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LDB

J.M.Coetzee

L’infanziadiGesú

TraduzionediMariaBaiocchi

Einaudi

PerD.K.C.

Capitoloprimo

L’uomo al cancello liindirizza verso un edificiobasso e largo a una certa

distanza. – Se vi sbrigate, –dice, – fate in tempo aregistrarvi prima chechiudanoleporte.

Si affrettano. Centro deReubicación Novilla, dice ilcartello. Reubicación: chevorràdire?Nonèunaparolachehaimparato.

L’ufficio ègrandeevuoto.Facaldo,ancorapiúcaldochefuori.Unbanconedilegnoinfondo occupa tutta la

larghezza della stanza, divisaall’interno da tramezzi divetro smerigliato. Alle paretiuna serie di classificatori dilegnolaccato.

Appeso su uno deitramezzi c’è un cartello:Recién Llegados, le letterestampigliate in nero su unrettangolo di cartone.L’impiegata dietro losportello,unagiovanedonna,losalutaconunsorriso.

–Buongiorno,–dicelui.–Siamonuoviarrivi–.Articolale parole lentamente, conquello spagnolo che hafaticatotantoperimparare.–Cerco lavoro, e anche unposto dove abitare –. Prendeilbambinoafferrandolosottoleascellee lotirasuinmodocheleilopossavederebene.–Hounbambinoconme.

La ragazza si sporge perprendere la mano del

bambino.–Ciao, giovanotto!–dice.–Suonipote?

– No, non è mio nipote,nemmeno mio figlio, ma èaffidatoame.

–Unpostodoveabitare–.Ladonna sfoglia le sue carte.–Abbiamo una stanza liberaqui al Centro. Può usarlamentre cerca qualcosa dimeglio. Niente di lussuoso,ma forse a lei non importa.Quanto al lavoro,

rimandiamolacosaadomanimattina:hal’ariastanca,sonocerta che vorrà riposare.Vienedalontano?

–Siamo inviaggiodaunasettimana. Veniamo daBelstar, dal campo. ConosceBelstar?

– Sí, lo conosco beneBelstar.AncheiosonovenutapassandoperBelstar.È líchehaimparatolospagnolo?

–Lezionetuttiigiorniper

seisettimane.– Sei settimane?

Fortunato. Ioci sonorimastatremesi, a Belstar. Stavo permorire di noia. La sola cosachemimandavaavantieranolelezionidispagnolo.Hapercaso avuto la señora Piñeracomeinsegnante?

–No,avevamounuomo–.Esita. – Posso sollevareun’altra questione? Il miobambino,–lanciaun’occhiata

al piccolo, – non sta bene.Anche perché è agitato,confuso e agitato, e hamangiato male. Trovavastranoilcibodelcampo,nongli piaceva. Dov’è chepotremmomangiareunacosacomesideve?

–Quantianniha?– Cinque. Questa è l’età

cheglihannodato.–Emidicechenonèsuo

nipote.

–Nonèmionipote,nonèmiofiglio.Nonsiamoparenti.Ecco –. Tira fuori dalla tascaduelibrettieglieliporge.

Lei li ispeziona. – SonostatirilasciatiaBelstar?

– Sí. È lí che ci hannoassegnato i nomi, i nostrinomispagnoli.

La donna si sporge sulbancone. – David. È un belnome,–dice.–Tipiaceiltuonome,giovanotto?

Il bambino la guardatranquillo ma non risponde.Che cosa vede lei? Unbambinomagro, pallido, conuna giacca di lanaabbottonata fino al collo e ipantaloni grigi sotto alginocchio, calzettoni di lana,scarponcini neri con i lacci ein testa un berretto flosciomessodisbieco.

–Nonmuoridicaldoconquella roba? Non vuoi

togliertilagiacca?Ilragazzinoscuotelatesta.Interviene lui. – I vestiti

vengono da Belstar. Se li èscelti da solo, tra quelli cheavevano da dare. Ci si èaffezionato.

– Capisco. L’ho chiestosolo perché mi sembrava unpo’ troppo vestito per ungiorno come questo. Aproposito: abbiamo unmagazzinoquialCentrodove

i genitori portano i vestitismessidaifigli.Èapertotuttele mattine dei giorni feriali.Vada pure a vedere, troveràpiúsceltacheaBelstar.

–Grazie.–Epoi,unavoltacheavrà

riempito i moduli necessari,potrà ritirare denaro dal suolibretto. Ha un sussidio disistemazione di quattrocentoreali. Anche il ragazzo.Quattrocentoperuno.

–Grazie.– Ora le mostro la sua

stanza –. Si sporge a parlarecon la donna dello sportelloaccanto, quello con scrittoTrabajos. La donna apre uncassetto, rovista un po’, poiscuotelatesta.

– Un piccolo intoppo, –dice la ragazza. – A quantopare non abbiamo la chiavedella sua stanza. Deve averlalasorvegliantedell’edificio.Si

chiama señora Weiss. Vadaall’EdificioC.Ledisegnounamappa.Ecco,quandotrovalaseñora Weiss, le chieda lachiavedelC-55.Ledicachelamanda Ana dell’UfficioCentrale.

– Non sarebbe piú faciledarciun’altrastanza?

– Purtroppo la C-55 èl’unicalibera.

–Epermangiare?–Mangiare?

– Sí. Dov’è che possiamomangiare?

– Anche per questo parlicon la señora Weiss.Dovrebbepoterlaaiutare.

– Grazie. Un’ultimadomanda: qui per caso cisono organizzazioni che sioccupanodi ricongiungere lepersone?

– Di ricongiungere lepersone?

–Sí.Deveperforzaesserci

tanta gente che cerca ifamiliari dispersi. Ci sonoorganizzazioni che aiutano ariunire le famiglie? Famiglie,amici,amanti?

– No, mai sentito parlarediorganizzazionidelgenere.

Un po’ perché è stanco edisorientato,unpo’perché lamappadisegnataper luidallaragazza non è chiara, un po’perché non ci sono cartellistradali, stenta a trovare

l’Edificio C e l’ufficio dellaseñora Weiss. La porta èchiusa. Bussa. Nessunorisponde.

Ferma una passante, unadonna minuta col visoappuntito da topo el’uniforme color cioccolatodelCentro.–CercolaseñoraWeiss,–ledice.

– Non c’è, – risponde lagiovanedonnae,vistochelui

non capisce: – È andata viaperoggi.Tornidomattina.

– Allora forse ci puòaiutare lei. Cerchiamo lachiavedellastanzaC-55.

La ragazza scuote la testa.– Mi dispiace. Non ho lechiavi.

Ritornano al Centro deReubicación. La porta èchiusa.Bussaalvetro.Nessunsegno di vita dall’interno.Bussaancora.

–Ho sete, – piagnucola ilbambino.

– Resisti ancora un po’, –gli dice. – Cercherò unafontanella.

La ragazza, Ana, comparesul fianco dell’edificio. –Avevabussato?–chiede.Eluiè di nuovo colpito dalla suagiovinezza,dallasaluteedallafreschezzacheirradia.

– La señora Weissdev’essere andata via, – le

dice. –Può fare qualcosa pernoi? Non ha… come sichiama?, una llave universalperaprirelanostrastanza?

– Llave maestra. Nonesiste una llave universal. Seavessimo una llave universalavremmo risolto i nostriproblemi.No,laseñoraWeissè l’unica ad avere una llavemaestra dell’Edificio C. Nonha un amico che possaospitarvi questa notte? Poi

domattinatornaeparlaconlaseñoraWeiss.

– Un amico che ci possaospitare? Siamo arrivati suqueste sponde sei settimanefa,edaalloraabbiamovissutodentro una tenda in uncampo nel deserto. Comepotremmoavere amici che ciospitano?

Ana aggrotta la fronte. –Vadaalcancelloprincipale,–ordina.–Miaspetti fuoridel

cancello. Vedrò cosa possofare.

Oltrepassano il cancello,attraversano la strada e sisiedono all’ombra di unalbero.Ilbambinosiaccucciaeappoggialatestasullaspalladell’uomo. – Ho sete, –protesta. – Quand’è checerchiunafontanella?

– Shhh, – dice lui. –Ascoltagliuccelli.

Ascoltano il canto

sconosciuto di un uccello,sullapellesentonoquelventosconosciuto.

Anaricompare.Luisialzae le fa un cenno. Anche ilbambino si alza, con lebracciarigide lungo i fianchi,ipollicidentroipugnichiusi.

– Ho portato un po’d’acqua per suo figlio, – dicelei.–Ecco,David,bevi.

Il bambino beve e poi lerestituisce la tazza. La donna

la rimette nella borsa. – Erabuona?–chiede.

–Sí.– Bene. Adesso seguitemi,

è una bella camminata, mafate finta che siaun eserciziodiginnastica.

Procede velocementelungo il sentiero cheattraversa il parco. È unadonna giovane e attraente,questo è innegabile, ma ivestiti che indossa non le

donano: gonna scura einforme, blusa biancaabbottonata fino al collo escarpesenzatacco.

Se fosse solo riuscirebbe astarle al passo, ma colbambinoinbracciononce lafa. Le grida: – Per favore,rallenti! – Lei lo ignora.Semprepiúlontanadaloro,lasegueattraversoilparcoepoilungo una prima strada edopoancoraun’altra.

A un certo punto laragazza si ferma e aspettadavanti a una casa stretta edall’ariamodesta. –Questa ècasamia,–annuncia.Aprelaporta:–Seguitemi.

Liconduceinuncorridoioin penombra, attraverso unaporta sul retro, giú permalfermi gradini di legno inun piccolo cortile pienod’erbaedierbacce,chiusosudue lati da uno steccato di

legno e sul terzo da una retemetallica.

– Sedetevi, – diceindicando una sedia di ghisaarrugginita e mezza sepoltadall’erba.–Viportoqualcosadamangiare.

Non ha voglia di sedersi.Lui e il bambino l’aspettanosullaporta.

Laragazzariemergeconinmanounpiattoeunabrocca.Nella brocca c’è dell’acqua.

Nel piatto quattro fette dipane spalmate di margarina.La stessa roba che gli hannodatopercolazioneallamensa.

–Inquantonuovoarrivatolei è tenuto a risiedere in unalloggioautorizzatooppurealCentro,–dice.–Mavabenelostessosepassalasuaprimanotte qui. Poiché lavoro alCentrolamiacasapuòessereconsiderataalla streguadiunalloggioautorizzato.

–Grazie,èmoltogenerosoda parte sua, – dice. – Lei èmoltogentile.

– C’è del materiale dacostruzione avanzato là inquell’angolo –. Glielo indica.– Se vuole si può fare unriparo.Selasbrigadasolo?

Lui la fissa, perplesso. –Forsenonhocapito,–dice.–Dove dovremmo passare lanotte,dipreciso?

– Qui –. E accenna al

cortile. – Tornerò tra poco avederecomeprocede.

Ilmaterialedacostruzioneconsisteinunamezzadozzinadi lamiere di ferro zincato –inalcunipuntimangiatedallaruggine: di certo vecchiecoperturepertetti–equalcheavanzo di legno. Forse li stamettendoallaprova?Davverointende farli dormire tutti edue, lui e il bambino,all’aperto? Aspetta che torni

come ha promesso, ma leinon torna.Prova laporta sulretro: chiusa. Bussa: nessunarisposta.

Chesuccede?Forseleièlí,dietro le tende, aosservare lesuereazioni?

Non sono prigionieri.Sarebbefacilearrampicarsisuper la rete metallica escappare. Meglio fare cosí oaspettare e vedere chesuccede?

Aspetta. Lei ricomparequando il sole statramontando.

–Nonavetefattogranché,–osservaaccigliata.–Ecco–.Gli dà una bottiglia d’acqua,unpiccoloasciugamanoeunrotolo di carta igienica; e alsuo sguardo interrogativo: –Nonvivedrànessuno,–dice.

– Ho cambiato idea, –annuncia lui. – Torniamo alCentro. Ci sarà pure un

dormitorio dove passare lanotte.

– Non potete. Adesso icancelli del Centro sonochiusi.Chiudonoallesei.

Esasperato, si avvicina almucchio di lamiere, neprende due e le appoggiainclinate contro lo steccato.Lastessacosafaconunaterzae una quarta lastra, ecostruisce un rozzo riparo. –Era aquesto chepensavaper

noi?–dice,girandosiversodilei.Maleiseneèandata.

–Stanotte sidormequi,–dice al bambino. – Saràun’avventura.

– Ho fame, – dice ilbambino.

– Non hai ancoramangiatoiltuopane.

–Nonmipiaceilpane.– E invece ti ci dovrai

abituare,perchéètuttoquelloche abbiamo. Domani

troveremo qualcosa dimeglio.

Diffidente, il bambinoprendeuna fettadi pane e lamangiucchia. Lui si accorgechehaleunghiesporche.

Allo svanire dell’ultimaluce del giorno, si sistemanonellororiparo,luisuunlettodi erbacce, il bambinonell’incavodelsuobraccio.Siaddormentasubitocolpollicein bocca. Per lui invece il

sonnostentaadarrivare,nonha il cappotto e il freddo cimettepocoperentrarglinelleossa;iniziaatremare.

«Non è grave, è solofreddo, non ti ucciderà, – sidice.–Lanottepasserà,ilsolesorgerà,faràgiorno.Bastachenon ci siano insetti, unbrulicare di insetti. Unbrulicare di insetti, quellosarebbetroppo».

Siaddormenta.

Alleprimeoredelmattinosi sveglia, irrigidito,indolenzito dal freddo. Glimonta dentro la rabbia.Perché questo insensatotormento? Striscia fuori dalriparo, va a tentoni fino allaportasulretroebussa,primadiscretamente e poi semprepiúforte.

Sopra di lui si apre unafinestra;alchiaroredellalunariesce appena a distinguere il

volto della ragazza. – Sí? –dice lei. – Qualcosa che nonva?

–Nonc’ènientecheva,–dicelui.–Quifuorifafreddo.Perfavore,cifacciaentrareincasa.

Segue una lunga pausa.Poi:–Aspetti.

Aspetta.Edopo:–Ecco,–dicelavoce.

Gli cade ai piedi unoggetto, una coperta,

nemmeno troppo grande,piegata inquattro.Èruvidaepuzzadicanfora.

–Perchécitrattacosí?–legrida.–Comespazzatura?

La finestra si richiude conunrumoresecco.

Lui rientra carponi nelriparo e si avvolge nellacoperta insieme al bambinochedorme.

Lo sveglia il chiasso delcanto degli uccelli. Il

bambino, ancoraprofondamenteaddormentato, è giratodall’altra parte, col berrettosottolaguancia.Luistessohai vestiti umidi di rugiada; siassopisce di nuovo. Quandoriapregliocchi,laragazzaèlíche loguarda.–Buongiorno,– dice. – Vi ho portatoqualcosa per colazione.Devouscire presto. Quando sieteprontivifacciouscire.

–Cifauscire?–Vifacciouscirepassando

per casa. Per favore, svelti, enondimenticatediportare lacopertael’asciugamano.

Sveglia il bambino. –Andiamo, – dice, – è ora dialzarsi.Oradicolazione.

Fanno pipí uno accantoall’altro in un angolo delcortile.

Lacolazione,siscopre,èdinuovo pane e acqua. Il

bambino storce il naso;quanto a lui non ha fame.Lascia il vassoio intatto sugliscalini.–Noisiamopronti,–grida.

La ragazza li conduceattraverso la casa fin sullastrada deserta. – Arrivederci,–dice.–Seneavetebisogno,potetetornarestanotte.

– E che ne è della stanzachecihapromessoalCentro?

–Seper casonon si trova

la chiave o la stanza nelfrattempo è già stata presa,potetedormiredinuovoqui.Arrivederci.

– Aspetti unminuto. Puòaiutarci conqualche soldo?–Finoaquelmomentononhadovuto elemosinare, ma nonsaprebbeachialtrorivolgersi.

–Vi ho detto che vi avreiaiutato,noncheviavreidatosoldi. Per quello doveteandare agli uffici della

Asistencia Social. Poteteprendere un autobus fino incittà. Ricordatevi di portareconvoiillibretto,eilfogliodiresidenza. Cosí potreteritirare la vostra indennità ditrasferimento. Oppure puòtrovare un lavoro e chiedereun anticipo. Stamattina nonsarò al Centro, ho delleriunioni,masevalíedicechesta cercando lavoro e vuole

un vale, capiranno. Un vale.Oradevoproprioscappare.

Il sentiero che lui e ilbambino percorronoattraverso il parco desertonon è quello giusto; quandoarrivanoalCentroilsoleègiàalto in cielo. Dietro losportello Trabajos c’è unadonna di mezza età, voltoduro, capelli tirati indietrosulle orecchie e legati strettisullanuca.

–Buongiorno,–dicelui.–Siamo già venuti ieri. Siamonuoviarrivieiocercolavoro.Midiconochepuòdarmiunvale.

–Valedetrabajo,–diceladonna. – Mi faccia vedere ilsuolibretto.

Glielo dà. Lei lo ispezionae glielo restituisce. – Lescriverò un vale, ma perquanto riguarda il tipo dilavoro,staaleidecidere.

– Ha idea da dove potreicominciare?Questopermeèunterritoriosconosciuto.

– Provi al porto, – dice ladonna.–Líingenerecercanosempre operai. Prendal’autobus numero 29. Parteogni mezz’ora, subito fuoridelcancelloprincipale.

– Non ho soldi perl’autobus. Non ho soldi perniente.

– L’autobus è gratis. Tutti

gliautobussonogratis.– E un posto dove stare?

Possosollevarelaquestionedidovestare?Laragazzacheeraqui ieri, Ana si chiama, ciavevariservatounastanzamanonsiamoriuscitiaentrarci.

– Non ci sono stanzelibere.

– Ieri c’era una stanzalibera, la C-55, ma non sitrovavalachiave.Lachiavece

la doveva dare la señoraWeiss.

– Non so niente di tuttoquesto.Torninelpomeriggio.

– Potrei parlare con laseñoraWeiss?

– Stamattina c’è lariunione dei responsabili. LaseñoraWeissèlí.Tornerànelpomeriggio.

Capitolosecondo

Sull’autobus 29 esamina ilvale de trabajo che gli hannodato. È solo un foglio

strappato da un blocchetto,con su scritto: «Il portatore èun nuovo arrivo. Si prega ditenerlo presente per unlavoro». Niente timbroufficiale, né firma, solo leiniziali P. X. Tutto sembramolto informale. Basterà perfarglitrovarelavoro?

Sono gli ultimi a scenderedall’autobus. Considerate lesue dimensioni – i molirisalgono a monte a perdita

d’occhio – il porto sembrastranamente deserto. Solo suuna banchina sembra esserciun qualche movimento:stanno caricando oscaricando un bastimento,uominichefannosuegiúperunapasserella.

Si avvicina a un tipo altocon la tuta che sembracontrollare le operazioni. –Buondí, – dice. – Cercolavoro. Al Centro mi hanno

detto di venire qui. È lei lapersona con cui parlare? Hounvale.

– Può parlare, sí, – dicel’uomo. – Ma non crede diessere troppo vecchio per unlavorodaestibador?

Estibador? Deve avereun’aria confusa, perchél’uomo (il caposquadra?)mima il gesto di issare uncarico in spalla e di vacillaresottoquelpeso.

–Ah,estibador!–esclamalui. – Mi dispiace, il miospagnolo non è un granché.No, no, non sono troppovecchio.

Sarà vero quello che si èappena sentito pronunciare?Davvero non è troppovecchio per quel lavoropesante?Nonsisentevecchio,proprio come non si sentegiovane. Non si sente dinessuna età in particolare. Si

sente senza età, se questo èpossibile.

– Mi metta alla prova, –propone.–Sedecidechenonsono all’altezza, me ne vadosubito.Senzarancore.

– Bene, – dice ilcaposquadra. Appallottola ilvale e lo butta nell’acqua. –Puoi cominciare subito. Ilgiovanotto è con te? Puòaspettarequiconme,sevuoi.Lo terrò d’occhio. Quanto al

tuo spagnolo non tipreoccupare, insisti. Ungiorno smetterà di sembrartiuna lingua e diventerà larealtàdellecose.

Si rivolge al bambino. –Vuoistareconquestosignorementre io aiuto a portare isacchi?

Ilbambinoannuisce.Hadinuovoilpolliceinbocca.

La passerella permette ilpassaggio di un solo uomo

per volta.Aspetta che scendaunoscaricatore,conunsaccostracolmosullespalle.Poisalesul ponte e scende giú nellastiva da una solida scala dilegno.Glicivuoleunpo’peradattarsi alla penombra. Lastivaèpienadisacchirigonfi,identici, centinaia, forsemigliaia.

– Cosa c’è nei sacchi? –chiede all’uomo che haaccanto.

Quello lo guarda inmodostrano.–Granos,–dice.

Vorrebbe chiedere quantopesano ma non ne ha iltempo.Èilsuoturno.

Appollaiato in cima a unmucchio di sacchi c’è unomone dagli avambraccinerborutiedallargosorrisoilcui lavoro, evidentemente,consiste nel far scivolare isacchi sulle spalle delloscaricatore di turno. Lui gli

porgelaschiena,ilsaccocala,lui barcolla, poi afferra gliangoli come vede fare aglialtri uomini, fa un primopasso, poi un secondo.Riuscirà a risalire su per lascala con questo caricopesante come fanno gli altri?Celafarà?

– Tranquillo, viejo, – diceunavocedietrodi lui.–Concalma.

Mette il piede sinistro

sull’ultimopiolodellascala.Èsoloquestionediequilibrio,sidice, di tenersi saldi, e nonlasciarecheilsaccoscivolioilsuo contenuto si sposti. Se lecosecomincianoamuoversioa scivolare sei perduto. E dascaricatore torni a essere unmendicantescossodaibrividiin un riparo di lamiera nelcortilediunasconosciuta.

Alza il piede destro. Stacominciando a imparare

qualcosa di quella scala: se ticiappoggicontrocolpetto,ilpeso del sacco invece diminacciareiltuoequilibriolostabilizza. Il piede sinistrotrova il secondo piolo. Dasotto arriva un leggeroapplauso. Stringe i denti. Nemancano diciotto (li hacontati).Nonsbaglierà.

Lentamente, uno scalinodopo l’altro, fermandosi aognunoperascoltareilbattito

acceleratodel suocuore(eseglivenisseuninfarto?sarebbeun bel problema), riemerge.Arrivato in cima vacilla, poicrolla e fa scivolare il saccosulponte.

Sitirasudinuovoeindicail sacco. – Qualcuno mi puòdare una mano? – dice,cercando di controllarel’affanno, di sembraredisinvolto. Mani volenteroseissanoilsaccosullesuespalle.

La passerella presenta lesue difficoltà: ondeggialievemente da una parte edall’altra a causa delmovimentodellanave, enonoffre nessuno degli appiglidella scala. Fadel suomeglioper stare dritto mentrescende, anche se questosignifica non vedere dovemetteipiedi.Fissalosguardosulbambinocheèlí,impalatoaccanto al caposquadra, e lo

osserva. «Che non si debbavergognaredime!»sidice.

Senza inciampareraggiunge il molo. – Gira asinistra! – gli grida il capo.Con fatica, si gira. Staarrivando un carro, un carrobassoafondopiattotiratodadueenormicavallidainodelliispidi. Sembrano Percheron,non li ha mai visti dal vivoprima. Viene investito dal

loro odore sgradevole, diurina.

Si volta e lascia cadere ilsacco di grano sul fondo delcarro. Un giovane con unberretto malconcio salta suagileetrascinailsaccounpo’piú avanti. Uno dei cavallilascia cadere una scarica disterco fumante. – Spostati! –gridaunavoceallesuespalle.È lo scaricatore successivo, il

compagno di lavoro dopo dilui,colsaccosuccessivo.

Ripercorreisuoipassifinoalla stiva, ritorna con unsecondo carico, poi un terzo.È piú lento degli altri (che avolte devono aspettare percolpa sua),manon tantopiúlento. Migliorerà, si abitueràal lavoro e il suo corpo sirafforzerà. Dopotutto non ètroppovecchio.

Anche se li rallenta, non

sente rabbia provenire daglialtri. Anzi, ogni tanto glidànno una parolad’incoraggiamento o unapaccasullespalle.Sequestoèil lavoro dello scaricatore,dopotutto non è cosí male.Almeno si realizza qualcosa.Almeno si aiuta a spostare ilgrano, grano che saràtrasformato in pane. Lasostanzadellavita.

Risuona un fischio. –

Pausa,–spiegaquelloaccantoalui.–Sevuoi...haicapito.

I due urinano dietro unarimessa,poisilavanolemanial rubinetto. – Sai se c’è unposto dove prendere unatazza di tè? – chiede. – Emagariunboccone?

–Tè?–dicel’altro.Sembradivertito. – Se c’è non lo so.Se hai sete puoi usare lamiatazza, ma domani portati latua–.Lariempiealrubinetto

eglielapassa.–Portatiancheuna pagnotta, o mezzapagnotta.Lagiornata è lungaastomacovuoto.

La pausa dura solo dieciminuti, poi si ricomincia ascaricare. Quando il fischiodel caposquadra annuncia lafine della giornata, hatrasportato trentuno sacchidalla stiva al molo. In unagiornata piena potrebbearrivare a cinquanta, forse.

Cinquanta sacchi al giorno:due tonnellate, piú o meno.Micatanto.Unagrupotrebbespostareduetonnellateinunavolta sola. Perché non usanolagru?

– Un bravo giovanotto,questo tuo figlio, – gli dice ilcaposquadra.–Nonhadatoilminimo problema –.Certamente lo chiamagiovanotto, jovencito, perfargli piacere. Un bravo

giovanotto che crescerà ediventerà scaricatore a suavolta.

– Se prendeste una gru, –osserva, – potreste scaricarein un decimo del tempo,ancheconunagrupiccola.

– Si potrebbe, – concordail capo.–Maa che scopo?Acheservirebbefaretuttoinundecimo del tempo? Non c’èmicaun’emergenza.Tipounacarestia.

A che scopo? Sembra unadomanda sincera, non unaprovocazione.–Perutilizzaremeglio le nostre energie, –suggerisce.

–Megliorispettoacosa?Afornire il pane ai nostrifratelli?

Lascia correre. Avrebbedovutotenerelaboccachiusa.Di certo non dirà: «Megliorispetto a trascinare carichipesanticomebestiedasoma».

– Noi, io e il bambino,abbiamo fretta, – dice. –DobbiamoesserediritornoalCentro per le sei. Sennò citoccherà dormire fuori.Tornodomattina?

– Certo, certo. Te la seicavatabene.

– E posso avere unanticiposullapaga?

– Questo non è possibile,temo. L’addetto alle paghenon fa il suo giro fino a

venerdí.Masehaibisognodisoldi,–sifrugaintascaetirafuori una manciata di spicci,– ecco, prendi quello che tiserve.

– Non so quel che miserve. Sono nuovo qui e nonhoideadeiprezzi.

– Prendi tutto, me loridaraivenerdí.

– Grazie, grazie mille, seipropriogentile.

Edèvero:tiened’occhioil

tuojovencitomentretulavorie per giunta poi ti presta deisoldi; decisamente non èquello che ti aspetti da uncaposquadra.

–Ma figurati, tu faresti lostesso.Ciaogiovanotto,–dicerivolgendosialbambino.–Civediamodomanidibuonora.

Arrivano all’ufficiopropriomentreladonnadallafaccia severa sta chiudendo.DiAnanonc’ètraccia.

– Novità sulla nostrastanza?–chiede.–Hatrovatolachiave?

La donna aggrotta lafronte. – Segua la strada,prendalaprimaadestraepoicerchi un edificio lungo ebasso, si chiama Edificio C.Chieda della señora Weiss.Lei l’accompagnerà alla suastanza. E le chieda anche sepuò usare la lavanderia perlavarelesuecose.

Lui coglie l’allusione earrossisce. Dopo unasettimana senza lavarsi ilbambino ha cominciato apuzzare;edicertoluipuzzeràanchedipiú.

Le mostra i soldi. –Potrebbedirmiquant’è?

–Nonsacontare?–Vogliodire:cosaciposso

comprare? Basta per unpasto?

– Il Centro non passa i

pasti, solo la colazione. Maparli con la señoraWeiss. Lespieghi la sua situazione.Forselapuòaiutare.

L’ufficio della señoraWeiss, il C-41, è chiuso achiave come la volta scorsa.Ma nel seminterrato, in unangolo del sottoscalailluminato da una lampadinanuda, trova un giovanebuttatosuunasediacheleggeunarivista.Oltreall’uniforme

colorcioccolatodelCentro,ilgiovane porta un berrettotondo legato sotto il mento,comeunascimmiadacirco.

– Buonasera, – dice. –Cerco l’inafferrabile señoraWeiss.Haideadidovesia?Cihanno assegnato una stanzain questo edificio e lei ha lachiave, o almeno il passe-partout.

Il giovane si alza, sischiarisce la gola e risponde.

Èeducatomainfindeicontiinutile. Se l’ufficio dellaseñora Weiss è chiuso, forseallora la señora è andata acasa.Quantoalpasse-partout,ammessochecenesiauno,èprobabilechesiaanchequellonell’ufficio chiuso. Stessodiscorso per la chiave dellalavanderia.

– Potrebbe almeno dircicome arrivare alla stanza C-

55? – chiede. – La C-55 è lastanzachecièstataassegnata.

Senza dire una parola ilgiovane li conduce per unlungocorridoio,oltrelaC-49,la C-50... la C-54. Arrivanoalla C-55. Prova ad aprirla.Non è chiusa. – I suoiproblemi sono finiti, –osserva con un sorriso, e siritira.

La C-55 è piccola, senzafinestre e con un arredo fin

troppo spartano: un lettosingolo, una cassettiera, unlavandino.Sullacassettierac’èun vassoio con un piattino edentroalpiattinoduecubettiemezzodizucchero.Lidàalbambino.

– Dobbiamo stare qui? –chiedeilbambino.

– Sí, dobbiamo stare qui,ma solo per poco, mentrecerchiamo qualcosa dimeglio.

In fondo al corridoioindividua un vano doccia.Non c’è sapone. Spoglia ilbambino. Si spoglia a suavolta. Insieme,sotto ildebolegetto di acqua tiepida, lui fadel suo meglio per lavarsi elavarlo. Dopo, mentre ilbambino lo aspetta, tienesotto lo stesso rivolo (semprepiú tiepido e poi freddo) labiancheria e poi la strizza.Insolentemente nudo, col

bambinoafianco,camminaapassi felpati per il corridoiodeserto fino alla stanza espranga la porta.Con l’unicoasciugamano asciuga ilbambino. – Ora infilati aletto,–glidice.

– Ho fame, – protesta ilbambino.

– Abbi pazienza. Faremouna bella colazionedomattina.Promesso.Pensaaquello –. Gli rimbocca le

coperte e gli dà un bacio dibuonanotte.

Ma il bambino non hasonno. – Perché siamo qui,Simón?–chiedepiano.

– Te l’ho detto: staremoquisolounanotteodue,finoa che non troviamo unasistemazionemigliore.

– No, voglio dire, perchésiamo qui? – Il suo gestoabbraccia lastanza, ilCentro,lacittàdiNovilla,tutto.

–Tuseiquipertrovaretuamadre e io sono qui peraiutarti.

–Ma dopo che l’abbiamotrovata,perchésiamoqui?

–Nonsocosadire.Siamoqui per lo stesso motivo percui ci sono tutti gli altri.Abbiamo avuto unapossibilità di vivere el’abbiamo accettata. È unagran cosa vivere. La piúgrandeditutte.

– Ma dobbiamo viverequi?

– Qui, invece che dove?Non c’è un altro postopossibile. Adesso chiudi gliocchi.Èoradidormire.

Capitoloterzo

Si sveglia di buonumore,pieno di energia. Hanno unposto dove stare e lui ha un

lavoro. Adesso bisognadedicarsi al compitoprincipale:trovarelamammadelbambino.

Lolasciadormireescivolafuori dalla stanza. L’UfficioCentrale ha appena aperto eAna, dietro lo sportello, losalutaconunsorriso.–Avetepassatounabuonanottata?–chiede.–Visietesistemati?

– Grazie, ci siamosistemati,maorahounaltro

favore da chiederle. Forsericorda la mia domanda sucome ricongiungersi con ifamiliari. Devo trovare lamamma di David. Ilproblema è che non so dadove cominciare. Tenetetraccia degli arrivi a Novilla?E se non lo fate c’è unarchivio centrale che possaconsultare?

– Registriamo tutti quellichepassanoperilCentro.Ma

i registri non le serviranno aniente se non sa che cosacerca. La mamma di Davidavrà un nuovo nome. Nomenuovo, vita nuova. Lei sa delsuoarrivo?

– Non sa nemmeno cheesisto, se èperquesto,perciònon è possibile che mi stiaaspettando. Ma appena lavedrà, il bambino lariconoscerà.Nesonocerto.

–Daquantosonoseparati?

–Èuna storia complicata,concuinonlastaròatediare.Mi lasci solo dire che hopromesso a David che avreitrovatolasuamamma.Glihodato la mia parola. Allora,possodareun’occhiataaisuoiregistri?

–Ma senonhaunnome,come è possibile che le sianodiaiuto?

– Tenete copia delletessere? Il bambino la

riconoscerà dalla fotografia.Oancheio.Iolariconoscerò,selavedo.

– Non vi siete maiincontratimalariconoscerà?

– Sí. Separatamente oinsieme, io e lui lariconosceremo. Ne sonocerto.

– E lei? Questa madreanonima, è sicuro che vogliariunirsi al figlio? Potràsembrarespietatodadire,ma

per lo piú la gente, quandoarriva qui, ha perso interessepergliaffettipassati.

– Questo è un casodiverso. Davvero. Non sospiegarle perché. Ora: possovedereisuoiregistri?

Lei scuote il capo. – No,questo non lo possopermettere.Seavesseavuto ilnome della madre sarebbestato diverso. Ma non possopermetterle di frugare a

piacimentoneinostriregistri.Non è solo contro ilregolamento: è assurdo.Abbiamo migliaia di schede,centinaia di migliaia, nonriuscirebbe nemmeno acontarle; e poi come fa asapere che è passata per ilCentro di Novilla? C’è uncentro di accoglienza in ognicittà.

– Lo ammetto. Non hasenso, ma la prego. Il

bambino è senza madre. Èsmarrito. Lei ha visto com’èsmarrito.Èinunlimbo.

– Limbo. Non so cosasignifichi. La rispostacomunqueèno.Noncederò,perciò non insista. Midispiace per il bambino, maquesto non è il modo giustodiprocedere.

Segueunlungosilenzio.– Lo posso fare tardi, di

notte, – dice. – Nessuno lo

saprà. Farò piano, saròdiscreto.

Ma lei non gli dà retta. –Ciao!–dice,guardandooltrele sue spalle. – Ti sei appenaalzato?

Lui si gira. Sulla soglia,scapigliato, scalzo e inmutande,colpollice inboccae ancora semiaddormentato,c’èilbambino.

– Vieni! – dice. – SalutaAna. Ana ci aiuterà nella

nostraricerca.Piano piano il bambino li

raggiunge.–Viaiuterò,–diceAna,–

ma non nel modo in cuichiede lei. La gente qui hafatto piazza pulita dei vecchilegami.Dovrestefarelastessacosa. Lasciar perdere i vecchiaffetti, non inseguirli –. Sichina a scompigliare i capellidel bambino. – Ciao,dormiglione!–dice.–Nonè

vero che hai fatto piazzapulita di tutto? Dillo a tuopadre che hai fatto piazzapulitaditutto.

Il bambino sposta losguardo da lei a lui e poiviceversa. – Ho fatto piazzapulitaditutto,–biascica.

–Ecco!–diceAna.–Nongliel’avevodetto?

Sonoinautobus,allavolta

del porto. Dopo unasostanziosa colazione ilbambino è decisamente piúallegrodelgiornoprima.

– Andiamo di nuovo daÁlvaro? – chiede. – Io glipiaccio, ad Álvaro, mi lasciausareilsuofischietto.

– Bello. Ti ha detto chepuoichiamarloÁlvaro?

–Sí,èilsuonome.ÁlvaroAvocado.

– Álvaro Avocado? Bene,

ricorda: Álvaro è un uomooccupato,haunsaccodicosedafareoltreaoccuparsidiunbambino.Devistareattentoanonintralciarlo.

–Nonèoccupato,–diceilbambino. – Sta fermo lí eguarda.

– Forse a te sembra chestia solo fermo lí a guardare,madifattosorveglia.Verificache le navi siano scaricate intempo, che ognuno faccia

quello che deve fare. È unlavoroimportante.

–Dicechemiinsegneràgliscacchi.

– Bene. Ottimo, tipiaceranno.

– Starò sempre conÁlvaro?

– No, presto troverai altribambiniconcuigiocare.

– Non voglio giocare conglialtribambini.VogliostareconteeÁlvaro.

–Ma non sempre.Non tifa bene stare con gli adultituttoiltempo.

–Nonvogliochecaschiinmare.Nonvogliocheaffoghi.

– Non ti preoccupare.Starò attentissimo a nonaffogare.Teloprometto.Puoiscacciare questi bruttipensieri.Farlivolareviacomeuccelli.Lofarai?

Il bambino non risponde.– Quand’è che torniamo

indietro?–chiede.– Indietro,di làdalmare?

Nontorniamo.Adessosiamoqui.Èquicheviviamo.

–Persempre?– Per sempre. Presto

cominceremo a cercare tuamadre. Ana ci aiuterà. Unavolta che avremo trovato tuamadre, non penserai piú atornareindietro.

–Miamadreèqui?– È qui, da qualche parte

nellevicinanze,chetiaspetta.Ha aspettato tanto. Nonappenaposeraigliocchisudilei sarà tutto chiaro. Tiricorderai di lei e lei siricorderàdi te.Forsecredidiaver fatto piazza pulita, manon è cosí.Hai ancora i tuoiricordi. Sono solotemporaneamente sepolti.Ora dobbiamo scendere.Questaèlanostrafermata.

Il bambino ha fattoamicizia con uno dei cavallida tiro, cui ha dato nome ElRey. Anche se è minuscolovicino a El Rey, il bambinonon ha paura. In punta dipiedi,offremanciatediavenache l’enorme bestia accetta,chinandosipigramente.

Álvaro fa un buco in unodei sacchi scaricati, per farnefuoriuscireunfilodigrano.–Ecco, dàllo a El Rey e al suo

amico, – dice al bambino. –Ma attento a non darglienetroppo, sennò gli si gonfieràla pancia come un pallone esaremo costretti a pungerliconunospillo.

El Rey e il suo amico inverità sono giumente, maÁlvaro, osserva lui, noncorreggeilbambino.

Gli scaricatori suoicompagni sono piuttostogentili, ma stranamente privi

di curiosità. Nessuno chiededadovevenganoodovesianoalloggiati. Lui immagina chelo ritengano il padre delbambino o, forse, come Anaal Centro, il nonno. El viejo.Nessuno chiede dove sia lamammaoperché il bambinodebbapassaretuttoilgiornoaciondolarealporto.

Lungo il pontile c’è unapiccola baracca di legno chegli uomini usano come

spogliatoio. Anche se non sichiude a chiave, sembranocontenti di tenere lí tute escarponi. Lui chiede dovecomprare a sua volta tuta escarponi. L’uomo gli scrivel’indirizzo su un pezzo dicarta.

Chiedequantopuòcostareunpaiodiscarponi.

– Due, forse tre reali, –dicel’uomo.

– Sembra molto poco, –

dice lui. – A proposito, michiamoSimón.

–Eugenio,–dicel’altro.– Posso farti una

domanda, Eugenio? Seisposato?Haifigli?

Eugenioscuotelatesta.–Be’,seiancoragiovane,–

glidice.–Sí,–diceEugeniovago.Luisiaspettadomandesul

bambino,ilbambinochepuòsembrare suo figlio, o suo

nipote,machedifattononloè. Si aspetta che gli domandicome si chiama, quanti anniha,perchénonèascuola.Maaspettainvano.

–David, ilbambinodicuimi occupo, è ancora troppopiccoloperandareascuola,–dice.–Sainientedellescuolequiintorno?C’è…–sisforzaditrovareilnome–unjardinparalosniños?

– Vuoi dire un parco

giochi?– No, una scuola per i

bimbipiccoli.Unascuolacheprecedequellaveraepropria.

– Scusa, non ti possoaiutare–.Eugeniosialza.–Siriattaccaalavorare.

Il giorno dopo, proprioquandorisuonailfischiodellapausa pranzo, arriva unosconosciuto su una bicicletta.Colcappello,ilcompletoneroe la cravatta sembra fuori

posto al molo. Smonta esaluta Álvaro cordialmente.Dietro, l’orlo dei pantaloni èstretto da delle mollette chenonsidàlapenaditogliere.

–È l’addetto alle paghe, –diceunavocedietrodi lui.ÈEugenio.

L’addettoallentailaccidelportapacchietoglielacerataaprotezione della cassetta dimetalloverdecheappoggiasuun bidone rovesciato. Álvaro

fasegnoagliuominiperchésiavvicinino. Uno dopo l’altrosifannoavanti,diconoilloronome e intascano il salario.Luisimette incodaeaspettail suo turno. – Mi chiamoSimón,–diceall’impiegato.–Sono nuovo e forse nonancoraregistratonellalista.

–Sí,eccoti,–dicel’altro,espuntailnome.Eglidàisolditutti in monete. Sono cosí

tante che gli tirano giú letasche.

–Grazie.– Prego. È quello che ti

spetta.Álvaro fa rotolare via il

bidone. L’impiegato lega dinuovo la cassetta sulportapacchi, stringe la manodi Álvaro, si rimette ilcappello e si riavviapedalandoperilmolo.

– Che programmi hai peril pomeriggio? – chiedeÁlvaro.

– Non ho programmi.Forseportoilbambinoafareuna passeggiata; oppure, sec’èunozoo,potreiportarlolíavedereglianimali.

È mezzogiorno di sabato,finedellasettimanadilavoro.

–Vuoi venire alla partita?– chiede Álvaro. – Al tuogiovanottopiaceilcalcio?

– È ancora un po’ troppopiccoloperilcalcio.

– Prima o poi devecominciare. La partita iniziaalle tre. Vediamoci alcancello, verso le due e trequarti.

– D’accordo… Ma qualecancello,dove?

–Alcancellodelcampodicalcio.Cen’èunosolo.

– E dov’è il campo dicalcio?

– Prendi il sentiero sullungofiume, non ti puoisbagliare. Saranno circa ventiminutidaqui.Oppuresenonti va di camminare puoiprendereil7.

Il campo di calcio è piúlontano di quanto gli avevadetto Álvaro; il bambino sistanca e rallenta il passo;arrivano tardi. Álvaro è alcancello che li aspetta. –Sbrigatevi, – dice, –

cominciano da un momentoall’altro.

Dal cancello passano nelcampo.

– Non dobbiamo fare ibiglietti?–chiede.

Álvaro lo guardaperplesso.–Ècalcio,–dice.–Una partita. Non si devepagare per assistere allapartita.

Lostadioèpiúmodestodiquello che pensava. Il campo

sportivo è delimitato da unacorda; la tribunacopertapuòcontenere al massimo unmigliaio di spettatori.Trovano posto senzadifficoltà.Igiocatorisonogiàin campo e palleggiano perscaldarsi.

–Chigioca?–chiede.– Quelli in blu sono i

Docklands, equelli in rosso iNorthHills. È una partita dicoppa. Ilcampionatosigioca

didomenicamattina.Sesentistrombazzare di domenicamattinavuoldirechec’èunapartita.

–Dichesquadrasei?– Dei Docklands,

naturalmente. Di cos’altrosennò?

Álvaro sembra in granforma, euforico, quasiesaltato.Lacosaglifapiacere,è contento che gli abbiachiesto di accompagnarlo.

Álvaro gli sembra una bravapersona. Di fatto tutti i suoicompagni scaricatori glisembrano brave persone:grandi lavoratori, cordiali,generosi.

Al primominuto di giocola squadra in rosso fa unbanale errore in difesa e iDocklands vanno in rete.Álvarolanciainaltolebracciaconungridoditrionfo,poisi

rivolge al bambino. – Haivistogiovanotto?Haivisto?

Ilgiovanottononhavisto.Ignarodicalcio,ilgiovanottonon capisce che è sugliuomini che corrono su e giúper il campo e non sulmaredi sconosciuti tutto intornochedeveconcentrarsi.

Prende in braccio ilbambino. – Vedi, – diceindicando, – cercano dimandare in rete la palla con

un calcio. E l’uomo laggiú,quello con i guanti, è ilportiere. Deve bloccare lapalla.C’èunportiereatutteedue le estremità. Quando lapalla finisce in rete si è fattoungoal.Lasquadrainbluhaappenasegnatoungoal.

Ilbambinoannuisce,malasuamentesembraaltrove.

–Deviandareinbagno?–gli chiede, abbassando lavoce.

– Ho fame, – sussurra ilbambinoinrisposta.

– Lo so.Anch’io ho fame.Dobbiamoabituarci.Vedròseriescoatrovaredellepatatinedurante l’intervallo, o dellenoccioline. Ti piacciono lenoccioline?

Il bambino annuisce. –Quand’è l’intervallo? –chiede.

– Non ci vorrà molto.Prima i giocatori devono

giocare ancora un po’ ecercare di fare un altro goal.Guarda.

Capitoloquarto

Rientrando in stanzaquella sera trova un bigliettosottolaporta.ÈdiAna:Vuole

venire,conDavid,aunpicnicper i nuovi arrivati?Appuntamento domani amezzogiorno,nelparco,vicinoallafontana.A.

Amezzogiorno si trovanoalla fontana. Fa già caldo –perfino gli uccelli sembranoletargici. Lontani dal rumoredel traffico, si mettonoall’ombra sotto un grandealbero frondoso. Dopo pocoarriva Ana con un cesto. –

Scusatemi,–dice,–hoavutounimprevisto.

– Quanti prevede chesaremo?–chiedelui.

– Non so, forse mezzadozzina. Aspettiamo e loscopriremo.

Aspettano. Non arrivanessuno. – A quanto paresiamo solo noi, – concludeAnadopounpo’.–Vogliamocominciare?

Il cesto, come si scopre,

contienesolounpacchettodicrackers, un barattolo dicrema di fagioli senza sale euna bottiglia d’acqua. Ma ilbambino divora la sua partesenzaprotestare.

Ana sbadiglia, si stendesull’erba,chiudegliocchi.

– Cosa voleva dire l’altrogiorno, quando ha parlato difarepiazzapulita?–lechiede.– Ha detto che io e David

avremmo dovuto fare piazzapulitadeivecchiaffetti.

Pigramente Ana scuote latesta. – Ne parliamo un’altravolta,–dice.–Nonora.

Nel suo tono, nellosguardo che gli lancia dagliocchisocchiusi,luiavverteuninvito. La mezza dozzina diinvitati che non si sonopresentati… erano forseun’invenzione?Se ilbambinononfosselíconloroadessosi

sdraierebbe sull’erba accantoa lei e forse poserebbe lamano,leggera,suquelladilei.

–No,–mormoraleicomese gli leggesse nel pensiero.L’ombra di un cipiglio lepassa sulla fronte. – Nonquello.

Non quello. Come deveinterpretare questa giovanedonna, prima calda, poifredda? C’è qualcosanell’etichetta dei sessi o delle

generazioni in questa nuovaterracheluinoncapisce?

Il bambino gli dà unagomitata e accenna alpacchetto di crackers quasivuoto.Luispalmalacremasuuncrackereglielopassa.

–Unsanoappetito,–dicela ragazza senza aprire gliocchi.

–Hafametuttoiltempo.– Non si preoccupi. Si

adatterà. I bambini si

adattanovelocemente.– Si adatterà ad avere

fame? Perché dovrebbeadattarsi ad avere fame dovenonc’ècarestia?

– Si adatterà a una dietamoderata, voglio dire. Lafameècomeuncanechehainella pancia. Piú lo nutri piúchiede di mangiare –. Si tirasubruscamenteesirivolgealbambino. – Mi dicono che

cerchi la tuamamma,–dice.–Timancalamamma?

Ilbambinofacennodisí.–E come si chiama la tua

mamma?Il bambino gli lancia uno

sguardointerrogativo.–Nonneconosceilnome,

– dice. – Aveva una sualetteraquando si è imbarcatomaèandatapersa.

–Illacciosièrotto,–diceilbambino.

– La lettera era in unsacchetto, – spiega, – appesoalcolloconunlaccio.Illacciosièrottoelaletterasièpersa.L’hanno cercata per tutta lanave. È cosí che ci siamoincontrati David e io. Ma lalettera non è stata maitrovata.

–Ècadutainmare,–diceil bambino. – I pesci l’hannomangiata.

Ana aggrotta la fronte. –

Non ricordi il nome di tuamadre, ma ce la puoidescrivere? Ce la puoidisegnare?

Ilbambinoscuoteilcapo.– Cosí tua mamma si è

persa e tu non sai dovecercarla –. Ana si ferma ariflettere.–E tipiacerebbeseil tuo padrino cominciasse acercartiun’altramamma, cheti voglia bene e si occupi dite?

– Cos’è un padrino? –chiedeilbambino.

–Continua ad attribuirmideiruoli,– la interrompe lui.–NonsonoilpadrediDavid,enemmenoilsuopadrino.Milimitoadaiutarloperriunirsiasuamadre.

Leiignoralaprotesta.–Selei si trovasse una moglie, –dice,–questadonnapotrebbefarglidamamma.

Lui scoppia a ridere. – E

qualedonnavorrebbesposareunocomeme?Unostranieroche non possiede nemmenoun cambio di vestiario? –Aspettacheleilocontraddica,maleinonlofa.–Epoi,puresemitrovassiunamoglie,chidicechevorrebbe,capisce,unbambino in affido? O che ilnostroamichettoquipresentel’accetterebbe?

– Non si può dire. Ibambinisiadattano.

– Già, lei continua aripeterlo –. Lo scuote unaccesso d’ira. Che ne saquestaragazzapresuntuosadibambini? E che cosa le dà ildiritto di fargli la predica?Poi, all’improvviso le tesseredelmosaicoprendonoforma.I vestiti che non le donano,quella severità sconcertante,la storia dei padrini: – Nonsaràpercasounasuora,Ana?–lechiede.

Lei sorride. – Cosa glielosuggerisce?

–Una di quelle suore chehannolasciatoilconventopervivere nel mondo? Per farelavori che nessun altro vuolefare, nelle prigioni, negliorfanotrofi, negli ospizi? Neicentri di accoglienza perrifugiati?

–Questo è ridicolo.Certoche no! Il Centro non è unaprigione. E nemmeno

un’associazione caritatevole.Fapartedell’AsistenciaSocial.

– Sia pure, ma com’èpossibilesopportareunfiumeinarrestabile di gente comenoi, inerme, ignorante ebisognosa, senza un qualchetipodifedeperfarsiforza?

– Fede? La fede nonc’entra niente con questo.Fede significa credere inquello che fai anche quandonon produce frutti visibili. Il

Centro non è cosí. Arrivagentechehabisognodiaiutoenoilaaiutiamo.Liaiutiamoelalorovitamigliora.Nientedituttociòèinvisibile.Nientedi tutto ciò richiede fedecieca. Facciamo il nostrolavoro e tutto si sistema.Semplice,tuttoqui.

–Nienteèinvisibile?– Niente è invisibile. Due

settimane fa era a Belstar. Lasettimana scorsa le abbiamo

trovato un lavoro al porto.Oggifateunpicnicnelparco.Che c’è di invisibile in tuttoquesto? È un progresso, unprogresso visibile.Comunque, per tornare alladomanda: no, non sono unasuora.

– Allora perché predicatanto ascetismo? Ci dice didomarelafame,diaffamareilcane che è dentro di noi.Perché, che c’è di male ad

averfame?Acosaservonogliappetitisenonadircidicosaabbiamo bisogno? Se nonavessimo appetiti, bisogni,comepotremmovivere?

Gli sembra una domandagiusta, una domanda seria,una domanda capace dimettere incrisi lapiú istruitadellesuore.

La risposta di lei vienespontanea,cosíspontaneaeavocecosíbassa,comeavolere

escludere ilbambino,cheperunattimo lui la fraintende:–Einquestocasodoveportanoisuoidesideri?

– I miei desideri? Possoesserefranco?

–Può.– Senza offesa per lei e la

sua ospitalità, mi portano aqualcosa di piú dei crackerscon la crema di fagioli. Miportano per esempio a unabisteccaconpureadipatatee

sugo di carne. E sono sicuroche il giovanotto, qui –allunga la mano e stringe ilbraccio del bambino – èd’accordo con me. Non èvero?

Il bambino annuiscevigorosamente.

–Unabistecca succulenta,– continua. – Sa che cosamistupisce di piú di questopaese? – Nella sua voce oraserpeggia un tono audace:

sarebbe piú saggio fermarsi,manon lo fa.– Il fatto cheècosí esangue. Tutti quelli cheincontro sonocosí civili, cosígentili e bene intenzionati.Nessunobestemmia,nessunosi arrabbia o si ubriaca.Nessuno alza la voce. Fateuna dieta a base di pane eacqua e crema di fagioli esostenetediesseresazi;com’èpossibile che sia cosí,

umanamente parlando?Mentiteancheavoistessi?

Abbracciandosi leginocchia la ragazza lo fissamuta, in attesa che concludalasuafilippica.

– Noi, questo bambino eio,abbiamofame–.Strattonail bambino per avvicinarlo asé. – Abbiamo fame tutto iltempo. Lei mi dice che lanostra fame è qualcosa diesotico, qualcosa che ci

portiamo dietro ma che nonappartiene a questo luogo,che dobbiamo reprimerla edominarla. Una voltaannichilita la nostra fame,dice, una volta dimostrato dipoterci adattare, vivremo persemprefeliciecontenti.Maiononvogliofarmoriredifameil cane!Lovoglionutrire!Seid’accordo? – Scuote ilbambino, che gli si accucciasotto l’ascella sorridendo e

annuendo. – Sei d’accordobambinomio?

Cadeilsilenzio.– È davvero arrabbiato, –

diceAna.– Non sono arrabbiato,

sono affamato! Che c’è dimaleasoddisfareunnormaleappetito? Perché dovremmoreprimere i nostri normaliimpulsiedesideri?

– Sicuro di voler andareavanti cosí davanti al

bambino?– Non mi vergogno di

quello che dico. Nelle mieparole non c’è niente da cuiunbambinovadaprotetto.Seun bambino può dormireall’aperto sulla nuda terra,allora di certo può ascoltareunvivacescambiotraadulti.

–Moltobene.Alloravadaper il vivace scambio.Quelloche vuole da me è qualcosacheiononfaccio.

La guarda senza capire. –Quellochevogliodalei?

– Sí. Vuole che mi lasciabbracciare. E tutti e duesappiamo cosa significa:abbracciare. E io non lopermetto.

– Non ho mai parlato diabbracciarla.Ecomunquechec’è dimale negli abbracci, senonèunasuora?

– Rifiutare i desideri nonha niente a che vedere con

essereononessereunasuora.È solo che io non lo faccio.Non lo permetto. Non mipiace. Non provo desiderio.Non nutro alcun desiderioper lacosa inséenonvogliovederequellochefaagliesseriumani. Quello che fa a unuomo.

– In che senso, quello chefaaunuomo?

Lei guarda esplicitamenteil bambino. – Davvero vuole

checontinui?– Continui. Non è mai

troppoprestoperimpararelecosedellavita.

–Moltobene.Leimitrovaattraente. Questo lo vedo.Forse mi trova addiritturabella.Epoichémitrovabella,il suo desiderio, il suoimpulso è di abbracciarmi.Leggo correttamente isegnali? I segnali che mimanda? Mentre se non mi

trovasse bella non sentirebbequell’impulso.

Luitace.– Piú mi trova bella, piú

pressante si fa il suodesiderio. È cosí chefunzionano questi desideriche lei prende come stellapolare e segue ciecamente.Adesso rifletta, che cosa ha achefare,lapregomirispondasinceramente, la bellezza conl’abbraccio a cui vorrebbemi

piegassi? Cosa lega l’unaall’altro?Mifacciacapire.

Lui tace. Ammutolito. Piúchemuto,sbalordito.

–Avanti.Hadettochenonimportavacheilsuofigliocciosentisse. Ha detto che volevaimparasselecosedellavita.

– Tra un uomo e unadonna,–diceluiallafine,–avolte nasce un’attrazionenaturale, inattesa e nonpremeditata. I due si trovano

reciprocamente attraenti oanche,perusarel’altraparola,belli. La donna in genere piúbella dell’uomo. Perché unacosa debba discenderedall’altra – l’attrazione e ildesiderio dell’abbraccio dallabellezza – è un mistero chenon so spiegare se nondicendo che l’attrazione cheprovoperunadonnaèl’unicotributo che io, il mio esserefisico, so offrire alla bellezza

di una donna. Lo chiamotributo perché lo ritengoun’offerta,nonuninsulto.

Siferma.–Continui,–dicelei.–Ètuttoquellochevolevo

dire.– È tutto qui. E come

tributo – offerta, non insulto– vuole stringermi forte espingere parte del suo corpodentro di me. Un tributo,dice. Sono perplessa. A me

tuttalastoriasembraassurda:assurdo da parte sua volerlarecitare, e assurdo da partemiapermetterlo.

–Maèsoloselamettecosíchesembraassurdo.Nonloèdi per sé. Non può esserlo,perché è un desiderionaturaledelcorponaturale.Èla natura che parla in noi. Ècosí che sono le cose. E ilmodoincuilecosesonononpuòessereassurdo.

– Davvero? E se dovessidire che a me non sembrasolo assurdo ma anchebrutto?

Lui scuote la testaincredulo. – Non ci possocredere. Io posso apparirevecchioepocoattraente,ioeimieidesideri,madicertononpuò credere che la natura inquantotalesiabrutta.

– Sí che posso. La naturapuòparteciparedelbellocosí

comedel brutto.Quelle partidei nostri corpi che leipudicamente non nomina,non al cospetto del suofiglioccio,letrovabelle?

–Insé?No,insénonsonobelle. È il tutto che è bello,nonleparti.

– E quelle parti che nonsono belle, le vuole spingeredentro di me? Come dovreigiudicarlo,questo?

–Nonso.Melodicalei.

– Che tutte le chiacchieresul tributo alla bellezza sonouna tontería. Se miconsiderasse l’incarnazionedella bontà non vorrebbecompiere quell’atto sudime.Allora perché desiderare difarlo se sono l’incarnazionedel bello? Il bello è forseinferiore al buono? Mispieghi.

–Unatontería:checos’è?–Assurdità.Stupidaggini.

Si alza in piedi. – Noncontinuerò a scusarmi, Ana.Non la ritengo unadiscussione utile. Credo cheleinonsappiaquellochedice.

– Davvero? Pensa sia unaragazzinaignorante?

–Forsenonunaragazzina,ma credo davvero che siaignorante della vita. Vieni, –dicealbambinoprendendolopermano.–Abbiamofatto ilnostropicnic,adessoèoradi

ringraziare la signora eandare a cercare qualcosa damangiare.

Ana si piega, allunga legambe, incrocia le mani sulgremboeglisorridebeffarda.–Troppodiretta,nonèvero?–dice.

Sotto un sole roventecammina per il parco vuoto,col bambino che trotterellapertenerglidietro.

–Checosaèunpadrino?–

glichiede.–Unpadrino èunoche ti

fa da padre quando perqualche motivo tuo padrenoncipuòessere.

–Etuseiilmiopadrino?– No, non lo sono.

Nessuno mi ha chiesto diessere il tuo padrino. Sonosolotuoamico.

– Ti posso chiedere io diessereilmiopadrino.

– Non dipende da te,

ragazzo mio. Non ti puoiscegliere il padrino da solo,come non ti puoi scegliere ilpadre. Non esiste la parolaappropriata per dire quelloche io sono per te, propriocome non esiste la parolaappropriata per dire quellochetuseiperme.Peròsevuoimi puoi chiamare zio.Quando ti chiedono: «Chi èluiperte?»puoidire:«Èmiozio. È mio zio e mi vuole

bene». E io dirò: «È il miobambino».

– Ma quella signora saràmiamadre?

– Ana? No. Non èinteressataafaredamadre.

–Tulasposerai?– No di certo. Non sono

qui per trovare moglie, sonoquiperaiutarti a trovareunamadre,latuaveramadre.

Cerca di parlare in modopacato, con leggerezza,ma la

verità è che l’attacco dellaragazzalohascosso.

– Eri arrabbiato con lei, –dice il bambino. –Perché eriarrabbiato?

Lui si ferma, tira su ilbambino, gli dà un bacio infronte. – Mi dispiace diessermi arrabbiato. Ma noneroarrabbiatoconte.

–Maeriarrabbiatocon lasignoraeleiconte.

–Eroarrabbiatoperchéci

tratta male e non capiscoperché. Abbiamo avuto unadiscussione io e lei, unadiscussione… vivace.Ma oraè passato tutto. Non eraimportante.

– Diceva che volevispingerledentroqualcosa.

Luitace.– Che voleva dire?

Davvero vuoi spingerledentroqualcosa?

– Era solo un modo di

dire. Intendeva che volevoimporle le mie idee. E avevaragione.Nonbisogna cercarediimporreleproprieideeallagente.

–Iolofaccioconte?– No di certo. Adesso

cerchiamo qualcosa damangiare.

Perlustrano le strade a estdelparcoincercadiunpostodove mangiare. È unquartiere di piccole villette

con qualche basso edificio diappartamenti qua e là.Trovano solo un negozio:NARANJAS, dice l’insegna agrandi lettere. Le impostemetallichesonochiusepercuinon può vedere se vendanodavveroaranceoseNaranjassiasolounnome.

Ferma un passante. Unvecchio con un cane alguinzaglio.–Miscusi,–dice,– ioe ilmiobambinostiamo

cercando un caffè o unristorante dove mangiarequalcosa o, in mancanza dimeglio, un negozio dialimentari.

– Di domenicapomeriggio?–dice l’uomo.Ilcane annusa prima le scarpe,poi la patta del bambino. –Non so cosa suggerirvi, ameno che non siate dispostiadandareincittà.

–C’èunautobus?

– Il 42, ma non passa didomenica.

– Allora, di fatto nonpossiamo andare in città enon c’è nessun posto quivicino dove mangiare. E inegozi sono chiusi. Cosa ciconsigliadifare?

L’espressione dell’uomo sifa dura. Strattona ilguinzaglio del cane. – Vieni,Bruno,–dice.

Deluso, lui riprende la

strada per tornare al Centro.Procedonolentamenteperchéilbambinoindugiapersaltaregliinterstizidelselciato.

– Su, sbrigati, – dicenervoso. – Rimanda il tuogiocoaunaltrogiorno.

–No.Nonvogliocadereinunacrepa.

–Questoèassurdo.Comefaunragazzograndeegrossocometeacadereinunacrepapiccolacomequella?

– Non in quella. Inun’altra.

–Quale?Fammelavedere.–Nonloso!Nonsoquale

crepa.Nessunolosa.– Nessuno lo sa perché

nessuno può cadere in unacrepa della pavimentazione.Oradài,cammina!

–Iosícheposso!Tupuoi!Tuttipossono!Tunonlosai!

Capitoloquinto

Durantelapausapranzoallavoro,ilgiornodopo,prendeda parte Álvaro. – Scusa se

sollevounaquestioneprivata,–dice,–masonosemprepiúpreoccupato per la salute delragazzinoe inparticolareperlasuadieta,che–comevedi–è a base di pane, pane eancorapane.

E infatti si vede ilbambino, seduto con gli altriscaricatori al riparo dellabaracca, che masticatristemente una mezza

pagnotta di pane inumiditoconl’acqua.

–Misembra,–continua,–che un bambino durante lacrescita abbia bisogno di piúvarietà, piú nutrimento. Nonsi vive di solo pane.Non è ilcibo universale. Non saprestidove posso comprare dellacarne senza dover fare unviaggioincittà,incentro?

Álvaro si gratta la testa. –Non qui intorno. Non nella

zonadelporto.C’ègentecheacchiappa i ratti, ho sentitodire.Irattinonmancano.Maper quello ti servirebbe unatrappola, e cosí su due piedinon sapreidirtidovepotrestitrovare una buona trappolaper ratti. Magari potrestifartela da solo con del fil diferro e un qualchemeccanismoascatto.

–Ratti?– Sí. Non li hai visti?

Dovunque siano le navi cisonoancheiratti.

–Ma chi è che limangia?Tumangiiratti?

– No, nemmeno persogno! Ma mi hai chiestodove trovare della carne ed èl’unica cosa che ti possosuggerire.

Fissa a lungoÁlvaro negliocchi. Apparentemente nonsta scherzando. Oppure, se è

una battuta, è una battutamoltoprofonda.

Dopo il lavoro lui e ilbambino tornano dalmisterioso Naranjas.Arrivano quando ilproprietario sta per chiuderele imposte. Naranjas èproprio un negozio e vendedavvero arance, insieme adaltra fruttaeverdura.Mentreil proprietario aspetta,impaziente, lui sceglie tutto

quello che in due possonoportare: una piccola busta diarance,unamezzadozzinadimele, un po’ di carote e dicetrioli.

Tornati al Centro nellaloro stanza, lui affetta unamelaesbucciaun’aranciaperil bambino che la mangiamentre lui taglia a sottilirondelle una carota e uncetriolo e li dispone su unpiatto.–Ecco!–dice.

Diffidente il bambinotocca il cetriolo, lo annusa. –Nonmipiace,–dice.–Puzza.

–Scemenze.Ilcetriolononhaodoreepoilaparteverdeèsolo la buccia. Provalo. Ti fabene. Ti farà crescere –. Nemangiamezzoluistesso,epoimangia anche una carotainteraeun’arancia.

LamattinadoporipassadaNaranjas e compra altrafrutta – banane, pere,

albicocche – che riporta instanza. Adesso hanno un belpo’diprovviste.

Fa tardi al lavoro, maÁlvaronondiceniente.

Malgrado le graditeaggiunte alla loro dieta, ilsenso di sfinimento non loabbandona. Invece difortificarlo sembra che lafatica di sollevare etrasportaresuegiúisacchiloesaurisca completamente.

Comincia a sentirsi unospettro, ehapauradi sveniredavanti ai suoi compagnicoprendosidivergogna.

Cerca di nuovo Álvaro. –Nonmi sentobene,–dice.–Nonmisentobenedaunpo’di tempo. Hai unmedico daconsigliarmi?

– C’è un ambulatorio alMolo Sette, è aperto dipomeriggio. Vacci subito.

Digli che lavori qui e nondovraipagare.

Segue le indicazioni per ilMolo Sette dove c’è unpiccolo ambulatorio.L’insegnadicesemplicementeClínica. La porta è aperta, ilbancone è deserto. Preme ilcicalino,manonfunziona.

– Buongiorno! – grida. –C’ènessuno?

Silenzio.Passa dietro al bancone e

bussa aunaporta chiusa consu scritto Cirugía. –Buongiorno!–grida.

La porta si apre e lui sitrova faccia a faccia con unuomo dal volto rubicondo,col camice bianco dalaboratorio e sul colletto unabbondante sbaffo diqualcosa che si direbbecioccolata. L’uomo sudacopiosamente.

–Buonpomeriggio,–dice.

–Èleiildottore?–Entri,–glidicequello.–

Sisieda–.Indicaunasedia,sitoglie gli occhiali e pulisce lelenti accuratamente con unapezzetta. – Lei lavora qui alporto?

–AlMoloDue.–Ah, alMoloDue.Come

possoaiutarla?–Èdaunasettimanaodue

che nonmi sento bene. Nonho sintomi specifici ma mi

affatico facilmente e di tantoin tanto ho le vertigini.Immagino che dipenda dallamia dieta, dalla mancanza dielementi nutritivi nella miadieta.

– Quando ha le vertigini?Inunmomentodelgiornoinparticolare?

–No.Mivengonoquandosono stanco; lavoro comescaricatore: carico e scarico.Non è un lavoro cui sono

abituato. Nel corso di unagiornata devo percorrere unapasserellatantevolte.Qualchevolta, quando guardo lospazio tra il molo e il fiancodella nave e vedo l’acqua ches’infrange sul molo, ho levertigini. Sento che potreiscivolareecadere,forseanchebatterelatestaeaffogare.

– Non mi sembra unproblemadidenutrizione.

–Forseno.Masefossipiú

nutrito resisterei meglio allevertigini.

– Ha mai avuto quellepaure prima, la paura dicadereediaffogare?

– Non si tratta di unproblema psicologico,dottore. Sono un operaio,faccio un lavoro duro. Portogrossi pesi per ore e ore. Mibatte forte il cuore,mi sentosempre al limite delle miecapacità. È certo piú che

naturale che il mio corpopossa arrivare al punto divenir meno, diabbandonarmi.

–Naturale, certo.Ma se ènaturale perché è venuto inclinica? Cosa si aspetta dame?

– Non pensa che siameglio auscultare il miocuore? Fare un esame perl’anemia? Non pensa sia il

caso di parlare delle possibilicarenzedellamiadieta?

– Posso sentirle il cuore,comesuggerisce,manonfarleleanalisiperl’anemia.Questonon è un laboratorio dianalisi,èsolounambulatorio,un pronto soccorso per iportuali.Sitolgalacamicia.

Se la toglie. Il medico glipreme lo stetoscopio sultorace, fissa il soffitto eascolta. Il suo alito puzza di

aglio. – Nessun problemacardiaco,–dicealla fine.– Ilsuo cuore è in buonecondizioni e reggerà un belpo’ di anni. Può tornare allavoro.

Si alza. – Ma come èpossibile? Sono sfinito. Nonsono piú io. La mia salutepeggioradi giorno in giorno.Non era quello che miaspettavo quando sonoarrivato qui. Malattia, fatica,

infelicità: niente di tuttoquesto mi aspettavo! Ho ilpresentimento–enonèsolounpensiero:nehopropriolasensazione fisica – del crolloimminente. Il mio corpo mimanda segnali, in tutti ipossibilimodi, per dirmi chenon ce la fa. Come può direchenonhoniente?

Segue un silenzio. Ilmedico avvolgeaccuratamente lo stetoscopio

nella sua guaina nera e loripone nel cassetto. Pianta igomiti sulla scrivania,intreccia le dita, ci appoggiasoprailmentoeparla.–Carosignore,–dice,–sonosicurochenon sia venuto in questopiccolo ambulatorioaspettandosi un miracolo. Seavesse voluto un miracolosarebbe andato in un veroospedale con un verolaboratorio. Tutto quello che

lepossooffrireèunconsiglio.Un consiglio semplice: nonguardiinbasso.Levertiginilevengono perché guarda inbasso. Le vertigini sono unproblema psicologico, nonmedico. E guardare in bassolescatena.

–Tutto qui quello chemisuggerisce: non guardare inbasso?

– Sí, è tutto, a meno chenonabbiaaltrisintomidicui

mivuoleparlare.– No, non ne ho.

Decisamenteno.– Com’è andata? – gli

chiede Álvaro al suo ritorno.–Haitrovatol’ambulatorio?

–L’hotrovatoehoparlatocol medico. Dice che devoguardare in su. Se guardo inalto, non avrò problemi,mentre se guardo in bassopotreicadere.

– Si direbbero i buoni

consigli di una persona dibuon senso, – diceÁlvaro. –Niente di speciale. Ma oraperché non ti prendi lagiornata libera e ti riposi unpo’?

MalgradolafruttafrescadiNaranjas, malgrado lerassicurazioni del medico sulfatto che il cuore sta bene eche non c’è motivo per cuinon dovrebbe vivere ancora

tantianni,continuaasentirsiesausto. E le vertigini nonpassano. Per quanto segua ilconsiglio del medico e nonguardi in basso quandoattraversa la passerella, nonriesce a ignorare il rumoreallarmante dello sciaguattaredelleondecontrolabanchinaoleosa.

– Solo vertigini, – lorassicura Álvaro, dandogliuna pacca sulle spalle. – Ne

soffrono in tanti. Per fortunaèun fenomeno solomentale.Nonèreale.Noncipensareeprestospariranno.

Lui non è convinto. Noncrede che quel senso dioppressionesparirà.

– Comunque, – diceÁlvaro,–sepercasoscivoliecadi non annegherai.Qualcuno ti salverà, io tisalverò. A che servono icompagniseno?

– Salteresti in acqua persalvarmi?

– Senecessario.Oppure tilancereiunacorda.

– Sí, certo, lanciare unacordasarebbepiúefficace.

Álvaro ignora la punta disarcasmo o forse non lacoglie.–Piúpratico,–dice.

–Maè sempre sologranoche scarichiamo?–chiedeadÁlvaroinun’altraoccasione.

– Grano e segale, –

rispondeÁlvaro.– Ma è solo questo che

importiamoqui:ilgrano?–Dipendedacosa intendi

quandodicinoi. IlMoloDueè per i bastimenti con ilgrano. Se lavorassi al MoloSette scaricheresti carichimisti. Se lavorassi al MoloNove scaricheresti acciaio ecemento. Non hai esplorato,non hai girato un po’ per lebanchine?

–Sí, l’hofatto,maglialtrimoli erano sempre deserti,comesonoora.

–Be’,èlogico,nontipare?Non ci serve una biciclettanuova tutti i giorni. Enemmeno scarpe nuove onuovi vestiti. Ma mangiare,quello bisogna farlo tutti igiorni. Cosí ci vuole tantograno.

– Allora se mi dovessitrasferire al Molo Sette o al

MoloNovesarebbepiúfacile.Potrei prendermi interesettimanedilibertà.

– Giusto. Se lavorassi alMolo Sette o al Molo Novesarebbe piú facile. Ma nonavresti un lavoro a tempopieno. Perciò, tuttoconsiderato, stai meglio alDue.

– Capisco. Alloradopotuttoèmeglioesserequi.Inquestomolo,questoporto,

questa città,questopaese.Vatutto per il meglio in questoche è il migliore dei mondipossibili.

Álvaro si rabbuia. –Questo non è un mondopossibile, – dice. – È l’unicomondo.Sediconseguenzasiailmigliorenonstanéamenéatedeciderlo.

Gli vengono in mentetante risposte possibili,ma sitrattiene dal darle. Forse in

questo che è l’unico mondosarà piú prudente rinunciareall’ironia.

Capitolosesto

Come promesso, Álvaroha insegnato al bambino agiocare a scacchi. Durante i

tempi morti si possonovedere i due, chini su unascacchiera tascabile, inqualchezonad’ombra,assortiinunapartita.

–Mihaappenabattuto,–riferisce Álvaro. – Sono solodue settimane e già è piúbravodime.

Eugenio, il piú eruditodegli scaricatori, lancia unasfida al bambino. – Unapartita lampo, – dice. –

Ciascuno ha cinque secondiper fare la sua mossa. Uno-due-tre-quattro-cinque.

Circondatidaglispettatori,fanno la loro partita lampo.Nel giro di pochi minuti ilbambino hamesso all’angoloEugenio. L’uomo dà uncolpetto al suo Re che sireclina sul fianco. – Cipenserò due volte prima disfidarti di nuovo, – dice. –

Sembriposseduto,intec’èunverodemone.

Laserainautobusluicercadi discutere della partita edello strano commento diEugenio, ma il bambino èreticente.

– Vuoi che ti compri gliscacchi? – propone. – Cosípotraiesercitartiacasa.

Ilbambino scuote la testa.– Non voglio esercitarmi.Nonmipiaccionogliscacchi.

–Maseicosíbravo.Ilbambinoalzalespalle.–Chihaundononaturale

ha il dovere di nonnasconderlo, – insistecaparbio.

–Perché?–Perché?Perchéilmondo

diventa migliore, immagino,se ognuno di noi puòeccellereinqualcosa.

Il bambino fissa,corrucciato, fuori dal

finestrino.–Seidispiaciutoperquello

che ha detto Eugenio? Nondevi.Nonvolevaoffenderti.

– Non sono dispiaciuto.Solochenonmipiaccionogliscacchi.

–Mah…Álvaro ci resteràmale.

Il giorno dopo unosconosciuto si presenta almolo. Basso emuscoloso; hala pelle di una calda tonalità

nocciola;gliocchiinfossati,ilnaso curvo come il becco diun falco. Porta jeans stintimacchiati di grasso dimacchina,escarponidicuoiomalridotti.

Tira fuori dal taschino unpezzo di carta e lo passa adÁlvaro, e senza dire unaparola resta lí, lo sguardolontano.

–Vabene,–diceÁlvaro.–Oggi scarichiamo tutto il

giorno e anche domani.Quando sei prontomettiti infila.

Dallo stesso taschino losconosciuto estrae unpacchetto di sigarette. Senzaoffrirle se ne accende una einspiraprofondamente.

–Ricorda,–diceÁlvaro,–nonsifumanellastiva.

L’uomo non dà segno diaver sentito. Si guardatranquillamente intorno

mentreil fumodellasigarettasalenell’ariaferma.

Il suo nome, comunicaÁlvaro, è Daga. Nessuno lochiama mai diversamente,non dicono «quello nuovo»,nemmeno«iltizionuovo».

Malgradosiabasso,Dagaèforte. Non barcolla di unmillimetro quando il primosacco gli viene calato sullespalle; sale su per le scaleveloceesicuro;percorreagile

la passerella e lancia il sacconel carro in attesa senzamostrare alcun segno disforzo. Ma poi riparaall’ombra della baracca, siaccucciasui tacchi,eaccendeun’altrasigaretta.

Álvaro va deciso verso dilui. – Niente pause, Daga, –dice.–Riprendialavorare.

–Quantialgiorno?–diceDaga.

– Non c’è una quantità

fissa,siamopagatiagiornata.– Cinquanta sacchi al

giorno,–diceDaga.–Noinespostiamodipiú.–Quanti?– Piú di cinquanta. Non

c’è una quantità. Ognunoporta tutti quelli che riesce aportare.

–Cinquanta.Nondipiú.– Alzati. Se devi fumare,

aspettalapausa.La situazione precipita

quel venerdí a mezzogiorno,al momento della paga.Quando Daga si avvicinaall’assedi legnoche fungedatavolino, Álvaro si china ebisbiglia all’orecchiodell’addetto alle paghe, cheannuisce. E mette i soldisull’asse, sotto gli occhi diDaga.

– Che vuol dire? – chiedeDaga.

–Lapagaper i giorni che

hailavorato,–diceÁlvaro.Daga raccoglie le monete

e,conunmovimentorapidoesprezzante,legettainfacciaalcontabile.

–Perchéfaicosí?–chiedeÁlvaro.

–Èlapagadiunratto.–Questoè ilcompenso.È

quello che hai guadagnato. Èquello che guadagnamo tuttiqui.Vuoidirechesiamounamassadiratti?

Gli uomini fannocapannello intorno a loro.L’addettoallepagheraccogliediscretamente le sue carte, erichiude il coperchio dellacassetta.

Lui, Simón, sente ilbambino che gli si aggrappaalla gamba. – Che fanno? –piagnucola; il viso pallido eansioso. – Adesso faranno abotte?

–No,nodicerto.

– Di’ ad Álvaro di nonfarlo. Diglielo! – Il bambinogli strattona la mano, nonsmetteditirargliela.

–Dài,andiamoviadiqui,–dice.Portailbambinoversoilfrangiflutti.–Vieni!Vedilefoche?Quellagrandecolnasoinariaèilmaschio,ilcapo.Elealtre,lepiúpiccole,sonolesuemogli.

Dalla folla sialzaungridoacuto. È come percorsa da

un’ondadiagitazione.–Fannoabotte!–gemeil

bambino.–Nonvogliochesipicchino!

Un semicerchiodiuominisi è formato intorno a Daga,che saltella con un debolesorriso sulle labbra, ha unbraccio teso in avanti e legambe leggermente piegate.Inmanogliluccicaunalama.– Avanti! – dice, e fa un

cenno col coltello. – Chi è ilprossimo?

Álvaro, a terra, è curvo inavanti. Sembra si stringa ilpetto. Una striscia di sanguesullacamicia.

– Chi è il prossimo? –ripete Daga. Nessuno simuove.Lui si rialza, richiudeil coltello e se lo infila nellatasca posteriore, solleva lacassetta metallica, la rovesciasull’asse.Lemoneteschizzano

dappertutto. – Massa difemminucce! – dice. Contaquello che vuole, e dà uncalcio di scherno al barile. –Favorite, – dice, e volta lespalle agli uomini. In tuttatranquillitàmontainsellaallabicicletta del contabile e filavia.

Álvaro si rialza inpiedi. Ilsangue che ha sulla camiciaviene dalla mano, cola dalpalmoferito.

Lui,Simón,èl’anzianodelgruppo o comunque il piúvecchio: è suo compitoprendere in mano lasituazione. – Hai bisogno diunmedico,–dice adÁlvaro.– Andiamo –. Fa segno albambino. – Vieni, portiamoÁlvarodaldottore.

Ilbambinononsimuove.–Chec’è?Le sue labbra simuovono

ma lui non sente niente. Si

china per avvicinarsi. – Chec’è?–chiede.

–Álvarostapermorire?–sussurra il bambino. Il corpoètuttoirrigidito.Scossodauntremito.

–No,certocheno.Hauntagliosullamano,tuttolí.Gliserveuncerottoperfermareilsangue. Andiamo, loportiamo dal medico. Loaggiusteràlui.

Di fatto Álvaro sta già

andando via, accompagnatodaunaltrooperaio.

–Hafattoabotte,–diceilbambino.–Hafattoabotteeadessoilmedicoglitaglieràlamano.

– Idiozie. I medici nontaglianolemani.Ilmedicoglilaverà la ferita e cimetterà ilcerottooforselaricuciràconago e filo. Domani Álvarosarà di nuovo al lavoro eavremodimenticatotutto.

Il bambino lo fissaangosciato.

– Non ti mentirei mai, –gli dice. – Non lo farei maiconte.LaferitadiÁlvarononè grave.Quell’uomo, il señorDaga o come si chiama, nonvoleva ferirlo. È stato unincidente. Ha perso ilcontrollodelcoltello.Icoltelliaffilati sono pericolosi. Èquestalalezionedaricordare:non si gioca con i coltelli. A

giocareconicoltellicisipuòfar male. Álvaro si è fattomale, ma per fortuna nongravementeeilseñorDagasen’è andato. Ha preso i suoisoldi e se n’è andato. Nontornerà.Questopostononeraperluieluilosa.

–Tunondevifareabotte,–diceilbambino.

– Non lo farò, te loprometto.

–Nondevifarlomai.

– Non sono uno che fa abotte. E Álvaro non stavafacendoabotte.Cercava solodiproteggersiesiètagliato–.AllungalamanopermostrarecomeÁlvaroavessecercatodidifendersi e si fosse poitagliato.

– Álvaro faceva a botte, –dice il bambino e pronunciaquelle parole in tono solenneedefinitivo.

– Difendersi non è fare a

botte.Difendersi è un istintonaturale,sequalcunocercassedi colpirti tu ti difenderesti.Non ci penseresti due volte.Guarda.

Da quando sono insiemenon ha mai sfiorato ilbambinoconundito.Adesso,improvvisamente, alza unamanominacciosa.Ilbambinonon batte ciglio. Lui finge didargli uno schiaffo sulla

guancia. Il bambino non siritrae.

– Va bene, – dice. – Ticredo –. Lascia cadere lamano. – Hai ragione tu, iosbagliavo.Álvarononavrebbedovutocercarediproteggersi.Avrebbe dovuto essere comete. Coraggioso come te.Adessovogliamoarrivarefinoall’ambulatorioevederecomesta?

Il giorno dopo Álvaroarriva al lavoro con la manoferitastrettadaunabenda.Sirifiuta di parlaredell’incidente. Prendendoesempioda lui anchegli altrinon ne parlano. Ma ilbambino continua atormentarlo. – Il señor Dagariporterà la bicicletta? –chiede. – Perché si chiamaseñorDaga?

– No, non tornerà, – gli

risponde. – Non gli stiamosimpatici, non gli piace ilnostrolavoro;nonhamotivoditornare.NonsoseDagaèilsuo vero nome ma nonimporta. I nomi nonimportano. Se vuolechiamarsi Daga, allora lasciachesichiamicosí.

– Ma perché ha rubato isoldi?

– Non ha rubato i soldi.Non ha rubato la bicicletta.

Rubareèprendersiquellochenon ti appartiene quandonessunolovede.Noieravamotutti lí a guardare quandohapreso i soldi. Avremmopotuto fermarlo, ma non loabbiamo fatto. Abbiamodeciso di non scontrarci conlui. Abbiamo deciso dilasciarlo andare. Tucertamente approvi. Tu seicontrarioagliscontri.

– L’uomo doveva dargli

piúsoldi.– Il contabile? Pensi che

avrebbe dovuto dargli tuttoquellochechiedeva?

Ilbambinoannuisce.– Non poteva farlo. Se

pagasse a tuttinoiquello chevogliamo,finirebbeisoldi.

–Perché?– Perché? Perché tutti

vogliamopiúdiquellocheciè dovuto. È nella natura

umana.Perchétuttivogliamodipiúdiquellochevaliamo.

– Che cos’è la naturaumana?

– È il modo in cui sonofatti gli esseri umani: io, te eÁlvaroe il señorDagae tuttigli altri. Il modo in cuiveniamo al mondo quandonasciamo. È quello che tuttiabbiamo incomune.Cipiacecredere di essere speciali,ragazzomio,atuttipiace.Ma

in senso stretto non puòessere cosí: se fossimo tuttispeciali, non ci sarebbe piúniente di speciale. E peròcontinuiamoa credere innoistessi. Scendiamo giú nellastiva della nave, nel caldo enella polvere, solleviamo isacchi e ce li mettiamo sullespalle per poi trascinarli sualla luce, vediamo i nostriamici faticare come noi, fareesattamente le stesse cose.

Non c’è niente di speciale intutto questo e andiamo fieridi loro e di noi stessi, noicompagni tutti a sgobbareinsieme per un obiettivocomune; eppure, in unangoletto del nostro cuoreche teniamo nascostosussurriamo a noi stessi: «Enondimeno, nondimeno, tusei speciale, vedrai! Ungiorno, quando meno ce loaspettiamo, un gran fragore

risuonerà sopra il fischio diÁlvaro e saremo chiamatituttiaraccoltasullabanchina,dove in attesa ci sarà unagrande folla e un uomo colvestito nero e il cappello acilindro; e quell’uomo colvestito nero ti inviterà a fareun passo avanti, dicendo:“Guardate questo operaiospeciale, di cui tutti cirallegriamo!”E ti stringerà lamanoetiappunteràsulpetto

unamedaglia–consuscritto“OnorealMerito”–e tutti tiacclameranno, battendo lemani».

– È tipico della naturaumana fare questi sogni,anche se sarebbe saggiotenerseli per sé. Comefacciamo tutti, il señor Dagapensavadiesserespeciale;manon se l’è tenuto per sé.Voleva essere scelto. Volevaesserericonosciuto.

Si ferma. Il volto delbambino non dà segno diavercompresonemmenounaparola. Oggi vuole propriofare lo scemo, o è solococciutaggine?

– Il señor Daga volevaessere lodato, voleva che glidesserounamedaglia,–dice.– Quando non gli abbiamodato la medaglia che avevasognato, lui sièpreso i soldi.

Sièpresoquellochepensavadivalere.Tuttolí.

– Perché non ha avuto lamedaglia? – chiede ilbambino.

– Perché se tuttiprendessimo la medaglia lemedaglie non varrebberoniente. Le medaglie bisognaguadagnarsele. Come i soldi.Non ti dànno una medagliasoloperchélavuoi.

– Iodareiunamedagliaal

señorDaga.– Be’, allora forse

dovremmo chiedere a te difarci da contabile. Poi tuttiavremo tutte le medaglie etuttiisoldichevogliamo,elaprossima settimana non cisarà piú niente nella cassettadeisoldi.

– Ci sono sempre i soldinellacassettadeisoldi,–diceilbambino.–Èperquellochesichiamacosí.

Alza le mani. – Nondiscuto piú con te se haidecisodifareloscemotto.

Capitolosettimo

Qualchesettimanadopolaloro prima visita al Centro,arriva una lettera dall’ufficio

delMinisteriodeReubicacióndiNovillache lo informachealuieallasuafamigliaèstatoassegnato un appartamentonel Villaggio Est, e chedovranno occuparlo entro le12dellunedísuccessivo.

Il Villaggio Est,generalmente noto comeBlocchiEst,èuncomplessoaest del parco, un gruppo dicaseggiati separati da distesedi prato. Lui e il bambino lo

hanno già esplorato, comehanno già esplorato anchel’identicoVillaggioOvest.Gliedifici che lo compongonosono tutti uguali, di quattropiani. Su ogni piano seiappartamenti dànno su unapiazza dotata di servizipubblici come un campogiochi e una piscina perbambini, una rastrelliera perle biciclette e i fili per ilbucato. Il Villaggio Est è

ritenuto piú desiderabile diquello Ovest; si possonoritenere fortunati perquell’assegnazione.

Traslocare dal Centro èfacile perché possiedonopochecoseenonhannofattoamicizie. I loro vicini eranoda un lato un vecchio che siaggirava in vestagliabarcollando e parlando dasolo, e dall’altro una coppia

spocchiosachefingevadinoncapireilsuospagnolo.

Il nuovo appartamento, alsecondo piano, è didimensioni modeste e conpochi arredi: due letti, untavolo e delle sedie, unacassettiera e scaffali dimetallo. In uno sgabuzzinoannesso c’è un fornelloelettrico suun supportoeunlavandino con l’acquacorrente. Il water e la doccia

sono nascosti da una portascorrevole.

Per la prima cena aiBlocchi prepara il pastopreferitodelbambino,frittelleconburroemarmellata.–Cipiacerà,nonèvero?–dice.–Sarà un nuovo capitolo nellanostravita.

Avendo detto ad Álvaroche non sta bene, non haremore a prendersi qualchegiorno libero dal lavoro.

Guadagna piú che asufficienza per le loroesigenze, non vede a chescopo dovrebbe sfinirsi e poici sono sempre nuovi arriviche cercano un lavorotemporaneo e possonosostituirlo al porto. Cosí avolte la mattina restasemplicemente a poltrire aletto, assopendosi erisvegliandosi, si gode il

teporedelsolecheentradallefinestredellaloronuovacasa.

«Sto recuperando le forze,– sidice.–Recupero le forzeper il prossimo capitolo diquest’impresa». Il prossimocapitolo vuol dire la ricercadellamammadelbambino;laricerca che ancora non sa dache parte incominciare.«Raccolgo le energie, facciounpiano».

Mentre lui si rilassa il

bambino fuori gioca nelquadrato di sabbia osull’altalena, oppure si aggiratrailbucato,canticchiandoinsordina, avvolgendosi nellelenzuola umide come in unbozzolo e poi ruotando su sestesso fino a liberarsi. Ungioco di cui sembra nonstancarsimai.

– Non credo che i nostrivicini saranno contenti divederti giocare con la loro

biancheriaappenalavata,–glidice. –Cosa ci trovi di tantodivertente?

–Mipiacel’odore.La volta dopo, quando

attraversa il cortile, premecon discrezione il viso su unlenzuolo e inspiraprofondamente. È un odorepulito,caldoeconsolatorio.

Piú tardi, quello stessogiorno,guardandofuoridallafinestra, vede il bambino

sdraiatosulpratoconlatestavicina vicina a quella di unaltro,unpo’piúgrandedilui.Sembrano immersi in unaconversazioneintima.

– Hai un nuovo amico, aquanto vedo, – osserva apranzo.–Chiè?

– Fidel. Sa suonare ilviolino.Melohafattovedere.Possoavereunviolinoancheio?

–AbitaquiaiBlocchi?

– Sí. Posso avere unviolinoancheio?

–Vedremo. I violini sonomoltocariepoibisognaavereun maestro. Non puoiprendere inmanoilviolinoesuonare.

– La mamma di Fidelglielo insegna. Ha detto chepuòinsegnareancheame.

– Sono contento che haiun nuovo amico, sonocontento per te. Quanto alle

lezioni di violino, forsesarebbe meglio se primaparlassi con la mamma diFidel.

–Ciandiamoora?– Possiamo andare dopo,

dopolasiesta.La casa di Fidel è all’altro

capodelcortile.Primaancorachefacciaintempoabussare,laportasispalancasuFideleFidel è lí davanti a loro, ben

piantato, riccioluto esorridente.

Ancheselacasanonèpiúgrande della loro e non haaltrettanta luce,l’appartamento sembra piúaccogliente,forseperviadelleallegre tende con il motivodelle ciliegie ripetuto suicopriletto.

Lamamma di Fidel gli vaincontro a salutarlo: unagiovane donna spigolosa,

quasi smunta, con i denti unpo’ in fuori e i capelli tiratidietroleorecchie.Perqualcheoscuro motivo a tutta primarimane deluso nel vederla,anchesenonc’èragione.

– Sí, – conferma lei, – hodetto a suo figlio che puòunirsiaFidelitoperlelezionidimusica.Inseguitopotremovalutaremeglioevederesehala capacità e la voglia diproseguire.

– Molto gentile da partesua;Davidinveritànonèmiofiglio.Iononhounfiglio.

–Dovesonoigenitori?– I genitori... è una

domanda difficile. Lespiegheròquandoavremounpo’ di tempo. Quanto allelezioni:deveavereunviolinosuo?

– Con i principianti ingenerecomincioconilflauto.Fidel,–sistringealfiglioche

l’abbracciaconaffetto,–Fidelha studiato il flauto per unannoprimadicominciarecolviolino.

Lui si rivolge a David. –Hai sentito, ragazzo mio?Prima impari a suonare ilflauto e poi il violino.D’accordo?

Ilbambinofaunasmorfia,lancia un’occhiata al suonuovoamicoetace.

– Fare il violinista è una

grossa impresa.Non ce la faise non cimetti tutto il cuore–. Si rivolge alla mamma diFidel. – Posso sapere quantocosterà?

Lei lo guarda sorpresa. –Noncostaniente,–dice.–Lofaccioperlamusica.

Si chiama Elena. Non è ilnome che le avrebbeattribuito. Poteva pensare aManuela,operfinoaLourdes.

InvitaFidel e suamadre a

fare una gita in autobus finoalla Nuova Foresta, una gitaraccomandata da Álvaro(«Un tempo era unapiantagione, ma ora l’hannolasciata inselvatichire; tipiacerà»). Dal capolineadell’autobus i due ragazzinicomincianoacorreresuperilsentieromentreluiedElenaliseguonosenzafretta.

– Ha molti allievi? – lechiede.

– Oh, non sono una verainsegnantedimusica.Hosoloqualche bambino a cuiinsegnoiprimirudimenti.

– E di che vive se non fapagarelelezioni?

– Cucio. Faccio cosediverse e prendo un piccolosussidio dalla Asistencia. Mibasta. Ci sono cose piúimportantideisoldi.

–Intendelamusica?–Sí,lamusica,maancheil

modo in cui si vive. In cui sidevevivere.

Una buona risposta, unarisposta seria, una rispostafilosofica. Per un momentoluirimaneinsilenzio.

–Frequentamoltagente?–chiede. –Cioè, voglio dire, –prende il toroper le corna,–c’èunuomonellasuavita?

Lei lo guarda male. – Hodegli amici. Alcuni sono

donne e altri uomini, nonfacciodistinzioni.

Il sentiero si restringe. Leiva avanti, lui la segue eosserva la curva dei suoifianchi. Preferisce le donneconunpo’ piúdi carne sulleossa. E tuttavia Elena glipiace.

–Perquelchemiriguardanon è una distinzione cuiposso rinunciare, –dice. –Oallaqualevorreirinunciare.

Lei rallenta perpermettergli di raggiungerla,e loguardadritto in faccia.–Nessunodovrebberinunciarea quello che ritieneimportante,–dice.

I due bambini ritornano,affannati dalla corsa,sprizzano salute. – Abbiamoqualcosa da bere? – chiedeFidel.

È solo quando sono dinuovoinautobus,diritornoa

casa, che ha di nuovo mododiparlareconElena.

–Non so com’è per lei, –dice, – ma il passato non èmorto per me. I particolaripossonoessereunpo’sfocati,ma la sensazione di com’eraprima la vita è ancoramoltovivida. Uomini e donne peresempio: lei dice di essereandata oltre quel modo dipensare; ma io no. Iocontinuo a pensare che sono

un uomo e che lei è unadonna.

–Sonod’accordo.Uominie donne sono diversi. Glitoccanoruolidiversi.

I due bambini, nella filadavanti, sussurrano eridacchiano tra loro. Luiprende lamanodi Elena. Leinon gliela sottrae. Eppure,attraverso quei mezziimperscrutabili con cui ilcorpo parla, la sua mano

risponde. Muore nella suastretta come un pesce fuord’acqua.

–Possochiedere,–ledice,– se è anche andata oltre lapossibilità di sentire qualsiasicosaperunuomo?

– Non è che non sentoniente, – risponde leilentamenteeconcautela.–Alcontrario, mi sento piena dicordialità.Versodileieverso

suofiglio.Pienadicaloreedicordialità.

– Con cordialità intendedire che ci augura tutto ilbene? Ho difficoltà adafferrare il concetto. Provabenevolenza nei nostriconfronti?

–Già,propriocosí.– La benevolenza, le devo

dire, è quello checontinuiamo a incontrare daqueste parti. Tutti ci

augurano il bene. Tutti sonogentili con noi. Siamodecisamente trasportati suuna nuvola di cordialità. Maresta tutto un poco astratto.Possibile che la cordialità dasola soddisfi i nostri bisogni?Non è nella nostra natura ildesiderio di qualcosa di piútangibile?

Elena sfila cautamente lamano da quella di lui. – Sipuòaspirareaqualcosadipiú

della cordialità, ma è sicuroche quel che si desidera siameglio della cordialità?Questo dovrebbe chiedersi –.Siferma.–ContinuaaparlarediDavid come «il bambino».Perchénonusailsuonome?

–David è il nome che glihanno dato al campo. A luinon piace, dice che non è ilsuoveronome.Sepossofarneameno,cercodinonusarlo.

– Cambiare un nome è

piuttosto facile, lo sa. Vaall’anagrafe e riempiel’apposito modulo. Tutto lí.Nientedomande–. Si sporgein avanti. – E voi due chestatebisbigliando?–chiedeaibambini.

Il figlio le sorride, porta ildito alle labbra, fingendo chesi tratti di una faccendasegreta.

L’autobus li lascia davantiai Blocchi. – Mi sarebbe

piaciuto invitarvi a prendereun tè, – dice Elena, – mapurtroppo per Fidelito è oradifareilbagnoecenare.

– Capisco, – dice lui. –Ciao, Fidel. Grazie per lapasseggiata.Èstatobello.

– Tu e Fidel sembrateandare molto d’accordo, –commenta con il bambinoquandosonodinuovosoli.

– Lui è il mio miglioreamico.

– Allora Fidel è pieno dicordialità nei tuoi confronti,nonèvero?

–Tanta.–Etu?Lasentianchetu?Il bambino annuisce con

vigore.– Nient’altro oltre a

questo?Il bambino lo guarda

perplesso.–No.In quel momento gli è

tutto chiaro, dalla bocca dei

bimbi e dei lattanti. Dallacordialità vengono l’amiciziaelafelicità,ipicnicalparcoole passeggiate pomeridianenel bosco tra amici. Mentredall’amore, o almeno daldesiderio nelle suemanifestazionipiúimpellenti,vengono frustrazione, dubbioeangustia.Èmoltosemplice.

EchecosavuolepoiluidaElena? Una donna checonosceamalapena,lamadre

del nuovo amico delbambino? Spera di sedurlaperché in quei ricordi chenonhadeltuttopersosedursiè una cosa che uomini edonne fanno? Vuole ribadirela superiorità del personale(desiderio, amore)sull’universale (cordialità,benevolenza)? E perché nonfa altro che porsi domandeinvece di vivere come fannotutti? Fa tutto parte di una

transizionetroppotardivadalvecchio e confortevole (ilpersonale) al nuovo einquietante (l’universale)? Equesto percorso in cui ci siinterroga su se stessi non èaltro che una fase nellosviluppo di ogni nuovoarrivato,unafasechepersonecomeÁlvaro e Ana ed Elenahanno ormai felicementesuperato? E se è cosí, quantodovrà aspettare prima di

emergereasuavoltacomeunuomonuovo,migliore?

Capitoloottavo

–L’altrogiornomiparlavidella cordialità come dellapanacea per tutti i mali del

mondo,–diceaElena.–Maavolte non ti manca il buonvecchiocontattofisico?

Sono nel parco, a lato diun campo nel quale sisvolgono cinque o seidisordinate partite di calcio.Fidel eDavid hanno avuto ilpermesso di unirsi a una diquelle partite anche se sonodavvero troppo piccoli.Scattano avanti e indietrodisciplinatamenteconglialtri

giocatori, ma nessuno glipassalapalla.

– A chiunque cresca unbambino non manca ilcontatto fisico, – rispondeElena.

– Per contatto fisicointendo qualcosa di diverso.Intendo amare ed essereamati. Intendo dormire conqualcunotuttelenotti.Nontimancaquesto?

–Semimanca?Nonsono

iltipodipersonachesoffrediricordi, Simón. Quello di cuiparli sembra cosí lontano. Ese dicendo dormire conqualcunotiriferiscialsesso…sembra anche cosí strano.Unacosacuriosapercuidarsipena.

–Madicertonientecomeilsessoavvicinalepersone.Ilsesso avvicinerebbe noi due,peresempio.

Elena si volta indietro. –

Fidelito! – grida, e gli fasegno.–Vieni!Oradobbiamoandare!

Si sbaglia o sulle sueguance è comparso un lieverossore?

LaveritàèchetrovaElenasolo moderatamenteattraente. Non gli piace cosíossuta,conlamascellaforteei denti davanti sporgenti.Malui è un uomo e lei è unadonna e l’amicizia dei

bambini continua a farliincontrare.Cosí,malgradosiastato cortesemente eripetutamente liquidato,continua a permettersipiccole libertà, libertà chesembrano divertirla piú cheirritarla. Volente o nolentefinisce per scivolare infantasie in cui un qualchecolpodifortunaspingeElenatralesuebraccia.

Quando arriva, quel colpo

di fortuna ha la forma diun’interruzione dell’energiaelettrica. Non è raro chemanchi la corrente in città,ma di solito la cosa vieneannunciata con un giorno dianticipo e riguarda i numericivici pari oppure quellidispari.Nel caso dei Blocchi,riguarda tutti gli edifici arotazione.

Lasera inquestione,però,non c’è stato preavviso, c’è

statosoloFidelchebussaallaporta e chiede di fare lí icompitivistochenonc’èluceelettricaincasasua.

– Hai già mangiato? –domandaalbambino.

Fidelscuotelatesta.–Corriacasa,–glidice.–

Di’ a tua madre che sieteinvitatituttiedueacenaqui.

Lacenachepreparanonèaltro che pane e minestra(orzo e zucca bolliti con una

confezione di fagioli inscatola; deve ancora trovareunnegoziochevendaspezie),ma è sufficiente. Fidel hafinito i compiti. I bambini simettono a sfogliare dei libriillustrati; poiimprovvisamente, come peruna botta in testa, Fidelpiombanelsonno.

–Facosídaquandoerainfasce, – dice Elena. –Non sisveglia nemmeno con le

cannonate. Lo prendo inbraccio e lo porto a letto.Grazieperlacena.

– Non puoi tornare inquell’appartamento buio.Fermati qui stanotte. Fidelpuò dormire con David. Iodormo sulla sedia. Ci sonoabituato.

È una bugia. Non èabituatoadormiresullesediee su quella piccola sedia dacucina dallo schienale rigido

dubita che sia umanamentepossibiledormire.Manondàa Elena la possibilità dirifiutare. – Dov’è il bagno losai.Eccounasciugamano.

Quandoescedalbagno,leiè a letto e i due bambinidormono fianco a fianco. Siavvolgenellacoperta inpiúespegnelaluce.

Perunpocotuttotace,poi,all’improvviso, la voce di lei

dice:–Seèscomodo,comedicertoè,tipossofareposto.

Le scivola accanto nelletto. Silenziosamente,cautamente, fannolecosedelsesso, attenti ai bambini chedormonopocolontano.

Nonècomeavevasperatoche fosse. Lei non cimette ilcuore e questo lui lo sentesubito; per quel che loriguarda la riserva di

desiderio represso su cuicontavasidimostraillusoria.

–Vedicosavolevodire?–sussurraleiallafine.Glisfiorale labbra conundito. –Nonci fa fare passi avanti, nontrovi?

Ha ragione lei? Deveprendere sul serioquest’esperienza e dire addioal sesso, come sembra averfatto Elena? Comunquetenere fra le braccia una

donna, anche se non è unabellezza da far girare la testa,lotirasu.

– Non sono d’accordo, –rispondebisbigliando.–Anzicredoproprio che ti sbagli –.Poi una pausa. – Ti sei maichiesta se il prezzo chepaghiamo per questa nuovavita, il prezzo dell’oblio, nonsiatroppoalto?

Lei non risponde. Sirisistemalabiancheriaintima

eglivoltalespalle.Anche se non vivono

insieme, gli piace pensare alorodue,asestessoeaElenadopo la primanotte insieme,come a una coppia, unacoppiachesistaformando,edi conseguenza ai duebambini come fratelli ofratellastri.Semprepiúspessocenanotuttiequattroinsiemela sera; e durante il weekendvanno a fare la spesa oppure

un picnic o una gita incampagna; e anche se nonpassano piú un’altra notteinterainsieme,Elenaditantoin tanto, quando i bambinisono via, gli permette di farel’amorecon lei.Lui cominciaadabituarsi al suocorpoconleanchedalleossasporgentiei senimagri. Lei chiaramentenon prova desiderio per lui,maglipiacepensarechefarcil’amore sia un lungo e

pazienteattodirianimazione,per riportare alla vita uncorpo femminile in praticamorto.

Quando lo invita a farel’amore, lei lo fa senza laminima civetteria. – Se vuoipossiamofarloora,–dice,poichiudelaportaesispoglia.

Un tempo tanta prosaicitàlo avrebbe smontato, cosícome la sua indifferenza loavrebbe umiliato. Ma ha

deciso di non lasciarsiscoraggiare né umiliare.Accetterà quello che lei glioffrecontutto l’entusiasmoelagratitudinepossibili.

Ingenereleiparladell’attosemplicemente come farlo,ma a volte, quando lo vuoleprendereingiro,usalaparolascongelare: – Se vuoi, puoiriprovare a scongelarmi –.Scongelare, una parola che siera lasciato sfuggire in un

momento di distrazione: –Fatti scongelare! – L’idea diessere scongelata e riportataalla vita l’aveva colpita econtinua ancora a colpirlacomebuffissima.

Tra di loro si stasviluppando, se nonun’intimità, almenoun’amicizia che gli sembrasolida, sicura. Se grazie allegame dei bambini e alletante ore passate insieme

sarebbecomunquenatatradiloro un’amicizia, o se farloabbia in qualche modocontribuito a crearla, non sadire.

È cosí, si chiede, che siformanolefamiglie,inquestomondo nuovo: si fondanosull’amicizia piuttosto chesull’amore? Non è unasituazione cui sia abituato,quelladiesseresoloamicodiuna donna. Ma ne vede i

vantaggi. Potrebbe perfinoarrivare a trovarla una cosagradevole.

– Dimmi del padre diFidel,–chiedeaElena.

– Non ricordo granché dilui.

–Maunpadredeveaverloavuto.

–Certo.–Misomigliavainqualche

modo?– Non so. Non sono in

gradodidirlo.– E tu, solo a livello

ipotetico, prenderesti inconsiderazioneunocomemecomemarito?

–Uno come te? Come te,dachepuntodivista?

–Sposerestiunocomeme?– Se questo è il tuomodo

dichiedermi se ti sposerei, larisposta è: sí, ti sposerei.Sarebbe una buona cosa perFidel e perDavid, per tutti e

due.Quandopensavidifarlo?Perché l’anagrafe è apertasolo nei giorni feriali. Puoiprenderti un po’ di tempoliberodallavoro?

– Sono sicuro di sí. Ilcaposquadra è un uomomoltocomprensivo.

Dopo quella stranaproposta e quello stranoassenso (cui luinondàalcunseguito) comincia a sentireuna certa diffidenza da parte

diElenaeunatensionenuovanel loro rapporto.Ma non sipentediaverglielochiesto.Stacercando una strada. Stacostruendolasuanuovavita.

– Che effetto ti farebbe, –lechiedeunaltrogiorno,–sefrequentassiun’altradonna?

– Con frequentare intendidirefarcisesso?

–Forse.–Eachipensi?–Anessunainparticolare.

Mi limito a esplorare lepossibilità.

–Esplorare?Nonèvenutal’oradisistemarsiperte?Nonseipiúunragazzino.

Luitace.–Mi chiedi che effettomi

farebbe. Vuoi una rispostabreve o una rispostacompleta?

– Una risposta completa.Lapiúcompleta.

– Molto bene. La nostra

amicizia è statapositivaper ibambini. Su questo siamod’accordo.Sisonoavvicinatieci vedono come figureprotettive,oaddiritturacomeun’unica figura protettiva.Perciò per loro non sarebbeuna buona cosa se la nostraamicizia dovesse finire e ionon vedo perché dovrebbefinire solo perché frequentiun’ipoteticaaltradonna.

– Ma sospetto che con

questadonnavorraicondurrelo stesso tipo di esperimentoche hai condotto con me eche nel corso di questoesperimentotiallontaneraidaFideledame.

– Perciò devo esplicitarequalcosa che speravo sarestiarrivato a capire da solo. Tuvuoi frequentare quest’altradonna perché io non ti dòquello che credi ti manchi,ovvero ventate di passione.

L’amicizia inquanto talenonti basta. Senza le ventate dipassione è in qualche modocarente.

–Amequestosuonacomeunamentalitàvecchia.Quellamentalità per cui,indipendentemente da tuttoquello che hai, c’è semprequalcosa chemanca. Il nomeche decidi di dare a questoqualcosa di piú che manca èpassione. Ma sono pronta a

scommetterechesedomanitioffrisserotuttalapassionechevuoi–secchiatedipassione–troveresti subito una nuovacosadicuisentirel’assenza,dicui sentire la mancanza.Questa insoddisfazioneinfinita, questa bramosia delqualcosa di piú chemanca, èunamentalità di cui secondomefacciamobenea liberarci.Non manca niente. Il nienteche tu pensi manchi è

un’illusione. Vivi diun’illusione.

– Ecco. Avevi chiesto unarisposta completa e te l’hodata. Ti basta o vorrestiancoraqualcos’altro?

È una giornata calda,questa giornata della rispostacompleta.Laradioèaccesadisottofondo e loro sono stesisul letto, tutti vestiti,nell’appartamentodilei.

– Per parte mia… –

comincia; ma Elena lointerrompe.–Shhh,–dice.–Basta parlare, almeno peroggi.

–Perchéno?– Perché poi si litiga e io

nonvoglio.Perciò tacciono e

rimangono sdraiati vicini insilenzio, ascoltando ora ilgracchiare dei gabbiani chevolteggiano sul cortile, ora lerisadeibambinichegiocano,

ora la musica della radio, lacui tranquilla, incessantemelodia che un tempo loquietavaoggiloirritaebasta.

Quello che vuole dire, daparte sua, è che la vita qui ètroppo placida per i suoigusti,mancanoglialtiebassi,il dramma e la tensione...insomma, somiglia troppoalla musica della radio.Anodina: è una parolaspagnola?

Ricorda che una volta hachiesto ad Álvaro come maialla radio non ci fossero lenotizie. – Notizie di che? –aveva chiesto Álvaro. –Notiziediquello che succedenel mondo, – aveva rispostolui. – Oh, – aveva dettoÁlvaro, – perché, succedequalcosa? – Come gli eracapitatoaltrevolte,sospettavalodicesseconironia.Einveceno,nonc’eraironia.

Álvaro non è interessatoall’ironia. E nemmeno Elena.Elena è una donnaintelligente ma non vedenessunaduplicitànelmondo,non vede differenza tra ilmodoincuilecoseappaionoe quello in cui sono. Unadonna intelligente eammirevole che con i mezzipiú esigui– cucito, lezionidimusica, faccende domestiche– ha messo insieme una

nuovavita,unavitaallaqualesostiene – a ragione? – chenon manchi niente. Stessacosa per Álvaro e gliscaricatori:nonhannobramesegrete che lui possaindovinare e nemmeno unavoglia matta di un altro tipodi vita. Solo lui è l’eccezione,l’insoddisfatto, il disadattato.Cos’è che non va in lui? È,come dice Elena, solo ilvecchiomododipensareedi

sentire che ancora non èmorto in lui, che ancorascalcia e trema scosso dagliultimispasmi?

Le cose, qui,nonhanno illorogiustopeso:èquestochealla fine gli piacerebbe dire aElena. La musica che ascoltanon ha peso. Il nostro farl’amorenonha peso.Al ciboche mangiamo, alla nostraspaventosa dieta a base dipane, manca la sostanza –

mancalasostanzadellacarneanimale con tutta la gravitàdel sangue versato e delsacrificio che c’è dietro. Lenostre stesse parolemancanodi peso, queste parolespagnole che non vengonodainostricuori.

La musica giunge alla suagarbata conclusione. Lui sialza.–Devoandare,–dice.–Ti ricordi che l’altro giorno

mi hai detto che non soffrividiricordi?

–L’hodetto?– Sí, l’hai detto mentre

guardavamo la partita dipallonenel parco.Ebbene, iononsonocomete.Iosoffrodiricordi o dell’ombra deiricordi. So che il nostropassaggio qui dovrebbeprodurre la tabula rasa ed èvero che non ho un granderepertorio cui fare appello.

Ma le ombre tuttavia ci sonoancora.Diquestosoffro.Solochenonusolaparolasoffrire.A quelle ombre io miaggrappo.

–Benecosí,–diceElena.–Il mondo è bello perché èvario.

Fidel e David entrano dicorsa nella stanza sudati,accesi,pienidivita.–Cisonoibiscotti?–chiedeFidel.

– Nel barattolo sulla

credenza,–diceElena.Iduebambiniscompaiono

in cucina. – Vi divertite? –gridaElena.

–Mmm,–faFidel.–Benecosí,–diceElena.

Capitolonono

–Comevannolelezionidimusica?–chiedealbambino.–Tipiacciono?

–Mmm.Saiunacosa?Dagrande Fidel si comprerà unviolino piccolo piccolo, – favedere con un gesto quantopiccolo: due palmi appena, –econunvestitodapagliacciosuonerà il violino nel circo.Possiamoandarealcirco?

– La prossima volta che ilcirco viene in città cipossiamo andare, tuttiinsieme. Possiamo invitare

ancheÁlvaro emagari ancheEugenio.

Il bambino fa il muso. –No, Eugenio non lo voglio.Dicelecosesudime.

– Ha detto solo una cosa:che in tec’era ildemone.Maera solo un modo di dire.Voleva dire che in te c’è unascintilla che ti rende cosíbravo a scacchi. Unospiritello.

–Luinonmipiace.

– Va bene, non invitiamoEugenio.Checosaimpariallelezioni di musica a parte lescale?

– Canto. Mi vuoi sentirecantare?

– Certo! Non sapevo cheElena insegnasse canto. Èpienadisorprese.

Sono in autobus, vannofuoricittà,versolacampagna.Anche se ci sono altripasseggeri il bambino non si

vergogna di cantare. Con lasua chiara giovane voceintona:

WerreitetsospätdurchDampfundWind?

EristderVatermitseinemKind;

ErhaltdenKnabenindemArm,

ErfüttertihnZucker,erküsstihmwarm.

– Ecco. È inglese. Possoimparare l’inglese? Nonvoglio piú parlare spagnolo.Odiolospagnolo.

– Parli un ottimospagnolo.Ecantianchemoltobene.Forsedagrande farai ilcantante.

– No. Farò il mago nelcirco.ChecosavuoldireWerreitetso?

– Non lo so, non parloinglese.

–Possoandareascuola?–Perquellodovraiancora

aspettare un poco, fino alprossimo compleanno. Poipotrai andare a scuola conFidel.

Scendono a una fermataindicatacomeTerminus,dovel’autobus torna indietro. Lamappa che ha preso allastazionedegliautobusmostrapercorsi e sentieri per lecolline;lasuaideaèdiseguire

unsentierotortuosofinoaunlago, segnalato sulla carta daunastellaperlasuabellezza.

Sono gli ultimi passeggerialasciarel’autobusegliuniciapercorrerequel sentiero.Lacampagna che attraversano èvuota. Anche se la terrasembrariccaefertilenonviètraccia di insediamentiumani.

– Che pace qui incampagna!–dicealbambino,

anche se in verità cosí vuotagli sembra piú desolata chepacifica.Sarebbestatomegliose ci fossero stati animali dafargli vedere,mucche, pecoreomaiali intenti alla loro vitaanimale. Perfino i coniglipotrebberoandare.

Di tanto in tanto vedonouccelli in volo, ma troppodistanti e troppo alti in cielopercapirediqualisitratti.

–Sonostanco,–annuncia

ilbambino.Lui studia la mappa. A

quanto pare sono a metàstrada rispetto al lago. – Tiportoioperunpo’,–glidice,– finché non ti ritornano leforze,–eseloissasullespalle.– Fa’ un fischio appena vediun lago. È da lí che vienel’acqua che beviamo. Fischiaselovedi.Anzifischiaappenavedi l’acqua. O se vedi deicontadini.

Continuano, ma o lui haletto male la mappa o èproprio la mappa a esseresbagliata,perchédopoun’ertasalitaeunadiscesaaltrettantoripida il sentiero finiscebruscamentecontrounmurodi mattoni e un cancelloarrugginito ricoperto diedera.Accantoalcancelloc’èun cartello dipinto scrostatodalle intemperie. Scosta

l’edera. – «La Residencia», –legge.

– Cos’è una residencia? –chiedeilbambino.

– Una residencia è unacasa,unacasaimportante,maquestainparticolarepotrebbeessereormaisolounrudere.

–Possiamovederla?Provano il cancello ma

non si smuove. Proprioquando stanno per tornaresui loro passi arriva, portato

dal vento, il suono flebile diuna risata. Seguendo quelsuono e facendosi stradafaticosamente sul terrenoinvaso dal sottoboscoarrivano in un punto dove ilmuro dimattoni è interrottoda un’alta rete metallica.Dall’altra parte della rete c’èun campo da tennis e sulcampo ci sono tre giocatori,due uomini e una donnavestitidibianco,gliuominiin

camicia e pantaloni lunghi ela donna con una gonnaampia, una blusa col collettorialzato e un berretto con lavisieraverde.

Gliuominisonoalti,conlespallelargheeifianchistretti;sembrano fratelli, forseaddiritturagemelli.Ladonnasi è unita a uno di loro pergiocare contro l’altro. Sonotuttitennistiesperti,questosivede subito, agili e rapidi sui

piedi. In particolare l’uomochegiocasoloèmoltobravoecontrolla il gioco condisinvoltura.

–Che fanno?–sussurra ilbambino.

– È un gioco, – rispondelui a bassa voce. – Si chiamatennis.Devicercaredicolpirelapallainmododamandarlaoltre il tuo rivale. Come faregoalnelcalcio.

La palla va a finire contro

il recinto e girandosi perrecuperarlaladonnalivede.–Ciao, – dice e sorride albambino.

Qualcosasismuovedentrodi lui. Chi è questa donna?Sorriso, voce, portamento…c’è in lei qualcosa dimisteriosamentefamiliare.

– Buongiorno, – dice. Halagolasecca.

– Dài, muoviti! – grida ilsuo amico. – Servizio

vincente.Non si dicono altro. E

quando poco dopo il suocompagno viene a prendereuna palla, lancia ai due unosguardo corrucciato, come achiarire che non sonobenvenuti, nemmeno perguardare.

– Ho sete, – sussurra ilbambino.

Gli passa la borracciad’acquachehaportato.

– Non abbiamonient’altro?

–Cosavuoi,nettare?–glichiede irritato e poi si pentedel tono. Estrae dallo zainoun’arancia e faunbuconellabuccia. Il bambino succhiaavidamente.

– Va meglio ora? – glichiede.

Il bambino annuisce. –AndiamoallaResidencia?

– Questa deve essere la

Residencia. Il campo datennisnedevefarparte.

–Possiamoentrare?–Cipossiamoprovare.Lasciandosi alle spalle i

giocatorisulcampodatennis,si addentrano per ilsottobosco, seguono il murofinoaemergereinunastradadi terra battuta che porta adue grandi cancelli di ferro.Dietrolesbarre,attraversoglialberi, possono intravedere

un edificio imponente dipietrascura.

I cancelli sono chiusi, manon a chiave. Scivolanodentroeseguonounsentierocopertodifogliemorteincuiaffondano fino alla caviglia.Una freccia su un cartelloindica un ingresso porticatoche si apre su un cortile conuna grande statua marmoreaal centro: unadonna, o forseun angelo dalle vesti fluenti,

guarda fisso l’orizzontetenendo alta una torciaaccesa.

– Buon pomeriggio,signore, – dice una voce. –Possoaiutarla?

Aparlareèunvecchio,dalvolto segnato e dalle spallecurve. Porta un’uniformescolorita; è emerso da unaguardiolaocasottoall’entrata.

–Sí.Siamoappenaarrivatidalla città. Mi chiedevo se

fosse possibile parlare conunodeiresidenti,unasignorache sta giocando a tennis nelcampoquidietro.

–Epensachelasignorainquestionedesideriparlareconlei,signore?

– Penso di sí. C’è unaquestione importante chedevo discutere con lei. Unaquestione di famiglia, mapossiamo aspettare la finedellapartita.

–Eilnomedellasignora?– Quello non glielo posso

dire perché non lo conosco,ma posso descrivergliela.Direichehacircatrent’anni,èdimediastatura,ehaicapelliscuri tirati indietro. È incompagnia di due giovani edèvestitadibianco.

– Alla Residencia c’è unaquantità di donne conquell’aspetto,signore,emoltedi loro giocano a tennis. Il

tennis è uno sport piuttostopopolare.

Il bambino lo tira per lamanica. – Digli del cane, –sussurra.

–Ilcane?Fa cenno di sí. – Il cane

cheeraconloro.–Ilmioamichettoquidice

che hanno un cane, – ripete.Quanto a lui, non ricorda ilcane.

–Aha!–diceilportiere.E

si ritira nella sua tanatirandosi dietro la porta divetroperlasciarlofuori.Nellascarsa luce lo vedono chesfoglia delle carte. Poi tira sula cornetta, compone unnumero, ascolta, mette giú eritorna. – Mi spiace signore,nonrispondenessuno.

– Perché è fuori, è alcampo da tennis. Nonpossiamo andaredirettamentelí?

– Mi dispiace ma non èpossibile. Non è permessovisitarelenostrestrutture.

– Allora possiamoaspettare qui fino a che nonavràfinitodigiocare?

–Vabene.– Nell’attesa possiamo

passeggiareingiardino?–Vabene.Si addentrano nel folto

giardino.– Chi è quella signora? –

chiedeilpiccolo.–Nonl’hairiconosciuta?Ilbambinoscuotelatesta.–Nonhaisentitoqualcosa

smuoversinelpettoquandociha parlato, quando ci hasalutato, una stretta al cuore,come se l’avessi già vistaprima,daqualchealtraparte?

Perplesso, il bambinoscuotelatesta.

– Te lo chiedo perché lasignorapotrebbeesserequella

che cerchiamo. O almenoquestaèlamiasensazione.

–Saràleimiamadre?– Non ne sono certo.

Dovremochiederealei.Fannoilgirocompletodel

giardino. Tornati allaguardiola del portiere luibussa sulvetro.–Ledispiaceriprovare a chiamare lasignora?–chiede.

Il portiere compone unnumero. Questa volta c’è

risposta. – C’è un signore alcancello per lei, – gli sentedire. – Sí... sí... – Si rivolgenuovamente a loro: –Dicevache era una questione difamiglia,nonèvero,signore?

– Sí, una questione difamiglia.

–Eilsuonome?–Ilnomenonimporta.Ilportierechiudelaportae

riprende la conversazione.Allafineriappare.–Diceche

è disposta a incontrarla,signore,–dice.–Mac’èunapiccola difficoltà. I bambininon sono ammessi allaResidencia, temo che il suoragazzetto dovrà aspettarequi.

– Che strano. Perché nonsonoammessi?

– Niente bambini allaResidencia, signore. È laregola. Non faccio io leregole, io le applico. Dovrà

rimanere quimentre lei va afarelasuavisitadifamiglia.

– Starai con questosignore?–chiedealbambino.– Io torno al piú prestopossibile.

– Non voglio, – dice ilbambino.–Vogliovenireconte.

– Capisco, ma sono certoche appena la signora sentiràcheseiquiadaspettarevorràvenire a vederti. Allora farai

questo grande sacrificio erimarrai qui con questosignoreperunpochino?

– Tu tornerai? Me loprometti?

–Certo.Il bambino tace, sfugge il

suosguardo.– Non potrebbe fare

un’eccezione in questo caso?– chiede al portiere. – Staràbuono, non darà fastidio anessuno.

– Mi dispiace signore,niente eccezioni. Doveandremmo a finire secominciassimo con leeccezioni? Ben presto tuttivorrebbero essere l’eccezioneeaddioalleregole,nonècosí?

–Puoigiocareingiardino,– dice al bambino. E alportiere: – Può giocare ingiardino,nonèvero?

–Certo.– Arrampicati su un

albero, – dice al bambino. –Ce ne sono tanti su cuiarrampicarsi. Tornerò in unbattibaleno.

Seguendo le istruzioni delportiere, attraversa il cortile,passaperunasecondaentratae bussa a una porta con suscritto «Una». Nessunarisposta.Entra.

Sitrovainunasalad’attesadalle pareti ricoperte di cartabianca con il disegno di una

lira e di un giglio verdepallido. Lampade nascosteproiettano una luce biancadiscretamente verso l’alto. Cisono un divano bianco infinta pelle e due poltrone. Suun tavolinetto vicino allaporta ci sono una mezzadozzinadibottiglieebicchieridiognifoggia.

Sisiedeeaspetta.Iminutipassano. Si alza e dàun’occhiata giú per il

corridoio. Nessun segno divita. Esamina pigramente lebottiglie. Cream Sherry, DrySherry.Vermouth.Contenutoalcolico per volume: 4%.Oblivedo.Dov’èOblivedo?

Poi all’improvviso lei è lí,ancora in tenuta da tennis.Piú solida di come gli eraapparsa sul campo, quasipesante.Portaunvassoiocheappoggia sul tavolo. Senzasalutarlosi siedesuldivanoe

incrocia le gambe sotto lalunga gonna. – Volevavedermi?–dice.

– Sí –. A lui batte forte ilcuore. – Grazie per esserevenuta.MichiamoSimón.Leinonmiconoscemaiononhoalcuna importanza.Vengodapartediqualcunaltroeportounaproposta.

– Non si vuole sedere? –gli chiede. – Uno spuntino?Unosherry?

Conmano tremante lui siversaunbicchieredisherryeprende uno dei piccolitramezzini. Cetriolo. Si siededi fronte a lei emanda giú ildolce liquore. Gli va subitoallatesta,latensionesiallentae lui comincia a parlareprecipitosamente.

– Ho portato quiqualcuno. Che poi è ilbambino che ha visto sulcampo da tennis. È qui fuori

cheaspetta.Ilportierenonlohavolutofarpassare,perchéèun bambino. Vuole venire avederlo?

–Ha portato un bambinoperincontrareme?

–Sí–.Sialzaesiversaunaltro bicchiere di quellosherry liberatorio. – Midispiace. Non capirà il sensodi tutto questo: sconosciutiche arrivano senzaannunciarsi. Ma non le so

dire come sia importante.Siamostati...

All’improvviso la porta sispalancaeilbambinopiombafra di loro senza fiato,ansimante.

– Vieni qui, – fa segno albambino. – La riconosciadesso questa signora? – Sivolta verso di lei che ha ilvoltoimpietritodalterrore.–Puòprenderlelamano?–Eal

bambino: – Vieni, prendi lamanodellasignora.

Il bambino se ne sta líimpalato.

Poi entra in scena ilportiereconariavisibilmenteirritata.–Midispiacesignore,–dice,–mal’avevoavvertita:è contro le regole. Devochiederlediandarevia.

Luisirivolgealladonna,faappello a lei. Di certo non ècostretta a subire questo

portiereelesueregole.Maleinondiceunaparola.

–Abbiaunpo’dicuore,–dice lui al portiere. –Abbiamofattotantastrada.Ese andassimo tutti ingiardino? Anche questosarebbecontroleregole?

– No, signore. Ma badibene: i cancelli chiudono allecinqueinpunto.

Si rivolge alla donna. –Possiamo uscire in giardino?

Per favore! Mi dia lapossibilitàdispiegare.

In silenzio, col bambinoche gli stringe lamano, i treattraversanolacorteinternaesi addentrano nel folto delgiardino.

– Questo un tempodev’esserestatouncomplessomagnifico,–osservacercandodinormalizzare la situazione,di parlare come una personaragionevole. – Che peccato

che il giardino sia cosítrascurato.

– Abbiamo un sologiardiniereatempopieno.Edètroppoperlui.

– E lei? È da molto cherisiedequi?

– Da un po’. Sepercorriamo quel sentieroarriviamoauno stagno con ipesci rossi. A suo figliodovrebbepiacere.

– In verità non sono suo

padre. Me ne occupo. Sonoun po’ come il suo tutore.Temporaneamente.

– Dove sono i suoigenitori?

–Isuoigenitori...Questoèil motivo per cui siamo quioggi. Il bambino non hagenitori, non nel sensocomune. C’è stato unincidentesullanave,venendoqui. Si è persa la lettera cheavrebbepotutospiegaretutto.

Di conseguenza i suoigenitori sono perduti. Omeglio lui èperduto.Luie lamadre sono stati separati enoi stiamo cercando diritrovarla. Quanto al padre èun’altrastoria.

Sono arrivati allo stagnomenzionatodalladonna,doveci sono davvero i pesci rossi,sia grandi sia piccoli. Ilbambino si accovaccia sullasponda e usa una fronda di

canna nel tentativo dirichiamarli.

–Vorreiesserepiúpreciso,– dice parlando rapidamenteeabassavoce.–Ilbambinoèsenza madre. Da quandoabbiamo lasciato la nave lastiamo cercando. Vorrebbeconsiderare l’idea diprenderlo?

–Prenderlo?– Sí, fargli da madre.

Essere sua madre. Vorrebbe

prenderlocomefigliosuo?– Non capisco. Non

capiscoproprioniente.Mistasuggerendodi adottare il suobambino?

– Non di adottarlo. Diessere sua madre. Essere suamadre a tutti gli effetti. Tuttinoi abbiamouna solamadre.Vuole essere quella sola eunicamadreperlui?

Finoaquelmomentoleiloha ascoltato con attenzione.

Ma adesso comincia aguardarsi intorno con ansia,come nella speranza chequalcuno– il portiere, o unodeisuoicompagniditennisochicchessia – possa venire asalvarla.

–Echeneèdellasuaveramadre? – domanda. – Dovesta?Èancorainvita?

Lui era convinto che ilbambino fosse troppoassorbito dai pesci rossi per

ascoltare. Ma ecco cheall’improvviso salta fuori: –Nonèmorta!

–Ealloradoveè?Il bambino tace. Per un

poco anche lui rimane insilenzio. Poi parla. – Perfavore mi creda – mi diafiducia–non èuna faccendasemplice. Questo bambino èsenza madre. Che cosasignifichi non glielo sospiegareperchénonmeloso

spiegarenemmenoio.Peròleassicuro: se diràsemplicemente sí, senzapensarci sopra, né prima nédopo, tutto le diventeràchiaro,chiarocomeilgiorno,o almeno io ne sonoconvinto. Dunque vuoleaccettare questo bambinocomesuo?

Lei siguarda ilpolsodovenon c’è orologio. – S’è fattotardi, – dice. – Imiei fratelli

mi staranno aspettando –. Sivoltae siavviaagrandipassiversolaresidenza,conlevestichefruscianotral’erba.

Lui le corre dietro. – Perfavore! – dice. – Ancora unmomento. Ecco: mi lasciscrivere il suo nome. Sichiama David. Questo è ilnomecheporta,quellocheglihanno dato al campo. E quiabitiamo noi. Appena fuoricittà, nel Villaggio Est. Per

favore ci pensi –. Le infila ilfoglietto in mano. Poi leiscompare.

–Nonmi vuole? – chiedeilbambino.

–Certochetivuole.Seiunbambino cosí bello eintelligente, chi mai non tivorrebbe? Ma prima si deveabituare all’idea; le abbiamoinstillatoilsemenellamenteeadessobisognaesserepazientie lasciare che cresca. Se voi

due vi piacete di certocresceràe fiorirà.A tequestasignorapiace,nonèvero?Haivistocomeègentile,delicataegentile.

Ilbambinotace.Quando finalmente

riescono a raggiungere ilcapolinea è quasi buio. Inautobus il bambino gli siaddormenta sulle ginocchia elui deve portarlo in braccio,addormentato, dalla fermata

dell’autobusall’appartamento.

In piena notte vienestrappatodalsonnoprofondoin cui era. È il bambino, inpiediaccantoalsuoletto,conleguancerigatedilacrimechegeme:–Hofame!

Luisialza,scaldaunpo’dilatte, imburra una fetta dipane.

–Andremoadabitarelí?–chiede il bambino con la

boccapiena.– Alla Residencia? Non

credo. Non ci sarebbe nienteda fare per me lí. Diventereicome una di quelle api cheronzanointornoall’alveareinattesa dei pasti. Ma nepossiamo parlare domattina.C’ètempo.

– Non voglio abitare là.Voglioviverequiconte.

– Nessuno ti obbligherà avivere dove non vuoi. Ora

torniamoaletto.Rimane col bambino

accarezzandolo con dolcezzafinoachenonsiaddormenta.«Voglio vivere con te». E sequel desiderio dovessedolorosamente avverarsi?Saràingradodiesseretutteeduelecose,madreepadreperilbambino,editirarlosuperla retta via e intantoconservareillavoroalporto?

Dentro di sé si maledice.

Se solo avesse presentato lalorosituazioneconpiúcalma,con piú razionalità! E inveceno, si è dovuto comportarecome un pazzo, investendoquella povera donna con lesue preghiere e le suerichieste. «Prenda questobambino! Sia la sua sola eunica madre!» Avrebbe fattomeglio a trovare il modo dimetterglieloinbraccio,corpocontro corpo, pelle contro

pelle.Allora forse ricordi piúprofondi di quelli razionalisarebbero affiorati. E tuttosarebbe andato bene. Maahimè, era stato troppoinaspettatoperleiquelgrandemomento,cosícomeerastatotroppoimprovvisoperlui.Gliera scoppiato addosso comeuna stella e lui l’avevaperduto.

Capitolodecimo

Come si scoprirà, però,non tutto è perduto. Propriomentre scocca mezzogiorno,

il bambino corre su per lescale in uno stato di grandeeccitazione.–Sonoqui, sonoqui!–grida.

–Chièqui?– La signora della

Residencia! La signora chesaràmiamadre! È venuta inmacchina.

Lasignora,chesipresentasullasogliaconunvestitobluscuro piuttosto formale e uncurioso cappellino con uno

sgargiante spillone d’oro e –lui non crede ai suoi occhi –con i guanti bianchi come sestesse andando dall’avvocato–nonèsola.Èaccompagnatadal giovane alto emagro chesul campo da tennis avevacosí abilmente tenuto testa aidue rivali. – Mio fratelloDiego,–spiega.

Diegofauncennodelcapomanondiceniente.

– Accomodatevi, prego, –

dice agli ospiti. – Se non vidispiace usare il letto...Ancora non abbiamocomprato i mobili. Possooffrirvi un bicchier d’acqua?No?

LasignoradellaResidenciasiede sul bordo del letto afiancodel fratello, sipizzica iguanti nervosa e si schiariscela gola. – Le dispiacerebberipeterci quello che ha dettoieri? – dice. – Cominci dal

principio, proprio dalprincipio.

– Se cominciassi propriodal principio staremmo quitutto il giorno, – rispondecercando di sembrare calmo:vuoleprimadituttosembraresensato. – Piuttosto lasci chele dica quel che segue. Noi,David e io, siamovenuti qui,come tutti gli altri, nellasperanza di una vita nuova,un nuovo inizio. Quello che

voglio per David, quello cheancheDavidvuole,èunavitanormale, come quella deglialtri ragazzi. Ma – come èlogico–percondurreunavitanormale ha bisogno di unamadre, ha bisogno per cosídire di essere figlio di unamadre. Dico bene, o no? –dicevolgendosialbambino.–Questo è quello che vuoi.Vuoiunamadretuttatua.

Il bambino annuisce con

forza.–Sonosemprestatosicuro

–nonmichiedaperché–chese l’avessi vista avreiriconosciuto la mamma diDavid; e ora che hoincontrato lei so che avevoragione.Nonèstatouncasoaportarci alla Residencia. Unamanocideveaverguidato.

È chiaro che l’osso durosarà Diego: Diego, non ladonna, di cui non sa, né gli

interessa sapere, nemmeno ilnome.Ladonnanon sarebbevenuta se non fosse stataprontaafarsitrascinare.

– Una mano invisibile, –ripete.–Davvero.

Diego gli pianta addossouno sguardo tagliente.«Bugiardo!» dice quellosguardo.

Lui fa un respiroprofondo.–Leihadeidubbi.Capisco. Si chiede: «Com’è

possibilechequestobambinosu cui nonhomai posato gliocchisiamiofiglio?»Maiolascongiuro: metta da parte ildubbioeascoltiquelloche ledice il cuore. Lo guardi.Guardi il bambino. Cosa lediceilcuore?

La giovane donna nonrisponde, non guardanemmeno il bambino ma sivolta verso il fratello come adire: «Vedi? È come ti ho

detto. Ascolta la suaincredibile, folle proposta!Checosadevofare?»

Il fratello parla sottovoce.– Possiamo parlarci daqualche parte, a quattr’occhi,ioelei?

–Certo.Possiamouscire.Conduce Diego giú per le

scale, oltre il cortile, oltre ilprato, su una panchinaall’ombra di un albero. – Sisieda, – dice. Diego ignora

l’invito.Lui invece si siede.–Cosa posso fare per lei? –chiede.

Diego poggia una gambasullapanchinaesichinasudilui.–Primaditutto,chièleiecosacercadamiasorella?

– Chi sono io non conta.Non è importante. Sono unaspeciediservitore.Mioccupodel bambino. E non cerconientedasuasorella.Cercola

mammadelbambino.C’èunabelladifferenza.

– Chi è questo bambino?Dove lo ha preso? È suonipote?Dovesonoigenitori?

–Nonènémionipote,némiofiglio.Nonsiamoparenti.Siamoincappatipercasounonell’altro sulla nave quandolui ha perso i documenti cheportava con sé. Ma che cosaimporta tutto ciò?Arriviamoqui, tutti noi: lei, io, sua

sorella, il bambino, mondatidal passato. È un caso che ilbambino sia affidato a me.Può essere che non fossequesto il destino che avreiscelto perme,ma lo accetto.Col tempo si è abituato acontare su di me. Ci siamomolto legati. Ma non possoessere tutto per lui. Nonpossoesseresuamadre.

–Suasorella–midispiace,nonsocomesichiama–è la

madre, la madre naturale.Non so comequesto si possaspiegare ma è cosí,semplicemente. E lei, in cuorsuo,losa.Perchémaisarebbequi oggi, altrimenti? Inapparenzaècalmamasottolasuperficie sento che questodono,ildonodiunbambino,laelettrizza.

– I bambini non possonostareallaResidencia.

– Nessuno oserebbe

separarelamammadalfiglio,indipendentemente da quellochediceilregolamento.Epoisua sorella non devecontinuare per forza a viverealla Residencia. Potrebbesubentrare in questoappartamento. È suo. Glielolascio. Io troverò da starealtrove.

Chinandosi verso di luicome per parlargli inconfidenza,Diego gli dà uno

schiaffo improvviso.Scioccato, mentre cerca didifendersi, riceve un secondocolpo. Non sono forti ma lofannosussultare.

–Perchéfacosí!–esclamaalzandosi.

–Nonsonoscemo!–sibilaDiego.–Mihapresoperunoscemo? – Di nuovo alza lamanominaccioso.

– Nemmeno per unmomento l’ho presa per

scemo–.Deveplacarequestogiovanotto, evidentementesconvolto – e chi non losarebbedelresto?–daquestastrana ingerenza nella suavita.–Èunastoriainsolita,loammetto.Mapensiunpocoaquesto bambino. Il suointeressevieneprimaditutto.

La sua preghiera non haalcun effetto: Diego ha lastessaespressionebellicosadiprima.Luigiocalasuaultima

carta.–Suvvia,Diego,–dice,– si guardi nel cuore! Se c’èbenevolenza nel suo cuore,non vorrà mai separare unfigliodallamamma!

– Non sta a lei giudicaredellemiebuone intenzioni,–diceDiego.

– Allora lo dimostri!Torniamo indietro insieme edimostri al bambino tutta labenevolenza di cui è capace.

Venga! – Si alza e prendeDiegoperilbraccio.

Una scena sorprendente liaccoglie.LasorelladiDiegoèsul letto, in ginocchio, e dàloro le spalle,acavalcionisulbambino, sdraiato sullaschiena sotto di lei; la gonnasollevata lascia intravedere lecosce solide e pesanti. –Gambero,gambero,gambero!– canticchia lei con voceflebile e acuta. Facendo

scorrere le dita sul torace delbambino finoalla cintura, glifailsolleticoeilbambinoridesfrenato,dimenandosi.

– Eccoci qui, – annuncialuiavocealta.Leisiprecipitaascenderedallettocolvisoinfiamme.

–Inése iostiamofacendoungioco,–diceilbambino.

Inés! Allora questo è ilnome!Enelnomel’essenza!

–Inés!–diceilfratelloele

fa un cenno brusco.Sistemandosi la gonna lei siaffretta a raggiungerlo. Dalcorridoio, un bisbigliarefuribondo.

Inés torna indietro agrandi passi, seguita dalfratello. – Vogliamo che ciripetatuttodinuovo,–dice.

–Volete che ripeta lamiaproposta?

–Sí.– Benissimo. Propongo

che lei diventi la mamma diDavid.Iorinuncioaqualsiasidiritto su di lui (lui continuaad avere un diritto su di mema quella è un’altra storia).Firmerò qualsiasi documentomi vogliate presentare perconfermarlo.Voi due potretevivere insiemecomemadreefiglioacominciaredaquandovipare.

Diegosbuffa,esasperato.–Questa è tutta una follia! –

grida.–Tunonpuoiesserelamadrediquestobambino,luigià ce l’ha una madre, lamadredacui ènato!Senza ilpermesso della madre nonpuoiadottarlo.Dammiretta!

Scambia uno sguardomutoconInés.–Lovoglio,–dicelei,nonrivoltaaluimaasuo fratello. – Lo voglio, –ripete. – Ma non possiamostareallaResidencia.

– Come ho detto a suo

fratello, se vuole puòtrasferirsiqui,èlabenvenuta.Anche oggi. Io me ne andròimmediatamente e questasaràlasuanuovacasa.

–Tunondevi andare via,nonvoglio,–diceilbambino.

– Non andrò lontano,bambino mio. Andrò a stareda Elena e Fidel. Tu e la tuamamma potrete venire atrovarmiquandovolete.

–Vogliocherimaniqui,–

diceilbambino.–Questoècarinodaparte

tua ma non mi possointromettere fra te e la tuamamma. Da ora in poi voidue starete insieme. Sareteuna famiglia. Io non possofare parte di quella famiglia.Ma sarò un aiutante. Unservitore e un aiutante.Promesso. – Si volge versoInés. – Allora siamod’accordo?

– Sí –.Ora che ha deciso,Inés è divenuta piuttostoperentoria. – Torniamodomani. Col nostro cane. Ivostri vicini si opporranno alcane?

–Nonoserebbero.

La mattina dopo, quandoInés torna col fratello, lui hagià spazzato per terra, lavatole mattonelle, cambiato le

lenzuola; le sue cose sonopronteper essereportate via,avvolteinunfagotto.

Diego conduce il corteo,con una grande valigia inspalla. La lascia cadere sulletto: – E non finisce qui, –annunciacontonosinistro.Ecosí è: segueunbauleancorapiú grande e una pila dibiancheria da letto compresaun’ampiatrapunta.

Lui,Simón,nonsiperdein

saluti.–Faiilbravo,–dicealbambino. – Non mangia icetrioli, – rivolto a Inés. – Elasci accesa una luce quandova a letto. Non gli piacedormirealbuio.

Leinondàsegnodiaverlosentito. – Fa freddo qui, –dice, strofinandosi lemani. –Fasemprecosífreddo?

– Comprerò una stufaelettrica. La porterò nel girodiungiornoodue.–ADiego

porge la mano che Diegostringe con riluttanza. Poiraccoglieilsuofagottoesenevasenzaguardarsiallespalle.

Aveva annunciato chesarebbe andato a stare daElena, ma in verità non èquello il suo programma. Sidirige verso il porto, desertodurante il fine settimana, eripone le sue cose nellabaracca vicino al Molo Duedove gli operai tengono le

tute. Poi ritorna ai Blocchi ebussa alla porta di Elena. –Ciao, – dice, – possiamoparlare un momento aquattr’occhi?

Mentre prendono il tèdescrive per sommi capi lanuova situazione. – Sonocerto che David rifiorirà orache ha una madre che sioccupa di lui. Non era unabuonacosaper lui avere solome. Era come se fosse stato

costrettoadiventareunuomoin scala ridotta, a crescereprima del tempo. I bambinihanno bisogno dell’infanzia,noncredi?

– Non credo alle mieorecchie, – rispondeElena. –Un bambino non è mica unpulcinodametteresottolealidella prima gallina che locovi. Come hai potutoconsegnare David a unapersonachenonhaimaivisto

prima, che probabilmente haagito d’impulso e che forsenel giro di una settimana sisarà stancata e te lo vorràridare?

– Ti prego, Elena, nongiudicarequestaInésprimadiaverla incontrata.Non agisced’impulso, anzi al contrariocredo che agisca mossa dauna forza piú potente di lei.Conto su di te per aiutarci,per aiutarla. Per lei è un

terreno sconosciuto: non haesperienzadimaternità.

– Non sto giudicandoquesta tua Inés. Se chiedeaiutoglielodarò.Maleinonèlamammadeltuobambinoela dovresti smettere didefinirlacosí.

– Ma lei è sua madre,Elena.Sonoarrivatoinquestopaese spoglio di tutto salvoche di una convinzione saldacome una roccia: che avrei

riconosciuto la madre delbambino non appena l’avessivista.Enelmomentostessoincui ho visto Inés ho capitocheeralei.

– Hai seguitoun’intuizione?

–Dipiú:unaconvinzione.– Una convinzione,

un’intuizione, un’illusione…chedifferenzafasenonsenepuò discutere? Hai maipensatochesetuttivivessimo

delle nostre illusioni ointuizioni il mondoprecipiterebbenelcaos?

– Non capisco il nesso. Ecomunque che ci sarebbe dimaleinunpo’dicaosditantoin tanto se ne venissequalcosadibuono?

Elena scrolla le spalle. –Non voglio cominciare alitigare.Tuofigliohapersolalezione di oggi e non è laprima che perde. Se pensa di

abbandonare la musica, perfavore,fammelosapere.

– Non sono piú io adecidere queste cose. E te loripeto ancora una volta: luinonèmiofiglioeiononsonosuopadre.

– Davvero? Continui anegarlomaavoltenedubito,sai?Nondiròpiúaltro.Dovepasserai lanotte?Insenoallafamigliaappenatrovata?

–No.

–Vuoidormirequi?Lui si alza da tavola. –

Grazie, ma mi sonoorganizzatodiversamente.

Considerando che lecolombe annidate nellagrondaiagrattano,fruscianoetubano tutto il tempo, quellanottedormeabbastanzabenesulgiacigliodi sacchidel suopiccolo rifugio. Pur senzaaver fatto colazione riesce alavorare tutto il giorno e ad

arrivare alla fine sentendosibene, seppure un po’ etereo,unpo’evanescente.

Álvaro gli chiede delbambino e lui è cosícommosso dalla suapreoccupazione che per unmomento pensa di dargli labuonanovella,didirglichelamamma del bambino è statatrovata.Mapoi,ricordandolareazione di Elena alla stessanotizia,sicontrollaediceuna

bugia: David è stato portatodalla sua insegnante a ungranderadunomusicale.

Un raduno? dice Álvaro,conariaperplessa:checos’èedovesitiene?

Non ne ho idea, rispondelui,ecambiaargomento.

Sarebbe un peccato, glisembra,seilbambinodovesseperdere i contatti conÁlvaroe non vedere mai piú il suoamico El Rey, il cavallo da

tiro. La sua speranza è che,unavoltarafforzato il legamecol bambino, Inés glipermetteràdivisitareilporto.Ilpassatoè cosí avvoltonellenuvole dell’oblio che non sadireseisuoiricordisianoveriricordiosolostorieinventate;masacheglisarebbepiaciutose,dabambino,glifossestatopermesso di partire, unmattino, in compagnia diuomini adulti per aiutarli a

caricaree scaricare le stivedigrandi navi. Una dose direaltànonpuòchefarebeneaun bambino, gli sembra,sempre che quella dose nonsia troppo improvvisa otroppogrande.

Aveva pensato di passaredaNaranjasperfare laspesa,ma loha rimandato troppoequando arriva il negozio è

chiuso.Sentendosiaffamatoeanchesolo,bussadinuovodaElena. Fidel, in pigiama, gliapre laporta. –Ciao,piccoloFidel,–dice,–possoentrare?

Elena, seduta al tavolo,cuce.Nonlosalutaenonalzagliocchidallavoro.

– Ciao, – le dice. –Qualcosa non va? È successoqualcosa?

Leiscuotelatesta.– David non può piú

venire qui, – dice Fidel. – Lanuova signora dice che nonpuòvenire.

–Lanuovasignora,–diceElena, – ha annunciato chetuo figlio nonha il permessodigiocareconFidel.

–Maperché?Leialzalespalle.– Dàlle tempo di

sistemarsi,–dicelui.–Esseremadre è una novità per lei.

Per forza risulterà un po’stranainprincipio.

–Strana?– Strana nelle valutazioni.

Troppocauta.–TipoproibireaDaviddi

giocareconisuoiamici?– Lei non conosce te e

nemmeno Fidel. Quando viconoscerà capirà quanto glifatebene.

– E come pensi che ciconoscerà?

– Per forza dovreteincontrarvi voi e lei.Dopotuttosietevicini.

– Staremo a vedere. Haimangiato?

–No.Inegozieranochiusiquandocisonopassato.

–CioèNaranjas.Naranjasè chiuso di lunedí, te lopotevo dire io. Posso offrirtiunpiattodiminestra, senonti dispiace lo stesso di ierisera.Doveabitiora?

–Hounastanzanellazonadel porto. Un po’ primitiva,maperilmomentovabene.

Elenariscaldalaminestraeglitagliadelpane.Luicercadimangiarelentamenteanchesedifattohaunafamedalupo.

–Non tipuoi fermareperlanotte,temo,–glidice.–Saiperché.

– Certo, non chiedevo difermarmi. Il mio nuovoalloggioècomodissimo.

– Sei stato espulso, non èvero?Cacciato da casa tua. Èquesta la verità. Lo so.Poveretto. Separato dal tuobambino a cui vuoi tantobene.

Lui si alza da tavola. – Ènecessario, – dice. – È nellanatura delle cose. Grazie perlacena.

–Vieni di nuovo domani.Ti darò da mangiare. È ilminimo che possa fare.

Nutrirti e consolarti. Anchesepensochetuabbiafattounerrore.

Si congeda. Dovrebbedirigersidirettamenteallasuanuovacasaalporto.Maesita,poiattraversailcortile,salesuperlescaleebussapianoallaporta del suo vecchioappartamento. Sotto la portauna lama di luce: Inésdev’essere ancora in piedi.

Dopouna lungaattesa,bussaancora.–Inés?–sussurra.

A un palmo di distanzadall’altrapartelesentedire:–Chiè?

– Sono Simón. Possoentrare?

–Cosavuole?– Posso vederlo? Solo un

minuto.–Dorme.–Non losveglierò.Voglio

solovederlo.

Silenzio.Cercadiaprire laporta. È chiusa a chiave. Unmomento dopo la luce sispegne.

Capitoloundicesimo

Andandoaviverealportoprobabilmente infrange unqualche regolamento. Ma la

cosa non lo preoccupa. DicertononvuolecheloscopraÁlvaroperché,perviadelsuobuon cuore, si sentirebbe indovere di offrirgli ospitalità.Cosí ogni mattina, prima dilasciare la baracca, mette viatuttelesuecosefraletravideltetto, dove nessuno potràvederle.

Mantenersi pulito e inordine è un problema. Perfareladocciavanellapalestra

deiBlocchiEst;lavaivestitiamano e li stende sui fili dabucato dei Blocchi Est. Inmerito a questo non hascrupoli – dopotutto figuraancoranellalistadeiresidenti– ma per prudenza, nonvolendo imbattersi in Inés, civa solo dopo che ha fattobuio.

Passa una settimanadurante la quale dedica tuttelesueenergieallavoro.Poiil

venerdí,conletaschepienedisoldi,bussaallaportadelsuovecchioappartamento.

Una sorridente Inésspalanca la porta. Ma ilsorriso scompare quando lovede. – Oh, è lei, – dice. –Stavamogiustouscendo.

Da dietro compare ilbambino. C’è qualcosa distrano nel suo aspetto, nonsolo per il fatto che indossaunanuovacamiciabianca(in

veritàèpiúunablusacheunacamicia – ornata di gale suldavanti e lasciata fuori daipantaloni): sta lí, aggrappatoalla gonna di Inés, nonrisponde al suo saluto e glisgranagliocchiaddosso.

È successo qualcosa? Èstato un tragico erroreaffidarlo a questa donna? Eperché David tollera quellablusa eccentrica e dabambina? Lui che era cosí

attaccato alla sua tenuta daometto, con la giacca e ilberrettoegli scarponciniconi lacci? Perché anche gliscarponcini sono scomparsi,sostituitidascarpe:scarpebluconicinturiniinvecedeilaccieibottonidiramesullato.

– Allora sono statofortunato a trovarvi, – dice,cercando di mantenere untono leggero.–Hoportato la

stufetta elettrica come avevopromesso.

Inés lancia uno sguardoperplesso alla piccola stufettaconunasolaresistenzacheluile porge. – Alla Residenciaogni appartamento ha uncamino, – dice. – Un uomoporta la legna ogni sera eaccende il fuoco –. Fa unapausadistratta.–Èdelizioso.

– Mi dispiace. Dev’essereun passo indietro dover

vivereneiBlocchi–.Sirivolgeal bambino: – Allora esciquestasera!Edov’èchevaidibello?

Il bambino non rispondedirettamente, ma fissa la suanuovamamma, come a dire:«Diglielotu».

–AndiamoallaResidenciaper il weekend, – dice Inés.Quasi a conferma delle sueparole,Diego, tuttovestitodi

bianco da tennis, arriva agrandipassiperilcorridoio.

– Bello, – dice lui. –Pensavo non accettasserobambini alla Residencia.Pensavofosselaregola.

–Quellaèlaregola,–diceDiego. – Ma questo è ilweekend di libertà deidipendenti. Nessunocontrolla.

–Nessuno controlla, – glifaecoInés.

–Be’, ero solopassatopervedereseandavatuttobeneemagariperaiutareunpo’conla spesa. Ecco: hoportato unpiccolocontributo.

Inés prende i soldi senzaunaparoladiringraziamento.–Sí,quivatuttobene,–dice.E si stringe forte il bambinocontro il fianco. – Abbiamofatto un gran pranzo seguitodaunbelpisolinoeadessocene andiamo in macchina a

trovare Bolívar, e poidomattina abbiamo inprogramma una partita ditenniseunanuotata.

– Questo sí che èentusiasmante,–dicelui.–Epoi, a quanto vedo, abbiamoanche una bella camicianuova.

Il bambino non risponde.Col dito in bocca non hasmesso di fissarlo a occhispalancati. Lui è sempre piú

convinto che ci sia qualcosachenonva.

–ChièBolívar?–chiede.Per la prima volta il

bambinoparla.–Bolívarèunassaziano.

– Un alsaziano, – diceInés. – Bolívar è il nostrocane.

–Ahsí,Bolívar,–dicelui.– Era con voi sul campo datennis, non è vero? Nonvoglio essere allarmista, Inés,

ma gli alsaziani non hannouna buona reputazione con ibambini. Spero che fareteattenzione.

– Bolívar è il cane piúbuonodelmondo.

Luisadinonpiacerle.Finoaoraavevapensatoche fosseperché lei si sentiva indebitoneisuoiconfrontieinveceno,si tratta di un’antipatia piúpersonale e piú istintiva e diconseguenza incurabile. Che

peccato!Ilbambinoimpareràavederlocomeunnemico.Ilnemicodella lorobeatitudinemadre-figlio.

– Divertitevi, – dice. –Forseripasseròlunedí.Allorami potrai raccontare com’èandata.D’accordo?

Ilbambinofasegnodisí.–Arrivederci,–dice.–Arrivederci, – dice Inés.

Da Diego nemmeno unaparola.

Arranca faticosamenteverso il porto, sentendo chequalcosadentrodiséèfinito,sentendosivecchio.Avevauncompitoimportanteedaquelcompito è stato sollevato. Ilbambinoèstatoconsegnatoasuamadre.Comeunodiqueigrigiinsettimaschiilcuisolocompitoèpassareilsemeallafemmina, anche lui ora puòappassire e morire. Non c’è

piú niente attorno a cuicostruirelasuavita.

Il bambino gli manca. Ilmattino dopo, svegliarsi colweekendvuotodavantiaséècome svegliarsi daun’operazione per scoprireche ti è stato tagliato via unarto. Un arto o magariperfino il cuore. Passa ilgiorno trascinandosi in giro,tanto per ammazzare iltempo. Si aggira per le

banchine deserte; fa avanti eindietro per i parchi dovesciamidibambinisi tiranolapalla o fanno volare gliaquiloni.

Lasensazionedellapiccolamano sudata del bambinonellasuaèancoraviva in lui.Nonsadirese ilbambinoglivolesse bene, ma di certoaveva bisogno di lui, gli siaffidava.Un figlio appartieneallamadre: nemmenoperun

momento lo negherebbe. Eperò se la madre non fosseuna buona madre? Se Elenaavesse ragione? Per qualesomma di bisogni privatiquestaInés,dellacuistorialuinon sa un’acca, ha colto alvolo lapossibilitàdiavereunfiglio tutto per sé? Forse c’èuna qualche saggezza nellalegge naturale che dice che,prima di poter emergere almondodentroun’animaviva,

l’essere embrionale, l’esserefuturo,devegiàessereportatoper un certo periodo nelventrematerno? Forse, comele settimane che la femminadegli uccelli passa a covareripiegata su se stessa, unperiodo di isolamento econcentrazione è necessarioperché un organismomicroscopico si trasformi inessere umano, ma anche

perchéunadonnasitrasformidavergineinmadre.

Inqualchemodo ilgiornopassa. Lui pensa di andare atrovare Elena, poi all’ultimomomento ci ripensa, nonsopportando l’ideadell’irritante interrogatorioche lo aspetterebbe. Non hamangiato,nonhaappetito.Sisistemasulsuolettodisacchi,rivoltandosi di qua e di là,inquieto.

Lamattinadopoalleprimeluci dell’alba si trova allastazione degli autobus. Ilprimoautobusarrivasoltantodopo un’ora. Dal capolineasegue il sentiero in salita cheva alla Residencia, al campodatennis.Ilcampoèdeserto,sisiedeadaspettare.

Alle dieci il secondofratello, quello al quale nonha ancora avuto il piacere diessere presentato, arriva con

la sua tenuta bianca ecomincia a montare la rete.Non fa caso allo sconosciutoben visibile ameno di trentapassi da lui. Dopo un pococompare anche il resto delgruppo.

Il bambino lo vedeimmediatamente. Alla suamaniera sgraziata (corre inmodo goffo) si precipitaattraversoilcampo.–Simón!Ora giochiamo a tennis! –

grida. – Vuoi giocare anchetu?

Lui afferra le dita delbambino attraverso la rete. –Non sono un gran giocatoredi tennis,–dice.–Preferiscoguardare.Tutidiverti?Mangiabbastanza?

Il bambino annuisce convigore. – Ho preso il tè acolazione, Inésdice che sonoabbastanzagrandeper il tè.–Sigiraegrida:–Possobereil

tè, non è vero, Inés? – poisenza mai fermarsi continua:– E ho dato da mangiare aBolívar e Inés dice chepossiamo portare Bolívar afare una passeggiata dopo iltennis.

– Bolívar, l’alsaziano? Perfavore stai attento conBolívar.Nonloprovocare.

–Gli alsaziani sono i canimigliori. Quando prendonoun ladro non lomollano.Mi

vuoi vedere giocare a tennis?Ancora non sono moltobravo, primami devounpo’allenare –. A quel punto sivolta rapidamente e corre làdoveInéseisuoifratellisonointenti a confabulare. –Possiamoallenarciora?

Lo hanno vestito con icalzoncinibianchicorti.Cosí,compresa la blusa, è tutto inbiancosalvoperlescarpeblucon i cinturini. Ma la

racchetta da tennis che glihanno dato è troppo grande:anchecontutteeduelemaniriesce a malapena amanovrarla.

Bolívar l’alsazianoattraversa furtivamente ilcampoesisistemaall’ombra.Bolívar è un maschio, hagrandi spalle e un collarenero. All’apparenza non èmoltodiversodaunlupo.

–Dài, giovanotto! – grida

Diego. Sta addosso albambinoeglichiude lemanicon la racchetta tra le sue.L’altro fratello lancia unapalla. I due fanno per parareinsieme; la prendonofacilmente. Il fratello nelancia un’altra e di nuovo lacolpiscono. Diegoindietreggia. –Non gli possoinsegnare niente, – grida allasorella. – Ha un dononaturale –. Il fratello lancia

una terza palla. Il bambinosolleva la pesante racchetta,manca la palla e quasi cadeperloslancio.

–Giocate voidue,– gridaInés ai suoi fratelli. – Io eDavid andiamo a fare deipalleggi.

Con totale disinvoltura idue fratelli si tirano la pallaavantieindietrosopralaretementre Inés e il bambinoscompaiono dietro il piccolo

padiglione di legno. Lui, elviejo, l’osservatore silenzioso,viene semplicementeignorato.Nonpotrebbeesserepiú evidente che non èpersonagrata.

Capitolododicesimo

Aveva giurato a se stessoche non l’avrebbe detto anessuno, ma quando Álvaro

glichiedeperlasecondavoltache fine abbia fatto ilbambino(«Mimanca,mancaa tutti»), la storia viene fuoricomeunfiumeinpiena.

–Eravamoandatiacercarela madre – e pensa! –l’abbiamo trovata, – dice. –Oraiduesonoriuniti,esonotuttifelici,insieme.Purtroppoil tipo di vita che Inés ha inmente per lui non prevedeche se ne stia in giro per il

porto con uomini adulti.Prevede invece bei vestiti,buone maniere e pastiregolari. Il che è giusto,immagino.

Certo che è giusto. Chedirittohaluidilamentarsi?

– Dev’essere stato unbrutto colpo per te, – diceÁlvaro. – Quel ragazzetto èspeciale.Losannotutti.Evoidueeravatelegati.

– Sí, eravamo legati, ma

nonèchenonlovedròpiú.Èsolochesuamadreritienepiúfacile riannodare il legamecon lui se io resto fuori dallascena per un po’. E anchequestoègiusto.

–Già,–diceÁlvaro–.Manon tiene conto dell’appellodelcuore,nonèvero?

«L’appello del cuore»: chiavrebbe mai pensato cheÁlvaro potesse parlare a quelmodo?Unuomoforteevero,

un compagno. Perché nonpuò aprire il suo cuore adÁlvaro? Ma no: – Non hodirittodichiedereniente,–sisentedire.«Ipocrita!»–Epoii diritti del bambino hannosempre la precedenza suquellidegliadulti.Nonèforseunprincipiodilegge?Idirittidel bambino, in quantoportatoredifuturo…

Álvaro gli lanciaun’occhiata scettica. – Non

l’ho mai sentito quelprincipio.

– Allora è una legge dinatura.Ilsanguenonèacqua.Il bambino appartiene a suamadre. Soprattutto unbambino piccolo. Inconfronto le mierivendicazioni sono cosíastratte,artificiali.

–Tu gli vuoi bene e lui tivuole bene. Questo non èartificiale. È la legge che è

artificiale.Dovrebbestareconte.Habisognodite.

–Seibuonoadirequesto,Álvaro,mapensidavverocheabbiabisognodime?Forselaveritàèchesonoioquellochehabisognodilui.Forseiomiappoggio a lui piú di quantoluinonsiappoggiame.Epoiin fondo chi sa in chemodoscegliamo le persone cheamiamo? È tutto un grandemistero.

Quel pomeriggio riceveuna visita a sorpresa: ilpiccolo Fidel, che arriva alporto in bicicletta, portandoun biglietto con unmessaggio: «Ti aspettavamo,spero vada tutto bene. Vuoivenireacenastasera?Elena».

–Di’atuamadre:«Grazie,verrò».

–Èquestoiltuolavoro?–chiedeFidel.

– Sí, è questo che faccio.

Aiuto a caricare e scaricarenavicomequesta.Midispiacenonpotertifarsalireabordo,ma è un po’ pericoloso. Ungiorno, forse, quando saraipiúgrande.

–Èungaleone?– No, non ha le vele e

dunque non si può definiregaleone. È quella chechiamiamo nave a carbone.Che vuol dire che bruciacarbone per far andare i

motori che la muovono.Domani si ricarica il carboneper il viaggio di ritorno. Sifarà al Molo Dieci, non qui,nonmiriguarda.Perfortuna,perchéèunlavoraccio.

–Perché?–Perchéilcarbonetilascia

addosso una polvere nera,ovunque, anchenei capelli.Eanche perché il carbone èmoltopesantedatrasportare.

– Perché David non può

giocareconme?– Non è che non può

giocare con te, Fidel. È soloche per ora sua madre lovuole tutto per sé. Non lovedevadatantotempo.

–Pensavoavessidettochenonloavevavistomai.

–Inuncertosenso.Lohavisto in sogno. Sapeva chesarebbevenuto.Loaspettava.Ora che lui è venuto lei è

felice. Ha il cuore colmo digioia.

Il ragazzino rimane insilenzio.

–Fidel,oradevotornareallavoro. Ci vediamo stasera,conteecontuamadre.

–LeisichiamaInés?–LamadrediDavid?Sí,si

chiamaInés.– Non mi piace. Ha un

cane.–Non laconosci.Quando

laconosceraitipiacerà.– Credo di no. È un cane

feroce,chemettepaura.– L’ho visto. Si chiama

Bolívar,esonod’accordo.Faibene a startene alla larga. Èun alsaziano. Gli alsazianitendono a essereimprevedibili. Mi meravigliachel’abbiaportatoaiBlocchi.

–Morde?–Puòsuccedere.

– E dov’è che abitiesattamente? – chiede Elena,– ora che hai ceduto il tuobell’appartamento?

– Te l’ho detto: ho presounastanzavicinoalporto.

–Sí,madoveesattamente?Inunapensione?

– No. No, non importadove e che tipodi stanza.Vabeneperquellochevoglio.

– C’è la possibilità dicucinare?

–Nonnehobisogno.Nonuserei la cucina anche se cifosse.

– Ah, allora vivi a pane eacqua.Mi sembrava che nonne potessi piú di pane eacqua.

–Ilpaneèlamateriadellavita, chi ha il pane nonconosce povertà. Elena, perfavore, smettila diinterrogarmi. Sono

perfettamente in grado dipensareamestesso.

–Nedubito.Francamentenedubito.Quellidelcentrodiaccoglienza non possonotrovarti un nuovoappartamento?

–PerquelchenesannoalCentro, sono ancorafelicemente residente nelvecchioappartamento.Noncipensanoproprioatrovarmilasecondacasa.

– E Inés... non dicevi cheInés abita alla Residencia?Perché non va a vivere lí colbambino?

– Perché alla Residencianonsonoammessiibambini.La Residencia da quello checapiscoèunaspeciediresort.

– Conosco la Residencia.Cisonostata.Losaicheleisièportatauncane?Unacosaètenere un cagnolino in casa,maquestoèungrossocanedi

quellidacacciaallupo.Nonèigienico.

–No,nonèunodiquelli,èun alsaziano. Ammetto chepreoccupa anche me. Hoavvertito David di fareattenzione.L’hodettoancheaFidel.

–Dicertononpermetteròa Fidel di avvicinarsi. Ma tuseisicurodiaverfattolacosagiustadandoiltuobambinoaunadonnacomequella?

– A una donna con uncane?

– A una trentenne senzafigli. Una donna che passa iltempo a fare sport con gliuomini. Una donna con icani.

–Inésgiocaatennis.Tantedonne lo fanno.Èdivertente,mantiene in forma.E di caninehasolouno.

–Tihadettonientedi sé?Delsuopassato?

–No.Nongliel’hochiesto.–Be’,secondomeseifuori

di testa a consegnare il tuobambino a una sconosciutache,perquelchenesai,haunpassatoequivocoallespalle.

– Che sciocchezze, Elena.Inés non ha un passato allespalle. Non un passato checonti.Nessunodinoi ce l’ha.Qui ricominciamo da capo.Dallatabularasa,dallapiazzapulita. E Inés non è una

sconosciuta, l’ho riconosciutaappena lehoposatogliocchiaddosso, il che significa chedovevo averla incontrataprima.

–Arrivi qui senza ricordi,tabularasa,eppuresostienidiriconoscere visi del passato.Nonhasenso.

– È vero: non ho ricordi.Ma mi restano delleimmagini, delle ombre. Nonsospiegarecomesia.Rimane

anche qualcosa di piúprofondo che chiamo lamemoria del ricordo. Non èdalpassatochericonoscoInésma da qualcos’altro, è comese la sua immagine fosseradicata dentro di me. Nonho dubbi né ripensamenti sudilei.Oalmenononhodubbisul fatto che sia lei la veramadredelbambino.

– E allora di cos’è chedubiti?

– Spero solo che lei vadabeneperlui.

Capitolotredicesimo

A ripensarci, quel giorno,il giorno in cui Elena avevamandatoalporto il figlioper

chiamarlo segna il momentoin cui lui e lei, loro due, chelui immaginava come duenavi su un oceano senzavento, magari alla deriva matutto sommato spinti vicinodalla corrente, avevanocominciatoadallontanarsi.Cisonotantecosecheancoraglipiacciono di Elena, nonultima la suadisponibilità adascoltare le suerecriminazioni, ma si fa

sempre piú concreta lasensazionedi qualcosa che cidovrebbe essere tra di loro einvecenonc’è,eseElenanoncondivide quella sensazione,se non ritiene che manchiqualcosa, allora non puòessere lei quello che mancadallasuavita.

Seduto su una panchinadavanti ai Blocchi Est, scriveunbigliettoperInés.

Ho fatto amicizia con unadonnachevivedall’altrapartedel cortile, nell’Edificio C. Sichiama Elena. Ha un figlio,Fidel, che è diventato l’amicodel cuore di David e ha uneffetto rassicurante su di lui.Per la sua età Fidel è unragazzodibuoncuore,vedrà.

David prendeva lezioni dimusicadaElena.Glichiedadicantare qualcosa. Cantadivinamente. Penso che

dovrebbe continuare con lesue lezioni,ma ovviamente ladecisionespettaalei.

David va anche moltod’accordo col miocaposquadraallavoro,Álvaro,un altro buon amico. Averebuoni amici ci incoraggia aessere buoni a nostra volta,cosí mi pare. A perseguire ilbene: non è questo cheentrambi desideriamo perDavid?

«Sepossoesserediaiutoinqualsiasimodo,–conclude,–bastachealziundito.Sonoalportoquasi tutto il giorno,alMolo Due. Fidel puòportarmi i messaggi e ancheDavidconoscelastrada».

Infila il biglietto nellacassetta di Inés. Non siaspetta una risposta e infattinonlariceve.Nonglièchiaroche tipo di donna sia Inés. Èdelgenerecheaccettadibuon

grado i consigli benintenzionati,peresempio,oèil tipo che si irrita quandoqualche sconosciuto vuoleconsigliarla su comecomportarsi e cestina quelloche le scrivono? Controllamailaposta?

AlseminterratodelBloccoF del Villaggio Est, lo stessodove si trova la palestracomune, c’è una panetteriache lui ha soprannominato

Commissariat.Apreibattentinei giorni feriali dalle nove amezzogiorno.Oltre al pane ead altri prodotti da fornovende a prezzi ridicolialimenti essenziali comezucchero,sale,farinaeolio.

Al Commissariat comprauna riserva di minestre inscatola, che riporta nel suorifugio al porto. La sua cena,quando è solo, è a base dipaneezuppadifagiolifredda.

Siabituaaquelmenúsempreuguale.

Poiché quasi tutti gliinquilini del complesso siservono al Commissariat,immaginachelofacciaancheInés. Si gingilla con l’idea dicapitarci al mattino presto eriuscire a vedere lei e ilbambino, ma poi ci ripensa.Sarebbe troppo umiliante selo incrociassenascosto tragliscaffalimentrelaspia.

Non vuole diventare unfantasmaincapacedistaccarsidaivecchiluoghi.Èprontoadaccettare che il modomigliore per Inés diconquistare la fiducia delbambino sia tenerlo per unpocotuttopersé.Mac’èunapauracheloassilla,dicuinonriesce a liberarsi: che ilbambinopossasentirsi soloeinfelice, che si strugga pervederlo. Non riesce a

dimenticare l’espressione neisuoiocchiquandoerapassatoa trovarlo, titubante, incerta.Vorrebbe tanto rivederlo dinuovo come era, colberrettino a punta e gliscarponcinineri.

Ogni tanto cede allatentazione e gironzolaintorno ai Blocchi. In una diquelle occasioni intravedeInés che ritira la biancheriastesa.Anchesenonpuòdirlo

con certezza lei sembrastanca, stanca e forse triste.Possibilechelecoselevadanomale?

Riconosce i vestiti delbambino stesi, c’è anche lablusaconlegale.

Durante un’altra di quellevisite segrete – che sarà poil’ultima – osserva il triofamiliare–Inés,ilbambinoeil cane, – emergere dalcaseggiato e avviarsi

attraverso il prato indirezione del parco. Quelloche lo sorprende è che ilbambinoconlasuagiacchettagrigia non cammina, mavienespintoinunpasseggino.Perché portare in carrozzinaun ragazzino di cinque anni?Eperchémailuilopermette?

Li raggiunge nella partepiúincoltadelparco,doveunponte di legno attraversa un

torrentetumultuoso.–Inés!–grida.

Inés si ferma e si gira.Anche il cane si gira edrizzale orecchie, strattona ilguinzaglio.

Avviandosi verso di loroaccenna un sorriso. – Checoincidenza!Andavoafarelaspesa quando vi ho visto.Come va? – E poi, senzaaspettareunarisposta:–Ciao,–dicealbambino,–vedoche

vai in carrozza, come unprincipino!

Ilbambinolofissaei loroocchi non si staccano per unpo’. È invaso da un senso dipace. Va tutto bene. Il lororapporto non si è incrinato,ma lui ha di nuovo il pollicein bocca. Non è un buonsegno. Il pollice in boccaindica insicurezza, è il segnodiuncuoreinquieto.

– Facevamo una

passeggiata, – dice Inés. –Abbiamo bisogno di un po’d’aria, in quell’appartamentosisoffoca.

–Loso,–dicelui.–Loso,èprogettatomale.Iotengolafinestraapertagiornoenotteper arieggiarlo. Voglio dire,tenevolafinestraaperta.

– Non lo posso fare. NonvogliocheDavidsiprendaunraffreddore.

– Oh, non si raffredda

facilmente. È un giovanottorobusto,nonèvero?

Ilbambinoannuisce.Halagiaccaabbottonatafinsottoilmento, di certo per impedireche i germi portati dal ventopossanocontagiarlo.

Un lungo silenzio. Luivorrebbe avvicinarsi di piú,ma il cane non ha smesso dicontrollarlo,guardingo.

–Doveavetepresoquel,–indica con un gesto, – quel

veicolo?– Al magazzino della

famiglia.– Il magazzino della

famiglia?– C’è un magazzino in

città dove si possono trovarecose per bambini. Gliabbiamo preso anche unlettino.

–Unlettino?–Unlettinoconlesponde.

Pernonfarlocadere.

–Questo è strano. A quelche ricordo ha sempredormitonellettoenonèmaicaduto.

Ancoraprimadi sentire larisposta sa di aver detto lacosa sbagliata. Inés stringe lelabbra e inverte la rotta delpasseggino, se ne andrebbesubito se non fosse che ilguinzaglio del cane si èimpigliato nelle ruote e vadistricato.

– Mi dispiace, – dice, –nonvolevointerferire.

Lei non si degna dirispondere.

Dopo, ritornando suquell’episodio,sichiedecomemainonprovi nulla per Inéscome donna, nemmeno ilminimoguizzo,anchesenonc’è niente di sgradevole nelsuo aspetto. Saràperchégli èostile e lo è stata findall’inizio? O forse non è

attraentesoloperchésirifiutadiesserlo,sirifiutadiaprirsi?Possibile che sia, come diceElena, una vergine, ocomunque il tipo dellavergine? Quello che sapevadelle vergini si è perso nellenebbie dell’oblio. L’auravirginale spegne il desideriomaschile o al contrario loaccende? Pensa ad Ana, delCentro di smistamento, chegli sembra una vergine del

tipopiúspietato.Anadicertola trovava attraente. Cosa haAna che manca a Inés? Oforse dovrebbe porre ladomanda al rovescio? ChecosahaInéscheAnanonha?

– Ho incrociato Inés e ilpiccoloDavidieri,–raccontaaElena.–Tulivedimai?

– La vedo in giro per iBlocchi. Non abbiamo mai

parlato. Non mi sembra chevoglia avere a che fare con iresidenti.

–Immaginoche,perchièabituato a vivere allaResidencia,debbaessereduraritrovarsiavivereaiBlocchi.

– Vivere alla Residencianon la rende migliore deglialtri, siamo tutti venuti dalnulla, dal niente. È solo pervia della fortuna se lei èapprodatalí.

–Comepensicheselacaviafaredamadre?

– È molto protettiva neiconfronti del bambino.Secondo me troppoprotettiva. Lo controlla comeun falco e non lo lasciagiocare con gli altri bambini.Lo sai. Fidel non capisce. Erimaneferito.

– Mi dispiace. Cos’altrohainotato?

–Isuoi fratelli lavengono

a trovare molto spesso.Hanno una macchina – unapiccolaquattropostidiquelledecappottabili, una cabrioletcredo sidica.Vanno tuttiviainmacchinaerientranodopoiltramonto.

–Ancheilcane?–Ancheilcane.Ilcaneva

dovunque vada Inés. Mi favenire i brividi. È come unamolla pronta a scattare. Unodi questi giorni attaccherà

qualcuno.Pregosolochenonsiaunbambino.Possibilenonsi decida a mettergli lamuseruola?

–Nonc’èverso.– Be’, io penso che sia

pazzaatenereuncaneferoceinsiemeaunbambino.

– Non è un cane feroce,Elena; è solo un po’imprevedibile. Imprevedibilema fedele. Che è quello chesembra piú importante per

Inés. Fedeltà: la regina dellevirtú.

– Davvero? Io non ladefinirei cosí:direi cheèunavirtú di media importanza,comelatemperanza.Iltipodivirtúchecerchiinunsoldato.Inés stessa mi fa un po’l’impressione di un cane daguardia chealeggia suDavid,per tenergli lontano ognipericolo. Perché diavolo haisceltoquel tipodidonna?Tu

per lui eri migliore comepadre di quanto non sia leicomemadre.

– Questo non è vero. Unbambino non può cresceresenza una madre. Non seistata tu stessa a dirlo? Allamadre il figlio deve lasostanza mentre il padre silimita a fornire l’idea? Unavolta trasmessa l’idea, delpadresipuòfareameno.Ein

questo caso poi io non sononemmenoilpadre.

–Unbambinohabisognodel grembo materno pervenire al mondo. Una voltache ha lasciato il grembo, lamadre come datrice di vita èuna forza esaurita, come ilpadre. Da quel momento inpoi il bambinohabisognodiamore e di cure che possonovenire da un uomo come dauna donna. La tua Inés non

ha ideadiamoreedi cure.Èuna bambina con la suabambola. Una bambinastraordinariamente gelosa edegoista che non vuole lasciartoccare a nessun altro il suogiocattolo.

–Sciocchezze.Seiprontaacondannare Inés, senza quasiconoscerla.

– E tu? Quanto laconoscevi tu prima diaffidarle la tua preziosa

responsabilità? Appurare sefosse qualificata per fare damadrenoneranecessario,haidetto: potevi affidartiall’intuito. Avrestiriconosciutolaveramadreinun lampo, non appena leavessi posato sopra gli occhi.L’intuito. È forse un criteriodacui fardipendere il futurodiunbambino?

– È un discorso che giàabbiamo fatto,Elena.Chec’è

di male nell’intuizione? Sucos’altro possiamo contareallafine?

– Sul buonsenso. Sullaragione. Qualsiasi personaragionevole ti avrebbe messoin guardia rispetto a unavergine trentenne abituata auna vita oziosa, isolata dalmondo vero, controllata dadue fratelli aggressivi,dicendoti che non sarebbestata una madre affidabile. E

poi qualunque personaragionevole avrebbe fattodelle ricerche su Inés, neavrebbe indagato il passato,valutato il carattere.Qualunque personaragionevole avrebbe impostoun periodo di prova peraccertarsicheidueandasserobeneinsieme, ilbambinoe labambinaia.

Lui scuote il capo. –Continuianoncapire.Ilmio

compitoeraquellodiportareil bambino alla sua mamma.Nonquellodiportarlo aunamadre, a una donna cheavesse superato una qualcheprova di maternità. Nonimporta se, secondo i tuoicriterioimiei,Inésnonèunamadreparticolarmentebrava.Il fattoèche leièsuamadre.Eluièconsuamadre.

– Ma Inés non è suamadre!Non lo ha concepito!

Non l’ha portato in grembo!Non lo ha messo al mondonelsangueeneldolore!Leièsolounachetuhaisceltoperun capriccio, magari soloperché ti ricordava la tua, dimadre.

Lui scuote di nuovo ilcapo. – Nel momento stessoin cui ho visto Inés, l’hocapito. Se non crediamo allavoce che parla dentro di noi,che dice: «Questa è lei!»,

allora non ci rimane piúnienteincuicredere.

– Non mi far ridere! Levoci che senti dentro! Lagente butta via i soldi suicavalli per obbedire alle vociche sente dentro. La gente silancia a capofitto in storied’amore disastrose perobbedire alle voci che sentedentro.E...

–NonsonoinnamoratodiInés,seèquestochevuoidire.

Tutt’altro.– Forse non ne sei

innamorato ma ti seiirragionevolmente fissato sudi lei, il che è peggio. Seiconvinto che lei sia destinataal tuo bambino. Mentre laverità è che Inés non hanessun rapporto, mistico omeno, né con te né col tuobambino. Lei è solo unadonnasullaqualeperuncasohaiproiettatoletueossessioni

private. Se il bambino erapredestinato, come dici, ariunirsi alla madre, perchénon hai lasciato che fosse ildestinoafarlitrovare?Perchéhai dovuto mettere becco inquell’evento?

– Perché non bastastarsene ad aspettare che ildestinoagisca,Elena,propriocomenonbastaavereun’ideae poi tirarsi indietro easpettare che si materializzi.

Qualcuno deve portare l’ideaal mondo. Qualcuno deveagireinnomedeldestino.

–Questo è proprio quelloche ho detto. Tu arrivi conunatuaideapersonaledichecosa sia una madre e poi laproiettisuquestadonna.

– Questa discussione nonha piú niente di ragionevole,Elena. Ci sento soloanimosità, animosità,pregiudizioegelosia.

–Nonc’ènéanimositànépregiudizio, e parlare digelosia è ancora piú assurdo.Sto cercando di aiutarti acapire da dove venga questatua sacra intuizione in cuicredi piú che nellatestimonianza dei tuoi sensi.Vienedadentrodi teenascein un passato che haidimenticato, non ha niente ache farecolbambinoe il suobenessere. Se avessi un

qualche interesse per lui e ilsuo benessere te loriprenderesti subito. Quelladonna gli fa male. Con leitorna indietro. Lo statrasformandoinunbebé.

–Telopotrestiriprendereancheoggisevolessi.Potrestisemplicemente andare lí eportartelo via. Lei non hadirittidisortasudilui.Èunatotale estranea. Potrestiriprenderti il tuo bambino,

potresti riprenderti il tuoappartamento equelladonnapotrebbe tornare da doveviene,allaResidencia,tornareaisuoifratelliealsuotennis.Perché non lo fai? O seitroppo spaventato?Spaventato dai fratelli?Spaventatodalcane?

–Elena,basta.Smettilaperfavore.Sí,sonointimoritodaisuoi fratelli. Sí, sono agitatodalsuocane.Manonèquesto

ilmotivopercuimirifiutodisottrarle il bambino. Mirifiuto, tutto lí.Cosa pensi cifaccia in questo paese dovenon conosco nessuno, dovenon posso esprimere quelloche sento perché tutti irapporti umani si devonocondurre in spagnolo perprincipianti?Sonovenutoquiper trascinare pesanti sacchi,un giorno dopo l’altro, comeunabestiadasoma?No,sono

venutoperportareilbambinoasuamadreequestoadessoèstatofatto.

Elena ride. – Il tuospagnolo migliora quandoperdi la pazienza. Forsedovresti perderla piú spesso.Quanto a Inés mettiamocid’accordo sul fatto che nonsiamo d’accordo. Per il restolaveritàèchenonsiamoqui,tue io,perviverevite felicierealizzate. Siamo qui per

amore dei nostri figli.Seppurenoncitroviamobenecon lo spagnolo, perDavid eFidel andrà meglio. Sarà laloro lingua. La parlerannocome i madrelingua, dalcuore. E non disprezzare illavoro che fai al porto. Seiarrivatoinquestopaesenudo,senza altro da offrire che illavoro delle tue mani.Avrebberopotutorespingerti,ma non l’hanno fatto: sei

stato accolto. Ti avrebberopotuto lasciare all’addiaccio,ma non l’hanno fatto: ti èstatodatoun tetto.Hai tanteragionidigratitudine.

Lui tace. Poi, alla fine,parla. – Finisce qui ilsermone?

–Sí.

Capitoloquattordicesimo

Sono le quattro e alMoloDue stanno finendo dicaricare sul carro gli ultimi

sacchi del bastimento.Imbrigliati, El Rey e la suacompagna masticanoplacidamente dalle lorosacchette.

Álvarostendelebraccia,sistiracchiaeglifaunsorriso.–Unaltro lavorofinito,–dice.– Dà soddisfazione, non èvero?

–Immaginodi sí,manonriescoacapireperché la città

abbia bisogno di tanto granotuttelesettimane.

–Ècibo,nonsipuòfareameno del cibo. E non è soloper Novilla. È anche per laregioneintorno.Questofaunporto:serveunaregione.

– Sí, ma alla fine tuttoquesto a che scopo? Le naviportanoilgranodaunaparteall’altra del mondo e noi loscarichiamo dalle navi equalcun altro lo macina e lo

inforna e alla fine vienemangiato per esseretrasformato in cosa? Comedefinirlo? Scarto, e lo scartotornadinuovoalmare.Cosac’èdicuiesseresoddisfatti intutto ciò? Come si inquadranel piú ampio contesto dellecose? Io non vedo alcuncontesto piú ampio, nessunprogetto piú alto. È soloconsumo.

– Oggi sei di cattivo

umore!Dicertononc’èalcunbisogno di un piú altoprogetto per giustificare lanostra esistenza nel mondo.Lavitaèbuonainsé,eaiutarela circolazione del cibo perpermettere la vita dei tuoisimili è doppiamente buono.Come confutarlo? E poicos’hai contro il pane?Ricorda leparoledelpoeta: ilpaneèlastradacheprendeil

sole per entrare nel nostrocorpo.

– Non voglio litigare,Álvaro, ma, oggettivamente,tutto quello che faccio, tuttoquello che facciamo, noiportuali, è spostare roba dalpuntoAalpuntoB,unsaccodopol’altro.Seilsudoredellanostrafrontefosseperilbenediqualcosadipiúaltosarebbediverso. Ma mangiare per

vivereeviverepermangiareèlavitadelbatterio,non...

–Nondichecosa?– Non dell’essere umano.

Delpinnacolodellacreazione.In genere sono le pause

pranzo a essere dedicate alledisputefilosofiche–Moriamoocireincarniamoall’infinito?I pianeti piú lontani giranointornoalsoleol’unoattornoall’altro? È questo il miglioredi tutti i mondi possibili? –

ma oggi, invece di avviarsiverso casa, tanti degli altriscaricatori si avvicinano perascoltare la discussione.Adesso Álvaro si rivolge aloro. – Cosa dite, compagni?Abbiamo bisogno di unprogettopiúalto,comediceilnostro amico, o riteniamosufficiente fare il nostrolavoro,efarlobene?

Silenzio. Fin dall’inizio gliuomini hanno trattato lui,

Simón,conrispetto.Dialcunidi loro potrebbe essere ilpadre.Marispettanoanche illoro caposquadra, anzi loriveriscono addirittura.Chiaramente non si voglionoschierare.

– Se non ti piace il lavoroche facciamo, se non credichesiaunabuonacosa,–diceunodiloro,proprioEugenio,– quale lavoro vorresti fareinvece? Vorresti lavorare in

un ufficio? Pensi che per unuomo sia preferibile lavorareinufficio?Oforseinfabbrica?

– No, – risponde lui. –Decisamente no. Non mifraintendete. Quello chefacciamo qui di per sé è unbuon lavoro, un lavoroonesto. Ma non è di questoche discutevamo io eÁlvaro.Discutevamo dello scopodelle nostre fatiche. Delloscopo ultimo. Non mi

sognereididenigrareillavoroche facciamo. Anzi perme èmoltoimportante.Inverità,–continua a perdere il filomanon importa, – non c’è unluogo dove preferirei essereinvecechequi,alavorareconvoi, fianco a fianco. Tutto iltempochesonostatoquinonho trovato altro che ilsostegno dei compagni,l’affetto dei compagni. Ha

illuminato i miei giorni, haresopossibile...

Eugenio lo interrompe,spazientito: – Allora ti seirispostodasolo.Immaginadinon avere lavoro, immaginadidoverpassare i tuoi giorniseduto su una panchinapubblicasenzanientedafare,aspettandoche leorepassinosenza compagni intorno concui scambiare una battuta,senza la loro benevolenza a

sostenerti. Senza lavoro esenza la condivisione dellavoro, il cameratismo di cuiparli non è possibile, non èpiú reale –. Si volta e siguardaintorno.–Nonècosí,compagni?

Unmormoriodiassenso.– E il calcio, allora? –

risponde lui, cambiandoargomento anche se senzaconvinzione. – Certo ciameremmoe ci sosterremmo

avicendaallostessomodoseappartenessimo tutti allastessa squadra di calcio, segiocassimo insieme,vincessimo insieme,perdessimo insieme. Sel’amorecameratescoè ilbenepiú alto, perché dovremmospostarequestipesanti sacchidi grano e non limitarci adarecalciaunapalla?

– Perché non si vive disolo calcio, – dice Álvaro. –

Per giocare a calcio deviessere vivo; e per essere vivodevi mangiare. Col nostrolavoro qui permettiamo allagente di vivere –. Scuote latesta.–Piúcipensoepiúmiconvincoche il lavorononsipossa paragonare al calcio,cheleduecoseappartenganoa due diversi territorifilosofici. Non capisco,davvero non capisco perché

dovresti denigrare cosí ilnostrolavoro.

Tutti gliocchi sono rivoltisu di lui. C’è un silenzioabissale.

– Credetemi, non è miaintenzionedenigrareilnostrolavoro.Perdimostrare lamiasincerità, verrò a lavorareun’ora prima domattina eridurrò anche la mia pausapranzo e trascinerò lo stessonumero di sacchi degli altri.

Ma continuerò a chiedereperché, perché facciamoquesto?Achescopo?

Álvarofaunpassoavantielo cingecolbracciovigoroso.– Non c’è bisogno di gestieroici sul lavoro, amicomio,–dice.–Sappiamoche il tuocuore è con noi, non devidimostrare niente –. Anchealtri uomini vanno a dargliuna pacca sulle spalle e loabbracciano. Lui sorride un

po’atutti,conle lacrimeagliocchi,nonriesceasmetteredisorridere.

– Non hai ancora visto ilnostro magazzino principale,non è vero? – chiedeÁlvaro,che ancora gli stringe lamano.

–No.–Èunastrutturanotevole,

bisogna riconoscerlo. Tiandrebbe di vederlo? Se vuoipuoi andarci anche ora –. Si

rivolge al cocchiere curvo sulsedile, in attesa che ladiscussionedegliscaricatorisiconcluda. – Il nostrocompagnoquipuòvenireconte almagazzino, non è vero?Certo che può. Vieni! – e loaiuta a issarsi a cassetta. –Forse apprezzerai meglio ilnostro lavoro quando avraivistoilmagazzino.

Ilmagazzinoèpiúlontanodai moli di quello che

pensava,sullarivasud,doveilfiume piega e comincia arestringersi. Andandoall’ambio – il cocchiere hauna frustamanon lausaesilimita a farla schioccare ditanto in tanto per incitare icavalli – gli ci vuole quasiun’oraperarrivare,edurantetuttoiltemponondiconounaparola.

Il magazzino è isolato inmezzo alla campagna. È

grande, grande come uncampo di calcio, e alto comeuna casa a due piani, congrandi porte scorrevoli dallequali il carro carico passaagevolmente.

L’orario di lavorodev’essere finito perché nonc’è nessuna squadra ascaricare.Mentre il cocchierefapassareilcarroaccantoallapiattaforma di carico e sipreparaatogliere lebriglieai

cavalli, lui si addentra nelgrande edificio. La luce chefiltradallefessuretrapareteetettorivelasacchiimpilatipermetri e metri, montagne sumontagne di grano chearrivano fino in fondo, negliangoli piú bui. Oziosamenteprova a contarli ma perdepresto il filo. Almeno unmilione di sacchi, ma forsesvariati milioni. Ci sarannoabbastanza mugnai a Novilla

per macinare quel grano,abbastanza fornai percuocerlo, abbastanza boccheperconsumarlo?

I passi scricchiolano sulpavimento: grano sparso.Qualcosa di morbido glisbatte sulla caviglia e luiinvolontariamente scalcia.Uno squittio e all’improvvisoavverte un brusio sommessotutto intorno come unrumore di acqua che scorre.

Lanciaungrido.Ilpavimentointorno a lui brulica di vita.Ratti! Ci sono rattidappertutto!

– È pieno di ratti quidentro! – grida, affrettandosia tornare indietro, rivolto alcocchiere e al guardiano. –Perterrac’ègranoovunqueesiete invasi dai ratti! Èmostruoso!

I due si scambianoun’occhiata.–Nonc’èdubbio

cheabbiamolanostradosediratti, – dice il guardiano. –Ancheditopi.Anonfinire.

– E non fate niente? Èantigienico!Fannoilnidonelcibo,locontaminano!

Il guardiano alza le spalle.– Cosa vuole che facciamo?Dove c’è grano ci sonoroditori. Cosí va il mondo.Abbiamo provato a portare igatti,mairattisonodiventati

spavaldi e comunque ce nesonotroppi.

– Questa non è unagiustificazione. Potrestemettere le trappole. O ilveleno. Sottoporre l’edificio afumigazione.

–Nonsipossonopomparegasvelenosi inunmagazzinodi derrate alimentari: un po’dibuonsenso!Eora,senonledispiace,devochiudere.

Per prima cosa lamattina

doposolleva laquestioneconÁlvaro. – Ti vanti delmagazzino, ma ci sei maiandato?Brulicadi ratti.Cosac’è da andar fieri a lavorareper nutrire un esercito diroditori?Nonè soloassurdo,èfolle.

Álvaro gli rivolge unsorriso benevolo edesasperante. – Dovunque cisiano navi ci sono ratti.Dovunque ci sia un

magazzinocisonoratti.Doveprospera la nostra specieprosperanopureiratti.Irattisono creature intelligenti. Sipotrebbe dire che sono lanostraombra. Sí, consumanoparte del grano chescarichiamo.Sí,c’èspreconelmagazzino. Ma lo spreco c’èintuttoilpercorso:neicampi,nei treni, nelle navi, neimagazzini, nelle dispense deifornai. Non ha senso

prendersela per lo spreco. Losprecofapartedellavita.

– Solo perché lo spreco fapartedellavitanonvuoldireche non lo possiamocombattere! Perchéimmagazzinare tonnellate digrano, migliaia di tonnellatedi grano, in capannoniinfestatidairatti?Perchénonimportare solo quello che ciserve,daunmese all’altro?Eperché tutto il processo di

trasbordo non dovrebbeessere organizzato in modopiú efficiente? Perché usarecavalli e carri quandopotremmo usare i camion?Perché il grano deve arrivaredentro i sacchi ed esseretrasportatosullaschienadegliuomini?Perchénonlosipuòversare nella stiva dall’altraparte e pomparlo fuori daquesta, attraverso uncondotto?

Álvaro riflette a lungoprima di rispondere. – Cosapensi che ne sarebbe di tuttinoi, Simón, se il grano fossepompato tutto insieme comeproponi? Che ne sarebbe deicavalli? Che ne sarebbe di ElRey?

– Non ci sarebbe piúlavoropernoiquialporto,–risponde. – Sí, d’accordo.Però troveremmo lavoro perassemblare le pompe o

guidare i camion.Lavoreremmo tutti, propriocome prima: solo a lavoridiversi, che richiedonointelligenza e non solo forzabruta.

–Dunquevorrestiliberarcida una vita di fatica brutale.Vorresti che lasciassimo imoli e trovassimo un altrotipo di lavoro in cui nonpotremmo piú issarci uncarico sulle spalle, non

sentiremmo piú il grano nelsacco muoversi per prenderela forma del nostro corpo,non lo sentiremmo piúfrusciare, un lavoro in cuiperderemmo il contatto conla cosa vera: col cibo che cinutreecidàvita.

–Perché siamo cosí sicuridi dover essere salvati,Simón? Pensi che viviamo lavitadegliscaricatoriperchécihanno trovato troppo stupidi

per farequalsiasi altra cosa–troppostupidiperassemblareuna pompa o guidare uncamion?Certocheno.Ormaici conosci. Sei nostro amico,nostrocompagno.Nonsiamostupidi, se avessimo avutobisogno di essere salvati, cisaremmo salvati da solioramai.No, non siamonoi aessere stupidi, ma è ilragionamento furbo su cui tiappoggi che è stupido, che ti

dà le risposte sbagliate.Questo è il nostro porto, ilnostro molo, giusto? –Guarda a destra e a sinistra,gliuominimormoranolaloroapprovazione. – Non c’èpostoper la furbiziaqui,soloperlacosastessa.

Non riesce a credere allesue orecchie. Non riesce acredere che a sputare quellesentenze insensate eoscurantiste sia il suo amico

Álvaro. Il resto della squadrasembra concordementeschierato con lui – uominigiovani e intelligenti con iquali tutti i giorni discute diveritàeapparenza,digiustoesbagliato. Se non si fosseaffezionato a loro se neandrebbe e basta, se neandrebbe e li lascerebbe alleloroinutilifatiche.Masonoisuoicompagni,icompagniaiqualiauguraognibene,eche

ha il dovere di cercare diconvincere che hannoimboccato il sentierosbagliato.

– Ma lo senti quello chedici,Álvaro?–dice.–Lacosastessa. Pensi che la cosarimangapersempre lastessa,immutabile? No. Tuttoscorre. Lo hai dimenticatoquando hai attraversatol’oceano per venire qui? Leacque dell’oceano scorrono e

scorrendo cambiano. Nonpuoi immergerti due voltenelle stesse acque. Come ipesci vivono nell’acqua, noiviviamo nel tempo edobbiamo cambiare coltempo.Perquantocisivogliaimpegnare a seguire lavenerabile tradizione degliscaricatori, alla fine saremosorpassati dal cambiamento.Il cambiamento è come l’altamarea. Puoi costruire

barriere, ma passerà sempreattraversolecrepe.

Ormai gli uomini si sonochiusiasemicerchiointornoalui e ad Álvaro. Nel lorocontegno non vede traccia diostilità. Anzi al contrario sisente incoraggiato, spinto adirelasua.

– Non sto cercando disalvarvi, – dice. – Non c’ènientedi speciale inme,nonpretendodiessereilsalvatore

di nessuno. Come voi hoattraversato l’oceano. Comevoi non porto con me unastoria.Quelpocodistoriacheavevome lasono lasciataallespalle. Sono solo un uomonuovo in una terra nuova: equesta èunabuona cosa.Manon ho abbandonato l’ideadella storia, l’idea delcambiamento senzaprincipioné fine. Le idee non cipossono essere strappate,

nemmenoiltempopuòfarlo.Le idee sono dovunque.L’universoneè intriso.Senzanon ci sarebbe universo,perchénoncisarebbevita.

– L’idea di giustizia peresempio. Tutti noidesideriamo vivere sotto ungiusto ordinamento, unordinamento in cui l’onestafatica porti il giustocompenso; e questo è undesiderio buono, buono e

ammirevole. Ma quello chefacciamo qui al porto non ciaiuterà a promuoverequell’ordinamento. Quellochefacciamoquinonèchelamera rappresentazione di unatto eroico. Unarappresentazione che peresistere dipende da unesercito di ratti; ratti chelavoreranno notte e giorno aingurgitare queste tonnellatedi grano chenoi scarichiamo

in modo da fare spazio nelsilos per altro grano. Senza iratti l’insensatezza del nostrolavoro sarebbemessa a nudo–. Si interrompe. Gli uominitacciono. –Non lo vedete? –dice.–Sieteciechi?

Álvarosiguardaintorno.–Lospiritodell’agorà,–dice.–Chi vuole rispondere alnostroeloquenteamico?

Unodeigiovaniscaricatorialza la mano. Álvaro gli fa

cennodiparlare.–Ilnostroamicoinvocail

concetto di reale in modoequivoco, – dice il giovane,baldanzosoedisinvolto,comeun primo della classe. – Perdimostrare la suaconfusione,paragoniamo la storia colclima.Ilclimaincuiviviamo,siamo tutti d’accordo, è piúgrandedinoi.Nessunodinoipuò decretare come sarà.Manon è il fatto di essere piú

grande di noi a rendere ilclima reale. Il clima è realeper via delle suemanifestazioni. Quellemanifestazioni includono ilvento e la pioggia. Cosíquando piove ci bagnamo equandosialzailventocivolaviailcappello.Pioggiaeventosono transitori, realtà disecond’ordine accessibili ainostri sensi. Al di sopra di

quelle realtà, nella gerarchiadelreale,c’èilclima.

– Adesso considerate lastoria. Se la storia come ilclimafosseunarealtàpiúalta,allora la storia avrebbe dellemanifestazioni che noipotremmo avvertire con inostri sensi. Ma dove sonotali manifestazioni? – Siguarda intorno. – Chi di noisi è visto soffiare via ilcappello dalla storia? –

Silenzio.–Nessuno.Perchélastoria nonhamanifestazioni.Perché la storia non è reale,perché la storia è solo unraccontoinventato.

–Peresserepiúpreciso,–a parlare è Eugenio, che ieridomandava se avrebbepreferito lavorare in unufficio,–perchélastorianonha manifestazioni nelpresente. La storia è solo undisegno che vediamo in ciò

che è stato.Non ha il poteredipenetrareilpresente.

– Il nostro amico Simóndice che dovremmoprocurarci macchine chefacciano il nostro lavoro pernoi, perché questo detta lastoria. Ma non è la storia adirci di abbandonare unlavoroonesto:èl’indolenza,ilrichiamo dell’indolenza.L’indolenza è reale in unmodoincuinonloèlastoria.

La possiamo sentire con inostri sensi. Ne sentiamo lemanifestazioniogni volta checi sdraiamo sull’erba,chiudiamo gli occhi egiuriamochenoncialzeremopiú,anchequandosuoneràlasirena, tantodolceè ilnostropiacere. Chi di noi, oziandosulpratoinungiornodisole,dirà:«Misento lastorianelleossa, che mi dice di non

alzarmi»? No: è l’indolenzachecisentiamonelleossa.

Durante il suo discorsoEugenio si è andatoinfervorando. Forse neltimorechenonlafiniscapiú,i compagni lo interromponoconuno scrosciodi applausi.Lui si ferma e Álvaro neapprofittaalvolo.–Nonsoseil nostro amico Simón vuolerispondere,–dice.–Ilnostroamico ha liquidato le nostre

fatiche qui come inutilespettacolo, un’osservazioneche alcuni di noi possonoaver trovato offensiva. Se sifosse trattato solo diun’osservazione sconsiderata,o se avendoci riflettuto suvolesse ritirarla o correggerlasono sicuro che il gestosarebbeapprezzato.

Oratoccaalui.Lamareaècontrodi lui,nonc’èdubbio.Havogliadiresisterle?

– Certo che ritiro la miaosservazione avventata, –dice,–emiscusoperl’offesache può aver arrecato.Quanto alla storia, tuttoquellochepossodireèche,seoggi possiamo rifiutarci diprestarle attenzione, nonpotremo farlo per sempre.Perciò ho una proposta dafare. Ritroviamoci ancora suquestomolo tra dieci anni oanchetracinqueevediamose

il grano viene ancorascaricatoamanoeconservatoin sacchi in un capannoneaperto per il sostentamentodei nostri nemici ratti. Ioscommettodino.

– E se si dovessedimostrare cheavevi torto?–dice Álvaro. – Se tra diecianni dovessimo ancorascaricare il grano comefacciamo oggi, ammetteraichelastorianonèreale?

– Certo che lo farò, –risponde. – Chinerò il capodavantiallaforzadelrealeelochiamerò sottomettersi alverdettodellastoria.

Capitoloquindicesimo

Per un poco, dopo ildiscorso contro i ratti, glisembracheallavorocisiaun

clima non del tutto disteso.Anche se i compagni sonogentili come sempre, hal’impressione che quandoarrivacaliilsilenzio.

Eineffettiquandoripensaalla sua tirata arrossisce divergogna. Come ha potutosminuireillavorodicuiisuoicompagni vanno tanto fieri,un lavoro a cui è statoammessoedicuiègrato?

Ma col tempo,

gradualmente,lecosetornanoserene. Durante una pausamattutina Eugenio loraggiunge allungandogli unabusta. – Biscotti, – dice. –Prendine uno. Prendine due.Meliharegalatiunavicina–.Equandoluilidecanta(sonodeliziosiqueibiscotti,riesceasentire lo zenzero e forseanche la cannella), Eugenioaggiunge:– Sai, hopensato aquello che hai detto l’altro

giorno e forse hai ragione:perché dovremmo nutrire irattichenonfannonientepernutrire noi? C’è gente che limangia.Iono.Etu?

– No, – dice lui. –Neanch’io mangio i ratti.Preferisco decisamente i tuoibiscotti.

Alla fine della giornataEugenio ritorna sul tema. –Ho temuto che avessimoferitoituoisentimenti,–dice.

–Credimi,nonc’eranessunaanimosità. Tutti noi qui tivogliamobene.

–Nonsonooffeso,–dice.–Abbiamoavutounadisputafilosofica,tuttoqui.

–Unadisputa filosofica,–concordaEugenio.–TuabitiaiBlocchiEst,nonèvero?Tiaccompagno alla fermata –.Per tenere in piedi la storiache vive ai Blocchi deve

accompagnare Eugenio allafermatadell’autobus.

–C’èunproblemachemiassilla,–osservaconEugeniomentre aspettano l’autobusnumero 6. – Non è unproblema filosofico,nemmeno un po’: comepassateiltempoliberotueglialtri? So che molti di voiamano il calcio, ma la serache fate? Non sembra cheabbiate moglie e figli. Avete

delle ragazze? Frequentatequalche circolo? Álvaro midice che ci sono dei circolidovecisipuòiscrivere.

Eugenio arrossisce. –Nonso niente di questi circoli. Ioessenzialmente vadoall’Istituto.

– Raccontami. Ho sentitoparlarediunIstitutomanonho idea di cosa accada lídentro.

– All’Istituto fanno dei

corsi. Ci sono conferenze,film,gruppididiscussione.Tidovrestiiscrivereanchetu.Tipiacerebbe. Non è solo pergiovani,c’èancheunsaccodigente piú anziana e poi ègratis.Saicomearrivarci?

–No.– È su «Strada Nuova»,

vicino al grande incrocio, unalto edificio bianco con leportedivetro.Probabilmenteci sei passato tante volte

davanti senza saperlo. Vienidomani sera. Puoi unirti alnostrogruppo.

–Vabene.Salta fuori che il corsocui

èiscrittoEugenio,insiemeadaltri tre scaricatori, è difilosofia. Lui si siede in unafilainfondo,lontanodaisuoicompagni, in modo dapotersene andare facilmentesesiannoia.

Arrival’insegnanteecalail

silenzio. È una donna dimezza età, vestita in modosciatto ai suoi occhi, con icapelli grigio ferro, tagliaticortissimi, e senza trucco. –Buonasera, – dice. –Riprendiamo da dove cieravamo fermati la settimanascorsa e continuiamo lanostra esplorazione deltavolo.Del tavolo e della suaparentestretta,lasedia.Comericorderete,abbiamodiscusso

dei diversi tipi di tavolo cheesistono nel mondo e deidiversi tipi di sedia. Cichiedevamo quale fossel’unità di fondo in quelladiversità, che cosa faccia dituttiitavolitavoliedituttelesediesedie.

Lui scivola fuori dall’aulasenzafarerumore.

Il corridoio è vuoto, salvoperuna figuraconuna lungavestaglia bianca che corre

nella sua direzione. Quandola figura si fa piú vicina sirende conto che si tratta diAna del Centro. – Ana! –chiama. – Ciao, – rispondelei, – scusa, non possofermarmi, sono in ritardo –.Ma poi si ferma. – Ciconosciamo,nonèvero?Nonricordocometichiami.

– Simón. Ci siamoincontratialCentro.Ioavevocon me un bambino e tu ci

hai gentilmente datoospitalità la prima notte aNovilla.

–Certo!Etuofiglio,comesta?

Lavestagliabiancadifattoè un accappatoio bianco dispugna; ha i piedi nudi.Strana tenuta. Ci sarà unapiscinaall’Istituto?

Lei nota la sua ariaperplessaescoppiaaridere.–Faccio la modella, – dice. –

Faccio lamodelladuevolteasettimana. Per un corso dinudo.

–Corsodinudo?– Lezioni di disegno.

Disegno dal vero. Io sono lamodella del corso –. Sistiracchia come persbadigliare. La vestaglia le siapresulcollo; lui intravede ilseno che aveva tantoammirato. – Dovresti venireanche tu. Per conoscere il

corpo non c’è niente dimeglio–.Epoi,primacheluiriesca a superare il suoimbarazzo: – Ciao... sono inritardo.Salutatuofiglio.

Lui si aggira per ilcorridoiodeserto.L’Istituto èpiú grande di quello cheaveva immaginato da fuori.Da una porta chiusa vienedellamusica,ilcantoluttuosodi una donna accompagnatoda un’arpa. Si sofferma

davanti a una bacheca.Offrono una lunga lista dicorsi. Disegno architettonico.Contabilità. Calcolo. Uncorso dopo l’altro dispagnolo: Spagnolo perprincipianti (dodici sezioni),Spagnolo intermedio (cinquesezioni), Spagnolo avanzato,Composizione spagnola,Conversazione spagnola.Avrebbe fatto bene a venirequi invece di lottare con la

lingua tutto solo. Non glisembra ci sia letteraturaspagnola. Ma quella forserientra nel corso di spagnoloavanzato.

Non ci sono corsi di altrelingue.Nienteportoghese.Nécatalano. Né galiziano. Nébasco.

Niente esperanto. Névolapük.

Cerca il corso di Nudo.Eccolo:Disegnodal vero, dal

lunedíalvenerdídalle19alle21, sabatodalle14alle16;12posti per sezione; Sezione 1CHIUSO, Sezione 2 CHIUSO,Sezione 3 CHIUSO.Decisamente un corsopopolare.

Calligrafia. Tessitura.Lavorazione del vimini.Disposizione dei fiori.Ceramica.Burattini.

Filosofia. Elementi difilosofia. Filosofia: argomenti

scelti. Filosofia del lavoro.Filosofiaevitaquotidiana.

Suona la campanella perscandire l’ora. Gli studentiescono in corridoio, primaalla spicciolata, poi inmassa;non sono solo giovani, c’ègentedellasuaetàeanchepiúvecchia, proprio come gliaveva detto Eugenio. Eccoperché la città sembra unobitorio dopo il tramonto!Sono tutti qui, all’Istituto, a

migliorarsi.Tuttisidànnodafare per diventare cittadinimigliori, persone migliori.Tuttitrannelui.

Una voce lo chiama. ÈEugenio,eglifacennoconlamano dalla marea umana. –Vieni! Andiamo a mangiareunacosa!Vieniconnoi!

SegueEugeniogiúperunarampa di scale e arrivano inuna mensa illuminata agiorno.Cisonogiàlunghefile

di gente che aspettadi essereservita.Luiprendeunvassoioe le posate. – Oggi èmercoledí,perciòspaghetti,–dice Eugenio. – Ti piaccionoglispaghetti?

–Sí.Arriva il loro turno.

Allunga il piatto el’inserviente dietro il bancoglicisbattesopraunagrandeporzione di spaghetti. Unaltro ci aggiunge un mestolo

di salsa di pomodoro. –Prendi anche un panino, –dice Eugenio. – Semmai nontibastasse.

–Dovesipaga?–Nonsipaga.Ègratis.Trovano un tavolino dove

sonoraggiuntidaaltrigiovaniscaricatori.

– Com’era la vostralezione? – chiede loro. –Avete scoperto che cos’è unasedia?

Voleva essere una battuta,ma i giovani lo guardanosenzacapire.

–Nonsaicos’èunasedia?–diceunodi loroalla fine.–Abbassalatesta.Ciseisedutosopra –. Lancia uno sguardoai compagni tutt’intorno.Scoppianoaridere.

Cerca di unirsi a loro, didimostrare che sa stare alloscherzo. – Intendevo, – dice,– avete scoperto che cosa

costituisce... non so comedirlo...

– Sillicidad, – proponeEugenio. – La tua sedia, – eindica la sedia, – incarna lasillicidad,onepartecipa,o larealizza, come ama dire lanostra professoressa. È cosíchesaicheèunasediaenonuntavolo.

– O uno sgabello, –aggiungeilsuocompagno.

– La vostra insegnante vi

hamairaccontato,–dice lui,Simón, – dell’uomo che,quando gli chiesero comefacevaa saperecheuna sediaeraunasedia,diedeuncalcioallasediainquestioneedisse:«Ecco,signore,comeloso».

– No, – dice Eugenio. –Ma non è in quel modo cheappuri che una sedia è unasedia. In quel modo appuriche è un oggetto. Oggetto diuncalcio.

Lui tace. La verità è che èfuori posto in quell’Istituto.Non ha pazienza per lafilosofia. Non gli interessanolesedieelalorosedietà.

Glispaghettinonsannodiniente. La salsa è un passatodi pomodoro riscaldato.Cerca in giro il sale ma nonc’è.Nonc’ènemmenoilpepe.Maalmenoglispaghettisonounanovità.Megliodell’eternopane.

– Allora… a quali corsipensi di iscriverti? – chiedeEugenio.

– Non l’ho ancora deciso.Ho dato un’occhiataall’elenco. C’è una bellaofferta.HopensatoaDisegnodal vero, ma mi pare siapieno.

– Allora non ti unirai alnostro corso…Èunpeccato.La discussione si è fatta piúinteressante dopo che te ne

sei andato. Abbiamo parlatodell’infinito e dei pericolidell’infinito. Che succede seper esempio oltre alla sediaideale c’è una sedia ancorapiú ideale e un’altra ancorapiú ideale e cosí via,all’infinito? Ma ancheDisegno dal vero èinteressante. Potresti fare uncorso di Disegno questosemestre:Disegnogenerale.Epoi avresti la precedenza al

corso di Disegno dal vero ilprossimosemestre.

– Disegno dal vero èsempre molto popolare, –spiega un altro ragazzo. – Lagente vuole conoscere ilcorpo.

Lui cerca di coglierel’ironia,mano,nonc’èironia,comenonc’èsale.

– Per conoscere il corpoumano, non sarebbe meglio

un corso di anatomia? –chiede.

Ilragazzononèd’accordo.–L’anatomia ti spiegasolo leparti del corpo. Se vuoiimparare l’insieme ti deviiscrivere a una cosa tipoDisegnodalverooNudo.

– Quando dici l’insiemeintendi...?

– Intendo prima il corpoin quanto tale e poi dopo ilcorponellasuaformaideale.

– E quello non lo imparidalla normale esperienza?Voglio dire, passare qualchenotte con una donna nont’insegnatuttoquellochevuoisapere del corpo in quantocorpo?

Il ragazzo arrossisce e siguarda intorno in cerca diaiuto.Simaledice:luielesuestupidebattute!

– Quanto al corpo nellasua forma ideale, – insiste, –

dovremo forse aspettare laprossima vita prima diriuscireavederlo–.Allontanailpiattodispaghettimangiatoa metà. È troppo per lui, c’ètroppoamido.–Devoandare,– dice. – Buonanotte. Civediamoalportodomani.

– Buonanotte –. Nonfanno nessuno sforzo pertrattenerlo. E giustamente.Come deve apparire a questibravi giovani, grandi

lavoratori, idealisti,innocenti? Cosa maipotrebbero imparare lorodall’amaro miasma che esaladalui?

– Come sta il tuoragazzetto?–chiedeÁlvaro.–Cimanca.Glihaitrovatounascuola?

– Ancora non è in etàscolare. Sta con sua madre.

Lei non vuole che passitroppo tempo con me. Sisentirà diviso nei sentimenti,dice, finché ci saranno dueadultiarivendicarlo.

–Ma ci sono sempre dueadulti a rivendicarci: nostropadre e nostra madre. Nonsiamoapi,oformiche.

–Può essere,ma in tutti icasi io non sono il padre diDavid.Suamadreèlamadre,ma io non sono il padre.

Questaèladifferenza.Álvaro,trovo doloroso questodiscorso. Possiamo lasciarperdere?

Álvaro lo prende per unbraccio. – David non è unbambino comune. Credimi,l’ho osservato. So di cosaparlo. Sei sicuro di agire nelsuointeresse?

– L’ho consegnato a suamadre. È affidato alle sue

cure.Perchédicichenonèunbambinocomune?

– Tu dici di averloconsegnato, ma lui vuoledavvero essere consegnato?Perché sua madre l’avevaabbandonato, tanto percominciare?

–Nonl’haabbandonato.Iduesonostatiseparati.Peruncerto periodo hanno vissutoinmondidiversi.L’hoaiutatoa trovarla. L’ha trovata e ora

sono riuniti. Adesso hannoun rapporto naturale: quellodimadreefiglio.Mentreioeluinonabbiamounrapportonaturale.Tuttoqui.

–Seilsuorapportocontenonènaturalecos’è?

–Astratto.Conme ha unrapporto astratto. Unrapportoconqualcunocheinastratto si occupa di lui manon ha nei suoi confronti ildovere naturale di

occuparsene. Che volevi direquando hai detto che non èunbambinocomune?

Álvaro scuote la testa. –Naturale, astratto... Secondome non ha senso. Tanto percominciare, come credi cheuna madre e un padre siuniscano, lamadre e il padredel futuro bambino? Perchéhanno un dovere naturalereciproco? Naturalmente no.La loro strada s’incrocia per

caso e si innamorano. Cosac’è di meno naturale, di piúarbitrariodiquesto?Dal lorocongiungimentocasualevienealmondounanuovacreatura,una nuova anima. In questastoria chi deve cosa a chi?Non saprei dire e sono certochenemmenotulosai.

–Ho osservato te e il tuoragazzetto insieme, Simón, eho potuto vedere che lui sifidatotalmentedite.Tivuole

beneetuglivuoibene.Alloraperché consegnarlo? Perchésepararsidalui?

–Nonmisonoseparatodalui.Suamadre loha separatodame, com’è nel suo diritto.Se potessi scegliere sareiancoraconlui.Manonpossoscegliere. Non ho diritto discegliere. Non ho diritti inquestastoria.

Álvaro tace, sembraraccogliersi in sé. – Dimmi

dove posso trovare questadonna, – gli dice alla fine. –Vorreiparlarle.

– Stai attento. Ha unfratellocheèuntipaccio.Nonscontrarti con lui. Anzi hadue fratelli, tutti e duealtrettantosgradevoli.

– Mi so difendere, – diceÁlvaro. – Dove possotrovarla?

– Si chiama Inés ed èsubentrata nel mio vecchio

appartamento ai Blocchi Est:Edificio B, numero 202 alsecondo piano.Non dire chetihomandatoio,perchénonè vero. Io non ti ci mando.Questa non è affatto la miaidea,èlatuaidea.

– Non ti preoccupare. Lechiarirò che è stata un’ideamia,chetunonc’entriniente.

Il giorno dopo, durante lapausadimezzogiorno,Álvarogli fauncenno.–Hoparlato

alla tua Inés, – dice senzapreamboli. – Lei accetta difarti vedere il bambino, manonsubito.Allafinedelmese.

–Chebellanotizia!Comehaifattoaconvincerla?

Álvaro fa un gesto comeper lasciar perdere. –Adessoquestononimporta.Dicechepuoi portarlo a fare dellepasseggiate. Ti farà saperequando. Ha chiesto il tuonumero di telefono. Non lo

sapevoecosílehodatoilmioe le ho detto che ti avreipassatoisuoimessaggi.

–Nonsodirtiquantotisiagrato. Per favore, rassicuralache non turberò il bambino.Voglio dire, non turberò ilsuorapportoconlei.

Capitolosedicesimo

L’invito di Inés arrivaprimadelprevisto.LamattinadopoÁlvarolochiama:–C’è

un’emergenza nel tuoappartamento, – dice. – Inéshachiamatomentrestavoperuscire.Voleva che andassi suioma leho spiegatochenonavevo tempo. Non tipreoccupare,nonhanienteachevederecoltuobambino,èsolo un problema idraulico.Prendi la cassetta degliattrezzi dal capannone. Neavrai bisogno. Sbrigati. Èagitatissima.

Inés gli va incontro sullaporta, con addosso (perché?Lagiornatanon è fredda)unpesante cappotto. In effetti èpropriofuoridisé.Unafuria.Ilwaterèbloccato,dicelei.Ilcustode della palazzina èvenuto a controllare,ma si èrifiutato di fare alcunchéperché (hadetto lui)non erala regolare inquilina, nonl’aveva mai vista néconosciuta (ha detto lui). Lei

hachiamatoisuoifratelliallaResidencia, ma loro l’hannoliquidata con delle scuse,essendo troppo schizzinosi(dice lei con rabbia) persporcarsi le mani. Cosístamane, comeultima risorsaha chiamato il suo collegaÁlvaro, che essendo unoperaio avrebbe dovutosaperequalcosadiidraulica.Eadesso si ritrova lui invecediÁlvaro.

Lei non smette di parlare,facendo avanti e indietrofurente per il salotto.Dall’ultimavoltachel’havistaè dimagrita. Ha dei segniprofondi ai lati della bocca.Lui l’ascolta in silenzio; matiene gli occhi sul bambinoche sta seduto sul letto –possibile si sia appenasvegliato?–eche lofissaconaria incredula come fossetornatodallaterradeimorti.

Lui gli lancia un sorriso.Ciao!articolainsilenzio.

Il bambino si tira fuori ilpollice dalla bocca ma nonparla. I capelli, ricci alnaturale, sono stati lasciaticrescere troppo. Porta unpigiaminoazzurrochiaroconundisegnoinrossodielefantie ippopotami che saltellanoallegramente.

Inés non ha smesso diparlare. – Quel water non

funziona bene da quandosiamo arrivati, – sta dicendo.– Non mi stupirebbe chefosse colpa di quelli cheabitano al pianodi sotto.Hochiestoalcustodediverificareacasaloro,manonmièstatoneppure a sentire. Non homai incontratounuomocosívillano.Non gli interessa chela puzza si senta già dalcorridoio.

Inés parla delle fogne

senzaimbarazzo.Aluifaunostrano effetto: se nonaddirittura intima, laquestione gli sembraquantomenodelicata.E lei lovedecomeunoperaiovenutoa fare un lavoro, uno su cuinon dovrà piú posare losguardo; o continua astarnazzareaquelmodo solopernascondereildisagio?

Lui attraversa la stanza,apre la finestra, si sporge. Il

tubo di scarico del water vadirettamente in unaconduttura fognaria sotto ilmuro di cinta. Tremetri piúgiú c’è il tubo di scaricodell’appartamento del pianodisotto.

–Haparlatoconquellidel102?–chiede.–Seèbloccatatutta la colonna avranno lostessoproblemacheavetevoi.Maprimavogliocontrollareilwater, in caso si trattasse di

un problema piú semplice –.Si rivolge al bambino. – Mivieni a dare unamano?Nonti sembra ora di alzarti,scioperato? Guarda com’èaltoilsolenelcielo!

Il bambino si stiracchia eglifaunsorrisosoddisfatto.Alui si apre il cuore. Quantoamaquestobambino!–Vieniqui! – gli dice. – Non saraimica troppo grande perdarmiunbacio?

Ilbambinosaltasuecorread abbracciarlo. Lui sentel’odore penetrante di lattenon lavato. –Mi piace il tuonuovo pigiama, – dice. –Andiamo a fare unsopralluogo?

La tazza è piena fin quasiall’orlo di acqua edescrementi. Nella cassettadegli attrezzi che ha portatocon sé c’è unamolla di fil diferro. Fa ununcino in fondo

alfildiferro,loinfiladentroesonda alla cieca nel gomitodella tazza; il ferro torna sucon un mucchio di cartaigienica. – Hai un vasino? –chiede al bambino. – Unvasinoperlapipí?–chiedeilpiccolo. Lui annuisce. Ilbambino corre via e tornaportando un vaso da nottedrappeggiato da un panno.Un attimo dopo Inés siprecipita dentro, afferra il

vaso ed esce senza dire unaparola.

– Trovami una busta diplastica, – dice lui albambino. – Stai attento chenoncisianobuchi.

Pesca un bel po’ di cartadaltubootturato,maillivellodell’acqua non scende. –Vestiti che andiamo di sotto,–dicealbambino,eaInés:–Senonc’ènessuno in casa al102 cercherò di aprire il

tombino. Se il blocco è oltrequel punto, non potrò fareniente e sarà responsabilitàdell’autorità locale, mavediamo un po’ –.S’interrompe. – E poi unacosa cosí può succedere atutti, non c’entra niente lacolpa,èsolosfortuna.

CercadialleggerirelacosaperInés,esperache leisenerenda conto.Ma lei si rifiutadi guardarlo negli occhi. È

imbarazzata, è arrabbiata, elui non è in grado diindovinarealtro.

Accompagnato dalbambino bussa alla porta del102.Dopounalungaattesasisente tirare un paletto e siapre un filo di porta. Nellasemioscurità, riesce adistinguere una figura scuramanonsadire sediuomoodidonna.

– Buongiorno, – dice. –

Scusi l’intrusione. Sonodell’appartamento di sopra, eabbiamoilwaterbloccato.Michiedevo se anche lei avesseunproblemasimile.

La porta si apre un po’ dipiú. È una donna, vecchia ecurva, i suoi occhi di ungrigiore vitreo fanno pensarechenonciveda.

– Buongiorno, – ripete. –Il water. Ha un qualche

problema col water? Blocchi,atascos?

Nessuna risposta. Ladonna rimane immobile eglipunta in faccia il voltodall’espressione interrogativa.Forse oltre che cieca è anchesorda?

Il bambino fa un passoavanti. – Abuela, – dice. Lavecchiaallungaunamano,gliscompiglia i capelli, neesplora il viso.Perun attimo

il piccolo le si stringe controfiducioso;poiscivoladentroilsuoappartamento.Pocodopotorna. –Èpulito, – dice. – Illorowaterèpulito.

–Grazie,señora,–diceluies’inchina.–Grazieperilsuoaiuto. Mi dispiace averladisturbata.–Ealbambino:–Il water è pulito e allora...allorachesifa?

Il bambino aggrotta lafronte.

–Qui sotto l’acqua fluisceliberamente. Là, al piano disopra, – indica le scale, –l’acqua non scorre. E quindiche si fa? E quindi dov’è chesonobloccatelecondutture?

–Sopra,–diceilbambinosenzaesitare.

–Bravo!Ealloradov’èchedobbiamoaggiustare: sopraosotto?

–Sopra.–Eandiamosopraperché

l’acqua scorre… in qualedirezionescorrel’acqua,insuoingiú?

–Ingiú.–Sempre?– Sempre. Scorre sempre

ingiúequalchevoltainsu.–No.Maiinsu.Semprein

giú. È quella la naturadell’acqua. La domanda è:comefal’acquaadarrivaresualnostroappartamentosenzacontraddire la sua natura?

Comemai,quandoapriamoilrubinetto o tiriamo losciacquone,abbiamol’acqua?

–Perchépernoi scorre insu.

– No. Questa non è unabuona risposta. Proviamo aformulare la domanda inmodo diverso. Come fal’acqua ad arrivare al nostroappartamento senza scorrereinsu?

–Dal cielo.Cadedal cielo

neirubinetti.È vero: l’acqua cade dal

cielo. –Ma, – dice e alza undito ammonitore, – come ciarrival’acquaincielo?

Filosofia naturale.Vediamo, pensa, quantafilosofianaturalec’èinquestobambino.

–Perché il cielo inspira,–dice il bambino. – Il cieloinspira, – fa un respiroprofondo e lo trattiene, e

intanto sorride, un sorriso dipura gioia intellettuale e poi,in modo spettacolare, espira,–eilcieloespira.

Laportasichiude.Senteilchiavistellochevienetirato.

–Tel’hadettoInésquesto,delrespirodelcielo?

–No.– Lo hai pensato tutto da

solo?–Sí.– E chi c’è nel cielo che

inspira ed espira e creapioggia?

Il bambino tace. Ha lafronte aggrottata per laconcentrazione. Alla finescuotelatesta.

–Nonlosai?–Nonloricordo.– Non importa. Andiamo

eraccontiamo lenovitàa tuamadre.

I ferrichehaportatosonoinutili.Soloilprimitivopezzo

di molla potrebbe rivelarsiutile.

– Perché voi due nonandateafareunapasseggiata?–proponea Inés.–Quelchesto per fare non è moltoinvitante.Nonvedoperché ilnostro giovane amicodovrebbe essere esposto aquesto.

– Preferirei chiamare unidraulicovero,–diceInés.

– Se non riesco a farlo io

andrò a cercare un idraulicovero, promesso. Cosí, in unmodoonell’altro,ilsuowatersaràriparato.

–Nonvoglioandareafareuna passeggiata, – dice ilbambino.–Voglioaiutare.

– Grazie, ragazzomio, seigentile. Ma questo non è unlavoro in cui c’è bisogno diaiuto.

–Possodartidelleidee.Scambia un’occhiata con

Inés. Tra loro passa unmessaggio non espresso. «Èsveglioilmiobambino!»dicelosguardodelladonna.

– È vero, – dice lui. – Seibravo con le idee. Mapurtroppo i water non sonoricettivi in fatto di idee. Iwater non fanno parte delregnodelle idee, sonooggettibrutali che richiedono unlavoro da bruti. Perciò vai a

spassocontuamadrementreioprocedoconquestolavoro.

– Perché non posso starequi? – dice il bambino. – Èsolocacca.

Nellasuavocec’èunanotanuova, un tono di sfida chenonglipiace.Contuttequellelodisistamontandolatesta.

– Iwater sono solowater,ma lacaccanonèsolocacca,–dice.–Cisonocosechenonsono solo quello che sono,

nonsempre.Lacaccaèunadiquelle.

Inés strattona lamanodelbambino. Arrossiscefuribonda.–Vieni!–dice.

Ilbambino scuote la testa.– È la mia cacca, – dice. –Vogliorestare!

–Eralatuacacca.Mal’haiespulsa. Te ne sei liberato.Nonèpiú tua.Nonpuoipiúrivendicarla.

Inés sbuffa e si ritira in

cucina.– Quando finisce nelle

condutture delle fogne non èpiúdinessuno,–continua.–Nelle fogne si unisce allacaccadituttiglialtriediventacaccagenerale.

– Allora perché Inés èarrabbiata?

Inés.Ècosíchelachiama?Nonmami,némamma?

– Lei è imbarazzata. Allagente non piace parlare della

cacca. La cacca puzza. Lacacca è piena di batteri. Lacaccanonèunabuonacosa.

–Perché?–Cosaperché?– La cacca è anche sua.

Perchéèarrabbiata?–Nonèarrabbiata.Èsolo

delicata. Alcune persone losono, è il loro carattere,inutile chiedere perché. Manon c’è bisogno di esserloperché, come ti ho detto, da

uncertopuntodivista,nonèla cacca di nessuno inparticolare,èsolocacca.Parlacon qualsiasi idraulico e tidirà la stessacosa.Nonèchel’idraulicoguardalacaccaesidice: «Interessante, chi maiavrebbedettochelacaccadelseñor X o della señora Yavesse questo aspetto!» Ècome l’impresario dellepompe funebri. Unimpresario delle pompe

funebri non dice a se stesso:«Interessante...» –S’interrompe. «Stoesagerando, – pensa, – parlotroppo».

– Cos’è un impresariodellepompefunebri?–chiedeilbambino.

– Uno che si prende curadei corpi morti. È come unidraulico. Controlla che icorpimortisianomandatinelpostogiusto.

«E adesso chiederai: Cos’èuncorpomorto?»

–Cosasonoicorpimorti?–chiedeilbambino.

–Icorpimorti sonocorpiche sono stati colpiti dallamorte,concuinonpossiamopiú fare nulla. Ma nondobbiamo preoccuparci dellamorte. Dopo la morte c’èsempre un’altra vita. Lo sai.Noi esseri umani siamofortunati da quel punto di

vista. Non siamo come lacacca che deve rimanere lí arimescolarsiconlaterra.

–Ecomesiamonoi?–Come siamonoi se non

siamo come la cacca? Siamocome le idee. Le idee nonmuoiono mai. Quello loimpareraiascuola.

– Ma noi facciamo lacacca.

– Questo è vero. Siamoparte del mondo ideale ma

facciamo anche la cacca.Dipende dal fatto cheabbiamo una doppia natura.Non so come spiegarlo inmodopiúsemplice.

Il bambino resta insilenzio. «Lasciamolorimuginare su questo», pensalui. Si china vicino alla tazzadel water, tira su le manichepiú che può. –Vai a fare ungirocon tuamadre,–dice.–Vai.

– E l’impresario dellepompe funebri? – chiede ilbambino.

– L’impresario dellepompefunebricosa?Quelloèun lavoro come un altro.L’impresario delle pompefunebrinonèdiversodanoi.Anche lui ha una doppianatura.

–Possovederlo?– Non subito. Abbiamo

altrodafareora.Laprossima

volta che andiamo in città.Vedrò se trovo un’agenzia dipompe funebri. E allorapotraidareun’occhiata.

– Possiamo vedere i corpimorti?

– No, certo che no. Lamorteèunafaccendaprivata.Laprofessionedell’impresariodi pompe funebri richiedediscrezione. Loro nonesibiscono i corpi morti alpubblico. E adesso basta con

questi discorsi –. Affonda lamolla fino in fondo alwater.DeveriuscireafarscenderelamollalungoilpercorsoaSdelsifone. Se non è lí che èotturato, dev’essere incorrispondenzadiunosnodoesterno.Einquelcasononhaidea di come procedere.Dovràrinunciareetrovareunidraulico. O l’idea di unidraulico.

L’acqua in cui galleggiano

ancoragrumidicaccadiInés,gli copre lamano, il polso, ilbraccio.Spingelamollalungola piega a S. «Saponeantibatterico, pensa: dopomidovrò lavare col saponeantibatterico, e strofinarescrupolosamente sotto leunghie.Perchélacaccaèsolocacca, perché i batteri sonosolobatteri».

Non si sente come unesseredalla doppianatura. Si

sente come uno che stasondando un’ostruzione inuno scarico, utilizzandostrumentiprimitivi.

Tira fuori il braccio, eritira la molla. L’uncino infondo si è schiacciato. Fa dinuovoilgancio.

– Puoi fare con unaforchetta,–diceilbambino.

– Una forchetta è troppocorta.

–Puoiusareilforchettone

incucina.Lopuoipiegare.–Fammivederequaledici.Il bambino va via

trotterellando, e torna colforchettone che era in casaquando erano arrivati, di cuilui non ha mai saputo chefarsene.–Se sei forte lopuoipiegare,–glidice.

Lui lo piega a U e poi lospinge lungo l’ansaaS finoache non va piú avanti.Quando cerca di estrarre il

forchettone sente unaresistenza. Dapprimalentamente ma poi semprepiú velocemente l’ostruzioneviene a galla: un tampone dicotone nella confezione diplastica. L’acqua nel waterrecede, lui tira lo sciacquone.L’acqua pulita scorreimpetuosa. Aspetta e tira dinuovolosciacquone.Iltuboèlibero.Ètuttoaposto.

–Hotrovatoquesto,–dice

a Inés. Tiene in manol’oggetto ancora gocciolante.–Loriconosce?

Lei arrossisce, in piedidavanti a lui con ariacolpevole, non sa doveguardare.

–Fasemprecosí?Libuttanel water? Nessuno le hadettochenonsidevefare?

Scuote la testa. Le guancein fiamme. Il bambino le tirala gonna inquieto. – Inés! –

dice. Lei gli dà un colpettosulla mano distrattamente. –Non è niente, tesoro, –bisbiglia.

Lui chiude la porta delbagno, si toglie la camicialuridaelalavanellavandino.Non c’è sapone antibatterico,solo quello del Commissariatche usano tutti. Strizza lacamicia, la risciacqua, lastrizza di nuovo. Dovràmettersiunacamiciabagnata.

Silavalebracciaeleascelleesi asciuga.Forsenonèpulitocome vorrebbe, ma almenononpuzzadimerda.

Inés è seduta sul letto colbambino aggrappato al senocomeunbebé, locullaavantie indietro. Il bambino èassopito, con un filo di bavache gli pende dalla boccasemiaperta.–Adessovado,–sussurra. – Chiamatemi seavetebisognodime.

Quellochelocolpiscedellasua visita a Inés, quando ciripensa in seguito, è lastranezza di quell’episodiodella sua vita, la suaimprevedibilità. Chi avrebbepensato la prima volta sulcampo da tennis, quandoaveva posato gli occhi suquella donna, cosíimperturbabile, cosí serena,che un giorno si sarebbedovuto levare via di dosso la

sua merda? Che cosa neavrebberopensatoall’Istituto?La signora dai capelli grigioferro avrebbe trovato unaparola anche per quello: lacacchitàdellacacca?

Capitolodiciassettesimo

– Se cerchi sfogo, – diceElena,– seunpo’di sfogo tipuòrenderepiúfacile lavita,

per un uomo ci sono luoghidoveandare.Ituoiamicinonte ne hanno parlato? I tuoiamicimaschi?

– Assolutamente no. Macosa intendi esattamentequandodicisfogo?

– Sfogo sessuale. Se è unosfogosessualechecerchi,nonc’è bisogno che sia io il tuounicoporto.

– Mi dispiace, – dice luiirrigidendosi. – Non mi ero

resocontochelavedevicosí.– Non ti offendere. È un

fatto della vita: gli uominihanno bisogno di sfogarsi, losappiamo tutti. Ti sto solodicendo cosa puoi fare ariguardo.Cisonoluoghidovepuoi andare. Chiedi ai tuoiamici al porto, oppure, se lacosa ti imbarazza troppo,chiedi al Centro dismistamento.

–Staiparlandodibordelli?

– Chiamali bordelli sevuoi, ma da quel che sentodire ingirononc’ènientedilosco, sembra siano puliti egradevoli.

– E le ragazze in servizioindossanol’uniforme?

Leiloguardainterrogativa.–Vogliodire,portanouna

divisa, come le infermiere?Tutteconlastessabiancheriaintima?

–Questolodovraiscoprire

dasolo.– Ed è una professione

accettata,quelladilavorareinunbordello?–Sadi risultareirritante con quelle domandema ha addosso di nuovoquell’umore, quell’umoreamaro e sprezzante, che loaffliggedaquandohalasciatoil bambino. – Una ragazzapuò farlo e continuare acamminare a testa alta inpubblico?

– Non ne ho idea, – dicelei. – Vacci e scoprilo. Eadesso scusami, aspetto unallievo.

Di fatto aveva mentitodicendoaElenadinonsapereniente dei luoghi dovepotevano andare gli uomini.Álvaro di recente avevaaccennato a un club per soliuomini poco lontano dalporto che si chiamava SalónConfort.

Dall’appartamento diElenavadirettamentealSalónConfort. Circolo ricreativo eper il tempo libero dicel’insegna incisa all’ingresso.Apertodalle14alle2.Chiusodi lunedí. Ingresso riservato.Iscrizione su richiesta. E incorpopiúpiccolo:Consulenzaindividuale. Terapia anti-stress.Terapiafisica.

Spingelaporta.Sitrovainun’anticameraspoglia.Lungo

una parete, una pancaimbottita. Sulla scrivania conla scritta RECEPTION c’è solountelefono.Sisiedeeaspetta.

Dopounbelpezzoemergequalcuno da una stanza, unadonnadimezzaetà.–Scusisel’ho fatta aspettare, – dice. –Cosapossofareperlei?

–Mivorreiiscrivere.–Certo.Bastacheriempia

queste due schede e poi miserve un documento di

identità –. Gli passa unapenna e una serie di foglitrattenutidaunfermaglio.

Lui dà uno sguardo allaprima scheda. Nome,indirizzo, età, occupazione. –Avrete marinai di passaggio,– osserva. – Anche lorodevonoriempireimoduli?

– Lei è un marinaio? –chiedeladonna.

– No, lavoro al porto manon sono marinaio. Parlavo

dei marinai perché sono aterrasoloperunanotteodue.Anche loro si devonoiscrivere al circolo perentrare?

–Bisognaessereapprovaticomemembriperutilizzarelastruttura.

– E quanto ci vuole peressereapprovati?

–Peressereapprovatinonmolto,madopodeve trovare

un posto libero con unaterapeuta.

–Melodevotrovareio?– Deve essere accettato

nella lista di una delle nostreterapeute. Questo puòrichiedere tempo. Spessosonotuttealcompleto.

– Allora se fossi uno deimarinai che dicevo, unmarinaio che trascorre solouna notte o due a terra,sarebbe inutile venire qui. La

mianavesarebbedinuovoinalto mare prima di averottenutounappuntamento.

– Il Salón Confort non èqui a beneficio dei marinai,señor. I marinai avranno iloro circoli nei paesi diprovenienza.

– Forse li avranno pure icircolinei loropaesi,manonpossonousarlivistochesonoquienonlí.

– Eppure è cosí: noi

abbiamoinostricircolielorohannoiloro.

– Capisco. Se posso dire,lei parla come una laureatadell’Istituto – l’Istituto diStudi Superiori, credo sichiami, – quello in centro. –Davvero. Sí. Di uno dei lorocorsidifilosofia.Forselogica.Oretorica.

– No, non sono unalaureata dell’Istituto. Allora:ha deciso? Vuole fare

domanda? In casoaffermativo, proceda ariempireimoduli.

Lasecondaschedaglicreapiú problemi della prima. Sichiama Domanda perterapeutapersonale.Utilizzilospazioqui sottoperdescriverela sua persona e le sueesigenze.

«Sono un uomo comunecon esigenze comuni, –scrive. – Cioè, non ho

esigenze particolari. Fino apoco tempo fa ho avuto lapiena responsabilità di unbambino. Da quando l’holasciato (e la mia tutela si èinterrotta)misonosentitounpo’ solo. Non sapevo comepassare il tempo». Si staripetendo, perché usa lapenna. Se avesse una matitacon la gomma si potrebbepresentare in modo piúsintetico. «Ho bisogno di un

orecchio amico per sfogarmi,ho un’amica che peròultimamente ha la testaaltrove. Il mio rapporto conleimancadi vera intimità, diquelle condizioni di intimitàin cui uno si può veramentesfogare».

Cos’altro?«Ho fame di bellezza, –

scrive. – Bellezza femminile.Una specie di fame. Unabrama di bellezza, che,

almeno nella mia esperienza,risveglia una sorta di timorereverenziale e anche digratitudine;gratitudineperlagrande fortuna di stringeretra le braccia una belladonna».

Prende in considerazionela possibilità di cancellaretutto il paragrafo sullabellezza,mapoinonlofa.Selo devono giudicare meglioche sia sui moti del cuore

piuttosto che sulla luciditàdella sua ragione. O la sualogica.

«Che non vuol dire chenon sia un uomo con leesigenze di un uomo»,concludeenergico.

Qué tontería! Chedisordine! Che confusionemorale!

Consegnaiduemoduli.Lasegretaria li esamina – senzanemmeno fare finta di no –

da cima a fondo. Sono solinellasalad’attesa.Nonc’èungran lavoro a quest’ora. Labellezza risveglia un timorereverenziale: possibile che unleggero sorriso le increspi lelabbraquandoarrivaaquelladichiarazione? E lei è unasemplice segretaria o haancheleiunpassatoquantoagratitudine e timorereverenziale?

– Non ha barrato una

casella,–dice.–Duratadellesedute: 30minuti, 45minuti,60 minuti, 90 minuti. Cheduratapreferisce?

– Diciamo il massimo delconforto:novantaminuti.

–Potrebbedoveraspettareunpo’primadiottenereunasedutadanovantaminuti.Perun problema di orari. Ecomunque la segno per unprimo incontro lungo, poipotrà cambiarlo se dovesse

decidere in tal senso. Grazie.È tutto. Ci terremo incontatto, le scriveremo perfarle sapere la data del suoprimoappuntamento.

–Accidenticheprocedura!Capisco che i marinai nonsonoibenvenuti.

– Sí, il Salón non èorganizzato per chi è dipassaggio. Ma essere dipassaggioèdiperséunostatotransitorio.Unapersonacheè

di passaggio qui, sarà stabilequando è in patria, propriocome chi è di qui sarà dipassaggioaltrove.

–Per definitionem, – dicelui. – La sua logica èimpeccabile. Aspetterò la sualettera.

Sulla scheda ha segnatol’appartamentodiElenacomesuo domicilio. I giornipassano. Lui chiede a Elena:nientepostaperlui.

Ritorna al Salón. Stessasignorinaall’accoglienza.–Siricordadime?–dice.–Sonovenuto due settimane fa. Mihadettochemiavrebbefattosapere. Ma non ho avutonotizie.

– Aspetti che guardo, –dice. – Lei si chiama...? –Apre uno schedario e neestraeunacartella.–Nonmisembracisianoproblemiconladomanda.Ilritardosembra

dovuto alla difficoltà disposarla con la terapeutagiusta.

–Sposarmi? Forse nonmisono spiegato. Dimentichiquello che ho scritto sullascheda a proposito dellabellezza eccetera. Non cercol’anima gemella, cerco solocompagnia. Compagniafemminile.

– Capisco. Indagherò. Midiaqualchegiorno.

Passano i giorni. Nientelettera. Non avrebbe dovutoparlare di «timorereverenziale». Qual è lagiovane donna che volendoguadagnare qualche reale inpiúvorrebbesentirsiinvestitadi una simile responsabilità?La verità può essere unabuonacosa,maunpo’menoverità a volte può esseremeglio.Perciò:«Perchévuoleiscriversi al Salón Confort?»

Risposta: «Perché sonoarrivatodapocoincittàenonconosconessuno».Domanda:«Chetipoditerapeutacerca?»Risposta: «Una giovane ecarina». Domanda: «Quantodeve durare la seduta?»Risposta: «Andranno benetrentaminuti».

Eugenio sembra volerdimostrare che il disaccordo

sui ratti, la storia el’organizzazione del lavoro alporto non ha lasciatostrascichi dimalanimo tra diloro.Ilpiúdellevolte,quandostacca dal lavoro, trovaEugenio che lo segue passopasso, e gli tocca rifare lascena del numero 6 daprendere per raggiungere iBlocchi.

– Hai deciso che fareriguardoall’Istituto?–chiede

Eugenio mentre si dirigonoalla fermata dell’autobus. –Pensidiiscriverti?

– Temo di non averpensatogranchéall’Istitutodirecente. Ho cercato diiscrivermi a un circoloricreativo.

– Un circolo ricreativo?Come il Salón Confort?Perchémaidovresti iscrivertiauncircoloricreativo?

–Tu e i tuoi amici non li

usate? E che ne fate delle –come chiamarle? – pulsionifisiche?

–Pulsionifisiche?Pulsionidel corpo? Ne abbiamoparlato in classe. Vorrestisentire le conclusioni cuisiamogiunti?

–Sí,certo.– Abbiamo cominciato

conl’osservarechelepulsioniin questione non hanno unoggettospecifico.Ovveronon

è verso una donna inparticolare che ci spingono,ma verso una donna inastratto, verso l’idealefemminile. Perciò quando,per sedare quella pulsione, cirivolgiamo a un cosiddettocircolo ricreativo di fattosviliamo quella pulsione.Perché? Perché lemanifestazioni dell’idealeofferte in quei luoghi sonocopieinferiori;el’unionecon

una copia inferiore non puòche deludere e rattristarecoluichecerca.

Tenta di immaginareEugenio, questo giovaneuomo con i suoi occhiali dagufo, tra le braccia di unacopia inferiore. – Tuattribuisci la tua delusionealledonneincontratealSalón,– risponde, – ma forsedovresti riflettere sullapulsione in sé. Se è nella

naturadeldesideriospingersioltrequellochepuòafferrare,perchémeravigliarsi che nonvenga soddisfatto? Il tuoinsegnante all’Istituto non viha detto che abbracciare unacopia inferiore è solo unpasso necessario nell’ascesaverso il buono, il vero e ilbello?

Eugeniotace.–Pensaci.Chieditidoveci

troveremmo se non

esistessero le scale. Ecco ilmio autobus. A domani,amico.

–C’èqualcosachenonvain me di cui non mi rendoconto? – chiede a Elena. –Penso al circolo al quale hotentato di iscrivermi. Perchécredi che mi abbianorifiutato?Puoiesseresincera.

Nell’ultima luce viola del

tramonto lui e lei siedonoaccanto alla finestra eguardano i tuffi in picchiatadelle rondini in volo. Buoniamici: cosí sonodiventatineltempo. Compañeros permutuo consenso. Unmatrimoniodicompagnia: seglielo proponesse, Elenaaccetterebbe? Vivere conElena e Fidel nel loroappartamento sarebbe dicertopiúcomodochedoversi

accontentare della vitasolitaria nella sua baracca alporto.

– Non puoi essere certochetiabbianorifiutato,–diceElena. – Forse hanno unalungalistadiattesa.Anchesemi sorprende che tu vogliainsistereconloro.Perchénonprovi un altro club? Oppuresemplicementelasciperdere?

–Lascioperdere?–Lasciperdereilsesso.Sei

abbastanzavecchiodapoterlofare. Abbastanza vecchio dapoter cercare soddisfazionealtrove.

Scuote la testa. – Nonancora, Elena. Ancoraun’avventura, ancora unosmacco,epoi forsepenseròaritirarmi. Ma tu non hairisposto alla mia domanda.C’è qualcosa in me cheallontana la gente? Peresempio:ilmodoincuiparlo

tirespinge?Ilmiospagnoloèundisastro?

– Il tuo spagnolo non èperfetto, ma migliora ognigiorno. Sento un sacco dinuovi arrivati che parlanouno spagnolomoltopeggioredeltuo.

–Seigentileadirecosí,mailfattoèchenonhounbuonorecchio.Spessononriescoacapire cosa dice la gente edevo tirare a indovinare; per

esempio ladonnadelcircolo:avevo pensato che volessesposarmi con una delleragazze che lavorano lí, maforse ho capito male. Le hodettochenonero incercadimoglie e mi ha guardatocomefossipazzo.

Elenatace.–StessacosaconEugenio,

– continua lui. –Comincio apensare chenellamiaparlataci sia qualcosa che mi fa

riconoscere dagli altri comeun uomo ancora legato allavecchia vita, un uomo chenonhadimenticato.

– Dimenticare richiedetempo, – dice Elena. – Unavolta che avrai davverodimenticatotipasseràilsensodi insicurezza, e tuttodiventeràmoltopiúfacile.

–Nonvedol’orachevengaquel giorno benedetto. Ilgiorno in cui sarò accolto al

SalónConfortealSalónRelaxe a tutti gli altri Salón diNovilla.

Elena lo guarda condurezza. – Oppure ti puoiaggrappareaituoiricordi,seèquello che preferisci. Ma poinon venire a lamentarti dame.

–Ti prego, Elena, nonmifraintendere. Non attribuiscoalcun valore ai miei vecchi estanchiricordi.Concordocon

te: sono soloun fardello.No,è a qualcos’altro che stento arinunciare: non ai ricordi insé ma alla sensazione dirisiedere in un corpo con unpassato, un corpo intriso delsuo passato. Questo locapisci?

– Una vita nuova è unavita nuova, – dice Elena, –non una vita vecchia chericomincia da capo in un

contesto nuovo. GuardaFidel...

–Ma a che serve una vitanuova, – la interrompe, – senon ci trasforma, se non citrasfigura?Comedicertononèsuccessoame…

Lei gli lascia il tempo diandare avanti, ma lui hafinito.

– Guarda Fidel, – dice. –Guarda David. Non sonocreature fatte di ricordi. I

bambini vivono nel presente,non nel passato. Perché nonprendi esempio da loro?Invece di aspettare di esseretrasfigurato,perchénonprovia essere di nuovo come unbambino?

Capitolodiciottesimo

Luieilbambinofannounapasseggiata per il parco, inoccasione della prima

escursione autorizzata daInés. Le tenebre del cuore sisono dissipate, nel suo passoc’è un rinnovato slancio.Quando sta col bambino gliannisembranoscomparire.

– E come sta Bolívar? –chiede.

–Bolívarèscappato.–Scappato?Misorprende!

Credevo che Bolívar fossedevotoateeaInés.

– Io non gli piaccio. A

BolívarpiacesoloInés.–Ma di certo puoi amare

piú di una persona, noncredi?

–ABolívarpiacesoloInés.Èilsuocane.

–TuseiilfigliodiInés,manon vuoi bene solo a Inés.Vuoi bene anche ame.Vuoibene a Diego e a Stefano.VuoibeneadÁlvaro.

–No,nonèvero.– Questo mi dispiace.

Allora Bolívar se n’è andato.Dovecredisiaandato?

–Ètornato,nelfrattempo.Inés ha messo fuori la suaciotolaeluiètornato.Adessoleinonlofapiúuscire.

– Probabilmente non si èancora abituato alla suanuovacasa.

– Inés dice che è perchésente l’odore delle signorecagne.Vuole accoppiarsi conunasignoracagna.

– Sí, quello è uno deiproblemi di tenere un signorcane: che vuole accoppiarsiconlesignorecagne.Cosíèlanatura. Se i signori cani e lesignorecagnenonsivolesseropiú accoppiare nonnascerebberopiú i bebé cani,e dopo un po’ i cani non cisarebbero piú. Perciò forsesarebbe bene dare un po’ dilibertà a Bolívar. E il sonno,

come va? Dormi meglio? Ibruttisognisonoandativia?

–Hosognatolabarca.–Qualebarca?– La grande barca. Dove

abbiamo visto l’uomo colcappello.Ilpirata.

– Il pilota, non il pirata.Checosahaisognato?

–Èaffondata.–Èaffondata?Edopoche

èsuccesso?– Non lo so. Non mi

ricordo.Sonovenutiipesci.– Bene, ti dico io cosa è

successo. Siamo stati salvati,tueio.Dobbiamoesserestatisalvati, sennò come faremmoaesserequiora?Perciòquelloera solo un brutto sogno. Ipesci poi non mangiano lepersone.Ipescisonoinnocui.Ipescisonobuoni.

Èoraditornareindietro.Ilsole comincia a tramontare,spuntanoleprimestelle.

– Vedi quelle due stellelaggiú,quegliastrisplendenti?SonoiGemelli,elichiamanocosí perché stanno sempreinsieme. E quella stella lí,quella sopra l’orizzonte, unpo’ rossastra: è la stella dellasera, la prima che apparequandoilsoletramonta.

–Esonofratelligemelli?– Sí. Non ricordo i loro

nomi, ma in un tempolontano erano famosi, cosí

famosi da essere statitrasformati in stelle. ForseInés ne ricorda la storia. TiraccontamaidellestorieInés?

– Mi racconta le storiedellabuonanotte.

– Bene. Una volta cheavrai imparato a leggere dasolo, non dovrai contare suInés, né su di me, né sunessun altro. Potrai leggeretuttelestoriedelmondo.

– Io so leggere, solo che

non voglio.Mi piace chemeleleggaInés.

– Non ti sembra un po’miope? Leggere ti aprirànuove porte. Che storie tiraccontaInés?

–StoriedelTerzoFratello.–StoriedelTerzoFratello?

Non le conosco. Di cheparlano?

Il bambino si ferma,stringe i pugni davanti a sé,

guarda lontano, e comincia aparlare.

– C’erano una volta trefratelli ed era inverno enevicavaelamadredisse:TreFratelli,TreFratelli, sentoungrande dolore nelle viscere ehopauradimorire seunodivoinonvaacercarelaSaggiaDonna che custodisce lapreziosaerbachecura.

– Allora il Primo Fratellodisse:Madre,Madre, troverò

la Saggia Donna. Si mise ilmantello e uscí nella neve eincontròunavolpee lavolpeglidisse:Dovevai,Fratello?Eil Fratello rispose: Cerco laSaggia Donna che custodiscela preziosa erba che curaperciò non ho tempo diparlarti, Volpe. E la volpedisse: Dammi da mangiare eti mostrerò dove andare, e ilFratello rispose: Fuori daipiedi,Volpe,ediedeuncalcio

alla volpe e scomparve persemprenellaforesta.

– Allora la Madre disse:Due Fratelli, Due Fratelli,sento un grande dolore nelleviscere e ho paura di morireseunodivoinonvaacercarela Saggia Donna checustodisce la preziosa erbachecura.

– Cosí il Secondo Fratellodisse:Madre,Madre,ciandròio. Si mise il mantello e uscí

nellaneveeincontròunlupoe il lupo gli disse:Dammidamangiare e ti mostrerò lastradaper laSaggiaDonna,eil Fratello rispose: Fuori daipiedi,Lupo,ediedeuncalcioal lupo e scomparve persemprenellaforesta.

– Allora la Madre disse:TerzoFratello,TerzoFratello,sento un grande dolore nelleviscere e ho paura di morire

se non mi porti la preziosaerbachecura.

– Allora il Terzo Fratellodisse: Non temere, Madre,troverò la Saggia Donna etornerò con la preziosa erbache cura. E uscí nella neve eincontrò un orso e l’Orso glidisse: Dammi da mangiare eti mostrerò la strada per laSaggia Donna. E il TerzoFratello disse: Con piacere,Orso, tidarò tuttoquelloche

chiedi.El’Orsodisse:Dammiil tuo cuore da divorare. E ilTerzo Fratello disse: Conpiacere ti darò il mio cuore.Cosí diede all’orso il suocuoreel’Orsolodivorò.

– Poi l’orso glimostrò unsentiero segreto, e lui arrivòallacasadellaSaggiaDonnaebussò alla porta e la SaggiaDonnadisse:Perchésanguini,Terzo Fratello? E il TerzoFratello disse: Ho dato

all’Orso il mio cuore dadivorare affinché lui mimostrasse il sentiero, perchédevo riportare la preziosaerbachecuracheguariràmiamadre.

– Allora la Saggia Donnadisse: Ecco, questa è lapreziosa erba, di nomeEscamel, e poiché hai avutofede e hai lasciato che il tuocuore fosse divorato, tuamadreguarirà.Segui legocce

di sangue lungo la foresta etroverailastradadicasa.

– Cosí il Terzo Fratellotrovò lastradadicasaedissea sua madre: Ecco, Madre,questa è l’erba Escamel, eadesso addio, devo lasciartiperchél’orsomihadivoratoilcuore. E sua madre provòl’erba Escamel e subito fuguarita, e disse: Figlio Mio,FiglioMio,tivedorisplenderedi luce intensa, ed era vero,

luisplendevadiluceintensaepoifutrasportatosuincielo.

–E…?– Tutto qui. La storia

finiscecosí.–Alloral’ultimofratellofu

trasformato in una stella e lamadrerestòsola.

Ilbambinotace.– Non mi piace questa

storia.La fineè troppotriste.Comunque, tu non puoiessere il Terzo Fratello ed

essere trasportato in cielocome una stella, perché sei ilsoloeunicofratelloedunqueilprimofratello.

–Inésdicechepossoaverealtrifratelli.

– Davvero! E da dovedovrebberovenirequestialtrifratelli? Immagina che glieliportiiocomelehoportatote?

–Dicecheliavràdallasuapancia.

– Be’, nessuna donna può

fare figli da sola. Avràbisogno di un padre chel’aiuti, questo lo dovrebbesapere.Èunaleggedinatura,la stessa legge per noi, per icani, per i lupi e per gli orsi.Maancheseavràaltrifiglitusarai sempre il primo figlio,nonilsecondonéilterzo.

– No! – La voce delbambinoèrabbiosa.–Voglioessere il terzo figlio! L’hodettoaInéseleihadettodisí.

Ha detto che posso tornarenella sua pancia e poi usciredinuovo.

–Inéshadettocosí?–Sí.– Be’, se ci riesci è un

miracolo.Nonhomaisentitodi un bambino grande egrosso come te che siarientrato nella pancia dellamamma, figuriamoci poiriuscitodinuovo.Inésvolevadire qualcos’altro. Forse

intendeva dire che saraisempreilsuobeniamino.

– Non voglio essere ilbeniamino, voglio essere ilterzo figlio! Me l’hapromesso!

–Unovieneprimadidue,David, e due prima di tre.Inés può promettere fino adiventarepaonazzamaquestononpuòcambiarlo.Uno-due-tre. È una legge ancora piúfortediunaleggedinatura.È

la legge dei numeri.Comunque tu vuoi essere ilterzo figlio solo perché ilterzofiglioèl’eroedellestorieche ti racconta. Ma ci sonotantealtrestoriedoveilfigliomaggioreèl’eroe,nonilterzofiglio. Non ci devono micaessereperforzatrefigli.Cenepuò essere uno solo e non ènecessario che si facciadivorare il cuore.Unamadrepuòavereunafigliafemmina

eniente figlimaschi.Ci sonostorie di tanti tanti tipi eanche eroi di tanti tipi. Seimparassi a leggere loscoprirestidasolo.

–So leggere, solochenonvoglio.Nonmipiaceleggere.

– Bravo furbo! E poi trapochi giorni avrai sei anni equando compirai sei annidovraiandareascuola.

– Inés dice che non devoandare a scuola per forza.

Dice che sono il suo tesoro.Dicechepossoimpararetuttodasoloacasa.

– Certo che sei il suotesoro. È molto fortunata adaverti trovato, ma sei sicurodivolerestareacasaconInéstutto il tempo? Se andassi ascuola incontreresti altribambinidellatuaetà.Potrestiimpararealeggerebene.

– Inés dice che a scuolanon avrò un’attenzione

specialetuttaperme.–Attenzionespeciale!Che

vuoldire?–Inésdicechedevoavere

un’attenzione speciale perchésono intelligente. Dice che ascuola i bambini intelligentinon ricevono un’attenzionespecialeesiannoiano.

– E che cosa ti fa pensarediesserecosíintelligente?

– Conosco tutti i numeri.Li vuoi sentire?Conosco 134

epoiconosco7epoi,–faungran sospiro, – 4 623 551 epoi888epoi92epoi…

– Fermati! Questo non èconoscere i numeri, David.Conoscere i numeri significasaper contare. Significaconoscere l’ordine deinumeri: quelli che vengonoprima e quelli dopo. E inseguitoancheesserecapacidisommareesottrarreinumeri:andaredaunnumeroall’altro

inunsaltosolosenzacontarei gradini inmezzo.Recitare inumeri non vuol dire esserebravi con i numeri. Potrestistare qui a recitare numeritutto il giorno e nonarriveresti mai alla fine,perché i numeri non hannofine. Non lo sapevi questo?Inésnontel’avevadetto?

–Nonèvero!– Che cosa non è vero?

Che non c’è fine ai numeri?

Che nessuno li può recitaretutti?

–Iolipossorecitaretutti.– Molto bene. Dici di

conoscere 888. Quale è ilnumerochevienedopo888?

–92.– Nossignore. Il numero

successivo è 889. Quale deidueèpiúgrande,888o889?

–888.– Nossignore. 889 è piú

grandeperché889vienedopo

888.– Come lo sai? Tu non ci

seimaistatolí.– Che vuoi dire, stato lí?

Certochenonsonomaistatoda 888. Non c’è bisogno diessere stati da888per sapereche è piú piccolo di 889.Perché? Perché ho imparatocomesonocostruitiinumeri.Ho imparato le regoledell’aritmetica. Quandoandrai a scuola imparerai

anche tu le regole e poi inumeri non saranno piú unatale...–cerca laparola,–unatale complicazione nella tuavita.

Il bambino non rispondema lo guarda tranquillo.Nemmeno per un attimo luipensa che quello che dice gliscivoli addosso. No, assorbetutto, lo assorbe e lo rifiuta.Perché questo bambino, cosíintelligente,cosíprontoafare

la sua strada nel mondo sirifiutadicapire?

– Tu hai visitato tutti inumeri,mi dici, – gli dice. –Allora dimmi l’ultimo.L’ultimodituttiinumeri.Manon dire che è Omega.Omeganonvale.

–Cos’èOmega?– Non importa. Solo non

dire Omega. Dimmi l’ultimonumero,l’ultimissimo.

Il bambino chiude gli

occhi e fa un gran sospiro.Aggrotta la fronte per laconcentrazione. Muove lelabbra ma non dice unaparola.

Due uccelli si posano sulramo sopra di loro,mormoranotra loro,prontiapassarvilanotte.

Perlaprimavoltaglivieneinmentechequestopotrebbeanche non esseresemplicemente un bambino

intelligente–cenesonotantidi bambini intelligenti almondo – ma qualcos’altro,qualcosa per cui almomentoglimancalaparola.Allungailbraccioedàunascrollatinaalbambino. – Adesso basta, –dice.–Bastacontare.

Ilbambinohaunsussulto.Apre gli occhi, il suo voltoperde l’espressione rapita elontana e si contorce. – Nonmi toccare! – grida con una

strana voce stridula. –Mi faidimenticare! Perché mi faidimenticare?Tiodio!

– Se non vuoi che vada ascuola, – dice a Inés, –almenolasciachegliinsegnialeggere. È maturo per farlo,impareràinunbaleno.

C’è una piccola bibliotecanelcentrosocialeconunpaiodi scaffali di libri: Ilmanuale

del carpentiere, L’artedell’uncinetto, Cento e unaricette per l’estate e cosí viama,afacciaingiú,schiacciatosotto altri libri e col dorsostrappato, c’è un DonChisciotte per l’infanziaillustrato.

Lo mostra trionfante aInés.

–Chi èDonChisciotte?–chiedelei.

– Un cavaliere di cappa e

spada, dei tempi antichi –.Apre il libro sulla primaillustrazione: un uomo alto eallampanato con un ciuffettodi barba, chiuso nella suaarmatura, a cavallo di unronzino dall’aria stanca;accanto a lui un tipograssoccio sopra un somaro.Davanti a loro la strada siperde serpeggiando inlontananza. – È unacommedia, – dice. – Gli

piacerà. Nessuno affoga,nessuno muore, nemmeno ilcavallo.

Si sistema vicino allafinestra col bambino sulleginocchia.–Ioeteleggeremoinsieme questo libro, unapagina al giorno, qualchevolta due. Prima leggerò lastoria ad alta voce, poi laripasseremo parola perparola, guardando come si

formano le parole.D’accordo?

Ilbambinoannuisce.– C’era un uomo che

viveva nella Mancia (laMancia è in Spagna, è da líchevienela linguaspagnola),unuomononpiúgiovanemanemmeno vecchio, a cui ungiorno venne in mente didiventare cavaliere. Cosí tirògiú l’armatura arrugginitaappesa al muro, se la legò

addosso e fischiò perchiamare il suo cavallo dinome Ronzinante, e poichiamòilsuoamicoSancio,egli disse, «Sancio, pensavo dimettermi in viaggio in cercadi avventure cavalleresche:vuoi unirti a me?» Vedi,questoquièSancioequellolíè di nuovo Sancio, la stessaparola, che comincia con lagrande S. Cerca di ricordartil’aspettocheha.

– Cosa sono le avventurecavalleresche? – chiede ilbambino.

– Le avventure di uncaballero, di un cavaliere.Salvare belle dame inpericolo. Combattere controorchi e giganti. Vedrai. Illibro è pieno di avventurecavalleresche.

–Ora,DonChisciotte e ilsuo amico Sancio (vedi,DonChisciotteconlaCricciolutae

qui di nuovo Sancio) nonerano andati lontano quandovidero, sul cigliodella strada,torreggiare un gigante connonmeno di quattro bracciain cima alle quali spiccavanoquattro pugni giganteschi,che agitava minacciosocontroiviandanti.

– «Guarda, Sancio, lanostra prima avventura, –disseDonChisciotte.–Finoachenonavròsconfittoquesto

gigante nessun viandantepotràstaresicuro».

Sancio diede all’amicoun’occhiata perplessa. «Nonvedogiganti,–disse.–Tuttoquellochevedoèunmulinoavento con quattro pale chegiranonelvento».

– Cos’è un mulino avento?–chiedeilbambino.

– Guarda il disegno.Quellegrandibraccia sono lequattro pale del mulino a

vento. Quando girano nelvento le pale fanno girare laruota e la ruota fa girareunagrandepietra,dettalamacina,dentro ilmulino, e lamacinariduce il grano in farina inmodocheilfornaiopossafareilpanechemangiamo.

–Manonèveramenteunmulino,nonè vero?–dice ilbambino.

–Vaiavanti.–«Ilmulinoforseèquello

che tu vedi, Sancio, – disseDonChisciotte,–maquestoèsolo per via dell’incantesimodellastregaMaladuta.Senonfossi offuscato vedresti ungigante con quattro enormibraccia che sbarra la strada».Vuoisaperechièunastrega?

– Le so le streghe. Vaiavanti.

– A quelle parole DonChisciotte, lancia in resta,spronò i fianchi di

Ronzinanteecaricòilgigante.Con uno dei suoi quattropugniilgiganteparòlalanciadiDonChisciotte.«Ahahah,poverocavalierestraccione,–rise, – davvero pensi dipotermivincere?»

– Allora Don Chisciottesfoderò la spada e caricò dinuovo. Ma con la stessafacilità il gigante, col suosecondopugno,colpílaspada

e la buttò di lato insieme alcavaliereealsuodestriero.

– Ronzinante riuscí arimettersi in piedi ma DonChisciotte si era preso unatale botta in testa che eraalquanto confuso. «Ahimè,Sancio, – disse DonChisciotte, – a meno che unqualchebalsamocurativononsia applicato alle mie feritedallamanodellamiasignora,la bella Dulcinea, temo che

non vivrò fino a vedere dinuovo l’alba». «Sciocchezze,vostro onore, – risposeSancio, – è solo un bozzo intesta, starete dritto come lapioggia non appena saròriuscito ad allontanarvi daquestomulinoavento».«Nonun mulino a vento ma ungigante, Sancio», disse DonChisciotte.«Nonappenasaròriuscito ad allontanarvi daquestogigante»,disseSancio.

– Perché Sancio noncombatte anche lui contro ilgigante?–chiedeilbambino.

– Perché Sancio non è uncavaliere.Nonèuncavaliereedunque non ha né spada nélancia, ha solo un coltellinoper pelare le patate. Tuttoquello che può fare – comevedremodomani–ècaricareDonChisciottesulsuoasinoeguidarlo alla locanda piú

vicina per riposarsi eriprendersi.

– Ma perché Sancio noncolpisceilgigante?

– Perché Sancio sa che ilgigante inveritàèunmulinoa vento, e non si può lottarecontro i mulini a vento. Unmulino a vento non è unessereanimato.

– Non è un mulino avento, è un gigante! È un

mulino a vento solo neldisegno.

Luiposaillibro.–David,–dice, – Don Chisciotte è unlibro insolito. Alla signoradella biblioteca che ce lo haprestato sembra un librosemplice,perbambini,ma inverità non è semplice perniente. Ci presenta il mondoattraverso due paia di occhi:quelli di Don Chisciotte equelli di Sancio. Per Don

Chisciotte quello con cui sibatteèungigante.PerSancioè un mulino a vento. Lamaggior parte di noi, forsenon tu, ma comunque lamaggior parte di noi, èd’accordo con Sancio che sitratta di un mulino a vento.Compreso l’artista che hafattoildisegnodiunmulinoavento. Ma compreso anchel’uomochehascrittoillibro.

–Chihascrittoillibro?

– Un uomo di nomeBenengeli.

–Vivenellabiblioteca?– Non credo. Non è

impossibile, ma direi che èimprobabile. Di certo nonl’ho notato lí. Sarebbe facilericonoscerlo.Portaunalungaveste e sulla testa ha unturbante.

– Perché leggiamo il librodiBengeli?

– Benengeli. Perché l’ho

trovato in biblioteca. Perchého pensato che ti potessepiacere. Perché farà bene altuo spagnolo. Che altro vuoisapere?

Ilbambinotace.– Fermiamoci qui e

continuiamo domani conun’altra avventura di DonChisciotte e Sancio. Perdomanimiaspettochesapraiindicarmi Sancio con la

grandeSeDonChisciotteconlaCriccioluta.

–NonsonoleavventurediDon Chisciotte e Sancio.Sono le avventure di DonChisciotte.

Capitolodiciannovesimo

Ha attraccato uno deipiroscafi piú grossi, uno diquelli che Álvaro chiama a

due pance, con le stive apoppa e a prua. I portuali sidividonoinduesquadre.Lui,Simón, si unisce alla squadradi prua. A metà mattina delprimo giorno in cuiscaricano, mentre lui è sottonella stiva, sente untrambustosulponteeilsibilostridulo di un fischio. –Questo è l’allarmeantincendio,–diceaunodei

compagni. – Via di qui,presto!

Sentelapuzzadifumogiàmentre si arrampicanoper lascala.Vienesuaondatedallastivadipoppa.–Tuttifuori!–urla Álvaro dalla suaposizione sul ponte vicino alcapitano.–Tuttiaterra!

Gli scaricatorihanno fattoappenaintempoatiraresulescale che l’equipaggio della

navesiprecipitaachiuderelebotolediboccaporto.

– Non spengonol’incendio?–chiedelui.

– Lo soffocano, – glirisponde il compagno. – Inun’oraoduesaràfinito.Mailcarico andrà perso. Non c’èdubbio. Tanto vale darlo inpastoaipesci.

Gli scaricatori siriuniscono sul molo. Álvarocomincia a fare l’appello. –

Adriano… Agustín…Alexandre… – Presente…Presente… Presente… –arrivano le risposte. Finchéarriva a Marciano. –Marciano… – Silenzio. –Avete visto Marciano? –Silenzio. Dal portellonechiuso sale un filo di fumonell’ariasenzavento.

I marinai riaprono lebotolediboccaporto.Subitoliinvesteildensofumogrigio.–

Chiudete! – ordina ilcapitano, e adÁlvaro: – Se iltuouomoèlí,èspacciato.

– Noi non loabbandoniamo,–diceÁlvaro.–Iovadogiú.

–Nonfinchécomando io.Noncivai.

Amezzogiornolebotoledipoppa vengono brevementeriaperte. Il fumo è densocome prima. Il capitanoordinadiallagarelastiva.Gli

scaricatori vengonocongedati.

Lui racconta gli eventi delgiorno a Inés. – Quanto aMarciano, non possiamosapernenientefinoachenonsvuoteranno l’acqua dallastivadomattina,–dice.

–Checos’èchenonsisadiMarciano?Cheglièsuccesso?– chiede il bambinoinserendosi nellaconversazione.

–Lamiaipotesièchesisiaaddormentato. Non è statoattento e ha respirato troppofumo.Serespiri troppo fumodiventideboleetigiralatestaepoitiaddormenti.

–Epoi?– E poi, temo, non ti

risveglipiúinquestavita.–Muori?–Sí,muori.– Se è morto continuerà

nell’altra vita, – dice Inés. –

Perciò non ci dobbiamopreoccupare per lui. È l’oradelbagno,andiamo.

– Mi può fare il bagnoSimón?

Da tempo non vedeva ilbambino nudo. Nota conpiacereche il suocorposivariempiendo.

–Alzati,–glidice,lavaviail sapone che gli è rimastoaddosso e lo avvolge in unasciugamano. – Presto,

asciughiamoci e mettiamo ilpigiama.

–No,–diceilbambino.–VogliochemiasciughiInés.

–Vuolecheloasciughitu,– riferisce a Inés. – Io nonvadobene.

Steso sul suo letto, ilbambino lascia che Inés loaccudisca, che lo asciughi trale dita dei piedi e tra legambe.Colpolliceinbocca;isuoi occhi la seguono

pigramente, ebbri di piacereonnipotente.

Lei lo spolvera col talcocome fosse un bebé e poi loaiutaainfilareilpigiama.

È ora di andare a nanna,ma lui insistecon la storiadiMarciano. – Forse non èmorto, – dice. – Possiamoandareavedere,io,tueInés?Non respirerò il fumo,prometto.Possiamoandare?

–Non ha senso, David. È

troppo tardi per salvareMarciano. E comunque lastivaèpienad’acqua.

– Non è troppo tardi! Ioposso nuotare sott’acquacome una foca e salvarlo.Posso nuotare ovunque. Tel’hodettochesonounartistadellafuga.

– No, bambino mio,nuotare dentro una stivaallagata è troppo pericoloso,perfino per un artista della

fuga. Potresti rimanerciintrappolato e non tornarepiú su. Inoltregli artistidellafuga non salvano gli altri,salvano se stessi e tu non seiunafoca.Nonhaiimparatoanuotare ed è ora che tucapisca che non si diventanuotatorinéartistidella fugasolo desiderandolo. Civoglionoannidiallenamentoe poi Marciano non vuoleessere salvato, non vuole

essereriportatoinquestavita.Marciano ha trovato la pace.Probabilmente staattraversando i mari proprioinquestomomento,eguardaall’altra vita. Saràuna grandeavventura per lui,ricominciare da capo, dallatabularasa.Nondovràesserepiú uno scaricatore, portarepesanti sacchi sulle spalle.Potràessereunuccello.Potràesserequellochevuole.

–Ounafoca.–Unuccelloounafoca.O

anche una grande balena.Nonc’è limiteaquellochesipuò essere nella prossimavita.

– Io e te andremo nellaprossimavita?

– Solo quando moriremo.Ma per ora non moriamo.Abbiamo tanto tempo davivere.

– Come gli eroi. Gli eroi

nonmuoiono,vero?– No, gli eroi non

muoiono.– Dovremo parlare

spagnolonellaprossimavita?– Certamente no. Però

forse dovremo imparare ilcinese.

– E Inés? Verrà ancheInés?

– Quello lo deve deciderelei.Masonosicuroche,sevai

nellaprossimavita,Inésvorràseguirti.Tiamatanto.

–VedremoMarciano?–Di certo.Ma potremmo

non riconoscerlo, potremmopensare che si tratti di unuccello, di una foca o di unabalena.EMarciano,Marcianopenserà di vedere unippopotamo, mentre invecevedete.

– No, dico Marciano,quello vero, quello del porto.

VedremoilveroMarciano?– Appena avranno

asciugato la stiva, il capitanomanderà giú gli uomini aprendere il corpo diMarciano. Ma il veroMarciano non sarà piú tranoi.

–Possovederlo?–NonilveroMarciano.Il

veroMarcianoèinvisibilepernoi.Quantoalcorpo,ilcorpoda cui Marciano è fuggito,

quando noi arriveremo alporto sarà stato portato via.Gli uomini lo faranno alleprime luci mentre tu ancoradormi.

–Portatodove?– Portato via, per essere

sepolto.–Masenonèmorto?Che

succede se lo seppelliscono enonèmorto?

– Quello non succede, lepersone che fanno quel

lavoro, i becchini stannoattenti a non seppellire unapersonaseèviva.Ascoltanoilbattitodelcuore.Ascoltanoilrespiro. Se sentono anche ilpiú piccolo battito del cuorenon lo seppelliscono. Perciònon devi avere paura.Marcianoèinpace…

–No, non capisci! E se lasua pancia è piena di fumomaluinonèdavveromorto?

– I suoi polmoni.

Respiriamo coi polmoni nonconlapancia.Seilfumoglièentrato nei polmoni,Marcianoèmortodisicuro.

– Non è vero! Lo dici tu!Possiamo andare al portoprima che ci arrivino ibecchini? Possiamo andareora?

– Ora, al buio? No, certoche no. Perché sei cosíansioso di vedere Marciano,bambino mio? Un corpo

morto non è importante, èl’anima che è importante.L’animadiMarcianoèilveroMarciano; e l’anima è inviaggioperlaprossimavita.

– Io voglio vedereMarciano! Voglio succhiarglivia il fumo che ha dentro!Non voglio che loseppelliscano!

– David, se potessimoriportare in vita Marcianosucchiandogli via il fumodai

polmoni i marinai loavrebbero fatto da un pezzo,te loassicuro. Imarinai sonoproprio come noi, pieni dibuonavolontà.Manonsipuòridare la vita alla genteaspirando il fumo daipolmoni, non dopo che sonomorti. È una delle leggi dinatura. Una volta che seimorto, sei morto. Il corponontornainvita,solol’animacontinua a vivere: l’anima di

Marciano, la mia anima, latuaanima.

– Non è vero! Io non houn’anima! Voglio salvareMarciano!

– Non lo permetterò.Andremo tutti al funerale diMarciano, e al funerale avraila possibilità, come tutti glialtri, di salutarlo. Cosí è e ladiscussione si chiude qui. Enon ho intenzione di

continuare a parlare dellamortediMarciano.

– Non mi puoi dire tuquellochedevo fare!Nonseimio padre! Lo chiederò aInés!

– Ti posso assicurare cheInés non si trascinerà con tefino al porto nella notte. Siiragionevole. So che vorrestisalvare la gente, e questo èammirevole, ma a volte lagente non vuole essere

salvata. Lascia andareMarciano.Marcianoèandatovia. Ricordiamone le cosebelle, e lasciamo stare il suoguscio. Adesso vieni: Inés tiaspetta per raccontarti lastoriadellabuonanotte.

Quando si presenta allavoro il mattino successivo,hanno quasi finito di tirarefuori l’acqua dalla stiva. Nel

girodiun’oraunasquadradimarinai riesce a scendere; epoco dopo,mentre i portualiguardano in silenzio dalmolo, il corpo del compagnomorto viene issato sul ponte,legatosuunabarella.

Álvaro si rivolge loro. –Traungiornooduepotremosalutarecomesideveilnostrocompagno, ragazzi, – dice. –Ma ora dobbiamo lavorarecome sempre. C’è una

confusione mostruosa nellastiva ed è nostro compitoripulirla.

Per il resto di quellagiornata gli scaricatoririmangononella stiva, con lecaviglie nell’acqua,avviluppati dall’odorepungente della cenerebagnata. Ogni singolo saccodi grano è scoppiato; è lorocompitospalarequellamelmaappiccicosa nei secchi che si

passano l’un l’altro per farliarrivare sul ponte e poirovesciarli in mare. È unlavoro triste, condotto insilenzioinunluogodimorte.Quando passadall’appartamento di Inés,quella sera, è esausto e dipessimoumore.

– Non avresti micaqualcosadabere?–lechiede.

– Mi dispiace. Ho finitotutto.Possofartiuntè.

Sdraiato sul letto ilbambino è assorto nel suolibro. Marciano èdimenticato.

–Ciao,–losaluta.–Comesta il nostro Cavaliere oggi?Checosacombina?

Il bambino ignora ladomanda. Invece chiede: –Checosadicequestaparola?

–DiceAventuras,conlaAgrande. Le avventure di DonChisciotte.

–Equestaparola?– Fantástico, con la F. E

quella parola… ti ricordi lagrande C? È Chisciotte. PuoisemprericonoscereChisciottedallagrandeC.Miavevidettocheconoscevilelettere.

– Non voglio leggere lelettere, voglio leggere lastoria.

– Questo non è possibile.Unastoriaè fattadiparole,eleparolesono fattedi lettere.

Senza lettere non ci sarebbestoria,nienteDonChisciotte.Deviconoscerelelettere.

– Fammi vedere dove èFantástico.

Mettel’indicedelbambinosulla parola. – Qui –. Leunghie sono pulite e tagliateconcura;mentrelasuamano,che un tempo era altrettantomorbida e pulita, è sporca escrepolata,eilsudiciumevièpenetratoinprofondità.

Il bambino chiude gliocchietrattieneilrespiro,poili spalanca di nuovo. –Fantástico.

–Eccellente.Haiimparatoa riconoscere la parolaFantástico.Cisonoduemodiperimpararealeggere,David.Unoèimparareleparoleunaper una, come stai facendo.L’altro, che è piú veloce, èimparare le lettere cheformanoleparole.Cenesono

soloventisette.Unavoltacheleavrai imparatericonosceraile parole piú strane da solo,senza dover chiedere sempreame.

Ilbambino scuote la testa.– Voglio leggere nel primomodo.Dov’èilgigante?

– Il gigante che in veritàera un mulino a vento? –Volta le pagine. – Ecco ilgigante –. Mette l’indice delbambinosullaparolagigante.

Il bambino chiude gliocchi. – Leggo con le dita, –annuncia.

–Nonimportacomeleggi,secongliocchiocon ledita,come un cieco, basta cheleggi. Fammi vedereChisciotte,conlaC.

Il bambino colpisce lapaginacoldito.–Qui.

– No –. Sposta il dito delpiccolo nel punto giusto. –

Qui è Chisciotte, con lagrandeC.

Ilbambinotiravialamanocon aria irritata. – Non sichiama davvero cosí, non losai?

– Forse non era quello ilsuo vero nome, il nome concui lo conoscevano i suoivicini, ma è il nome che hasceltoper sé equello concuiloconosciamonoi.

–Nonè il suonomevero,

–insisteilbambino.–Checosaèilnomevero?Improvvisamente il

bambino si chiude in sé. –Puoi andare, – mormora. –Leggodasolo.

–Moltobene,menevado.Quando torni in te e decidichevuoileggerecomesideve,chiamami. Chiamami edimmi il vero nome delCavaliere.

–Nochenontelodico.È

segreto.Inés è presa dalle sue

faccende in cucina. Non alzanemmeno la testaquando luivavia.

Passaungiornoprimacheritorni. Trova il bambinoassortosulsuolibrocomel’halasciato.Cercadiparlarglimail bambino ha un moto diimpazienza–Sss!–evolta lapagina con un gestoimprovviso come una

frustata, come se dietro cifosse un serpente chepotrebbemorderlo.

L’immagine mostra DonChisciotte che viene calatodentro una imbracatura dicordainunabucanellaterra.

– Vuoi che ti aiuti? Vuoiche ti dica quello chesuccede?–chiede.

Ilbambinoannuisce.Prende il libro. –

L’episodiosichiamaLagrotta

di Montesinos. Avendo tantosentito parlare della grotta diMontesinos, Don Chisciottedecise di vederne coi suoiocchilemeraviglie.CosíistruíilsuoamicoSancioeilsaggioerudito (l’uomo col cappellodeve essere il saggio erudito)a calarlo nella buia grotta epoiaspettarepazientementeilsuo segnale per tirarlo su dinuovo.

–Perun’ora interaSancio

e l’erudito rimasero adaspettare all’imboccaturadellagrotta.

–Chièunerudito?– L’erudito è uno che ha

letto tanti libri eha imparatotante cose. Per un’ora interaSancioel’eruditorimaseroadaspettare fino a che alla finenon sentirono strattonare lafune e cominciarono a tiraresu, e cosí Don Chisciotteriemerseallaluce.

– Allora Don Chisciottenoneramorto?

–No,noneramorto.Ilbambinotiraunsospiro

profondo.–Bene cosí,non èvero?–dice.

– Sí, certo che è bene.Maperché pensavi che fossemorto?Lui èDonChisciotte.Èl’eroe.

– Lui è l’eroe e anche ilmago. Lo leghi con le corde,lo chiudi dentro una cassa e

quando la aprinonc’èpiú, èscappato.

– Ma davvero pensi cheSancio e l’erudito avesserolegatoDonChisciotte?No,seavessi letto il libro invece dilimitartiaguardarelefigureeindovinare la storia, sapresticheusanolacordapertirarlosu,nonper legarlo.Vuoi chevadaavanti?

Ilbambinoannuisce.–DonChisciotteringraziò

i suoi amici. Poi offrí loro ilracconto di tutto quanto gliera accaduto nella grotta diMontesinos. Nei tre giorni enelle tre notti passate sottoterra, disse, aveva vistoimmaginimeravigliosetracuicascate dove le gocce noneranod’acquamadidiamantiscintillanti e cortei diprincipesse in abiti di raso e,meravigliadellemeraviglie,lasua signora Dulcinea, su un

biancodestrieroconleredinitempestate di pietre preziose,si era soffermata a parlarglicortesemente.

–«Mavossignoria,–disseSancio, – di certo sbagliate,perché siete rimasto sottoterranontregiornietrenottimasoloun’oraalmassimo».

– «No, Sancio, – risposeDonChisciottegravemente,–sonostatovia tregiornie trenotti;setièsembrataappena

un’ora è perché sei cadutoaddormentato nell’attesa enon ti sei reso conto delpassaredeltempo».

– Sancio stava perribattere, ma poi ci ripensò,ricordando come potevaessere ostinato DonChisciotte. «Sí vossignoria, –disse strizzando l’occhioall’erudito, – deve avereragione.Pertreinterigiornietre notti siamo rimasti

addormentati fino al suoritorno.Maoracidicadipiúdella sua signora Dulcinea edi quello che è accaduto travoi».

– Gravemente, DonChisciotte guardò Sancio.«Sancio, – disse, – amico dipoca fede, quando capirai,quandocapirai?»Eammutolí.

– Sancio si grattò la testa.«Vossignoria, – disse, – nonnegheròcheèdifficilecredere

alle tre notti e ai tre giornipassati nella grotta diMontesinosmentre a noi erasembrataappenaun’oraecosípure non negherò che èdifficilecrederecheinquestomomento schiere diprincipesse cavalchino sotto inostri piedi e signoregaloppinosudestrieribianchicome la neve, e cose delgenere. Ma se la sua signoraDulcinea avesse concesso a

vossignoria un pegno dellasua promessa, come unozaffiro o un rubino delle sueredini da mostrare a degliincreduli come noi, sarebbeun’altrastoria».

– «Un rubino o unozaffiro, – rifletté DonChisciotte.–Dovreimostrareunrubinoounozaffirocomeprovachenonmento».

– «Per cosí dire, – disseSancio.–Percosídire».

– «E se ti mostrassi quelrubino o zaffiro, Sancio,allora,chesuccederebbe?»

– «Allora mi butterei inginocchio e vi bacerei lamano, mio signore, echiederei perdono per averdubitato. E sarei il vostrofedele seguace fino alla finedeltempo».

Chiudeillibro.–Epoi?–diceilbambino.– E niente. Il capitolo

finisce lí. Niente, fino adomani.

Il bambino prende il librodallesuemani, loriapresullafiguradiDonChisciottenellasua imbragatura di corda, efissa intensamente le parolestampate tutto intorno. –Fammivedere,–diceconunavocina.

–Checosavuoivedere?–Fammivederelafinedel

capitolo.

Gli indica la fine delcapitolo.–Vedi,quicominciail capitolo nuovo, che sichiama Don Pedro y lasmarionetas, Don Pedro e lemarionette. Ci siamo lasciatialle spalle La grotta diMontesinos.

–MaDonChisciotteglieloha mostrato il rubino aSancio?

– Non lo so. Il señorBenengeli non lo dice. Forse

sí,forseno.–Ma lui aveva veramente

un rubino? Veramente èrimastosottoterratregiornietrenotti?

–Nonloso.Forseiltempoper Don Chisciotte non ècome è per noi. Forse quelloche per noi è un batterd’occhi per Don Chisciotte èun’eternità. Ma se seiconvinto che Don Chisciottesia risalito dalla grotta con i

rubini nelle tasche, forsedovresti scrivere tu un libroin cui lo racconti. Poipotremo riportare quello delseñor Benengeli in bibliotecae leggere invece il tuo.Purtroppoperò,primachetupossa scrivere il tuo di libro,dovraiimpararealeggere.

–Iosoleggere.– No che non sai leggere.

Sai guardare la pagina,muovere le labbra e creare

storie nella tua testa, maquello non vuol dire leggere.Se vuoi leggere veramentedevi sottometterti a quelloche è scritto sulla pagina.Devi rinunciare alle tuefantasie. Devi smetterla difare lo scemotto. Devismetterladifareilbebé.

Mai prima di quelmomento si era rivolto albambino in maniera cosídiretta,cosíaspramente.

– Non voglio leggere amodotuo,–dice ilbambino.–Voglioleggereamodomio.C’era un uomo doppio ebestiale che non voleva faremale, ma cavalcava come uncocchio e camminava comeunmaiale.

– Sono solo rime senzasenso.Ilcocchiononcavalca.Don Chisciotte non è senzasenso. Non ti puoi inventare

due rime e fare finta che lestaileggendo.

– Sí che posso! Non èsenza senso e io so leggere!Non è il tuo libro, è il miolibro! – e aggrottando lafronte torna a sbattere lepaginefuriosamente.

– Signornò, è il libro delseñor Benengeli, è lui che loha donato al mondo, perciòappartienea tuttinoi.A tuttinoi per certi versi e alla

biblioteca per altri versi, masoloa teno,nonc’èverso.Esmettila di maltrattare lepagine. Perché lo tratti cosímale?

–Perchésí.Perchésenonmisbrigosiapriràunabuca.

–Dove?–Tralepagine.–Questa è una scemenza.

Non esistono buche tra lepagine.

– C’è una buca nella

pagina! Non la vedi, perchénonvediniente.

– Adesso basta! – diceInés.

Per un momento pensache si sia rivolta al bambino.Per un momento immaginachesisiafinalmentesvegliatae abbia deciso dirimproverarlo per la suatestardaggine. Ma no, è conluicheèfuribonda.

– Pensavo che volessi che

imparassealeggere,–dicelui.– Non a costo di tanti

bisticci. Trova un altro libro.Trova un libro piú semplice.Questo Don Chisciotte ètroppo difficile per unbambino. Riportalo inbiblioteca.

–No!–Ilbambinostringea sé il libro con forza. –Questo non lo prendi! È ilmiolibro!

Capitoloventesimo

Da quando è subentrataInés,l’appartamentohapersoquella sua aria austera. Si è

riempito e non solo delletante cose che lei possiede.L’angolo peggiore è quellovicino al lettinodove c’èunoscatolone che rigurgita tuttociòcheilbambinoharaccoltoe portato a casa: sassi, pigne,fiori appassiti, ossi,conchiglie, pezzetti diceramicaeferrovecchio.

– Non sarebbe ora dibuttare via quel pasticcio? –suggerisce.

– Non è un pasticcio, –dice il bambino. – Sono cosecheconservo.

Dà una spinta col piedeallo scatolone. – Ciarpame.Nonpuoiconservaretuttociòincuitiimbatti.

–Èilmiomuseo,–diceilbambino.

– Una montagna di robavecchia non è un museo. Lecosedevonoavereunqualche

valore per trovare posto almuseo.

–Cos’èilvalore?– Se le cose hanno un

valore significa che ingenerale vengono apprezzate,riconosciute come cose divalore. Una vecchia tazzarottanonha valore.Nessunolaapprezza.

– Io la apprezzo. È ilmiomuseo,noniltuo.

Lui si rivolge a Inés. –Tu

approvituttoquesto?– Lascialo perdere. Dice

che gli dispiace per le cosevecchie.

–Nonci sipuòdispiacereper una vecchia tazza senzamanico.

Il bambino lo fissa senzacapire.

– Una tazza non hasentimenti.Selabuttivianonleimporta.Nonlefamale.Sevuoi dispiacerti per una

vecchia tazza ti puoidispiacere anche per… – siguarda intorno esasperato, –per il cielo, l’aria, la terrasotto i tuoi piedi. Ti puoidispiacereperqualsiasicosa.

Il bambino continua asgranaregliocchi.

– Le cose non sono fatteperdurareineterno,–dice.–Ogni cosa ha un terminenaturale.Quellavecchiatazzaha avuto una buona vita;

adessoèorachesiritirielasciilpostoaunatazzanuova.

L’espressione ostinata cheormai conosce cosí bene sidipinge sul volto delbambino. – No! – dice. – Iomelatengo!Nontelalasceròprendere!Èmia!

Poiché Inés gliela dà vintasu tutti i fronti, il bambinodiventa sempre piú caparbio.Non passa giorno senza che

litighino, senza che si sentaalzarelavoceebattereipiedi.

Luiinsisteperchélomandia scuola. – L’appartamentostadiventandotroppopiccolopercontenerlo,–dice.–Deveconfrontarsi con il mondovero.Habisognodiorizzontipiúampi–.Maleicontinuaaresistere.

–Dadovevengonoisoldi?–chiedeilbambino.

–Dipendedaltipodisoldi

a cui pensi. Le monetevengono da un posto che sichiamaZecca.

–ÈallaZeccacheprendiituoisoldi?

–No,imieisoldiliprendodal contabile al porto. L’haivisto.

– Perché non vai allaZecca?

–PerchélaZeccanoncidài soldi cosí. Dobbiamo

lavorareperaverli.Dobbiamoguadagnarceli.

–Perché?– Perché cosí è fatto il

mondo. Se non dovessimolavorareperavereisoldi,selaZecca li distribuisseliberamente a tutti, nonavrebberopiúvalore.

Porta il bambino a unapartita di calcio, e paga altornello.

– Perché dobbiamo

pagare? – chiede il bambino.– Prima non dovevamopagare.

– Questa è la partita dicampionato, l’ultima dellastagione. Alla fine i vincitorimangianolatortaebevonoilvino. Qualcuno deveraccogliere i soldi percomprarelatortaeilvino.Seil pasticcere non incassa isoldi per la torta non puòcomprare la farina e lo

zucchero e il burro per latortasuccessiva.Èlaregola:sevuoimangiarelatortaladevipagare.Stessacosaperilvino.

–Perché?– Perché? La risposta a

tutte le tue domande col«Perché?» passate, presenti efuture, è: «Perché cosí è fattoil mondo». Il mondo non èstatofattoperadattarsianoi,mio giovane amico. Siamonoichedobbiamoadattarci.

Il bambino apre la boccaper rispondere. Subito lui glipreme le dita sulle labbra. –No, – dice. – Basta con ledomande. Stai zitto e guardailgioco.

Dopo la partita tornanoall’appartamento. Inés èindaffarata ai fornelli;nell’aria si sente odore dicarneabbrustolita.

– Ora di cena! – grida. –Vattialavarelemani!

– Ora vado, – dice lui. –Arrivederci, ci vediamodomani.

–Deviandare?–diceInés.–Nontipiacerebbefermartievederlocenare?

La tavola è apparecchiataper uno. Per il piccoloprincipe.DallapadellaInésfascivolare due salsiccette sulsuopiattoeadarcointornoaloro sistema una patata lessatagliata a metà, fettine di

carota e qualche pezzetto dicavolfiore su cui lasciasgocciolare il sugo dallapadella. Bolívar, che dormivavicino alla finestra aperta, sitirasuesiavvicina.

–Mmm, salsicce!–dice ilbambino.–Lesalsiccesonolacosamigliore.

– Non vedevo salsicce daunpezzo,–osservaluirivoltoa Inés. – Dove le haicomprate?

– Le ha avute Diego. ÈamicodiqualcunochelavoraincucinaallaResidencia.

Il bambino taglia lesalsicce a pezzetti, taglia lepatate, mastica con vigore.Sembra non fare caso ai dueadulti inpiediaccantoaluioalcanechetienelatestasullesue ginocchia e osserva ognisuomovimento.

–Nontiscordarelecarote,–diceInés.–Tifannovedere

nelbuio.–Comeungatto,–dice il

bambino.– Come un gatto, – dice

Inés.Il bambino mangia le

carote. – A cosa fa bene ilcavolfiore?–chiede.

– Il cavolfiore ti fa beneallasalute.

– Il cavolfiore ti fa benealla salute e la carne ti rendepiúforte,giusto?

–Giusto, la carne ti rendeforte.

–Devoandare,–diceluiaInés. – La carne rende fortima forsedovrestipensarci sudue volte prima di dargli lesalsicce.

– Perché? – chiede ilbambino. – Perché Inés cidevepensareduevolte?

– Per via di quello chemettono dentro le salsicce.Quello che mettono nelle

salsicce non sempre va beneperte.

– Che cosa mettono nellesalsicce?

–Be’,tuchepensi?–Carne.–Sí,machetipodicarne?–Carnedicanguro.–Orafailoscemotto.–Carnedielefante.– Cimettono la carne del

maiale, non sempre ma avolte, e i maiali non sono

animalipuliti.Nonmangianol’erba come le pecore e lemucche. Mangianoqualunque cosa gli capiti –.Dà un’occhiata a Inés. Lei loguarda a sua volta a dentistretti. – Per esempiomangianolacacca.

–Dalwater?–No,nondalwater.Mase

laincontranoinuncamposela mangiano, senza pensarciduevolte.Sonoonnivoricioè

mangiano qualsiasi cosa, simangianoperfinotraloro.

– Questo non è vero, –diceInés.

– C’è la cacca nellesalsicce?–chiedeilbambino.Hamessogiúlaforchetta.

– Dice scemenze, non lostare a sentire.Non c’è caccanelletuesalsicce.

–Nonstodicendochec’èdavvero la cacca nelle tuesalsicce, – spiega. – Ma c’è

carne di merda dentro. Imaiali sono animali sporchi.La carnedimaiale è carnedimerda. Ma questa è solo lamia opinione. Non tuttisaranno d’accordo. Devidecideredasolo.

–Nonmivapiú,–dice ilbambino spingendo via ilpiatto.–LapuòavereBolívar.

–Finisciquelpiattoetidòlacioccolata,–diceInés.

–No.

–Adessosaraifierodite,–diceInés,volgendosiversodilui.

– È una questione diigiene. Igiene etica. Semangiil maiale diventi come unmaiale.Inparte,nondeltuttoma inparte. Fai unpo’ partedelmaiale.

–Tuseipazzo,–diceInés.Poirivoltaalbambino.–Nonloascoltare,èimpazzito.

– Non sono pazzo. Si

chiama consustanziazione.Perché sennò credi cheesisterebbero i cannibali? Ilcannibale è una persona cheprende sul serio laconsustanziazione. Semangiamo una persona laincarniamo.Questocredonoicannibali.

– Che cos’è un cannibale?–chiedeilbambino.

–Icannibalisonoselvaggi,– dice Inés. – Non ti devi

preoccupare.Quinoncisonocannibali, i cannibali sonosolounaleggenda.

–Cos’èunaleggenda?– Una storia dei tempi

antichi che non è piú veraoggi.

– Raccontami unaleggenda. Voglio sentire unaleggenda. Raccontami unaleggenda dei tre fratelli.Oppuredeifratelliincielo.

–Nonsonulladifratelliin

cielo.Orafiniscilatuacena.– Se non gli vuoi

raccontare dei fratelliraccontagli di CappuccettoRosso, – dice lui. –Raccontagli di come il lupodivora la nonna dellabambinetta e si trasforma inuna nonna, nonna lupo. Perconsustanziazione.

Ilbambinosialza,svuotailcibo dal suo piatto nellaciotola del cane e mette il

piatto nel lavandino. Il canedivoralesalsicce.

–Vogliofare ilbagnino,–annunciailbambino.–Diegomiinsegneràinpiscina.

– Bello! – dice lui. – Chealtro pensi di fare oltre albagnino, all’artista della fugaealmago?

–Niente.Questoètutto.– Tirare la gente fuori da

una piscina e uscire da unacassa e fare trucchi sonohobby, non possono essereuna carriera, il lavoro di unavita. Come pensi diguadagnartidavivere?

Il bambino lanciaun’occhiata alla madre comein cerca di guida. Poiincoraggiatodice:–Nondevoguadagnarmidavivere.

– Tutti dobbiamoguadagnarci da vivere. Fa

partedellacondizioneumana.–Perché?– Perché? Perché? Perché?

Nonècosíchesiconduceunaconversazione come si deve.Come pensi di procurarti damangiare sepassi tutto il tuotempo a salvare gente e aliberarti dalle catene,rifiutandotidilavorare?Doveprenderai il cibo che ti dàforza?

–Dalnegozio.

–Vaialnegozioetidànnoil cibo. Cosí? In cambio diniente.

–Sí.–Ecosasuccederàquando

lagentedelnegozioavràdatovia tutta la sua roba cosí,perniente? Che succederàquandoilnegoziosaràvuoto?

Serenamente, con unostrano sorrisetto sulle labbra,il bambino risponde: –Perché?

–Perchécosa?– Perché il negozio è

vuoto?–PerchésehaiXpagnotte

di pane e le dài tutte vie pernienteallafinenonhaipiúnéil pane né i soldi con cuicomprare altre pagnotte.PerchéXmenoX è uguale azero. È uguale a niente. Èugualealvuoto.Ugualeaunostomacovuoto.

–Cos’èX?

– X è un numeroqualunque, dieci, cento omille.Sehaiqualcosae ladàivianoncel’haipiú.

Il bambino chiude gliocchi con forza e fa unasmorfia. Poi comincia aridacchiare. Afferra la gonnadi sua madre e strofina lafaccia contro il suo fianco econtinua a ridere e a riderefinoachenonètuttorossoinfaccia.

– Che c’è, tesoro mio? –diceInés.Mailbambinononsmettediridere.

–Meglio sevaivia,–diceInés.–Losconvolgi.

–Loeduco.Selomandassia scuola non ci sarebbebisogno di queste lezionidomestiche.

Il bambino ha fattoamicizia con un vecchio del

Blocco E che tiene unapiccionaia sul tetto. Secondola buca delle lettere nell’atriosi chiama Palamaki, ma ilbambino lo chiama señorPaloma, signor Colomba. Ilseñor Paloma permette albambino di dare il mangimeagli uccelli con la mano. Gliha anche dato un piccionetutto suo,unuccello candidoche il bambino ha chiamatoBlanco.

Blanco è un uccelloplacido, torpido perfino, chesi fa portare a passeggio sulpolso teso del bambino oqualchevoltasullasuaspalla.Non sembra intenzionato avolare via, anzi nemmeno avolare.

–PensochelealidiBlancoforsesonostatetarpate,–diceal bambino. – Questospiegherebbe perché nonvola.

–No,–diceilbambino.–Guarda! – Lancia l’uccello inaria. Quello sbatte le alilanguido, fa uno o due giri,poi si risistema sulla suaspallaesiliscialeali.

–IlseñorPalomadicecheBlancopuòportaremessaggi,– annuncia il bambino. –Dice che se mi perdo possolegare un messaggio sullazampa di Blanco e Blanco

volerà a casa e allora il señorPalomaverràacercarmi.

– Il señorPalomaèmoltogentile. Dovrai assicurarti diavere sempre carta e pennacon te e una cordicella perattaccare la carta alla zampadi Blanco. Cosa scriverai?Mostrami cosa scriveraiquando vorrai esseresoccorso.

Stanno attraversando ilcampo da gioco vuoto. Nel

recinto con la sabbia ilbambinosiaccovaccia,spianala superficie e comincia ascrivereconundito.Luileggesopra la sua spalla:OpoiE epoiunaletterachenonriesceacapirepoidinuovoOeXeancoraX.

Il bambino si tira su. –Leggi,–dice.

– Sono in difficoltà. Èspagnolo?

Ilbambinoannuisce.

– No, mi arrendo. Cosadice?

– Dice «Segui Blanco,Blanco è il mio miglioreamico».

– Davvero. Un tempo eraFidel il tuomigliore amico, eprima ancora El Rey. ComemaiFidelnonèpiútuoamicoeilsuopostoèstatopresodaunuccello?

– Fidel è troppo grandeperme.Fidelèviolento.

– Non ho mai visto Fidelcomportarsi da violento. Tel’hadettoInéscheèviolento?

Ilbambinoannuisce.– Fidel è un bambino

moltogentile.Mipiacemoltoe piaceva molto anche a te.Lascia che ti dica una cosa.Fidelcièrimastomaleperchénon giochi piú con lui.Secondome lo stai trattandomale. A dire il vero lo staitrattandoproprioduramente.

Secondo me dovresti passaremeno tempo col señorPaloma sul tetto epiú tempoconFidel.

Il bambino accarezzal’uccello che ha sul braccio.Accetta il rimprovero senzaobiezioni. O forse lascia soloche le parole gli scivolinoaddosso.

– Inoltre penso chedovresti informare Inés cheper te è ora di andare a

scuola. Devi insistere sullacosa. Lo so che sei moltointelligente e che haiimparatoaleggereeascrivereda solo, ma nella vita verabisogna leggere e scriverecome gli altri. Non servespedire Blanco con unmessaggio attaccato allazampa se nessuno puòleggerlo, nemmeno il señorPaloma.

–Iopossoleggerlo.

– Tu lo puoi leggereperchései tuche l’hai scritto.Ma lo scopo dei messaggi èche gli altri possano leggerli.Se ti perdi e mandi unmessaggio al señor Palomaperché ti venga a salvare, luideve poterlo leggere. Oppureti toccherà legarti alla zampadiBlancoedirglidiportartiacasa.

Il ragazzino gli lanciaun’occhiataperplessa.–Ma...

–dice.Poisirendecontocheè uno scherzo e tutti e duescoppianoaridere.

SononelcampogiochidelBlocco Est. Lui ha spinto ilbambino sull’altalena cosí inaltodafarlourlaredipauraepiacere. Ora siedono vicinisulla panchina, riprendonofiatoeassorbonol’ultimalucedelgiorno.

– Inés potrebbe far usciredeigemellidallasuapancia?–chiedeilbambino.

– Certo che può. Non ècomunemanon è nemmenoimpossibile.

–SeInésavessedeigemelliallora iopotrei essere il terzofratello. I gemelli devonostaresempreinsieme?

– Non devono ma ingenere lo preferiscono. Igemelli di solito si piacciono,

comelestellegemelle.Secosínon fosse potrebbero errareindirezionidiverseeperdersinel cielo. Ma il loro amorereciproco le tiene insieme.Continuerà a tenerle insiemefinoallafinedeltempo.

–Manonsonoinsieme,lestellegemelle,nonveramenteinsieme.

– No, è vero non sonolegate una all’altra nel cielo,c’è un piccolo vuoto tra di

loro. Cosí è la natura. Pensaagli amanti. Se gli amantifossero stretti uno all’altrotutto il temponon avrebberobisogno di amarsi, sarebberounacosasola.Nonavrebberopiú niente da desiderare. Èper questo che la natura hadeivuoti.Setuttofossestrettoinsieme, tutto nell’universo,alloranonci saresti tu,né io,né ci sarebbe Inés. Io e teadessononciparleremmo,ci

sarebbe solo silenzio, unità esilenzio. Perciò, tuttosommato,èbenechecisianovuoti tra le cose, che tu e iosiamodueinvecediuno.

– Ma possiamo cadere.Possiamo cadere nel vuoto.Dentrolacrepa.

–Unvuotononèlastessacosa di una crepa, bambinomio. I vuoti sono parte dellanatura, parte di come sonofattelecose.Nonpuoicadere

in un vuoto e scomparire.Non succede cosí.Una crepaè un’altra cosa. Una crepa èun’incrinatura nell’ordinedellanatura.È come tagliarsicon un coltello o strappareuna pagina a metà. Tucontinuiadirechedobbiamostare attenti alle crepe, madovesonoquestecrepe?Dovevedi una crepa tra noi due?Mostramelo.

Ilbambinotace.

– I gemelli nel cielo sonocome i gemelli sulla terra.Sonoanchecomeinumeri–.Tutto troppo difficile per unbambino? Forse. Ma ilbambino assorbirà le sueparole, deve confidare inquesto: le assorbirà e lerimuginerà fino a quandonon comincerà a vedervi unsenso. – Come Uno e Due.UnoeDuenonsonolastessacosa. E tra loro c’è una

differenzacheèunvuotomanon una crepa. È per questochepossiamocontare,andaredaUnoaDuesenzapauradicadere.

– Un giorno possiamoandarli a vedere i gemelli nelcielo? Possiamo andarci suunanave?

– Immagino di sí, setroviamolanavegiusta.Macivorrebbe tanto tempo perarrivarci. I gemelli sono

molto lontani, ancoranessuno li è andati a trovare,per quanto ne so. Questa, –batte il piede a terra, – èl’unica stella che noi uominiabbiamomaivisitato.

Il bambino lo guardaperplesso.–Questanonèunastella,–dice.

– Lo è. È solo che nonsembra una stella a distanzaravvicinata.

–Nonbrilla.

– Niente brilla se gli staivicino.Da lontano però ognicosabrilla.Tubrilli.Iobrillo.Certamentebrillanolestelle.

Il bambino sembracompiaciuto. –Tutte le stellesononumeri?–chiede.

– No. Ho detto che igemelli erano come i numeri,maerasolounmododidire.No,lestellenonsononumeri.Stelle e numeri sono cosemoltodiverse.

– Io penso che le stellesono numeri. Penso chequella è il numero 11, – epuntaunditoversoilcielo,–e quella è il numero 50 equellaèilnumero33333.

– Ah, vuoi dire sepossiamo dare un numero aogni stella? Quello potrebbeessere sicuramente un modoperidentificarle,maunmodomolto noioso, molto pocofantasioso. Penso sia meglio

che abbianonomi veri, comeOrsaeVenereeGemelli.

– No, scemotto, ho dettocheognistellaèunnumero.

Lui scuote la testa.–Ognistella non è un numero. Lestelle sono come inumeridaalcuni punti di vista, ma nelcomplesso sono diverse dainumeri. Per esempio le stellesono sparse caoticamenteperilcielomentre inumeri sonocome una flotta navale che

procede ordinatamente,ognunoalsuoposto.

– Possono morire. Inumeripossonomorire.Cosaglisuccedequandomuoiono?

– I numeri non possonomorire.Lestellenonpossonomorire. Le stelle sonoimmortali.

–Inumeripossonomorire.Possonocascaregiúdalcielo.

–Nonèvero.Lestellenonpossonocascaregiúdalcielo.

Quelle che sembra checadano, le stelle cadenti, nonsono vere stelle. Quanto ainumeri, se un numerodovesse uscire dai suoiranghi, allora ci sarebbe unacrepa, un’incrinatura enon ècosíchefunzionanoinumeri.Non c’è mai una crepa fra inumeri. Nessun numero vamaidisperso.

– Ecco! Non capisci! Nonti ricordi niente!Un numero

può cadere dal cielo comeDon Chisciotte quando ècadutogiúperlacrepa.

– Don Chisciotte non ècaduto in una crepa. È scesoinunantro,usandounascalafatta di corda. Comunque,Don Chisciotte non conta,nonèreale.

–Sí,invece!Èuneroe!– Scusa, non volevo dire

quellochehodetto.CertocheDon Chisciotte è un eroe e

certo che è reale. Quello chevolevodireèchequellocheèsuccessoaluinonsuccedepiúalla gente. La gente vive lavita, dal principio alla fine,senzacaderenellecrepe.

– Sí che cadono! Cadononelle crepe e tu non li vediperché non possono tornaresu.Lohaidettotu.

– Ora confondi le crepeconlebuche.Pensiallagenteche muore e viene sotterrata

nellefosse,nellebuchedentrolaterra.Lafossavienescavatadaibecchiniconlapala.Nonè una cosa innaturale comeunacrepa.

Si sente un frusciare divestieInésemergedalbuio.–Misonosgolataachiamare,–dice arrabbiata. – Siete tuttisordi?

Capitoloventunesimo

Lavoltasuccessivachevaabussare all’appartamento, ilbambinoglispalancalaporta,

tutto rosso in faccia edeccitato.–Simón,indovina!–grida. – Abbiamo visto ilseñor Daga! Ha una pennamagica!Mel’hafattavedere!

Aveva quasi dimenticatoDaga, l’uomo che avevaumiliatoÁlvaroe il contabileal porto. – Una pennamagica! – dice. – Sembrainteressante,possoentrare?

Bolívar gli si avvicina conaria solenne e gli annusa

l’inguine.Inéssiedecurvasulcucito:eperunistante luihala visione sconvolgente dicome sarà da vecchia. Senzasalutarlocominciaaparlare.–Siamo andati in città,all’Asistencia, per avere unsussidioperilbambinoec’eralíquell’uomo,queltuoamico.

– Non è mio amico. Nongli ho mai rivolto neppureunaparola.

–Haunapennamagica,–

dice ilbambino.–Dentroc’èuna signora e pensi che siaun’immagine,manon lo è, èuna signora vera, piccolapiccola e quando metti lapennaatestaingiú,lecadonolevestierestanuda.

– Ah. Che altro ti hamostrato il señor Daga oltreallaminuscolasignora?

–Hadettochenonèstatacolpa sua se Álvaro si ètagliatolamano.Hadettoche

ha cominciato Álvaro. Hadetto che è stata colpa diÁlvaro.

– Questo è quello chediconosempretutti.Èsemprestato un altro che hacominciato.Èsemprecolpadiqualcunaltro.IlseñorDagatiha per caso detto cosa ne èstato della bicicletta che hapreso?

–No.–Be’,laprossimavoltache

lovedi,chiediglielo.Chiediglidichièlacolpaseilcontabilenonhapiúlabiciclettaedevefareilsuogiroapiedi.

Silenzio.LosorprendecheInés abbia cosí poco da diresu uomini che prendono daparte un bambino e glimostrano penne con dentrodelledonnenude.

–Dichièlacolpa?–diceilbambino.

–Chevuoidire?

–Haidettocheerasemprecolpadiunaltro.È colpadelseñorDaga?

–Che labiciclettanon c’èpiú? Sí, è colpa sua. Maquando dico che è semprecolpa di qualcun altro parlopiú in generale. Quandoqualcosa non va ciprecipitiamoadirechenonècolpa nostra. È dal principiodel mondo che ripetiamoquestabattuta. Sembra essere

radicato dentro di noi. Partedella nostra natura. Nonsiamomaidispostiadirecheècolpanostra.

–È colpamia?– chiede ilbambino.

– Cosa è colpa tua? No,non è colpa tua. Tu sei soloun bambino, come potrebbeessere colpa tua? Ma credoche dovresti tenerti alla largadal señor Daga. Non è unbell’esempio da seguire per

un ragazzo –. Parlalentamente e seriamente: laraccomandazione è rivolta aInéstantoquantoalbambino.

Qualche giorno dopo,uscendo dalla stiva di unanave nel porto, è sorpreso divedere sulla banchina Inés inpersona immersa nellaconversazione con Álvaro.Uncolpoalcuore.Nonèmaivenuta al porto prima: nonpossonoesserebuonenotizie.

Il bambino se n’è andato,diceInés,loharapitoilseñorDaga. Lei ha chiamato lapolizia che non l’aiuta.Nessuno l’aiuta. Álvaro devevenire; lui, Simón, devevenire. Devono stanare Daga– non può essere difficile,lavoraconloro–eridarlesuofiglio.

Vedere le donne sulmoloè piuttosto raro. Gli uominiguardano curiosi quella

donna fuori di sé, capelliarruffatieabitidacittà.

Un po’ per volta lui eÁlvaroriesconoatirarlefuorila storia. La fila all’Asistencianon finiva mai, il bambinoera irrequietoe il señorDagaeracapitatolípercasoesieraofferto di portare il bambinoaprendereilgelato,equandosi era guardata intorno pocodopo erano scomparsi, come

cancellati dalla faccia dellaterra.

– Ma come hai potutolasciarloandareconunuomosimile?–protestalui.

Lei liquida la domandascuotendo la testa con faredeciso. – Nella vita di unbambino che cresce ci vuoleun uomo. Non può staresempre con sua madre. Hopensatochefosseunapersonacarina, ho pensato che fosse

sincero. David è affascinatodal suo orecchino, vuole unorecchinoanchelui.

– Gli hai detto che glieneavresticompratouno?

–Glihodettochesipotràmettere l’orecchino dagrande,manonancora.

– Vi lascio alla vostradiscussione, – dice Álvaro. –Chiamatemi se avete bisognodime.

– E tu che parte hai in

tutto questo? – chiede lui,quandosonosoli.–Comehaipotuto affidare tuo figlio aquell’uomo?C’èqualcosachenon mi dici? È possibile cheanchetulotroviaffascinante,col suo orecchino d’oro e lesuesignorenudenellepenne?

Lei finge di non sentire. –Ho aspettato un’eternità, –dice.–Poihopresol’autobuspensando che forse eranotornati a casa. Poi, non

trovandoli lí, ho telefonato amio fratello che ha detto cheavrebbe chiamato la polizia,mapoimi ha richiamatoperdire che la polizia non miavrebbe aiutato perché nonsono… perché non ho idocumentigiustidiDavid.

Fa una pausa fissandolontano, nel vuoto. – Miaveva detto… – dice, – miaveva detto che mi avrebbedato un figlio, non mi aveva

detto… non mi aveva dettochemi avrebbe portato via ilmio bambino –.All’improvviso singhiozzadisperatamente. – Non miaveva detto… non mi avevadetto…

La sua rabbia non sismorza e però prova tantapena per lei. Incurante degliscaricatori che guardano laprende tra le braccia, lei gli

singhiozzasullaspalla:–Nonmiavevadetto…

«Mi aveva detto che miavrebbe dato un figlio». Gligira la testa. – Vieni via, –dice. –Andiamo inunpostotranquillo–.Laportadietrolabaracca. – Stammi a sentire,Inés.Davidstabene,nesonocerto. Daga non oserebbefarglidelmale.Tornaacasaeaspettalí.Scopriròdoveviveeglifaròunavisita–.Esitaper

un momento: – Cheintendeva dire quando hadetto che ti avrebbe dato unfiglio?

Lei lo allontana. Smettedisinghiozzare. – Cosa pensiche intendesse dire? – Nellasuavoceunanotaaspra.

Mezz’ora dopo lui è alCentrodismistamento.–Hobisogno di alcuneinformazioni urgenti, – diceadAna. –Conosci un tale di

nome Daga? Sui trenta,magro, con l’orecchino. Halavoratoalmoloperunpo’.

–Perchémelochiedi?– Perché gli devo parlare.

Ha portato via David da suamadre ed è scomparso. Senonmiaiuti tudovròandareallapolizia.

– Si chiama Emilio Daga.Lo conoscono tutti, vive neiBlocchidelcentro.Oalmenoèlícheèregistrato.

– In quale Bloccoesattamente?

Lei scompare nell’archivioconl’indirizzario,etornaconun indirizzo scritto su unpezzodicarta.–Laprossimavolta che vieni, – gli dice, –raccontami come hairintracciato sua madre. Lovorreisapere,sehaitempo.

Gli appartamenti di queiBlocchisonoipiúdesiderabilitra quelli gestiti dal Centro.

L’indirizzo datogli da Ana loporta a un appartamentoall’ultimo piano dell’edificiocentrale. Bussa e gli apre laporta una giovane donnaattraente,daltruccopesanteedalpassomalfermosuitacchialti. Anzi, in verità non èproprio una donna: dubitacheabbiapiúdisedicianni.

– Cerco una persona dinome EmilioDaga, – dice. –Vivequi?

– Certo, – risponde laragazza. – Entri pure. ÈvenutoaprendereDavid?

La casa puzza di fumostantio. Daga, scalzo, conaddosso una maglietta dicotoneeijeans,siededavantialla grande finestra da cui sivede la città e il sole altramonto. Si gira sulla sedia,alza una mano in segno disaluto.

– Sono venuto per David,

–dice.– È in camera da letto a

guardarelatelevisione,–diceDaga. – Lei è lo zio? David!C’èquituozio!

Il bambino arriva di corsadalla stanza accanto tuttoeccitato. – Simón, vieni avedere! È Topolino! Ha uncane di nome Plato, econduce un treno, e ipellerossa lo bersagliano difrecce.Vieni,corri!

Lui ignora il bambino e sirivolge a Daga. – Sua madreera sconvolta dallapreoccupazione. Come hapotuto fare una cosa delgenere?

Non era mai stato cosívicino aDaga in precedenza.La proterva massa di capelli,con la cascatadi riccibiondi,gli appare volgare e unta. Lamaglietta ha un bucosull’ascella. Si rende conto

con sorpresa di non averpauradiquell’uomo.

Daganonsialza.–Calma,viejo, – dice. – Ci siamodivertitiinsieme.Ilragazzettosi è fatto un sonnellino. Hadormito come un ciocco,come un angelo. E ora siguardalatvdeiragazzi.Dov’èilproblema?

Lui non risponde. –Andiamo,David!–dice.–Ce

ne andiamo. Saluta il señorDaga.

– No! Voglio guardareTopolino!

– Lo puoi guardare laprossima volta Topolino, –diceDaga. –Te lo prometto.Loterremoquisoloperte.

–EPlato?– Anche Plato. Possiamo

tenere anche Plato, non èvero,dolcezza?

–Certo, – dice la ragazza.

– Li terremo chiusi lí nellatrappola per topi fino allaprossimavolta.

– Vieni, – dice lui albambino. – Tua madre èquasi morta dallapreoccupazione.

–Leinonèmiamadre.– Certo che è tua madre.

Tivuoletantobene.–Chièlei,ragazzo,senon

ètuamadre?–diceDaga.–Leièsolounasignora.Io

nonhounamadre.–Cel’haiinvece.Inésètua

madre, – dice lui, Simón. –Dammilamano.

–No!Nonhounamadreenon ho un padre. Sono io ebasta.

– Scemenze. Tutti noiabbiamounamadre.Tuttinoiabbiamounpadre.

– Tu hai una madre? –chiede il bambino, rivolto aDaga.

– No, – dice Daga. –Nemmenoiohounamadre.

–Vedi! – dice il bambinotrionfante.–Vogliorimanerecon te, non voglio andare daInés.

–Vieniqui,–diceDaga.Ilbambino trotterella verso dilui, che se lo prende sulleginocchia. Il bambino gli siaccuccia sul petto, col pollicein bocca. – Vuoi rimanerecon me? – Il bambino

annuisce. – Vuoi vivere conme eFrannie, solonoi tre? –Il bambino annuisce dinuovo. – Per te è ok, tesoro,se David viene a vivere connoi?

–Certo,–dicelaragazza.–Luinonpuò scegliere,–

dice Simón. – È solo unbambino.

– Giusto. È solo unbambino. Sono i genitori adover scegliere.Ma comehai

sentito non ha genitori eallora?Chesifa?

–Davidhaunamadrechelo ama come ogni madre almondo. Quanto a me, nonsarò suo padrema gli vogliobene, gli voglio bene, mipreoccupo per lui e miprendo cura di lui. Lui vieneconme.

Daga sta a sentire queldiscorsetto e poi, con suasorpresa,gli faunsorriso,un

sorriso piuttosto attraente,che gli scopre i bei denti. –Cosí va bene, – dice. –Riportalo alla sua signoramadre.Dillechesièdivertito.Dille checonmeè semprealsicuro. Ti senti al sicuro conme,nonèverogiovanotto?

Il bambino fa cenno di sí,colpollicesempreinbocca.

–Bene,dunqueforseèorache tu vada col tuo gentilguardiano –. Tira su il

bambino dalle ginocchia. –Torna presto. Promesso?VieniavedereTopolino.

Capitoloventiduesimo

– Perché devo sempreparlarespagnolo?

– Dobbiamo tutti parlare

unalingua,figliolo,amenodinon voler abbaiare e ulularecomelebestie.Esedobbiamoparlare una lingua è meglioche tutti parliamo la stessa.Nontisembraragionevole?

–Ma perché lo spagnolo?Odiolospagnolo.

– Non è vero che odi lospagnolo. Parli un ottimospagnolo. Il tuo spagnolo èmoltomiglioredelmio.Vuoi

solo fare il bastian contrario.Chelinguavorrestiparlare?

– Voglio parlare unalinguasolomia.

– Non esiste una linguasolotua.

– E invece sí! La la fa fayamyingtutu.

– Sono solo sciocchezze.Nonsignificanoniente.

–Invecesíchesignificano.Significanoqualcosaperme.

–Puòanchedarsi,maper

menonsignificanoniente.Lalingua deve significarequalcosapermecomeperte,sennònonèunalingua.

Con un gesto che deveaver ripreso da Inés, ilbambino scuote la testa conaria sprezzante. –La la fa fayamying!Guardami!

Lui fissa il bambino negliocchi. Per qualche secondocogliequalcosa.Qualcosachenon sa definire. È come – è

quello che capisce in quelmomento – come un pesceche ti sguscia via mentrecerchi di afferrarlo. Ma noncome un pesce – no, è comecomeunpesce.O come comecomeunpesce.Ecosívia.Poiquelmomento si esaurisce, eluièlí,insilenzio,aguardare.

– Hai visto? – dice ilbambino.

– Non lo so. Fermati unmomento,migiralatesta.

–Vedoquellochepensi!–dice il bambino con ariatrionfante.

–Nochenonlovedi.–Pensicheiosonocapace

difaredellemagie.– Assolutamente no. Non

hai idea di quello che penso.Adesso ascoltami. Ti diròqualcosa sulla lingua.Qualcosa di serio, che vorreituprendessiacuore.

–Tuttiquellichearrivano

inquestopaesesonostranieri.Quando sono arrivato erostraniero. Tu eri straniero.Inéseisuoifratelliuntempoeranostranieri.Siamoarrivatida luoghi e da storie diverse,incercadiunavitanuova.Maadessosiamotuttisullastessabarca, per cui dobbiamocercarediandared’accordoeuno dei modi per andared’accordo è parlare la stessalingua.Èquellalaregola.Una

buona regola, chedovremmoosservare, e non solo ladovremmo osservare madovremmo farlo di buongrado, non come i muli ches’impuntano.Dibuongradoecon la buona volontà. Se tirifiuti, se vai avanti a essereostile allo spagnolo e volerparlare la tua lingua, finiraiper trovarti a vivere in unmondo solitario. Non avraiamici.Saraiemarginato.

– Che vuol direemarginato?

–Nonavereunluogodoveposareilcapo.

– Ma io tanto non hoamici.

–Questocambieràquandoandrai a scuola. A scuola tifaraiun saccodinuoviamicie poi comunque hai degliamici. Fidel ed Elena sonotuoi amici. Álvaro è tuoamico.

–EdElReyèmioamico.– Anche El Rey è tuo

amico.–EilseñorDaga.– Il señorDaganon è tuo

amico. Il señorDagacercadiindurtiintentazione.

–Checos’èlatentazione?– Cerca di trascinarti via

datuamadre,allettandoticonTopolinoeilgelato.Tiricordicome sei statomaleper tutto

il gelato che ti ha dato quelgiorno?

–Mihadatoanchel’acquadifuoco.

– Che vuol dire? Cos’èl’acquadifuoco?

– Mi ha fatto bruciare lagola. Lui dice che è unamedicina per quando ti sentigiú.

–E il señorDagaporta lasuamedicina in tasca, inunafiaschettad’argento?

–Sí.–Perfavore,nonberemai

piúnientedalla fiaschettadelseñor Daga, David. Forse èunamedicinaperigrandi,manonfabeneaipiccoli.

Non riferiscedell’acquadifuoco a Inés ma lo dice aElena. – Sta acquistando unascendente sul bambino, – ledice. – Io non possocompetere con lui. Portal’orecchino, ha un coltello,

beve acqua di fuoco.Ha unabellaamichetta,etieneacasaTopolino,inunascatola.Nonhoideadicomericondurreilbambino alla ragione, ancheInés subisce il fascino diquell’uomo.

– Che altro ti aspetti?Guarda lacosadalsuopuntodivista.Haun’età incuiunadonna chenonha avuto figli– figli suoi – comincia aessere ansiosa. Dipende dalla

biologia. Lei è in uno statoricettivo, biologicamenteparlando. Mi stupisce che tunonloavverta.

–NonpensoaInésinqueitermini,interminibiologici.

–Tupensitroppo.Questonon c’entra niente colpensiero.

– Non vedo perché Inésdovrebbe volere un altrofiglio, Elena. Ha il bambino.Leèarrivatoasorpresa,come

unregalo,undono:népiúnémeno.Un dono come quellodovrebbe bastare a unadonna.

– Sí, ma non è suo figliobiologico. E lei non se nescorderà mai. Se non faiqualcosa in merito, uno diquesti giorni ilpiccoloDavidsi ritroverà il señorDaga perpatrigno e poi una covata dipiccolifratellastriesorellastreDaga.OsenonDagaunaltro.

– Che intendi dire con senon faccio qualcosa inmerito?

–Senonledàitustessounfiglio.

– Io? Non me lo sognonemmeno e poi non sono iltipo paterno. Ero nato perfarelozio,nonilpadre.Epoia Inés non piacciono gliuomini: o almeno questa èl’impressione chemi fa.Nonle piace la grossolanità, la

rudezza, la villositàmaschile.E non sarei sorpreso secercasse di impedire a Daviddidiventareuomo.

– Fare il padre non è unacarriera, Simón. E nemmenoun qualche destinometafisico. Non c’è bisognochetipiaccialadonna,néchetu piaccia a lei. Hai unrapporto sessuale con lei edecco che novemesi dopo sei

diventato padre. È semplice.Ogniuomopuòfarlo.

–Nonè cosí. Lapaternitànon ha solo a che fare conl’avere un rapporto sessualeconunadonna,propriocomelamaternitànonsignificasolofornire un contenitore per ilsememaschile.

– Eppure quello chedescrivicontacomepaternitàematernità nelmondo reale.Nonpuoi entrarenelmondo

reale se non c’è un sememaschile a darti inizio e ilventre di una donna a farticrescere e se poi non vienifuori da quella stessa donna.Devi per forzanascere da unuomoedaunadonna.Senzaeccezioni.Scusalafranchezzadel mio discorso. Perciòchiediti:«Saràilmioamico,ilseñorDaga, a piantare il suosemedentroInés,osaròio?»

Luiscuote latesta.–Basta

cosí, Elena. Possiamocambiare discorso?DavidmidicecheFidelglihatiratounsasso l’altro giorno. Chesuccede?

– Non era un sasso, eraunabiglia.ÈquellocheDavidsi deve aspettare se lamadrenon gli permette difraternizzare con gli altribambini, se lo incoraggia aconsiderarsi appartenente aunaspeciesuperiore.Glialtri

bambini si coalizzerannocontrodi lui.Hoparlato conFidel, l’ho rimproverato, manonserveaniente.

–Eranoinseparabili.–Eranoinseparabiliprima

che tu introducessi Inésnellascena, Inés con le sue straneideesull’educazione.Questoèun altro dei motivi per cuidovresti importi di nuovo infamiglia.

Luisospira.

– Possiamo parlare inprivato?–diceaInés.–Devofartiunaproposta.

–Èurgente?– Cos’è che bisbigliate? –

chiedeilbambinodallastanzaaccanto.

–Nienteche ti riguardi–.E a Inés: – Per favore,possiamo andare fuori, unminutosolo?

– State bisbigliando sulseñor Daga? – grida il

bambino.– Non c’entra niente il

señor Daga. È una cosaprivatatratuamadreeme.

Inéssiasciugalemaniesitoglie il grembiule. I dueescono dall’appartamento,attraversano il campo dagioco e vanno nel parcovicino. Seduto sul davanzaledella finestra, il bambino litiened’occhio.

– Quello che ti devo dire

riguarda il señor Daga –. Siferma, prende fiato. – Secapisco bene vuoi avere unaltrofiglio.Èvero?

–Chitel’hadetto?–David dice che gli darai

unfratello.– Gli raccontavo le storie

della buonanotte. Ed è unacosa che è venuta fuori cosí,percaso;erasoloun’idea.

– Be’, le idee possonodiventarerealtàpropriocome

ilsemepuòdiventarecarneesangue. Inés, non vogliometterti in imbarazzopercuilascia che ti dicasemplicemente, col massimorispetto, che se staipensandodientrareinrapportoconunuomo allo scopo di unagravidanza puoi prendere inconsiderazione me. Sonopronto a fare la mia parte,fare la mia parte e poiscomparire pur continuando

aproteggertieaprovvedereate e a qualunque figlio tuo.Puoi nominarmi il loropadrino.Osepreferiscilozio.Io dimenticherò quello chesarà successo tranoi, tra te eme. Lo laverò via dallamemoria. Sarà come se nonfossemaisuccesso.

– Ecco, l’ho detto. Perfavore, non rispondermisubito.Riflettici.

In silenzio, nel buio

crescente, rientranoall’appartamento. Inés loprecede a grandi passi, èchiaramente arrabbiata oturbata: non lo degnaneppure di uno sguardo. Luise la prende con Elena peraverlo messo in quellasituazione e se la prendeancheconsestesso.Cherazzadi modo rozzo di offrirsi!Neanche stesse offrendosi diriparareitubi!

La raggiunge, la prendeperunbraccio,lafavoltareinmodo che lo guardi. – Sonostatoimperdonabile,–dice.–Mi dispiace. Ti prego,perdonami.

Lei non parla. Se ne sta lícome una figura scolpita nellegno,braccialungoifianchi,in attesa che lui la lasciandare. Lui allenta la presa eleisiallontanaincespicando.

Dallafinestrasopradiloro

sente il bambino che lichiama: – Inés! Simón!Venite!C’èilseñorDaga!C’èilseñorDaga!

Lui mormora unabestemmia. Se aspettavaDaga, perché non gliel’hadetto? E poi che ci vede inquell’uomo protervo esfacciato? Con quell’odore dibrillantina, e la voce bassa enasale?

IlseñorDaganonèvenuto

solo. C’è con lui la suagraziosa amichetta, con unvestito bianco dalle balzerosso fuoco e pesantiorecchinia formadi ruotadicarrocheoscillanoaognisuomovimento.Inéslasalutaconalgido riserbo, mentre Daga,che sembra molto disinvoltonell’appartamentoesiallungasul lettoper rilassarsi, non faniente permettere la ragazzaasuoagio.

– Il señorDaga vuole cheandiamoaballare,–annunciail bambino. – Possiamoandareaballare?

– Ci aspettano allaResidenciastasera.Losai.

– Non voglio andare allaResidencia! Mi annoio!Voglioandareaballare!

– Non puoi andare aballare.Seitroppopiccolo.

–Masoballare!Nonsonotroppo piccolo! Ecco, vedi! –

E volteggia per la stanza conpasso leggero e non privo digrazia nelle sue morbidescarpeblu.–Ecco!Vedi?

–Non andremo a ballare,– dice Inés con fermezza. –Diego ci viene a prendere eandiamo con lui allaResidencia.

– Allora devono venireanche il señor Daga eFrannie!

– Il señor Daga ha i suoi

programmi. Non puoipretendere che li abbandoniperseguirenoi–.Parlacomese Daga non fosse nellastanza. –E poi sai benissimoche non fanno entrarevisitatoriallaResidencia.

– Io sono un visitatore, –obietta il bambino. – E mifannoentrare.

–Sí,matuseidiverso.Tusei mio figlio. Sei la luce deimieiocchi.

Lalucedeimieiocchi.Checosastranadadiredavantiadestranei!

E poi compare Diego eanche l’altro fratello, quellochenonapremaibocca.Inésli saluta con sollievo. – Noisiamopronti.David,prendiletuecose.

–No!–diceilbambino.–Non voglio andare, vogliofare una festa. Possiamo fareunafesta?

– Non c’è tempo per unafesta e poi non abbiamoniente da offrire ai nostriospiti.

–Non è vero. C’è il vino,in cucina! – E in unbattibaleno si è giàarrampicato sulla credenzadellacucinaetendeilbraccioversoloscaffalepiúinalto.–Ecco! – grida, mostrando labottiglia trionfante. –Abbiamoilvino!

Rossa come un peperone,Inés cerca di togliergli dimano la bottiglia – Non èvino, è sherry, – dice,ma luilesfugge.–Chivuolevino?–intona.–Chivuolevino?

–Io!–diceDiego;– Io!–dice il fratello silenzioso.Entrambi ridono dellafrustrazione della sorella.PureilseñorDagasiuniscealcoro.–Anch’io!

Nonci sonorecipientiper

bere a sufficienza per tutti esei, cosí il bambino fa il girodeipresenti con labottiglia eun bicchiere, versa lo sherryperciascunodi loroeaspettasolennemente che l’abbianovuotato.

Arriva a Inés, che fa unasmorfia e un gesto come adallontanare il bicchiereda sé.–Devi!–ordinailbambino.–Stasera io sono il re e te loordino!

Inésneprendeunpiccolosorso come si addice a unasignora.

– Ora io, – annuncia ilbambino e, prima che lopossano fermare, si porta labottiglia alle labbra e nemanda giú un bel sorso. Perun attimo guarda i presenticon aria trionfante. Poi glimanca il respiro, comincia atossire e a sputacchiare. – Èorribile!–ansima.Labottiglia

gli casca di mano,prontamente intercettata dalseñorDaga.

Diego e suo fratello sipiegano in duedalle risate. –Cosatiturba,nobileSignore?– grida Diego. – Forse nonreggiilliquore?

Il bambino riprende fiato.– Ancora! – grida. – Ancoravino!

Se Inés non intendeintervenire, toccherà a lui,

Simón, farlo. – Ora basta! –dice. – È tardi, David, per inostriospitièoradiandare.

–No!–diceilbambino.–Non è troppo tardi! Vogliofare un gioco.Voglio giocareaIndovinachisono!

– Indovina chi sono? –diceDaga.–Comesigioca?

– Tu fingi di esserequalcuno e tutti gli altridevono indovinare chi sei.L’ultima volta ho finto di

essere Bolívar e Diego l’haindovinatosubito,nonèveroDiego?

– E qual è il pegno? –chiede Daga. – Qual è ilpegno che paghi se noiindoviniamo?

Il bambino sembraconfuso.

–Un tempo ci giocavamocosí, – dice Daga, – seindoviniamo devi dirci un

segreto, il tuo segreto piúcaro.

Ilbambinotace.– Adesso è tardi per

giocare, – dice flebilmenteInés,–l’oradiandarealettoègiàpassata.

–No!–diceilbambino.–Voglio giocare a un altrogioco. Voglio fare il Giocodellaverità.

–Questosembrameglio,–dice Daga. – Dicci come si

giocaaquestogioco.–Iotichiedounacosaetu

devi rispondere e non puoimentire,devidirelaverità.Senondici la verità devi fare lapenitenza. D’accordo?Comincio io. Diego, ti seilavatoilculo?

Silenzio di tomba. Ilsecondo fratello arrossisce,poi esplode in una sonorarisata. Il bambino rideestasiato e fa una piroetta. –

Avanti! – grida. – Di’ laverità!

– Solo un giro, – concedeInés.–Enientepiúdomandevolgari.

–Nientedomandevolgari,– concorda il bambino. –Toccadinuovoame.Elamiadomanda è per... – guardaintornoa séper la stanza,daun volto all’altro, – la miadomanda è per… Inés! Inés,

chi ti piace piú di tutti almondo?

– Tu. Sei tu che mi piacipiúditutti.

–No,nonio!Chièl’uomoche ti piace di piú almondoper farci un bambino dallatuapancia?

Silenzio. Inés stringe identi.

–Preferisci,luioluioluiolui? – dice il bambino

indicando uno dopo l’altro iquattrouomininellastanza.

Lui, Simón, il quartouomo, interviene. – Nientedomande volgari, – dice. –Questa era una domandavolgare.Unadonnanonfaunfiglioconilfratello.

–Perchéno?– Perché no. Non c’è

perché.– Sí che c’è un perché!

Posso chiedere quello che

voglio! È cosí il gioco. Vuoiche Diego faccia un figliodentro di te, Inés? OppurevuoiStefano?

Per proteggere Inés, luiinterviene di nuovo. – Orabasta!

Diego si alza. –Andiamocene,–dice.

–No!–diceilbambino.–Di’ la verità! Chi ti piace dipiú,Inés?

Diego si rivolge alla

sorella. – Di’ qualcosa,qualsiasicosa.

Inéstace.– Inés non vuole avere

niente a che fare con gliuomini,–diceDiego.–Ecco,adessohai la tuarisposta.Leinon vuole nessuno di noi.Vuole essere libera. Adessoandiamocene.

– Davvero? – chiede ilbambinoaInés.–Nonècosí,

vero? Avevi promesso cheavreipotutoavereunfratello.

Di nuovo interviene lui. –Solo una domanda per uno,David.Èlaregola.Haifattolatua domanda e hai avuto latua risposta. Come diceDiego, Inés non vuolenessunodinoi.

–Maiovogliounfratello!Non voglio essere figliounico,ènoioso!

– Se davvero vuoi un

fratello, esci e trovatelo dasolo. Comincia con Fidel.Prenditi Fidel per fratello. Ifratelli non devono per forzavenire dallo stesso ventre.Cominciatuunafratellanza.

– Non so cosa è unafratellanza.

– Mi sorprende sentirtelodire. Quando due bambinidecidonodichiamarsifratelli,iniziano una fratellanza. Èsemplice. Possono anche

cooptare altri bambini echiamarli fratelli. Possonogiurarsi fedeltà reciproca escegliersi un nome: laFratellanza delle Sette Stelle,la Fratellanza della Grotta oquel che è. Anche laFratellanzadiDavid,sevuoi.

– Oppure può essere unaFratellanza segreta, –intervieneDaga.Gliocchiglibrillano, e ha in faccia unsorrisetto. Ilbambino,cheha

ascoltato a malapena lui,Simón,orasembra incantato.–Puoifareungiuramentodisegretezza. Nessuno dovràmai sapere chi sono i tuoifratellisegreti.

Simón infrange il silenzio.–Bastaperstasera,David,vaia prendere il pigiama. HaifattoaspettareDiegotroppoalungo.Pensaaunbuonnomeper la tua Fratellanza cosíquandotornidallaResidencia

puoi invitare Fidel a essere iltuoprimo fratello –. Si volgeverso Inés. – Sei d’accordo?Approvi?

Capitoloventitreesimo

–Dov’èElRey?Il carro è fermo sulla

banchina, vuoto, pronto per

esserecaricato,mailpostodiEl Rey è stato preso da uncavallo che non hanno maivisto prima, un puledro nerocon una stella bianca sullafronte.

Quando il bambino siavvicina troppo, il cavallo faroteare gli occhinervosamenteescalpita.

– Ehi! – grida Álvaro alconducente,chesonnecchiaacassetta. – Dov’è la vecchia

giumenta? Il ragazzetto qui èvenutoappostaperlei.

– Si è presa l’influenzaequina.

– Lui si chiama El Rey, –diceilbambino.–Nonèunagiumenta. Lo possiamovedere?

Álvaro e il conducente siscambiano un’occhiataprudente. – El Rey è nellastalla,siriposa,–diceÁlvaro.–Ilmedicodeicavalliglidarà

lamedicina.Potremoandarloatrovareappenastameglio.

– Io lo voglio vedere ora.Possofarlostaremeglio.

Lui, Simón, interviene. –Non ora, bambino mio,parliamone prima con Inés.Poi può darsi che tutti e trepotremo fare una gita allestalledomani.

–Meglioaspettarequalchegiorno, – dice Álvaro, e glilanciaun’occhiatachenonsa

come interpretare. – Megliodare modo a El Rey diriprendersi bene. L’influenzaequina è brutta, peggio diquellaumana.Conl’influenzaequinac’èbisognodiriposoetranquillità,nondivisite.

– Ma lui non vuole levisite, – dice il bambino. –Vuoleme.Sonoilsuoamico.

Álvaro prende lui, Simón,da parte. – Meglio che nonporti il bambino alle stalle, –

dice;e,poichél’altrocontinuaanoncapire:–Lagiumentaèvecchia:hafattoilsuotempo.

–Álvaro ha appena avutounmessaggio dalmedico deicavalli, – riferisce lui albambino. – Hanno deciso dimandare El Rey alla fattoriadei cavalli perché guariscaprima.

– Cos’è una fattoria deicavalli?

–Lafattoriadeicavallièil

posto dove nascono ipuledrini e dove i cavallivecchivannoariposare.

–Possiamoandarci?– La fattoria dei cavalli è

lontano,incampagna.Nonsobenedovemam’informerò.

Quando gli uominismontano, alle quattro, ilbambino non si trova piú danessunaparte.–Sen’èandatoconl’ultimobarroccio,–dice

uno degli uomini. – Pensavolosapessi.

Lui si metteimmediatamente inmovimento.Quandoarrivaalmagazzino del grano il solesta tramontando. Ilmagazzino è deserto, legrandiporte sono chiuse.Glibatte forte il cuore, cerca ilbambino. Lo trova, dietro ilmagazzino, su unapiattaforma da carico

accovacciatoaccantoalcorpodi El Rey, che le accarezza ilmuso e scaccia le mosche.Intorno alla pancia lagiumenta ha ancora la fortecinghia di cuoio che è statausatapertirarlasu.

Lui si arrampica sullapiattaforma.–Povero,poveroEl Rey! – mormora. Poi siaccorge del sangue rappresonell’orecchio e del nero foro

di proiettile poco sopra eammutolisce.

– Va tutto bene, – dice ilbambino. – Starà di nuovobenenelgiroditregiorni.

– Questo ti ha detto ilmedicodeicavalli?

Ilbambino scuote la testa.–ElRey.

– Te l’ha detto proprio ElRey?Tregiorni?

Ilbambinoannuisce.– Ma non è solo

un’influenzaequina,bambinomio. Anche tu lo vedi, dicerto. Gli hanno sparato ilcolpodigrazia.Forsesoffriva.Soffriva e hanno deciso diaiutarlo, per liberarlo daldolore.Nonguarirà.Èmorto.

– No, non è vero –. Lelacrime gli scendono giú perle guance. – Va alla fattoriadei cavalli per guarire. L’haidettotu.

– Va alla fattoria dei

cavalli,ma non in quella chec’èqui,inun’altrafattoriadeicavalli, in un altro mondo.Dove non dovrà portare lebriglieetrascinareunpesantecarro,mapotràgirellarepericampi, nel sole, emangiare iranuncoli.

–Nonèvero!Staandandoalla fattoria dei cavalli perguarire! Ora lo mettono sulcarroeloportanolaggiú.

Il bambino si china e

preme le labbra sulle grandifroge del cavallo. Lui loafferrasubitoperunbraccioelotiravia.–Nonfarlo!Nonèigienico!Tiammalerai!

Ilbambinosicontorceperliberarsi.Piangeapertamente:– Lo salverò! – singhiozza. –Non voglio che muoia! È ilmioamico!

Tiene fermo ilpiccolochesidivincolae lo stringe forte.– Caro, caro bambino mio,

qualche volta coloro cheamiamo muoiono e non c’èniente che possiamo fare senonaspettare ilgiorno incuisaremo di nuovo tuttiinsieme.

–Voglio farlo respirare! –singhiozza.

–Maèuncavallo,ètroppogrande perché tu possasoffiarglidentrolavita.

–Alloraglielapuoisoffiaredentrotu!

–Nonfunzionerebbe.Nonho il tipo di respiro giusto.Non ho il respiro della vita.Tuttoquello cheposso fare èessere triste, piangerlo eaiutarti a piangerlo. Adessodài, prima che faccia buio,andiamogiúalfiumeioeteecerchiamo i fiori da metteresuElRey.Glipiacerà.Erauncavallo gentile, non è vero?Malgradofosseungiganteeragentileesaràfelicediarrivare

alla fattoria dei cavalli conunaghirlandadifioriintornoalcollo.

Ecosíconvinceilbambinoalasciarequelcorpomorto,elo conduce sul greto delfiume, lo aiuta a cogliere ifiori e a intrecciare unaghirlanda. Ritornano e ilbambino posa la ghirlandasugliocchimorti,sbarrati.

– Ecco, – dice. – Oradobbiamo lasciare El Rey.

Deve fare un lungo viaggio,per arrivare alla grandefattoria dei cavalli. Quandoarriverà e gli altri cavalli lovedrannoconlasuacoronadifiori, si diranno: «Dovevaessere un re, nel suo paese!Dev’essereluiilgrandeElReydi cui abbiamo sentito tantoparlare,l’amicodiDavid!»

Il bambino lo prende permano.Mentrelalunapienasialza nel cielo loro arrancano

su per il sentiero, fino alporto.

– Adesso El Rey si alzerà,non credi? – chiede ilbambino.

– Sí, adesso si sta tirandosu e si scuote, fa quel suonitrito che conosci bene, e simette in marcia, clop-clop-clop, verso la sua nuova vita.Basta piangere. Fine deipianti.

–Finedei pianti, –dice il

bambino e si rianima. Faperfino un piccolo sorrisoallegro.

Capitoloventiquattresimo

Lui e il bambino hanno ilcompleanno nello stessogiorno. Cioè, poiché sono

arrivati sulla stessa barca lostesso giorno, è statoassegnato loro il giorno delcomune arrivo, dell’ingressocomune nella vita nuova,come data di nascita. Ilbambino fu giudicato dicinque anni perchédimostrava cinque anni,propriocomeluifugiudicatodiquarantacinque(cosídiceilsuo documento) perché eral’età che dimostrava quel

giorno. (Ci era rimasto maleperchésisentivapiúgiovane.Ora si sente piú vecchio,come avesse sessanta anni;certi giorni come ne avessesettanta).

Poiché il bambino non haamici, nemmeno un amicocavallo, non ha senso fargliuna festa di compleanno. Etuttavia lui e Inés hannodeciso che quel giorno dovràessere festeggiato come si

deve. Inés prepara una torta,la decora con la glassa e cimette sopra sei candeline eciascunopersuoconto,senzadirlo all’altro, gli compra unregalo. Lei un maglione(l’inverno è alle porte), e luiunabaco(èpreoccupatodellaresistenza del bambino allascienzadeinumeri).

La festa di compleanno èfunestata da una lettera chearrivaconlapostaincuiglisi

ricordache,avendocompiutosei anni, David deve essereiscritto alla scuola pubblica eche la responsabilità diiscriverlo è del genitore/i otutore/i.

Finora Inés ha indotto ilbambino a ritenersi troppointelligente per aver bisognodi andare a scuola: le pochelezioni che possono servirglipotràprenderle a casa.Ma lasua ostinazione sul Don

Chisciotte, la sua convinzionedisaperleggere,scrivereefardi conto mentre è evidentechenonèvero,haseminatoildubbio perfino in lei. Forseper il bambino sarebbemeglio, arriva ad ammettere,avere la guida di uninsegnante esperto. Cosí,insieme, gli comprano unterzo regalo, un astuccio dipelle rossa con l’iniziale Dstampata inoro inunangolo

e due matite nuove, untemperamatiteeunagomma.Glielodànno,con l’abacoe ilmaglione, il giorno del suocompleanno. L’astuccio, glidicono, è la sorpresa cheaccompagna la bella einaspettata novità che benpresto, forse addirittura laprossima settimana, andrà ascuola.

Il bambino accoglie lanotizia con freddezza. –Non

voglio andare con Fidel, –dice. Lo rassicurano: essendopiúgrandedi lui,Fideldovràfrequentare un’altra classe. –EvoglioportareconmeDonChisciotte,–dice.

Lui cerca di dissuaderlodal portare con sé il libro.Appartiene alla biblioteca delBlocco Est, gli dice; se sidovesse perdere non ha ideadi come potrebberorimpiazzarlo. E poi la scuola

avrà la suabibliotecae la suacopia di quel libro. Ma ilbambinononnevuolesapere.

Illunedísipresentaprestoall’appartamento peraccompagnare alla fermataInés e il bambino, cheprenderàl’autobusperandarealsuoprimogiornodiscuola.Il bambino ha il maglionenuovo, l’astuccio di pellerossa con l’iniziale D e lacopia sgualcita del Don

Chisciotte del Blocco Eststrettasottoilbraccio.Fidelègiàallafermatainsiemeaunamezza dozzina di altribambinideiBlocchi.Davidloignoraostentatamente.

Poiché vogliono cheandare a scuola diventi unaspettonormaledellasuavitaquotidiana,iduedecidonodinoninsistereachiederglicosaha fatto in classe; e lui, daparte sua, è muto come un

pesce, cosa decisamenteinsolita. – Com’è andata lascuola oggi? – azzarda lui ilquintogiorno.–Uh-uh,–èlarisposta. – Ti sei fatto nuoviamici? – Questa volta ilbambino non si degnanemmenodirispondere.

Va avanti cosí per tresettimane, per quattrosettimane. Poi trovano unalettera nella buca, conl’intestazione della scuola in

alto a sinistra. La«Comunicazionestraordinaria» invita ilgenitore/i dell’allievo/a inquestione a contattare lasegretaria della scuola ilprima possibile per uncolloquio con l’insegnantepertinente per discutere diproblemi sorti con il suo/illorofiglio/figlia.

Inés telefonaalla scuola.–Sono libera tutto il giorno, –

dice.–Midica l’oraeci sarò–. La segretaria propone ilgiorno dopo alle undici,durante l’ora libera del señorLéon. – Saràmeglio se vieneancheilpadredelbambino,–aggiunge.–Miofigliononhaun padre, – risponde Inés. –Chiederò a suo zio diaccompagnarmi. Lo zio citiene.

Il señorLéon, l’insegnantedella prima elementare, è un

uomo alto e magro con labarba nera e un occhio solo.L’occhiomorto,divetro,nonsi muove nell’orbita; lui,Simón, si chiede se i suoiallievinon siano turbatidallacosa.

–Abbiamopoco tempo,–diceilseñorLéon,–perciòleparlerò francamente. Pensoche David sia un ragazzointelligente, moltointelligente. Ha una mente

vivace; afferra le nuove ideeimmediatamente. E peròtrova difficile adattarsi allaclasse. Pensa di poterla averesemprevintalui,forseperchéè un po’ piú grande dellamedia dei suoi compagni. Oforse in casa è abituato adaverla vinta troppofacilmente. E comunque nonèunosviluppopositivo.

IlseñorLeóns’interrompe,fa combaciare le dita di una

mano con quelle dell’altra,polpastrello contropolpastrello, e aspetta la lororisposta.

– Un bambino dovrebbesentirsi libero, – dice Inés. –Unbambinodovrebbepotersigoderel’infanzia:avevoimieidubbi sull’opportunità dimandare David a scuola cosípiccolo.

–A sei anninonè troppopiccoloperandareascuola,–

dice il señor Léon. – Alcontrario.

–Ma è comunquepiccoloeabituatoallasualibertà.

–Ilbambinononrinunciaalla sua libertà venendo ascuola,–diceilseñorLéon.–Non rinuncia alla sua libertàstando fermo. Non rinunciaalla sua libertà ascoltandoquel che ha da dire il suomaestro. La libertà non è

incompatibile con ladisciplinaeildurolavoro.

– Perché? Non sta fermo?Non ascolta quello che glidice?

– È irrequieto e rendeirrequieti anche i compagni.Lascia il suo posto egironzola.Escedall’aulasenzaaverneilpermesso.Epoi,no,nonascoltaquellochedico.

–Questo è strano. A casanon gironzola. Se a scuola lo

facidev’essereunaragione.L’occhio solitario trafigge

Inés.–Quanto all’irrequietezza,

–dice, – è sempre stato cosí.Nondormeabbastanza.

– Una dieta leggerarisolverà la cosa, – dice ilseñor León. – Niente spezie.Niente stimolanti.Ma adessovoglio specificare meglio:nella lettura Davidsfortunatamentenonha fatto

progressi, nemmeno un po’.Gli altri bambini, che nonsonodotaticomelui,leggonomeglio. Molto meglio. C’èqualcosadell’attodellaletturache lui sembranonriuscireacogliere. E lo stesso succedeconinumeri.

Interviene lui, Simón. –Maadorailibri.Loavràvisto.Porta con sé Don Chisciottedovunquevada.

– Si aggrappa al libro per

via delle illustrazioni, –risponde il señor León. – Ingenerale non è un buonmetodo imparare a leggeredai libri illustrati. Leimmagini distraggono lamente dalle parole. E DonChisciotte,qualsiasialtracosase ne possa dire, non è unlibro adatto a lettoriprincipianti. Lo spagnoloparlato daDavid non èmalema non sa leggere. Non sa

nemmeno recitare le letteredell’alfabeto! Non mi è maicapitatouncasocosíestremo.Proporrei di chiamare unospecialista, un terapeuta. Hola sensazione, condivisa daicolleghi che ho consultato,chepossaesserciundeficit.

–Undeficit?– Un deficit specifico

legatoalleattivitàsimboliche.A tutto ciò che ha a chevedere con parole e numeri.

Non sa leggere e non sascrivere.Nonsacontare.

–Acasa legge e scrive.Cipassa le ore tutti i giorni. Ètotalmente assorto dalla sualetturaedallasuascrittura.Sacontare fino a mille, a unmilione.

Per laprimavolta il señorLeón sorride. – Può recitaretutti i numeri che vuole, èvero, ma non nell’ordinegiusto. Quanto ai segni che

traccia con lamatita, lui puòchiamarli scrittura,manonèscrittura nel senso comune.Non so dire se abbiano unqualche senso privato. Forsesí, forse indicano un talentoartistico, che sarebbe unasecondaepiúpositivaragioneper farlo vedere da unospecialista. David è unbambino interessante.Sarebbe un peccato perderlo.Lo specialista potrebbe dirci

se ci sia un qualche fattorecomune alla base del deficitda un lato e della creativitàdall’altro.

Suona la campanella. IlseñorLeónestraeuntaccuinodalla tasca, ci scribacchiaqualcosa e poi strappa lapagina. – Questo è il nomedella specialista chesuggerisco,conilsuonumeroditelefono.Passaascuolaunavolta a settimana e può

incontrarla qui. Chiamatelaper un appuntamento. Nelfrattempo io e Davidcontinueremo a impegnarci.Grazieperesserevenuti.Sonosicuro che avremo unrisultatopositivo.

CercaElena,eleriferisceilcolloquio.–ConoscipercasoilseñorLéon?–lechiede.–Èstato maestro di Fidel? Mi

sembra difficile dare creditoallesuelamentele.CheDavidèdisobbediente,peresempio.Qualche volta può essere unpo’ ostinato, ma nondisobbediente, non nellamiaesperienza.

Elenanonglirispondemachiama Fidel. – Fidel, tesoro,diccidel señorLéon.Davidelui a quanto pare non vannod’accordo e Simón èpreoccupato.

– Il señorLeónèbravo,–diceFidel.–Èsevero.

– È severo se i bambiniparlano quando non tocca aloro?

–Pensodisí.– Perché secondo te lui e

Davidnonvannod’accordo?–Nonso.Daviddicecose

assurde e forse al señorLeónquestononpiace.

– Cose assurde? Chegeneredicoseassurde?

– Non lo so... Fa cosí alparco giochi e tutti pensanoche sia pazzo, anche icompagnipiúgrandi.

– Ma che genere di coseassurde?

– Che può far scomparirela gente. Che può farscomparire perfino se stesso.E poi dice che dovunque cisono vulcani che noi nonvediamo,chesololuivede.

–Vulcani?

– Non grandi vulcani.Piccoli.Chenessunovede.

– Ma forse spaventa glialtri bambini con le suestorie?

– Non so, dice chediventeràunmago.

–Lodice da tanto tempo.Mihadettocheungiornotue lui andrete a esibirvi in uncirco: lui farà dei trucchi dimagiaetufaraiilclown.

Fidel e sua madre si

scambianoocchiate.– Fidel farà il musicista,

non il mago, né il clown, –diceElena.–Fidel,haidettoaDavid che avresti fatto ilclown?

– No, – dice Fidel,defilandosiimpacciato.

Il colloquio con lapsicologa si svolge nella sedescolastica. Vengono

accompagnati nella stanzabene illuminata e un po’asetticaincuiricevelaseñoraOtxoa. – Buongiorno, – diceconunsorriso tendendo lorolamano. – Siete i genitori diDavid. Ho incontrato vostrofiglio:abbiamofattounabellachiacchierata, moltechiacchierate.Chegiovanottointeressante!

– Prima di passare aparlare di lavoro, – la

interrompe lui, – lasci che lechiarisca chi sono. Anche seconosco David da tantotempo perché per lui sonostatounaspecieditutore,nonsonosuopadre.Comunque...

La señora Otxoa alza unamano. – Lo so. David me loha detto. David dice di nonaver mai incontrato il suoveropadre.Diceanche,–eaquestopuntosirivolgeaInés,– che lei non è la sua vera

madre. Parliamo unmomento di queste sueconvinzioni prima di tutto ilresto. Perché, anche se cipotrebbero essere fattoriorganici,comeperesempioladislessia, lamia idea è che ilcomportamento irrequieto diDavid in classe derivi daquella che per un bambinopotrebbe essere unasituazione familiare confusa:

dall’incertezza su chi sia e dadovevenga.

Lui e Inés si guardano. –Lei usa la parola vero, – dicelui. – Dice che non siamo lasua veramadre e il suo veropadre. Ma che cosa intendeprecisamente con vero?Indubbiamente esiste latendenza a sopravvalutarel’elementobiologico.

La señoraOtxoa stringe lelabbra e scuote il capo. –

Evitiamo di diventare troppoteorici. Concentriamocipiuttosto sull’esperienza diDavid e sulla sua percezionedelvero.Ilvero,vorreidire,èproprio quello che a Davidmanca nella vita. Lamancanza di vero includeanchelamancanzadigenitoriveri. David non è ancoratoalla vita e da questo deriva ilsuo ritrarsi e rifugiarsi nel

mondo della fantasia, chesentedidominaremeglio.

–Maluièancorato,–diceInés.–Iosonolasuaancora.Gli voglio bene. Lo amo piúdiognialtracosaalmondoequestoluilosa.

LaseñoraOtxoaannuisce.– Sí che lo sa, mi ha dettoquantobeneglivuole,quantobeneglivolete tuttiedue.Lavostra benevolenza lo rendefelice e a sua volta prova la

massima benevolenza pertutti eduevoi.Enondimenocontinuaamancarequalcosa,qualcosa che né l’affetto nél’amore bastano a fornire.Perché,ancheseunambienteaffettivopositivocontamolto,nonpuòbastare.Seoggivihochiamato è proprio perparlarediquelladifferenza,diquella mancanza di una verapresenza dei genitori. Perchéchiedete voi? Perché, come

detto,ho la sensazioneche ledifficoltàdiapprendimentodiDavid derivino dallosmarrimento rispetto a unmondo dal quale i suoi verigenitori sono scomparsi, unmondonelqualenonsacomeèarrivato.

–David è arrivato su unabarca, come tutti, – obiettalui. – Dalla barca al campo,dalcampoaNovilla.Nessunodi noi sa niente di piú delle

nostre origini. Siamo tuttimondati dai ricordi, piú omeno.Chec’èdicosíspecialenelcasodiDavid?Echecosac’entraquestoconlaletturaelascrittura,coniproblemidiDavidinclasse?Haaccennatoalla dislessia. In che sensoDavidsoffredidislessia?

– Ho parlato di dislessiasolo come di una possibilità.Non gli ho fatto test in talsenso,malamiaimpressione

è che, anche se ci fosse ladislessia, sarebbe solo unaconcausa.Ora,perrisponderealla sua domanda principale,dispecialeinDavidc’ècheluisi sente speciale, perfinoanormale.Ovviamente non èanormale. Quanto all’esserespeciale,mettiamodapartelaquestione per un momento.Invece cerchiamo, noi treinsieme, di vedere il mondoattraverso i suoi occhi, senza

imporgli il nostro modo divedereilmondo.Davidvuolesaperechisialuidavvero,maquando lo chiede riceverisposte evasive come «Checosa intendi per vero?» o«Non abbiamo storia,nessunodinoi ce l’ha, siamostati tutti mondati dairicordi». Come biasimarlo sesisentefrustratoesiribellaepoi si ritira in un mondoprivato dov’è libero di

inventarsi le sue rispostecomevuole?

–Ci sta dicendo chenellepagine illeggibili che scriveper ilseñorLeónraccontadadoveviene?

– Sí e no. Sono storie persé non per noi, è per quelloche le scrive in una grafiaprivata.

–Comefaasaperlosenonpuò leggerle? Gliele hatradottelui?

–Señor,perchéilrapportotra me e David proceda almeglio è importante che luipossafidarsidelfattochenonrivelerò quello che ci siamodetti. Anche un bambino hadiritto ai suoi piccoli segreti.Ma da quanto io e David cisiamo detti, sí, credo cheimmaginidiscriverestoriesudi sé e la sua vera famiglia.Storie che si preoccupa ditenere nascoste per voi, per

tutti eduevoi,perpaurachepossanoturbarvi.

– E qual è la sua verafamiglia? Da dove viene,veramente,secondolui?

– Questo non sta a medirlo, ma c’è la questione diunacertalettera.Parladiunaletteracheconterrebbeinomidei suoi veri genitori. Diceche lei, señor, sadella lettera.Èvero?

–Unaletteradichi?

–Dicecheavevaconsé lalettera quando è salito sullabarca.

–Ah,quella lettera!No,sisbaglia,quellaletteraèandatapersaprimadell’approdo.Sièpersa durante il viaggio. Ionon l’ho mai vista. È statoproprio per via della letteraperdutachemi sonopreso laresponsabilità di aiutarlo atrovare la madre. Altrimentisarebbe stato totalmente

inerme. Sarebbe ancora aBelstar,nellimbo.

La señoraOtxoa scriveunvigoroso appunto sul suotaccuino.

– Adesso dobbiamopassare, – dice mettendo giúla penna, – al problemapraticodelcomportamentodiDavid in classe. Alla suainsubordinazione. Alla suaincapacità di fare progressi.Alle conseguenze di

quell’insubordinazione e diquellamancanza di progressiperilseñorLeóneperglialtribambinidellaclasse.

– Insubordinazione? – SiaspettacheInésfacciasentirela sua voce, e invece no, leilasciaaluilaparola.–Acasa,señora, David è sempreeducatoe cortese.Mi sembradifficile dare credito alrapporto del señor León. Acosa si riferisce esattamente

parlando diinsubordinazione?

– Si riferisce alle sfidecontinue alla sua autorità diinsegnante. Al rifiuto diaccettarne la guida. Il chemiporta al punto. Vorreiproporre di ritirare Daviddalla sua classe regolare,almeno per il momento, einserirlo invece in unprogramma di insegnamentoprivato adatto alle sue

esigenze individuali. Cosípotrà andare avanti al suoritmo, tenendo conto delladifficile situazione familiare.Questofinoachenonsaràingrado di riunirsi alla suaclasse, cosa che sono certapotrà fare, dato che è unbambino intelligente e dallamenteagile.

– E questo insegnamentoprivato...?

– Il programma al quale

pensavo si tiene al Centroscolastico di Punto Arenas,non lontanodaNovilla, sullacosta,inunabellazona.

–Achedistanza?– Circa cinquanta

chilometri.–Cinquanta chilometri! È

una bella distanza dapercorrere tutti i giorni,andata e ritorno, per unbambino piccolo. Esiste unautobus?

– No. David risiederà alCentro e, se vuole, tornerà acasa a weekend alterni.L’esperienza ci dice che lacosa funziona meglio se iragazzi risiedono al centro.Permette un certo distaccodalla situazione domesticache potrebbe contribuire alproblema.

LuieInéssiguardano.–Esedeclinassimo?–dice lui. –

SepreferissimolasciarlonellaclassedelseñorLeón?

– E se preferissimotoglierlo da questa scuoladove non impara niente? –intervieneInésconuntonodivocesemprepiúalto.–Doveè comunque troppo piccoloper partecipare. Che poi è lavera ragione per la quale staavendo delle difficoltà. Ètroppopiccolo.

– Il señor León non ha

intenzione di continuare atenere David nella sua classee, dopo aver fatto le mieindagini, devo dire checapisco il perché. Quantoall’età, David rientra nellanormaleetàscolastica.Señor,señora, vi offro il mioconsiglio avendo a cuorel’interesse diDavid.A scuolanon va avanti. Ed è unelemento di disturbo.Toglierlo dalla scuola e

rimetterlo in un ambientedomesticocheevidentementelo turba non può essere lasoluzione. È per questo chedobbiamo adottareprovvedimentipiúaudaci.EdèperquestocheraccomandoPuntoArenas.

–Eserifiutassimo?–Señor,nonvorrei che la

mettesseinquestitermini.Micreda, Punto Arenas è lanostraopzionemigliore.Selei

e la señora Inés volestevisitare Punto Arenas prima,posso organizzare la cosa inmodo che possiate vederepersonalmentechesitrattadiunistitutodiprim’ordine.

– Ma, e se dovessimovisitare questo istituto econtinuare a rifiutare? Cosasuccederebbe?

–Cosasuccederebbe?–Laseñora Otxoa allarga lebracciainungestoimpotente.

–Leimihadettoall’iniziodiquestocolloquiodinonessereilpadredel ragazzo.Nei suoidocumenti non c’è nullariguardoallasuafamiglia,allasua vera famiglia.Direi... chelei non è poi cosí qualificatoper imporre dove si debbasvolgerelasuaeducazione...

–Alloracistadicendochesi accinge a toglierci ilbambino?

–Per favore,non lametta

in questo modo. Non vistiamo portando via ilbambino. Lo vedreteregolarmente ogni duesettimane. La vostra casacontinueràaesserelasuacasae dal punto di vista praticocontinuerete a essere i suoigenitori, a meno che nonesprimalavolontàdistaccarsida voi.Cosa chenon sembraindicare in nessun modo. Alcontrario vuolemoltobene a

tuttiedue,vivuolebeneedèmoltolegatoavoi.

–Lo ripeto:PuntoArenasè amio giudizio la soluzionemigliore al problema cheabbiamo, la soluzionemigliore e anche la piúgenerosa.Pensateci.Pensatecicon calma. Visitate PuntoArenas,selodesiderate,epoi,insieme al señor León,potremo discutere deiparticolari.

–Enelfrattempo?–Nelfrattemposuggerisco

che David torni a casa convoi.RimanerenellaclassedelseñorLeónnonserveanientea lui, e di certo nemmeno aisuoicompagni.

Capitoloventicinquesimo

– Perché torniamo a casapresto?

Sono tutti e tre

sull’autobus, diretti aiBlocchi.

– Perché è stato tutto unerrore, – dice Inés. – Icompagni della tua classesono troppo grandi per te. Equell’insegnante, quel señorLéon,nonsainsegnare.

– Il señor León ha unocchio magico. Se lo puòlevare e se lo puòmettere intasca. Lo ha visto uncompagno.

Inéstace.–Tornoascuoladomani?–No.– Per essere precisi, –

interviene lui, –non tornerainella scuola del señor Léon.Tua madre e io prenderemoin esame una scuola diversaperte.Forse.

–No,dialtrescuolenonsene parla, – dice Inés. – Lascuola era una pessima ideafindall’inizioenonsoperché

l’ho permessa. Che cosadiceva quella donna delladislessia?Cos’èladislessia?

–L’incapacitàdileggereleparolenell’ordinegiusto.Nonriuscirealeggeredasinistraadestra.Unacosacosí,nonsobene.

– Io nonho la dislessia, –dice il bambino. – Non honiente.Mimandano a PuntoArenas?Noncivoglioandare.

– Cosa sai di Punto

Arenas?–chiedelui.– C’è il filo spinato e si

deve dormire in undormitorioenonèpermessoandareacasa.

– Non verrai mandato aPunto Arenas, – dice Inés. –Nonfinchéiosonoviva.

–Staipermorire?–diceilbambino.

–No,certocheno.Èsoloun modo di dire. Tu nonandraiaPuntoArenas.

– Ho dimenticato il mioquaderno.Quellodiscrittura.È sul mio banco. Possiamotornareaprenderlo?

– No. Non ora. Loprenderòiounaltrogiorno.

–Eilmioastuccio.– L’astuccio delle matite

chetiabbiamoregalatoperlatuafesta?

–Sí.– Prenderò anche quello.

Nontipreoccupare.

– Vogliono mandarmi aPuntoArenasperviadeimieiracconti?

– Non è che ti voglionomandare a Punto Arenas, –dice.–Piúchealtroèchenonsannocosafareconte.Tuseiun bambino eccezionale elorononsannocosafareconibambinieccezionali.

–Perchésonoeccezionale?– Inutile chiederselo, il

fatto è che sei eccezionale e

dovrai imparare a conviverecon questa cosa. Qualchevoltaquesto ti renderà lavitapiúfacileequalchevoltatelacomplicherà. Questo è unodeicasiincuitelacomplica.

– Non voglio andare ascuola. La scuola non mipiace.Possoimpararedasolo.

–Noncredo,David.Pensoche ultimamente tu abbiaimparato un po’ troppo dasolo. E questo è parte del

problema. Un po’ piú diumiltà, di disponibilità aimparare dagli altri, è quellochecivuole.

–Puoiinsegnarmitu.–Grazie.Moltogentileda

partetua.Comericorderaimiero offerto di insegnarti piúvolte in passato, ma sonostato rifiutato. Se avessilasciato che ti insegnassi aleggere e scrivere e far diconto in modo normale, ora

non avremmo questoproblema.

La violenza del suo scattochiaramente disorienta ilbambino, che gli lanciaun’occhiatastupitaesofferta.

–Maèacquapassata,– siaffretta a dire lui. – Adessogiriamo pagina noi due, io ete.

– Perché non piaccio alseñorLéon?

–Perchéètroppopienodi

sé,–diceInés.– Invece piaci al señor

Léon,–dicelui.–Solochehauna classe intera a cuiinsegnare e non ha tempo diconcentrare tutta l’attenzionesu di te. Vuole che gli allievilavorino per conto loro ognitanto.

–Amenonpiacelavorare.–Tuttidobbiamolavorare,

per cui sarà bene che ti ci

abitui. Il lavoro fa parte deldestinoumano.

– Non mi piace lavorare,mipiacegiocare.

– Sí,manonpuoi giocaretuttoiltempo.L’oradelgiocoviene dopo che hai finito icompiti. Quando arrivi inclassealmattinoilseñorLeónsiaspettadivedere icompiti.Èragionevole.

– Al señor León nonpiaccionolemiestorie.

–Nonèpossibile chenongli piacciano le tue storie,visto che non le può leggere.Che tipo di storie glipiacciono?

– Storie sulle vacanze. Suquellochelagentefadurantele vacanze. Cosa sono levacanze?

– Le vacanze sono giornivuoti.Giorni in cui nondevilavorare. Oggi ti hanno datounavacanzaper il restodella

giornata. Non devi piústudiare.

–Edomani?– Domani imparerai a

leggere e scrivere e far diconto come una personanormale.

– Voglio scrivere unaletteraallascuola,–diceluiaInés,–percomunicareloroinmodo ufficiale che ritiriamo

David. Che ci occuperemonoi della sua educazione. Seid’accordo?

–Sí.Egiàcheci sei scrivianche a quel señor Léon.Chiediglicomeglièvenutoinmente di insegnare aibambini piccoli. Digli chenonèunlavorodauomini.

– Egregio señor Léon, –scrivelui

grazie per averci presentato

allaseñoraOtxoa.La señora Otxoa ha

proposto che nostro figlioDavidsia trasferitoalla scuolaspecialediPuntoArenas.

Dopo ponderata riflessioneci siamo risolti contro questadecisione. David è, a nostrogiudizio, troppo piccolo pervivere lontano dai suoigenitori.Inoltredubitiamochepossa ricevere ilgiusto tipodiattenzioni a Punto Arenas.

Dunque procederemo con lasua educazione in casa.Nutriamo la speranza che lesue difficoltà diapprendimentosarannoprestosolo un ricordo. Come leistessoammette,si trattadiunbambino sveglio che imparavelocemente.

La ringraziamo per essersiprodigatoperluieaccludiamocopiadellaletteracheabbiamospedito al direttore della

scuola per comunicarne ilritiro.

Non ricevono risposta.Invece con laposta arrivaunmodulo di tre pagine dariempire per l’ammissione aPuntoArenas,piúunalistadivestiario e oggetti personali(spazzolino, dentifricio,pettine) che i nuovi allievidevono portare con sé e una

tessera dell’autobus. Lorofannofintadinulla.

Poi arriva una telefonata,non dalla scuola e nemmenoda Punto Arenas, ma, perquel che riesce a capire Inés,da un qualche ufficioamministrativocittadino.

– Abbiamo deciso di nonmandare a scuola David, –comunica alla donna che hachiamato. – Non cavava

niente dall’insegnamento.Studieràincasa.

– Educare un bambino incasa è permesso solo se ilgenitore è un insegnanteabilitato, – dice la donna. –Leièabilitataainsegnare?

–SonolamadrediDavid,ioesoloiodecideròinmeritoalla sua educazione, –risponde Inés, e mette giú ilricevitore.

La settimana successiva

arriva un’altra lettera.Intestata«ComunicazionedelTribunale», istruisce il«genitore/i e/o tutore/i» apresentarsi davanti allacommissione inquirente ilgiorno 21 febbraio alle novedel mattino, per presentare imotiviper i quali il bambinoin questione non dovrebbeessere trasferito al Centro diEducazione specialediPuntoArenas.

–Mirifiuto,–diceInés.–Mi rifiuto di comparire intribunale. Porterò David allaResidencia e lo terrò lí. Sequalcuno chiede dove siamo,di’ che siamo andati su anord.

– Per favore ripensaci,Inés. Se lo fai ti trasformi inuna fuggiasca. Qualcuno allaResidencia – per esempioquel custode cosí zelante – tidenuncerà alle autorità.

Presentiamoci a questacommissione, io te e David.Diamogli la possibilità dicapirecheilbambinononhala coda, che è solo unqualunque ragazzino di seianni, troppo piccolo peressereseparatodallamadre.

– Adesso non è piú ungioco, – dice per mettere inguardia ilbambino.–Senonriesci a persuadere questagente che sei deciso a

imparare ti spediranno aPuntoArenasealfilospinato.Prendi il tuo libro. Ora deviimpararealeggere.

–Maiosoleggere,–diceilbambinoconariapaziente.

– Sai leggere solo nel tuomodoinsensato.Tiinsegneròaleggerecomesideve.

Ilbambinotrotterellafuoridalla stanza e ritorna col suoDon Chisciotte e lo apre allaprima pagina. – Da qualche

parte nella Mancia, – leggelentamente ma senzaincertezze, dando a ogniparolailsuogiustopeso,–inunluogodicuinonricordoilnome viveva un gentiluomoche possedeva un ronzinoscheletricoeuncane.

–Ottimo.Macomefaccioa sapere che non l’haiimparato a memoria? –Sceglie una pagina a caso. –Leggi.

–Diosolosasecisiaonouna Dulcinea a questomondo,–leggeilbambino,–se sia una fatansia o non siaunafatansia.

–Fantasia.Continua.– Queste non sono cose

chepossanoesseredimostratevere o false. Io non l’hoprocreata e neppure l’hopartorita. Che vuol direprocreare?

– Don Chisciotte sta

dicendo che non è il padre eneppure la madre diDulcinea. Procreare è quelloche fa il padre per aiutare lamadre a fare il bambino.Vaiavanti.

– Io non l’ho procreata eneppure l’ho partorita,ma lavenerocomevavenerataunasignora di virtú tali da farlavenerare in tutto il mondo.Checos’èvenerare?

– Venerare è adorare.

Perchénonmiavevidettochesapevileggere?

–Iotel’avevodetto,matunonmistaviasentire.

– Facevi finta di nonsaperlo fare. E sai anchescrivere?

–Sí.– Prendi lamatita e scrivi

quellochetileggo.–Non ho unamatita. Ho

lasciato le matite a scuola.

Dovevi recuperarle tu.Me lohaipromesso.

–Nonl’hodimenticato.– Per il mio prossimo

compleanno posso avere uncavallo?

– Vuoi dire un cavallocomeElRey?

– No, un cavallino chepossa dormire nella miastanzaconme.

– Sii ragionevole, piccolo.Nonpuoitenereuncavalloin

unappartamento.–InéscitieneBolívar.–Sí,mauncavalloèmolto

piúgrandediuncane.– Potrei avere un

puledrino.– Un puledrino poi

diventerà un grande cavallo.Sentiunacosa.Sesaraibravoe farai vedere al señor Leónchepuoistarenellasuaclasse,ticompreremounabicicletta.

– Non voglio una

bicicletta.Non si può salvarelagenteinbicicletta.

– Molto bene. Il cavallononloavrai.Finedeidiscorsi.Scrivi: «Dio solo sa se unaDulcinea esista in questomondo oppure no». Fammivedere.

Il bambino gli mostra ilsuo quaderno. Deos sabe sihay Dulcinea o no en elmundo, legge: la scritturaprocede sulla riga, dritta, da

sinistra a destra; le letteresonoperfettamentetracciateedistanziate.–Straordinario!–dice – Solo una piccolaosservazione:inspagnoloDiosiscriveDios,nonDeos.Perilresto,ottimo.Perfetto!Ecosísapevileggereescriveredaunpezzoe ci raggiravi tutti:me,tuamadreeilseñorLéon.

–Non vi raggiravo. Chi èDio?

–«Diosolosa»èunafrase

fatta. Un modo per dire chenessunolosa.Nonpuoi...

–Dioènessuno?– Non cambiare discorso.

Dio non è nessuno ma vivetroppolontanodanoiperchési possa conversare o avere ache fare con lui. Quantoall’interrogativo se si accorgao meno di noi, Dios sabe.Cosa diremo alla señoraOtxoa?Cosadiremoal señorLéon? Come faremo a

spiegare che facevi lo scemoconloro,echesapevi leggeree scrivere da un pezzo? Inés,vieni qui! David ti devemostrareunacosa.

Le passa il quaderno delbambino. Legge. – Chi èDulcinea?–chiede.

–Nonimporta,èladonnaamata da Don Chisciotte.Non è una donna vera, è unideale.Un’ideanellamentedilui. Guarda come ha scritto

benelelettere.Sapevaleggereescriveredaunpezzo.

–Macertochesascrivere.Puòfarequalsiasicosa:nonèvero,David?Puoi fare quelloche vuoi. Sei il tesoro di tuamadre.

Con in faccia un grandesorriso (che a lui sembra)autocompiaciuto, David siarrampica sul letto e tende lebraccia alla madre che losollevanelsuoabbraccio.Con

gli occhi chiusi si rinserranellasuabeatitudine.

– Torniamo a scuola, –annuncialuialbambino,–io,teeInés.CiporteremodietroDon Chisciotte. Faremovedere al señor León che saileggere. E una volta fattoquesto gli dirai quanto tidispiace di aver creato tantoscompiglio.

– Io non torno a scuola.Non ne ho bisogno. So giàleggereescrivere.

– La scelta non è piú tratornarenellascuoladelseñorLeónorimanereacasa.Ètrala scuola del señor León e lascuola col filo spinato. E poila scuola non serve solo aimpararealeggereeascriverema anche a imparare asocializzare con gli altriragazzi e le altre ragazze. È

per imparare a essere unanimalesociale.

– Non ci sono bambinenellaclassedelseñorLéon.

– Sí. Ma le incontriall’intervallo e dopo la finedellelezioni.

– Non mi piacciono lefemmine.

–Questo lo dicono tutti imaschi.Poi improvvisamenteungiornosi innamoranoesisposano.

–Iononmisposo.–Questo lo dicono tutti i

bambini.–Tunonseisposato.– Sí, ma sono un caso

speciale.Sonotroppovecchiopersposarmi.

–PuoisposareInés.–Houn rapporto speciale

con tua madre, David, unrapporto che sei troppopiccolo per capire. Non diròpiúaltroinmeritosenonche

non si trattadiuna relazionematrimoniale.

–Perchéno?– Perché dentro ciascuno

di noi c’è una voce, qualchevolta detta la voce del cuore,che ci dice che tipo disentimentonutriamoperunapersona. E il sentimento cheio nutro per Inés è piú dibenevolenzachediamore,deltipodiamorematrimoniale.

– E il señor Daga la

sposerà?– È questo che ti

preoccupa?No, dubito che ilseñorDagavogliasposaretuamadre.IlseñorDaganonèiltipo da matrimonio. E poi ègiàfelicementeaccoppiato.

–IlseñorDagadicecheluie Frannie fanno i fuochi diartificio. Dice che fanno ifuochid’artificiosottolaluna.Dice che posso andare avedere.Posso?

–No,nonpuoi.Quandoilseñor Daga parla di fuochid’artificio non si riferiscedavveroaifuochid’artificio.

–Invecesí!Hauncassettointero pieno di fuochid’artificio. Lui dice che Inésha dei seni perfetti. Dice cheha i seni piú perfetti delmondo. Dice che la sposeràper i suoi seni e che farannodeibebé.

– Dice questo, davvero!

Bene, Inésavrà le sue idee inmerito.

– Perché non vuoi che ilseñorDagasposiInés?

– Perché se tua madre sivolesse davvero sposarepotrebbe trovare un maritomigliore.

–Chi?– Chi? Non lo so. Non

conosco tutti gli uomini checonosce lei. Lei deve

conoscere tante persone allaResidencia.

– Non le piacciono gliuomini alla Residencia. Dicechesonotroppovecchi.Acheservonoiseni?

– La donna ha i seni perallattareilsuobambino.

–C’è il latte dentro i senidi Inés? Avrò latte nei seniquandosarògrande?

– No. Crescerai ediventerai un uomo e gli

uomini non hanno veri epropri seni. Solo le donneproducono latte dai seni. Isenimaschilisonoasciutti.

–Anche io voglio avere illatte! Perché non possoaverlo?

–Te l’hodetto,gliuomininonfannoillatte.

– Che cosa fanno gliuomini?

– Il sangue. Gli uominifanno il sangue. Se un uomo

vuole dare qualcosa del suocorpo, dà il sangue. Va inospedale e dà il sangue allepersone malate o che hannoavutounincidente.

–Perfarleguarire?–Perfarleguarire.– Io vogliodare il sangue.

Possodarlopresto?– No. Dovrai aspettare di

essere piú grande e di averepiú sangue in corpo. Ora c’èqualcos’altro che ti volevo

chiedere. Ti complica le cosea scuola il fatto di non avereunpadre regolare, come tuttigli altri bambini? Di averesolome?

–No.– Ne sei certo? Perché la

señoraOtxoa,lasignoradellascuola,cihadettocheforsetipreoccupava non avere unpadreveroeproprio.

– Non sono preoccupato.Non sono preoccupato di

nulla.–Mifapiaceresentirtidire

questo.Perchésai,ipadrinonsono molto importanti,rispetto alle madri. Lamammatimettealmondo.Tidàillatte,cometiaccennavo.Ti tiene in braccio e tiprotegge.Mentre un padre avolte può essere un po’giramondo come DonChisciotte, e spesso non c’èquando ne hai bisogno. Dà

una mano a farti, all’inizio,mapoivaavantiequandotuarrivi nel mondo può esseregià svanito in cerca di nuoveavventure.Perquestocisonoi padrini, i buoni e solidipadrini e gli zii. Cosí chementre il padre è via, c’èqualcuno che ne prende ilposto, qualcuno su cui potercontare.

– Tu sei il mio padrino omiozio?

– Tutti e due. Puoipensarmicomevuoitu.

–Chiè ilmioveropadre?Comesichiama?

– Non lo so. Dios sabe.Forse era nella lettera cheportavi ma che è andataperduta,mangiatadaipesci,eversare lacrime non ce lariporterà e, come ho detto,capita spesso di non saperechi è il padre. Perfino lamadre non sempre lo sa con

certezza. Allora: sei pronto aincontrare il señor Léon?Prontoafarglivederequantoseiintelligente?

Capitoloventiseiesimo

Aspettano pazientementeun’ora davanti all’ufficioscolastico, fino a che non ha

suonatol’ultimacampanellaenon si è svuotata l’ultimaclasse. Il señor León passa,cartella in mano, diretto acasa. È chiaro che non gli fanessunpiacerevederli.

– Solo cinque minuti,señor León, – implora lui. –Vogliamo mostrarle iprogressi fatti daDavid nellalettura. Per favore.David, faivedere al señor León comeleggi.

IlseñorLeónfalorosegnodi entrare nella sua classe.David apreDonChisciotte. –Da qualche parte nellaMancia, in un luogo di cuinon ricordo il nome, vivevaungentiluomochepossedevaunronzinoscheletrico...

Il señor León lointerrompe perentoriamente.– Non sono disposto adascoltare una recita –.Attraversa l’aula a grandi

passi, spalanca un armadio,torna con un libro che apredavanti al bambino. –Leggimelo.

–Dovedevoleggere?–Leggidalprincipio.– Juan e María vanno al

mare. Oggi Juan e Maríavanno al mare. Il padreannuncia che forse verrannoanche i loro amici, Pablo eRamona. Juan e María sono

entusiasti. La mamma fa ipaniniperlagita.Juan...

– Basta! – dice il señorLeón.–Comehaiimparatoaleggereinduesettimane?

–Hapassatomoltotemposul Don Chisciotte, –intervienelui,Simón.

–Lasciparlareilbambino,–diceilseñorLeón.–Senonsapevi leggere due settimanefa, com’è possibile che tusappialeggereoggi?

Ilbambinoalzalespalle.–Èfacile.

–Moltobene.Se leggereècosífaciledimmichecosahailetto. Raccontami una storiadelDonChisciotte.

– Cade in un buco dellaterraenessunosadovesia.

–Sí?–Poifuggeconunacorda.–Epoi?– Lo chiudono in una

gabbiae lui se la fasotto,nei

calzoni.– E perché lo fanno,

perchélorinchiudono?–Perchénoncredonoche

siaDonChisciotte.–No.Lofannoperchénon

esisteunapersonacomeDonChisciotte. Perché DonChisciotte è un nomeinventato. Lo voglionoriportare a casa perché possatornareinsé.

Il bambino lancia a lui,

Simón,un’occhiataincerta.–David interpreta il libro

a modo suo, – dice al señorLeón. – Ha una vividafantasia.

IlseñorLeónnonsidegnadi rispondere.– JuanePablovanno a pesca, – dice lui. –Juan prende cinque pesci.Scrivi alla lavagna: cinque.Pablo prende tre pesci.Scrivilo sotto il cinque: tre.

Quanti pesci prendonoinsieme,JuanePablo?

Il bambino in piedidavanti alla lavagna, tiene gliocchi serrati, come percaptareunaparola lontana.Ilgessononsimuove.

– Conta. Conta: uno duetre quattro cinque. Oracontane ancora tre. Quantofa?

Ilbambino scuote la testa.–Nonlivedo,–diceconuna

vocinaesile.–Checosanonvedi?Non

haibisognodi vedere i pesci,basta che vedi i numeri.Guarda i numeri. Cinque epoialtritre.Quantofa?

– Questa volta... questavolta...–dice ilbambinoconlastessavocinaflebileesenzavita,–fa...otto.

– Bene. Traccia una lineasotto il tre, e scrivi otto.Allora per tutto il tempo hai

fatto finta di non sapercontare. Adesso facci vederecome scrivi. Scrivi: Convieneque yo diga la verdad, devodire la verità. Scrivilo: Con-viene.

Scrivendo da sinistra adestra, tracciando le letterebene anche se lentamente, ilbambino scrive: Yo soy laverdad,iosonolaverità.

– Vede, – dice il señorLeón,rivolgendosiaInés.–È

con questo che ho dovutocombatteretuttiisantigiorniquando suo figlio era nellamiaclasse.Vogliodire:cipuòessere solo un’autorità inclasse,nonpossonoessercenedue.Nonèvero?

– Lui è un bambinoeccezionale, – dice Inés. –Cherazzadiscuolaèlasuasenon è in grado di gestire unsolobambinoeccezionale?

– Rifiutare di stare a

sentireilmaestrononimplicaunbambinoeccezionale, solounbambinodisubbidiente.Seinsiste ad avere untrattamento speciale per suofiglio lo mandi a PuntoArenas. Lí sanno comeoccuparsi di bambinieccezionali.

Inés s’inalbera, lo sguardoacceso. – Dovrà passare sulmio cadavere per andare a

PuntoArenas!–dice.–Vieni,tesoromio!

Con cura il bambinoripone il gesso nella suacassetta. Senza guardare né adestrané a sinistra segue suamadrefuoridall’aula.

Alla porta Inés si volta elanciaunultimostralecontroil señor León: – Lei non èadatto per insegnare aibambini!

IlseñorLeónalza lespalle

indifferente.

Con i giorni,l’indignazione di Inés non fache aumentare. Passa ore altelefono a parlare con i suoifratelli, facendo e disfacendoil progetto di lasciareNovillaericominciareunavitanuovaaltrove, fuori dallagiurisdizione delle autoritàscolastiche.

Quantoalui,rimuginandosull’episodio in classe, trovapiú difficile sentirsiprevaricato. Non gli piacel’autocratico señor León; èd’accordo con Inés sul fattoche non dovrebbe occuparsidibambinipiccoli.Maperchéilbambinoopponeunasimileresistenza all’istruzione? Saràsolo un innato spirito ribelleche si accende in lui,alimentato dalla madre, o il

dissidio tra allievo e maestroha una qualche ragionespecifica?

Prende da parte ilbambino. – So che il señorLeónpuòavolteesseremoltosevero,–dice,–evoiduenonsietesempreandatid’accordo.Stocercandodicapireperché.Il señorLeón ti hamaidettoqualcosa di sgradevole chenoncihairiferito?

Il bambino gli rivolge

un’occhiataconfusa.–No.– Come ho detto, non dò

la colpa a nessuno, sto solocercando di capire. C’èqualchemotivopercuinontipiace il señorLeón,aparte ilfattocheèsevero?

–Haunocchiodivetro.–Questoloso.Forseloha

persoinunincidente.Forseèun tema delicato per lui.Manon possiamo dichiarare

guerra alla gente solo per viadiunocchiodivetro.

– Perché dice che nonesiste Don Chisciotte? Sí chec’è Don Chisciotte. È nellibro.Salvalepersone.

– Vero, nel libro c’è unuomo che si definisce DonChisciotteesalvalagente.Maalcunedellepersonechesalvanon vogliono veramenteessere salvate. Stanno benecomestanno.Siinfurianocon

Don Chisciotte e urlanocontrodilui.Diconochenonsa quello che fa, che turbal’ordinesociale.IlseñorLeónama l’ordine, David. Ama lacalma e l’ordine nella suaclasse. Ama l’ordine nelmondo. Non c’è niente dimale in questo. Il caos puòesseremoltofastidioso.

–Checosaèilcaos?– Te l’ho detto l’altro

giorno. Il caos èquandonon

c’è ordine, non ci sono leggicui aggrapparsi. Il caos è unturbinare delle cose. Non sodescriverlomeglio.

–Ècomequandoinumerisiapronoetucadi?

– No, non è cosí,assolutamente no. I numerinon si aprono mai. Con inumeri stiamo sicuri. Inumeri sono ciò che tieneinsieme l’universo. Dovrestifareamiciziaconinumeri.Se

tu fossi piú bendisposto neiloro confronti loro losarebbero nei tuoi. E alloranon dovresti temere che ticedanosottoipiedi.

Parlanelmodopiú francochegli riesce,e sembrache ilbambino lo ascolti. – PerchéInéslitigavacolseñorLeón?–chiede.

– Non litigavano. Hannoavutounadiscussioneaccesa,di cui probabilmente ora si

pentono entrambi, ora chehanno avuto tempo diriflettere.Maquestononvuoldire litigare. Le parole fortinoncoincidonoconla lite.Avolte bisogna battersi percoloro che amiamo. Tuamadre si è battuta per te. Èquello cheunabuonamadre,una madre coraggiosa, èpronta a fare per i suoi figli:battersi per loro, proteggerli,fintanto che avrà un po’ di

fiatoincorpo.Dovrestiesserefierodiavereunamadrecosí.

–Inésnonèmiamadre.– Inés è tua madre. Lei è

unaveramadreperte.Leièlatuaveramadre.

–Miporterannovia?–Chitiporteràvia?–QuellidiPuntoArenas.– Punto Arenas è una

scuola. Gli insegnanti diPuntoArenasnonrapisconoi

bambini. Non è cosí chefunzionailsistemascolastico.

– Non voglio andare aPunto Arenas. Prometti chenonlasceraichemiprendano.

–Prometto.Ioetuamadrenonpermetteremoanessunodi mandarti a Punto Arenas.Hai visto che tigre è tuamadre quando si tratta didifenderti. Non farà passarenessuno.

L’udienza si svolge nellasede centrale delDipartimento scolastico diNovilla. Lui e Inés sipresentano all’ora prevista.Dopo una breve attesavengono scortati in un’aulaimmensaeriecheggiante,confile e file di sedili vuoti. Infondo, su un alto seggio cisono due uomini e unadonna: giudicio esaminatori.

Il señor León è già arrivato.Nonsisalutano.

– Siete i genitori delbambino, David? – chiede ilgiudicealcentro.

– Sono la madre, – diceInés.

–Eiosonoilsuopadrino,–dicelui.–Nonhaunpadre.

–Suopadreèmorto?–Suopadreèsconosciuto.–Conchidivoidueviveil

bambino?

– Il bambino vive con lamadre. Io e sua madre nonviviamo insieme. Nonabbiamo una relazioneconiugale. E tuttavia noi tresiamo una famiglia. Inqualche modo. Entrambi cidedichiamo a David. Io lovedotuttiigiorni,oquasi.

– Ci risulta che David siaandato a scuola per la primavoltaagennaio,echesiastatoassegnatoallaclassedelseñor

Leon. Poi, dopo qualchesettimana, sietestatichiamatiacolloquio.Giusto?

–Giusto.–Eche cosavihadetto il

señorLeon?– Ha detto che David era

indisciplinato e che i suoiprogressi erano scarsi. Haraccomandato di toglierlodallasuaclasse.

–SeñorLeón,giusto?Il señor León annuisce. –

Nehodiscussocon la señoraOtxoa, la psicologa dellascuola. Siamo giunti allaconclusione che la cosamigliore per David sarebbestata il trasferimento allascuoladiPuntoArenas.

Il giudice si guardaintorno.–La señoraOtxoa èpresente?

Un funzionario deltribunale gli mormoraqualcosa all’orecchio. Il

giudiceannuncia:–LaseñoraOtxoa non può presenziarema ha mandato un rapportoche... – sfoglia le cartesottomano, – che, come dicelei,señorLeón,raccomandailtrasferimentoaPuntoArenas.

Parlailgiudiceasinistra.–Señor León, potrebbespiegare perché ritienenecessario tale trasferimento?Si direbbe unamisura molto

severa,mandare un bambinodiseianniaPuntoArenas.

–Señora,hododiciannidiesperienza di insegnamento.Intuttoquestotempononmièmaicapitatouncasosimile.Il bambino, David, non èstupido.Nonèhandicappato.Alcontrario:èmoltodotatoeintelligente. Ma si rifiuta dilasciarsi guidare e diimparare. Gli ho dedicatomolte ore, a spese dei suoi

compagni di classe, cercandodi indurlo ad apprendere glielementi della lettura, dellascritturaedell’aritmetica.Manon ha fatto progressi. Nonha afferrato nulla.O,meglio,ha finto di non aver appresonulla.Dicohafintoperché inrealtà sapeva già leggere escrivere quando è venuto ascuola.

–Questo è vero? – chiedeilgiudicepresidente.

–Leggere e scrivere, sí, inmodo discontinuo, –risponde lui, Simón. – Hagiorni buoni e giorni cattivi.Nel caso dell’aritmetica haincontrato delle difficoltà,difficoltà filosofiche, cosí mipiace definirle, che gliimpediscono di progredire.Lui è un bambinoeccezionale, eccezionalmenteintelligente, ed eccezionaleanche da altri punti di vista.

Haimparatodasoloaleggeredal Don Chisciotte, in unaversioneridottaperl’infanzia.Menesonoresocontosolodirecente.

–Ilpuntoindiscussione,–diceilseñorLeón,–nonèseil bambino sappia leggere oscrivere, o chi gli abbiainsegnato, è sepossaomenoessere accolto in una scuolanormale. Iononho tempodioccuparmidiunbambinoche

si rifiuta di imparare e il cuicomportamento danneggia lenormaliattivitàdellaclasse.

–Mahaappenaseianni!–sbotta Inés. – Che razza diinsegnante è lei se non è ingrado di tenere sottocontrollo un bambino di seianni?

Il señor León s’irrigidisce.–Nonhodettochenonsonoin grado di tenere sottocontrollo suo figlio. Quello

chenonsonoingradodifareè espletare il mio dovere neiconfronti degli altri allieviquando lui è in classe. Suofiglio richiede una specialeattenzione che nonpossiamodargli inunascuolanormale.È per questo che horaccomandatoPuntoArenas.

Calailsilenzio.–Haaltrodadire,señora?

–chiedeilpresidente.Inésscuotelatestaadirata.

–Señor?–No.– Allora vi chiederei di

ritirarvi,ancheleiseñorLeón,e di attendere la nostradecisione.

Si ritirano nella sala diattesa, tutti e tre. Inés nonriesce a guardare il señorLeón. Dopo qualche minutovengono richiamati. – Ladecisionediquesto tribunale,–diceilgiudicepresidente,–

è che si accolga laraccomandazione del señorLeón, condivisa e sostenutaanche dalla psicologascolastica e dal preside. Ilbambino, David, saràtrasferitoallascuoladiPuntoArenas, e il trasferimentoandrà fatto al piú presto.Questo è tutto. Grazie peressereintervenuti.

–Vostroonore,–dice lui,– posso chiedere se abbiamo

dirittodiappello?– Potete portare la cosa

davanti al tribunale civile,ovviamente, è vostro diritto.Ma la procedura di appellonon può essere utilizzata perrimandare la decisione diquesta corte. Ovvero iltrasferimentoaPuntoArenassarà effettivoindipendentementedalvostroricorsointribunale.

–Diegociverràaprenderedomattina, – dice Inés. – Ètutto organizzato. Deve solosistemareunacosa.

– E dove hai pensato diandare?

– Come faccio a saperlo?Daqualcheparte, lontanodaquella gente e dalle loropersecuzioni.

– Ma vuoi davveropermettere a una banda diamministratori scolastici di

cacciarti dalla città, Inés?Come pensate di vivere, tu eDiegoeilbambino?

–Nonloso,comezingari,suppongo. Perché noncollabori?Invecedilimitartiasollevareobiezioni?

–Cosa sono gli zingari? –intervieneilbambino.

– Vivere come zingari èsolo unmodo di dire, – dicelui. – Io e te eravamo dellespecie di zingari quando

vivevamo nel campo diBelstar. Essere uno zingarosignifica non avere una veracasa, un luogodove posare ilcapo.Nonèdivertenteessereunozingaro.

–Dovròandareascuola?– No. I bambini zingari

nonvannoascuola.–Allora voglio essereuno

zingaroconInéseDiego.Si rivolge a Inés. – Avrei

preferitocheneavessiparlato

con me. Davvero vuoidormire sotto le siepi emangiare bacche mentrefuggidallalegge?

–Questonontiriguarda,–risponde Inés gelida. – A tenon importa se David va alriformatorio.Amesí.

– Punto Arenas non è unriformatorio.

– È una discarica didelinquenti… delinquenti eorfani. Mio figlio non andrà

inunpostocomequello,mai,mai,mai!

– Sono d’accordo con te.David non merita di esseremandato a Punto Arenas.Non perché sia una discaricama perché è troppo piccoloper essere separato dai suoigenitori.

–Ealloraperchénontiseiopposto a quei giudici?Perché ti sei inchinatoumilmente e hai detto Sí

señor,Síseñor?Noncredinelbambino?

– Certo che credo in lui.Credo che sia un bambinoeccezionale e meriti untrattamento eccezionale. Mala gente a cui fai riferimentohalaleggedallasuaenoinonsiamoincondizionedisfidarelalegge.

–Anchesenonèunaleggebuona?

– Non è questione di

buono o cattivo, Inés, èquestionedipotere.Sescappiti manderanno dietro lapoliziaelapoliziatiprenderà.Sarai dichiarata inadatta afaredamadreetitoglierannoilbambino.Luisaràmandatoa Punto Arenas e tu saraitroppo nei guai per riavernelacustodia.

–Nonmiporterannomaivia ilmiobambino.Piuttostolamorte –. Sospira. –Perché

non mi aiuti, invece diprendere le loro parti tutto iltempo?

Lui allunga la mano percalmarlamaleilocacciaviaesprofonda nel letto. –Lasciami stare! Non mitoccare! Non credi davveronel bambino. Non sai cosavogliadirecredere!

Il bambino le si chinasopra e le accarezza i capelli.Ha sulle labbra un sorriso. –

Sss, – dice; – sss –. Si sdraiaaccantoalei;siinfilailpollicein bocca; e gli occhiassumono uno sguardovitreo, assente. In pochiminutisiaddormenta.

Capitoloventisettesimo

Álvaro chiama a raccoltagli scaricatori. – Amici, –dice, – c’è un problema da

discutere. Ricorderete che ilnostro compagno, Simón,avevapropostodismetterediscaricarelestiveamanocomefacciamoediricorrereinveceaunagrumeccanica.

Gli uomini annuiscono.Lanciano un’occhiata nellasua direzione. Eugenio gli faunsorriso.

–Bene, oggi abbiamounanovitàpervoi.UncompagnodeiLavoristradalimidiceche

nel loro magazzino c’è unagrurimastafermapermesi,sevogliamo prenderla inprestitoperunaprovacidicecheèanostradisposizione.

–Chevogliamofareamici?Accettare la sua offerta?Vogliamo vedere se, comesostiene Simón, una gru cicambierà la vita? Chi vuoleprenderelaparolaperprimo?Tu,Simón?

La cosa lo coglie di

sorpresa.ÈcosípresodaInésedaisuoipianidifugachedasettimane non lo sfioranemmeno il pensiero dellegru, dei ratti o dell’economiadeltrasportodellegranaglie;edi fatto ha finito per contaresulla fatica quotidiana e sullabenedizione del sonnoprofondoesenzasognichegliinduce.

– Non io, – dice. – Hodetto quello che avevo da

dire.– Chi altro? – chiede

Álvaro.Eugenio parla. – Io dico

che dovremmo provare lagru.IlnostroamicoSimónhaunatestapensantesullespallee chissà, magari ha ragione.Forse davvero dovremomuoverci coi tempi, non losapremo mai se nonproviamo.

Un mormorio di

approvazionetragliuomini.–Alloravogliamoprovare

lagru?–diceÁlvaro.–Devodire al nostro compagno deiLavoristradalidiportarcela?

–Sí!–diceEugenio,ealzala mano. – Sí! – dicono gliscaricatoriincoro,alzandolamano.Anchelui,Simón,alzalamano.Ilvotoèunanime.

La mattina dopo arriva lagrusulcassonediuncamion.Un tempo era laccata di

bianco, ma la vernice si èscrostata e il metallo èarrugginito.Hal’ariadiessererimasta sotto la pioggia perun bel pezzo. È anche piúpiccola di come se laaspettava. Corre su binari diacciaio sferraglianti; ilmanovratore siede in unacabinaaldisopradeibinari,eadopera icomandiche fannoruotare il braccio e girarel’argano.

Ci vuole quasi un’ora perfar scivolare la macchina giúdalcamion.L’amicodiÁlvarodella Lavori stradali èimpaziente di andarsene. –Chilaguiderà?–chiede.–Iogli farò una velocepresentazione dei comandi epoidevoscappare.

–Eugenio!–gridaÁlvaro.– Tu ti sei espresso a favoredellagru.Vorrestiguidarla?

Eugeniosiguardaattorno.

– Se nessun altro vuole, lofaròio.

– Bene! Allora il lavoro ètuo.

Eugenio imparavelocemente.Inmenchenonsidicamanovracondestrezzala piccola gru su e giú per ilmolo, facendo ruotare ilbraccio da cui pende ungancio che oscillavivacemente.

– Gli ho insegnato quel

che potevo, – dice ilmanovratore ad Álvaro. –Fatelo lavorare con cautela iprimi giorni e non avràproblemi.

Ilbracciodellagruèlungoproprio quanto basta adarrivare sul ponte della nave.Gli scaricatori portano su isacchi uno alla volta dallastiva, come facevano prima;maora, invecediportarligiúper la passerella, li lasciano

cadere suuna imbracaturaditela.Quandoilprimocaricoèpieno lanciano una voce aEugenio. Il gancio afferra lafascia; la corda d’acciaio sitende; la fascia s’innalza aldisopradellerotaiesulponteedEugenio, con un gestoplateale, fa fare al carico unlargogirotracciandounarco.Gli uomini lanciano grida digioia, subito trasformate ingrida di allarme quando il

carico va a sbattere sullabanchina e comincia a giraresu se stesso e a sbandareincontrollabile. Gli uomini sidisperdono, tutti salvo lui,Simón, troppo assorto neisuoipensieripercapirequelloche sta succedendo o troppolento nel muoversi. Per unattimo vede Eugenio che loguardadall’altodellacabina,edice parole che lui non puòsentire.Poiilcaricooscillante

lo colpisce allo stomaco e lobuttaaterrasullaschiena.Luibarcollaesbattesuunpaletto,inciampa su una corda, eruzzola giú tra la banchina ele lastre di acciaio del cargo.Per un attimo rimane lí, cosístretto che gli fa malerespirare. È acutamenteconsapevole che la minimaoscillazione della navebasterebbe a schiacciarlocome un insetto. Poi la

pressione si allenta e luiscivolagiú,dritto,nell’acqua.

– Aiuto! – rantola. –Aiutatemi!

Un salvagente sbatte sullasuperficie dell’acqua accantoa lui, con le sue vivaci fascebianche e rosse. Dall’altoarriva la voce di Álvaro: –Simón! Ascolta! Aggrappatichetitiriamosu.

Lui si aggrappa alsalvagente; come un pesce

viene trascinato lungo labanchinafinoalmareaperto.DinuovolavocediÁlvaro:–Tienitifortechetitiriamosu!– Ma quando il salvagentecomincia a salire il dolore èimprovvisamente troppoforte.Lui allenta lapresa e siritrova in acqua. È tuttoricoperto di petrolio, negliocchi, in bocca. «È questaallora la fine? – si dice. –

Come un ratto? Cheumiliazione!»

Ma adesso Álvaro gli èaccanto,galleggianell’acqua,icapelliincollatiallatestaperilpetrolio. – Rilassati, amicomio,–diceÁlvaro.–Tireggoio –. Grato, si rilassa tra lebracciadiÁlvaro.–Tiratesu!– grida Álvaro; e i due,avvinghiati, emergonodall’acqua.

Quando torna in sé è

confuso. Sdraiato sullaschienaguarda il cielovuoto.Intornoa lui figureindistinteeilronzarediparolechenonriesce a distinguere. Gli sichiudono gli occhi e perdecoscienzadinuovo.

Quando si risveglia c’è unrumore battente. Un rumoreche sembra provenire dadentro,dadentrolasuatesta.– Svegliati, viejo! – dice unavoce.Apregliocchievedeun

voltograssoesudatosopradisé. «Sono sveglio», vorrebbedire, ma la sua voce sembraesseremorta.

– Guardami! – dicono lelabbra carnose. – Mi senti?Sbattilepalpebresemisenti.

Lesbatte.– Bene. Ora ti faccio

un’iniezione di analgesico, epoitiliberiamodaqui.

Analgesico? «Non sentodolore, – vorrebbe dire. –

Perché dovrei provaredolore?» Ma qualunque cosasia a parlare in lui, oggi nonparla.

Poiché è membro delsindacato degli scaricatori –affiliazione di cui fino a ogginon era al corrente – hadirittoaunastanzasingolainospedale.Edèassistitodaunasquadra di infermiere

premurose, a una delle quali,una donna di mezza età dinomeClaracongliocchigrigie un sorriso gentile, siaffeziona nelle settimane cheseguono.

L’opinione generalesembra essere che se la siacavata bene, visto il tipo diincidente. Si è rotto trecostole. La scheggia di unosso gli ha bucato unpolmone, e rimuoverla ha

reso necessaria una piccolaoperazione (vuole forseconservare quella scheggiaperricordo?Èinunafialasulcomodino).Sulvisohataglielividi e anche sulla partesuperioredel corpo lapelle èscorticata, ma non ci sonosegni di danni cerebrali.Ancora qualche giorno inosservazione, ancora qualchesettimana di riposo e torneràaesserel’uomodiprima.Nel

frattempo bisogneràsoprattuttosedareildolore.

Il suo visitatore piúcostante è Eugenio, pieno dirimorso per la suaincompetenzaallagru.Simóncerca di fare del suo meglioper confortare il giovane –Come hanno potuto pensaredi farti manovrare unamacchina del genere in cosípoco tempo? – ma Eugeniononsiconsola.Ognivoltache

emerge dal suo torpore c’èquasi sempre Eugenio, chinosu di lui, che nuota nel suocampovisivo.

Anche Álvaro va atrovarlo, e cosí pure icompagni del porto. Álvaroha parlato con i medici eporta lanotizia che, anche sepuò aspettarsi una ripresapiena,nonsarebbesaggioperlui, alla sua età, tornare allavitadelloscaricatore.

– Forse posso diventareoperatore di gru, – ipotizzalui. –Non potrei fare peggiodiEugenio.

– Se vuoi fare ilmanovratore di gru devitrasferirti a lavorare per laLavori stradali, – rispondeÁlvaro.–Legrusonotroppopericolose. Non hanno unfuturo qui al porto. Le grunonsonomaistateunabuonaidea.

Spera che Inés lo vada atrovare ma non è cosí. Luiteme il peggio, che abbiamesso in atto il piano diprendere il bambino efuggire.

Parla della suapreoccupazione con Clara. –Houn’amica,–dice,–conunfigliopiccolocheamomolto.Perragionichenontistaròaspiegare le autoritàscolastiche hannominacciato

di portarle via il bambino emandarlo in una scuolaspeciale. Potrei chiederti unfavore? Potresti chiamarla echiederle se ci sono statisviluppinellafaccenda?

–Certo,–diceClara.–Manon vorresti parlarledirettamente? Posso portartiiltelefonoaletto.

LuitelefonaaiBlocchi.Unvicinorispondealtelefono,lolascia, poi ritorna, e riferisce

che Inés non è in casa. Piútardi, quello stesso giorno,richiama, e di nuovo senzasuccesso.

La mattina seguente,presto, inquello spazio senzanome tra sonno e veglia, haun sogno o una visione. Lavisione straordinariamentenitida di una biga chegalleggia nell’aria ai piedi delletto.Labigaèdiavorioodiun qualchemetallo intarsiato

di avorio, ed è tirata da duecavalli bianchi nessuno deiquali è El Rey. Reggendo leredini con una mano, l’altrasollevata in un gesto regale,c’èilbambino,nudosalvoperunperizomadicotone.

Come possano una biga edue cavalli entrare in quellapiccola stanza di ospedale èper lui un mistero. La bigasembrasospesanell’ariasenzaalcuno sforzo per i cavalli né

per l’auriga. Tutt’altro chepietrificati,icavalliscalpitanonell’ariaoscrollanoilmusoesbuffano.Quantoalbambino,non sembra stancarsi ditenere il braccio alzato. Infaccia ha un’espressione bennota di autocompiacimento,forsequasiditrionfo.

A un certo punto ilbambino lo guarda fisso.«Leggiminegliocchi»,sembradire.

Il sogno, o visione, duradueotreminuti.Poisvaniscee la stanza torna a esserequellacheera.

Lo racconta a Clara. –Credi nella telepatia? –chiede. – Ho avuto lasensazione che David stessecercandodidirmiqualcosa.

–Echecosa?–Nonloso.Forsecheluie

sua madre hanno bisogno diaiuto. O forse no. Il

messaggio era… come possodire?Oscuro.

– Bene, ricordati chel’antidolorificochetidànnoèun oppiaceo. Gli oppiaceiproducono sogni. Sogni daoppio.

–Manoneraunsognodaoppio.Erareale.

Da quel momento in poi,rifiuta gli antidolorifici, e diconseguenzasoffre.Lanotteèilmomentopeggiore,ancheil

minimo movimento glitrasmette una scossa elettricaaltorace.

Non ha niente perdistrarsi, niente da leggere.L’ospedalenonhabibliotecaepassa solo vecchie copie diriviste popolari (cucina,hobby,moda).SilamentaconEugenio, che reagisceportandogli i testi del suocorsodi filosofia («Soche seiunapersonaseria»).Illibro–

cometemeva–parladitavolie sedie. Lomette da parte. –Mispiace,nonèilmiogeneredifilosofia.

– Che tipo di filosofia tipiacerebbe?–chiedeEugenio.

– Il genere che ti scuote.Cheticambialavita.

Eugenioglidàun’occhiataperplessa. –C’è qualcosa chenonvanellatuavitaallora?–chiede.–Aparteleferite.

– Manca qualcosa,

Eugenio. So che nondovrebbeesserecosí,maloè.Lavitachevivononmibasta.Vorrei che qualcuno, unsalvatore,scendessedalcieloeagitasse la sua bacchettamagicaedicesse:«Ecco, leggiquesto libro e troverairisposta a tutti i tuoiinterrogativi».Oppure:«Ecco,questa èunavita tuttanuovaperte».Tunoncapisciquestotipodidiscorso,nonèvero?

– No, non posso dire dicapirlo.

–Non importa. È solo unumore passeggero. Domanisarò di nuovo quello disempre.

Dovrebbe organizzarsi perquando verrà dimesso, glidice il medico. Ha un postodove stare?C’è qualcuno checucinerà per lui, che sioccuperàdi luieglidaràunamano durante la

convalescenza? Vorrebbeparlare a un’assistentesociale? – Nessun assistentesociale, – risponde lui. – Milasci discutere la cosa con imiei amici e vedere cosariusciamoaorganizzare.

Eugenio gli offre unastanza nell’appartamento chedivideconduecompagni.Perlui,Eugenio,andràbenissimodormire sul sofà. LuiringraziaEugeniomadeclina.

Dietro sua richiesta,Álvarosiinformasullecasedicura. Nei Blocchi Ovest,riferisce,c’èunastrutturache,puressendodedicataallacuradegli anziani, prende anche iconvalescenti. Chiede adÁlvarodi iscriverlonella listadiattesadella struttura.–Mivergognounpo’adirlo,–glidice, – ma spero si liberi unposto a breve. – Se non c’èmalevolenza nel tuo cuore, –

lo rassicura Álvaro, – misembra sia una speranzaammissibile. – Ammissibile?–chiedelui.–Ammissibile,–confermaÁlvaro.

Poi, all’improvviso, le suesofferenze scompaiono. Dalcorridoio arriva il suono divociallegreegiovani.Clarasiaffaccia sulla porta. – Haivisite,–annuncia.Poisifadaparte,eFideleDavidentranodi corsa seguiti da Inés e

Álvaro. – Simón! – gridaDavid. – Sei davvero cadutoinmare?

Il cuore gli balza in petto.Cautamente tende le braccia.– Vieni qui! Sí, ho avuto unpiccolo incidente, sonocaduto in acquamami sonoappenabagnato. Imiei amicimihannotiratofuori.

Il bambino si arrampicasull’alto letto, urtandolo eproducendogli fitte di dolore

acutissimo.Ma il dolore nongli importa. – Bambino miocarissimo! Tesoro mio! Lucedellamiavita!

Ilbambinosidivincoladalsuo abbraccio. – Sonoscappato, – annuncia. – Tel’avevo detto che sareiscappato. Ho superato il filospinato.

Scappato? Superato il filospinato? È confuso. Che stadicendoilpiccolo?Eperchéè

vestito in modo cosí strano:una maglietta aderente colcollo alto, pantaloncini corti(moltocorti), scarpeecalzinibianchi che gli coprono amalapena le caviglie? –Grazie, grazie a tutti, peressere venuti, – dice, – ma,David… da dove seiscappato? Stai parlando diPunto Arenas? Ti hannoportatoaPuntoArenas?Inés,

hai permesso che loportasseroaPuntoArenas?

–Nonl’hopermesso.Sonoarrivati mentre era fuori chegiocava. L’hanno messo inmacchina e l’hanno portatovia.Comepotevofermarli?

– Non avevo idea chepotessero arrivare a questo.Ma tu, David, sei scappato?Raccontami. Raccontamicomehaifattoafuggire.

Álvaro li interrompe. –

Prima di questo, Simón,possiamo parlare del tuotrasferimento? Quando crediche sarai in grado dicamminare?

–Non può camminare? –chiede il bambino. – Nonpuoicamminare,Simón?

– Ancora per pochissimoavròbisognodi aiuto.Fino ache le fitte e i dolori nonsarannopassati.

–Timuoveraiconlasedia

arotelle?Possospingerti?–Sí,mipuoispingeresulla

sedia a rotelle, basta chenoncorri troppo. Anche Fidelpotràspingermi.

–Ilmotivopercuichiedo,– dice Álvaro, – è che hocontattato di nuovo quellidella casa di cura. Ho dettoloro che prevedevi di avereuna ripresa totale e che nonavresti avuto bisogno di curespeciali. In quel caso, hanno

detto, ti possono ammetteresubito, semprechenontidiafastidiocondividerelastanza.Come la vedi? Risolverebbetantiproblemi.

Dividere la stanza con unaltro vecchio. Che la notterussa e sputa nel fazzoletto esi lamenta della figlia che lohaabbandonato.Cheèpienodi risentimento contro ilnuovo arrivato, che gli hainvaso lo spazio. –Certo che

nonhoproblemi,–dice.–Èun sollievo sapere doveandare. È un peso in menosulle spalle di tutti. Grazie,Álvaro, per esserteneoccupato.

– E naturalmente pagheràil sindacato, – diceÁlvaro. –Per il tuo soggiorno, i tuoipasti e tutte le tue esigenzementreseilí.

–Bene!– Bene. Ora devo tornare

al lavoro.Ti lascioaInéseairagazzi, sono certo cheavranno tante cose daraccontarti.

È una fantasia sua, o Inésha lanciato un’occhiatafurtiva ad Álvaro mentreusciva?«Nonmi lasciaresolacon lui, con quest’uomo chestiamo tradendo!»Parcheggiato in una qualchestanza asettica dei lontaniBlocchi Ovest, dove lui non

conosceun’anima.Lasciato lía marcire. «Non mi lasciareconlui!»

– Siediti, Inés. David,raccontami la tua storia dalprincipio alla fine. Nontralasciarenulla.Abbiamounsaccoditempo.

– Sono scappato, – dice ilbambino. – Te l’avevo dettoche l’avrei fatto.Ho superatoilfilospinato.

– Ho ricevuto una

telefonata, – dice Inés. – Daunatotalesconosciuta.Dicevadi aver trovato David chevagava per la strada senzavestiti.

–Senzavestiti?Sei fuggitoda Punto Arenas, David,senza vestiti? Quando èsuccesso?Nessunohacercatodifermarti?

–Ho lasciato imieivestitisul filo spinato.Non ti avevopromesso che sarei scappato?

Posso scappare da qualsiasiluogo.

– E dove ti ha trovatoquestasignora, lasignorachehatelefonatoaInés?

–Lohatrovatoperstrada,albuio,nudoeinfreddolito.

– Non avevo freddo. Noneronudo,–diceilbambino.

– Non avevi nienteaddosso,–diceInés.–Questosignificacheerinudo.

–Lasciaperderequesto, –

la interrompe lui, Simón. –Perché la signora hacontattato te, Inés? Perchénon la scuola? Sarebbe stataquellalacosaovviadafare.

– Lei odia la scuola. Tuttilaodiano,–diceilbambino.

–Èdavverounposto cosíterribile?

Il bambino annuiscevigorosamente.

Per la prima volta parlaFidel.–Tipicchiavano?

– Se non hai compiuto iquattordici anni non tipossono picchiare. Aquattordici anni possonopicchiarti perinsubordinazione.

– Racconta a Simón delpesce,–diceInés.

– Tutti i venerdí cifacevanomangiareilpesce.Ioodio il pesce –. Il bambinorabbrividisce in modo

plateale. – Hanno gli occhicomeilseñorLeón.

Fidel ridacchia. Dopo unattimo idueragazzini ridonoacrepapelle.

–Cos’altroc’eradiorribilea Punto Arenas a parte ilpesce?

– Ci facevano portare isandalienonpermettevanoaInés di venirmi a trovare.Dicevano che non era miamadre. Dicevano che ero

sotto tutela, come uno chenonhamadrenépadre.

–Chescemenza!Inésètuamadre e io sono il tuopadrino, che va bene quantoun padre, anzi a volte anchemeglio.Ilpadrinotiprotegge.

–Tunonmihai protetto.Hai lasciato che miprendesseroemiportasseroaPuntoArenas.

– Giusto. Sono stato uncattivo padrino. Ho dormito

invece di vegliare.Ma adessoho imparato la lezione. Mioccuperò meglio di te infuturo.

– Li combatterai setornano?

– Sí, farò del miomeglio.Mi farò prestare una spada.Dirò: «Se provate a portarmivia di nuovo ilmio bambinove ladovretevedereconDonSimón!»

Il bambino si illumina di

gioia.–AncheBolívar,–dice.–Bolívarmipuòdifenderedinotte.Verraiavivereconnoi?– Si rivolge a sua madre. –Può venire a vivere con noiSimón?

– Simón deve andare inuna casa di cura per laconvalescenza. Non puòcamminare,nonpuò salire lescale.

– Sí che può! Puoicamminare,veroSimón?

– Certo che posso.Normalmente non ce lafaccio,perviadellefitteedeidolori. Ma per te posso faretutto: salire le scale, andare acavallo, qualsiasi cosa. Bastachetudicalaparola.

–Quale?– La parola magica. La

parolachemiguarirà.–Lasoquestaparola?–Certochelasai.Dilla.– La parola è...

Abracadabra!Lui scosta le lenzuola (per

fortuna indossa il pigiamadell’ospedale) e ruota legambe malridotte sul fiancodel letto. – Ho bisogno diaiuto,ragazzi.

Puntellandosi sulle spallediFidelediDavid,sitieneinpiediinequilibrioinstabile,faunprimopasso traballante, epoiunsecondo.–Vedi:lasaila parola! Inés, puoi

avvicinarelasediaarotelle?–Si lascia cadere sulla sedia arotelle. – Adesso andiamo afare una passeggiata. Vorreivederechefacciahailmondo,dopo tutto questo tempo chesono rimasto chiuso dentro.Chimispinge?

– Non vieni a casa connoi?–chiedeilbambino.

– No, ancora no. Nonprima di aver recuperato leforze.

– Ma noi faremo glizingari! Se tu rimani inospedale non puoi fare lozingaro!

Lui si volta verso Inés. –Cos’è questa storia? Misembrava che avessimorinunciato alla storia deglizingari.

Inés s’irrigidisce. – Nonpuò tornare in quella scuola.Non lo permetterò. I mieifratelli verranno con me.

Tutti e due. Prenderemo lamacchina.

–Quattro persone in quelvecchio macinino? E se sirompe?Edoveabiterete?

– Non importa. Faremolavori saltuari.Raccoglieremola frutta. Il señor Daga ci haprestatodeisoldi.

– Daga! Allora c’è luidietrotuttoquesto!

– Insomma, David nontornerà in quella orribile

scuola.– Dove ti fanno portare i

sandaliemangiareilpesce.Ame non sembra poi cosíterribile.

– Ci sono ragazzini chefumano, bevono e girano colcoltello. È una scuola percriminali.SeDavidtornalíneporteràilsegnopersempre.

Parla il bambino. – Chevuol dire che «porterò ilsegnopersempre»?

–Èsolounmododidire,–dice Inés. – Vuol dire che lascuola avrà un influssonegativosudite.

–Comeunaferita?–Sí,comeunaferita.–Giàhounsaccodiferite.

Me le sono fatte col filospinato, vuoi vedere le mieferite,Simón?

– Tua madre voleva direunacosadiversa.Intendeunaferitaallatuaanima.Iltipodi

feritachenonsirimargina.Èverocheiragazzidellascuolaportano i coltelli? Sei certochenonsitrattidiunosolodiloro?

– No, sono tanti. Eavevano un’anatra e glianatroccoli e uno di loro hacalpestato un anatroccolo etuttoquello cheavevadentrogli è uscito dal culo e iovolevorimetterlodentromailmaestro non me lo ha

permesso, ha detto chedovevo lasciar morirel’anatroccoloeiohodettochevolevo soffiargli dentro ilrespiro ma non me lo hapermesso. E poi dovevamofare giardinaggio. Tutti igiorni dopo la scuola,dovevamo zappare la terra eioodiozappare.

– Zappare fa bene. Senessuno lo facesse nonavremmo raccolti, né cibo.

Zappare ti rafforza. Ti favenireimuscoli.

– I semi possonogermogliare sulla cartaassorbente. Ce l’ha fattovedere il maestro. Non c’èbisognodizappare.

–Unooduesemisí,masevuoiunveroraccolto,sevuoiabbastanza grano per farci ilpane e sfamare la gente, ilseme deve stare dentro laterra.

–Odioilpane.Ilpanenonsadiniente.Mipiaceilgelato.

– So che ti piace il gelato.Manonpuoiviveredigelato,mentrepuoiviveredipane.

– Sí che puoi vivere digelato.ComefailseñorDaga.

– Il señorDaga fa fintadivivere di gelato. In privatosono sicuro che mangia ilpane come tutti e comunquenondovrestiprendereilseñorDagacomeunmodello.

– Il señor Daga mi faregali. Tu e Inés non miregalatemainiente.

– Questo non è vero,bambino mio. Non è vero enon è gentile. Inés ti vuolebene e si occupa di te, e iopure.MentreilseñorDaga,incuor suo, non ti vuoleveramentebene.

– Sí che mi vuole bene!Vuole che vada a vivere con

lui! Lohadetto a Inés e Inéslohadettoame.

–Sonocertocheleinonloaccetterebbe mai. Tu devistareconlatuamamma,èperquesto che abbiamo lottatoper tanto tempo. Il señorDagapuò sembrarti attraenteed esaltante, ma da grandecapirai chenon sempre chi èattraenteedesaltanteèancheunapersonaperbene.

–Chevuoldireattraente?

– Vuol dire portare gliorecchinieilcoltello.

– Il señor Daga èinnamorato di Inés. Farà ibambininellasuapancia.

–David!–esplodeInés.–Èvero!Inéshadettoche

non devo dirtelo, che saraigeloso. È vero, Simón? Seigeloso?

–No, certo che non sonogeloso.Non sono affarimiei.Quellochecercodidirtièche

ilseñorDaganonèunabravapersona. Magari ti invita incasasuaeticomprailgelato,ma non ha a cuore ilmeglioperte.

–Qualèilmeglioperme?– Il meglio per te è

crescereediventareunuomobuono.Comeilbuonseme,ilsemechevadentrolaterrainprofondità e mette fortiradici,quandoèilsuotemposboccia alla luce. È questo

quello che ti deve piacere,come Don Chisciotte. DonChisciottesalvavalefanciulle.Proteggeva ipoveridai ricchie potenti. Prendi lui amodello, non il señor Daga.Proteggi i poveri. Salva glioppressi.Eonoratuamadre.

– No! Mia madre deveonorare me! Comunque, ilseñor Daga dice che DonChisciotte è roba vecchia.

Dice che nessuno va piú acavallo.

–Be’,setuvolessipotrestifacilmente dimostrare che hatorto. Monta a cavallo esguaina la tua spada. QuestometteràatacereilseñorDaga.MontaElRey.

–ElReyèmorto.–No,nonèmorto.ElRey

vive.Tulosai.– Dove? – mormora il

bambino. Gli occhi

improvvisamente pieni dilacrime.Le labbratremanti,amalapenacapaceditirarfuorileparole.

–Nonloso,madaqualcheparte El Rey ti aspetta. Se locercherailotroveraidicerto.

Capitoloventottesimo

È il giorno in cui lodimettono dall’ospedale.Saluta le infermiere. A Clara

dice: – Non dimenticheròfacilmente la tuasollecitudine. Vorrei pensarlaispirata da qualcosa di piúdella mera benevolenza –.Claranonrisponde;madallosguardodirettocheglirivolgeluisadiavereragione.

L’ospedale ha predispostounamacchinaconautistaperportarlo alla sua stanza aiBlocchi Ovest; Eugenio si èofferto di accompagnarlo e

verificarechesi sistemisenzaproblemi;durante il percorsoperò chiede all’autista di fareunadeviazioneepassareperiBlocchiEst.

– Non posso farlo, –rispondel’autista.–Esuladaimieicompiti.

– Per favore, – dice lui. –Devo prendere qualchevestito. Mi ci vorranno solocinqueminuti.

Malvolentieri l’autista

acconsente.– Parlavi delle difficoltà

che hai incontrato con lascuola di tuo figlio, – diceEugenio quando svoltanoverso est. – Che tipo didifficoltà?

–Leautoritàscolastichelovogliono allontanare da noi.Con la forza, se necessario.VoglionorimandarloaPuntoArenas.

–APuntoArenas!Perché?

– Perché hanno costruitouna scuola a Punto ArenaspensataproprioperibambiniannoiatidallestoriediJuaneMaría e di quello che hannofatto al mare. Per i bambiniche si annoiano e lo fannocapire. I bambini che nonseguono le regoledell’addizione e dellasottrazioneenunciatedailoromaestri. Le regole dettate

dall’uomo.Cheduepiúduefaquattroecosívia.

–Questononvabene.Maperchéil tuobambinononfale somme nel modoindicatoglidalmaestro?

– Perché dovrebbe se unavocedentrodiluiglidicecheil modo del maestro non èquellogiusto?

–Nontiseguo.Seleregolesono giuste per me, per te eper tutti gli altri, come è

possibilechenonlosianoperlui?Eperchélechiamiregoledettatedall’uomo?

– Perché due piú duepotrebbefarealtrettantobenetre o cinque o novantanove,secosídecidessimo.

–Maduepiúduedifattoèugualeaquattro.Amenochetu non dia un significatostrano,specialeauguale.Puoicontareanchetu:unoduetrequattro. Se due piú due

davvero facesse tre alloratutto sprofonderebbe nelcaos. Ci troveremmo in unaltrouniverso, conaltre leggifisiche. Nell’universo attualeduepiúduefaquattro.Èunaregola universale,indipendente da noi.Tutt’altrochefattadall’uomo.Se anche io e te smettessimodi esistere, due piú duecontinuerebbeaessereugualeaquattro.

–Sí,maqualedueequaledue fanno quattro? Eugenio,io credo che in generale ilbambino semplicemente noncapiscainumeri,comenonlicapisce un cane o un gatto.Ma ogni tanto mi trovo achiedermi: esiste qualcunosulla terra per cui i numerisonopiúreali?

–Mentreeroinospedaleenon avevo niente da fare hoprovato, come esercizio

mentale, a vedere il mondoattraverso gli occhi diDavid.Mettigli davanti una mela eche cosa vede? Lamela: nonuna mela, solo la mela.Mettigli davanti due mele eche cosa vede? Una mela eunamela:nonduemele,nonla stessamela due volte. Solouna mela e una mela. Poiarriva il señor León (il señorLeón è il suo maestro) echiede: «Quante mele,

piccolo?» Qual è la risposta?Cosa sono lemele? Qual è ilsingolare di cui mele è ilplurale? Tre uomini in unamacchina diretti ai BlocchiEst: qual è il singolare di cuiuominièilplurale?EugeniooSimón o il nostro amicoautista di cui non conosco ilnome? Siamo tre o siamouno,uno,uno?

–Tualzilemanidisperatoecapiscoperché.Unoeunoe

uno fa tre, tu dici, e io sonocostretto a concordare. Treuomini in macchina:semplice. Ma David non cisegue. Non segue i passaggiche facciamo noi quandocontiamo:unopoiduepoitre.È come se i numeri fosseroisole che galleggiano nelgrandemarenerodelnulla egli si chiedesse ogni volta dichiudere gli occhi e lanciarsinel vuoto. «E se cado? – è

quello che si chiede. – E secado e continuoa caderepersempre?» Quando giacevo aletto in piena notte, qualchevolta avrei giurato che ancheio stavo cadendo: cadevopreda dello stessoincantesimo che ha catturatoil bambino. «Se passare daunoadueècosídifficile,–michiedevo, – come potrò maipassare da zero a uno?»Passaredanessun-luogoaun

qualche-luogo sembravarichiedere un miracolo ognivolta.

– Il bambino hacertamente una vividaimmaginazione, – rifletteEugenio. – Isolegalleggianti… Ma ne uscirà.Deve superare la sensazionedi insicurezza atavica.Impossibile non vederequanto è teso, come si agitasenza motivo. C’è una storia

dietro tutto questo? Laconosci? I suoi genitorilitigavanomolto?

–Isuoigenitori?– I suoi genitori veri. Si

porta dentro delle ferite?Traumi? No? Non fa niente.Una volta che si sentirà piúsicuro del suo contesto,quando incomincerà aintravedere che l’universo,non solo il regno dei numerima anche tutto il resto, è

regolato da leggi, che nullaaccadepercaso,torneràinséesitranquillizzerà.

–Questoèciòchehadettola psicologa della scuola, laseñora Otxoa. Una voltatrovato il suo posto nelmondo,unavoltaaccettatosestesso, le sue difficoltà diapprendimentoscompariranno.

– Sono certo che haragione,èsolochecivorràun

po’ditempo.– Forse. Forse.Ma… e se

lui fosse nel giusto e noi inerrore?Esetraunoeduenonci fosse un ponte ma solospazio vuoto? E se noi chefacciamo il passo con tantasicurezza, stessimo di fattocadendo nel vuoto, solo chenon lo sappiamo perchéinsistiamo a tenere iparaocchi? Se questo

bambino fosse il solo tra noicongliocchipervedere?

–Che è comedire «E se ipazzifosseroinveritàisanidimente e i sani di mente ipazzi?»Senontioffendidellemie parole, Simón, questa èfilosofia da scolaretti. Alcunecose molto semplicementesono vere: una mela è unamelaèunamela.Unamelaeun’altramelafannoduemele.Un Simón e un Eugenio

fanno due passeggeri in unamacchina. Un bambino nontrova dichiarazioni di questogenere difficili da accettare,unbambinonormale.Non letrova difficili perché sonovere, perché fin dalla nascitasiamo, per cosí dire, insintonia con la loro verità.Quanto all’aver paura deglispazi vuoti tra i numeri, haimai fatto notare aDavid che

il numero dei numeri èinfinito?

–Piúdiunavolta.Nonc’èl’ultimo numero, gliel’hodetto. I numeri continuanoper sempre. Ma questo chec’entra?

–Cisonoinfinitàcattiveeinfinità buone, Simón.Abbiamo parlato di infinitàcattive prima, ricordi? Unacattiva infinità è cometrovarsi in un sogno dentro

unsognoconancoraunaltrosognodentroecosíviasenzafine. O trovarsi in una vitache è solo il preludio diun’altravita,cheasuavoltaèsolounpreludioeccetera.Mai numeri non sono cosí. Inumeri rappresentano unainfinità buona perché,essendo di numero infinito,riempiono tutti gli spazidell’universo stretti l’unoaccanto all’altro, stipati come

mattoni. Perciò siamo salvi.Non c’è luogo dove cadere.Fallo notare al bambino e nesaràrassicurato.

–Lo farò,maper qualchemotivo non credo chel’aiuterà.

– Non fraintendermi,amico. Non sono dalla partedel sistema scolastico. Sonod’accordo che sembra moltorigido, molto antiquato. Dalmio punto di vista

bisognerebbe promuovereun’educazione piú concreta,piú professionale. David peresempio potrebbe imparare afare l’idraulico o ilmuratore.Non serve la matematicasuperioreperquello.

– Nemmeno per fare loscaricatore.

–O lo scaricatore. Fare loscaricatore è una professionedel tutto rispettabile, comenoi due ben sappiamo. No,

sono d’accordo con te: lostanno trattando duramente,il tuo ragazzetto. E tuttavia,ancheisuoiinsegnantihannoragione, non credi? Non sitrattasolodiseguireleregoledell’aritmetica, ma diimparareaseguireleregoleingenerale.LaseñoraInésèunapersona molto perbene, peròvizia troppo quel bambino,come vedono tutti. Se unbambino viene sempre

assecondato,esisentedireincontinuazione che è speciale,se ha il permessodi deciderelesueregoledivoltainvolta,che uomo ne verrà fuori?Forse un po’ di disciplina inquesta fasedella suavitanonpotrà fare male al piccoloDavid.

Ancheseprovalamassimabenevolenza per Eugenio,anche se è colpito dalla suadisponibilità a fare amicizia

conuncompagnopiúvecchiooltre che da tutte le suegentilezze, anche se non puòinnessunmododarelacolpaa lui per l’incidente sulmolo– messo in fretta e furia aicomandidiunagruluistessonon avrebbe saputo faremeglio – in cuor suo non èmai riuscito ad amaredavveroquell’uomo.Lo trovapuritano,ottusoesussiegoso.Le sue critiche a Inés lo

irritano.Etuttaviatrattienelarabbia.

– Sull’educazione deibambinicisonoduescuoledipensiero, Eugenio. Una diceche dovremmo plasmare ilbambino come argilla perfarne un cittadino virtuoso.L’altra dice che siamobambini una volta sola e cheun’infanzia felice è la base ditutta una vita felice. Inésappartiene a quest’ultima

scuola;epoichéèsuamadre,poiché il legame tra unamadre e i suoi figli è sacro,seguo lei. E dunque no, noncredo che una maggioredisciplina scolastica sarebbeunabuonacosaperDavid.

Proseguonoinsilenzio.Arrivati ai Blocchi Est lui

chiede all’autista di aspettarementre Eugenio lo aiuta ascendere dalla macchina.Insieme i due fanno

lentamente le scale.Giunti alcorridoiodelsecondopianoliaccoglie una visione che liriempie di sgomento. Fuoridall’appartamento di Inés cisonoduepersone,unuomoeuna donna, con identicadivisablu.Laportaèapertaedall’internorisuonalavocediInés,acuta,infuriata.–No!–dice.–No,no,no!Nonaveteildiritto!

Aimpedireagliestraneidi

entrare – si rende conto luiavvicinandosi – è il cane,Bolívar, accovacciato sullasoglia, orecchie schiacciate edenti scoperti, che emetteunringhio sordo, controllandoogni loro mossa, pronto adavventarglisiaddosso.

–Simón!–gligridaInés,–di’ a questa gente diandarsene! Voglionoriportare David in quelmostruoso riformatorio. Di’

loro che non ne hanno ildiritto!

Lui fa un profondorespiro.–Nonavetedirittisulbambino, – dice rivolgendosialla donna in uniforme,piccola e curata come unuccellino,adifferenzadelsuomassiccio collega. – Sonostato io a portarlo qui aNovilla. Sono il suoguardiano. A tutti gli effettisostanzialisonosuopadre.La

señora Inés, – accenna indirezione di Inés, – è a tuttiglieffettisuamadre.Voinonconoscete nostro figlio comelo conosciamo noi. Non c’èniente di storto in lui daraddrizzare. È un bambinosensibile che ha incontratoqualchedifficoltàcolcorsodistudi–nient’altrochequesto.Vede dei tranelli, dei tranellifilosofici, dove un bambinonormale non ne vede. Non

potete punirlo per undisaccordo filosofico. Nonpotete allontanarlo dalla suacasaedallasuafamiglia.Nonlopermetteremo.

Un lungosilenzioseguealsuodiscorso.Dadietroilsuocanedaguardia,Inésfulminala donna con lo sguardo. –Non lo permetteremo, –ripeteallafine.

– E lei, señor? – chiede ladonnarivoltaaEugenio.

– Il señor Eugenio è unamico, – interviene lui,Simón. – Mi ha gentilmenteaccompagnato dall’ospedale.Non fa parte di questoimbroglio.

– David è un bambinoeccezionale,–diceEugenio.–Suo padre è molto dedito alui. L’ho visto con i mieiocchi.

–Filospinato!–diceInés.– Che razza di delinquenti

avete nella vostra scuola seavetebisognodel filo spinatopertrattenerli?

– Il filo spinato è unaleggenda, – dice la donna. –Tutta un’invenzione.Nonhoideadidovesianata.Nonc’èfilo spinato a Punto Arenas.Alcontrario,abbiamo...

– Lui ha superato il filospinato!–lainterrompeInés,alzando di nuovo la voce. –Glihastracciatotuttiivestiti!

E avete la faccia tosta di direchenonc’èfilospinato!

– Al contrario abbiamounapoliticadi«porteaperte»,– ribatte la donnaprontamente. – I nostriragazzisonoliberidientrareeuscire. Le porte non sononemmeno chiuse a chiave.David,diccilaverità,c’èilfilospinatoaPuntoArenas?

Ora che è piú vicino, sirendecontocheilbambinoè

stato presente durante tuttol’alterco, per metà nascostodietrosuamadre,adascoltaregravemente col pollice inbocca.

– C’è il filo spinato? –ripeteladonna.

– Il filo spinatoc’è,–diceil bambino adagio. – Hosuperatoilfilospinato.

La donna scuote la testa efa un sorrisetto incredulo. –David, –dice a bassa voce, –

lo sai quanto me che è unafandonia.Nonc’èfilospinatoa Punto Arenas. Vi invitotutti a venire a vederepersonalmente. Ci possiamoinfilareinmacchinaeandarciproprio adesso. Niente filospinato,nemmenounpo’.

– Non ho bisogno divedere,–diceInés.–Credoalmiobambino.Se luidicecheil filo spinato c’è, alloradev’esserevero.

– Ma è vero? – dice ladonna rivolgendosi albambino. – Si tratta di verofilo spinato che possiamovedere coinostriocchi, o è iltipo di filo spinato che solocertepersonepossonovederee toccare? Certe persone conunavividaimmaginazione?

–È reale.Èvero,–dice ilbambino.

Calailsilenzio.– Allora è questo il

problema, – dice alla fine ladonna.– Il filo spinato. Se lepossodimostrare chenonc’èfilo spinato, señora, che ilbambino inventa storie, lolasceràandare?

– Non potrà maidimostrarlo,–dice Inés.–Seilbambinodicechec’è il filospinato,ioglicredo:c’èilfilospinato.

–Elei?–chiedeladonna.–Anch’ioglicredo,–dice

Simón.–Elei,señor?Eugenio sembra a disagio.

– Dovrei verificarepersonalmente, – dice allafine. – Non potete pensareche iomi pronunci a scatolachiusa.

–Be’,direichesiamoinunvicolo cieco,–dice ladonna.–Señora, lasci che le spieghi.Lei ha due possibilità:ubbidisce alla legge e ci

consegna il bambino oppurechiamiamo la polizia. Chepreferisce?

– Per portarlo via dovretepassare sul mio cadavere, –dice Inés.Poi si rivolge a lui.–Simón!Faiqualcosa!

Lui la guarda a sua volta,impotente.–Chedevofare?

– Non si tratta di unaseparazione permanente, –dice la donna. – David può

tornare a casa a weekendalterni.

Inés rimane in silenzio.Cupa.

Luifaunultimoappello.–Señora, per favore, rifletta.Quello che propone spezzeràilcuorediunamadre.Eachescopo? Abbiamo qui unbambino che ha idee tuttesue, su che cosa? Non sututto,masull’aritmetica.Nonsulla storia o sulla linguama

sull’umilearitmetica.Ideechemolto presto probabilmenteabbandonerà. Che criminesarà da parte di un bambinosostenere che due piú due fatre? In che modo potrebbescuotere l’ordine sociale?Eppure per questo voletestrapparlo ai suoi genitori erinchiuderlo dietro al filospinato! Un bambino di seianni!

– Non c’è filo spinato, –

ripete pazientemente ladonna.–Eilbambinoèstatoindirizzato a Punto Arenasnon perché non sa fare leaddizionima perché richiedeattenzioni speciali. Pablo, –dice rivolta al suo collegasilenzioso, – aspetta qui.Vorrei dire due parole inprivatoaquestosignore–.Ealui: – Señor, posso chiederlediseguirmi?

Eugenio lo prende

sottobraccio ma lui scansa ilgiovane. – Non c’è bisogno,grazie. Basta che non debbamuovermi in fretta –. Alladonna spiega:–Sonoappenauscitodall’ospedale.Incidentesul lavoro. Sono ancora unpo’dolorante.

I due sono soli sulle scale.– Señor, – dice la donna avoce bassa, – per favore, micapisca. Non sonoun’impiegata scansafatiche.

Ho una formazione dapsicologa: lavoro con ibambini aPuntoArenas.Nelbreve periodo che David hapassato con noi prima discappare mi sono ripropostadi osservarlo da vicino.Perché, sono d’accordo convoi,èmoltopiccoloperstarelontano da casa, e avevopaura che si sentisseabbandonato.

– Quello che ho visto era

un bambino dolce, moltosincero, molto diretto ecapace di manifestare i suoisentimenti. Ho visto anchequalche altra cosa. Ho vistocome lo amavano gli altribambini, soprattutto i piúgrandi. Perfino i piú duri.Non esagero nel dire che loadoravano.Volevano farne laloromascotte.

– La loro mascotte?L’unico tipo di mascotte che

conosco è un animaleincoronatodaunaghirlandaeportatoingiroattaccatoaunacorda.Chec’èdarallegrarsiaessereunamascotte?

– Era il loro cucciolo. Ilcucciolo di tutti. Noncapiscono perché siascappato. Sono disperati.Chiedonodi lui tutti igiorni.Ma perché le racconto tuttoquesto, señor? Perché vorreiche sapesse che David ha

subito trovato il suo postonella nostra comunità diPunto Arenas. Punto Arenasnon è come una scuolanormale, dove un bambinopassaalcuneorealgiornoadassorbire informazioni perpoi tornare a casa. A PuntoArenas insegnanti, allievi econsulenti sono fortementelegati tra loro. Perché alloraDavid è scappato, potrebbechiedermilei?Nonperchéera

infelice,glieloassicuroio,maperché ha il cuore tenero enon sopportava l’idea dellaseñora Inés che si struggevaperlui.

– La señora Inés è suamadre,–dicelui.

La donna scrolla le spalle.– Se avesse aspettato qualchegiornosarebbepotutotornareacasaperunavisita.Nonpuòconvincere sua moglie alasciarloandare?

–Ecomepensachepotreiconvincerla, señora? L’havista. Quale formula magicaimmaginacheiopossiedaperfar cambiare idea a unadonna simile? No, il suoproblemanonècomeportareviaDavidasuamadre.Quellohailpoteredifarlolei.Ilsuoproblema è che non puòtenerlo. Una volta che luidecide di tornare a casa dai

suoi genitori, viene. Non hamododifermarlo.

–Scapperàviafintantocheè convinto che sua madre lochiami. È per questo che lechiedo di parlarle econvincerla a lasciarlo venirecon noi. Questa è davvero lacosamigliore.

– Non riuscirà mai apersuadere Inés che la cosamigliore per suo figlio siaessereportatoviadalei.

–Maalmenolaconvincaalasciarloandaresenzalacrimee minacce, senza turbarlo.Perché in un modo onell’altro dovrà venire. Laleggeèlegge.

–Questo forse è vero,macisonoaltreconsiderazionialdi là dell’ubbidienza allalegge, ci sono imperativi piúalti.

–Madavvero?Noncheiosappia. A me basta la legge,

grazie.

Capitoloventinovesimo

I due funzionari sonoandati via. Eugenio è andatovia. Anche l’autista è andato

via, senza aver portato atermine il suo incarico.Lui èrimasto con Inés e ilbambino, per ora al sicurodietrolaportachiusaachiavedel suo vecchioappartamento. Bolívar,compiuto il suo dovere, ètornato al suo solito postodavanti al termosifone econtrolla solennemente lasituazione con le orecchie

dritte, in attesa del prossimointruso.

– Vogliamo sederci adiscutere la situazione tutti etre con calma? – suggeriscelui.

Inésscuote latesta.–Nonc’è tempo per altrediscussioni. Chiamo Diegoper dirgli di venirci aprendere.

– Venirvi a prendere perportarviallaResidencia?

–No. Per viaggiare fino ache non saremoirraggiungibili per quellagente.

Nessun progetto di ampiorespiro, nessun geniale pianodi fuga, questo gli sembrachiaro. In cuor suo provatenerezza per lei, per questadonnaunpo’ottusa,privadisenso dell’umorismo, tuttaincontriditennisecocktailaltramonto, a cui ha sconvolto

lavitadandoleunbambino,eilcuifuturoorasièridottoaungirovagaresenzametaperstradesecondarie finoache isuoifratellineavrannoavutoabbastanzao avranno finito isoldienonlelascerannoaltrascelta che tornare indietro econsegnare il suo preziosocarico.

– Che ne pensi, David, –dice lui,–di tornareaPuntoArenas solo per poco, di

tornare lí a dimostrare loroquanto sei intelligente,diventando il primo dellaclasse? Dimostrare che saifare le sommemegliodi tuttie sai ubbidire alle regole edessere un bravo bambino?Una volta che avranno vistotuttociòtilascerannotornareacasa, te loassicuro.Eallorapotrai vivere di nuovo unavita normale, la vita di unbambino normale. Chissà,

magari un giorno potrebberoperfinomettereuna targacoltuo nome a PuntoArenas: IlfamosoDavidèstatoqui.

– Per che cosa saròfamoso?

– Dovremo aspettare persaperlo. Forse sarai unmagofamoso. O forse unmatematicofamoso.

– No. Voglio andare conInés e Diego in macchina.Vogliofarelozingaro.

Lui si rivolge a Inés. – Tiprego, Inés, ripensaci. Nondare seguito a questa sceltaavventata. Ci deve essere unmodomigliore.

Inés si inalbera. – Haicambiatoideadinuovo?Vuoiche consegni mio figlio adegli sconosciuti? Vuoi cherinunci alla luce dei mieiocchi? Che razza di madrepensicheiosia?–Erivoltaal

bambino: – Prepara le tuecose.

– Ho già fatto i bagagli.Simón mi può spingeresull’altalena prima cheandiamovia?

– Ho paura di non essereingrado,–dice lui,Simón.–Non sono forte come untempo,sai.

–Solounpoco.Tiprego.Arrivano insieme fino al

parco giochi.Ha piovuto e il

seggiolino dell’altalena èbagnato. Lo asciuga con lamanica. – Solo qualchespinta,–dice.

Può spingerlo con unamano sola e l’altalena simuove appena, ma ilbambinosembrafelice.–Oratocca a te, Simón, – dice.Sollevato, si siede sulseggiolino e lascia che sia ilbambinoaspingerelui.

– Tu avevi un padre o un

padrino,Simón?–glichiede.–Sonoabbastanzacertodi

averavutounpadreeche luimi spingesse sull’altalenacome adesso tu spingi me.Tutti abbiamo un padre, èuna legge di natura, come tiho spiegato, ma purtroppoalcunidi lorosvanisconoosiperdonoperstrada.

– E tuo padre ti facevavolarealto?

–Finoincima.

–Seicaduto?– Non ricordo di essere

maicaduto.– Che succede quando

cadi?–Dipende.Setivabeneti

fai un bozzo. Se seisfortunato, molto sfortunato,ti puoi anche rompere unbraccioounagamba.

– No, che cosa succedequandocadi?

– Non capisco, vuoi dire

mentrecadigiú,mentreseiinaria?

–Sí.Ècomevolare?– No, assolutamente no.

Cadere e volare non sono lastessa cosa. Solo gli uccellipossono volare, noi esseriumanisiamotroppopesanti.

– Ma solo per un poco,mentre sei lassú è comevolare,nonèvero?

– Immagino di sí, sedimentichi che stai cadendo.

Perchémelochiedi?Il bambino gli rivolge un

sorriso enigmatico. – Perchésí.

Per le scale incontranoInés, con un’espressionearcigna.–Diegohacambiatoidea,–dice.–Nonvienepiú.Sapevo che sarebbe andatacosí. Dice che dobbiamoprendereuntreno.

– Prendere un treno? Perdove? Fino alla fine della

linea?E cosa fareteunavoltaarrivati lí tu e il bambino,soli?No.ChiamaDiego.Diglidiportarelamacchina.Meneoccupo io. Non so doveandremo,mavengoconvoi.

– Lui non ci starà. Nonrinunceràallamacchina.

– Lamacchina non è sua.Appartiene a tutti e tre voi.Digli che lui l’ha tenutaabbastanza e che ora tocca ate.

Un’ora dopo si presentaDiego, sgarbato, in cerca diuno scontro. Ma Inés tagliacorto le sue lamentele. Conaddosso stivali e cappotto,non l’ha mai vistacomportarsi in modo tantoperentorio. Mentre Diegoresta a guardare, con lemanisprofondate in tasca, leisollevaunapesantevaligiaelalega sul tettuccio dellamacchina. Quando il

bambino arriva trascinandosidietrolasuascatoladioggettirecuperati, lei scuote il capoenergicamente. – Tre cosesole,nonunadipiú,–dice.–Cosepiccole.Scegli.

Il bambino sceglie ilmeccanismo di un orologiorotto,unapietraconunarigabianca,ungrillomorto inunbarattolo di vetro e lo sternorinsecchito di un gabbiano.Senza dire una parola lei

prende l’osso tra le dita e logetta via. – Adesso butta nelsecchio tutto il resto –. Ilbambino la guarda allibito. –Gli zingari non si trascinanoappressomusei,–glidicelei.

Alla fine la macchina ècarica. Lui, Simón, sale concautela sul sedile di dietro,seguito dal bambino e daBolívar,chesi sistemaai loropiedi. A velocità troppo altaDiegoimboccalastradaperla

Residencia,dovescendesenzadire una parola, sbatte laportiera e se ne va via agrandipassi.

–Perchéècosíarrabbiato?–chiedeilbambino.

– È abituato a essere ilprincipe, – dice Inés. – Èabituato ad averla semprevinta.

–Eorasonoioilprincipe?–Sí,seituilprincipe.–EtuseilareginaeSimón

èilre?Siamounafamiglia?Inés e lui si guardano. –

Unaspeciedifamiglia,–dicelui.–Lospagnolononhaunaparola per dire quello chesiamo esattamente, perciòchiamiamoci cosí: la famigliadiDavid.

Il bambino si risistema alsuopostoconariasoddisfattadisé.

Guidando lentamentesente una fitta dolorosa ogni

volta che cambia marcia; silasciaallespalle laResidenciaecominciaacercarelastradastataledirettaanord.

–Doveandiamo?–chiedeilbambino.

– A nord. Hai un’ideamigliore?

–No,manonvoglioviverein una tenda come inquell’altroposto.

– Belstar? Di fatto nonsarebbe una cattiva idea.

Possiamo dirigerci versoBelstar e prendere una barcapertornareallavitadiprima.Cosí finiranno tutte lenostrepreoccupazioni.

– No! Non voglio lavecchia vita, voglio la vitanuova!

– Scherzavo, bambinomio. Il capitano del porto diBelstar non permette anessuno di prendere la barcaper tornare indietro alla

vecchia vita. Su questo èmoltosevero:nonc’èritorno.Perciò la scelta è tra la vitanuova oppure quella cheabbiamo. Hai suggerimenti,Inés,sudovetrovareunavitanuova? No? Allora andiamoavantievediamochesuccede.

Trovanolastatalenordelaseguono passando prima perla periferia industriale diNovilla, poi per la campagnaabbandonata. La strada

comincia a salire su per itornantidellemontagne.

– Devo fare la cacca, –annunciailbambino.

– Non puoi aspettare? –diceInés.

–No.Scoprono di non avere

carta igienica. Che cos’altroha dimenticato di prendereInés nella sua ansia difuggire?

–AbbiamoDonChisciotte

in macchina? – chiede albambino.

Ilpiccoloannuisce.–Rinunci aunapaginadi

DonChisciotte?Ilbambinoscuotelatesta.– Allora dovrai tenerti il

culo sporco. Come unozingaro.

– Può usare un fazzoletto,–diceInésirrigidendosi.

Si fermano; poi ripartono.La macchina di Diego

comincia a piacergli. Non èun granché da vedere ed èscomoda da guidare, ma ilmotore sembra solido,collabora.

Dalle alture scendonolungo una steppa ondulatacon case sparse qua e là,molto diversa dai terrenisabbiosi e abbandonati a suddellacittà.Perunbelpezzolaloro è l’unica automobile instrada.

Arrivano a una città dinomeLagunaVerde(perché?Non c’è alcuna laguna), dovefanno il pieno. Prima diraggiungerelacittàsuccessivaci vogliono un’ora ecinquantachilometribuoni.–Sistafacendotardi,–dicelui.– Dovremmo cercare unpostodovepassarelanotte.

Procedono lentamente giúper la via principale. Nientealberghiinvista.Sifermanoa

una stazione di servizio. –Dove possiamo trovarealloggio qui vicino? – chiedealbenzinaio.

L’uomo si gratta la testa–Se volete un albergo, doveteprocederefinoaNovilla.

–SiamoappenaarrivatidaNovilla.

– Allora non so, – dicel’uomo. – La gente in generesiaccampaall’aperto.

Ritornano sulla strada

principale,nelbuiocrescente.– Stanotte faremo gli

zingari?–chiedeilbambino.– Gli zingari hanno i

carrozzoni, – risponde lui. –Noi no, abbiamo solo questamacchinettaangusta.

– Gli zingari dormonosotto le siepi, – dice ilbambino.

– Benissimo. Dimmiquandovediunasiepe.

Non hanno una mappa.

Lui non ha idea di cosa liaspetti sulla strada.Procedonoinsilenzio.

Si guarda alle spalle. Ilbambino si è addormentatoconlebracciaintornoalcollodi Bolívar. Guarda il canenegli occhi. «Proteggilo»,dice,anchesenonpronunciaverbo. I gelidi occhi d’ambraricambiano il suo sguardo,senzabattereciglio.

Lui sa di non piacere al

cane. Ma forse a quel canenon piace nessuno; forse lasimpatiaesuladallepossibilitàdel suo cuore. E poi cheimportano l’amore o lasimpatiarispettoallafedeltà?

–Dorme, – dice a Inés, abassa voce. E poi: – Midispiacecheallafinesiastatoio ad accompagnarti. Avrestipreferito tuo fratello, non èvero?

Inés alza le spalle. – Ho

sempre saputo che miavrebbe abbandonata.Dev’essere la persona piúegoistadelmondo.

È la prima volta che lesenteprofferireunacriticaneiconfronti di uno dei suoifratelli,laprimavoltachesièschierataconlui.

– Si diventa moltoegocentrici vivendo allaResidencia,–prosegue.

Lui aspetta il seguito –

sulla Residencia, sui suoifratelli – ma lei ha detto giàabbastanza.

– Non ho mai osatochiederlo,–dicelui:–Perchéhai accettato il bambino? Ilgiorno in cui ci siamoincontrati sembrava che noncisopportassi.

– È stato troppoimprovviso. Troppo forte lasorpresa.Eriuscitodalnulla.

– Tutti i grandi doni

vengono fuori dal nulla.Questodovrestisaperlo.

Sarà vero? I grandi donivengono davvero fuori dalnulla?Cheglièpresoperdireunacosadelgenere?

– Davvero pensi, – diceInés (e lui non può nonavvertire il sentimento dietrolesueparole),–davveropensiche non desiderassifortemente avere un figliomio? Come credi che fosse

stare chiusi alla Residenciatuttoiltempo?

Adessopuòdareunnomeaquelsentimento:amarezza.

– Non ho idea di comefosse. Non ho mai capito laResidencia né come tu siaapprodatalí.

Lei non intuisce ladomanda, o non ritiene chemeritirisposta.

– Inés, – dice lui, – lasciache te lo chieda per l’ultima

volta: sei sicura che siaproprio questo quello chevuoi fare: lasciare la vita checonoscietuttoilresto,perchéil bambino non va d’accordocolsuoinsegnante?

Leitace.–Questanonè lavitache

fa per te, una vita in fuga, –insiste. – E non va benenemmenoperme.Quanto albambino, potrà fare ilfuggiascosolofinoauncerto

punto. Prima o poi,crescendo, dovrà fare paceconlasocietà.

Leistringelelabbraefissafuribondailbuiodavantiasé.

–Pensaci,–concludelui.–Pensaci bene. Ma, qualsiasicosatudecida,sappicheio,–e fa una pausa, come aresistere alle parole che glivengono alle labbra, – che ioti seguirò anche in capo almondo.

– Non voglio che finiscacome i miei fratelli, – diceInés,parlandocosípianochelui fa fatica a sentirla. –Nonvoglio che diventi unimpiegato o un insegnantecomequelseñorLeón.Voglioche faccia qualcosa della suavita.

–Sonocertochelofarà.Èun bambino eccezionale conun futuro eccezionale. Losappiamoentrambi.

I fari illuminano uncartello dipinto sul lato dellastrada. Cabañas 5 km. Pocodopo un altro cartello:Cabañas1km.

Le cabañas in questionesono poco lontane dallastrada, immerse nella totaleoscurità.Trovanol’ufficio;luiscende e bussa piano allaporta.Gli apre una donna investaglia che regge unalanterna. Sono tre giorni che

hanno tagliato la corrente, liinforma. Niente elettricità edunque niente cabañas daaffittare.

Parla Inés. – Abbiamo unbambinoinmacchinaesiamoesausti. Non possiamocontinuare a guidare tutta lanotte. Non potremmo usaredellecandele?

Lui torna alla macchina escuote ilbambino.–Èoradisvegliarsi,tesoromio.

Inun lampo il cane si tirasu ed esce dalla macchina, ilsuo pesante dorso lo urtascuotendolo come unfuscello.

Il bambino si strofina gliocchi insonnolito. – Siamoarrivati?

– No, non ancora. Cifermiamoperlanotte.

Con la lanterna la donnaillumina per loro la cabañapiú vicina. È scarsamente

arredatamaci sonodue letti.–Laprendiamo,–diceInés.–C’è un posto dove possiamomangiarequalcosa?

–Lecabañassonoconusocucina,–rispondeladonna.–Lí ci sono i fornelli. Agita lalanterna in direzione dellacucina. – Non aveteprovviste?

–Abbiamounapagnottaesucchi di frutta per ilbambino, – dice Inés. –Non

abbiamoavutotempoperfarela spesa. Possiamo compraredel cibo da lei? Magari dellebraciole o salsicce. Non ilpesce.Ilbambinononmangiail pesce.Eunpo’di frutta.Equalsiasiavanzoperilcane.

–Frutta!–diceladonna.–Èunbelpezzochequinonsivede la frutta, ma venite evediamo cosa si puòrimediare.

Le duedonne vanno via e

lilascianoalbuio.– Lo mangio il pesce, –

dice il bambino, – non lomangiosolosehagliocchi.

Inés ritorna con unalattina di fagioli e una diqualcosa che l’etichettadefinisce salsiccette dacocktail in salamoia, e unlimone,oltre auna candela eaifiammiferi.

– E Bolívar? – chiede ilbambino.

– Bolívar dovrà mangiareilpane.

– Può mangiare le miesalsicce, – dice il bambino. –Odiolesalsicce.

Alla luce della candelamangiano una cena frugale,seduti uno a fianco all’altrosulletto.

– Lavati i denti che poi èoradidormire,–diceInés.

–Nonsonostanco,–diceil bambino. – Possiamo fare

ungioco?Possiamogiocarealgiocodellaverità?

Adesso tocca a luideluderlo. – Grazie, David,manehoavutoabbastanzadipenitenze per oggi. Hobisognodiriposarmi.

– Allora posso aprire ilregalodelseñorDaga?

–Cheregalo?–IlseñorDagamihadato

un regalo. Ha detto che lodovevo aprire nel momento

del bisogno. Ora è ilmomentodelbisogno.

–IlseñorDagaglihadatounregalodaportareconsé,–dice Inés, evitando diguardarlonegliocchi.

– È il momento delbisogno questo. Allora lopossoaprire?

– Questo non è il veromomentodelbisogno.Ilveromomento del bisogno deve

ancora venire,ma comunquesí,aprilopure,–glidice.

Ilbambinocorrefuoriallamacchina e ritorna con unascatola di cartone. La aprestrappandola. Contiene unatoga di raso nero. Lui la tirafuori e la spiega. Non è unatoga,maunamantella.

– C’è un biglietto, – diceInés.–Leggilo.

Il bambino avvicina ilfoglio alla candela e legge:

«Ecco la magica mantelladell’invisibilità. Chiunque laindossi camminerà per ilmondo senza essere visto». –Te l’avevo detto! – grida inpreda all’eccitazione. – Tel’avevo detto che il señorDaga conosce la magia! – Siavvolge nella mantella. Ètroppo larga. – Mi vedi,Simón?Sonoinvisibile?

– Non proprio. Nonancora.Non hai letto tutto il

messaggio. Stai a sentire.«Istruzioniperchilaindossa.Per raggiungere l’invisibilitàchi la indossa dovràmettersela davanti allospecchio, poi incendiare lapolveremagicaepronunciarela formula segreta. Dopo diche il corpo terreno svanirànello specchio lasciandodietro di sé solo lo spiritoimpalpabile».

Lui si rivolge a Inés. –

Cosa pensi, Inés? Dobbiamolasciare che il nostro giovaneamico indossi il mantello diinvisibilità e pronunci laformulasegreta?Esedovessesvanire nello specchio pernontornarepiú?

–Puoimettere ilmantellodomani,–diceInés.–Adessoètroppotardi.

–No!–diceilbambino.–Iome lometto ora!Dov’è lapolveremagica?–Fruganella

scatola e tira fuori unbarattolodivetro.–Èquestalapolveremagica,Simón?

Lui apre il barattolo eannusa lapolvereargentea.Èinodore.

Sulla parete della cabañac’è uno specchio a figuraintera picchiettato diescrementi di mosche. Luisistema il bambino davantiallo specchio, gli abbottonasulla gola la mantella che

scende inpesanti pieghe finoa terra. – Ecco: tieni lacandela in una mano. Enell’altra la polvere magica.Sei pronto con la formulamagica?

Ilbambinoannuisce.–Molto bene. Spruzza un

po’dipolvere sulla fiammaepronuncialaformula.

– Abracadabra, – dice ilbambinoespruzza lapolvereche cade al suolo come una

pioggerellina. – Ora sonoinvisibile?

– Non ancora, prova conunpo’piúdipolvere.

Il bambino immerge lacandela accesa nel barattolo.Un grande scoppio di luceseguito dal buio pesto. Inéslancia un grido; lui stessoindietreggia accecato. Il canecomincia ad abbaiare comeunindemoniato.

– Mi vedete? – risuona

flebile e insicura la voce delbambino.–Sonoinvisibile?

Taccionoentrambi.– Non ci vedo, – dice il

bambino.–Salvami,Simón.Lui va a tentoni fino al

bambino, lo tira su e dà uncalcioalmantello.

– Non ci vedo, – dice ilbambino. – Mi fa male lamano.Sonomorto?

– No, certo che no. Nonsei né invisibile né morto –.

Lui brancola sul pavimento,trovalacandelael’accende.–Fammi vedere lamano. Nonmi sembra ti sia fatto nienteallamano.

–Famale.–Ilbambinosisucchialedita.

– Devi esserti bruciato.Vadoavederese la signoraèancora sveglia. Forse ci puòdare un po’ di burro perridurre ilbruciore–.Mette ilbambinoinbraccioaInés.Lei

loabbraccia,lobacia,lomettegiú sul letto e canticchiapianochinasudilui.

– È buio, – dice ilbambino.–Nonvedoniente.Sonodentrolospecchio?

– No, piccolomio, – diceInés, – non sei dentro lospecchio, sei con la tuamammaetuttoandràbene.–Sivoltaversodilui,Simón.–Trovaunmedico!–sibila.

– Doveva trattarsi di

polvere di magnesio, – dicelui. – Non riesco a capirecomeiltuoamicoDagapossaaver dato a un bambino unregalocosípericoloso,madelresto, – dice cedendo allamalignità,–sonotantelecoseche non capisco della tuaamicizia con quell’uomo. Eper favore fai tacere quelcane: non ne posso piú diquelsuofolleabbaiare.

– Smettila di lamentarti!

Fai qualcosa! Il señor Daganonèaffartuo.Vai!

Lui esce dal bungalow, esegue il sentiero illuminatodalla luce lunare finoall’ufficiodellaseñora.«Comeuna vecchia coppia sposata,pensa tra sé. Non siamomaiandati a letto insieme,noncisiamo mai nemmeno baciatieppure litighiamo come sefossimosposatidaanni!»

Capitolotrentesimo

Il bambino dormeprofondamente, ma quandosisvegliaèchiarochenonha

ancora recuperato bene lavista. Descrive raggi di luceverde che gli attraversano ilcampo visivo e cascate distelle. Lungi dall’esseresconvolto, sembra affascinatodaquellemanifestazioni.

Lui bussa alla porta dellaseñora Robles. – Abbiamoavuto un incidente la nottescorsa, – le dice. – Nostrofiglio ha bisogno di un

medico. Dov’è l’ospedale piúvicino?

– A Novilla. Possiamochiamare un’ambulanza madovrà venire da Novilla.Farete prima a portarcelo dasoli.

–Novillaèlontano.Noncisonomedicineidintorni?

– C’è un ambulatorio aNueva Esperanza, a circasessantachilometridaqui.Vi

cerco l’indirizzo. Poveropiccolo,cos’èsuccesso?

– Giocava con materialeinfiammabile che ha presofuoco e il bagliore lo haaccecato. Pensavamo che lanotte gli avrebbe riportato lavistaeinveceno.

La señora Robles si agita,partecipe.–Vengoavedere,–dice.

Trovano Inés irritata esmaniosa di muoversi. Il

bambinoèsedutosullettocolmantellonero,gliocchichiusieunsorrisorapitoinvolto.

– La señora Robles diceche il medico è a un’ora dimacchinadaqui, – annuncialui.

La señora Robles si chinadavantialbambino.–Tesoro,tuo padre dice che non civedi.Èvero?Nonmivedi?

Il bambino apre gli occhi.–Tivedo,–dice.–Daicapelli

tipiovonostelle.Sechiudogliocchi, – chiude gli occhi, –posso volare. Posso vedere ilmondointero.

–Maèmeravigliosopotervedere tutto ilmondo,–dicela señoraRobles. –Vedimiasorella? Vive a Margueles,vicinoNovilla.SichiamaRita.Somigliaame,solocheèpiúgiovaneepiúbella.

Il bambino aggrotta lafronte per la concentrazione.

–Nonriescoavederla,–diceallafine.–Mifatroppomalelamano.

– La notte scorsa si èbruciato le dita, – spiega lui,Simón.–Volevochiederledelburro da mettere sullascottaturamaeratroppotardienonlavolevosvegliare.

– Vado a prendere ilburro. Avete provato alavargligliocchicolsale?

– È il tipo di cecità che

vienequandosiguardailsole.Il sale non serve. Inés, siamopronti a partire? Señora,quantoledobbiamo?

– Cinque reali per lacabaña e due per levettovaglie di ieri sera.Vorreste del caffè prima dipartire?

– Grazie ma non c’ètempo.

Prende per mano ilbambino, che gli dà uno

strattone e si libera. – Nonvoglio andare via, – dice. –Vogliorestarequi.

– Non possiamo.DobbiamoandaredalmedicoelaseñoraRoblesdevepulirela cabaña per i prossimiospiti.

Il bambino incrocia lebraccia con forza, e si rifiutadimuoversi.

– Senti un po’, – dice laseñora Robles. – Tu ora vai

dalmedicoe al ritorno tu e ituoi genitori potete ripassareastarequidame.

– Loro non sono i mieigenitorienoinontorneremoqui. Andiamo nella vitanuova. Vieni con noi nellavitanuova?

– Io? Non credo proprio,tesoro. È gentile da parte tuainvitarmi, ma ho tante cosedafarequieperdipiúsoffro

dimald’auto.Dove troveretequestavitanuova?

–AEstell...AEstrellitadelNorte.

LaseñoraRoblesscuote latesta perplessa. – Non pensochetroveretetuttaquestavitanuova a Estrellita. Ho amiciche si sono trasferiti lí che lodefiniscono il posto piúnoiosodelmondo.

Interviene Inés. –Andiamo, – ordina al

bambino. – Se non vieni tidovrò portare in braccio.Conto fino a tre. Uno. Due.Tre.

Senza una parola ilbambinosi alza, tira su l’orlodel mantello, e arranca giúper il sentiero fino allamacchina. Col broncioprende posto sul sedile didietro. Il cane salta dentroagilmentedopodilui.

– Ecco il burro, – dice la

señora Robles. – Spalmalosullescottatureefascialeditaconun fazzoletto. Il brucioretipasseràpresto.Epoiquic’èunpaiodiocchialidasolechemio marito non usa piú.Mettili fino a che non staimegliocongliocchi.

Glimettegliocchiali.Sonodecisamente troppo grandiperlui,mailbambinononselitoglie.

Salutano e imboccano la

stradaversonord.–Nondovrestidireingiro

chenonsiamoituoigenitori,–osservalui.–Primadituttononèvero.Insecondoluogopotrebbero pensare che tiabbiamorapito.

–Nonmi importa niente.Non mi piace Inés. Non mipiaci tu. Mi piacciono solo ifratelli.Voglioaverefratelli.

–Oggi tigiramale,–diceInés.

Il bambino non ascolta.Dietro gli occhiali scuri dellaseñora fissa il sole, che ora èsorto sopra la linea blu dellemontagnelontane.

Avvistano un cartellostradale: Estrellita del Norte475 km,Nueva Esperanza 50km.Accantoalcartelloc’èunautostoppista, un giovanottoconaddossounponchoverdeoliva e uno zaino ai piedi, e

l’ariaspersainquelpaesaggiovuoto.Luirallenta.

–Chefai?–chiedeInés.–Non c’è tempo per caricaresconosciuti.

–Caricare chi?– chiede ilbambino.

Nello specchiettoretrovisore lui vedel’autostoppista che trotterellaversolamacchina.Acceleraesi allontana sentendosi incolpa.

– Caricare chi? – dice ilbambino.–Dichiparlavate?

– Di un tale che chiedevaun passaggio, – dice Inés. –Non abbiamo spazio inmacchina. E nemmenotempo. Ti dobbiamo portaredaldottore.

–No!Senonvifermateiosaltogiú!–Eaprelosportellopiúvicino.

Lui, Simón, frenabruscamente e spegne il

motore. – Non fare mai piúuna cosa del genere! Puoicadereeammazzarti.

– Non m’importa! Voglioandare all’altra vita! NonvogliostareconteeconInés!

Cade un silenziosbalordito. Inés guarda lastradadavantiasé.–Nonsaiquellochedici,–mormora.

Si sente un calpestio e unvolto barbuto si affaccia alfinestrino del guidatore. –

Grazie! – dice lo sconosciutocol fiato grosso. Spalanca losportello posteriore e –Ciao,giovanotto! – dice e pois’impietriscevedendo il cane,steso sul sedile accanto albambino, che solleva la testaed emette un ringhiosommesso.

–Ungigante,questocane!–dice.–Comesichiama?

– Bolívar. È un alsaziano.Stai buono, Bolívar! –

Circondando il cane con lebraccia il bambino riesce afarlo sloggiare dal sedile.Riluttante,ilcanesisistemaaisuoi piedi. Lo sconosciutoprendeposto;elamacchinasiriempie dell’odore acido deivestitisporchi.Inésabbassailfinestrino.

–Bolívar,–diceilgiovane.– È un nome insolito. E tu,cometichiami?

– Io non ho un nome.

Ancoralodevoavere.–Alloratichiameròseñor

Anónimo,–diceilgiovane.–Omaggi, señor Anónimo, iosono Juan–.Tende lamano,che il bambino ignora. –Perchéportiilmantello?

– È magico. Mi rendeinvisibile.Sonoinvisibile.

Lointerrompe.–Davidhaavuto un incidente e loportiamo dal medico. Temoche potremo darle un

passaggio solo fino a NuevaEsperanza.

–Vabene.– Mi sono bruciato la

mano, – dice il bambino. –Andiamo a prendere lamedicina.

–Tifamale?–Sí.– Belli i tuoi occhiali. Li

vorrei anch’io degli occhialicosí.

–Prendili.

Dopo un passaggioall’alba,intirizzitonelretrodiuncamioncheportavalegna,ilpasseggeroèfelicedelcaldoe della comodità di quellamacchina. Dalle lorochiacchiereemergechelavoranelsettoretipografico,echeèdiretto a Estrellita, dove hadegliamiciedove,sebisognacredere a quel che dice lagente,èfaciletrovarelavoro.

Alla svolta per Nueva

Esperanza lui ferma per farscendereilpasseggero.

– Siamo arrivati daldottore?–chiedeilbambino.

– Non ancora. Siamo alpuntoincuicisepariamodalnostro amico. Lui continueràilsuoviaggioversonord.

– No! Deve restare connoi!

Si rivolge a Juan. – Tipossiamo lasciare qui oppure

puoi venire in città con noi.Staatedecidere.

–Vengoconvoi.Trovano l’ambulatorio

senza problemi. Il dottorGarcía è fuori per una visitadomiciliare, dice lorol’infermiera. Ma possonofermarsiadaspettarlo.

–Vado a cercare qualcosapercolazione,–diceJuan.

– No, non devi, – dice ilbambino.–Tiperderai.

–Nonmi perderò, – diceJuan, con la mano sullamaniglia.

– Resta, te lo ordino! –sbraitailbambino.

– David! – lui, Simón,richiamailbambino.–Chetiè preso stamattina? Non siparlacosíaunestraneo!

– Non è un estraneo. EnonmichiamareDavid.

– Come ti devo chiamare,allora?

–Devichiamarmicolmionomevero.

–Equalesarebbe?Ilbambinorimanezitto.LuisirivolgeaJuan.–Vai

pure inavanscoperta sevuoi,cirivediamoqui.

–No,credomifermerò,–diceJuan.

Compare il medico, unuomo basso e tarchiato conl’aria energica e una granmassa di capelli argentati. Li

squadra fingendopreoccupazione. – Chesuccede qui? Abbiamoperfino un cane! Cosa possofarepertuttivoi?

– Mi sono bruciato lamano,–diceilbambino.–Lasignora ci hamesso il burro,mamifaancoramale.

– Fa’ vedere... Sí, sí...Dev’essere doloroso. Vienidentroevediamocosasipuòfare.

– Dottore, non è per lamano che siamo qui, – diceInés. – Abbiamo avuto unincidente la notte scorsa conilfuocoeoramiofigliononcivede bene. Vuole guardargligliocchi?

–No!–gridailbambinoesi tira su per fronteggiareInés.Ancheilcanesiscuote,eattraversa lastanzaconpassofelpato per mettersi a fiancodel bambino. – Te l’ho detto

che io ci vedo, siete voi chenon vedete me per via delmantello magicodell’invisibilità. Mi rendeinvisibile.

– Posso dare un’occhiata?– dice il dottor García. – Iltuo guardiano me lopermetterà?

Ilbambinopoggialamanosul collare per trattenere ilcane.

Il medico solleva gli

occhiali scuri sul naso delbambino.–Adessomivedi?–chiede.

–Seipiccolopiccolocomeunaformica,eagitilebracciadicendo«Mivediadesso?»

–Aha, ora capisco.Tu seiinvisibile e nessuno di noi tipuòvedere.Mahaiancheunamano che ti fa male cheinvecenonèinvisibile.Allorache ne dici, vogliamo andarenelmiostudioioeteetumi

fai vedere la mano, la tuapartevisibile?

–Vabene.–Vengoanch’io?–chiede

Inés.– Tra poco, – dice il

dottore.–Primailgiovanottoeiodobbiamoscambiaredueparoleinprivato.

– Bolívar deve venire conme,–diceilbambino.

–Bolívarpuòvenirecontesesicomportabene,–dice il

medico.– Che cosa è successo a

vostro figlio? – chiede Juan,quandosonosoli.

– Si chiama David.Giocava col magnesio, hapreso fuoco e il lampo lo haaccecato.

– Dice che il suo nomenonèDavid.

– Dice tante cose. Haun’immaginazione fertile.Davidèilnomecheglihanno

datoaBelstar.Senevuoleunaltro,facciapure.

–SietepassatiperBelstar?Anch’io sono passato perBelstar.

– Allora sai comefunziona.Inomicheabbiamoce li hanno dati lí, maavrebberopotutodarcianchenumeri.Numerionomi:sonoaltrettanto arbitrari,altrettanto casuali, altrettantosecondari.

–Veramentenonesistononumericasuali,–diceJuan.–Per esempio, se lei dice:«Pensi a un numeroqualunque», e io dico: «96513», perché è il primonumero che mi viene inmente ma non è davverocasuale,èilnumerodellamiaAsistencia oppure il miovecchionumeroditelefonooqualcosa del genere. C’è

sempreunaragionedietrounnumero.

– Allora anche tu sei unmistico dei numeri! Tu eDavid dovreste mettere suuna scuola insieme. Tupotresti insegnare le causesegrete che stanno dietro ainumeri e lui potrebbespiegare alla gente comepassare da un numeroall’altro senza cadere nelcratere di un vulcano. Di

certo non ci sono numericasuali sotto l’occhio di Dio.Ma noi non viviamo sottol’occhiodiDio.Nelmondoincui viviamo ci sono numericasuali e nomi casuali edeventi casuali come ottenereun passaggio da unamacchina a caso con unuomo, una donna, unbambino di nome David. Eun cane. Qual era il segreto

nascosto dietro quell’eventosecondote?

Prima che Juan possarispondere alla sua tirata laporta dell’ambulatorio sispalanca. – Entrate prego, –diceildottorGarcía.

Lui e Inés entrano. Juanesita,madall’internosialzalagiovane voce limpida delbambino:–Luièmiofratello,devevenireanchelui.

Il bambino è seduto sul

bordodel lettino,sulle labbraun sorriso di serena fiducia,gli occhiali scuri in cima allatesta.

–Abbiamo fattounabellae lunga chiacchierata, io e ilnostro giovane amico, – diceil dottor García. – Mi haspiegato com’è che lui èdiventato invisibile per noi eio gli ho spiegato come mainoigli sembriamo insetti cheagitano le antenne nell’aria

mentre lui vola alto sopra dinoi. Gli ho detto chepreferiremmo ci vedessecome veramente siamo, noncome insetti e lui mi haconfidato che preferirebbe,quando ritorna a esserevisibile, che lo vedessimocomeveramenteè.Horiferitobene lanostra conversazione,signorino?

Ilbambinoannuisce.– Inoltre ilnostrogiovane

amicodicechelei,–eguardasignificativamente Simón, –nonèilsuoveropadreelei,–sivolgeaInés,–nonèlasuaveramadre.Nonvichiedodidifendervi. Ho a mia voltauna famiglia e so che ibambinipossonosostenere lecose piú folli. E tuttavia, c’èforse qualcosa che voletedirmi?

– Io sono la sua veramadre, – dice Inés, – e gli

stiamo evitando di esserespedito al riformatorio, dovenefarebberouncriminale.

Dopo aver parlato stringele labbrae loguardaconariadisfida.

–Eisuoiocchi,dottore?–chiedelui,Simón.

–Nonhanienteagliocchi.Ho fatto un esame fisico euno della vista. I suoi occhicome organi della visionesono perfettamente normali.

Quanto alla mano, l’hofasciata. La bruciatura non ègrave,staràmeglionelgirodiungiornoodue.Maoralasciche le chieda: devopreoccuparmidellastoriacheraccontaquestogiovanotto?

Lui lancia un’occhiata aInés.–Qualunquecosadicailbambino è giusto che lei loascolti. Se dice che vuoleallontanarsidanoietornareaNovilla, lo rimandiaNovilla.

Èilsuopaziente,affidatoallesue cure –. Si rivolge albambino.–Èquestochevuoi,David?

Il bambino non risponde,maglifasegnodiavvicinarsi.Con le mani a coppa glibisbiglianell’orecchio.

– Dottore, David miinforma che non vuoletornare a Novilla, ma vuolesapereseleiverràconnoi.

–Dove?

–Anord,aEstrellita.–Allavitanuova,–diceil

bambino.– E i miei pazienti, qui a

Esperanza, che contano sudime?Chisioccuperàdiloroseli abbandono per occuparmisolodite?

– Non deve occuparsi dime.

Il dottor García lancia alui, Simón, un’occhiataperplessa. Fa un respiro

profondo.–Davidsuggerisceche lei lasci il suo studio pervenire a nord con noi acominciare una vita nuova.Sarebbe per il suo bene, nonperlui.

Il dottor García si alza. –Ah, capisco! È davverogeneroso da parte tua,giovanotto, includermi neituoi progetti, ma la vita chefaccio qui, a Esperanza, èabbastanza felice e

soddisfacente.Nonc’ènientedacuiabbiabisognodiesseresalvato,grazie.

Sono di nuovo inmacchina, diretti a nord. Ilbambino è in pienaeccitazione e la manodolorante è dimenticata.Chiacchiera con Juan, fa lalotta con Bolívar sul sedileposteriore. Anche Juan

partecipa, sia pure un po’timoroso del cane, con cuiancoranonhafattoamicizia.

– Ti è piaciuto il dottorGarcía?–chiedelui,Simón.

–Èok,–dice il bambino.–Haipelisulleditacomeunlupomannaro.

–PerchévolevichevenisseancheluiaEstrellita?

–Perchésí.– Non puoi invitare ogni

sconosciuto che incontri a

venireconnoi,–diceInés.–Perchéno?– Perché non c’è posto in

macchina.– C’è posto. Bolívar può

sedersi sulle mie ginocchia,non è vero Bolívar? – Unapausa. – Che faremo quandoarriviamoaEstrellita?

– Ancora ci vorrà un belpo’ prima di arrivare aEstrellita.Portapazienza.

–Ma che cosa andiamo a

farelí?– Andiamo a cercare il

Centro di smistamento e apresentarciall’ufficio,tu,Inéseioe...

– E Juan. Non hai dettoJuan.EBolívar.

– Tu e Inés e Juan eBolívar e io, e diremo:«Buongiorno, siamo i nuoviarrivatiecerchiamounpostodovestare».

–Epoi?

–Tutto lí. «Cerchiamounposto dove stare, percominciare la nostra vitanuova».

U

Il libro

N UOMO E UN

bambino sbarcanoin una cittàmisteriosa, parlano

unalinguachenonèlaloroenonricordanonulladelleviteprecedenti. L’unica cosa chel’uomo sa è che deveprendersi cura di questobambino eccezionale –capriccioso, dolce, capace diguardare la realtà con occhiscandalosamente nuovi – eaiutarlo a ricongiungersi conlamadre.L’infanzia di Gesú è il libropiúmisterioso e affascinante

del premio Nobel J. M.Coetzee. Eppure è anche ilracconto piú semplice ditutti: quellodell’amorediun«padre» per un «figlio» cheha la grandezza e la forza diridefinireilmondo.

«Il Vangelo secondoCoetzee».

«TheGuardian»

«Unaparabolakafkiana sulla

ricercadelSignificato».JoyceCarolOates,«TheNew

YorkTimes»

«Unromanzochecontinuaagirarmi in testa da quandol’ho letto: non succedeva daanni».

«TheSundayTelegraph»

Un uomo adulto, quasianziano, e un bambino

sbarcano a Novilla. Novillanon è la loro città, lospagnolononèlalorolingua:ma come tutti gli abitantidella città, con cuicondividono il misteriosodestino, vi sono giunti dopoun viaggio in mare e nonconservano nessun ricordodelle loro vite precedenti.Nonsannodadovevengono,a chi erano legati, qualeevento catastrofico li ha

condottifinlícomeprofughi;non lo sanno e sembra chenemmeno abbia piúimportanza. C’è solo unacosa che Simón, l’uomo, sa:deveprendersicuradiquestobambino che ha conosciutosulla nave, deve accudirloanche se non è suo figlio,anche se nulla lo lega a lui.Anche se Davíd si dimostrapresto un bambino moltoparticolare. E sa che deve

aiutarlo a ricongiungersi conla«madre».Quando il romanzo sembraesseregiuntoailimitiestremidelsuoesaurimento,arrivanoscrittoricomeJ.M.Coetzeeamostrare che tutto è ancorapossibile: è come se ilNobelsudafricano prolungasse lalinea che daKafka passa perBeckettenefacessegemmarelepossibilitàperilmondodelnuovo millennio e le sue

inquietudini. L’infanzia diGesú èallo stesso tempounariflessione radicale eprofondissima sul misterodell’umano, sul conflitto tradesiderio e felicità, tra Storiae Salvezza, una perturbanteinterrogazione su comedobbiamo vivere e se maisaremmo in grado diriconoscere il Messia searrivasseoggi.Maèanche lastoria struggente dell’amore

di un «padre» per unbambino, quell’insieme ditenerezzaeresponsabilitàchespinge un uomo a prendersicura del futuro anche in unmondochedi futuro sembraprivo.L’infanzia di Gesú è statoaccolto in tutto il mondocomeuncapolavoro:eppure,o forse proprio per questo,nonc’èpraticamentecriticoolettore che ne dia la stessa

interpretazione, nessunalettura che ne intacchil’enigma. È come se ognunodi noi si trovasse di fronte aun libro diverso, a unadomanda a cui dovrà dareuna risposta assolutamenteindividuale. A un libro cheparlasoloalui.

L’autore

J. M. Coetzee è nato inSudafrica e attualmentevive in Australia. Di luiEinaudi ha pubblicato:

Vergogna, Aspettando ibarbari,La vita e il tempodi Michael K, Infanzia,Gioventú, Terre alcrepuscolo, Nel cuore delpaese, Foe, Il Maestro diPietroburgo, Età di ferro,Slow Man, Spiaggestraniere, Diario di unanno difficile, Lavori discavo. Saggi sullaletteratura 2000-2005,Tempod’estate eDoppiare

il capo. Nel 2003 è statoinsignitodelpremioNobelperlaLetteratura.

Dello stessoautore

AspettandoibarbariVergogna

Infanzia.Scenedivitadiprovincia

LavitaeiltempodiMichaelKGioventú.Scenedivitadiprovincia

TerrealcrepuscoloElizabethCostelloNelcuoredelpaese

IlMaestrodiPietroburgoSlowMan

Spiaggestraniere.Saggi1993-1999Etàdiferro

DiariodiunannodifficileLavoridiscavo.Saggisulla

letteratura2000-2005Tempod’estate

Doppiareilcapo.SaggieintervisteFoe

L’infanziadiGesù

Quieora(conP.Auster)

TitolooriginaleTheChildhoodofJesus©2013J.M.Coetzee.Allrightsreserved.

J.M.CoetzeehasassertedhisrightundertheCopyright,DesignsandpatentsAct1988tobe

identifiedastheauthorofthiswork.PublishedbyarrangementwithPeter

LampackAgencyInc.350FifthAvenue,Suite5300,NewYork,NY

10118,USA©2013GiulioEinaudieditores.p.a.,TorinoIncopertina:fotoiStockphoto.Elaborazione

graficaTextPublishing,Australia.

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EbookISBN9788858420249