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3DICEMBRE
2011
sommario
Editorialedi Andrea Possenti
Analisi In Vitro Sulla Precisione Delle Tecniche
Di Impronta In Implantoprotesi
di Antonio Castriottai
Razionale dell’utilizzo dei lembi di accesso
nella chirurgia degli ottavi inclusi inferiori.
di Andrea Borgonovo
"La Diagnosi Stomatologica nelle Malattie di
Confine: La Nevralgia del Glossofaringeo”
di Fabio Luciani
la cefalometria 3d tramite cbct nella diagnosi in ortodonziadi Valeria Calace
Indonesia:
Tra draghi e vulcani, l’arcipelago magico.
di Alfredo Tursi
Norme redazionali
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SYMPOSIUM ODONTOIATRICO
QUADRIMESTRALE
DI INFORMAZIONE SCIENTIFICA
www.symposiumodontoiatrico.it
REGISTRAZIONE
Tribunale di Roma N.305 del settembre 2009
DIREZIONE SCIENTIFICA
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COMITATO SCIENTIFICO
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Dott.Cristiano Grandi
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STAMPA
Tipografia Artigiana-Roma
Tempi di crisi, tempi bui, cupi come una volta dicevano i nostri geni-tori e anche l’odontoiatria risente pesantemente di questa situazionegenerale.
La ricetta o la bacchetta magica per uscirne non sono ancora disponibili,ma la nostra categoria come si è attrezzata per difendersi? Negli ultimianni si è visto il proliferare di agenzie viaggio per voli in “paradisi” odon-toiatrici a basso costo dove tutt’ora vengono garantite cure rapide (dove èfinito il tempo di guarigione biologico), professionalità e soprattutto unnotevole risparmio economico. Come se non bastasse, l’odontoiatria lowcost l’abbiamo importata (vedi Vitaldent dalla Spagna) determinando quin-di un ulteriore corsa al ribasso delle tariffe, con buona pace di quelli chechiedono la liberalizzazione delle stesse ed abolizione dei minimi.Ma forse è proprio qui il punto: dove vogliamo portare l’odontoiatria?Il livello qualitativo dei nostri operatori e delle nostre attrezzature aveva
ed ha raggiunto livelli di eccellenza riconosciuti in tutto il mondo, adessoè vero, siamo in crisi economica ma non dobbiamo svendere la nostra pro-fessione.Giorni fa ascoltavo alla radio la pubblicità di una di queste catene low
cost, ormai sono come dei supermercati, pubblicizzare l’ablazione tartaroa NOVE euro. Considerati i costi di gestione di uno studio, la professiona-lità dell’operatore, il tempo (45 minuti necessario per una corretta e scru-polosa operazione) e non ultimo il carico fiscale mi chiedo: cui prodest ? (achi giova tutto ciò).In questo modo nel tempo abbasseremo sempre più la qualità delle
nostre prestazioni esponendoci anche a più elevati rischi legali e determi-nando una discesa verso il basso della nostra categoria.
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editoriale
“Tempo di crisi”
7DICEMBRE
2011
analisi in Vitro sulla
Precisione delle
tecniche di imPronta
in imPlantoProtesi
Antonio Castriotta, Bruna Sinjari, Donato Di Iorio, Giovanna Murmura
Dipartimento Di Scienze O rali, Nano E Biotecno logie
Università Degli Studi G . d’Annunzio di Chieti – Pescara, Chieti
Direttore Prof. Sergio Caputi
Scienza
INTRODUZIONE
L’impronta in implantoprotesi costituisce una tappa
fondamentale nel trasferimento della situazione clinica
al laboratorio, in quanto è intesa come rilevamento del-
la posizione tridimensionale della/e fixture dell’arcata di
riferimento. Le variabili in gioco per ottenere un model-
lo realmente analogo alla situazione clinica sono:
1. materiali e tecniche per il rilevamento delle
impronte;
2. componentistica adeguata alle sistematiche implan-
tari (transfer, analoghi da laboratorio)
3. materiali e tecniche per lo sviluppo dei modelli.
I materiali da impronta dovrebbero possedere i
seguenti requisiti:
1. Biocompatibilita’: è auspicabile che i materiali da
impronta non siano tossici. Da questo punto di vista i
materiali che sfruttano come componenti sostanze
RiassuntoL’impronta costituisce una tappa fondamentale del trattamento pro-tesico e la tecnica con cui essa viene rilevata rappresenta una dellevariabili che determinano la precisione del manufatto protesico. Loscopo del presente lavoro è una valutazione in vitro sulla precisionedelle seguenti tecniche d’impronta:1. tecnica closed tray2. tecnica open-tray 3. tecnica open tray splintataPer il presente lavoro è stato costruito un modello sperimentale diriferimento in metallo sul quale sono stati inseriti 6 impianti. Sul modello sperimentale sono state rilevate cinque impronte conciascuna delle seguenti tecniche per un totale di 15 impronte divisein tre gruppi:Gruppo 1. tecnica closed trayGruppo 2. tecnica open-tray Gruppo 3. tecnica open tray splintataSuccessivamente dalle impronte sono stati ricavati i modelli di lavoroe si è proceduto alla costruzione delle barre di Ackermann.Ciascuna barra è stata poi posizionata sul modello sperimentale diriferimento e si è proceduto alla valutazione della precisione median-te l’utilizzo dei seguenti parametri:1. presenza di basculamento prima del fissaggio con le viti2. presenza di gap marginale Il basculamento era assente nelle barre ottenute mediante tecnicaopen tray splintata, mentre quattro barre realizzate mediante la tec-nica closed tray e due di quelle ottenute mediante tecnica open traypresentavano basculamento. Relativamente alla precisione marginale, le misurazioni hanno fornitoi seguenti valori medi di gap marginale: tecnica closed tray 226.800 ±48.391; tecnica open-tray 218.600 ± 50.053 µ m; tecnica open traysplintata 99.600 ± 27.763 µ m.Dal presente studio si evince che l’utilizzo della tecnica open tray con-duce a risultati soddisfacenti sotto il profilo clinico e tecnologico. Sievince, inoltre, che c’è maggior precisione a carico dell’impronta suimpianti con tecnica splintata rispetto alla tecnica non splintata.
Parole Chiave: Impianti; Impronta; Precisione
AbstractImpression represent a crucial step in prosthodontic; also, the techni-que used to make an impression can determine the precision of thefinal restoration. The aim of the present research is an in vitro eva-luation on the precision of the following impression techniques:1. closed tray technique;2. open tray technique;3. splinted open tray techniqueAn aluminium master model with 6 implants was prepared for thepresent study and 5 impressions per each of the following techniqueswere taken:Group 1. closed tray technique;Group 2. open tray technique;Group 3. splinted open tray techniqueWith a total of 15 impressions divided into three groups.Afterwards, master models have been poured and Akermann’s barshave been realized.Each bar was positioned on the aluminium master model and preci-sion was evaluated considering the following parameters:1. presence of tilting before screw tightening;2. presence of a marginal gapTilting was absent in bars prepared with splinted open tray technique,while it was recorded in four bars prepared using closed tray techni-que and two bars prepared with open tray techniqueAs regards marginal precision, following mean values of marginal gaphave been measured: closed tray technique 226.800 ± 48.391; open-tray technique 218.600 ± 50.053 µ m; splinted open tray technique99.600 ± 27.763 µ mFrom the present study it is possible to state that the open tray tech-nique provides a clinical and technological satisfactory outcome. Also,it is possible to state that splinted technique produces a more preci-se results compared to non-splinted technique.
Key Words: Implants; Impression; Precision
naturali, come ad esempio gli idrocolloidi o gli algianti
che garantiscono una elevata sicureza.
2. Stabilita’ Dimensionale: si definisce stabilità dimen-
sionale la capacità dell’impronta di rimanere inalterata
da un punto di vista volumetrico, dopo la rimozione dal
cavo orale. Essa è influenzata :
• dal tipo di reazione di presa
• dal coefficiente di espanssione termica
• dallo spessore del materiale che circonda
le strutture anatomiche
• dall´uniformità dello spessore del matreiale attorno
alle preparazioni
3. Accuratezza Dimensionale: si definisce accuratezza
dimensionale la capacita di un materiale per impronta di
garantire dopo lo sviluppo che il modello sia quanto piu
fedele possibile all´originale.
4. Precisione: viene spesso definita come la capacita
di riprodurre il dettaglio.
5. Resistenza Allo Strappo: con resistenza allo strap-
po si intende la capacita di un materiale di essere estrat-
to dal cavo orale del paziente senza subire danni.
6. Tissotropia: si definisce la capacita di una sostanza
di diventare piu fluida se sottoposta ad una forza di tipo
compressivo.
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Fig. 1: tecnica open tray
non splintata in un caso di
riabilitazione con
overdenture supportata da
quattro impianti. (A)
cucchiaio individuale in
resina. (B)
funzionalizzazione del
cucchiaio mediante pasta
termoplastica; quest’ultima
fase si è resa necessaria in
quanto in questo caso il
modello di lavoro serviva
per la realizzazione sia della
barra, sia della base
protesica. (C-D)
inserimento dei transfer da
impronta sugli impianti. (E-
F) prova del cucchiaio. (G)
impronta rilevata in
polisolfuro. (H) particolare
dei transfer inglobati nel
materiale da impronta.
1
7. Bagnabilita’: si definisce la capacita di una sostanza
chimica di bagnare la superficie con cui viene a contat-
to.
8. Tempi Di Lavoro clinicamente soddisfacienti.
Sono stati proposti vari sistemi di classificazione dei
materiali da impronta. Un sistema molto impiegato li
suddivide in elastici e non elastici o rigidi,a seconda che
siano elastici o meno dopo l’indurimento dell’impronta
nella cavità orale. Facendo riferimento a questa classifi-
cazione i materiali da impronta più importanti e diffusi
sono quelli elastici che, col trascorrere del tempo, han-
no quasi completamente sostituito quelli non elastici
per la maggior parte degli impieghi.
A) MATERIALI DA IMPRONTA NON ELASTICI
1) gesso da impronta o gesso di Parigi
2) paste termoplastiche da impronta
3) paste all’ossido di zinco
4) cere da impronta
B) MATERIALI DA IMPRONTA ELASTICI
1) IDROCOLLOIDI
a) reversibili (agar)
b) irreversibili (alginato)
2) ELASTOMERI
a) Gomme al polisolfuro
b) Gomme siliconiche a polimerizzazione
per condensazione
c) Gomme siliconiche a polimerizzazione
per addizione
d) Gomme polietere
In implantoprotesi si utilizzano gli elastomeri, ed in
particolare in letteratura si riporta che i siliconi ed i
polieteri permettono di ottenere i risultati migliori.
GOMME SILICONICHE DA IMPRONTA
I siliconi sono macromolecole costituite da una cate-
na di atomi di ossigeno alternati con atomi di silicio, nel-
la quale le due valenze libere del silicio sono legate con
gruppi organici diversi.
Le proprietà del polimero dipendono dalla natura del
radicale organico legato al silicio. La stabilità del legame
-Si-O-Si- garantisce ai siliconi una elevata stabilità.
POLIETERI
Sviluppati in Germania a cavallo degli anni ´60, que-
sti materiali sono rimasti pressochè invariati per quanto
riguarda la formulazione chimica, mentre sono state
introdotte numerose modificazioni per quanto riguarda
la consistenza. Chimicamente è un polimero a base di
polietere, vulcanizzato tramite di anelli iziridinici.
Questi materiali si presentano in una o due viscosità
(media o media e bassa).
Pasta base
E’ costituita da:
• un polietere ramificato a basso peso molecolare
le cui le molecole sono caratterizzate dalla presenza di
gruppi terminali reattivi;
• sostanze di riempimento (silice);
• plastificante.
Pasta reagente
E’ costituita da:
• un estere aromatico solfonato
(dove X è un gruppo alchilico);
• sostanze di riempimento (silice);
• plastificante.
Mescolando insieme le due paste si ha la formazione
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Fig. 2: modello sperimentale
in metallo con sei impianti
2
di legami intermolecolari tra le
molecole di polietere, grazie ad una
polimerizzazione cationica attraver-
so gli anelli terminali, dovuta all’azio-
ne del solfonato, senza formazione
di prodotti secondari e, quindi, sen-
za variazioni dimensionali apprezza-
bili.
TECNICHE DI IMPRONTA IN
IMPLANTOPROTESI
Metodica Closed Tray
(o A Strappo)
Si posizionano sulle fixture i rela-
tivi transfer e poi viene rilevata l’im-
pronta con un cucchiaio standard o
con un portaimpronte individuale.
In questo caso con il portaimpron-
te individuale si riescono a ottenere
spessore ideale di materiale, un
portaimpronte che meglio si adatta
alle forme anatomiche e quindi un’
informazione molto più precisa.
Successivamente vengono posizio-
nati gli analoghi sui transfer e il tut-
to inviato al laboratorio. Anche
questa tecnica puo comportare del-
le imprecisioni come: il moncone
può non trovare una posizione defi-
nitiva (trasfer corti) o un intrappola-
mento di aria può impedirne il
completo riposizionamento (trasfer
lunghi e/o presenza di sottosqua-
dri). Questa metodica risulta con-
troindicata in presenza di evidenti
divergenze implantari o rispetto a
denti naturali.
Metodica Open Tray (o Pick - Up)
Questa tecnica neccessita di un
portaimpronte fenestrato in corri-
spondenza dell’ asse di emergenza
del trasfer posizionato sulla fixture.
Cosi viene rilevata la posizione tridi-
mensionale dell’impianto attraverso
un coping che rimane solidale con
l’impronta quando essa viene
rimossa dal cavo orale (fig. 1).
E’ stata introdotta anche una
variante, detta tecnica pick-up splin-
tata. In questa variante i coping ven-
gono splintati in modo rigido tra di
loro o al cucchiaio individuale in
modo da avere una registrazione di
posizione degli impianti più affidabi-
le e un minor rischio di dislocamen-
to dei trasfer durante l’avvitamento
degli analoghi. Nel caso di impianti
singoli si fissa la superficie esterna
del coping al portaimpronta indivi-
duale con della resina a freddo
dopo che è avvenuto l’indurimento
del materiale da impronta. Si deve
rimuovere l’eccesso di materiale da
impronta che fuoriesce dalla fene-
stratura durante la fase plastica di
indurimento, liberando i bordi in
resina della finestra in modo da
poter colare successivamente la
resina intorno alla testa del trasfer e
sul cucchiaio individuale. In caso di
almeno due impianti, la possibilita è
quella di solidarizzare i coping tra di
loro con del filo interdentale o con
del filo metallico da legatura orto-
dontica, in modo da formare uno
scheletro passivo su cui depositare
della resina di precisione che bloc-
cherà i dispositivi di trasferimento
tra di loro. La presa dell’ impronta
avverrà successivamente in maniera
invariata. Alcuni autori sostengono
l’eventualità di imprecisioni dovute
alla contrazione dimensionale della
resina durante il suo indurimento,
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Fig. 3: rilievo delle impronte
con tecnica closed tray
3
che potrebbe influire sulla precisio-
ne di posizione dei coping. Non esi-
stono sicure evidenze scentifiche
che testimoniano la superiorità di
una tecnica rispetto all’altra o
rispetto alla tecnica di riposiziona-
mento, che di conseguenza posso-
no essere considerate clinicamente
sovrapponibili.
Lo scopo del presente lavoro è
una valutazione in vitro sulla preci-
sione delle seguenti tecniche d’im-
pronta:
1. tecnica closed tray
2. tecnica open-tray
3. tecnica open tray splintata
MATERIALI E METODI
Per il presente lavoro è stato
costruito un modello sperimentale
di riferimento in metallo allo scopo
di riprodurre l’arcata mandibolare
edentula sul quale sono stati inseri-
ti 6 impianti paralleli tra loro in posi-
zione 33;34;36;43;44;46 (fig. 2).
Sono stati utilizzati impianti da
4,1 mm di diametro (3i Implant
Innovations, Inc. Palm Beach
Gardens, FL) a connessione inter-
na.Ogni impianto possedeva il pro-
prio abutment.
Sul modello sperimentale sono
state rilevate cinque impronte con
ciascuna delle seguenti tecniche per
un totale di 15 impronte divise in
tre gruppi (fig. 3):
Gruppo 1. tecnica closed tray
Gruppo 2. tecnica open-tray
Gruppo 3. tecnica open tray
splintata
Successivamente le impronte
sono state colate con del gesso di
tipo IV e si è proceduto alla costru-
zione delle barre di ackermann (fig
4).
Ciascuna barra è stata poi posi-
zionata sul modello sperimentale di
riferimento e si è proceduto alla
valutazione della precisione
mediante l’utilizzo dei seguenti
parametri:
1. presenza di basculamento pri-
ma del fissaggio con le viti
2. presenza di gap marginale
RISULTATI
Quattro delle cinque barre realiz-
zate sui modelli ottenuti mediante
la tecnica closed tray e due di quel-
le ottenute mediante tecnica open
tray presentavano basculamento,
mentre questo era essente in tutte
le barre ottenute mediante tecnica
open tray splintata (tab 1).
Relativamente alla precisione margi-
nale (fig. 5), le misurazioni condotte
al microscopio ottico hanno fornito
i seguenti valori medi di gap margi-
nale: Gruppo 1. tecnica closed tray
226.800 ± 48.391 µ m (Media ±
Dev. St); Gruppo 2. tecnica open-
tray 218.600 ± 50.053 µ m (Media
± Dev. St); Gruppo 3. tecnica open
tray splintata 99.600 ± 27.763 µ m
(Media ± Dev. St) (tab 2)
DISCUSSIONE DIFFERENZE TRA
LE VARIE TECNICHE
L’obiettivo di questo studio è di
valutare la precisione delle impronte
su impianti usando differenti tecni-
che da impronta. Oltre alle tecniche
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Fig. 4: realizzazione di una
barra sperimentale
4
e i materiali bisogna prestare attenzione a vari fattori cli-
nici che possono influenzare la precisione dell’impronta.
E’ stata fatta una ricerca bibliografica e sono stati sele-
zionati quegli articoli in cui si sono messe a confronto le
diverse tecniche da impronta e i diversi materiali.
La maggior parte degli studi trovati confronta la tec-
nica indiretta (pick-up) con la tecnica di riposizionamen-
to (transfer) e la tecnica splintata con la tecnica non
splintata.
Per quanto riguarda i materiali da impronta sono sta-
ti messi a confronto quelli più utilizzati,cioè i polieteri e
polivinilsilossani.
TECNICA CLOSED TRAY VS TECNICA OPEN TRAY
La tecnica closed tray utilizza degli abutment
(copings) conici senza sottosquadri e un cucchiaio non
forato del commercio per prendere l’impronta. Gli
abutment vengono posizionati tramite una connessio-
ne sull’impianto, poi viene presa un’impronta e sfilata
dalla bocca, lasciando gli abutment sugli impianti. Gli
abutment vengono rimossi e connessi con gli analoghi
degli impianti. Dopo l’analogo e l’abutment assieme
vengono reinseriti nell’impronta prima di fare il model-
lo definitivo.
Invece l’impronta open tray utilizza dei transfer con
sottosquadri e un cucchiaio forato (un cucchiaio con
un’apertura) che consente alle teste dei transfer con le
relative viti di fuoriuscire dall’apertura del cucchiaio.
Prima di essere separari dagli impianti, i transfer vengo-
no svitati per essere rimossi assieme all’impronta. Gli
analoghi vengono connessi ai transfer per preparare il
modello definitivo.
In relazione a queste 2 tecniche ci sono 14 studi
che le mettono a confronto: 5 hanno dimostrato che
è piu’ precisa la tecnica pick-up, 2 hanno preferito la
tecnica closed tray e 7 dicevano che non c’è nessuna
differenza.
TECNICA SPLINTATA VS TECNICA
NON-SPLINTATA
Il principio della tecnica SPLINTATA è quello di
connettere tutti i transfer assieme usando un materia-
le rigido che previene gli spostamenti accidentali
durante le procedure di impronta. Si utilizzano dei
dispositivi come il filo interdentale o il filo metallico
per ortodonzia, che passino a ponte tra i transfer
stessi, a formare un telaio che sostenga la resina che
si utilizza per splintarli. Si impiega un cucchiaio indivi-
duale opportunamente forato, lo si prova in bocca
per assicurarsi che le teste dei transfer con le relative
viti fuoriescano dall’apertura del cucchiaio e poi si rile-
va l’impronta. Rimossa l’impronta, ci ritroveremo i
transfer inglobati nell’impronta, i quali verranno colle-
gati con gli analoghi.
La tecnica NON SPLINTATA utilizza sempre un cuc-
chiaio forato e i transfer non vengono uniti tra di loro
con resina. Si posiziona il transfer sull’impianto e si rile-
va l’impronta con cucchiaio individuale fenestrato. Si
toglie il materiale in eccesso sulle viti che fuoriescono
dall’impronta e si aggiunge della resina proprio per soli-
darizzare al massimo i transfer con l’impronta. A induri-
mento avvenuto si svitano le viti passanti e si rimuove
l’impronta portando con se anche i transfer, i quali ver-
ranno collegati con gli analoghi.
CONCLUSIONI
Dal presente studio si evince che l’utilizzo della tecni-
ca open tray conduce a risultati soddisfacenti sotto il
profilo clinico e tecnologico. Si evince, inoltre, che c’è
maggior precisione a carico dell’impronta su impianti
con tecnica splintata rispetto alla tecnica non splintata e
questo dato è in accordo con la letteratura.
12DICEMBRE
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5
Fig. 5: misurazione del gap
marginale al microscopio
ottico
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13DICEMBRE
2011
INTRODUZIONE
La ricerca di un approccio ottimale per l’avulsione
dei terzi molari ha un’importanza rilevante. I terzi mola-
ri infatti, presenti nel 90% della popolazione, risultano
in condizioni di inclusione nel 33% dei casi_.
L’inclusione è probabilmente il risultato di fattori gene-
tici e patologici. Molto patologie sono collegate alla
situazione di inclusione dei terzi molari e per questa
ragione che l’avulsione di questi elementi risulta essere
una pratica frequente per l’odontoiatra.
Le manovre finalizzate all’estrazione dei molari inclu-
si interessano sia i tessuti molli che i tessuti duri. In con-
seguenza di ciò è frequente che i pazienti sottoposti a
questo tipo di intervento presentino dolore post-ope-
ratorio, edema e trisma. Numerosi studi si sono con-
centrati sull’analizzare la prevalenza, il tipo di inlcusione
(dandone una classificazione), tecniche chirurgiche fina-
lizzate alla rimozione e la sintomatologia pre e post-
operatoria._
L’allestimento del lembo e l’osteotomia necessarie
all’avulsione degli elementi¹ sono associate a numero-
se complicazioni_. Risulta evidente come la ricerca di
una tecnica chirurgica appropriata sia di fondamentale
importanza sia ai fini di ridurre i rischi durante l’inter-
vento sia nel permettere al paziente un miglior decor-
so post-operatorio.
La scelta del tipo di lembo da eseguire durante l’in-
tervento rappresenta una importante variabile dalla
quale dipendono sia la buona riuscita dell’intervento sia
la riduzione del disconfort e delle possibili conseguen-
ze negative a carico del parodonto degli elementi adia-
centi al terzo molare.
15DICEMBRE
2011
razionale
dell’utilizzo dei
lembi di accesso
nella chirurgia
degli ottaVi inclusi
inferiori.
A. Borgonovo*, A. Panigalli**, E. Larovere**, P. Rosa **, A. Bianchi**
*Prof. A .C . Scuo la di specialità di chirurgia odontostomato logica, Università degli studi
di Milano , clinica odonto iatrica IRCCS Fondazione Po liclinico O pedale Maggiore Ca’
Granda.
**Medico frequentatore clinica odonto iatrica IRCCS Fondazione Po liclinico O pedale
Maggiore Ca’ Granda.
Chirurgia
Abstract
L’estrazione chirurgica dei terzi molari inclusi rappre-
senta una manovra molto frequente nella pratica
quotidiana del chirurgo orale.
La tecnica chirurgica di estrazione dei denti del giu-
dizio può essere più o meno invasiva, a seconda del-
la posizione del dente e dei suoi rapporti con le
strutture anatomiche circostanti. Denti del giudizio
in inclusione superficiale, verticali o leggermente
mesioinclinati, possono essere estratti senza grandi
difficoltà. In altri casi come in presenza di elementi
distoinclinati e in inclusione ossea profonda risulta
fondamentale garantire un accesso chirugico ade-
guato al fine di garantire una più agevole esecuzione
delle manovre operatorie.
Risulta evidente come l’incisione chirurgica, ed in
particolare il suo disegno, debba essere eseguita in
modo da garantire all’operatore una completa e
sicura visualizzazione dell’intera area operatoria.
Inoltre, l’allestimento del lembo chirurgico, deve
garantire il più possibile la riduzione del discomfort
post-operatorio per il paziente e le possibile conse-
guenze negative a carico degli elementi adiacenti
all’area operatoria.
Gli autori intendono analizzare i diversi disegni di
lembo proposti dalla letteratura prestando partico-
lare attenzione alle indicazione dell’utilizzo di ciascu-
no di questi in relazione alle peculiarità di ciascuno
di questi per quanto concerne il decorso post-ope-
ratorio e le conseguenze parodontali.
16DICEMBRE
2011
Il disegno del lembo deve poter consentire l’accesso
visivo e strumentale all’elemento, preservare il più pos-
sibile le strutture nobili circostanti come l’arteria faccia-
le, il nervo linguale e lo spazio laterofaringeo ed infine,
consentire una sutura corretta ed agevole garantendo
una buona guarigione.
La scelta del lembo d’accesso è determinata dalla
profondità dell’inclusione e dalla posizione del terzo
molare. Risulta evidente che nei casi più complicati sia
necessario eseguire un lembo che garantisca un acces-
so maggiore.
Per l’avulsione degli ottavi inferiori vengono utilizzati
lembi mucoperiostei a spessore totale ed il disegno del
lembo può essere principalmente di tre tipi: marginale
o paramarginale, triangolare o trapezioidale. Ognuno di
questi disegni presenta delle indicazioni specifiche di
utilizzo.
LEMBI D’ACCESSO
LEMBO MARGINALE
Questo lembo prevede una incisione intrasulculare a
livello del settimo ed un’incisione distale di scarico che,
17DICEMBRE
2011
partendo dalla metà distale del settimo, si dirige in dire-
zione distale e vestibolare. In alcuni casi (meno com-
plessi) questo lembo può essere eseguito senza l’inci-
sione di scarico distale. Inoltre la lunghezza del lembo
ed il numero di elementi coinvolti dipendono dalla
quantità di esposizione necessaria.
Questo tipo di lembo è considerato il più comune
approccio per l’avulsione dei terzi molari inferiori_ e
presenta numerosi vantaggi. Garantisce una buona visi-
bilità durante le fasi operatorie ed in caso si renda
necessario da la possibilità di estendere l’incisione sul-
culare al fine di aumentare l’esposizione dell’area ope-
ratoria. Inoltre l’assenza di incisione di scarico verticali
e la limitata estenzione del lembo garantiscono un
vascolarizzazione ottimale del lembo.
Nonostante la limitata estensione del lembo, il
decorso post operatorio risulta essere peggiore in
pazienti sottoposti ad avulsione con l’utilizzo di questa
tecnica. I pazienti presentano spesso trisma ed una
maggiore sintomatologia algica. Anche il rischio di dei-
scenza della ferita chirurgica risulta superiore in quanto
la passivazione di questo tipo di lembo è più difficolto-
sa da eseguire. Anche il danno parodontale provocato
agli elementi subito adiacenti all’ara dell’intervento
sembra essere superiore con l’utilizzo di questo lem-
bo._
L’allestimento di un lembo mucoperiosteo può
influire sul parodonto. L’aumentata attività degli osteo-
clasti successiva all’incisione può portare ad un riassor-
bimento osseo, l’incisione intrasulculare può interferire
con il legamento parodontale e quindi compromettere
lo stato di salute parodontale.5Per questa ragione Szmyd propose un l’utilizzo di un
lembo a busta modificato. In questa nuovo approccio
l’incisione intrasulculare a livello del secondo molare
veniva sostituita da un’incisione di tipo paramarginale al
fine di preservare l’attacco parodontale e quindi ridur-
re il riassorbimento osseo._
LEMBO TRIANGOLARE
Questo lembo di accesso associa ad un incisione
distale di scarico simile a quella del lembo a busta una
seconda incisione di svincolo che, partendo dal margi-
ne disto-vestibolare del settimo si dirige verso la linea
di giunzione mucogengivale con una nclinazione di cir-
ca 45°. Viene quindi praticata una terza incisione intra-
sulculare distale, estesa fino all’angolo disto-linguale che
permette lo scollamento del lembo anche sul versante
linguale rendendo possibile la protezione del nervo lin-
guale.
La presenza di una seconda incisione di svincolo
vestibolare facilita lo scollamento aumentandone la
possibilità di retrazione. Questo, come ovvio, permet-
te, rispetto al lembo a busta, di ottenere una maggiore
esposizione dell’osso alveolare aumentando l’accessibi-
lità visiva e strumentale. Risulta evidente come questo
tipo di vantaggio permetta di utilizzare questo disegno
in casi più complessi. La maggiore estensione del lem-
bo con la presenza dell’incisione di svincolo, permette
un migliore drenaggio della ferita chirurgica riducendo
così l’edema post-operatorio.
La sutura ed il corretto posizionamento del lembo
risultano meno agevoli che con l’utilizzo di un lembo
marginale aumentando la durata delle fasi di sutura e
quindi dell’intervento. Inoltre la presenza dell’incisione
di scarico vestibolare può aumentare il rischio di decu-
bito dell’incisione sull’area dell’osteotomia.
LEMBO TRAPEZIOIDALE
Questo lembo d’accesso prevede l’esecuzione di
una incisione intrasulculare a livello del settimo (esten-
dibile anche al sesto) associata a due incisioni di scari-
co. La prima diretta distalmente come nel disegno dei
due precedenti lembi d’accesso e la seconda che dal
margine mesio-vestibolare del settimo (o disto-vesti-
bolare del sesto) si dirige in direzione mesiale.
La maggiore esposizione dell’area operatoria e lo
scollamento più agevole del lembo, rendono questo
tipo di approccio ideale per i casi più complessi.
La sua estensione elevata aumenta però il rischio di18DICEMBRE
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19DICEMBRE
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riassorbimento osseo legato all’allestimento del lembo
ed il rischio di una maggiore retrazione gengivale e per-
dita di attaco parodontale._
Il riposizionamento e la sutura di questo tipo di lem-
bo richiedono un maggiore dispendio di tempo, pro-
lungato la durata dell’intervento.
DISCUSSIONE
L’allestimento di un lembo d’accesso finalizzato all’a-
vulsione di un terzo molare inferiore incluso può esse-
re associato a conseguenze sul parodonto dei denti
adiacenti. Non è infatti poco frequente rilevare un’au-
mento della profondità dei sondaggio (PPD) a carico
dei secondi molari adiacenti all’intervento.
Il disegno del lembo rappresenta di fondamentale
importanza al fine di ridurre le conseguenze dell’inter-
vento.
Numerosi studi si sono concentrati sull’analizzare
eventuali rapporti tra il disegno del lembo e le conse-
guenze sulla salute del parodonto.
Nel 1983 Stephens_ ha pubblicato i risultati di uno
studio splith mouth che valutava la salute parodontale
del secondo molare successivamente all’avulsione del
terzo molare utilizzando due tipi di lembo: marginale e
trapezioidale. Successivamente all’estrazione dei terzi
molari indipendentemente dal tipo di tecnica utilizzata,
si è registrato una notevole riduzione dello stato
infiammatorio del parodonto del secondo molare.
Nonostante ciò questo studio non ha evidenziato dif-
ferenze di sorta tra i due quadranti presi in esame, sug-
gerendo l’ipotesi che lo stato di salute del parodonto
non fosse in relazione con il tipo di lembo utilizzato. I
risultati di questo studio sono stati poi confermati da
studi successivi di Quee e Schoefield.__
Quee nel suo studio analizzò, oltre all’influenza del
disegno del lembo, anche quella dell’altezza della cre-
sta ossea distalmente al secondo molare. A sei mesi
dall’avulsione dei terzi molari, la perdita di attacco
distale al secondo molare non risultava essere in rela-
zione con l’altezza della cresta ossea. Questo dato,
insieme ai risultati relativi alle misurazione dell’attacco
in relazione al tipo di lembo, portò gli autori ad affer-
mare che in tutti i casi la rimozione dei terzi molari
inclusi conduce ad una inevitabile perdita di attacco a
carico dell’area distale al secondo molare e che questa
perdita avviene indipendentemente dal tipo di lembo
utilizzato e dall’altezza della cresta ossea.
In un recente studio_ sono state confrontati due tipi
di lembo d’accesso a busta (marginale e paramargina-
le) in termini di guarigione della ferita, PPD a carico del
secondo molare, sintomatologia algica post-operatoria,
trisma ed edema. i risultati hanno evidenziato una
migliore guarigione a breve termine (5 giorni) nei
pazienti in cui veniva utilizzato un lembo paramargina-
20DICEMBRE
2011
le. Nonostante questa iniziale differenza, però, l’utilizzo
dei due tipi di lembo non hanno reso apprezzabili van-
taggi o svantaggi in termini di riduzione
dell’edema, del trisma e del dolore post-operatorio.
Il disegno del lembo può invece influenzare la guari-
gione primaria della ferita chirurgica._
E’ importante sottolineare come il dolore e l’edema
post-operatorio siano eventi molto frequenti in pazien-
ti sottoposti a questo tipo di intervento, rappresentan-
do un importante motivo di discomfort. I fattori che
concorrono a causare il dolore pos-operatorio e l’ede-
ma sono molteplici e sono da porre in relazione con il
processo infiammatorio che si innesca successivamente
al trauma chirurgico. Uno dei fattori che maggiormen-
te contribuisce ad influire su dolore ed edema è la gua-
rigione della ferita chirurgica. Una guarigione di prima
intenzione si verifica quando la ferita chirurgica viene
suturata permettendo la giustapposizione dei margini
del lembo. Questi, combaciando perfettamente garan-
tiscono la chiusura ermetica dell’alveolo post-estrattivo,
precludendo qualsiasi tipo di comunicazione con l’e-
sterno.
La guarigione di seconda intenzione, invece, i lembo
i margini non vengono fatti collimare. ma viene lasciata
una possibilità di comunicazione tra l’alveolo post-
estrattivo e l’esterno. Questo consente il drenaggio dei
prodotti del processo infiammatorio.
Come evidenziato da Danda et al_ in un recente
studio (JOMS 2010) una guarigione di seconda inten-
zione sembra poter ridurre il discomfort post-operato-
rio dei pazienti sottoposti ad avulsione di terzi molari
inclusi. I risultati di questo studio Split-mouth esguito su
un campione di 93 pazienti hanno mostrato una diffe-
renza significativa dell’estensione dell’edema, che risul-
tava, a distanza di 7 giorni, mediamente superiore nel
gruppo 1 (chiusura di prima intenzione). Anche l’entità
del dolore post-operatorio registrata al settimo giorno
di guarigione era superiore nel gruppo 1.
Alla luce di questi dati è evidente come, al fine di
garantire un decorso post-operatorio migliore, sia da
preferire una guarigione di seconda intenzione.
Evitando di far collimare i lembi si garantisce la possi-
biltà di drenaggio della ferita e quindi la riduzione del-
l’edema e della sintomatologia algica.
CONCLUSIONI
L’avulsione dei terzi molari inclusi può condurre a
conseguenze a carico del parodonto del secondo
molare. Il disegno del lembo d’accesso influenza la gua-
rigione della ferita chirurgica e per questa ragione la sua
scelta risulta importante ma sembra non avere conse-
guenze rilevanti sulla salute parodontale del secondo
molare.
La presenza di questo tipo di conseguenze sembra
quindi non essere in relazione alla tecnica chirurgica,
bensì la conseguenza di processi diffe-
renti.
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glossofaringeo”
Fabio Luciani**, Paolo Piva**, Fabiana Muzzi***
Francesco N. Bartuli*, Claudio Arcuri****
*Professore a Contratto , Settore Disciplinare Med/28, Faco ltà di Medicina e Chirurgia,
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - Cattedra di Parodonto logia;
**U.O .C . di O dontostomato logia, Servizio di Chirurgia O dontostomato logica
O spedale “S. G iovanni Calibita – Fatebenefratelli” – Iso la T iberina, Roma;
***U.O .C . di O dontostomato logia, Servizio di Gnato logia C linica O spedale
“S. G iovanni Calibita – Fatebenefratelli” – Iso la T iberina, Roma;
*** Professore O rdinario , T ito lare dell’Insegnamento di Parodonto logia C .L.S.O .P.D -
Università di Roma “Tor Vergata”, Direttore U.O .C . O dontostomato logia, O spedale
“San G iovanni Calibita – Fatebenefratelli” - Iso la T iberina, Roma.
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”,
U.O .C . di O dontostomato logia - Cattedra di Parodonto logia;
O spedale “S. G iovanni Calibita Fatebenefratelli” - Iso la T iberina
Direttore: Prof. C laudio A rcuri
Medicina
Riassunto
La nevralgia del glossofaringeo è una sindrome,
osservata per la prima volta nel 1910 da Theodore
H. Weisenburg, che ha descritto la malattia come
“un dolore lancinante al collo e all'orecchio”.
Le malattie nevralgiche del IX paio di nervi cranici
possono essere classificati in due diverse forme clini-
che: Nevralgia Major e Nevralgia Minor. La sua ezio-
patogenesi non è nota, ma dovrebbe essere attribui-
ta ad una compressione vascolare. La diagnosi della
forma essenziale avviene grazie al riconoscimento e
alla localizzazione del dolore, esplosivo e provocato
da improvvisa stimolazione dei punti trigger.
Parole Chiave
Nevralgia del Glossofaringeo, Zone Grilletto, RMN
Abstract
Glossopharyngeal neuralgia is a syndrome observed
for the first time in 1910 by Theodore H.
Weisenburg, who described the disease as "a sharp
pain in the neck and ear."
Disease neuralgia of the ninth cranial nerve can be
classified into two different clinical forms: Neuralgia
Neuralgia Minor and Major. Its etiology is unknown,
but should be attributed to a vascular compression.
The diagnosis of essential form is due to the recogni-
tion and location of pain, caused by sudden and
explosive stimulation of trigger points.
Key Words
Glossopharyngeal neuralgia, Trigger Point, RMN
INTRODUZIONE
La nevralgia del glossofaringeo è una sindrome, osser-
vata per la prima volta nel 1910 da Theodore H.
Weisenburg, che ha descritto la malattia come “un
dolore lancinante al collo e all'orecchio”. Nel
1926, Wilfred Harris ha coniato il termine 'glos-
sopharyngeal nevralgia' che lo differenzia nettamente
dalla nevralgia del trigemino 1. Il nervo glossofaringeo, o
IX paio di nervi cranici, è una piccola radice nervosa,
che ha il suo nucleo originario nel romboencefalus, che
si trova in profondità nel collo e ha le proprie efferen-
ze a livello del midollo lateralmente, appena rostralmen-
te al nervo vago (Fig. 1). Le fibre nervose del glossofa-
ringeo portano la sensibilità generale dai due terzi della
26DICEMBRE
2011
parte posteriore della lingua per il gusto, dalla faringe e
dal palato molle. Le sue fibre parasimpatiche innervano
la ghiandola parotide attraverso il ganglio otico, le ghian-
dole salivari minori e ghiandole sottomucose accessorie
della lingua e della faringe. Le fibre motorie somatiche
dello stilofaringe, innervano le fibre muscolari e la parte
superiore dei muscoli faringei 1,2.
DISCUSSIONE
Le malattie nevralgiche del IX paio di nervi cranici pos-
sono essere classificati in due diverse forme cliniche:
Nevralgia Major e Nevralgia Minor. La Nevralgia Major,
corrisponde alla forma essenziale, colpisce sia le donne
e gli uomini con più di 40 anni, ed in via eccezionale, gli
adolescenti. La sua eziopatogenesi non è nota, ma
dovrebbe essere attribuita ad una compressione vasco-
lare. In effetti, la compressione vascolare della radice del
nervo può causare demielinizzazione o, in alternativa,
una ripetitiva attivazione del recettore per l’N-metil-D-
recettore per l'acido aspartico e quindi una iper-eccita-
bilità nei neuroni centrali. Altre ipotesi riguardano malat-
tie dismetaboliche o forme legate a virus neurotropici,
ma purtroppo nessuna di queste ha conferme scientifi-
che valide. Le peculiarità del dolore sono caratterizzate
da improvviso dolore unilaterale, che non trova benefi-
cio dai comuni trattamenti antidolorifici 3. La durata del-
la crisi varia da alcuni secondi ad alcuni minuti, e porta
spesso il malato ad uno stato di ansia che lo condiziona
a prendere posizioni per trovare un po’ di sollievo.
La localizzazione preferenziale del dolore è la parte
posteriore e profonda parte della bocca e l'orofaringe,
il palato molle e la radice della lingua con irradiazione in
direzione delle orecchie e delle porzioni laterali e
posteriori del collo4. L'insorgenza di crisi può anche
essere provocata da stimoli fisiologici come la degluti-
zione, lo starnuto, la tosse, ma nella maggior parte dei
casi l'esordio è spontaneo, con fasi regolari o irregolari
in base al soggetto. La localizzazione dei punti trigger
sono in genere diverse posizioni della testa e del collo
come i pilastri tonsillari, la radice della lingua, le aree
esterne del padiglione auricolare, la mandibola e le zone
muscolari della regione ioidea del collo (Fig. 2). Molto
rara è l'associazione con sintomi cardiologici, come la
sincope, caratterizzata da bradicardia e ipotensione. La
possibile associazione tra sincope e GN potrebbe esse-
re legata alla stretta connessione tra il nervo vago e il
nervo glossofaringeo, che può favorire la creazione di
un riflesso vago-glossofaringeo5. L'altra forma di nevral-
gia è la nevralgia Minor, che è anche definita "nevralgia
sintomatica", perché comprende le forme secondarie a
Fig. 1: Origine Intracranica del IX Paio
dei Nervi Cranici
Fig. 2: Distribuzione del Territorio di
Innervazione del n. Glossofaringeo
Fig. 3: R.M. dell'ATM e dei territori
periauricolari
1
27DICEMBRE
2011
2
3
28DICEMBRE
2011
malattie conosciute. La sintomatologia dolorosa è più
contenuta e le caratteristiche ne rendono facile la diffe-
renziazione con la forma essenziale. In realtà, non ci
sono legami con i gruppi di età, e può colpire indiscri-
minatamente uomini e donne, in qualsiasi momento
della vita. L’insorgenza della sintomatologia non è mai
improvvisa e violenta, ma progressiva. Il dolore è molto
meno violento, ma comunque invalidante, associato a
sensazioni urenti, con periodi di remissione, che spesso
non sono mai del tutto esenti da sintomi.
I punti trigger possono essere presenti, ma non sono
patognomonici come nella forma essenziale e possono
essere localizzati anche in aree atipiche. Fenomeni di
diffusione dolore possono essere visualizzati con altri
territori interessati con varie risposte che possono
includere anche spasmi farinngo-esofagei6.
In conformità con l'eziopatogenesi, la nevralgia sinto-
matica può essere classificata in:
- Nevralgia secondaria a malattie neoplastiche del
cervello;
- Nevralgia secondaria ad aneurisma vascolare;
- Nevralgia secondaria a malattie infiammatorie;
- Nevralgia secondaria alla sindrome di Bouquet, in
seguito a stati traumatici che coinvologono il fascio
muscolare di Riolano;
- Nevralgia secondaria alla sindrome di Eagle, per
ossificazione del legamento stiloioideo.
DIAGNOSI E TRATTAMENTO
La diagnosi della forma essenziale è molto semplice,
grazie al riconoscimento della localizzazione e delle
caratteristiche del dolore, che è esplosivo, provocato da
improvvisa stimolazione dei punti trigger. Nonostante
ciò, per la sua estrema rarità, la diagnosi della nevralgia
del glossofaringeo è spesso una diagnosi di esclusione
da altre malattie più frequenti. La Risonanza Magnetica
tridimensionale mostra che il contatto o la contiguità tra
i vasi sanguigni e il tessuto neurale non è visibilmente
differente nel lato sintomatico e non sintomatico, così
da escludere qualsiasi nesso di causalità coerente al
dolore7 (Fig. 3).
La nevralgia del glossofaringeo può beneficiare di
trattamenti medici e chirurgici.
Il trattamento medico può utilizzare la carbamazepi-
na o il gabapentin per i parossismi dolorosi. Altri farma-
ci utilizzati per la nevralgia del trigemino, come lamotri-
gina, l’acido valproico, il topiramato e piccole dosi,
potrebbero essere utilizzati anche se non ci sono pro-
ve scientifiche evidenti per nevralgia del glossofarin-
geo8.
Per i pazienti refrattari alla terapia medica, l'interven-
to chirurgico deve essere preso in considerazione come
alternativa. Le possibilità sono la rizotomia del glossofa-
ringeo e delle radici nervose superiori del nervo vago,
oppure una decompressione microvascolare.
Nella maggior parte dei casi il trattamento curativo è
la sezione intracranica della radice. Più
recentemente, la decompressione microvascolare è uti-
lizzata con risoluzione completa del dolore nel 76% dei
casi e sostanziale miglioramento in un ulteriore 16%9.
CONCLUSIONI
La nevralgia del glossofaringeo è una rara malattia
caratterizzata da dolore acuto localizzato in zone tipiche
nella forma essenziale, e in aree atipiche in quella secon-
daria. Nel forma major, la causa è spesso fraintesa, e
nella forma minor ci sono molte malattie che possono
provocare la sintomatologia. La diagnosi può essere dif-
ficile, non per le sue caratteristiche, ma per la sua rarità,
e per questo motivo, molti specialisti, dal neurologo
all’odontoiatra, possono essere coinvolti nel riconosci-
mento della patologia.
BIBLIOGRAFIA
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31DICEMBRE
2011
la cefalometria
3d tramite cbct
nella diagnosi
in ortodonzia
Valeria Calace, Alessandra Giordano, Angelica d’Addetta
Ortodonzia
Scopo del lavoro: Il nostro obiettivo è eseguire una reviewdella letteratura per valutare i vantaggi, i limiti e le indicazio-ni dell’impiego della cefalometria in 3D da radiogrammiottenuti con la tomografia computerizzata Cone-Beam(CBCT) nell’ortodonzia.Materiali e metodi: E’ stato analizzato materiale pubblicatoe non in ogni lingua tramite l’impiego di database generici especifici del settore odontoiatrico. Risultati: Dopo l’analisi dei titoli e degli abstract, sono statiidentificati 35 articoli. Conclusioni: La cefalometria 3D su immagini ottenute dascansioni tramite CBCT rispetto a quella tradizionale offreuna maggiore precisione nella localizzazione dei reperi.Considerando però la dose di radiazioni emessa, l’uso dellaCBCT non è raccomandabile nella pratica ortodontica diroutine.Parole chiave: Tomografia Computerizzata, Cone Beam,Cefalometria 3D, Diagnostica ortodontica, CBCT,Cefalometria.
Aim of the study: Our objective was to make a review ofthe literature to evaluate the advantages, the limits and theindications of the use of 3D cephalometry on CBCT scansin orthodontics.Methods: We searched published and unpublished mate-rial in any language by using general and specialist databa-ses; key orthodontic and dental journals were searched byhand. Results: By screening titles and abstracts, we identified 35articles. Conclusions: The 3D cephalometry in CBCT scans compa-red to 2D images allows an improved reliability in land-marks. Considering the radiation dose, the use of CBCT isnot recommended in routinely orthodontic practice.Key words: Computed Tomography, Cone Beam, 3DCephalometric analysis, OrthodonticDiagnosis,CBCT,Cephalometry.
INTRODUZIONE
L’analisi cefalometrica è uno dei fondamenti della dia-
gnosi ortodontica sebbene la bidimensionalità della
documentazione radiologica su cui si basa includa dei
limiti. Difatti le strutture umane tridimensionali vengono
proiettate su un singolo piano con conseguenti difficoltà
nell’esecuzione di un esame preciso. Inoltre l’immagine
radiografica può includere degli errori intrinseci legati
alla posizione del capo del paziente e/o alla fonte radio-
logica.
La tomografia computerizzata medica convenzionale
(CT) fu introdotta nel settore dell’ortodonzia al fine di
poter ottenere ricostruzioni tridimensionali più accura-
te e precise delle strutture cranio-facciali. La CT utilizza
un fascio di raggi X collimato che ruota attorno al
paziente con piccoli avanzamenti dopo ogni rotazione.
Il sistema sorgente-rilevatore compie una rotazione
intorno all’oggetto producendo una serie di immagini
2D elaborati poi da un software. Nelle ricostruzioni 3D
i piani vengono definiti tramite l’impiego di tre o quat-
tro punti di riferimento, a differenza dei tracciati 2D in
cui ne vengono impiegati due1 . I vantaggi sono nume-
rosi, fra questi vi è l’eliminazione della sovrapposizione
delle strutture bilaterali e degli artefatti e la possibilità di
valutare la porzione destra e sinistra del cranio indipen-
dentemente l’una dall’altra2,3. Infatti nelle radiografie
tradizionali la porzione del viso più vicina alla pellicola è
ingrandita rispetto alla porzione distante, determinando
così un doppio contorno mandibolare visibile sulle
radiografie. I costi e l’elevata dose di radiazioni hanno
limitato l’impiego della CT ai soli casi di pazienti con
asimmetria4. In vista di una dose di radiazioni minore,
una maggiore precisione e costi minori rispetto alla
CT5,6 fu sviluppata la tomografia computerizzata cone-
beam (CBCT). La CBCT non esegue sezioni assiali mul-
tiple, ma genera emissioni di radiazioni “pulsate” nel
corso di una singola rotazione intorno al paziente che
dura tra i 20 e i 40 secondi Il fascio di raggi X utilizza-
to ha una forma geometrica conica e solitamente rico-
pre tutta l’area di interesse con la possibilità di scegliere
diversi campi di vista (FOV), in relazione all’ampiezza
della regione da esaminare (fig.1). I dati grezzi ottenuti
vengono elaborati dal computer tramite l’algoritmo
“cone-beam” sviluppato da Feldkamp nel 19847 dive-
nendo in una prima fase immagini scannerizzate tramite
il DICOM (Digital Imaging and Communications in
Medicine) che permette la segmentazione delle varie
strutture rappresentate. Dopo ciò i dati sono quantifi-
cati in piccoli “cubi” detti voxel che costituiscono le
informazioni elementari e possono essere ruotati o
ingranditi; questi hanno dimensioni, nel caso della tec-
nologia CBCT, anche inferiori a 0.15 mm di lato, netta-
mente minori rispetto alla CT8 . Queste misurazioni
sono reali e anatomicamente dettagliate9. Le immagini
radiografiche ottenibili dai dati della CBCT includono:
tomographic multi-planar reformatted (MPR) slices,
telecranio 2D in proiezione latero-laterale e postero-
anteriore, ortopantomografia e immagini 3D (fig.2). La
dettagliata riproduzione del distretto cranio-facciale
ottenuto tramite la CBCT è oggetto di crescente inte-
resse nel settore ortodontico, se prima del 2007 gli arti-
coli che parlavano della CBCT legata all’ortodonzia era-
no 14 attualmente hanno superato i 300.
C’è il rischio che la CBCT archivi la radiografia conven-
zionale nella diagnosi ortodontica di routine o va circo-
scritta solo a casi specifici? Se si a quale tipo di casi?
Il nostro studio ha lo scopo di valutare le indicazioni del-
la CBCT nella diagnosi ortodontica, i vantaggi e i suoi
limiti.
MATERIALI E METODI
Il materiale è stato ricercato senza limiti sul tipo di lin-
gua utilizzata nel database del Pubmed System tramite
l’impiego di parole chiave correlate all’impiego della
CBCT nell’ortodonzia.
Sono stati inclusi review, studi in vivo, su crani secchi e
sintetici in cui veniva esaminato l’uso della CBCT nella
cefalometria comparandola alla cefalometria tradiziona-
le.
Il materiale che poneva la CBCT in correlazione alla chi-
rurgia maxillo-facciale e implantare è stato ecluso, in
modo da circoscrivere l’area di interesse all’ambito dia-
gnostico nell’ortodonzia.
RISULTATI
Dall’analisi di titoli, abstract e articoli sono stati identifi-
cati in totale 35 articoli.
DISCUSSIONE
Fra i vantaggi dell’impiego di una cefalometria ottenuta
da scansioni tramite CBCT vi è la possibilità di orienta-
re la posizione del capo nei casi in cui i pazienti abbia-
no assunto una postura errata. Hassan10 ha riscontra-
to differenze statisticamente significative nelle misura-
zioni di valori cefalometrici su tracciati tradizionali di
pazienti con la testa in posizione corretta e non, diffe-
renza assente nel caso dell’impiego della CBCT.
Quest’ultimo aspetto è stato evinto anche da El-
Beialy11, effettuando le misurazioni su radiografie ese-
guite su uno stesso cranio secco messo in sei posizioni
differenti inclusa quella corretta, a differenza di Hassan
che ha analizzato 8 crani inclinati tutti a 15° lateralmen-
te. Nelle teleradiografie in proiezione antero-posteriore
quest’aspetto è particolarmente importante, infatti una
lieve deviazione del capo può alterare dei valori nelle
radiografie convenzionali.
Di recente è stata messa in discussione la precisione dei
valori desunti da CBCT. Periago12 paragonando le
misurazioni eseguite su ricostruzioni 3D generate da
dati ottenuti con la CBCT con quelle rilevate diretta-
mente su crani secchi ha evidenziato che in due terzi dei
parametri i dati ottenuti con la CBCT erano statistica-
mente differenti rispetto a quelli dei crani. In conclusio-
ne ha affermato però che alla luce dei valori analizzati
questi dati statisticamente significativi non potevano
essere tradotti in una validità clinica.
Lascala13 ha evidenziato che le misurazioni su ricostru-
zioni 3D partendo da CBCT sottostimano le dimensio-
ni effettive del massiccio cranio-facciale, ma che ciò è
statisticamente significativo solo per quel che riguarda la
base del cranio.
La qualità dell'immagine nelle ricostruzioni bidimensio-
nali per quello che riguarda la CBCT è paragonabile a
quella delle radiografie convenzionali11,12.
Riguardo l’analisi 3D il margine di errore delle misura-
zioni lineari eseguite su immagini ottenute da CBCT in
3D su campioni di crani secchi è di 0,5-2 mm quando
non vengono impiegati marker di riferimento. Quando
invece si aggiungono questi ultimi il margine di errore è
inferiore ai 0,5 mm. Va sottolineato che i marker di rife-
rimento metallici non possono essere impiegati in vivo,
inoltre i campioni di crani secchi non subiscono l’atte-
nuazione delle radiazioni dovuta ai tessuti molli né pre-
sentano artefatti correlati alla presenza di altre strutture
32DICEMBRE
2011
fig.1: rappresentazione
schematica
della CT e CBCT3
1
33DICEMBRE
2011
fig. 2: Analisi
cefalometrica 3D25
come le vertebre13.
Un recente studio afferma che l’iden-
tificazione dei reperi cefalometrici
3D con le ricostruzioni tramite
CBCT offrono misurazioni riproduci-
bili se viene seguito un protocollo
dall’operatore. I valori di ICC (intra-
class correlation coefficient) delle
misurazioni di 30 punti cefalometrici
ripetuti per tre volte da tre diversi
operatori utilizzando lo stesso
software14 rivelano una certa varia-
bilità nell’individuazione dei reperi.
L’identificazione di reperi 3D è più
precisa impiegando la MPR (multi
planar reconstruction) sebbene que-
sta richieda più tempo perché neces-
sita dell’identificazione dei reperi sui piani assiale, sagit-
tale e coronale ed un controllo bilaterale nei tre piani
dello spazio9. C’è da dire che il margine di errore nel
contesto 3D è maggiore dato che i punti sono indivi-
duati lungo gli assi X,Y e Z rispetto ai canonici assi X e
Y nel campo 2D. Nei tracciati 2D un margine di errore
di 1 mm è considerato accettabile15, aggiungendo un
terzo asse nel campo 3D si aggiunge un ulteriore mar-
gine di errore a quello totale. Lou16 ha evidenziato
però che la presenza di un margine di errore non pre-
clude una diagnosi appropriata. Questo aspetto
dovrebbe essere ulteriormente analizzato.
La letteratura evidenzia chel’individuazione dei reperi
Condylion, Porion e Gonion impiegati per definire il
piano di Francoforte e il piano Mandibolare, hanno un
elevato margine di errore16,17,18 nella CBCT.
Chen19 ha evidenziato le discrepanze nelle compo-
nenti verticali che ne susseguono. L’aspetto di maggio-
re imprecisione è l’individuazione del Porion, partico-
larmente in direzione mesio-vestibolare (M/L) e cranio-
caudale (C-C) 9 (tab.1). Ciò è dovuto alla curvatura del
meato acustico esterno su cui esso è localizzato e al
suo passaggio nella squama del temporale (fig.3) .
Anche il Gonion ed il Condylion sono localizzati su
superfici ricurve con conseguenti difficoltà nella loro
individuazione precisa18. Kumar e Ludlow20 compa-
rando cefalometrie tradizionali e 3D di 32 pazienti han-
no evidenziato che ad eccezione del piano di
Francoforte (P< 0,0001) sia le misurazioni angolari sia
quelle lineari a carico di tessuti duri e molli non sono
state statisticamente differenti (P> 0,01). Gli stessi
Kumar e Ludlow hanno ribadito questo concetto in
un’indagine eseguita su 10 crani secchi sottoposti a
radiografie tradizionali e a CBCT21. Medesima la con-
clusione di Zamora22 nell’analisi di 13 misurazioni
angolari e lineari effettuate sulle cefalometrie di otto
pazienti.
Vlijman23 analizzando le misurazioni su 40 crani secchi
e ripetute per 5 volte ha evidenziato una differenza sta-
tisticamente significativa fra le misurazioni di
ANB,SNB,NL/ML,NSL/BOP;NLS/ML,NSL/NL. Una
comparazione delle misurazioni ripetute a intervallo di
un mese su 25 crani secchi ha evidenziato differenze
statisticamente significative24.
Ludlow25 comparando il posizionamenti di 24 reperi
da parte di cinque operatori su 20 pazienti ha rilevato
una più precisa e statisticamente significativa localizza-
zione nelle immagini 3D , soprattutto per il Condilion, il
Gonion e l’Orbitale.
Gli studi in vivo non presentano differenze statistica-
mente significative per quello che riguarda i tessuti mol-
li26.
Un aspetto essenziale è la dosimetria di queste indagini
radiologiche. Silva et al27 comparando le dosi assorbite
da 16 siti di organi sensibili in seguito a convenzionali
ortopantomografie e telecrani in proiezione latero-late-
rale, CBCT e CT , ha evidenziato che la documentazio-
ne radiografica tradizionale presenta la dose di radiazio-
ni minore (10,4 µ Sv) seguita da CBCT (61 µ Sv) e infi-
ne da CT (429,7 µ Sv). Nel 2010 la House of
Delegates of the American Associaton od
Orthodontists ha affermato che l’impiego della CBCT
non è necessaria negli accertamenti radiografici di rou-
tine28.
Bisogna però evidenziare che l’effettiva dose di radiazio-
ni varia a seconda del: tipo di scanner impiegato, zona
utile per l’imaging (FoV) selezionata, numero di proie-
zioni acquisite, caratteristiche del detettore, modalità di
esposizione e altri fattori29,30,31. Un articolo del 2001
che analizzava la correlazione fra l’uso della CT nei bam-
bini e l’incidenza di tumori letali indotti da radiazioni ha
evidenziato che la dose emessa dalle CT doveva esse-
re ridotta da 6000 a 2600 µ S,dosi che la CBCT non
sfiorano affatto32,33,34,35. Di contro i vantaggi di mac-
chinari più piccoli e di costi ridotti esaltano la CBCT
rispetto alla CT.
La dose di radiazioni emessa dai mezzi impiegati sui
pazienti dovrebbe essere riportata in milli-sievert (mSv)
o micro-sievert (µ Sv) per esprimere la dose effettiva
(E). Molti autori riportano la dose assorbita che non è
rilevante per i clinici perché non prende in considerazio-
ne il rischio di radiazione del paziente nella sua totalità.
2
34DICEMBRE
2011
fig.3A: Telecranio in proiezione
latero-laterale convenzionale
che mostra la variabilità della
localizzazione del Porion. B.
Sezione coronale ottenuta da
CBCT che illustra le differenti
posizioni M/Le C/C che
possono essere impiegate per
individuare il porion: sulla
porzione più alta del margine
osseo del condotto uditivo
esterno; B: margine laterale del
condotto uditivo esterno; C: il
segmento più esterno dei
tessuti molli del condotto u
ditivo esterno25
tab.1: Analisi della variabilità
della localizzazione dei reperi in
direzione AP,CC e ML nelle
immagini ottenute con MPR9
CONCLUSIONI
Possiamo riassumere così i vantaggi della cefalometria
3D con CBCT:
- Dati 3D;
- Dimensioni reali (1:1);
- Elevata risoluzione;
- Potenziale di generazione di immagini 2D;
- Minore dose di radiazione di MSCT
- Minori costi di MSCT;
- Meno distorsioni per artefatti;
- Assenza di sovrapposizioni.
Di contro come limiti oltre all’elevata dose rispetto alla
documentazione radiografica tradizionale bisogna sotto-
lineare che per ottenere un’immagine completa del cra-
nio di un paziente servirebbe un ampio campo di vista
(FOV), a causa della dimensione limitata del detettore il
FOV rimane limitato. Possiamo quindi affermare che lo
scanner CBCT ideale per l’ortodonzia al momento non
è ancora disponibile.
I risultati della nostra review dimostrano che sebbene la
cefalometria 3D offra misurazioni più precise per l’ele-
vata dose di radiazioni emessa non può rientrare nella
diagnosi ortodontica di routine. Al momento rimane un
valido ausilio nello studio di asimmetrie e di casi orto-
dontici complessi. Di certo lo studio tridimensionale
potrebbe essere un punto di partenza per elaborare
nuovi parametri e valori da analizzare in modo da evol-
vere la tradizionale cefalometria.
MPR
Reperi AP CC ML P
A 0.74 2.01 0.68 <0.0001
B 0.69 2.19 1.32 0.0036
Condylion 1.82 1.01 2.55 <0.0001
Gnathion 1.04 1.80 1.40 0.2089
Gonion 1.71 1.75 1.22 0.1393
Inc inf 0.63 0.67 2.06 <0.0001
Inc sup 0.62 0.76 1.99 <0.0001
Menton 1.65 0.75 1.43 0.0146
Nasion 0.66 0.83 0.65 0.6016
Orbitale 2.80 0.80 5.76 <0.0001
Pogonion 0.69 1.91 1.35 0.0018
Porion 1.46 3.46 7.14 <0.0001
Sella 0.65 0.66 1.05 0.0807
A cutaneo 0.78 1.93 0.79 <0.0001
B cutaneo 0.90 1.63 1.20 0.0949
Gnation cutaneo 1.73 1.95 1.44 0.423
Pogonion cutaneo 1.31 3.98 1.44 <0.0001
Media 1.16 1.50 1.67
3
35DICEMBRE
2011
BIBLIOGRAFIA
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Se esiste sulla terra un
posto dove il sacro si
mescola virtuosamente
con il profano, la natura con le
tradizioni umane, questo e`
l`Indonesia.
Di ritorno da questo meravi-
glioso paese mi stupisco, recu-
perando i ricordi, di come abbia
visto e goduto di talmente tante
esperienze e sensazioni da met-
terle in zone recondite della mia
mente….poi d`improvviso una
foto, una frase, un souvenir me
le fanno tornare in mente ed
esclamare: “ma ho visto anche
questo!!!”.
E cosi` la memoria mi si riapre
e torno ai momenti vissuti in
questo arcipelago di piu` di
17000 isole tra l`Asia e
l`Australia, durante i ventuno
giorni che mi hanno visto loro
ospite.
Ricordo quando una mattina
ho tentato invano di raggiungere
il nirvana al tempio di
Borobodur sull`isola di Giava. Si
dice che chi ascende tutti i piani
di questo tempio, tutti meravi-
gliosamente decorati con basso-
rilievi, e tocca uno dei Buddha
che all`ultimo piano sono posti
all`interno di alcune nicchie, rag-
giunge il nirvana. Peccato che
l`ultimo piano sia in restauro e
che quindi abbia dovuto rinun-
ciare al nirvana, resta comunque
il ricordo…
Ricordo il vulcano Kawa Ijien
(nella sua caldera vi e` una cava
di zolfo purissimo), dove i porta-
tori percorrono salite e discese
ripidissime con il loro carico sul-
fureo di almeno 90 chili sulle
spalle. Giava e` isola di vulcani,
quasi tutti attivi, pertanto non
riesco a non pensare a quando,
alle tre del mattino, infreddoliti
nonostante la stagione, siamo
saliti sulle pendici di un grande
vulcano per scoprire, man mano
che l`alba ci si manifestava, che
ne conteneva all`interno altri
quattro….e uno di questi quat-
tro e` il famoso Bromo, del qua-
le a breve avremmo salito le
pendici per arrivare al cratere e
farci investire dai suoi densi fumi
bianchi.
Ma l`arcipelago indonesiano
non e` soltanto potenza vulcani-
ca, ma anche e soprattutto misti-
cismo popolare, a Bali come a
Sulawesi, dove si partecipa a
cerimonie funebri fastose e
cruente come a semplici riti di
offerta, perche` e` vero che que-
sto e` il paese musulmano piu`
popoloso, ma qui le religioni
sono tutte rappresentate, dal
buddismo all`animismo, e tutte
tollerate…fondamentalisti per-
mettendo.
Infine…la natura…il mare,
con i fondali tra i piu` belli al
mondo, l`acqua trasparente e la
sabbia chiara….e gli animali, dal-
le specie normali a quelle inve-
rosimili, come e` capitato di
vedere noi a Komodo, dove
l`uomo convive con l`animale
che al mondo assomiglia mag-
giormente ai dinosauri, il drago
di Komodo appunto, lucertolone
di cinque e piu` metri dalla pelle
squamata e le zampe tozze che
non fanno pensare ad un anima-
le veloce come invece esso e`.
Insomma il viaggio in
Indonesia e` un insieme di espe-
rienze: come un coro a piu` voci,
ognuna stupenda di per se`, ma
che fusa con le altre compone
un unicum indimenticabile.
Buon viaggio.
indonesia
MARCO POLO
Tra draghi e vulcani, l’arcipelago magico.
40DICEMBRE
2011
41DICEMBRE
2011
Di Alfredo Tursi
42MAGGIO
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43MAGGIO
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46DICEMBRE
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47MAGGIO
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50DICEMBRE
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