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GUIDA PER L’APPLICAZIONE NEL SETTORE DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI
MODELLI ORGANIZZATIVIE SISTEMI DI
GESTIONE AMBIENTALEalla luce dell’estensionedel D.Lgs. n. 231/2001
ai reati contro l’ambiente
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Il presente documento rappresentail risultato delle attività di un Gruppo di Lavoropromosso da FISE Assoambiente eCertiquality al quale hanno partecipato:
Capo Progetto: Elisabetta Perrotta - FISE Assoambiente
Coordinatori: Chiara Leboffe - FISE Assoambiente Luca Tosto - FISE Assoambiente Armando Romaniello - Certiquality Federica Bonucchi - FISE Servizi S.r.l.
Gruppo di Lavoro: Stefano Aldini - Certiquality Gabriele Canè - Unieco Gianni Cramarossa - Certiquality Andrea De Poli - A2A Ambiente S.r.l. Nicola Gatta - Certiquality Francesco Grasso - A2A S.p.A. Elisabetta Piantoni - A2A S.p.A. Marco Rambaldi - HERAMBIENTE S.p.A.
Immagine ed Editing: Teresa Colin - FISE Servizi S.r.l.
GUIDA PER L’APPLICAZIONE NEL SETTORE DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI
MODELLI ORGANIZZATIVIE SISTEMI DI
GESTIONE AMBIENTALEalla luce dell’estensionedel D.Lgs. n. 231/2001
ai reati contro l’ambiente
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INDICE
PRESENTAZIONE Pag. 4
INTRODUZIONE Pag. 5
CAPITOLO I Inquadramento normativo Pag. 6
CAPITOLO II I Modelli organizzativi Pag. 20
CAPITOLO III Criteri di analisi dei processi di un’azienda che effettua la gestione dei rifiuti, rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/2001 Pag. 28
CAPITOLO IV I Sistemi di Gestione Ambientale ISO 14001 ed EMAS Pag. 36
CAPITOLO V Conclusioni Pag. 44
APPENDICE Pag. 46 Check list e Schema “Processo-Reato”
BIBLIOGRAFIA Pag. 66
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PRESENTAZIONE
Con il D.Lgs. n. 231/2001 viene introdotta per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano la “responsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti conseguenti alla commissione di un reato”: una responsabilità che, sebbene il legislatore qualifichi come amministrativa, si configura di fatto come una responsabilità di natura penale.
Se l’ambito originale del D.Lgs. n. 231/2001, relativo ai reati societari e ai reati nei confronti della pubblica amministrazione riguardava già potenzialmente molte aziende, l’estensione negli anni alle tematiche della sicurezza sul lavoro e della gestione ambiente ha allargato enormemente il numero di imprese potenzialmente coinvolte.
FISE Assoambiente e Certiquality, proseguendo la collaborazione avviata con la precedente pubblicazione “Linee guida per l’applicazione integrata delle norme ISO 9001 - ISO 14001 - BS OHSAS 18002 per le attività del ciclo dei rifiuti”, hanno promosso la realizzazione della presente Guida proprio per sensibilizzare e supportare il management delle aziende ed i loro collaboratori su queste importanti tematiche, fornendo, al tempo stesso, uno strumento pratico di lavoro.
In questo nuovo quadro normativo assumono infatti particolare importanza i Modelli organizzativi indicati dal D.Lgs. n. 231/2001: un sistema di controllo preventivo, che parte da un’analisi dei rischi, individua le fattispecie di reato cui è potenzialmente sottoposta l’organizzazione e prevede la definizione di un adeguato sistema di prevenzione e controllo. Le Linee Guida realizzate hanno proprio il ruolo chiave di offrire agli imprenditori una maggiore consapevolezza di quali, nell’ambito dei processi aziendali, possono costituire le attività “sensibili” potenzialmente in grado di condurre i soggetti apicali, responsabili di una specifica procedura, ad assumere una condotta colposa.
Nel documento è perciò possibile trovare, per le imprese che abbiano scelto di adottare un modello di organizzazione e gestione, una serie di indicazioni e misure, essenzialmente tratte dalla pratica aziendale, ritenute idonee a rispondere alle esigenze delineate dal D.Lgs. n. 231/2001.
Il Modello di gestione non dovrà però rappresentare un mero adempimento burocratico ma dovrà “vivere” con l’impresa, aderire alle sue caratteristiche ed alla sua organizzazione ed evolversi e cambiare con essa nell’auspicio che tale condotta valorizzi gli sforzi organizzativi sostenuti dalle imprese per allinearsi alle prescrizione normative.
Un vivo ringraziamento va a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione delle Linea Guida.
Elisabetta Perrotta Umberto Chiminazzo Direttore FISE ASSOAMBIENTE Direttore Generale CERTIqUALITy
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INTRODUZIONE
Le presenti Linee Guida intendono offrire uno strumento di lavoro per l’adozione e l’efficace attuazione dei Modelli organizzativi atti a prevenire i reati ambientali che rientrano nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 e che possono comportare la responsabilità amministrativa (penale) delle imprese.è necessario sottolineare che, per quanto attiene l’analisi e la disamina dei presupposti generali della responsabilità degli Enti, il presente documento fa espresso richiamo alle Linee Guida di Confindustria approvate dal Ministero della Giustizia; già complete nei riferimenti normativi, nonché nella rappresentazione della giurisprudenza intervenuta, a garanzia di indicazioni alle aziende, per l’elaborazione di un adeguato modello organizzativo (il documento è scaricabile dal sito www.confindustria.it).
Le Linee Guida di Assoambiente, pertanto, costituiscono un approfondimento rispetto alle Linee Guida di Confindustria sulla base delle peculiarità delle attività poste in essere dagli associati, applicabili direttamente allo specifico settore.
Nel primo capitolo viene richiamato il contesto normativo che ha introdotto tale nuova forma di responsabilità e si descrive il sistema sanzionatorio previsto dalla legge. Il secondo capitolo descrive le principali caratteristiche dei Modelli organizzativi, il “meccanismo esimente” ed il sistema di controllo.
Vengono, quindi, analizzati i processi rilevanti ai fini del D.Lgs. n. 231/2001 per un’Azienda che effettua la gestione dei rifiuti. Il terzo capitolo introduce, con numerosi esempi applicativi, l’analisi dei processi sensibili e l’identificazione dei rischi, passando poi a trattare la definizione del piano dei controlli.
Le relazioni che intercorrono tra i Sistemi di Gestione Ambientale (ISO 14001 ed EMAS) ed i Modelli organizzativi per la prevenzione dei reati ambientali introdotti nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 sono l’oggetto del quarto capitolo. Si mostrerà come gli standard ISO 14001 ed EMAS possono contribuire a tenere sotto controllo i rischi ambientali.
Dopo le conclusioni del quinto capitolo in appendice sono riportate:
• una traccia di Check list per la verifica della capacità di gestione della conformità legislativa; • alcune Matrici di correlazione Processo-reato in relazione alle diverse funzioni/attività aziendali.
Come previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 (art. 6, comma 3), il documento è stato sottoposto al vaglio del Ministero della Giustizia che lo ha approvato nel dicembre 2015.
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CAPITOLO I Inquadramento normativo
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Introduzione
Il D.Lgs. n. 121/2011 ha introdotto nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 alcune fattispecie di reati contro l’ambiente, recependo così la direttive 2008/99/CE (sulla tutela penale dell’ambiente) e la direttiva 2009/123/CE (relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni, anche penali, per i reati di inquinamento).
Un’analoga estensione del campo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 ai reati in materia di sicurezza sul lavoro era stata introdotta dalla Legge n. 123/2007. Più precisamente, l’art. 25 septies ha ricompreso nel D.Lgs. n. 231/2001 alcuni reati previsti dal codice penale (di seguito c.p.), tra i quali, i reati di omicidio colposo, lesioni colpose, gravi o gravissime, commesse in violazione delle norme antinfortunistiche, dell’igiene e della salute sul lavoro.
Il D.Lgs. n. 231/2001 prevede la responsabilità delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. La responsabilità - definita dal legislatore amministrativa - deriva dalla commissione di determinati reati da parte di soggetti che si trovano in un rapporto funzionale con l’Ente, sempre che il reato sia stato commesso “nell’interesse dell’Ente o a suo vantaggio”.
Con il D.Lgs. n. 121/2011 vengono ora sanzionate penalmente le condotte illecite individuate dalle direttive e vengono introdotte nuove responsabilità per le imprese, prima non previste per i reati ambientali quali, ad esempio: lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque; illeciti nella raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento di rifiuti, comprese la sorveglianza di tali operazioni e il controllo dei siti di smaltimento successivo alla loro chiusura, nonché l’attività di commercio o intermediazione nella gestione dei rifiuti; l’esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate o utilizzate sostanze o preparazioni pericolose; la produzione, la lavorazione, il trattamento, l’uso, la conservazione, il deposito, il trasporto, l’importazione, l’esportazione e lo smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose. questo comporta la necessità di contemplare le nuove fattispecie nell’ambito del Modello organizzativo aziendale, la valutazione del rischio di accadimento e la definizione di adeguate procedure di prevenzione e controllo.
CAPITOLO I - Inquadramento normativo
1.1 - Il D.Lgs. n. 231/2001
Le imprese e le associazioni sono i principali destinatari della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 231/2001. La redazione delle presenti Linee Guida rappresenta un punto di riferimento per le imprese del settore della gestione dei rifiuti ma non esaurisce gli adempimenti richiesti dal D.Lgs. n. 231/2001 ai fini dell’operatività dell’esimente per l’Azienda.
Pertanto è necessario che la redazione di un Modello tenga conto di tutte le fattispecie di reato presenti nel decreto stesso e che affronti la specificità dei singoli reati per i diversi settori merceologici.In linea con le Linee Guida di Confindustria, di riferimento generale, riportiamo di seguito un elenco esemplificativo relativo alle principali fattispecie di reato presupposto che interessano le imprese del settore:
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1.1.1 - Art. 24 D.Lgs. n. 231/2001
Malversazione a danno dello Stato art. 316 bis c.p.; Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato art. 316 ter c.p.; Truffa aggravata a danno dello Stato art. 640 c.p.; Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche art. 640 bis c.p.
Il reato di truffa aggravata in danno dello Stato è possibile in tutti gli ambiti aziendali che prevedono rapporti o contatti con la Pubblica Amministrazione.
Le fattispecie che riguardano gli artt. 316 bis, 316 ter e 640 tutelano l’erogazione di finanziamenti pubblici sia nel momento di erogazione sia al momento dell’utilizzazione dei finanziamenti.
Le condotte punite, con riferimento al primo dei due momenti, sono modellate sullo schema della truffa in cui assume rilevanza determinante l’immutazione del vero in ordine ad aspetti essenziali ai fini dell’erogazione. Nella malversazione, invece, assume rilievo la mancata destinazione del finanziamento ricevuto per le finalità di interesse pubblico che ne abbiano giustificato l’erogazione.
I reati puniti in riferimento al momento dell’erogazione si basano sullo schema della truffa, dove determinante è l’immutazione del vero, mentre nella malversazione rilevante è la mancata destinazione del finanziamento erogato con finalità di interesse pubblico.
Pertanto, le principali aree di rischio per le aziende del settore ambientale risultano essere:
• partecipazione a gare indette da un soggetto pubblico (presentazione di istanze alla P.A. al fine del rilascio di atti o provvedimenti amministrativi di interesse aziendale mediante la produzione di documenti falsi attestanti l’esistenza di condizioni o requisiti essenziali);
• partecipazione a procedure per l’ottenimento di erogazioni da parte di organismi pubblici italiani o comunitari.
1.1.2 - Art. 24 bis D.Lgs. n. 231/2001
Falsità riguardanti un documento informatico art. 491 bis c.p.; Frode informatica del soggetto che presta servizi di certificazione di firma elettronica art. 640 quinquies c.p.
Nello specifico:
• falsificazione di documenti informatici da parte di Enti che procedono a rendicontazione elettronica di attività;
• cancellazione o alterazione di informazioni a valenza probatoria presenti sui propri sistemi, allo scopo di eliminare le prove di un altro reato (es. l’Ente ha ricevuto un avviso di garanzia per un reato e procede ad eliminare le tracce elettroniche del reato stesso);
• falsificazione di documenti informatici contenenti gli importi dovuti dall’Ente alla P.A. nel caso di flussi informatizzati dei pagamenti tra privati e P.A. (es. riduzione degli importi) o alterazione dei documenti in transito nell’ambito del SIPA (Sistema Informatizzato pagamenti della P.A.) al fine di aumentare gli importi dovuti dalla P.A. all’Ente;
• falsificazione di documenti informatici compiuta nell’ambito dei servizi di Certification Authority da parte di un soggetto che rilasci certificati informatici, aventi valenza probatoria, corrispondenti
9CAPITOLO I - Inquadramento normativo
a false identità o attestanti falsi titoli professionali;• falsificazione di documenti informatici correlata all’utilizzo illecito di dati identificativi altrui
nell’esecuzione di determinate operazioni informatiche o telematiche in modo che queste risultino eseguite dai soggetti legittimi titolari dei dati (es. attivazione di servizi non richiesti);
• rilascio di certificati digitali da parte di un Ente certificatore senza che siano soddisfatti gli obblighi previsti dalla legge per il rilascio di certificati qualificati (es. identificabilità univoca del titolare, titolarità certificata), con lo scopo di mantenere un alto numero di certificati attivi;
• aggiramento dei vincoli imposti dal sistema per la verifica dei requisiti necessari al rilascio dei certificati da parte dell’amministratore di sistema allo scopo di concedere un certificato e produrre così un guadagno all’Ente.
1.1.3 - Art. 24 D.Lgs. n. 231/2001
Associazione a delinquere art. 416 c.p.
L’art. 416 c.p. punisce coloro che promuovono, costituiscono o organizzano l’associazione allo scopo di commettere più delitti. La rilevanza penale delle condotte descritte dalla norma appare condizionata all’effettiva costituzione dell’associazione criminosa. Infatti, prima ancora di richiamare le singole condotte di promozione, costituzione, direzione, organizzazione ovvero di semplice partecipazione, la norma ne subordina la punibilità al momento in cui “tre o più persone” si siano effettivamente associate per commettere più delitti. Il delitto di associazione per delinquere si caratterizza quindi per l’autonomia dell’incriminazione rispetto agli eventuali reati successivamente commessi in attuazione del pactum sceleris. Tali eventuali delitti, infatti, concorrono con quello di associazione per delinquere e, se non perpetrati, lasciano sussistere il delitto previsto dall’art. 416 c.p.
L’associazione per delinquere, ad esempio, potrebbe venire in rilievo in collegamento con il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 260 del Codice dell’ambiente). Ciò impone all’impresa di prestare particolare attenzione alla selezione dei soggetti preposti alla gestione dei propri rifiuti.
1.1.4 - Art. 25 D.Lgs. n. 231/2001
Concussione art. 317 c.p.; Corruzione per l’esercizio della funzione art. 318 c.p.; Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio art. 319; Corruzione in atti giudiziari art. 319 c.p. ter; Induzione indebita a dare o promettere utilità art. 319 quater; Istigazione alla corruzione art. 322 c.p.
Anche queste tipologie rientrano nell’ambito dei reati contro la Pubblica Amministrazione e presuppongono l’instaurazione di rapporti con soggetti pubblici e con un rappresentante della pubblica funzione o di un pubblico servizio.
Il soggetto attivo è di regola il pubblico funzionario ma la legge punisce - in presenza di determinate circostanze – anche il privato che concorre con il soggetto pubblico nella realizzazione del reato, come nel caso di induzione indebita a dare o promettere utilità o della corruzione attiva.
L’ordinamento italiano, non di rado, prevede l’estensione della qualità di soggetto pubblico (pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio) nei confronti di soggetti privati; di conseguenza tale qualifica può essere attribuita ad esponenti di realtà societarie a carattere privato, investite dello svolgimento di pubblici servizi o di pubbliche funzioni.
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Nell’ambito di questi reati è intervenuta la Legge n. 190/2012 contenente nuove “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”; oltre a determinare importanti effetti nel più ampio contesto normativo, anche mediante un inasprimento del trattamento sanzionatorio e a favorire la maggiore trasparenza nell’azione amministrativa, ha introdotto importanti novità:
• la concussione (art. 317 c.p.) è ora riferibile soltanto alla figura del pubblico ufficiale e circoscritta alle sole ipotesi in cui vi sia la costrizione del privato;
• la distinta ipotesi di concussione per induzione ha acquisito rilievo di fattispecie autonoma mediante l’introduzione del nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.). L’aspetto più significativo della modifica normativa è che soggetto attivo del reato in esame è anche il soggetto privato che partecipa al reato corrispondendo o impegnandosi a dare l’utilità;
• il legislatore ha provveduto a rimodulare il reato di corruzione con l’inserimento della corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) in luogo del precedente reato di corruzione per un atto d’ufficio. Il nuovo reato risulta configurabile laddove vi sia un flusso illecito di denaro (o altra utilità) tra esponenti aziendali e un soggetto pubblico, nell’esercizio delle proprie funzioni o dei suoi poteri, senza la necessità che tale attività attenga ad un singolo e specifico provvedimento o atto della P.A.
La differenza tra il reato di concussione (art. 317 c.p.) e quello di induzione indebita a dare o promettere utilità (319 quater c.p.) riguarda i soggetti attivi e le modalità di perseguimento del risultato o della promessa di utilità.
Esempi di aree di rischio per le aziende del comparto ambientale:
• partecipazione a procedure di gara o di negoziazione diretta per la vendita di beni e servizi o finalizzate alla realizzazione di opere a favore della P.A., nonché la successiva attività di erogazione del servizio e/o della prevista prestazione contrattuale;
• realizzazione di accordi di partnership con terzi soggetti per collaborazioni commerciali e, in generale, il ricorso ad attività di intermediazione finalizzate alla vendita di prodotti e/o servizi nei confronti di soggetti pubblici nazionali;
• partecipazione a procedure per l’ottenimento di licenze, provvedimenti amministrativi ed autorizzazioni da parte della P.A.;
• partecipazione a procedure per l’ottenimento di erogazioni, contributi o finanziamenti da parte di organismi pubblici italiani o comunitari e il loro concreto utilizzo;
• partecipazione a procedure di gara o negoziazione diretta, indette da organismi pubblici dell’Unione Europea o stranieri o a similari procedure svolte in un contesto di carattere internazionale;
• partecipazione a procedure di evidenza pubblica in associazione con altri partner (RTI, ATI, join venture, consorzi, ecc.).
1.1.5 - Art. 25 octies D.Lgs. n. 231/2001
Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio
Nel nostro ordinamento è presente una disciplina, di derivazione Europea, con la quale sono previsti una serie di adempimenti antiriciclaggio allo scopo di proteggere la stabilità e l’integrità del sistema economico e finanziario.
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L’azione di prevenzione e contrasto del riciclaggio di denaro, beni o altre utilità, diretta tradizionalmente alle banche ed agli intermediari finanziari, è stata progressivamente estesa ad altri soggetti che svolgono attività ritenute particolarmente esposte al rischio di riciclaggio.La lotta al riciclaggio assume infatti una particolare valenza in Italia a causa della presenza della criminalità organizzata che si traduce in mancato sviluppo economico.Il riciclaggio di beni e capitali illeciti genera gravi distorsioni nell’economia legale, alterando le condizioni di concorrenza, il corretto funzionamento dei mercati e i meccanismi fisiologici di allocazione delle risorse con riflessi in definitiva sulla stessa stabilità ed efficienza del sistema economico.In tale contesto, rileva la riconducibilità delle attività economiche che governano i servizi ambientali a quelle tipologie che per loro natura presentano particolari rischi di riciclaggio e che, per questo, impongono specifiche cautele (ad esempio, attività economiche caratterizzate dalla movimentazione di elevati flussi finanziari). Rileva inoltre l’importanza di tale normativa in quanto attinente a settori economici interessati dall’erogazione di fondi pubblici, anche di fonte comunitaria (quali appunto, appalti di servizi, raccolta e smaltimento dei rifiuti, produzione di energie rinnovabili).L’azione di prevenzione e contrasto del riciclaggio si esplica, quindi, attraverso l’introduzione di presidi volti a garantire la piena conoscenza del cliente, la tracciabilità delle transazioni finanziarie e l’individuazione delle operazioni sospette. Il D.Lgs. n. 231/2007, in questi termini, non ha solo creato nuove fattispecie penali, ma si è anche mosso per dare corpo a specifiche metodologie di approccio alla valutazione del rischio di riciclaggio nelle attività economiche e finanziarie, estendendo la rete delle misure amministrative per rafforzare la collaborazione nell’attività di contrasto al riciclaggio, passando dai vincoli sull’identificazione della clientela alla segnalazione delle operazioni sospette che spettano a soggetti che esercitano attività finanziaria ed esperti contabili.Considerato che le fattispecie delittuose in questione possono essere realizzate da chiunque, trattandosi di reati comuni, si dovrebbe ritenere che la ricorrenza del requisito oggettivo dell’interesse o vantaggio vada esclusa ogni qualvolta non vi sia attinenza tra la condotta incriminata e l’attività d’impresa esercitata dall’Ente.Tale attinenza, ad esempio, potrebbe ravvisarsi nell’ipotesi di acquisto di beni produttivi provenienti da un delitto di furto, ovvero nel caso di utilizzazione di capitali illeciti per l’aggiudicazione di un appalto, ecc. Viceversa, non è ravvisabile l’interesse o il vantaggio per l’Ente nell’ipotesi in cui l’apicale o il dipendente acquistino beni che non abbiano alcun legame con l’esercizio dell’impresa in cui operano. Altra considerazione merita attenzione. In questo campo, specifico interesse ricopre l’area della gestione finanziaria, dove il controllo procedurale si deve avvalere di strumenti consolidati nella pratica amministrativa, quali per esempio abbinamento di firme, supervisione, separazione di compiti con la contrapposizione di funzioni (ad esempio fra la funzione acquisti e quella finanziaria).Particolare attenzione deve essere riposta sui flussi finanziari, soprattutto se si tratta di ambiti non adeguatamente proceduralizzati e con caratteri di estemporaneità e discrezionalità. In ogni caso è necessario che siano sempre salvaguardati i principi di trasparenza, verificabilità, inerenza all’attività aziendale.Per quanto attiene ai profili ulteriori inerenti alla tracciabilità delle operazioni, ed al limite all’utilizzo del contante, si richiamano integralmente le Linee Guida di Confindustria ampiamente descrittive ed esaustive. Di seguito, i reati presupposto previsti dall’art. 25 octies del D.Lgs. n. 231/2001.
Ricettazione art. 648 c.p.
Lo scopo dell’incriminazione della ricettazione è quello di impedire il perpetrarsi della lesione di interessi patrimoniali iniziata con la consumazione del reato principale. Ulteriore obiettivo
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della incriminazione consiste nell’evitare la commissione dei reati presupposti, come deterrente alla circolazione dei beni provenienti dai reati medesimi.L’art. 648 c.p. incrimina chi “fuori dei casi di concorso nel reato, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare”.Per acquisto dovrebbe intendersi l’effetto di un’attività negoziale, a titolo gratuito od oneroso, mediante la quale l’agente consegue il possesso del bene.Il termine ricevere starebbe invece ad indicare ogni forma di conseguimento del possesso del bene proveniente dal delitto, anche se solo temporaneamente o per mera compiacenza.Per occultamento dovrebbe altresì intendersi il nascondimento del bene, dopo averlo ricevuto, proveniente dal delitto.La ricettazione può realizzarsi anche mediante l’intromissione nell’acquisto, nella ricezione o nell’occultamento della cosa. Tale condotta si esteriorizza in ogni attività di mediazione, da non intendersi in senso civilistico (come precisato dalla giurisprudenza), tra l’autore del reato principale e il terzo acquirente.Il reato in questione può essere realizzato in molte aree aziendali e a più livelli organizzativi, tuttavia vi sono alcune funzioni/aree/processi esposti maggiormente a rischio, come il settore acquisti o quello commerciale.L’ultimo comma dell’art. 648 c.p. estende la punibilità “anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto”.
Riciclaggio art. 648 bis c.p.
Lo scopo dell’incriminazione del reato di riciclaggio è quello di impedire che gli autori dei reati possano far fruttare i capitali illegalmente acquisiti, rimettendoli in circolazione come capitali ormai “depurati” e perciò investibili anche in attività economiche produttive lecite. In tal modo, la norma incriminatrice persegue anche un ulteriore obiettivo-finale, vale a dire scoraggiare la stessa commissione dei reati principali, mediante le barriere frapposte alla possibilità di sfruttarne i proventi.L’art. 648-bis c.p. incrimina chiunque “fuori dei casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.Per sostituzione si intende la condotta consistente nel rimpiazzare il denaro, i beni o le altre utilità di provenienza illecita con valori diversi.Il trasferimento consiste nella condotta tendente a ripulire il denaro, i beni o le altre utilità mediante il compimento di atti negoziali.Le operazioni idonee ad ostacolare l’identificazione dell’illecita provenienza potrebbero essere considerate quelle in grado di intralciare l’accertamento da parte della autorità giudiziaria della provenienza delittuosa dei valori provenienti dal reato.Le attività aziendali esposte a rischio anche per questa tipologia di reato sono diverse, anche se maggiore attenzione dovrà essere rivolta ai settori commerciale e amministrativo-finanziario.Il terzo comma dell’articolo in esame richiama l’ultimo comma dell’art. 648 c.p. già esaminato.
Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita art. 648 ter c.p.
Il delitto in esame risponde ad una duplice finalità: mentre in un primo momento occorre impedire
13CAPITOLO I - Inquadramento normativo
che il cd. “denaro sporco”, frutto dell’illecita accumulazione, venga trasformato in denaro pulito, in una seconda fase è necessario fare in modo che il capitale, pur così emendato dal vizio di origine, non possa trovare un legittimo impiego.La clausola di riserva contenuta nel comma 1 della disposizione prevede la punibilità solamente di chi non sia già compartecipe del reato principale ovvero non sia imputabile a titolo di ricettazione o riciclaggio. Da ciò deriva che per la realizzazione della fattispecie in esame occorre la presenza, quale elemento qualificante rispetto alle altre figure criminose citate, di una condotta di impiego dei capitali di provenienza illecita in attività economiche o finanziarie.La condotta incriminata consiste nell’impiego dei capitali di provenienza illecita in attività economiche o finanziarie.Impiegare è sinonimo di usare comunque, ossia un utilizzo per qualsiasi scopo. Tuttavia, considerato che il fine ultimo perseguito dal legislatore consiste nell’impedire il turbamento del sistema economico e dell’equilibrio concorrenziale attraverso l’utilizzo di capitali illeciti reperibili a costi inferiori rispetto a quelli leciti, si ritiene che per “impiegare” debba intendersi in realtà “investire”. Dovrebbe, quindi, ritenersi rilevante un utilizzo a fini di profitto.I settori aziendali maggiormente esposti e a rischio per questa tipologia di reato sono quelli commerciale e amministrativo-finanziario.Anche nell’art. 648-ter si rinvia all’ultimo comma dell’art. 648 c.p.
Autoriciclaggio art. 648 ter 1 c.p.
Dal 1° gennaio 2015 è entrata in vigore la Legge n. 186/2014, che ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico il reato di autoriciclaggio di cui al nuovo art. 648 ter 1 c.p. In base alla nuova norma, commette autoriciclaggio chiunque, dopo aver commesso o concorso nella commissione di un delitto non colposo da cui derivano denari, beni o altre utilità, provvede al loro impiego, sostituzione, trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
1.1.6 - Art. 25-sexies D.Lgs. n. 231/2001 e art. 187 quinquies TUF (Abusi di mercato)
Gli artt. 184 e 185 del D.Lgs n. 58/1998 (TUF) disciplinano, rispettivamente, il reato di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, mentre gli artt. 187 bis e 187 ter, sempre del TUF (introdotti dalla Legge Comunitaria), tipizzano, rispettivamente, gli illeciti amministrativi di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato. questi ultimi illeciti sono puniti - salve le relative sanzioni penali applicabili quando il fatto integra un reato - con sanzioni amministrative pecuniarie. Trattandosi di illeciti amministrativi, le sanzioni previste dal TUF si applicano anche quando le condotte richiamate sono poste in essere a titolo di mera colpa. Pertanto, se la fattispecie di illecito presupposto assume rilevanza penale, l’eventuale responsabilità dell’ente sarà accertata in sede giudiziaria; se invece si tratta di un illecito amministrativo - posto in essere comunque nell’interesse o a vantaggio dell’Ente - l’accertamento e l’applicazione delle relative sanzioni spetterà alla Consob: si tratta del sistema del c.d. “doppio binario”, rispetto al quale per una medesima condotta è possibile procedere con due procedimenti paralleli (penale e amministrativo).Di seguito una descrizione delle fattispecie contemplate dall’art. 25 sexies, fatto salvo un rinvio generalizzato alle linee guida di Confindustria che comprende le specifiche misure preventive in materia di abusi di mercato.
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Abuso di informazioni privilegiate: art.184 e art 187 bis del D.Lgs n. 58/1998
Le norme puniscono tre condotte criminose, riferibili ai soggetti che abbiano accesso alle informazioni privilegiate a motivo della propria professione, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero della partecipazione ad organi di amministrazione, direzione o controllo dello stesso e compiano una delle seguenti operazioni: acquisto, vendita o altre operazioni, direttamente o indirettamente, su strumenti finanziari emessi dalla società o da società del gruppo; comunicazione delle informazioni ad altri soggetti al di fuori dell’ordinario esercizio dell’attività lavorativa; raccomandazione ad altri o induzione di altri soggetti ad acquistare, vendere o compiere altre operazioni su strumenti finanziari emessi dalla società o da società del gruppo.Le condotte rilevanti ai fini della commissione dell’illecito penale e di quello amministrativo di abuso di informazione privilegiata coincidono in larga parte, tranne che con riferimento alla sola ipotesi di illecito amministrativo; il tentativo è equiparato alla consumazione e la condotta è sanzionata anche a titolo di mera colpa. Con riferimento inoltre al solo illecito amministrativo, le stesse condotte rilevano anche qualora commesse dai soggetti di cui all’art. 187 bis comma 4 TUF ovvero da chiunque, in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, compie taluno dei fatti ivi descritti. quest’ultima ipotesi è particolarmente sensibile dato che attiene ai c.d. insiders “secondari” ovvero coloro che entrano in possesso di informazioni privilegiate non in ragione dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione anche pubblica o di un ufficio ma indipendentemente dalla propria qualifica (tipico il caso di chi ha conosciuto in via indiretta determinate informazioni e, conoscendo o potendo conoscere il loro carattere privilegiato in base all’ordinaria diligenza, abbia delle stesse abusato ponendo in essere una delle condotte vietate all’insider primario). In via generale, le aree di rischio risultano essere: 1) tutte quelle dove sia possibile accedere ad informazioni privilegiate cioè informazioni sia di pertinenza dell’Ente (interne) e sia di pertinenza di soggetti terzi (esterne) con cui il soggetto, per qualsiasi motivo, sia entrato in contatto; 2) quelle dove si effettuano operazioni sui mercati finanziari.
Tali aree risultano essere a titolo esemplificativo:
• organi sociali• area finanza• area tesoreria• area legale e societario• area comunicazione e ufficio stampa• investor relations
Manipolazione del mercato: art. 185 e art. 187 ter del D.Lgs n. 58/1998
Le norme puniscono chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari. La manipolazione del mercato può consistere nella diffusione di notizie false (c.d. “Manipolazione Informativa”) ovvero nel
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compimento di operazioni simulate o di altri artifici (c.d. “Manipolazione Operativa”), con la finalità, in entrambi i casi, di produrre una distorsione del mercato. Le fattispecie mirano pertanto a reprimere condotte poste in essere al fine di arrecare turbamento al valore di mercato di strumenti finanziari quotati o per i quali sia stata richiesta la quotazione.
Le aree di rischio risultano essere pertanto:
• Finanza• Tesoreria• Componenti organi sociali• Legale, societario• Comunicazione, Ufficio stampa• Investor relations
1.1.7 - Art. 25 duodecies D.Lgs. n. 231/2001
Impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare
Impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare aggravato da:
• numero di lavoratori irregolari superiore a tre;• impiego di minori in età non lavorativa;• sottoposizione a condizioni lavorative di particolare sfruttamento, quali l’esposizione a situazioni di grave
pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
Le aree aziendali di rischio sono:Risorse umane/vertici aziendali, in particolare:
• Stipulazione di contratti di lavoro subordinato (a tempo indeterminato o determinato), parasubordinato ed autonomo;
• distacco di lavoratori.
Acquisti con particolare riferimento a:
• contratti di somministrazione di lavoro;• contratti di appalto;• contratti d’opera.
Nei casi previsti, l’Azienda risponde se il reato è stato commesso dai seguenti soggetti:
• soggetti “Apicali”: persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’Ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale ovvero persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’Ente;
• soggetti “Subordinati”: persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti “apicali”.
CAPITOLO I - Inquadramento normativo
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In generale, si presume la colpevolezza del soggetto apicale, sul quale grava l’onere di dimostrare la mancanza di colpa (inversione dell’onere della prova) ed anche questo è motivo di forte preoccupazione. Tuttavia, ai sensi dell’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001, l’Azienda può esimersi dalla responsabilità se dimostra che:
- l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, Modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli e di aggiornarli è stato affidato ad un Organismo dell’Azienda dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo (Organismo di Vigilanza); - gli autori del reato lo hanno commesso eludendo fraudolentemente i Modelli di organizzazione e di gestione; - non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo.
1.2 - Legge n. 68/2015 sui c.d. “Eco - reati”
A seguito della recente entrata in vigore della legge n. 68/2015 recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, nel codice penale è stato inserito un nuovo titolo che introduce nel nostro ordinamento ulteriori fattispecie di c.d. “ecoreati”. Le presenti Linee Guida contemplano, pertanto, tali principali fattispecie in quanto la legge interviene in materia di responsabilità amministrativa degli Enti, inserendo nel catalogo dei reati presupposto in materia ambientale (v. art. 25 undecies, D.Lgs. n. 231/2001) anche le nuove fattispecie di illecito introdotte nel Codice penale.Sulla base di tali riferimenti, sarà dunque necessaria una attività di modifica/integrazione dei Modelli organizzativi che i vari Enti ed imprese hanno adottato o che inizieranno ad adottare.
Le principali fattispecie di reato contenuti nella legge sono: inquinamento ambientale, disastro ambientale e relative forme colpose, traffico o abbandono di materiale ad alta radioattività e impedimento del controllo.
La prima conseguenza per le imprese dell’inclusione di “nuovi” reati ambientali tra quelli presupposto della responsabilità amministrativa dell’Ente, disciplinata dal D.Lgs. n. 231/2001, è costituita dalla esigenza di verificare la necessità di aggiornamento del “modello organizzativo esimente” (eventualmente) adottato, attuato e vigilato al fine di essere strumento che tuteli le imprese in caso di commissione dei reati da parte di propri dirigenti o dipendenti.
Il modello organizzativo, se adottato dall’impresa, è infatti uno strumento di prevenzione dalla commissione dei reati e, come tale, di esenzione da responsabilità ove detti reati venissero non di meno commessi.
Come per qualsiasi strumento organizzativo, la “manutenzione” del modello esimente deve essere costante e continua, seguendo i mutamenti sia dell’impresa che normativi.
L’inserimento dei reati nel modello organizzativo si risolve in un’operazione meramente documentale, mirata alla completezza redazionale del modello per la parte speciale specifica dei reati ambientali. Più complessa è la rivisitazione dei presidi di prevenzione dei reati e l’eventuale adeguamento degli stessi al fine di renderli idonei a prevenire la commissione anche dei reati di recente inclusione tra
17CAPITOLO I - Inquadramento normativo
quelli previsti dal D.Lgs. n. 231/2001.
A tal fine è da valutarsi se i presidi già attuati e predisposti, a seguito dell’adozione del modello organizzativo, già ricomprendano tutte le immissioni che potenzialmente derivano dalle attività produttive dell’impresa.
In sintesi, essendo i nuovi delitti ambientali dei reati quantomeno di pericolo - reati cioè finalizzati a punire la messa in pericolo di compromissione dell’ambiente a maggior tutela dell’ambiente stesso - se la misura di prevenzione adottata ha già ricompreso controlli e monitoraggi su tutti gli aspetti ambientali coinvolti, la misura di prevenzione può considerarsi sufficiente, mentre se si è limitato il controllo solo su determinate sostanze o matrici ambientali questo andrà esteso, ricomprendendovi tutte le attività e tutte le immissioni potenzialmente presenti.
Va da sé che un approccio siffatto appare idoneo non solo per i delitti di inquinamento e di disastro ambientale, ma anche per quello di traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività.
1.2.1 - Articolo 452 bis c.p.: Inquinamento ambientale
Viene punito chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
• delle acque o dell’aria o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;• di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
La pena è aumentata quando il delitto sia commesso in un’area naturale protetta o sottoposta a vincoli, ovvero in danno a specie animali o vegetali protette. La prescrizione ex articolo 157, c.p. è raddoppiata. Alla condanna segue l’incapacità di contrarre con la P.A.
In caso di condotta colposa la pena è diminuita da un terzo a due terzi. Ulteriore diminuzione di un terzo della pena se dalla condotta colposa deriva un pericolo di inquinamento ambientale.
1.2.2 - Articolo 452 quater c.p.: Disastro ambientale
Fuori dai casi già puniti dall’articolo 434, Codice penale (disastro doloso) è punito chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale. Per disastro ambientale si intende, alternativamente:
• un’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema,• un’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali,• l’offesa all’incolumità pubblica in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della sua compromissione o dei suoi effetti lesivi o per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
La pena è aumentata se il disastro ambientale è commesso in un’area naturale protetta o sottoposta a vincoli, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.
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La prescrizione ex articolo 157, c.p. è raddoppiata. Alla condanna segue l’incapacità di contrarre con la P.A.
In caso di condotta colposa la pena è diminuita da un terzo a due terzi. Ulteriore diminuzione di un terzo della pena può essere concessa se dalla condotta colposa derivi un pericolo di disastro ambientale.
1.2.3 - Articolo 452 sexies c.p.: Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività
Introduce il reato di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene o trasferisce materiale ad alta radioattività. Punito anche il detentore che abbandona tale materiale o se ne disfa illegittimamente.
Si tratta di un reato di pericolo che prevede due aggravanti: la pena è aumentata quando si verifica l’evento della compromissione o del deterioramento dell’ambiente; se dal fatto deriva un pericolo per la vita o l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà. Necessario il dolo, il delitto non viene punito per colpa.
La prescrizione ex articolo 157, c.p. è raddoppiata.
Alla condanna segue l’incapacità di contrarre con la P.A.
1.2.4 - Articolo 452 septies c.p.: Impedimento del controllo
Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, la norma punisce chiunque impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientale e in materia di sicurezza e igiene del lavoro o ne compromette gli esiti ponendo in essere una condotta che neghi l’accesso, predisponga ostacoli o muti artificiosamente lo stato dei luoghi.
Necessario il dolo, il delitto non viene punito per colpa.
La prescrizione ex articolo 157, c.p. è raddoppiata.
Alla condanna segue l’incapacità di contrarre con la P.A.
19CAPITOLO I - Inquadramento normativo
1.3 - Il Sistema sanzionatorio
Il sistema sanzionatorio introdotto dal D.Lgs. n. 231/2001 prevede le seguenti tipologie di sanzioni:
• sanzioni pecuniarie;• sanzioni interdittive;• confisca del prezzo o del profitto del reato;• pubblicazione della sentenza.
In caso di accertamento della responsabilità, le sanzioni pecuniarie si applicano sempre, attraverso un sistema per quote. L’importo di una quota può variare da un minimo di 250 euro ad un massimo di 1.549 euro, mentre il numero di quote su cui si calcola la sanzione può variare da un minimo di cento quote ad un massimo di mille quote.
Il numero delle quote viene determinato tenendo conto della gravità dell’illecito, del grado di responsabilità dell’Ente e delle attività svolte per eliminare o mitigare le conseguenze del fatto, ovvero per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.
In aggiunta alle sanzioni pecuniarie, sono previste sanzioni interdittive, di una durata che va da un minimo di tre mesi ad un massimo di due anni. Le sanzioni interdittive si applicano quando l’Ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e se il reato è stato commesso da soggetti apicali o, nel caso in cui il reato sia stato commesso da soggetti sottoposti, se la commissione del reato sia stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative, ovvero in caso di reiterazione degli illeciti. Le sanzioni interdittive comprendono: l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, delle licenze o delle concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi e la revoca di quelli eventualmente già concessi, il divieto di pubblicizzare beni e servizi. Nei casi più gravi, può essere anche disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.
Infine, può essere disposta la pubblicazione della sentenza di condanna quando nei confronti dell’Ente viene applicata una sanzione interdittiva. Risulta evidente come la normativa configura un sistema sanzionatorio che espone l’Ente a conseguenze potenzialmente gravi, potendo giungere fino alla cessazione dell’attività (si pensi, a titolo di esempio, alle ditte appaltatrici che operano esclusivamente per la Pubblica Amministrazione).
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CAPITOLO III Modelli Organizzativi
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Introduzione
Sebbene i Modelli di Organizzazione e Gestione (Modelli organizzativi) siano previsti dal D.Lgs. n. 231/2001 e pur svolgendo un ruolo determinante nella possibilità di esimere le imprese dalle pesanti forme di responsabilità, il legislatore non ha dato indicazioni su come debbano essere predisposti detti Modelli. Diverse associazioni di imprese hanno avvertito pertanto l’esigenza di predisporre delle linee guida che rappresentino un riferimento molto importante per la predisposizione di un Modello organizzativo. A tal fine, per la completa ed efficace costruzione di un modello organizzativo si richiamano Linee Guida di Confindustria a completamento del presente documento.
In generale i Modelli di organizzazione e gestione devono rispondere alle esigenze di:
• individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;• prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’Azienda in relazione ai reati da prevenire;• individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;• prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei Modelli (Organismo di Vigilanza);• introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello.
Il Modello, inoltre, deve prevedere un sistema di controllo preventivo, le cui componenti sono:
• un Codice Etico;• un sistema organizzativo formalizzato e chiaro (responsabilità, linee di dipendenza gerarchica, ecc.);• procedure manuali ed informatiche dotate degli opportuni punti di controllo (es. separazione dei compiti);• poteri autorizzativi e di firma coerenti con le responsabilità organizzative e gestionali con puntuale indicazione di soglie di approvazione delle spese;• un sistema di controllo di gestione che segnali tempestivamente situazioni di criticità;• la Comunicazione al personale e sua formazione.
questo è necessario al fine di esonerare l’Azienda da responsabilità per reati commessi dai suoi amministratori e/o dipendenti: il cosiddetto “meccanismo esimente” di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001.
Il Modello organizzativo deve dunque essere elaborato sulla base di un processo, articolato in diverse fasi, mirato alla realizzazione di un sistema di controllo idoneo a prevenire e a contrastare la commissione dei reati previsti dal D.Lgs. n. 231/2001.
Per la costruzione del Modello è di fondamentale importanza individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati (art. 6, co. 2, lett. a). Tale attività si concretizza in un’analisi puntuale del contesto aziendale, volta ad evidenziare dove (in quale area e/o settore di attività) si possono concretamente verificare le fattispecie di reato previste dal D.Lgs. n. 231/2001 e ad identificare i soggetti da sottoporre all’attività di monitoraggio contestualmente interessati in ciascun ambito.L’analisi del contesto operativo interno ed esterno può essere condotta secondo approcci diversi (per aree operative, per attività, per funzioni, per processi) e deve essere oggetto di una revisione periodica, mirata a confermare la validità della stessa nel tempo, ovvero condotta ogniqualvolta
CAPITOLO II - I Modelli Organizzativi
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l’Azienda subisca vicende modificative della propria operatività (quali acquisizioni, fusioni, scissioni, ecc.) o ancora in presenza di particolari circostanze (quali mutamenti della legislazione di riferimento).Una volta identificate le aree aziendali a potenziale rischio di commissione dei reati, è necessario effettuare un’analisi delle possibili modalità attuative in ciascuno degli ambiti identificati, che sfoci in una rappresentazione esaustiva e documentata delle potenziali modalità attuative degli illeciti rispetto al contesto operativo in cui opera l’Azienda, sulla base di dati e informazioni relativi ad aspetti interni (quali ad es. la storia e le vicende passate dell’Azienda, la struttura organizzativa e l’articolazione territoriale, le caratteristiche dell’attività svolta) ed esterni (quali ad es. le caratteristiche degli altri soggetti del settore, eventuali illeciti da questi commessi nello stesso ramo di attività). Ai fini dell’applicabilità dell’esimente della responsabilità dell’Ente, è opportuno che siano documentate tutte le diverse fasi seguite per la predisposizione del Modello e quelle successive della sua revisione sistematica e delle eventuali modifiche al Modello stesso. è quindi fondamentale stabilire una mappatura documentata delle aree aziendali a potenziale rischio di commissione dei reati, propedeutica alla successiva fase di identificazione delle possibili modalità attuative degli stessi (vedi capitolo 3).
2.1 - Sistema di controllo e sistema disciplinare
Premesso che il sistema dei controlli deve essere cioè ragionevolmente idoneo ad individuare e a prevenire le condotte penalmente rilevanti poste in essere dall’Ente stesso o dai soggetti sottoposti alla sua direzione e/o vigilanza, il dettato legislativo prevede il concetto di “elusione fraudolenta” del Modello ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’Ente. Pertanto, la soglia di accettabilità del sistema di controllo preventivo del rischio di commissione dei reati ex D.Lgs. n. 231/2001 può essere identificata, nel caso di reati dolosi, in un sistema di prevenzione tale da non poter essere aggirato se non in modo fraudolento. La “colpa di organizzazione” potrà quindi non configurarsi nei casi in cui il reato sia frutto di un’elusione volontaria del Modello da parte del soggetto responsabile, non prevenibile né prevedibile da parte dell’Ente, attraverso l’impiego di criteri di diligenza appropriati rispetto alle dimensioni, alla struttura organizzativa ed alla natura dell’attività dell’Ente stesso. Un ulteriore approfondimento è riportato nelle Linee Guida di Confindustria (cap. II, paragrafi 2 e 3).
Il D.Lgs. n. 231/2001 richiede che il sistema di controllo preventivo adottato dall’organo dirigente debba articolarsi in una serie di protocolli, ovvero in un complesso di regole aventi la finalità di disciplinare le attività aziendali definendo ruoli, responsabilità e principi di controllo,tali da garantire che i rischi di commissione dei reati, individuati e documentati nelle fasi precedenti, non oltrepassino la “soglia di accettabilità”. L’Azienda deve dunque procedere alla costruzione di un sistema di controllo preventivo (ovvero alla valutazione e all’eventuale adeguamento del sistema esistente, nell’ipotesi che ne sia già dotata); allo stesso tempo deve provvedere a destinare al sistema risorse finanziarie di entità sufficiente a garantirne funzionalità ed efficacia. Le componenti di un sistema di controllo preventivo possono essere molteplici e variare in relazione alla natura ed alle finalità specifiche del sistema all’interno dell’Azienda. Con riferimento al controllo preventivo dei reati previsti dal D.Lgs. n. 231/2001, le principali componenti del sistema possono essere individuate nei seguenti elementi:
- Codice etico; - Struttura organizzativa;- Gestione operativa e monitoraggio del sistema;- Comunicazione e coinvolgimento del personale;
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- Formazione e addestramento del personale.
L’adozione di principi etici in relazione ai comportamenti da tenere circa le fattispecie di reato previste dal D.Lgs. n. 231/2001 costituisce la base su cui fondare il sistema di controllo preventivo. Tali principi possono essere integrati all’interno del Codice etico o di condotta aziendale nel caso in cui l’Ente sia già dotato di tale strumento, ovvero essere oggetto di autonoma previsione. Il Codice etico è un documento ufficiale, adottato e approvato dal vertice aziendale, contenente l’insieme dei diritti, dei doveri e delle responsabilità dell’Ente nei confronti dei suoi “portatori di interesse” (dipendenti, fornitori, clienti, Pubblica Amministrazione, azionisti, ecc.), ai quali devono adeguarsi tutti i collaboratori dell’Ente e più in generale tutti i soggetti che agiscono per conto dello stesso.
Si possono identificare alcuni elementi che devono costituire i contenuti minimi del Codice etico in relazione ai reati ex D.Lgs. n. 231/2001:
• Legalità - implica da un lato il rispetto della normativa vigente in tutti i Paesi in cui l’Ente opera da parte dei dipendenti e di tutti i soggetti che intrattengono relazioni con esso, dall’altro l’impegno dell’Ente stesso a sensibilizzare, informare e formare adeguatamente tutti i soggetti interessati;
• Trasparenza,correttezzaetracciabilitàdelleazioni/operazioni - tutte le azioni e le operazioni poste in essere dall’Ente devono essere legittime, correttamente autorizzate, registrate e documentate, al fine di garantire la verificabilità e la tracciabilità del processo di decisione, autorizzazione e svolgimento delle stesse;
• Rapporticongliinterlocutori - il Codice etico deve contenere i principi base di comportamento nei confronti degli interlocutori interni ed esterni dell’Ente, vietando espressamente tutti quei comportamenti che potrebbero configurare tali ipotesi di illeciti (quali ad es. l’offerta di denaro o di doni a dirigenti, funzionari o dipendenti della Pubblica Amministrazione, o l’accettazione degli stessi da parte dei dipendenti dell’Ente).
A fronte dell’insieme di prescrizioni contenute nel documento, il Codice etico contiene in genere una sezione dedicata al sistema di sanzioni adottabili in caso di violazione delle norme in esso contenute ed una sezione relativa alle forme e alle modalità di divulgazione del Codice stesso, diversamente articolate a seconda dei soggetti destinatari e compatibili con la legislazione e con la contrattualistica in vigore. La previsione di un adeguato sistema disciplinare per la violazione delle norme del Codice etico e in generale di un “sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello” è oggetto di specifica previsione normativa all’interno del D.Lgs. n. 231/2001 e costituisce condizione imprescindibile ai fini dell’efficace attuazione del Modello stesso.
2.2 - L’organizzazione e le procedure aziendali
Ai fini della costruzione del Modello, la struttura organizzativa aziendale deve articolarsi in un sistema sufficientemente formalizzato e chiaro in termini di attribuzione di ruoli e di responsabilità, di linee di dipendenza gerarchica e di descrizione dei compiti. L’organizzazione aziendale deve essere improntata in modo tale da assicurare il rispetto di una serie di principi di controllo, mirati ad assicurare l’efficacia del sistema di controllo preventivo e a garantire così la capacità del Modello di contrastare i rischi identificati:
- il principio della documentabilità delle operazioni, volto a dare evidenza documentale delle modalità di autorizzazione, esecuzione, registrazione e verifica di ogni operazione aziendale e i rispettivi soggetti coinvolti;
CAPITOLO II - I Modelli Organizzativi
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- il principio di separazione delle funzioni, finalizzato ad evitare che un singolo processo/attività possa essere gestito in autonomia da un solo soggetto all’interno dell’Azienda;
- il principio di documentazione dei controlli, in base al quale deve essere garantita adeguata evidenza documentale dell’effettuazione di tutti i controlli presenti nel sistema, inclusi quelli di supervisione.
Con riferimento agli ambiti della gestione ambientale, l’assetto organizzativo aziendale deve prevedere compiti e responsabilità definiti ed attribuiti in coerenza con la struttura organizzativa complessiva dell’Azienda. La definizione chiara e formalizzata dei compiti e delle responsabilità che devono essere sistematicamente documentati. Per ogni area di attività/processo avente un’esposizione diretta o indiretta verso il D.Lgs. n. 231/2001 devono essere predisposti (o adeguati) specifici protocolli di controllo (sotto forma di procedure, regole, disposizioni, comunicazioni) diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’Azienda in relazione ai reati da prevenire. Particolare attenzione va dedicata alle modalità di gestione dei flussi finanziari, in cui il controllo procedurale si può avvalere di strumenti consolidati nella pratica amministrativa aziendale (quali abbinamento firme, riconciliazioni frequenti, ecc.). Altrettanta attenzione va posta nella definizione delle modalità di gestione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione, prevedendo una procedura che identifichi chiaramente le responsabilità e le modalità operative per richieste di autorizzazioni/notifiche, di esportazione/iscrizioni e di un sistema di controlli che assicuri il rispetto di tale procedura.I protocolli di controllo hanno lo scopo di monitorare continuativamente la gestione operativa dell’Azienda e di fornire tempestiva segnalazione dell’esistenza e/o dell’insorgere di situazioni di potenziale criticità, anche attraverso l’utilizzo di opportuni indicatori relativi alle diverse tipologie di rischio rilevato.Esempi di protocolli di controllo possono essere:
• programmi di controllo sui processi di mappatura delle aree di rischio e dei segnali premonitori di potenziali irregolarità;• programmi di revisione operativa interna o esterna: - su segnalazione o su segnali premonitori; - sulle aree/processi a rischio; - di “compliance” al Modello organizzativo.• programmi per la gestione ed il controllo delle variazioni del ciclo produttivo che siano trasversali sia
alla gestione ambientale (nuovi scarichi, nuovi rifiuti, nuove emissioni), sia alla gestione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (aggiornamento della valutazione dei rischi in caso di ricezione di nuovi rifiuti/utilizzo di nuove sostanze chimiche, reagenti, ecc.).
La gestione operativa in relazione al controllo dei rischi per la commissione di reati contro l’ambiente deve integrarsi nel sistema di protocolli e nella gestione complessiva aziendale. L’identificazione dei pericoli presenti in aree/processi e la valutazione dei rischi associati, effettuate nelle fasi precedenti, costituiscono il punto di partenza per la definizione delle procedure e delle modalità per la regolazione della gestione operativa in sicurezza delle attività aziendali.
Particolare attenzione in questo ambito rivestono l’acquisizione di beni e servizi da parte dell’Azienda e la comunicazione delle opportune informazioni a fornitori ed appaltatori;
- la manutenzione normale e straordinaria degli impianti e dei mezzi; - la qualificazione e la selezione di fornitori ed appaltatori;
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- la gestione delle emergenze; - la gestione delle difformità rispetto agli obiettivi stabiliti e alle regole del sistema di controllo; - l’organizzazione del lavoro e delle postazioni di lavoro; - l’assunzione e la qualificazione del personale.
2.3 - Informazione e Formazione del personale
L’informazione e la formazione rappresentano un aspetto di fondamentale importanza. La finalità preventiva del Modello organizzativo del D.Lgs. n. 231/2001 trova piena espressione nell’esigenza di assicurare la formazione di tutte le componenti aziendali che devono concorrere all’efficace attuazione dello stesso. L’Azienda deve quindi sviluppare un adeguato programma di formazione, diversificato - per frequenza e contenuti - in funzione dei destinatari (soggetti apicali, soggetti sottoposti, membri dell’Organismo di Vigilanza) e dei differenti livelli di responsabilità e di rischio propri delle attività di ciascuno. La formazione deve illustrare le ragioni di opportunità e quelle giuridiche alla base dell’adozione del Modello ed avere ad oggetto tutte le sue componenti (Codice etico, struttura, organizzazione e funzionamento aziendale, protocolli di controllo, Organismo di Vigilanza, sistema disciplinare). In relazione alla gestione ambientale, l’attività può interessare un elevato numero di lavoratori, che devono ricevere una formazione sufficiente ed adeguata con riferimento in particolare ai pericoli per l’ambiente connessi con il proprio posto di lavoro e le proprie mansioni. La formazione deve essere effettuata in occasione dell’assunzione, del trasferimento o del cambiamento di mansioni del lavoratore, ovvero ogniqualvolta vengano introdotte in Azienda nuove attrezzature, tecnologie, sostanze e/o preparati pericolosi.
Al fine di assicurare l’effettività del Modello, l’Azienda deve prevedere controlli sulla frequenza e sulla qualità dei contenuti del programma di formazione e valutazioni sulla loro efficacia, e provvedono anche a registrare e produrre un’adeguata evidenza documentale dello svolgimento del programma stesso.
La comunicazione è un’ulteriore importante requisito ai fini dell’efficacia del Modello e, come per la formazione, deve riguardare tutte le sue componenti. La comunicazione deve essere capillare,efficace,autorevole - ovvero emessa da un livello adeguato - chiara,dettagliataeperiodicamenteripetuta. All’interno dell’Azienda, l’informazione e la comunicazione in relazione all’adozione del Modello, alle sue finalità e al suo funzionamento devono mirare a favorire il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, promuovendone la consapevolezza e l’impegno al rispetto dello stesso.
Altrettanto importante è la comunicazione esterna da parte dell’Azienda dell’avvenuta adozione del Modello ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, rivolta in particolare a tutti quegli interlocutori coinvolti nelle aree di attività e nei processi identificati come sensibili ai fini della commissione dei reati (ad es. fornitori critici). è necessario, dunque, adottare strumenti e modalità di comunicazione specificamente rivolti a tali interlocutori, con l’obiettivo di informarli sul Modello e su tutte le sue componenti, ovvero di coinvolgerli nell’impegno al rispetto del Modello stesso (ad es. attraverso l’introduzione di specifiche clausole all’interno dei contratti). Ai fini dell’evidenza documentale è importante altresì che l’Ente preveda meccanismi atti a garantire un’informativa di ritorno sull’avvenuta conoscenza e accettazione da parte dei soggetti esterni del Modello.
CAPITOLO II - I Modelli Organizzativi
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2.4 - Il sistema di controllo e l’Organismo di Vigilanza
La gestione operativa del sistema deve essere oggetto di una periodica attività di controllo e monitoraggio, mirata a verificare la funzionalità e l’efficienza del sistema e il permanere della sua validità nel tempo. L’impostazione di un piano di monitoraggio deve svilupparsi attraverso: - la pianificazione e la programmazione temporale delle attività; - l’attribuzione di compiti e le responsabilità esecutive; - la descrizione delle metodologie da seguire; - le modalità di segnalazione delle eventuali situazioni difformi.. Nel loro complesso le attività sopra descritte costituiscono un primo livello di monitoraggio sul funzionamento del Modello: queste vengono svolte generalmente dalle risorse interne dell’Azienda, sia in termini di autocontrollo da parte del singolo lavoratore nello svolgimento del proprio lavoro, sia in termini di verifica della applicazione delle misure di natura organizzativa e procedurale previste da parte di soggetti identificati in sede di attribuzione delle responsabilità. A tale attività di verifica va ad aggiungersi un secondo livello di monitoraggio sulla funzionalità del sistema adottato. Ulteriore livello di monitoraggio per le Organizzazioni più strutturate e di dimensioni medio-grandi è effettuato dall’Internal audit che fornisce assurance, ovvero valutazioni indipendenti sul disegno e sul funzionamento del complessivo sistema di controllo interno, accompagnato da piani di miglioramento definiti in accordo con il management (Cfr. Linee Guida di Confindustria cap. II par. 3).Come accennato, l’Azienda può beneficiare del meccanismo esimente della responsabilità qualora l’organo dirigente, oltre ad aver adottato il Modello conformemente agli elementi sopra esposti, abbia “affidato il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza del Modello e di curarne l’aggiornamento ad un organismo dell’Ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo”. La normativa non contiene riferimenti in merito alla composizione dell’Organismo di Vigilanza, che può dunque essere sia mono che plurisoggettiva. Pur in assenza di tali indicazioni esplicite, l’individuazione di tale Organismo all’interno dell’Azienda non può però prescindere dalle finalità alla base dell’impianto normativo del D.Lgs. n. 231/2001; deve quindi essere tale da assicurare anzitutto l’effettivitàdeicontrolli, in relazione alla dimensione ed alla complessità organizzativa dell’Ente. L’unica previsione specifica della disciplina riguarda la possibilità che, negli Enti di piccole dimensioni, il ruolo e i compiti propri dell’Organismo di Vigilanza vengano assolti dall’organo dirigente. Tale impostazione riflette la posizione espressa dalla giurisprudenza, che ha ribadito l’esigenza di definire la composizione dell’ODV anche in relazione alle dimensioni aziendali. Pertanto, mentre negli Enti di piccole dimensioni (che non si avvalgano della facoltà sopracitata) una composizione monocratica dell’Organismo può ritenersi conforme ai requisiti del D.Lgs. n. 231/2001, in quelli di medie e grandi dimensioni appare preferibile una composizione di tipo collegiale.
Le principali attività che l’Organismo di Vigilanza è chiamato ad assolvere possono sintetizzarsi nei seguenti compiti: - vigilanza sull’osservanza e sull’effettività del Modello; - raccolta e accertamento di tutte le informazioni necessarie in merito ad eventuali condotte illecite e proposizione delle conseguenti sanzioni; - disamina in merito all’adeguatezza del Modello, ovvero alla sua effettiva capacità di prevenire le violazioni rispetto al Modello stesso; - analisi circa il mantenimento nel tempo dei requisiti del Modello; - cura del necessario aggiornamento del Modello, attraverso proposte di adeguamento dello
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stesso agli organi e alle funzioni aziendali responsabili dell’accoglimento e dell’attuazione e verifica dell’effettivo recepimento delle soluzioni proposte.
Le attività descritte presuppongono competenze, tecniche, strumenti specifici ed una elevata continuità di azione. L’insieme di tali attività configura quello che, a completamento di quanto espresso nella sezione dedicata alla gestione e al controllo operativo, è possibile definire come monitoraggio di secondo livello del sistema, in quanto deve vigilare anche sulle decisioni adottate dall’organo dirigente, sull’assegnazione delle risorse e sull’applicazione delle procedure di controllo dell’Ente.In relazione alla possibile identificazione dell’Organismo di Vigilanza con altri organi e strutture dell’Ente (Consiglio di Amministrazione, Collegio sindacale, strutture aziendali di controllo preesistenti), va osservato che la Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 231/2001 si riferisce all’ODV quale “struttura che deve essere costituita al suo (dell’Ente) interno”, portando così ad escludere il riferimento al Consiglio di Amministrazione. In materia, ulteriori approfondimenti sono riportati nelle Linee Guida di Confindustria (cap. IV, par. 2).
Le principali caratteristiche dell’ODV sono:• Autonomiae indipendenza - i requisiti di autonomia e di indipendenza dell’ODV si riferiscono alla
funzionalità dell’Organismo e allo svolgimento dei compiti attribuitigli dalla normativa. Si richiede quindi anzitutto l’autonomia dell’iniziativa di controllo da qualsiasi forma di interferenza e/o di condizionamento da parte di qualunque soggetto dell’Ente, e in particolare dell’organo dirigente. è essenziale inoltre che all’ODV non siano attribuiti compiti operativi all’interno dell’Azienda, che potrebbero minarne l’obiettività in sede di verifica del Modello. Nel caso di organismi composti da soggetti sia esterni sia interni all’Ente, poiché questi ultimi, come tali, non sono totalmente indipendenti da esso, hanno un grado di indipendenza dall’Ente che dovrà essere valutato nella sua globalità.
• Professionalità - il requisito della professionalità attiene il complesso delle conoscenze, delle competenze e degli strumenti che l’ODV deve possedere per svolgere efficacemente i suoi compiti, ricomprendendo metodologie e tecniche specifiche proprie sia dell’attività ispettiva che dell’attività di analisi dei sistemi di controllo, oltreché competenze giuridiche e in particolare penalistiche. Per l’acquisizione di tali conoscenze e strumenti, l’ODV può e deve avvalersi di tutte le risorse aziendali competenti nei diversi ambiti, ovvero può decidere di avvalersi di risorse esterne all’Ente.
• Continuitàdiazione - La continuità di azione dell’ODV si pone come requisito necessario al fine di poter garantire il corretto svolgimento dei suoi compiti e, quindi dell’idoneità e dell’efficacia del Modello. Per le aziende di medie e grandi dimensioni ciò comporta la previsione dell’ODV in termini di struttura dedicata a tempo pieno all’attività di vigilanza del Modello.
L’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 prevede “obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza del Modello”. Tale previsione legislativa mira a facilitare lo svolgimento dei compiti di vigilanza propri dell’ODV, ovvero di verifica a posteriori da parte dell’Organismo delle cause che hanno reso possibile il verificarsi di un reato. In quest’ottica è importante che l’Organismo fruisca di un efficiente sistema di reporting, che garantisca un’informazione costante in merito alle risultanze periodiche delle attività di controllo e alle anomalie ed atipicità riscontrate. Il Modello, inoltre, deve prevedere il dovere, per ciascun dipendente, di dare all’Organismo tutte le informazioni che esso richieda nell’esercizio delle sue funzioni, con particolare riferimento alla commissione di reati o comunque a comportamenti non in linea con le regole di condotta adottate dall’Ente. Allo stesso tempo è fondamentale il riconoscimento, a tutto il personale dell’Ente e ai suoi collaboratori, della piena libertà di rivolgersi direttamente all’Organismo per segnalare violazioni del Modello, ovvero altre eventuali irregolarità in forma anonima e senza ritorsioni.
CAPITOLO II - I Modelli Organizzativi
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CAPITOLO IIICriteri di analisi dei processi
di un’Azienda che effettua la gestionedei rifiuti, rilevanti ai fini
del D.Lgs. 231/2001
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Introduzione
L’identificazione dei rischi e dei controlli/protocolli per la prevenzione degli illeciti ambientali relativi al D.Lgs. n. 231/2001 (art. 25 undecies del decreto) e l’adeguamento del Modello di organizzazione e gestione possono avvenire coerentemente con le “Linee guida per la costruzione dei Modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231” di Confindustria (di seguito “L.G. Confindustria”).Le modalità descritte in tale documento sono applicabili anche a questa tipologia di reati.Nel presente capitolo, coerentemente con le L.G. Confindustria, verranno fornite indicazioni specifiche ed esempi di applicazione per l’adeguamento del Modello di organizzazione e gestione agli illeciti ambientali nelle società che gestiscono servizi ambientali.
In particolare le fasi principali in cui deve articolarsi l’attività di individuazione dei rischi e protocolli (cfr. art. 6, co. 2, del D.Lgs. n. 231/2001) sono:
• l’identificazione dei rischi, ovvero l’analisi ed identificazione dei processi sensibili (cap 3.1);• la progettazione del sistema di controllo, ovvero la definizione dei controlli e dell’action plan (cap 3.2).
3.1 - Analisi ed identificazione dei processi sensibili
L’art. 6, co. 2, lett. a del decreto indica, come uno degli elementi essenziali dei Modelli di organizzazione, gestione e controllo previsti dal decreto, l’individuazione delle cosiddette attività “sensibili”, ossia di quelle attività aziendali nel cui ambito potrebbe presentarsi il rischio di commissione di uno dei reati espressamente previsti dallo stesso decreto.
Mentre per quanto riguarda le società che operano in business diversi da quelli ambientali l’identificazione puntuale delle attività sensibili per i reati ambientali potrebbe risultare difficoltosa o non opportuna, per le società in oggetto a questo documento può risultare una semplificazione per i successivi passaggi.Infatti le attività di gestione rifiuti e monitoraggio dell’impatto ambientale costituiscono, generalmente, l’oggetto centrale del business per le società di servizi ambientali.
è necessario quindi individuare, con riferimento al rischio di commissione dei reati di cui all’art. 25 undecies del decreto, le ”attività sensibili”, tra quelle svolte dall’Azienda (di seguito “processi sensibili”), sia tra i processi di supporto (ad es. Formazione), sia tra quelli di Business (ad es. Esercizio Impianti, Trasporto, ecc.).L’attività di individuazione dei processi sensibili può avvenire secondo quanto indicato dalle L.G. Confindustria.questa valutazione può essere effettuata, coerentemente con quanto indicato nelle L.G. Confindustria, sia con il supporto di un organismo aziendale dedicato, sia come autovalutazione del management.Le aree di business che possono essere identificate sono:
- trattamento rifiuti (incluse attività commerciale e organizzazione dei trasporti);- intermediazione;- trasporto;- bonifiche.
CAPITOLO III - Criteri di analisi dei processi di un’Azienda che effettua la gestione dei rifiuti, rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/2001
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Riportiamo come esempio un elenco di processi “di business sensibili” per l’area trattamento rifiuti (in neretto sono riportati i processi di Business preliminarmente considerati sensibili):
Di seguito inoltre alcuni processi “di supporto” potenzialmente sensibili, validi per tutte le aree di business:
Area di Business
Macro-processo Processo
Trat
tam
ento
rifi
uti (
smal
timen
to e
rec
uper
o)
Gestione clienti Fatturazione
Gestione informazioni e reclami
Pianificazione dei conferimenti/trasporti
Supporto post vendita
Gestione impianti Gestione flussi in ingresso
Analisi di laboratorio
Esercizio impianti
Gestione flussi in uscita
Manutenzione Impianti
Monitoraggi ambientali (suolo, acque, aria)
Pronto intervento e gestione dell’emergenza
Commerciale Gestione gare
Marketing e scouting nuove opportunità
Negoziazione diretta
Omologa rifiuti
Macro-processo Processo
Approvvigionamenti Acquisti
Gestione fornitori (qualifica, …)
Ambiente e Sicurezza Audit Ambiente e Sicurezza
Personale Addestramento e Formazione
Servizi generalie gestione immobiliare
Gestione immobiliare
Servizi generali
Proc
essi
di s
uppo
rto
Per ciascun processo sensibile è necessario identificare i responsabili del processo, risorse con una conoscenza approfondita di tali processi/attività e dei meccanismi di controllo attualmente in essere (Process Owner), in grado di fornire il supporto operativo necessario a dettagliare le attività / processi sensibili identificati e i relativi meccanismi di controllo.
31CAPITOLO III - Criteri di analisi dei processi di un’Azienda che effettua la gestione dei rifiuti, rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/2001
è opportuno successivamente condurre un’analisi dettagliata per i processi considerati preliminarmente sensibili dell’attività e della fattispecie di reato, per verificare se durante l’esecuzione dei processi sensibili possono verificarsi reati e quali si riscontrino.
quindi per ciascuno di questi processi aziendali è necessario indicare se qualcuno dei reati dell’art. 25 undecies del decreto sia applicabile. questo tipo di analisi conduce ad un output che è possibile sintetizzare con una matrice che riporta in riga e colonna rispettivamente i processi sensibili e le fattispecie di reato. Negli allegati sono riportati i possibili output dell’analisi riferita rispettivamente alle attività di intermediazione senza detenzione, di logistica/trasporto e di gestione impianto.
Per quanto concerne le attività di bonifica di siti inquinati va rimarcato che, oltre alla macro voce “gestione commessa”, l’attività specifica va analizzata di volta in volta ai fini della identificazione dei processi sensibili.
L’attività di bonifica si presenta sempre in modo peculiare. Già a livello di progettazione dell’intervento di bonifica si potrebbe incorrere in qualche problematica inerente ai reati ambientali: si pensi alle attività preliminari e all’elaborazione del progetto che prevedono caratterizzazioni da eseguire in campo e che possono consistere sia in carotaggi, sia in prove di emungimento, sia in realizzazione di trincee, laddove la disomogeneità dell’inquinamento lasci pensare che il solo carotaggio sia insufficiente ad evidenziare i livelli di contaminazione del suolo. Successivamente il procedimento di bonifica può prevedere, in funzione del Modello concettuale adottato, diverse modalità di intervento: messa in sicurezza di emergenza, messa in sicurezza permanente, bonifica della falda, asportazione degli strati contaminati e trattamenti on site.
è evidente che ognuno di questi approcci dovrà essere specificamente analizzato al fine di stabilire, in funzione delle tipologie di reato presupposto, i processi sensibili.Se dovessimo produrre una tabella, analoga a quella allegate, per una attività generica di bonifica, con tutta probabilità, non avremmo nessun incrocio privo di evidenza.
Nel capitolo successivo, a ciascuna di queste coppie reato/processo verranno associati uno o più controlli per prevenire la commissione dei reati.
3.2 - Definizione dei controlli e dell’action plan
Per ciascun processo dovranno essere indicati quali controlli sono necessari all’Azienda per prevenire il verificarsi degli illeciti che potenzialmente impattano su quel processo, come emersi dall’analisi del cap 3.1. In particolare è opportuno effettuare inizialmente un’analisi del sistema di controllo esistente (as-is) per ogni processo. questa analisi può essere svolta sulla base di documenti interni aziendali (ad es. procedure), oppure sulla base di interviste per far emergere prassi anche non formalizzate. In seguito è opportuno rilevare la differenza (aree di miglioramento) tra i controlli attualmente in essere ed i controlli ritenuti idonei a ridurre il rischio di commissione dei reati ad un livello accettabile secondo la definizione delle L.G. Confindustria e identificare azioni di miglioramento, che consentano di allineare l’attuale sistema di controllo interno (ad es. procedure, deleghe e/o procure) ai requisiti imposti dalla normativa.
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queste azioni di miglioramento daranno quindi origine a specifici piani di azione comprensivi di azione, responsabilità e scadenza, che contribuiranno a rafforzare il sistema di controllo interno. I piani di azione così definiti possono essere integrati negli “argomenti da migliorare” del Sistema di Gestione Ambientale, qualora ve ne sia uno all’interno dell’Azienda (vedi capitolo 4).
questo tipo di analisi conduce ad un output che è possibile sintetizzare con una matrice che riporta i processi sensibili, i controlli per ciascun processo, e gli owner dei controlli come quella riportata nella Tabella 2.
I controlli possono poi essere formalizzati:
• direttamente nel Modello di organizzazione e gestione o in un suo allegato;• nelle procedure operative aziendali (anche quelle relative al Sistema di Gestione Ambientale), opportunamente richiamate nel Modello. I controlli dovranno essere coerenti con i “principi” delle L.G. Confindustria (documentazione dei controlli, separazione di funzioni, tracciabilità) e potranno essere:
a) trasversali a tutti i processi/reati; b) specifici e applicabili solo a determinati processi/reati.
Nel seguito del capitolo vengono presentati alcuni esempi di controlli per i reati ambientali.
3.2.1 - Esempi di controlli trasversali a tutti i processi/reati
Controlli trasversali a tutti i processi/reati possono includere:
• politica: esistenza di una politica ambientale formalizzata che definisca il quadro di riferimento per stabilire e riesaminare gli obiettivi e i traguardi in materia ambientale;
• identificazione e valutazione degli aspetti ambientali: esistenza di una procedura aziendale che definisca ruoli, responsabilità e metodologie da adottarsi per l’identificazione, la valutazione e la tracciabilità degli aspetti ambientali delle proprie attività (valutazione dei rischi ambientali);
• obiettivi e traguardi: esistenza di obiettivi e traguardi di miglioramento delle prestazioni ambientali e programmazione formalizzata degli stessi. Sono stabilite, inoltre, modalità e responsabilità circa il controllo dello stato di avanzamento dei programmi e sono previste responsabilità in materia d’approvazione, effettuazione e rendicontazione delle spese in tema di ambiente;
• sistema di procure/ deleghe: esistenza di un sistema formalizzato di deleghe di funzioni in materia ambientale;
• ruoli e Responsabilità: esistenza di documentazione che definisca ruoli e responsabilità sul Sistema di Gestione Ambientale e sulla gestione delle tematiche ambientali;
• documentazione: esistenza, nelle procedure aziendali, di specifici riferimenti che disciplinino ruoli, responsabilità e modalità relative alla gestione, all’archiviazione e al controllo della documentazione rilevante in materia ambientale.
33CAPITOLO III - Criteri di analisi dei processi di un’Azienda che effettua la gestione dei rifiuti, rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/2001
In particolare dovranno essere esplicitate le modalità di gestione degli atti autorizzativi, delle comunicazioni da/per gli Enti di controllo e delle registrazioni obbligatorie:
• reporting: esistenza, nelle procedure aziendali di specifici riferimenti che disciplinino ruoli, responsabilità e modalità operative delle attività di reporting verso l’Organismo di Vigilanza. Tale reporting deve garantire la tracciabilità e la disponibilità dei dati relativi alle attività inerenti al Sistema di Gestione Ambientale (ad es. scostamenti tra i risultati ottenuti e gli obiettivi programmati, risultati degli audit, ecc.) e modifiche che possano comportare la necessità di aggiornare il Modello;
• riesame - esistenza di una procedura aziendale che definisca ruoli, responsabilità e modalità di conduzione del processo di riesame effettuato dall’Alta Direzione aziendale in relazione alla gestione delle tematiche ambientali da parte dell’Azienda.
I controlli precedentemente illustrati possono essere integrati da attività e documenti definiti nel Sistema di Gestione Ambientale (vedi capitolo 4).
3.2.2 - Esempi di controlli specifici sul processo
Altri controlli invece devono essere disegnati per il presidio di uno specifico processo aziendale e atti a prevenire uno o più illeciti.
Tali controlli generalmente sono riconducibili alle seguenti macro-categorie:
- controlli informatici;- controlli manuali;- esistenza di procedure che attribuiscano ruoli e responsabilità nello svolgimento del processo.
Controlli specifici processo: Esercizio Impianti Procedure informatiche - esistenza di sistemi informativi dotati di opportuni controlli (ad es. sulle autorizzazioni previste dalla normativa) per l’esercizio degli impianti di trattamento /recupero/ smaltimento dei rifiuti e la tracciabilità di tutte le attività relative:
• Procedura interna - Esistenza di una procedura aziendale che disciplini le attività di trattamento/recupero/smaltimento dei rifiuti, affinché le stesse siano svolte in conformità ai requisiti normativi e autorizzativi vigenti.
• Procedura interna - Gestione (Stoccaggio/movimentazione/uso) di sostanze chimiche e carburanti che potrebbe comportare la contaminazione di suolo, sottosuolo e acque superficiali o sotterranee - Esistenza di una procedura aziendale che definisca ruoli, responsabilità e modalità operative per l’identificazione e la gestione di tutte le attività svolte dall’organizzazione che possano comportare l’accadimento di un evento potenzialmente contaminante del suolo, sottosuolo e delle acque sotterranee e superficiali affinché sia prevenuto o comunque ridotto il rischio di accadimento di tali eventi.
• Controllo manuale - Controlli manuali a campione, in riferimento alle sostanze lesive per l’ozono, sulla corretta esecuzione di:
- censimento di tutti gli impianti/macchinari/attrezzature/dispositivi potenzialmente contenenti sostanze lesive dell’ozono (ad es. impianti di condizionamento e refrigerazione, pompe di
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calore, sistemi antincendio); - aggiornamento periodico del censimento dei suddetti asset; - esistenza e rispetto di piani di manutenzione programmata (ad es. verifica delle fughe di gas)
dei suddetti asset nel rispetto della normativa vigente (verifiche semestrali/annuali in funzione dei quantitativi di gas contenuti, utilizzo di strumenti di gas leak detection conformi ai requisiti).
Controlli specifici processo: Manutenzione Impianti
• Procedura interna - Realizzazione di nuove opere/manutenzioni straordinarie in prossimità di aree naturali - Esistenza di una procedura aziendale che disciplini la realizzazione di nuove opere in prossimità di aree naturali al fine di garantire la tutela delle specie vegetali e animali selvatiche protette eventualmente presenti e degli habitat protetti. In particolare tale procedura aziendale definisce ruoli, responsabilità e modalità operative.
Controllo Processo: Gestione flussi in Uscita
• Procedure informatiche - esistenza di sistemi informativi dotati di opportuni controlli sulla predisposizione della documentazione amministrativa sui rifiuti, la tracciabilità di tutte le attività relative alla gestione dei rifiuti, la verifica iniziale e periodica del possesso delle iscrizioni/comunicazioni/autorizzazioni previste dalla normativa per la gestione dei rifiuti da parte dei soggetti terzi a cui vengono conferiti i rifiuti prodotti (inclusa la verifica delle targhe dei mezzi).
• Procedura interna - esistenza di una procedura aziendale che disciplini le attività di gestione dei rifiuti prodotti dall’organizzazione affinché le stesse siano svolte in conformità ai requisiti normativi e autorizzativi vigenti.
Controlli specifici processo: Monitoraggi Ambientali
• Procedura interna - Gestione degli impianti che generano emissioni in atmosfera, adempimenti autorizzativi e monitoraggio delle emissioni, esistenza di una procedura aziendale che disciplini la gestione degli impianti e delle attività che generano emissioni in atmosfera al fine di garantire il rispetto dei limiti di emissione applicabili.
• Controllo manuale - esecuzione di controlli, relativamente alle emissioni, per: - verifica periodica delle prescrizioni previste dagli atti autorizzativi applicabili, con particolare
riguardo a periodicità e modalità del monitoraggio delle emissioni e verifica periodica del rispetto delle prescrizioni stesse;
- verifica dei risultati del monitoraggio delle emissioni in atmosfera, confronto con i limiti di emissione applicabili e archiviazione della documentazione interna dei risultati;
- verifiche puntuali su eventuali reclami da parte del vicinato in relazione alla qualità dell’aria; - verifica periodica della taratura e manutenzione degli strumenti di misura.• Procedura interna - Gestione degli impianti che generano acque reflue, adempimenti autorizzativi
e monitoraggio degli scarichi (Std 10e): esistenza di una procedura aziendale che disciplini la gestione degli impianti e delle attività che generano acque reflue al fine di garantire che lo scarico delle acque avvenga in conformità ai requisiti normativi e autorizzativi applicabili.
• Controllo manuale: - verifica periodica delle scadenze delle autorizzazioni allo scarico;
35CAPITOLO III - Criteri di analisi dei processi di un’Azienda che effettua la gestione dei rifiuti, rilevanti ai fini del D.Lgs. 231/2001
- verifica periodica delle prescrizioni previste dagli atti autorizzativi applicabili, con particolare riguardo a periodicità e modalità del monitoraggio della qualità delle acque industriali scaricate (sostanze pericolose) e verifica periodica del rispetto delle prescrizioni stesse;
- verifica dei risultati del monitoraggio delle acque reflue scaricate (sostanze pericolose), confronto con i limiti applicabili, archiviazione della documentazione e comunicazione interna dei risultati;
- verifica della taratura e manutenzione degli strumenti di misura.
3.3 - Opzioni alternative di implementazione
Le indicazioni e l’approccio descritti nei paragrafi precedenti (opzione “base”) possono essere semplificati o arricchiti in funzione della tipologia di azienda (ad es. dimensioni, complessità) e del livello di maturità del sistema di controllo interno. Di seguito sono riportati alcuni esempi di opzione semplificata ed evoluta.
Identificazione e analisi dei processi sensibili (par. 3.1)
Opzione semplificata: l’approccio proposto prevede di indicare l’applicabilità di ogni reato ad ogni processo di business. Alternativamente è possibile indicare l’applicabilità di ogni reato all’intera società, senza specificare il processo in cui si può verificare.
Esempio:
Opzione base -> Il reato c.1 lett a) si applica/non si applica al processo Esercizio Impianti, Monitoraggi ambientali, ecc, nella società.Opzione semplificata -> Il reato c.1 lett a) si applica/non si applica alla società.
Opzione evoluta: oltre ad indicare l’applicabilità dei reati per ogni specifico processo è possibile indicare un livello di rischio per ciascuna coppia reato/processo, utilizzando una metodologia di valutazione che porti ad una classificazione (ad es. Alto, Medio, Basso) in base alla probabilità di accadimento (anche con riferimento a consuntivi storici disponibili) ed entità del danno potenziale (ad es. rilevanza della sanzione e/o dell’azione amministrativa nei confronti della società).
Definizione dei controlli e dell’action plan (par. 3.1)
Opzione evoluta: in coerenza con quanto previsto dal codice di autodisciplina delle società quotate è possibile indicare nel Modello, a quale/i strutture organizzative è assegnata la responsabilità di effettuare il monitoraggio di 2° livello (come definito dalle Linee Guida di Confindustria).
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CAPITOLO IVI Sistemi di Gestione Ambientale
ISO 14001 ed EMAS
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Introduzione
Con l’estensione del D.Lgs. n. 231/2001 ai reati ambientali, i Sistemi di Gestione Ambientale conformi allo Standard internazionale ISO 14001 o al Regolamento comunitario 1221/2009-EMAS possono certamente rappresentare degli utili strumenti per le imprese. Attraverso l’efficace attuazione di un Sistema di Gestione Ambientale secondo i requisiti della ISO 14001 l’impresa, mantenendo l’efficienza dei processi produttivi e preservando il valore aziendale, è in grado di tenere sotto controllo i rischi ambientali, in ottemperanza alla legge e di pianificare ed attuare in modo coerente politiche orientate alla sostenibilità, con benefici diffusi in termini di coinvolgimento del personale, di miglioramento dei rapporti con terze parti interessate, di risparmio di risorse e riduzione dei costi.
La norma UNI EN ISO 14001 è uno standard volontario riconosciuto e condiviso a livello internazionale, che prevede i requisiti per l’attuazione e la verifica di un Sistema di Gestione Ambientale applicabile da organizzazioni di tutte le dimensioni e settori merceologici; allineata nei principi e nei contenuti ad altre norme volontarie a larghissima diffusione internazionale quali la ISO 9001, relativa ai sistemi di gestione della qualità, e alla BS OHSAS 18001 per quelli di gestione della salute e sicurezza, e pertanto particolarmente indicata per l’attuazione di sistemi aziendali integrati (sicurezza, qualità, ambiente).La norma ISO 14001, analogamente a quelle sopra citate, prevede un percorso articolato in quattro fasi: pianificazione, attuazione dei processi identificati e degli obiettivi; monitoraggio e misurazione dei processi e delle prestazioni in materia ambientale; riesame periodico da parte della direzione aziendale dello stato di attuazione del sistema al fine di prendere le decisioni necessarie ad assicurare il miglioramento continuo.La conformità allo standard ISO 14001 può essere certificata da un organismo di parte terza indipendente e accreditato attraverso un sistema riconosciuto a livello internazionale. Per ottenere la Registrazione EMAS l’Azienda, in aggiunta ai requisiti dello standard ISO 14001, deve elaborare una Dichiarazione Ambientale, specificando i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi ambientali prefissati ed indicando in che modo prevede di migliorare in continuazione le proprie prestazioni in campo ambientale. La Dichiarazione Ambientale dovrà essere sottoposta alla verifica ed alla convalida da parte di un ente terzo indipendente e specificatamente accreditato.
L’andamento delle certificazioni ISO 14001 in Italia ha registrato un incremento nel corso degli ultimi anni dopo un triennio sostanzialmente stabile. è ragionevole ritenere che il recepimento dei reati ambientali nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 abbia indotto diverse aziende a dotarsi di un Sistema di Gestione Ambientale certificato.
Di seguito sono riportate alcune indicazioni di carattere pratico-applicativo per l’integrazione dei Modelli organizzativi di gestione e controllo già esistenti o in corso di implementazione, attraverso il riferimento alle best practice più diffuse attualmente a disposizione: i sistemi di gestione ambientale (SGA) conformi allo standard ISO 14001 o al regolamento europeo n. 1221/2009 (EMAS).I Modelli organizzativi per la prevenzione dei reati ambientali e i sistemi di gestione volontari conformi agli standard ISO 14001/EMAS hanno natura, caratteristiche e finalità diverse, tali da escludere che possano essere acriticamente sovrapposti. è possibile, tuttavia, individuare alcuni elementi comuni;
CAPITOLO IV - I Sistemi di Gestione Ambientale ISO 14001 ed EMAS
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entrambi, infatti, presuppongono una politica aziendale finalizzata al rispetto degli obblighi normativi applicabili (e, quindi, alla prevenzione dei reati) e richiedono:
• un assetto organizzativo e risorse adeguati a questo scopo;• modalità operative ben definite e condotte in modo controllato;• una verifica e un riesame sulla loro efficacia e adeguatezza rispetto agli obiettivi prefissati.
Vi sono criteri e requisiti previsti dalle norme volontarie ambientali che possono essere efficacemente applicati, con i dovuti adattamenti, nella realizzazione (o nell’integrazione) di un Modello organizzativo e che forniscono indicazioni di tipo operativo particolarmente utili alla luce degli scarni riferimenti di legge disponibili (artt. 6 e 7, D.Lgs. n. 231/2001) e della peculiarità “tecnica” di questa tipologia di reati.
L’integrazione tra il Modello organizzativo per la prevenzione dei reati ambientali e il Sistema di Gestione Ambientale ISO 14001/EMAS richiede un’analisi comparativa preliminare tra i due strumenti, allo scopo di individuare quali concrete soluzioni operative possano applicarsi ai fini dell’esimente della responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001.
Ai fini di questa analisi è importante sottolineare infine che il “campo di applicazione” della responsabilità amministrativa dell’art. 25 undecies, D.Lgs. n. 231/2001, non si estende a tutti gli aspetti ambientali che possono interessare l’organizzazione, ma solo a quelli previsti in modo specifico dalla norma di legge.
Ad esempio:
1) scarichi di acque reflue industriali (contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte III, D.Lgs. n. 152/2006 - art. 137, commi 2 e 3);
2) raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti (art. 256, co. 1);
3) inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (art. 257, co. 1 e 2);
4) emissioni in atmosfera, con violazione dei valori limite o delle prescrizioni stabilite dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla Parte V, D.Lgs. n. 152/2006, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o delle prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente, con superamento anche dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa (art. 279, co. 5).
39CAPITOLO IV - I Sistemi di Gestione Ambientale ISO 14001 ed EMAS
4.1 - Elementi del Sistema di Gestione Ambientale secondo i requisiti ISO 14001/EMAS che richiedono attenzione ai fini dell’integrazione con il Modello organizzativo
ll Sistema di Gestione Ambientale, conforme ai requisiti ISO 14001/EMAS, rappresenta la concreta attuazione della politica (ambientale), approvata e sottoscritta dal vertice aziendale. La politica:
• deve riportare espressamente l’impegno al miglioramento continuo, alla prevenzione dell’inquinamento e, particolarmente importante a questi fini, al rispetto delle prescrizioni di legge (e di altro tipo) applicabili alle attività aziendali;
• comprende, inoltre, il quadro di riferimento per gli obiettivi di miglioramento (cioè, deve esplicitare in quali ambiti l’organizzazione intenda intervenire).
Esempi applicativi: Politica aziendale e Codice Etico.Nella politica ambientale potrebbe essere opportuno riportare:
1) l’impegno «alla prevenzione dei reati ex art. undecies del D.Lgs. n. 231/2001»;2) una sintetica descrizione delle aree o attività ove siano stati individuati rischi di reati ex art. 25 undecies e degli impegni (di prevenzione) previsti al riguardo;3) l’impegno a diffondere e a far rispettare principi e azioni contenuti nella politica ambientale anche ai fornitori/appaltatori dell’organizzazione, “rilevanti” ai fini della commissione dei reati in oggetto.
- Analisi ambientale, conformità normativa, mappatura dei rischi e pianificazione
La pianificazione del Modello organizzativo e quella del Sistema di Gestione Ambientale condividono la medesima impostazione, pur con caratteristiche e finalità diverse. Per il Modello organizzativo occorre effettuare un’analisi preliminare delle aree, delle attività e dei processi aziendali nell’ambito dei quali potrebbero essere commessi i reati “presupposto” della responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001 (in questo caso, le fattispecie penali ambientali introdotte con il D.Lgs. n. 121/2011) e dei sistemi di prevenzione e di controllo applicati. Dalla combinazione di queste informazioni viene definita una “mappatura” dei rischi aziendali e vengono individuate le conseguenti priorità di intervento da considerare nell’adeguamento del Modello; secondo le norme ISO 14001/EMAS l’organizzazione deve identificare preliminarmente le prescrizioni legali (e di altro tipo) applicabili e gli aspetti ambientali connessi alle proprie attività, ai prodotti e ai servizi (ad es. emissioni in atmosfera, scarichi idrici, produzione di rifiuti, rilasci sul suolo, ecc.). A differenza di quanto accade per il Modello organizzativo, l’obiettivo non è quello di individuare rischi di commissione di reato, ma di identificare gli aspetti ambientali con impatti significativi e di stabilire gli interventi da attuare e la loro priorità (obiettivi di miglioramento, regole per il controllo, monitoraggio, ecc.).
Nell’ambito di questo processo, la non conformità rispetto a un requisito di legge applicabile determina una priorità rispetto alla quale l’organizzazione deve, comunque, attivarsi per l’adeguamento; la stessa organizzazione deve, inoltre, stabilire le misure necessarie ad assicurare il rispetto nel tempo di questi obblighi.
Tra questi requisiti di legge rientrano evidentemente (quando applicabili) anche quelli la cui inosservanza può determinare la responsabilità amministrativa dell’Ente, come previsto dall’art. 25 undecies, D.Lgs. n. 231/2001.
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Esempi applicativi: Mappatura dei Rischi e Pianificazione
1) Potrebbe essere opportuno prevedere un criterio di valutazione che attribuisca, comunque, un certo livello di significatività agli aspetti ambientali che presentano anche rischi di commissione di reato ex art. 25 undecies, D.Lgs. n. 231/2001; in questo modo, si avrebbe la garanzia, sul piano formale e sostanziale, che il Sistema di Gestione Ambientale prenda in considerazione questi aspetti sin dalla fase di pianificazione.
2) Negli strumenti definiti per l’identificazione e l’aggiornamento della normativa ambientale applicabile all’organizzazione dovrebbero essere chiaramente identificate le prescrizioni di legge dalla cui inosservanza discende la responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001.
3) Nei programmi ambientali dovrebbero essere evidenziati gli interventi destinati a prevenire o a risolvere le situazioni di rischio rilevanti anche ai fini dei reati ambientali, con l’indicazione delle risorse finanziarie effettivamente a disposizione (ad es., il potenziamento dell’impianto di trattamento reflui a seguito di una modifica che introduce sostanze pericolose nel ciclo produttivo).
4) Nei programmi ambientali dovrebbero essere riportati anche budget e piani finanziari connessi a eventuali funzioni delegate alla gestione ambientale, in modo che risulti chiaramente la coerenza tra le risorse assegnate e i compiti attribuiti *.
*In analogia a quanto previsto dall’art. 16, co. 3, D.Lgs. n. 81/2008, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si potrebbe ritenere che il delegante possa dimostrare l’assolvimento dei propri compiti di vigilanza nei confronti del delegato ambientale attraverso il Modello organizzativo, efficacemente attuato e debitamente integrato all’interno del Sistema di Gestione Ambientale ISO 14001/EMAS.
- Attuazione e funzionamento
Si rileva un’impostazione analoga tra Modello organizzativo e sistemi di gestione ambientale ISO 14001/EMAS anche per quanto riguarda la loro attuazione e l’effettiva operatività degli interventi e degli strumenti definiti nella fase di pianificazione sopra descritta.
Entrambi presuppongono una struttura organizzativa ben definita, nell’ambito della quale siano chiaramente stabiliti e comunicati i ruoli e le responsabilità per le attività e per i processi coinvolti, ferme restando le diverse finalità proprie di ciascuno:
- quella della prevenzione dei reati in oggetto per il Modello organizzativo;- quella del controllo degli impatti ambientali per i sistemi di gestione ambientale.
In entrambi i casi, si richiede che queste figure siano messe in condizione di svolgere effettivamente i compiti loro assegnati, assicurando le competenze, la formazione e l’addestramento necessari, particolarmente importanti, considerata la complessità tecnica di alcune tematiche relative alla gestione ambientale.
Sia per il Modello organizzativo sia per il Sistema di Gestione Ambientale devono essere stabilite, documentate e applicate regole e istruzioni che definiscano le modalità di conduzione e controllo
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delle attività e dei processi ambientali individuati nella fase di pianificazione.Vi sono alcune procedure (“di controllo operativo”), previste dalle norme ISO 14001/EMAS, in grado di assolvere anche alle finalità di prevenzione proprie del Modello organizzativo ex D.lgs. n. 231/2001; proprio nelle ipotesi in cui il precetto legislativo preveda delle modalità gestionali “obbligatorie”, si comprende più facilmente come il contenuto della procedura del Sistema di Gestione Ambientale soddisfi contemporaneamente gli obiettivi di prevenzione del Modello organizzativo.
Si pensi all’art. 256, co. 1, in forza del quale tutte le fasi di gestione dei rifiuti debbono essere autorizzate. Se l’organizzazione gestisce una data sostanza come “sottoprodotto” dovrà assicurarsi che siano presenti le condizioni previste dall’art. 184 bis, D.Lgs. n. 152/2006, che escludono la sussistenza di un rifiuto. A questo fine, dovranno essere stabiliti i criteri operativi e le conseguenti responsabilità perché queste condizioni siano verificate ogniqualvolta sia necessario. Diversamente, oltre alle carenze nel controllo di aspetti ambientali significativi (ISO 14001/EMAS), potrebbero emergere “rischi di reato” derivanti dall’esercizio di attività di gestione di rifiuti non autorizzata.
Le medesime considerazioni valgono, ad esempio, per le attività di identificazione e classificazione dei rifiuti, qualora si tratti di stabilire se un rifiuto sia pericoloso o meno, o ancora per il deposito temporaneo dei rifiuti, laddove non siano rispettate le condizioni gestionali ex. art. 183, co. 1, lettera b).Un ulteriore esempio si può avere qualora un’organizzazione applichi i criteri stabiliti per la conduzione di un impianto di trattamento reflui con sostanze pericolose, compresi i controlli, le modalità di taratura degli strumenti di monitoraggio e le attività di manutenzione prescritte; attuando così, nel contempo, la propria politica di prevenzione dell’inquinamento come richiesto dalle norme ISO 14001/EMAS e le misure idonee «a garantire lo svolgimento della attività nel rispetto della legge».Le medesime considerazioni valgono, infine, rispetto a cambiamenti e modifiche di vario tipo che possono riguardare l’organizzazione. Si tratta di eventi che richiedono una particolare attenzione in quanto causa frequente di lacune e anomalie sul piano sia della gestione ambientale che del rispetto delle norme di legge.
Si pensi, a questo proposito, alle procedure di acquisto del Sistema di Gestione che includono una preventiva valutazione degli effetti dell’introduzione di una nuova materia prima nel ciclo produttivo rispetto allo scarico di acque reflue industriali con sostanze pericolose (comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla Parte III, D.Lgs. n. 152/2006 art. 137, commi 2, 3 e 5).
CAPITOLO IV - I Sistemi di Gestione Ambientale ISO 14001 ed EMAS
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Esempi applicativi: Attuazione 1) I ruoli e le responsabilità rilevanti anche ai fini della prevenzione e del controllo dei rischi di commissione
dei reati ex art. 25 undecies, D.Lgs. n. 231/2001, dovrebbero essere definiti e formalizzati in organigrammi, mansionari e procedure del Sistema di Gestione applicabili a queste fattispecie.
2) Nell’ambito delle attività di formazione previste dal Sistema di Gestione Ambientale ISO 14001/EMAS dovrebbe essere evidenziata anche quella riguardante la prevenzione dei reati ex D.Lgs. n. 231/2001, associati ad aspetti ambientali propri dell’organizzazione; questa attività di formazione dovrebbe essere registrata e ne dovrebbe essere valutata l’efficacia.
3) Dovrebbero essere identificati i documenti (ad es., procedure e istruzioni operative) del Sistema di Gestione Ambientale che regolano lo svolgimento di attività rilevanti anche ai fini del Modello organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, per la prevenzione dei reati in oggetto.
4) Le procedure di comunicazione interna ed esterna del Sistema di Gestione Ambientale dovrebbero identificare anche quelle che interessano il funzionamento e la vigilanza del Modello organizzativo, comprese le modalità di analisi, trattamento e risposta (ad esempio modalità e tempistiche per le segnalazioni all’Organismo di Vigilanza).
- Sorveglianza, verifica periodica e riesame
Si è accennato come sia il Modello organizzativo sia il Sistema di Gestione Ambientale condividano un approccio “dinamico” per cui il processo di risk assestment (aspetti ambientali/reati ambientali) deve essere attuato in modo continuativo e, comunque, in occasione di violazioni/non conformità o di modifiche significative di tipo organizzativo, impiantistico, produttivo, ecc.L’organizzazione deve prevedere un sistema di sorveglianza e di verifica sull’efficacia e adeguatezza del Sistema di Gestione/Modello organizzativo e deve intervenire tempestivamente allo scopo di predisporre o ripristinare le condizioni gestionali, impiantistiche, organizzative necessarie a garantire, prioritariamente, la conformità alle prescrizioni di legge.
Ci si riferisce espressamente alle «attività di verifica periodica sull’attuazione del Modello» di cui all’art. 7, co. 4, lettera a), D.Lgs. n. 231/2001, che si pongono su un livello diverso rispetto al controllo che deve essere attuato dall’Organismo di Vigilanza sull’applicazione dei protocolli che riguardano la programmazione, la formazione e l’attuazione delle decisioni della direzione aziendale.Le norme ISO 14001/EMAS prevedono strumenti di sorveglianza del Sistema di Gestione Ambientale (monitoraggio delle prestazioni ambientali, verifica periodica del rispetto delle prescrizioni di legge, registrazioni, audit interni e gestione delle non conformità riscontrate) che possono risultare utili anche per la “verifica” del Modello organizzativo, pur con gli adattamenti resi necessari dalle differenti finalità delle due figure.In questa prospettiva risulta particolarmente importante il “riesame” periodico dell’alta direzione, contemplato dalle norme di gestione ambientale, chiamata a prendere le decisioni necessarie e opportune per assicurare nel tempo l’efficacia e l’adeguatezza del Sistema di Gestione Ambientale, sulla base delle informazioni e dei dati che sono emersi dalla sorveglianza e dal monitoraggio. Posto che la responsabilità dell’Ente deriva dall’inosservanza di obblighi di direzione e vigilanza che abbiano consentito la commissione del reato (art. 7, co. 1, D.Lgs. n. 231/2001), ben si comprende la rilevanza del riesame del Sistema di Gestione Ambientale anche ai fini del Modello organizzativo. In questa sede dovranno pertanto essere evidenziati e registrati tutti gli elementi in ingresso (monitoraggio) e in uscita (decisioni) rilevanti ai fini
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del Modello di organizzazione, gestione e controllo per la prevenzione dei reati ambientali in oggetto.Esempi applicativi: Sorveglianza e verifiche
1) Dovrebbero essere previsti specifici indicatori che forniscano informazioni sulle prestazioni dell’Azienda rispetto a parametri di legge rilevanti anche ai fini della responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001 (ad es., per gli scarichi idrici, sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte III, D.Lgs. n. 152/2006) o indicatori di tipo gestionale che consentano di monitorare l’andamento, elementi significativi ai fini della prevenzione dei reati in oggetto, quali ad esempio: incidenti ambientali, attività di manutenzione di impianti, numero e tipologia di non conformità ai requisiti, qualificazione di fornitori (ad es. laboratori per la classificazione dei rifiuti).
2) Gli audit interni (e i relativi piani) dovrebbero prevedere un punto specifico dedicato alla valutazione del rispetto delle prescrizioni di legge ambientali, la cui inosservanza determina anche la responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001.
3) Nel corso delle verifiche periodiche della conformità normativa, dovrebbe essere data adeguata evidenza alle registrazioni che attestano lo svolgimento delle attività per l’adempimento delle prescrizioni di cui al punto precedente.
4) Nel caso in cui siano rilevati scostamenti rispetto ai requisiti e alle procedure del Sistema di Gestione Ambientale rilevanti anche ai fini del D.Lgs. n. 231/2001, la gestione e risoluzione delle relative non conformità dovrebbero essere chiaramente identificate quali violazioni del Modello organizzativo per attivare le azioni conseguenti (ad es., segnalazioni all’Organismo di Vigilanza).
5) Dovrebbe essere inserito uno specifico punto all’ordine del giorno del riesame dell’alta direzione per la valutazione dell’efficacia del Sistema di Gestione Ambientale al fine della prevenzione dei reati ex art. 25 undecies, D.Lgs. n. 231/2001; dovrebbero, inoltre, essere chiaramente identificate le decisioni prese e le azioni stabilite che riguardano il Modello organizzativo.
4.2 - Modelli organizzativi e Sistemi di Gestione Ambientale certificati
Per le ragioni esposte nel paragrafo precedente, un importante aiuto, con riferimento all’estensione del D.Lgs. n. 231/2001 ai reati ambientali, può essere certamente identificato nell’applicazione di un Sistema di Gestione Ambientale conforme allo standard internazionale ISO 14001 o al regolamento comunitario n. 1221/2009 (cosiddetto EMAS). Attraverso l’efficace attuazione di un Sistema di Gestione Ambientale secondo i requisiti della ISO 14001, l’impresa, mantenendo l’efficienza dei processi produttivi e preservando il valore aziendale, è in grado di tenere sotto controllo i rischi ambientali in ottemperanza alla legge e di pianificare e attuare in modo coerente politiche orientate alla sostenibilità, con benefici diffusi in termini di:
- coinvolgimento del personale;- miglioramento dei rapporti con terze parti interessate;- di risparmio di risorse e riduzione dei costi.
La conformità allo standard ISO 14001 può essere certificata da un organismo di parte terza indipendente e accreditato attraverso un sistema riconosciuto a livello internazionale. Per ottenere la registrazione EMAS, l’Azienda, in aggiunta ai requisiti dello standard ISO 14001, deve elaborare una dichiarazione ambientale specificando i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi ambientali prefissati e indicando in che modo prevede di migliorare in continuazione le proprie prestazioni in campo ambientale. questo documento dovrà essere sottoposto alla verifica e alla convalida da parte di un Ente terzo indipendente specificatamente accreditato.
CAPITOLO IV - I Sistemi di Gestione Ambientale ISO 14001 ed EMAS
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CAPITOLO VConclusioni
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Attuare un Sistema di Gestione Ambientale secondo la norma ISO 14001 o secondo il Regolamento EMAS, ad oggi gli strumenti volontari di gestione maggiormente riconosciuti a livello europeo ed internazionale, significa prima di tutto investire in modo consapevole nella gestione ambientale, valutandone e controllandone i rischi, sino a ridurli e eliminarli, assicurando così un migliore posizionamento sul mercato e creando i presupposti per la creazione di maggior valore per l’impresa.
L’applicazione di questi strumenti determina infatti un sensibile miglioramento della consapevolezza e della conoscenza aziendale sui rischi connessi alla gestione ambientale, eliminando l’eventualità di sottovalutazione della dimensione di tali rischi o/e di sopravvalutazione dell’efficacia degli interventi intrapresi per migliorare i livelli di sicurezza.
In questo modo gli aspetti della gestione ambientale possono divenire parte integrante e “senza costi aggiuntivi” delle politiche e delle strategia d’impresa, facilitando la loro diffusione a partire dai vertici aziendali, in vista del coinvolgimento di tutto il personale e di tutti i soggetti “esterni” che a vario titolo si trovano ad operare nell’ambito organizzativo dell’impresa stessa (appaltatori, collaboratori, consulenti, ecc.); coinvolgimento che costituisce il presupposto per l’efficace applicazione di un sistema di gestione nel tempo.
Tuttavia, l’adozione di un sistema certificato di gestione aziendale non mette l’Ente al riparo da una valutazione di inidoneità del modello ai fini della responsabilità da reato. Di conseguenza, le Organizzazioni che abbiano già attivato processi di autovalutazione interna, anche certificati, dovranno focalizzarne l’applicazione - qualora così già non fosse - su tutte le tipologie e con tutte le modalità contemplate dal D.lgs 231/2001 (Cfr. Linee Guida di Confindustria cap. II par. 3).
Il decreto di recepimento dei reati ambientali nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001 non ha previsto espressamente una simile presunzione di conformità. L’analogia è tuttavia evidente e certamente i Sistemi di Gestione Ambientale ISO 14001 ed EMAS rappresentano un valido strumento a supporto dell’adozione e dell’efficace attuazione di un Modello organizzativo per la prevenzione dei reati ambientali.
CAPITOLO V - Conclusioni
APPENDICE
47APPENDICE
Nella presente Appendice vengono riportati, nell’ordine:
Check list
La linea guida per la verifica della conformità legislativa secondo la norma UNI EN ISO 14001:04, richiamata al capitolo 4 del presente documento. Tale linea guida (check list) è un estratto predisposto da Certiquality ai fini della valutazione per il rilascio ed il mantenimento delle certificazioni ISO 14001 e/o delle registrazioni EMAS, requisiti che richiedono attenzione anche ai fini dell’integrazione con il MOG.
Schema “PROCESSO-REATO”
Schema “PROCESSO-REATO” che riepiloga sinteticamente i reati con le specifiche aree di rischio, nonché i controlli da mettere in atto.
A tale schema seguono le tabelle che descrivono le diverse fattispecie (FAUNA, SCARICHI IDRICI, RIFIUTI, SITI-EMISSIONI-NAVI-OZONO ed ECOREATI) in cui sono riportati:
• le tematiche di riferimento per le diverse tipologie dei reati;• il riferimento normativo, con specifico richiamo alle disposizioni del D.Lgs 152/2006 e s.m.i. (ad eccezione della tabella sugli ecoreati);• il riferimento al D.lgs 231/2001(ad eccezione della tabella sugli ecoreati);• la descrizione della fattispecie di reato; • la possibile area/attività aziendale di rischio sensibile sia nel D.Lgs 231/01, sia nella normativa
ambientale – con riferimento ai diversi testi di legge - ove porre in atto controlli preventivi (marcati con la x). Le aree/attività aziendali in grigio sono relative al settore finanziario (non riguardano la normativa ambientale);
quanto riportato in Appendice integra l’intero documento al fine di:
- consentire alle imprese di individuare le procedure aziendali inerenti alle aree di rischio;- intensificare l’efficacia dei controlli in essere;- adeguare i sistemi di controllo ed il piano di azione (action plan).
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Manutenzione impianti/discariche
Gestione flussi in ingresso
Stoccaggio/movimentazione materiali o rifiuti
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Monitoraggio ambientale
Pronto intervento e gestione dell'emergenza
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BIBLIOGRAFIA
LINEE GUIDA PER LA COSTRUZIONE DEI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO AI SENSI DEL DECRETO LEGISLATIVO 8 GIUGNO 2001, N. 231 (A CURA DI CONFINDUSTRIA, MARZO 2014)
CONTRIBUTI DEL SISTEMA DI GESTIONE DELLA SICUREZZA PER L’ATTUAZIONE DEL MODELLO ORGANIZZATIVO D.LGS. 231/2001 (A CURA DI CERTIqUALITy, FEDERCHIMICA, ASSOLOMBARDA ASSIMPEDIL, SCUOLA SUPERIORE SANT’ANNA, ASSOCIAZIONE AMBIENTE LAVORO, EHS GESTIONE, GIUGNO 2008)
GUIDA INTRODUTTIVA AI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE PREVISTI DAL D.LGS. n. 231/2001 PER I REATI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA (A CURA DEL COMITATO AFFARI LEGALI DI FEDERCHIMICA, DICEMBRE 2008)
LINEE GUIDA PER L’APPLICAZIONE DELLE NORME ISO 9001 - ISO 14001 - BS OHSAS 18001 PER LE ATTIVITà DEL CICLO DEI RIFIUTI (A CURA DI FISE ASSOAMBIENTE, FEDERAMBIENTE, CERTIqUALITy GIUGNO 2009)
LA RESPONSABILITà AMMINISTRATIVA DELLE PERSONE GIURIDICHE - ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA SUL D.LGS. 213/2001 (A CURA DI AFI, CERTIqUALITy, LUGLIO 2014)
“MODELLI ORGANIZZATIVI E SISTEMI DI GESTIONE AMBIENTALE”é disponibile sul sito: www.assoambiente.org
Progetto editoriale realizzato su carta CyclusPrint 100% riciclata,FSC® Recycled Certified, senza azzuranti ottici
e fabbricata nel rispetto delle più esigenti certificazioni ambientali.
Progetto grafico: Studio Giano Sas di Fabrizio Pensa & C.
Certiquality è un Organismo di certificazione al servizio delle imprese accreditato per la certificazione dei sistemi di gestione aziendale per la qualità, l'ambiente, la sicurezza e per la certificazione di prodotto. Certiquality svolge inoltre attività di ispezione e realizza una importante attività di formazione. Le aree di intervento comprendono: Qualità Ambiente e energia Salute e sicurezza Gestione del Rischio Responsabilità sociale Tutela e sicurezza delle informazioni Marcatura CE Sicurezza Alimentare GMP Audit dei Modelli Organizzativi previsti dal D.Lgs. 231/2001 e Compliance Certiquality è presente su tutto il territorio nazionale con uffici e rappresentanze, con oltre 500 addetti fra personale interno ed ispettori, ed occupa una posizione di assoluto rilievo nel contesto della certificazione, con più di 19.000 siti aziendali certificati. A livello internazionale, Certiquality aderisce con Cisq al circuito IQNet (International Certification Network) che riunisce i 38 più prestigiosi organismi di certificazione di 32 Paesi del mondo. L'accreditamento da parte di Accredia e degli altri organismi preposti assicura il rispetto delle Norme europee EN 45011 e ISO 17021 per gli Istituti di Certificazione che ne garantiscono l'imparzialità e la competenza.
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Il presente documento rappresentail risultato delle attività di un Gruppo di Lavoropromosso da FISE Assoambiente eCertiquality al quale hanno partecipato:
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Coordinatori: Chiara Leboffe - FISE Assoambiente Luca Tosto - FISE Assoambiente Armando Romaniello - Certiquality Federica Bonucchi - FISE Servizi S.r.l.
Gruppo di Lavoro: Stefano Aldini - Certiquality Gabriele Canè - Unieco Gianni Cramarossa - Certiquality Andrea De Poli - A2A Ambiente S.r.l. Nicola Gatta - Certiquality Francesco Grasso - A2A S.p.A. Elisabetta Piantoni - A2A S.p.A. Marco Rambaldi - HERAMBIENTE S.p.A.
Immagine ed Editing: Teresa Colin - FISE Servizi S.r.l.
GUIDA PER L’APPLICAZIONE NEL SETTORE DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI
MODELLI ORGANIZZATIVIE SISTEMI DI
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