Porto di Livorno: Vasca di Colmata/2

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di Mauro Zucchelli LIVORNO Rischia di fermarsi a metà stra- da la soluzione che l’Authority ha in mente per rimediare al guaio della prima vasca di col- mata che all’esterno della Dar- sena Toscana è una pappetta di fango mai indurito, sotto i quasi 40 ettari di crosta super- ficiale (grande cioè come 51 volte il campo di calcio dell'Ar- mando Picchi). Il motivo? Non è così facile andare a piantare in profondità nel sottosuolo una sfilza di pali che reggano il futuro piazzale destinato a di- ventare il tassello-chiave dell’ espansione a mare del porto (il nuovo terminal contenitori della Darsena Europa). Non è una metodologia par- ticolarmente complessa: è uti- lizzata là dove, ad esempio, vengono costruiti aree indu- striali o infrastrutturali su ter- reni ex agricoli o comunque deboli dal punto di vista geolo- gico. Come all'interporto di Guasticce, come l'area per in- sediamento produttivi in zona Ikea. ALLA RADICE DEI GUAI E allora il problema, dov'è? Perché potrebbe rischiare di ri- manere a metà strada? Per un motivo semplice: ciascun palo – spiega un alto funzionario che si è occupato direttamen- te di questa pratica targata Li- vorno – ovviamente non po- trebbe che forare la guaina im- permeabilizzante adagiata sul fondo della “vasca”. Proprio il ciclone giudiziario sulla vasca di colmata nell' estate 2010 (e finito con l'archi- viazione chiesta dallo stesso pm 18 mesi più tardi) ha porta- to a chiarire che i fanghi draga- ti dai fondali e poi buttati den- tro la “vasca” non sono qualifi- cabili come rifiuti: è per que- sto che saltò l'imputazione di aver creato una maxi-discari- ca abusiva seppur con tutti i timbri ministeriali. Dentro le melme ci sono ma- teriali inquinati sì ma al di sot- to della concentrazione che, in base alla normativa, li fa cata- logare come rifiuto. Però resta il fatto che una infrastruttura del genere ha bisogno di una autorizzazione ministeriale con tanto di rigide prescrizio- ni. Inutile aggiungere che fini- rebbe probabilmente nei guai – e magari anche nel mirino della magistratura – chi tra- sgredisse una prescrizione esplicita come l’impermeabi- lizzazione del fondo fatta se- condo certi requisiti specifici. Con garanzie supplementari che impedissero ogni e qualsi- asi rischio di veder qualcosa fil- trare verso il mare. L’AUTORIZZAZIONE-BIS L’unica via d’uscita? Secon- do una fonte confidenziale di prima mano, non può che es- sere una autorizzazione-bis da parte del ministero per modifi- care il progetto iniziale («e ma- gari prevedendo pali con un “collarino” che chiuda attorno al buco»). Con un problemino: ve l’immaginate la cautelosis- sima burocrazia ministeriale assumersi la (rischiosa) re- sponsabilità di dare l’ok a una operazione del genere? Anche perché è tutt’altro che remoto il pericolo di finire in guai giu- diziari: a Livorno non c’è stata solo l’inchiesta sulla “vasca” considerata una discarica ma anche il sequestro di due ettari della “vasca” perché un test era risultato fuori regola per- ché gli idrocarburi superava- no i limiti. Giocano però a favore un pa- io di elementi. L'uno: Livorno è l’apripista nell’uso delle “vasche di colmata” per acco- gliere i fanghi dei dragaggi por- tuali, ma poi anche altri porti hanno dovuto seguire questa prassi, e dunque il problema assumerà presto rilevanza na- zionale. L’altro: con il trasferi- mento delle competenze dal “Sin” (nazionale) al “Sir” (re- gionale) potrebbe esserci un’attenzione meno burocrfa- tica alle esigenze dei territori. Solo che finora questo passag- gio annunciatissimo è rimasto in fondo al cassetto. È un milione e mezzo di me- tri cubi di fanghi sversati all’in- terno di quell’argine: serve a strappare al mare quasi 40 et- tari di piazzali in più. Fonda- mentali per costruirvi la futura Darsena Europa che sarà il “cuore” del porto a misura del- le mega-navi di ultimissima generazione. NON DI SOLI RINVII Non stiamo parlando di do- mani o dopodomani: anche se i progettisti del Prg portuale stanno rimodulando il piano dei costi, si tratta di un pac- chetto di investimenti da 1,37 miliardi di euro, quasi la metà dei quali (608,5 milioni) per la sola prima fase. Ma guai a cam- pare di rinvii pensando solo a domattina. Non lo possiamo fare nean- che per l’allargamento del ca- nale d’accesso alla Darsena Toscana. Già qualcosa è stato fatto, ma per riuscirci davvero e portarlo a una ampiezza di 120 metri (anche sul fondo) bi- sogna spostare i tubi della raffi- neria Eni. Due settimane fa è stato ag- giudicato l’appalto da 5 milio- ni di euro per realizzare a 22 metri di profondità il micro- tunnel che li ospiterà. Lavori pronti a maggio del prossimo anno, promette l’Authority. Ma non crediate che a quel- la data sarà tutto risolto: è un po’ quel che ha detto su queste colonne un osservatore atten- to come Angelo Roma, ex port captain di Zim, prevedendo che sarà difficile dare soluzio- ne a questa strozzatura infra- strutturale prima degli inizi del 2016. In effetti, dopo la co- struzione del microtunnel spetterà all’Eni prima realizza- re le nuove condutture allog- giandole nel microtunnel, poi disattivare quelle vecchie e ri- muoverle. Tutto pronto, a quanto è dato sapere, «fra 30 o 36 mesi». Cioè addirittura a fi- ne 2016, ben che vada. Ma intanto è già qualcosa aver ottenuto l’ok all’ingresso notturno (finora vietato) e il ta- glio concordato (praticamen- te il 20%) delle tariffe dei servi- zi tecnico-nautici a partire dai rimorchiatori . E comunque, se non si inizia mai è chiaro che non si arriverà mai... ©RIPRODUZIONE RISERVATA L’Ispra, il braccio operativo del ministero dell’ambiente, tiene d’occhio da anni quel che accade all’esterno della vasca di colmata per verificare se dall’argine – largo 25 metri al- la base e 15 metri in testa – fil- trano elementi inquinanti in mare. Come indicatori dello stato di salute del mare vengo- no utilizzati organismi anima- li, inclusi talvolta ricci di ma- re. È capitato – lo riferisce una fonte degna di fede – che l’é- quipe abbia ritrovato svuota- ta la postazione dove erano stati collocati i ricci: probabile che siano finiti in tavola per un menù di mare. A quanto è dato sapere, i tecnici dell’Authority puntano sull’analisi diffusio- nale per provare che l’argine offre garanzie sufficienti e la probabilità di veder finire in mare gli inquinanti è al di sot- to della soglia di accettabilità. Del resto, a Rotterdam i fanghi di escavo finiscono in una va- sca da 25 milioni di metri cubi che non ha impermeabilizza- zione sul fondo: e intanto l’e- scavo è una funzione continua della manutenzione del porto. LIVORNO C’è un tempo per rimettere in piedi un po’ tutti quanti e c’è un tempo per selezionare i sog- getti. È nel segno del testo bibli- co di Qoelet la conferenza che allo Yacht Club, sotto le inse- gne del Propeller guidato da Ci- no Milani, viene officiata da Ne- reo Marcucci, presidente nazio- nale di Confetra (imprese di tra- sporto). E quando parla lui, che è sta- to anche il numero uno dell’Au- thority livornese (fino al 2003), si può star certi che saltino po- stulati, teoremi e luoghi comu- ni. A cominciare dal fatto che il sistema portuale italiano abbia sofferto di una mancanza di in- vestimenti. Due flash: 1) fra sol- di pubblici, canoni demaniali e altro dal 2005 al 2012 «sono sta- ti messi in circuito i 6 miliardi di euro che avevamo ritenuto necessari»; 2) è uno standard di soldi pubblici che dal 2009 in poi risulta stabilmente al di so- pra di 1,45 euro per tonnellata movimentata, mentre negli an- ni precedenti era sempre al di sotto. Kaputt anche l’idea che i por- ti italiani non sia in grado di ri- cevere le nuove navi-kolossal: otto fra i principali porti garan- tiscono pescaggi oltre i 13 me- tri. Ma allora il male oscuro del- la portualità dove sta? Nei “colli di bottiglia”: le strozzature che mandano in tilt la competitivi- tà del sistema. E qui Marcucci mette sul banco degli imputati soprattutto due elementi: da un lato, gli standard di servizio dei cargo ferroviari («sceso del 40% fra il 2008 e il 2012»); dall’altro, l’ipertrofia burocrati- ca (i 19 giorni dio tempo medio per l’export e i 17 per l’import sono lontani anni luce da quel che accade nei maggiori Paesi europei). Ma è soprattutto un altro aspetto che Marcucci mette sul- la graticola: riguarda la manca- ta selezione dei porti sui quali l’Italia avrebbe dovuto punta- re. Se i primi dieci anni dalla ri- forma portuale del ’94 sono sta- ti quelli per rimettere in carreg- giata i vari porti con una inie- zione diffusa di ammoderna- menti infrastrutturali, – è la tesi di Marcucci – dalla metà del de- cennio scorso il Paese avrebbe dovuto scegliere su quali porti puntare. Invece i grafici metto- no il dito nella piaga nella man- cata concentrazione dei traffici e nella frammentazione degli interventi. È proprio questo ad avere nella pancia i guai che Marcuc- ci intravede per il futuro prossi- mo venturo per «la mancanza di una regia nazionale»: un pro- gettificio di infrastrutture che amplierà a dismisura l’offerta di terminal illudendosi di attira- re traffici. Il presidente di Con- fetra non fa mistero di ritenerlo qualcosa di più di un boome- rang: un suicidio collettivo. Par- la un dato: il pacchetto di pro- getti in ballo “vale” complessi- vamente 30 milioni di teu nel 2025. Ma se oggi, transhipment escluso, l’insieme di tutti i traf- fici contenitori in Italia non va molto oltre i 5 milioni, significa che in dieci anni si sestupliche- rebbe la capacità. Ma siccome l’incremento dei traffici è in ge- nere attorno al doppio della crescita del Pil, vuol dire che o abbiamo compiuto un gigante- sco sbaglio nelle previsioni sul Pil o quei progetti infrastruttu- rali sono colossalmente sovra- dimensionati. Marcucci ce la mette tutta per evitare un discorso troppo livornese. Ma la tentazione è forte. Come quando segnala i guai di una concorrenza trop- po fra una banchina e l’altra e poco con gli altri porti. E giù una stilettata: «Qui non si è sa- puto dire no a nessuno». Tra- dotto: la moltiplicazione delle concessioni ha innescato una guerra ai ribassi tariffari che fa scendere del 30% il fatturato delle imprese a parità di traffi- ci, figuriamoci se poi calano. C’è da mettere poi nel conto l’incubo dell’effetto che avrà su Livorno la scelta di puntare al- trove da parte delle due allean- ze-monstre (P3 e giganti asiati- ci), lui aggiunge ilo carico da undici segnalando che i me- ga-porti del Nord Europa (che «già adesso hanno in pugno da 400mila a un milione di teu di traffico verso l’Italia») allarghe- ranno il loro bacino di riferi- mento fino al Nord Italia, calan- do a far «concorrenza spietata sul nostro stesso mercato na- zionale» mentre, al contrario, sarebbero gli operatori ad «aver bisogno di sfondare la barriera delle Alpi per cresce- re». Mauro Zucchelli ©RIPRODUZIONE RISERVATA La soluzione resta al palo Guai a forare la “vasca” L’autorizzazione del ministero impone la guaina impermeabilizzante sul fondo, impossibile bucarla per costruire la “palafitta” che deve reggere l’infrastruttura Una zona della prima vasca di colmata (foto Laura Lezza) Finiscono nel menù i ricci di mare anti-inquinamento La Cgil spieghi perché «il nostro esposto contro lo straordinario selvaggio, oltre i limiti consentiti dal contratto, ha un effetto boomerang visto che non lo spie- ga». Claudio Galatolo e Massimo Lomi, dirigenti Unicobas, repli- cano così alla Filt Cgil: dito pun- tato sul «rispetto delle 11 ore di riposo tra un turno e il successi- vo» a tutela di «sicurezza e inco- lumità» dei lavoratori. Unicobas dice di aver «messo il dito sulla piaga» mentre «la Cgil si sente in colpa per non aver fatto niente finora e esser quindi correspon- sabile del mancato rispetto delle regole in porto». Galatolo e Lomi sanno che «nel porto i picchi di lavoro sono diminuiti», colpa del la crisi e dell'«inefficienza im- prenditoriale livornese», ma «ci sono comunque: in questa pre- caria situazione è fondamentale il rispetto delle regole» perché «i lavoratori non devono rubarsi il lavoro tra loro». Unicobas affer- ma che continuerà «a chiedere maggiori controlli all'Ispettorato del lavoro ed all'Authority», vi- sto che «non lo fa nessun sinda- cato». I due sindacalisti di base divendicano di non aver «nessu- na “clientela” da salvaguardare, noi tuteliamo tutti i lavoratori a 360 »: l'Unicobas – sottolinea- no – è «un sindacato di base apartitico che non deve niente a nessuno e lavora solo e soltanto a beneficio dei lavoratori». Unicobas: assurda la polemica Cgil contro l’esposto Marcucci al Propeller (Pentafoto) Occhio alla calata dal Nord Europa In fuga i giganti (P3 e asiatici) e l’incubo di Rotterdam che verrà a farci concorrenza in casa L’INCHIESTA » DARSENA EUROPA: SOTTO I PIAZZALI IL FANGO MERCOLEDÌ 2 APRILE 2014 IL TIRRENO Livorno IX

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Dal Tirreno del 2 aprile 2014

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di Mauro Zucchelli◗ LIVORNO

Rischia di fermarsi a metà stra-da la soluzione che l’Authorityha in mente per rimediare alguaio della prima vasca di col-mata che all’esterno della Dar-sena Toscana è una pappettadi fango mai indurito, sotto iquasi 40 ettari di crosta super-ficiale (grande cioè come 51volte il campo di calcio dell'Ar-mando Picchi). Il motivo? Nonè così facile andare a piantarein profondità nel sottosuolouna sfilza di pali che reggano ilfuturo piazzale destinato a di-ventare il tassello-chiave dell’espansione a mare del porto (ilnuovo terminal contenitoridella Darsena Europa).

Non è una metodologia par-ticolarmente complessa: è uti-lizzata là dove, ad esempio,vengono costruiti aree indu-striali o infrastrutturali su ter-reni ex agricoli o comunquedeboli dal punto di vista geolo-gico. Come all'interporto diGuasticce, come l'area per in-sediamento produttivi in zonaIkea.

ALLARADICEDEI GUAIE allora il problema, dov'è?

Perché potrebbe rischiare di ri-manere a metà strada? Per unmotivo semplice: ciascun palo– spiega un alto funzionarioche si è occupato direttamen-te di questa pratica targata Li-vorno – ovviamente non po-trebbe che forare la guaina im-permeabilizzante adagiata sulfondo della “vasca”.

Proprio il ciclone giudiziariosulla vasca di colmata nell'estate 2010 (e finito con l'archi-viazione chiesta dallo stessopm 18 mesi più tardi) ha porta-to a chiarire che i fanghi draga-ti dai fondali e poi buttati den-tro la “vasca” non sono qualifi-cabili come rifiuti: è per que-sto che saltò l'imputazione diaver creato una maxi-discari-ca abusiva seppur con tutti itimbri ministeriali.

Dentro le melme ci sono ma-teriali inquinati sì ma al di sot-to della concentrazione che, inbase alla normativa, li fa cata-logare come rifiuto. Però restail fatto che una infrastrutturadel genere ha bisogno di unaautorizzazione ministerialecon tanto di rigide prescrizio-ni. Inutile aggiungere che fini-rebbe probabilmente nei guai– e magari anche nel mirinodella magistratura – chi tra-sgredisse una prescrizioneesplicita come l’impermeabi-lizzazione del fondo fatta se-condo certi requisiti specifici.Con garanzie supplementariche impedissero ogni e qualsi-asi rischio di veder qualcosa fil-trare verso il mare.

L’AUTORIZZAZIONE-BISL’unica via d’uscita? Secon-

do una fonte confidenziale diprima mano, non può che es-sere una autorizzazione-bis daparte del ministero per modifi-care il progetto iniziale («e ma-gari prevedendo pali con un“collarino” che chiuda attornoal buco»). Con un problemino:ve l’immaginate la cautelosis-sima burocrazia ministerialeassumersi la (rischiosa) re-sponsabilità di dare l’ok a unaoperazione del genere? Ancheperché è tutt’altro che remotoil pericolo di finire in guai giu-diziari: a Livorno non c’è statasolo l’inchiesta sulla “vasca”considerata una discarica maanche il sequestro di due ettaridella “vasca” perché un testera risultato fuori regola per-ché gli idrocarburi superava-no i limiti.

Giocano però a favore un pa-io di elementi. L'uno: Livornoè l’apripista nell’uso delle“vasche di colmata” per acco-gliere i fanghi dei dragaggi por-tuali, ma poi anche altri porti

hanno dovuto seguire questaprassi, e dunque il problemaassumerà presto rilevanza na-zionale. L’altro: con il trasferi-mento delle competenze dal“Sin” (nazionale) al “Sir” (re-gionale) potrebbe esserciun’attenzione meno burocrfa-tica alle esigenze dei territori.Solo che finora questo passag-gio annunciatissimo è rimastoin fondo al cassetto.

È un milione e mezzo di me-tri cubi di fanghi sversati all’in-

terno di quell’argine: serve astrappare al mare quasi 40 et-tari di piazzali in più. Fonda-mentali per costruirvi la futuraDarsena Europa che sarà il“cuore” del porto a misura del-le mega-navi di ultimissimagenerazione.

NONDISOLIRINVIINon stiamo parlando di do-

mani o dopodomani: anche sei progettisti del Prg portualestanno rimodulando il piano

dei costi, si tratta di un pac-chetto di investimenti da 1,37miliardi di euro, quasi la metàdei quali (608,5 milioni) per lasola prima fase. Ma guai a cam-pare di rinvii pensando solo adomattina.

Non lo possiamo fare nean-che per l’allargamento del ca-nale d’accesso alla DarsenaToscana. Già qualcosa è statofatto, ma per riuscirci davveroe portarlo a una ampiezza di120 metri (anche sul fondo) bi-

sogna spostare i tubi della raffi-neria Eni.

Due settimane fa è stato ag-giudicato l’appalto da 5 milio-ni di euro per realizzare a 22metri di profondità il micro-tunnel che li ospiterà. Lavoripronti a maggio del prossimoanno, promette l’Authority.

Ma non crediate che a quel-la data sarà tutto risolto: è unpo’ quel che ha detto su questecolonne un osservatore atten-to come Angelo Roma, ex portcaptain di Zim, prevedendoche sarà difficile dare soluzio-ne a questa strozzatura infra-strutturale prima degli inizidel 2016. In effetti, dopo la co-struzione del microtunnelspetterà all’Eni prima realizza-re le nuove condutture allog-giandole nel microtunnel, poidisattivare quelle vecchie e ri-muoverle. Tutto pronto, aquanto è dato sapere, «fra 30 o36 mesi». Cioè addirittura a fi-ne 2016, ben che vada.

Ma intanto è già qualcosaaver ottenuto l’ok all’ingressonotturno (finora vietato) e il ta-glio concordato (praticamen-te il 20%) delle tariffe dei servi-zi tecnico-nautici a partire dairimorchiatori . E comunque,se non si inizia mai è chiaroche non si arriverà mai...

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L’Ispra, il braccio operativodel ministero dell’ambiente,tiene d’occhio da anni quel cheaccade all’esterno della vascadi colmata per verificare sedall’argine – largo 25 metri al-la base e 15 metri in testa – fil-trano elementi inquinanti inmare. Come indicatori dellostato di salute del mare vengo-no utilizzati organismi anima-li, inclusi talvolta ricci di ma-re. È capitato – lo riferisce unafonte degna di fede – che l’é-quipe abbia ritrovato svuota-ta la postazione dove eranostati collocati i ricci: probabileche siano finiti in tavola per unmenù di mare. A quanto è datosapere, i tecnici dell’Authoritypuntano sull’analisi diffusio-nale per provare che l’argineoffre garanzie sufficienti e laprobabilità di veder finire inmare gli inquinanti è al di sot-to della soglia di accettabilità.Del resto, a Rotterdam i fanghidi escavo finiscono in una va-sca da 25 milioni di metri cubiche non ha impermeabilizza-zione sul fondo: e intanto l’e-scavo è una funzione continuadella manutenzione del porto.

◗ LIVORNO

C’è un tempo per rimettere inpiedi un po’ tutti quanti e c’èun tempo per selezionare i sog-getti. È nel segno del testo bibli-co di Qoelet la conferenza cheallo Yacht Club, sotto le inse-gne del Propeller guidato da Ci-no Milani, viene officiata da Ne-reo Marcucci, presidente nazio-nale di Confetra (imprese di tra-sporto).

E quando parla lui, che è sta-to anche il numero uno dell’Au-thority livornese (fino al 2003),si può star certi che saltino po-stulati, teoremi e luoghi comu-ni. A cominciare dal fatto che ilsistema portuale italiano abbiasofferto di una mancanza di in-vestimenti. Due flash: 1) fra sol-di pubblici, canoni demaniali ealtro dal 2005 al 2012 «sono sta-ti messi in circuito i 6 miliardidi euro che avevamo ritenutonecessari»; 2) è uno standard disoldi pubblici che dal 2009 inpoi risulta stabilmente al di so-pra di 1,45 euro per tonnellatamovimentata, mentre negli an-ni precedenti era sempre al disotto.

Kaputt anche l’idea che i por-ti italiani non sia in grado di ri-cevere le nuove navi-kolossal:otto fra i principali porti garan-tiscono pescaggi oltre i 13 me-tri.

Ma allora il male oscuro del-la portualità dove sta? Nei “colli

di bottiglia”: le strozzature chemandano in tilt la competitivi-tà del sistema. E qui Marcuccimette sul banco degli imputatisoprattutto due elementi: daun lato, gli standard di serviziodei cargo ferroviari («sceso del40% fra il 2008 e il 2012»);dall’altro, l’ipertrofia burocrati-ca (i 19 giorni dio tempo medioper l’export e i 17 per l’importsono lontani anni luce da quelche accade nei maggiori Paesieuropei).

Ma è soprattutto un altroaspetto che Marcucci mette sul-la graticola: riguarda la manca-

ta selezione dei porti sui qualil’Italia avrebbe dovuto punta-re. Se i primi dieci anni dalla ri-forma portuale del ’94 sono sta-ti quelli per rimettere in carreg-giata i vari porti con una inie-zione diffusa di ammoderna-menti infrastrutturali, – è la tesidi Marcucci – dalla metà del de-cennio scorso il Paese avrebbedovuto scegliere su quali portipuntare. Invece i grafici metto-no il dito nella piaga nella man-cata concentrazione dei trafficie nella frammentazione degliinterventi.

È proprio questo ad averenella pancia i guai che Marcuc-ci intravede per il futuro prossi-mo venturo per «la mancanzadi una regia nazionale»: un pro-gettificio di infrastrutture cheamplierà a dismisura l’offertadi terminal illudendosi di attira-re traffici. Il presidente di Con-fetra non fa mistero di ritenerloqualcosa di più di un boome-rang: un suicidio collettivo. Par-la un dato: il pacchetto di pro-getti in ballo “vale” complessi-vamente 30 milioni di teu nel2025. Ma se oggi, transhipmentescluso, l’insieme di tutti i traf-fici contenitori in Italia non vamolto oltre i 5 milioni, significache in dieci anni si sestupliche-rebbe la capacità. Ma siccomel’incremento dei traffici è in ge-nere attorno al doppio dellacrescita del Pil, vuol dire che oabbiamo compiuto un gigante-

sco sbaglio nelle previsioni sulPil o quei progetti infrastruttu-rali sono colossalmente sovra-dimensionati.

Marcucci ce la mette tuttaper evitare un discorso troppolivornese. Ma la tentazione èforte. Come quando segnala iguai di una concorrenza trop-po fra una banchina e l’altra epoco con gli altri porti. E giùuna stilettata: «Qui non si è sa-puto dire no a nessuno». Tra-dotto: la moltiplicazione delleconcessioni ha innescato unaguerra ai ribassi tariffari che fascendere del 30% il fatturatodelle imprese a parità di traffi-ci, figuriamoci se poi calano.

C’è da mettere poi nel contol’incubo dell’effetto che avrà suLivorno la scelta di puntare al-trove da parte delle due allean-ze-monstre (P3 e giganti asiati-ci), lui aggiunge ilo carico daundici segnalando che i me-ga-porti del Nord Europa (che«già adesso hanno in pugno da400mila a un milione di teu ditraffico verso l’Italia») allarghe-ranno il loro bacino di riferi-mento fino al Nord Italia, calan-do a far «concorrenza spietatasul nostro stesso mercato na-zionale» mentre, al contrario,sarebbero gli operatori ad«aver bisogno di sfondare labarriera delle Alpi per cresce-re».

Mauro Zucchelli©RIPRODUZIONE RISERVATA

La soluzione resta al paloGuai a forare la “vasca”L’autorizzazione del ministero impone la guaina impermeabilizzante sul fondo,impossibile bucarla per costruire la “palafitta” che deve reggere l’infrastruttura

Una zona della prima vasca di colmata (foto Laura Lezza)

Finiscono nel menùi ricci di mareanti-inquinamento

La Cgil spieghi perché «il nostroesposto contro lo straordinarioselvaggio, oltre i limiti consentitidal contratto, ha un effettoboomerang visto che non lo spie-ga». Claudio Galatolo e MassimoLomi, dirigenti Unicobas, repli-cano così alla Filt Cgil: dito pun-tato sul «rispetto delle 11 ore diriposo tra un turno e il successi-vo» a tutela di «sicurezza e inco-lumità» dei lavoratori. Unicobasdice di aver «messo il dito sullapiaga» mentre «la Cgil si sente incolpa per non aver fatto nientefinora e esser quindi correspon-sabile del mancato rispetto delleregole in porto». Galatolo e Lomisanno che «nel porto i picchi dilavoro sono diminuiti», colpa della crisi e dell'«inefficienza im-prenditoriale livornese», ma «cisono comunque: in questa pre-caria situazione è fondamentaleil rispetto delle regole» perché «ilavoratori non devono rubarsi illavoro tra loro». Unicobas affer-ma che continuerà «a chiederemaggiori controlli all'Ispettoratodel lavoro ed all'Authority», vi-sto che «non lo fa nessun sinda-cato». I due sindacalisti di basedivendicano di non aver «nessu-na “clientela” da salvaguardare,noi tuteliamo tutti i lavoratori a360˚»: l'Unicobas – sottolinea-no – è «un sindacato di baseapartitico che non deve niente anessuno e lavora solo e soltantoa beneficio dei lavoratori».

Unicobas: assurdala polemica Cgilcontro l’esposto

Marcucci al Propeller (Pentafoto)

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L’INCHIESTA»DARSENA EUROPA: SOTTO I PIAZZALI IL FANGO

MERCOLEDÌ 2 APRILE 2014 IL TIRRENO Livorno IX