Porto di Livorno: Vasca di Colmata/2

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Dal Tirreno del 2 aprile 2014

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di Mauro Zucchelli◗ LIVORNO

Rischia di fermarsi a metà stra-da la soluzione che l’Authorityha in mente per rimediare alguaio della prima vasca di col-mata che all’esterno della Dar-sena Toscana è una pappettadi fango mai indurito, sotto iquasi 40 ettari di crosta super-ficiale (grande cioè come 51volte il campo di calcio dell'Ar-mando Picchi). Il motivo? Nonè così facile andare a piantarein profondità nel sottosuolouna sfilza di pali che reggano ilfuturo piazzale destinato a di-ventare il tassello-chiave dell’espansione a mare del porto (ilnuovo terminal contenitoridella Darsena Europa).

Non è una metodologia par-ticolarmente complessa: è uti-lizzata là dove, ad esempio,vengono costruiti aree indu-striali o infrastrutturali su ter-reni ex agricoli o comunquedeboli dal punto di vista geolo-gico. Come all'interporto diGuasticce, come l'area per in-sediamento produttivi in zonaIkea.

ALLARADICEDEI GUAIE allora il problema, dov'è?

Perché potrebbe rischiare di ri-manere a metà strada? Per unmotivo semplice: ciascun palo– spiega un alto funzionarioche si è occupato direttamen-te di questa pratica targata Li-vorno – ovviamente non po-trebbe che forare la guaina im-permeabilizzante adagiata sulfondo della “vasca”.

Proprio il ciclone giudiziariosulla vasca di colmata nell'estate 2010 (e finito con l'archi-viazione chiesta dallo stessopm 18 mesi più tardi) ha porta-to a chiarire che i fanghi draga-ti dai fondali e poi buttati den-tro la “vasca” non sono qualifi-cabili come rifiuti: è per que-sto che saltò l'imputazione diaver creato una maxi-discari-ca abusiva seppur con tutti itimbri ministeriali.

Dentro le melme ci sono ma-teriali inquinati sì ma al di sot-to della concentrazione che, inbase alla normativa, li fa cata-logare come rifiuto. Però restail fatto che una infrastrutturadel genere ha bisogno di unaautorizzazione ministerialecon tanto di rigide prescrizio-ni. Inutile aggiungere che fini-rebbe probabilmente nei guai– e magari anche nel mirinodella magistratura – chi tra-sgredisse una prescrizioneesplicita come l’impermeabi-lizzazione del fondo fatta se-condo certi requisiti specifici.Con garanzie supplementariche impedissero ogni e qualsi-asi rischio di veder qualcosa fil-trare verso il mare.

L’AUTORIZZAZIONE-BISL’unica via d’uscita? Secon-

do una fonte confidenziale diprima mano, non può che es-sere una autorizzazione-bis daparte del ministero per modifi-care il progetto iniziale («e ma-gari prevedendo pali con un“collarino” che chiuda attornoal buco»). Con un problemino:ve l’immaginate la cautelosis-sima burocrazia ministerialeassumersi la (rischiosa) re-sponsabilità di dare l’ok a unaoperazione del genere? Ancheperché è tutt’altro che remotoil pericolo di finire in guai giu-diziari: a Livorno non c’è statasolo l’inchiesta sulla “vasca”considerata una discarica maanche il sequestro di due ettaridella “vasca” perché un testera risultato fuori regola per-ché gli idrocarburi superava-no i limiti.

Giocano però a favore un pa-io di elementi. L'uno: Livornoè l’apripista nell’uso delle“vasche di colmata” per acco-gliere i fanghi dei dragaggi por-tuali, ma poi anche altri porti

hanno dovuto seguire questaprassi, e dunque il problemaassumerà presto rilevanza na-zionale. L’altro: con il trasferi-mento delle competenze dal“Sin” (nazionale) al “Sir” (re-gionale) potrebbe esserciun’attenzione meno burocrfa-tica alle esigenze dei territori.Solo che finora questo passag-gio annunciatissimo è rimastoin fondo al cassetto.

È un milione e mezzo di me-tri cubi di fanghi sversati all’in-

terno di quell’argine: serve astrappare al mare quasi 40 et-tari di piazzali in più. Fonda-mentali per costruirvi la futuraDarsena Europa che sarà il“cuore” del porto a misura del-le mega-navi di ultimissimagenerazione.

NONDISOLIRINVIINon stiamo parlando di do-

mani o dopodomani: anche sei progettisti del Prg portualestanno rimodulando il piano

dei costi, si tratta di un pac-chetto di investimenti da 1,37miliardi di euro, quasi la metàdei quali (608,5 milioni) per lasola prima fase. Ma guai a cam-pare di rinvii pensando solo adomattina.

Non lo possiamo fare nean-che per l’allargamento del ca-nale d’accesso alla DarsenaToscana. Già qualcosa è statofatto, ma per riuscirci davveroe portarlo a una ampiezza di120 metri (anche sul fondo) bi-

sogna spostare i tubi della raffi-neria Eni.

Due settimane fa è stato ag-giudicato l’appalto da 5 milio-ni di euro per realizzare a 22metri di profondità il micro-tunnel che li ospiterà. Lavoripronti a maggio del prossimoanno, promette l’Authority.

Ma non crediate che a quel-la data sarà tutto risolto: è unpo’ quel che ha detto su questecolonne un osservatore atten-to come Angelo Roma, ex portcaptain di Zim, prevedendoche sarà difficile dare soluzio-ne a questa strozzatura infra-strutturale prima degli inizidel 2016. In effetti, dopo la co-struzione del microtunnelspetterà all’Eni prima realizza-re le nuove condutture allog-giandole nel microtunnel, poidisattivare quelle vecchie e ri-muoverle. Tutto pronto, aquanto è dato sapere, «fra 30 o36 mesi». Cioè addirittura a fi-ne 2016, ben che vada.

Ma intanto è già qualcosaaver ottenuto l’ok all’ingressonotturno (finora vietato) e il ta-glio concordato (praticamen-te il 20%) delle tariffe dei servi-zi tecnico-nautici a partire dairimorchiatori . E comunque,se non si inizia mai è chiaroche non si arriverà mai...

©RIPRODUZIONERISERVATA

L’Ispra, il braccio operativodel ministero dell’ambiente,tiene d’occhio da anni quel cheaccade all’esterno della vascadi colmata per verificare sedall’argine – largo 25 metri al-la base e 15 metri in testa – fil-trano elementi inquinanti inmare. Come indicatori dellostato di salute del mare vengo-no utilizzati organismi anima-li, inclusi talvolta ricci di ma-re. È capitato – lo riferisce unafonte degna di fede – che l’é-quipe abbia ritrovato svuota-ta la postazione dove eranostati collocati i ricci: probabileche siano finiti in tavola per unmenù di mare. A quanto è datosapere, i tecnici dell’Authoritypuntano sull’analisi diffusio-nale per provare che l’argineoffre garanzie sufficienti e laprobabilità di veder finire inmare gli inquinanti è al di sot-to della soglia di accettabilità.Del resto, a Rotterdam i fanghidi escavo finiscono in una va-sca da 25 milioni di metri cubiche non ha impermeabilizza-zione sul fondo: e intanto l’e-scavo è una funzione continuadella manutenzione del porto.

◗ LIVORNO

C’è un tempo per rimettere inpiedi un po’ tutti quanti e c’èun tempo per selezionare i sog-getti. È nel segno del testo bibli-co di Qoelet la conferenza cheallo Yacht Club, sotto le inse-gne del Propeller guidato da Ci-no Milani, viene officiata da Ne-reo Marcucci, presidente nazio-nale di Confetra (imprese di tra-sporto).

E quando parla lui, che è sta-to anche il numero uno dell’Au-thority livornese (fino al 2003),si può star certi che saltino po-stulati, teoremi e luoghi comu-ni. A cominciare dal fatto che ilsistema portuale italiano abbiasofferto di una mancanza di in-vestimenti. Due flash: 1) fra sol-di pubblici, canoni demaniali ealtro dal 2005 al 2012 «sono sta-ti messi in circuito i 6 miliardidi euro che avevamo ritenutonecessari»; 2) è uno standard disoldi pubblici che dal 2009 inpoi risulta stabilmente al di so-pra di 1,45 euro per tonnellatamovimentata, mentre negli an-ni precedenti era sempre al disotto.

Kaputt anche l’idea che i por-ti italiani non sia in grado di ri-cevere le nuove navi-kolossal:otto fra i principali porti garan-tiscono pescaggi oltre i 13 me-tri.

Ma allora il male oscuro del-la portualità dove sta? Nei “colli

di bottiglia”: le strozzature chemandano in tilt la competitivi-tà del sistema. E qui Marcuccimette sul banco degli imputatisoprattutto due elementi: daun lato, gli standard di serviziodei cargo ferroviari («sceso del40% fra il 2008 e il 2012»);dall’altro, l’ipertrofia burocrati-ca (i 19 giorni dio tempo medioper l’export e i 17 per l’importsono lontani anni luce da quelche accade nei maggiori Paesieuropei).

Ma è soprattutto un altroaspetto che Marcucci mette sul-la graticola: riguarda la manca-

ta selezione dei porti sui qualil’Italia avrebbe dovuto punta-re. Se i primi dieci anni dalla ri-forma portuale del ’94 sono sta-ti quelli per rimettere in carreg-giata i vari porti con una inie-zione diffusa di ammoderna-menti infrastrutturali, – è la tesidi Marcucci – dalla metà del de-cennio scorso il Paese avrebbedovuto scegliere su quali portipuntare. Invece i grafici metto-no il dito nella piaga nella man-cata concentrazione dei trafficie nella frammentazione degliinterventi.

È proprio questo ad averenella pancia i guai che Marcuc-ci intravede per il futuro prossi-mo venturo per «la mancanzadi una regia nazionale»: un pro-gettificio di infrastrutture cheamplierà a dismisura l’offertadi terminal illudendosi di attira-re traffici. Il presidente di Con-fetra non fa mistero di ritenerloqualcosa di più di un boome-rang: un suicidio collettivo. Par-la un dato: il pacchetto di pro-getti in ballo “vale” complessi-vamente 30 milioni di teu nel2025. Ma se oggi, transhipmentescluso, l’insieme di tutti i traf-fici contenitori in Italia non vamolto oltre i 5 milioni, significache in dieci anni si sestupliche-rebbe la capacità. Ma siccomel’incremento dei traffici è in ge-nere attorno al doppio dellacrescita del Pil, vuol dire che oabbiamo compiuto un gigante-

sco sbaglio nelle previsioni sulPil o quei progetti infrastruttu-rali sono colossalmente sovra-dimensionati.

Marcucci ce la mette tuttaper evitare un discorso troppolivornese. Ma la tentazione èforte. Come quando segnala iguai di una concorrenza trop-po fra una banchina e l’altra epoco con gli altri porti. E giùuna stilettata: «Qui non si è sa-puto dire no a nessuno». Tra-dotto: la moltiplicazione delleconcessioni ha innescato unaguerra ai ribassi tariffari che fascendere del 30% il fatturatodelle imprese a parità di traffi-ci, figuriamoci se poi calano.

C’è da mettere poi nel contol’incubo dell’effetto che avrà suLivorno la scelta di puntare al-trove da parte delle due allean-ze-monstre (P3 e giganti asiati-ci), lui aggiunge ilo carico daundici segnalando che i me-ga-porti del Nord Europa (che«già adesso hanno in pugno da400mila a un milione di teu ditraffico verso l’Italia») allarghe-ranno il loro bacino di riferi-mento fino al Nord Italia, calan-do a far «concorrenza spietatasul nostro stesso mercato na-zionale» mentre, al contrario,sarebbero gli operatori ad«aver bisogno di sfondare labarriera delle Alpi per cresce-re».

Mauro Zucchelli©RIPRODUZIONE RISERVATA

La soluzione resta al paloGuai a forare la “vasca”L’autorizzazione del ministero impone la guaina impermeabilizzante sul fondo,impossibile bucarla per costruire la “palafitta” che deve reggere l’infrastruttura

Una zona della prima vasca di colmata (foto Laura Lezza)

Finiscono nel menùi ricci di mareanti-inquinamento

La Cgil spieghi perché «il nostroesposto contro lo straordinarioselvaggio, oltre i limiti consentitidal contratto, ha un effettoboomerang visto che non lo spie-ga». Claudio Galatolo e MassimoLomi, dirigenti Unicobas, repli-cano così alla Filt Cgil: dito pun-tato sul «rispetto delle 11 ore diriposo tra un turno e il successi-vo» a tutela di «sicurezza e inco-lumità» dei lavoratori. Unicobasdice di aver «messo il dito sullapiaga» mentre «la Cgil si sente incolpa per non aver fatto nientefinora e esser quindi correspon-sabile del mancato rispetto delleregole in porto». Galatolo e Lomisanno che «nel porto i picchi dilavoro sono diminuiti», colpa della crisi e dell'«inefficienza im-prenditoriale livornese», ma «cisono comunque: in questa pre-caria situazione è fondamentaleil rispetto delle regole» perché «ilavoratori non devono rubarsi illavoro tra loro». Unicobas affer-ma che continuerà «a chiederemaggiori controlli all'Ispettoratodel lavoro ed all'Authority», vi-sto che «non lo fa nessun sinda-cato». I due sindacalisti di basedivendicano di non aver «nessu-na “clientela” da salvaguardare,noi tuteliamo tutti i lavoratori a360˚»: l'Unicobas – sottolinea-no – è «un sindacato di baseapartitico che non deve niente anessuno e lavora solo e soltantoa beneficio dei lavoratori».

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