Una nuova didattica per una scuola che cambia: i fondamenti pedagogici della Riforma Gavirate, 3...

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Una nuova didattica per Una nuova didattica per una scuola che cambia:una scuola che cambia:i fondamenti pedagogici i fondamenti pedagogici

della Riformadella Riforma

Gavirate, 3 novembre 2005

Di cosa parleròDi cosa parlerò Premessa: il ruolo del

docente nella scuola che cambia

quali aperture nella legge di Riforma?

documenti e l’impianto pedagogico

le novità di sistema Il sistema dei licei e

dell’istruzione e formazione professionale

premessapremessa

Il corso è aperto…a diversi sviluppifondamentale è non perdere tempo (ne

abbiamo poco)e rispondere ad esigenzeper cui oggi è una premessa…da sviluppare

Molto spesso gli insegnanti vorrebbero delle “ricette” per poter governare la difficile situazione d’aula

soprattutto vorremmo conoscere e risolvere il problema del disagio di molti nostri alunni (e nostro)

in verità ci possono essere dei consigli, ma la relazione educativa si gioca tutta in classe

in questo senso darò una chiave di lettura, si entrerà in alcun proposte didattiche... (soprattutto guardando la Riforma)

ma consapevolezza che si può cadere nel didatticismo, nell’accanimento didattico che non risolve le situazioni

vorrei fare perciò una premessa sul disagio…proponendovi elementi di riflessione…

e cercando di capire come la Riforma apra (o chiuda) su alcuni aspetti educativi...

Molto spesso parliamo di disagio, ma forse sarebbe più utile parlare della scuola come luogo dell’agio

La scuola dovrebbe essere il luogo di una relazione (alunno/docente) di agio, cioè di uno luogo in cui i due soggetti abbiano un loro spazio di manovra, possano esprimere se stessi

Occupare dei posti, non vuol dire ricoprire un ruolo.Occupare un posto con dignità significa avere autorevolezzaRicoprire un ruolo genera al più autoritàSia alunno sia docente non devono occupare il posto dell’altro.

E’ tutta convenienza del docente onorare il posto dell’altro per metterne a frutto il pensiero (e viceversa)

Cambiare i posti è un tipico caso di dis-agio, perché manca lo spazio relazionale tra i due soggetti

Quando un ragazzo non studia, disturba, crea problemi, vuol dire che per lui la scuola non è più luogo soddisfacente, interessanteDi fronte a ciò, però, forse val la pena abbandonare l’idea di casualità, di determinismo (disagio da tossicodipendenza,, adolescenziale, esistenziale, ecc.)

per cercare una soluzione implicandosi nelle vicende dell’altro (psicologicamente è l’imputabilità). Bisogna cioè chiamarsi in causa come docenti per poterne venire capo (non significa addossarsi delle colpe!). Questo è un aspetto della competenza del docente.

sentirsi preso in causa, da parte del docente,non significa essere in colpa: tuttavia il docente è chiamato in causa a motivo degli effetti di un certo comportamento: ne va del suo beneficioD’altra pare se un allievo disturba, ad esempio, vuol dire che sta lanciando dei messaggi.Allora occorre cercare di entrare in rapporto nei confronti dell’altro soggetti (il ragazzo) che vuole entrare in rapporto con noi.

Troppo spesso invece nella scuola noi cerchiamo di “tirarcene fuori”,di addossare le colpe ad altri, ecc.Non si tratta di “colpevolizzarci”ma di chiedercicome possiamo entrare in rapporto con per risolvere il problema,non di allontanarci dal problema.

Spesso, inconsapevolmente, riduciamo ’insegnamento a un “comando”che non ha niente di interessante per il ragazzo, perché non lo chiama in causaAd es. la Riforma cerca di puntare molto sulla didattica attiva (che non è attivismo)

Quando noi lavoriamo tanto, ma non otteniamo risultati, cerchiamo delle risposte magari dicendo che i ragazzi non si impegnano ecc.Cercare di capire perché il ragazzo non è a suo agio, significa anche mettere nel conto che, come quando invitiamo a cena una persona, ci possa rispondere di sì o di no.Occorre ciò rischiare che ci sia un giudizio dello studente,rischiare che ci dica di no (anche se ci siamo impegnati)e questo ci fa anche soffrire (perché sei tanto bravo in tutte le materie, e nella mia no?)

Il sapere diventa comando quando anteponiamo, ad esempio, il programma a tutto (devo finire il programma)Il programma viene sacralizzato, l’insegnante diventa trasmettitore e impiegato e ne deriva anche dis-agio per lui (magari ci sono docenti bravissimi che ottengono ottimi risultati, ma sono insoddisfatti, perché in verità i ragazzi hanno solo imparato a memoria, che non è sapere)

Agio significa anche gioco (fra due superfici di accoppiamento):significa saper giocare con la propria materia, perché una cosa è conoscerla, una cosa è saperci fare.Ci sono infatti docenti che conoscono la propria materia, ma che non sanno offrirla.

Infatti un altro aspetto della competenza è la capacità di insegnare, cioè quell’insieme di competenze didattiche e metodologiche che permettono di trasmettere nel modo migliore, più efficace, più coinvolgente questi contenuti disciplinari e culturali. Ma non basta studiare pedagogia e aggiornarsi...

In molti casi, contrariamente a quanto si crede, non è questione di metodologia didattica, quanto di competenza, cioè occorre saperci fare con l’allievoPer cui per diventare dei buoni insegnanti non basta l’università. Occorre la scuola. Occorre imparare guardando e coinvolgendosi con chi già insegna

Fondamentale quindi è saper ascoltare un alunno (es. insegnante che aveva un buon rapporto con suo alunno che però non faceva i compiti a casa. Ad un certo punto ha incominciato a dirgli: studia a questa pagina perché ci sono delle cose interessanti per te…)

La Riforma, ad esempio, sembra aver recepito queste indicazioni:non si parla di programma, si lascia liberi di adottare la didattica che si preferisce,si parla di personalizzazione, di attenzione al ragazzo Occorre quindi trattare il ragazzo come una persona che esprime dei giudizi,che prova degli interessi, nei confronti del quale occorre interloquire.

Per questo ad esempio un altro aspetto della competenza è la competenza comunicativasoprattutto la capacità di adattare la propria comunicazione al pubblico che ci sta davanti,

Un bravo insegnante deve essere un buon comunicatore. Ma il buon comunicatore è colui che, sa “decentrarsi” (Gili), sa uscire da se stesso per assumere lo sguardo dell’altro, la prospettiva dell’altro, sa interpretare l’aspettativa dell’altro nei suoi confronti. Io devo tener conto delle competenze dello studente, non assumere un modello astratto di studente.

Un insegnante non può dire: “ho fatto una bellissima lezione”, quando gli studenti non hanno capito niente. Se gli studenti non hanno capito niente, la tua lezione non vale niente..Questo non significa appiattirsi sul livello degli studenti, ma tener conto della concretezza del contesto in cui mi muovo

La comunicazione auto-referenziale è una cattiva comunicazione, è una comunicazione inevitabilmente destinata al fallimento.

Non è ascoltare un alunno quando facciamo delle osservazioni generali, ad esempio “ a scuola si viene per lavorare”, applica un principio astratto, pertanto un comando, qualcosadi indiscutibile, che mette fuori gioco il pensiero dello studente

L’insegnante offre, ma l’alunno deve prendere: c’è quindi di mezzo la libertà dell’altro, che può anche rifiutare.E non è una soluzione utilizzare espedienti e dispositivi, comandi (es studia perché da grande ti troverai bene”, è un comando che non accresce la soddisfazione qui ed ora, e quindi elimina la possibilità, la competenza de ragazzo di accettare o non accettare.)

Il rapporto è solo duale, no con tutta la classe (con la classe c’è solo interazione)Non si tratta di conoscerli tutti, ma di riconoscere qualcosa di particolare per ciascuno (personalizzazione della Riforma: uso del portfolio)

Per il comportamentismo, invece, la classe è importante: averne 25 o 10 cambia perché l’educazione comport.viene meglio con pochi, dove ciò che importa non è che l’allievo venga ascoltato, ma che ad uno stimoloparticolare (per cui c’è bisogno di istruzioni per l’uso) l’allievo risponda (ed in realtà risponde, ma senza..agio)

E’ allora evidente che il rapporto educativo è una questione tra due persone (nella Riforma personalizzazione)quindi la relazione non è tra il docente e la classe, ma tra docente e ogni singolo.Impossibile!!??In verità bastano piccoli accorgimenti, quali uno sguardo, l’inflessione della voce, un richiamo particolare, per cui ognuno dei 25 alunni può dire”il proff sta parlando con me”

L’educazione è un problema di relazione tra due io: quello del docente e quello del ragazzo in cui l’allievo percepisce l’insegnante non solo come una “macchina parlante”, un dispensatore di conoscenza (anche se questo è importante), ma come un modello affascinante e persuasivo di umanità e di sapere, perché le due cose nel nostro mestiere sono inesorabilmente intrecciate. (Gili)

La soddisfazione è un fatto di competenza, non di professione che si impara solo teoricamente applicando regole: è qualcosa di più complesso.Ad. Es. non esiste la professione di genitore, che non impara studiando pedagogia.tale ruolo non può essere saputo prima, ma viene appreso nel momento in viene sperimentato, in cui “accade”. Quando un figlio sente un padre tale?Quando lo vede LAVORARE per lui. Così per il docente, non se applica teorie precostituite

è quello che potremmo chiamare affettivitàChe è dire: tu sei credibile, non solo perché sai bene le cose, sei appassionato a ciò che fai, …ma anche perché mi ascolti. Perché mi guardi. Quante volte i nostri studenti intervengono durante le lezioni non perché hanno una domanda particolare …ma perché è come se dicessero: sono qui, ci sono, sono proprio io, guardami, prendimi in considerazione.

Allora la più potente radice della credibilità dell’altro è la percezione che l’altro non è distratto, ma è “presente”.

L’affettività non è necessariamente il sentimentalismo o l’essere d’accordo: è lo scontro con una persona umana, con una posizione umana. Io ti accetto o ti rifiuto, ma sto davanti a te, perché tu mi incuriosisci e mi interessi.

Non solo il docente,ma anche il ragazzo ha una sua competenza che è la capacità di giudizio. Questo nasce già nel bambino piccolo (allattamento - positivo - richiesta di allattamento).

Il bambino distingue il piacere e questodiventa un principi di orientamento secondo convenienza

Questo pensiero-giudizio è un patrimonio da coltivarementre si può anche distruggere (il bambini piccolo ha così tanto bisogno dei genitori che, anche se non è soddisfatto, li accetta, si fida,ed anzi può succedere che addossi a sé l’inganno dell’altro)

Avendo l’insegnante (come il genitore) un ruolo superiore bisogna stare attentia non distruggere il pensiero dell’altro.

Questo non significa non giudicare, anzi!Se un bambino/ragazzo non si sente giudicato, non si sente amato!Non esiste infatti l’amore incondizionato:l’amore è condizionato dal giudizio (infatti nell’innamoramento tutto va bene perché non si tratta ancora di vero amore!)

Il docente che dice”Mi piace questa frase che hai scritto”esprime un giudizioper il quale ha lavorato e pensato per quell’allievo, e l’alunno se si avvede di questo,agirà di conseguenza

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Quindi il lavoro del docente dovrebbe metter in moto lo studente, ma non sempre questo ne ha la facoltà

Quando lo studente chiede “a cosa mi serve questa materia?”il docente potrà sforzarsi di rispondere, ma lo studente se ne convincerà solo vedendo che è conveniente per il suo professore, per lui stesso

Per entrare in rapporto con lo studente, il primo atteggiamento è l’ASCOLTOche non è una serie di tecniche, ma appunto un atteggiamento.Sarebbe necessario dare importanza agli interessi del ragazzo, anche se in modo non incondizionato: far leva, almeno inizialmente, a qualcosa che appartiene allo studente intimamente.