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Prefazione
A distanza di oltre tre anni dal clamoroso insuccesso nell’attuazione del primo
decreto legislativo sul c.d. federalismo demaniale, che avrebbe dovuto costituire la
prima pietra nella costruzione, tuttora incompiuta, del federalismo fiscale, si tenta il
rilancio di quella disciplina con l’articolo 56-bis del decreto-legge 69/2013 che reca
“Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, noto come decreto del “FARE”
In particolare, detto articolo, aggiunto in sede di conversione in legge del
decreto, mira a semplificare le procedure in materia di trasferimento di immobili agli
enti territoriali modificando in più parti l’originario decreto legislativo 28 maggio
2010, n. 85 sull’attribuzione a comuni, alle province, alle città metropolitane e alle
regioni di un proprio patrimonio in attuazione della legge 42/ 2009 sul federalismo
fiscale.
La nuova procedura, già avviata, si presenta più semplice e più rapida in
quanto attribuisce la piena competenza in materia all’Agenzia del demanio e prevede
tempi e termini già predefiniti. In breve le fasi di cui si compone sono:
- la richiesta di attribuzione del bene immobile da parte dei comuni, delle
province e delle regioni
- l’accoglimento o il rifiuto della richiesta da parte dell’Agenzia del demanio
- la conferma o meno da parte dell’ente della richiesta di attribuzione del bene
- la formalizzazione da parte dell’Agenzia del demanio del trasferimento in
proprietà dell’immobile.
Già nel 2011 Legautonomie aveva organizzato con Unicredit un’importante
ricerca sul federalismo demaniale affidata alla LUISS Business School e coordinata
da Franco Fontana e Mario Collevecchio, pervenendo alla pubblicazione del
rapporto finale nel mese di settembre 2012 con il titolo “Dal federalismo demaniale
alla valorizzazione del patrimonio pubblico”.
Ciò premesso, allo scopo di agevolare le azioni degli enti locali in alcuni
passaggi cruciali dell’indicata procedura, si è ritenuto utile preparare e diffondere la
presente Guida che mira a ricomporre l’attuale quadro normativo di riferimento del
federalismo demaniale, ad analizzare le fasi della nuova procedura e a dare consigli
agli enti medesimi sulle verifiche necessarie alla conferma della richiesta di
attribuzione del bene (anche per facilitare i contatti con le Direzioni regionali del
demanio), ma soprattutto per orientare le scelte in ordine alle strategie e agli
strumenti di valorizzazione dei beni immobili e dell’intero patrimonio immobiliare
disponibile.
La Guida è stata curata per Legautonomie dallo Studio Collevecchio di PA
management consulting di Pescara anche attraverso l’aggiornamento e la
semplificazione di alcuni temi trattati nella ricerca indicata.
Roma, gennaio 2014
Mario Collevecchio Loreto Del Cimmuto
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Sommario
Prefazione: Il rilancio del federalismo demaniale…………………………...pag. 1
Parte I
La ricomposizione del quadro normativo del federalismo demaniale
Capitolo 1 - I precedenti: le vicende del decreto legislativo 28 maggio 2010,
n. 85 sull’attribuzione agli enti territoriali di un proprio
patrimonio.Un autentico flop.… ………......................................pag. 6
1.1 – Caratteristiche e contenuti del decreto legislativo 85/2010……………pag.10
1.2 – La concreta individuazione dei beni oggetto di trasferimento: dalle aree
e dai fabbricati interessanti alle case popolari e ai ricoveri antiaerei…..pag.10
1.3 – Il disatteso calendario degli adempimenti……………………………...pag.11
1.4 – Il trasferimento dei beni culturali………………………………………pag.11
1.5 – Il conferimento dei beni trasferiti ai fondi immobiliari………………...pag.12
Capitolo 2 - Il nuovo quadro normativo del federalismo demaniale………….pag.13
2.1 – Analisi dell’articolo 56-bis del decreto del “FARE”…………………..pag.13
- I beni immobili dello Stato ammessi al trasferimento e i beni esclusi..pag.14
- La nuova procedura del trasferimento dei beni immobili dello Stato
agli enti territoriali …………………………………………………...pag.15
- I criteri per l’attribuzione dei beni agli enti territoriali……………….pag.15
- Le condizioni del trasferimento dei beni immobili dello Stato agli
enti territoriali………………………………………………………pag.16
- Il riferimento al patrimonio immobiliare originario degli enti
territoriali……………………………………………………………..pag.17
2.2 – Altre disposizioni collegate: l’efficacia del decreto 85/2010 e la
modifica dell’articolo 33, comma 8-ter, del decreto- legge 98/2011
sulle limitazioni alla possibilità di conferire i beni immobili a fondi
comuni di investimento………………………………………………..pag.17
2.3 – La normativa rivolta alla valorizzazione del patrimonio immobiliare
pubblico: il decreto-legge 201/2011 convertito dalla legge 214/2012...pag.19
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2.4 – La difficoltà di ricomporre il quadro normativo in materia di
federalismo demaniale: i più recenti interventi legislativi rivolti alla
valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico…………………...pag.21
Parte II
Le verifiche necessarie per confermare l’attribuzione del bene
Capitolo 3 - La nuova procedura del trasferimento dei beni immobili
dello Stato agli enti territoriali ……………………………………pag.23
Fase 1 – La richiesta di attribuzione del bene………………………………...pag.23
Fase 2 – L’accoglimento o il rigetto della richiesta…………………...……..pag.24
Fase 3 – Contatti con la Direzione regionale dell’Agenzia del demanio…….pag.25
Fase 4 – Conferma della richiesta di attribuzione del bene……………..........pag.26
Capitolo 4 - Analisi della situazione giuridica e fisica del bene…………........pag.26
4.1 – I punti di verifica: categoria e consistenza catastale,
localizzazione nel territorio, vincoli ricadenti sul bene,
iter procedurali necessari agli interventi di valorizzazione,
condizioni conservative, interesse per la collettività,
idoneità alla valorizzazione del territorio………….…………………..pag.26
4.2 - Il processo di “Due diligence” …………………………………………pag.27
4.2.1 - La Due diligence legale………………………………………pag.28
4.2.2 - La Due diligence tecnica……………………………………..pag.29
4.2.3 - La Due diligence ambientale…………………………………pag.30
4.3 - L’analisi dello stato di fatto dell’immobile: il sopralluogo…………....pag.31
4.3.1 - L’analisi urbanistica…………………………………………..pag.34
4.3.2 - La ricognizione dei vincoli…………………………………..pag.35
4.3.3 - Le zone di rispetto…………………………………………....pag.36
4.3.4 - Le servitù……………………………………………………...pag.39
4.3.5 - La natura dell’immobile e la verifica dello stato
occupazionale………………………………………………...pag.40
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Parte III
Le strategie di valorizzazione del bene immobile acquisito
Capitolo 5 - La valorizzazione funzionale del bene nell’interesse della
collettività…………………………………………………...........pag.43
5.1 – Il concetto di valorizzazione di un bene pubblico: la
valorizzazione funzionale secondo il decreto legislativo 85/2010…..pag.43
5.2 – Le strategie di valorizzazione: una scelta da definire prima di
confermare l’attribuzione del bene
Capitolo 6 - Le diverse forme di valorizzazione del bene……………………...pag.46
6.1 – L’alienazione………………………………………………………….pag.47
6.2 – Il leasing immobiliare…………………………………………………pag.49
6.3 – La permuta…………………………………………………………….pag.50
6.4 – La locazione…………………………………………………………...pag.50
6.5 – La concessione di diritti reale di godimento…………………………..pag.51
6.6 – La Partnership Pubblico - Privata (PPP)………………………………pag.52
6.7 – Il ricorso ai fondi immobiliari…………………………………………pag.54
6.8 – L’utilizzo diretto per la migliore prestazione dei servizi……………...pag.58
6.9 – I possibili criteri di scelta tra le diverse forme di valorizzazione……..pag.59
Capitolo 7 - Il ruolo del Business Plan nelle operazioni di valorizzazione
dei beni immobili……………………………………………….….pag.60
7.1 – L’importanza del Business Plan (BP)………………………………...pag.60
7.2 – Che cos’è il Business Plan……………………………………………pag.62
7.3 – Il processo logico e le fasi del BP…………………………………….pag.63
7.4 – I soggetti coinvolti nel processo del BP………………………………pag.65
7.5 – La redazione del BP: uno schema operativo………………………….pag.69
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Appendice
Allegato A - Decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 “Attribuzione
a comuni, province, città metropolitane e regioni di un
proprio patrimonio in attuazione dell’articolo19 della
legge 5 maggio 2009, n.42” rielaborato nel testo
vigente………………………………………………………..pag.77
Allegato B - Articolo 56 –bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69,
convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013,
n.98 “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”…..pag.85
Allegato C - Domanda di attribuzione a titolo non oneroso dei beni
di proprietà dello Stato………………………………………..pag.88
Allegato D - Procedura di accesso informatico alle operazioni
concernenti il trasferimento dei beni immobili dello
Stato ai sensi dell’articolo 56 – bis del decreto-legge
21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni
dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 recante
“Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”………....pag.91
Allegato E - Fac simile del parere dell’Agenzia del demanio………………pag.94
Allegato F – Sintesi della tempistica di attuazione dell’articolo
56- bis del ‘Decreto del Fare’………………………………..pag. 96
Parte I
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La ricomposizione del quadro normativo del federalismo demaniale
Capitolo 1
I precedenti: le vicende del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85
sull’attribuzione agli enti territoriali di un proprio patrimonio. Un autentico flop .
1.1 – Caratteristiche e contenuti del decreto legislativo 85/2010
La nuova disciplina in materia del c.d. federalismo demaniale contenuta
nell’articolo 56-bis del decreto-legge 21.6 2013, n.69, convertito dalla legge
9.8.2013, n. 98 (noto come decreto del “FARE”), nel semplificare le procedure di
trasferimento di beni immobili dello Stato agli enti territoriali, modifica in più punti
la disciplina originaria dettata dal decreto legislativo 85/2010 che è rimasto
sostanzialmente inattuato. Si richiamano in sintesi le caratteristiche e i contenuti di
quest’ultimo decreto che, per comodità di lettura, viene rielaborato nel testo vigente
in Appendice (Allegato A).
Il D.L. 85/2010 rappresenta il primo decreto legislativo emanato in attuazione
delle deleghe contenute nella legge sul federalismo fiscale 5 maggio 2009, n.42. Si
premette che detta legge aveva previsto, all’articolo 2, un termine di 24 mesi dalla
sua entrata in vigore per l’esercizio di tutte le deleghe (termine prorogato a 30 mesi
dalla legge 8.6.2011, n.85), ma nello stesso tempo aveva stabilito, al comma 6,
(sostituito dall’articolo 2, comma 6 della legge 3.12. 2009, n.196) che almeno uno dei
decreti legislativi andasse adottato entro dodici mesi da quella data e dunque entro il
21 maggio 2010.
Con un procedura lunga e laboriosa, il decreto 85/2010 è stato adottato dal
Consiglio dei Ministri entro i termini previsti attraverso il seguente iter:
- Testo approvato in via preliminare dal CDM 17 dicembre 2009
- Trasmesso alla Conferenza unificata 28 dicembre 2009
- Osservazioni e proposte emendative ANCI e UPI 20 e 26 gennaio 2010
- Mancata intesa della Conferenza unificata 27 gennaio 2010
- Conferenza non convocata entro il 27 febbraio 2010
- Parere favorevole della Conferenza Stato – città -
autonomie locali 4 marzo 2010
-Testo approvato dal CDM con relazione e inviato alle Camere 12 marzo 2010
- Parere della CPFF e delle Commissioni di merito 19 maggio 2010
- Definitivamente approvato dal CDM 20 maggio 2010
- Pubblicato nella G.U. n. 134 11 giugno 2010
- Entrato in vigore 26 giugno 2010
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Si elencano qui di seguito i contenuti in forma schematica del decreto allo
scopo di presentare una chiave di lettura semplificata del provvedimento.
Esso si compone di 9 articoli che riguardano:
Art. 1 – Oggetto
Art. 2 – Parametri per l’attribuzione del patrimonio
Art. 3 – Attribuzione e trasferimento dei beni
Art. 4 – Status dei beni
Art. 5 – Tipologie dei beni
Art. 6 – Valorizzazione dei beni attraverso fondi comuni di investimento
immobiliare
Art. 7 – Decreti biennali di attribuzione
Art. 8 – Utilizzo ottimale di beni pubblici da parte degli enti territoriali
Art. 9 – Disposizioni finali
La procedura - tipo prevista per l’acquisizione dei beni, ora superata era la
seguente:
1 – Individuazione dei beni da attribuire
2 – Richiesta di attribuzione
3 – Attribuzione del bene
4 – Acquisizione del bene
1 – Individuazione dei beni da attribuire
Ai sensi dell’articolo 3, comma 3, del decreto, l’individuazione dei beni da
attribuire agli enti territoriali sarebbe dovuta intervenire mediante l’inserimento in
appositi elenchi contenuti in uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei
Ministri da adottare entro il 23 dicembre 2010, previa intesa con la Conferenza
Unificata.
L’individuazione andava effettuata per ciascun comune, provincia e regione e
per singoli beni o per gruppi e con l’indicazione dei seguenti elementi informativi:
stato giuridico, consistenza, valore, entrate corrispondenti, costi di gestione.
I criteri di attribuzione dei beni stabiliti dall’articolo 1, da ritenere tuttora in
vigore, sono:
sussidiarietà, adeguatezza e territorialità (prioritariamente ai Comuni)
semplificazione (anche con inserimento nel Piano delle alienazioni e
valorizzazioni)
capacità finanziaria
correlazione con competenze e funzioni
valorizzazione ambientale
2 - Richiesta di attribuzione:
L’articolo 3, comma 4, prevedeva la facoltà degli enti territoriali di presentare
all’Agenzia del Demanio la domanda di attribuzione del bene entro il termine
perentorio di 60 giorni dalla data di pubblicazione del DPCM di individuazione dei
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beni. Alla domanda andava allegata una relazione concernente le specifiche finalità e
modalità di utilizzazione, la tempistica e l’economicità delle operazioni, la
destinazione del bene.
3 – Attribuzione del bene
L’attribuzione del bene all’ente interessato sarebbe dovuta avvenire con altro
DPCM da adottare entro 60 giorni sulla base delle richieste di assegnazione
pervenute e dei criteri indicati.
4 – Acquisizione del bene
Sempre ai sensi dell’articolo 3, comma 4, l’ acquisizione del bene da parte
dell’ente avviene con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del DPCM di
attribuzione che costituisce titolo per la trascrizione e per la voltura catastale dei beni.
Ai sensi dell’articolo 4, i beni trasferiti entrano a far parte del patrimonio
disponibile degli enti (ad eccezione di quelli appartenenti al demanio marittimo,
idrico e aeroportuale ed altri con specifica motivazione nel DPCM).
Il trasferimento avviene nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano e
l’ente subentra in tutti i rapporti attivi e passivi.
Ma oltre alle procedura indicata di attribuzione dei beni dello Stato agli enti
territoriali, il DL 85/2010 ha anche previsto all’articolo 3, commi 1 e 2, il
trasferimento diretto di alcune categorie di beni alle Regioni e alle Province da
effettuare con uno o più DPCM entro il 23 dicembre 2010.
In particolare, il trasferimento dei beni alle Regioni riguarda:
─ beni del demanio marittimo e relative pertinenze (esclusi quelli direttamente
utilizzati dalle Amministrazioni statali)
─ beni del demanio idrico e relative pertinenze, le opere idrauliche e di bonifica
di competenza statale, con esclusione di:
- fiumi di ambito sovraregionale
- laghi di ambito sovraregionale (in mancanza di intesa tra le Regioni
interessate)
- aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico
civile dello Stato.
Il trasferimento diretto di beni alle Province riguarda:
─ beni del demanio idrico limitatamente ai laghi chiusi, privi di emissioni di
superficie, che insistono nel territorio di una sola provincia
─ miniere ubicate su terraferma, escluse quelle che comprendono giacimenti
petroliferi e di gas
─ siti di stoccaggio di gas naturale e relative pertinenze
Alle Province spetta altresì una quota dei proventi dei canoni di utilizzazione
dei beni del demanio idrico trasferiti alla Regione che insistono sul territorio
provinciale, sulla base di un’intesa tra Regione e Province.
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Il DL 85/2010 prevede tuttavia all’articolo 5 una serie di beni esclusi in ogni
caso dal trasferimento che individua come segue:
- immobili in uso alle Amministrazioni dello Stato, enti pubblici e Agenzie
per comprovate ed effettive finalità istituzionali
- porti e aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale
- beni oggetto di accordi o intese con gli enti territoriali sottoscritti alla
data del 26 giugno 2010
- reti di interesse statale, comprese quelle stradali ed energetiche
- strade ferrate in uso di proprietà dello Stato
- parchi nazionali e riserve naturali statali
- beni appartenenti al patrimonio culturale (in parte)
- beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica
- beni in uso al Senato, alla Camera, alla Corte Costituzionale e agli organi
di rilevanza costituzionale
Altri aspetti salienti del decreto vengono riassunti come segue:
─ Riserva di individuazione e di attribuzione di beni immobili in uso al Ministero
della difesa con DPCM da emanare entro il 26 giugno 2011, previa intesa con la
Conferenza Unificata (art. 5, comma 4).
─ Diverso regime del trasferimento dei beni culturali cui lo Stato provvede entro il
26 giugno 2011 nell’ ambito di accordi di valorizzazione e di programmi e piani
strategici di sviluppo culturale di cui all’ art. 112, comma 4 del codice dei beni
culturali e del paesaggio (art. 5, comma 5).
─ Confluenza in un patrimonio vincolato affidato all’Agenzia del demanio, dei beni
per i quali non è stata presentata domanda di attribuzione, con DPCM da
adottare previa intesa con la Conferenza Unificata (art.3, comma 6).
─ Riduzione dei trasferimenti agli enti destinatari dei beni in misura pari alla
riduzione delle entrate erariali che i beni producevano (art. 9, comma 1).
─ Esclusione delle spese relative ai beni trasferiti dai vincoli del Patto di
stabilità interno (in misura limitata alle spese già sostenute dallo Stato per la
gestione e la manutenzione del bene) (art. 9, comma 3)
─ Possibilità di richiedere l’attribuzione di ulteriori beni resisi disponibili o a
decorrere dal 1° gennaio 2012 e con periodicità biennale (art.7)
─ Destinazione delle risorse nette derivanti dall’alienazione degli immobili trasferiti
o dal conferimento degli stessi a fondi immobiliari per il 75% alla riduzione del
debito dell’ente e per il restante 25% al Fondo per l’ammortamento dei titoli dello
Stato (art.9, comma 4).
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1.2 – La concreta individuazione dei beni oggetto di trasferimento: dalle aree e
dai fabbricati interessanti alle case popolari e ai ricoveri antiaerei
L’operazione di attribuzione dei beni agli enti territoriali prevista dal decreto
legislativo 85/2010 riguardava la dismissione di circa 19.000 immobili per un valore
complessivo intorno ai due miliardi di euro. Si trattava tuttavia di stime in quanto
l’Agenzia del demanio aveva pubblicato nel sito benidellostato.agenziademanio.it
(beni patrimoniali dello Stato) l’elenco dei beni trasferibili ubicati nei comuni,
aggiornato periodicamente, con indicazioni tuttavia incomplete rispetto a quelle
necessarie per poter tempestivamente valutare l’opportunità o meno di prepararsi a
presentare la domanda di attribuzione.
La tipologia dei beni patrimoniali presenti nel sito può essere riepilogata
come segue.
● AREE:
arenili, ex campi di tiro a segno, giardini pubblici, cimiteri, terreni alluvionali,
galoppatoi, ex torrenti, alvei, fossi e fossati, campi sportivi, aree di risulta.
● TERRENI:
terreni vari, sedi ferroviarie, sedi stradali, argini e alvei di fiumi e torrenti, ex
ferrovie, terreni di ex caserme.
● FABBRICATI :
appartamenti, negozi, sedi di uffici, abitazioni, palazzine alloggio dipendenti, case
popolari, capannoni, fabbricati ex casa del fascio, ex caserme, stabilimenti balneari,
fabbricati sede di scuole, chiese, palazzi, gallerie, ricoveri antiaerei, ex carceri, case
per i senza tetto, chioschi, beni ex difesa, case circondariali, ex polveriere.
● ALTRA TIPOLOGIA:
strade e parcheggi, relitti, beni vari ereditati, ex strade militari, cabine elettriche.
Per ciascuno dei beni suddetti gli elementi conoscitivi presenti nel sito erano
soltanto i seguenti:
localizzazione geografica
descrizione
valore inventariale
dati catastali.
Gli elenchi suddetti hanno destato molte perplessità in quanto comprensivi di
diversi beni di scarso valore e comunque non in grado di stimolare la domanda di
attribuzione da parte degli enti (fossi, alvei, ex case del fascio, ricoveri antiaerei,
relitti stradali, ecc.). Ma, esaminando gli elenchi con maggiore attenzione, si
rinvengono anche beni di sicuro interesse suscettibili di valorizzazione in una delle
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forme che saranno in seguito indicate. Basti pensare, ad esempio, alle aree dismesse
situate nei centri urbani, ai fabbricati in buono stato, alle ex -caserme e così via.
1.3 - Il disatteso calendario degli adempimenti
Il decreto legislativo 85/2010 affidava gran parte della sua attuazione
all’emanazione di numerosi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e a
successivi decreti ministeriali trovando proprio in questa pesantissima procedura uno
dei maggiori limiti che ne hanno determinato l’insuccesso.
Il calendario previsto dalla norma contemplava infatti oltre venti adempimenti con
fissazione di termini alcuni ordinatori, altri perentori. Quasi nessuno dei termini è
stato rispettato e soprattutto quello fondamentale del 23 dicembre 2010 relativo
al’emanazione di uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da
adottare previa intesa con la Conferenza unificata, relativi all’individuazione dei beni
da trasferire. Da quell’adempimento infatti si sarebbe successivamente svolta la
procedura di richiesta e di attribuzione del bene agli enti territoriali. Così non è stato
e la complessa procedura è stata sostanzialmente abbandonata. In particolare, la
Conferenza unificata aveva espresso avviso contrario fin dal mese di novembre 2010
sul primo provvedimento del direttore dell’Agenzia del demanio concernente la
definizione dell’elenco dei beni esclusi dal trasferimento perché considerato
incompleto e non adeguatamente motivato, al punto che è stato successivamente
ritirato. L’elenco è stato riproposto nel mese di aprile 2011, ma è stato nuovamente
contestato dagli enti locali per la presenza di diverse incongruenze. Analoga sorte ha
ricevuto lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente
l’elenco dei beni trasferibili agli enti territoriali, ai sensi dell’articolo 3, comma 3 del
decreto legislativo 85/2010, sul quale la Conferenza unificata, nella seduta del 5
maggio 2011, non ha espresso l’intesa e ha chiesto all’Agenzia del demanio tutte le
informazioni necessarie sugli immobili previste dal decreto legislativo e precisazioni
sull’individuazione degli enti destinatari dei beni.
Quest’ultimo schema di decreto, solo parzialmente integrato, è stato di nuovo
sottoposto all’intesa della Conferenza nella seduta del 27 luglio 2011, ma ancora una
volta l’intesa è mancata.
La situazione si è andata via via complicando tanto che l’ANCI, con una
nota del 2 novembre 2011, esprimeva preoccupazione per il ritardo dell’operazione di
trasferimento dei beni e chiedeva l’indizione di un’apposita seduta della
Commissione bilaterale per il federalismo fiscale, integrata da rappresentanti degli
enti territoriali, per superare la situazione di stallo e procedere verso la conclusione.
1.4 - Il trasferimento dei beni culturali
Nel frattempo erano intervenute due importanti novità.
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La prima riguardava la diramazione da parte del Ministero per i beni e le
attività culturali della circolare n.18 del 18.5.2011 concernente la stipula di un
Protocollo d’intesa tra il Ministero medesimo e l’Agenzia del demanio rivolto a
garantire un’omogenea e coordinata attuazione delle procedure previste dall’articolo
5, comma 5 del decreto legislativo 85/2010 su tutto il territorio nazionale.
Detto comma, modificato dall’articolo 27, comma 8, del decreto-legge 6.12.
2011, n.201, convertito dalla legge 22.12.2011, n. 214, stabilisce quanto segue:
“5. Nell'ambito di specifici accordi di valorizzazione e dei conseguenti
programmi e piani strategici di sviluppo culturale, definiti ai sensi e con i contenuti
di cui all'articolo 112, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui
al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, lo Stato
provvede, entro un anno dalla data di presentazione della domanda di trasferimento,
al trasferimento alle Regioni e agli altri enti territoriali, ai sensi dell'articolo 54,
comma 3, del citato codice, dei beni e delle cose indicati nei suddetti accordi di
valorizzazione”.
Il Protocollo d’intesa prevede una procedura diversa da quella prescritta dal
decreto 85/2010 per gli altri beni da trasferire; procedura che si è manifestata più
agile in quanto basata su Accordi di valorizzazione riferiti a singoli beni individuati
dagli stessi enti territoriali e alla quale sostanzialmente si ispirano le nuove modalità
procedurali previste dall’articolo 56-bis del decreto-legge 69/2013.
In sintesi, essa si svolge come segue:
- l’iniziativa in merito all’attivazione del procedimento spetta agli enti
territoriali interessati ad acquisire in proprietà beni appartenenti al patrimonio
culturale dello Stato che inoltrano apposita istanza motivata al MIBAC e alla filiale
dell’Agenzia del demanio competente per territorio
- viene costituito in ciascuna Regione il Tavolo tecnico operativo, cui sono
convocati i rappresentanti degli enti territoriali interessati, per l’esame preliminare
delle condizioni necessarie per procedere alla conclusione di un accordo di
valorizzazione. L’esame riguarda le caratteristiche fisiche, morfologiche, ambientali,
paesaggistiche, storico-artistiche e giuridico – amministrative dei beni richiesti
- con riguardo ai beni di cui è stata verificata la suscettività a rientrare nelle
ipotesi previste dal citato articolo 5, comma 5 del decreto 85/2010, gli enti interessati
presentano un programma di valorizzazione redatto sulla base di linee-guida
predisposte dal MIBAC
- in seguito all’esame del programma di valorizzazione da parte del Tavolo
tecnico, si perviene alla condivisione e accettazione del MIBAC, di concerto con
l’Agenzia del demanio, e alla predisposizione e alla sottoscrizione dell’Accordo di
valorizzazione
- l’Agenzia del demanio attiva le procedure di propria competenza al fine di
consentire il trasferimento del bene mediante la stipula di specifici atti pubblici
- una volta trasferiti in proprietà degli ali enti territoriali, i beni conservano
la natura di demanio pubblico- ramo storico, archeologico e artistico e
restano assoggettati alla relativa disciplina di salvaguardia.
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1.5 – Il conferimento dei beni trasferiti ai fondi immobiliari
L’altra novità è rappresentata dalla modifica introdotta al decreto legislativo
85/2010 da una delle numerose disposizioni che hanno dato luogo alla manovra di
finanza pubblica per gli anni 2011- 2014 e successivi. Si tratta in particolare
dell’articolo 33 del decreto-legge 6.7.2011, n.98 convertito con modificazioni dalla
legge 15.7.2011, n.111 recante ”Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria”. Nella prospettiva di contenere il disavanzo pubblico e l’indebitamento
agendo anche sulla valorizzazione dei beni patrimoniali dello Stato e delle
amministrazioni pubbliche, la norma prevede la costituzione di una società di
gestione del risparmio che partecipa a fondi di investimento immobiliare chiusi
promossi dagli enti territoriali al fine di valorizzare o dismettere il proprio
patrimonio.
In particolare, il comma 2 del suddetto articolo 33 stabilisce che ai fondi
comuni di investimento immobiliare promossi dagli enti territoriali e da altri enti
pubblici possono essere apportati, a fronte dell’emissione di quote del fondo
medesimo, anche beni immobili trasferiti ai sensi dell’articolo 3, comma 3 del
decreto legislativo 85/2010 e che nel caso dei beni individuati dal quest’ultimo
decreto, la domanda di attribuzione da parte dell’ente può essere motivata dal
trasferimento dei beni ai fondi previsti dal medesimo comma 2.
La nuova normativa introdotta ha dato luogo all’abrogazione espressa
dell’articolo 6 del decreto legislativo 85/2010 concernente la “Valorizzazione dei
beni attraverso fondi comuni di investimenti immobiliare”.
Successivamente al citato articolo 33 è stato aggiunto l’articolo 33-bis
dall’articolo 27 del decreto-legge 6.12.2011, n. 201, convertito dalla legge 22
12.2011, n. 214 “Disposizioni urgenti per la crescita,l’equità e il consolidamento dei
conti pubblici”, che ha dettato una nuova disciplina unitaria dei processi di
valorizzazione dei beni del patrimonio immobiliare pubblico modificando altresì
l’articolo 5, comma 5, del decreto 85/2010.
Capitolo 2
Il nuovo quadro normativo del federalismo demaniale
2.1 - Analisi dell’articolo 56-bis del decreto del “FARE”
L’articolo 56-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, convertito dalla legge
9 agosto 2013, n.98 “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” opera una
importante semplificazione delle procedure di trasferimento di beni immobili dello
Stato agli enti territoriali apportando modifiche espresse e implicite al decreto
legislativo 85/2010.
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Esaminiamo i 13 commi di cui l’articolo si compone (Allegato B).
I beni immobili dello Stato ammessi al trasferimento e i beni esclusi
Il comma 1 conferma che il trasferimento in proprietà a comuni, province, città
metropolitane e regioni dei beni immobili è a titolo non oneroso e aggiunge che il
trasferimento è disciplinato dall’articolo 56-bis. Questa affermazione si collega alla
norma di chiusura, dettata al comma 12, che limita l’applicazione delle disposizioni
contenute nel decreto 85/2010 soltanto a quelle compatibili con quanto previsto dallo
stesso articolo 56-bis.
Per quanto riguarda i beni immobili cui la nuova disciplina si riferisce, essi
sono gli stessi già indicati dall’articolo 5, comma 1, lettera e) e comma 4 del decreto
85/2010 siti nei rispettivi territori e precisamente:
beni immobili dello Stato, ad eccezione di quelli esclusi dal trasferimento
beni immobili comunque in uso al Ministero della difesa non ricompresi tra:
- quelli utilizzati per le funzioni di difesa e sicurezza nazionale
- quelli non oggetto delle procedure previste per la dotazione delle
infrastrutture militari ai sensi dell’articolo 14-bis del decreto-legge
25.6.2008, n.112, convertito dalla legge 6.8.2008, n.133
- quelli destinati alla realizzazione del programma degli alloggi di servizio
- quelli non funzionali alla realizzazione di programmi di riorganizzazione
dello strumento militare finalizzati all’efficace ed efficiente esercizio delle
citate funzioni, attraverso gli specifici strumenti riconosciuti al Ministero
della difesa dalla normativa vigente.
Viene tuttavia ampliata la sfera di esclusione dal trasferimento di beni immobili
che comprende, oltre a quelli indicati:
- beni immobili in uso per finalità dello Stato
- beni immobili da assegnare in uso o da trasferire ai fondi comuni di
investimento immobiliare in seguito alla verifica da parte dell’Agenzia del
demanio della corrispondenza dei fabbisogni di spazio allocativo comunicati
dalle amministrazioni dello Stato con gli obiettivi di contenimento della
spesa pubblica ai sensi dell’articolo 2, comma 22, della legge finanziaria 2010
- beni immobili per i quali siano in corso procedure volte a consentirne l’uso
per le medesime finalità sopraindicate
- beni per i quali siano in corso operazioni di valorizzazione o dismissione ai
sensi dell’articolo 33 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98, convertito dalla
legge 15 luglio 2011, n.111, che detta “Disposizioni in materia di
valorizzazione del patrimonio immobiliare.
A tale elenco vanno aggiunti anche i beni immobili già previsti come esclusi dal
trasferimento dall’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 85/2010 e
precisamente:
- immobili in uso alle Amministrazioni dello Stato, enti pubblici e Agenzie per
comprovate ed effettive finalità istituzionali
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- porti e aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale
- beni oggetto di accordi o intese con gli enti territoriali sottoscritti alla data
del 26 giugno 2010
- reti di interesse statale, comprese quelle stradali ed energetiche
- strade ferrate in uso di proprietà dello Stato
- parchi nazionali e riserve naturali statali
- beni appartenenti al patrimonio culturale (che seguono un altro regime)
- beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica
- beni in uso al Senato, alla Camera, alla Corte Costituzionale e agli organi di
rilevanza costituzionale.
La nuova procedura del trasferimento dei beni immobili
dello Stato agli enti territoriali
I commi 2 e 3 dell’articolo 56-bis dettano la nuova procedura per il
trasferimento dei beni immobili dello Stato agli enti territoriali. Con riserva di esame
nel successivo capitolo III, detta procedura si può riassumere nelle seguenti fasi:
- richiesta di attribuzione del bene immobile da parte dei comuni, delle province
e delle regioni da presentare entro il termine perentorio del 30 novembre 2013
- accoglimento o rifiuto della richiesta da parte dell’Agenzia del demanio, che
deve darne comunicazione all’ente interessato entro 60 giorni dalla ricezione
della richiesta
- nei successivi 120 giorni, l’ente può prendere contatti con le Direzione
regionale del demanio, visionare la documentazione, effettuare eventuali
sopralluoghi, concordare con la predetta Direzione le modalità e i tempi del
trasferimento dell’immobile e confermare la richiesta di attribuzione
- nei successivi 90 giorni, l’Agenzia del demanio formalizzerà il trasferimento in
proprietà dell’immobile.
I criteri per l’attribuzione dei beni agli enti territoriali
Il comma 4 dell’articolo 56-bis conferma il riferimento al principio della
sussidiarietà e del radicamento al territorio come criterio fondamentale di riferimento
per l’attribuzione del bene immobile a più livelli di governo che ne facciano richiesta;
criterio già presente nell’articolo 2, comma 5, lett. a) del decreto legislativo 85/2010.
Ne deriva che in tali casi il bene è attribuito in via prioritaria ai comuni e alle città
metropolitane e, in via subordinata, alle province e alle regioni. Se i beni sono però
già utilizzati, essi sono trasferiti prioritariamente agli enti utilizzatori.
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Le condizioni del trasferimento dei beni immobili dello Stato agli enti territoriali
Le condizioni che accompagnano il trasferimento dei beni immobili dello Stato
agli enti territoriali sono in sostanza le stesse già presenti nel decreto legislativo
85/2010 e solo in parte potenziate. Se ne occupano i commi da 5 a 8 e il comma 10
dell’articolo 56 – bis e possono riassumersi come segue:
- se l’ente non risulta utilizzare i beni trasferiti, trascorsi tre anni dal
trasferimento gli stessi rientrano nella proprietà dello Stato che ne assicura la
migliore utilizzazione
- i beni trasferiti entrano a far parte del patrimonio disponibile dell’ente con
tutti gli accessori, le pertinenze, gli oneri e i pesi.
- l’immissione dell’ente nel possesso giuridico dei beni avviene a decorrere
dalla data di sottoscrizione dell’atto formale di trasferimento che ha luogo
nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano
- con la sottoscrizione dell’atto formale di trasferimento l’ente subentra in tutti i
rapporti attivi e passivi relativi al bene trasferito
- se per effetto del trasferimento gli enti territoriali acquisiscono in proprietà
beni immobili utilizzati dallo Stato a titolo oneroso, le risorse a qualsiasi titolo
loro spettanti sono ridotte in misura pari alla riduzione delle entrate erariali
conseguenti al trasferimento del bene. Si tratta, in sostanza, di un recupero
della minore entrata dello Stato che, di norma, si effettua attraverso la
corrispondente riduzione dei trasferimenti spettanti all’ente. In mancanza, la
norma prevede che il recupero sia disposto dall’Agenzia delle entrate a valere
sui tributi dell’ente ovvero con versamento diretto a parte dell’ente medesimo
dell’importo intero o residuale
- se i beni immobili trasferiti servono a soddisfare esigenze allocative delle
amministrazioni statali, gli enti proprietari continuano ad assicurare l’uso
gratuito degli immobili medesimi fino al permanere delle esigenze medesime.
Deve pertanto trattarsi di esigenze temporanee altrimenti il bene sarebbe
escluso dal trasferimento
- le risorse nette derivanti all’ente dall’eventuale alienazione dei beni immobili
trasferiti o dall’ eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i
medesimi immobili siano stati conferiti sono acquisite dall’ente per un
ammontare del 75% e destinate alla riduzione del suo debito. In assenza del
debito o per la parte eccedente, le predette risorse sono destinate a finanziare
spese di investimento. La residua quota del 25% è destinata al Fondo per
l’ammortamento dei titoli di Stato
- l’alienazione dei beni immobili trasferiti è subordinata alla previa attestazione
della congruità del valore del bene da parte dell’Agenzia del demanio.
L’attestazione è resa entro il termine di 30 giorni dalla richiesta
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Il riferimento al patrimonio immobiliare originario degli enti territoriali
Il comma 11 dell’articolo 56 – bis contiene una disposizione estranea alla
semplificazione delle procedure in materia di trasferimento di immobili agli enti
territoriali che costituisce l’oggetto della norma. Essa attiene infatti all’originario
patrimonio immobiliare disponibile degli enti locali, vale a dire al patrimonio già
esistente prima del trasferimento dei beni, e dispone che, in caso di alienazione di
beni appartenenti a detto patrimonio il 10% delle risorse nette derivanti è destinato al
Fondo per l’ammortamento dei titoli dello Stato. La restante parte, il 90%, resta
destinata esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di
queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito, così come stabilito
dall’articolo 1, comma 443, della legge 24.12.2012, n.228 (legge di stabilità 2013).
Se si considera la rilevante entità dei beni che appartengono al patrimonio disponibile
degli enti territoriali e in particolare dei Comuni (si stima sia di euro), la norma
incide ancora una volta sulla difficile situazione finanziaria degli enti locali
sottraendo risorse reali e potenziali indispensabili per gli investimenti. La ratio si
rinviene nella norma stessa che motiva l’intervento “in considerazione
dell’eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle esigenze
prioritarie di riduzione del debito pubblico, al fine di contribuire alla stabilizzazione
finanziaria e promuovere iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesione
sociale”.
2.2 - Altre disposizioni collegate: l’efficacia del decreto 85/2010 e la modifica
dell’articolo 33, comma 8-ter, del decreto- legge 98/2011 sulle limitazioni alla
possibilità di conferire i beni immobili a fondi comuni di investimento
L’articolo 56-bis contiene infine altre disposizioni collegate che si riferiscono
all’efficacia territoriale della norma e ad alcune modifiche apportate alla disciplina
vigente del federalismo demaniale.
In particolare, il comma 9 esclude dall’applicazione della nuova disciplina gli enti
territoriali delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e
Bolzano, confermando la differenziazione del regime giuridico che deriva dagli
statuti di autonomia.
Il comma 12 contiene una norma di chiusura nel senso che limita
l’applicazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 85/2010 solo in
quanto compatibili con quanto previsto dall’articolo 56-bis. Tenuto conto delle
modifiche espresse ed implicite introdotte al suddetto decreto, si manifesta utile
ricomporre il testo del decreto 85/2010 nella versione vigente cosi come riportato in
Appendice (Allegato A).
Il comma 13 infine apporta ulteriori modificazioni all’articolo 33 del decreto-
legge 6.7.2011,n.98, convertito dalla legge 15.7.2011, n.111 che reca “Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, con riferimento al comma 8-ter. In
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particolare l’articolo 33 detta disposizioni in materia di valorizzazione del patrimonio
immobiliare e prevede, tra l’altro, la costituzione di una società di gestione del
risparmio che partecipa a fondi di investimento immobiliare chiusi promossi dagli
enti territoriali al fine di valorizzare o dismettere il proprio patrimonio immobiliare
disponibile. Il comma 2 stabilisce che ai fondi comuni di investimento immobiliare
promossi o partecipati da enti territoriali e da altri enti pubblici possono essere
apportati, a fronte dell’emissione di quote del fondo medesimo, anche beni immobili
trasferiti ai sensi del decreto legislativo 85/2010 e che nel caso di beni individuati da
quest’ultimo decreto, la domanda di attribuzione da parte dell’ente può essere
motivata dal trasferimento dei beni ai fondi suddetti. La norma ha conseguentemente
abrogato l’articolo 6 del decreto 85/2010 che aveva per oggetto ”Valorizzazione dei
beni attraverso fondi comuni di investimento immobiliare”.
Successivamente è stato aggiunto all’articolo 33 il comma 8-ter dall’articolo
23-ter, comma 1, lettera g) del decreto legge 6.7.2012, n.95 convertito dalla legge
7.8.2012, n.135 “ Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con
invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle
imprese nel settore bancario”. Il comma viene riportato in nota nel testo vigente
indicando in corsivo le parti soppresse dal comma 13 dell’articolo 56-bis in esame1 .
1 «8-ter. Allo scopo di conseguire la riduzione del debito pubblico il Ministro dell'economia e delle
finanze, attraverso la società di gestione del risparmio di cui al comma 1, promuove, con le
modalità di cui all'articolo 4 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con
modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, la costituzione di uno o più fondi comuni
d'investimento immobiliare, a cui trasferire o conferire immobili di proprietà dello Stato non
utilizzati per finalità istituzionali, nonché diritti reali immobiliari. Le risorse derivanti dalla cessione
delle quote del Ministero dell'economia e delle finanze sono versate all'entrata del bilancio dello
Stato per essere riassegnate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, e destinate al
pagamento dei debiti dello Stato; a tale ultimo fine i corrispettivi possono essere riassegnati al
Fondo speciale per la reiscrizione dei residui perenti delle spese correnti e al Fondo speciale per la
reiscrizione dei residui perenti in conto capitale, ovvero possono essere utilizzati per incrementare
l'importo stabilito dall'articolo 35, comma 1, lettera b), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1,
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, si provvede alla
determinazione delle percentuali di riparto tra le finalità indicate nel presente comma. Le società
controllate direttamente o indirettamente dallo Stato possono deliberare il trasferimento o il
conferimento a tali fondi di immobili di proprietà. Possono altresì essere trasferiti o conferiti ai
medesimi fondi i beni valorizzabili, suscettibili di trasferimento ai sensi dell'articolo 5, comma 1,
lettera e), del decreto legislativo 28 maggio 2010, ,n.85 individuati dall'Agenzia del demanio e a
seguito di apposita manifestazione, da parte dei competenti organi degli Enti interessati, della
volontà di valorizzazione secondo le procedure del presente comma. I decreti del Ministro
dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 4 del citato decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351,
disciplinano, altresì, le modalità di concertazione con le competenti strutture tecniche dei diversi
livelli di governo territoriale interessati, nonché l'attribuzione agli Enti territoriali delle quote dei
fondi, nel rispetto della ripartizione e per le finalità previste dall'articolo 9 del decreto legislativo
28 maggio 2010, n. 85, limitatamente ai beni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), sopra
richiamato, derivanti dal conferimento ai predetti fondi immobiliari. Ai fondi di cui al presente
comma possono conferire beni anche i soggetti di cui al comma 2 con le modalità ivi previste,
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Come si può osservare, è stata eliminata la possibilità di trasferire o conferire ai
fondi comuni d’investimento immobiliare promossi dal Ministero dell’economia e
delle finanze cui conferire immobili di proprietà dello Stato, non utilizzati per finalità
istituzionali, anche beni immobili suscettibili di trasferimento agli enti territoriali, ai
sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 85/10. Si tratta, in
particolare, di beni individuati dall'Agenzia del demanio e per quali vi era stata
un’apposita manifestazione di volontà di valorizzazione in tal senso da parte dei
competenti organi degli enti interessati. Conseguentemente è venuta meno,
limitatamente ai suddetti beni, la possibilità di attribuire agli enti territoriali quote dei
fondi medesimi nel rispetto della ripartizione e per le finalità previste dall'articolo 9
del decreto legislativo 85/2010.
2.3 - La normativa rivolta alla valorizzazione del patrimonio immobiliare
pubblico: il decreto-legge 201/2011 convertito dalla legge 214/2012
Sul finire dell’anno 2011, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201
“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”,
convertito dalla legge 22 dicembre 2012, n.214, mira ad avviare una nuova strategia
dei processi di valorizzazione del patrimonio pubblico rivolta ad ottenere maggiore
razionalità nella gestione e nell’alienazione dei beni e maggiore redditività dei
medesimi anche al fine di trarre risorse necessarie alla stabilizzazione finanziaria. Si
tratta di una strategia basata sul recupero di una visione unitaria del patrimonio a
prescindere dai soggetti istituzionali proprietari, sulla programmazione degli
interventi, sui rapporti di collaborazione tra i diversi livelli di governo, sulla
semplificazione delle procedure, su tempi prestabiliti. L’articolo 27 del decreto,
rubricato “Dismissioni immobili”, mira a ricomporre il quadro normativo di
disciplina della materia dettando nuove disposizioni sui percorsi procedurali e
introducendo modifiche e integrazioni alle leggi vigenti. Particolare rilievo assume al
riguardo il primo comma del decreto che aggiunge l’articolo 33-bis al decreto-legge
111/2011 rivolto a disciplinare gli strumenti sussidiari per la gestione degli immobili
pubblici.
La norma prevede in sintesi quanto segue:
- iniziative dell’Agenzia del demanio per la valorizzazione, la trasformazione, la
gestione e l’alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, e dei relativi diritti
reali, di proprietà dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle ovvero con apposita deliberazione adottata secondo le procedure di cui all'articolo 58 del decreto-
legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,
anche in deroga all'obbligo di allegare il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari al
bilancio. Tale delibera deve indicare espressamente le destinazioni urbanistiche non compatibili con
le strategie di trasformazione urbana. La totalità delle risorse rivenienti dalla valorizzazione ed
alienazione degli immobili di proprietà delle Regioni e degli Enti locali trasferiti ai fondi di cui al
presente comma, è destinata alla riduzione del debito dell'Ente e, solo in assenza del debito, o
comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento”.
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Regioni e dello Stato e degli enti vigilati dagli stessi. Le iniziative consistono nel
promuovere la costituzione di società, consorzi o fondi immobiliari;
- procedure semplificate basate sull’attivazione di conferenze di servizio;
- l’adesione dell’Agenzia del demanio alle forme societarie in qualità di finanziatore
e di struttura tecnica di supporto, anche nel caso in cui non vi siano inclusi beni di
proprietà dello Stato;
- la sostituzione del primo e secondo comma dell’articolo 58 del decreto-legge 25
giugno 2008, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n.133, prevedendo, tra l’altro,
che nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari degli enti territoriali,
da allegare al bilancio di previsione, siano compresi anche quelli appartenenti a
società o enti a totale partecipazione degli stessi enti territoriali e siano inseriti,
previa intesa, anche immobili di proprietà dello Stato che insistono nel relativo
territorio
- l’affermazione del principio che nel processo di valorizzazione degli immobili
pubblici l’attività dei Comuni, delle Città metropolitane, delle Province, delle
Regioni e dello Stato si ispira ai principi di cooperazione istituzionale e di
copianificazione, prevedendo anche l’istituzione di sedi stabili di concertazione per
l’armonizzazione delle procedure di pianificazione del territorio;
- la promozione da parte dei Presidenti delle Regioni, d’intesa con le Province e con
i Comuni interessati, della formazione di Programmi unitari di valorizzazione
territoriale per il riutilizzo funzionale e la rigenerazione degli immobili di
proprietà della Regione stessa e di ogni soggetto pubblico, anche statale,
proprietario, detentore o gestore di immobili pubblici, ivi compresi quelli previsti
dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n.85. Lo Stato partecipa a detti programmi
coinvolgendo tutte le Amministrazioni statali competenti. E’ inoltre prevista la
possibilità di costituire una struttura unica di attuazione del programma;
- l’esclusione dai Programmi unitari di valorizzazione territoriale dei beni culturali
già inseriti nei programmi di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 85/2010 o nei
programmi di alienazione e permuta già avviati o per i quali risultano sottoscritti
accordi tra le pubbliche amministrazioni, a meno che i soggetti sottoscrittori
concordino sull’applicazione della nuova disciplina dettata dall’articolo 27 in
esame;
- la possibilità di riconfigurare gli strumenti territoriali e urbanistici mediante
accordi di programma per dare attuazione ai programmi di valorizzazione. In detti
accordi può essere prevista l’attribuzione agli enti locali interessati dal
procedimento di un quota compresa tra il 5% e il 15% del ricavato della vendita di
immobili valorizzati, se di proprietà dello Stato, da corrispondere, su richiesta,
anche come quota parte dei beni oggetto di valorizzazione. L’accordo di
programma deve essere concluso entro il termine perentorio di 120giorni dalla data
della sua promozione;
- modalità di valorizzazione dei beni immobili in uso al Ministero della difesa;
- modalità per l’individuazione di beni immobili dello Stato o per il reperimento di
altri immobili da destinare a nuove infrastrutture penitenziarie.
21
Per quanto riguarda il decreto legislativo 85/2010, il comma 8 del
suddetto articolo 27 modifica l’articolo 5, comma 5 nel senso di mutare i termini di
riferimento della procedura di trasferimento dei beni culturali.
2.4 - La difficoltà di ricomporre il quadro normativo in materia di federalismo
demaniale: i più recenti interventi legislativi rivolti alla valorizzazione del
patrimonio immobiliare pubblico
La ricostruzione del quadro normativo in materia di federalismo demaniale
dimostra l’elevata complessità di un sistema caratterizzato da una serie confusa di
norme che, oltre a regolare i rapporti tra Stato ed enti territoriali sulla base della
delega contenuta nella legge 42/2009, si estende alla disciplina della valorizzazione
del patrimonio pubblico prevalentemente orientata a realizzare entrate straordinarie
per fronteggiare la crisi della finanza pubblica. Detta complessità, unita alla
particolare laboriosità dei processi amministrativi lunghi e farraginosi, rappresenta la
causa di fondo che ne ha ostacolato l’effettiva implementazione da parte delle
amministrazioni locali. Le prime esperienze hanno mostrato un universo molto
variegato, la cui efficacia è legata alla buona volontà dei singoli piuttosto che ad un
quadro amministrativo organico dove poter operare in maniera efficiente.
In realtà, dal 28 maggio 2010, data di emanazione del decreto legislativo 85 sul
c.d. federalismo demaniale, ad oggi molte cose sono cambiate e soprattutto è mutato
il quadro generale di riferimento delle politiche pubbliche in una situazione di grave
crisi economica e finanziaria a livello internazionale e soprattutto europeo.
L’economia ha assunto il sopravvento sulla politica e, per quanto riguarda in
particolare l’Italia, le scelte continuano ad essere fortemente condizionate
dall’insostenibile peso del debito pubblico e dalla difficoltà di ripresa del ciclo
economico. Già nel mese di marzo del 2011 con il Patto Europlus e un anno dopo con
il Fiscal Compact l’Unione europea ha introdotto procedure e strumenti di verifica
preventiva, concomitante e successiva delle politiche di bilancio dei Paesi
dell’eurozona che, unitamente alla pressione dei mercati, hanno condotto a pesanti
manovre di finanza pubblica in un quadro di grave recessione. Più recentemente si è
proceduto alla formazione di un nuovo Governo e all’emanazione del decreto – legge
6 dicembre 2011, n. 201 che reca “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici”. L’esigenza ritenuta prioritaria di assicurare il
pareggio di bilancio, di procedere alla riduzione del debito e di introdurre misure
rivolte alla crescita ha reso necessario incidere sul sistema complessivo della finanza
pubblica, e in particolare di quello delle regioni e degli enti locali, collocando in un
cono d’ombra il processo di federalismo fiscale avviato in maniera confusa e incerta.
Ne è derivato che l’attuazione del decreto legislativo 85/2010 ha perduto gran
parte della sua validità. Il mancato rispetto dei termini assegnati per l’emanazione dei
decreti attuativi, l’approssimazione degli elenchi dei beni resi noti e delle relative
valutazioni, il contrasto tra Stato, Regioni e autonomie locali sfociato nelle mancate
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intese della Conferenza, lo scarso rilievo di molti dei beni individuati ai fini della loro
valorizzazione economica, sono stati tutti segnali evidenti di modelli normativi e
percorsi procedurali che non hanno retto all’impatto con una realtà diversa che ha
bisogno di dinamismo e di tempi certi.
23
PARTE II
Le verifiche necessarie per confermare l’attribuzione del bene
Capitolo III
3.1 - La nuova procedura del trasferimento dei beni immobili dello Stato agli enti
territoriali
L’articolo 56-bis del decreto-legge 21.6.2013, n.69, che reca “Disposizioni
urgenti per il rilancio dell’economia”, convertito dalla legge 9.8.2013, n.98, detta ai
commi 2 e 3 la nuova procedura per il trasferimento dei beni immobili dello Stato
agli enti territoriali che si svolge attraverso le seguenti fasi:
Fase 1 - Richiesta di attribuzione del bene immobile da parte dei comuni,
delle province e delle regioni
Fase 2 - Accoglimento o rifiuto della richiesta da parte dell’Agenzia
del demanio
Fase 3 - Conferma o meno da parte dell’ente della richiesta di attribuzione
del bene, previa possibilità di contatti con la Direzione regionale
dell’Agenzia del demanio
Fase 4- Formalizzazione da parte dell’Agenzia del demanio del trasferimento
in proprietà dell’immobile.
Esaminiamo ciascuna delle suddette fasi.
Fase 1 – La richiesta di attribuzione del bene
I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni che intendono
acquisire la proprietà dei beni presentano all’Agenzia del demanio una richiesta di
attribuzione sottoscritta dal legale rappresentante. La richiesta è presentata dal 1°
settembre 2013 al 30 novembre 2013 (termine perentorio) secondo le modalità
tecniche definite dall’Agenzia del demanio e deve:
- identificare il bene
- specificare le finalità di utilizzo
- indicare le eventuali risorse finanziarie preordinate all’utilizzo medesimo.
In pratica, la domanda di attribuzione del bene va compilata secondo l’unito
modello predisposto dall’Agenzia del demanio che contiene anche l’attestazione
della conoscenza delle condizioni che l’attribuzione del bene comporta (Allegato C).
Per agevolare le relative operazioni, la stessa Agenzia ha messo a disposizione
anche l’ingresso nell’applicativo attraverso la procedura informatica riportata
nell’Allegato D.
24
In considerazione del termine perentorio del 30 novembre 2013 previsto dalla
norma per presentare le domande di attribuzione del bene immobile, questa fase si è
già esaurita e non si vede come potrà usufruirne la Città metropolitana!
Fase 2 - L’accoglimento o il rigetto della richiesta
L’Agenzia del demanio verifica la sussistenza dei presupposti per
l’accoglimento della richiesta e ne comunica l’esito all’ente interessato entro 60
giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Al riguardo l’Agenzia ha precisato, in
sede di predisposizione del modello di domanda, che “ al solo fine di poter valutare
tutte le istanze pervenute, dovrà attendere lo scadere dei termini previsti dalla norma
per la richiesta di attribuzione, prima di dare formale comunicazione circa
l’avvenuta accettazione della domanda ovvero del rigetto della stessa”.
Ne deriva che il termine di 60 giorni stabilito dalla norma per comunicare
all’ente interessato l’esito della richiesta decorre dal 30 novembre 2013 e pertanto si
colloca al 29 gennaio 2014.
L’esito può essere positivo o negativo e viene comunicato secondo il fac-
simile di risposta messo a disposizione da parte dell’Agenzia del demanio (Allegato
E). Se l’esito è positivo, si procede al trasferimento del bene con successivo
provvedimento dell’Agenzia del demanio dopo l’espletamento delle ulteriori fasi.
Se l’esito è negativo, l’Agenzia comunica all’ente interessato i motivi ostativi
all’accoglimento della richiesta. Avverso il provvedimento motivato di rigetto, l’ente
interessato può presentare, entro 30 giorni dalla comunicazione, una richiesta di
riesame del provvedimento medesimo, unitamente ad elementi e documenti idonei a
superare i motivi ostativi rappresentati dall’Agenzia.
Il termine di 60 giorni per la comunicazione dell’esito della richiesta va
osservato dall’Agenzia del demanio anche nei casi in cui la richiesta abbia per
oggetto beni immobili dello Stato assegnati alle amministrazioni pubbliche. Ai sensi
del comma 3 dell’articolo 56-bis, l’Agenzia deve in questi casi interpellare le
amministrazioni interessate al fine di acquisire, entro il termine perentorio di 30
giorni, la conferma della permanenza o meno delle esigenze istituzionali e le
indicazioni in ordine alle modalità di futuro utilizzo dell’immobile.
In caso di conferma di tali esigenze entro i termini stabiliti, l’Agenzia del
demanio comunica all’ente richiedente i motivi ostativi all’accoglimento della
richiesta.
In caso di mancata conferma, entro i termini, della permanenza delle esigenze
istituzionali da parte dell’amministrazione pubblica che ha in uso il bene, l’Agenzia
avvia, entro i 30 giorni successivi, con altre amministrazioni pubbliche la verifica in
ordine alla possibilità di inserire il bene nei piani di razionalizzazione previsti
dall’articolo 2, commi 222, 222-bis e 222-ter della legge 23.12 2009, n.191. Si tratta
della legge finanziaria 2010 che, al fine di ottimizzare gli spazi ad uso ufficio delle
amministrazioni pubbliche e di realizzare economie sulle spese per utilizzo di beni
immobili di terzi, prevede: il piano di razionalizzazione degli spazi elaborato
25
dall’Agenzia del demanio sulla base degli elenchi dei beni immobili di proprietà di
terzi comunicati dalle amministrazioni (articolo 2, comma 222); i piani di
razionalizzazione degli spazi da parte delle amministrazioni nel rispetto di
determinati parametri di riferimento ( 20 – 25 metri quadrati per addetto (articolo 2,
comma 222-bis); le operazioni di scarto degli atti di archivio da parte delle
amministrazioni statali al fine del completamento del processo di razionalizzazione
degli spazi destinati all’archiviazione della documentazione cartacea (articolo 2,
comma 222- ter).
Fin qui la procedura prevista dalla norma. Le successive fasi attuative sono
dettate dall’Agenzia del demanio e consistono nelle seguenti.
Fase 3 – Conferma della richiesta di attribuzione del bene, previa possibilità
di contatti con la Direzione regionale dell’Agenzia del demanio
E’ la fase decisiva. Entro 30 giorni dalla ricezione del provvedimento di
accoglimento della richiesta di attribuzione del bene immobile, l’ente interessato
potrà prendere contatti con la Direzione regionale dell’Agenzia del Demanio al fine
di avviare il procedimento di trasferimento.
Entro 120 giorni dalla data del suddetto contatto, l’ente interessato potrà
prendere visione della documentazione agli atti concernente il bene ed effettuare
l’eventuale sopralluogo, concordandone modalità e tempi con la competente
Direzione regionale dell’Agenzia del demanio.
Entro lo stesso termine, l’ente dovrà confermare la richiesta di attribuzione
del bene in precedenza presentata e accolta trasmettendo alla Direzione regionale del
demanio apposita deliberazione consiliare.
Fase 4 – Formalizzazione del trasferimento del bene
Entro 90 giorni dalla conferma della richiesta di attribuzione, l’Agenzia del
demanio formalizzerà, con apposito provvedimento, il trasferimento in proprietà a
titolo non oneroso dell’immobile richiesto.
Il timing dell’intera procedura, curato dall’Agenzia del demanio e definito di
natura ordinatoria, è riportato nell’Allegato F.
26
Capitolo IV
Analisi dello stato giuridico e dello stato di fatto del bene
4.1 – I punti di verifica
La fase 3 della nuova procedura del trasferimento dei beni immobili dello Stato
agli enti locali, descritta in precedenza, si manifesta decisiva non soltanto ai fini della
conferma o meno dell’attribuzione del bene immobile richiesto, ma anche per
predisporre in maniera attenta ed efficace le successive operazioni di valorizzazione
del bene medesimo. Occorre infatti tener presente che i beni trasferiti - con tutte le
pertinenze, gli accessori, gli oneri e i pesi - entrano a far parte del patrimonio
disponibile dell’ente e che il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto
in cui i beni si trovano. Inoltre, con l’immissione in possesso del bene, l’ente
subentra in tutti i rapporti attivi e passivi relativi al bene trasferito.
Le verifiche consigliate in questa parte andrebbero pertanto condotte con
particolare cura e attenzione anche al fine di evitare l’insorgere successivo di brutte
sorprese e di situazioni incresciose.
Una prima analisi fondamentale, utile anche ai fini dei contatti con la Direzione
regionale dell’Agenzia del demanio e dei sopralluoghi nel territorio, attiene alla
ricognizione della situazione giuridica e fisica del bene.
I punti di verifica che si consigliano sono i seguenti:
- Categoria e consistenza catastale
- Localizzazione nel territorio
- Vincoli ricadenti sul bene
- Iter procedurali necessari agli interventi di valorizzazione
- Condizioni conservative
- Interesse per la collettività
- Idoneità alla valorizzazione del territorio
In sostanza l’analisi dovrà essere condotta in base alla localizzazione dei beni
nel territorio e di conseguenza sugli strumenti di valorizzazione che potranno essere
rinvenuti; nella necessità di agire attraverso strumenti “urbanistici” quali varianti o
cambi di destinazione d’uso, o strumenti “tecnico-manutentivi”, quali interventi
edilizi di recupero, restauro, demolizione o ristrutturazione, così come ad azioni di
“ricognizione di vincoli” che potrebbero costituire dei limiti ai processi di
valorizzazione o semplicemente fonti di ritardi quantomeno burocratici. Inoltre si
dovranno considerare le consistenze catastali dei beni in oggetto, per comprendere
preliminarmente e in via approssimativa l’entità degli interventi e le possibilità di
riconversione. Infine si dovrà tener conto dell’importanza che quel bene riveste per la
collettività e il territorio in cui è insediato, al fine di strutturare correttamente
l’approccio di intervento anche da un punto di vista divulgativo e di marketing. Ciò
27
consentirà di attuare un vero e proprio riordino preliminare dei beni a disposizione, in
quanto le caratteristiche analizzate incideranno fortemente sui tempi e sui costi
stimati di riconversione dei beni e di conseguenza sulla strategia attuabile dagli enti.
4.2 -Il processo di Due Diligence
Occorre tener presente che ogni operazione immobiliare è innanzitutto
influenzata dalla verifica documentale, normativa e dello stato di fatto in cui riversa il
bene. Risulta quindi indispensabile, come operazione preliminare, attuare un processo
di Due Diligence. Il termine Due Diligence è entrato nel linguaggio immobiliare
durante gli anni Trenta, nel Regno Unito, A quell’epoca una Due Diligence era un
investigazione, eseguita da intermediari che intendevano valutare società di capitali e
il cui esito veniva messo a disposizione dei potenziali acquirenti, che in questo modo
venivano a conoscenza di tutte le informazioni relative alla società e potevano
valutare l’investimento con obbiettività, senza potersi rivalere su eventuali omissioni
degli intermediari. In campo immobiliare la Due Diligence nasce con lo stesso scopo:
comprendere in che modo requisiti prestazionali, non conformità, vincoli o carenze
manutentive dei beni possano avere un impatto sulle successive ipotesi di
valorizzazione, sia da un punto di vista del valore attuale, che di redditività nel
tempo.
L’attività di Due Diligence si compone di tre macro-categorie: Due Diligence
Legale, Due Diligence Tecnica e Due Diligence Ambientale; tipologie che
differiscono tra loro per output, ambiti di applicazione e tecniche attuative.
La Due Diligence Legale consiste principalmente nella verifica della
rispondenza di un immobile alla strumentazione urbanistica generale ed attuativa
sotto due principali profili: quantitativo, che consiste nell’esame della rispondenza
delle consistenze edilizie correnti con quelle “concessionate”; e qualitativo, che si
riferisce invece all’esame della rispondenza delle destinazioni d’uso correnti con
quelle ”concessionate”.
La Due Diligence Tecnica si attua invece attraverso la verifica della rispondenza
di un immobile, nella sua consistenza strutturale e impiantistica, alla normativa
tecnica di settore.
La Due Diligence Ambientale è una tecnica investigativa atta ad individuare i
rischi ambientali ed i rischi legati alla salute e sicurezza (secondo le logiche della
“Enviromental, Health and Safety Risk Assessment”).
Tutte e tre le fasi di Due Diligence sono sottese al reperimento e all’analisi
approfondita di una serie di documenti, di cui di seguito si riporta un elenco per
tipologie. In tale elenco, i documenti indicati con asterisco sono quelli ritenuti
necessari e obbligatori per la conformità rispetto alla normativa esistente. Sii segnala
tuttavia che spesso i documenti che non rappresentano delle “non conformità” da un
punto di vista legale, possono essere documenti di fondamentale reperimento, la cui
assenza può comportare non pochi problemi, da un punto di vista di tempi e di costi.
E’ importante a tal proposito sottolineare che, per conformità, si intende non solo
28
l’elaborazione corretta del documento e la presenza di tutte le parti che lo devono
comporre, ma l’effettiva rispondenza dello stesso allo stato di fatto in cui si trova il
bene.
4.2.1 - La Due Diligence Legale
Per quanto riguarda la Due diligence legale, i documenti da reperire possono
essere così suddivisi come segue:
Documentazione urbanistica:
- Convenzioni e atti d’obbligo
- Certificato di destinazione urbanistica (c.d. “CDU”)
- Norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore Generale
- Norme tecniche di attuazione del Piano Attuativo
- Documenti relativi a vincoli urbanistici
Documentazione edilizia:
- Concessioni edilizie con relativi elaborati (totalità dell’immobile)
- Autorizzazioni edilizie con relativi elaborati
- D.I.A. (Denuncia Inizio Attività)
- Condono/sanatoria con relativi elaborati
- Certificato di agibilità/abitabilità
- Pratica di denuncia opere strutturali al Genio Civile
- Certificato di collaudo statico;
- Documenti relativi a vincoli sul bene
- Pratica relativa all’adeguamento delle barriere architettoniche
- Planimetrie con layout distributivo, prospetti e sezioni dello stato attuale
Documentazione amministrativa:
- Atto di acquisizione e titolo di provenienza
- Iscrizioni ipotecarie e relativi contratti di mutuo/finanziamento
- Importo ICI
Documentazione relativa allo stato occupazionale:
- Contratti di locazione o contratti che regolino l’occupazione degli spazi.
La presenza di vincoli, gravami, servitù o zone di rispetto come anche l’analisi
dello stato occupazionale del bene, rappresentano talvolta veri e propri limiti da un
punto di vista di highest and best use, cioè del migliore e più conveniente uso
potenziale di un bene oggetto di valutazione, imponendo spesso degli inevitabili
cambi di strategia nel processo di valorizzazione dei beni.
La classificazione dei vincoli che possono insistere su beni immobili deve
essere oggetto di un’elencazione quanto più esaustiva possibile che permetta la loro
29
ricognizione; nel successivo paragrafo si offrirà pertanto una esemplificazione dei
possibili vincoli rinvenibili a seguito di indagine conoscitiva, passibile naturalmente
di ulteriore integrazione anche a causa della diversa disciplina regionale e di una
futura produzione normativa, anche nazionale.
Per quanto riguarda invece le zone di rispetto, queste ultime si riferiscono a
zone, prossime a opere o a luoghi soggetti a uso pubblico (come cimiteri, strade,
ferrovie, aeroporti etc.), per le quali la legge impone limitazioni alla libera attività
edilizia (in genere obblighi di distanza), per finalità di tutela di preminenti interessi
(alla sicurezza, all'igiene, ecc.). Pertanto, anche tali prescrizioni dovranno essere
tenute in considerazione alla luce delle aggiornate previsioni di piano regolatore
generale proprio di ogni comune.
Indispensabile inoltre è l’accertamento e l’analisi dei pesi posti sopra un
immobile per l’utilità di un altro immobile, la classica definizione delle servitù. A tal
fine è necessario verificare la loro presenza, origine ed il loro carattere, coattivo o
privatistico.
In merito allo stato occupazionale, al fine di pianificare un processo di
valorizzazione, è infine necessario procedere ad una ricognizione dell’eventuale
esistenza di:
- concessioni d’uso di beni demaniali
- diritti reali di godimento
- diritti relativi di godimento
- occupazioni di fatto
- procedimenti requisitori
4.2.2 - La Due Diligence Tecnica
Per quanto riguarda la Due diligence tecnica i documenti da esaminare
risultano invece essere i seguenti:
Documentazione catastale:
- Visura catasto fabbricati
- Schede catastali con relativa denuncia di nuovo accatastamento e/o variazioni (le
ultime in ordine temporale)*
- Estratto di mappa
- Tipi di frazionamento
- Tipi mappali
Documentazione Impiantistica e Prevenzione Incendi:
- Dichiarazione di conformità impianto elettrico (legge 46/90)
- Collaudo impianto elettrico rilasciato da tecnico abilitato
- Dichiarazione di conformità impianto termico (legge 46/90)
- Collaudo impianto termico rilasciato da tecnico abilitato
- Denuncia di impianto di protezione dalle scariche atmosferiche all’ISPESL/ASL
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- Denuncia dell’impianto di messa a terra all’ISPESL/ASL
- Denuncia dell’impianto elettrico all’ISPESL
- Verifiche periodiche impianto elettrico
- Verifica annuale scarichi di combustione
- Pratica di isolamento termico (legge10/91)
- Libretto di centrale termica
- Libretti degli impianti ascensore (qualora presenti)
- CPI - Certificato Prevenzione Incendi
- Richiesta di sopralluogo per il rilascio del Certificato di Prevenzione Incendi
- Valutazione del rischio di incendio e classificazione dell’attività
- Richiesta parere di conformità del progetto di adeguamento di prevenzione
incendi
- Eventuale presenza del benestare da parte del comando Vigili del Fuoco
- Autocertificazione del titolare dell’attività che dichiara di aver eseguito i lavori
come indicato dal progetto ed approvato dai Vigili del Fuoco (può sostituire
temporaneamente il CPI)
4.2.3 - La Due Diligence Ambientale
Infine la Due Diligence ambientale analizza:
Documenti relativi alla sicurezza ambientale e pubblica:
- Autorizzazione allo scarico acque
- Autorizzazione allo stoccaggio provvisorio dei rifiuti speciali e pericolosi
rilasciata dalla Provincia
- Certificato di attestazione energetica
- Domanda di concessione e concessione per emungimento di acque sotterranee e
derivazione di acque superficiali rilasciata dalla Provincia (R.D.1775/1933;
decreti legislativi 275/1993 e 152/2006)
- Domanda di autorizzazione alle emissioni in atmosfera rilasciata dalla Provincia
o dalla Regione (DPR 412/93; decreto legislativo 152/2006)
- Registro di carico e scarico rifiuti (decreto legislativo 152/2006)
- Autorizzazione UTIF ai serbatoi interrati rilasciata dal Prefetto
- Censimento e notifica dei materiali contenenti amianto (legge 27.3.1992, n.257;
D.M. 6/09/1994; decreti legislativi 81/2008 e 106/2009)
- Notifica presenza di PCB (policlorobifenili) (D.P.R. 24.05.1988, n.216; decreto
legislativo 22.51999, n.209; D.M. 11.10.2011)
- Notifica presenza fibre artificiali vetrose (Circ. Min. del 15/03/2000; D.M.
10.1.2002)
- Notifica presenza di sostanze dannose per l’ozono atmosferico (legge
28.12.1993, n.549; legge 16.9.1997, n.179; Reg. CE n. 2037/2000 del 29.6.2000;
D.M. 3.10.2001; D.P.R. 15.02.2006, n.147)
- Analisi di rilevazione del rumore esterno (DPCM 1° marzo 1991)
31
La Due Diligence Ambientale non va trascurata perché può impattare
negativamente sia sul corretto andamento della gestione ordinaria del bene che
sulla buona riuscita di operazioni di valorizzazione determinando gravi
inconvenienti, quali: passività a breve – medio - lungo termine, preclusioni a
finanziamenti, penalizzazione assicurativa, ritardi nella pianificazione di progetti
di sviluppo, sanzioni amministrative e responsabilità civili e penali, danno
all’immagine, difficoltà nelle operazioni di trasferimento a terzi se le garanzie
contrattuali non sono correttamente dimensionate, difficoltà nella definizione
delle responsabilità in materia di danno ambientale o di sicurezza.
4.3 - L’analisi dello stato di fatto dell’immobile: il sopralluogo
In sintesi, un processo di Due Diligence completo - che si sviluppa
attraverso un’analisi amministrativa, catastale, urbanistica, edilizia, strutturale,
tecnico-impiantistica, ambientale e di sicurezza - consente di stabilire la
conformità degli immobili, degli impianti fissi e delle eventuali attività svolte in
essi ai requisiti prescritti dalla normativa nazionale, regionale e comunale in
vigore. L’obiettivo principale è infatti quello di fornire un quadro esaustivo
individuando le procedure da attivare e i relativi costi da sostenere al fine di
raggiungere un giudizio di conformità normativa, attraverso la gestione o
l’eliminazione delle criticità rilevate.
L’analisi dello stato di fatto andrà svolta in due fasi:
- una fase desk
- una fase di sopralluogo.
La fase desk consiste nella raccolta e nell’analisi documentale che permetta di
evidenziare irregolarità o eventuali omissioni o carenze con riferimento agli elementi
già descritti.
La fase di sopralluogo da parte di tecnici competenti mira ad attuare una verifica
delle condizioni generali di conformità rispetto alla documentazione esistente e alla
normativa di riferimento e soprattutto ad effettuare rilievi geometrici, impiantistici,
manutentivi e topografici con relativa raccolta fotografica e/o filmata. Il sopralluogo,
da effettuare possibilmente insieme con i tecnici della Direzione regionale del
demanio, rappresenta una fase molto importante, in quanto permette di:
- esprimere un giudizio sulla consistenza dello stato di fatto dell’immobile;
- verificare quanto analizzato nella documentazione e riscontrarlo con lo stato
di fatto;
- verificare le consistenze catastali e reali;
- riscontrare il rispetto della normativa;
- verificare la regolare installazione degli impianti e dei i sistemi di sicurezza
- verificare lo stato di conservazione e di manutenzione, che incide
notevolmente nella valutazione;
- evidenziare la necessità di approfondimenti e analisi;
- verificare l’ambiente esterno, il contesto territoriale, le proprietà confinanti.
32
In fase di sopralluogo, particolare attenzione dovrà essere rivolta alle
caratteristiche intrinseche dell’immobile, alcune delle quali spesso valutabili già in
via preliminare dall’esame degli elaborati tecnici, ma la cui analisi visiva consente il
controllo su:
- necessità di bonifica o di smaltimento di materiali o arredi;
- altezza dei soffitti;
- altezza dei parapetti;
- numero e disposizione dei vani scala;
- presenza di camini o corti (spesso utilizzati come cavedi in riadeguamenti
impiantistici, quando gli immobili presentano caratteristiche strutturali
particolari, o sono considerati immobili di pregio o su cui gravano vincoli
storico-artistici)
- corretta distribuzione degli spazi (quantità dei disimpegni e di spazi di
risulta, numero dei bagni, arredabilità degli spazi, ecc.);
- possibilità di riconversione degli ambienti da un punto di vista funzionale,
strutturale e di vincolo;
- presenza di rifiniture particolarmente pregiate (travi in legno a soffitto,
affreschi, pavimenti o rivestimenti pregiati, stucchi, stoffe, boiseries ecc.) o
di arredi di pregio;
- presenza di vani ciechi.
Questi aspetti sono da tenere in particolare considerazione perché incideranno
notevolmente sui costi di riconversione o ristrutturazione, in particolar modo perché,
durante gli interventi di valorizzazione del patrimonio, sarà necessario ottemperare
alle norme sancite dai regolamenti edilizi vigenti e allo stesso tempo, nel caso si
adibisse l’edificio a ospitare luoghi di lavoro, privati o pubblici, ai requisiti sulla
sicurezza stabiliti dal D. Lgs. 81/2008 e successivi aggiornamenti (D.Lgs 106/2009).
Questa norma sta diventando sempre più restrittiva e adempiere agli obblighi sanciti
dalla normativa rappresenta spesso, per immobili con particolari caratteristiche e
facenti parte del patrimonio edilizio esistente, uno scoglio di difficile superabilità
qualora non conformi alla normativa vigente, perché utilizzabili come tali solo previa
autorizzazione degli organismi di vigilanza (art. 63 D.Lgs 81/008). In particolar
modo, le tragedie che in questi anni sono accadute, denunciano l’esistenza nel nostro
paese di un grande problema relativo alla sicurezza degli edifici non di nuova
costruzione. La problematica della sicurezza degli edifici assume rilievi differenti
quando si parla di edifici nuovi o di interventi di ristrutturazione edilizia, rispetto al
patrimonio edilizio esistente. Infatti, è chiaro che, per tali edifici, si possa operare ai
fini della sicurezza e della qualità al momento stesso della
costruzione/ristrutturazione, fondandosi su controlli preventivi estesi, accurati e
profondi. Per quando riguarda gli edifici di nuova costruzione occorre, inoltre,
rilevare che l’art. 4 del decreto legislativo concernente l’attuazione della legge 210
del 2 agosto 2004 per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da
costruire prevede l’obbligo del costruttore di contrarre e consegnare all’acquirente
all’atto del trasferimento una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio
33
dell’acquirente con effetto dalla data di ultimazione dei lavori a copertura dei danni
materiali e diretti all’immobile, derivanti da rovina totale o parziale oppure da gravi
difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per difetto di costruzione, il che
induce, ragionevolmente, a ritenere che una compagnia di assicurazione prima di
rilasciare la polizza si accerterà non solamente della regolarità urbanistica
dell’edificio, ma di certo che esso risponda ai ben precisi criteri di sicurezza previsti
dal D.lgs 528/99, dal D.P.R. n. 554 /99 dalle norme UNI10366 dell’aprile 1994.
Per arrivare a una corretta stima di un bene immobile, di qualunque tipo esso
sia, esso non potrà mai essere valutato considerandolo come un elemento a sé stante
perché, indipendentemente dalla metratura e dal suo livello di pregio intrinseco, il
suo valore andrà incontro a delle variazioni dovute a variabili estrinseche legate al
contesto nel quale esso è inserito.
In fase di sopralluogo sarà pertanto necessario analizzare l’attrattività della
zona che può essere valutata analizzando:
- la vicinanza ad attrezzature pubbliche di particolare pregio
- la posizione panoramica o di prestigio relativamente all’orografia urbana
(zone alte, soleggiate, ecc.), vicinanza ad elementi naturali di particolare
pregio (lungomare, lungofiume, lungolago, ecc.)
- presenza di negozi e, comunque, di attrezzature commerciali
- tipologia degli abitanti insediati
- vicinanza o lontananza da strutture urbane di disturbo (cimitero, stadio,
complessi di edilizia popolare particolarmente degradati, ecc.)
- trasporto pubblico, soprattutto su rete metropolitana.
- vicinanza alle grandi reti di comunicazione.
- tipologia delle abitazioni (intensive, estensive, a villetta)
Verrà considerata inoltre l’esposizione dell’immobile, che si valuterà
analizzando:
- le condizioni di affaccio: possibilità di godere di vedute panoramiche
- l’esposizione ai punti cardinali (nord, sud, ovest, est)
- l’esposizione al rumore (viabilità, zone industriali, aeroporti, stazioni
ferroviarie, ecc.)
- la posizione dell’immobile rispetto a quelli circostanti (isolato, svettante, di
pari altezza, contiguo, di altezza inferiore)
- giacitura del terreno su cui sorge l'edificio (in piano, in forte pendenza,
addossato a pendio, in pendenza, a cresta).
Vista l’importanza della fase di sopralluogo, si consiglia di ricorrere alla
compilazione di una “check list” che permette di evidenziare le caratteristiche
salienti dell’immobile, garantendo il massimo livello di oggettività e completezza
delle informazioni raccolte.
Alla fase conoscitiva di raccolta documentale e al sopralluogo farà seguito una
fase elaborativa che consisterà nell’aggiornamento e nell’integrazione della
documentazione mancante, nella riorganizzazione delle informazioni raccolte,
nell’elaborazione di uno schema finale che sintetizzerà le condizioni del bene.
34
Queste ultime potranno essere catalogate in non definibili, conformi e non conformi
con i tempi e i costi di ripristino della situazione originaria o di legalità tramite
l’adeguamento alla normativa vigente. L’obiettivo di questa fase dunque è di fornire
una valutazione complessiva dello stato dell’immobile, che sia la più corretta e
veritiera possibile, in grado di rappresentare un’adeguata base di valutazione del suo
valore e un’analisi dettagliata delle sue condizioni strutturali e di eventuale
trasferibilità.
4.3.1 - L’analisi urbanistica
La conoscenza tecnica dell’immobile richiede un’analisi urbanistica che possa
consentire un inquadramento corretto del bene con riferimento ai suoi possibili usi, la
coerenza dell’attuale utilizzo con le indicazioni dello strumento urbanistico vigente o
la possibilità di trasformazione, con individuazione degli strumenti urbanistici da
porre in essere, volta ad ottenere nuove destinazioni d’uso.
I beni possono essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di
alienazione e dismissione secondo le procedure di cui all'articolo 58 del decreto-legge
25.6.2008, n.112, convertito dalla legge 6.8.2008, n.133 (art. 2, c. 5, lett. b), le quali,
in sintesi, prevedono la predisposizione di un Piano della valorizzazione e
dismissione degli immobili da allegare al bilancio di previsione, che ne determina
l'automatica inclusione nel patrimonio disponibile e ne dispone la destinazione
urbanistica. Gli immobili contenuti in questi piani possono essere locati a privati per
un periodo non superiore a cinquant'anni, ai fini della riqualificazione e riconversione
dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione anche con
l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento di attività
economiche o attività di servizio per i cittadini (art. 3-bis del decreto-legge
25.9.2001, n.351; art. 58, comma 6, decreto-legge 112/2008) oppure conferiti in fondi
comuni di investimento (art. 58, comma 8, decreto-legge 112/2008)).
In sede di Conferenza unificata, per superare le censure di costituzionalità, si è
previsto che la deliberazione di approvazione del Piano sia inviata ad un'apposita
conferenza di servizi cui partecipano comune, provincia e regione interessata volta
ad acquisire le autorizzazioni, gli assensi e le approvazione comunque denominate
necessari alla variazione di destinazione urbanistica. La determinazione finale della
Conferenza, dopo la ratifica del Consiglio comunale o provinciale, costituisce
provvedimento di autorizzazione alla variante e ne fissa limiti e vincoli.
Tra i mezzi per procedere alla valorizzazione degli immobili sono quindi
previste le varianti ai piani regolatori generali, le quali sono generalmente distinte, in
relazione alla loro funzione ed estensione, in varianti specifiche, varianti normative e
varianti generali.
Si ricorda che, a parte le varianti normative che concernono soltanto le norme
di attuazione del piano regolatore generale (e non anche le planimetrie e quindi
l'assetto urbanistico del territorio), la differenza tra le varianti specifiche e quelle
generali si fonda su di un criterio spaziale di delimitazione del concreto potere
35
esercitato di pianificazione urbanistica. Infatti, mentre le prime interessano soltanto
una parte del territorio comunale (e rispondono quindi all'esigenza di far fronte a
sopravvenute necessità urbanistiche parziali e localizzate), le seconde consistono in
una nuova disciplina generale dell'assetto del territorio, resasi necessaria perché il
piano regolatore generale ha durata indeterminata e quindi è soggetto a revisioni
periodiche.
La diversa consistenza spaziale e territoriale dell'esercizio del potere di
pianificazione urbanistica si riflette non soltanto sull'obbligo della motivazione e
dell'istruttoria (che incombe all'autorità amministrativa, specie in considerazione di
quanto previsto dall’articolo 3, comma 2 della legge 241/1990 laddove esclude
dall'obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale, nel cui
novero rientra lo strumento urbanistico generale), ma anche in ordine al sindacato di
legittimità esigibile dal giudice amministrativo (cfr. Cons. St., sez. IV, 6 febbraio
2002, n. 664).
Nel richiamare i principi generali enunciati dalla giurisprudenza del Consiglio
di Stato con riferimento alla pianificazione generale o di variante generale, e salvi i
casi in cui sono riscontrabili posizioni di aspettativa qualificata da particolari
situazioni verificatesi in sede amministrativa o giurisdizionale, il Comune ha la
facoltà ampiamente discrezionale di modificare le precedenti previsioni e non è
tenuto a dettare una motivazione specifica per le singole zone o aree a destinazione
innovata. La valutazione si deve difatti arrestare alla verifica dell'esistenza di una
palese irragionevolezza ed illogicità dei motivi richiamati in via sintetica
dall'amministrazione (cfr. Cons. Stato, 13 maggio 1992, n. 511).
L’analisi urbanistica costituisce pertanto un elemento di rilievo ai fini della
scelta delle strategie di valorizzazione del bene.
4.3.2 - La ricognizione dei vincoli
Strettamente correlata all’analisi urbanistica si colloca la ricognizione dei
vincoli che possono insistere su un bene immobile e che vanno a limitare non soltanto
l’attività urbanistico - edilizia, ma anche la sua valorizzazione.
Una prima distinzione va operata nell’ambito della loro possibilità di indennizzo,
avendo la Corte Costituzionale specificato, con sentenza n. 179 del 20 maggio 1999,
che restano al di fuori di esso i vincoli:
incidenti con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere categorie di
beni, ivi compresi i vincoli paesistico - ambientali;
derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella
pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i
limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le
zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di
fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e
simili;
36
comunque estesi, derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso
l’iniziativa privata in regime di economia di mercato tutte le volte che gli
obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi,
siano ritenuti realizzabili (e come tali specificamente compresi nelle previsioni
di pianificazione) anche attraverso l’iniziativa economica privata, pur se
accompagnati da strumenti di convenzionamento;
che non superano, sotto il profilo quantitativo, la normale tollerabilità al di fuori
di interessi attuali e persistenti.
Ulteriore considerazione in merito ai vincoli riguarda il tema della prevalenza
dei piani paesistici sui piani territoriali regionali e sui piani urbanistici comunali. Si
afferma, in sostanza, che la materia paesaggistica prevale sulla materia urbanistica
(cfr. Corte Costituzionale n. 347 del 26 giugno 1990). Si deve affermare in concreto
che le varie forme di conservazione e tutela del territorio, proprio al fine di perseguire
i loro scopi, sono soggetti ad una precisa gerarchia. In altri termini, occorre
innanzitutto assicurare l'equilibrio idrogeologico e la saldezza dei suoli, attraverso i
piani di bacino, in secondo luogo garantire la conservazione dei valori paesaggistici,
attraverso i piani paesistici, ed infine stabilire l'assetto ottimale del territorio
attraverso i piani territoriali ed urbanistici.
Più in particolare, si può fare riferimento ad una classificazione ricognitiva che
individua le seguenti categorie di vincoli: a) storico architettonico e di carattere
paesaggistico - ambientale; b) dei parchi ed aree naturali e protette; c) idrogeologico e
di salvaguardia delle risorse idriche.
Di essi si esplicitano le principali caratteristiche, fermo restando che ogni
strategia di valorizzazione non può che trarre origine da una loro ricognizione e
tenere conto degli obblighi da essi derivanti:
a. Vincolo storico architettonico e vincolo di carattere paesaggistico - ambientale.
E’ noto che la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale
concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio
e a promuovere lo sviluppo della cultura. Una lettura costituzionalmente
orientata e sulla base delle previsioni di cui al decreto legislativo n. 42/ 2004 e
successive modificazioni si rileva che il patrimonio culturale è costituito da beni
culturali e beni paesaggistici. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che,
ai sensi degli articoli 10 e 11 del decreto legislativo 24/2004, presentano
interesse artistico, storico, archeologico, etno - antropologico, archivistico e
bibliografico e le cose individuate dalla legge o in base alla legge quali
testimonianze aventi valore di civiltà. Sono beni paesaggistici gli immobili e le
aree indicati all’articolo 134 del decreto legislativo 42/2004, costituenti
espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del
territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge.
Costituendo una categoria originariamente di diritto pubblico, la loro
disciplina è del tutto estranea alla materia delle espropriazioni e dei vincoli
ablatori di cui all’articolo 42, comma 3 della Costituzione e sono dettate
37
disposizioni particolari in merito alla loro circolazione ed alle procedure di
autorizzazione alle attività edilizie che li riguardano. In base all’articolo 135 del
decreto legislativo 42/2004 e dell’interpretazione data dalla giurisprudenza in
materia, i piani regolatori comunali devono recepire le indicazioni ed i vincoli in
merito posti dai piani gerarchicamente sovraordinati.
Sotto altro aspetto, per quanto riguarda il trasferimento di detti beni dello Stato
agli enti territoriali, vige la procedura prevista dall’articolo.5, comma 5, del
decreto legislativo 85/2010 di cui si è detto nel paragrafo 1.4.
b. Vincoli costituiti nei parchi e nelle aree naturali protette.
Le aree naturali protette sono costituite dal patrimonio naturale, le
formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, di formazioni paleontologiche,
di comunità biologiche, di biotipi, di valori scenici e panoramici, di processi
naturali, di equilibri idraulici, di equilibri ecologici.
Ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 394/1991, le aree naturali protette si
classificano in parchi nazionali, parchi naturali regionali e riserve naturali, statali
o regionali. Nella stessa legge sono anche previste le modalità di classificazione
ed istituzione delle stesse e l’istituzione dell’Ente Parco, che ha personalità di
diritto pubblico ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell’Ambiente e
della tutela del territorio. E’ inoltre specificata la natura del Piano per il Parco, il
quale ha effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di
indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i
piani paesaggistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di
pianificazione. Detto piano è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana e sui Bollettini Ufficiali della Regione ed è immediatamente
vincolante nei confronti delle Amministrazioni pubbliche e dei privati.
L’obiettiva natura di beni di particolare interesse naturalistico ambientale fanno
si che tali vincoli siano rivolti a mantenere intatta l’originaria conformazione o il
naturale modo di essere del bene.
c. Vincolo idrogeologico, di salvaguardia delle risorse idriche e piani di bacino
Questi vincoli sono imposti previo accertamento di natura tecnico-
scientifica rivolto alla valutazione delle caratteristiche intrinseche dei beni da
vincolare o da assoggettare a prescrizioni. La loro previsione non è di per sé
preclusiva di qualsiasi forma di edificazione e il regime di utilizzazione
controllata si riferisce a tutti coloro che dispongono di suoli nella zona
specificamente tutelata per ragioni di interesse pubblico, trattandosi di
limitazioni ob rem.
Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere
immediatamente vincolante per le amministrazioni e gli enti pubblici, nonché
per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo
stesso Piano. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e
38
di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in
contrasto, con il Piano di bacino approvato.
4.3.3 - Le zone di rispetto
Per il buon esito di una operazione di valorizzazione è necessario considerare
anche le limitazioni alla libera attività edilizia previste in determinate località,
prossime ad opere o a luoghi soggetti ad uso pubblico, per finalità di tutela di
interessi preminenti. Si tratta di vincoli, meglio noti come zone di rispetto, ai quali è
riconosciuta natura conformativa, per essere configurati in maniera oggettiva e
rispetto alla totalità dei soggetti e beni che si trovano nelle suddette condizioni,
nonché in considerazione del fatto che il vincolo così imposto non è funzionale alla
vicenda ablatoria. Dalla natura conformativa del vincolo consegue che lo stesso non è
soggetto a decadenza (Consiglio di Stato - Sez. IV n. 4259 del 31.7. 2007). La natura
inedificabile è affermata da costante e uniforme giurisprudenza (cfr. Corte di Cass.
Sez. I n. 11830 del 2. 5. 2009).
Tra le più comuni zone di rispetto si ricordano:
- le zone di rispetto dei cimiteri, in virtù delle quali “… é vietato costruire
intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro
dell'impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti
nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le
deroghe ed eccezioni previste dalla legge” (v. art. 338, R.D. 1265/1934)
- le zone di rispetto delle ferrovie, con la previsione di divieti di costruire e
limitazioni alle attività edilizie ai sensi del D.P.R. n. 753/1980 e successive
modifiche
- le zone di rispetto del demanio marittimo, che impongono un’autorizzazione
ad hoc per le opere entro una zona di trenta metri del demanio marittimo o dal
ciglio dei terreni elevati sul mare (cfr. art. 55 del codice della navigazione).
Sono previste inoltre procedure particolari per l’approvazione e
l’armonizzazione con gli strumenti urbanistici per il piano regolatore portuale
(art. 5, legge n. 84/1994)
- le zone di rispetto degli aeroporti, anch’esse previste dal codice della
navigazione (artt. 707 e ss.) che impone agli enti locali l’adeguamento dei
propri strumenti di pianificazione alle prescrizioni dell’ENAC
- in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale è vietato eseguire
costruzioni (ed altre opere di ogni specie), sia provvisorie che permanenti,
ovvero stabilire manufatti galleggianti, nonché spostare o modificare le opere
esistenti, senza l’autorizzazione del capo della circoscrizione doganale (art.4
del D.P.R. n. 18/1971)
- divieto assoluto di eseguire sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese
i seguenti lavori, ai sensi dell’art. 96, lett. f) del R.D. n. 523/ 1904: piantagioni
di siepi e alberi, fabbriche, scavi o smottamento del terreno a distanza dal piede
degli argini e loro accessori minore di quella stabilita dalle discipline vigenti
39
nelle diverse località e, in mancanza, minore di quattro metri per le piantagioni
e movimento di terra e dieci per le fabbriche e gli scavi.
A seguito dell’abrogazione dell’art. 1 del T.U. n. 1175/ 1933 vige oggi il
principio per cui tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte
dal sottosuolo, sono pubbliche, sicché tutti i corpi idrici sono assoggettati ai
divieti posti dal citato articolo 96.
Si ritiene che le Regioni possano introdurre deroghe al divieto di edificazione
in esame soltanto a fini di salvaguardia del regime delle acque e dell’ambiente
circostante ai corpi idrici.
- zone di rispetto degli impianti di distribuzione stradale di gas naturale per
autotrazione, previste dal D.P.R. n. 340 del 24.10.2003 che detta disposizioni
specifiche in materia e identifica le zone all’interno delle quali detti impianti
non possono sorgere. E’ prevista l’attestazione rilasciata dal competente ufficio
comunale o perizia giurata comprovanti che l’area prescelta per l’istallazione
non ricada nelle zone in cui è fatto divieto
- zone di particolare interesse militare, individuate dalla legge n. 898/1976, e
successive modificazioni, nelle quali l’edificazione ed attività similari sono
soggette a limitazioni e controlli da parte dell’autorità militare. Per tali zone
l’autorità militare potrà essere sentita relativamente al contenuto dei piani ed
alcune opere comunque non possono avere luogo senza autorizzazione del
comandante militare territoriale. In particolare dovrà essere richiesto il parere
consultivo e non vincolante dell’autorità militare per tutte le nuove
realizzazioni o varianti significative di grande comunicazione stradale o
ferroviaria, impianti minerari, elettrici, di produzione dell’energia, depositi di
materiali petroliferi, nonché per i grandi stabilimenti industriali
Occorre infine tener presente che un’altra importante limitazione all’attività
urbanistica ed edilizia é prevista dalla legge n. 353/2000 che mira alla difesa dagli
incendi del patrimonio boschivo nazionale, quale bene insostituibile per la qualità
della vita. Le zone boschive ed i pascoli i cui soprassuoli sono stati percorsi dal fuoco
non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all’incendio per
almeno quindici anni.
4.3.4 - Le servitù
Un ulteriore elemento da considerare nell’indagine rivolta alla conoscenza del
bene da valorizzare riguarda la verifica della esistenza di diritti di servitù a favore di
o contro terzi.
Sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, al fine di
meglio definire i caratteri principali del diritto di servitù, requisito essenziale è
l’imposizione di un peso su un fondo (detto servente), per l’utilità, ovvero la
maggiore comodità o amenità di un altro (detto dominante). Si distingue tra servitù
positive, per le quali il fondo servente deve sopportare l’attività del proprietario del
fondo dominante e negative, nelle quali l’esercizio del diritto non si esplica mediante
40
un comportamento positivo sul fondo servente ed a causa delle quali viene proibito al
proprietario del fondo servente l’esercizio di una delle facoltà normalmente contenute
nel suo diritto di proprietà. L’elemento della contiguità o vicinanza dei fondi, non
stabilito espressamente da alcuna norma, non va inteso nel senso empirico di contatto
materiale e pertanto non è esclusa la servitù tra due fondi tra i quali si trovi una
striscia di terreno di proprietà di un terzo che non abbia mai ostacolato l’esercizio
della servitù. Esse ineriscono alla cosa e la servitù non si aliena se non
congiuntamente al fondo e si trasferisce senza che occorra un atto giuridico ad hoc.
Le servitù possono essere costituite coattivamente o volontariamente. Le prime
sono un numero chiuso essendo il loro contenuto predeterminato dalla legge e si
formano con atto dell’autorità amministrativa, sempre nei casi previsti dalla legge o
con sentenza. Le servitù volontarie possono essere costituite per contratto o per
testamento. Le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione o per
destinazione del padre di famiglia.
A differenza delle servitù prediali propriamente dette, quelle di uso pubblico
sono volte a soddisfare esigenze di carattere generale concretandosi in un uso
collettivo. Come è noto, è materia del codice civile la disciplina delle cause di
estinzione delle servitù oltre che delle azioni a difesa delle stesse.
L’importanza di procedere alla loro ricognizione è quindi evidente considerata
la loro incidenza sul valore del bene e sulla facoltà e modalità di utilizzo del
medesimo.
4.3.5 - La natura dell’immobile e la verifica dello stato occupazionale
La proprietà pubblica dei beni, intesa come proprietà di appartenenza dello
Stato e degli enti pubblici, si articola in tre categorie civilistiche: beni demaniali, beni
patrimoniali indisponibili e beni patrimoniali disponibili. (articoli 822 e 823 del
codice civile).
La demanialità è una qualità immanente del bene. Viene legittimamente
esclusa la demanialità quando manchino il requisito obiettivo della sua effettiva
destinazione alla pubblica funzione ed il requisito soggettivo della manifestazione di
volontà dell’ente pubblico diretto ad acquistare il bene e a sottoporlo al regime
demaniale. Tra di essi si distingue ancora tra demanio necessario, che comprende i
beni non suscettibili di dominio privato, e demanio accidentale relativo a beni che
possono essere destinati al conseguimento di scopi privati, ma che se appartengono
allo Stato, per mezzo di una legge o atto amministrativo di natura costitutiva, fanno
parte dl pubblico demanio.
Ma a parte dette classificazioni, sulla scorta della giurisprudenza consolidata
della Suprema Corte, l’elemento che va sottolineato è che l'attribuzione a privati
della utilizzazione di beni del demanio o del patrimonio indisponibile dello Stato
e degli enti territoriali, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed
ancorché essa presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile, ove non risulti
diversamente, alla figura della concessione-contratto. Infatti il godimento dei beni
41
pubblici, stante la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può
essere legittimamente attribuito ad un soggetto diverso dall'ente titolare del bene -
entro certi limiti e per alcune utilità - solo mediante concessione amministrativa. Di
conseguenza, le controversie attinenti al suddetto godimento sono riservate alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quando non abbiano ad oggetto
indennità, canoni ed altri corrispettivi. Qualora, invece, si tratti di beni del patrimonio
disponibile dello Stato o dei Comuni, il cui godimento sia stato concesso a terzi dietro
corrispettivo, al di là del nomen iuris che le parti contraenti abbiano dato al rapporto,
viene a realizzarsi lo schema privatistico della locazione e le controversie da esso
insorgenti sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario.
Per quanto riguarda la categoria del patrimonio disponibile di immobili locati
riveste pertanto particolare importanza inquadrare le eventuali specifiche clausole che
regolamentano l’utilizzo dello stesso, compresa la correlazione di eventuali
pertinenze alle unità principali e le informazioni riguardanti lo stato di manutenzione
e conservazione aggiornate. E’ di tutta evidenza infatti la necessità di verificare lo
stato occupazionale dell’immobile sia in relazione al reddito che ne potrebbe
derivare, sia in ordine alle possibili di valorizzazione. L’analisi va rivolta non
soltanto ai contenuti del contratto di locazione e di eventuali scritture integrative e/o
novative, ma anche alle situazioni di fatto in ordine alla durata della locazione, alla
sua scadenza, alla regolarità dei pagamenti del conduttore, alla sua affidabilità,
all’aggiornamento dei canoni, alle disdette e ai rinnovi, agli obblighi relativi alla
manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile, all’importo dei depositi
cauzionali e ad eventuali contenziosi in essere. Le fonti normative più importanti in
merito sono rinvenibili, come è noto, nel codice civile agli articoli da 1571 a 1614,
nella legge n. 392/1978 sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani, nella legge
n. 431/1998 sulla disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad
uso abitativo e in numerose disposizioni contenute all’interno di leggi speciali quali,
a titolo solo esemplificativo, l’articolo 346 della legge n. 311/2004 il quale prevede
che “i contratti di locazione (…) sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono
registrati”.
Per quanto riguarda l’utilizzazione dei beni demaniali, essa è solitamente
classificabile in tre forme:
- l’uso comune è quello conforme alla generale destinazione del bene ed è
riconosciuto indifferentemente a tutti i cittadini, senza bisogno di una particolare atto
amministrativo
- l’uso speciale differisce dall’uso comune solo perché non è permesso a tutti,
bensì a determinati soggetti in base ad un titolo particolare di pagamento di una tassa,
ovvero di autorizzazione o licenza
- l’uso eccezionale infine è sempre al di fuori della normale destinazione del
bene e quindi può derivare soltanto da concessione amministrativa che ha l’effetto di
far sorgere nel privato una facoltà del tutto nuova e per di più diversa da quella
spettante all’ amministrazione concedente.
42
Come si è già detto, l'attribuzione a privati di beni del demanio o del patrimonio
indisponibile, qualunque sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché
essa abbia connotazioni privatistiche, è riconducibile esclusivamente alla figura della
concessione, atteso che il godimento dei beni pubblici, stante la loro destinazione alla
diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuito ad un
soggetto diverso dall'ente titolare del bene solo mediante una concessione
amministrativa e ad essa bisogna fare riferimento per risalire alle condizioni e ai
limiti di tale utilizzo.
A conclusione di questo paragrafo, occorre tuttavia considerare che in seguito al
trasferimento dei beni immobili dello Stato alle regioni e agli enti locali, ai sensi
dell’art. 56 - bis del decreto-legge n. 69/2013, convertito dalla legge 98/2013, i beni
trasferiti, con tutte le pertinenze, gli accessori, gli oneri e i pesi, entrano a far parte
del patrimonio disponibile degli enti medesimi e non sono pertanto soggetti alle
suddette regole.
43
Parte III
Le strategie di valorizzazione del bene immobile
5.1 – Il concetto di valorizzazione di un bene pubblico: la valorizzazione funzionale
secondo il decreto legislativo 85/2010
Il rilancio del c.d. federalismo demaniale, sia pure tardivo, può rappresentare
un’importante occasione non solo per la riduzione del debito e per la
razionalizzazione della spesa, ma anche un volano di sviluppo per le comunità locali.
Le tradizionali leve finanziarie utilizzate dagli enti territoriali per mettere in
atto interventi sociali - come ad esempio la fornitura di servizi pubblici a prezzi
inferiori a quelli di libero mercato e le politiche di welfare - non sono oggi più
disponibili in quantità e qualità sufficienti ai fabbisogni espressi dalle comunità sia
per la riduzione delle risorse a disposizione derivante dagli effetti della grave
situazione di crisi economica, sia per l’adozione di più stringenti vincoli sulla
gestione. Basti pensare alle regole rigide e sicuramente eccessive del “patto di
stabilità interno” e alla progressiva riduzione della possibilità del ricorso
all’indebitamento con forti ripercussioni sulle politiche di sviluppo. Di qui nasce
l’esigenza di liberare risorse finanziarie dalla gestione e dalla valorizzazione del
patrimonio in attesa di dare piena attuazione al federalismo fiscale.
Il concetto di valorizzazione di un bene pubblico è complesso se si considerano
i vari significati che può assumere e che vanno dal razionale utilizzo del bene
nell’interesse della collettività, alla sua capacità di produrre reddito e fino alla
possibilità di costituire oggetto di politiche di investimento.
In generale, il termine valorizzare vuol dire attribuire valore, accrescere il
valore, migliorare il pregio di un bene rispetto alla sua condizione attuale. Con
riferimento a un bene pubblico tuttavia il termine valorizzazione si riferisce più alla
funzione sociale o ambientale del bene medesimo che non al suo accrescimento di
valore in termini economici. In particolare, la definizione data dal legislatore
nell’art.48 del decreto legislativo 148/1998 sulla disciplina dei beni culturali è la
seguente: “ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e
conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione”.
Ancora, l’articolo 1, commi 262 e 264 della legge n. 296/2006 (legge finanziaria
2007), che ha modificato l'articolo 3 del decreto-legge n.351/2001 in materia di
privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, ha
confermato che il processo di valorizzazione del patrimonio va attuato in coerenza
con gli indirizzi di sviluppo territoriale in modo da poter costituire, nell’ambito del
contesto economico e sociale di riferimento, elemento di stimolo e di attrazione di
interventi rivolti allo sviluppo locale.
44
Quest’ultima definizione sembra avvicinarsi maggiormente al concetto di
valorizzazione funzionale contenuto nell’articolo 2, comma 4 del decreto legislativo
85/2010, tuttora vigente, che stabilisce quanto segue: “L’ente territoriale, a seguito
del trasferimento, dispone del bene nell’interesse della collettività rappresentata ed è
tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a
vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale rappresentata.
Ciascun ente assicura l’informazione della collettività circa il processo di
valorizzazione, anche tramite divulgazione sul proprio sito internet istituzionale.
Ciascun ente può indire forme di consultazione popolare, anche in forma telematica,
in base alle norme dei rispettivi Statuti”.
Il trasferimento impegna dunque l'ente locale in un processo di valorizzazione
del bene attribuito, del quale il medesimo ente deve rendere direttamente conto alla
collettività. In altri termini, la valorizzazione funzionale implica l’esercizio di tutte le
azioni volte all’accrescimento del valore del bene, individuando le migliori soluzioni
di gestione, di messa a reddito, di trasformazione, di alienazione, di utilizzo che
tengano conto delle esigenze del mercato, ma che siano soprattutto idonee ad arrecare
un vantaggio diretto o indiretto alla collettività.
In particolare, l'ente locale potrà procedere, nei casi consentiti, alla
dismissione tramite vendita o conferimento a fondo immobiliare del bene trasferito.
Anche la semplice dismissione dovrà tuttavia essere operata a valle di una
valorizzazione del bene attraverso gli strumenti urbanistici a disposizione, come
indicato nell'art. 4, comma 3 del citato decreto legislativo: “I beni trasferiti in
attuazione del presente decreto che entrano a far parte del patrimonio disponibile dei
Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni possono essere
alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle
varianti allo strumento urbanistico, e a seguito di attestazione di congruità rilasciata,
entro il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta, da parte dell’Agenzia del
demanio o dell’Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze”.
5.2 – Le strategie di valorizzazione: una scelta da definire prima di confermare
l’attribuzione del bene
In seguito alla ricognizione dei beni richiesti e attribuiti secondo i criteri descritti
in precedenza, l’ente locale si trova di fronte ad una scelta dicotomica: confermare o
meno la richiesta di attribuzione.
In generale, l’ente, sulla base di uno studio di fattibilità sull’utilizzo del bene,
decide di non procedere alla conferma perché l’assegnazione del bene è ritenuta non
produttiva di benefici, né sociali né economico-finanziari. Al contrario, la conferma
della richiesta interverrà quando dallo studio di fattibilità emerge che il bene
attribuito possa generare flussi di reddito ovvero servizi utili per la comunità.
E’ tuttavia opportuno sottolineare come la decisione dovrebbe scaturire a valle
di un processo valutativo di più ampio respiro a carattere strategico - finanziario che
tenga in considerazione anche il Programma di governo e i Piani di sviluppo socio-
45
economico dell’ente. A differenza di un soggetto privato infatti, il Comune, prima
ancora di valutare i possibili vantaggi economico-finanziari di un’opzione di
valorizzazione rispetto all’altra, dovrà effettuare un’attenta analisi preliminare sulla
base degli obiettivi strategici che si è dato e degli strumenti urbanistici esistenti. Se,
ad esempio, all’interno dei programmi del Comune è stato assegnato un ruolo
importante allo sviluppo delle aree urbane piuttosto che allo sviluppo di un “polmone
verde” o ancora ad un progetto di riqualifica dell’edilizia popolare, tali programmi
rappresentano dei vincoli interni di carattere sociale ad un’applicazione pura delle
logiche economiche che si aggiungono ai vincoli normativi e finanziari esterni.
La variabile critica riconoscibile per le diverse strategie di valorizzazione è la
gestione. La prima scelta a carattere strategico per l’ente riguarda, dunque, la natura
gestionale che si vuole dare al bene o al pacchetto di beni attribuiti.
Le diverse strategie di valorizzazione si caratterizzano per tre diverse opzioni
di scelta: gestione pubblica, gestione di tipo privatistico, gestione mista.
Mentre la descrizione delle diverse operazioni di valorizzazione sarà dettagliatamente
trattata in seguito, è opportuno soffermarsi sui fattori che influenzano la scelta delle
opzioni presentate. Un primo driver fa riferimento alla strumentalità del bene per
l’esercizio dell’attività pubblica. Se infatti il bene risulta essere strumentale per il fine
di socialità proprio dell’attività svolta dall’ente, come ad esempio nel caso della
scuola, esso potrebbe essere indotto ad una gestione diretta. Se il bene e il suo
possibile utilizzo, invece, non vengono riconosciuti fondamentali per lo svolgimento
dell’attività pubblica, l’ente può decidere di chiedere la conferma dell’attribuzione
del bene ed orientarsi verso una gestione privata o mista che ne garantisca non solo il
più efficace utilizzo, ma anche un maggiore beneficio per l’ente e la collettività. In
definitiva, l’ente è chiamato ad una analisi comparativa delle alternative possibili,
verificando quale sia la migliore per il perseguimento degli obiettivi definiti dalla
strategia in essere. Ciascun bene può essere suscettibile di generare risorse finanziarie
46
corrisposte da terzi (prezzo di vendita, canone di affitto, canone da concessione di
gestione, ecc.) ovvero di far risparmiare risorse che altrimenti sarebbero corrisposte a
terzi per la funzione d’uso esplicata dal bene in questione (risparmio di affitti da
corrispondere a terzi per spazi invece disponibili tramite il bene in questione, ovvero
del prezzo di acquisto, ecc.). L’analisi di queste alternative e delle loro conseguenze
economiche dovrebbe in sostanza influenzare la decisione finale.
In sintesi, le opportunità per l’ente locale possono essere le seguenti:
- riorganizzazione razionale del patrimonio strumentale e non;
- nuove destinazioni d’uso e utilizzazioni con valenza sociale (ad es. social
housing);
- ricavo di proventi economico-finanziari.
Le principali criticità possono riguardare :
- difficoltà di raccordo tra scelte tecniche e scelte politiche;
- difficoltà gestionali;
- difficoltà di sostenere percorsi di valorizzazione complessa;
- presenza di forti regimi vincolistici;
- andamento incerto del mercato immobiliare.
Le operazioni attribuibili alla strategia di valorizzazione attraverso la gestione
pubblica sono riconducibili alla razionalizzazione nell’utilizzo del bene realizzabile
mediante un processo di efficientamento organizzativo e di miglioramento quali -
quantitativo del servizio reso senza aggravi di costi.
Le operazioni più comuni attribuibili alla strategia di valorizzazione attraverso la
gestione di tipo privatistico sono la vendita, se l’obiettivo dell’ente è quello di
monetizzare direttamente il valore del bene, la locazione, la concessione del diritto
reale di godimento, la costituzione di un fondo immobiliare, che potrebbe essere
utilizzato dall’ente come strumento di dismissione del bene nel medio - lungo
periodo.
Nel caso di gestione mista si tratta di avviare e realizzare un contratto di gestione
e costruzione in Public Private Partnership (PPP).
Capitolo VI
Le diverse forme di valorizzazione del bene
Nell’ambito delle diverse strategie di valorizzazione dei beni, le operazioni più
comuni da scegliere sono le seguenti:
Alienazione
Leasing immobiliare
Permuta
Concessione del diritto reale di godimento
Contratto di costruzione e/o gestione in Partenariato Pubblico Privato (PPP)
47
Ricorso ai fondi immobiliari
Operazioni di efficientamento e di razionalizzazione.
Per ciascuna di queste operazioni verranno descritte le caratteristiche
principali, i soggetti coinvolti, gli strumenti finanziari utilizzabili, nonché gli
eventuali vantaggi e svantaggi per l’ente.
Occorre tuttavia precisare che le varie alternative di valorizzazione di seguito
illustrate, con una visione più privatistica che pubblicistica, si riferiscono ai beni
immobili trasferiti dallo Stato agli enti locali ai sensi dell’art.56-bis del decreto-legge
69/2013 i quali entrano a far parte del patrimonio disponibile degli enti medesimi.
Tali alternative pertanto non riguardano l’ampia gamma delle concessioni di beni che
appartengono al demanio o al patrimonio indisponibile le quali offrono anch’esse
occasioni importanti di valorizzazione del patrimonio pubblico non sufficientemente
colte. Basti pensare, ad esempio, ai canoni delle concessioni dei beni del demanio
marittimo.
6.1 – L’alienazione
L’alienazione di un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile
dell’ente locale, intesa come vendita del bene stesso e dei diritti reali ad esso
riconducibili, è disciplinata dall’art 12, comma 2, della legge 127/1997 (Bassanini-
bis) e successive modificazioni che stabilisce quanto segue: “ I comuni e le province
possono procedere alle alienazioni del proprio patrimonio immobiliare anche in
deroga alle norme di cui alla legge 24 dicembre 1908, n. 783, e successive
modificazioni, ed al regolamento approvato con regio decreto 17 giugno 1909, n.
454, e successive modificazioni, nonché alle norme sulla contabilità generale degli
enti locali, fermi restando i principi generali dell'ordinamento giuridico-contabile. A
tal fine sono assicurati criteri di trasparenza e adeguate forme di pubblicità per
acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto, da definire con regolamento
dell'ente interessato”
La valutazione del bene, che si esplicherà nella determinazione di un prezzo di
mercato, dovrà tenere in considerazione le seguenti caratteristiche:
- natura,
- qualità,
- agibilità,
- commerciabilità.
Qualora l’ente riscontrasse un’insufficiente livello di commerciabilità del bene,
potrebbe decidere, al fine di agevolarne la vendita, di intervenire mediante cambio di
destinazione d’uso oppure con operazioni di manutenzione straordinaria. E’ chiaro
che, se il bene è già disponibile per la vendita, l’ente dovrà solamente determinare un
prezzo di mercato che tenga conto dei possibili usi, delle caratteristiche
dell’immobile e delle condizioni esistenti sul libero mercato. Qualora, invece, si
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rendesse necessario un intervento migliorativo, bisognerà predisporre un’analisi di
fattibilità e convenienza economica dell’operazione nel suo complesso, tenendo
quindi in considerazione i costi sostenuti, le possibilità di reperimento delle risorse
finanziarie per la copertura degli investimenti ed il possibile ricavo derivante dalla
vendita.
Le modalità di alienazione previste dalla normativa vigente sono, come è noto,
quelle dell’asta pubblica, della licitazione privata o della trattativa privata.
Occorre in ogni caso tener presente che l'ente potrà procedere alla dismissione
tramite vendita del bene trasferito previa valorizzazione del bene attraverso gli
strumenti urbanistici a disposizione, come indicato nell'art. 4, comma 3 del decreto
legislativo n.85/2010 : “I beni trasferiti in attuazione del presente decreto che
entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Città
metropolitane e delle Regioni possono essere alienati solo previa valorizzazione
attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico, e a
seguito di attestazione di congruità rilasciata, entro il termine di trenta giorni dalla
relativa richiesta, da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio,
secondo le rispettive competenze”.
I soggetti coinvolti nell’operazione di vendita sono ovviamente il venditore,
nella fattispecie l’ente locale, e l’acquirente, il soggetto privato o anche altro soggetto
pubblico..
In caso di vendita, allo scopo di preparare nella maniera migliore l’operazione,
è consigliabile che l’ente segua le medesime procedure previste per il Programma
Unitario di Valorizzazione (PUV) dall’art. 1, comma 262 della legge n.296/2006
(legge finanziaria 2007), mettendo a punto, in via preliminare, le seguenti analisi:
a) analisi tecnica, giuridica ed amministrativa del bene allo stato attuale con
particolare focus su:
− destinazioni urbanistiche e livelli di trasformabilità (con riferimento agli
strumenti di pianificazione vigenti e a quelli in corso di formazione)
− vincoli storico-artistici, paesaggistici, idrogeologici, etc.
− descrizione qualitativa della situazione ambientale esistente e rilevamento
sintetico dei principali fattori di rischio/impatto ambientale
− aggiornamento dello stato di conservazione ed utilizzo attuale
b) analisi del contesto insediativo e infrastrutturale
c) analisi del contesto socio-economico, con l’effettuazione di una analisi
qualitativa e quantitativa della domanda e dell’offerta delle superfici
immobiliari, dei servizi e delle infrastrutture in relazione alla composizione
degli attuali flussi economici rilevabili e alla loro prevedibile evoluzione.
Occorre in ogni caso tener presente che l'ente potrà procedere alla dismissione
tramite vendita del bene trasferito alle condizioni previste dall'art. 4, comma 3 del
decreto legislativo n.85/2010 : “I beni trasferiti in attuazione del presente decreto che
entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Città
metropolitane e delle Regioni possono essere alienati solo previa valorizzazione
attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico, e a
49
seguito di attestazione di congruità rilasciata, entro il termine di trenta giorni dalla
relativa richiesta, da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio,
secondo le rispettive competenze”.
Ai sensi dell’art. 9, comma 5, del medesimo decreto legislativo 85/2010, si
ricorda infine che le risorse nette derivanti dall’alienazione degli immobili trasferiti
sono acquisite dall’ente nella misura del 75% delle medesime e sono destinate alla
riduzione del debito. Soltanto l’eventuale parte eccedente potrà essere destinata a
spese di investimento. La restante quota del 25%è è destinata al Fondo
per l’ammortamento dei titoli dello Stato.
Si tratta queste ultime di condizioni pesanti che possono influenzare in senso
negativo la dismissione del bene pur essendo giustificate dalla grave situazione
esistente dell’indebitamento pubblico.
6.2 - Il leasing immobiliare
Uno strumento alternativo alla vendita che può agevolare l’operazione specie
in presenza di scarsa liquidità del mercato, è il leasing immobiliare.
Il contratto di leasing (o leasing finanziario o locazione finanziaria) è un
contratto di finanziamento che consente, in cambio del pagamento di un canone
periodico, la disponibilità del bene durante tutta la durata del contratto e la possibilità
di esercitare, alla scadenza del contratto medesimo, un’opzione di riscatto (acquisto)
del bene per una cifra pattuita, inferiore al valore di mercato del bene.
Nello specifico dell’operazione sono riconoscibili tre soggetti:
- l’utilizzatore: il soggetto privato o altro soggetto pubblico
- il concedente: la società di leasing che acquista materialmente il bene scelto
dall’utilizzatore, conservandone la proprietà sino al momento del suo eventuale
riscatto;
- il fornitore: l’ente locale proprietario del bene immobile.
In questo caso il passaggio di proprietà dal soggetto pubblico al soggetto
privato (o altro ente pubblico) non è dunque diretto, ma si realizza grazie al supporto
della società di leasing.
L’operazione presenta vantaggi e svantaggi.
Il principale vantaggio consiste nella possibilità di monetarizzazione immediata del
valore dell’immobile con un impatto positivo per le casse dell’ente. Per il soggetto
utilizzatore il vantaggio consiste nel poter disporre del bene senza bisogno di
immobilizzare la somma di denaro necessaria per acquistarlo.
I possibili svantaggi possono essere collegati ad una scelta strategica non idonea a
causa di errori commessi in sede di valutazione. Il bene infatti, se sopravvalutato,
potrebbe non essere immediatamente dismesso, ritardando così la realizzazione
finanziaria per l’ente; oppure l’operazione potrebbe non ottenere i risultati sperati e
concludersi solo grazie a forti svalutazioni del valore del bene. Anche in caso di
sottovalutazione del bene, si rischierebbe comunque di perdere i benefici connessi
all’opzione strategica scelta.
50
E’dunque determinante per l’ente collegare un’attenta verifica di congruità e
fattibilità dell’operazione alla valutazione delle risorse nette ricavabili in tempi certi.
6.3 - La permuta
Un altro strumento che può agevolare il trasferimento della proprietà del bene
immobile è l’operazione di permuta o un’operazione mista di vendita e permuta nella
quale il corrispettivo viene corrisposto, in tutto o in parte, con il trasferimento all’ente
locale di altri beni da parte dell’acquirente. In questo caso le analisi e gli
accertamenti indicati in precedenza vanno estesi ai beni da ricevere in permuta e non
soltanto al fine di determinarne il valore, ma anche per stabilire il grado di utilità e le
concrete possibilità di utilizzo dei beni medesimo da parte dell’ente. Basti pensare, ad
esempio, alla cessione di aree da destinare all’assetto urbano o alla cessione di
immobili o di locali da destinare a scuole, asili nido o ad altri, servizi pubblici.
Sotto il profilo della contabilità finanziaria e in base al principio dell’integrità
del bilancio, si ricorda che l’operazione di permuta va scissa nelle sue componenti
dando luogo alla iscrizione in uscita della spesa relativa al valore di acquisizione del
bene ricevuto in permuta e all’iscrizione in entrata del prezzo del bene immobile
oggetto di vendita.
6.4 - La locazione
Ai sensi dell’art.1571 del Codice civile, la locazione è il contratto attraverso il
quale il locatore, che nella fattispecie in esame coincide con l’ente locale, si obbliga a
far godere all’altra parte (conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato
periodo di tempo e dietro un corrispettivo pattuito dalle parti.
Come per la vendita, anche in questo caso l’ente dovrà attuare un percorso di
valutazione finalizzato alla determinazione di un valore di mercato del servizio reso
che in questo caso è il canone.
I principali elementi sensibili di valutazione si riferiscono alle caratteristiche
tecniche del bene, tra cui ad esempio:
- tipologia del bene e ubicazione nell’area urbana
- superficie occupata
- commerciabilità
- stato di conservazione e manutenzione
Dopo aver deciso l’operazione sulla base di un’analisi prevalutativa, l’obiettivo
principale dell’ente sarà quello di predisporre un piano economico-finanziario che
tenga in considerazione non solo i ricavi derivanti dal canone, ma anche i costi legati
alla locazione, tra cui le spese di manutenzione straordinaria.
La locazione del bene immobile presenta vantaggi e svantaggi
Il vantaggio principale per l’ente attiene alla flessibilità dell’operazione. Essa
consente infatti di generare flussi di reddito da un bene, senza doverne rinunciare alla
proprietà qualora in un ottica di lungo periodo, potesse essere considerato
51
nuovamente strategico. Più che parlare di svantaggi in questa sede, sembra opportuno
considerare i rischi legati ad una valutazione erronea dei flussi di cassa netti generati
dalla locazione. In modo particolare il soggetto pubblico dovrà prestare attenzione
alle voci di costo, che comprendono non solo gli eventuali costi di adeguamento ma
anche le spese di manutenzione e di assicurazione.
6.5 – La concessione di diritti reali di godimento
Come già precisato, nel ricordare che le forme di valorizzazione in esame
riguardano i beni appartenenti al patrimonio disponibile del’ente, la concessione di
diritti reali di godimento viene considerata con riferimento a questi beni e non
attengono pertanto alle concessione demaniali e amministrative.
Ciò premesso, i diritti reali di godimento sono, come è noto, diritti che gravano
su beni di proprietà di altri soggetti e che limitano l’esercizio di tale diritto in favore
di terzi che ne hanno la piena disponibilità. Tra i principali diritti reali di godimento
si ricordano: la superficie e l’usufrutto. Il diritto di superficie, disciplinato dagli
articoli 952 e seguenti del codice civile, permette all’ente locale di far edificare e
mantenere una costruzione al di sopra (o al di sotto) del suolo di proprietà dell’ente
medesimo. L’usufrutto, disciplinato dagli articoli 978 e successivi del codice civile,
consiste invece nella possibilità dell’ente locale di costituire il diritto di godimento
del bene di sua proprietà a favore di un terzo (usufruttuario) il quale può trarre dal
bene medesimo ogni utilità che questo può dare e, in particolare, i frutti naturali e i
frutti civili. Occorre tuttavia sottolineare che l’usufruttuario deve rispettare la
destinazione economica del bene; condizione questa che è importante per l’ente
locale ai fini della caratterizzazione del suo patrimonio disponibile.
L’usufrutto presenta vantaggi e svantaggi.
Come per la locazione, i vantaggi sono da attribuire principalmente alla
flessibilità dell’operazione. Rispetto ad altri strumenti, infatti, tali operazioni non solo
non sono vincolate ad una durata predefinita, ma l’ente locale, sulla base di un piano
economico - finanziario, potrà beneficiare di flussi di cassa regolari per gli impieghi
correnti senza dover intaccare il patrimonio. Gli svantaggi sono soprattutto
attribuibili alla fase di valutazione e di determinazione del piano finanziario e del
corrispettivo, nonché al rischio di controparte per l’affidabilità nel medio - lungo
periodo dell’usufruttuario in ordine ai suoi obblighi e al pagamento del corrispettivo
del diritto.
52
6.6 - Il Partenariato Pubblico Privato (PPP)
Questa operazione, più avanzata e moderna, si caratterizza per essere una
forma di valorizzazione ibrida nel senso che la proprietà rimane in capo al’ente
locale, mentre la gestione sarà mista, cioè pubblico-privata.
Il Partenariato Pubblico Privato è una forma di realizzazione e gestione di
infrastrutture e di opere pubbliche ampiamente consolidata a livello mondiale e la cui
introduzione in Italia non ha risposto, in genere, alle aspettative degli operatori
pubblici e privati. La fattispecie è regolamentata dal decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163, conosciuto anche come “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”, che
disciplina le diverse tipologie di contratti stipulabili tra un soggetto privato ed un ente
pubblico.
L’articolo 3, comma 15-ter definisce i contratti di partenariato pubblico
privato come “contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la
progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o
di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il
finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali
prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi
comunitari vigenti”. L’Unità Tecnica Finanza di Progetto, organismo istituito
nell’ambito del CIPE con l’art. 7 del decreto-legge 17.3.1999, n.64, la cui missione
principale è quella di promuovere e di fornire un supporto alle pubbliche
amministrazioni per l’utilizzo di tecniche di finanziamento di infrastrutture con
ricorso a capitali privati, definisce il PPP come: “una complessa architettura
contrattuale sottostante a uno studio di fattibilità finanziaria attraverso il quale si
cerca di ottimizzare i costi/benefici di un progetto di pubblico interesse, allocando i
rischi alle parti meglio in grado di gestirli, vincolando il soggetto privato a livelli di
performance per tutto il periodo in cui si assume la gestione del progetto e, in
particolare, prevedendo flussi di cassa sufficienti alla copertura dei costi di gestione
e alla copertura del servizio del debito.”
I contratti di PPP rappresentano per le amministrazioni pubbliche, e quindi
anche per gli enti locali, uno strumento efficace per il rilancio delle opere
infrastrutturali: il vantaggio principale sottostante ad operazioni di questa tipologia
risiede nel coinvolgimento totale o parziale di attori e capitali privati che
alleggeriscono l’impegno finanziario pubblico nelle fasi attinenti l’opera:
progettazione, realizzazione e gestione.
Gli elementi caratterizzanti del PPP sono:
- il finanziamento del progetto è interamente o parzialmente a carico
del privato
- l’operatore privato normalmente si fa carico dell’aspetto gestionale del
progetto, mentre l’amministrazione pubblica individua gli interessi
pubblici oggetto di valorizzazione
- l’efficienza gestionale, che si traduce in una razionalizzazione dei costi
53
sia di realizzazione che di gestione per l’ente (Value for Money)
- i rischi dell’iniziativa vengono ripartiti tra i soggetti partecipanti
secondo capacità di identificazione, valutazione e gestione dei rischi stessi
Le tipologie di PPP riconosciute a livello comunitario dal Libro Verde in
materia di PPP, disposto dalla CE il 30 aprile 2004, sono:
- partenariato contrattuale: è quello basato esclusivamente su legami
contrattuali tra i vari soggetti, mediante i quali uno o più compiti vengono
affidati al partner privato. Il modello di partenariato puramente contrattuale
può essere costituito da concessione di servizi o di lavori (project finance),
sponsorizzazione e locazione finanziaria.
- partenariato istituzionale: è quello che implica una cooperazione tra il settore
pubblico e il settore privato in seno ad un’entità distinta, che presuppone, cioè,
la creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal
partner privato, che ha la missione di assicurare la fornitura di un’opera o di un
servizio a favore del pubblico. I modelli di tale tipologia di partenariato più
conosciuti sono la società mista e gli organismi “in house”
Sotto il profilo degli strumenti finanziari, è bene distinguere tra PPP e Project
Finance: il PPP disciplina una forma contrattuale di cooperazione pubblico – privata;
il Project Finance è invece uno dei possibili strumenti utilizzabili per la realizzazione
del suddetto contratto.
Il project finance può essere definito come un “finanziamento concesso ad una
particolare unità economica [...] nel quale il finanziatore fa affidamento sui flussi di
reddito di quell’unità come fonte di fondi per il rimborso di un prestito e sul
patrimonio dell’unità come garanzia per lo stesso”. (Nevitt P.K. (1983), Il project
financing, Laterza..
Il Project finance (PF), nell’ambito dell’applicazione dei contratti di PPP, è
un’operazione di finanziamento di una specifica iniziativa di pubblica utilità,
realizzata, di norma, tramite una società costituita ad hoc (lo Special Purpose
Vehicole –SPV-), che gode di autonomia patrimoniale.
Le caratteristiche principali del Project Finance sono:
- i flussi di cassa gestionali costituiscono garanzia e fonte per la copertura del
debito
- la ripartizione dei rischi tra i soggetti coinvolti secondo il principio di efficienza
ed economicità
- la sostenibilità economico –finanziaria dell’operazione dipende dalla qualità del
progetto e dalla creazione di valore da questo ottenibile più che dalla natura dei
soggetti coinvolti
-la natura gestionale privata è garanzia di efficienza e di efficacia nella
realizzazione dell’operazione
Si tratta dunque della realizzazione di un’operazione articolata in cui
coesistono una serie di elementi chiave, quali la progettazione, il finanziamento
dell’infrastruttura, la costruzione o il rinnovamento, la gestione e la manutenzione. La
natura stessa dell’operazione richiede il coinvolgimento di operatori specializzati
54
(intermediari bancari e finanziari) che possono assumere, anche congiuntamente,
svariati ruoli: advisoring, gestione del finanziamento, prestazione di garanzie.
La funzionalità del Project finance per le operazioni di Partnership pubblico -
privato risiede soprattutto nel:
- reperimento delle fonti finanziarie
- appalto per la costruzione dell’opera
- gestione del servizio
Anche la Partnership pubblico-privato presenta vantaggi e svantaggi.
Tra le principali motivazioni che potrebbero indurre l’ente locale a scegliere
tale forma per la valorizzazione del bene occorre considerare che:
- le risorse apportate dal soggetto privato non sono solo di natura finanziaria
ma comprendono anche le competenze manageriali, commerciali e tecniche
necessarie per la realizzazione dell’opera. L’intervento del soggetto privato
dovrebbe essere garanzia per una gestione efficiente finalizzata alla
realizzazione dei ricavi necessari per estinguere il debito acceso.
- il beneficio per l’Ente sarà non soltanto di carattere finanziario, ma anche di
natura sociale: possibilità per la comunità di fruizione di un servizio di
maggiore qualità
In generale è possibile affermare che l’ente locale procederà alla scelta di
valorizzazione mediante PPP nel momento in cui riterrà opportuno affidare la
realizzazione e la gestione di beni o servizi di pubblica utilità ad un soggetto privato
in virtù dei benefici economici (riduzione dei costi) e sociali (incremento efficienza
ed efficacia) da esso realizzabili.
6.7 - Il ricorso ai fondi immobiliari
Si è detto nella prima parte come la legislazione più recente miri disciplinare
gli strumenti di valorizzazione del patrimonio pubblico sotto la spinta dell’esigenza di
del riequilibrio del bilancio e della riduzione del debito. Tra questi strumenti assume
particolare rilievo la disciplina dei fondi immobiliari di investimento dettata
dall’articolo 33 del decreto-legge 6.11.2011 n. 98, convertito dalla legge 15.7. 2011
n. 111 e successive modificazioni, che riguarda anche la valorizzazione o la
dismissione del patrimonio immobiliare degli enti territoriali, ivi compresi i beni
dello Stato ad essi trasferiti ai sensi del decreto legislativo 85/2010.
La legge prevede al riguardo la creazione di fondi nazionali che possano
agevolare la costituzione di fondi comuni promossi dagli enti territoriali. In
particolare, il comma 2 del suddetto articolo fa riferimento ai beni oggetto del fondo
che potranno essere non solo quelli appartenenti al patrimonio disponibile originario
degli enti, ma anche i beni che saranno oggetto del trasferimento in attuazione della
normativa in materia di federalismo demaniale. La disposizione prevede
conseguentemente l’abrogazione dell’articolo 6 del decreto legislativo 85/2010
concernente la valorizzazione dei beni attraverso i fondi comuni di investimento
immobiliare. Il modello previsto dalla norma è quello di un cofinanziamento del
55
fondo da parte di una Società di gestione del risparmio nazionale, partecipata
interamente dal Ministero dell’economia e finanze, e di fondi nazionali da essa gestiti
che potranno sottoscrivere quote di quelli territoriali.
Ma che cosa è un fondo comune di investimento immobiliare?
Esso si colloca all’interno della gestione collettiva del risparmio disciplinata
dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58: "Testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria”. La gestione collettiva del risparmio riguarda
il servizio rivolto ad una pluralità di soggetti risparmiatori che si realizza mediante la
costituzione di Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR). Tra gli
OICR lo strumento più diffuso è proprio il fondo comune di investimento. Il fondo
gode di un patrimonio autonomo diviso in quote tra i suoi partecipanti e gestito a
monte. Per gestione a monte s’intende la gestione su base collettiva del risparmio
degli investitori effettuata dalle Società di gestione del risparmio (SGR) per i fondi
comuni e i fondi pensione. Ciò vuol dire che i patrimoni dei singoli investitori
confluiscono in un unico portafoglio gestito unitariamente dalla SGR.
Gli investimenti patrimoniali ammissibili al fondo, disciplinati dal D.M. 24
maggio 1999, n. 228 sono:
- strumenti finanziari quotati e non quotati in un mercato regolamentato
- disponibilità liquide bancarie
- crediti e titoli rappresentativi di crediti
- beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari
- altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con
certezza con una periodicità almeno semestrale.
I fondi immobiliari sono, quindi, una particolare tipologia di fondi di
investimento.
Il fondo immobiliare comune è un fondo chiuso o semichiuso. Per fondo comune
chiuso, s’intende un fondo in cui il patrimonio iniziale è diviso in quote predefinite
che possono essere sottoscritte solo nel momento di offerta iniziale e rimborsate a
scadenza del fondo stesso, fatta salva la possibilità della società di gestione (SGR) di
effettuare rimborsi anticipati a scadenze predefinite. La tipologia di fondo semi
chiuso, recentemente introdotto dalla normativa vigente, prevede la possibilità di
rimborso anticipato delle quote contestualmente con le operazione di nuove emissioni
di quote nel fondo. Sostanzialmente, nel fondo semichiuso le operazioni di
sottoscrizione e liquidazione delle quote sono possibili e devono avvenire
contestualmente. Con riferimento al patrimonio investito, almeno i due terzi devono
essere costituito da beni immobili, diritti reali immobiliari o partecipazioni in società
immobiliari. Come per tutti i fondi di investimento, la gestione del patrimonio è
affidata alla SGR che opera secondo il regime di responsabilità del mandatario nei
confronti dei sottoscrittori del fondo. L’elemento caratterizzante dei fondi
immobiliari è quello di trasformare gli investimenti immobiliari in attività finanziarie,
attraverso la creazione di quote che consentono di generare liquidità senza che
l'investitore debba acquistare direttamente degli immobili i cui tempi di
commercializzazione sono in genere decisamente più lunghi degli investimenti di
56
tipo mobiliare. Il loro valore è quindi inizialmente definito e suddiviso in quote il cui
prezzo varierà in funzione dell’andamento del valore di mercato degli assets del
fondo, dall’attività di gestione e, nello specifico dei fondi semi-chiusi, anche dai
rimborsi effettuati e dall’ingresso di nuovi quotisti.
Sulla base della modalità di distribuzione dei proventi, è possibile distinguere:
- fondi a distribuzione: prevedono la distribuzione dei proventi da parte della
SGR secondo un piano di scadenze predefinito
- fondi di accumulo: prevedono la distribuzione dei proventi solo in fase di
liquidazione del fondo.
I soggetti investitori nel fondo si possono distinguere in:
- investitori qualificati: soggetti professionali (persone fisiche o giuridiche) con
specifica competenza ed esperienza nelle operazioni di natura finanziaria: banche,
SGR, fondi pensione, imprese di assicurazione, società finanziarie, fondazioni
bancarie, ecc;
- investitori retail: i risparmiatori privati.
Un ulteriore distinzione si basa sulla diversa modalità di acquisizione del
patrimonio
- fondi a raccolta: in questa tipologia di fondi la SGR preventivamente
raccoglie il capitale mentre la fase di investimento è successiva
- fondi ad apporto privato/pubblico: sono fondi costituiti tramite conferimento
di immobili, diritti reali o partecipazioni in società di real estate da parte di un
soggetto privato o pubblico, le cui quote possono essere successivamente collocate
sul mercato o tra operatori qualificati.
Altre due categorie degne di menzione sono:
- fondi riservati: sono fondi d'investimento di tipo non armonizzato cui
partecipano esclusivamente investitori qualificati. Le categorie di soggetti che
possono partecipare ai fondi riservati sono: le imprese di investimento, le banche, gli
agenti di cambio, le società di gestione del risparmio (SGR), le società di
investimento a capitale variabile (SICAV), i fondi pensione, le imprese di
assicurazione, le società finanziarie capogruppo di gruppi bancari, le fondazioni
bancarie, le persone fisiche e giuridiche ed infine gli altri enti in possesso di specifica
competenza ed esperienza in operazioni in strumenti finanziari espressamente
dichiarata per iscritto dalla persona fisica o dal legale rappresentante della persona
giuridica o dell'ente. Data la particolarità dei soggetti cui questa tipologia di fondi si
rivolge, ai fondi riservati è consentita una maggiore flessibilità regolamentare ed
operativa dalla quale discendono strategie di operatività con un rapporto
rischio/rendimento più elevato rispetto ad altri fondi.
- fondi speculativi: questa tipologia di fondi non ha limiti di indebitamento e
quindi, a differenza dei fondi precedentemente nominati, può indebitarsi anche per un
valore superiore al 60% del valore dei suoi assets e del 20% degli altri beni. Inoltre,
in deroga alle norme prudenziali tipicamente previste volte alla riduzione del rischio,
il patrimonio del fondo può anche essere investito in: un singolo bene immobile del
valore unitario superiore ad un terzo del totale delle attività, strumenti finanziari non
57
quotati, di uno stesso emittente e in parti di uno stesso organismo di investimento del
risparmio (OICR) per un valore superiore al 20% del totale delle attività, società
immobiliari che prevedano nel proprio oggetto sociale la possibilità di svolgere
attività di costruzione anche in misura superiore al 10% del totale delle attività del
fondo.
I soggetti coinvolti nell’apporto del patrimonio ad un fondo immobiliare, oltre
chiaramente l’ente locale, sono i seguenti:
- Società di gestione del risparmio (SGR)
- Investitori nel fondo
- Banca depositaria
- Esperti indipendenti
- Organi di vigilanza
- Gli advisors
Il ricorso allo strumento del fondo immobiliare presenta vantaggi e svantaggi.
Il ricorso ai fondi immobiliari si manifesta particolarmente utile ai fini della
valorizzazione patrimoniale perché consente di affidare il processo ad un veicolo
finanziario professionale che, pur rimanendo governato dall’ente, presenta modalità
operative e gestionali di natura privatistica, in termini di efficienza e di efficacia.
E’ bene ricordare, inoltre, come l’intero cash flow dell’operazione, compresi i costi
iniziali di manutenzione, gestione, progettazione, ecc. vengono presi in carico dal
fondo, liberando l’ente proprietario dall’onere di finanziamento. E’ però opportuno
tener presente che l’utilizzazione di questo strumento incontra una variabile critica: la
dimensione dell’investimento. Per attivare il fondo immobiliare, infatti, servono asset
per almeno 30-40 milioni di euro: basso dunque è il numero degli enti locali in grado
di attivarne uno in maniera autonoma e pertanto una soluzione potrebbe essere quella
di attivazione da parte di più conferenti. La gamma delle scelte possibili e delle
attività ed operazioni attuabili, che siano effettivamente realizzabili, cresce al
crescere della dimensione non solo dell’ente ma anche del valore dei beni ad esso
attribuibili. La scelta di make or buy che si prospetta all’ente dipende dunque
fortemente anche dalla dimensione dell’investimento.
E’opportuno sottolineare che la vendita o il conferimento ad un fondo
immobiliare non rappresentano forme “automatiche” di raccolta di risorse
finanziarie. I soggetti finanziatori del fondo (le banche in primis, ma anche e
soprattutto gli investitori, qualora si ritenesse di attivare la raccolta sul mercato dei
capitali) considereranno attentamente le caratteristiche degli immobili, la loro
capacità di mantenere (se già locati) o di sviluppare flussi reddituali adeguati al
servizio del debito richiesto ovvero comunque tali da esser ragionevolmente oggetto
di cessione nell’arco della durata del finanziamento. Si tratta quindi di asset che, di
per sé, sarebbero comunque suscettibili di attivare forme di finanziamento ad hoc e
per i quali lo strumento del fondo rappresenta solo un’occasione di miglior
trattamento fiscale, unitamente all’allocazione del bene e del debito su un veicolo
societario esterno all’ente pubblico venditore o apportante.
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Un aspetto di particolare rilievo nella decisione di costituzione di un fondo da
parte di un ente locale è la visione strategica di lungo periodo in termini di scelta tra
disinvestire ovvero mantenere la proprietà tramite le quote del fondo. In quest’ultimo
caso, l’ente potrà influire comunque nella gestione attraverso gli organismi di
indirizzo strategico del fondo cui partecipa.
La chiarezza degli obiettivi, che ciascun ente locale dovrà ricercare
nell’ambito dei processi di governance, rappresenta pertanto un elemento essenziale
per il successo dell’operazione.
6.8 - L’utilizzo diretto per la migliore prestazione dei servizi
L’utilizzo diretto del bene per la migliore prestazione dei servizi pubblici che
l’ente locale è tenuto ad assicurare alla comunità in relazione ai propri fini
istituzionali richiede processi di efficientamento e di razionalizzazione della gestione
che investono non soltanto il bene o i beni in oggetto, ma anche l’intero apparato
amministrativo. Per tale tipologia di operazione, la proprietà e la gestione restano
in capo all’ente locale che dovrà attivarsi al riguardo.
In primo luogo, nella grave situazione di crisi della finanza pubblica e di
scarsità di risorse, è consigliabile che l’ente preveda, per i beni ritenuti strategici per
lo svolgimento della propria attività, un piano di razionalizzazione del bene e dei
servizi con esso erogabili.
Attraverso questa fattispecie di operazioni, dunque, si richiede all’ente di
applicare la logica economico-privatistica al fine di un’erogazione efficiente ed
efficace dei servizi, vale a dire servizi meno costosi per l’ente, ma di migliore qualità
per i beneficiari. In particolare, una gestione efficiente ed efficace potrà riguardare
anche il cambiamento di destinazione d’uso del bene se necessario alla riduzione dei
costi e al miglioramento dei servizi. E’ evidente che questa forma di valorizzazione
del bene sarà scelta dall’ente soprattutto per realizzare la mission sociale espressa nel
piano strategico, ma anche con riflessi di tipo economico.
Gli strumenti finanziari necessari per il buon esito delle suddette operazioni si
rinvengono nell’ambito di eventuali avanzi di amministrazione, surplus di parte
corrente del bilancio, trasferimenti attivi in conto capitale, ricorso all’indebitamento e
di altre entrate destinate a finanziare spese di investimento.
I vantaggi del ricorso alla diretta valorizzazione del bene sono strettamente
legati ad un miglioramento della sua redditività, alla riduzione dei costi mediante
un’efficiente ristrutturazione delle fonti di spesa, all’incremento e/o alla maggiore
stabilità dei ricavi, ma soprattutto all’offerta di servizi più efficaci.
Gli svantaggi consistono principalmente nel reperire i fondi necessari per
intervenire sulla struttura e sulle caratteristiche del bene in modo da renderlo idoneo a
realizzare le operazioni di efficientamento e di razionalizzazione programmate.
59
6.9 - I possibili criteri di scelta tra le diverse forme di valorizzazione
In questo paragrafo si esamineranno alcuni criteri fondamentali di scelta tra le
varie alternative attuabili dall’ente locale ai fini di un’efficace valorizzazione dei beni
immobili acquisiti, ma anche di quelli appartenenti al proprio patrimonio disponibile.
Un primo presupposto essenziale è la disponibilità di un adeguato sistema
valutativo a supporto delle scelte da intraprendere. La decisione di dar corso ad
un’operazione piuttosto che ad un'altra è però vincolata ad alcune caratteristiche
oggettive:
- la natura del soggetto pubblico
- la natura del bene oggetto di attribuzione
L’ente locale è chiamato all’erogazione di una vasta gamma di servizi che
comportano il soddisfacimento di interessi molteplici e crescenti della comunità
amministrata. Le finalità dell’ente locale, a differenza di un ente privato, sono
complesse e vanno ben al di là del raggiungimento del risultato economico-
finanziario, misurabile in termini quantitativi e monetari. Nella normativa vigente sul
federalismo demaniale, ricomposta nella prima parte, appare evidente come prevalga
nettamente la finalità sociale nell’utilizzo dei beni trasferiti rispetto alla finalità
economica divenendo perciò un vincolo. Ciò comporta che le decisioni di
valorizzazione devono essere prese in primis sulla base di vincoli sociali, per lo più di
natura intangibile (massima valorizzazione funzionale), e poi anche sulla base di
risultati economico-finanziari previsti nei piani di valutazione. Sotto questo aspetto,
ciascuna operazione dovrà consentire di legare i dati economico finanziari con quelli
previsti nei piani strategici dell’ente, non venendo meno alle aspettative sociali dei
molteplici stakeholder (utenti, PA, comunità locali, ambiente, finanziatori, ecc.). In
altri termini, in ciascuna operazione l’ente locale dovrà assicurare il beneficio sociale
diretto e/o indiretto per la comunità e la sua coerenza con la visione strategica
dell’ente medesimo.
I vincoli sulla natura del bene fanno riferimento alla sua tipologia e alla
effettiva possibilità di utilizzo. Le scelte tra le diverse operazioni di valorizzazione
dovrebbero quindi prendere in considerazione i seguenti aspetti:
- coerenza con il piano strategico dell’ente
- valutazione dei benefici sociali (diretti ed indiretti) per la comunità
- destinazioni urbanistiche e livelli di trasformabilità del bene
- vincoli storico-paesaggistici
- vincoli normativi
- eventuale impatto ambientale
- contesto insediativo e infrastrutturale
- contesto socio-economico di riferimento
\ Una volta accertate e verificate le suddette condizioni si potrà procedere alla
stesura di un piano di sostenibilità economico - finanziaria finalizzato alla
quantificazione dei benefici monetari relativi a ciascuna opzione di valorizzazione.
60
Lo strumento più adeguato per condurre tali operazioni, che si consiglia agli
enti locali di adottare, è il Business Plan.
Capitolo VII
Il ruolo del Business Plan nelle operazioni di valorizzazione dei beni immobili
7.1 – L’importanza del Business Plan
L’obiettivo principale di questo capitolo risiede nell’analisi del Business Plan
(BP) come strumento necessario per la valutazione economico-finanziaria delle
operazioni di valorizzazione attuabili dall’ente locale. In particolare, il capitolo si
focalizzerà sull’importanza del Business Plan per la programmazione delle attività
non solo per l’ente, ma anche per tutti gli attori coinvolti nelle operazioni. Tale
strumento inoltre, assume rilievo anche per gli enti più piccoli in quanto rivolto a
indicare come attribuire razionalità ai progetti, scandendone i tempi, i modi,
l’allocazione delle risorse, le relazioni con altri soggetti, economici e non, coinvolti.
Attraverso un’attenta stesura del Business Plan, gli enti locali saranno in grado di
attivare un ciclo virtuoso tra la fase di programmazione e la fase di realizzazione
delle attività.
Il Business Plan è dunque sia uno strumento di pianificazione che di controllo
sulla validità della strategia di valorizzazione adottata. Esso realizza l’idea che
qualsiasi soggetto non possa e non debba intraprendere un progetto senza una
rigorosa programmazione di base. Le tecniche di “capital budgeting” e del “controllo
strategico” sono riferimento imprescindibile per tenere costantemente sotto controllo
l’andamento dell’attività. L’importanza del BP quale strumento programmatico è
innegabile, come dimostra l’ampia bibliografia disponibile in letteratura, ma ciò che
preme sottolineare in questo capitolo è il tentativo di semplificare il messaggio agli
enti locali e agli altri soggetti interessati circa le potenzialità di tale strumento.
Sarebbe davvero grave non soltanto per il soggetto pubblico se un’ operazione
di valorizzazione non andasse a buon fine per errori nella valutazione delle fasi del
progetto e per non avere avuto la possibilità di affidarsi ad uno strumento di aiuto
come il BP.
In particolare, il BP assolve a due funzioni principali, una interna ed una
esterna.
La funzione interna fa riferimento sia al ruolo informativo e di guida nei
processi decisionali per il soggetto imprenditore sia al ruolo consultivo della
bancabilità e sostenibilità del progetto stesso.
La funzione esterna fa invece riferimento alla comunicazione nei confronti del
pubblico esterno – gli stakeholder – e al ruolo propositivo dello strumento nei
confronti degli operatori economici in merito alla credibilità del progetto.
61
Nei successivi paragrafi saranno presi in esame i contenuti del BP, i soggetti
principali coinvolti, i criteri fondamentali per la valutazione del Piano, gli schemi di
Business Plan utilizzabili dagli enti locali. Intanto, al fine di agevolare l’accesso a
tale strumento, si riporta una scheda di sintesi relativa alle caratteristiche principali
del BP sotto forma di risposte a possibili domande che ogni ente redattore potrebbe
porsi.
62
7.2 – Che cos’è il Business Plan
Ma cosa s’ intende per Business Plan ? . Non esiste una definizione univoca
perché la sua forma e il suo contenuto dipendono dalla natura e dalla finalità per cui è
redatto. Pertanto il Business Plan può essere definito come:
- un documento articolato, finalizzato ad esplicitare e a riepilogare le linee
strategiche, gli obiettivi e le azioni della pianificazione patrimoniale, economica e
finanziaria di un progetto
- un piano economico-finanziario descrittivo di tutte le componenti strategiche,
finanziarie, organizzative e sociali di un progetto
- uno strumento alla base di un processo di pianificazione sistematico ed
efficace che sintetizza i contenuti e le caratteristiche di un progetto . In tal senso e nel
campo imprenditoriale il BP è uno strumento che può essere utilizzato per lanciare
una nuova iniziativa, chiedere un finanziamento, vendere o acquistare un’azienda o
parte di essa, intraprendere un’attività o come semplice strumento di controllo e di
orientamento di un’operazione.
Da queste definizioni emerge la caratteristica principale di tale elaborato, ossia
la sua universalità, nel senso di coinvolgere elementi concernenti tutta la vita del
progetto, nelle sue molteplici manifestazioni. Il BP esprime l’idea che qualsiasi
soggetto, pubblico o privato, non possa e non debba fare i propri investimenti o
intraprendere progetti senza una rigorosa programmazione di base.
Il suo ruolo è tipicamente triplice in quanto viene utilizzato:
- come strumento di comunicazione interna ed esterna (ruolo informativo)
- per accedere ai canali di finanziamento e avere le risorse necessarie per poter
avviare il progetto (ruolo propositivo)
- come guida e bussola per agire operativamente e raggiungere gli obiettivi
prefissati (ruolo consultivo).
Il Business Plan è quindi:
- Strumento di presentazione: si formalizza e si illustra a tutti i destinatari il
progetto che dovrà poi essere approvato (funzione esterna)
- Strumento di analisi e di vision: in questo caso il BP rappresenta per il
soggetto che lo predispone un momento di apprendimento in cui si redige il progetto,
si studiano i fattori che lo possono influenzare o modificare e si studiano le “mosse”
da effettuare. Per raggiungere questo obiettivo occorre proiettare la visione d’insieme
prima nel breve periodo, attraverso la quantificazione degli elementi che consentono
di determinare il grado di attrazione economica e la fattibilità finanziaria
dell’iniziativa, e poi nel lungo periodo attraverso un’attenta analisi strategica
(funzione interna).
Il Business Plan da utilizzare per la migliore scelta delle operazioni di
valorizzazione dei beni immobili da parte degli enti locali deve considerare, oltre alle
complessità e ai rischi propri di un’operazione immobiliare, anche i vincoli
normativi, organizzativi, procedurali che sono tipici di una amministrazione pubblica.
63
7. 3 - Il processo logico e le fasi del Business Plan
Sotto il profilo temporale, il Business Plan si colloca subito dopo che sia stata
intuita l’operazione di valorizzazione e si sia deciso di metterla a punto in termini di
ricaduta patrimoniale, economica e finanziaria. L’abilità richiesta è essenzialmente
tecnica in un processo di apprendimento continuo tracciato come segue.
Il processo del Business Plan
Come si può notare osservando la figura, il processo di BP si svolge come segue:
- scelta della strategia di valorizzazione da intraprendere
- diagnosi esterna del progetto: in particolare l’ente locale dovrà effettuare
un’attenta valutazione sui benefici diretti ed indiretti alla comunità,
cogliendone vincoli e opportunità
- diagnosi interna del progetto. Su questo punto l’ente locale dovrà prestare
attenzione anche alla disponibilità di competenze professionali idonee per
sostenere ciascuna fase del progetto, oltreché alla disponibilità di fonti
finanziarie
- dimensionamento del progetto
- analisi dei possibili soggetti da coinvolgere
- pianificazione delle attività e previsioni costi-ricavi.
64
Svolgimento del processo di Business Plan
In definitiva il Business Plan è sicuramente un documento utile a delineare la
possibilità che una determinata operazione o progetto possa, in un certo arco di
tempo, realizzarsi, ma esso va inteso anche come un processo di apprendimento
strumentale a tale realizzazione. Come precedentemente sottolineato, tale strumento
avrà una grossa valenza informativa: di controllo strategico rispetto ai molteplici
scenari e vincoli (normativi, sociali, culturali, paesaggistici, ecc.) che gli enti locali
possono riscontrare e che ogni soggetto coinvolto (banca o soggetto privato) deve
tener presente per una valutazione autonoma dell’operazione attuabile.
In particolare sono riconoscibili le seguenti fasi:
1. Fase della fattibilità economica. In tale fase si determina la validità
economica del progetto. Si prendono quindi in considerazione le seguenti voci:
investimenti, costi e ricavi.
65
2. Fase della fattibilità economico-finanziaria. Sulla base dei dati raccolti nel
punto precedente, si calcolano i flussi finanziari, in entrata ed uscita, per stimare se il
progetto oltre che economicamente valido, sia anche finanziariamente sostenibile..
3. Fase operativa. In questa fase si stimano le risorse necessarie per l’attivazione
del progetto e per la gestione operativa dello stesso.
Le fasi del Business Plan
7.4 - I soggetti coinvolti nel processo del Business Plan
I soggetti coinvolti nelle principali operazioni di valorizzazione del patrimonio
immobiliare sono normalmente l’ente locale, il soggetto terzo e la banca. Quali sono
gli interessi e le finalità di questi attori? Al riguardo, si può presentare, in sintesi, una
triplice chiave di lettura ai fini della stesura del BP che rispecchi le diverse finalità e
il diverso grado di coinvolgimento dei soggetti in ciascuna operazione.
66
Ciò premesso, ricercare ed esporre le motivazioni e gli interessi che muovono i
diversi attori è importante per l’ente locale per poter conoscere meglio gli
atteggiamenti che verranno assunti in concreto.
L’Ente locale di fronte al BP
Nella redazione del Business Plan, è opportuno che l’ente locale prenda in
considerazione almeno i seguenti elementi:
- la propria mission
- il benessere, diretto e indiretto per la comunità
- la presenza di vincoli che ostacolano la buona riuscita dell’operazione
- gli effetti in termini economico-finanziari che l’operazione comporta e, in
particolare, sul debito e sugli equilibri del bilancio.
Con riferimento a quest’ultimo punto, uno dei vincoli principali per l’ente
nella realizzazione della strategia di valorizzazione del bene è infatti quello di
destinare alla riduzione del debito il 75% delle risorse nette derivanti dall’alienazione
del bene medesimo o dalla cessione di quote di fondi immobiliari e di destinare il
restante 25% al Fondo per l’ammortamento dei tioli dello Stato. Sotto altro aspetto, la
valorizzazione del bene attraverso azioni di efficientamento e di razionalizzazione
potrebbe condurre ad importanti economie a vantaggio dell’equilibrio del bilancio.
Le variabili fondamentale indicative della bontà del progetto per l’ente locale
saranno quindi:
- la soddisfazione degli attori sociali
- la capacità di attrazione di risorse e di competenze idonee a raggiungere gli
obiettivi connessi all’operazione
- l’impatto finanziario.
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Il soggetto terzo di fronte al BP
Il soggetto terzo (privato, ma eventualmente anche pubblico) chiamato ad
intervenire nella gestione del bene come pure nella proprietà, presterà particolare
attenzione all’analisi dell’andamento del mercato immobiliare nel contesto di
riferimento che costituisce un primo passo per la valutazione dei rischi derivanti
dall’operazione. La presenza infatti di un mercato immobiliare più o meno attivo può
significare rischi minori o maggiori per tale soggetto; si pensi ad esempio al caso di
gestione in Partnership Pubblico Privato. E’ chiaro che il soggetto privato, a
differenza di quello pubblico, sarà spinto da motivazioni di carattere economico e
reddituale. L’ottica di tale soggetto, quindi, dovrà soddisfare le richieste di redditività
e competitività all’interno del settore di appartenenza.
I contenuti del BP fondamentali nell’analisi svolta dal soggetto privato sono
dunque:
- la mission strategica
- gli obiettivi economico finanziari di breve e lungo periodo.
Ma, mentre l’ente locale dovrà conseguire in primis gli obiettivi di natura
sociale e poi eventualmente quelli a carattere reddituale, il soggetto privato dovrà
basarsi essenzialmente sul successo reddituale dell’operazione, stando attento agli
eventuali vincoli normativi legati al bene (ad es. destinazione d’uso) e ad altre
variabili.
In particolare, le variabili indicative di un progetto appetibile nell’ottica
privatistica possono essere le seguenti:
- la redditività dei mezzi investiti
- la struttura finanziaria e il costo dell’indebitamento
- il valore nel tempo del bene
- il tasso di incidenza delle imposte
- la tempistica dell’operazione.
La Banca di fronte al BP
Il Business Plan è importante per il soggetto bancario in quanto la sostenibilità
dell’operazione dal punto di vista finanziario, ovvero la sua capacità di produrre in
maniera continuativa flussi di reddito, è una condizione imprescindibile per la
concessione del credito.
In particolare l’analisi del soggetto bancario si concentrerà principalmente sulle
seguenti caratteristiche:
- dimensione del progetto in termini di costi, ricavi e investimenti
- profilo di rischio delle parti interessate
- sostenibilità dei flussi di cassa
- grado di indebitamento e leva finanziaria.
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Tipicamente, il BP si articola in una serie di fogli di lavoro in formato
elettronico, aventi questa sequenza:
a) Assumption: si tratta del foglio di enunciazione delle variabili che
definiscono l’operazione (determinanti dei ricavi e dei costi, investimenti, struttura di
copertura dei fabbisogni tra capitale proprio e debito, costo del debito, indici
macroeconomici ecc.) e che verranno poi elaborate nei fogli di calcolo per simulare
l’andamento del progetto nel medio – lungo periodo e nei suoi budget.
b) Fase di realizzazione/ristrutturazione: contiene gli algoritmi di sviluppo del
profilo fonti – impieghi dell’iniziativa durante la fase di costruzione / ristrutturazione
degli asset, con il dettaglio di formazione dei singoli fabbisogni (pagamenti ai
fornitori, costruttori e professionisti, tiraggio delle linee di credito e versamento del
capitale proprio da parte dei soci / quotisti ecc.) ed avente lo scopo primario di
verificare l’equilibrio tra gli impieghi e le fonti e che quest’ultime siano
quantitativamente adeguate all’integrale copertura dei fabbisogni.
c) Fase di operatività: rappresenta lo sviluppo delle previsioni di ricavi e costi
dell’iniziativa una volta terminata la fase di costruzione o ristrutturazione.
Tipicamente vi saranno espresse le previsioni di ricavi (derivanti sia dalle analisi di
mercato), di costi operativi, di oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria, di
costi finanziari (con attenzione alle formule di copertura del rischio di tasso
d’interesse) e le componenti della fiscalità (laddove una notevole differenza è
correlata all’uso dello strumento del fondo d’investimento real estate in luogo di altre
soluzioni societarie aventi fiscalità differente).
Lo sviluppo del Business Plan nelle operazioni immobiliari comprende
necessariamente il calcolo degli indicatori finanziari fondamentali di cui si indicano
soltanto alcuni per offrire una breve panoramica dei sistemi di valutazione
dell’operazione utilizzati dai finanziatori:
- Loan to Value (LTV): il rapporto tra il debito concesso all’iniziativa e il
valore (OMV Open Market Value) dei suoi asset. L’indicatore è espresso in
percentuale ed evidenzia lo scostamento massimo (ovvero il margine di sicurezza) di
perdita di valore dell’asset superato il quale – oltre alla distruzione del capitale
proprio - viene messo a repentaglio anche il rimborso del debito contratto.
- Loan to Cost (LTC): è il rapporto tra il debito concesso e l’ammontare degli
investimenti di volta in volta (e cumulativamente) realizzati e pagati. Correlato
logicamente al parametro che precede, misura l’intensità di contribuzione del
finanziatore al sostenimento dei costi di investimento / ristrutturazione, di nuovo con
l’ottica di rilevarne la perdita massima di valore prima che sia compromessa la
capacità di recupero dell’ammontare di debito ad essi allocato.
- Debt Service Cover Ratio (DSCR): è il rapporto (di regola, semestrale) tra il
cash flow operativo netto generato dall’iniziativa e l’ammontare di rata capitale ed
interessi del relativo debito scadente nello stesso periodo. Di regola utilizzato in
presenza di asset e reddito e con piano di rimborso correlato agli incassi, misura la
capacità di far fronte in maniera puntuale alle scadenza dell’indebitamento e lo
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scostamento massimo sostenibile prima che si giunga all’incapacità di far fronte alle
scadenze finanziarie.
7.5 - La redazione del Business Plan: uno schema operativo
In generale, gli aspetti che formeranno oggetto di analisi propedeutiche ai fini
della redazione del BP sono i seguenti:
- gli obiettivi e le strategie dell’ente locale
- il beneficio diretto e/o indiretto per la comunità: gli eventuali servizi erogati, le
caratteristiche di fruizione, precisando i motivi della scelta di una strategia di
valorizzazione rispetto all’altra in termini di migliore risposta alle esigenze dei
cittadini e dell’ambiente esterno di riferimento
- la descrizione dei punti di forza dell’operazione che consentano di presidiare i
fattori critici di successo in modo migliore rispetto alle altre alternative
- i tempi e i modi mediante i quali si potrà essere in grado di disporre delle
necessarie risorse finanziarie, umane e organizzative
- la descrizione dei traguardi economici, politici e sociali che si intendono
raggiungere
É opportuno tuttavia precisare che non esiste una struttura standard di Business
Plan che vada bene per tutti i casi che potrebbero presentarsi e che soprattutto
ciascun ente locale lo redigerà secondo i propri obiettivi e nel rispetto della propria
identità.. Essendo ogni progetto diverso l’uno dall’altro, il BP ha bisogno di una
struttura personalizzata all’interno della quale le diverse parti riscontrabili sono più o
meno approfondite. Pur con l’indicata avvertenza, nelle pagine seguenti si riporta la
tipica struttura del BP con riferimento ad una operazione immobiliare che può essere
utilizzata come base di lavoro.
Struttura del Business Plan
70
Si illustrano qui di seguito le sette sezioni di cui il BP si compone.
1. L’executive summary
E’ una versione sintetica del Business Plan che riporta i caratteri salienti della
proposta di valorizzazione in grado di suscitare l’interesse dei potenziali destinatari.
Tale sezione, quindi, assumerà particolare importanza del caso di necessità di puntare
sul finanziamento esterno.
2. La descrizione della proprietà immobiliare
E’ una ricognizione tecnica del bene in oggetto con particolare riguardo ai
seguenti punti:
- location e presenza di vincoli architettonici e urbanistici
- stato attuale del bene (riguarderà non solo le caratteristiche fisiche del bene,
ma anche la presenza di eventuali vincoli normativi quali, ad esempio, limitazioni
nella destinazione d’uso)
- inquadramento del bene all’interno del Piano regolatore e delle varianti
urbanistiche.
Già in questa fase si trovano le prime giustificazioni della scelta tra un tipo di
proprietà e l’altra, cosi come nella scelta della modalità di gestione. Se infatti sul
bene grava una limitazione della destinazione d’uso questa potrebbe essere non
commercialmente rilevante e portare l’ente locale a mantenere la gestione, dando
però avvio ad un necessario ad un processo di efficientamento.
71
3. L’analisi del mercato
Un’attenta analisi del mercato riguardare almeno i seguenti punti:
- le caratteristiche macro-economiche del mercato di riferimento
- la pianificazione territoriale dell’ente
- il progetto di sviluppo del bene immobile
- l’analisi delle proprietà immobiliari adiacenti e comparabili (per dimensione,
destinazione d’uso, ubicazione e tipologia);
In particolare, è in questa fase che, nei casi di vendita, locazione, concessione
di diritti reali, altre forme di gestione esterna, l’ente locale dovrà procedere all’analisi
dell’evoluzione dei prezzi, fondamentale per un quadro di sintesi del mercato, e del
possibile inserimento di un nuovo complesso in un determinato contesto territoriale.
4. Il progetto di sviluppo
E’ il punto centrale del Business Plan. Esso deve riguardare:
- la mission dell’operazione: con particolare attenzione dell’ente locale alle
motivazioni di carattere sociale, come già osservato in precedenza
72
- la struttura dell’operazione e, in caso di operazioni ibride (ad esempio: PPP),
la divisione dei ruoli tra soggetto pubblico e soggetto privato, con particolare
riferimento alla destinazione d’uso e agli interventi modificativi del bene stesso
- i tempi di intervento e di realizzazione complessivi dell’operazione.
In tale fase dovranno essere presi in considerazione i rischi dell’operazione,
con particolare riferimento ad eventuali impedimenti normativi e procedurali tali da
determinare uno slittamento temporale della realizzazione e che, in alcuni casi
potrebbero anche ribaltare la convenienza economica del progetto.
5. La stima dell’investimento
Questa stima dovrà riportare tutti i costi necessari alla realizzazione
dell’operazione: costi di manutenzione ordinaria e straordinaria, costi per eventuali
interventi migliorativi del bene, ecc. E’ chiaro che il peso di tali costi varierà per
l’ente locale a seconda della natura della gestione del bene. Così, per esempio,
nell’ipotesi della locazione dell’immobile, l’ente provvederà a determinare il canone
anche tenendo conto di un’attenta ricognizione degli oneri di manutenzione
straordinaria che dovrà sostenere per tutta la durata del contratto e che potrebbero
pregiudicare il risultato economico complessivo dell’operazione.
73
6. L’organizzazione
In questa sezione del BP si descrivono le fattispecie di gestione
dell’operazione di valorizzazione del bene con particolare attenzione al ruolo dei dei
soggetti coinvolti. In particolare, nei casi di Project Financing e di Partnership
Pubblico Privato saranno individuati con precisione i ruoli e gli ambiti di
responsabilità sia del soggetto pubblico che del soggetto privato.
7. Il Piano Economico e Finanziario
Contiene l’analisi economica e finanziaria dell’operazione rivolta soprattutto a
determinare il rendimento della medesima. Il Piano può essere, pertanto, definito
come la rappresentazione quantitativa di ciascuna delle fasi precedenti.
Il Piano economico-finanziario si compone delle seguenti parti:
- Previsioni
- Stato patrimoniale e Conto economico prospettico
- Analisi dei flussi di cassa
- Indici di rendimento
- Analisi di sensitività
Le previsioni possono essere sia a carattere generale, e riguardare l’andamento
macroeconomico in termini di tassi di interesse e di inflazione del mercato, oppure
specifico - finanziare, e riguardare, ad esempio, ricavi e costi connessi a ciascuna
operazione.
Di seguito si riporta lo schema logico che l’ente locale dovrebbe seguire nella
loro formulazione.
74
Sulla base di tali ipotesi si costruiranno i vari piani prospettici ed è perciò
necessario che le previsioni siano realistiche al fine di non compromettere il buon
esito dell’intera operazione.
Con l’analisi di sensitività, si individuano e si quantificano i rischi legati al
progetto. Tale analisi è molto importante per l’ente locale se si considera che sono in
gioco i diritti e gli interessi dei cittadini. Sia l’ente che il soggetto terzo non possono
comunque ignorare gli eventuali ostacoli, per lo più di tipo normativo e procedurale,
che potrebbero causare la variazione di alcuni parametri critici per il successo
dell’operazione e modificarne il beneficio fino ad annullarlo (si pensi, ad esempio,
alla variazione di un canone di locazione legato a determinati parametri oppure dei
tassi di interesse sul debito).
Di seguito si riporta un quadro sinottico dei possibili rischi e dei conseguenti
effetti sull’operazione di valorizzazione del bene.
75
In conclusione, l’elaborazione del Business Plan secondo lo schema suggerito
appare complessa, ma in sostanza si è cercato di descrivere un percorso logico e
metodologico che gli enti locali potranno seguire, anche in parte, per valutare meglio
le diverse possibilità di valorizzazione dei beni immobili dello Stato trasferiti e, ancor
prima, per assumere una decisone più ragionata sulla conferma o meno della richiesta
di attribuzione dei beni medesimi. Lo stesso percorso infine potrà essere seguito
anche per la valorizzazione di tutti i beni appartenenti al patrimonio disponibile
dell’ente.
======================
76
APPENDICE
Allegato A - Decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 “Attribuzione a comuni,
province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio in
attuazione dell’articolo19 della legge 5 maggio 2009, n.42”
rielaborato nel testo vigente
Allegato B - Articolo 56 –bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, convertito
con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n.98 “Disposizioni
urgenti per il rilancio dell’economia”
Allegato C - Domanda di attribuzione a titolo non oneroso dei beni di proprietà
dello Stato
Allegato D - Procedura di accesso informatico alle operazioni concernenti il
trasferimento dei beni immobili dello Stato ai sensi dell’articolo 56 –
bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con
modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 recante “Disposizioni
urgenti per il rilancio dell’economia”
Allegato E - Fac simile del parere dell’Agenzia del demanio
Allegato F – Sintesi della tempistica di attuazione dell’articolo 56- bis del
‘Decreto del Fare’
77
ALLEGATO A
TESTO VIGENTE DEL DECRETO LEGISLATIVO 28 maggio 2010 , n. 85
“Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio
patrimonio, in attuazione dell’articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42”. (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 134 dell’11 giugno 2010)
Art. 1.
Oggetto
1. Nel rispetto della Costituzione, con le disposizioni del presente decreto legislativo e con uno o
più decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei Ministri sono individuati i beni statali che
possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
2. Gli enti territoriali cui sono attribuiti i beni sono tenuti a garantirne la massima valorizzazione
funzionale.
Art. 2.
Parametri per l’attribuzione del patrimonio
1. Lo Stato, previa intesa conclusa in sede di Conferenza Unificata, individua i beni da attribuire a
titolo non oneroso a: Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, secondo criteri di
territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con
competenze e funzioni, nonché valorizzazione ambientale, in base a quanto previsto dall’articolo 3.
2. Gli enti locali in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’articolo 244 del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, fino a quando
perdura lo stato di dissesto, non possono alienare i beni ad essi attribuiti, che possono essere
utilizzati solo per finalità di carattere istituzionale.
3. In applicazione del principio di sussidiarietà, nei casi previsti dall’articolo 3, qualora un bene
non sia attribuito a un ente territoriale di un determinato livello di governo, lo Stato procede, sulla
base delle domande avanzate, all’attribuzione del medesimo bene a un ente territoriale di un diverso
livello di governo.
4. L’ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell’interesse della collettività
rappresentata ed è tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale
del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività territoriale
rappresentata. Ciascun ente assicura l’informazione della collettività circa
il processo di valorizzazione, anche tramite divulgazione sul proprio sito internet istituzionale.
Ciascun ente può indire forme di consultazione popolare, anche in forma telematica, in base alle
norme dei rispettivi Statuti.
5. I beni statali sono attribuiti, a titolo non oneroso, a Comuni, Province, Città metropolitane e
Regioni, anche in quote indivise, sulla base dei seguenti criteri:
a) sussidiarietà, adeguatezza e territorialità. In applicazione di tali criteri, i beni sono
attribuiti, considerando il loro radicamento sul territorio, ai Comuni, salvo che
per l’entità o tipologia del singolo bene o del gruppo di beni, esigenze di carattere unitario
richiedano l’attribuzione a Province, Città metropolitane o Regioni quali livelli di governo
maggiormente idonei a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione tenendo conto del
rapporto che deve esistere tra beni trasferiti e funzioni di ciascun livello istituzionale;
b) semplificazione. In applicazione di tale criterio, i beni possono essere inseriti dalle
Regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione secondo le procedure di cui
all’articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge
78
6 agosto 2008, n. 133. A tal fine, per assicurare la massima valorizzazione dei beni trasferiti, la
deliberazione da parte dell’ente territoriale di approvazione del piano delle alienazioni e
valorizzazioni è trasmessa ad un’apposita Conferenza di servizi, che opera ai sensi degli articoli 14,
14-bis, 14-ter e 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, a cui
partecipano il Comune, la Provincia, la Città metropolitana e la Regione interessati, volta ad
acquisire le autorizzazioni, gli assensi e le approvazioni comunque denominati necessari alla
variazione di destinazione urbanistica. Sono fatte salve le procedure e le determinazioni adottate da
organismi istituiti da leggi regionali, con le modalità ivi stabilite. La determinazione finale della
Conferenza di servizi costituisce provvedimento unico di autorizzazione delle varianti allo
strumento urbanistico generale e ne fissa i limiti e i vincoli;
c) capacità finanziaria, intesa come idoneità finanziaria necessaria a soddisfare le esigenze di
tutela, gestione e valorizzazione dei beni;
d) correlazione con competenze e funzioni, intesa come connessione tra le competenze e le
funzioni effettivamente svolte o esercitate dall’ente cui è attribuito il
bene e le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene stesso;
e) valorizzazione ambientale. In applicazione di tale criterio la valorizzazione del bene è
realizzata avendo riguardo alle caratteristiche fisiche, morfologiche, ambientali, paesaggistiche,
culturali e sociali dei beni trasferiti, al fine di assicurare lo sviluppo del territorio e la salvaguardia
dei valori ambientali.
Art. 3.
Attribuzione e trasferimento dei beni
1. Ferme restando le funzioni amministrative già conferite agli enti territoriali in base alla
normativa vigente, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo,
con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia, adottati
entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo:
a) sono trasferiti alle Regioni, unitamente alle relative pertinenze, i beni del demanio
marittimo di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a) ed i beni del demanio idrico di cui all’articolo 5,
comma 1, lettera b,, salvo quanto previsto dalla lettera b) del presente comma;
b) sono trasferiti alle Province, unitamente alle relative pertinenze, i beni del demanio idrico
di cui all’articolo 5, comma 1, lettera b) , limitatamente ai laghi chiusi privi di emissari di superficie
che insistono sul territorio di una sola Provincia, e le miniere di cui all’articolo 5, comma 1, lettera
d),, che non comprendono i giacimenti petroliferi e di gas e le relative pertinenze nonché i siti di
stoccaggio di gas naturale e le relative pertinenze.
2. Una quota dei proventi dei canoni ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico trasferito ai
sensi della lettera a) del comma 1, tenendo conto dell’entità delle risorse idriche che insistono sul
territorio della Provincia e delle funzioni amministrative esercitate dalla medesima, è destinata da
ciascuna Regione alle Province, sulla base di una intesa conclusa fra la Regione e le singole
Province sul cui territorio insistono i medesimi beni del demanio idrico. Decorso un anno dalla data
di entrata in vigore del presente decreto senza che sia stata conclusa la predetta intesa, il Governo
determina, tenendo conto dei medesimi criteri, la quota da destinare alle singole Province,
attraverso l’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
[ 3. Salvo quanto previsto dai commi 1 e 2, i beni sono individuati ai fini dell’attribuzione ad uno o
più enti appartenenti ad uno o più livelli di governo territoriale mediante l’inserimento in appositi
elenchi contenuti in uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri adottati entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, previa intesa
sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro
79
per le riforme per il federalismo, con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri
Ministri competenti per materia, sulla base delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 del presente
decreto legislativo. I beni possono essere individuati singolarmente o per gruppi. Gli elenchi sono
corredati da adeguati elementi informativi, anche relativi allo stato giuridico, alla consistenza, al
valore del bene, alle entrate corrispondenti e ai relativi costi di gestione e acquistano efficacia
dalla data della pubblicazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri nella Gazzetta
Ufficiale. ]2
[4. Sulla base dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 3, le Regioni e
gli enti locali che intendono acquisire i beni contenuti negli elenchi di cui al comma 3 presentano,
entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
dei citati decreti, un’apposita domanda di attribuzione all’Agenzia del demanio. Le specifiche
finalità e modalità di utilizzazione del bene, la relativa tempistica ed economicità nonché la
destinazione del bene medesimo sono contenute in una relazione allegata alla domanda,
sottoscritta dal rappresentante legale dell’ente. Per i beni che negli elenchi di cui al comma 3 sono
individuati in gruppi, la domanda di attribuzione deve riferirsi a tutti i beni compresi in ciascun
gruppo e la relazione deve indicare le finalità e le modalità prevalenti di utilizzazione. Sulla base
delle richieste di assegnazione pervenute è adottato, entro i successivi sessanta giorni, su proposta
del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Regioni e gli enti locali interessati, un
ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, riguardante l’attribuzione dei beni, che
produce effetti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che costituisce titolo per la
trascrizione e per la voltura catastale dei beni a favore di ciascuna Regione o ciascun ente locale.]
[5. Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati
nella relazione di cui al comma 4, il Governo esercita il potere sostitutivo di cui all’articolo 8 della
legge 5 giugno 2003, n. 131, ai fini di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche
attraverso il conferimento al patrimonio vincolato di cui al comma 6.]3
[6. I beni per i quali non è stata presentata la domanda di cui al comma 4 del presente articolo
ovvero al comma 3 dell’articolo 2, confluiscono, in base ad un decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri adottato con la procedura di cui al comma 3, in un patrimonio vincolato affidato
all’Agenzia del demanio o all’amministrazione che ne cura la gestione, che provvede alla
valorizzazione e alienazione degli stessi beni, d’intesa con le Regioni e gli Enti locali interessati,
sulla base di appositi accordi di programma o protocolli di intesa. Decorsi trentasei mesi dalla
data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di inserimento nel patrimonio vincolato, i
beni
per i quali non si è proceduto alla stipula degli accordi di programma ovvero dei protocolli
d’intesa rientrano nella piena disponibilità dello Stato e possono essere comunque attribuiti con i
decreti di cui all’articolo 7.]4
2 Comma non compatibile con l’articolo 56- bis del decreto-legge 21.6.2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla
legge 9.8.2013, n.98 che stabilisce una diversa procedura. (V. capitolo 2 del testo).
3 Comma non compatibile con l’articolo 56- bis del decreto-legge 21.6.2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla
legge 9.8.2013, n.98, e in particolare con il comma 5 dell’articolo medesimo laddove prevede che “… trascorsi tre anni
dal trasferimento, qualora all’esito di apposito monitoraggio effettuato dall’Agenzia del demanio l’ente territoriale non
risulti utilizzare i beni trasferiti , gli stessi rientrino nella proprietà dello Stato, che ne assicura la migliore utilizzazione”.
4 L’articolo 56-bis nulla dispone in ordine ai beni per i quali non sia stata presentata domanda di attribuzione e pertanto
il comma 6 in esame può ritenersi parzialmente applicabile fermi restando gli adeguamenti di carattere procedurale.
80
Art. 4.
Status dei beni
1. I beni, trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, salvo quanto previsto
dall’articolo 111 del codice di procedura civile, entrano a far parte del patrimonio disponibile dei
Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni, ad eccezione di quelli
appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, che restano assoggettati al regime stabilito
dal codice civile, nonché alla disciplina di tutela e salvaguardia dettata dal medesimo codice, dal
codice della navigazione, dalle leggi regionali e statali e dalle norme comunitarie di settore, con
particolare riguardo a quelle di tutela della concorrenza. Ove ne ricorrano i presupposti, il decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri di attribuzione di beni demaniali diversi da quelli
appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, può disporre motivatamente il
mantenimento dei beni stessi nel demanio o l’inclusione nel patrimonio indisponibile. Per i beni
trasferiti che restano assoggettati al regime dei beni demaniali aisensi del presente articolo,
l’eventuale passaggio al patrimonio è dichiarato dall’amministrazione dello Stato ai sensi
dell’articolo 829, primo comma, del codice civile. Sui predetti beni non possono essere costituiti
diritti di superficie.5
2. Il trasferimento dei beni ha effetto dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei
decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’articolo 3, commi 1 e 4, quarto periodo.
Il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale
immissione di ciascuna Regione ed ente locale nel possesso giuridico e subentro in tutti i rapporti
attivi e passivi relativi ai beni trasferiti, fermi restando i limiti derivanti dai vincoli storici, artistici e
ambientali. 6
3. I beni trasferiti in attuazione del presente decreto che entrano a far parte del patrimonio
disponibile dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni possono essere
alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo
strumento urbanistico, e a seguito di attestazione di congruità rilasciata, entro il termine di trenta
giorni dalla relativa richiesta, da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio,
secondo le rispettive competenze.
Art. 5.
Tipologie dei beni
1. I beni immobili statali e i beni mobili statali in essi eventualmente presenti che ne costituiscono
arredo o che sono posti al loro servizio che, a titolo non oneroso, sono trasferiti ai sensi dell’articolo
3 a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni sono i seguenti:
a) i beni appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze, come definiti dall’articolo
822 del codice civile e dall’articolo 28 del codice della navigazione, con esclusione di quelli
direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali;
b) i beni appartenenti al demanio idrico e relative pertinenze, nonché le opere idrauliche e di
bonifica di competenza statale, come definiti dagli articoli 822, 942, 945, 946 e 947 del codice
civile e dalle leggi speciali di settore, ad esclusione:
1) dei fiumi di ambito sovraregionale;
5 Il comma 1 può ritenersi in vigore in quanto compatibile con l’articolo 56- bis che reca al comma 6 una disposizione
analoga. Occorre inoltre osservare che l’articolo 56-bis disciplina una nuova procedura di trasferimento dei beni agli
enti territoriali che si riferisce ai beni immobili dello Stato e non a quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e
aeroportuale che sono assoggettati al regime stabilito del codice civile . 6 Il comma 2 si ritiene parzialmente in vigore in quanto compatibile con l’articolo 56-bis che reca al comma 6 una
disposizione analoga. La parte indicata in corsivo è da ritenere abrogata.
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2) dei laghi di ambito sovraregionale per i quali non intervenga un’intesa tra le Regioni
interessate, ferma restando comunque la eventuale disciplina di livello internazionale;
c) gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile
statale e le relative pertinenze, diversi da quelli di interesse nazionale così come definiti
dall’articolo 698 del codice della navigazione;
d) le miniere e le relative pertinenze ubicate su terraferma;
e) gli altri beni immobili dello Stato, ad eccezione di quelli esclusi dal trasferimento.
2. Fatto salvo quanto previsto al comma 4, sono in ogni caso esclusi dal trasferimento: gli
immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato,
anche a ordinamento autonomo, agli enti pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso
governativo e alle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive
modificazioni; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la
normativa di settore; i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla
normativa vigente e dal comma 7 del presente articolo; i beni oggetto di accordi o intese con gli enti
territoriali per la razionalizzazione o la valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari
sottoscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto; le reti di interesse statale, ivi comprese
quelle stradali ed energetiche; le strade ferrate in uso di proprietà dello Stato; sono altresì esclusi dal
trasferimento di cui al presente decreto i parchi nazionali e le riserve naturali statali. I beni immobili
in uso per finalità istituzionali sono inseriti negli elenchi dei beni esclusi dal trasferimento in base a
criteri di economicità e di concreta cura degli interessi pubblici perseguiti.
3. [Le amministrazioni statali e gli altri enti di cui al comma 2 trasmettono, in modo
adeguatamente motivato, ai sensi del medesimo comma 2, alla Agenzia del demanio entro novanta
giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo gli elenchi dei beni immobili
di cui richiedono l’esclusione. L’Agenzia del demanio può chiedere chiarimenti in ordine alle
motivazioni trasmesse, anche nella prospettiva della riduzione degli oneri per locazioni passive a
carico del bilancio dello Stato. Entro il predetto termine anche l’Agenzia del demanio compila
l’elenco di cui al primo periodo. Entro i successivi quarantacinque giorni, previo parere della
Conferenza Unificata, da esprimersi entro il termine di trenta giorni, con provvedimento del
direttore dell’Agenzia l’elenco complessivo dei beni esclusi dal trasferimento è redatto ed è reso
pubblico, a fini notiziali, con l’indicazione delle motivazioni pervenute, sul sito internet
dell’Agenzia. Con il medesimo procedimento, il predetto elenco può essere integrato o modificato.]7
4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze e del Ministro per le riforme per il federalismo, previa intesa sancita
in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, sono individuati e attribuiti i beni immobili comunque in uso al Ministero della difesa che
possono essere trasferiti ai sensi del comma 1, in quanto non ricompresi tra quelli utilizzati per le
funzioni di difesa e sicurezza nazionale, non oggetto delle procedure di cui all’articolo 14 -bis del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, di cui all’articolo 2, comma 628, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e di cui alla legge 23
dicembre 2009, n. 191, nonché non funzionali alla realizzazione dei programmi di riorganizzazione
dello strumento militare finalizzati all’efficace ed efficiente esercizio delle citate funzioni,
attraverso gli specifici strumenti riconosciuti al Ministero della difesa dalla normativa vigente.
5. In sede di prima applicazione del presente decreto legislativo, Nell’ambito di specifici accordi
di valorizzazione e dei conseguenti programmi e piani strategici di sviluppo culturale, definiti ai
sensi e con i contenuti di cui all’articolo 112, comma 4, del codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, lo Stato
provvede, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto presentazione della 7 Il comma 3 può ritenersi non applicabile in quanto non compatibile con la nuova procedura di trasferimento dei beni
disciplinata dall’articolo 56-bis.
82
domanda di trasferimento, al trasferimento alle Regioni e agli altri enti territoriali, ai sensi
dell’articolo 54, comma 3, del citato codice, dei beni e delle cose indicati nei suddetti accordi di
valorizzazione.8
6. Nelle città sedi di porti di rilevanza nazionale possono essere trasferite dall’Agenzia del
demanio al Comune aree già comprese nei porti e non più funzionali all’attività portuale e
suscettibili di programmi pubblici di riqualificazione urbanistica, previa autorizzazione
dell’Autorità portuale, se istituita, o della competente Autorità marittima.
7. Sono in ogni caso esclusi dai beni di cui al comma 1 i beni costituenti la dotazione della
Presidenza della Repubblica, nonché i beni in uso a qualsiasi titolo al Senato della Repubblica, alla
Camera dei Deputati, alla Corte Costituzionale, nonché agli organi di rilevanza costituzionale.
Art. 6.
Valorizzazione dei beni attraverso fondi comuni
di investimento immobiliare 9
1. Al fine di favorire la massima valorizzazione dei beni e promuovere la capacità finanziaria
degli enti territoriali, anche in attuazione del criterio di cui all’articolo 2, comma 5, lettera c) , i beni
trasferiti agli enti territoriali possono, previa loro valorizzazione, attraverso le procedure per
l’approvazione delle varianti allo strumento urbanistico di cui all’articolo 2, comma 5, lettera b) ,
essere conferiti ad uno o più fondi comuni di investimento immobiliare istituiti ai sensi dell’articolo
37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero dell’articolo
14 -bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86. Ciascun bene è conferito, dopo la relativa valorizzazione
attraverso le procedure per l’approvazione delle varianti allo strumento urbanistico, per un valore la
cui congruità è attestata, entro il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta, da parte
dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze.
2. La Cassa depositi e prestiti, secondo le modalità di cui all’articolo 3, comma 4 -bis , del
decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33,
può partecipare ai fondi di cui al comma 1.
3. Agli apporti di beni immobili ai fondi effettuati ai sensi del presente decreto si applicano, in
ogni caso, le agevolazioni di cui ai commi 10 e 11 dell’articolo 14 –bis della legge 25 gennaio 1994,
n. 86.
Art. 7
Decreti biennali di attribuzione
1. A decorrere dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottati
ogni due anni su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro
per le riforme per il federalismo, con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri
competenti per materia, su richiesta di Regioni ed enti locali sulla base delle disposizioni di cui agli
articoli 1, 2, 4 e 5 del presente decreto legislativo, possono essere attribuiti ulteriori beni
eventualmente resisi disponibili per ulteriori trasferimenti.
2. Gli enti territoriali interessati possono individuare e richiedere ulteriori beni non inseriti in
precedenti decreti né in precedenti provvedimenti del direttore dell’Agenzia del demanio. Tali beni
sono trasferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato ai sensi del comma 1.
A tali richieste è allegata una relazione attestante i benefici derivanti alle pubbliche amministrazioni
da una diversa utilizzazione funzionale dei beni o da una loro migliore valorizzazione in sede
locale.
8 Così modificato dall’articolo 27, comma 8 del decreto-legge 6.12.2011, n.201, convertito con modificazioni dalla
legge 22.12.2012, n.214 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità, e il consolidamento dei conti pubblici” 9 Articolo abrogato dall’articolo 33, comma 2 del decreto- legge 6.7.2011, n.98 convertito con modificazioni dalla legge
15.7.2011, n.111”Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”.
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Art. 8.
Utilizzo ottimale di beni pubblici da parte degli enti territoriali
1. Gli enti territoriali, al fine di assicurare la migliore utilizzazione dei beni pubblici per lo
svolgimento delle funzioni pubbliche primarie attribuite, possono procedere a consultazioni tra di
loro e con le amministrazioni periferiche dello Stato, anche all’uopo convocando apposite
Conferenze di servizi coordinate dal Presidente della Giunta regionale o da un suo delegato. Le
risultanze delle consultazioni sono trasmesse al Ministero dell’economia e delle finanze ai fini della
migliore elaborazione delle successive proposte di sua competenza e possono essere richiamate a
sostegno delle richieste avanzate da ciascun ente.
Art. 9.
Disposizioni finali
1. Tutti gli atti, contratti, formalità e altri adempimenti necessari per l’attuazione del presente
decreto sono esenti da ogni diritto e tributo.
2. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro
dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro dell’interno, il Ministro per la semplificazione
normativa, il Ministro per le riforme per il federalismo e il Ministro per i rapporti con le Regioni,
previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, sono determinate le modalità, per ridurre, a decorrere dal primo esercizio
finanziario successivo alla data del trasferimento, le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle Regioni e
agli enti locali contestualmente e in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente alla
adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui agli articoli 3 e 7. 10
3. Alle procedure di spesa relative ai beni trasferiti ai sensi delle disposizioni del presente decreto
non si applicano i vincoli relativi al rispetto del patto di stabilità interno, per un importo
corrispondente alle spese già sostenute dallo Stato per la gestione e la manutenzione dei beni
trasferiti. Tale importo è determinato secondo i criteri e con le modalità individuati con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, da
adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il Ministro
dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio per la
riduzione degli stanziamenti dei capitoli di spesa interessati.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro
dell’economia e delle finanze, in relazione ai trasferimenti dei beni immobili di cui al presente
decreto legislativo, è assicurata la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la
dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni
corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni.
10 Il comma 2, che si riferisce a tutte le ipotesi di trasferimento di beni previste dal decreto legislativo 85/2010, va posto in relazione con il comma 7 dell’articolo 56-bis che, per quanto riguarda il trasferimento dei beni immobili dello Stato, oggetto di disciplina dell’articolo stesso, stabilisce quanto segue : “Con
decreto del Ministro dell'economia e delle finanze le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle regioni e agli enti
locali che acquisiscono in proprietà beni immobili utilizzati a titolo oneroso sono ridotte in misura pari alla
riduzione delle entrate erariali conseguente al trasferimento di cui al comma 1. Qualora non sia possibile
l’integrale recupero delle minori entrate per lo Stato in forza della riduzione delle risorse, si procede al
recupero da parte dell’Agenzia delle entrate a valere sui tributi spettanti all’ente ovvero, se non sufficienti,
mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato da parte dell’ente interessato”.
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5. Le risorse nette derivanti a ciascuna Regione ed ente locale dalla eventuale alienazione degli
immobili del patrimonio disponibile loro attribuito ai sensi del presente decreto nonché quelle
derivanti dalla eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i medesimi beni siano stati
conferiti sono acquisite dall’ente territoriale per un ammontare pari al settantacinque per cento delle
stesse. Le predette risorse sono destinate alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza del
debito o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento. La residua quota
del venticinque per cento è destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto legislativo, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di
concerto con il Ministro dell’interno, il Ministro per i rapporti con le Regioni ed il Ministro per le
riforme per il federalismo, sono definite le modalità di applicazione del presente comma. Ciascuna
Regione o ente locale può procedere all’alienazione di immobili attribuiti ai sensi del presente
decreto legislativo previa attestazione della congruità del valore del bene da parte dell’Agenzia del
demanio o dell’Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze. L’attestazione è resa entro
il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta. 11
6. Nell’attuazione del presente decreto legislativo è comunque assicurato il rispetto di quanto
previsto dall’articolo 28 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
===================
11
L’applicazione delle disposizioni dell’articolo 9, comma 5 è espressamente prevista dall’articolo 56-bis, , comma 10.
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ALLEGATO B
ARTICOLO 56 –BIS
del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, convertito con modificazioni dalla legge
9 agosto 2013, n.98 “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20 agosto 2013 - Suppl. Ordinario n. 63)
Semplificazione delle procedure in materia di trasferimenti di immobili agli enti
Territoriali
1. Il trasferimento in proprietà, a titolo non oneroso, a comuni, province, città metropolitane e
regioni dei beni immobili di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), e comma 4, del decreto
legislativo 28 maggio 2010, n. 85, siti nel rispettivo territorio, è disciplinato dal presente articolo.
Sono esclusi dal trasferimento i beni in uso per finalità dello Stato o per quelle di cui all'articolo 2,
comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, i beni per i quali
siano in corso procedure volte a consentirne l'uso per le medesime finalità, nonché quelli per i quali
siano in corso operazioni di valorizzazione o dismissione di beni immobili ai sensi dell'articolo 33
del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.
111, e successive modificazioni.
2. A decorrere dal 1° settembre 2013, i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni che
intendono acquisire la proprietà dei beni di cui al comma 1 presentano all'Agenzia del demanio,
entro il termine perentorio del 30 novembre 2013, con le modalità tecniche da definire a cura
dell'Agenzia medesima, una richiesta di attribuzione sottoscritta dal rappresentante legale dell'ente,
che identifica il bene, ne specifica le finalità di utilizzo e indica le eventuali risorse finanziarie
preordinate a tale utilizzo. L'Agenzia del demanio, verificata la sussistenza dei presupposti per
l'accoglimento della richiesta, ne comunica l'esito all'ente interessato entro sessanta giorni dalla
ricezione della richiesta. In caso di esito positivo si procede al trasferimento con successivo
provvedimento dell'Agenzia del demanio. In caso di esito negativo, l’Agenzia comunica all’ente
interessato i motivi ostativi all’accoglimento della richiesta. Entro trenta giorni dalla comunicazione
del motivato provvedimento di rigetto, l’ente può presentare una richiesta di riesame del
provvedimento, unitamente ad elementi e documenti idonei a superare i motivi ostativi rappresentati
dall’Agenzia del demanio.
3. Laddove le richieste abbiano ad oggetto immobili assegnati alle amministrazioni pubbliche,
l'Agenzia del demanio interpella le amministrazioni interessate, al fine di acquisire, entro il termine
perentorio di trenta giorni, la conferma della permanenza o meno delle esigenze istituzionali e
indicazioni in ordine alle modalità di futuro utilizzo dell'immobile. Qualora le amministrazioni non
confermino, entro tale termine, la permanenza delle esigenze istituzionali, l'Agenzia, nei successivi
trenta giorni, avvia con le altre amministrazioni la verifica in ordine alla possibilità di inserire il
bene nei piani di razionalizzazione di cui all'articolo 2, commi 222, 222-bis e 222-ter, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni. Qualora detta verifica dia esito negativo e sia
accertato che l'immobile non assolve ad altre esigenze statali, la domanda è accolta e si procede al
trasferimento del bene con successivo provvedimento del Direttore dell'Agenzia del demanio. In
caso di conferma delle esigenze di cui al comma 2 da parte dell'amministrazione usuaria, l'Agenzia
comunica all'ente richiedente i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta.
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4. Qualora per il medesimo immobile pervengano richieste di attribuzione da parte di più livelli di
governo territoriale, il bene è attribuito, in forza dei principi di sussidiarietà e di radicamento sul
territorio, in via prioritaria ai comuni e alle città metropolitane e subordinatamente alle province e
alle regioni. In caso di beni già utilizzati, essi sono prioritariamente trasferiti agli enti utilizzatori.
5. Nei provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 si prevede che, trascorsi tre anni dal trasferimento,
qualora all'esito di apposito monitoraggio effettuato dall'Agenzia del demanio l'ente territoriale non
risulti utilizzare i beni trasferiti, gli stessi rientrino nella proprietà dello Stato, che ne assicura la
migliore utilizzazione.
6. I beni trasferiti, con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del
patrimonio disponibile delle regioni e degli enti locali. Il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e
di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale immissione di ciascun ente territoriale, a decorrere
dalla data di sottoscrizione dell'atto formale di trasferimento del bene di cui ai commi 2 e 3, nel
possesso giuridico e con subentro del medesimo in tutti i rapporti attivi e passivi relativi al bene
trasferito.
7. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle
regioni e agli enti locali che acquisiscono in proprietà beni immobili utilizzati a titolo oneroso sono
ridotte in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente al trasferimento di cui al
comma 1. Qualora non sia possibile l’integrale recupero delle minori entrate per lo Stato in forza
della riduzione delle risorse, si procede al recupero da parte dell’Agenzia delle entrate a valere sui
tributi spettanti all’ente ovvero, se non sufficienti, mediante versamento all’entrata del bilancio
dello Stato da parte dell’ente interessato.
8. Al fine di soddisfare le esigenze allocative delle amministrazioni statali, gli enti territoriali
continuano ad assicurare allo Stato l'uso gratuito di immobili di loro proprietà fino al permanere
delle esigenze medesime.
9. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle
province autonome di Trento e di Bolzano.
10. Alle risorse nette derivanti a ciascun ente territoriale dall'eventuale alienazione degli immobili
trasferiti ai sensi del presente articolo ovvero dall'eventuale cessione di quote di fondi immobiliari
cui i medesimi immobili siano conferiti si applicano le disposizioni dell'articolo 9, comma 5, del
decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85.
11. In considerazione dell’eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle esigenze
prioritarie di riduzione del debito pubblico, al fine di contribuire alla stabilizzazione finanziaria e
promuovere iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesione sociale, è altresì destinato al
Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, con le modalità di cui al comma 5 del’art.9 del
decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, il 10% delle risorse nette derivanti dalla alienazione
dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, salvo che una percentuale
uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente. Per la
parte non destinata al fondo per l’ammortamento titoli di Stato, resta fermo quanto disposto dal
comma 443 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
12. Le disposizioni di cui al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, si applicano solo in quanto
compatibili con quanto previsto dal presente articolo.
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13. All'articolo 33, comma 8-ter, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) il quinto periodo è soppresso;
b) al sesto periodo, le parole: “, nonché l'attribuzione agli Enti territoriali delle quote dei
fondi, nel rispetto della ripartizione e per le finalità previste dall'articolo 9 del decreto legislativo 28
maggio 2010, n. 85, limitatamente ai beni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e), sopra richiamato,
derivanti dal conferimento ai predetti fondi immobiliari” sono soppresse.
================
88
ALLEGATO C
DOMANDA DI ATTRIBUZIONE A TITOLO NON ONEROSO DEI BENI DI
PROPRIETA’ DELLO STATO
ai sensi dell’art. 56-bis del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 convertito, in legge, con modificazioni,
dall’ art. 1, comma 1, della legge. 9 agosto 2013, n. 98, pubblicato nella Gazz. Uff. 21 giugno
2013, n. 144, S.O.
Denominazione dell’Ente richiedente: __________________________________
Data: ______________________
Nr. Pratica: xxxxx
Il/La sottoscritto/a _______________________________________________
nato/a il ___________________ a ___________(Prov.) __________
e residente a ______________ (Prov.) ________________________
in qualità di legale rappresentante del_________________________________
Indirizzo dell’Ente richiedente_______________________________________
Codice fiscale Ente___________________Telefono____________________
PEC ___________________________________________________
Fax ______________________________________________________________
Email_____________________________________________________________
CHIEDE
ai sensi dell’art. 56-bis del D.L. 21 giugno 2013 n. 69 l’attribuzione a titolo non oneroso del
bene di proprietà dello Stato sotto individuato, nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, con
tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi esistenti:
Provincia _________ Comune_______ Indirizzo__________
Codice scheda
(opzionale)
Denominazione Foglio ------- Particella Sub.--------
PER DESTINARLO ALLE SEGUENTI FINALITA’:
□ Bene già destinato o da destinare a finalità pubblico-istituzionali ad uso diretto
dell’Ente (sedi istituzionali e di rappresentanza, uffici, etc.);
□ Bene già destinato o da destinare a finalità pubblico-sociali ad uso diretto o
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indiretto della collettività (scuole, musei, biblioteche, parchi, etc.);
□ Bene da valorizzare in ottica di mercato ai fini della messa a reddito o
dell’alienazione, anche mediante il conferimento ai fondi immobiliari,
nell’interesse diretto o indiretto della collettività;
□ Altro
ATTESTA
- di essere edotto che, laddove l’immobile richiesto con la presente domanda risulti
realizzato da oltre settanta anni, lo stesso dovrà essere sottoposto alla verifica dell’interesse
culturale ad opera del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo prima
dell’eventuale trasferimento in proprietà;
- di essere edotto che, ove la verifica di interesse culturale di cui al punto precedente dia esito
positivo, ovvero l’immobile venga dichiarato di interesse culturale, la presente domanda non
potrà essere accolta dall’Agenzia del demanio, e la richiesta di assegnazione dello stesso potrà
avvenire esclusivamente secondo la procedura dettata dall’art. 5, comma 5 del D.Lgs n. 85/2010;
- di essere edotto che, qualora per il bene richiesto pervengano all’Agenzia del demanio richieste
di attribuzione da parte di più livelli di governo territoriale, lo stesso, ove risulti trasferibile, sarà
attribuito, in forza del principio di sussidiarietà e
di radicamento sul territorio, in via prioritaria ai Comuni ed alle Città metropolitane e
subordinatamente alle Province ed alle Regioni, secondo quanto disposto dal comma 4 dell’art.
56-bis del DL 21 giugno 2013 n. 69;
- di essere edotto che, qualora per il bene richiesto pervenga all’Agenzia del demanio richiesta di
attribuzione da parte di altro Ente territoriale che già lo abbia in uso, lo stesso, ove risulti
trasferibile, sarà attribuito all’Ente utilizzatore, secondo quanto disposto dal comma 4 dell’art.
56-bis del D.L. 21 giugno 2013 n. 69;
- che per dare effettiva attuazione alle disposizioni di cui al richiamato comma 4 dell’art. 56-bis
del D.L. 21 giugno 2013 n. 69, l’Agenzia del demanio, al solo fine di poter valutare tutte le
istanze pervenute, dovrà attendere lo scadere dei termini previsti dalla norma per la richiesta di
attribuzione, prima di dare formale comunicazione circa l’avvenuta accettazione della domanda
ovvero del rigetto della stessa;
- di essere edotto che, laddove la domanda di attribuzione venga accolta, trascorsi tre anni dal
trasferimento in proprietà, qualora all’esito di apposito monitoraggio effettuato dall’Agenzia del
demanio l’Ente territoriale non risulti utilizzare il bene, lo stesso rientrerà nella proprietà dello
Stato che ne assicurerà la migliore utilizzazione;
- di essere edotto che a seguito dell’eventuale trasferimento del bene sopra identificato, ove lo
stesso risulti utilizzato a titolo oneroso, le minori entrate erariali
saranno compensate con l’equivalente riduzione, con decreto del Ministero dell’Economia e
delle Finanze, delle risorse statali a qualsiasi titolo spettanti all’Ente, ovvero, qualora tale misura
non fosse sufficiente alla suddetta compensazione, tramite recupero da parte dell’Agenzia delle
Entrate a valere sui tributi spettanti all’Ente, ovvero, se anche questi ultimi si rivelassero
insufficienti, mediante versamento diretto da parte dell’Ente all’entrata del bilancio dello Stato.
DICHIARA INOLTRE CHE
- il bene è utilizzato dall’Ente richiedente;
- il bene è assegnato ad una Amministrazione dello Stato;
- il bene è utilizzato da altro soggetto pubblico o privato;
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- il bene è libero;
- sono previsti interventi di manutenzione ordinaria finalizzati alla conservazione del bene;
- sono previsti interventi di ampliamento e/o manutenzione straordinaria;
- sono previsti interventi volti a riqualificare l’opera e cambiarne la destinazione urbanistica;
- è in possesso delle eventuali risorse finanziarie preordinate all’utilizzo a cui il bene è destinato
(dichiarazione facoltativa)
INDICA
le eventuali risorse finanziarie, preordinate all’utilizzo a cui il bene è destinato,
reperite/da reperire:
____________________________________________________________________
____________________________________________________________________
____________________________________________________________________
ALLEGATI
Eventuali allegati ritenuti necessari alla piena identificazione del bene richiesto ovvero utili per
altre finalità.
Il legale rappresentante dell’Ente (Timbro e firma)
………………………………………
Referente tecnico della richiesta:____________________________
Tel : ______________________
Email:_______________________________
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ALLEGATO D
Procedura di accesso informatico alle operazioni concernenti il trasferimento dei
beni immobili dello Stato ai sensi dell’articolo 56 – bis del decreto-legge 21
giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98
recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”
E’ indispensabile autorizzare l’utente
utilizzando la funzione “gestione utenti”prima di accedere con password
Loggarsi alla schermata “gestione utenti”
utilizzando le password già in possesso dell’Ente
Accedere all’ambiente federalismo demaniale e autorizzare la “Gestione delle Domande di
attribuzione dei Beni Disponibili dello Stato”
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E’ possibile richiedere un bene anche se non è in elenco.
Occorre solo conoscere toponomastica e riferimenti catastali
E’ possibile consultare l’elenco e scaricarlo in PDF
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Prima di poter richiedere un bene occorre compilare l’anagrafica del rappresentante legale.
Dalla lista dei beni si procede alla compilazione della richiesta
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ALLEGATO E
FAC SIMILE DEL PARERE DELL’AGENZIA DEL DEMANIO
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