosto a

liquidazione coatta amministrativa. La ragione dell’esenzione starebbe nell’incompatibilità tra le

finalità della gestione di un servizio pubblico essenziale e gli effetti tipici del fallimento; in caso

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contrario verrebbe a determinarsi un’ingerenza dell’autorità giudiziaria in ambiti riservati alla

pubblica amministrazione.

Ma i giudici della Sezione fallimentare di Palermo non sono stati di questo avviso. E hanno

innanzitutto proceduto a una riflessione di ordine generale, che muove dalla constatazione che

negli ultimi decenni le pubbliche amministrazioni hanno abusato del privilegio dell’affidamento

diretto delle gestione dei servizi pubblici a società partecipate, in deroga ai fondamentali principi

della concorrenza tra imprese e della trasparenza. Si è sviluppato «in modo esponenziale un

modello di gestione mediante società controllate (cosidette in house) in un’ottica rivolta solo

formalmente all’aziendalizzazione dei servizi e ad una privatizzazione effettiva, in realtà

sostanzialmente diretta a eludere i procedimenti ad evidenza pubblica ed a sottrarre interi comparti

della pubblica amministrazione ai vincoli di bilancio».

A questa linea di tendenza più risalente, si è accompagnata – sottolinea la sentenza – una

posizione diversa, tesa a moralizzare il fenomeno della partecipazione pubblica. Posizione arrivata a

compiuta definizione con gli interventi di spending review. Da ultimo, almeno nella ricostruzione dei

giudici, il decreto legge 95/2012, convertito dalla legge n. 135, ha dettato una norma di generale

rinvio alla disciplina codicistica delle società di capitali anche per società a totale o parziale

partecipazione pubblica.

In contrasto con questa evoluzione, ammette la Sezione fallimentare, c’è un orientamento

giurisprudenziale che esclude, quanto alle società in house, una diversità di rapporto tra l’ente

pubblico partecipante e la società stessa, come pure una separazione patrimoniale. Per la

sentenza, invece, la qualificazione di società in house riguarda esclusivamente l’ambito della

responsabilità degli organi sociali per danni prodotti al suo patrimonio, incardinando la giurisdizione

davanti alla Corte dei conti e non al giudice ordinario, «senza comportare una più generale

riqualificazione della sua natura e senza avere alcuna ricaduta sull'assoggettamento alle procedure

concorsuali».

Nel caso esaminato, invece la società in house, costituita nella forma di spa, iscritta al registro, si

indirizzava a una disciplina privatistica che trova rispondenza nella lettura della visura camerale.

Da questa emerge infatti, l’attribuzione al consiglio di amministrazione dei più ampi poteri di

ordinaria e straordinaria gestione, con la libertà di assumere tutti gli atti necessari al

raggiungimento degli scopi sociali.

I giudici ne concludono così, in sintonia con la Cassazione, nel senso che una società che ha per

oggetto lo svolgimento di un’attività commerciale nelle forme previste dal Codice civile deve essere

assoggettata a procedura fallimentare, indipendentemente poi dall’effettivo esercizio dell’attività

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stessa. La società acquista così la qualifica di imprenditore commerciale già dal momento della

costituzione. E non dall’inizio concreto dell’attività d’impresa.

(Giovanni Negri, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 9 dicembre 2014)

Edilizia

Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 1° dicembre 2014 n. 49991

NOTA La demolizione delle mura perimetrali non apre all'abbattimento del manufatto Deve essere considerata illegittima la condanna alla demolizione del manufatto, nel caso in cui

siano state abbattute mura perimetrali in contrasto con il permesso a effettuare semplici lavori di

ristrutturazione. Lo precisa la Cassazione con la sentenza n. 49991/2014.

I fatti. In particolare il ricorrente ha eccepito la violazione dell'articolo 31, comma 9, del Dpr

380/2001, per essere stata disposta la demolizione delle opere abusive. E ciò in considerazione sia

del fatto che nel caso di specie l’abusività aveva a oggetto non un'edificazione, ma semmai una

demolizione, sia del fatto che in questo caso, sebbene in origine fosse stata concessa la violazione

della lettera b) dell'articolo 44 del Dpr citato, nella sentenza di fatto era stata riscontrata quella

della lettera a) cioè un abuso minore per il quale non è prevista una sanzione così pesante.

Pronuncia della Cassazione. La Corte ha dato ragione all'imputato ricordando che l'articolo 31

del Dpr 380/2001 prevede l'ingiunzione alla demolizione delle opere abusive solo per interventi

eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali. Si legge

nella sentenza, pertanto, che la misura così pesante deve colpire esclusivamente gli abusi di

maggiore gravità, quelli cioè che comportano «la realizzazione di un organismo edilizio

integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e di utilizzazione da quello

oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di opere edili oltre i limiti indicati nel progetto e

tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o autonomamente».

Conclusioni. Non rientrano, pertanto, nella previsione normativa dell'articolo 31 gli abusi minori,

puniti ai sensi dell'articolo 44, lettera a) del Dlgs 380/2001. Per tali violazioni le sanzioni

amministrative costituite dal ripristino dello stato dei luoghi o dalla irrogazione di una sanzione

pecuniaria sostitutiva restano di esclusiva competenza della pubblica amministrazione, mentre

l'autorità giudiziaria può solo irrogare la pena dell'ammenda comminata dalla norma avente

carattere penale.

(Giampaolo Piagnerelli, Il Sole 24 ORE – Guida al Diritto, 1 dicembre 2014)

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Ambiente

Il recupero di rifiut i pre sso installa zioni in AIA alla luce delle modifiche introdotte dal decreto "competitività e crescita" Marco Fabrizio, Il Sole 24 ORE – Sicurezza24, 11 dicembre 2014 L’articolo 13, c. 4, del D.L. n. 91/2014, conv., con modificazioni, in l. n. 116/2014, Disposizioni

urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia

scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti

sulle tariffe elettriche, nonche' per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla

normativa europea , ha introdotto modifiche anche alla disciplina in materia di recupero di rifiuti,

sostanzialmente demandando a nuovi decreti attuativi l’aggiornamento della disciplina tecnica del

caso, ivi compresa l’operazione consistente “nel mero controllo sui materiali di rifiuto per

verificare se soddisfino i criteri elaborati affinche' gli stessi cessino di essere considerati rifiuti nel

rispetto delle condizioni previste” (nuovo art. 216, c. 8-quinquies, D.lgs. n. 152/2006 e succ.

modd..). Tali decreti, aggiunge la nuova disposizione, dovranno, comunque, considerare taluni

principi generali all’uopo fissati, quali: a) la qualita' e alle caratteristiche dei rifiuti da trattare; b)

le condizioni specifiche che devono essere rispettate nello svolgimento delle attivita'; c) le

prescrizioni necessarie per assicurare che i rifiuti siano trattati senza pericolo per la salute

dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente,

con specifico riferimento agli obblighi minimi di monitoraggio; d) la destinazione dei rifiuti che

cessano di essere considerati rifiuti agli utilizzi individuati (cc. 8-quater e 8-quinquies, art. 216

cit.). Rileverà, a carico dei gestori degli impianti di recupero esistenti, un periodo di salvaguardia di

sei mesi dall’emanazione di nuovi regolamenti per procedere all’adeguamento dei processi (se

necessario).

Il comma 8-septies della medesima disposizione ha aggiunto, inoltre, una ulteriore disposizione

relativa agli impianti di recupero assoggettati alla normativa in tema di autorizzazione integrata

ambientale, apparentemente al fine di agevolare la conduzione delle attività di recupero di rifiuti

presso gli impianti medesimi (rectius “installazioni”), del seguente tenore: “al fine di un uso piu'

efficiente delle risorse e di un'economia circolare che promuova ambiente e occupazione, i rifiuti

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individuati nella lista verde di cui al regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del

Consiglio, del 14 giugno 2006, possono essere utilizzati negli impianti industriali autorizzati ai

sensi della disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale di cui agli articoli 29-sexies e seguenti

del …- D.lgs. n. 152/2006 – , nel rispetto del relativo BAT References, previa comunicazione

da inoltrare quarantacinque giorni prima dell'avvio dell'attivita' all'autorita' ambientale

competente. In tal caso i rifiuti saranno assoggettati al rispetto alle norme riguardanti

esclusivamente il trasporto dei rifiuti e il formulario di identificazione “.

I rifiuti in questione sono quelli indicati nell’allegato III al menzionato regolamento n. 1013/2006,

Elenco dei rifiuti soggetti agli obblighi generali di informazione di cui all'articolo 18, ovvero quelli

che, ai fini di un trasporto internazionale, necessitano di una mero documento di accompagno

contenente talune informazioni (spedizioni di rifiuti superiori a 20 kg., elencati nell'allegato III o III

B al reg., piuttosto che miscele di rifiuti, non classificati sotto una voce specifica dell'allegato III,

composte da due o più rifiuti elencati nell'allegato III, sempreché la composizione delle miscele non

ne impedisca il recupero secondo metodi ecologicamente corretti e tali miscele siano elencate

nell'allegato III A, a norma dell'articolo 58, reg. medesimo; spedizioni di rifiuti, inferiori a 25 kg.,

esplicitamente destinati alle analisi di laboratorio allo scopo di accertare le loro caratteristiche

fisiche o chimiche o di determinare la loro idoneità ad operazioni di recupero o smaltimento).

Trattasi della dichiarazione di inizio attività (DIA, oggi SCIA) da inoltrare all’autorità competente e,

quindi, della legittimazione all’esercizio dell’attività al decorso di 45 giorni dall’invio della

comunicazione all’autorità competente, con maturazione del silenzio assenso.

Il legislatore ha ricalcato, in tal senso, la disciplina semplificata di cui all’art. 216, c. 1, D.lgs. n.

152/2006 e succ. modd. in tema di recupero (in generale) di rifiuti, tale che la comunicazione resa

nelle forme e contenuto di legge (norme tecniche), unita al decorso del termine (45 giorni nel caso

in questione, differentemente dai 90 gg. Altrimenti previsti in generale dall’art. 216 citato), abilita il

privato a condurre l’attività di recupero di rifiuti.

Se, dunque, all’apparenza il legislatore spinge per un’apparente liberalizzazione delle attività di

recupero rifiuti presso i siti (installazioni) soggetti alla disciplina di cui all’autorizzazione integrata

ambientale (elenco di attività di cui all’allegato VIII, parte seconda del D.lgs. n. 152/2006, per

l’a.i.a. regionale, e allegato XII, stessa parte seconda del D.lgs. n. 152/2006 per l’a.i.a. nazionale)

pur vero è che, analizzando l’iter procedimentale con cui le autorità competenti conducono

l’istruttoria per le modifiche in materia, non v’è ragione di temere alcuno scadimento dei controlli,

prima, e delle pratiche condotte all’uopo, poi…

Rileva, innanzitutto, come l’amministrazione non potrebbe di certo sottrarsi ad un attento esame

istruttorio sulla comunicazione in questione ricevuta, non solo e non tanto perché ciò è previsto

UNITELNews24 58

dalla legge (tale che anche nel caso di recupero di rifiuti di attività non in AIA la provincia potrebbe

intervenire inibendo l’attività ai sensi dell’ art. 216, c. 4, D.lgs. cit.), bensì anche perché è lo stesso

schema amministrativo di cui all’art. 19, c. 3, l. n. 241/1990 e succ. modd., a richiedere ciò, fermo

restando il generale potere di autotutela dell’amministrazione, sempre legittimata a riaprire

un’istruttoria (anche nel caso di decorso di termini), fino all’eventuale revoca del provvedimento

per sopravvenuti motivi di pubblico interesse (anche per mera ri-valutazione dell’interesse

pubblico originario – art. 21-quinquies, l. cit.), piuttosto che all’annullamento del medesimo (art.

21-nonies, l. cit.).

Ancora più in particolare, inoltre, soccorre, ai fini del controllo da parte dell’autorità competente,

l’iter in materia di autorizzazione integrata ambientale.

Come è noto, al riguardo, la comunicazione prevista dall’art. 216, c. 8-septies, D.lgs. n. 152/2006

e succ. modd. con il suo apparente termine breve di 45 giorni, si inserisce, in realtà, nella disciplina

più complessa della modifica sostanziale/non sostanziale di cui all’art. 29-nonies, D.lgs. medesimo,

per gli impianti soggetti alla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale.

Invero, in caso di qualsiasi modifica, intesa come “…variazione di un piano, programma,

impianto o progetto approvato, compresi, nel caso degli impianti e dei progetti, le variazioni delle

loro caratteristiche o del loro funzionamento, ovvero un loro potenziamento, che possano

produrre effetti sull'ambiente” il gestore dell’installazione autorizzata in a.i.a. deve, infatti,

comunicare all’autorità competente le modifiche progettate (art. 29-nonies, c. 1, D.lgs. n.

152/2006 e succ. modd.), decorrendo, a questo punto, a carico dell’autorità competente il temine

di 60 giorni entro il quale la medesima amministrazione “dovrà” procedere all’aggiornamento

dell’autorizzazione (presunta modifica non sostanziale) ovvero, qualora ravvisi che le modifiche

progettate possano considerarsi sostanziali, per inviare al gestore notizia in tal senso, con

conseguente obbligo, a carico di quest’ultimo, di inviare all’autorità competente una vera e

propria nuova domanda di autorizzazione corredata dalla relazione di cui all’art. 29-ter, cc. 1 e 2,

D.lgs. cit. (ovvero: a) descrizione dell'installazione e delle sue attivita', specificandone tipo e

portata; b) descrizione delle materie prime e ausiliarie, delle sostanze e dell'energia usate o

prodotte dall'installazione; c) descrizione delle fonti di emissione dell'installazione; d)

descrizione dello stato del sito di ubicazione dell'installazione; e) descrizione del tipo e

dell'entita' delle prevedibili emissioni dell'installazione in ogni comparto ambientale nonche'

un'identificazione degli effetti significativi delle emissioni sull'ambiente; f) descrizione della

tecnologia e delle altre tecniche di cui si prevede l'uso per prevenire le emissioni dall'installazione

oppure, qualora cio' non fosse possibile, per ridurle; g) descrizione delle misure di prevenzione, di

preparazione per il riutilizzo, di riciclaggio e di recupero dei rifiuti prodotti dall'installazione;

h) descrizione delle misure previste per controllare le emissioni nell'ambiente nonche' le attivita' di

autocontrollo e di controllo programmato che richiedono l'intervento dell'ente responsabile degli

UNITELNews24 59

accertamenti di cui all'articolo 29-decies, c. 3, d.lgs. n. 152/2006 e succ. modd.; i) descrizione

delle principali alternative alla tecnologia, alle tecniche e alle misure proposte, prese in esame dal

gestore in forma sommaria; l) descrizione delle altre misure previste per ottemperare ai

principi di cui all'art. 6, c. 16, D.lgs. cit.; m) se l'attivita' comporta l'utilizzo, la produzione o lo

scarico di sostanze pericolose e, tenuto conto della possibilita' di contaminazione del suolo

e delle acque sotterrane nel sito dell'installazione, una relazione di riferimento elaborata

dal gestore prima della messa in esercizio dell'installazione o prima del primo aggiornamento

dell'autorizzazione rilasciata, per la quale l'istanza costituisce richiesta di validazione; n)

una sintesi non tecnica delle precedenti informazioni) (art. 29-nonies, c. 2, cit.).

Si rammenta come, alla luce delle ultime modifiche apportate alla disciplina in materia di a.i.a., è

“sostanziale” la modifica di un progetto, opera o di un impianto, tale che “…la variazione delle

caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o

dell'infrastruttura o del progetto…, secondo l'autorita' competente…- producono – effetti negativi

e significativi sull'ambiente” (art. 5. C. 1, lett. L-bis, D.lgs. n. 152/2006 e succ. modd.).

La modifica introdotta dal D.lgs. n. 46/2014 prevede inoltre, come, con specifico riferimento

particolare alla disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale “…, per ciascuna attivita' per la

quale l'allegato VIII indica valori di soglia, e' sostanziale una modifica all'installazione che dia

luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al

valore della soglia stessa” (art. 5, c. 1, lett. L-bis. Cit.).

Peraltro, a seguito dell’ultima modifica introdotta alla disciplina in questione, anche al di fuori dei

casi sopra richiamati di modifica sostanziale e non, il gestore dovrà pur sempre informare l'autorita'

competente (oltre che l'autorita' di controllo di cui all'art. 29-decies, c. 3, D.lgs. n. 152/2006)

“…in merito ad ogni nuova istanza presentata per l'installazione ai sensi della normativa in

materia di prevenzione dai rischi di incidente rilevante, ai sensi della normativa in materia di

valutazione di impatto ambientale o ai sensi della normativa in materia urbanistica”. La

comunicazione, da effettuare prima di realizzare gli interventi, dovrà specificare espressamente

gli elementi in base ai quali il gestore ritiene che gli interventi previsti non comportino ne' effetti

sull'ambiente, ne' contrasto con le prescrizioni esplicitamente gia' fissate

nell'autorizzazione integrata ambientale (art. 29-nonies, c. 3, D.lgs. n. 152/2006 e succ. modd.),

ancora una volta con necessario avvio di un’istruttoria e comunicazione di avvio del procedimento…

Si consideri, sotto tale ultimo profilo, come l’avvio di attività di recupero di rifiuti comporterà pur

sempre una qualche variazione sotto il profilo urbanistico-edilizio, quando non anche implicare una

vera e propria valutazione di impatto ambientale (es. lettere m) e n), allegato III, D.lgs. n.

152/2006, come richiamato da art. 6, c. 6, D.lgs. medesimo: m) Impianti di smaltimento e

recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all'allegato B, lettere D1, D5, D9, D10 e

D11, ed all'allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;

UNITELNews24 60

n) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacita' superiore a 100

t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento di cui all'allegato B, lettere D9,

D10 e D 11, ed all'allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.

152).

In conclusione l’istruttoria che l’autorità competente apre per una modifica anche prima facie “non

sostanziale” corrisponde sempre ad un preciso adempimento di legge, cui fa sovente seguito

un’attenta disamina tecnico-giuridica dell’istanza ricevuta (non solo sulle BAT References),

preceduta da comunicazione di avvio del procedimento ed in genere con richiesta di integrazioni

documentali e successivi approfondimenti.

Si ritiene, pertanto, che la “liberalizzazione” in questione sarà tale nel senso positivo della parola,

senza scadimento dei controlli o, peggio, dello stato di salute dell’ambiente.

UNITELNews24 61

Ambiente

Le nuove norme per la gestione delle risorse idriche Giovanni La Banca, Il Sole 24 ORE – Ambiente24, 10 dicembre 2014 Il Decreto Sblocca Italia (Decreto Legge, testo coordinato 12.09.2014 n° 133, G.U. 11.11.2014)

contiene rilevanti novità relative ai servizi pubblici locali, in particolare per quanto riguarda il

servizio idrico integrato.

Si evidenzia che si tratta del primo organico intervento legislativo a seguito del Codice

dell’Ambiente e, in particolar modo, dopo l’esito del referendum del 2011.

Le nuove norme per la gestione delle risorse idriche vanno a modificare ed integrare il Codice

dell’Ambiente (Dlgs. 152/06) non solo per accelerare gli interventi per la riduzione del rischio

idrogeologico e l’adeguamento del sistema di fognatura e depurazione, ma anche al fine di

migliorare gli assetti istituzionali, organizzativi e gestionali del settore.

L’obiettivo dichiarato è quello di accelerare i tempi e offrire certezza alle procedure di affidamento

del servizio.

La prima innovazione di rilievo è attinente alla partecipazione obbligatoria degli enti locali agli enti

d’ambito, con contestuale riassetto della governance, individuando ruoli e responsabilità dei

soggetti coinvolti.

Nello specifico, viene affidato all’ente di governo d’ambito il compito di definire i piani delle opere e

quello di affidare il servizio mentre si incardina, in capo alle Regioni, un dovere di vigilanza sulle

attività degli stessi enti di governo d’ambito.

Allo stesso tempo, la Regione diviene titolare di poteri sostitutivi di commissariamento nei casi di

inerzia o inadempienza di questi ultimi.

Infine, a chiusura del complessivo riparto di competenze, all’Autorità per l'energia elettrica, il gas

ed il sistema idrico sono demandati precisi doveri di vigilanza e segnalazione circa il rispetto dalle

procedure e dei tempi, mentre alla Presidenza del Consiglio è lasciato, come organo di ultima

istanza, il compito di nominare commissari ad acta.

Complessivamente, dunque, il Presidente della Regione esercita i poteri sostituitivi in caso di

inadempienza degli enti di governo d’ambito nell’organizzazione del servizio; se la Regione non

UNITELNews24 62

provvede l’Autorità per l’energia elettrica e il gas segnala l’inadempienza al Presidente del Consiglio

dei Ministri per i provvedimenti di propria competenza.

L’esercizio di poteri sostitutivi risponde all’esigenza di garantire la definizione della governance del

servizio idrico integrato indispensabile per generare economie di scala e, di conseguenza,

accelerare gli investimenti nel settore.

Inoltre, ad una ripartizione delle competenze tra i vari Enti, con il decreto Sblocca Italia, si

aggiunge una precipua delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, sulla base del principio volto

ad assicurare e conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio

all'utenza, perseguendo, altresì, l’unicità della gestione.

Rilievo fondamentale, a parere di chi scrive, assume la parte direttamente sanzionatoria

Accanto ai poteri sostitutivi delle Regioni, che invero erano già previsti dal Codice dell’Ambiente, e

che non sono stati esercitati se non in casi sporadici, il provvedimento introduce la responsabilità

erariale in capo agli Enti locali che non aderiscono entro termini perentori all’Ente di governo

d’ambito.

In particolare, l’art. 7 comma 1, lett. b), punto 1) impone l’obbligo di adesione entro il termine

perentorio di sessanta giorni.

In caso di violazione, possono intervenire, esercitando poteri sostitutivi previsti dal comma 1, lett.

i), punto 4, il Presidente della Regione e, in caso di sua inattività, il Presidente del Consiglio dei

Ministri, su segnalazione AEEGSI, che nomina un commissario ad acta.

La violazione della norma comporta responsabilità erariale.

La disposizione in esame ha grande rilievo in quanto, da quando sono state soppresse le Autorità di

Ambito territoriale ottimale (Ato) ed è stato assegnato alle Regioni il compito di definire struttura e

caratteristiche dei nuovi regolatori locali, 15 Regioni su 19 hanno completato l'iter con

l'approvazione di una legge regionale, mentre Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia hanno

nominato commissari o comunque definito regimi transitori.

Questo processo ha portato a una riduzione dei cosiddetti enti di governo di Ambito che sono

passati da 92 a 70, facendo registrare la positiva tendenza a costituire soggetti di dimensioni

regionali (Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Abruzzo, Puglia, Basilicata, Sardegna e Calabria).

Ma di negativo c'è la grande eterogeneità delle scelte regionali e la parziale o assente operatività

degli Ega in molte Regioni del Sud, in cui detti Enti non sono stati costituiti o si è ancora in una

fase commissariale.

Il decreto in esame, prevedendo il termine perentorio del 31 dicembre 2014 per le Regioni ancora

inadempienti, decorso il quale scatta il commissariamento da parte del Governo, unitamente alla

UNITELNews24 63

responsabilità erariale, cerca di individuare la via maestra per la soluzione della problematica in

questione, assicurando, anche a coloro che ancora non l’avessero fatto, una governance idonea alla

tutela degli interessi de quibus.

Altre specifiche norme di rilievo sono:

- La necessità di un affidamento avente la durata massima di 30 anni per le convenzioni tipo tra

l’ente di governo e il gestore, predisposte dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, con l’obbligo

di raggiungimento dell’equilibrio economico, la disciplina relativa al subentro;

- L’obbligo, per gli enti di governo di ciascun ambito territoriale, di provvedere, nel termine di un

anno, all’affidamento del servizio ad un gestore unico, con la conseguente decadenza degli

affidamenti non conformi;

- per garantire il rispetto della normativa europea in materia di gestione dei servizi idrici, con il

comma 6 è stato istituito un Fondo ad hoc destinato agli interventi di adeguamento dei sistemi di

collettamento, fognatura e depurazione, finanziato attraverso la revoca delle risorse stanziate per

le Regioni del Sud dalla delibera CIPE 60/2012 che stanziava 1,6 miliardi di euro per interventi per

la depurazione delle acque, per i quali, al termine del 30 settembre 2014, non risultino essere stati

assunti atti giuridicamente vincolanti e, a seguito di verifiche dell’ISPRA, risultino presenti obiettivi

impedimenti di tipo tecnico-progettuale o urbanistico.

L’utilizzo delle risorse del Fondo è condizionato all’avvenuto affidamento al gestore unico del

servizio idrico integrato dell’ATO, e alla partecipazione con il co-finanziamento degli interventi a

valere sulla tariffa del servizio idrico integrato.

E’ prevista, infine, una dettagliata disciplina transitoria che regola l’organizzazione del servizio in

attesa di giungere alla gestione unica d’ambito.

Alla luce di tali argomentazioni, può dedursi che il legislatore ha inteso intervenire, in maniera

decisa, su una problematica ormai ben nota agli addetti al settore e ai governi che si sono

succeduti negli ultimi anni.

Ad oggi, gli aspetti di maggiore problematicità riguardano la governance istituzionale del settore e

l'assetto industriale delle aziende che gestiscono il servizio.

Basti ricordare che, per quanto riguarda il sistema delle aziende che gestiscono i servizi di

acquedotto, fognatura e depurazione, a distanza di anni dalla legge Galli, si registra ancora una

elevata frammentazione del settore, per il quale di certo non può parlarsi di assetto industriale.

La dimensione media delle aziende è ancora molto ridotta sia in termini di abitanti serviti

(300.000) sia in termini di comuni gestiti (40) sia infine per valore del ricavo da vendita (36,2

UNITELNews24 64

milioni di euro con solo dieci aziende che superano gli 87 milioni nel 2013).

Lo sblocca-Italia sembrerebbe evidenziare una decisa volontà di riforma, non solo ribadendo il

principio di unicità della gestione, ma collegandolo a un tendenziale favor verso dimensioni

dell'ambito territoriale di livello regionale.

A ciò, però, andrebbe aggiunta l’estensione della fattispecie della responsabilità erariale,

attualmente prevista solo nei casi di mancata adesione dell’Ente locale all’Ente di governo

d’ambito, ai vari livelli di governo del settore, al fine di giungere in tempi celeri all’individuazione

del gestore unico e all’affidamento del servizio.

Di tal chè, al decreto in esame, pur lasciando ad ulteriori provvedimenti il compito di “normare” in

merito agli aspetti tecnici specifici (come mancanze, inerzie, inadempienze), va riconosciuto

l’indubbio merito di aver rimesso al centro del dibattito politico - istituzionale la problematica del

servizio idrico integrato, individuando una disciplina specifica volta alla garanzia dell’ottimale

gestione del servizio stesso.

UNITELNews24 65

Ambiente

Assoggettabilità a VIA: manca il de creto attuativo e le Regio ni interpretano "caso per caso" Carla Cimoroni, Il Sole 24 ORE – Ambiente24, 12 dicembre 2014 È con l’inerzia caratteristica dei corpi pesanti che si vanno dispiegando gli effetti delle disposizioni

normative in materia di VIA introdotte dal D.L. n. 91 del 24 giugno 2014 (Decreto Competitività) e

le conseguenti reazioni da parte delle amministrazioni locali deputate al rilascio delle autorizzazioni

in campo ambientale. Ma tutto il sistema rischia di collassare solennemente se a breve non

interverrà un chiarimento che dia attuazione a quanto previsto dallo stesso D.L.

L’articolo 15, infatti, così come modificato in sede di conversione in Legge n.116 dell’11 agosto

2014, prevede, tra le altre cose, che criteri e soglie per sottoporre i progetti di competenza

regionale a verifica di assoggettabilità a procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA),

vengano stabiliti attraverso un decreto ministeriale, nelle more della cui adozione, la stessa verifica

dovrà essere effettuata “caso per caso”. Proprio questa dicitura, “caso per caso”, ha generato il

caos, anche perché le amministrazioni coinvolte stanno reagendo in maniera diversificata alle

nuove disposizioni, con interpretazioni più o meno restrittive.

Per comprendere la portata dell’intera vicenda, è opportuno ricordare che sono soggetti a VIA di

competenza regionale non solo i progetti contenuti nell’Allegato III alla Parte II del D.Lgs.

152/2006, ma anche quelli di cui all’Allegato IV che, in base a una preliminare fase di screening

(verifica di assoggettabilità), siano ritenuti appunto assoggettabili sulla base dei criteri previsti

dall'Allegato V. L’allegato IV contempla in molti casi delle soglie dimensionali minime per sottoporre

il progetto a verifica di assoggettabilità, che le Regioni e le Province autonome hanno avuto finora

solo la facoltà e non l’obbligo di modificare per fissare criteri e condizioni di esclusione diversi. Solo

per citare qualche esempio, in base alla norma nazionale sono sottoposti a verifica gli impianti

termici per produzione di energia con potenze superiori a 50 MW, i gasdotti per tratte più lunghe di

20 km, le fonderie con capacità di produzione maggiore di 20 tonnellate al giorno, i progetti di

sviluppo di zone industriali e aree urbane per superfici superiori a 40 ettari. Quelli di taglia minore

non sono automaticamente sottoposti a verifica e quindi evidentemente non è nemmeno

contemplata la possibilità di assoggettamento a procedura di VIA, per quelli ricadenti in aree

naturali protette le soglie si intendono ridotte del 50%.

UNITELNews24 66

La Commissione europea ha censurato la formulazione di tali soglie aprendo una procedura

d’infrazione nel 2009 (2009/2086). Nel frattempo, inoltre, sono intervenute nuove disposizioni sulla

VIA a livello comunitario contenute nella Direttiva 2011/92/UE e in ultimo nella Direttiva

2014/52/UE, da recepirsi com’è noto nei tre anni successivi all’emanazione. Vale senz’altro la pena

di ricordare che delle 94 procedure d’infrazione aperte, ben 16 riguardano la materia ambientale.

La procedura sulle soglie della verifica di assoggettabilità a VIA risale in realtà al 2003

(2003/2049). Con l’emanazione prima del D.Lgs 152/2006 e poi del D.Lgs. 4/2008, era stata

sospesa, ma successivamente riavviata (2009/2086), in quanto la Commissione Europea non ha

ritenuto superati i rilievi già formulati in base alla normativa previgente. Nel fissare le soglie,

infatti, gli Stati membri avevano l’obbligo di prendere in considerazione tutti i criteri dettati

dall’Allegato III della Direttiva VIA. Invece, nel determinare quali progetti di competenza regionale

sottoporre a screening (Allegato IV) la normativa italiana prende in considerazione solo alcuni di

tali criteri (in particolare la “dimensione del progetto” e le “zone classificate o protette dalla

legislazione degli Stati membri”) ignorando gli altri. Nemmeno le recenti modifiche normative

intervenute con la Legge n. 97 del 2013 sono state ritenute sufficienti dalla Commissione che non

ha archiviato la procedura di infrazione.

Per questo, con l’articolo 15 del D.L. 91/2014 si è inteso superare una volta per tutte i rilievi mossi

dalla Commissione europea, recependo quanto disposto dalla Direttiva 2011/92/UE e intervenendo

in maniera definitiva sulla questione delle soglie, la cui individuazione viene direttamente

demandata ad un decreto ministeriale, da emanarsi, previa l’intesa in sede di Conferenza Stato-

Regioni, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (21 agosto 2014).

Ma il termine è scaduto e del decreto attuativo ancora non c’è traccia. Nel frattempo, come si è

detto, “la procedura di cui all'articolo 20 (screening) è effettuata caso per caso, sulla base dei

criteri stabiliti nell'allegato V”.

Tra le prime a lanciare l’allarme la Provincia di Lucca, che ha rilevato che, in base

all’interpretazione della Regione Toscana, i recenti mutamenti legislativi hanno reso di fatto

inapplicabile il concetto di soglia dimensionale con la conseguenza che tutte le categorie progettuali

presenti nell’elenco dell’Allegato IV dovrebbero essere sottoposte alla procedura di verifica di

assoggettabilità indipendentemente dalle dimensioni, finché non vengano definiti con decreto le

nuove taglie e i nuovi criteri applicativi. Ne è nata anche un’interrogazione parlamentare, proposta

prima in Commissione (25 settembre) e successivamente in Aula (19 novembre), tuttora in attesa

di risposta da parte del Ministro competente. Alla richiesta dell'Amministrazione Provinciale, infatti,

di fornire un indirizzo procedimentale per valutare i progetti sì «caso per caso», ma in modo da

poter escludere le piccole attività con situazioni di evidente irrilevanza sotto il profilo dell'impatto

ambientale, la Regione Toscana ha risposto di non essere competente né a interpretare la

normativa statale né tantomeno a fornire criteri per l'applicazione della procedura di screening ai

UNITELNews24 67

progetti di cui all'Allegato IV “sotto soglia” finché vige la fase transitoria ovvero fino all’entrata in

vigore del più volte citato decreto attuativo.

Anche altre Amministrazioni regionali, come quelle di Abruzzo e Sardegna, in linea con quanto

rilevato dalla Toscana, hanno evidenziato che le soglie previste dall’Allegato IV non sono più

applicabili e che ogni diversa interpretazione diretta ad escludere l’attivazione della procedura di

screening per uno qualsiasi dei progetti elencati nell’Allegato IV contrasta con le finalità della

norma in questione di superare le censure della Commissione europea. Stando così le cose, i

procedimenti in itinere inerenti progetti “sotto soglia” o modifiche degli stessi devono essere

sospesi per consentire lo svolgimento della procedura di verifica di assoggettabilità.

In sede di Conferenza Unificata per l’espressione del parere di competenza sulla conversione in

legge del Decreto Competitività, le Regioni avevano già espresso forti perplessità sulla

formulazione dell’articolo 15 denunciando oltre al “pesante aggravamento degli oneri alle imprese,

in un frangente di estrema fragilità del contesto produttivo”, anche “un’assoluta inidoneità degli

apparati della Pubblica Amministrazione” per far fronte all’ulteriore e sproporzionato carico di

lavoro, paventando “il collasso del sistema autorizzatorio degli impianti e delle opere rientranti nel

campo di applicazione della normativa in materia di VIA”. Il suggerimento, non accolto, era stato

dunque quello di sopprimere il periodo che si riferisce alla gestione della fase transitoria (da

condurre “caso per caso” fino all’emanazione del decreto per soglie e criteri), ritenendo tale

disposizione addirittura eccedente rispetto a quanto richiesto dalla Commissione europea che non

contesta tanto l’apposizione delle soglie “ma rileva come, nel definirle, lo Stato membro abbia

tenuto conto solo di due criteri tra quelli rilevanti”. Del resto, anche la nuova Direttiva 2014/52/UE

di modifica alla Direttiva VIA prevede una generale semplificazione degli obblighi connessi al

procedimento.

È doveroso rilevare che l’aggravio comportato dalla norma transitoria così introdotta dipende anche

dalle modalità con cui, nelle varie regioni, è disciplinato l’iter della VIA. In Toscana come in Emilia

Romagna, per esempio, le procedure in ambito di valutazione di impatto ambientale si integrano

con i processi autorizzatori in capo a Regione, Province e Comuni in base ad un preciso riparto di

competenze, consentendo in generale di abbreviare i tempi dei processi decisionali e di renderli più

trasparenti. In molte altre regioni, invece, le procedure sia di screening che di valutazione di

impatto ambientale sono distinte da ulteriori autorizzazioni di natura ambientale e sono prerogativa

dell’amministrazione regionale attraverso Servizi e Comitati dedicati. Se nel primo caso le nuove

disposizioni implicano certamente un maggior onere per i proponenti e per le amministrazioni, nel

secondo rischia di crearsi un vero e proprio collo di bottiglia.

Non per niente, la Regione Umbria che individua l'Autorità cui spetta lo svolgimento dei

UNITELNews24 68

procedimenti di verifica di assoggettabilità ovvero di VIA nel competente Servizio regionale,

propone per superare l’impasse che lo screening si svolga direttamente nell’ambito del

procedimento di autorizzazione dell’opera avviato dalle diverse amministrazioni di volta in volta

competenti. La stessa Regione Umbria si spinge anche oltre, ipotizzando per la fase transitoria una

procedura di “pre-screening” per i progetti “sotto soglia” sulla base di quanto dichiarato dal

proponente in base ad un modello predisposto all’uopo.

Anche la Provincia di Bologna ha ritenuto di affrontare la questione indicando per i progetti “sotto

soglia” la presentazione, unitamente all’istanza di autorizzazione, di una relazione per evidenziare i

motivi di esclusione dalla procedura di verifica di assoggettabilità. Qualora accolti, l’iter

proseguirebbe con i tempi previsti dalla norma di settore. La non esclusione comporterebbe,

invece, la sospensione dell’iter in corso fino all’espletamento della procedura di screening ed

eventualmente di VIA.

Dunque alcune amministrazioni, pur rilevando la gravità della situazione, hanno ritenuto di poter

intervenire nel transitorio con soluzioni dirette a sbloccare l’inevitabile stallo amministrativo, altre,

almeno per il momento, hanno interpretato in maniera maggiormente restrittiva la possibilità

stessa di promuovere indirizzi volti alla semplificazione.

Comitati e associazioni ambientaliste gridano vittoria, avendo spesso denunciato l’insufficienza

delle soglie dimensionali a garantire l’applicazione dei criteri previsti dall’Allegato III della Direttiva

VIA, confortati anche dai pronunciamenti in materia della Corte Costituzionale (Sentenza 93/2013).

D’altro canto, non mancano interpretazioni dell’articolo 15 del D.L. 91/2014 come quella dell’ANEV

(Associazione Nazionale Energia del Vento) che mettono in discussione la stessa inapplicabilità

delle soglie previste nell'Allegato IV, che non sarebbero affatto “temporaneamente sospese” in

attesa del decreto più volte citato.

Fatto sta che, ad oggi, in esecuzione delle nuove norme e in attesa del decreto, almeno in alcune

regioni sussiste il paradosso per cui l’obbligo della verifica di assoggettabilità riguarda opere e

interventi attualmente sottoposti a procedimenti autorizzativi semplificati (tra tutti, le P.A.S.

previste dal D.Lgs. 28/2011 per gli impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili) proprio per

l’impatto ambientale ritenuto poco significativo in ragione delle loro caratteristiche tecniche e delle

ridotte dimensioni, vanificando così gli sforzi messi in campo dalle amministrazioni locali in termini

di razionalizzazione e coordinamento procedimentale.

Un intervento tempestivo del Ministero dell’Ambiente è quanto mai urgente, a cominciare da un

chiarimento rispetto agli effettivi margini di manovra delle Regioni e delle Province autonome nel

fornire indirizzi volti a gestire la fase interlocutoria senza eccessivi oneri per la Pubblica

Amministrazione e le piccole imprese. In attesa dell’ennesimo decreto attuativo ritardatario.

UNITELNews24 69

Appalti

La trasparenza negli Enti Locali Marco Porcu, Il Sole 24 ORE – Tecnici24 – 25 novembre 2014 La trasparenza è uno dei principi che devono necessariamente reggere l’attività amministrativa,

insieme a quelli di economicità, efficacia, imparzialità e pubblicità, fissati dall’art. 1, L. 7 agosto

1990, n. 241.

Sono stati molteplici gli interventi legislativi diretti a tutelare i cittadini, assicurando loro la

possibilità di ottenere una miriade di informazioni sulla gestione della res pubblica.

La L. 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della

corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, aveva, come ai più noto, istituito la

Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, ora

divenuta A.NA.C.

La stessa legge, all’art. 1, comma 15, ribadiva come la trasparenza dell’attività amministrativa

costituisse “livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’articolo

117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”, e poneva una serie di obblighi informativi in

capo alle Pubbliche Amministrazioni, concernenti l’obbligo di pubblicare nei siti web istituzionali le

informazioni relative a:

-procedimenti amministrativi, bilanci e conti consuntivi;

-costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini;

-dichiarazioni concernenti la situazione patrimoniale complessiva del titolare di incarichi politici, di

carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico di livello statale, regionale e

locale, nonché tutti i compensi cui dà diritto l’assunzione della carica;

-informazioni relative ai titolari di incarichi dirigenziali nelle Pubbliche Amministrazioni;

-ulteriori atti e documenti ritenuti di pubblico interesse.

Questa infinita serie di obblighi informativi ha dato luogo a un appesantimento eccessivo

dell’attività amministrativa, costringendo tutti i soggetti interessati a intervenire nel proprio sito

web istituzionale e inserire una sezione denominata “Amministrazione trasparente”, in cui

pubblicare i dati richiesti.

UNITELNews24 70

Il rispetto di questi doveri, ha inoltre imposto oneri economici aggiuntivi per le amministrazioni che

hanno dovuto rivolgersi all’esterno per l’inserimento dei dati richiesti, vista l’impossibilità di potervi

farvi fronte con il proprio personale tecnico.

Si assiste ora, forse, a un’inversione di tendenza, in cui si ritiene opportuno valutare se questa

eccessiva trasparenza e pubblicità soddisfa effettivamente l’esigenza mostrata dal legislatore,

ovvero violi la privacy dei soggetti interessati.

Sul punto, si segnala una recente azione (lettera del 30 ottobre 2014) del Garante per la Privacy,

Antonello Soro e del Presidente dell’ANAC, Raffaele Cantone in cui chiedono l’intervento del

Ministro per la semplificazione e per la pubblica amministrazione Marianna Madia.

Si segnala, in particolare, che gli attuali obblighi informativi si applicano indifferentemente a Enti e

realtà profondamente diversi tra loro, “senza distinguere la portata in ragione del grado di

esposizione dell’organo al rischio di corruzione; dell’ambito di esercizio della relativa azione o,

comunque, delle risorse pubbliche assegnate, della cui gestione l’ente debba quindi rispondere.”.

Il documento condiviso dai due presidenti, ritiene opportuna una rivisitazione generale dell’ambito

soggettivo di applicazione degli obblighi di pubblicità e del loro contenuto, “nonché delle modalità

di assolvimento di tali oneri informativi, per i quali non sempre la pubblicazione in rete è garanzia

di reale informazione, trasparenza e quindi democraticità”.

La divulgazione on-line dei dati potrebbe, infatti, essere oggetto di manipolazione e alterazione che

andrebbe contro la ratio prevista dalla norma.

Per tali ragioni, sempre secondo la comunicazione, si potrebbe preferibilmente obbligare le

amministrazioni a pubblicare in sintesi soltanto alcune delle informazioni tutt’ora richieste,

vincolandole al possesso della documentazione corrispondente, così da permettere il libero accesso

al cittadino che lo ritenga opportuno e necessario.

Il bilanciamento fra trasparenza e privacy è tema assai noto e dibattuto e non è questa la sede per

prendere posizione e individuare possibili soluzioni.

A ogni modo, deve rilevarsi l’intervento del Garante per la protezione dei dati personali, con le

“Linee guida in materia di trattamento dei dati personali, contenuti anche in atti e documenti

amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da

altri enti obbligati”, del 15 maggio 2014, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale 12 giugno 2014, n. 134.

In sintesi, le indicazioni fornite dal Garante, impongono la pubblicazione dei soli dati aggiornati e

indispensabili, vietando di diffondere informazioni sulla salute e tutti quei dati che possano

pregiudicare i diritti delle persone.

Per quanto concerne in particolare gli open data, l’obbligo di pubblicazione dei dati in formato

aperto comporta che il riutilizzo dei dati personali non deve pregiudicare il diritto alla privacy.

All’interno della sezione “Amministrazione trasparente”, le Pubbliche Amministrazioni sono infatti

tenute a inserire un alert con cui si informa il pubblico che i dati personali sono riutilizzabili in

termini compatibili con gli scopi per i quali sono raccolti e nel rispetto delle norme sulla protezione

UNITELNews24 71

dei dati personali.

In merito, invece, alla indicizzazione dei dati nei motori di ricerca generalisti, deve esserci una

limitazione ai soli dati tassativamente individuati dalle norme in materia di trasparenza, con

esclusione degli altri dati che si ha l’obbligo di pubblicare per altre finalità di pubblicità.

In conclusione, la necessità di ottenere la massima trasparenza dell’attività amministrativa, deve

inevitabilmente essere bilanciata con la tutela di quanto pubblicato sul web. Sono pertanto legittimi

e necessari tutti quegli interventi diretti a impedire la manipolazione dei dati ed il loro illecito

riutilizzo.

UNITELNews24 72

Pubblica amministrazione

I Comuni e la lotta alla contraffazione Simone D’Antonio, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, 30 Novembre 2014, n. 11/12 La contraffazione è un fenomeno che colpisce soprattutto le aree urbane, manifestando i suoi

effetti in numerosi campi dell’economia e del vivere in comunità. La produzione, la distribuzione e il

consumo di merci contraffatte pone sfide importanti alle amministrazioni nazionali, regionali e locali

non solo sul fronte della sicurezza ma anche su quello della crescita economica. La contraffazione

rappresenta infatti un elemento che spesso ostacola lo sviluppo dell’economia locale nei settori

interessati, favorendo lo sviluppo di forme di economia illegale con una netta riduzione delle

entrate fiscali da parte dei comuni. Sul fronte sociale, la contraffazione danneggia le economie di

interi quartieri attraverso la diffusione di lavoro nero, sfruttamento lavorativo e minorile che

incidono sui livelli di istruzione e, più in generale, sulla coesione sociale delle zone interessate. Tali

fenomeni si legano a doppio filo alle tematiche della sicurezza urbana e al modo in cui la

contraffazione contribuisce ad alimentare circuiti criminali e attività illecite svolte soprattutto nelle

città, dall’accattonaggio allo sfruttamento della prostituzione fino al traffico di stupefacenti. Più in

generale la contraffazione si lega a problemi di ordine e decoro pubblico, con la presenza di

venditori abusivi sulle strade principali e conseguenze forti sul commercio regolare, oltre che sulla

vivibilità di molte tra le zone più centrali delle città italiane. Ciò provoca una diffusa percezione di

insicurezza e illegalità da parte dei residenti, oltre a contribuire a una riduzione dell’attrattività

turistica delle zone interessate da tali fenomeni. Il carattere combinato di tali fenomeni impone

un’azione multilivello, che coinvolga enti locali e forze di polizia nel contrasto a un fenomeno solo

apparentemente marginale ma che impatta sulla qualità della vita e degli spazi pubblici soprattutto

in aree urbane di medie e grandi dimensioni. La necessità di definire politiche adatte a contrastare

la contraffazione a livello locale in maniera strutturale e non solo emergenziale sta alla base di

un’azione sempre più coordinata fra comuni e autorità preposte alla sicurezza, producendo una

serie di progetti e iniziative che mettono il nostro Paese all’avanguardia nel contrasto alla

contraffazione soprattutto nelle aree urbane.

La contraffazione in Italia: le cifre del fenomeno

Secondo i dati del Rapporto 2014 del Censis, il mercato del falso ha visto un giro d’affari di circa 6

miliardi e mezzo di euro. Abbigliamento e accessori sono i settori maggiormente colpiti dalla

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contraffazione, con un fatturato complessivo che supera i 2 miliardi e 243 milioni di euro (34,3%

del totale), seguito dal comparto Cd, Dvd e software che totalizza 1,786 miliardi di euro, ovvero il

27,3%. Significativa anche la quota di mercato dei prodotti alimentari contraffatti, che ammontano

a circa un miliardo di euro pari a circa il 16% del totale. La crisi colpisce anche il settore del falso,

se si mette in luce il calo del fatturato rispetto al 2010 (che presentava un valore pari a 7 miliardi e

326 milioni di euro) e al 2008, quando totalizzava rispettivamente 7 milioni e 689 milioni di euro. I

settori in cui il fatturato è calato di più sono orologi e gioielli (-20%) seguito da abbigliamento e

accessori (-14,8%). Il calo della domanda interna colpisce anche questo particolare settore

economico illegale, costringendo buona parte delle famiglie a tagliare assieme a tutti gli altri tipi di

consumo anche quelli per i beni contraffatti (si veda Tabella 1).

L’indagine Censis evidenzia quanto l’impatto del mercato del falso sia significativo sull’economia

italiana e per le entrate dello Stato. Si stima infatti che se fossero stati venduti sul mercato legale

tutti i prodotti acquistati sul mercato illegale si sarebbero avuti 17,7 miliardi di euro di produzione

aggiuntiva e 6,4 miliardi di valore aggiunto (corrispondenti allo 0,45% del Pil italiano). La

produzione di tali beni avrebbe inoltre richiesto l’impiego di 105mila unità lavoro a tempo pieno,

pari allo 0,44% dell’occupazione complessiva nazionale, apportando così una spinta forte alla

creazione di nuovi posti di lavoro a livello locale. Ancora più significative le perdite dello Stato

legate alla contraffazione: riportare nell’ambito della legalità quanto prodotto e commercializzato

nell’ultimo anno porterebbe un gettito complessivo di 5 miliardi e 280 milioni di euro, che

attualmente corrispondono a un ammanco del 2% del totale delle entrate dello Stato. I soggetti

maggiormente colpiti dalla contraffazione sono le imprese, danneggiate non solo sul fronte della

produzione ma più in generale dai diversi passaggi della filiera illegale, che vanno dal trasporto alla

distribuzione delle merci fino, più in generale, alla creazione di un contesto locale negativamente

permeato da forme “regolari” di illegalità e quindi meno propenso ad accoglierne iniziative di

contrasto (si veda Tabella 2).

Imprese irregolari, sfruttamento del lavoro e immigrazione irregolare sono i fenomeni illegali

maggiormente denunciati dagli imprenditori, che ritengono in crescita sia la produzione che

l’acquisto di merci contraffatte sui territori. L’ultimo rapporto Censis evidenzia quanto sia ancora

insufficiente il livello di conoscenza degli strumenti a disposizione delle imprese per tutelare la

proprietà industriale. Dispositivi anticontraffazione, registrazione di marchi collettivi, disegni o

modelli oppure i controlli nella catena produttiva e distributiva sono alcuni degli strumenti di tutela

meno conosciuti o meno utilizzati dalle imprese, nonostante la presenza di sportelli di supporto e

tavoli di coordinamento diffusa sul territorio ancora a macchia di leopardo (con maggiore diffusione

al Centro-Nord e più scarsa al Sud). Numerosi gli interventi ritenuti decisivi dalle imprese per

contrastare le contraffazioni. Dagli incentivi con cofinanziamento pubblico-privato agli investimenti

su innovazione, nuove tecnologie fino all’adozione di sistemi di tracciabilità e l’introduzione di

UNITELNews24 74

sistemi di tracciabilità obbligatori, queste misure sono indicate come un necessario supporto da

parte dello Stato per il contrasto alla contraffazione. L’introduzione di sistemi di tracciabilità e

l’aumento dei controlli sulla filiera di produzione e distribuzione sono ritenute invece azioni che le

stesse imprese possono mettere in campo per contrastare il mercato del falso e al contempo

rafforzare il legame di fiducia tra produttore e consumatore (si veda Tabella 3).

Svolgere un’azione culturale soprattutto nei confronti dei consumatori più giovani rappresenta una

priorità che emerge dalle indagini demoscopiche che si sono succedute nel corso del tempo, dalle

quali emerge l’intenzionalità della scelta di acquistare prodotti falsi, reperiti soprattutto per strada

in bancarelle e mercati: meno frequente invece l’acquisto in negozi e via internet. Articoli di

abbigliamento e accessori rappresentano gli articoli maggiormente acquistati dai giovani sul

mercato del falso, seguiti da Cd e Dvd, scarpe e occhiali. Puntare sui temi dello sfruttamento

lavorativo o dell’implicazione della criminalità organizzata nelle catene di produzione e distribuzione

di tali prodotti per indurre i giovani a rivolgersi al mercato regolare rappresenta una possibile

strategia per rendere sempre meno tollerabile e accettato il gesto di comprare contraffatto, che

non provoca soltanto danni alle imprese ma più in generale ripercussioni sui contesti di vita

quotidiani (si veda Tabella 4).

I comuni e il contrasto alla contraffazione a livello locale

Considerato il forte impatto della contraffazione sulle economie locali e più in generale sulla

sicurezza e la coesione sociale dei territori, l’Anci ha svolto attività di sostegno, assistenza tecnica

ed erogazione di servizi nell’ambito del Programma nazionale di azioni territoriali

anticontraffazione, che ha preso piede a partire dall’analisi dei fabbisogni di comuni e corpi di

Polizia municipale coinvolti nelle azioni di contrasto alla contraffazione. Oltre settanta comuni

hanno risposto all’invito a presentare proposte per progetti e interventi sul tema e sono in totale

ventisei i comuni che hanno ricevuto finanziamento ai progetti presentati. Tra le azioni ritenute

necessarie per favorire una migliore conoscenza del fenomeno non figurano solo le classiche azioni

di benchmarking o scambio di buone prassi ma anche la formazione degli operatori e l’informazione

dei cittadini attraverso campagne e iniziative specifiche capaci di far comprendere appieno i rischi

legati all’acquisto di prodotti contraffatti. La necessità di migliorare gli strumenti regolamentari e

legislativi a disposizione dei comuni per il contrasto alla contraffazione viene incentivato anche

dalle evoluzioni legislative, che da qualche anno assegnano ai comuni una compartecipazione ai

proventi derivanti dalle attività di contrasto al fenomeno. Le dimensioni significative della

contraffazione soprattutto sulle grandi città (Roma, Milano e Genova sono infatti le città in cui sono

stati sequestrati il numero superiore di oggetti) si accompagna a una capillare diffusione del

fenomeno, con una media di 28 accessori di abbigliamento sequestrati per città. Le attività di

formazione hanno contribuito a rafforzare il coordinamento tra gli attori addetti all’attività di

UNITELNews24 75

contrasto sui territori, contribuendo a qualificare al meglio l’azione delle Polizie locali sul tema nelle

città del programma.

Le esperienze dei comuni: i casi di Milano, Venezia, Torino e San Vito dei Normanni

Il comune ha dato vita al Consiglio milanese anticontraffazione, in collaborazione con il Centro

studi Grande Milano e con l’obiettivo di migliorare la tutela delle produzioni locali e nazionali.

Grazie al coinvolgimento attivo, tra gli altri, della Direzione scolastica provinciale, di Assolombarda,

Rete Imprese Italia, Expo 2015 e Associazione consumatori, sono state realizzate una serie di

attività tra cui l’allestimento di gazebo sulle principali arterie commerciali cittadine in cui gli agenti

hanno educato la cittadinanza sui rischi derivanti dall’acquisto e sulle modalità di riconoscimento

del falso. Oltre 75mila persone hanno visitato il gazebo, nel quale sono stati anche esposti prodotti

contraffatti e distribuito materiale pubblicitario e didattico ai cittadini. Particolare attenzione è stata

riservata ai prodotti tecnologici e all’abbigliamento, ovvero alle tipologie merceologiche

maggiormente acquistate dai più giovani sul mercato del falso. L’utilizzo delle nuove tecnologie per

la realizzazione di azioni di contrasto e monitoraggio attraverso la condivisione di banche dati è al

centro del progetto ‘ Pipols ’ realizzato dal comune di Venezia, che ha realizzato un portale

intercomunale per le polizie locali scientifiche. Il progetto ha favorito la creazione di una rete

digitale investigativa inserita nel più ampio quadro della collaborazione interregionale già attiva con

il comune di Torino, da tempo attivo su questi temi. La condivisione di buone prassi e la formazione

congiunta degli operatori sono solo alcune delle attività in comune messe in piedi nel quadro di una

collaborazione istituzionale che ha favorito la messa in rete di informazioni, procedure e tecnologie

sul contrasto alla contraffazione. Ciò ha portato alla realizzazione di banche dati destinate al

supporto all’attività investigativa e all’analisi dei fenomeni di contraffazione sul livello locale. Il

portale si configura come uno strumento operativo che consente alle polizie locali di ricostruire le

reti attraverso cui avvengono i percorsi di falsificazione comuni e le reti relazionali dei venditori di

prodotti contraffatti. A Torino il progetto ‘ Il Replicante’ ha visto la collaborazione di numerosi

soggetti attivi nel contrasto alle contraffazioni nell’intera area metropolitana (dalle Polizie

municipali di Moncalieri e Venaria Reale fino all’agenzia delle Dogane, Ascom e Confesercenti). Il

progetto ha predisposto una campagna di comunicazione e sensibilizzazione di consumatori e

operatori commerciali sui rischi legati all’acquisto e alla commercializzazione dei prodotti

contraffatti. È stato inoltre messo a disposizione della cittadinanza un infopoint per richiedere

informazioni sul fenomeno o ricevere consulenza su singoli prodotti, reperibile via mail o telefono.

Questo mix di azioni non è stato adottato solo nei comuni di grandi dimensioni ma anche nei centri

più piccoli, che soprattutto in virtù della loro vocazione turistica si trovano a dover affrontare sul

proprio territorio gli effetti dei fenomeni di contraffazione.

Il comune di San Vito dei Normanni ha da un lato definito una serie di azioni di formazione del

UNITELNews24 76

personale di Polizia municipale e dall’altro ha predisposto materiali informativi, come brochure e

manifesti, per sensibilizzare la cittadinanza sul tema della contraffazione e sulle sue conseguenze.

Coinvolte nelle attività promosse dal protocollo d’intesa tra comune e Camera di commercio anche

le scuole superiori, con un concorso intitolato “Fai l’originale ” che ha premiato lo slogan più

efficace da utilizzare nelle successive campagne.

Tabella 1 - Stima del fatturato della contraffazione in Italia per settori, 2012 (v.a. e var. %)

Settore v.a. (mln di euro) Var. %

Prodotti alimentari, alcolici e bevande 1.035,2 15,8

Profumi e cosmetici 108,3 1,7

Abbigliamento e accessori 2.243,3 34,3

Apparecchi e materiale elettrico 586,6 9,0

Materiale informatico 243,2 3,7

Cd, Dvd, cassette audio e video 1.786,5 27,3

Orologi e gioielli 379,8 5,8

Giochi e giocattoli 28,8 0,4

Medicinali 21,4 0,3

Pezzi di ricambio auto 102,1 1,6

Totale 6.535,2 100,0

Fonte: Censis, 2014

Tabella 2 - Stima dell’impatto generato dalla contraffazione sull’economia nazionale, 2012 (v.a.)

Voci

Fatturato interno (mln di euro) 6.535,0

Impatto sulla produzione (mln di euro) 17.773,0

Impatto sul valore aggiunto (mln di euro) 6.370,0

Importazioni attivabili (mln di euro) 5.650,0

Importazioni attivabili per ogni euro di fatturato 0,9

Impatto sull’occupazione (unità di lavoro generabili nel mercato legale) 104.538,0

Unità di lavoro generabili per ogni milione di euro di fatturato 16,0

Fonte: Censis, 2014

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Tabella 3 - Stima della contraffazione in Italia, 2008-2012 (numero indice e valore assoluto in milioni di euro costanti)

Anni v.a. (in milioni di euro a prezzi costanti 2012)

2008 7.689,8

2010 7.326,0

2011 7.366,1

2012 6.535,2

Var. % 2008-2012 -4,7

Var. % 2010-2012 -10,8

Fonte: Censis, 2014

Tabella 4 - Gettito tributario generato dalla contraffazione in Italia per categoria di imposta, 2012 (in mln di euro)

Imposte Su domanda diretta Su

produzione attivata

Totale diretta e attivata

Imposte dirette Gettito Ires-Ire reddito di impresa 210,18 572,62 782,8

Gettito Irap reddito di impresa 101,61 259,62 361,22

Gettito Ire su redditi da lavoro dipendente

232,32 267,9 500,22

Totale imposte dirette 544,1 1.070,11 1.644,25

Imposte indirette Gettito Iva sulla vendita 978,22 2.658,20 3.636,42

Totale imposte indirette 978,22 2.658,20 3.636,42

Totale 1.522,33 3.758,34 5.280,67 Fonte: Censis, 2014

UNITELNews24 78

Pubblica amministrazione

La pubblicazione dei documenti contabili e le altre misure per la trasparenza della finanza locale Paolo Canaparo, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa, 30 Novembre 2014, n. 11/12 Il Dlgs n. 126/2014, recante disposizioni integrative e correttive al Dlgs n. 118/2011, ha introdotto,

con l’adeguamento dei sistemi informativo-contabili, alcuni puntuali obblighi di pubblicazione dei

documenti di programmazione e di rendicontazione degli enti locali al fine di assicurare la più

ampia trasparenza degli andamenti finanziari di ciascuna amministrazione e con ciò agevolare la

loro conoscibilità.

Il decreto legislativo n. 126 del 10 agosto 2014, recante disposizioni integrative e correttive al

decreto legislativo n. 118 del 23 giugno 2011, ha introdotto, con l’adeguamento dei sistemi

informativo-contabili, alcuni puntuali obblighi di pubblicazione dei documenti di programmazione e

di rendicontazione degli enti locali al fine di assicurare la più ampia trasparenza degli andamenti

finanziari di ciascuna amministrazione e con ciò agevolare la loro conoscibilità, non solo da parte

degli operatori, ma anche da parte dei cittadini-utenti-contribuenti, chiamati ad esercitare il c.d.

controllo diffuso, per affiancare e rafforzare quello esercitato dagli organi di controllo interno ed

esterno. Gli interventi del decreto n. 126 consistono in novelle e integrazioni al Titolo I del decreto

n. 118 del 2011, concernente i principi contabili generali e applicati per le regioni, le province

autonome e gli enti locali, e al Testo unico sugli enti locali, e sono stati adottati nell’ambito

dell’esercizio della legge delega n. 42 del 2009 sull’attuazione del federalismo fiscale, che

all’articolo 1, lett. c), ha fatto espresso riferimento, tra i criteri e principi direttivi generali, alla

previsione dell’obbligo di pubblicazione in siti internet dei bilanci delle regioni, delle città

metropolitane, delle province e dei comuni, tali da riportare in modo semplificato le entrate e le

spese pro capite, secondo modelli uniformi concordati in sede di Conferenza unificata.

Il principio contabile generale della pubblicità

Le misure del decreto n. 126 declinano il principio contabile generale della pubblicità di cui al n. 14

dell’allegato 1 al decreto legislativo n. 118 del 2011, che non è stato peraltro modificato nei

contenuti dal correttivo. Il predetto principio attribuisce al sistema di bilancio una funzione

informativa nei confronti degli utilizzatori dei documenti contabili e con ciò assegna

all’amministrazione pubblica il compito di rendere effettiva tale funzione, assicurando ai cittadini e

ai diversi organismi sociali e di partecipazione la conoscenza dei contenuti significativi e

UNITELNews24 79

caratteristici del bilancio di previsione, del rendiconto e del bilancio di esercizio, comprensivi dei

rispettivi allegati, anche integrando le pubblicazioni obbligatorie. Il rispetto del principio di

pubblicità presuppone un ruolo attivo dell’amministrazione pubblica nell’ambito della comunità

amministrata, garantendo trasparenza e divulgazione alle scelte di programmazione contenuti nei

documenti previsionali e ai risultati della gestione descritti in modo veritiero e corretto nei

documenti di rendicontazione, fondamentale - conclude lo stesso punto n. 14 dell’allegato - per la

fruibilità delle informazioni finanziarie, economiche e patrimoniali del sistema di bilancio.

Gli obblighi di pubblicità del decreto legislativo n. 126/2014

In particolare, nell’ambito della totale riscrittura dell’articolo 11 del decreto n. 118, che disciplina

l’adozione di schemi di bilancio comuni, il decreto n. 126 dispone, al comma 2 del predetto articolo,

che le amministrazioni pubbliche redigano un rendiconto semplificato per il cittadino, da divulgare

sul proprio sito internet, recante una esposizione sintetica dei dati di bilancio, con evidenziazione

delle risorse finanziarie, umane e strumentali utilizzate dall’ente nel perseguimento delle diverse

finalità istituzionali, dei risultati conseguiti con riferimento al livello di copertura e alla qualità dei

servizi pubblici forniti ai cittadini. Si tratta di un documento che intende fornire alle collettività

amministrate una lettura facile e immediata dell’azione degli amministratori, correlando risorse

impiegate e relative finalizzazioni e risultati.

L’articolo 18-bis (“Indicatori di bilancio”), introdotto dal decreto n. 126, aggiunge l’obbligo di

divulgazione, anche attraverso la pubblicazione sul sito internet istituzionale dell’amministrazione

stessa nella sezione “Trasparenza, valutazione e merito”, accessibile dalla pagina principale (home

page), del “Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio”, un sistema di indicatori misurabili

e riferiti ai programmi e agli altri aggregati del bilancio, che devono essere costruiti da ciascun ente

locale secondo criteri e metodologie comuni. Il piano è parte integrante dei documenti di

programmazione e di bilancio di ciascuna amministrazione ed è diretto - evidenzia la relazione

illustrativa al decreto n. 126 - a consentire la comparazione dei bilanci.

Con una modifica all’articolo 174 del Tuel, il decreto n. 126 dispone, inoltre, ai sensi del comma 4

del predetto articolo, la pubblicazione sul sito internet dell’ente locale del bilancio di previsione, del

piano esecutivo di gestione, delle variazioni al bilancio di previsione, del bilancio di previsione

assestato e del piano esecutivo di gestione assestato. Con la sostituzione dell’articolo 172 del Tuel

è imposta poi, alla lettera a) del predetto articolo, la pubblicazione, tra gli allegati al bilancio di

previsione, dell’elenco degli indirizzi internet di pubblicazione del rendiconto della gestione, del

bilancio consolidato deliberati e relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui si riferisce il

bilancio di previsione, dei rendiconti e dei bilanci consolidati delle unioni di comuni e dei soggetti

considerati nel gruppo “amministrazione pubblica” di cui al principio applicato del bilancio

consolidato allegato al decreto legislativo n. 118 del 23 giugno 2011, relativi al penultimo esercizio

UNITELNews24 80

antecedente quello cui il bilancio si riferisce. Solo nel caso in cui tali documenti contabili non

dovessero essere pubblicati integralmente nei siti internet indicati nell’elenco si deve procedere ad

allegarli al bilancio di previsione.

Il successivo articolo 227, al comma 6-bis, introdotto dal decreto n. 126, prevede che, nel sito

internet dell’ente, nella sezione dedicata ai bilanci, debba essere pubblicata anche la versione

integrale del rendiconto della gestione, comprensivo anche della gestione in capitoli, dell’eventuale

rendiconto consolidato, comprensivo della gestione in capitoli e una versione semplificata per il

cittadino di entrambi i documenti. Al rendiconto della gestione deve essere allegato, ai sensi della

lettera a) del comma 5 dell’articolo 227, l’elenco degli indirizzi internet di pubblicazione del

rendiconto della gestione, del bilancio consolidato deliberati e relativi al penultimo esercizio

antecedente quello cui si riferisce il bilancio di previsione, dei rendiconti e dei bilanci consolidati

delle unioni di comuni di cui il comune fa parte e dei soggetti considerati nel gruppo

“amministrazione pubblica” di cui al principio applicato del bilancio consolidato allegato al decreto

legislativo n. 118 del 23 giugno 2011, relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui il

bilancio si riferisce. Tali documenti contabili debbono essere allegati al rendiconto della gestione

qualora non integralmente pubblicati nei siti internet indicati nell’elenco.

Gli altri vincoli di pubblicità

Le predette misure di pubblicità del decreto n. 126 sono state precedute dalla legge n. 89 del 23

giugno 2014, di conversione del decreto legge n. 66 del 24 aprile 2014, recante misure per la

competitività e la giustizia sociale (il c.d. decreto legge bonus Irpef), che ha previsto alcuni

interventi normativi per rafforzare la trasparenza della contabilità pubblica locale e realizzare un

regime di open data dei dati di finanza locale al duplice fine di agevolare il più stringente controllo

diffuso da parte delle collettività amministrate e di favorire comportamenti emulativi tra pubbliche

amministrazioni. Si tratta di interventi che, anche con specificazioni al decreto legislativo 14 marzo

2013, n. 33 (il c.d. Testo unico sulla trasparenza), adottato in attuazione della delega di cui

all’articolo 1, comma 35, della legge n. 190 del 6 novembre 2012 (c.d. legge anticorruzione),

ampliano gli obblighi di diffusione sui siti istituzionali di dati e informazioni sulle modalità di

gestione finanziaria degli enti, assicurandone la più ampia e libera accessibilità e riutilizzabilità.

Il decreto legislativo n. 33 del 2013 ha imposto, all’articolo 29, la diffusione sui siti istituzionali dei

dati relativi al bilancio di previsione e a quello consuntivo di ciascun anno in forma sintetica,

aggregata e semplificata, anche con il ricorso a rappresentazioni grafiche, ciò con l’espressa finalità

di assicurarne la piena accessibilità e comprensibilità. Il successivo articolo 31 ha previsto che le

pubbliche amministrazioni debbano diffondere sui siti istituzionali anche i rilievi, unitamente agli

atti cui si riferiscono, non recepiti degli organi di controllo interno, degli organi di revisione

amministrativa e contabile e tutti i rilievi, ancorché recepiti della Corte dei conti, riguardanti

l’organizzazione e l’attività dell’amministrazione o di singoli uffici. Il comma 1 dell’articolo 8 della

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legge n. 66 del 2014 ha ridefinito gli obblighi ex articolo 29 estendendo il vincolo di diffusione

anche ai documenti e allegati del bilancio preventivo e del conto consuntivo entro trenta giorni

dalla loro adozione. Il nuovo comma 1-bis ha prescritto che i dati relativi alle entrate e alla spesa di

cui ai bilanci preventivi e consuntivi debbano essere pubblicati in formato tabellare aperto, anche

mediante ricorso a un portale unico, in modo che sia possibile l’esportazione, il trattamento e il

riutilizzo. Questo nuovo comma specifica quanto previsto, in via generale, dall’articolo 7 del decreto

legislativo n. 33 del 2013, opportunamente richiamato, che stabilisce che i documenti, le

informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente debbano

essere pubblicati in formato di tipo aperto ai sensi dell’articolo 68 del codice dell’amministrazione

digitale (Dlgs n. 82 del 7 marzo 2005) e riutilizzabili ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 24

gennaio 2006 (Attuazione della direttiva 2003/98/Ce relativa al riutilizzo di documenti nel settore

pubblico), del codice dell’amministrazione digitale e del codice in materia di protezione dei dati

personali (Dlgs n. 196 del 30 giugno 2003), senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare

la fonte e di rispettarne l’integrità. A un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è rimessa

la definizione dello schema-tipo e delle modalità con le quali rendere accessibili tali dati.

Il rafforzamento del regime di trasparenza della contabilità pubblica riguarda anche l’articolo 33 del

decreto n. 33 del 2013 nei termini in cui dispone l’obbligo di pubblicazione, con cadenza annuale, di

un indicatore dei tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture,

denominato “indicatore di tempestività dei pagamenti”. Questa disposizione viene ampliata con la

prescrizione a diffondere, a decorrere dall’anno 2015, un indicatore con il medesimo oggetto con

cadenza periodica trimestrale. Anche in questo caso, la norma rinvia a un decreto del Presidente

del Consiglio dei ministri l’adozione dello schema-tipo e delle modalità con cui elaborare e

pubblicare tali indicatori (annuali e trimestrali).

L’accessibilità al Siope

Il comma 3 dell’articolo 8 della legge n. 89 del 2014 ha inoltre modificato la legge di contabilità e di

finanza pubblica (legge n. 196 del 2009) intervenendo sull’articolo 14 relativo al controllo e al

monitoraggio dei conti pubblici. In particolare, ha disposto che i dati del Siope (Sistema informativo

sulle operazioni degli enti pubblici) gestiti dalla Banca d’Italia siano di “tipo aperto” e liberamente

accessibili da parte dei cittadini e delle amministrazioni pubbliche. Si rammenta che il Siope è un

sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le

amministrazioni pubbliche (frutto della collaborazione tra la Ragioneria generale dello Stato, la

Banca d’Italia e l’Istat), disciplinato dall’articolo 14, commi 6-11, della legge n. 196 del 2009. Esso

è strumento volto alla rilevazione in tempo reale del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche

(superando la tradizionale rilevazione dei flussi trimestrali di cassa) e a una più puntuale

predisposizione delle statistiche trimestrali di contabilità nazionale, ai fini della verifica delle regole

previste dall’ordinamento comunitario (procedura su disavanzi eccessivi e Patto di stabilità e

UNITELNews24 82

crescita). Le nuove modalità di accesso al Siope, nel rispetto del codice dell’amministrazione

digitale, sono state stabilite, secondo quanto previsto dallo stesso comma 3 dell’articolo 8 della

legge n. 89 del 2014, dal decreto del ministero dell’Economia e delle finanze adottato il 30 maggio

2014. Il provvedimento prevede che la banca dati debba essere organizzata in modo da consentire

la consultazione e l’estrazione dei dati riguardanti almeno: a) gli incassi e i pagamenti giornalieri

per singolo ente; b) gli incassi e i pagamenti mensili, trimestrali e annuali per singolo ente; c) gli

incassi e i pagamenti mensili, trimestrali e annuali, aggregati per comparti di enti, in ambito

provinciale, regionale e nazionale. Lo stesso decreto stabilisce che, entro il 1° gennaio 2015, la

banca dati Siope deve essere organizzata in modo tale da consentire il confronto della spesa tra

enti diversi, con ciò garantendo la raffrontabilità dei dati non solo a fini conoscitivi ma anche di

stimolo ad atteggiamenti emulativi tra le diverse amministrazioni. Le amministrazioni pubbliche

che, per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, hanno la necessità di acquisire i dati Siope

organizzati secondo forme differenti da quelle previste ai fini predetti, possono comunque fruirne

con le modalità previste dall’articolo 50, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 82 del 7 marzo

2005. In tal senso il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato è tenuto a rendere

disponibili i dati Siope attraverso apposite convenzioni aperte all’adesione di tutte le

amministrazioni interessate senza oneri a loro carico nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 58

del citato decreto legislativo. Nelle more della definizione di tali strumenti convenzionali, le

amministrazioni pubbliche possono richiedere tali dati al dipartimento della Ragioneria generale

dello Stato, con nota firmata dal rappresentante legale del richiedente o da un suo delegato,

specificando il motivo della richiesta e il nominativo della persona incaricata della gestione dei dati,

con i riferimenti telefonici e di posta elettronica. Le richieste di estrazione dati possono essere

presentate anche da enti e istituzioni di ricerca aventi natura giuridica privata, per lo svolgimento

di attività di studio e analisi riguardanti l’attività finanziaria delle amministrazioni pubbliche, di

interesse per la finanza pubblica.

La pubblicità dei tempi di pagamento

Sul versante dei pagamenti, l’articolo 41, comma 1, del decreto legge n. 66 del 2014, conv. dalla

legge n. 89 del 2014, ha introdotto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, a decorrere

dall’esercizio 2014, di allegare alle relazioni ai bilanci consuntivi o di esercizio (per le

amministrazioni dello Stato a ciascun stato di previsione della spesa in sede di rendiconto generale)

un prospetto, sottoscritto dal rappresentante legale e dal responsabile finanziario, che deve

attestare l’importo dei pagamenti relativi a transazioni commerciali effettuate dopo la scadenza dei

termini previsti dal decreto legislativo n. 231 del 2002, recante “Attuazione della direttiva

2000/35/Ce relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, nonché il

c.d. indicatore annuale di tempestività dei pagamenti, che indica i tempi medi di pagamento relativi

agli acquisti di beni, servizi e forniture. In sede di conversione del decreto legge è stato inserito il

riferimento specifico a tale indicatore in luogo della generica dizione di “tempo medio dei

UNITELNews24 83

pagamenti effettuati”, individuato dall’articolo 33 del decreto legislativo n. 33 del 2013, che le

pubbliche amministrazioni, con cadenza annuale, sono tenute a pubblicare e che rappresenta, per

ciascuna PA, i tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture. Si ricorda

che il decreto legislativo n. 231 del 2002 è stato ampiamente modificato dal decreto legislativo n.

192 del 9 novembre 2012, che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva 2011/7/Ue

(sostitutiva della precedente direttiva 2000/35/Ce) relativa ai ritardi dei pagamenti nelle

transazioni commerciali concernenti contratti di fornitura di beni e servizi sia tra privati che tra

privati e pubbliche amministrazioni. In particolare i termini ordinari per il pagamento nelle

transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione sono ora fissati in

30 giorni, termine prorogabile fino a 60 giorni solo in presenza di determinate condizioni. In caso di

superamento dei termini, il comma 1 dell’articolo 41 della legge n. 89 del 2014 ha previsto che,

nelle relazioni al bilancio consuntivo o di esercizio delle pubbliche amministrazioni, debbano essere

indicate le misure adottate o previste per consentire la tempestiva effettuazione dei pagamenti;

dette attestazioni sono sottoposte a verifica contabile da parte dell’organo di controllo di regolarità

amministrativa e contabile. Il comma 2 ha aggiunto che le amministrazioni, esclusi gli enti del

Servizio sanitario nazionale, che, sulla base delle predette attestazioni, registrino tempi medi nei

pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, non possono,

nell’anno successivo a quello di riferimento, procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo,

con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e

continuativa, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto inoltre divieto agli

enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi del predetto

divieto. Il comma 3, infine, è intervenuto sul sistema di premialità previsto in favore degli enti

locali rispettosi del patto di stabilità interno, ai sensi del comma 122 dell’articolo 1 della legge n.

220/2010, limitandone l’applicazione in favore dei soli enti locali che risultino essere rispettosi dei

tempi di pagamento. A essi soltanto, dunque, si applica la riduzione degli obiettivi finanziari del

patto di stabilità interno, sulla base dei criteri, individuati con decreto del ministro dell’Economia e

delle finanze, di cui al medesimo comma 122.

La pubblicazione dei dati dei consuntivi degli enti locali

L’articolo 43 della legge n. 89 del 2014 è intervenuto, infine, sulla contabilità degli enti locali, con

una integrale riformulazione dell’articolo 161 del Testo unico dell’ordinamento degli enti locali.

L’innovazione risiede nella prescrizione del 31 maggio dell’anno successivo a quello di riferimento,

quale termine ultimo per la trasmissione (al ministero dell’Interno) delle certificazioni relative al

rendiconto della gestione da parte degli enti locali. Intendimento della norma è una accelerazione

dei tempi di acquisizione di tali certificazioni. Nella riscrittura dell’articolo 161 del Testo unico, si

specifica che per “enti locali” destinatari dell’obbligo di certificazione, siano da intendersi anche le

unioni di comuni, e che la sospensione dei pagamenti da parte del ministero dell’Interno,

conseguente all’inadempienza da parte degli enti locali, investa le risorse finanziarie dovute a

UNITELNews24 84

qualsiasi titolo da quel Ministero, incluse quelle a valere sul fondo di solidarietà comunale. A tali

prescrizioni si accompagna la più articolata ed estesa pubblicità a cura del ministero dell’Interno dei

dati delle certificazioni. L’articolo 161 ora prevede infatti, che essi siano resi noti, sul sito internet

della Direzione centrale della finanza locale del predetto ministero, anche ai fini del loro

inserimento nella banca dati unitaria delle amministrazioni pubbliche, istituita presso il ministero

dell’Economia e delle finanze, di cui all’art. 13 della legge di contabilità nazionale. La norma

previgente si rivolgeva alle regioni, alle associazioni rappresentative degli enti locali, alla Corte dei

conti e all’Istituto nazionale di statistica.

L’istituzione della banca dati Opencivitas

Nell’ambito del rafforzamento del regime di trasparenza dei diversi profili di finanza locale e di

efficientamento della spesa pubblica territoriale, rientra anche l’attivazione dallo scorso mese di

luglio 2014 della banca dati dei fabbisogni standard degli enti locali dati, chiamata Business

intelligence opencivitas. In questa banca dati elaborata da Sose in collaborazione con il

dipartimento delle Finanze del Mef, confluiscono tutti i dati raccolti con i questionari ad hoc inviati

agli enti locali. Essa vuole costituire - come evidenziato dal direttore dell’agenzia delle Entrate nella

audizione del 25 settembre 2014 dinanzi alla Commissione bicamerale sull’attuazione del

federalismo fiscale - lo strumento on line di esplorazione, benchmark e simulazione dei dati dei

comuni, delle unioni dei comuni, per consentire ai cittadini e agli amministratori locali di monitorare

il fabbisogno finanziario e la performance degli enti locali, confrontando il posizionamento del

proprio ente rispetto agli altri, così da rendere più facile il controllo diffuso e supportare al

contempo le amministrazioni nell’individuazione delle strategie di gestione per l’erogazione più

efficiente dei servizi. Essa è articolata in tre sezioni: Fabbisogni standard, Indicatori di gestione e

Benchmark. Nella sezione “Fabbisogni standard”, è possibile effettuare il confronto tra Fabbisogno

standard e spesa storica per funzione/servizio; gli “Indicatori di gestione” consentono di misurare

l’efficienza e l’efficacia della spesa per valutare l’adeguatezza dei servizi; la sezione “Benchmark”

permette di conoscere il posizionamento di un ente rispetto agli altri enti, con particolare

attenzione a quelli simili o limitrofi. È possibile effettuare un benchmark con altri enti a livello di

singola funzione/servizio sul fabbisogno, sugli indicatori di gestione o sui dati del questionario.

Oltre alle funzionalità appena descritte per gli enti locali, la disponibilità delle funzionalità e degli

indicatori gestionali contenuti nella BI Opencivitas sarà estesa, nell’intendimento del Governo, nel

mese di ottobre anche a tutti i cittadini (e non solo agli enti locali), che avranno, in tal modo, a

disposizione informazioni omogenee, utili per la valutazione delle scelte operate dagli

amministratori locali. Si tratta di un’innovazione importante per la trasparenza delle informazioni e

per l’esercizio di un reale controllo democratico sulle scelte operate dagli amministratori locali,

nella prospettiva di una maggiore accountability e trasparenza del loro operato.

UNITELNews24 85

Pubblico impiego

I vincoli al finanziamento del trattamento accessorio Donato Centrone, Il Sole 24 ORE – Diritto e Pratica Amministrativa – 30 Novembre 2014, n. 11/12

Con deliberazione n. 26/Qmig del 21 ottobre 2014, la sezione autonomie della Corte dei conti ha

chiarito, con pronuncia di orientamento generale (art. 6, comma 4, Dl n. 174/2012, conv. con

legge n. 213/2012), che “le risorse del bilancio che i comuni di minore dimensione demografica

destinano, ai sensi dell’art. 11 del Ccnl 31 marzo 1999, al finanziamento del trattamento accessorio

degli incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali, rientrano

nell’ambito di applicazione dell’art. 9, comma 2-bis, del Dl 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con

modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni”.

La questione di fondo

La questione era stata sollevata dalla sezione regionale di controllo per la Basilicata (deliberazione

n. 61/2014), che aveva evidenziato divergenze interpretative tra la Src Veneto (del. n. 71/2012),

secondo la quale il citato art. 9, comma 2-bis, non facendo espresso riferimento al “fondo” per la

contrattazione integrativa, includerebbe nella nozione di “trattamento accessorio” tutti gli

emolumenti corrisposti a tale titolo, indipendentemente dalla loro allocazione in bilancio, e le Src

Lombardia (del. n. 59/2012) e Liguria (del. n. 17/2014), il cui avviso contrario trovava fondamento

in precedente pronuncia nomofilattica delle sezioni riunite in sede di controllo (Qm 51/Contr/2011),

da cui emergeva che la latitudine operativa della disposizione vincolistica era riferita alle risorse del

fondo (in aderenza alla circolare Mef-Rgs n. 12 del 15 aprile 2011).

I precedenti

Alcune sezioni regionali avevano già rilevato l’emersione di una nozione di “trattamento accessorio”

che lasciava aperte alcune problematiche (Src Lombardia, del. n. 59/2012/Par), per esempio in

tema di assoggettamento delle risorse destinate al lavoro straordinario (non comprese nel fondo,

ma ritenute ugualmente soggette a limitazione, Src Lombardia, del. n. 423/2012/Par).

La deliberazione n. 26 della sezione autonomie

La sezione autonomie, con la deliberazione n. 26/2014, fornisce un importante chiarimento,

precisando come il “tetto 2010”, posto dal citato art. 9, comma 2-bis, si applichi sia alle risorse

imputate al fondo per la contrattazione integrativa (come individuate dal Ccnl), che a quelle

UNITELNews24 86

direttamente stanziate nel bilancio dell’ente, purché destinate al trattamento accessorio (come

previsto, in alcuni casi, sia dal Ccnl enti locali, che da altri Ccnl di comparto).

La disposizione è inserita, infatti, in un complesso di norme (l’art. 9 del Dl n. 78/2010, conv. con

legge n. 122/2010) volte a perseguire chiari obiettivi di contenimento della spesa di personale.

Pertanto, il significato precettivo non può non tenere in considerazione, anzitutto, l’espressione

letterale adoperata dal legislatore (“l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente

al trattamento accessorio del personale”) che denota la volontà di ricomprendere nella fattispecie

ogni genere di risorse.

La sezione delle autonomie conferma, tuttavia, le eccezioni già individuate da Ss.Rr. nella

deliberazione n. 51/2011, in particolare escludendo dal vincolo le risorse destinate a remunerare

prestazioni professionali di dipendenti, individuati o individuabili, che, in alternativa, l’ente

dovrebbe acquisire all’esterno, con costi aggiuntivi. Tale caratteristica è stata riconosciuta per i c.d.

incentivi alla progettazione (oggetto di rivisitazione con gli artt. 13 e 13-bis del Dl n. 90/2014,

conv. con legge n. 114/2014) e per i compensi attribuibili all’avvocatura interna (oggetto di

riduzione con l’art. 9 del citato Dl n. 90/2014). In tali ipotesi la portata precettiva dell’art. 9,

comma 2-bis viene meno in quanto afferente a risorse che alimentano il fondo in senso puramente

“figurativo”.

In effetti, le fattispecie che Ss.Rr. avevano escluso dal limite riguardano compensi accessori che

non hanno fonte nelle norme del Ccnl che individuano le risorse che possono confluire nei fondi per

la contrattazione integrativa (art. 31 Ccnl 21 gennaio 2004 e art. 15 Ccnl 1 aprile 1999), ma

direttamente in norme di legge (art. 93, commi 7-bis e ss., Dlgs n. 163/2006, per i c.d. incentivi

alla progettazione) o in norme del Ccnl che permettono l’erogazione di compensi accessori “fuori

fondo” (art. 27 Ccnl 14 settembre 2000, per i compensi agli avvocati interni). Le due eccezioni

appaiono, pur nel distinguo motivazionale, conformi all’orientamento adottato da Ss.Rr. nella

deliberazione n. 51/2011, che, nel riprendere la circolare Mef-Rgs n. 12/2011, aveva optato per

un’assimilazione, ai fini dell’art. 9, comma 2-bis, fra “ammontare complessivo delle risorse

destinate al trattamento accessorio” e “fondo per la contrattazione integrativa di ente” (nella

considerazione, esplicitata dalla circolare Mef, della confluenza del trattamento accessorio

individuale nel diverso limite del precedente comma 1 del medesimo art. 9).

La recente deliberazione n. 26/2014/Qmig, nel valorizzare il tenore letterale della norma (primario

criterio di interpretazione ex art. 12 preleggi al codice civile), pone un interrogativo circa la

sostenibilità motivazionale delle due eccezioni, posto che il criterio delle prestazioni professionali

acquisibili con maggiori costi all’esterno, oltre a non essere previsto dalla legge (la cui portata

letterale e vincolante, anche in un’ottica di risparmio complessivo, viene invece affermata), lascia

aperti dubbi applicativi per altre funzioni o servizi per i quali ugualmente sussiste il rischio di

antieconomico ricorso all’esterno (per es., esternalizzazione del servizio di riscossione tributi in

UNITELNews24 87

luogo dell’attribuzione a un dirigente di congrua indennità di posizione; o alla mancata nomina di

un dipendente nel Cda di società partecipata, ex art. 4, Dl n. 95/2012, recentemente modificato

dall’art. 16 del Dl n. 90/2014.)

La sezione delle autonomie richiama, altresì, quale deroga compatibile con lo spirito del vincolo

posto dall’art. 9, comma 2-bis, la presenza di economie di bilancio scaturite da un più efficiente

utilizzo del personale. In questo caso l’intenzione del legislatore di ridurre la spesa di personale,

ponendo un freno al trattamento accessorio, si contrapporrebbe “al favor dello stesso verso

politiche di sviluppo della produttività individuale del personale”. Le autonomie richiamano, in tal

senso, la propria deliberazione n. 2/2013/Qmig. La pronuncia indicata afferiva all’interpretazione

dell’art. 16, commi 4 e 5, del Dl n. 98/2011, conv. con legge n. 111/2011 (norma speciale e

successiva all’art. 9, comma 2-bis), con la quale il legislatore ha permesso di integrare i fondi per

la contrattazione integrativa nella ricorrenza di risparmi, certificati, derivanti da processi di

riorganizzazione e razionalizzazione (per approfondimenti, Src Lombardia, n. 441/2013). Non

appare chiaro se tale orientamento possa essere esteso ad altre ipotesi in cui ricorre la medesima

ratio (risparmi certificati da riorganizzazione o razionalizzazione), propria anche di alcune delle

stesse norme del Ccnl che alimentano il fondo (cfr. art. 15, lett. d, e, k, m, Ccnl 1° aprile 1999).

Un ultimo problema concerne la sovrapposizione di portata precettiva fra i commi 1 e 2-bis dell’art.

9 del Dl n. 78/2010, il primo dei quali àncora al 2010 “il trattamento economico complessivo dei

singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio”. Nella

circolare Mef-Rgs n. 12/2011, ripresa da Ss.Rr. n. 51/Contr/2011, sulla base di una lettura

sistematica, venivano considerate nel tetto del comma 1, oltre al trattamento fondamentale, le

componenti del trattamento accessorio aventi carattere fisso e continuativo (per es., indennità di

amministrazione, retribuzione di posizione ecc.), al netto degli eventi straordinari ivi indicati.

Infatti, “le componenti variabili del trattamento accessorio vengono disciplinate dal comma 2-bis

ove viene previsto un limite… che non incide sui trattamenti individuali dei singoli dipendenti, bensì

sull’ammontare complessivo delle risorse per il trattamento accessorio” (per la cui individuazione

faceva riferimento a quelle destinate al fondo per la contrattazione integrativa).

Conclusioni

Il recente orientamento della sezione autonomie n. 26/2014/Qmig, nel momento in cui àncora la

limitazione posta dal comma 2-bis all’ammontare complessivo delle risorse destinate al

“trattamento accessorio” e non più (o non solo) a quelle che confluiscono, ai sensi del Ccnl, nel

“fondo per la contrattazione integrativa” ripropone due problemi. Da un lato, negli enti di minori

dimensioni, comporta il rischio di sovrapposizione fra i due limiti (al trattamento accessorio

individuale, comma 1, e a quello complessivo, comma 2-bis), rendendo di fatto inoperanti le

eccezioni previste dal comma 1 in caso di conseguimento di “funzioni diverse” (cfr. Src Toscana n.

UNITELNews24 88

205/2010), che, invece, nell’interpretazione sinora seguita, essendo finanziate da risorse del

bilancio (senza confluire nei fondi), erano assoggettate solo al limite del trattamento accessorio

individuale. Dall’altro, imporrebbe di enucleare le risorse effettivamente destinate al trattamento

accessorio, posto che, come noto, quelle confluenti nei fondi per la contrattazione integrativa

remunerano anche componenti del trattamento fondamentale (per es. progressioni economiche ex

art. 5 del Ccnl 31 marzo 1999, o indennità di posizione dei dirigenti nella misura minima, ex artt.

26 e 27, Ccnl 1998/2001). L’effettivo scorporo costituisce tuttavia operazione non semplice.

Appare auspicabile un intervento del legislatore che, alla luce dell’esperienza acquisita in questi

anni, chiarisca la portata applicativa dell’art. 9, comma 2-bis, a beneficio dell’uniformità

applicativa, anche da parte delle altre pubbliche amministrazioni.

Corte dei conti, sezione autonomie, deliberazione n. 26/Qmig del 21 ottobre 2014

Pubblico impiego - Incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali -

Trattamento accessorio - Finanziamento

Le risorse del bilancio che i comuni di minore dimensione demografica destinano, ai sensi dell’art.

11 del Ccnl 31 marzo 1999, al finanziamento del trattamento accessorio degli incaricati di posizioni

organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali, rientrano nell’ambito di applicazione

dell’art. 9, comma 2-bis, del Dl n. 78 del 31 maggio 2010, convertito, con modificazioni, in legge n.

122 del 30 luglio 2010, e successive modificazioni.

UNITELNews24 89

Pubblico impiego

No al lic enziamento senza preavviso del dipendente pubblico in difetto di sentenza di condanna Mario Piselli, Il Sole 24 ORE - Guida agli Enti Locali - Edizione del 21 novembre 2014 - Numero OnLine Interessante questione è quella decisa con la sentenza n. 24728/14 dalla Suprema Corte di

Cassazione, Sezione Lavoro, con la quale quest'ultima si è pronunciata in tema di licenziamento,

senza preavviso, di un dipendente di un ente pubblico arrestato in flagranza di reato per il delitto di

corruzione e destinatario di un provvedimento di custodia cautelare in carcere.

L'impugnazione

Nella fattispecie, l'ente aveva impugnato presso la Corte d'Appello il lodo con il quale il collegio di

disciplina costituito presso il suo dipartimento del personale aveva annullato il suddetto

licenziamento senza preavviso, adducendo quale motivazione che il collegio aveva disapplicato

l'articolo 68, comma 8, lettera g) del contratto collettivo, sul presupposto che esso contrastasse

con il disposto normativo di cui alla legge 97/2001, e poi perché non aveva tenuto conto che le

disposizioni del suo statuto regionale conferivano autonomia normativa all'ente in materia di stato

giuridico ed economico dei suoi impiegati e funzionari.

La Corte d'Appello rigettava l'impugnazione ritenendo che la legge 97/2001 avesse disciplinato

esaustivamente il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare e, di conseguenza,

dovesse ritenersi illegittima la disposizione contenuta nella contrattazione collettiva, addotta a

fondamento del provvedimento espulsivo.

La Cassazione

A tale decisione non si atteneva l'ente pubblico il quale impugnava la decisione per cassazione,

osservando che la fattispecie in esame, cioè il licenziamento senza preavviso di un dipendente per

l'arresto in flagranza per i reati di peculato, concussione e corruzione, non fosse espressamente

disciplinato dalla legge 97/2001 e che, in ogni caso, essendo tale fatto configurabile come grave

infedeltà, lo stesso avesse forza tale da rompere, in maniera irreversibile ed irrimediabile, il

rapporto di fiducia tra la pubblica amministrazione ed il lavoratore medesimo.

UNITELNews24 90

Osservava, inoltre, l'ente che la norma contenuta nel contratto collettivo costituiva integrazione

della norma contenuta nella legge suddetta.

La decisione

Il giudice di legittimità non ha condiviso tale assunto, osservando intanto che le disposizioni

contenute nel contratto collettivo non possono mai prevalere sulla normativa prevista dalla legge.

In particolare, quest'ultima, nel regolare il rapporto tra procedimento penale e quello disciplinare,

ha stabilito che l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego segue di diritto soltanto alla

sentenza di condanna alla reclusione, non inferiore a tre anni, per i delitti di cui agli articoli 314,

rimo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale, mentre negli altri casi l'estinzione

può essere disposta soltanto a seguito di procedimento disciplinare.

La Corte ha, inoltre, considerato del tutto infondata non solo la tesi dell'ente secondo cui la

previsione del contratto collettivo fosse del tutto autonoma rispetto alla disciplina di legge e che,

addirittura, non interferirebbe sulla stessa, ma anche quella secondo cui l'autonomia normativa,

conferita dallo statuto regionale in materia, fosse tale da poter attribuire al contratto collettivo un

rango superiore a quello della legge.

UNITELNews24 91

Pubblico Impiego

Diritti di rogito dei segretari, nei pi ccoli enti dopo il taglio p ossono anche aumentare Arturo Bianco, Il Sole 24ORE – Guida agli Enti locali, Edizione del 26 novembre 2014 - Numero

OnLine

I segretari dei Comuni in cui non vi sono i dirigenti possono percepire i diritti di rogito per l'intera

quota introitata dall'ente, purché restino entro il tetto di 1/5 del proprio trattamento economico

annuo. Questo principio si applica fino a che il nuovo contratto nazionale non avrà stabilito la

misura della quota spettante di questi compensi.

La delibera

È questa la indicazione fornita dalla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti della Sicilia

con il parere 194/2014. Come in ogni telenovela che si rispetti, ad ogni puntata vi è una novità e,

come si suol dire, non è finita qui. D'altronde è questa la logica conseguenza di norme redatte in

modo assai approssimativo. Sulla base di questa pronuncia si realizzerebbe per molti segretari un

aumento di fatto rispetto ai compensi effettivamente percepiti a questo titolo prima del Dl 90/2014,

che nel testo iniziale aveva abrogato questa voce. La scelta contenuta nel parere di considerare la

contrattazione collettiva come abilitata a fissare la quota dei compensi che possono essere attribuiti

ai segretari a questo titolo non appare pienamente convincente, in quanto vi sono numerose

ragioni che spingono ad attribuire tale facoltà alle singole amministrazioni, visto che questi

compensi oggi vengono integralmente acquisiti nel bilancio dei singoli comuni. Il parere, nella

prima parte, consolida le indicazioni già fornite dalle deliberazioni della sezione regionale di

controllo della Corte dei Conti della Lombardia con le delibere 275e 297: i segretari che svolgono la

loro attività nei comuni senza dirigenti hanno diritto a percepire i compensi di rogito. Questa scelta

legislativa viene spiegata con la constatazione che negli enti privi di dirigenti il trattamento

economico accessorio dei segretari è significativamente più ridotto, in quanto essi non possono

"galleggiare" -avere cioè come minimo lo stesso compenso di posizione- rispetto al salario

accessorio dei dirigenti, ma solamente su quello significativamente più basso delle posizioni

organizzative.

La novità

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Veniamo alla parte innovativa del parere. Va ricordato in premessa che espressamente il legislatore

ha abolito il modo di calcolare questi oneri, che prima venivano liquidati entro la soglia del 67,5%

di quanto incassato dall'ente (cioè al 75% di quanto restava all'ente detratte le quote, il 10%,

trasferite all'Agenzia dei segretari). Ed ha lasciato solamente il vincolo di non superare 1/5 del

trattamento economico annuo, mentre invece prima tale tetto era fissato in 1/3. Da qui la

seguente conclusione: «l'espressione adottata dal legislatore induce a ritenere che gli importi dei

diritti di segreteria e di rogito vadano introitati integralmente al bilancio dell'ente locale, per essere

erogati, al termine dell'esercizio, in una quota calcolata in misura non superiore al quinto dello

stipendio in godimento. Pertanto, nel silenzio della legge ed in assenza di regolamentazione

nell'ambito del contratto collettivo nazionale di categoria successivo alla novella, i proventi in

esame sono attribuiti integralmente al segretario comunale, laddove gli importi riscossi dal comune

non eccedano i limiti della quota del quinto delle retribuzione in godimento».

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Pubblico Impiego

Assunzioni, la sezione Autonomie bl occa il conteggio dei «resti» per il turn over Gianluca Bertagna, Il Sole 24ORE – Guida agli Enti locali, Edizione del 26 novembre 2014 - Numero

OnLine

Gli enti locali, nel 2014, non possono utilizzare, quale capacità assunzionale, i "resti" provenienti

dagli anni precedenti. Le nuove regole di turn-over sono compiutamente definite nel Dl 90/2014 e

non sono permesse interpretazioni estensive, rispetto al tenore letterale della norma.

La pronuncia

La sezione Autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione n. 27/2014, mette un altro tassello

alle vicende sul personale dei Comuni, trattando, in questo caso, la problematica della facoltà di

assumere. Con la deliberazione n. 25/2014, era stato da poco chiarito il parametro per la riduzione

della spesa di personale, ovvero il triennio 2011/2013. Ora viene affermato che, in materia di

assunzioni, gli enti locali dovranno fare riferimento solo alla capacità di turn-over riscritta dal

decreto.

Il problema

La questione nasce dal fatto che, spesso, non sempre si riesce ad utilizzare nell'anno successivo la

capacità assunzionale prevista, in quanto troppo limitata oppure per problemi di bilancio o di tempi

di svolgimento dei concorsi. Con la deliberazione n. 52/2010, le Sezioni Riunite avevano reso

possibile "sommare i resti" derivanti dalle cessazioni di più anni, ma solamente per gli enti più

piccoli, ovvero non soggetti a Patto di stabilità. Questa interpretazione era stata poi estesa da più

sezioni regionali della Corte dei conti, anche agli enti sottoposti a patto di stabilità, senza però, mai

giungere, né alle sezioni Riunite, né alla sezione Autonomie. Solo ora viene preso in esame il

contesto complessivo e le conclusioni dei magistrati contabili non sono di certo di grande sollievo

per i comuni.

Il principio

Nella deliberazione n. 27/2014, si ritiene non condivisibile la possibilità di conteggiare tra la

capacità assunzionale degli enti locali, i "resti" derivanti dalla normativa previgente al Dl 90/2014.

La nuova disposizione costituisce, pertanto, una cesura rispetto alla precedente regolamentazione

ed è atta a rappresentare le regole di turn-over solo per il futuro. Dal 2014 in poi, quindi, in sede di

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programmazione di fabbisogno e finanziaria, si potrà tenere conto delle cessazioni prevedibili

nell'arco di un triennio, che inevitabilmente, diventeranno cessazioni in parte già verificatesi nel

momento in cui il concorso si conclude, e dunque rilevanti al momento dell'assunzione. Il punto di

partenza è, quindi, la capacità assunzionale del 60%, rispetto alle cessazioni del 2013 (la

percentuale sale all'80% se il rapporto tra spese di personale e spese correnti è inferiore al 25%) a

cui si potranno aggiungere le disponibilità che si creeranno alla luce delle cessazioni dell'intero

triennio

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Casi pratici

Edilizia

IL SILENZIO DEL COMUNE SI IMPUGNA DAVANTI AL TAR

D. Un mio vicino ha eretto una enorme pensilina sul proprio balcone fissandola alla pavimentazione

del mio balcone. Alle mie contestazioni ha chiesto ed ottenuto un'autorizzazione in sanatoria. Ho

chiesto, quindi, al responsabile tecnico del Comune, all'assessore all'urbanistica, al sindaco e poi al

dirigente della polizia municipale di verificare la conformità del manufatto all'autorizzazione fornita

e al regolamento edilizio locale. Non ho ricevuto risposta, anzi hanno sollevato eccezioni alla mia

richiesta di visionare il fascicolo, cosa che alla fine mi sarà sicuramente negata. È legittimo quanto

accade o si può contestare l'omissione di atti di ufficio e una responsabilità amministrativa in

quanto si viene meno alla funzione di vigilanza nella propria materia? Vorrei capire cosa posso fare

e se è proprio necessario avviare una causa legale.

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R. La legge 241/1990 riconosce il diretto di accesso agli atti dell’amministrazione in virtù di un

interesse concreto ed attuale, collegato al documento al quale è chiesto l’accesso e lo stesso può

essere negato solo quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone

fisiche; l’interessato può ricorrere al Tar per il diniego o il silenzio serbato dall’amministrazione.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 11 del Dpr 380/2001, Testo Unico edilizia, il titolo edilizio è sempre

rilasciato fatti salvi i diritti dei terzi, che possono promuovere azione alla competente autorità

giurisdizionale al fine di non pregiudicare posizioni soggettive proprie, contrastanti con quanto

assentito, specialmente nel caso in cui l’intervento sia invasivo della proprietà altrui e

pregiudizievole del libero godimento da parte del proprietario. Quindi, se di regola

l’amministrazione non è chiamata a svolgere complesse indagini volte a ricostruire le vicende

concernenti la titolarità del bene, è comunque tenuta a verificare se l’istanza edificatoria sia

sorretta dall’effettiva disponibilità del bene, soprattutto nel caso in cui un altro soggetto si attivi per

esprimere la propria posizione. L’amministrazione, perciò, in presenza di una segnalazione

sottoscritta, circostanziata e documentata ha l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e

verifica dell’abuso, della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel senso dell’esercizio del

potere sanzionatorio che in quello della motivata archiviazione, dovendosi escludere che la ritenuta

mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sanzionatori possa giustificare un

comportamento meramente silente (Consiglio Stato, sezione IV n.2592/2012). Alla luce di tutto

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ciò, in caso di silenzio od inerzia dell’amministrazione, si dovrà far ricorso all’azione giurisdizionale.

(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 17 novembre 2014)

L'ORDINANZA DI DEMOLIZIONE NON SI PRESCRIVE

D. Il Comune rilascia nel 1997 la concessione edilizia per la costruzione di un immobile. All'interno

di esso, però, viene realizzata abusivamente (ossia senza prevederla in fase di progettazione) una

scala in muratura, per collegare l'ultimo piano con la soffitta. Per tale abuso edilizio, nel 1999,

viene disposto l'abbattimento da parte dell'ufficio comunale. La demolizione, a oggi, non è stata

effettuata. Può il Comune, nel 2014, pretendere la rimozione della scala? In sostanza, le ordinanze

di demolizione dell'ente entro quali termini temporali vanno eseguite?

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R. La risposta al primo quesito è affermativa. L'esercizio dei poteri repressivi in materia di abusi

edilizi non incontra alcun termine di decadenza o di prescrizione e, quindi, non esiste un termine

trascorso il quale l’abuso viene sanato. Nel caso di specie, la mancata rimozione del manufatto

abusivo entro il termine stabilito dall’ordinanza di demolizione comporterà semplicemente che il

Comune sarà autorizzato a emanarne un’altra e, di seguito, ove tale ordinanza non venga eseguita,

l’ente potrà, ex articolo 34, comma 1, del Dpr 380/2001, procedere esso stesso con la demolizione,

ovviamente a spese del responsabile dell’abuso.

(Massimo Sanguini, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)

ILLEGITTIMO IL PERMESSO CONCESSO PRIMA DEL PGT

D. A luglio 2013 il consiglio comunale adotta il nuovo Pgt; a ottobre 2013 un privato protocolla una

richiesta di permesso di costruire, per interventi in contrasto con il vigente Prg; a gennaio 2014 il

consiglio comunale approva il Pgt; a febbraio 2014 il dirigente rilascia il permesso di costruire; a

luglio2014 il Pgt acquisisce efficacia con la pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione

(articolo 13, comma 11, legge 12/2005 della Lombardia). È legittimo il permesso di costruire? In

caso contrario, quali sono i termini per adire le vie legali?

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R. Il piano di governo del territorio (Pgt,) per avere piena efficacia e sostituire in toto il vecchio

piano regolatore generale (Prg), dev'essere pubblicato sul «Bollettino ufficiale Regione Lombardia»

(cosa che, nel caso descritto, è avvenuta a luglio 2014). Di conseguenza, poiché il permesso di

costruire è stato rilasciato prima di questo evento (cioè a febbraio 2014), esso è illegittimo. Infatti,

in questi casi valgono le misure di salvaguardia, ossia per la legittimità del permesso di costruire

occorre che lo stesso non sia in contrasto tanto con il vecchio Prg quanto con l’adottato Pgt.I

termini per adire le vie legali sono normalmente di 120 giorni dal momento in cui si ha notizia del

provvedimento.

(Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)

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Enti locali

COMUNE, IMMOBILI INCEDIBILI CON DATI CATASTALI ERRATI

D. In riferimento alla normativa concernente l'alienabilità degli immobili di proprietà comunale

(articolo 2, comma 59, della legge 662/1996; articolo 40, commi 5 e 6, della legge 47/1985;

articolo 7, comma 2, della legge 136/1999), si chiede se la successiva norma contenuta

nell'articolo 19 della legge 122/2010, circa la conformità dello stato di fatto dell'immobile alle

planimetrie depositate in Catasto, sia ostativa alla vendita in presenza di difformità sostanziali,

quali ampliamenti o sopraelevazioni non sanabili con le procedure ordinarie, previste dagli articoli

36 e 37 del Dpr 380/2001.

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R. La legge 122/2010 statuisce, ai commi 8 e 9, che, entro il 31 dicembre 2010, i titolari di diritti

reali sugli immobili che non risultano dichiarati in Catasto, individuati secondo le procedure previste

dall’articolo 2, comma 36, del Dl 262/2006, erano tenuti a procedere alla presentazione, ai fini

fiscali, della relativa dichiarazione di aggiornamento catastale. L'agenzia del Territorio,

successivamente alla registrazione degli atti di aggiornamento presentati, rende disponibili ai

Comuni le dichiarazioni di accatastamento per i controlli di conformità urbanistico-edilizia,

attraverso il portale per i Comuni (comma 8).Entro il medesimo termine del 31 dicembre 2010, i

titolari di diritti reali sugli immobili oggetto di interventi edilizi che abbiano determinato una

variazione di consistenza o di destinazione non dichiarata in Catasto, erano tenuti a procedere alla

presentazione, ai fini fiscali, della relativa dichiarazione di aggiornamento catastale (comma

9).Sempre la legge 122/2010 ha aggiunto il seguente comma all'articolo 29 della legge 27 febbraio

1985, n. 52: «Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il

trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già

esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari

urbane, a pena di nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate

in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati

catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta

dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato

alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il

notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri

immobiliari». La richiesta di registrazione di contratti, scritti o verbali, di locazione o affitto di beni

immobili esistenti sul territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite,

deve contenere anche l'indicazione dei dati catastali degli immobili. La mancata o errata

indicazione dei dati catastali è considerata fatto rilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta di

registro ed è punita con la sanzione prevista dall'articolo 69 del Dpr 131/1986.Nel rispetto dei

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principi desumibili da questo articolo, nei territori in cui vige il regime tavolare le Regioni a statuto

speciale e le Province autonome adottano disposizioni per l'applicazione di quanto dallo stesso

previsto, al fine di assicurare il necessario coordinamento con l'ordinamento tavolare. L’ultimo

comma citato si riferisce genericamente a tutti gli immobili; attraverso un’interpretazione letterale

della norma, trova applicazione anche ai trasferimenti di beni immobili di proprietà dei Comuni.

Conseguentemente, qualunque atto pubblico o scrittura privata autenticata avente a oggetto la

vendita di immobili comunali, se non contiene i dati indicati nel comma 1-bis citato, sono nulli.

(Paolo Mariotti, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)

IL COMUNE DEVE COLLAUDARE LE OPERE DI URBANIZZAZIONE

D. Abito in un quartiere dove non sono ancora stati effettuati il collaudo e quindi il trasferimento al

Comune delle opere di urbanizzazione (opere già presenti da circa 20 anni). Di conseguenza, il

Comune non esegue manutenzione di nessun tipo anche se i residenti versano le tasse. Dal punto

di vista legislativo, ho visto che il Comune è tutelato. Chiedo quali sono le normative regolanti

questa situazione e se il Comune ha almeno degli obblighi nei confronti dei residenti.

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R. Nell’ambito del piano di lottizzazione, l’articolo 28 della legge n. 1150 del 1942 impone, in capo

all’ente locale, il trasferimento delle opere di urbanizzazione, cui seguono ulteriori obblighi quali la

manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere stesse. Dal tenore letterale della norma, e

stando a talune pronunce della giurisprudenza amministrativa, è pacifico che questi oneri ricadano

interamente sul Comune, il quale provvederà alle spese con gli introiti derivanti dall’imposta

comunale sugli immobili e dalla fiscalità generale, ma solo «una volta acquisite al suo patrimonio

per cessione» e «previo collaudo sulla loro regolare esecuzione» (Consiglio di Stato, sentenza n.

6368/2011 e Tar Cagliari, n.89/2009). Nel caso del lettore, non risulta soddisfatto nessuno dei due

requisiti, pertanto sul Comune non graverebbe alcun onere di manutenzione. Tuttavia, il Tar di

Cagliari (sentenza n.187/2010) in un caso simile a quello proposto, ha sancito come la difformità

delle opere in concreto realizzate dai lottizzanti rispetto al piano di lottizzazione «non può

comportare un rifiuto sine die del Comune di prendersi cura dei servizi pubblici cui le opere di

urbanizzazione sono preordinate» e ancora che, consentire al Comune un perdurante rifiuto di

accollarsi la gestione di tali opere sarebbe una conclusione illogica ed incompatibile con la funzione

mista – privata ma anche pubblicistica – della convenzione di lottizzazione e delle opere da essa

previste, aderendo quindi alla tesi di un dovere di intervento, anche in assenza di effettiva

cessione.

(Umberto Fantigrossi, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 24 novembre 2014)

BILANCI COMUNALI: I PARERI POSSONO ESSERE DISATTESI

D. Su un emendamento al bilancio di previsione 2014 è stato espresso parere contrario dal

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responsabile del servizio finanziario e dal revisore dei conti. È legittimo che il consiglio comunale si

pronunci con votazione sull'emendamento? L'articolo 49, comma 4, del Tuel 267/2000, permette al

consiglio e alla giunta comunale di discostarsi dal parere contrato, con motivazione adeguata. Io

ritengo che il consiglio possa votare l'emendamento, motivandone le ragioni. È corretta questa

interpretazione o l'emendamento non deve essere votato poichè inammissibile o irricevibile?

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R. In merito alla valenza del parere previsto dall’articolo 49, comma 4, del Dlgs 267/2000, la

giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di proporre alcuni chiarimenti utili per la presente

fattispecie. Secondo l’interpretazione maggioritaria, l’articolo 49 rende obbligatoria la presenza del

parere, specialmente quello di regolarità contabile, ed un’eventuale assenza renderebbe illegittima

la deliberazione poiché risulterebbe viziata la fase istruttoria (si veda la del sentenza Consiglio di

Stato, V sezione, n.680 del 1998), mancando l’atto preparatorio che funge da presupposto di

diritto in ordine alla validità formale della deliberazione (Corte dei Conti, Appello, Sicilia,

n.01/A/2009). Ciò stabilito, nulla impedisce agli amministratori di dissociarsi da quanto espresso

nel parere: infatti, se è vero che esso svolge una funzione consultiva di controllo, è altresì vero che

il suo dettato non è vincolante per gli organi rappresentativi poiché, come chiarito dal Tar Napoli

con la sentenza n. 7878/2007 e dallo stesso Consiglio di Stato con la pronuncia di cui sopra, in

caso contrario «si finirebbe con l’attribuire agli organi consultivi l’effettivo potere d’amministrazione

attiva, lasciando ai corpi rappresentativi la funzione di mera ratifica di determinazioni altrui».

Semmai, la necessità di acquisizione del parere è finalizzata a pre-individuare, sul piano formale, i

suoi funzionari redattori, in modo da valutarne la responsabilità in solido, sul piano amministrativo

e contabile, con i componenti degli organi politici votanti la deliberazione stessa.

(Giorgio Lovili, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 24 novembre 2014)

SEGNALAZIONE AL COMUNE SUI PROBLEMI VIABILISTICI

D. Abito in una villetta, con giardino recintato da un'inferriata, che si affaccia su una strada

comunale (senza marciapiede, ma con delimitatori di corsia a circa un metro dalla mia proprietà)

con divieto di sosta. Ci sono due cancelli per il passaggio: quello principale, davanti all'ingresso

dell'abitazione, di circa 1 metro di larghezza, e quello laterale, di circa 2,80 metri, usato molto di

rado. Quest'ultimo scorre orizzontalmente e, essendo molto pesante, richiede uno sforzo fisico non

indifferente per l'apertura/chiusura. In occasione di fiere e mercati, i camion delle bancarelle

ostruiscono il passaggio principale costringendo me e la mia famiglia a passare lateralmente e,

nonostante le mie proteste verbali con gli agenti di polizia urbana, la cosa continua. Che posso

fare?

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R. Se un'area è destinata a mercato dal Comune, deve essere stata necessariamente emessa dallo

stesso Ente un'ordinanza che regoli la viabilità nella zona in occasione dell'evento. Solitamente, tali

ordinanze garantiscono una certa distanza dagli ingressi delle abitazioni, al fine di consentire

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l'accesso dei residenti, tenendo conto anche delle esigenze dei portatori di handicap. Qualora tali

misure non siano rispettate, può essere opportuno inoltrare una segnalazione formale al Comune –

anche per il tramite di un’associazione di consumatori o di un legale – affinché siano assunti i

necessari provvedimenti.

(Maurizio Di Rocco, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 24 novembre 2014)

NOMINE ANNULLABILI IN DIFETTO DI PUBBLICAZIONE

D. Un decreto del sindaco di un piccolo Comune, contenente la nomina della commissione edilizia,

non pubblicato sull'albo pretorio online, è comunque valido a tutti gli effetti di legge?

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R. Premesso che la disciplina della commissione edilizia è in gran parte dettata dalle norme

regionali e dal regolamento edilizio comunale e, quindi, varia sul territorio, in generale si può dire

che eventuali difetti di forma o di procedura dell'atto di nomina, come di ogni altro provvedimento

amministrativo, salvo casi del tutto particolari, non rendono l'atto nullo ma meramente annullabile.

Il che significa che la nomina resta efficace e può solo essere impugnata da chi ne abbia interesse

nel termine di legge. La mancanza della pubblicazione rileverà sul piano della decorrenza di questo

termine, che potrà appunto prescindere dalla pubblicazione, che non è avvenuta, e sarà calcolata

sulla base della conoscenza effettiva.

(Umberto Fantigrossi, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)

ISTANZA DI RIMBORSO ENTRO CINQUE ANNI

D. Sono comproprietario di una mansarda e di un secondo piano non ultimato, mentre il piano

terra e il primo piano sono accatastati. Sulla base della risposta al quesito 1532, pubblicato

dall'Esperto risponde del 12 maggio 2014, dal titolo «L'immobile in costruzione non entra nel 730»,

si evince che l'immobile non è soggetto a Imu. Considerando il pagamento dell'Isi per il 1992,

quelli dell'Ici e dell'Imu fino al 31 dicembre 2013, già effettuati, è possibile inoltrare la richiesta di

rimborso con decorrenza 1992?

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R. Secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza 17035/2013, in caso di

sopraelevazione di un fabbricato già esistente, l'area di sedime dei lavori di costruzione non è

considerata come area edificabile e non è comunque tassabile ai fini Ici/Imu, in quanto ricompresa

nel valore imponibile del fabbricato già ultimato ed esistente. Ne consegue che il pagamento

dell'imposta sulla parte di fabbricato ultimata "assorbe" il tributo dovuto sull'area di costruzione,

fino alla ultimazione dei lavori. Si ritiene che l'istanza di rimborso possa essere presentata, al

massimo, entro il termine decadenziale di cinque anni dal pagamento.

(Luigi Lovecchio, Il Sole 24 Ore – L’Esperto Risponde, 8 dicembre 2014)

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