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GiorgioFalco

LagemellaH

Einaudi

Vuoi vedere che cicompriamopureilsalotto?

MARIOCAMERINI,Igrandi

magazzini,1939

Il fascismo era lo spirito,Upimerailcorpo.

LEOLONGANESI

Maiogiacciosola.

INGEBORGBACHMANN

Hilde

Noi mangiavamo le melesolonellostrudel,prima.

È l’inizio, l’istante in cui

ricordare significa cancellarei tentativi precedenti,fagocitati dall’immaginedefinitiva, che rivivel’esistenza e assorbe tutte lealtre possibilità, anche ledimenticanze serbate nellamemoria: erba del primomattino, foglie responsabilidella penombra, sagomesudate a mezzogiorno, voltodi donna quando finisce diintonare una canzone, gocce

disanguesullanevefresca,ilgiorno in cui, per la primavolta, tratteniamo il respirodavanti aun cestodimirtilli,le vene gonfie del collo,quelledelletempieinrilievo,per immaginare la nostramorte da bambini. Ilmomento dello strudel èsempre solo mio e di miamadre, è il nostro momento.Helganonnecessitadistrudelper sentire il bene di nostra

madre.Matuttoquesto,comedice mio padre nel 1945,accade prima. Quanto tempopossiamo trattenere, prima?Quanta memoria sopravvivealla bambina Hilde? Ognifamiglia rinchiude il passatodentro frasi significative,ritornano un paio di volteall’anno, pesano come uncantomalinconico,acuisidàvoce con un duplice intento:la speranza che nella frase

qualcosa possa mutare; lacertezzache,ancheperquestavolta, nulla cambierà. Allorasiamo in silenzio nei giornidelle mele e dello strudel,prima, le mele e lo strudelsonomiamadre,chesetacciala farina in una terrina,aggiungesaleefaunpiccolotaglio in mezzo, lí metteburro e versa acqua tiepida;midicediprendereilcoltelloe il cucchiaio, armata

mescolo l’impasto, unisco lafarina all’olio e all’acqua;continuo fino a quando miamadre lavora la pastella conledita,prosegueaccantoametestimone di tutti gliingredienti, le mele e illimone, l’uva sultanina, lacannella e la marmellata dialbicocche, felici, fuori daltempo.Ledatevorrebberounandamento lineare delricordo, una memoria

costruita a ritroso, maesistono altre voci, coro diluoghi e lingue differenti,pluralità senza gerarchie,l’amore per l’incompiutezzadella vita. Hilde Hinner nonsonosoloio,sebbenepartadauna posizione di privilegio:conoscolamiafine.

Maria Zemmgrund, miamadre, nasce a Bockburg,Baviera,Germania,nel1909.

FigliadiMichaelZemmgrundediChristaWissens.Michaelcombatte la Prima guerramondiale come soldato difanteria. Torna a Bockburgnel 1918, il volto èinvecchiato di quattro anni,ma le mani sono piú curateche alla partenza, quandolasciano la fabbrica. Lagambadestrainveceèzoppa.Michael Zemmgrundavvicina la piccola città, il

campanile della chiesa di StJosef, i rintocchi dellacampana sopra i tettid’ardesia, le nuvole riflessedentro le pozzanghere dascansare.L’invalidodiguerrafissa la muscolatura deglialberi,nell’incederesghembodella zoppia è come sevedesselepianteperlaprimavolta, ogni passo èl’intervallo della carneassente, un’aritmia del suolo

confermata dalla cadenzarivelatrice del respiro, chealterna la pesantezza dellagamba ancora intatta almovimento artificialedell’altra. Una contadinataglia la strada all’arrivo delsoldatosempliceZemmgrunde, nonostante la donnacammini diritta con unsecchio in mano, seminagocce a pochi metri dalleombre dei buoi, che si

sovrappongono nella terraarata. Gli zoccoli deglianimali avanzano con unmovimento simile a quellodelreducezoppo.

Bentornato, MichaelZemmgrund!

È invalido a trentasetteanni, con la pensione diguerra deve provvedere aChrista, a Maria e a Peter,nato subito dopo Maria, nel1910.Lafamiglialoaccoglie

attonita sull’uscio, fra iricordi confusi della moglierassegnata alla vedovanza egli sguardi incerti dei figli,ancora piccoli il giorno dellapartenzadelpadre.Osservanocauti il volto del soldato,delusidinontrovareilcalciodel fucile o una medaglia alvalore sul petto, ma fissanoincuriositi la stampella dilegno,chedall’ascellascendeal tronco e corre quasi

parallela ai pantaloni laceri,alla mezza assenza, dovefinisconoglisguardi.

Solo dopo alcune ore –trascorse dentro il bollettinofamiliare,nellacontadeivivie dei morti, mentre i figliestranei giocano in cortile –Michael Zemmgrund allentala fibbia e abbassa ilpantalone, si appoggia conuna mano alla spalla dellamoglie, che gli pare

un’infermiera matura. Legambe sono indebolite dairanci,dallezuppesemifreddeversate dentro scodelle diferro grandi quanto elmettibucati da un proiettile, ununico piccolo foro ingordo,che svuota il pranzo al postodellabocca.AiutatodanonnaChrista, il soldatoZemmgrund mostra il legnonero dell’arto, fissato almonconedellagambatramite

un intreccio provvisorio dilacci e stringhe. Ecco tuomarito, la pelle c’è, è l’ossoche manca: lei si avvicina,non almarito,ma alla nuovacreaturadilegno.

Una gamba quasi veraappartienesoloaunufficiale,a uno dei pochi comandantiche nella guerra perdequalcosa. La tua gamba èl’arto di un burattino, nonpuoi comandarla bene, è

come quando la gamba verasi intorpidisce e senti unformicolio, la tocchi, confidinellaprossimità,inveceprovisolol’assenza,solleviilpiedee il resto di te finto, trascininove chilogrammi di arto, iltuo è sempre un movimentoinnaturale, devi stare attentoal peso: non puoi ingrassare,altrimenti il moncone nonentra piú nell’imbracatura. Ilmoncone è il confine, devi

pattugliare la frontiera,nemmeno puoi dimagrire, ilmoncone ballerebbe dentroun estraneo, passerebbe aria,lo spiffero non può fuggirenel terreno, è condannato alcorpo, all’erosione lenta, dadentro. La schiena ti duole,per camminare zoppicandodevi darti la spinta con ilombari. Tutti compiangonola gamba ma dimenticano laschiena, che vive nella sua

nuova posizione: hai lalombalgiaacuta, lascoliosi, itessutimollisicalcificano, levertebre lottano fra loro e tiritrovi fermo, piegato alcentrodellastanza.

Gli Zemmgrund abitanonella parte vecchia diBockburg, in un piccoloappartamento al piano terra,ubicato al numero 20 diWiesenstraße. L’alloggio ècomposto da un’unica stanza

di trenta metri quadrati; ilbagno – condiviso con glialtriabitantidelpalazzo–èinun angolo del cortile, unostanzino costruito nel puntoin cui anche i gatti,all’esterno, approfittano dellaterraperilorobisogni.Mariadetestaigatti,illoropuzzodipiscioleappartiene,lericordal’umiliante condivisione neiprimiannidellasuaesistenza,quando si vergogna della

casa,dellastanzaincuinascee cresce, il disagio dellabranda in cucina, le nottiinsonniassiemealrespirodelfratello Peter, che si espandefino a impossessarsi dellemuramalate.

I piccoli appartamenti diWiesenstraße conservanol’eredità ottocentesca dellaterrabattutaannerita.Isoffittisonotroppobassiperricavaresoppalchi o cantucci

sopraelevati. In ogniappartamento abitano inmedia almeno quattropersone, come nel caso degliZemmgrund. Spesso vivonoinsei,esoprattuttod’estatelegrida o le sempliciconversazioni familiaririmbombano condivise con ilvicinato, e l’odore continuodelcavolo–piúcheilsesso,igemiti notturni dialettali –sembra il responsabile della

crescitademografica.L’odoreattraversa i piani e i divisoridi gesso come un incessantemormorio di recriminazione,la speranza che quelle paretipossano crollare, portandoconséleorecchieditutti.

NonnaChristaèunabravasarta ma non potrebbe farneuna professione abituale.Anche se avesse i soldi percomprare la macchina dacucire,dovelametterebbenei

trenta metri quadrati diWiesenstraße?Leivadi casain casa a ogni cambio distagione, usa lemacchine dacucire delle casalinghebenestanti o proprio ricche,ricchezza che fa perdere lorola qualifica di casalinga. Lesignore diffidano dei grandimagazzini, conservanol’abitudine di richiedere ivestiti alle sarte. Christaprende le misure,

s’inginocchia per segnare lalunghezza degli abiti, taglia,imbastisce,cuce.PortaconséMaria e Peter. Maria guardala forbice che affonda neitessuti, gli scarti di stoffe, ifili bianchi come larve.Fissail volto di Christa, serio pergli aghi o gli spilli stretti trale labbra, come d’abitudineper le sarte professionali.Maria teme una distrazionedellamadre,unostarnuto,un

sospiro improvviso, spilli eaghi dalle labbra in gola,nella trachea, in pancia, lamortematerna nelle case deiricchi, tra pareti lisce etinteggiate di bianco. Sullemura sono appesi quadri incui accadono fattiantichissimi, uccisioni disanti e animali, banchetti diubriachi, timidezze diMadonne. Christa non sacapire questi eventi

incorniciati all’interno delleabitazionienoninunachiesaspogliaefredda.Lecasesonocalde,hanno i termosifoni, lestufedimaiolica,diceramica,suitavolidimarmoodilegnointarsiato da ebanistisplendono centrinid’uncinettoricamatinel1700:i vasi di fiori non muoionomai.

NellacasadiWiesenstraßeun piccolo braciere riscalda

appena i piedi e parte dellegambe, lascia al freddo ilbusto, le mani. L’elettricitàarriva nel 1921 ma gliZemmgrund tengono spessola luce spenta, non si fidanodelle bollette, prediligono ilchiarore rossiccio dellalampada a petrolio. Nel buiodellapiccolastanza,l’umiditàsaledalpavimentoirregolare,ristagna a mezz’aria, sembraun animale notturno dal pelo

folto, che si appiccicaaffamato ai muri, bagna icapelliaderentiallefederedeicuscini ammuffiti, fino aquando la famiglia tossisce aturno, come per allontanaredai corpi i passi che sfilanolungo la strada, appena oltreil vetro appannato dell’unicafinestra. Sdraiata nel letto,accantoasuofratelloPeter,labambina Maria Zemmgrundsognaun’altravita.

Maria Zemmgrund sifidanza conHans Hinner nel1929,aunafestaestivalungol’Isar, uno dei due fiumi checingonoBockburg.Sivedonoper la prima volta nel 1924,quando frequentano la stessascuola, il liceo cittadino è apagamento, lei va a scuolagrazie al partito, che le pagal’iscrizione. Hans e Mariaballanosull’arginedel fiume,guardano per terra, timorosi

dipestarsi ipiedi;siedonosuun masso ancora caldo delsole pomeridiano, l’arianotturna rischiarata daifuochi, dallo strepitare fortedilegnaerisa;bevonobirraemangiano frittelle di patatemezze fredde e uova sodeprese da un cesto illuminatodairaggilunari,sembracheilsatellite si rapprenda al disotto dei gusci, nel nucleooriginario dei giorni, per

manifestarsi tra le mani diHans e Maria, che nonconoscono molto l’unodell’altra, solo gli incrociquotidiani dei volti cresciutiin poco tempo. Hanno giàvent’anni.

Nel 1929, nonostante ladifficile situazioneeconomica, Maria lavoracome commessa nel negoziodi tessuti, coperte, lenzuolaebiancheria intima di Frau

Adlung,lungoMarktstraße.Ilnegozioèincentro,gliaffarivanno bene solo di sabato, ilgiorno di mercato, quandograzie alla vicinanza dellebancarelle e a una maggioreaffluenza, anche il negoziobeneficiadell’assembramento. Non hopaura della concorrenza,ripeteFrauAdlung,magaricifosseilmercatotuttiigiorni!Meglio un solo venditore e

dieci clienti, o meglio diecivenditori e cento clienti?Certo, meglio un venditoreper cento clienti, i mieiprodotti sono adatti a ognitipo di borsellino, possoconquistare tutte le centoclienti. Eppure gli affarivanno male, Maria nonricorda l’ultimo ingresso innegozio di qualche coppiaalla ricerca di un tessuto perun completo spigato,

economico, da mettere neigiorni di festa, con ilpanciotto, la cateninadell’orologio ereditato dalnonno. La padrona consideraMaria un investimento per ilfuturo:certepersoneèmeglioaverle dalla propria parte.L’assunzione della figlia diuninvalido–inunperiododicrisi economica – puòconsiderarsi una follia, maFrau Adlung è lungimirante:

qualealtrapadrona,nel1929,assumerebbe la figlia di unnazista zoppo? Si vendonomeno stoffe, quando lemaniche delle giacche sonolisebastaunatoppadivellutoper attraversare un altroinverno, non solo i bambiniindossano pantaloni semprepiúcortiindicembre,ancheiragazzi con i primi baffetti.Almeno indossassero uncappotto! Si arrangiano con

giacche e due strati dimaglioni, spesso bucati,credono di recuperare caloreconicalzettonidilana,chesislabbrano subito, quandol’elastico li fa scendere sullescarpe, come ghette per lepolacchine forate. I clientiricchi preferiscono comprareun paio di mutande aMonaco.Abbiamo il negoziopieno di mutande.Venticinque chilometri ad

andare e venticinquechilometri a tornare. Hans,faresti cinquanta chilometriperunpaiodimutande?

Cinquanta chilometri lifarei per andare aNorimberga, per lavorarenella redazione di «DerStürmer». Il presente di uncerto giornalismo è lamenzogna, il doppio senso,l’insulto, la provocazione,l’attacco allo scheletro

dell’esistenza, ilsolleticamentocontinuodiciòche abbiamo appena sottol’epidermide: l’orecchiofedele,prontoadaccogliereilritornelloingiuriosodeltitolourlato, che dà forma alpregiudizio come valore, laparola svilita, pochi concettiripetutifinoaunasensazionefisica di nausea. Domaniconcederemo la replicasdegnataallavittima,saranno

parole deboli, che rintuzzanoil ritardo, nessuno lericorderà, se si supera unasoglia replicare è inutile,ribattere è ridicolo, chi ha ilgioco della lingua inmano ègià altrove, aprirà un altroattacco, la violazionesistematica della parola,facilitata dai secondi diattenzione che ogni essereumano può sostenere,nessuno vuole controllare la

veridicità di un resoconto, diuna notizia. Il mondo è unedificio fatto di parole, leparole occupano piazze,strade, stazioni, radio,giardini, automobili, case,asili,scuole,fabbriche,uffici,manicomi, ospedali. Noiinventeremo una nuovadiscordanza tra realtà elingua, per riempirel’esistenza del popolo che

ascolta: Maria, io voglioesserelà.

Hans Hinner dall’età divent’anni lavora per«Mutter», il giornale diBockburg e dintorni. È unodegli oltre quattromilaquotidiani e settimanalipubblicatiprimadel1933.Hauna tiratura di ventimilacopie, esce con il formato diun quotidiano ma è unsettimanale diffuso fino alle

località che si affacciano sullago di Starnberg, lungo icinquantacinquechilometridiperimetrolacustreepiúasud,aBadTölz.

Quanto è noiosa la vitadentro il negozio di FrauAdlung,lestoffeordinatepertipo – seta, lana, cotone –tonalitàesoprattuttoprezzo,itessuti piú costosi sononell’angolodestro,vicinoallacassa e alla vetrina, dove la

padrona passa le giornate,serve le migliori clienti che,anche quando le cose vannomale,perquantosilamentinosempre, entrano ancora innegozio,risolvonoiproblemidel mondo con i tessuti, litastano, perdono le dita neiricami, leunghienegli intarsipiú preziosi, i polsiingioiellati sembranoaumentare il valore dellestoffe.

Èunaseradifesta,l’estatedel1929, i fuochidelle torce– aiutati dalla musicaesuberante – illuminano lariva,iprimimetridelfondalesanno di bucato, le fiammelascianolenoteelamusicasiquieta, trova il punto diequilibrio nel mezzo delfiume, dove solo l’acquaparla, presa dentro il suoingranaggio, e lamusica e leurla gioiose giungono

lontane, ignare da un’altraepoca.

E quanto guadagnerebbeun giornalista di «Mutter»?Abbastanza per manteneremia figlia? Ne dubito.Almeno avessi il mestiere dituo padre! Tutti conosconoHerbert Hinner. Hinner,fabbri da generazioni. HansHinner: giornalista. È unlavoro, a Bockburg?

Giornalista è un passatempo!Scommetto che guadagnimenodiunoperaio.Detestoigiornali come«Mutter».Nonm’interessa sapere il giornoincuiilmiovicinosmarrisceilpropriocane.Nonsentopiúabbaiare, lo so anche senzaleggere. Tu vuoi cambiare lecose, ma hai bisogno di unaguida vera, politica, peruscirenelmondo.Nessunoaltuo livello può pensare di

vivere da giornalista, aBockburg. Se proprio vuoi,tieniti «Mutter» perarrotondare la paga e trovatiunlavoroserio.Nonvuoifareil fabbro? Fatti comprare datuopadreunbuoncappottoeun cappello nero, fa sempreun bell’effetto, la gente puòcredere che sotto il cappelloci sia una testa con qualchebuonaidea.

Rosie prospetta un buon

matrimonio per Hans fin dal1910, il giorno del primocompleannodel figlio.Nonèfelice quando lui le annunciailsuofidanzamento,apranzo.Impugna la forchetta, chesembra pesare dieci chili,prima di precipitare nelpiatto. Ascolta tua madre.Esistono tante ragazze aBockburg. Se le altre non tipiacciono,nonèobbligatoriosposarsiconunadiBockburg.

Monaco è piena di ragazze!Norimberga è piena diragazze!MariaZemmgrundèfigliadiuninvalido!Invalidodi guerra, ma sempreinvalido.Suopadreènazista,Hans, sono bifolchi, noisiamo nazionalisti, nonnazisti, la monarchia ètradizione e classe, perchélegarsi alla figlia diZemmgrund,lozoppo?

Michael Zemmgrund non

è l’unico invalido diBockburg. E non tutti sonovittime di guerra, c’è anchequalche poliomielitico.Vivono le strade, trascinanoscarpe senza lacci, sotto icappotti indossano legiacchesformate dei pigiami a righe,pantaloni due taglie piúgrandi; brontolano per le viedel centro contro i suonatorid’organetto, vecchimendicanti infreddoliti dalle

voci rauche assuefatte allefilastrocche cheaccompagnano la musica e isilenzi dei loro caniammutoliti dalle museruole.Gli invalidi sostano davantialla chiesa di St Josef,appoggiano i cappelli sulselciato,lirivoltanoperterra,verso il cielo in attesa diofferte,litiganotraloroperlaposizione migliore, siminacciano, sollevano

stampelle, agitano bastoni dilegno, mani artificialiracchiuse nei guanti neri, equando la lotta si placaincominciano a sussurrareimplorazioni, gemiti mestisconclusionati, quasi che lavoce fosse una creatura a séstante, indipendente dal restodel corpo. Eppure tutti imendicanti, sia quelli cheriescono a spuntare qualchesoldo, sia quelli che non

ottengono nulla dalla lorotattica, subiscono le risa discherno dei bambini. Ibambini sanno istintivamenteche la spietatezza – come laconoscenza o l’amore – èmeglio non disperderla, èbene indirizzarla verso unavittima precisa. I bambinitirano calcetti, esercizi ostilimirati all’arto mancante,urlano parole d’ordine,pretendono che l’invalido

prescelto diventi altro, nonpiú uomo, essere che cantacomeungalloall’albadelsuoultimogiorno.

MichaelZemmgrundevitaquesti invalidi. In birreriaconosce Franz-Josef Krauss.Haventicinqueanni, icapellibiondi fini e radi, le guancerosse come due piccolebistecche al sangue aggiunteall’epidermide in un doppiostrato di pelle, che avvampa

sotto i piccoli occhi, duestrette fessure confuse conmacchie e sfoghi, foruncoliche lo condannano aun’immagine adolescenzialeincongrua e goffa, che parepossa esplodere, per rivelare,sotto la superficie, il verovolto. Krauss lavora fino aventidue anni nel negozio dialimentari del padre. Allamortedelgenitorecedelasuaparte a Kurt, il fratello

maggiore. Dopo il fallitocolpo di stato nazista nel1923, Krauss decide diimpegnarsi politicamente.Come molti abitanti diBockburg,Krauss–primadel1923 – è un elettore deinazionalisti. L’elettorato diBockburg si divide trasocialdemocratici enazionalisti, con unaprevalenza dei primi. Icomunisti sono pochi, i

nazisti ancora di meno. Unlunedí mattina del 1924,l’invalido MichaelZemmgrund varca la sogliadella sezione del Partitonazista al numero 2 diMarktstraße. Utilizza quellasua zoppia individuale comela certificazione di un tortocollettivodarisarcire.Quattroanni dopo, alle elezioni, inazisti raccolgono meno dicento preferenze, ma questo

non impedisce al partito disistemare Maria Zemmgrundnel negozio di Frau Adlung,l’annoseguente.

Funzionari statali,impiegati pubblici, operai,ferrovieri, reduci della Primaguerra mondiale,commercianti, commessi,fattorini,artigiani,agricoltori,braccianti: tutti sostano congli abiti delle loro precedentioccupazioni, compongono le

lunghefiledidisoccupati,chediventano un’unica massa,chi con divise operaie, chiconcappottiesoprabitigrigi,che lasciano intuire unpassatoinqualcheazienda,excontabili o capireparto ovenditori sconfitti al terminedi una competizioneaziendale in un grandemagazzino, in un’aziendafarmaceutica oautomobilistica, in una

fabbrica la cui dirigenza èscontenta per la lieveflessione dei ricavi, e ora icappotti e i soprabitimanifestano il decadimentodei soldi e degli uomini. Idisoccupati provengonoanche dai dintorni dellacittadina, alimentano le ansiedei bockburghesi, i residentipassano davanti all’ufficio dicollocamento e pensano, ilprossimo potrei essere io, ho

venticinque anni, hotrentadue anni, ne hoquarantaquattro,sediventassiloro, sarei finito. Siamo tuttiuguali e in fila. Chi ha unmilione dimarchi è come senonavessenulla.Chinonhanulla non ha neppure vogliadi avere banconote, utili, almassimo, per bruciarle neicamini. Ogni disegnoimpresso sui soldi – re,regine, operai con martelli,

contadini con falci – non hapiú valore cosí come ciò cheincarna. I commercianti silamentano, le clienti nonpaganoincontanti,entranoinnegozio e indicano la merceesposta.Lemoglideglioperairinunciano alla costina dicarne,nessunbambinomuoreper una patata in piú e unboccone di maiale in meno.Le mogli degli impiegatipretendono il maiale e il

filetto, non si accontentanodella margarina, preferisconoburro, uova, salumi,formaggi, non voglionogeneri alimentari vendutisfusi o alminuto, desideranoprodotti di marca, l’etichettacomesulgiornale,ripetonoleparole imparate dalla radio.Nonvoglionounosso,conunpezzettodicarneperfettoperil brodo. Le mogli degliimpiegati preferiscono

indebitarsi per il dado dellapubblicità.Elescatolette.Eildentifricio al fluoro: nonbastapiúsfregarelefogliedisalvia, un po’ di succo dilimone, tre minuti dispazzolino, e acqua. Allora icommercianti afferranosconsolati i loro quaderni,copertine nere sopra ilbancone, accanto alle casse.Aggiungono nuovi numerivicinoaicognomi,neicasidi

omonimia scrivono anche ilnome, che rende piú reale ilcredito. Scherr. Wendel.Wasen. Holund. Großweiler.Saulgruber. Oberhäuser.Seeler. Rheinmünster.MuellerPaul.MuellerPeter.Icognomi si aggiungonogiorno dopo giorno, lottanoper uno spazio dentro lerighe. Il negoziante devepagare subito i fornitori. Setutti pagano in ritardo e

l’intero sistema economicobancario si fonda sullaproroga, c’è una forma diequilibrio, di sopravvivenza.Infondo,quandotuttipaganoin ritardo, è come se tuttipagassero puntuali. Iproblemi incominciano sequalcuno pretende subito isoldi. I rappresentanti e gliagenti di commercio esigonodaipiccolibottegaipagamentiimmediati. Fateci vedere i

soldi, altrimenti non viconsegniamo piú la merce.Gli agenti lavorano peraziende che preferisconorifornire i grandi magazzini,ovvero grandi quantitativi diordini.

NonnoMichael dice che iproprietari dei grandimagazzini sono ebrei,acquistano mura svalutate,che utilizzano per inaugurarenuove attività, uniscono piú

edifici e li trasformano innuovi grandi magazzini, etramite relazioniinternazionali, commerciali ebancarie ottengono ottimiprezzidai fornitori, lipaganodopo qualche settimana maincassano subito i soldi daiclienti, cosí hanno unaliquidità enorme, che usanoper comprare altri immobili.Eintantoinegozidicittà–edelle cittadine piú piccole

come Bockburg – chiudono,restano solo gli ingenuiquaderni dei crediti e deidebiti: inutili numeri accantoagliingannideicognomi,cheletti uno dietro l’altroformano davvero unanazione. La nazione,archiviata nei quaderni deinegozi chiusi, vota, e la sedenazista di Marktstraße –accolta come qualcosa difolcloristico, nel 1924 – è

molto frequentata, come segli elettori uscissero daiquaderni e si manifestasserodentro strade, assemblee,eserciziginnici, cantidi cifrenonpagate.Graziealpartito,MichaelZemmgrundliberasestesso e la propria famigliadaltuguriodiWiesenstraße:inazistiglidànnolacasaoltreil fiume, al numero 8 diErdbeerestraße,lastradadelle

fragole. La casa è calda, hal’elettricità,l’acquacorrente.

HerbertHinner si esprimecon il martello nella suabottega.Famigliadifabbridagenerazioni. A Bockburg, seavete bisogno di un fabbroanche nelXIX secolo, andatenella bottega degli Hinner,ma non trattate troppo sulprezzo,HerrHinnerpotrebbespazientirsi e cacciarvi. Ama

il suo lavoro, ogni dettagliodell’attività contiene il sensodei gesti visibili nel prodottofinale. Herbert Hinner vivetra un cancello di ferro e ilproprio intimo. Svela sestesso,èilsuolavoro,nonhabisogno di svaghi perrecuperare la voragine tra leorelavorativeelavitavera.Ilsuolavoroègiàlavitaenonattende nulla: la produzionedello svago, i giorni di festa,

Natale, le domeniche,l’invadenza dei campanili, ilcinema, le gite al lago, leattività ricreative di massa.Herbert Hinner è attento,ossessivo, nemmeno si puòdire che lui ami il propriolavoro: è che non può farediversamente. Pensa conrimpianto al figlio, la finedella tradizione di famiglia.Hans potrebbe ancoraimparare il mestiere, ma

preferisce il giornalismo. Idesideri della madre lovorrebbero avvocato, notaio,non importa, purché stialontanodallabottega.Acostodi farlo diventare lamiglioresingola rotella di quelmeccanismo economico epolitico che potrebbedistruggere l’impresa delpadre.

Chi mai continueràl’attivitàdellamiabottega?Il

fuoco si spegne se non sialimenta, siamo fabbri,arriviamo da dodici secoliprima di Cristo, i cancellicrescono, circondano leproprietà,ifiorivivonotralesbarre di un’inferriata, i gattivi passano attraverso eannusano ipetali, ilmondoèdestinato alle cancellate,l’umanità ha bisogno di lettiin ferro battuto doveriprodursi,ammalarsi,morire.

Nostro figlio è giàgiornalista. Non sarà mai unfabbro. E che emozione ilprimo articolo di HansHinner!Rosieportailritagliodel giornale in bottega, alnumero 12 di Alpenstraße,una traversa di Marienplatz.Herbert indossa il grembiule,trascintilleelapilli,gliscartidilavorazionedisseminatisulpavimento terroso. Rosie siferma impaurita

nell’osservare laconcentrazionedisuomarito,ma l’orgoglio tra le mani ètroppo forte, si avvicina aHerbert, protegge il piccolopezzo di carta, lo schermacon il palmo, per paura cheuna scintilla bruci il primovagito di suo figlio. Herbertinterrompe il movimento, unsobbalzonescuoteimuscoli.Fermo, quasi minuto, con ilmartello in mano, è il solito

taciturno Herbert Hinner,sposato con RosalindFritzmayer detta Rosie.Herbert guarda quattrocentimetri di articolo a firmaH.H. e dubita. Chi dice cheH.H.sianostrofiglio?H.H.può essere chiunque!Heinrich Haas, il figlio deldroghiere! Helmuth Hartwig,il figlio dell’avvocato! H. H.potrebbe essere una donna!H.H.potreiessereio!

Ennesimo episodio dicrimine a Bockburg. Sabatonotte, approfittando dell’oratarda, alcuni malviventipenetravano furtivamente nelnegozio di HaraldSteffenhagen. I ladrirompevanoconunmartello lafinestra del retro e razziavanogeneri alimentari: salumi,pane, formaggio, birra. È laseconda volta in pochi mesicheilnegoziodiSteffenhagen

èvisitatodailadri.Seallacrisieconomica,chegiàattanagliainegozianti costringendoli allachiusura,siaggiungonoifurti,ci chiediamo: cosa occorrefare per mantenere la fiducianella società, e l’ordine? (H.H.)

Il direttore di «Mutter»,Klaus Anton, è unnazionalista vicino aisettant’anni, scaraventato

controvoglia nel XX secolo.Apprezza la destranazionalista cattolica, ha unsentimento nostalgico per ilperiodo imperiale:attraverserebbe Bockburg incalesse,conuneleganteabitonero ottocentesco, uncappello da sollevare quandoincontra una signora, checonsidera sempre e soltantouna donna, mai unapotenziale lettrice. Si

fermerebbe a parlare conqualche vecchio conoscente,insistendo su piccoli episodimarginali, che fanno la vita,mentre il cavallo rifiata. IlPartito nazista è per KlausAntonunpassatempoginnicodomenicale, un divertimentoda ragazzi, la banda,l’intervento di oratori el’attesa del tramonto, quandoagli ultimi raggi nel cielo siuniscono le linguedi fuocoe

fumofinoaiprimipianidellecase. Klaus Anton nonaderisce al nazismo, pensapiú alle piante del suogiardino che a «Mutter», ilgiornalismo è un hobby, nonbaratterebbe mai una notiziain anteprima con il suociliegio. La redazione èformata da pochicollaboratori, studentivolenterosi che sentonol’esperienzaalgiornale come

una pratica giovanile prestosostituita da un lavoro vero.Anni dopo, gli ex redattorimostrerannoiritaglidivecchiarticoli ai figli: ragazzi,vostropadrenonèsoloquellochevedete.

La redazione di «Mutter»–alnumero7diMarienplatz,difrontealmunicipio–pare,a seconda dei giorni, unfoglio studentesconazionalista, una

pubblicazione parrocchiale,ungiornalinodopolavoristicodi impiegati, che cercano disuperare la loro disillusioneconunarabbiaironica.KlausAnton è il direttore. TuttaBockburg lo chiama cosí,sembra sia nato direttore,coluichedecidecosaleggeràla comunità cittadina e ilcircondario. Tanta cronaca.Sport. Il calcio va semprebene, trattato come un

incontro educativo, glorioso,tra giovani leali.Qualcosa dipolitica, contro isocialdemocratici, senzaesagerare. Arriviamo da undecennio di povertà per tuttoilpopolotedesco?No,nonlopubblicherebbe,perunasortadipudoreversolemiseriedelmondo, lui identifica lapovertà con la sporcizia.Piuttostoesaltiamolapulizia,leantiche tradizionibavaresi.

Un appuntamento con lacompagnia delle operetteviennesi. Le inserzionipubblicitarie, i rapporti con icommercianti e gliimprenditori generosi.Fotografie e illustrazioniriempionoinfrettalapaginaeriduconoillavororedazionalesuitesti,bastanoduerighedididascalialapidaria.Eunpaiodirubrichefisse.Ilprezzodeigeneri alimentari. Lo stato

civile, matrimoni conprofessioni, nati, morti.L’angolo del cuore. Larubrica della posta aldirettore. «Mutter» è ilcompanatico della settimana,quando tutti gli altri lavori eaffanni finiscono, el’esistenza offre quindiciminuti di intermezzo, perleggere e addormentarsiaccantoalcaminoininverno,o ascoltare in primavera il

suono delle pagine sfogliatedalventonelgiardinodicasa.

Klaus Anton comincia ilblandorimproveroalgiovaneHans Hinner, smanioso difarsinotareconuncommentonon richiesto alla notizia delfurto nel negozio di HaraldSteffenhagen. Bockburg perKlaus Anton è la pacificaespressione provinciale apochi chilometri dal lago diStarnberg. Ma H. H. non è

KlausAnton.H.H. ci crede.Non è uno studente, non haun altro lavoro o desideriproiettati in una vagaaspirazione carrieristica fuoridal giornalismo. Lui ha solo«Mutter» e vuoletrasformarlo. Non piú docilestrumento del chiacchiericcioannoiato con un’animadomenicale. «Mutter» deveessere espressione delnazionalsocialismo, diventare

voce del partito in questopiccolo pezzo della Baviera,dellaGermania,delpianeta.Eallora i lettori crederannoanche a ciò che non vedono,perché è già dentro di loro.Nel 1932 dobbiamopubblicare notizie suavversari politici, vagabondi,asociali, accattoni, piromani,molestatori di bambini,suonatori di strada: bastafisarmoniche e suppliche di

pfennig,èorachegliabitantidi Bockburg sentano ilrumore dei propri passi.Klaus Anton deve lasciare ilgiornale. Rimarrà sempre ildirettore. Buongiorno,direttore! Io, Hans Hinner,saròpiúdeldirettore:useròleparole meglio di quanto miopadreutilizziilsuomartello.

I pezzi di coloro che sifirmano con le sole inizialisono semplici articoli di

servizio. Una carrozza perdela ruota in Marienplatz. Lagara di canto tra i bambinidella scuola media. Pescamiracolosa nell’Isar. Ilsuccesso della corsacampestre giovanile. Notizieslegate da qualsiasi ideacorale di mondo. Le coseavvengono isolate, oggettivee brevi, la notizia è solo ciòche accade, il mondo è lanotizia, senza che vi possa

essere correlazione tra fatti.Fin dal suo primo articolofirmato con le sole iniziali,Hans Hinner intravede unapossibilità. Se fosse unsemplice testo siglato H. H.nonci sarebbe l’ultima frase,dovec’èl’ideadiunfantasmache ascolta, da plasmare eindirizzare attraverso ladomanda retorica formulatada un noi, una domanda allaquale tutti vogliono

rispondere, e le misterioseiniziali H. H. non sono lafrettolosa superficialitàimpersonale,sono il soffiodichiunque, il sentire comunepiú intimo, l’opinione dellagentediBockburg,ditutti.

H. H. guadagna poco algiornale.Rosiepassaalfiglioi marchi conquistati dalmartello di Herbert, li infiladentro il taschino dellacamicia, allunga la mano

come se lo stesse allattando.Quando H. H. diventa HansHinner, mio padre haventiquattro anni, i capellineri pettinati all’indietro, labrillantina da attore fascistaitaliano evidenzia la fronteampia,leveneinrilievosulletempie, che pulsano etrasformanoilvolto,lancianoscosse al centro della faccia,rendono mobile il naso, labocca, che subito si adatta a

una smorfia, a un sorriso.Hans Hinner veste abitilontani dallo stile bavarese,tanto da farlo sembraredavvero italiano, non proprioun attore protagonista, mauna comparsa promettente,combattuta tra l’ambizionedifarcela e la sotterraneainsicurezza.

HansHinnersalutaconunbreve discorso il vecchiodirettore, cambia i

collaboratori,accoglieinuovidicendo che vuole personemotivate. Basta con ilpaternalismodiKlausAnton!Hans, figliolo, che ne dici diun’intervista al sellaioSchwarz? Da lí potremmopartire per approfondire laquestione degli artigiani. Equella dei cavalli, il loroutilizzoinagricolturaocomemezzodi trasporto, unabellaretrospettiva sulla Bockburg

ottocentesca. Il fotografoRheiner ha moltissimomateriale d’archivio: un innoall’eleganza aristocratica ealla semplicità popolare. Econ l’inizio dell’annoscolastico possiamopubblicare i pensierini piúsignificativi degli alunni, oalmenoilorodisegni.Questoèilpassato.

Nessuno crede che unpiccolo settimanale possa

diventare la voce locale delpartito, venticinquechilometri a sudovest diMonaco. Il giornale è invendita su abbonamento, èdepositatoneicontenitoriagliangoli delle strade, suimarciapiedi, dentro bachechesistemate in stazione,all’ospedale, nelle scuole,davanti alle chiese, nellepiazze principali, lungo imarciapiedi piú affollati.

Hans Hinner sceglie i pochicollaboratori con l’aiuto delsuocero, riesce ad avere unabuona raccolta pubblicitaria,nonostante i negoziantivendano poco. Non occorreneppure l’uso della violenza.Basta l’allusione alle divise,ai simboli, che sono dasempre ciò che fonda ilconsenso diun’organizzazionepolitica: sicostituisce una comunità

attornoaisimboli,eappenalafedeltà della massascricchiola – provata dalladisillusione – è sufficientemostrare ancora una camiciacolorata per ripristinarel’unità e l’entusiasmoiniziale.Cosí isimbolihannoancora senso, i capi e igerarchi ricominciano aparlare, a stringere mani e asollevare braccia, ritornanocredibili, sebbene ogni loro

gesto non sia mai fine a sestesso,slegatoegenerosonelcomputo dello spreco delmondo, ma sempreintossicato da unconcatenamento di segni. Lapropaganda cambia lapercezione dei soldi, delletasse, dei corpi, l’orizzonte èsempre lo stesso, la merceche posso o non possocomprare, che possocomprareindebitandomi,fino

al2933.Eppurenellevicendeumane, mille anni stancano,sonotroppi.Nessunodesideravivere un millennio,nemmeno la sabbia dellaclessidra, che già al decimoribaltamento sente il nostrostessoterrore.

Hans Hinner e MariaZemmgrund vogliono tutto,ora. Hans Hinner emana unprofumo di dopobarba, comeseogniimmaginedisestesso

fosse l’essenza di unagiornata lavorativa nellaqualetuttaviasitrovasemprequalcosa di gradevole,festivo. Giacche e pantalonisono confezionati con itessuti del negozio di FrauAdlung.Marianonlavorapiúcome commessa dal 1932,può tornare in negozio eindossarel’abitosocialedellasignora Hinner. Frau Adlungla serve con rispetto, felice

della sua premonizione:Maria, questo è solo l’inizio,sei destinata a una vitalontanodaqui.

Maria Zemmgrund senteunadoppianausea,halemanigonfie,nonlericonosce,ogniparte del suo corpo vuoleabbandonare il resto dellacarne, non riesce a evadere,qualcosa di potente la lega edisfa dall’interno. I nonni

sono altrove, impegnati neirispettivi lavori. Le nonnevanno su e giú per la casa,nervose, soprattutto Rosie,suocera che soccombedavantiall’intimitàdimadreefiglia. Hans preferirebbe ilparto in ospedale, in unastanza singola, sotto ilcontrollo di medici einfermiere. Christa e Mariapreferiscono la villetta.Chiamano Gerda, la vecchia

ostetricacongliocchigrandivenatidirosso.Leigiàprimadel travaglio spontaneocapisce l’arrivo di un partogemellare, le bastaun’occhiata alla pancia diMaria, Gerda ha un passatoaffollato di vivi e di morti.Christa delimita il perimetrodellettocomeunanimalechemarca il proprio territorio, lasua bambina ansima adagiatasu teli e asciugamani stesi

sopra le lenzuola. Il corpoguidaMariaallaricercadellaposizione giusta, i bambininasconodasoli,dacosítantotempo, l’11 marzo 1933 èsabatoancheaBockburg,eailati delle strade c’è l’ultimaneve sporca scioltadalFöhn,l’aria dopo mesi è quasitiepida, non per Helga, chenasceprimadime.

Ripulitadalsangue,Helgastringe i pugni, piange

strattonata dall’aria fredda.Ho centottanta secondi disolitudine. Indugio immersanel caos della mia identità,sospinta verso la soglia, latesta ruota e dilata la vagina,mi tirano dove immagino diessere, devo solo iniziare nelmiostessocorpo.Leplacentegemelle in un secchio,residuo di materia daseppellire in giardino, dovenasceranno rose. La stanza

conpoca luce, i nostri strilli.LasomiglianzaconHelga, lesupposizionideigrandichecifissano,lapellearrossata,noiabbiamo la bocca di Hans, icapellibiondidiMariaancheseancoraradi,qualcosadiunparente morto giovane, inonni, la discendenza fino aMassimiliano I, il Regno diBaviera,l’ImperoTedesco,laGermania,ilTerzoReich.Mimettono in una culla, cosí

grande da contenercientrambe, ma subito Rosiecorre dal falegname peracquistarne una nuova,identica: noi siamo le nuovecosenecessarie.

Giriamo la testa da unorecchio all’altro, stese nellaculla,accantoallafinestracheaffaccia sul giardinetto delretro – dove negli anniseguentivedremo il tramontoemiamadreurlerà,bambine,

è pronta la cena – siamostrette nei vestitini di lana erespiriamo sotto un’unicacoperta,che lievitaspintadainostri piccoli petti, abbiamogli occhi socchiusi, le maniagitate richiedono attenzione,serrano nei pugni sospesi isegreti,lamutacomprensionedinoistesse.

Arriva dalla redazione di«Mutter», guarda attonito le

due nuove creature, i parentichiedono,Hans,cometisenti,adesso che sei padre? HansHinner prende due pasticcinidalvassoiodinonnaRosie,cifissamasticando e dice solo:il prossimo sarà unmaschio.Mi avvicino controvoglia alsenodimiamadre,assiemeaHelga. Lei avvinghia ilcapezzolo infiammato,sospiro e appoggio le labbrasu Maria Zemmgrund nei

suoi ventiquattro anni d’età.Mia madre ci sveglia allastessa ora, ci allatta e lavaassieme, nella piccolatinozza. L’acqua non è piúamicacomedentrodilei,èiltuonodiuntemporalevicino.

Quando Helga piange,ascolto il suo lungo lamento,fisso il soffitto, l’ombra dinostramadrecipassaaccantoe rintuzza di baci il piantoormai paonazzo. Maria

Zemmgrund dice diriconoscere lo stile dei piantifin dal giardino, individua legemelle a distanza: Helgapiangespesso,puòscuoterelacamera,saràperchéhacaldo,freddo, è sudata, ha sete,sonno, ilpannolinosporco, ilraffreddore che la invade, oprovasolonoiaperundoloreche non diventa qualcosa didiverso, si esaurisce in sestesso. Hilde piange poco, e

selofanonsembracredereallamento, piange perconvenzione, per il disperatodesiderio di adeguarsi aglialtri,nonperfameosete,perun dolore ancora ignoto,piange l’abitudine, perchécosí il mondo esigedall’inizio.

I pensieri principali diMaria Zemmgrund sono ipannolini, una carrozzina a

due posti, il doppio corredoda neonato, i giochi perbambini. Succede nelledittature e nelle democrazie,la quotidianità prende ilsopravvento come una formaottusadirimozione,didifesa,esuggeriscelavita.Lamerceci salverà anche nel 1933:attendesugliscaffali,ripulita,asettica, scende dai porti,comeuncorteofunebrelungoleferrovie,attraversaicampi,

le autostrade di nuovacostruzione assieme aicamion militari, alle lucideberline nere di proprietà deifunzionaridipartito,alleautodegli agenti di commercio;viaggia sui camion, scatolonidi mezzo quintale caricati escaricati a braccia neimagazzini, da giovani chelavoranoconlesigarettetralelabbra, ignorano anestetizzatiil bruciore delle cicche che

scalfisceappenailororespiri,nelle brevi pause parlano dipolitica e calcio, birra eragazze, concordano su ogniaspetto della vita, la forzagiovaniledeilorocorpirivelaun ottundimento intimo, unmeccanismochelioccupaeliriempie, spingono scatoloniin fondo ai camion egareggiano, il premio è laconsapevolezza provvisoriadei muscoli, qualcosa che

tenga insieme nervi, tendini,ossa, retorica sentimentale; iragazzi innalzano montagnedimercedentroicassonimutidei camion, ogni scatolone liazzittisce, persi dentroimmagini e frammentidimenticano il contenuto diciò che sollevano, potrebbeessereunbattaglionedicarnein scatola o pigiami perneonati,ilorocorpidiventanoinconsistenti, immemori: che

belle gemelline, cosadesidera,signoraHinner?

Ilmesediapriledel1933èmeteorologicamentemutevole, a Bockburg.Giornatetiepide,interrottedaimprovvisi assembramenti dinubi e rovesci di pioggia,gocce cosí grandi darimbalzare sul terreno perritornare ancora in aria edividersi in parti piú piccole,

resistenti al loro destino dipozzanghera. I prati siriempiono di piccolemargherite, gli alberigermogliano, il ciliegiofiorisce, i bruchi camminanosulleprimefoglie,legiornatedisolehannoancoraqualcosadell’inverno passato. PeterBurgsmüller è il prete dellaparrocchia di St Josef.È unavittoria del partito, spesso inconflittoconlealtegerarchie

cattolichebavaresi.Ilpretesiaggira per la città con passoveloce, inaspettato per unuomo della sua stazza, unpasso sintesi tra lavocazioneecclesiasticaelanegazionediuna carriera militare, safermarsi con precisione sullesogliedeinegoziedellecase,lungoimarciapiediinnevatioall’ombra di una quercia,ovunque nel mondo doveoccorre.PeterBurgsmüllerci

battezza, domenica 30 aprile1933.Helga tra le braccia dimiamadre,iosorrettadamiopadre,chemitieneadistanzadidiecicentimetridalrespiroteso, sono un pacco donoricevuto dagli archi dellachiesa di St Josef.Raggomitolate nei nostriquattro chilogrammi–dentroi vestitini bianchi, le frontiancora inumidite dall’acquabenedetta e marchiate dal

pollice del prete –camminiamotrasportatedallebraccia dei genitori.Attraversiamo Marienplatz, isuoni dialettali di un giornofestivo si incontrano nellaluce,checifasocchiuderegliocchi. Si festeggia ilbattesimo delle gemelleHinner, nella casa di Hans eMaria, al numero 9 diKirschenstraße, una delle viedel quartiere edificato agli

inizi del 1930, al di là delponte: un ultimo disperatotentativo del governo localesocialdemocratico permigliorare l’economiaattraverso l’edilizia. Ilquartiere,terminatonel1932,è un vanto dei nazisti, cherivendicano il meritodell’edificazione. Il cinemaMorgen trasmettecinegiornali prima deilungometraggi. Immagini di

quartieri uguali al nostro.Case non proprio identicheallavillettadiKirschenstraßee neppure davvero differenti.Abitazioni portatrici diun’essenza uniforme,sensazionecherassicura,ecifa dire: anche se non siamotra noi, sembriamo semprenoi.

Durante il banchetto delbattesimo,iparentimangianoarrosto con cavoli, pollo con

patate, torte al formaggio,funghi, cetrioli, sottaceti,pane di segale, frittelle dimele, strudel e birra. Il polloè di nonna Christa, nonnoMichaelfaticaacorreredietroagli animali, colpa dellaguerra persa nel 1918. Cipensa nonna Christa. Rosienon vuole allevare animali eneppure coltivare un orto,mio marito Herbert dicesempre:ilferroèilmioorto.

Rosienonuccide,leisiserveda Jansen, il macellaio delcentro.

La parola Hitler, per laprima volta. Tocca a nonnaChrista.Qualcunodevefarlo,prima o poi, non è possibilepassare il battesimo araccontare solo storielle daidoppi sensi e barzellette consottintesi erotici. Christa e laparola Hitler. La ripetonosubitodopononnoMichaele

zioPeter, chebeve indivisa,ilgiornodelnostrobattesimo.Nonno Michael dice Hitlerquando scosta con la linguaun pezzetto di carnedall’angolo sinistro dellabocca, per posizionarloaltrove, dopo un tragittoannoiato durante il qualesocchiudegliocchi,comeperassaporare in quel buioprovvisorio l’essenza dellapietanzaedell’ideologia.Zio

PeterdiceHitlermentreportaalle labbra il boccale, ha ilcolletto della divisa aperto.Nonno Herbert tergiversa,non vuole ripetere la parolaHitler, non vorrebbe direneppureMussolini,Churchill,Roosevelt, tantomeno Stalin.Herbert Hinner crede solonella sua bottega, nellapuntuale riscossione deldenaro, a lui non serve unquaderno per i crediti, tiene

tutto a mente e vuole subitoun anticipo, in alcuni periodic’èpiúbisognodiuncancellochedelpane,ancheseadesso,diceChrista,noidonnesiamosicure, possiamo stendere ipanni, certe di ritrovarlil’indomani mattina. Io eHelga ascoltiamo le vociabituali, fino a quando –scarnificando il suono –diventanoremote,qualcosadicaldo mi solleva verso il

soffitto, la trave ha unaprofonda venatura, le ultimeparole dell’albero nell’istanteincuidiventa la travediunavilletta, è legno troppoacerbo, e ora tocca moriregiovane, una seconda volta.La parola Hitler cambia ledinamiche tra le famiglieHinner e Zemmgrund, metteHans Hinner in unacondizione diassoggettamento, di

riconoscenza verso suosuocero. E quanto parla, ora,nonna Christa, come sedovesse recuperare il tempoperso.NonnaRosielaguardasempre allo stesso modo,tieneledistanze,maqualcosavaria in modo insostenibileper lei, la famiglia è ungruppodipersoneeterogeneeche passa la propria vitanegando i conflitti esistenti,spesso causa di segreti

imbarazzanti, e cosí ancheRosie pensa, mettendo unapatina infelice sullo sguardo:Hans,maiparlatomaledituosuocero, a Bockburg esistealmenounaventinadizoppi.

Bockburg è una cittadinatra Monaco e la campagnaattorno al lago di Starnberg.Sorge a quattrocentonovantametri sul livello del mare,venticinque chilometri a

sudovest di Monaco. Èbagnata dai fiumi Isar eLoisach. La Loisach è unaffluentedell’Isar,iduefiumisi incontranonellazonanorddella cittadina. Il mare piúvicino – la costa adriaticaitaliana – distacinquecentodue chilometri. Ilclimaècontinentale,lamediaannua delle precipitazionipiovose è di milleduecentomillimetri. In una cittadina

attraversata da due fiumi, gliabitanti guardano spesso ilcielo, ma l’ultima alluvionerisale al 1908. Da allora ibavaresicostruisconocanalieconduconoleacqueinpiccolilaghi artificiali, cheproducono energiaidroelettricaelimitanoidannidellepiene.Lepioggecadonosoprattutto durante l’estate,quando temporali – anche diforte intensità – si abbattono

sulla zona, a causadell’incontrotramassediariacalda e fredda. La neve – inmedia novantacinquecentimetri – cade danovembre a marzo. Latemperatura in quei mesi èspesso sotto lo zero, il climasubisce la vicinanza delleAlpima,per il sollievodegliabitanti di Bockburg, èmitigato dal Föhn. Il ventocaldo precipita dalle cime

montuose privo di umidità eregala giornate soleggiate esecche,chesciolgonolanevein poche ore. Le Alpi sonovisibili in lontananzae lepiúnote, quelle di Garmisch-Partenkirchen, distanocinquantanove chilometri,rappresentano qualcosa chespetta solo alle famigliericche. Pochissimi tra ibockburghesi assistono alleolimpiadi invernali di

Garmisch-Partenkirchen, nel1936. Bockburg ha unasuperficie di trentunochilometri quadrati. Ilterritorio comunalecomprende molti terreniattraversati dalla ferrovia, laIsartbahncollegaMonacoconla cittadina dal 1891. C’èanche l’autostrada, un’ideaprogettata durante laRepubblica di Weimar neglianni Venti, realizzata e

soprattutto ideologizzata afinipropagandisticinelTerzoReich, tanto che nel sentirecomune è considerata,assieme alle vacanze, unadelle eredità accettabili delnazismo.

Quando inauguranol’autostrada a Bockburg, nel1936, non c’è tanta gentecome nei cinegiornali con lavoce di Harry Giese. Io,Helgaemiamadrepartiamoa

piedi da Kirschenstraße,attraversiamo il boschetto dipioppidietrocasa,vorremmofermarci a giocare. Miamadrecisprona,percorriamola strada sterrata, tagliamo icampi, arriviamo al bordodell’autobahn, ma cos’èl’autobahn? Mio padre è giàsul posto, fa parte di unadelegazione cittadina,assiemeanonnoMichaeleazio Peter. Zio Peter

distribuiscecinquebandierinea cinque bambini. Peter, nonhanno forse due bracciaquesti bambini? E alloradiamo due bandiere a testa.Giusto, papà, cosí lebandierine sembrano dieci.No, Peter, non sembranodieci, sono dieci, e se lebandierine sono dieci,potrebberoesserediecianchei bambini. Se fossimo in uncinegiornale cammineremmo

veloci come fuggiaschientusiasti, prima di disporciimmobili lungo la banchina,incitati al canto daaltoparlanti legati ai cassonidi camioncini, e lanceremmofiori alle berline nere semprepiú vicine, i rumori deimotori in lontananza, le urlanella stessa direzione.L’autostrada è deserta, gliuccelli attraversano le corsie,volteggiano ancora ignari a

filo dell’asfalto, si fermanosulla minuscola striscia diverde che divide lecarreggiate.

Un minuto e mezzo conl’ingegnere Fritz Todt, ilresponsabile della Societàdelle autostrade del TerzoReich.FritzTodtèansiosoditrasformare la cartina dellaGermania che incombe allesue spalle in qualcosa direale. Indossacamiciabianca

e cravatta nera, la giaccastretta ne limita imovimenti.Il Generalinspektor dellestrade guarda verso latelecamera, a volte di lato,sembra leggere le parole cheripete da un cartello fuoricampo. Abbassa lo sguardoverso un foglio appoggiatosullascrivania,ruotalamatitatra le mani. Arriva in suosoccorso lo stacco sulleimmagini di un bosco

abbattuto.Èilgrandecantieretedesco, che sostienel’industria attraverso lapianificazione del territorio.Gli operai disboscano,dissodano, prosciugano,costruiscono ponti, viadotti,usano i primi elementiprefabbricati in calcestruzzoarmato, utilizzano soprattuttobadili, picconi, carriole,smuovono piccole pietre,zappano, scavano a mano,

trasportano terra, unisconoghiaia, sabbia, bitume,idrocarburi derivanti dallaraffinazione del greggio, esolo quando la massa èbollente e quasi fluida,distendono il catrame, ecomprimono. L’asfaltodell’autostrada ora è lisciocome il volto in primopianodi Fritz Todt, sembraringiovanito dal buon esitodell’operazione.Persistenella

lettura di un cartello fuoricampo, cosa che gli provocaunleggerostrabismo,laregialo inquadra ancora dalontano, la cartina alle suespalle è alta quanto unaparete, sembra unallagamento, l’organo di undinosauro attraversato davene e arterie. L’ingegnere èpiccolo di fronte allaGermania, si appoggia aibordidellascrivaniaperdarsi

una spinta, e solo quandoprende un solido bastone dilegno diventa sicuro ecredibile. Ora non deve piúfissare la telecamera, puòguardare la cartina di profiloe appoggiare deciso la puntadel bastone su Berlino,l’atteggiamento daspecialista, da uomo tecnico,che di città in città uniscetuttalanazione.

Anche a Bockburg gli

operai tagliano alberi,spaccano pietre, cacciano glianimali stanati che fuggono,intonano canti tradizionali,spendonolapaganelleosteriee nelle locande della zona,bevono, mangiano, parlano,vorrebberoritornarealmondodopo le ore di lavoro, ma ilmondoèesattamentecome ilbosco spianatodall’autostrada, e allora glioperaiobbedisconoancora,si

accontentano di averel’opinione che devono avere,parlano senza uno scopo, equandotacciono,ilfumoescedai sigari, dalle sigarette,dalle pipe, e quelle volute difumorepressoè tuttociòchepossonooffrirealledonne.Leragazze di Bockburg sonocaute nei rapporti con glioperaidell’autostrada,avoltegli uomini sonogià sposati evogliono solo passare un po’

ditempo,inattesadelritornoa casa: arrivano da nord, dazone rurali depresse e daperiferie cittadine, lavoranoinsieme alla manodoperalocale impiegata neimedesimi cantieri.Gli operaivivono vicino a ciò checostruiscono, alcunis’innamorano davvero,sposanoragazzediBockburg,fanno figli, dimenticano ilmotivodelloroarrivoincittà.

NellasecondametàdeglianniTrenta, l’abitante diBockburg può raggiungereMonacoinventicinqueminutie il lago indieci.Primadevecomprarel’automobile.

Se il turismo di massafosse un’industria avviata –sebbene le locandinepubblicitarie già losuggeriscano, invitando lapopolazione all’eloquente«Godetevi la vita» –

Bockburg sarebbe una diquelle cittadine fuori daicircuiti piú affollati, lapiacevole deviazione di dueore, per consumareungelatoaitavolinidelbarnellapiazzaprincipale, davanti allachiesa, dove le guidesegnalanodueaffreschidiunpittoreminoredelSeicento.Ilcentro è raccolto dentro lemura, un nucleo di casecostruite per metà in legno,

coperte da tetti spioventi etegole rosse, case checoesistono – a una certadistanza – con dimoreeleganti di famiglie borghesiappartenenti a notabili ed exaristocratici, decorate conintonaci di tinte pastello eaffreschi di tematichereligiose, sfondo idealeper ilmercatino natalizio.Marktstraße è la viaprincipale,daunlatotermina

conlastazioneferroviariaeilmacello comunale, dall’altrolato finisce con la casaparrocchiale di PeterBurgsmüller. Il muschiocresce tra le crepe del fondostradaleacciottolato,percorsoa passo d’uomo dalle primeauto, che lasciano l’odore dipiombo nell’aria. Il centrostorico è ancora attraversatodaimolti carretti, s’inclinanocigolanti nel puzzo d’orina e

assecondano l’incedereequino, verso le zoned’ombra. Sulla stradaaffacciano osterie, negozi epiccole botteghe artigiane.All’interno, tra i silenzirispettosi di garzoni eapprendisti, rimbomba illavoro dei fabbri, di HerbertHinner, e lamonotonia delleseghedei falegnami, il suonodei ciabattini tra martelli epinze, i colpi secchi dei

macellai, attutiti dalla carnesui taglieri, tra l’odorecollettivo di muffa, colla,legno,panecaldoe salsiccia.La via divide il centro, parteda Marienplatz, la grandepiazza del mercato, dove c’èil palazzo comunale, proprioaccantoallasededellaBancapopolare di Bockburg e allachiesa di St Josef, unacostruzione del XVII secolo,con un campanile alto

quarantametri, su cui spiccaun crocifisso simile a unpiccolo moschetto. DaMarktstraßepartonoaltrinididi vicoli e viuzze, chedarebbero un’idea di tipico,se un concetto di questogenereavessesensonel1933,quando nel centro storicovivono ancora diciottomilapersone.

Nel 1849, Rudolf Richter,farmacista di Bockburg,

costruiscelaprimacasafuoridallemura, a duecentometridal cimitero, di fronte almonumento dei caduti.Richter sfrutta l’edificazionedel ponte di St Peter, che ametà del XIX secolo sembraun lusso costruito per ilfarmacista influente, amico esostenitore economico delsindaco. Dopo di lui sitrasferiscono lí avvocati,notai, medici, imprenditori.

Vivonoingrandicasesingolea trepiani, taverneeverandedove accogliere ospiti, ofornitori, sotto lo stemmadelRegno di Baviera.All’inizio,fuori dalle mura e appenaoltre il ponte, le strade sonoancora polverose, dopo fortipiogge le carrozze transitanoastento, icavalliscuotonolatesta, affondano gli zoccolinella fanghiglia, le ruotelascianosolchi incui l’acqua

subito si deposita,borbottando bollicinemarroni. In poco piú diottant’anni la popolazione diBockburgsuperalasogliadeitrentamila residenti, egiànel1933 le case di RudolfRichter e degli altri notabilispiccano tra decine diabitazioni piúmodeste. Sonole villette costruite ancoraprima che arrivassel’autostrada, molte altre ne

seguiranno,dietro lecasedelquartiere di Kirschenstraße,laggiú,doveviviamo.

I nuovi residenti diBockburg si riconoscono almattino presto, impiegatidiventanopendolariepartonoinbiciclettaversolastazione,le mollette strette suipantaloni, per proteggersidall’acquachelucidalestradeasfaltate e inzuppa quellesterrate, tra il fango e

l’ingranaggio di catene epedali. Attendono curvi estretti nei giacconi lisiassieme ai rari studentiuniversitari, accucciati sottopensiline buie durante ilunghi inverni ghiacciati, ecercano il proprio postosempre nello stesso vagone,meglio se in fondo alconvoglio. Fuori dalfinestrino il giorno sfilaattraverso la sequenza

assonnata di piccole stazioniidentiche, edifici squadrati dimattoni rossi, tetti aguzzi dicatrame e, sotto i tetti,persone in attesa a piccoligruppi;salgononellecarrozzeormai colme, in piedi, tra unvagone e l’altro, e ciò chevedono oltre i vetri sottilisembra il prolungamento delsogno, sebbene là fuori leultime fattorie prima diMonaco siano già nel pieno

della vita quotidiana: ledonne portano secchid’acqua,glianimalidacortilesdraiati sulle aie gelate sigrattanolepulciconlezampeposteriori. I nuovi residentitornanostanchilasera,itreniaffollatilitengonoinsieme,lespalleaderentisorretteinunapostura dignitosa, fino aquando sull’ultimo trenoquasi deserto possono

dormire sparpagliati escomposti.

Noi mangiavamo le melesolonellostrudel,prima.

Chi incomincia a parlare?Helga, lei è precoce in tutto,sono suoi i primi tentativi evocalizzi, apre la bocca, lachiudeattornoamu,mu,mu,si ascolta compiaciuta,immersa in suoniconsonantici e vocalici,

muove braccia, busto, legambe da seduta, parla ilcorpo intero, sorride davantial volto di sua madre. Unasera,Helgamiguardaedice,mut-ti,mut-ti,e infinestrilla,mutti,mutti,mutti,miamadrearriva in stanza con lostrofinaccio sulla spalla, dài,ripetilo Helga, mutti, mutti,Hans, ascolta, mutti, mutti,Hans, Helga dice mamma,dice mamma. Mia madre

dovrebbe sapere che muttinon significa mamma perHelga, mutti è solo untentativo meccanico,l’aggrapparsiaun’estensione,alla vertigine sul vuoto di sestessa. Resto in silenzio,seduta sul mio letto, nonvoglio ancora diventareprigioniera del linguaggio,ma conservare mutal’immagine di miamadre, dimia sorella, di mio padre

assente; lui, se arriva, lo fasolo per i momenti chevorrebbe eccezionali, quandotutta la noia dell’esistenzamuore e resta la malinconiadel meglio, l’esattapercezione dell’irripetibile.Mio padre davanti ame, perestorcere la primaparola allagemella muta, la facciacasalinga scavata, diversa daquella mattiniera in

redazione,leprimerugheagliangolidellabocca.

Il cavalluccio di legnonitrisce suunapedanacon lerotelle,ascoltoleconquistedimia sorella, wasser, straße,haus,blume,milch,brot,zeit.Ho ventiquattro mesi,accumulo in silenzio leparole.Ungiornomiamadredice, vieni Hilde, scendi dalcavalluccio, andiamo daldottorRosenfeld.Perchéapri

la bocca solo per mangiare?A tavola prendi il ciboinfilzato dalla forchetta, nondevo nemmeno agitarlo inaria come una cosa viva, tiavviciniesentoilrumoredeituoi piccoli denti sul ferro.Usciamo dalla villetta, c’èanche Helga, mia madre aogni passo si trasforma, adieci metri da casa è già lasignora Hinner, risponde aisaluti delle vicine, le donne

dietro le finestre pulisconopassando panni sopra i vetri,si muovono a scatti, comemarionette manovrate da filiinvisibili, sembrano moltodistanti dai vetri, perdute, inun altro mondo. MariaZemmgrund mi porta dalmedico perché sono unabambinanatastrana.

Il dottor Rosenfeld ha lostudio nel centro diBockburg. Mio padre

vorrebbe che mia madrecambiasse medico. Maria,Rosenfeld è un ciarlatano dafieradipaese,arrivadafuori.Se non ti piace il dottorZiegler prendi il dottorKöhler, il dottor Rammer, ildottor Preis, scegli chi vuoi,sono tedeschi,medici figli dimedici, le loro famiglievivono a Bockburg, dagenerazioni: dimenticaRosenfeld, non fare il

contrariodiciòincuicredi.Ildottor Rosenfeld si chiamaHans, comemio padre.Avràquarant’anni, ne dimostraalmeno dieci in piú. Indossapanciotto nero e camiciabianca, cravatta nera a poisrossi. Gli occhi rimpicciolitiquasi scompaiono dietro lelentispesseetonde.Labarbarossiccia odora di tabaccoancheaduemetrididistanza,lapeluriacoprelapellepiena

di sfoghi, forse dovuti aun’alimentazione sbagliata, aun eccesso di vino duranteserate accanto al fuoco. Miamadre si lamenta di me, ildottor Rosenfeld non miguarda, fissa Helga, cosípossoabbandonarmi,liberadivederelapareteallespalledelmedico: un orologio con lelancette segna l’ora che nonso leggere, accanto a unapergamena in cui

probabilmente è scritto nomee cognome del dottore, datadi nascita, anno especializzazione della laureain medicina, la firma diqualche vecchio docente oraprossimo alla pensione odeceduto. Vicino all’attestatosono appesi quattro disegnidel corpo umano. Unoscheletro mi guarda senzaocchi, lasmorfiatramutatainsorriso. IldottorRosenfeldsi

avvicina a Helga e dice,Hilde, bambina cara. Helgapiagnucola, non riesce aribattere,dottore,sonoHelga,dice solo, mutti, allunga lebraccia verso mia madre,mutti,no,dottore:leièHelga,ilproblemaèHilde.

I genitori sono troppoansiosi, signora Hinner. Nonvorrebbero mai problemi. Lequestioni sui gemellicominciano nella Bibbia.

«Due nazioni sono nel tuoseno e due popoli dal tuogrembo si divideranno; unpopolo sarà piú fortedell’altro e il maggioreservirà il minore». I gemellisono molto spesso incompetizione tra loro nellamitologia classica, lí è quasinaturale che uno dei duecontendenti soccomba, avolteinmodotragico,perfinitutt’altrocheignobili:salvare

gli abitanti di una cittàassediata, fondare una nuovacomunità. Il conflitto tragemelli è una costante cheattraversa i secoli, quasi uncliché, come lo scambio dipersona che induce al risonella commedia degliequivoci: io stesso miconfondo ancora tra Hilde eHelga. C’è nei gemelli lavolontà di affermazione delsingolo, la ricerca di

un’identità precisa, diun’autonomia che annulli ilterrore di perdersinell’equivalente, nella copiagemellare. Io credo alleaffinità e alle differenze,signora Hinner, sebbenealcune comunità, quandonascono i gemelli,ammazzinounodeidue.Èuncaso limite, certo. Motiviforse simbolici, pratici,talvolta economici, questo

accade inaltriperiodistorici,o in altre civiltà: non nellaGermania del 1935. Unadifficoltà di apprendimentopuò capitare, signoraHinner,non sia schiava del desideriodi avere copie identiche. Legemelle non sono bambinesingole, che imparano illinguaggiotramiteloscambiocon la madre, il padre o inonni. Le bambine singolehanno come modello gli

adulti, i fratelli o le sorellepiú grandi. Helga e Hildesono primogenite e, inparticolare nel caso diHilde,il modello di riferimento èHelga. È probabile che legemellecomunichino,magaria bassa voce, in sua assenza,utilizzandounalinguaintima,diparoleinventate,linguacheusanopercomunicaresolotraloro, escludendo il mondoattraverso questo legame

fortissimo, che tuttavia leassorbe in misura diversa:Helga comunica con gliadulti, Hilde è chiusa in sestessa, partecipa tramiteHelga. Sí, signora Hinner,ancheleièunmodello,leièilmodello, tuttavia non stasempre nella camera dellebambine, avrà una sua vita,immagino. D’accordo. Leidice di passare quasi tutto ilsuo tempo con le gemelle,

anche se fosse cosí, èimpossibile concedere lestesse attenzioni a entrambe.Inoltre può darsi che unagemellanecessiti dimaggioricure rispetto all’altra, magariproprio colei che noiescludiamo senza renderceneconto. Anche a parità diattenzioni,leicredediparlarea due bambine, in verità letrattacomeun’unicapersona:è plausibile che Helga sia

velocissima nel rispondereallesuesollecitazioni,mentreHilde, sopraffatta da Helga,preferisca nascondersi dietrolarapiditàdellasorella.Vero,Hilde?Già,non rispondi,maio, Hilde, non sono Helga otuamamma. Signora Hinner,lei dovrebbe condividere unpiccolo momento con suafiglia, un luogo, un compitospecifico: leggere una fiaba,unlibroillustrato,sistemareil

giardino, i bambini amanomettere le mani nella terra,dovrebbe lavare la verdura epreparare qualcosa damangiare. Hilde, sai come sifa lo strudel? Tutto ciò nonsignificaescludereHelga,chea sua volta avrà altri spazisolo con lei, signora Hinner.Alcunegemelleincomincianoa esprimersi dopo i due annidi età, tuttavia quandoiniziano sono precise, come

se lo facessero damesi.Nonsi limitano a usare solosostantivi,buttatineldiscorsocome giocattoli con cuiscoprire il mondo. Nienteverbi all’infinito, cantilenedei bisogni primari oaggettivi storpiati. Non sipreoccupi, signora Hinner,Hilde vuole solo essereindipendenteanchedalei,maapprende, ne sono certo,custodisceleparole,ègelosa,

e il giorno in cui arriverai amille, Hilde, tornerete quitutte e tre insieme, e leripeterai. Piuttosto, signoraHinner:comevalasuatosse?

Hilde, cos’è questosilenzio?Vuoiviveresenzalatualinguamadre?Nonamilatua lingua o non ami tuamadre? Oppure non ti sentiamata da lei? La sfidiattraversoilmutismo?Èsolotua madre, sebbene tu non

voglia dire mutti. Il tuosilenzioèfigliale.Comeselaprima esperienza attorno alcapezzolo fosse la cosa piúimportante, l’eterno esordiodell’umanità, la riscritturacontinuadell’universo.Hilde,credi cosí tanto nellarelazione con tua madre,unica forma di verità, dasentire vacuo tutto ciò cheverrà dopo. Ti sbagli.Incomincia a parlare. Non è

cosí fondamentale la primaparola,esistegià,ènel luogoche ti ostini a proteggere,giunge lí prima di te, ma tuimmaginidiessernel’autrice.Verranno altre parole esaranno eredità di secoli, divite differenti, parolesopravvissute o portate quicon mezzi che nessunoricorda: cavalli affaticati,carovane, pergamenearrotolate nelle tasche

assiemeal tabacco,gambedilegno, impronte di ubriachinel terriccio, copertoni,cingoli di carri armati, onderadiofoniche. Cerchi disalvarti,disalvaretuamadre,i tuoicari, tuhai il terrorediperderli, tutti. In fondo,vorresti allearti con tuamadre,perpoterribadire,noi,noi, noi, lo spaventapasseriinvisibile che sorregge lenazioni, gli eserciti, le

famiglie.Hilde,tusopportiladolorosa superficialità di tuamadre,irimproveri,quandotiaccusadiessereunabambinasbagliata e cattiva, taci eaumenti il senso di colpa,l’ostilità, sei sempre piúconvinta della tua scelta seosservi la stolta grettezza dinonna Christa, di nonnoMichael, lo sguardoannebbiato di zio Peter, lacrudeltà dei giorni festivi, i

codici sociali, nonna Rosierinchiusa in un mondoimmaginario,modulatosuuncanovaccio in cui lei è lasignora indiscussa diBockburg, vive alla fine delXIX secoloedèamica intimadi una statua – Sissiimperatrice d’Austria – mautilizza un frigorifero del1930: come dare torto anonnoHerbert, se passa tuttalasuavitanellapenombra?

Noi mangiavamo le melesolonellostrudel,prima.

E allora, Hilde, seidisposta a cambiare alleato.L’alleato è tuo padre. Diecianniprimadiquellafrase,seinel 1935, a Bockburg, luidistante, immerso nellacarriera, spintodall’ambizionepersonaleedatua madre, che vuole anchealtro, ignoricosa,neppureleilo sa. Hilde, dovresti

accettare tuo padre, intendopadre in ogni aspetto, tuttociò che Hans Hinnerrappresenta,peraggrediretuamadre,sminuirla,separartidalei, dalla tua gemella Helga.Trattieni da troppo tempoparole che ritieni sacre. Seisopraffatta dal senso diresponsabilità, non vorrestimai iniziare farfugliando duesillabe. Ma quel tempo nonesiste piú da molto. Tua

madre è Maria Zemmgrund.Maria Zemmgrund è lasignora Hinner. È solo tuamadre. Accogli tuo padre,Hans Hinner, direttore delgiornale di Bockburg, ilsettimanalediffuso in tutta lazona sud di Monaco. Hilde,accettadiperderequalcosadipiú della tua prima parola.Per questo motivo, all’età di735giorni,ripeti:Mutter.

Il 26 luglio 1936, untemporale improvviso cicostringe al pranzodomenicale in cucina. Ilrumore dell’acqua cade suitetti delle case aduepianidiKirschenstraße, scivola sullescaledilegnoeinfilzaisuonidei piatti, delle posate e deibicchieri, prima di rifugiarsiin cantina, dove ritorna adavere la consistenzasoporifera della goccia,

quandocadeinunabacinella.HansHinnerha inmanounatazzadicaffècaldopreparatoda Maria Zemmgrund. Laluce seziona il tepore delcaffè,ilfumosaledallatazza,Maria Zemmgrund è accantoa Hans Hinner, la testaappoggiataallaspallasinistradi mio padre, la vistaoffuscata dal vapore, cheammorbidisce la pelle delviso.HansHinnerhaunlieve

scivolamentodellaspalla,perscostareMariaZemmgrundinmodo gentile e simulareinconsapevolezza,mailgestoècosí rarefattodapermetterea mia madre continuiaggiustamenti, con laguancia, la mandibola, ilmento, perfino con il naso.Hans Hinner sfoglia unacopia di «Mutter», paragonail settimanale alle riviste incui vorrebbe lavorare. Sono

seduta sulle sue gambe. Iltavolo della cucina èoccupato da numeri di «DerStürmer», vignette, breviarticoli letti damio padre adaltavoce,conun’intonazionecomica, che accentua ilcontenuto.Sfogliamoinsiemeun vecchio numero di «DieWoche», una copertina del1931:ildisegnodiunadonnabionda, gli occhi azzurrispalancati fissano il vuoto, il

precipizio incombe fuoriquadro, nelle pupille sonoriflesse due fiammelle, ladonna porta la mano sinistraalla bocca per soffocare unurlodiorrore,lamanodestracinge una bambina, piúpiccola di me nel 1936, labimba è avvolta in unacoperta nera, il visosofferente e gli occhisemichiusi, intorno tutto èbiondo, indifeso, sopraffatto

da un pericolo imminente,cosí mi lascio cullaredall’idea che, sebbene siasolo una domenica d’estate,miopadremidifenda.

Anche questa settimana,«Mutter» si distingue perl’attenzione agli avvenimentitedeschi. Hans Hinner evitaaggettivi come incrollabile.Seincrollabileciponealcunequestioni, fede incrollabilepresenta un problema

linguistico e politico. Che lafede nel Terzo Reich siaincrollabiledeveessereormaiassodato ovunque, anchenella popolazione diBockburg. Dannoso ribadirloognisettimana.Laripetizionevausataconcautela,potrebbenon tanto stancare, quantodiventaresottofondoinnocuo.Ma niente è innocuo, ancheun carillon è decisivo, creauna malinconia tale da

scatenaremalessere, e di lí apoco, la rivoluzione.«Mutter» è la sintesi tra unsettimanale politico conaspirazioni nazionali e ungiornale attento alle esigenzelocali. Il trattatodiVersaillesè. La Repubblica di Weimarè. I prodotti tedeschi sono.L’Unione Sovietica è. Gliebrei, le truffe finanziarie e isoldisono.IlnegoziodiFrauAdlungè.«Mutter»informai

bockburghesi sulla vitacittadina del partito, unbollettino settimanalecomunica gli atti deifunzionarilocali,ledateegliorari delle riunioni, delleadunate politiche e sportive,delle fiaccolate. E ancora:intrattenimento serio,accadimenti virtuosi, sport,cinema, teatro, programmiradiofonici e, piú raramente,un po’ di letteratura

edificante.Ungiornalelocaleè anche un diario diprovincia, funzione chetuttavia parte da un datodiscutibile:lenostreesistenzesono interessanti e meritanodi essere raccontate, cosícome quelle dei vicini. Masappiamo bene che le nostrevite sono spesso noiose,allora è giusto pubblicarebiografie di grandi uomini,azioniepensieridicoloroche

reggonolesortidellanazione.In Inghilterra e negli StatiUniti preferiscono raccontarevicende di personaggiappartenenti all’alta società,allosporteallospettacolo,líilettori amano immedesimarsicon il mondo frivolo, da cuisono esclusi. I giornali diInghilterra e Stati Unitiselezionano le notizie, lecreanoinfunzionedeilettori,tanto che non sono piú fatti,

ma prodotti qualsiasi,intercambiabili. Il fascinodelle grandi notizie politicheed economiche incontra uninteresse sfuggevole nellemasse, sempre pronte a farsidistrarre da altro. «Mutter» èattento alla qualità di questoaltro. L’importanza dellastampa di provincia – per lacreazione di un gusto mediocondiviso – non è inferioreall’importanza della stampa

metropolitana. «Mutter» è ildiario di una comunità,descrivegliantichimestieriele usanze ormai consolidatepronte a divenire tradizione,come la fede nei nuovimacchinari tecnologici enell’industria automobilisticatedesca. «Mutter» ama lesaghe avventurose, leleggende epiche rivelatricidella sapienza popolaretedesca nell’arco di varie

epoche storiche: memorie diguerre,battaglie,vitemilitari,addestramenti, esempi dimorti eroiche, navigazionimarittimeefluviali.«Mutter»parla di alberi, del raccoltoabbondante, dellaristrutturazione di una nuovafattoria, evoca scene di vitefamiliari, atmosfere esituazioni quotidiane. Lacarta dei giornali è unaquestionepoliticaespirituale,

neiboschienelleforesteognialbero abbattuto parla di noi,latrasformazioneincartaèilsuono delle nostre radici, deisentimenti riportati insuperficie. «Mutter» pregaperaverelaforzadiinvocareun Dio perfetto, che possaconcedere agli uomini lacertezza di una giustiziaultraterrena, disciplinare lapropria fede entro icomandamenti di un’idea piú

grande dello stesso popolo:affrontare il privilegio dimorire per la Germania. Seoccorre, cominciamo daBockburg.

Nel primo pomeriggio, ilsole asciuga le strade einvoglia a una domenica inriva al lago di Starnberg. Ibockburghesi vanno inbicicletta, relegati ancora alfangoo allapolvere lungo le

stradesterratedicampagna,ostretti in sei nelle auto,eccitatidaiprimibrevitragittiautostradali.Allagocentinaiadi persone si stendonosull’erba ancora bagnata,bivaccano tra tovaglie aquadretti e cestini, aromi dicarneecondimenti,gliaromiconservano un deposito disuoni, gesti, coloriprovenienti da lontano, daesistenze precedenti; c’è

abbastanza spazio perdimenticare gli orologi, dovesiamo, in quale anno: chigioca a carte, a palla, chi fapiroette, capriole e tornadiritto tra gli applausi. Possocorrere, saltare, ricadereindistruttibile, intrappolarmigioiosa nel breve girotondomentreinseguolamiaombra,che varia a ogni istante.Vorrei sentire ancora ilfrastuono della folla

complice, ignara di cupipresentimenti, tenuta insiemedalle file ai venditori diKnödel, ai gelatai, ainoleggiatori di pedalò ebarchette a remi, mentre unapiccola orchestra suona sulpalco, lungo la riva, in unalimpidadomenicad’estatenel1936,lemanideilavapiattisiaccanisconosull’acciaiounto,il nuovo materiale igienico,splendente nei tegami, nelle

pentole,nelleposate,elecasea picco sull’acqua sidistinguono a cento metri didistanzadallariva,letestedeipasseggeri sui battelli sonoancora visibili in ogni loroimperfezione umana, leguardo dal pontile e diventosempre piú piccola, io, nonloro, non gli altri passeggerilenti già lontani, piú piccoladelle loro orecchie allapartenza, sono accecata dalla

scia bianca del battello:sarebbeperfetto se, in questadomenica a tre anni,ammettessidiesserefelice.

Invece noi restiamo aBockburg. L’acqua inzuppal’erba e gli ombrelloni deigiardinetti di Kirschenstraße.Leultimegoccecadononellegronde e là si zittiscono neitubi di scolo, altre scivolanosullacancellata,sullesedieinferro di nonno Herbert. Mia

madreapre le finestre, aspirole folate d’aria fresca. MariaZemmgrund passa un pannosopra i vetri per pulire lavisuale di Hans Hinner. Luiguarda fuori, si tocca lasfumaturadeicapellilungolanuca. Helga dorme suldivano,assiemeaViktoria,labambola dai capelli biondisciolti,vestitaconuneleganteabitonerodiseta.Sonofeliceche mia sorella dorma, cosí

possogodermiigenitorinellaloro intimità domenicale. Avolte mi piacerebbe esserefiglia unica, ma non vorreiche mia sorella morisse. Lavorrei sopita in un mioincantesimo. Helga èincapace di rimanere sola, iogioco volentieri senza di lei,mia madre scambia tutto ciòperostilità,introversione.

Perché devo frequentaresempre la mia gemella? Le

nostrebamboledevonoessereamiche? Quando rifiuto igiochi di Helga, mia sorellainsiste, l’unica possibilità disalvezzaèallontanarsi,leimiagguanta per le spalle,affonda lepiccoleunghienelcollo impreparato, urla frasitiranniche – andare giocarepalla, bambola sempregrande, uccello giardino nelfiore – e ci azzuffiamo sulpavimento, Helga sembra

fattadipiastrelle,èfredda,lebloccounbraccio,glielogiro,lepiastrellediventanotiepide,anche il suo corpo, leiinterrompe l’accanimentodelle unghie nel mio collo,immobile nel busto scalcial’aria, rotoliamo, ciincagliamo sul tappeto, sullefigure di un tessitoreanonimo,schiacciamopiccolescenedivitaagrestebavaresedel XVII secolo, e infine

Helga urla, spaventata dallamiareazione.

Ora, nell’aria festiva,Helga dorme dopo pranzo,abbandonata,lapiccolaboccaaperta, la guancia destrapremuta sul divano ledeforma parte del viso. Lafisso e mi rispecchio, tuttidalla nascita ci ripetono lafrase, siete due gocced’acqua, e nella ripetizioneossessiva hanno la speranza

che, nonostante lasomiglianza fisica, le nostredifferenze caratteriali sianoimpossibili da superare e,soprattutto, che lei sia lagemella giusta, l’unica.Eppure, ripetono, due gocced’acqua. Sarà questo ilmotivo della mia ossessioneper la pioggia, per una, due,tre, milioni di gocce checompongono il cielo e lodisfano, lo trasformano in

respiro e parole, acquaprecipitata sulle case diKirschenstraße, sui pennonidelle bandiere, sui rami deipiccoli alberi, e da línell’erba, l’umidità dell’albavolge al bisbiglio del futuroche collega ogni villetta diKirschenstraße al mondo, insuperficie e sotto la crostaterrestre, diviene falda eabbevera rocce invisibili,enormi quanto nazioni, e

notti. Mia madre vuole cheindossiamoglistessivestiti,ediceallaparrucchiera,Lizzie,lostesso taglioperentrambe.Parla del nostro futuro comese fossimo un blocco unico,compatto, nemmeno piú dicarne, una cosa sola, un’ideadovenonesistepianto.

Sul divano è sdraiataanche Klara. Indossa unvestitodivellutonero,l’unicostrappo da me ottenuto

all’uniformegemellare.Klarae Viktoria arrivano a casanostrainduepiccolecassedilegno,sembranobarerisalentialla Repubblica di Weimar,riverniciate con unimpregnante boschivo, tantoche dentro le bare ci siaspettano funghi, tappeti difoglie autunnali e cantialcolicidomenicali, invece lebambole sono adagiate su unpagliericciosterile,circondate

da soffice carta biancaappallottolata. Viktoria ha iboccolibiondi,Klaraicodinidorati. Se vuoi cambiarevestito, o non ti piacciono icodini, scioglili pure, Hilde.Le palpebre sono chiuse,temo di toccarle con le dita,di sentire le ciglia unte,spesse. Le bambole sannoanche parlare, accosto lelabbra all’orecchio di Klara,sa di gomma serica, lo

mordicchio, ogni parolaritornadopo il rimbombonelcorpo, parlo e le tocco lapancia per sentire laconsistenza delle sue parole.Se i nostri vicini di casaavessero una figlia, sarebbeuguale alla mia Klara. Misdraio accanto a lei, fingo didormire per ascoltare idiscorsi dei miei genitori, emiaddormento.

Noi siamo tra i pochivecchi residenti ad abitarefuoridallemuramedioevali.IKaumannvivonodifronte,inun’abitazione uguale allanostra, al numero 10 diKirschenstraße. Sappiamopoco o nulla su di loro.Arrivano da Monaco, no, daBerlino, forse da Vienna.Sono molto riservati,salutano, ma non sempre, enonparlanomaidavverocon

ivicini,nétantomenoiviciniparlanoconloro.IgenitoridiKaumann, si dice, lascianoKaunas, inLituania, alla finedell’Ottocento.Nessunosasevivano davvero ancora aMonaco o in qualche altrapartedellaGermania,sesianomalati o deceduti, ma aBockburg tutti, e inparticolare i vicini diKirschenstraße,pensanocheigenitori di Leon Kaumann

gioiscano ancora oggi per lacrisi economica degli anniscorsi: in epoca di caduterovinose, c’è semprequalcuno che si alza perprimo, o meglio, non cadeaffatto. Milioni di tedeschiseppellisconoiproprisoldiinbanca, miliardi di marchitumulati nei conti correnti enei depositi di risparmio,erosi dalle paure,dall’inflazione,daltempo:chi

mille, chi ventimila, chitrentamila, chi cinquantamilamarchi, qualsiasi cifra inun’epocadigrandeinflazioneè un numero astrattoricoverato in banca e nonsignifica nulla, se un uovocosta cinquecento nessuno saquanto può costare unagallina e allora possoriscaldarmi bruciando duemilioni nella stufa, fino aquando la cifra perisce e la

suaimprovvisaassenzarendeinfelici, pieni di lacrimenotturne attorno ai tizzoniquasispentideifuochi.

I genitori di LeonKaumann – secondo ipettegolezzi di Bockburg –comprano case. Dueappartamenti nel quartiere diSchwabing, con vistasull’Englischer Garten, aMonaco; un cottage in legnosul lago di Starnberg; si dice

che abbiano ancora unappartamento a Kaunas e,ovviamente, la casa aBockburg,donataalfiglioperlenozzeconlamoglie,KarinKeller. Nessuno vede mai igenitori di Kaumann aBockburg, e neppure è certoche esistano gli appartamentidiMonacoeperfinoilcottagesul lago, tantomenol’appartamento di Kaunas.L’unicacosacertaèlavilletta

di Kirschenstraße. LeonKaumann e Karin Keller sisposano nel 1932. Lui èbiondo, ha i capelli rasati ailati,comemoltisuoicoetaneiconnazionali. Lei ha unafrangetta squadrata cheevidenzia un neo nero alcentro della fronte.Nel 1936il nostro vicino di casa haventinove anni ed èresponsabile di un’aziendacon sede a Monaco. Pare

gestisca venti agenti dicommercio. Ignoriamo qualesia il ramo della sua attività.Sappiamo che, dal lunedí alvenerdí, si alza alle sei eventicinque, prima di andareal lavoro fa colazione con lamoglie, lei è in cucina dieciminutiprima,preparailcaffè.In inverno quando fuori èbuio le due figure sonoilluminate dalla luce gialla,che le restituisce come due

persone dai movimentirallentati: lui già vestito, untovagliolo rosso a protezionedellacamiciaedellacravatta,lei – in vestaglia di lana – sialza un paio di volte dallatavola, per prendere lamarmellata di ciliegie,un’aggiuntadiburro.IlsignorKaumann esce di casa allesette meno cinque, dà unacarezza al cane, un pastoretedesco che scodinzola

strusciando ilmuso contro lagamba.Siassicuracheilcanenon esca in strada, apre ilcancello e sale in macchina.Leon Kaumann accende ilmotore, abbassa il finestrino,si sporge ruotando la testa edice qualcosa alla moglie.Non sapremo mai le paroleesatte: una breve frased’amore, una banaleraccomandazione giornaliera,laparolad’ordineaziendaleo

il segreto piú luminosodell’umanità, grazie al qualeil mondo può continuare acredere nell’alba ognimattina. Il motoredell’automobile copre lavoce.Ilvicinovarcalasogliadi Kirschenstraße, scendedall’auto,siaggiustalagiaccacon una scrollata di spalle erichiudeilcancello,mentreilcane infila il muso nellastaccionatadilegno.

Qualunque cosa sia, ètroppo,nonpuòfruttarglicosíbene. Hanno una Mercedes-Benz 500KAutobahnkurier.Al posto di stare tranquilli,quasi anonimi, cosa fanno?Comprano una 500 K!Discutono del progetto per ilbox con Franz Kluge, ilgeometra comunale, lui nonvuole dare loro il permessoper costruire un nuovo box.Leon Kaumann contratta il

prezzo con i due muratorititolari della ditta Dieter &Kostner, per costruire il boxnell’angolo destro delgiardino.«Voicostruitemalàdentro entreremo noi»,ribadisceGoebbelsallaradio.

Se non fosse la macchinadi Leon Kaumann, HansHinner farebbe uno specialesu «Mutter». È una berlinanera,motorebenzina,5000dicilindrata, 160 cavalli e 8

cilindri, che spingono laMercedes-Benz 500 KAutobahnkurier a 160chilometri orari, inautostrada. Pesa quasi duetonnellate,ha i sedili inpellebeige, cruscotto in radica, ilrivestimento è della stessapelle dei sedili, mentre lastrumentazione –contachilometri, orologio – ènella zona centrale, inmadreperla cosí preziosa da

illuminare l’abitacolo di unaluce mediterranea. HansHinner adora quellamacchina, a cominciare dalnome, Autobahnkurier. Amala carrozzeria nera dellaMercedes, vorrebbe guidarla,immagina lacampagna lungol’autostrada, le fattoriecontadine viste dalparabrezza, e come appare ilcielo,neltettuccioapribile.

Il 26 luglio 1936 Leon

Kaumann asciuga la suaautomobileingiardino.Ilsoledel primo pomeriggioriverbera sulla carrozzerianera, rilascia lucidi segnaliche colpiscono ora le rosegocciolanti,ora losguardodimiopadredietroivetri.HansHinner esce in giardino. Gliuccelli cantano sopra ilcornicione di casa, sfioranol’erba brillante di gocce erimbalzano sui rami del

ciliegio. Il direttore di«Mutter» si avvicina allarecinzione della sua casa, lavillettaipotecatafinoal1952con la Banca Blumenstein.Kirschenstraße è il posto incuiimieigenitori,daragazzi,sognanodivivere,magiànel1936sembratroppopocoperle loro ambizioni. HansHinnersisiedealtavolodellacucina, sposta le riviste, ilvassoio con lo strudel e

comincia a scrivere uno deisuoi articoli, che hanno lapresunzione di collegare ledecisioni prese in qualchestanza berlinese alle frondedegli alberi, custodi dellenostreviteaBockburg.

Dobbiamo comprarla.Anche se mio padre non hanemmeno la patente. Hans,faremo tutto. A rate. Per lamacchina,lacasa,imobili,laradio,cheèunostrumentodi

lavoro, non un passatempo.SenonfossepernonnaRosiee i suoi soldi! Anzi, pernonno Herbert. NonnaChristaciaiutadiversamente.Altrimenti mia madredovrebbe chiamare una veracameriera. Senza nonnoMichael, Hans Hinnersarebbeancoraredattorediungiornale di provincia. Unagentedicommerciononpuòavere quella macchina. La

Autobahnkurier èun’automobiledaGoebbelsoHimmler, ammesso cheabbiano la patente. Uno cheha l’auto di Göring, perchévive in una villetta, aBockburg?Lamacchinaèunbisogno, ma non possiamopermetterci quella deiKaumann. Al massimo, laOpel Olympia. Ha un belbagagliaio per i giocattolidelle gemelle. Il Maggiolino

sarebbe adatto, dovremmorisparmiare cinque marchi asettimana. E per quantotempo? Per sempre? No, ètroppo piccolo, è unamacchinadazioPeter, idealeper tre soldati e unmitragliatore. Hans Hinnernon è tipo da mitragliatore.Opel, in attesa di Mercedes.Sarebbe stupido porsi unlimite, se neppureconosciamoilfuturo.Ilcosto

di una Mercedes potrebbeessere perfino basso, inrapporto al domani. Unanuova casa. Una nuovacucina.Unanuovamacchina.Avremo tutto ciò chemeritiamo, amore, anche senoncicredi.

Unlunedípomeriggio,miopadre percorre laSudetenstraße, lacirconvallazione dove il

comune concede la licenzaper la costruzione di diecilotti di villette. Hans Hinnertiene le mani ben salde sulvolante, ilmondo appare perla prima volta oltre ilparabrezza,comeneidecennisuccessivi, per sempre.Transita inHermann-Göring-Platz, davanti alla stazione,imbocca laHermann-Göring-Straßeesifermaalbenzinaiodi Joseph-Goebbels-Straße.

Percorre a passo d’uomo ivicolichecircondanolemuramedioevali di Bockburg,attento a cogliere ognipiccolo segnale dallameccanica, dalle sospensioni.Saluta i conoscenti cheparlano davanti ai negozi,all’inizionon lo riconoscono,lui prosegue e li fissa nellospecchietto retrovisore,lasciando il dubbio che nonsia Hans Hinner al volante

della Opel Olympia, grigiacome una nave della marinamilitare. Rallenta perspecchiarsi nelle vetrine, lasagoma della sua testa e laforma tondeggiante dellacarrozzeria diventano ununico blocco, la scoccad’acciaio e l’umanizzazionedel traffico stradale sono lamusicadelfuturo.Lavocediun comizio radiofonico,trasmessodaglialtoparlantidi

Marienplatz, fa tremare ifinestrini della macchina,Hans Hinner crede sia undifetto di fabbricazionedell’auto. Mentre imbocca laOberburgstraße,ildirettoredi«Mutter» è emozionatonell’immaginare il tragitto insenso contrario, quandoattraverserà il ponte, ognimattina,perandareincentro,al lavoro. È sorpreso di nonsentire l’acqua del fiume

scorrere pochi metri piú inbasso, sotto i suoi passidivenutiabitacolo.Acceleraeinserisce la quarta marciaall’altezza della casa delfarmacista, dopo cinquecentometri scala in secondae, conun leggero stridio dellegomme, imbocca la rotondache conduce aKirschenstraße. La stradadoveviveparepiúpiccoladelsolito.HildeeHelgagiocano

in giardino, fissano la OpelOlympiamanonriconosconoil padre, il cane dei viciniabbaia, ingannato dalmotoreedallaformadell’auto.Selosapessero i progettisti dellaMercedes! Confondere unaOlympia con unaAutobahnkurier èinammissibile anche per uncane.EpoilaOpelOlympiaèsul lato opposto della villettadei Kaumann, la Opel

Olympia siamo noi. Io eHelga saliamo in macchinasovrapponendoci al volante,controllate da mia madre sulsedileanterioredestro, leistagiàprendendoconfidenzaconil nuovo ruolo alladestradelmarito. Mio padre accosta ilcancello, si accomoda nelsedile posteriore, in mezzo,gode del panorama dellafamiglia in macchina esospira,sentolesuemanisul

sedile, sulla spalla; chiude laportiera, il mondo è fuori,lontanissimo,ècomesullettola domenica mattina, quandoentriamo in camera, cidividiamo i latiper salutare igenitori, io mi lascio caderesulcorpodimiopadre,vorreiche raccontasse subito unastoria, qualcosa con la voceassonnata, un piccolo inizio.IoeHelgapigiamoilclacsoninsieme.

Le gemelle giocano incamera, sentono il motoredella Opel Olympia ingiardino. Hans Hinner lechiama, venite a vedere unacosa. Si precipitano esaltatedal pensiero di un nuovogiocattolo.HansHinnerdice,si chiama Blondi. È un caneresistente,haunacorporaturaasciutta, la testaproporzionata alla taglia, leorecchie a punta, gli occhi

scuri, lemascelle forti,dociliconlenostremani.

Hans Hinner calcola gliinteressi scarabocchiando suun vecchio numero di«Mutter»,ripetementalmentequanto paga ogni mese pertutto, vede le sue giornateracchiuse dentro la grandecartelletta nera in cuiconserva le ricevute dipagamento. Se fosse ancoraH. H. andrebbe in giro in

bicicletta,fischiettandoconilbavero alzato, come unragazzo. È sempre nonnaRosieadaiutareilfiglio.Finoa quando può continuare amartellare, nonno Herbert?Una volta alla settimana,HansHinnerpassaaprenderesua madre, che è felice diandare in macchina. Lui laporta in centro, parcheggiadavanti ai negozi, lei infila

banconote dentro le taschedelfiglio.

Ignoriamo se sia meritodel prestigio procurato dallaOpel Olympia – emblemadella classe media diBockburg – o degli articoli,ma Hans Hinner assume unruolo sociale piú importante,scrive i discorsi ufficiali delpartitoincittà.Sevuolefarsinotare, deve ignorare lo stiledominante del tempo.La sua

oratoria è diversadall’aggressività abituale deicapi,leparolediHansHinner– ben accette anche da unaparte del clero cattolico –sono il volto presentabiledella propaganda, i suoidiscorsi suscitano interesse,varcanoilconfineprovincialee giungono nella metropoli:un dirigente bavarese delpartito lo contatta per unincontro.

HansHinnervaaMonacoun lunedí mattina di fineestate, con la sua auto lavatada tutta la famiglia il giornoprecedente. Le gemellepassano la domenicaspecchiandosi nellacarrozzeria, usano piccolespugne, ridono, rilascianobolleneredisapone.LaOpelOlympiasorpassaipendolari,che si dirigono in stazione apiedi o in bicicletta, asserviti

agli orari ferroviari, allapromiscuità dei discorsi neiquali sipossonoprevedere lepause, le risate, gliscoramenti improvvisi. SeHansHinner fosse ancoraH.H. sarebbe muto tra loro,intento a recuperare mezzoradi sonno sul sedile di legno.Inveceèsolo,el’alba–primanascosta ai margini dellacarreggiata, dietro gli alberipiú alti – è ormaimatura sul

cruscottodellaOpelOlympia.Canticchia allegro, investitoda una leggera euforia,inspira l’aria dell’abitacolomuovendoattentoilnaso,peressere certo di avere ancoraaddosso il profumo, regalonatalizio di sua moglie. Lecarreggiate sono divise dauna sottile striscia divegetazione, erba e qualchefiore, come se fosse ilgiardino di casa, il

compromesso tra l’utopia diarchitetti e la praticità ditecnici forestali e giardinieri.L’asfaltosezionaiboschi,glialberi dalla Opel Olympiasono estranei, non sonopiú itronchi e i rami visti inbicicletta dalle strade lateraliprima della costruzionedell’autostrada; sono unarappresentazione, tronchi erami qualunque, che nonindicano tanto un luogo –

nonostante la segnaletica sisforzi di ricordarlo – quantounatappamentale,ilpuntoditransito che, riuscendo amantenere questa mediaoraria, dista ancora quindiciminuti da Monaco.L’autostradaviveattraversoilparabrezzaeifinestrini,HansHinner riconosce le improntedelle gemelle, i corpi fusidegli ultimi insettisopravvissuti all’estate e ora

spiaccicati, e piú in basso,fuori dal suo sguardo,insistono i resti di minuscolicorpi al paraurti, ormaimacchie scure, gialle everdastre,disanguerappreso.L’unionedeisegnifamiliariel’accumulazione delpaesaggio divengonoespressione del vero volto, ilprogetto per il trafficoindividuale di massa.L’autostrada frantuma lo

sguardo in porzioniepisodiche di mondo semprepiú piccole, slegate le unedalle altre a cento chilometriorari,inunamobilitàordinatadalla segnaletica, espressionedidisciplinaespiritomilitare,una prospettiva in cui solol’azione e il movimentohanno senso. Lasopraffazione dell’altroavviene senzaclamori, con ilpieno consenso del

soccombente, che preferiscecedere tutto per avere incambiolaperditadiciòcheèpubblico e la conquista di sestesso, del privato, che inautostrada,proprio tra terreniqualunque e senza simbolirilevanti, diventa piú intimo.Sfilanopoderi,fattorie,campicontrollati dagli svincoli, iricordi di Hans Hinner –merende infantili, amorigiovanili, traumi di un

mercoledí pomeriggio –diventano la lingua delleombre, e Hans Hinnerbalbetta con esse, non trovasollievoneisorpassicontinui,anzi, il presente – lacarrozzeria di un’auto dopol’altra – lo riporta a unamoglie,duefigliegemelle, ladipendenza economica dalpadre e dalla madre,l’intervento del suoceronell’attività giornalistica.

Preme sull’acceleratore,lascia siano i pensieri aguidare, le mani sul volantediventano leggere, svuotanola testa, riempita dal suonopieno del motore, prima ditornare al cruccio iniziale, lavagapromessadiinserirsinelmondo. Una Mercedes alposto della Opel? Sorpassareil suo vicino in autostrada?Una casa piú grande aMonaco? Il modo in cui la

luce entra dalle finestre ecolpisce leparetibianche,glispecchi, i quadri, il parquetpunteggiato da tappetipreziosi, idivani, lepoltrone,l’imbottitura dei cuscini, lesedie, il lungo tavolo delsalone e quello appena piúmodesto della cucina, lefoglie delle piante, ilpianoforte a coda per legemelle, sperando che lemani di Helga e Hilde

possano suonare e allietarel’esistenza dei genitori, cheinvecchiano. E per quantopuò durare? Un chilometro?Due chilometri? Un altrosorpasso, Hans Hinner solo,in automobile, la primavoltain autostrada, lo sfondolaterale muto. Il direttore di«Mutter»ripeteadaltavoceiltonodellapresentazioneperilpolitico di Monaco. L’agotremuloneltachimetrooscilla

attorno ai cento, un valoreospedaliero piú cheautomobilistico.HansHinnersiguardanellospecchietto, ilvolto a metà rincorso dalpaesaggio alle spalle, leAlpisembrano piccole come neidisegni delle gemelle, lemucche brucano al pascolo,oltre l’asfalto chiuso dal filospinato, appena fuori lavisuale dell’uomo. Se avessel’autoradio, coniugherebbe

immagini e suoni.Ascolteremo le voci dentroogniabitacolo,enonsarannolenostre.

Noi mangiavamo le melesolonellostrudel,prima.

Atavolanonparliamomaidi lavoro o di politica, nonparliamonemmenodidenaro,solo del mondo infantile, iprogressigiornalieri,lenuoveparole,lecorsevelocissimein

giardino, l’odore dei capellidelle bambole, cosí simileall’odoredeicapellidiHelga.Aquestopunto,Hilde,ricordiche l’annoprimadi andare ascuola impari già a scrivere.Helga trascrive ciò che dettanostropadre,maappenavedeun foglio bianco da riempirecon isuoipensieri, si scansa,eppure anche lei imparerà infretta.

Tuopadre,Hilde,tiprende

sulle ginocchia, davanti a tehaiiltavolodellasala,sucuiapparenitidoesottileilfogliobianco accanto allastilografica. Hans Hinnerguidalatuamanoconlasua.Incliniquantoservelapenna,fissistupitalageometriadellatuamanooraliberadalpadre.Scrivi tutto l’alfabeto concura, come costruissi unacapanna dove rifugiarti. Inizicon la prima lettera, fai due

gambesolidecomequelledeltavolo, tuo padre ti dice dinonperderetroppotempoconi ghirigori, non scrivere dafemmina, tunoncapisci cosaintenda,scriveredafemmina,semplicemente,scrivi.Dentrole lettere c’è in potenza tuttociòchevedinellastanza,devifare una scelta, ogni cosaentro il limite del fogliobianco, basta appoggiare lapunta della penna e

incominciare, in principiolenta, impacciata, poi sciolta,quasi automatica, presa da testessa nell’ingranaggio.Calma,Hilde. Stai sbavando.Si macchia il foglio. Lelettere sono sghembe,iniziano in alto e nonresistonosullamedesimafila.È come se non credessero inse stesse, si travestonoincerte, con lievi gibbosità,chespingonolamanoinogni

direzione. Sono cosí diverseda quelle dei giornali, deilibri. Qui sembrano soloabbozzi,unbrulicaredilarve,líinvece,nellastampa,hannoun’aura adulta, spessoimmeritata.

C’è la fotografia di unadonna su «Mutter»,assomiglia alla mamma.Indossa una divisamilitare esorride. La giustamisura delbacino assicura almeno tre

figli. La larghezza della vita,dei fianchi, nei parametrisancitidall’autorità. Il senoèperfetto,piúinaltolatesta,lamisurazione del cranio, ladistanza tra gli occhi, da cuiricavare lunghezza elarghezza del naso, laconseguente foggia delleorecchie. I funzionaricompiaciutitrascrivonoidati,le misure sulla tabella,incrociano inumeridentro la

griglia.Hilde,puoicopiareladidascalia di «Mutter», sottol’immagine.

«Ogni medico del TerzoReichinvitaaunmatrimoniod’amoretraveritedeschi».

Saichecos’èunmedico.Èil dottor Busch, che dice dispalancarebenelabocca.Hailalinguadifuori,apenzoloni,nonpuoidirenulla, la spingipiúchepuoiversoilmentoeripetiaaaaah,rifiati,aaaaah,e

intanto il medico parla contua madre. Esistono diversiperiodi di crescita: fasi diaumento del volume sialternano a fasi di aumentodell’altezza.Lebambinesonopiú alte dei bambini, aquattordici anni si ristabiliràl’ordine. Il rapporto dellatestaconiltroncocambianelcorso della crescita: neineonati la testa è molto piúgrande rispetto al resto del

corpo. Le ossa sono piúelastiche e pieghevoli,all’inizio si formano comecartilagine, in caso di rotturaguariscono velocemente. Ilpeso del cervello di unneonato è il quattordici percento del peso di tutto ilcorpo. Le sue gemelle,signora Hinner, pesano trechili alla nascita, hanno uncervello di quattrocentoventigrammi.Iosonoottantachili,

il mio cervello – un chilo eseicento grammi – è il dueper cento del mio peso. Ilmetabolismo, la respirazionee le pulsazioni sono piúintenseneibambinichenegliadulti. Le pulsazioni deibambini somigliano allepulsazioni degli animalidomestici, piú che a quelledei loro genitori. Mamma.Papà. Bene, Hilde, scrivi. Ilmatrimonioèmammaepapà.

L’amore è quando stringi latua bambola, Klara fissa ilsoffitto, hai la facciaschiacciata sul cuscino,all’inizio il tuo sguardo èbianco, fresco, poi si abituaallapenombra,diventascuro,caldo,etustringipiúforte,lespalle inanimate, risali,resisti, puoi solo allentare lapresa, arrenderti. È unagiornataqualunque, il1933èilnostroanno,mettil’urloper

iscritto: cinema, radio,giornali, unificazione delgusto, forme diintrattenimento e di evasionemomentanea, organizzazionedel lavoro, del dopolavoro,delturismo,deltempolibero,dei beni di consumo, dellosport, ginnastica quando nonhai voglia di muovere il tuocorpo, se abbiamo il doveredi morire abbiamo anche ildovere di essere sani?

Himmler dice, il popolotedesco guarda il corpo.Morire da sani intorno allabandiera. Abbiamo unavilletta con giardino, unaOpel Olympia, mio padre digiorno lavora in centro aBockburg, e sempre piúspesso a Monaco, dipomeriggio. La mattinaseguentemio padre è stanco,noi lo attendiamo pronte sulsedile posteriore, lui

sprofonda e si regge alvolante,lasuaportieraapertasembra irraggiungibile, mariesce a chiuderla allungandoil braccio. Mi siedo sullapunta del sedile, vicino allesue spalle. È bello quandopapàci accompagnaa scuolainauto.

La Grundschule è unedificio a tre piani, i soffittialti cinque metri rendonominuscoli gli alunni,

miniaturizzano il piúmassiccio dei maestri. Lepareti sono di un beigesporco, sembrano inzuppatedentro un vago odore didisinfettante. C’è la lavagnacon la pedana di legno, unacarta geografica dellaGermania prima del 1933,una dopo il 1938, conl’annessionedell’Austria.C’èspazio sulla parete, avremomolto presto una cartina

geograficaancorapiúgrande,percapiredovesiamo.Primadi cominciare il programmadidattico, ci ritroviamo incortile per l’alzabandiera. Ilpennone è piú altodell’edificio,dueragazzinedidieci anni – in uniforme –faticano a sollevare labandiera, quando arriva incima le maestre urlano,brave!

Impariamo l’ordine

alfabetico, le lettere, lesillabe, le consonanti doppie,impariamo a scrivere, aleggere come vuole lamaestra. Io e Helga siamoavvantaggiate, la maestra dàglistessiinsegnamentidimiopadre. Uso un righello pertracciarelelineesucuiscrivole parole, ma in classe midistraggo, la lavagna èsegnatadalezioniprecedenti,tanto che l’intersecarsi dei

segni forma nuove figure,edifici, barche, aerei,automobili. Ogni giorno lamaestrabagnal’indiceconlapunta della lingua, sfoglia ilsuo quadernone e con quelsemplice gesto sembra checerchi un innesco, ilcollegamento tra la parolaoraleescritta.Bene,facciamoil dettato. Prendiamo i nostriquaderni di tedesco allaricerca della pagina bianca.

La maestra si alza dallacattedraeattraversalefiledeibanchi, rilascia un profumochimico.

Dirò il dettato una e unasola volta. Non occorreripetere lecoseall’infinito. Ildettato svela non tanto ilgrado di comprensione escrittura, quanto la vostrafedeltà al testo, l’obbedienzaal suono. Il dettato èattenzione e disciplina.

L’attenzione trasforma ilsuononellaparolascrittaelaparola scritta incomportamenti.Nonsbirciateil quaderno della vostracompagna di banco. LaGermania non ha bisogno digiraffe.Possiamocominciare.

Allungo il collo, focalizzolo sguardo, mi abituo alladistanza dal quaderno diHelga,ancheleifaaltrettanto,sebbene Helga sia molto piú

brava di me nel dettato. Leinon si distrae mai, io pensosempre ad altre possibilità,indugio distratta dallecontinue immagini sonoreevocate, sono a disagio,divento le parole della miamaestra, vorrei ribellarmi,infilareunalungasequenzadierrori, dimenticare parole.Helgami aiuta,mia sorella èinfallibile, scrive esattamentequanto ripete la maestra, a

volte sembra già conoscerel’evolversi dei suoni, elenchidi cose, animali, nomi, fiori,piante, frasi di sensocompiuto: lamammacomprail pane e cucina, il papàlavora, in invernousciamodicasa con i vestiti di lana, inprimavera i fiori sboccianoneigiardini.Lamaestraleggedalsuoquadernone,scolpiscele parole, accentua alcunipassaggi, sembra il prete in

chiesa, non so seper aiutarcio come forma diavvertimento, di rimproveropreventivo, nel casodovessimosbagliare.Noinonsbagliamo,Helgaèaccantoame,lamaestraèmoltorigidase qualcuno sbircia sulquaderno della compagna dibanco,maconlegemellec’ètolleranza, sembra plausibileavere due testi identici.Quando la maestra si avvia

alla cattedra, volge le spallealla classe, approfittiamo diquei pochi istanti perun’ultima occhiata. Helgasussurra di fare un errorevolontario, Hilde, dài, unpiccolo sacrificio che rendaautentico il tuo dettato,altrimenti la maestra ungiorno potrebbe arrabbiarsi edividerci per sempre. Il solopensiero di fare il dettatosenza Helga mi terrorizza,

alloradico,vabene,scelgolosbaglio riparatore, l’errorerassicurante, che gratifical’interventodellamaestra,giàpronta a dire, chiudete. Lamaestra passa ancora tra lefile dei banchi, stavolta èmuta, durante il dettato è ladonnapiúpotentedelmondo,senza il quadernone sembraun’altra persona, unaburocrate in disgrazia, unadonna che desidera soltanto

ritornare a casa, per cucinareun po’ di carne di maiale.Consegno il mio quaderno,finisce stretto in mezzo aglialtri, tra le mani dellamaestra, le dita tamburellanosulle copertine, le matiterigheranno di rosso e blu glierrori, quando la maestraconsegneràidettaticorretticichiameràinordinedivoto.

Sono tranquillizzata dalmio errore, ma non

completamente certa, Helgapotrebbe ribellarsi unamattina, scrivere cosedifferenti, e il mio piccoloerrore intenzionale sisommerebbe agli sbagliirreparabili. Non tipreoccupare, Hilde, noiabbiamo una responsabilità aBockburg, siamo Helga eHilde Hinner, le figlie deldirettore di «Mutter». Lamaestra lo sa bene, talvolta

spedisce un articolo inredazione, mio padre lopubblicasubito,nontantoperavere in cambio untrattamentodifavoreversoleproprie figlie, quanto per lacompleta identificazione delpensiero di «Mutter» con lamaestra.

Impariamo le tabelline,facciamo i conti come icommercianti,lamaestradiceadaltavoce,duepiúdue,noi

rispondiamo strillando. Ilprocedimento aritmeticodiviene suono, contare non èun’attività silenziosa esolitaria. Detesto contareinsiemeaglialtriadaltavoce.Suoniamo uno strumento,cantiamo, mi unisco al restodel coro, fingo bene, apro labocca e muovo la lingua,martelloilmiopalato,simulodi fianco a mia sorella, cheinvece canta, sento dal suo

piccolopetto la forzasorgivadellavoce.

Il cortile dove facciamoricreazioneèdelimitatodaunaltomurodi cinta sbrecciato,che rivelamattoni rossi sottoil grigio militaredell’intonaco. Le sbucciaturesembrano causate dalle urladelle bambine, che sialternano a precisi colpi difischietto. In prossimità delmuro c’è una fila ordinata di

alberi, le radici rendonogibboso il terreno e l’asfaltodel cortile, manifestano laloro costrizione, in parteattenuata dai rami, dallefrondepiúalte,cheriesconoaoltrepassareilconfine.

Scriviamo ilprimo temaacasa. La tua domenicatedesca. Mi siedo allascrivania, sono le sette dimattina.Nonpotrestiscriveredi sabato pomeriggio? È

proprionecessarioscriveredidomenica sulla domenica?Hilde descrive ciò che lacirconda, la parte di mondoche vede dalla finestra, inquesto istante. La pareteprima della finestra, sfondodelle sue giornate. Sa chefuori c’è un melo, lei devealzarsi, scostare le tendinebianche profumate, pensarecosa significhi avere sempreletendinebiancheprofumate.

Sulmelosiarrampicailgattodei vicini, il gatto siarrampica anche di lunedímattina o di mercoledí sera,non è cosí rappresentativodella domenica tedesca.Anche il melo c’è di lunedímattina. Nell’angolo delgiardino c’è una botte. Forsepuò tornare utile, dopo. Suasorelladorme.

Unadomenicamattinadel1939. La via dove abita è

Kirschenstraße. Si chiamacosí, eppure non ci sonomolteciliegie.Isuoivicinidicasa – non quelli del gatto,quelli del cane e dellaMercedes – non allevanogalline sul retro. Anche noi,scrive Hilde, non abbiamogalline,miopadreèunuomoimportante di Bockburg. È ildirettore di «Mutter», ilgiornaledellacittà.Dagrandevoglio fare la giornalista

come mio padre, cosíguadagnodenaro.Miopadre,ognidomenica,midàqualchemoneta da conservare nelsalvadanaio a forma dimaiale.Adessoilmaialefissailmuro, ha i fianchi larghi erosa, come se contenessebanconote appallottolate, nonsolospiccioli.Èunacosachenon dovresti scrivere, cosítutti sanno dove nascondi isoldi, qualcuno può rubarli

mentre dormi, i soldi sonoimportanti, mia madre ripetesempre, noi compriamo tuttociò che abbiamo, la benzinaper la macchina, le cosce dipollo, le matite per scrivere.La strada è deserta didomenica mattina presto,alcunefogliescivolanospintedall’aria, sul marciapiede.Due camionette e un’autonera sono parcheggiatedavanti alla casa dei

Kaumann. Dieci uominientranonelgiardinodeivicinicomeparentiubriachiduranteuna festa, uno è davveroparente diHilde, è zioPeter,indivisa.Vistodallafinestra,l’uomononsembranemmenozio Peter. Iniziano a scavarein giardino con picconi ebadili, accusano i Kaumanndi nascondere fucilisottoterra. Il signorKaumannlegailcaneall’albero,ilcane

abbaiaalsuoterrenoinfranto,ai piccoli crateri tra glischerni degli uomini, cheentrano in casa. I Kaumannesconodallavilletta,unuomocon il badile alza lo sguardodalbucoedicequalcosa allamoglie del vicino. Dueuomini slegano il cane, lotrascinano nella camionettaparcheggiata. I Kaumannlasciano il giardino, fissanol’abbaiare attutito dalla

pesante carrozzeria.CamminanodoveHildevadisolito in bicicletta. Ora leinon guarda piú, gioca, sentesuonidi cose in frantumi, gliuomini rivoltano i cassettidegli armadi, dei comodini,delle scrivanie, gettano lepastiglie sul pavimento, nonsolo nei bagni, dappertutto,come se la casa fosse ungrande corpo malato: avanzidi cibo, briciole, scie di

zuccherobianco, unodoredipalestra.PeterZemmgrundhaungrammofono inmano,poiun tavolino, una piccolapoltrona, una collezione diboccali di birra, un paiocadono sul marciapiede. Dàuna pacca al posteriore dellaMercedesparcheggiata,comefarebbe un contadino allafieraagricolaconilbestiame.Gliuominicaricano lamercesullecamionette,accendonoi

motori e accelerano, lascianounvuoto.IKaumanntornanomolte ore dopo, quasi nelbuio, che sembra inghiottireognicosa, acominciaredallaMercedes. Camminano apiccoli passi in giardino,attenti a nonmettere il piedein qualche buca. Giranoattorno alla casa, peraccertarsi della definitivamancanza del loro cane.Adesso sono solo gli Hinner

ad avere Blondi. I viciniapronolaporta,accendonolaluce e restano sulla sogliaprima di entrare, come unacoppia convalescente. Ildisordine mantiene unatraccia di rabbia ancorainespressa. Le cose sonoferme, spaccate, o soltantosparse sul pavimento; unreggiseno della signoraKaumann penzola nel vuoto,appeso al lampadario della

camerada letto inuna formadi derisione; una cravatta delsignor Kaumann, rimasta aterra, testimonia – piú che ladimenticanza – la sciatteriadell’appropriazione, la furiadelprendere.Hildeèalsicuroin camera. Le leggi latutelano.NonnoMichael.ZioPeter.Lafamiglia.Suopadreadessosveglio,nellastanzadifianco. Suamadre prepara lacolazione in cucina. Oggi è

domenica e, se fanno lostrudel,Hildeèquasifelice.

E questo cosa sarebbe?,chiede mio padre alla finedella lettura.Passailfoglioamia madre. MariaZemmgrundèinpiedi,legge,ogni parola modifica lamimica facciale, la frontediviene mobile, il naso siallungaeassecondalaserratadella bocca. Mia madre siappoggia al tavolo con la

manosinistramentresorreggeil foglio con la destra. Tirendi conto in qualesituazione mi metteresti? Lafiglia del direttore di«Mutter» scrive una cosa delgenere, a scuola!Questo è ilritratto di una bambinaconfusa, presuntuosa, triste.Quasi felice, scrivi. Quasifelice non significa nulla. Osei feliceononsei felice.Senon sei felice, sei triste.Una

bambinatristenonèdettochesia una bambina sensibile ebuona. Il compito principaledi una bambina buona èessere felice e proteggere igenitori dall’infelicità. Tuscrivi cose sbagliate, chesconfortano tua madre. Nonhai abbastanza? Cosa timanca? Scrivere ciò checapita di domenica è: i tuoigiochi, la preparazione dellostrudel,quantoimpiegail tuo

cane per correre cento metrinelprato,cosafaiquandovaiincampeggio.Scriviinmodochiaro e semplice. Scrivi ditradizioni, usanze, costumitipici,campanili,delleaie,deifienili colmi grazie al cieloclemente, di ciò che tiriguarda benché possa essereinventato. Scrivi sempre inmodo umile, in una linguapura, che si possa ancheleggere ad alta voce e

ascoltare avendone unbeneficio. Ricorda, la linguascritta è inferiore alla linguaparlata, la lingua parlata èfatta per essere ascoltata, lalingua scritta è fatta peressere ignorata. I caporaliordinano ad alta voce, nonscrivonobigliettini ai soldati,se scrivessero gli ordini, isoldati avrebbero decine dibigliettini accartocciati intasca,mai letti,oppure lettie

subito dimenticati. È benenonusare,comefaitu,patria,sangue, onore, cuore, dono,sacrificio, disciplina, fedeltà,eroe:sonoparoleserie,usarlesenza necessità assoluta è unpeccato, le consuma, neestirpa il significatoprofondo. Sei mia figlia.Scrivi una semplice cronaca,sai chi è in testa alcampionato, quest’anno?Occupati di calcio, se non ti

piace scrivi un sempliceresoconto su una domenicaqualsiasi, di canti epasseggiate nel bosco, maricordachepasseggiarenonèvagabondare in cerca dichissà cosa; elenca tutto inmodoneutro,oggettivo,senzaevocare un’atmosfera, unpensiero: anche questadistanza è la tua domenica.Prendi esempio dai dettatidellamaestra.Non pensi che

potrestiesseretuasbagliare?Lamaggioranzadellepersoneha ragione. Vuoi diventareuna bambina pazza, che curauna bambola febbricitante,conicodinidoratiesporchi?

Se non posso vedere ciòche prima dello sguardodimora in un altrovelontanissimo, riconoscere ilgiorno,lanotte,senonpossoavere malinconia del tempoche non è, nostalgia che

compone già il futuro, alloraesco in giardino, attraversol’aria profumata di fruttiautunnali. L’erba è umida,alcune parti sonospelacchiate, sento la terra esassolini sotto i piedi, imovimenti degli animali nelretro dei vicini. Raggiungol’angolodellabotte,guardolafinestra della camera, dalbasso.Prendounosgabellodilegno per arrampicarmi, mi

nascondo dentro la piccolabottevuota.Hauncoperchio,lo tengo parzialmentesollevato con le mani, inmodo da vedere fuori, ilmondo ridotto a miniatura.Appoggio il coperchio e micongedo, temo di restareimprigionata.Credodisentiremia madre, chiedeinformazioni a Helga. Miopadre accende la radio, unelegante apparecchio in noce

con una piccola luce azzurrache conferma la giustasintonizzazione dellafrequenza. La voce nitida,vittoriosa, elenca localitàpolacche ora tedesche. HansHinner annuisce seduto inpoltrona davanti alla tazza dicaffè, indossa una giacca dacameradifustagno,chiusadadue cordoncini rosicchiati daBlondi durante i suoi giochida cucciolo. Asserragliata

nella botte, aspiro l’odoreumidocheimpregnail legno,un aroma da boscagliaquando diventa tutto sera einfine notte, anche le miemani imprigionate in unavaga intuizione, comprendodove sia il coperchio soloperché se alzo le bracciasento sui polpastrelli unpezzo di cielo che pesa. Seavessibisognodimiamadre,riuscirebbe ad arrivare in

tempo?Finoadovegiungelamia voce, se non vogliotramutarla in inutili strilli,ridottiabrusio?Sentolelorovocidistanti,sopraffattedallamiseria del mio respiro cherisucchia ossigeno a mestessa, forse chiamanoHilde,ah, quella bambina finirà peruccidermi di dispiacere, ungiornoo l’altro, e se ci fosseun insetto insieme a me, unragno nero, che mi inchioda

qua dentro con la sua telabavosa?Portoleginocchiaalpetto, mi rannicchio, chiudogli occhi, aggiungo buio albuio, li strizzo cosí tanto davedere una luce, devo esserequasi morta, non vogliodiventare grande, vivere inquesto mondo, essere unafemmina, spegnere lecandeline rosa, soffiare sullatortapreparatadamiamadre,fareilbucato,stirarecamicie,

pantaloni,perfinolemutande,voglio trasformarmi in unbambino, diventare un uomoconunadonnachemistiralemutande, l’uomo ignora sestesso in quasi tutte lesituazioni dell’esistenzaquotidiana, ha dentro ilproprio corpo l’immagine disé cosí in profondità da nonrenderseneconto, e inquestomodo vive una vita libera,certo, condizionata da alcuni

obblighi sociali, che tuttavianon lo assillano con la voceossessiva: sei un uomo. Unadonnadevesemprericordarsidi essere donna, io vogliodimenticare me stessa, inverità non voglio neppurediventare uomo, tantomenodiventare grande, unaragazza, che non ha mai leunghiesporche,sipreparaperuscire profumata dopo ilbagno, sistema i capelli

davantiallospecchioperfarsibella, di piú, a tre quarti, diprofilo,di schiena, immaginacomegli altri laguardanodadietro, mentre passeggia nelcorso di Bockburg o pregasotto un qualsiasi campaniledel mondo, e attende parolebanali,grazieallequalilavitasembra luminosa, sicura,l’avvenire uomo, il pascoloverde, il cielo azzurro, l’albadei grandi magazzini, è

sufficiente il corteggiamentodi un ragazzo davanti a unavetrina, vedersi riflessi aframmenti, non mi interessabaciare, stendermi sulpagliericcio sotto il pioppodietrocasaefissareisussultidelle foglie tra le braccia,all’ombra di un uomo,diventare moglie sul lettocomprato a rate o ereditatodalla nonna, l’euforia delleprime settimane di nozze,

generare, gravidanza, parto,non voglio allattare come sefosse l’attività principaledell’esistenza, il destinobiologico a cui rassegnarsi,giorno dopo giorno, pereducare mia figliaall’obbedienza, all’applauso,all’umiltà, alla discrezione,allo spirito di sacrificio, alsenso di colpa, al timore diDio,aiprodottidibellezza,lescope, gli stracci, gli

spazzoloni, i detersivi, ilavori domestici, onereprivato, intimo, necessarioalla sopravvivenza dellacomunità, nella formaidenticadeigiorniattraversatidalle conquiste tecniche, cheoffrono pubblicità di nuoviprodottisuscalaindustriale,imarchi per l’istantaneaindividuazione dei sogni,macchine da cucire,ventilatori da tavolo,

frullatori, e partorire ancora,per creare un altro membrodelpubblicopiúvasto,prontoalla villeggiatura, a sfogliarerotocalchi, a riprodurreconversazioni in un mondoattraversato da violenzaesplicita o piú spessosotterranea, che preferisceevitare l’estremo, i padrimortinelleguerre,nonesistepace,sololaquieteartificialedei cimiteri, mi adagio nella

botte, rotolo inerte, ribaltatasu un fianco, il legno premesull’orecchiodestro,qualcunosolleva il coperchio, c’ètroppa luce per i miei occhi,l’erbaabbagliante, ipiedideiparenti, mi aggrappo almondodeivividelusa,ancorauna volta traditrice del miofantasma,mai, non farlomaipiú, urla mia madre, in altodistantissima,èdomenica.

A settembre inizia laguerra,èunagiornatadisole,io e Helga proviamo lemaschereantigasincamera,èil momento in cui siamodavvero identiche, grigie,abbiamo la proboscide, ilfiltrochedovrebbesalvarciincaso di attacco ci rendesilenziose, possiamo mimareil panico o lanciare gemitiscimmieschi, il naso è personella gomma e gli occhi

piccoli cerchiati dietro lentispesse, sotto lo sguardoamorevoledeinostrigenitori.E voi non le mettete?,domando, quando tolgo leredini che saldano il nuovovolto al cranio, e torno cautaal corpo abituale. È solo perscherzo, le maschere nonoccorrono, bambine,vinceremolaguerra inpochesettimane.

AcquistiamolavillettadeiKaumann. Mia madrevorrebbe avvisare zio Peterdella vendita. Hans, sarebbebello avere mio fratello difronte.CredichePeternonlosappia? E poi, una casa sudue piani, con giardino, soloper lui? Maria, tuo fratellonon avrà mai una suafamiglia, l’unica verafamiglia è la divisa, ripete,andrò in guerra non per il

futuro dei figli che non ho,ma per riscattare l’offesa deipadri. Chissà da dove arrivaquesta frase, sembra che lozopposia lui,Maria,non tuopadre.LacasadeiKaumannèquasi regalata, piuttosto difarsi requisire i beni dalgoverno preferisconosvendere a noi e scappare:pochissimo è meglio diniente.

Laprovenienzadeldenarodi mio padre è un mistero, isoldi spengono qualsiasidomanda,Diononhabisognodel denaro per creare ilmondo, ma per farlofunzionare. Basta sedersiattornoauntavolo,iniziareilsognomonetario,contareunospicciolo dopo l’altro,costruire colonne di pfennigfinoacento,finoalsoffitto.

Non è cosí semplice

contare, Hilde, devi esseredeterminata per reggerel’ordine, la successione,l’incolonnamento mentale dinumeri solitari, incatenaticome sagome prive dicontenuto, che si succedonofino alla cifra finale,indiscutibileapprododel loroadempimento.

Puoi iniziare bene, ad altavoce, uno, due, tre, a dieci tisenti imbattibile, una spinta

preme i numeri da dentro,nellacassatoracicarisuonanoundici,dodici,inaccordoconil cuore, l’apporto necessariodell’ossigeno ai tessuti, ilmondo si rivela attraversocifre matematiche, cose,organi,aventisaicheseseilípuoi andare molto oltre, tirattrista la tua velocità,arriverai a cento troppo infretta, tra gli interstizi delconteggio potrai cogliere

qualcosa di piú grande, ladimensione di un insieme, losvelamento dell’assolutonella sequenza delle cifre. Einvece già a trenta cominciala noia, confusa con undisturbo neurologicod’apprendimento, unapatologia impedisce lacomprensione delle attivitàaritmetiche, non conti piú adalta voce, preferiscisussurrare cifre, che perdono

la propria forma speculativadi accumulo, si tramutano inpreghiera gratuita, e piú cheall’infinita addizione la testaanela lo sperpero benefico,cosí il cervello si frammentaseguendo traiettoriedifferenti, contare monete èperdersi, dimenticare larelazione tra le cose pertrovarne di invisibili, è unprocedimento rigoroso maastratto, nonostante la

sostanza, la consistenza diognisingolamoneta.Hilde,ametàdel tuo tragittopensi diessere piú avanti, o piúindietro, ti fermi ansiosa eprendi le misure, rapporti ilmondo delle monete alle tuedita, tantocosí, ripetiquandotieni pollice e indice sospesi,fissi la distanza, il vuoto cheti afferra dentro un ciclo, nelvorticedicrescitaedisenso.

Abbiamo due villette congiardino, un pastore tedesco,una Opel Olympia e unaMercedes 500 KAutobahnkurier. Dal 1938,dopo la disposizione diHimmler, il signor Kaumannnon può guidarel’automobile. La Mercedesresta ferma per quasi dodicimesi in giardino. Lamacchina, dopo la lungasosta,nonparte,halabatteria

scarica.Mio padre ci chiamaagesti.Io,Helgaemiamadreattraversiamo la strada,entriamo nel giardino per laprimavolta.Maria,devi solotenere le mani sul volantesenza sterzare, vai diritto.Mio padre spinge, Helga èalla sua destra, io a sinistra,vicino ai tre piccoli fanaliposteriori e al simbolo dellaMercedes, guardo la stellagrigia a trepunte e appoggio

le mani sulla carrozzeriasporca, vedo il mio voltoriflesso, rigato di polvere,teso in una smorfia. Laparcheggiamo davanti allaOpel. Mio padre controlla ilmotore, trova ragnatele e unfavo di vespe, lo rompe conun martello, le larve sonoancoragialleeumide,cadonotragliingranaggifermi.

InostrisoldisonodiHans

Hinner. I soldi di HansHinner sono i soldi di«Mutter».Isoldidi«Mutter»sono i soldi del partito.Donazioni spontanee,forzose, lasciti di vecchievedove che muoiono eregalanoi lorobeniimmobilial partito. E dal partito algiornale.Edalgiornaleanoi.Le spese per il dentista, labenzina per la MercedesAutobahnkurier, le visite

medichedaunortopedicopernonnoMichael, ilmobilio dinonna Christa, i capricci dizio Peter. Gli abitanti diBockburg non vedono, nonvoglionovedere.

Abbiamo il frigoriferoelettrico, il refrigerante è alfreon, non all’ammoniacacome in quello di nonnaChrista,chehaildifettodiunaccumulodibrina.Sembraunmiracolo la trasformazione

delfreondagassosoaliquidoe il passaggio al freddo.Abbiamo l’aspirapolvere,risucchiamo briciole, capelli,insetti,irifiutidellebambole,i peli di Blondi, i petali deifiori morti. Abbiamo il ferroda stiro a vapore,l’asciugacapelli che misorprende ancora, lancia ungetto d’aria calda sui capellibagnati, lo agito come unostrumento musicale, chiudo

gliocchi,ho i capelli asciuttie lucenti in tre minuti.Abbiamo la lavatrice e lalavastoviglie, il tostapaneautomaticoperilpanecaldoecroccante, e tutto quello checi serve, lacredenzapienadiprovviste,potremmoresisteresettimane senza uscire dicasa, ne sarei contenta,eviterei di andare a scuola,dimenticherei il dettato, laguerrainPolonia,nell’angolo

destrodellacartinaappesa inclasse.

Due case uguali, una difronte all’altra. Quando lamamma e il papà non cisaranno piú, saranno vostre.Mie amate gemelle, sequest’istante si fermasse persempre! Usciamo dalla casadi Kirschenstraße numero 9,attraversiamo la strada edentriamo nella casa di

Kirschenstraße numero 10.Grazie a noi la villetta haunproprietario. Il giardino èincolto, il terreno – a causadei buchi durante laperquisizione di zio Peter edei suoi amici – è irregolare,la casa sembra sprofondarenella terra, risucchiata tra ifioricresciutisenzaguida,sulmargine del giardino, dovel’erbacciaaggredisceancheilcemento.Miamadrevorrebbe

chiamare il signorWasser, ilgiardiniere ha un vivaio dipiantelungolaSudetenstraße.LuigiraperBockburgconunvecchio Volkswagen, glialberelliinclinatisullespondedelfurgonescuotonoirami–assecondando le buche dellestrade – e seminano foglie,che si mischiano alle altrecomeestranee.

In casa troviamo duepiatti, due bicchieri, due

coltelli, due cucchiai, dueforchette, due tazze di caffèlavate e appoggiate sullacucina. Non c’è nulla dentrole credenze, uno straccioammuffito è ai piedi dellavandino, tra le maglie èmorta una mosca, l’anta delfrigorifero è spalancata ecigola appena la muovo,l’interno rivela un alonegiallognolo simile a un ditointossicatodallanicotina.Sui

muri spiccano i segnicircolari scuri dei piattiassenti, ragnatele lasciateanch’esseinabbandono,negliangoli,einbassoscatolonidilibri, giornali, riviste,quaderni, decine di dischisenza il grammofono. Unposacenere, colmo di cicche,èappoggiatosoprailcamino,ed è il solo dettaglio dellacasa a rivelare, se nonun’esistenza, almeno un

passaggio recente. Anche gliarmadi della camera da lettosono quasi vuoti, è rimastaunagiaccamaschilediottimotaglio,unacamicia,unpaiodibretelle, come se solo legambe avessero deciso diandarsene, mentre il bustovagasseancorasperanzoso,inqualche angolo della casa.Accantoallebretelle,unabitodadonna,esututto,odoredinaftalina, un’essenza da

vecchi che stride conl’immagine sul mobile delcorridoio, dove i Kaumannsono piú giovani,irriconoscibili. Deve essereunautoscatto, lui ha i capellibiondi,benpettinati, ilciuffoè sceso sulla tempia, comedopo una breve rincorsa,forse dovuta alla cura nelsistemare la macchinafotografica poco prima delloscatto. Leon Kaumann

indossa un gilet di lana, irombi disegnati sul petto, haunamano nella tasca sinistradeipantaloni.Leihaicapellilegati in una crocchia, comemia madre. La mano destradel marito cinge la spalladella moglie, una posasilenziosa,cheescludequantoè fuori dall’immagine. È unistantediquieteconsapevole,di possibilità, il tempo in cuiniente è ancora deciso. Alle

lorospalle,iramidiunalberosbucano sfuocati, si dividonopartendo dai corpi dellacoppia.

Mi affaccio alla finestradel piano superiore deiKaumann, guardo la villettadifronte,dovetuttoèordine,alsicuro.Imieigenitorisononel grande portafotografied’argento, un’immaginescattatadalsignorSchwarz,il

fotografo di Bockburg. Ilsignor Schwarz sistema, allespalledelsoggettoritratto,unenorme pannello, lo sfondomutaa secondadelgustodelcliente. I miei genitorivolgono le spalle al fiumeIsareallespondedialberi infiore, deve essere unaromanticheria che ricorda lasera del loro fidanzamento.Altri abitanti di Bockburgpreferisconopaesaggialpinio

ilsoledeclinantedietroitettid’ardesia di Marienplatz.Quasi tutti indossano vestitidi ciniglia o di fustagno, noigemelle abbiamo un’unicafotografia, non c’è nientedietrodinoi,solountendonescuro con le pieghe. Fisso isegni della Mercedes nelterrenodellavillettadifronte,il luogo incuinascoseiannifa.Blondiscodinzolaaccantoalle ruote della Opel, devo

ancora abituarmi al fatto chetutto questo accumulo – lanuovavistadiKirschenstraßeoilmelomortosulretro–siaanchemio.

Allafinedel1939,dopolavittoriainPolonia,miamadremanifesta i primi sintomidellamalattiamaicurata,cheforse porta con sé dai giornidi Wiesenstraße, dalle nottiumideeinsalubri.Mirisuona

intestaladomandadeldottorRosenfeld: come va la suatosse, signora Hinner? MariaZemmgrund risponde alnostro nuovo medico, ildottor Busch, lui arriva alleottodimattina,subitodopolatelefonatadimiopadre.Ah,èun brutto raffreddoretrascurato, signora Hinner,unabuonatazzadilattecaldobavarese con due cucchiai dimiele, una bella dormita, e

vedrà, tutto passa. Ogniinspirazione è una fitta, chedaltoraceraggiungelaspallaeritornadavanti,piúinbasso,all’addome. Per trovare unpo’ di pace la sola cosapossibile è ridurre laprofondità del respiro,dimenticarsi. Circondiamonostramadrestesanelletto,ilsuo corpo origina versamentidi liquidi interni, chesnaturano la dinamica

respiratoria, attaccano ilpolmone, la voce, il coloritodella pelle, tanto che miopadre, appena il medico cilascia, urla, Busch noncapisceniente.Laavvolge inuna coperta. Dopo un baciosulla guancia si rende contodel tempo senza una veravicinanzafisica,itentativiperil terzo figliooanchesolo lagioia passeggera di unosvago. Maria Zemmgrund è

un corpo appena percepito,boccheggia senza sesso, età.BlondiingiardinoleannusaipiedipenzolantidallebracciadiHansHinner.Miopadresiavvicina alla Mercedes.Veniteanchevoi.

Usciamo in retromarciadal giardino. Da fuori, in unmattino come tanti, duebambine vanno a scuolaaccompagnate dai genitori.

Invece, a parte mio padre,indossiamo tutte il pigiamasotto il cappotto, mi sembradi vedere Bockburg per laprima volta, le case in unaluce anomala, le bandierepenzolano come stracci daipennoni, i rintocchi delcampanile giungono ovattati,dal fiume salgono sbuffi diumidità. Bockburg ha unospedale edificato fuori lemura, all’inizio del

Novecento, nella zona norddella cittadina, in Horst-Wessel-Platz.Èunlottoditregrandiedifici aquattropiani,di mattoni rossi. L’ospedaleserve le cittadine a sudovestdi Monaco, compresi i paesilungo il lago di Starnberg. Ilguardiano all’ingressoriconosce subito mio padre.Buongiorno, signor Hinner.Sollevalasbarraesalutaconilbraccioteso,miopadrenon

risponde, attraversa i piccoliviali, alcuni malaticamminano aiutandosi con ibastoni, levestaglie consunteappartenuteaqualcheparentenella Prima guerramondiale.Mio padre accelera e giungedavanti all’ingresso. Leinfermiere sistemano miamadre su una barella, il suocorpo scompare sotto lacoperta,halelabbraseccheela bocca schiusa, i capelli

appiccicati alle guance, nonpuòritornaregiovane.

L’ambulatorio ètappezzato da immaginimediche, che riportano ilcorpo a un ambitouniversitario, di studio, unadisgrazia può essereminimizzata, semplice fasedell’apprendimento. Ilmedico fa una puntura dipenicillina e una radiografiatoracica. Due infermiere

spingono mia madre nelcorridoio, le ruote cigolano,la barella viaggia veloce,l’aria di chimica e sudoreincontra il volto di MariaZemmgrund, le provoca unavertigine, le mura sono alte,attraversate da crepe, ombrevestite di bianco, infermiere,medici, suore, rumori distoviglie, di siringhe, diforbici, di flebo, di ossigenoimprigionato nelle macchine,

divasidanotte,ditinozze,diciabatte, di stampelle, dilenzuola fresche appenasistemate nel letto lasciatovuoto da una morta, di vociche urlano, chiedono,consigliano, ordinano, ilsoffitto sembra muoversi alpassaggio e abbassarsi,punteggiatodamacchie, restidi insetti estivi schiacciati,ora piú vicini. È la primavolta che entro nell’ospedale

diBockburg,èlaprimavoltaanche per mia madre.L’ospedale è composto dacamerate, venti letti per ognigrande stanza, dieci spostaticontro una parete, diecicontro l’altra, sopra ogniparete il crocifisso guarda infaccia l’altro crocifisso. Inogni camerata avanza unospazio centrale, ora vuoto,sfruttabile per le emergenze,quando i letti aggiunti

sembrano zattere alla deriva,attraccateinvanoalleflebo.

Durante le visite, tra lenove e le dieci di mattina, imedicisonoaccompagnatidasuore e infermiere. I dottorileggono la cartella clinica diuna paziente, giacchéraramente i corpi sonodavvero visitati e la fase piúsignificativa del lavoro deimedici è interpretare lacalligrafia delle suore. Le

ammalate chiedono confortoalle religiose, che posanol’indice sulle labbra facendotintinnare mazzi di chiavi –c’èsemprealmenounasuorache ha le chiavi di accesso aqualcosa – e sgranano gliocchiinsegnodirimprovero,mentre il medico valuta laterapia, prescrive medicinali,declama frasi tecniche olatinecomebranistaccatisidaunraccontoeterno,egemonia

di morbi incomprensibilirivoltiallapaziente,cheasuavolta desidera rassicurazioni,terrorizzata dalla discrepanzatra le parole delmedico e laricezione del corpo, come seil dolore fosseintercambiabile, unavaghezza adattabile achiunque.

Ci sono tre camere consoli due letti, e una camera

singola. Hans Hinner vuolequella. Dottore, mia moglienon può stare assieme adecinedialtrepazienti.Certo,signor Hinner, non lametteremonellacamerataconle altre donne, ma la stanzasingolaèoccupata,nonpossodargliela, c’è la figlia di unpolitico di Monaco, ha lagamba destra rotta dopo unacaduta da cavallo lungo ilfiume. Nella stanza diMaria

Zemmgrund i due letti sonovuoti,leinfermieresistemanomia madre in quello vicinoalla finestra, controllano labombola d’ossigenoappoggiata alla parete. Unasuora scrive ZemmgrundMariasullacartellaclinica,laattacca ai piedi del lettomentreun’altrasuoraleinfilail termometro sotto l’ascella.Zemmgrund Maria ha unaforma di pleurite, il

versamento sinistro occupaun terzo del campopolmonare, dovremoeffettuare un prelievo diliquido toracico, l’immaginecardiaca non è valutabile, lafiguradelcuoreèmascheratain parte dal versamentopleurico,ilpolmonepotrebbecollassare,nonsembraquestoil caso, dobbiamo vedere sec’è anche altro, unamacchiolina ha sempre la

forma del dubbio, unfocolaio, tubercolosi coninteressamento dell’apparatocircolatorio, delle ossa, dellapelle, meglio non escludereniente, neppure un tumore infase iniziale, per il momentonessuno sbocco di sangue,solofebbre,pallore,perditadiappetito, di peso, difficoltàrespiratorie.

Non sappiamo che ore

siano, forse metà mattina agiudicare dalla luce, noisiamo la famiglia Hinner,unita, vogliamo bene allamamma.Ilmedicoentranellastanzaconunagrandesiringa,la suora regge una bacinellavuota, bianca, di latta,bambine, potete uscire. Cisediamo nella sala d’attesadel piano, sprofondate in undivanodivellutomarrone,suicuscini sfatti è trattenuto il

calore di altri, l’aria giàvissuta. Vicino alla radiospenta, l’altoparlante è mutonell’angolo destro, accantoalla ragnatela, che luccicatrenta centimetri sopra GesúCristo. Attendiamo di saperequalcosa, non riesco apregare. Mio padre ciraggiunge,sfogliaunnumerodi «Mutter» appoggiato altavolino, è attonito, come sesi specchiasse in silenzio

senzariconoscersi,sialzaconuna spinta plateale dellegambe, per dimostrareatletismoesalute,lasperanzachebastiquestopiccologestoa salvare sua moglie. Siavvicina alla finestra e toccal’attaccatura dei capelli,guarda fuori, oltre le cimedegli alberi, piantati pochianni prima che lui nascesse,nei giorni dell’inaugurazioneospedaliera. Hans Hinner

cerca in quella naturaaddomesticata un aiuto, ilconforto per dare sensoall’esistenza: i soldi, laOpel,la Mercedes, due villetteidentiche,legemellealprimoannodi scuola, è impossibileche accada proprio a me,poche settimane prima diNatale, gli uccelli saltellanodai rami spogli e dopo duegiri di ricognizione puntanounpezzoditerraanonimo,lo

beccanofuriosicon lezampepiantate, e già dalle cucinearriva l’odore del pranzo,altre degenti entrano nellastanzaincompagniadimaritianziani, ecco, dovrebberomorire queste vecchie,saranno nate nel 1870, miamogliehatrent’anni.

Hans Hinner pensa aqualcosa di pratico, nonnaChrista o nonno Michael,portarelegemelleacasa,dare

da mangiare a Blondi,avvisare in redazione, ecos’altro, se mia mogliemuore?

L’ago nello spaziointercostale fende il corpo diMariaZemmgrund,undolorecontinuo,modulatosupicchi,intensità determinate dalliquido risucchiato. Miamadre morde il labbro estrizza gli occhi, il buio si

trasforma in colorazioniiridescenti, lampi privi disete, fame, necessità, oracolore,orasuono,transazionedi molecole e tregua, ladebolezzadimiamadreèunaforma anomala di resistenza,sorprende senza opposizione,ildoloreaccettatoneutralizzalasua importanza,ècostrettoaricominciare,ansiosodinonessereall’altezza,primacheilmedico riemerga con l’ago e

rammendi la schiena, e lei siaccasci esausta. La suoraregge il recipiente, attenta anon far tracimare ilcontenuto,due litridi liquidogiallastro, torbido, sembraimpossibile che mia madrepossa contenere tutta quellamateria.

Mio padre telefona allasezione del partito peravvisare nonno Michael, che

arriva poco dopo insieme anonna Christa e a zio Peter.Mia madre dorme, l’altrolettoèancoralibero,zioPetersi siede sulmaterasso, la suadivisa spicca tra il biancodellelenzuola.NonnaChristapiange,ilmaritoledàbuffettisulleguance.Miopadreparlanel corridoio con il primario,unmedicoconunpassatodamilitare nella Prima guerramondiale. Le altre pazienti

hanno meno assistenza.Quando infermieri o suoreentrano nelle cameratesembrano episodi fortuiti;nella stanza di MariaZemmgrund,ilorogestisonointenzionali.Tutto ciònon cimette al sicuro dalla morte.Nel tempo silenzioso dellamalattia,riempitodallenostrevuoterassicurazioniattornoalletto,attendiamochelastanza

trasferisca parte del suoordinealcorpodimiamadre.

Andiamoa casadei nonnia piedi. Preferirei andare daBlondi, cambiare ilvestitodiKlara, darle il biberon,spazzolarle i codini eabbracciarla stendendomi nelletto, comemiamadre.HansHinner esce dalla cameradell’ospedale, ha le gambemolli, laschienadolorante, il

collo incassato nel cappotto,cammina toccandosi la nuca,tanto che il rumore dei suoipassi sembra causato – piúche dai piedi – dagliscricchiolii del collo,un’anomalia momentaneacancellata dalle inservienti,che spazzolano il pavimentodopo il suo passaggio. LaMercedes ha uno strato dibrina sul parabrezza. HansHinner pulisce il vetro e

sprofonda nel sedile, lemanisul volante, il motore fermo.Guarda l’edificio, cerca dicapiredovesiasuamoglie,leluci basse inghiottite daisoffitti delle camerate, legrandi finestre in penombra,sua moglie è dove c’è piúluce.

Bockburg è quasi deserta,MariaZemmgrundsarebbelaprima deceduta di

Kirschenstraße, la morte èestraneaallevillette, sebbenein alcune sere, gli alberifragili – circondati ai loropiedi da foglie gialle –disegnino geometrie lugubri,e in quelle serecomprendiamo l’abbaiare deicani.Blondiattendeaffamata,ululaallelucidellaMercedesquando Hans Hinner scendedalla macchina per aprire ilcancello.Miopadreguardale

figure dietro le finestre, sirende conto di non averealcuna relazione reale con ivicini di casa. Il legame piúsignificativo in sette anni èl’atto di compravendita con iKaumann.

Blondi mangia in cucina,di solito resta in giardino. Ilcane affonda i denti nellaciotola, raschia tutto con lalingua ruvida e rifiata

sollevando lo sguardoriconoscente.Miopadrecercain frigorifero qualcosa damangiare, un avanzo, un filoche lo leghi alla moglieancora in casa, carne overdurafredda,cheluidivorain piedi, con il cappottoaddosso, per proteggersidall’impatto inespressivo delcibo sui denti.Sale i gradini,entra in camera, il letto èdisfattodallamattina,sembra

passato molto tempo e nonpocopiúdidodiciore.Silavala faccia in bagno, sullamensola c’è lo spazzolino dadentidellamoglieeiltubettomezzospremutodellatintura,che usa per rinforzare ilbiondo naturale dei capelli.Solo adesso lui si accorge diquanto sia importante MariaZemmgrund nella sua vita.Senza di lei non avrebbenulla. Senza di lei non

sarebbe nulla. Ha la testapiena della voce di suamoglie. Hans, guarda checarina questa cosa. L’acquadellagoècalda,buttatianchetu. Oggi l’arrosto è propriosquisito. Lo strudel, con lemeledelcontadino,èun’altracosa. Prova queste patate,sono cosí dolci.Bellissimo iltuoarticolo.Comestocon lavolpe argentata? Ti donamolto la cravatta nera.

Guarda come sei giovanenella fotografia della tesseradelpartito.Permeseisemprebello, anche se abbiamo giàtrent’anni.

I giorni seguenti passanopiúinfrettadelprimo,giornipresi dalle abitudiniospedaliere che irrompononell’esistenza delle persone.Unacarezza,ilgiornodopoiltrauma, porta con sé un peso

meno definitivo. Certo, oggipotrebbe essere davverol’ultima carezza, intantosiamoancoraqui,dopoieri,epotremmo abituarci alleultimecarezze.Ciguardiamoinebetiti dall’imbarazzoreciproco,dalnonsaperecosadire, confidiamo nei motti,nei proverbi trasferiti digenerazione in generazionecon un’ottusità che non

scalfisce il dolore dello starealmondo.

Maria Zemmgrund èsdraiata nel letto, attaccataall’ossigeno con un sondinonel naso, è solo per scrupolomedico, ma a volte respirarenon è cosí automatico,bisogna ricordarsi di onorareun meccanismo. C’è unbicchiere sul comodino, unapastiglia, una fiala colorata,una caraffa con quattro dita

d’acqua e un fiore mezzoafflosciato, accanto a unasputacchiera inutilizzata. Levenedellemanidimiamadrein rilievo – piú violacee diquandoprepariamo lo strudel– sono ferme nel postostabilito, aimargini del letto,dove iniziano le sbarre dellesponde.C’èilsole, trapochesettimane è Natale, Maria,vedrai che bella festa.L’infermiera fa una puntura,

lasuoracontrollalapressionee il polso, segna i dati sullacartellaclinica,ègiàunlungoelenco di orari, medicine,azioni,valori,temperature.

Maria Zemmgrund vedesolo facce amiche, nellastanza singola c’è intimità.Dentro la camerata sarebbediverso, forse il tempopasserebbe piú in fretta, glialtri sono sempre unadistrazione.Lelunghenottidi

questo periodo comincianoallecinquedelpomeriggio,inospedale basta nulla persvegliarsi o per dormire neimomenti piú impensati.Giorno o notte, nessunadifferenza, come per morire,anche se spesso si muorepoco prima dell’alba. Unadegente nella cameratafemminile smettedi respirarecircondata da decine dipersone concentrate sulle

proprie condizioni fisiche.L’accavallarsi di situazionirende tutto piú simile allavita, che oscilla sempre tramalattia e convalescenza. Leammalate reclamano cibo,russano, sognano ad altavoce, sbuffano dal nasoostruito, pregano obestemmiano, con le lorolabbra quasi scomparsechiedono di essere pulitedalle urine e dalle feci,

vogliono cibo, acqua,ossigeno,medicine,diconodisentirsi molto meglio,muoiono.

La stessa situazioneaccade nelle cameratemaschili, ma gli uominideperiscono prima, stesi adecine, ammutoliti,scarnificati,gonfiperiliquidieifarmaci,conirenichenonfiltrano, ingialliti da unanausea continua. Uomini del

peso di novanta chili capacidimangiare unmaiale interoebereper tregiorni di fila –solo due anni prima – oramagri e incapaci di finire unpiatto di pastina, quasiimpauriti alla vista di unasuora alta un metro equarantanovecentimetri.

Le donne infermedestabilizzano, lontanedall’attività, dalla famiglia.Ciabattano lungo i corridoi,

sono senza ricordi eccettoquelli ospedalieri, nellecamerate diventano unasomma di volti indistinti,sottratteallepropriemansionidomestiche perdono anche inomieicognomi.

Nelle ore precedenti ildecesso, le pupille roteano esi smarriscononella sclera, ilrespiro emette un sibilodiffuso, la miseria dellacarne, il definitivo

peggioramento, lo statosoporifero non risvegliabile.La condizione agonica puòdurare leventiquattrooredeivivi,einvece,perchimuore,è già altro, l’avvicinarsi allimite, il momento esatto emisterioso in cui il corposmetterà di respirare, non unistante dopo, non un istanteprima, né vita né morte. Aquel momento c’è chi viarriva senza lottare e chi

invece protegge il propriorespirogareggiandocontrodiesso, sbuffa, rantola, ringhiagirandosisuunfianco,inarcala schiena e getta la testaall’indietro, con movimentiincontrollati del collo, dellabocca aperta verso un urlo,chenongiunge.

Muoionoinonnidellemiecompagnediclasseopersonesconosciute senza parenti,

con solo il prete e duechierichetti al seguito delferetro; muoiono dottori,avvocati, bottegai salutati dauna folla lunga quanto unesercito di ritorno da unasconfitta, anch’io devomorire, non toccherà sempreaglialtri.Perlaprimavolta–nonostante mia madre siaancora viva – ho la certezzache non sono soltanto glianimaliamorire.Quandomia

nonnaportailconiglio,dicoamia madre, non vogliomangiare il coniglio, mipiacciono gli animali vivi, imaiali, i cavalli, le anatre, itacchini, le mucche, i vitelli,mipiaccionoicantidelgallo,sono triste lungo il fiume seunpescatoretogliel’amoallaboccadelpesceelomettenelsecchio.Temochemiamadresmetta di respirare come ilpesce. Mi preoccupo anche

piú di ieri. Ieri è il corpoquasi di un’estranea, miamadre travestita, ieri non èmiamadre.Lefissoilpetto,èsotterrato dalla coperta dilana. Guardo le tempie, imovimenti della bocca, degliocchi. Mia madre parla, lavoce roca, il suono delleparole è flebile. Non vogliovederlamorire. Se prego pertuttelepersonedell’ospedale,affinché nessunamuoia, sarò

certadellasuasopravvivenza.Dovremmo dimenticare ipiccoli riti intermedi,ricordare la data di nascita eche moriremo molto presto,tra settantadue anni o dieciminuti. Mia madre camminalentamente nella corsiadell’ospedale, haun’espressione migliore dimolti passanti consideratisani.

Unpo’ditè,fruttacottae

tanto brodo, ancora unatoracentesi, il liquido nellagabbia toracica scompare.Mia madre indossa lavestaglia di lana a scacchi,calzalepantofoledifeltro,inprincipio sembrano pesarecome mattoni, noi lasorreggiamo nellapasseggiata. Le radiografieconfermano le nostresperanze. Non esiste alcuntumore, neppure un inizio di

tubercolosi, ma bronchi epolmonisonomoltofragili.

Quando tornaacasa,pesaquarantanove chili, deboliraggi solari colpiscono lesbarre costruite dal nonno, lecondizioni fisiche generaliimpongono una scelta di vitadrastica. Maria Zemmgrunddeve vivere altrove, in unclima mite, sulla rivieraitaliana.

Durante una brevepasseggiata incontriamo ildottorRosenfeld.Miamadre,senza alcun imbarazzo peraverlo abbandonatoscegliendo il dottor Busch,parla subito delle suecondizionidi salute, raccontale settimane in ospedale,chiede un consiglio alvecchio medico. Il dottorRosenfeld le risponde inmodo gentile, dovrei vedere

gli esami, le radiografie, lacartella clinica. Se lei è inqueste condizioni di salute edeve andare in Italia, nonabbiadubbi:ilmareandrebbebene,masecondomeilpostoideale è Merano, ai piedidellemontagne,circondatodaalte vette, ha un clima mite,abbastanza secco, simile aquellodellariviera,ècomesela rivieraavesse lemontagneintorno, lamaggioranzadella

popolazione parla tedesco, lescuole sono tedesche, lacultura è tedesca, Merano ègrande come Bockburg,quanto mi mancherà tuttoquesto, adesso che devolasciarelaGermania.

La rapida vittoria tedescainPolonia,itentennamentidiFrancia e Inghilterra fannocrescereilvaloreimmobiliaredella villetta dei Kaumann

acquistata poche settimaneprima a prezzo irrisorio. C’èeuforia nelle chiacchiere deinegozi, nelle giornatescolastiche, nei segreti dellecase. L’esaltazione collettivaè il migliore alleato per lacompravendita della villettaal numero 10 diKirschenstraße. Una coppiadi sposini ventiduenni, iGohlke, vuole trasferirsi aBockburg da Monaco, e

quando mio padre comunicail prezzo di vendita –decuplicato rispetto a quellopagato ai Kaumann – i dueconiugi sorridono entusiasti,non riescono neppure afingere e contrattare alribasso.SignorHinner,lasuavilletta ci interessa, a questacifra potremmo permetterciun piccolo appartamento didue stanze, e in periferia, aMonaco.

Se uscite da qui ecamminate per dieci minuti,direzione nordovest,costeggiandoilfiume,trovatealtre villette in costruzione.Sono piú piccole di questa,hannomenometriquadratidigiardino, costano di piú.Saranno pronte tra sei mesi.Certo,sononuove,maquestacasa è perfetta, come se nonavesse un passato. È del1932. Potete fare a meno

della macchina, bastaattraversareilponteesieteincentro, dista tutto quindiciminuti a piedi, è semplicevivere, qui. Non vogliomettervi fretta, desidero chedecidiate in tranquillità.Certo, non siete gli uniciinteressatiaquestacasa.Altredue coppie vorrebberoacquistarla, non è unaquestionediprezzo, ilprezzoè questo, ciò che chiedo

perché vale. Non voglio dipiú. E neppure di meno,beninteso. Se lo gradite, viregalo l’arredamento, cosídovete solo entrare. Occorre,forse, un’imbiancatura:bastano pochissime cose persentirsiacasapropria.

Hans Hinner si scosta dialcunimetri epassa il palmodella mano sul muro, simulaun’affezioneallaparete,comese toccasse una parte di se

stesso. Volge le spalle allacoppia,fingediessereassortonei pensieri di un uomocolpito negli affetti, ancoragiovane e prossimo a uncambiamento.Lacoppiarestaalle sue spalle, bisbiglia, isussurrisonounamelodiaperle orecchie tese di HansHinner, i Gohlke indicano imobili con lo sguardo,potremmocambiareildivano,il tavolo va bene, la libreria

toglie troppo spazio, al suoposto starebbebenissimounavetrinetta con le stoviglieregalatedallanonna.

Hans Hinner si volta,come se tornasse al presente,dopo un faticoso viaggio nelpassato. Adesso, scusate,devo andare a casa. Io emiamoglie abbiamo due gemellediseianni,sonodovevolalapalla,levedete?Lapalla,nel

giardino di fronte. Noiabitiamolà.

Abbiamounnuovoattodicompravendita sul tavolodella cucina. Il denaro pareche lavori per noi, possopermettermi un salvadanaiopiú grande, non dobbiamofare molto, solo essere nelmondo, assecondare il flussodieventitravestitidasoldi.

I soggiorni salutisticiimperiali–cosícomel’aria,ilkumys e la cura dell’uva –

rafforzanolafamadiMeranoin tutta Europa. Il numero diviaggiatori in treno cresce, ilcosto del biglietto cala, leferrovie assumono per laprima volta donne. Seprendiamo il treno un giornod’inverno, nel 1902,noteremo, lungo la banchinadella stazione di Merano, lafigura della signorina Horak,che sembra scomparire nelladivisa. Ignoriamo se sia

davveronubile,osesignorinasiasolounaparolacheattestinon tanto il nubilato, quantola totale devozione alleferrovie. La signorina Horakporta una fascia rossa albraccio, la giacca di lanapesante, la gonna sotto ilginocchio. Il berretto le calasugli occhi e libera la nuca,doveicapelli, raccolti inunacrocchia,sembranobilanciareil peso della divisa. Sotto la

giacca porta un maglione dilana e la camicia. Vorrebbeanche la cravatta, ma nel1902sarebbeunoscandalo,lacravatta si perdona aun’attrice, a una cantantecircondatadavolutedifumo,non alla prima capostazionedonna di Merano. Lasignorina Horak fa i turnicome i suoi colleghi uomini,si alza prima dell’alba eattraversainbiciclettalacittà.

Solleva la lunga gonna pernon sacrificarla dentro gliingranaggi della catena,davanti alla stazione cerca lechiavi nella borsa a tracolla,apre il portone della sala diattesaeappenaentranelbuiodel suo ufficio accende lapiccola lampada da tavolo,apre il registro in cui segnatutte le annotazioni dellagiornata, da quelle tecnicheorganizzative a quelle

generali, come le condizionimeteorologiche. Stamattina iltermometro segna menocinque gradi, il tasso diumidità è del quarantanoveper cento, ci sono nuvolebianche molto basse, chenascondono i monticircostanti e ingaggiano unalottaconilbuio.LasignorinaHorakannota lepresenzedeicolleghi, puntualità, ritardi eguasti, tutto ciò che può

intralciare la circolazioneferroviaria. Scrive in duplicecopia, da inviare all’ispettorealla fine del turno. Per sestessa non trattiene nulla, avolte pensa che se avesse unpo’di temposcriverebbeunaterza versione in bella copia,con una calligrafia menofrettolosa, aggiungendo undettagliointimo,maèmegliodelegare la memoriaall’archivio delle ferrovie, a

quel tomo dalla copertinaconsumata dove è impressol’anno e la certezza di nonperdere niente, sebbene lacapostazione sappia chenessuno consulterà mai quelquaderno per condividere ilricordo di una mattina del1902, quando la temperaturaèmenocinquegradi, i fornaipreparano il pane e lasignorina Horak veglia suMerano che dorme, in attesa

della luce. Lei esce sullabanchinacon ilbuio,verificala composizione del primotreno,èprontoalbinariouno.IviaggiatoridirettiaBolzanoarrivanoinsilenzio,apronoleporte e salgono nei freddiscompartimenti. La signorinaHorakhalapalettainmanoe,in tasca, la campanella cheutilizzerà per annunciarel’arrivo dei treni provenientida Bolzano. Se esistesse il

microfono in ufficio,annuncerebbe i trenipiegandosi inavanti, lavoce,sua fino a un certo punto,ormai abituale, acustica ditutti.Questopiccolomiracolotecnologicoè impossibileperla prima capostazione donnadi Merano. Lei controllal’orario – la cipolla con lacatenella dono del nonnosincronizzata con l’orologiolungo la banchina – e

finalmente, dopo un piccolosospiro, urla al vuoto: «Iltreno per Bolzano è inpartenza dal primo binario,ferma in tutte le stazioni». Èsempre attenta a non ripeterel’annuncio come fosse unacantilena, vuole dare untimbropersonale,evidenziarela piccola sospensione tra ledue frasi, senza cedimenti ditono, le piacerebbe che ilpendolare capisse il suo

sforzo, l’irripetibilità delgrido. Non vorrebbe maiimitare il suocollegaHeiner,luiripete,«trenoperBolzanoin partenza dal binario unoferma in tutte le stazioni».Quando il controllore l’aiutaa chiudere le porte, lasignorina Horak solleva lapaletta, avvicina il fischiettoalle labbra e soffia l’aria, unsuono pieno, orgogliosodell’unica nota che sembra

contenere quelle dei veristrumenti musicali.L’oscillazionedelleparticelleattraversa il piccolo mondodella stazione, i bigliettiancora invenduti, le lancettedell’orologio, le panche dilegno, la pensilina con lastruttura in ferro, le pianterampicanti. Il suono vibra esale verso gli uccelli ancoraaddormentatidentroinidi,glisbuffi dai comignoli sui tetti

dellecaseumiliconlepiccoleluciapetrolioappenaaccese,e quelle nobiliari, i castelli ogli alberghi dotati dielettricità,esu,versoifilari–in alto i boschi farsi nani –finoascomparirenellerocce,dove il buio è piú scuro.Avanti, il primo treno parte,la signorinaHorakconosceamemoriagliorari.Evoi,dovedesiderateandare?

Lepartecipantialconcorsodi bellezza salgono sul palcoannunciate da una vocemaschile senza corpo,sopravvissuta ai secoli, cheancora domina il mondo.Alcune ragazze sonoimbarazzate, rispondono adomande utilizzando i luoghicomunicustoditietramandatida ogni generazione. Freschedigioventúapparente,ècomese parlassero bisnonne.

Ognunagiungesola,siadattaai movimenti, i brevi passiprima del giro su se stessamostrano una goffaggineancoravicinaall’etàscolare.

Else Petsch arriva daBerlino. Dopo un lungobagno arricchito da saliprofumati,cospargeilpropriocorpo con la polvereRobertsBoro-Talcum, per avere lapelle delicata, senzascrepolature e irritazioni

cutanee,lisciacomequelladiuna neonata, che nondimentica cipria e rossetto.Legaicapelli, li fissaconunfermaglio, cosí da mostraregli orecchini ereditati dallanonna appena morta. Scuotelatestapersentireiltintinniodei pendenti, il suono che leinfonde sicurezza. QuandoElsePetsch sale sul palco, lecentinaia di corpi in bassodiventano una prateria di sua

proprietà, perfino i monti anorddelpropriosguardosonomeno alti, il corpo di ElsePetsch è unico e infinito, inquesto giorno di marzo, nel1912,sembraimpossibilechepossa avere il cancro ol’influenza,viveredagiovaneuna guerra e aspettare ilmarito di ritorno dal fronte.Else Petsch ha il gradimentodi 950 persone, i suoisostenitori applaudono e

urlano, l’ovazione le favincere il primo premio, unpendentedibrillantie rubini:250 corone di valore, 250teste d’argento di FrancescoGiuseppe.

Per contrastare iltrattamento riservato alledonne nei concorsi dibellezza – sostenitori deicorsetti aderenti dellaprincipessa Sissi, ora

divenuta, nonostante il cultodel proprio corpo, una statuadi marmo all’ingressodell’Elisabeth-Park – alcuneragazze, influenzate dallecreazioni del sarto pariginoPaulPoiret, indossano,per laprima volta a Merano, ipantaloni.

Le donne in pantaloniconducono il tram dal centroallastazione,ciòchepareunaconquista è solo necessità, la

maggioranza degli uomini èin guerra. La sconfittadell’Impero austroungarico eil passaggio del Sudtiroloall’Italia costringono lapopolazione locale a lunghefile in banca. La banconotaaustroungarica stampataprima del 27 ottobre 1918 ècambiata a 0,40 lire per unacorona: la vittoria di ElsePetsch al concorso dibellezza,quantovaleinlire?

Franz Josef Lenhart –pittore,graficoecartellonista– vive a Merano dal 1922.Dopo gli studi a Vienna,Lenhart disegna centinaia dimanifesti per la promozioneturistica dell’Alto Adige.Lenhart tratta Merano comese fosse un liquore, uncioccolato, una pelliccia, unprodotto qualsiasi. I suoipersonaggi non hanno unlegame reale con il prodotto,

esprimono forza evocativa,astrazione ancora piúnecessaria se riguarda unluogo davvero esistente. Ilmondo di Lenhart è fatto dasciatori senza sforzo,traccianolineemorbidecomeuncapodi lanapreziosa;è ilmondodelledivisebianche, igiletelegantidei tennisti e legonne lunghe delle tennisterimandano a un’idea diprofumo alpino

incontaminato, perfinodurante gli incontri di tennisnonc’èmailasensazionedelsudore, del gesto agonistico,le palline da tennis sonobollicine. Le montagne –senza montanari – fanno dasfondo, incorniciate nel cieloblu cobalto o indaco, cheregge il campanile e piombasui campi. Non ci sonomucche al pascolo o damungere, capre arrampicate

suunsentiero,balledipagliainfilzate dai forconi, mapalme, cipressi, stagionisciistiche, itinerari. Vediamosolo il prodotto finale dellevendemmie, il grandegrappolo pronto per ilconsumatore e trasportato suun’asta da contadini in abititradizionali.

Nonostante il fervore, ilmondodiLenhartèlavittoriadellastaticitàsulmovimento,

non esiste altra possibilità aldi fuori di questa narrazioneche azzera tempo e luogo,solo un presentepubblicitario.

La coppia immobile diLenhart – prigioniera delbenessere, della propriafissità conquistata dal denaroalcentrodella scena– scrutaunaltrovelontanodagliocchidi chi guarda, l’erotismosottinteso è consenso,

arrendevolezza a un ordinesuperiore, il distacco è unaproprietàaristocratica,orasulmercato borghese,acquistabile da quasi tutti,grazie a un finanziamentobancario.

Ogni immagine èl’esaltazione di ciò cheMerano è, ovvero la suarappresentazione.Gli animalidiLenhartsonoiprotagonistidei pochimomenti inattesi: i

cani appartengono al regnodelbuffo,mangianounacino,scappano dai padroni con inboccailmilionedellalotteria,finoalripristinodell’ordine.

L’Uomo di Lenhart,sbarbato, per un istantevittorioso nel manifesto,indossa il completo scurodell’impiegato italiano, ha lebraccia aperte in unaposizione da avanspettacolo,e la testa – reclinata

all’indietro – si intravedeappena, l’estasi sognanteavvampa uno spicchio delvolto,ilcorpoècircondatodasoldi che planano dall’alto,dal soffitto distante duecentocentimetri, e non esiste piúmontagna o neve fresca, unprato, un vigneto o il fruttodel lavoro, ferro, treni,trattori, non esistono animaliassonnati nelle fattorie,campagnecoltivate,industrie,

mogli, figli, pannolini,compiti delle vacanze,colleghidilavoro:ilmondoèun soffitto di soldi, lebanconote sono le ultimestelledisponibiliecadentidaun cielo che preme, e nonesiste, i soldi si sedimentanoa strati, diventanounpiccolograttacielodibanconoteunitedall’elasticotricolore.

La convergenza di motivi

politici ed economici affrettalacostruzionedell’ippodromonel quartiere di Maia Bassa.Maia, progettatodall’architetto Paolo Vietti-Violi, è il piú importanteippodromo italiano per lecorsealgaloppoeaostacoli.La prima edizione delconcorso ippicointernazionale si disputadomenica20ottobre1935. Ilpremio per il vincitore è un

milionedilire,moltopiúaltorispetto ad altre prestigiosegare internazionali. La follamultilingue attende sulletribune dell’ippodromo. Icavalli scalpitano dentro irecinti a bordo pista,annusano l’aria, dilatano lenariciescuotono la testaallaricerca di quel varco che, dafermi, riescono solo aimmaginare. L’altoparlanteannuncialagara,lavocenon

sembra appartenere a unmomento di svago, ha untimbro di provenienzamilitare,ilcalpestiodell’erba,la terra che finisce.Abbiamoitagliandidellescommesseintasca. Siamo l’Uomo diLenhart.

L’UomodiLenharttace,èsolo e felice del suoisolamento, ogni sua vicenda– anche la miseria – è

personale emaidi classe, gliunici eventi collettivi sonocollegati alle coreografiedella propaganda. Il presenteè un mondo minaccioso, unammasso di singoli casi,sommatoria di ore slegate leune dalle altre. La solitudineconviene, premia l’uomo, lasua aspirazione individuale,povero piccolo essereindifeso, sottomesso,dipendentedaqualcosadipiú

grande, da qualcuno di piúpotente: il partito, laburocrazia, i baffidell’addetto dietro losportello.L’UomodiLenhartha trentatre anni, i suoicoetanei sono sposati, hannodue, tre figli. Risiede aBolzano, in un appartamentocomposto da una sola stanzacon cucinino, il bagno incomune è sul ballatoio. Avolte gli sembra ingiusto

abitare in una casa cosípiccola,vorrebbealzarsidallasedia e attraversare un lungocorridoio pieno di luce, peraccedere a una delle altre trestanze. Il piccoloappartamento è ammobiliatocon gli scarti del grandeappartamento in cui vive ilpadrone di casa assieme allamoglie e ai due figli. Ilpadrone di casa passa aritirare la pigione il primo

giorno di ogni mese o ilgiornoprecedente,nelcasoincui il primo giorno delmesecoincidaconunadomenicaouna festività. Quando bussa,picchietta tre volte di filasulla porta, non usa mai ilcampanello.Ecosíl’UomodiLenhart, dalle cinque e unquarto di pomeriggio fino acena, ogni primo giorno delmese è costretto ad attenderein silenzio l’arrivo del

proprietario, e ogni minimorumore– ipassisulballatoioo il saluto deferente diqualcuno – potrebbe esserelui.

Ilpadronedicasaaccogliesempre l’invito a sedersi, serimanesse in piedisembrerebbe una riscossioneforzata, invece, da seduti,l’incasso è amichevole.Chiede se c’è qualche novitàrispetto al mese precedente.

L’Uomo di Lenhart estrae isoldi pronti e verificatinell’attesa.Contacome fossela prima volta, c’è silenzio,parla solo il frusciare dellebanconote. Ilpadronedicasaprende i soldi, li infila nellatascadeipantaloniecompilala ricevuta scrivendo su unfoglio a quadretti – strappatodal quaderno di uno dei figli–ladatael’importo.

L’Uomo di Lenhart prova

un senso di sollievo appenaresta solo, il prossimo mesepare lontano, ma se ricordaalcuni episodi accaduti ilmese scorso impallidisce,socchiudegliocchiesisentesprofondare in tutto ciò chenon è ancora diventato, eforsemaisarà.

La pigione è alta inrapporto alle dimensioni, mala casaè a trecentometridallavoro, all’Uomo di Lenhart

basta una passeggiata dicinqueminuti per arrivare inanticipo. È impiegatonell’agenzia di un’importantebanca italiana, con filiali inogni angolo della nazione.Parla italiano e un buontedesco, ma non è bilingue.Ha una discreta conoscenzadell’inglese commerciale,utile per canticchiareritornelli inventati almomento,strofestraniereche

lui adatta allo swingradiofonico, un branod’amorelucidoespietato,chemai entrerà in classifica.È ilprimo diplomato della suafamiglia, il ragioniere figliounico vivifica i sacrifici deigenitori. Sua madre ècasalinga, suo padre fa ilportinaio in un’azienda, datrentacinque anni vedepassare gli impiegati come

suo figlio davanti allaguardiola.

L’ufficio è in centro, alpiano terra di un palazzosettecentesco, che sembrarassicurare i correntisti e ipotenziali clienti:date i soldia queste mura, sono qui daprimadeivostritrisavoli,unagaranzia,nonvenepentirete.La banca è per i clienti unagrande stanza pavimentata dimarmo, il soffitto è retto da

colonne utilizzate peraffiggereavvisialpersonaleeallaclientela.Glisportellistieglioperatoridelcambiavalutelavorano dietro il lungobancone che si snoda a ferrodi cavallo e abbraccia losguardo illuminato dalle lucidei lampadari sospesi.L’Uomo di Lenhart nonlavoraallosportello,manellastanza adiacente a quella deldirettore. Risolve pratiche

tecniche, burocratiche, amaimmergersi nelle perizie, nelmondo astratto di regole enumeri distanti dalla realtà,astrazione che tuttavia lacomponenelsuofondamento.Lavora in filiale da sei anni,eppure immagina untrasferimento da un giornoall’altro,senzapreavviso,perun incarico di maggioreresponsabilità, in un’agenziapiúpiccola,forseaMerano,o

lamedesimamansioneinunacittà piú grande, a Milano,dove anche il fattorino sisentedirettore.

L’Uomo di Lenhart neimesi invernali arriva inufficio,appende ilcappottoela sciarpa all’attaccapanni,accantoalquadrettodiBenitoMussolini. Passa il palmodella mano sulla scrivania,toglie lapolverenotturna.Loattende la macchina da

scrivere,unaOlivettiMP1,lapiúveloce e tecnologica.Luiè felice della differenzarispettoaicolleghi,cheusanoancora la vecchia OlivettiM20, «la macchina italianachenullahada invidiareallemacchinestraniere»,ancheselaMP1 è identificata con unutilizzo femminile, e a voltel’Uomo di Lenhart siimbarazza: «Dolcissimatastiera», le affissioni per la

strada e le pubblicità suigiornali ritraggono donneeleganti, in abito scuro ecappello nero a larghe falde,donne truccate di un palloresegnonondidebolezzafisica,ma di aristocrazia dellatastiera, cosí lontana dallemansioni quotidiane dellesegretarie, e dell’Uomo diLenhart. È la donnadesiderata nei sogni timidi,notturni,oinquellispudorati,

pomeridiani dopo pranzo,quando il ticchettio dellecolleghe, invece di legarloalla sua condizione, lo portaaltrove, in un testo parallelodellavita.L’UomodiLenhartdivide l’ufficio con cinquecolleghi e due colleghe.Nonè soddisfatto, benché abbiauna Olivetti MP1 devespartirelascrivaniainsiemeaBrandi, il collegacinquantenne con piú

anzianità lavorativa. L’UomodiLenhartèmancinoecosílavicinanza a Brandi è ancorapiú prossima, è seduto alladestra del collega e damancino gli capita di toccarecon il gomito sinistro ilgomito destro di Brandi.Almeno una volta al mese,l’UomodiLenhartproponeaBrandidicambiareposto.

Io sono qui da prima diMussolini, è la risposta del

collega.Brandi dopo pranzo,

quando il vino colora leguance e corrobora laparlantina, accende unasigaretta,latienetralelabbrae scarabocchia sui foglibianchi di carta intestata.L’Uomo di Lenhart nonriesce mai a decifrare lacalligrafia del collega,socchiude gli occhi perdifenderlidal fumo, levolute

deviano dalle dita di Brandi,ilfumoimpiegamoltotempoa raggiungere il soffitto.L’UomodiLenhartnonhaunbalcone a casa doveappendere gli abiti chepuzzano di sigaretta, lapresenza di Brandi ristagnaanche nel piccoloappartamentoammobiliato,leore di riposo sono unsemplice intervallo tra ungiorno e l’altro, fino al

pagamento del prossimoaffitto. L’Uomo di Lenhartnoncomprende ilmotivopercui debba dividere lascrivania con l’ultimo degliimpiegati, ammesso cheBrandi sia davvero l’ultimo.Forse è una macchinazionedel direttore, per testare lequalità di resistenzadell’UomodiLenhartinvistadiunaprobabilepromozione;ildirettoreunisce ilmeglioe

ilpeggio,amonitoperennedichi guarda, oppure Brandiconosce qualche segreto deldirettore, sono assuntiinsieme dal 1919, qualcosavorràdire:Brandièancoralí,e anche il direttore, nellastanza di fianco. Del resto,soltanto a Brandi sonoconcesse le imprecazionipomeridiane, che nella lororipetitività escludonoqualsiasi lagnanza per la

propria mansione aziendale,cosa molto apprezzata daldirettore.Èunmalesseremaiesplicitamente politico,semprecentrato suun’inezia,che prende forma da unapratica lavorativa, e ognipiccolocontrattempoaccendeilfiammiferoelasigarettadiBrandi: il grado di difficoltàdella pratica si intuisce dallavelocità con cui Brandi –agitando il fiammifero

nell’aria come una madrementreprepara il termometroal figlio febbricitante –spegne il fuoco. AlloraBrandi – le labbra marchiatedi rosso alcolico eabbrustolite dalla sigarettaaspirata fino al mozzicone –parla. Ah, sentite questa. Sisdoppia, legge ladichiarazione del cliente,passa dall’italiano regionaleal tedesco, il tono si fa

sarcastico, imita l’accentosudtirolese.

Potrebbe essere cosí,l’Uomo di Lenhart tradiciassette anni, nel 1952?OgnipraticainsidiosascivoladallemanidiBrandi, lui noncrede alla competizione,anche se talvolta – perrivendicare un passato cheesiste solo nella sua testa –diviene pignolo su questionirisibili, cita una legge o una

vecchia procedurasoppiantatadadecinedialtredisposizioni,ogninovitàèunattentatoallasuasicurezza.Io sono qui da prima di

Mussolini. È raro che ricevaun correntista, se non perquestioni legate ainvestimenti finanziari. Iclienti di solito si fermanoallo sportello, il luogo in cuiBrandi non mette piede daanni. Gli impiegati nella

stanza dell’Uomo di Lenhartsono terrorizzati dal ritornoallosportello,vistocomeunapunizione. Anche l’Uomo diLenhart–nonostantecredadisvolgere al meglio il propriolavoro – teme di tornare allosportello, come nel 1929,appena assunto. Perdimostrare la sua bravura,gestisce le praticheabbandonate dal collega.Brandi si appoggia alla sedia

e impugna uno della mezzadozzina di timbri sparsi sullascrivania come soldatiniindisciplinati in una coloniaafricana. L’Uomo di Lenhartrecupera il rapportofiduciario, assorbe lerimostranze, e il cliente,ritornato re, ne approfitta,scambia la disponibilitàdell’interlocutore perdebolezza, e infierisce.L’Uomo di Lenhart non sa

come agire: meglio farsicalpestare fino in fondo,oppure è bene, a un certopunto, bloccarel’aggressività?

La maggioranza dellabanca èmaschile, il direttoreè un uomo, il vicedirettore èun uomo, il capoufficio è unuomo, gli impiegati conmigliore prospettiva dicarriera sono uomini, ma ilpotere si esercita e trova

senso anche grazieall’atteggiamento delledonne.LeaMarchesieAdeleBresciani sussurrano il nomedeldirettoreconl’adesionediuna fede religiosa eprolungano l’orario di lavoroanche se non è necessario.Quando la centralinista –soggetto preferito delle lorocritiche–smistaletelefonateal cosiddetto ufficiocompetente, rispondono con

gentilezza,maselatelefonatasupera i treminuti diventanorisolute. Tra loro è come sefacessero un patto di nonbelligeranza. Nellediscussioni parteggiano percolui che ha piú potere,eppureconcedonoalperdenteun mezzo sorriso, lapossibilità del riscatto in unfuturoluminoso,chepotrebbeessere piú vicino di quantosembri,pertutti.

In fondo, l’Uomo diLenhart non desidera leimpiegate come vicine discrivania, tantomenovorrebbe invitarle a casa ecredere davvero alle parole,trasformarle in ipotesi diamore serio come unmestiere,stringerlenellettoedire, Lea, Adele. L’Uomo diLenhart desidera il proprionome attaccato alla porta enonsoltantosullaporzionedi

scrivania, uno spazio tuttosuo, la MP1 al centro, lepratiche appoggiate a destra,lepenneasinistraallineate, itimbri in ordine e, sotto legambe del tavolo, la piccolacassettiera personale, untagliacarte regalatogli dalpadreilgiornodeldiploma,einfine un calendario chel’Uomo di Lenhart non osaattaccare almuro dell’ufficioe neppure a casa, perché a

scandireiltempo–primadelcalendario politico dell’èrafascista – c’è quello ufficialedella banca, è bene credereche i giorni appartenganoall’agenzia, e non sciuparli,sedinascostoavanzano.ConBrandi spartisce pure lalampada, guarnita da unparalume bianco, piú che undettaglio decoroso è lapiccola bandiera di resa. Iosono qui da prima di

Mussolini. Nonostante lenuove procedure, sembrasemprechenoncisianulladidiversorispettoaprima.

MussolinièaBolzanoallafine dell’estate 1935. Gliimpiegatisonoautorizzatidaldirettore: possiamo tenerechiusocinqueminuti.Iminutidiventano dieci, venti, labanca è vuota, i correntistisono in strada, c’è gioia e

sospensione di ogniresponsabilità, l’illusionedella ricreazione dei soldi, edaisoldi.Icassieririmangonoimmobili sulla soglia, ai latidel direttore e delvicedirettore, il direttoregonfia il petto orgoglioso diquella giornata da raccontareai nipotini che verranno.Brandi parla al sole con lecolleghe, le due donnecercano un riparo nella

penombra degli altriimpiegati. L’Uomo diLenhart è iscritto al partitomacontinuaalavoraresedutoalla scrivania. Dalla finestradella banca entra la luce difine estate, l’euforia deimilitanti, dei curiosi, deisemplici inerti,di tuttaquellasommatoria di nuche chefanno una nazione, nuchepronte a girarsi da un’altraparteerivelareivoltiquando

sarà l’ora, e dire, la nostravera faccia è questa. Lecolleghe vogliono vedereMussolini, non basta la suafoto accanto al calendario,entrambe si sollevano sullepunte delle scarpe, persuperarelacalviziediqualchepiccoletto o i ciuffipidocchiosi degli infanti, equell’alzarsi di pochicentimetri – i polpacci tesi egoffinellosforzo–conferisce

loro un aspetto animalesco,come giraffe dell’impero omammiferi piú bassi e piúaffamati,chebrucanoleteste,i campi di battaglia inariditi,rivelano un taccomordicchiato e tutti gli anniprecedenti, davanti a cuiperfino il calzolaio sembradire: signore, vi prego,acquistateunnuovopaio.Percomprare occorre lavorare espesso nemmeno basta,

Mussolini può essere unlavoro? L’Uomo di Lenhartnon maneggia banconote, lesue scelte sono piúimpersonali del denaro,azioniritagliatedanormechene certificano l’imparzialità,l’autorità senza volto nestabilisce i limiti, leprocedure dicono cosa sial’UomodiLenhartecosanonpotràmai essere. L’Uomo diLenhart, anche davanti a

Mussolini, rimane allascrivania, la sua ambizione ègovernata dal corpo, che luieduca all’obbedienza, almacerarsi nei minuti dopopranzo con i colleghi e lecolleghe, quando per placarel’acidità di stomaco mangiadue barrette di MagnesiaBisurata.Vuolemigliorare lapropriaposizione,circoscriveleaspirazioni inunorizzonteragionevole. Le procedure lo

educano, lo aiutano acostruire regole astratte peraffrontare la realtà, gliinsegnanoacomportarsiconiclienti, ah, se i correntisti, icolleghie lecolleghefosserotuttalagente,seleprocedurebancarie fossero davvero ilmondo, la vita edificata sufattoricalcolabili,ecco,alloragli scopi della banca e irisultatitrimestralisarebberoifini anche dell’Uomo di

Lenhart, e lui sarebbe felice,trimestre dopo trimestre,tratterebbe le persone senzafraintendimenti, in modofugace, impersonale e vero,stringerebbe mani sorridendosenza ridere, perfettoesecutore di meccanismipensati da organizzatoriinvisibili. Chi mai sarà ilpadrone della banca? Ildirettore è il direttore, infondo è poco piú del

vicedirettore, che a sua voltaè poco piú dell’Uomo diLenhart, piccola pedinasubalterna, che trasferisce ilprofitto a una terza entitàastratta, e tuttavia forniscesoldiveriapersoneeaziende,denaro necessario perprodurre cose di cui l’Uomodi Lenhart ignora tutto: dicosa è fatta la brillantinaBakerfix, che lui usa perché

«lucidaefissaicapellisenzaungerli»?

Fuoridallabancalamassaattende di trasformare unamezza giornata qualsiasi inmito, le grida – enorme cosasingola–circondanoilnucleodel suono originario eprigioniero, riducendolo alsilenzio,comesel’unicavocedella moltitudine uscissefinta, da un altoparlante in

lontananza. L’eccitazionesmuove le fondamenta deipalazzi, dei primi piani, iresidenti aspettano suibalconi,imilitantiaddobbanole facciate, tricoloripenzolanoscossidallabrezzadellevallate,unica silenziosaforma di opposizione, checerca di restituire il voltoarchitettonico dei secolipassati. Vecchi, donne,bambini, lavoratori e

lavoratrici inattesa,corpideisimili senza volto diventano,per il solo fatto di esserci,linguaggio abituale dellecronache.

L’Uomo di Lenhartaderisce al fascismo senzaentusiasmo ideologico, nonsente nostalgia per la libertà,che non assicura nulla, almassimoègiàilprivilegiodilavorareinbanca.L’UomodiLenhartpartecipaal fascismo

come uno che, davantiall’insistenzaseduttivadiunavenditrice di pasta dentifricia– al secondo piano di ungrandemagazzino,oreseidelpomeriggio – riceve unaconfezione omaggio, pursapendo di non avere alcunapossibilità di migliorare ilproprio sorriso, tantomeno diapprofondire la conoscenzaconladonnaaldifuoridiunambito commerciale, eppure

l’Uomo di Lenhart accetta,crede che provare gratis noncostidavveronulla.

Adesso la stanza è vuota,lui indossa una camiciabiancae,lontanodalfumodiBrandi, annusa la traccia delsapone di sua madre. Neigiorni normali diventasospettoso quando colleghe ecolleghi parlano di coseprivate.Senerendecontoorache sente il grido fuori e

accentua il suo distacco, ilsilenzio personale dellastanza. Capita soprattutto illunedí mattina, i colleghipartono da un piccoloaccenno alla domenicatrascorsa, un avvenimentosenza importanza accadutodurante le compere deipasticcini o l’ascoltoradiofonico o la tovaglia delpicnic, un fatto che, senza illunedí mattina lavorativo,

dimenticherebbero, e invece,grazieall’ufficio, i colleghiele colleghe riabilitano le loroesistenze, ripetono i nomi difigli, fidanzati,mariti,mogli,rinsaldano l’unica idea dimondo, rivelano i loroattacchi – prima sotterraneipoi sempre piú evidenti –all’Uomo di Lenhart, ilragioniere impeccabile,eppure ancora solo, all’età ditrentatreanni,senzamogliee

neppure fidanzata: i popolidallecullevuotenonpossonoconquistare un impero, diceMussolini, un impero, perquanto grande, vive di tantepiccole porzioni dasoggiogare, chi ha le cullevuote non può ambirenemmeno al regno piúpiccolo e vicino, il posto dacapotavola in famiglia nelpranzo domenicale, o la

prossima scrivania dacapoufficio.

Lamancanzadiunaffettostabile,certificatodallalegge,causa il sospetto dei colleghie la tassa del celibato, ogniversamento dell’Uomo diLenhart allo Stato fascistaricorda l’incompletezza dellapropriacondizione.

Cosí, quando arriva ladomenica sera, l’Uomo diLenhart capisce che la sua

forma di procreazione – ildenaro che genera denaro –non basta, e allora luiabbraccia il segno graficoelegante, Claretta Petaccinudasottolapelliccia,vestitasolo di un foulardmosso dalvento. È come se ClarettaPetacci scomparisse, e luiaccarezzasse l’ideologia, lospettro dell’abbondanza, noncerto Benito Mussolini, è ilmarchio del prodotto, la

consistenza cartellonistica diun titolo. Tutte le parole –anchequelleesattedellavoroo quelle astratte, coloratedelleinsegneintermittentisuipalazzi, incise a segnoduraturodellapelle–possonoessere interpretate, perfino leprocedure nascondonoallusioni e dolore, cosí lui lesegue, sí, ma persopravvivere deveaggrapparsiainumeri.

Non è solo la banca.L’Uomo di Lenhart è ilpiccolo scommettitore. Lascommessa è il calcolo tra larazionalitàel’imponderabilitàdell’esistenza,tral’intenzioneeilgesto,lapercentualediséche l’Uomo di Lenhartconcede al mondo. Non c’èmolto da fare in città. Unapasseggiata lungo il fiume ole vetrine, la Rinascente, ilvagodesideriodiqualcosaei

monti intorno, difficile èimmaginare vite piú lontane.L’Uomo di Lenhart sfoglia ititoliprincipalideigiornaliinufficio durante la settimana,consulta solo le notefinanziarie, sembranonecrologi:lasistemazionedeiriporti, l’aumentonelvolumedegli impegni, i ribassi pervendite dovute a liquidazionidi posizioni non prorogate,Fiat e Viscosa cedono, gli

altrivaloriperdonoterrenoinmisura inferiore, tanto dachiedersi se la giornata nonsia altro che una breveparentesi speculativanell’ambito di un’architetturasana. L’ultima riunionesettimanale rivela già daiprimi istanti la voglia direcupero, i segni positivi simoltiplicano, corrono perfinole obbligazioni, le borseesterenonsonocosínemiche.

A casa approfondisce un po’di economia e nuove leggi,occorre aggiornarsi perlavoro, i cambi, i titoli, ilvalore nominale, l’ultimacedola, l’odierno e ilprecedente, la griglia con inomi delle aziende, i valorideterminati da segni piú omeno.

Solo al sabato, l’Uomo diLenhartpuò leggerealtro.Labanca è piú potente del

Sabatofascista,checominciaalletredici,labancachiudeilvenerdí alle cinque dipomeriggio. Ma l’Uomo diLenhart è stanco per lasettimana dietro la scrivania,dormepiúalungo,nonèunastanchezza solo muscolare, èqualcosadiprofondo.Inforcaa stento le ciabatte, sostaassonnato davanti allospecchio e si trascina incinque passi, al fornello

sporcodallacenaprecedente.La radio trasmette rubriche,consigliginnici,cosafarepermantenersi in forma, la vocedistante dal proprio corpo,tanto che diviene familiaresolo poco dopo, quandoricorda le ricette dellatradizioneculinariaitaliana.

Nel primo pomeriggiol’UomodiLenhartportaasuamadre la valigia con i pannisporchi da lavare, è questo il

vero esercizio ginnicopredicato dal Sabato fascista.I genitori domandano dellavoro, raccontano piccolifatti dell’esistenza decorosa,abiti, gesti, la lampadinasempre accesa nella casaumida e buia, la litania deinomi dei parenti lontani,ridotti a fantasmi scomparsidadecenni.

Nel tardo pomeriggioprefestivo, quando l’ansia

cresce fino all’acme disgomento–ealtempostessol’apprensione sfuma e c’èsollievo per la fine dellagiornata–l’UomodiLenhartsi chiude dentro un cinema.Dànno un film ambientatonell’Italia medioevalericostruita in uno studioamericano. I ladri rubano aStanlioeOlliotuttiirisparmidellavita, l’UomodiLenhartpensa cosa farebbe se

capitassea lui: è comesemirubasserolavita.

La domenica, dopopranzo, l’Uomo di Lenhartresiste al sonno pomeridianoe passeggia per digerire lacucina di sua madre, il vinorosso di suo padre, lamenzogna del tempo libero,l’acquisto di uno svago datramutare presto in noia.Potrebbe andare a un eventodell’Opera nazionale

dopolavoro, il tempo liberoeducato per migliorarel’elevazione morale e fisicadel popolo. L’Uomo diLenhart non ci crede, è cosada operai, da ferrovieri eautisti, da piccoli custodi euscieri, è cosa da suo padre.Giocare a carte con lasigarettainboccaoincocciarelabocciapiúlontananonèlasua domenica ideale.Dovrebbe iscriversi alle gite

organizzate dalla banca, nonper conoscere lo spirito, ladonna della vita intera, no,l’obiettivo è piú modesto, èl’accenno al sessoimpiegatizio,èlamateria,unadozzina d’ore e un po’ disvago. La gita non èimpegnativacomelavacanza,èunacrocieranellostagno,èsolo una giornata sulla neve,il treno popolare, paesaggiconvenienti disegnati dalla

pennadell’ufficio,luoghichenon parlano mai di politica,ne recano una traccia insuperficie oppure troppo nelprofondo. È solo unpassaggio adatto alchiacchiericcio di chisfuggentevaepensaaipropriaffanni o gioie, senzaesagerare, altrimenti la gitadella banca si trasforma, einvecedeverestareciòcheè,un insieme di persone del

medesimo ceto sociale, unmomento di aggregazionepasseggero, che tuttavia puòavere effetti duraturi. In gitaognuno diventa ancora piúsimile all’altro eppureconosce aspetti ignoti delcollega, basta una fraserivelata davanti a unmonumento, l’inizio di unamezza confidenza. Se moltipartecipanti portano ibambini,l’UomodiLenhartè

salvo, desiste per l’ennesimadomenica, diventerebbe uncorpo ostile all’armonia delmondo, non solo è senzamoglieofidanzata,glimancal’erede della propriasolitudine.

L’Uomo di Lenhart va auna mostra di animali dapelliccia, incontra un suocollegacon lamoglie, epureLea Marchesi e il fidanzato,

se l’Uomo di Lenhart avesseuna donna al fianco ledirebbe,manullacara,èsologente dell’ufficio. Ci sonobottegai,leloromogli,lefiledi gabbie esposte dagliimprenditori,pellicciaiesarteintorno.Ledonneindossanoicappotti cinti dai colli dipelliccia, gli animalitemporanei proprietari delloro pelo si acquattanonell’angolo,comeselesbarre

facessero tepore. La volpeargentata fissa l’Uomo diLenhart, ha gli occhirassegnati,piccoli,siaccucciae appoggia il muso sullezampe, guarda il pavimentodellagabbia; richiamatadallavoce abituale si avvicina equasi striscia sul confine, lacoda bassa fra le zampeposteriori, gli occhi liquidipiú grandi, il muso neroallungato. Il proprietario

solleva la volpe argentata, sela spalma sulle spalle, comese lui fosse una donna e leipelliccia intera, non soltantocollo,mapertrasformarsinelsogno completo occorre ilsacrificio di altre volpi etantissimo contante o laspietata evanescenza dicambiali, cosí questa piccolavolpe domenicale si muoveancora.Lanutriaècircondatadai cuccioli, spingono le

zampe palmate nella ritmicasimbiosi madre-figli perestrarre latte caldo. Ilprocionefiutailferroecercadimordereunpezzodipane,il cibo è troppo grande perpassaretralesbarre.Sepotessiavere|millelire

al mese | farei tante spese |comprerei fra tante cose | lepiúbellechevuoitu.

Nonèlavitadell’UomodiLenhart. La vita che

vorrebbero per lui i suoigenitori. L’Uomo di Lenhartneppure riesce a canticchiarecanzoni come questa, tantopopolari. Non sa cosa vuole,sacosanonvuole.Detesta lecanzonette italiane, la massaripete i ritornelli, si disperdein essi e diventa tuttaviasempre piú forte, piú massa.Tuttoavvieneconilbenestaredelgoverno,dell’industria,diintellettuali disonesti, che

lodano ed esaltano lecanzonette. Dicono, la vitanon sarebbe piú la stessasenza le canzonette, citanopoeti e scrittori amanti dellecanzonette, chiamano poetigliautoridellecanzonette,ah,cosa sarebbe la vita senza lecanzonette. Peccato che lavita solo con le canzonette enient’altro che le canzonettesia insopportabile, molto piúdelsolito.Meglionientedelle

sole canzonette. Meglio lamacchiadiumiditàsulmuro.Meglio la cenere spenta.Meglio le ossa spolpate.Questi intellettuali amantidelle canzonette – edell’istupidimento popolaredi massa basato sulle solecanzonette – omettono chepoilorosicoltivano,ateatro,alle mostre d’arte, ascoltanol’opera,leggonolapoesiaelaletteraturatradottaoinlingua

originale,guardano imigliorifilm al cinematografo; allamassa lasciano soltanto ilritornello avvelenato, chequesti disonesti assumono indose minima, abbastanza peruna citazione, per sentirsivicini al popolo da cui, inrealtà,fuggono.

Nondobbiamoconsiderarel’Uomo di Lenhart unindividuo soddisfatto del suo

sentirsi niente, allevato dallapaura di vivere, devoto allacausa bancaria, un esseresvuotato dopo le orelavorative, privo di interessisignificativi, incapace diprovare sentimenti personali,adattato a una vita fondatasull’indifferenza. Anchel’Uomo di Lenhart ha il suomomento.

Il 20 ottobre 1935 è una

tiepida domenica di autunno.L’UomodiLenhartnonandràapranzodaigenitori.Indossauna giacca grigia di lana,camiciabiancasenzacravatta.Si concede una lungacolazione al bar, camminaverso la stazione, compra ilgiornale e lo sfogliaappoggiato a una delle ottomezze colonne che reggonola facciata della stazione diBolzano. L’altoparlante

annunciailtrenoperMerano.L’UomodiLenhartnondeveneppure domandare quale sialastradaesattaall’erededellasignorina Horak, a Meranobasta seguire il flusso cheattraversa piazza Mazzini eprosegue in via Petrarca.Sfilano le auto, suimarciapiedi ai margini c’èodore di lozione, dopobarbadomenicale, brillantina edeconomica lacca femminile.

L’UomodiLenhartsocchiudegli occhi, vede l’ombra delproprio corpo proiettata suuna persona che lo precede,sobbalza sulla schiena di unestraneoodiunasconosciuta,che varia ogni cento metri,un’ombraaggrovigliatasenzasesso divenuta moltitudineoscillante tra il desiderio difusione e fuga, evasionesubito evitata da un altrocomponente risucchiato dalla

folla, che si sfalda ericompone a ogni passo, tuttiinsieme, per diventaremaggioranza dellamaggioranza. L’Uomo diLenhart cammina in viaLeopardi, tasta iduepezzidicarta riposti nella tascainterna della giacca, accantoal portafoglio e al cuore. Ilprimo è la ricevuta dellescommesseippichenazionali,il secondo di quelle

clandestine.Scommettereèlasuasecondaoccupazione,nonunpassatempo,unvizio,unadipendenza patologica.L’Uomo di Lenhart noninveste mai una sommasuperiore alle propriepossibilità economiche eneppure chiede altro denaroai genitori. Gioca solo soldisuoi, eppure li tratta condistacco. Sa sempre la cifrache può permettersi di

perdereecosaservirebbeperrecuperare. Considera lescommesse il falso aspettoludico dell’esistenza, lemolteplici combinazioniancora aperte nell’infanzia echiuse dalle menzognegiovanili: proprio a causa diquestefalsitàaffrontailgiococomesefosseunaltrolavoro,una cosa seria. Evita dicomprare il biglietto dellalotteriaabbinatoallacorsa.Lí

è solo fortuna, bisognaazzeccarelaserievincentedelbiglietto da abbinare alcavallo giusto, una doppiabuona sorte, in unapercentuale cosíinfinitesimale di vittoria darendere assurda qualsiasigiocata. Eppure milioni dipoveracci, di disgraziati osolo di curiosi e annoiatiacquistano almeno untagliando della lotteria,

sprecano–quandocompranole sigarette o la domenicadopo la messa – altricinquanta centesimi daltabaccaio, li consideranol’investimento migliore dellaloro vita, custodiscono iltagliandoinuncassettoonelportafoglio. Il tagliando ha icavalli disegnati e lemontagne sullo sfondo, è invendita nelle agenziebancarie, nelle sedi della

Federazione provincialefascista, dell’Operamaternitàeinfanzia,dell’Unioneciechiitaliani. Gli strilloni ciechiurlano lotteria, lotteria, alKursaal di Merano la ruotagira azionata da una manoadulta, le dita di un balillabendatoestraggonolepalline,che contengono serie enumeri dei tagliandi estratti,da abbinarsi ai nomi deicavallivincenti.

Accerchiatodall’inflazione, dall’aumentodeiprezzi,daunaprospettivadi carriera ancora incerta,sfiorato da avvenimentipolitici a cui non sa dare unsenso se non in formasuperficiale, l’Uomo diLenhart è contento discommettere, perfino diperdere: almeno conosce ilmotivodellasuasconfitta,uncavallo piú veloce del suo.

Quando perde, e succedespesso, sebbene siano cifremodesteecostanti,nonprovasenso di cupezza universale.Quando vince, e incassaabbastanza da recuperarequasi tutto, sache l’euforiaèbreve,servesoloaglorificarela vita nella sua interezza,ovvero il duraturo spirito diaccettazione delle sconfitte.Dice sempre che potrebbesmettere in qualsiasi istante,

ed è vero: non ha vizi, nonfuma,bevesoloduebicchieridi vino alla settimana,assieme a suo padre, didomenica, e nemmenofrequentaprostitute.

Le caserme spiccano allasinistra del viale. Sulmuro adestra le scritte fresche nere,COMBATTERE e altri strilli astampatello, offuscano ilcemento. L’uomo di Lenhartsolleva lo sguardo oltre il

muro, ma solo grazie allesbarre di un’improvvisacancellatasiapreilverdepiúaccecante: in fondo al vialec’èl’ippodromo.

Visto da fuori, sembraimpossibile che l’esternodelle tribune di cementopossa contenere novemilapersone.Lastrutturaattutisceleparolerivolteaicavallineiritiri delle stalle, scorrono

scongiuri, incitazioni. Ilrumore ne esce di rimbalzo,piúunresiduodinatura,deglialberi disposti a sentinellelungo il viale, accanto aipennoni di vessilli e dibandiere.L’UomodiLenhartattende in fila il proprioturno,lenovefinestrelledellabiglietteria sembrano fessuredi una chiesa. Ogni cassiereentra dal retro, passa ore inquesto spazio stretto simile a

un confessionale. Il segretodovrebberivelarloilcassiere,non lo scommettitore, chetuttavia si avvicina allafinestrellaedècostrettoaunagenuflessione con i soldi inmano, tanto è basso ilpertugio,dacuispiccamezzafaccia accaldata del cassiere.L’Uomo di Lenhart paga ilbiglietto, mostra il tagliandoall’ingresso, è autorizzato adassistereall’eventoinsiemeal

restodella comunitàpagante,eppure bastano i primi passiversola tribunapersancire ilsuo distacco da quellafratellanzaimprovvisata.Noncede mai alla tentazione didiventare gli altri, èaccucciato nell’angolo piú inalto della tribuna economica,ilcolombarioapiccosoprailvuoto,glialtrisonotuttisuoiavversari, chi ha in tasca lestessepuntateepatisceper il

medesimo cavallo non saràmaiunamico.

La folla di scommettitoriindecisiedilettantisimischiaa coloro che si consideranoscaltri e professionisti, idispensatori di consigli, dichiacchiere attorno altotalizzatore.Un uomo sopratremetridicementoarmatoeferro aggiorna le giocate,nomi e numeri, un unico

flusso in continuocambiamento, reso visibiledallemanidell’addetto.

Alla sinistra della tribunacentralec’èungrandesalonedecorato dimarmi bianchi: èla sala peso, i fantiniattendono in fila, la sellasottobraccio, salgono sullabilancia,davantiallosguardodell’ispettore del peso, unburocrate che ripete il valore

ad alta voce, mentre unassistentescrive.

I cavalli sono purosanguediquattroannieoltre,perunmontepremi di unmilione dilire, cinquecentomila lire alprimo classificato,centocinquantamila alsecondo, novantamila alterzo, una gara piú ricca diParigi e Londra. Cavalliitaliani, francesi, tedeschi, uncavallo ungherese e uno

svizzero.SichiamanoJumbo,Traghetto, Trader Horn,IsolateurIII,Royaume,Stanz,Bon Coeur, Djamboe,Kennebec, Vimar,Mahagonny, L’Indigene,Monopol, Unic, Didoric,Rucktritt, Roi de Trèfle,Audace, Saccarosio, IlGuado, Welcome, OrizzonteItalia,Pilade,Doré,JacopodaPontormo. L’Uomo diLenhart punta su Orizzonte

Italia, cavallo milanese inascesa tra gli scommettitori,un quattro anni vincitore didue gare nell’estate 1935,menoespertodiTraghettomadalle prospettive migliori.Invece per la scommessaclandestina sceglie Roi deTrèfle, cavallo francese diproprietà di SimonGuthmann. Potrebbesembrare una manifestazionedisfiducia,disfattismocontro

la patria, ma all’allibratoreclandestino non interessa ilsalutoromano,luiusalemanisolopercontareildenaro.

Ilterrenoèmorbido,l’erbaalta quanto basta, gliinservienti delle scuderieungono gli zoccoli di grasso,pettinano e spazzolano icavalliconstrigliedicaucciú,alcuni animali sbuffano, altriaccolgono docili le spazzole

che aiutano la circolazionedelsangue,ilmassaggioèunrimescolamento del plasma,delfluidofrescodaimmetterenelmondo, per ossigenare levite di tutti, anche dellemosche che si posano suifianchi. Gli inservientiregolano il ciuffo, lacoda, lacriniera, parlano ai cavalli eripetono, io ti pulisco iltrucioloelapaglia,estoccoilfieno di ballette e di balloni,

caricolaschienaconisacchidi mangimi, ti voglio bene,mio lavoro, ti odio dinascosto. Gli inservientiusano un tono dolce anchequando sellano, i fantiniascoltanoinpiedi,ipantaloniinfilati dentro stivaliluccicanti, che sanno dibestiame e di boutique, didialettoedifioriappassititregiorni dopo una vittorialontana.Ifantininonarrivano

aimusideicavalli, fissanolegrandi narici come se, alculminediun’arrampicatasulvulcano,dovessero trovare leultime energie perraggiungerelacima,etuffarsinel cratere. Lo speaker lichiama, a turno sfilano neltondino di presentazione,circondati dalla folla piúcuriosa, o da coloro checonfidano in un’occhiata percapire su chi puntare i soldi.

Restano pochi minuti perscommettere, durante lasfilata i fantini italiani fannoil saluto romano in direzionedella tribuna reale, prima didisperdersi insieme agli altrisulla destra dell’ippodromo,dovesiapronoaventaglio.

I cavalli sono in partenza,dice lo speaker. L’Uomo diLenhart sospira nella giacca,che ora gli sta indosso comelapartesuperioredelpigiama

nellacorsiadiunospedale,lagiacca acquistata sei autunnifa, all’inaugurazione dellaRinascentediBolzano.Estraei tagliandi dalla tasca, liguarda,glipiaccionoicavallie i loro nomi, che ricordanobanche, battaglie, pietanze,alberghi, urla di soldati,locande latine, villaggistranieri, armi leggere, sagheavventurose, medicine,detersivi, formaggi, pittori,

partiti politici, principi,dinastie morenti, prototipiautomobilistici, caccia-bombardieri.

Partiti!L’UomodiLenhartsi alza subito dagli spalti dicemento,lepanchinedilegnosononellatribunasottostante,piú vicina alla pista; le sediespettano alla tribuna sopra lasala peso, le poltroneappartengono soltanto alla

tribunaautorità,èunapiccolanicchiadimarmo,adornatadifiori, ricavata subito dopol’arrivo, làèpossibilevederela smorfia di chi vince, e dichiperde.

Alla sinistra dell’UomodiLenhart, una coppia inviaggio di nozze parla conaccento milanese. Vestonoabiti dignitosi, rivelano unadisperata ambizioneborghese, entrambi hanno un

binocoloinmano,imitanoglispettatoriricchiedesigenti.Ilbinocolo sottrae lo spettatoreal resto dei corpi, lo isolanellelentieloproiettainunadimensione intima, cavalli efantini sobbalzano tra le ditadi chi guarda, sono proprietàprivata e non momentocondiviso, ogni immagine –anche una distesa immobiledi ghiaccio all’alba – è ungesto agonistico, freme se

resiste silenziosa piú vicinaall’urlo, i coniugi nonpossono neppure tenersi permano, impugnano i rispettivibinocoli, stringonoconforza,lispremono,soli.

L’UomodiLenhartsifidadel suo occhio nudo,all’inizio i cavalli sembranotutti uguali, unitinell’andatura a tre tempi delgaloppo, la spinta dellezampe posteriori, l’accordo

delle anteriori, che chiudonoil movimento nello stessoistante in cui lo riaprono,ritmica armonia disospensione. Teste, criniere,code, le divise colorate deifantini devono percorrerecinquemila metri, il Granpremio di Merano è unaspecie di otto adagiatosull’erba, da compiere piúvolte attraverso diagonali epassaggi davanti alle tribune,

per far annusare la vittoria atutti: animali, fantini,spettatori. Lo speakerdell’ippodromo urla lapropria narrazione, la vocedeglialtoparlantinasceinunacabina isolata, ripete i nomidei cavalli in fila, poi citasoloibattistrada,chefuggonocommoventi, nel lorotentativo d’imporrel’andatura. Sanno che è unsacrificio inutile, non

potranno mai resistere percinquemila metri, qualcunodeve pur stare davanti,all’inizio. Lo speaker liricompensa,urla i loronomi,esclusi dall’UomodiLenhartnei giorni precedenti: il suocavallo,quellovero,èRoideTrèfle. Lo speaker ignora ilcavallo francese, l’Uomo diLenhart crede sia solosciatteria, non pensa sia unamanovra politica tesa a

escludere il cavallo straniero.Roi de Trèfle è tranquillo,cullato nella pancia delgruppo, sa che già dopo iprimi ostacoli cominciano isorpassi. Orizzonte Italiarisaleposizioni,RoideTrèflelo segue, i cavalli piegano incurva e s’immettono nelladiagonale, saltano ostacolialtiunmetroeottanta,oppurepiú bassi e lunghi anche tremetri, se non passano la

soglia finiscono dentro unavasca, gli zoccoli posteriorisollevano acqua che nerallenta la corsa. Il doppiotravone, la riviera, l’oxer, lafence, il talus, l’arginellopiccolo, l’arginello grande etutti gli altri ostacoli, verimuridierba,icavallisaltanolesiepi,glizoccoliliberatidalterreno sfiorano il muro, suicui è scritto gigantesco, convernice bianca, DUCE DUCE.

La massa in tribuna freme,ciascuno con in tasca ilbiglietto che dovrebbecambiare–senonl’esistenza– almeno il pomeriggio. Lascommessa clandestina pagadi piú dello Stato italiano.Vincente, piazzato,accoppiata, trio. Bastascommettere e tutto assumeun altro punto di vista, ilpaesaggio intorno, glialpeggi, il sole di ottobre, i

soldatistesinellebrandedellecaserme alle spalle, tutto èintimo e diventa te stesso, tusei il paesaggio, il tuocavallo,ancoradipiúquandosoffri perché sei il cavallodellascommessaclandestina.

Trequartidellapiegata, laseconda diagonale, ilrettilineooppostoalletribune,urla italiane e tedesche.«Schnell! Schneller! Das istderschnellste!»RoideTrèfle

comincia a risalire, il cavallofrancese è dietro la coda diOrizzonte Italia, lo speakerurla Orizzonte Italia,Orizzonte Italia, cavalli checompletano la curva perpresentarsi sotto le tribune,Orizzonte Italia arroccato incorda,RoideTrèflesegue,labocca del fantino èappiccicata alle orecchie delcavallo, quasi vi entra con ilresto del corpo per

completare la nascitadell’essere, unità in cui gliordini sono cosí accettati dasembrare natura e forma diintimità, mentre il fantinoitaliano aspira alla totalesudditanza equina tramite lafrusta antica, uno, due, trevolte, ancora quattro sulcorpodiOrizzonteItalia,ognimovimento del braccio creala distanza tra il capo e ilservo, la violenza è ancora

piú forte dentro icannocchiali, cheingigantiscono il corpo delcavallo, mentre i colpi delfantino italiano iniziano fuoridall’immagine, dallasorgente, e il braccio non èpiú solo quello del fantino, èilbraccioditutti.

Un cavallo delle retroviedisarciona il suo piccolodespota che cade piroettandocome una bambola di legno.

Il cavallo senza fantino sisposta di lato, fa sentire aglispettatori i battiti del propriocuore,cominciaasuperareglialtri, passa Roi de Trèfle,attacca Orizzonte Italia, losupera, l’Uomo di Lenhart ètranquillo, sa che il cavallosolitario durerà poco, sono isuoi ultimi metri, quandocoesistono il desiderio dilibertà e l’impossibilità diinterrompere la corsa. Il

cavallo senza nome e senzafantino sfiata ai margini,come in una scampagnata,l’erba è solo erba e noncompetizione. L’immaginedelcavallosolitariocostringelo sguardo dell’Uomo diLenhart verso la donna alproprio fianco, la giovanesposaèpersanelbinocolo,loimpugna, l’Uomo di Lenhartfissalemani,cercadivedereinquell’ottusitàdellosguardo

unavalenzaerotica,equandol’occhiata capita sulle manidello sposo, sulla fede strettaal dito, l’Uomo di Lenhartabbassa subito lo sguardo, etornaalpropriomondo.

Mancapocoallafinedellaprima edizione del GranpremiodiMerano,èancorailpomeriggio di domenica 20ottobre 1935. L’Uomo diLenhart è stanco, ha la vistaannebbiata, il profumo

commerciale della donna alsuo fiancoglidàun sensodinausea, è come se la donnarompesse un patto, la donnasognatadiviened’improvvisouna collega, quotidianità,domani l’Uomo di Lenhartdeve andare in ufficio, icolleghi e le collegheracconteranno le avventuredomenicali senzariconoscervi alcuna tracciadidisperazione. Orizzonte,

Italia, dice lo speaker,un’esitazione dolorosa nelnome. Il cavallo italiano è indifficoltà, la voce nonvorrebbe proseguire nelracconto,sembrachenessunosorpassi Orizzonte Italia,frustato nonostante corra giàoltre i limiti, la massa intribuna urla la propria rabbiaverso l’ennesima beffa,attendelaprossimalusingaincuicredere,almenointribuna

ha il permesso di protestare,frusta labestia,urla lamassaavida di eventi semplificati,frusta la bestia, dopo unasettimana di sconfittesilenziose, incassate suiluoghi di lavoro, a scuola, infamiglia, frusta la bestia, lavoce fuori campo e lecronache parlano di pubblicomondano, cosmopolita, nellaincantevole e pittorescastazione climatica, ma ora

urlano i tailleur di lanaleggera,ipanciotti,lecamiciesudate, i maglioni dastudente, le giacche divitellino biondo, i coniglid’angora, le giacche discimmiaedicaprettoetiope,imantelli neri, le scarpe diserpente, gli abiti tropposeralidichiffonconmanichedi pizzo, alcune spettatricisollevano le tese dei cappelliin feltro, le velette dai

cappellini di velluto, perliberare – piú che lo sguardoirretito dalla tramamillimetrata – l’urlo, e cosítrucchi, cosmetici, profumi,dopobarba, brillantine,unguentisembranoriunirsi inuna gigantesca pozza di odiosingolo, personalissimo ecorale, verso il cavallo, cheperde. L’Uomo di Lenhartsente nitido il rumore deglizoccolipiúfortedell’odio,lui

agita solo le mani, la coppiaalsuofiancologuardamuta,a occhi nudi, i cannocchialiabbassatifissanoformiche,letrasformano in avversariegigantesche. Roi de Trèfle èin testa, sotto la tribunacentrale,OrizzonteItaliaèunricordo, gli altri inseguonostaccati di parecchi metri, lavita è semplice, lineare,meglio di una procedurabancaria, la banca è meglio

delpartito,nienteèmegliodiuna puntata vinta in unadomenica d’autunno, Roi deTrèfle vince, l’Uomo diLenharthaintascalaricevutadella scommessa clandestinaedomani,dopoleottoore inbanca, incasserà i soldidall’allibratore. Un piccologruppodipersoneèintornoaRoi de Trèfle, le mani loaccarezzano,ilcavalloscuotelatesta.

L’Uomo di Lenhart segueil flusso ora piú silenziosodell’inizio e rapido adisperdersi, la folla parlasenza l’eccitazione di pocheore prima, si sbriciolanonostante torni a gruppiverso la stazione, il percorsoinverso pare differente daltragitto di andata, e non soloperilsensooppostoolalucedeclinante e un principio dibrezza serale, la folla ha

qualcosa di funereo, sembramassa militare di ritorno dauna libera uscita. L’Uomo diLenhart resta a distanza, nonvuole essere confuso,nemmenodesideraascoltareidiscorsi da pellegrini delusi.Luicamminaversoilpropriodestino, è un uomo solonell’autunno dei trentatreanni, tocca la ricevutavincentepercontrollareche i

passi e il respiro sianodavverotuttisuoi.

In una domenica diprimavera, nel 1940, pocodopo l’ora di pranzo, è quiche giunge la famigliaHinner.

Saluto la casa diKirschenstraße, Blondiscodinzola, bacio i nonni e

salgo in macchina.Percorriamo un pezzo diautostrada, l’ombra deibagagliedell’interamacchinasfila lungo la banchina nontransitabile, ai margini, avolte l’ombra finisce in unascarpata, inghiottita dallostrapiombodiunponte.Usarel’Olympia è un’idea di miopadre. Gli italiani alzanosubitoilprezzo,sevedonolaMercedes. Mio padre è

pensieroso come semprequando valuta questioni disoldi.Vuolecapiresecisonole condizioni per l’ennesimoaffareimmobiliare: lacasadiKirschenstraße e il mutuoestintoperleggeconlaBancaBlumenstein; la casa deiKaumann rivenduta a prezzodi mercato alla giovanecoppia di Monaco; e oral’investimento di quei soldinell’acquisto deprezzato di

una casa singola, piú grandedella villetta di Bockburg.HansHinnerrimuginaoltrelalinea delle rughe che glimarchia la fronte incorniciatanel piccolo specchietto dellaOpel Olympia. Noi siamopronti a investire. Viviamoquest’epoca. È solo legge dimercato.

Quando ci trasferiamo aMerano, i prezzi degliimmobili diminuiscono fino

al settanta per cento. Lamaggioranza dei cittadiniitalianidi linguatedescavotaal referendum in favore delpassaggio nel Terzo Reich. Isudtirolesi devono lasciare lacittà. Chi ha un immobiledeve venderlo. L’Italiaistituisce una commissioneper la valutazione e laliquidazionedeibenimobilieimmobili di chi opta per laGermania. La Banca d’Italia

scambia quattro lire italianeper un marco tedesco, loStato italiano non haabbastanza soldi – un fintoimperocostapiúdiunimperovero – per liquidare tuttisubito, preferisce che icittadini italianioptantiper ilTerzo Reich vendano leproprie case ad altri privati.Lo Stato italiano dovrebbeanticipare troppi soldi e cosí

crollano i prezzi degliimmobili.

L’albergatore ci accoglie,halagentilezzaansiosadichinon vede clienti da tempo.Dicechecidàlastanzaconlavista migliore. Mia madre siaffaccia alla finestra dellapensioneesospiraguardandoil Castel Tirolo. Hans, misembra di stare già meglio.Mio padre stende la cartina

tedesca di Merano sulmaterasso, appoggia i gomitiai margini, dove inizia ilcopriletto. Sembra conosceregià tutto, cerchia alcune viedellacittàconunastilograficanera.

Obermais,Maia Alta, è ilquartiere dei ricchi, cittadinitedeschiocittadini italianidilingua tedesca. Le casecostano ancora troppo.Hans,possiamo permetterci

qualcosaaMaiaAlta.Maria,non sono qui per farmiderubaredaimilionari.Siamosulla sommità della salita diCavourstraße. Guardiamo ilfondo della discesa epercorriamolastradainsensocontrario. Camminiamo inPiavestraße, imbocchiamoGampenstraße, la viadell’ippodromo.Ilquartieresichiama Untermais, MaiaBassa.Lecasesonograziose,

piú modeste rispetto a MaiaAlta. Vi abitano soprattuttoitaliani, conoscono tre paroleditedesco.Ipochisudtirolesidi Maia Bassa decidono diemigrare nel Terzo Reich. Icancelli delle case sonopunteggiati da cartelli con lascritta vendesi. Offrono«Küche, 3 Zimmer, 2 BädermitFenster,Keller,1Balkonund2Terrassen».

I proprietari non vogliono

aspettare la commissionenominatadalloStato italiano,hanno fretta, temono chefaccia stime al ribasso.Conviene contattare lacommissione solo dopo unaperizia privata. La Bancad’Italia offre quattro lire perognimarco,alcunidiconochesianoquattrolireemezzaperogni marco. Mezza lira, sucosí tante case e transizioni,fauncapitale,unacittà.

La casa al numero 188 diAlessandro-Manzoni-Straße.«Einfamilienhaus mit Gartenund Garage». Cerchiamoproprio questo. Una casasingola, con giardino egarage. Meglio un garagedoppio, in modo che possacontenere la Opel e laMercedes. La casa èintonacata di grigio. Ciuffid’erba penzolano dallegrondaie, i piccioni

camminano sulle tegole.Attraversiamo una grandecucina, il soggiorno, ilsalotto, un bagno. Predominaun insieme di colori bruni efulvi, fino a gradazioni piúchiare, stinte, un paesaggiointimo,autunnale.Lacartadaparati beige rende la casa unnucleo appassito di quiete esembra assorbire i colorivivaci del mondo,stemperandoli nel silenzio.

Sopra il tappeto svetta unorologio a pendolo, difabbricazione tedesca. Imobilisonoradunatisenzaunordine preciso, come se laloropresenza fossedovutaaltimore del vuoto. Sopra imobili, eserciti di ninnolisoffocati dalla polvererendono sazio l’ambiente,invitano a un sonnellinopomeridiano. Le pareti sonosature di quadri mediocri,

stampe, incisioni, banalidipinti di paesaggio efotografie di parenti dall’ariafamiliare, potrebbero esseregliaviditutti.Saliamosuunascala dai gradini di legno, inostri passi scricchiolano.Alprimopianociaccolgonoduegrandi camere da letto, unostudio, un altro bagno. Lecamere hanno lettimatrimoniali di ferro battuto,comequellidinonnoHerbert.

Uno dei due letti ha unacoperta invernale intatta. Aisuoipiedièstesaunapelledianimale, un cucciolo di orso.Il letto dell’altra stanza èsfatto, sui due grandicomodini di ciliegio sonoappoggiati un portacenere,tabacco, cartine, una broccavuota, un bicchiere d’acquaancora pieno, con le tipichebollicine che l’acqua creaquando rimane rafferma di

notte, un paio di occhiali davista e da sole, giornalitedeschi.Èlacamerausatadaun’unicapersona,chenonhaancora deciso in quale latodormire. Appoggiato allaparetecampeggiaunarmadiosgangheratodinoce,conunospecchio centrale opaco cherimanda il resto della stanza,come se quel filtro velatofosseunpegnodellosguardo.

Nell’angolo del corridoio

una scaletta porta a unabotola, basta sollevarla e gliocchi sono all’altezza delpavimento: il sottotetto èsporco di piume, di batuffolidi polvere che rotolano allanostra presenza. I piccionitubanoneinidi, tra le tegole,fuori, il suono rimbombaforte,dentro.Inbassoc’èunataverna seminterrata, con ungrande divano, una radio, ungrammofono, una collezione

di dischi. La casa è piúgrandedellanostravillettadiBockburg. Il giardino è lagiustaestensionedell’essenzadella casa. Due altalenecigolano appena mosse dalvento. Accanto all’altalenasvetta una grande magnolia,una palma molto bassa, unapalma nana, alta poco piú dinonna Christa. Vicino almuro di recinzione c’è unciliegioeunaseriedipiantine

di fragole. La legna èaccatastata alla rinfusa in unangolo,sottounatettoia.Unabotte raccoglie l’acquapiovana,ècolmafinoall’orloeunnugolodiinsettisciama,illuminato dai raggi del sole.C’è il tipico buon odore deigiardini poco curati, latrascuratezza rivela unarassicurante sensazionecimiteriale.Ilgarageègrandeabbastanza per due

automobili. È tutto perfetto.«Wenige Minuten vomStadtzentrum», anzi, pochisecondi, basta affacciarsi eallungare il braccio verso leville della Passerpromenade:dall’altra parte del fiumeiniziailcentro.

Ilpadronedicasaavràunatrentinad’anni, i capellineri,lacarnagionescura.Cichiedeilmotivodelnostro interesse

per Merano. Mia madrevorrebbe parlare di sé, deisuoi problemi di salute. Miopadre la blocca subito.Turismo. Il turismotranquillizza tutti, perfino intempodiguerra.HansHinnerdice con lo sguardo, taci,Maria, facciamo parlare lui.Hans Hinner sa quanto siaimproduttivo parlare di sestessi.Meglioascoltare.

Questa è la casa. Ho

trent’anni, sono scapolo,orfano dall’anno scorso acausadiunincidentestradale.Be’, definirsi orfano atrent’anni forse è troppo,comunque, guardate pure: imobili, gli oggetti, la casaintera è congelata dentro illutto.Lamestizianonsempreècosínegativa.Peresempio,qui il lutto significa anchesilenzio, e il silenzio è unlusso possibile grazie alla

posizione di questa casa.Sono l’unico erede, vogliolasciare l’Italia, cambiarevita. Vendo questa casaammobiliata, sappiate che lamia decisione perentoria nonva scambiata per fretta.Conosco il valore di ciò chestovendendo.Honelcassettodella credenza la periziaeffettuata da un ingegnere,certificailprezzodellacasa,èadeguato al valore

dell’immobile, che si sganciadalle contingenze delmomento.Vi faccionotare laqualità delle rifiniture, lagrandezzadeglispazi,ilgustodei particolari, degli arredi,questa è la casagiusta per lavostra famiglia. Ho moltealtre offerte, ma a parità diprezzo vorrei vendere a veritedeschi, non agli italiani, adaffaristi,asocietàimmobiliariarrivate per speculare sui

valori patriottici dellepersone, e nemmeno vogliovendereasudtirolesitraditori,che restano qui e speculano.Voglio che la casa vada inmano a veri tedeschi.L’importante è avere i soldigiusti. Ciò che chiedo èscritto nel cartello appeso alcancello.

Siamo felici di sentirequeste parole e il fervore

nell’attaccamento allaGermania, diceHansHinner.Noi arriviamo dalla Baviera,non vogliamo spostarci aMerano.Ma,Hans…

Maria, puoi portare ingiardino le bambine, perfavore? Non è bene chesentano parlare di soldi. Noisiamo a Merano perché èsenza dubbio una cittadinagradevole, abitata da fratellidi lingua tedesca, però la

nostra vita è in Baviera,useremmo questo immobilecome casa vacanza. Capirà,unacasavacanzadevepartireda altre cifre, soprattutto inquesto periodo. A Merano ilprezzo delle case è crollato,non è colpa nostra se ilprezzo precipita ed èdestinato a scendere ancora.Noi rispettiamo le suepretese,siamofelicidisaperequali siano i suoi obiettivi di

vita, che condividiamo, inquanto coincidenti con inostri. E quale sarebbe lavostra offerta?, chiede ilpadronedicasa.

Hans Hinner lo guardadiritto negli occhi, si apre inun sorriso, come se loschiudersi fosseprovocatodauna piccola fitta, dalmovimento con cui estrae lastilograficaeiltaccuinodallatascadellagiacca.Strappaun

foglietto e scrive la cifra ingrande, utilizza per intero lospazio del piccolo fogliobianco. I numeri, seriempionoilfoglietto,sembrache valgano di piú. Calca inparticolareglizeri,l’ultimolochiude con una specie diricciolo, simile al tirabaciimbrillantinatodiunattore.

È assurdo, a quel prezzovendo domattina a chiunque,anche a un italiano, stiamo

parlando del trenta per centoin meno su un prezzo giàbasso! Lo sa cosa compro inTirolo con quei soldi? Unaporcilaia.

Hans Hinner allargaancoradipiúilsuosorriso,lotrasforma in una mascheracosívastadainvaderelacasa,un continente intero dimandrie e truppe inmovimento,eilvisoinfinesifaserio.

Iltrentapercentoinmenosu cosa? Chi lo dice che ilprezzo giusto sia quelloesposto nel cartello? Ilcartello racconta una storiadettata da un ingegnere cheora si gode la vita, senzapreoccupazioni, basta pocoperingraziarsilepersone,maquesta storia riguarda la suavita, non quelladell’ingegnere,eilsuofuturodipende non a quanto, ma

quando venderà l’immobile.Piú in fretta vende e primainizia la nuova vita. Perchérimandare?Manonèneppurequesto.Se fossimonelTerzoReich, sarei il primo a dire,attenda. Non ci sarebberoproblemi. Lei ritieneaffidabile lo Stato italiano?Crede che lo Stato italianoavrà i soldi per comprare lasua casa a un prezzo

superiore di quanto le stooffrendo?

Da fuori giungono le vocidi Maria e delle gemelle, ilcigoliodellealtalene.

Ho altri acquirenti,signor…? Hinner. Ecco, aquelprezzo, ribadisco,vendoachiunque,anchedomattina.

Infatti, decida con calma,Merano è piena di case invendita, non è il primoimmobilechevediamoenon

sarà nemmeno l’ultimo. Mipermettadilasciarlequesto.

Hans Hinner scrive ilnome della pensione inpiccolo, accanto ai grandinumeridellacifraproposta.

Noisiamoqui.Comevedealloggiamo in una dignitosapensione, non all’HotelPalaceoalMeranerhof.Tuttidovremmofareunosforzo.

Salutate il signore, ordinamio padre mentre usciamo

dalcancello.Eallora?,chiedemia madre. Non ora, sorridi.Sapete una cosa, bambine?Adesso possiamo mangiareungelato.

Èlafinediunpomeriggiofestivo, camminano sullungofiume, conquell’eccitazione chestordisce e provoca l’euforiamalinconica tipica di alcuni

momenti importanti, quasidecisivi,diogniesistenza.

La casa è bella, Hans,perchénonlaprendiamo?C’èsolo da sistemare la tavernaseminterrata.Mivedobeneingiardino con le gemelle, laposizione è buona, amo giàquella casa, vi piacebambine?

Maria, com’è possibileinnamorarsi di una casa?Arrivare al punto di adorare

un insieme di mattoninascosti sotto un intonacosbrecciato, una finestra, untetto, un divano sfondato, lefoto dei morti alle pareti? Èdifficile innamorarsi di unapersona, vuoi innamorarti diuna casa? Con questo nonvoglio dire che sia brutta,piacepureame,haungrandebox per le macchine, maperchécomprareunacasachecosta poco, se possiamo

acquistarlaapochissimo?Luivuolevendere, tra l’altrononèdettochesiadavveroper ilTerzo Reich, questo non ciinteressa. Maria, tu devivivere qui con le bambine,noi vogliamo acquistare, allenostre condizioni. Gli affarinascono quando si compra,non quando si vende.MezzaMerano è in vendita, si offredisperata, sembra ci stiaaspettando.Potremmovedere

altre cento case, questa èperfetta,defilataecentralealtempostesso,spaziosa,haunbel giardino, un garagedoppio, a Obermais nontroviamonullaaquelprezzo.In ogni caso, gli offriamounulteriore trenta per cento inmeno.

Trenta per cento?Hans, ilprezzo di partenza è giàbasso, non accetterà mai, lavenderàaqualcunaltro.

Maria, non sono io chevoglio andare nel TerzoReich:iocisonogià.

Papà, ti piace o non tipiace?

Cosa,Helga?Lacasa,papà.Mi piace, Helga: ma tu

preferisci comprareungelatoche costa un marco o diecimarchi?

Dieci papà. Dieci è piúgrande.

Lamattinaseguentearrivala telefonata in albergo. Ilpadrone di casa è disposto ascendere del quindici percento sul prezzo iniziale,veniamoci incontro, ripetenell’angolo del soggiorno,mentre guarda l’altalenaimmobile,fuoridallafinestra.

Hans Hinner dice che almassimo, vista la situazione,è disposto a offrire ilventicinque per cento in

meno del prezzo richiesto.Avete soldi in contanti?,chiede il proprietario. Nonconnoi,possiamovedercinelpomeriggio da un notaio,firmiamo il compromesso eversounacaparra,unminimoacconto, per tutelare lei, eanche noi. Se siamod’accordo, stasera parto perMonaco, domani pomeriggiotornoconisoldi.

Prima di partire, HansHinner guida lungoAlessandro-Manzoni-Straße,passadavanti alnumero188.È quasi sera, Merano èdeserta, alle spalle della casaspunta l’ultima luce chetratteggiailprofilodeimonti,lalineadellaneveeiruscelliche scendono verso valle, ilpaesaggio alpino e tutte lecose al crepuscolo, quando ècome se il mondo si

sdoppiasse,sismarcassedasestesso, per rivelare ciò cheeffettivamenteè.

Il lampadario della cucinaè acceso, dietro le tendespesse s’intravede il padronedi casa. Tra poco le altalenesosterannonelchiarodi luna,i raggi bianchi illuminerannoil ferro scrostato e le fogliedella vegetazione cresciutaspontanea nel Passer. Ilrumore sembra assecondare i

riflessi argentati del fiume,che si squagliano sui massilevigati, come in una scalamusicale, prima disprofondare. Hans Hinnerinnesta la marcia, sterza,accelera, corregge le lieviimprecisionidellaOpel.TuttoquestosaràdavverolavitadiMaria e delle bambine, manonancoralasua.

Evitadipassaredallacasa

di Kirschenstraße. Dovrebberesistereall’affettodiBlondi,lezampesollevateallaricercadi una carezza, in questesettimanediassenzaisuocerivanno a darle da mangiare.Parcheggia la Opel davantialla banca, spera di nonessere visto da troppiconoscenti.Attendel’aperturacon una valigia vuotaappoggiata per terra. HansHinner si dirige subito alla

cassa, vuole la somma, incontanti. Per operazioni diquesto tipo devo chiedere aldirettore, dice il cassiere, èuna cifra consistente, non sonemmeno se in filialeabbiamoqueisoldi.Macertoche li avete, una banca è ilposto dei soldi. Il cassiere sialza e mostra la distinta diprelievo al direttore. IldirettorechiamaHansHinnerin ufficio. Nessuna storia,

Karl,èsololastoriadeimieisoldi. Ci dispiace, Hans, liportiviadaqui,perché?Nonè abbastanza alto il tassod’interesse? Devo comprareunacasaperMaria,stamale,è a Merano. Merano? Hans,mio caro amico, stiamoarrivando in Norvegia, laScandinavia sarà tutta connoi, ci espandiamo a est e aovest, e tu vuoi portare via isoldi? Non sto chiudendo il

conto corrente, Karl, sono ildirettore di «Mutter»,rimangoavivereaBockburg.Hans, ti alzo il tasso di unpunto e tu lasci qui i soldi,con l’incrementopuoipagareun affitto, non si muore inaffitto.Voglioisoldi,Karl.Ildirettore fa un cenno con lamano destra, per richiamareun collaboratore, come sedovessescacciareunamosca.Hans Hinner si sforza di

tenerelosguardoinalto,fissalafrontedelsuoamico.Versail contenuto nella valigia.Non tutte le banconote vientrano perfettamente, allorale infila nella tasca dellagiacca. Un momento, sembriunladro,diceildirettore,chegli passa una borsa di pellenera.

Hans Hinner sistema lavaligia e la borsa sul sedile

anteriore destro, quello dellamoglie.Poi leappoggiasottoil cruscotto, dove MariaZemmgrund stenderebbe legambe.Haunapistola caricain tasca. Prima del confinedovrà nascondere i soldi inqualcheanfrattodellaOpel.Èstanco, dopo la guidanotturna, la notte insonneterminata con la discussionein banca, il collo èindolenzito,lacamiciapreme,

allenta la cravatta e apre ilfinestrinoinautostrada,l’ariaquasi fredda lo rianima,avrebbe bisogno di un caffèdoppio e di una buona fettadel dolce di sua madre, nonpuò scendere dall’auto perentrare in un bar e lasciare isoldi in macchina. Escedall’autostrada, si ferma afare il pieno. Il benzinaioascolta la radio ad altovolume nel gabbiotto, una

voce concitata parla diNorvegia, di marceinarrestabili su terreni difanghiglia e neve. Ilbenzinaio esce sfregando lemani, la Norvegia per HansHinner è un mondolontanissimo,nonsoloperchélui sta guidando in direzionedella primavera. Il benzinaiochiede se deve controllarel’olio. Grazie, tutto a posto.L’uomo fissa i numeri dei

litri, fischietta un motivosconosciuto, sembrainventato,laradiononbastaariempire il vuoto. HansHinner quasi si vergogna apensarlo, in fondoècontentodella malattia di sua moglie.Almeno, delle conseguenze.Investeisoldieapreuncontocorrente in Italia.La banca aMerano lo tratteràbenissimo.La Germania è in guerra, èbene non fidarsi troppo delle

banchetedesche,perlomenol’Italia è in pace, e anche sedovesse entrare in guerra,Meranoèunaspeciediisola.

Lungo la strada stataleincontra una carovana dellaWehrmacht. Camion efurgoni viaggiano versol’Italia per un’esercitazionecongiunta con le truppeitaliane. Hans Hinner siaccoda, i volti dei soldatisbucano dal cassone del

camion che lo precede. Unteloneverdecopreilmezzoeforma la penombra dentro laquale i militari – tutti moltopiúgiovanidiHansHinner–sembrano statue trasferite daunapiazzaall’altra.

È rassicurato dai volti,tanto da non accorgersineppure di essere al confine,che oltrepassa senza che leguardie italiane chiedanonulla, come se lui fosse un

membro in borghese alseguito dei militari. È tuttoperfetto.L’Italiaèdolcissima.

CaroHans,vivereaMeranoè lascelta

giusta.Vorreiavertiqui.Sentolalontananzadeimieigenitori,di mio fratello Peter. Comestanno? Pensi che verrannocon te la prossima volta? EBlondi?Lei potrebbe davverovivere con noi. La casa è

perfetta. Impiego dieciminutia piedi per andare al duomo.Porto sempre con me legemelle,camminiamolungolepasseggiate cittadine, sonopendii dolci, non miaffaticano. Siamo circondatedapiante,fiori,profumi.Dopole passeggiate ti spedisco lelettere dalla posta centrale. Èstrano scrivere l’indirizzo diBockburg sulla busta, lascioche siano le bambine a farlo.

La scuola in lingua tedesca èosteggiata dal governo, lebambineandrannodallesuore,in ottobre. Parlano già un po’d’italiano.

Hans, adesso sei lontano,mimanchitanto.

Tua,Maria

CaraMaria,mimancate.Socheadesso

iltelefonoaMeranofunziona.

Preferisco scriverti. Sono inredazione, è la fine di unpomeriggio di maggio, ilcampanile batte le ore, inpiazza c’è il solito fermento.Trapocovadoacasa,preparola cena e porto fuori Blondi,mi fa molta compagnia. Glialtripenserannoa«Mutter».Ilgiornale va avanti comesempre, quasi da solo.Facciamo le solite cose.Riportiamo le grandi notizie

delmondo,isuccessidiguerrae lepiccolenotiziedisempre,le nascite, le morti divecchiaia a Bockburg. I tuoigenitori stanno bene, tuofratello anche, vuole partireper il fronte, ma preferisceandareaest.Ilsolesorgeaest,ripete sempre. Dice di nontemere nulla. Tua madre nonvorrebbe, tuo padre dice chebasta una gamba in meno, infamiglia. È giusto che vada.

La sua vita è ilnazionalsocialismo. Non unadonna,nonunacasa,nonunafamiglia. I nuovi vicini credochesappianolafaccendadellacompravendita con iKaumann. Non mi salutanopiú. Siamo persone libere,entrocertilimiti.

Tiscrivopresto,Hans

CaroHans,

l’altalena si è tranciata dinetto nell’asta di ferro chesorregge la struttura. Legemellesonotristi.Secifossetuo padre, magari necostruirebbe una di ferrobattuto,conunadecorazioneaformadidrago.Comestannoituoi genitori? Adesso devouscire di piú per tenere lebambine calme. Al mattinofanno sempre i compiti, idettati, i temi, l’aritmetica,

tutte le cose della scuola diBockburg. Vorrebbero sapereperché quattro lire italianevalgono un marco tedesco.Perché una lira non vale unmarco? Dico loro: perché noivaliamodipiú.Conunmarcosicompranolestessecosechesi comprano con quattro lire.Allora voglio solo i marchi,dice Helga. Il conteggiofunziona come ninna nanna.Hilde dice che se quattro lire

valgono un marco, otto lirevalgono due marchi, e cosívia. Iniziano a ragionare inlire.Parlerannoprestoitaliano.Le Opzioni per scegliere ilTerzo Reich o l’Italiaproseguiranno per altri treanni.IlvescovodiBressanonepreferisce la Germania, ilpastore sta sempre con ilproprio gregge. I sudtirolesicontinuano a partire ma noncome all’inizio. È gente con

una sola valigia, senzaproprietà e risarcimenti daavere. Gli italiani nonvogliono che emigrino troppisudtirolesi, per lorodovrebbero partire solo inazionalisti, gli altri, anche separlano tedesco, possonorestare, altrimenti dicono chesi distrugge l’economia. Quigiranovoci strane, tudovrestiverificarle.Sembracheappenaoltre ilconfine,a Innsbruck, i

sudtirolesi siano trattatimalissimo dai tirolesi. Pareche qualcuno stia giàrientrando in Italia, daclandestino. In moltivorrebbero ritirare l’Opzioneper il Terzo Reich. Sonopentiti, temono di finire alfronte. Dicono che l’Italia,ammesso che entri in guerra,non li arruolerebbe mai. Gliitaliani non si fidano deisudtirolesi, o forse ci sono

abbastanza «messicani» damandarealfronte.Eseadessol’exproprietariotornaindietroe vuole la casa? Se diventafascista e la pretende? Hans,magari domani suona ilcampanello e vuole entrare!Mai come in questo istantevorrei che tu fossi qua, contuttinoi.

Tua,Maria

CaraMaria,stai calma, abbiamo un

regolareattodicompravenditafirmato dal notaio. L’expadrone di casa ha i nostrisoldi in banca. I soldi sonopochi? I soldi potrebberoessere di piú, ma potrebberoessere di meno. I padroni dicasa siamo noi. Se c’èun’urgenza, telefona. I mieigenitorinonstannotantobene.Miopadreèalettodaunpaio

di settimane, ignoriamo cosasia, non riesce ad alzarsi, ilmedicodicecheèdepressione.Non ci credo. Mia madre loaccudisce, è stordita,terrorizzata dal crolloimprovvisodisuomarito,nonè pronta a restare nel mondoda sola. Lei è la moglie delfabbro,lamogliediHinner.Semuoremiopadre,cosasaràdilei?

Apresto,

Hans

CaroHans,non riesco a immaginare

tuopadresenzalasuabottega.Nessuna notizia dall’expadrone di casa. Io qui stomeglio, anche se l’Italia è inguerra. È strana la guerra, aMerano, circondati comesiamodalla natura.È difficilecredere ai proclami dellaradio, agli altoparlanti, ai

soldati italiani che esconodalle caserme. I fiorigermogliano, gli alberi sonopiú belli chemai. Le gemelledisegnano le piante, quandovieni ti facciovedere,haiduefiglie pittrici! O forsebotaniche. Sanno distinguerele piante e le disegnano.Andiamo nei prati, Helga sirotolanell’erbaalta,traifiori.Hilde vuole fare il bagno nelfiume sotto casa, l’acqua è

trasparente e fredda, le facciobagnare i piedi, al massimo ipolpacci.Leidicechenonpuòaccaderle nulla, è un torrente,non un fiume. Il fiume hal’odore forte dei tronchiportati qui da qualchetemporale, inzuppatidachissàquanto nell’acqua. A voltesentiamo il tonfo di un pesceche guizza e scompare. Nonmi fido dell’acqua del Passer,preferisco andare alla piscina

comunale, all’aperto. Èolimpionica, piú grande diquella di Bockburg. Da unpaiodigiornimituffoanch’io,congliocchichiusi,nuotoperqualche secondo sott’acqua,quando riemergo vedo lemontagne.Vorrei che tu fossiquiconnoi.

Tua,Maria

Gli italiani, per i

sudtirolesi, sono i messicani.I carabinieri in teoriadevonoparlare anche il tedesco, oimpararlo in tre mesi,altrimenti vengono trasferiti.Tra i messicani, i carabinierisonopiúmessicanideglialtrimessicani.IlcassieredelLido– la piscina all’aperto – è unmessicano, nonostante icapelli biondi radi e i baffi.Sta sempre a mezzobusto,incorniciato nella vetrata, e

alle sue spalle, accanto alcalendario, penzolano lechiavi, sistemate in filariordinati: cabine per signori,cabinepersignore,cabineperfamiglie.

Il bagnino del Lido è unuomo dai capelli neri, lamascella squadrata di PrimoCarnera innestata sul corpomedio di Benito Mussolini.Ha un’età che oscilla, asecondadelsoleedellaposa,

trai trentaeiquarant’anni,èl’uomo nella sua maturità,quando mantiene un ricordodi atletismo giovanile. IlbagninodelLidoèorgogliosodel brevetto di abilitazioneprofessionale. Stile libero,dorso, nessun problema, puòfareanchelaranasubacquea.È convinto di essere lí permerito, non per la politica.Conosce le tecniche disalvataggio, se solo fosse al

maresalterebbesuunpattinoe vogherebbe in pochi istantia cento metri dalla spiaggia,invece gli tocca immaginareavventure lungo baieincrespate di bianco, nelleacque tranquille della piscinadi Merano. La doccia primadi entrare! Veglia suibagnanti,ibambiniallunganolegambepersfiorare l’acquacon i piedi. Giovanimessicani si sfidano agli

anelli in esercizi ginnici,tirano la catena dell’acqua egonfianoidebolipettisottoledocce fredde, mendicano unsorriso, un gesto diapprovazionedallesudtirolesidi lingua tedesca, strette neicostumi interi. Il bagninodelLidoèseverosoprattuttoconi giovani, quando si tuffanodal trampolino di cemento, eper la furia di incontrare ilfondo i loro corpi quasi si

sovrappongono inaria,primadi nuotare felici sott’acqua,dove sentono un suonoantico, lontano. Risalgono esputacchiano cloro con gliocchi ancora chiusi, trovanol’ombra dell’uomo, mobilesulle piccole onde increspatedailorocorpi.

Il bagnino li fissa burberoma è sempre pronto aimmedesimarsiconqueigestidientusiasmo,cheinfrangono

il regolamento. I rimproveriveri gli riescono solo initaliano, quando il padre o lamadre riaffiorano dallamemoria involontaria, e leparole trovano un aiuto nellapostura del corpo, l’ereditàpiú grande ricevuta daigenitori,primaancorachedaBenito Mussolini. Il bagninodel Lido, se urla unrimprovero in tedesco, èdisorientato. Tradurre la

rabbia – quel piccolomomento di esitazione, disospensioneda se stesso– lorende dubbioso sulla propriastoriapersonale,comesenonfosse lui a gridare, ma ilcorpo responsabile, cheavanzaliberonelmondo,eloabbandona all’incognita diun’altralingua.

Siaggiralungoilbordodicemento, pronto alla battutaper contratto, specie con i

bagnanti abituali. Appenaindossano il costume, per luisi ricompone un patto,diventano altro, non sono lestesse persone di fuori, chespessonemmenoriconosceinpiazza,almercatooinchiesa.Nel suo mondo ideale, lepersone dovrebbero viveresempre incostume,comprareil pane, versare i soldi sulconto corrente, guidare itreni, sciare e morire in

costume. E invece lui èpagatoproprioperevitarechela gentemuoia in costume. Ibagnanti sudtirolesi siedonosulle panchine vicino allesiepi,ai tavolinidelbardovebevono bibite e mangianogelati avvolti negliasciugamani. Alcuni fascistiitalianimangianoebevonoindivisa, sudano sotto lacamicia nera. Il bagnino siavvicinaaisudtirolesimanon

riesce a oltrepassare unaconversazionesuperficiale, lalingua esce tradotta a schizzienonsorgiva,inciampa,eluideve lenire l’imbarazzo:racconta un fatto buffo,divertente, con un finale giàcapito a metà della storia,quando la birra nei boccali èancora a tre quarti e laschiuma bianca in superficieè quasi intatta. Sugli alpeggigiungono gli ultimi raggi di

sole, c’è un momento in cuil’acqua della piscina diventaimmobile, solo qualcheinsetto si schianta insuperficie, i piccioni volanosui bordi per abbeverarsi,incurantidelcloro.

Il bagnino del Lidoindossa sempre un costumebiancointero,cheaccentualasua abbronzatura. Si spoglianell’ovatta materna dellacabina, sfila le spalline da

ginnasta ed è sorpreso dallaprofondità del segno biancosullapelle,allafinedelturnodi lavoro. Nudo – unaporzione di se stesso èincorniciata nello specchioinsufficiente al corpo –capisce che quel piccologrumo di cotone bagnato aisuoi piedi è solo un maleprovvisorio, in attesa didiventaredivisamilitare.

CaraMaria,anche qui a Bockburg è

estate. Vado al lago diStarnberg di domenica, portosempre Blondi con me. Lasistemo sul sedile posterioredella Opel, altrimenti, per lagioia, distrugge la Mercedes.Unpaiodivolteallasettimanatuofratellopassainredazione.Dice che andrà in guerra madetesta chi va al fronte con ildiario in tasca, la guerra non

puòessere raccontata,eancorpiú disprezza chi la narrasenzaandarci:èimmorale,unaforma di tradimento simileallo spendersi attraversati daun dubbio. Naturalmentequestesonoparolemie,nondituofratello.Avròtuttointesta,ripete picchiettando l’indicesullatempia.Lamitragliatrice,la disattenzione di un nemicoche fissa il buio fumandounasigaretta, le procedure di

attaccoedidifesa, legiornatein cui ci sarà da annoiarsi. Èconvinto che sia ancora solol’epocadellemarce,deicanti,delle fanfare, degli stendardi,dellagiovinezza.Perlui,comepermoltialtri,nienteèmegliodell’aspetto ludico della vitamilitare, la sospensione tragiovinezza e inizio dell’etàadulta. Tuo fratello non haancora accettato di essere unuomo. La guerra è meglio di

un futuro con una casa, unamoglie,ifigli.Perluiilfronteorientale non è una nobileformadifedeltàallanazioneeneppureunlavoro.Laguerraèciò che lo salva, allontanaresponsabilità quotidiane,timori per il futuro. Tuofratello dimostra solo il suodisprezzo verso di me. Unanazione ha bisogno di tutto,anchedichiresta.

Hans

Zio Peter è al fronteorientale. Zio Peter potrebbeessere a casadai nonni con igomiti appoggiati al tavolo:sfoglia il quotidiano ecommenta ad alta voce, sialzaesoffiasullavolutacaldache sale, accosta le labbra einfineassaggia laminestradinonna Christa dal mestolo.Giochiamo dopo pranzo,avvicinagli occhi, il naso, labocca, la faccia intera sa di

birra,diun liquoredolciastroche stordisce, un caloregradevole,infantile.ZioPetermi prende per i fianchi esento una vertigine sotto ipiedi, ilmio corpo in aria, illampadario sempre piúvicino, la mia famiglia inbasso. Nemmeno io sono lídove dovrebbe essere zioPeter. Zio Peter è al fronteorientale, il fronte orientalecomincia come mondo reale,

lontano e prossimo, daconquistare, non solomilitarmente,perchéfindallanascita–nostraediunafrase– siamo addestrati allinguaggio, che in verità ciusa, e giorno dopo giorno lafrase diviene sempre piú unacostruzione posticcia,dissolvenza fonetica,simbolica, che esiste in unaltrove vago, soprattutto senon sei tu al fronteorientale,

dove non diresti mai di testesso, io sono al fronteorientale, penseresti a cosafare per resistere e uccidere,dimenticheresti i piedistanchi, che ormai autonomiproseguono portandosi dietroil resto del corpo, il piccolorapace sopra la tasca destradella divisa, le zampeminuscole dell’aquila sullamicroscopica svastica, lafibbiaconlascritta«GottMit

Uns» all’altezza del quartobottone, l’elmetto auniformare definitivamente ilcorpo, il cinturino cheracchiude il mento, ecco,ripeterelafrasezioPeterèalfronte orientale significanegarel’esistenzarealedizioPeter.Luisilavaleascelleaimargini di un bosco, usa unsecchio d’acqua fresca nellabreveestatesovietica,sisiedesu uno sgabello di legno,

lancia una scatoletta di carnemezza mangiata nel terreno,la luce quasi calda, in attesache la distanza dalle cosediventi neve, fango, sanguequanto basta allarigenerazione della terraarata.Ilfronteorientaleèunafrase vuota, non aggiungenulla, basta solo alla propriavita di frase, si accontenta,sviliscesestessael’esistenzadelle persone recluse là

dentro, accettazione passivasenza piú nemmeno lostupore di essere vivi, fino aquandolafrasesiaccartocciasu se stessa, e prima ancoraperisceognisingolaparola,lelettere a pezzetti, e infinemuoreanchezioPeter.

CaroHans,non preoccuparti per mio

fratello.Saiche ragionacomeun ragazzo. Immagino che

spari ancora alle bottiglie diBordeaux in campagna.Quanto alla guerra, c’èbisognoditutti,soprattuttodeigiornali e della radio. Sepotessi sarei lí a dare il miocontributo. Come possonocombattere i soldati senzaqualcuno che lavora in patriaper assicurare loro armi ecibo? Qui sentiamo già ilprofumodell’autunno.Ècomese nascesse tutto di nuovo.

Anch’io sto bene. Gli espatrisono quasi fermi, nessunocrede davvero alla partenza.L’Italiaèinguerraeorapensaadaltro.Inmoltidiconocheinostri soldati entreranno inSudtirolo. Se Meranodiventasse il Terzo Reichpotrestitrasferirtisubito!

Tua,Maria

CaraMaria,

a Bockburg niente bombe,per il momento. A Monacoinvecesí.Ituoigenitoristannobene, anche i miei. Rimani lícon le bambine. E poi fa giàfreddo, inizio a invidiare ilclima di Merano. A voltepensochedovreilasciaretutto,ma come posso fare? Sonofelice che siate al sicuro,anchesequimisentosolo.PerfortunahoBlondiconme.Unbacioallebambine,eate.

Hans

CaroHans,anche tumimanchi. Scusa

se tiscrivomolto inpiccoloesu un foglietto. In Italiadobbiamorisparmiarelacarta.Èunostrano iniziod’inverno,manca la neve. Gli sciatorisono delusi, e li capisco,durante la guerra bisognapensare anche alle piccolecose. A Cortina ci saranno i

mondiali di sci,maconqualeneve?Le gemelle vanno beneascuola.

Tua,Maria

CaroHans,timandosubitol’altrametà

del foglietto. Qui razionanotutto, olio, burro, lardo,pancetta, zucchero. È troppopoco questo cibo per vivere,allora dovrebbero darne di

meno, a sufficienza permorire.Iprodottisitrovanoalmercatonero.

Tua,Maria

A Merano siamo sole,lontane dall’uomo padre,dall’uomo marito, ancoraprima che dalnazionalsocialismo, troviamouncompromessonelfascismoitaliano, sebbene all’uomo

Hans Hinner continuiamo avolere bene, sempre di piú.Facciamo di tutto per essereordinate, è come se lui fossecon noi. Lasciamo le scarpesporche davanti allo zerbinod'ingresso e le puliamo disera, quando prepariamo lacartella. Ci svegliamo senzabisogno della sveglia, almattino,ecilaviamobene.Ascuola portiamo un paninoper l’intervallo, se ne

avanziamo metà loconserviamo in un tovaglioloelomangiamoamerenda.

Andiamo spesso a vederel’ultimo film pomeridiano alcinematografotedesco.Siamonelle prime file. Ci sonopochi bambini in sala,qualche anziano nato nel1870 e sopravvissuto a unaltro secolo, per morirenell’aria buona. Prima di unfilm, ogni cinematografo

deve trasmettere icinegiornali e le pubblicità. Igestorichiudonoleusciteperevitarechequalcunoperdalapropriaoraeducativa.

Tanto detesto il cinematedesco quanto amo icinegiornali. Mi piace ogniistante, la sigla, le trombe,l’aquila che all’inizio pareimbalsamata, i fasci di lucesembranousciredalle trombe

e colpiscono il petto delrapace,rianimandolo.

ErnstBaiereMaxiHerberpattinanosottoilconodilucealloSportpalastdiBerlino,luivestitodinero,leiindossaungonnellino e una camicia piúbiancadelghiaccio,intornolamuraglia di pubblico e buio;un incrociatore tedesco tra leondealtedelmare,gliuominidell’età di mio padreraggiungono un’isola

disabitata nel suddell’Atlantico, dove vivonosolo foche spaventate epinguini tra le rocce, gliuomini devono rifornirsi diacqua potabile, la trovanosotto una cascata nell’internodell’isola; gli animali dellozooliberati,illoroimpiegoinagricoltura; il varo di unanavedacrociera.

Il popolo dietro letransenne. Il pubblico è il

nostropopolo.

Scopro la geografia con icinegiornali e la guerra. Lageografiaèunpostopienodimine, carri armati, aerei involo, porti da conquistare,impianti da sabotare, caccia-bombardieri abbattuti, truppein marcia verso est dove ifanti avanzano e resistono aognitipodifatica.Ilghiaccio,la pioggia, il fangonon sono

elementi della natura, sonostrategiabellica.

Le immagini deicinegiornali sono vere emolto finte, una cosaseducente, senza trama,sempre pronta a vibrazioniimprovvise e a spegnersi insilenzio, ai lati di un fattoqualsiasi. I cinegiornali sonola concatenazione dei corpiqualunque, unico grandeorganismo impresso in ogni

banale attività quotidianavivificata dallarappresentazione, cheingigantisce il risultato diquell’immaginee allontana ilsingolo dalla propriaesistenza. Seduta nelcinematografo guardo al miofianco i profili diHelga e dimiamadre,inasi,lelabbra,lepalpebre, i volti accesi dairiflessi filmati. Il soldatocineoperatoremostraillavoro

ai superiori, che selezionanole immagini, è come se leimmagini fossero piú potentidelle manipolazioni. Chissàse, quando finirà la guerra,qualcunodeisoldatisuperstitiriconoscerà se stesso in uncinegiornale: sarà un agentedi commercio, un impiegato,un operaio, avrà una casa eun’auto e andrà allo stadio einvacanzaalmare.Oforse igenitori del soldato morto

vedranno l’ombradelpropriofigliopocoprimadimorireenonriconoscerannoniente.

Il giorno dopo c’è semprequalcuno che decolla con lebobine e torna in Germaniaper produrre le copiedistribuite in ogni angolodella nazione, trasmessesimultaneamente in modo dasincronizzare il sentimento,anche nel cinema del signor

Otto Herrish, a Bockburg, opocodopo,quiaMerano.

Se i cinegiornalimostranoi gerarchi nazisti, mi annoiocome con i film veri. I filmnon fanno nemmenopropaganda esplicita, sonoopere di evasione, l’ottantaper cento di unlungometraggio èintrattenimento, diceGoebbels. I film sollevano il

morale dello spettatore escaccianolapaura,lanoia,lerate con cui compriamo ilnuovo frigorifero, la nuovamacchina. La vita privata èpropria, lontana daicondizionamenti politici,siamo pronti a cogliere leopportunità dei consumi. MaseabbiamonuovifrigoriferieMaggiolini nei piazzali deiconcessionari, perché laguerra? Mi addormento

sempre a metà del primotempo, sul braccio di miamadre.Leiemiasorellasonoentusiastedelcinematedesco.Anchenoiabbiamolediveeidivi, riempiono le immaginidei cartelloni pubblicitari,scendono dalle Mercedes,sfilano sui tappeti rossi,firmano autografi. Goebbels:gliattorisonoinostrimiglioripropagandisti. Le attricihanno l’età di mia madre, si

innamorano,maantepongonoil dovere e l’impegnocollettivo ai desideri terreni,personali. Che cosa conta ilgodimento di una signorinaMuellerdifrontealbenesseredel popolo? Le donnerappresentate al cinema nonpossono prendere ciò chedesiderano, devono resistere,attendereacasa,senecessariorestare signorine, arrivare asuicidarsi per il bene del

mondo, ingoiano liquore etopicida,quel tantochebastaa guardare fisso latelecamera, prima di morireper ilproprioamore: incertecondizioni, il grandesacrificio è piú facile delpiccolo, che sarebbe davverorivoluzionario. Le donne delcinema cantano con vociroche, i registi indugiano suivolti, iprimipianifagocitanotutto ciò che sta intorno, la

facciagrandediecimetrièunricatto, gli occhi giganti ecommossisonoun’impostura,sarebbero tragici sedimenticassero ilsentimentalismo e cercasserola libertà.Leattriciguardanoin basso, è il trucco persembrare profonde e distanti,làdovesidepositano lacrimetrattenute, il punto in cui leinfelici attendonoun’impossibileviadifuga.

CaraMaria,ti scrivo in una giornata

invernale. È strano pensareche, appena oltre la barrieraalpina,splendailsoleenoncisia la neve. I carretti funebri,tirati da cavalli bianchidimagritieconilpelosporco,custodisconomortidimalattiaodipartoenondiguerra.Lebombe cadono a Monaco, oaltroveinlontananza,nonqui:tudiresti cheBockburgnonè

nemmeno degna di esserebombardata. Esistono pochirifugi antiaerei. Io e Blondisiamo inseparabili, appenalasciolaredazionevadodalei.Non dorme piú fuori, nellacuccia di legno in giardino.Passalanottealpianodisotto,poi al mattino sale e restaferma sul tappeto, accanto alletto. Infila il muso sotto lelenzuola,cosímisveglio.

Hans

CaroHans,bombardano davvero

Monaco? E quali quartieri?Anche il centro? È terribile!Venite tutti qui a Merano!Chiudi casa, carica Blondi eraggiungici! Ma sento già latua risposta, e la capisco:Bockburg ha bisogno di«Mutter», del suo direttore. Ese portassi Blondi aMerano?Qui il giardino è anche piúgrande.Oh,Hans,nonsocosa

sia meglio per tutti, sonoconfusa! Forse è meglio seBlondirimaneaBockburgconte, almeno lí avete damangiare tutto ciò che volete.Alcuninegoziantipreferisconochiudere le botteghe perdedicarsi solo al mercatoclandestino. Uova, burro,zucchero, pane, verdura, lacarneèdifficiledatrovare.Gliitalianivendonocomeminimoa tre, piú spesso a cinque, a

dieci volte tanto. Io contrattosolo con sudtirolesi, se milamento del prezzorispondono: dobbiamoscendere dalla vallata, saquanto ci costa la benzina?Tuttisilamentanodeisoldi,ildenaro è l’unico argomento,piúdellaguerra,ripetono,nonci sono soldi, non ci sonosoldi, eppure ci saràqualcunoche ha davvero i soldi.Continuoaprelevareinbanca.

Il cassiere mi dice a bassavoce, come la capisco, FrauHinner, il mio stipendio nonvalepiúniente,larovinadellamia vita è essere unragioniere, magari fossi uncontadino,padronedeichilidipatateedelleuova,cosadareiper una frittata! Sa quanteuova vale il mio stipendio?Sonoridottoacomprarepezzidi animali morti di malattia.Mi faccio coraggio dicendo a

mia moglie: tanto, morti dimalattia o macellati, sempremortisono.

Hans, la prossima volta,porta con te tutti i contanti.Dovrei coltivare un orto ingiardino, purtroppo non sonocapace, ci vorrebbe miamadre, non so nemmenoquando seminare, posso solocucinare.Igiornalipubblicanoiprezzimassimiper ilcibo,èinutile, ognuno fa quel che

vuole.Ilgoverno,aldilàdelledichiarazioniufficiali,tolleraein fondo approva il mercatonero, almeno gli italiani –quelli che possono – sisfamano e restano tranquilli.Gli altri li manderanno inguerra, cosí avranno il rancio.Noi attendiamo l’arrivo deinostrisoldati.Maquando?Tuhai notizie? Molti italiani dilingua tedesca non partonopiú. Il problema di partire o

restare non è davvero unapriorità,appartieneaun’epocalontana.QuandovedoledivisedeisoldatiitalianiaMerano–e tipregodicancellarequestafrase dalla lettera, non possoevitarediscriverla–pensocheperderemo la guerra, conalleati cosí. Le bambine oggiindossano un abitotradizionale sudtirolese, manon dimenticano di essere

bavaresi. Ripetono sempre disalutareilpapànellelettere.

Tua,Maria

CaraMaria,non dovresti scrivere certe

cose. Perdere la guerra! Nonabbiamosologliitalianicomealleati. E come puoi pensarechepossalasciareBockburge«Mutter»?Nonabbiamoalcunproblema di denaro, ma ho

moltissimi obblighi con ilpartito.Nonpreoccupartiperilcostodelciboalmercatonero,nonvogliochelenostrefigliepatiscano. In questi ultimigiorni, c’è stata un’alternanzacontinuadiduetipidiallarme.In un caso dobbiamonasconderci nei rifugi.Nell’altro possiamo fare lavita di sempre.Maquasi tuttipreferiscono scendere. Ho unpiccolo taccuino conme, non

so cosa farne. Goebbels dicedi usare con moderazione laparola fronte. Questo è ilfronte interno o solo casanostra, al numero 9 diKirschenstraße? Nessunapotenza al mondo puòtoglierci leparole, senonconle armi. Nessuna potenza almondo può toglierci le armisolocon leparole.Comediceil ministro, non saremo noi afare chiarezza. Però adesso

anche noi bockburghesiabbiamo inostrimetricubidimacerie: sarà contento tuofratello, che infatti non è piúqui, è in viaggio, verso ilfronte orientale. Non so nulladei morti bockburghesi. Noisiamo tutti vivi: i mieigenitori, i tuoi genitori,Blondi. La nostra casa èintatta. Il centro èdanneggiato, anche laredazione. Se ci sarà un altro

bombardamento,rimarrònellacantinadiKirschenstraße,conBlondi.Nonvoglioandarenelrifugio, sotto «Mutter».Preferisco la cantina, lafinestraaperta,l’aria,piuttostolamorte.Dovreiscriverti:nonpotrò mai scordare alcunecose. E invece non sononemmenocertochesiacosí. Inostrivicinisonoinstrada,luicon una valigia, lei con unasedia.Lelorocosesifondono,

dentro.Le fiammeesconodaltetto sventrato. Mi odierannoancoradipiúperl’acquisto,lanostra villetta è quasi intatta,ha solo un paio di vetri rotti.Dimenticano che a Monacosarebbero già i cadaveri deiloro cinquanta metri quadrati.Bacioteelebambine.

Hans

Le postazioni antiaereeilluminano il buio, le poche

stelletrategoleeramisecchi,quando la luce scende inbasso e sfiora terra sembradebba appiccare i prati, ilrumore stanco delle sirene.L’arrivo,primainlontananza,poi sempre piú vicino, degliaerei. Se Hans Hinnerchiudessegliocchismettendodiguardare il cielo, laguerrasembrerebbecombattutasottolasuperficiedellavilletta.Lefiamme sono in centro, le

gradazionidi rossoattornoalcampanile e al crocifisso.Bruciano le statue dellachiesa, le botteghe, anche lamacelleria, la poca carneesposta non è piú cibo, è lamisuradeltempo.Brucianolestoffe, i potenziali vestitisenza clienti, le interiora deimanichini, tutto il negoziodiFrau Adlung. Gli alberiavvampano sul retro dellecase, ai margini delle strade.

Ardono le tavoleapparecchiate, le fotografieneicassetti,legambedilegnodegli invalidi, la biancheriaintima, le lettered’amore,gliatti di compravendita, lebambole, i trenini, i cavalli adondolo, gli animalidomestici. I vetri dellefinestre esplodono per ilcalore, le persiane siafflosciano, i vestitipenzolanodai ramideipochi

alberi intatti, le piante salvehanno le radici inzuppatedentro l’acqua nera, uscitadopo la rottura delletubazioni. La luce finisce, ilcielo in cenere,Kirschenstraße è piena dilapillichesfuocanoformandoun tappeto uniforme, sopra idetriti. Dopo ilbombardamento si sentono levoci delle persone, sembranotutte lontane, anche le piú

vicine.Lesirenedeimezzidisoccorso – che in altrimomenti romperebberol’udito – solleticano appenal’orecchio, è come se simuovessero in uno spaziotemporale soffice per lecolonnedifumo.Igestisonorallentati, ciò che il bracciodestrofaèvissutodalsinistrocome l’imitazione di unronzio, di una forza chedesiste.Ilmattinoseguentele

donne spolverano macerie eoggetti, attaccano cartoni evecchi numeri di «Mutter»agli stipiti delle finestredivelte; i bambini giocano,sotto i loro piediscricchiolano vetri rotti oforse insetti dalle aliluccicanti e, quando i bimbisaltano, i frammenti brillanoalsolecomepiccolecicatrici:questo ci costringe a crederenellavittoria.

CaroHans,vorrei che fossi qui, tu,

Blondi,imieieituoigenitori,voi chemi siete cari. Se devirimanere lí, almeno scrivi,Hans,scriviloameosoloperme,noninteressartideglialtri,dicosadiranno,seèmoraleoimmorale, giusto o sbagliato,scrivi alla tuaMaria. È comese fossimo con te, inKirschenstraße. Ma staiattento!Riparati in un rifugio

vero,lanostracantinaèsololataverna di una villetta. Hainotizie di mio fratello inRussia? Quando arrivano inostri soldati aMerano?Oggic’è il principe Umberto. Laprincipessa Maria José visitagli ospedali civili emilitari, èlanipotedelducadiBaviera.Igrandi alberghi, trasformati inospedali, sono affollati disoldati italiani. I militari siaffacciano ai balconi, alle

finestre dell’Hotel Emma,appena stanno meglio. Legemelle mi chiedono, chisono, mamma? Perché nonesconocomenoi?Iorispondo,sono ammalati. Quandopasseggiamo lungo laTappeinerweg, vediamo legrandi croci rosse sui tettidegli alberghi, in basso. Lacittà è triste. Le vetrine sonobuieequasivuote, ilgovernoitaliano vieta l’illuminazione

anche durante gli orari diapertura. «Totalausverkauf».A cosa serve una svenditatotale se la vetrina è spenta evuota? Meglio ammettere lasconfitta, confessare che inostri giorni appartengono alpassato e attendiamo solo ilfuturo. Lo so, non devoscrivere certe cose, dovreievitare di trasmettereinsicurezze alle bambine.Stanno bene, sono ghiotte dei

panini che preparo, siaccontentanodiburroeunpo’di strutto per insaporire. Lafamiglia dell’amante diMussolini compra casa nelquartiere di Maia Alta. Lei èmolto piú giovane di lui,potrebbe essere sua figlia,veste benissimo, ha unguardaroba da attrice.La lorocasa sembra un castello piúche una villa. Hans, sonocontenta di ciò che mi dài.

Nonvorreicoricarmidifiancoa un vecchio. Però adessodormoaccantoalvuoto.

Tua,Maria

CaraMaria,le vetrine e i defunti non

devono scoraggiarci, nonsignificanochetuttociòincuicrediamo sia sbagliato.Benedetta la Germania chedisprezzanobiliearistocratici.

Sefosseperlorofarestiancoralacommessa.Nonpossousareil telefono, le linee sonointerrotte. Tenterò dirichiamarti piú tardi, mavoglio comunicartelo ancheper lettera. Tra poco vado alfunerale dei miei e dei tuoigenitori. Sono morti assiemead altre cinquanta personedurante l’ultimobombardamento. Pensiamo aquestimomentiinognigiorno

della nostra vita: la fineimprovvisa, la lungamalattia,la morte. Eppure quandoarriva il momento siamosempre impreparati, nonsappiamo cosa dire, tanto dainiziare la lettera scrivendo divetrine. C’è il sole e ancoraodore di bruciato. I duebecchinidiBockburglavoranosenza fermarsi. Hanno fretta,scavano,nonuncentimetroditerra in piú del necessario,

sembrerà di camminare sullecasse da morto. Lo so, se tuleggessi mentre scrivo,vorresti partire adesso, intreno, insieme alle gemelle.Quandoarriveràquesta letterasaprai già cosa è accaduto.Resta dove sei e preoccupatidellebambine,ditestessa,deivivi. Il cibo scarseggia. Io hoquasi tutto quello che voglio,mailpopolosoffre.Siadatteràcome sempre, è solo una

questione di abitudine.Appena fuori Bockburg lefattorie sono danneggiate, ilbestiame vaga smarrito,potrebbe brucare ordigniinesplosi. Blondi annusa unmaiale ferito in giardino, nonso da dove arrivi. Ètraumatizzata, si nascondenegli angoli, accanto allalegna. Quando entra in casasolleva il tappeto con la

zampa, allunga il muso,vorrebbesdraiarsisotto.

Tuo,Hans

CaroHans,ti scrivo dopo la lunga

telefonata e il piantoliberatorio. Non so quandopotrò venire a Bockburg pervisitare le tombe. Tu dici chenon serve, per me èimportante. Bolzano è

bombardata, a Merano nonaccade nulla. Mi chiedoquanto sia meritato questorisparmiarci.Finiràpresto.Quiè l’alba di un’epoca felice.Mussolini è un fantasma.L’Italia è un fantasma. Esisteformalmente ma non ha piúalcunpotere.Gliitalianifannoquello che diciamo noi.Merano è il Sudtirolo, noisiamo il Terzo Reich. Igiornali italiani chiudono. Le

insegne dei negozi tornanotedesche. Tutti i cinematrasmettono solo film intedesco. Io e le bambineandiamoinstrada,lasciamounmazzo di margherite sulmanubriodellamotociclettadiun soldato tedesco. Unvecchiooffrebicchieridivino.Le ragazze marciano accantoai militari. I ragazziniappoggiano le biciclette aicarri armati, vogliono farsi

fotografare assieme ai soldati.È strano vedere un carroarmato davanti al cinema. Ilcinegiornale è tra noi. Isudtirolesi girano in abiticivili, armati di pistole emitragliatrici. I soldati italianitacciono, rinchiusi nellecaserme, in attesa di ordini,finalmente asserviti. Secostretti a uscire, attraversanole strade tra gli insulti. Lenostre bandiere sventolano.

Hans, devi trasferirti al piúpresto, adesso non hai piúscuse, qui avresti opportunità.Il giornale è il «BoznerTagblatt». Potresti conoscereil Gauleiter, Franz Hofer.Partecipa alla Festa delraccolto, in ottobre. Abbiamogià i nuovi vestiti per legemelle.PortaBlondiconteetrasferiscitiqui,persempre.

Tua,Maria

CaraMaria,credi che possa trasferirmi

subito? Dovrei parlare conMonaco e capire quali sono imovimenti in Sudtirolo.Invece su Blondi hai ragione.LalasceròaMerano.Ilpartitomichiedeunnumerospeciale,soltanto immagini dei nostrisoldatiinguerra.Hocentinaiadiimmagini,fotografieportatein redazione dai familiari. Leimmagini arrivano dalle zone

di guerra di tutta Europa,anche dal Nordafrica. Nonposso usare nemmeno una diqueste fotografie, deridono laguerra, la accettano nella suaquotidiana banalità. Spero diessereprestolíconvoi.

Hans

L’essenza della guerra inqueste immagini è il tempomorto, l’attesa sopraffattadalla noia. In una foto di

gruppocisonocinquantanovesoldati, ognuno di loro fa unpiccolo gesto nell’istante incui il fotografo scatta: chipassa una mano sulla nuca,chi sulle tempie, chi sulcranio, chi sulla fronte, chitasta la manica della giacca,chigrattalaschienacomeperscacciare una mosca, c’èanche chi non fa nulla, el’immobilità – in rapporto aimovimenti degli altri – crea

un’ulteriore frizione, sembrache tutti si stiano preparandoa qualcosa che non c’è. Imilitari del Terzo Reichprendono il sole nudi su unmolodicemento,posanoconunafogliadavantiaigenitali,indossano minigonne, sitoccano le gambe pelose,ravvivano il rossetto,sistemano gli orecchini;cinqueufficialiappoggiano ilmento sul filo dello

stendibiancheriaetiranofuorile lingue. I soldati dormonoin tenda, si lavano all’albacon l’acqua di un torrente efanno ginnastica; un ufficialesolletica un soldatostuzzicandogli la base deipiedi con un rametto; unsoldato solleva la gamba delpantaloneemostralaprotesi;tre militari dormononell’accampamento, accantoalla cassetta delle lettere su

cui è disegnata una rondineconunabustanelbecco;altridividono le salsicce con ipropri cani, giocano, liaddestrano promettendo lorocibo, li acconciano conocchiali da sole, infilano uncane di piccola taglia dentrouno stivale militare,macellanomaialini,dànnodamangiare alla giraffa dellozoo, sorreggonoun riccio sulpalmo della mano,

gareggiano in groppa agliasini; gli ufficiali contrattanol’acquisto di un tappeto conun venditore ambulantemarocchino, mangianoun’anguria,compranocrêpeaun franco francese, bevonovini rossi pregiati echampagne, serviti dacamerieri con giacchebianche; i soldati mangianoun pezzo di pane nell’angolodi una tenda e bevono birra,

usano biciclette da bambino,guidano sidecar, fingono diviaggiare su una macchinacarbonizzata, uno di loro inpiedi imita Hitler, lo deridefissando l’orizzonte dai restidell’auto; vomitano ubriachiinunastanza,remanosdraiatiin piccoli canotti, suonano lafisarmonica sopra ungommone, lanciano pietre afilo d’acqua per farlerimbalzare lontano; gli

ufficiali toccano i seni e ilculo di una statua, su unbasamento vuoto vorrebberodiventareessistessistatuema–senieculoaparte–ancoraignorano che le statuepossonoanchemuoversi,edisicurononridono.

CaroHans,dopo il tuo soggiorno, mi

sento meglio, piú tranquillacon tutti i soldi qui. Anche

Blondi sta bene. Le bambinesono felicissime di averlavicino. La porto con mequando accompagno legemelle a scuola, lei èentusiasta, offre il collo perfarsi mettere il guinzaglio,usciamo anche a metàpomeriggio e di sera. I nostrisoldati vigilano ed è tutto inordine.Blondi annusaciò cheincontriamolungolastrada,leruote dei mezzi militari. I

soldati tedeschi sorridonoquandomisentonoparlareconlei. Parlo piú con militari eproprietari di cani che con igenitori delle compagne discuola. ForseGerda Bormannsi trasferisce a Merano con ifigli. Immaginati se dovessivederla! Ha sei bambini, cisaràalmenounabambinanatanello stesso anno dellegemelle! Hans, una figlia diBormann nella stessa classe

delle gemelle! A Bockburgnonpotrebbemaicapitare.

Tua,Maria

LaparolaH ITLERèunamarcia, il movimentoattraversaleletteredasinistraa destra, la L è lo stivalepronto alla spinta, la R sidirige soddisfatta e panciutaverso ilbordodestro, ilpettoin fuori, per uscire

dall’immagine e rientrareancora una volta nella H,salda unione del bordosinistro. È l’ultima volta incui occorre la scritta accantoall’immagine. Il busto non sivede, è fagocitato dallosfondo bruno, che svanisce eadempie alla sua essenza,scomparire cercando rifugionell’immagine.

Partiamodalla testa.Dallabocca. Cinquanta chili d’oro

in banca per le otturazioni.L’origine è trentadue denti. Identi non sono trentadue.Moltidimeno.Gialli.Cariati.Nei punti piú remoti giàanneriti. Attaccati dallecattive digestioni. Da cronicistati costipativi.Aggrediscono reni, fegato,cuore, occhi. Le gengiveerose. L’infiammazionesanguina. L’arcata dentariadisarmonica. L’anomalo

posizionamento dei denti. Lamandibola è costretta amovimenti innaturali. Arretradurantelamasticazione,quasiavesse timore del cibo. Gliincisivisuperiorisonopiegatiin avanti e coprono troppoquelliinferiori.Cosílelabbrasono appena dischiuse. Lalingua agisce a ognideglutizione. I denti quandosentono la mancanza deglialtri denti approfittano dello

spazio. Si spostano perriempirlo. Fino a toccare lagengiva dell’altra arcata, adalterare per sempre la lineamediana del sorriso. Il corpodevemangiarepervivere.Peril piatto preferito occorreuccidere i piccioni. Toglierepenne e piume. Lavare ipiccionieasciugarli.Tritareilripienodicarnedimanzoeilprosciutto.Tagliare lacipollain piccoli anelli e farli

rosolare. Unire carne trita dimanzo. Prosciutto. Uova.Cipolle. Formaggio. Sale.Pepe. Mescolare bene.Riempire i piccioni con ognipiccola parte dell’altra carne.Legare.Evitareche il ripienobovino e suino possadebordare.Ungeredioliounapadella. Stendere i piccioniripieni. Distribuire attornoalcune olive decorative.Mettere i piccioni nel forno.

A duecento gradi circa. Pertre quarti d’ora. O almeno,fino alla cottura. Dopo ventiminuti è consigliabilebagnarli con un bicchiere divino bianco. Sentire losfrigolio. Aprire il forno.Servire a Adolf Hitler. È ilsuopiattopreferito.Nel1939.DaannidiconocheHitlersiavegetariano. L’idea è di tuttiquelli che lo ripetono. E diGoebbels. Per esprimere il

distacco del corpo. Dallacarne quotidiana. Coraggio,tuttidallapartedelcorpo.Untipico prodotto della paura.Da combattere abusando dimetanfetamina. Una nuovaconfezione di Pervitin.L’operaioproduceilPervitin.Non sa che quel prodottofinirà nel corpo del Führer.Pervitin. La stessa medicinadei piloti di caccia. Deiparacadutisti. Dei conducenti

dicarriarmati.Delmedesimooperaio che lo produce. Ereggeiritmibellicilavorativi.I problemi dentari sonocausati da vari fattori,cominciano con il lattebovino, imitazione del lattematerno. Solo dopo inizianoquelli riconducibili allametanfetamina.Aunabusodiefedrina. Conseguenti picchidi euforia. Sensazione dibenessere e onnipotenza.

Seguita da paranoia e apatia.Occorre nuova efedrina. Incamera. Sul treno. Neltrasferimento lungo ilBrennero. La stazioneferroviaria italiana. La manomolle della stretta di saluto.Nessunavogliadiascoltarelechiacchiere di Mussolini. Larappresentazionedeigiorni.Ilcorpo quasi reclinato sullapelle dei sedili. Stanco.Protetto dall’auto blindata.

Dolori al collo. Alleghiandole linfatiche. Lasensazione di nausea davantialla tavola apparecchiata. Illuccichio dei bicchieri vuoti.La tovaglia accecante. Iltovagliolo pulito e rigido,utilizzato per tergere illabbro. Un piccolo pelo deibaffi rimane impigliato. Lacamerieraloscrollapiútardi,trabricioleeformiche.Ilsolocibo assaggiato è un po’ di

formaggiobiancolocale.Unaventina di piselli. Dastuzzicare con il coltello nelpiatto. Disponendoli comesoldati a protezione delformaggio. Tre bicchieri diacqua. Cinque pillole dilassativo.Piútardilamorfina.Ilmedicodevegiustificare lapropria esistenza. Sorreggereil corpo. Come capita a uncampo di mais. Occorrediserbante. Acqua. La

chimica tedesca. I soldiamericani. Confidare nellarisoluzione dei grandi temi.Ignorare i dettagli. I resti dicibo tra i denti. La placca.Cellule morte delle mucose.Batteri.Calcificazioni.Detritinecroticidivecchicibicarneicotti. Ora in silenzioso statodi putrefazione.L’arteriosclerosi.L’indurimento delle arteriecoronariche. Lo scarso

nutrimento del cuore.Affanno. Palpitazione.Aritmia. La possibiledegenerazione. L’anginapectoris. L’infarto. Altrepillole per evitare la fine. Ilterroredelcancroallalaringe.Il cancro della mamma. Ilvolto pallido. Anche durantele parate decennali. La voceaspra. Stridula. I croniciepisodi di raucedine. Lemucose attaccate da

secrezioni purulente. A voltefluide.Spessoincrostatesullecordevocali.Letonsillepienedi batteri in accumulo.Generazione dopogenerazione.Ilcorpoamorfo.Immemore di sé.Di cosa siauna passeggiata. Una corsasotto la pioggia.Una nuotatanell’acqua fredda del fiume.Relegato a pura immagine.Fossile del linguaggio.L’autistabrucia ilcorpo.Usa

la benzina. Il consumo delleimmagini. Prima dell’usuradel corpo stesso. Lo uccide.Lomantienevivo.

L’acqua verde e azzurradel fiume è marrone dopo itemporali. Gli abitanti diBockburg fuggono verso illago di Starnberg. Le truppeamericane conquistano lacittadina senza neppureutilizzare un carro armato.

Bastanoduecamiondisoldatie cinque jeep, il buon odoredi benzina americanainzuppato nelle maceriefresche.Cosí finisce il TerzoReich a Bockburg. Pocoprima dell’epilogo, HansHinnerescedicasa,chiudelaporta a chiave anche se noncredesiaungestoutile.LavailparabrezzadellaMercedes,accende il motore e fissa laOpel parcheggiata

nell’angolo destro. Non haalcun pensiero malinconicosulla finedellecose, sebbenela Olympia sia la primamacchina della famigliaHinner, le gemelle piccole, inonni vivi, il lago a dieciminuti, la domenica che nonfinisce mai. Guida verso ilcentro, calpesta calcinaccicon i nuovi pneumatici eparteperMerano.

Non percorre l’autostrada,

troppo rischioso,incontrerebbe le colonne dimezzi militari nemici. Evitaanche le altre vie principali.Prendelestradedicampagnalaterali, strette, interrotte dabuche del diametro di tremetri. Alcuni crateri piúgrandi, pieni d’acqua, sonoabbastanza profondi perl’annegamentodiunbambinoo di un cane. L’unicapossibilità per proseguire è

abbandonare la Mercedes inun campo, sotto un ciliegio.Hans Hinner sale sullacarrozzeria nera, mangiaalcuni frutti, li staccadall’albero, si macchia ilcappotto.Prende il librettodicircolazione, lo straccia conle mani sporche di succo.Abbandona la valigia, lamacchina da scrivere sulsedileposterioredell’auto.

Piccoli gruppi di alberidelimitano i campi interrottidai centri abitati, campaniliintattisvettanotraidetritichesi sovrappongono a strati, ailoro piedi. Hans Hinnercamminadigiorno,spesso incompagnia di cani smarriti,che annusano il terreno eripartono dopo una brevesosta, ignorano qualsiasilogicadiapprodo,siperdononell’ansioso zig-zag, che li

lancia sfiniti fuori dallospazio abituale, dal tempo.Hans Hinner dorme di nottenei casolari o nei fieniliabbandonati, sdraiato sugiacigli di paglia. L’umiditàaccumulata sale dai piedi,colpisce le gambe, le ossaindolenzite, mentre il sole,dieci metri piú in alto,riscalda i rami e le frondedegli alberi, su cui sostano ipochi uccelli rimasti.

Cammina come un bueinsonne legato all’aratro, ilcuore rallenta nonostante lamarcia,impigritoeimboscatosotto il cappotto nero e lamaglietta bianca di lana.Bruciala tesseradelpartitoequella da giornalista in unfosso, la fiammella circondanome e cognome, scioglie ilineamenti in un informefrancobollo nero. È lafotografiagiovaniledeiprimi

articoli, quandononpensadisposarsi con MariaZemmgrund e Hitler è uncognome come tanti, quasicomeMeyeroMueller.

Ha trentasei anni, ilcappotto sembra la vestagliadiunuomodecaduto,sformale spalle, che si affloscianotradendol’umoredeipensieri,sebbene lui immagini sestesso ancora combattivo,tanto da nascondere un

coltellino in tasca e accantoagli spiccioliunapistola, chepoi, per paura deipattugliamenti, getta in unfosso assieme all’orologiorotto.Nasconde le banconotenelle calze, come unragazzino durante la primavacanza in treno, ma i soldisembranosenzaalcunvalore,traditi dal mondo. C’è unsensodisollievoeliberazionenell’incontraremorti ridotti a

materia inorganica, ammassideformi di stracci. I viviinvece disgustano, soddisfattidal sentimento di pietà versodi sé.Noi che soffriamocosítanto possiamo esserecolpevoli di qualcosa?Avanzano, si inclinanodaunlato per equilibrare il pesodelle valigie, doveconservanogliaveririmasti.Ipiú fortunati sono seduti, legambe a penzoloni dai

carretti trainati da animalidimagriti, carichi di corpi ematerassi, lenzuola e fagottidibiancheria sporca.Quandoun cavallo è stremato, siadagia su un fianco, ormaiinutile èucciso conuncolpodi pistola. Il cavallo inzuppalaterradisangue,chesgorgadalla bocca. Allora dueuomini, ex soldati senzadivisa, tagliano con i coltelli

la carne dal fiancodell’animale.

Tracce di combattimentiappenafiniti sembranogiàdiun’altra epoca: automobili,carriarmati,mitragliatrici,unsidecarèlabaradiunsoldatosorvegliato da tronchibruciacchiati, senza ramidove impiccarsi. Le larve –condannate allasopravvivenzadallageografiadei morti – escono dagli

orifizi dei militari defunti,rabberciano le divise. Ilpaesaggio funebre è parteintegrante dei campi, deiboschi, eppure suggerisce unsentimento di timore,qualcuno che possa ancorauscire da un cespuglio esparare,maèsolounriflessomentale, la disfatta è ilpassato, i cadavericonfermano il presentevittoriosodeivivi.

Sfilano camion militariamericani, jeep autorizzatetrasportano nuovi funzionarioborgomastritedeschigraditiai vincitori. Mio padre temeche qualcuno lo ricacciindietro, alla villetta vuota diKirschenstraße,allaredazionedistrutta di «Mutter». Lacondanna e la detenzione loscrediterebbero davanti allacittadinanza,costringendoloalasciare Bockburg in ogni

caso. Meglio fuggire econtinuare il cammino, senzachiedere mai un passaggio,nemmeno ai trattori. Quandoincrocia qualcuno a piedi,guardalapersonadisbieco,esolo dopo alcuni chilometriHans Hinner ricorda ladimenticanza, la fine diquell’epoca lontana, l’èra delsaluto,delbraccioteso.

Appenamiopadreentrain

un villaggio bussa al portonedella chiesa o a casa delparroco. Non vuole spiegare,né il sacerdote domandaall’uomo intontito dallastanchezza. Nessuno havogliadidiscutere.Bastano igesti.Laboccasiusasoloperchiedere e ringraziare, permangiare un pezzo di pane eformaggio, un pezzetto diburro, mezza scodella dibrodo,avoltepatate.

Hans Hinner pensa difermarsi in una fattoria,ricominciare senza unpassato, moglie, figlie,Blondi, case, è l’inizio in unvillaggiosperduto,circondatodalle montagne,dall’indifferenza spaventosadella natura, che avanzainsensibile all’estinzione diepoche storiche, sposta nubidentro addensamenti piúgrandi, alternandole ai raggi

solari riflessi sulla superficiedei ruscelli. Invece ripartequasisazio,avoltesbarbato,icapelli ravviati nelle chiazzedi grigio, solo la pelle dellafaccia è piú ispessita,invecchiata per assecondarela curvatura dolente dellespalle, indossa il cappottoanche nei pomeriggi piúcaldi. Abbandona i villaggi,salutato dallo scodinzolaredei cani, lo accompagnano

fino ai limiti dei paesi. Ichilometridistradadiventanoi primi sentieri montani, piúsicuri e meno pattugliati.Riceve informazioni suipercorsi nelle locande, cheprima della guerra sonofrequentatedaturistitedeschi,austriaci,svizzerieitaliani.Ilpadrone della locandaWolfendorn estrae da unascatola accanto alla cassa unritaglio di giornale, il

necrologiodiHorstZiegel,lascritta grande in nero delnome e cognome, «SS-Mannder Leibstandarte AdolfHitler. 19 Jahren». L’osteindicailritagliodigiornaleedice,èmiofiglio.Laguerraèpersadavvero?Quilenotiziearrivano sempre dopo.Oramai credo solo a ciò chevedo, la neve sciolta sotto imiei piedi. Il padrone dellalocanda, secondo quanto

scritto sul necrologio delfiglio, si chiama WernerZiegel, è l’unico a parlare dipolitica durante il viaggio.Hans Hinner rimane insilenzio, ascolta, l’osteasciuga con lo straccio unprincipio di commozioneall’angolo destro dell’occhio.Lo sguardo dell’uomo siabbassaversoipiedidiHansHinner.Comefaacamminarecon quelle scarpe? Sono

belle,eleganti,manonvannobene qui. L’oste prende unpaio di scarpe appoggiatesottoilbancone.Tenga,sonodel mio Horst. Hans Hinnerslaccia le stringhe, si sfila lescarpe e le appoggia sulbancone.Hoilquarantaduedipiede, dice il signor Ziegel,con un po’ di carta in puntapotrebbero servirmi, ungiorno o l’altro dovremoricominciare a festeggiare

qualcosa. L’oste prepara duebicchierini, li appoggiaaccanto alle scarpe di HansHinner e del figlio. Prendeuna bottiglia sporca, una diquelle utilizzate quandofinisce la benzina. Dentrogalleggianofibredimisteriosifilamenti, ricordano leparticelledialgheinmare,laprofondità ripresa da unsubacqueo per i cinegiornali.Roba artigianale e genuina.

Allasalute.Ancora.Unaltro.Hans Hinner passa la linguasuidenti,perliberareunodeifilamenti del liquore, rimastoimpigliato. Gli brucia lostomaco vuoto. Scalzo edolente, inclina la testa peringoiare il terzo bicchiere. Èunalocandarivestitadisolidipannellidipino. Immaginidivita agreste e alpina allepareti, un paio di segni vuotisul muro sembrano orfani di

qualche quadrettonazionalsocialista finito tra lefiamme, ma rimasto appesoabbastanza per formare unatraccia sulla parete.Alla finedel bancone, accanto allacassa, uno scoiattoloimbalsamato fissa il vuotodella stanza. Hans Hinnercalza le scarpe del soldatomorto, piega le ginocchia,comprime le caviglie, iniziauna serie di spostamenti

circolari su se stesso, perverificare le scarpe, come sela morte del soldato Horstfossecausataanchedaquellecalzaturemaimesse.Quandosaluta l’oste e riparte, trovaavvisi, divieti agli ebrei sulleparetideirifugialpini.Capitadivederefruttiappesiairami,impossibilitati a cadere eormai marci per essere colti:restano in attesa del naturale

avvicendamento, del tempochepassa.

Attraversa un territoriovago, non capisce se siaGermania,Austria,Svizzeraogià Italia, l’indeterminatezzaterritoriale alpina assecondala voglia di dimenticare. Latesta indolenzita penzolaautonoma dal lavoro dimuscoli e nervi, restaattaccata al collo grazie alla

nuova abitudine, allararefazione della quota. Ècircondato dagli alpeggi, lemucchealpascoloindiscesa,bastaunanuvola improvvisa,a volte il suo semplicepassaggio, e brucano ombra.Dall’alto immagina l’attivitàfrenetica delle istituzioniattorno agli edifici pubblici,le nuovebandiere.Seguardale montagne riesce a sentireuna consolazione

malinconica,mentre l’ideadiscendere dabbasso, diritornareallavitaloavvilisce.Ilpopolo!Sessantaimperatoritedeschi, Hitler, Mussolini,bandiere, applausi, fiori nellastrozzatura del Brennero, esiamo al punto di partenza.Evita il Brennero, troppopattugliato per attraversarlo.Incontraunaserieininterrottadi boschi, prati e pascoli,deve fermarsi circondato

dallanebbiaedallenubicosífittedaoffuscarelepuntedeipiedi. Qualcuno gli offre unbicchiere di latte fresco, lecodedellemucchealpascolosembranoobbedireallostessomeccanismo delle palpebreumane. Attraversa piccolivillaggi, masi, cimiteri dovesonosepoltisoloimembridiuna stessa famiglia. Incontracascate e cunicoli, gole egioghi, improvvisi ruscelli

d’argento e tracce diminierealpine in disuso, animalispaventatidallasuapresenza.Dorme di notte accovacciatonei rifugi assieme a piccolitopi affamati, l’indomaniadagia la coperta sulla spallacome un uccelloammaestrato, non guarda piúla cartina stropicciata nellatasca destra, cimelio di unalontanissima èra politica, piúche geologica. Passo dopo

passo spariscono le rocce e ipini, la temperatura diventapiú mite e la vegetazionesubmediterranea. Meleti evigneti, la fatica delle salitesostituitadalunghisentieriinleggera discesa, laconsolazione dell’equilibriotra terra e cielo. Nellesettimaneprecedentiilcieloèdappertutto, lo accoglie nellafaticadiaverelostessopuntodi vista dei rapaci. Adesso è

piú basso, i contorni dellecose appartengono alla terra,e le nuvole stesse, benchéappaiano molto piú in alto,sono condannate alla nostrastessaprovvisorietà.

La conca di Merano è avalle, in una mattina dileggera foschia, che sidiradaa ogni passo, come la lunaresistente, nascosta dietro latrasparenza dell’ora. Ha levesciche sotto le piante dei

piedi, le unghie nereincarnite, la barba irsuta achiazze tra il viso scavato, icapelli appiccicati al cranio,doloriinognipartedelcorpo.Segueilcorsodelfiume,chegli rimanda la frescuradell’acqua tra i massi. Entranell’Elisabeth-Park, nonvuolesedersisuunapanchinaall’ombra di un albero, temedinonriuscirepiúarialzarsi.Cammina in Alessandro-

Manzoni-Straße. Se lovedessimo dalla finestra dicasa, lo scambieremmo perunodeitantivagabondisenzapassato. Sentiamo abbaiareconun’intensitàdolorosachetroverebbe consolazione inuna carezza. Basta allungarela mano, le dita. Blondi lericonosce subito. Adessopossiamodire,seimesidopo,un anno dopo, perché esisteun prima, il prima che

dobbiamo dimenticare. Tuttoavvienedopolafine.

Dorme per giorni, sisveglia solo per chiedereacqua. Mia madre loasseconda, passa un pannoumido sulla fronte. Hans, aMerano vivono i parenti diMengele. Maria, ti prego,smettila con questi cognomi.Cognomi, cognomi.Cosa c’èdimaleneicognomi?Hinner,

i cognomimandanoavanti leaziendedifamiglia,igoverni,il mondo. Non c’è niente dimale nei cognomi. Mengele,spandiletame, rimorchiribaltabili, carri foraggeri.Appenatiristabilisci,nelcasotu volessi fare l’agricoltore,sappiamo a chi rivolgerci.Gerda Bormann vive in ValPusteria, viene spesso aMerano.Pareabbiaconségliacquerelli di Hitler. Mio

padre tace. Io e Helga nonconosciamo personalmente ifiglidiBormann.Ingiardino,solo quattro anni prima, ilnostro gioco preferito è:giochiamo ai figli diBormann. Nella primaveradel 1945 quel momento nonappartieneallaStoria,maallasfera intima, l’ambito di unsogno lontano, forse maiavvenuto, come il reciprocospogliarsiinfantiletrasorelle,

alleduedipomeriggiocon ilsole,per scoprirequalcosadiprivatissimo e banale, dadimenticare.

Milionidipersoneinsiemenellepiazze,ununicorespirogridato,lalibertàènonesserepopolo dietro le transenne, èl’ottundimento della follavittoriosa che festeggia,sconosciutisiabbraccianoperil solo fatto di esistere,

sopravvissuti a se stessi, allafelicità e alla vergogna sottouna pioggia di coriandoli estelle filanti, si stringono,piangono, ridono indeboliti,sventolano le bandiere dellenazioni trionfatrici, lancianobaci all’aria portandoentrambelemaniallelabbraescagliandole al cielo,sollevano i figli piccoli sullespalle, testimoni delle loroacrobazie,l’invenzionediuna

vittoria personale inserita nelflussodellaStoria.

I fotografi dei giornaliritraggono i volti, cambianofrenetici i rulli dellemacchine,pensanodiperderequalcosa di decisivo, i piúambiziosichiedonoaimarinaidibaciare le ragazze,piúchereduci sembrano attori di unmusical a Hollywood.Cineoperatori riprendono lafolla dall’alto, puntano i

treppiedisui tettidei furgoni,i monumenti intatti – cosícomelemaceriesullosfondo– sono cartoline, le ovazionimalinconiche, non per ilpassato, ma per l’incertezzadel futuro.Resta solo un po’di presente. Altri sono glisconfitti, eppure è faticosorecitareiltrionfo,èunlavorostareallegri.Cosasaràdinoi,tra due ore?, pensano ivincitori.

PassailmondodaMerano.Criminalidiguerratedeschiedei Balcani, fascisti francesiche scriveranno libri dicucina, sudtirolesi e fascistiitaliani pronti a una nuovacarriera politica, spietaticonvalescenti, industrialiagroalimentari, padroni diindustrie siderurgiche, difabbriche grandi quantoprovince, speculatori chericiclano materiale bellico

eccedente. Soldati americaniafferrano dipinti secenteschineibagagliaidelleMercedes,usano guanti bianchi dacamerieri, basterebbe lorouna birra e un hot dog peressere felici quanto ricchevedove di guerra, ma èproibita la distribuzione o lavendita di vino e altrebevande alcoliche, lapopolazione civile devetenersi lontanadalle strade, a

eccezionedel tragittodacasaal lavoro, chi non torna allavoro è equiparato a unsabotatore, il coprifuocoinizia alle ventuno, daquell’ora in poi giranomilitari americani e le élitetransnazionali, informatori,trafficanti,exnemiciprontiadiventaregli amicipiú fidati,mercanti d’arte stringonoopere sottratte dai castellidelle alture, dove le pareti

sono foderate da arazzi diAdamoedEva,maprimachetutto il paradiso sia trafugatoespeditoallalucedelmondoreale occorre un piccolopassaggio purificatore dentrogliscantinatiumidi,unsegnodellacroce,unpaternoster,undoppiofondo di valute, lospirito del bottegaio è lospiritodel tempo, svolazzanoancoraiparacadutemilitariincieloegiàtuttoèinvenditao

sicompra,unacontrattazionecontinua, meglio conosciutacome superiore ragione diStato in rapporto alla nuovasituazione geopoliticamondiale, la democraziaitaliana ricomincia dalcommercio.

Maria, è solo un inizio,niente di piú. Non so cosafarò, di certo non potrò maipiú scrivere. Le parole

servono ad alimentare lanostra meschinità e arealizzare la volontàmanipolatrice. Dovremmoavere il coraggio dieliminarle, esprimerci soloattraverso i numeri. 1000, lanostra gioia. 150, unmercoledí mattina al grandemagazzino. Le parole sonoimprecise, invece diavvicinarci all’esattezza, ciallontananodalsignificato,si

accontentano. Tutto èpronunciato e ripetuto damilionidianni.Inumerisonolimpidezza. Le parole sonotravestimento. I numeri sonochiarezza. Le parole sonoconfusione. I numeri sono ilpresente che sono. Vogliovendere la casa di Merano,ritirare i soldi in banca,salpiamo da Genova eandiamo in Brasile o inArgentina. Hans, tu mi vuoi

seppellire in un cimiterosudamericano, io vogliomorireparlandotedesco.

Bastanopochimesi.PrimaMaria Zemmgrund camminaancora sulla Tappeinerweg,allungailbracciopercogliereun frutto e mangiaaspirandone i succhi, cosí daprovare un beneficio. Per unistante almeno, con gli occhisocchiusi, cattura qualcosa

del segreto, come fa unabestiolapreziosa.Poisisdraianel letto,dimagrita, il respirobreve, la lampada accanto alcomodino acquistata dalmarito chissà dove, la luceartificiale troppo intensa,ricordo di una sera aBockburg. Sono giornate disole,lanaturafuoristrideconl’immagine di noi, checamminiamo scalze o inpunta di piedi, per non

disturbare nostra madre, eparliamo accostandoci alleorecchie, nelle stanze dalleimpostesemichiuse.

Maria Zemmgrundnemmeno ha la forza distendere il braccio epettinarsi. I capelli, non piútinti nelle ultime settimane,rivelanounaccennodigrigioalle tempie. Per mio padre èlamogliedisempre,parechelei dorma in una matura

giovinezza impossibile dascalfire. Hans Hinnerspalanca la finestra quasiall’alba,è il3 luglio1946, laprima luce sembra proveniredallo spicchio di mondoincorniciato in quella visioneparziale,chetuttaviacontieneil movimento delle frondedell’albero, il suono degliuccelli, il rumore del Passer,che giunge dal retro dellacasa e, a seconda degli stati

d’animo,ricordaunriverberodorato, larecidivitàdelmale.Mia madre reclina la testaverso la finestra, muove lelabbra, la bocca sulla federamacchiata del cuscino, einfine dorme tranquilla.Penso agli impegni dellagiornata, le medicine dacomprare, il termometro dacontrollare, l’abitudine diavere un malato in casa,potrei continuare per molti

anni, fare pupazzi di neve,passeggiare su un sentiero,diventare adulta con miamadre sdraiata nel letto, mamio padre dice, è morta. Ciavviciniamoperesseresicure,per laprimavoltadopo tantotempomanonellamano.

Due becchiniparcheggiano davanti alnumero 188 di Alessandro-Manzoni-Straße. Appoggiano

il coperchio della bara almuro, accanto alla porta diingresso. Il coperchio,messoin verticale, sembra piúgrandeche inorizzontale.Laluce illumina la croce diacciaio, che rilascia riflessi etaglial’ombradeglialberi,sulretro del giardino, doveBlondi attende legata a untronco. I due becchinisollevano la bara vuota,rivestita da soffici cuscini

bianchi. Sbuffano sudatiquandoadagianolacoronadifiori sull’erba. I fiori dellacorona sono circondati daquelliappenanatiingiardino.

Pochi vicini di casasalgono i gradini fino allacamera della defunta, diamoun’occhiata alternando lavisione della madre mortaalla scala in discesa per noi,ma in salita per i volti

affaticati dei vicini, che siaccostano dicendo, poverasignora Hinner. Ci dànno unbuffetto,azzardanounapaccasulla spallaalnuovovedovo,fanno il segno della crocequando entrano in camera,sostano a braccia conserte,una vecchia bisbiglia lapreghieraintedesco,sfioralafronte di Maria Zemmgrundconilpalmodellamano.Miamadreènellabara,larigidità

partedai piedi, dopo il brevetragitto del corpo paredisciogliersi e liberarsi neglizigomi, che accennano unmezzo sorriso. L’illusionedura poco, basta risalire diquattrocentimetriper tornarealla realtàdellamorte, che simanifesta non tanto negliocchi chiusi, quanto nellafrontefreddaegiallognola.Èdifficile sostenere a lungo ilsilenzio, ogni preghiera,

anche la piú partecipata, sirisolve in se stessa, nel suoritmoerespiro,esubitodopola fine sembra un’esperienzalontana, inutile. Allora ivicini preferiscono tornaresulla soglia, e da lí alternanoun’occhiata al cadavere dimiamadreeunaalrestodellacasa. Spettatori respingonol’imbarazzo parlando diquantosiacaldoquestoluglioappenaincominciato.

I becchini si avvicinanocon il coperchio, mia sorellaposa un angioletto di legnosullo sterno di nostra madre,accanto al crocifisso.Rimango sorpresa dal gesto,l’angioletto custodito tra lemani. Ionon lascionulla,miangoscia pensareall’angioletto rinchiuso persempre insiemeamiamadre,immagino che, durante iltrasporto della bara,

l’angioletto sia destinato arotolare in un angolo, la suapiccola faccia schiacciata, tral’imbottituraeilfiancodimiamadre. E infatti, dopo lasaldatura definitiva deichiodi, ibecchini inclinano ilferetro per farlo scenderedallascala.

Bisognerebbe morire alpianoterra,èpiúpratico,diceunvecchioadaltavoce.

Il corpo di Maria

Zemmgrund esce dalla casadi Alessandro-Manzoni-Straße,siavviainchiesaedalí, dopo una breve funzionefunebre,alcimitero.Neimesiprecedenti la morte, miamadre dice sempre chevorrebbe essere sepolta nelcimitero militare tedesco diMerano. Non è politica,ripete, lo faccio per rispettoverso la vita di nonnoMichael.

Andiamo spesso alcimiteromilitare tedesco allafine della guerra. Io, Helga,mia madre, solo mio padrenon vuole venire. Sostiamosotto il porticato di porfidorettodallequattrocolonne,infondo spicca la grande crocechedivideimortitedeschidalcimitero militareaustroungarico,doveriposanoi caduti della Prima guerramondiale, i cognomi

germanici e sloveni, ilcimitero militareaustroungarico che a suavolta confina con il cimiteromilitare italiano.Camminiamo sulla ghiaia, ailati, le tombe sono sotto ilprato centrale, i nomi incisi,molti caduti senza nome,«Ein Deutscher Soldat». C’èanche quella di GerdaBormann, morta tre mesiprima di mia madre. Gerda

Bormann 23/10/1909 –23/4/1946.Ifigliportanofiorifreschi, lumini. Vivonosparsi,ospitidifamigliedellazona di Merano. Almeno damorta, Maria Zemmgrundvorrebbe congiungersi almondoperleiinaccessibile.Ildesiderio rimarrà tale, non èpossibileseppellirlalí,manelcimiterotedescodiMerano,aRomstraße, nella zona suddella città, circondata dalle

coltivazioni di mele. Neigiorni delle corseall’ippodromo, se il vento èfavorevole, si può ascoltarel’eco dello speaker.Camminiamo,lostessoritmo,la cadenza dei passi dietro ilcarro funebre, io alla sinistradi mio padre, Helga alladestra,mi specchio nel vetroposteriore, le nuvole riflessesulla superficie lucida,appena oltre c’è la bara, la

corona con i nostri nomi,Hans, Helga, Hilde, dentroc’è il cadavere dimiamadreconunangiolettocheavrebbepotutosalvarsi.

L’Italia sopravviveindifferente, anche nellasconfitta.C’è l’amnistiaper ireati politici, militari, HansHinner non deve temerenulla.NientepiúArgentinaoBrasile.L’Italiaèpersempre.Andiamo a Milano per due

settimane, se ci piacepotremmo organizzarci,viverelà.

Mio padre non ha ancorauna nuova automobile.Arriviamo in treno, Blondicon la museruola rimaneaccucciata nelloscompartimento per tutto ilviaggio. Ci dànno ilbenvenuto la lentezza deltreno in ingresso, l’odore dei

binari, il groviglio dei filielettrici, le grandi arcate inacciaio, la luce naturaleinsufficiente e filtrata dallatettoia, la testa di leone dellafacciata,dovesimimetizzanoi cavalli alati, i fasci littori.Un’aquila di marmo fissa iltraffico di uomini e bagaglinel piazzale. Nei giorniprecedenti la partenza,telefoniamo a vari hotel, lamaggior parte degli

albergatori rifiuta animali,chiedono sempre, almeno èun cane di piccola taglia, unbarboncino? È un pastoretedesco. Mio padre dice chelo fanno apposta, siamodiscriminati quando sentonoil suo accento e il pastoretedesco. Potresti parlare tu,Hilde, sembri un’italiana pertelefono, ma se dicibarboncino e poi davanti aBlondinonciaccolgono?Un

albergo vicino alla StazioneCentraleaccetta tutti, anche icani, abbiamo una grandestanza con tre letti allineati ela ciotola militare, acquafresca per Blondi. Nessunproblema, i tedeschimi sonosimpatici da sempre, dicel’albergatore.

Ai giardini di PortaVenezia lo svagoè l’elefanteammaestrato proveniente da

Bombay,l’animaleobbedisceagli ordini in inglese ecammina su due zampe. Lacittà è ancora segnata dacrateri, vecchie voragini diguerra sulle quali rimangonointatti i resti di edificisquarciati, pezzi di travi elegni spuntano dai mattoni,dalcemento.Dietroimuridicinta erosi si accumulanotubature, enormi ghirlande dicavi elettrici, generatori. Gli

operai arrivano a bordo dicamion, indossano abitipersonali, sembrano reclutatiall’angolo della strada eassoldati a giornata, conpicconiebadili.Allargano lebuche dell’asfalto o creanonuove cicatrici, colpiscono ilterreno, lo incolpano di tuttele forme di sfruttamentosubite, gli uominiguadagnanosolounrimbalzoisterico nei muscoli, nei

nervi.Quando la superficie ètroppodura, arrivaunmezzomeccanico, gli operai siappoggiano alle vanghe, aibadili, allacciano fognature,reti idriche ed elettriche,asfaltano nuove strade. Imuratori riparano edificidisastrati, amplianol’esistente, cercano diriempire in ogni modo ilvuoto: non vi crea ansia

sopportare l’assenza dimaterianellospazio?

Milano non è grande.Bastanounpaiodimiliardidimattoni, pieni e forati, settemilioni di quintali dicemento, tre milioni diquintali di calce, quattromilioni di quintali di ghiaia,cinquanta milioni di chili diferro, tre milioni di vetri especchi che messi unoaccanto all’altro fanno un

mare luccicante all’alba, eancoraargilla,calcare,gesso,silice, ricostruire Milanocomeesempioper lanazioneintera, allargarsi divorandounapartedisestessi,innomedelnuovotempogeologicodiplasticieprogetti,dicamion,appalti, subappalti,calcestruzzo, cemento,transazioni finanziarie,capitali milanesi, romani,vaticani e mafiosi investiti

nella rinascita di uno Statomainatoequindimaimorto,chiamiamolarazionalizzazione dellaciviltà, la massa deveabbandonare il materassocomeformadirisparmio.

Corso Buenos Aires è lavia dei negozi, questa stradadi un chilometro e mezzopiacerebbe molto a MariaZemmgrund,vipassano1542persone ognimezzora, c’è la

democrazia su entrambi imarciapiedi,maèsolomedia,lasciaapertalasperanzadiunaumento, in alcune ore egiorni sono oltre 3000persone, e noi siamo fraqueste,insiemeaBlondi.

Piazza Duomo è ilcroceviadi tram,autobus.Lestatue precipitate durante ibombardamenti sono adessoal proprio posto. I tramsvoltano in semicerchio e

fanno le scintille di ogniinizio. Due camion di ungrande magazzino lancianocaramelle e buoni sconto aibambini. Nell’angolo dellapiazza, dove inizia corsoVittorioEmanuele,ipompieriraccolgono macerie, dopo ilcrollo del palazzo dellaRinascente.Nonècolpadellebombe belliche, ma dellafuria costruttiva. Recuperatigli operaimorti, benedette le

salme, si riparte. Alla Borsadi Milano, nel parterre diPiazza Affari, gli agenti dicambio e i mediatoriattendono l’inizio dellecontrattazioni, disposti adascoltare una nuova storiacondivisa da tutti, eppureciascuno comprenderà lanarrazione in modo diversodachiglistaalfianco,anchese l’esito sarà il medesimo:accettare l’oralità di un

contratto. È il mercatogridato, gli ordini dicompravendita si fannourlando, il mercato non è unfantasma, entità astratta, èfiducia nella rarefazione deigesti, odori, brillantine,gommedamasticare,cravattee dolori di piedi nelle scarpetroppo strette, e ogni vocenon è solo esecutrice di unavendita o di un acquisto, ètestimone di qualcosa di piú

grandedelmercatostesso.LaBorsadiMilano–illuogoincuisembracontaresoltantoilnumero gigantesco e unico,formato da infiniti rivoli – èanche la responsabilità dellaparola, laparolaè tutto,ognicentesimo si muove graziealla parola affidabile. Lacompagnia delle grida siriunisce intorno al parterre,giovani e meno giovani,ciascuno pensa ogni mattina,

be’, è sempre meglio cheparlaredasoliacasapropria.Accomunatidallaparolaedaigesti a essa collegata, gliagentidiborsa,ipromotori,irappresentanti di urla siavvicinano al recinto primadelle grida, cercano diconquistare la posizionemigliore nel parterre, comequei cestisti che sotto iltabellone scuotono lo spazioallaricercadeidettagli,conla

speranza di prendere ilrimbalzo del pallone. Intornoagli agenti di borsa siavvicendano i piú giovani,poco piú che ragazzini fannola spola, consegnano ifoglietti delle compravenditedi titoli, in quelle carteminuscole c’è la trascrizionedi ogni singolo urlo edesiderio. C’è tutta la storiadell’uomo negli ultimimillenni. Componimenti

collettivi di memoria copiatada giovani amanuensi, urlaprecise che diventanogenerico rumore, brusio disottofondo. Il corpo è latrama dei segni, avanti, siinizia lagiornataconfiducia,lamanosaleapugno,versolabocca, in alto, il pollice sifrega contro l’indice, si odegigantesco il fruscio deldenaro immaginato,compriamoadesso,primache

sia tardi, il titologià sale,glialtri mimano gli stessimovimenti, sfasatidi frazionidisecondo,cheinsiemefannoun flusso, il corpo ciappartieneintero,maaderiscealla natura del mercato aframmenti di urla e gesti,chiudiamo.Vannobenetuttiititoli, il metallurgico, ilmetalmeccanico, il chimico,le costruzioni, le cartiere perstampare grattacieli di

contrattiedicambialifirmateda gente che bisogna purvestire, cosí cresce anche iltessile grazie ai preti, lesottane delle donne sonolunghe abbastanza enemmenoimpiccianolafrettadi andare ogni mattina, è ilritmo delle tapparelle, deibagniincomune,iprimitramdelturnodellesei.

Hans Hinner iscrive le

gemelle alla Scuola SvizzeradiMilano,dopouncolloquiopreliminare con il direttoredidattico. La scuola non ètroppo interessata al passato,è preoccupata del presente,del futuro radioso deglistudenti. E di che cosa sioccupa, signor Hinner?Turismo.Ottimo,siamonellanazioneideale.

Le gemelle frequentano illiceo insieme alle giovani

della borghesia milanese. Cisono tedesche, austriache,oltre alle svizzere, le lezionisono in italiano e in tedesco,le ragazze studiano il latinocomesedovessero incontrareGiulio Cesare ed èimpossibile ignorare l’inglesenel ’47.Matematica, algebra,aritmetica, chimica, biologia,fisica, filosofia, storia,musica, la ginnastica inpalestraonelcortile,ilnuoto

alla piscina di viale Tunisia.La mensa è meglio di unristorante, gli insegnantiportano le studentesse almuseo, in inverno vanno asciareinSvizzera,quest’annoè molto freddo, c’è ghiaccionel Tamigi e neve a Saint-Tropez, a Berlino la gentescaldalecaseconlepanchinedeiparchi.Malorosonosolostudentesse, è la settimanabianca in Svizzera, e quando

tornano a Milano mancamenodiuntrimestreallafinedell’anno scolastico, devonoraggiungeregliobiettivi.

Helga cerca diconvincerla, ripensaci, nonvai male, Hilde, hai tutti seiin pagella, non andare dapapà.InveceHildesiavvicinaal padre. Non possocontinuare. Cosa? La scuola.Sto perdendo tempo, il mio

unicotempo.Nonhobisognodella scuola per imparare lelingue. Chi ti insegnerà tuttoilresto?Quandosaraigranderimpiangerai questomomento. Papà, hai ragione,sono già cresciuta perrimpiangereabbastanza.

Allora lo sguardo diHansHinnersispegne,nell’ariadelgrande appartamento a PortaTicinese,dovevivono.

È un quartiere ancora

povero, i vecchi residenticonvivono con i primimeridionali che arrivano dasud.Viscorronoduecanali,ilNaviglioGrandeeilNaviglioPavese,realizzatimoltisecoliprimaperassicurareallacittàirrigazione e difesa, unintreccio fluviale efficiente,tanto da consentire ilcollegamento con il lagoMaggiore e la Svizzera anord,asudconilPoeilmare

Adriatico. I barconitrasportano sabbia, materialeedile,attraccanoallaDarsena,una piccola baia di acquasporca dentro cui sispecchiano le cime deipalazzi.

Resta solo Helga, l’unicastudentessa della ScuolaSvizzeradiMilanoadabitarea Porta Ticinese. Lecompagnediclasseabitanoin

centro. Sono figlie diavvocati, notai, medici,dirigenti d’azienda; vivonogli svaghi del ceto diappartenenza, sono clientifisse di negozid’abbigliamento dove hannoilcontoapertoedànnodeltualla proprietaria che le vedecrescere,eindossanogliabitiche – con tessuti e modellipiú infimi– saranno replicatievendutialleragazzedeiceti

sociali inferiori, felici divivere gli scarti, diabbeverarsi,diarrampicarsialgocciolio dell’obbedienza;nuotano in piscineolimpioniche private, nelcloro di acque cristallineinsieme ad animaletti digomma galleggianti, hannoun cavallo che le attende neimaneggiperiferici–attrezzaticome una Milano agrestefinto inglese–e lochiamano

per nome accarezzandogli ilmuso, baciandolo sopra lenarici; indossano bianchicompleti da tennis inprimavera, saltellano senzalasciare alcuna impronta susoffici campi di terra battuta,braveneicolpialvolo,hannoqualche problema con ildiritto, e appena finiscono digiocare parlano già d’altronegli spogliatoi, e mairievocanoicolpi,percarpirne

i segreti: quando sarannomaggiorenni guideranno lemacchine decappottabili deipadri, in Liguria lungol’Aurelia, si abbronzerannocosí.

La domenica pomeriggio,Helga esce insieme allecompagne, e dopo moltitentativi porta con sé Hilde,che ormai è vista comeun’estranea, soprattutto

quando parlano di fattiscolastici, piccole azioniquotidiane proiettate in unanarrazione mitica,indimenticabile. Le ragazzevagano nel reame del tempolibero,mangianoungelatoinpiazza Duomo; vanno aigiardinidiPortaVenezia,allozoo sono la folla festiva cheosserva tranquilla ladisperazione di orsi, tigri,leoni impazziti dentro gabbie

grandi quanto i bagni diserviziodelle studentesse,glielefanti sono obbligati aesibirsi per una nocciolina,ma è lieta la rassegnazionedelle giraffe, dovuta forse alcompromesso assegnato lorodalla natura: la possibilità diallungare il collo, due metrifuoridallarecinzione.

Una domenica di fineprimavera quasi estate, leragazze pedalano e si

avventurano versol’Idroscalo, per vivere unmezzo pomeriggio popolareintorno all’invaso artificiale,ilmaredeimilanesi.Seguonoil flusso delle altre bicicletteraffazzonate con pezzi didiversa provenienza, alcunipiúadulti inmotoGuzzio inVespa; gli adolescenti inmotorinosgasano,superanoeritornano, ronzano intorno aun profondo sentimento di

noia, camuffato da desiderioinsuperficie;almenoiragazziin bicicletta imitano le gestaradiofoniche dei campioni,gareggiano fra loro,mendicano l’occhiata diragazzesconosciute,dall’altrapartedellastrada.Pedalanoalmassimo delle loropossibilità,nella replicadellasettimana scolastica elavorativa, dominati daldemone della competizione

cronometrica, anche coloroche, comeHelga, portano unpasseggero sulla canna. Legemelle usano una solidabicicletta nera olandese.Helga sbuffa nell’orecchiodella sorella, Hilde, guardacomevannolealtre.Cicredo,Helga, non portano nessuno,ilpostogiustopermesarebbea casa, con Blondi. Non midài fastidio, dovresti solotenere le gambe piú di lato,

altrimenti toccano le miementre pedalo. Piuttosto, saicosadicono,lealtre?CosafaHilde in casa tutto il giorno?E tu rispondi niente. Helgapedala silenziosa, lei e suasorella sono sempre insieme,ma Hilde non vuole piúandare a scuola, non leinteressa attendere la finedell’anno davanti ai risultatiesposti, indicare il proprionome con un dito e scorrere

l’indiceper trovare le caselledeivoti.Hilde,tiprego,tornail prossimo ottobre, perchédopo, insomma, di cosaparliamo? Helga, noi nonparliamo mai, andiamoavanti,ègiàestate.

L’acqua dell’Idroscalorisplende come una monetapersa.Intornovisiaffannanoi sopravvissuti, a gruppi o incoppia, e qualche solitario,

che tuttavia, nella ressadomenicale, è abbastanzaprossimo ai vicini, daimmaginarsi amico. Lamaggioranza è stesa al sole,un uomo cammina scalzo, incostume sul marciapiede, hasolo le chiavi della propriaauto in mano, i previdentiparcheggiano all’ombra,contemplano le minuscoleonde domestiche dalparabrezza limpido e fresco,

giocanogorgheggiandoconlacannuccia, la linguazuccherosa di bibitaanalcolica. Hilde, chiamanole studentesse in acqua,Hilde. Tutti coloro che sonogià amollo urlano la propriagioia agli infelici della riva.All’inizio sembra solol’ombra della piattaforma dicemento, dove sostano ibagnini, invece le nuvoleprovvidenziali arrivano da

est, non piú bianche evaporose ma unte di lilla egrigio cenere, tranquilleragazze,èuntemporalechesifermerà lí, ingolferà l’Adda,la periferia dei canaletti, laprovincia di rogge senzanome ricoperted’erba.Ma legocce improvvise –impossibilitate alla coesione,alla socialità dei cirri – sonola salvezza di Hilde, cadonofitte e divise, cosí piene da

rimbalzare, da bucare lepiccole pietre della riva el’acqua stessa, gli orli dellenubi piú scuri dell’asfalto, ildissolvimento della pioggia,fino ai primi palazzi diMilano.

Le mie giornatetrascorrono veloci, facciocolazione, esco con Blondiper una lunga passeggiata,compro ilgiornalee lo leggo

sul divano mentre la signoraGiovanna – una vedova delquartiere che si occupa dellacasa–preparailpranzo,epoiHelga torna da scuola, allequattro porto fuori Blondi,alle cinque attendol’infusione del tè, guardo ilvaporesollevarsidallatazzaemi sembra di non avernemmeno vissuto ilpomeriggio,sonogiàlesei,ininverno è buio da un’ora,

ancheinprimaveraoinestatela luce delle sei non dàconsolazione,dopocenaescoancora con Blondi per ilgiretto serale, risalgo e miaddormento con un libro inmano.

Cammino al fianco diBlondi da Porta Ticinese apiazzaDuomo.Hodiciassetteanni, non sono fidanzata,nemmeno Helga è fidanzata,che io sappia. Nel quartiere

sono la tedesca. Miscambiano spesso per Helga.La stessa cosa capita a lei,cosí diventiamo una personasola, e quando ci vedonoinsieme, quasi non cicredono.MaadessosonoioenonHelgaacamminareversopiazza Duomo, di mattina.Helgaèascuola,miopadreèa Merano, passa al cimiteroda mia madre, per quantopossaservire.Poivaalmare,

sulla riviera adriatica, diceper lavoro, non chiedo nulla,accetto il fatto che il mared’autunno possa essere unlavoro.

Guardo le vetrine deinegozi in via Torino, mispecchio in quelle superficilisce, è strano vedere Blondiriflessa a Milano. Il nuovopalazzodellaRinascenteèunedificio ricostruito su portici,travi e pilastri metallici; le

gradazioni della facciata dimarmo sono punteggiate dapoche grandi finestrecircondatedacorniciincotto;nella parte superiore delpalazzo, una serie difinestrelle ricorda unriformatorio progressista. Inbasso, i muratori sistemanoglispazispogli,diventerannovetrine traboccanti. LaRinascenteriapretraunmese,poco prima delle feste

natalizie. Cercano personale,soprattuttofemminile.

Noi candidate entriamonellastanza,unapiccolaaulamagna aziendale, checonserva qualcosa discolastico, il rumore di tramfuori e denaro dentro. Cisediamo abbastanza distantile une dalle altre, nondobbiamo sbirciare dai foglivicini, per essere sicure ci

difendiamo con i gomiti, aprotezione dei segreti.Domandediculturagenerale,infondovengodadueannidiliceo alla Scuola Svizzera diMilano,lescuoleelementariemediedallesuorediMerano,e l’esordio durante il TerzoReich.

Ci fanno una prova digrafia, non perché dobbiamoscrivere, per capire qualcosadel carattere. È facile essere

assunta in Rinascente. Passola visita medica senzaproblemi. Offro le rispostegiuste e il necessariomalinteso della giovinezza.Sonominorenne,bionda, altacentosettanta centimetri, unoin piú di mia sorella. Pesocinquantaquattro chili. Portola terza di reggiseno. Seapplicassero le teorie dialcuni medici italiani sareiunaviadimezzo tra la razza

alpina e la razza adriatica,benché sia bavarese. Lacirconferenzadei fianchièdinovantaquattro centimetri,l’ampiezza della schiena è ditrentasette. Sembrano lespalle di una nuotatricedilettante.Etuttavia,anchesefossi davvero bella, nondovrei sentirmi tale. Perfinola giovinezza è bene che siadissimulata,inRinascente.Lamiagradevolenormalitàèun

fenomeno naturale, dotato diun’energia immemore. LaRinascenteeducaallacuradime stessa con moderazione,sebbene il corpo siacostrettoalla divisa, che tuttavia nonha nulla di militare, ricordasemmai la collegiale, ilcolletto sempre bianco, ilgrazioso grembiule nontroppo attillato. Potrei esserelafiglia, lasorella, lacugina,la nipote, la bambinaia di

molte clienti, potrei essere lafidanzata, la compagna dibanco, la giovane amante dimolti clienti. Sono unacommessa della Rinascente,la sommapotenziale di tutto,einveritànientediquesto.

Parlo italiano, tedesco, undiscretoinglese.Mimandanoal reparto Abbigliamentodonna. È questa la mia tanaper tutto il giorno, sonocontenta, è l’esistenza

rifiutata da mia madre, leiprovava orrore ad andare aMonaco a fare la commessa,se fosse viva non reggerebbel’organizzazione militare diun’azienda, i rapporti con icapireparto, le schermagliecon le colleghe, leapprendistepronteatuttopurdi migliorare la propriaposizione.

La Rinascente è la nuovagrandemadre.Dicedi lavare

i denti con lo spazzolino,dopopranzopotremmoavereun sorriso rovinato dallapausa in trattoria; dice dicurarelapuliziadelleunghie,di usare uno smalto scarlattoorossoangelicoperravvivarela merce stessa chetocchiamo.

L’azienda organizza corsidi dizione, le mie colleghesonoexcontadine,cameriere,casalinghe, indossatrici,

operaie, studentesse felici dilavorare alla Rinascente.Arrivano da ogni parted’Italia, vedono nellaRinascente il prestigio di unlavoro pulito, rispettato datutti grazie all’immediatezzadel marchio, al design deiluoghi moderni. Sonogratificate, fanno parte delgrandemagazzinoincentro,ècome se abitassero di fianco,in cattedrale, e non in

periferia. Lavoriamocircondate da cose, nonguadagniamo abbastanzasoldi per comprarne quantevorremmo, eppure tutto ciònon è frustrante, anzi, cieduca al denaro. Non c’èpadrone, solo piccoli capipoco piú di te, di secondamano, il grande magazzinoarriva a tutti, fagocita ognidialetto, dobbiamo imparareun italiano sorridente e

radiofonico.Quandoilclientechiede qualcosa fuoridall’assortimento standard,moltemiecolleghediventanoansiose, si sforzano, sembrache debbano tradurre leproprie parole da una linguastraniera all’italiano, fino aquando vinte cedono, e ildialetto erompe dalla divisa,disegnata a Parigi da ElsaSchiaparelli:sciura,lavabeninscí?

Per lenire l’imbarazzo,sorridiamo. Quantosorridiamo alla Rinascente!Stiriamolabocca,inarchiamole labbra per mostrare unaccennodeidenti,gliocchisirimpiccioliscono, i muscolidel viso si contraggono sulpuntodiesplodere,matuttoètrattenuto, non devo rideredavvero, lasciarmi andare.Bisogna sorridere persembrare allegre. Se non

sorridiamo la gente puòcredere che siamo depresse.Nessuno vuole comprarequalcosa da una personadepressa, tantomeno da unagiovane donna depressa. Perquesto lamerce deve sempresorridere, anche se è espostainerte.Toccaanoivivificarla.Sorridiamo. All’inizio cercodi non dimenticarmi quandosorrido. Sono orgogliosa, avolte ingenua, cosí vorrei

resistere al sorriso totale.Mentre sistemo un maglionepenso: Hilde, sorridi a casa?Sorridi quando pieghi unacamicia nella tua stanza?Helga e tuo padre ti fannosorridere? E loro sorridono?Blondi non sorride. I neonatinon sorridono. I neonati nonpotrebbero lavorare allaRinascente, se non dopo itrenta giorni di vita, quandonon sono piú neonati, e

sorriderealsoffittodallacullapuò essere davveroconveniente.

Il sorrisononva sprecato.Eppure cosí gli darei ancorapiú importanza, loglorificherei, e la Rinascenteentrerebbe in me, allora unsingolo sorriso in Rinascentesarebbe davvero un sorriso eio sorriderei per laRinascente. Invece se sorridosempre,smonto il sorriso,mi

difendo meglio. Il sorriso èuna prima persona plurale,nondicomai io,èunaformadimodestiacollettiva,spegnei sentimenti personali, anelaal benessere generale,concorda con chi afferma econ chi tace. Il sorrisopreventivo, in teoria, puòindirizzareunaconversazionecommerciale, spostare gliequilibri, anche in caso difallimento momentaneo, è

testardo, prosegue per lapropria strada in ognicondizione, è un grido didifesa e attacco, èallenamento. Il senso delsorriso è distruggere lastanchezza. Posso tenerlosospesoper sessanta secondi.Una sosta impercettibile, unasfumatura dentaria copertadal labbro, come sbattere lepalpebre, e ricomincio subitoa usare il mio strumento.

Detto cosí pare nulla, vorreivedere Helga congelata perun minuto, non qui, davantiallo specchio di casa. È ilpotere della superficie, unateorica forma di libertà dallaburocrazia,mapropriodiessaè invece espressione, è ilprezzo stabilito dall’ufficioacquisti e, dopo una serie dipassaggi tra un livello el’altro, è il prezzo esposto:davanti alla cifra si tace,

commessa e cliente,impossibile contrattare, nonc’è sconto, se non quellodeciso dall’ufficio acquisti inaccordo con la direzionecommerciale, ed è lo scontodato a tutti. Il sorriso èl’elemento unificatore tral’intimità del consumopersonale, l’abitudine delcorpo e la produzione inserie. È il piano di sviluppoindustriale, la fisicità del

fenomeno, di chi riesce aimmaginare un abito permolti, quasi per tutti, eppureil sorriso non si rivolge maialla folla generica, alpubblico anonimo, masempre a quel potenzialesingolo cliente che –trasportato rigido sulla scalamobile – si trova isolatodentro la folla.Parlaa techeguardi,èlatuavoceinterioreproiettata,tuoèilsorrisoche

sogni.Allora la continuità diunsorrisoè ringhio interiore.Identisonopiúdiunamoinacommerciale o iltravestimento della cortesiastereotipata, l’essenza dellatradizionemilanese.

Qui lavorano le piú belleragazzedella città.L’aziendacimandadalparrucchiereunavolta alla settimana – adiciassetteannisonopettinatacomeunasignora–ecicura

le unghie. Siamo tuttegiovani, alcune di noi noncercano solo clienti, tastanogli oggetti per assumerne ilmedesimo splendore:sorridono,unsorrisospintoatal punto da essere incompetizioneconlamerce,lafotosintesi, il movimento deipianeti.

A volte ottengono l’arrivodell’amore in Rinascente.Leggono speranzose gli

oroscopi, calcolanol’ascendente, sognano imovimenti dei pianeti fuoridaireparti,ipossibiliincroci.L’uomo sagittario vad’accordoconladonnaleone.Se non è scienza, è almenostatistica. Le commesseconfidano in una doppiafatalità. Il destino è aspettareunuomoche siapadronedelproprio tempo. L’uomo devearrivarenelgiornogiusto.Né

prima né dopo. Se entraprima non va bene. Lacommessaè inunangolodelreparto,piegamaglioni,halespalle girate. Lui sceglieun’altra. Cosa se ne fa,l’uomo,laprimavolta,diunanuca, di un paio di scapole?Vuole vedere un sorriso.Anche se entra dopo non vabene. Lui sceglie un’altra,capisce che la commessa inattesaèloscartodiuncliente.

Certo, pure la commessaprescelta è lo scarto diqualcun altro, ma lui prendeciòcheconsidera suogiàdalprimo sguardo. Quando unacosa è tua, pensi solo alpresente,nonalpassato.Selacommessaesclusaèancoralí,cosí disperatamentedisponibile, è probabile cheabbia già troppo passato enessun futuro. L’uomo deveentrare nel momento

decisivo, quando lacommessa attende sorridenteproprio lui cosí sicuro di sé,che ha il portafoglio nellatasca sinistra della giacca esfiora le cose esposte.Rivolge la parola alla suacommessa. La richiesta diun’informazione sul prodottodiventa una battuta cordiale.Una battuta cordiale diventaun sottinteso. Un sottintesodiventauninvitoesplicito.La

commessa si chiede se, peruna volta, l’oroscopo abbiadavvero ragione: oggi, apagina quaranta, è unagiornatafortunata.

Le mie colleghe sichiamano Emilia, Eleonora,Francesca,Albertina,inveritàAlbertinastaalCasalinghi,laconsideriamo una di noiperchéviveinsiemeallealtretre. Hanno tutte poco piú di

vent’anni, dividono le stanzedi un appartamento in viaSolari. La padrona di casa èunavedovadiguerra,nonhapiú nemmeno il figlio.Frettolose e strette neicappotti o nei soprabiti – dacuispuntanopartididivisa–dilaghiamo da corso VittorioEmanuelenellestradelaterali,per andare in trattoria.Durante la pausa pranzodiscutiamononsolodilavoro

aspettando la minestra o ilrisotto, parliamo dei film edei giornali, della vita ingenerale:lapadronadicasaelamorte delmarito, di comelafotodell’uomo–illuminatadalla debole luce di unlumino – sia l’ossessione perEmilia, che fissa il piccolochiarore ogni sera e nonriesce a dormire. Il lumino,per quanto fioco, le sembraavvampare il volto

dell’uomo, la parete intera.Emilia riconoscerebbe il visoanchealbuio, i baffi, il nasoaguzzo,lafronteampiachesiapre sulla calvizie, lamontaturaneradegliocchiali,la camicia inamidata dallemani della signora Teresa.Devo dirle di togliermi ilmarito,nonvogliopagareperilsuodolore.Emiliatemechelo sguardo del defunto possaprecipitare e incendiare

l’appartamento. Sono sempresveglia a quell’ora, diceFrancesca, che dormenell’altra stanza, spengo iol’incendio. Per Albertina illumino e la fotografia delmortosonounaconsolazione,i leggeri scostamenti dellaluce la cullano prima didormire,megliodiunaninnananna. Piuttosto, dice, miangoscia la morte del figlio,non sapere nulla, nessuna

immagine,nientediniente:sefosse un’invenzione dellasignora Teresa pergiustificare la propriasolitudine? Ma certo, Tina,diceEmilia,eanchesefosse?Morire di un motivomisterioso, cosa importa se èmorto per finta o di cuore,moriamo perché dobbiamomorire,dall’inizio.

Invitoapranzolecolleghe

di domenica. Per la primavolta cucino gli spaghetti alpomodoro, come un’italiana.Helga è fuori con lecompagne di classe. Lecolleghe fanno i complimentiper la casa, i mobili, gliarmadi, eh, però, capitol’Hilde?Robaanchepiúbelladella Rinascente. Scosto letendedellefinestre,entraunaluce smorta,nientecumulidinuvole bianche o cirri

filamentosi che lascianointuire l’esistenza del ventoalmeno in quota. Il cielo diMilano, anche di domenica,rifiuta il coloredell’ottimismo, in fondo èonesto,comprimeedicesolo,andate avanti. Tranquille,Blondièbuona,nonfanulla.

Parliamo di viaggi lontanie nuove vite, è il ritmo asopraffarci,nonsappiamopiúnemmeno quale sia l’innesco

e chi comincia a dire cosa,sarebbe bello fare lacommessa a New York,dentro un grattacielod’America,primaopoigiuro,prendolapellicciadilapindimia nonnamorta, salgo sullanave e vado in mezzo almovimentovero,nonMilano.Ma dài, volare miinfastidisce, non usonemmeno l’ascensore dellaRinascente. A me invece

basta il caos che ho, e poisecondo te, se vado a NewYork, faccio lacommessa?Ecosa c’è di male? Niente,però un conto è fare lacommessa alla Rinascente,cheèunasecondacasa,altroè farla a New York, servireper servire, allora resto qua.Oh, senti, non cominciamocon la politica. Cosa c’entralapolitica?Nonmifacciopiúillusioni,parlocosí, tantoper

dire. Tu ti preoccupi degliaffari della Rinascente comesefosseroituoi.Eallora?Èilvivere l’azienda. Infatti iovorrei abitare davvero dentrolaRinascente,anchedinotte,il reparto è meglio dellastanza ammobiliata, se passotutte quelle ore chiusa inRinascente, saranno ancheaffarimiei,ono?E lochiedia me? Saprai già dare unarisposta tua. Certo, a me

interessa,mi riguarda se nonvendo,sonodelusa,nontantoper laRinascente,quantoperl’orgoglio, con me stessa.Ragazze,dài,stiamobene.Intrasferta è una soddisfazioneandare al ristorante dopo ilturno, paga tutto l’azienda,anchel’hoteloilcapricciodiun taxi quando piove dopocena. Tu fai carriera,l’italiano, l’inglese, con iltedesco che sai potresti

lavorare nella sede diBolzano, telefonare all’esterotoccando il filo e la cornettadiunufficiotuttotuo.Be’,sidà troppa importanza allelingue, non capisco tuttaquesta ammirazione, sapernetreoquattroaiuta,masenonsi ha nulla da dire nellapropria lingua, crediate chetriplicare giovi a qualcosa?Triplica il niente. Intantotriplica.Cosa,nonimporta.

Sediventicaporepartononsaipiúchecosasiauncliente,tisistemi,mettiglialtritrateeilmondo.Peròquandovaiacasa ragioni ancora dacaporeparto, al mercatoragioni da caporeparto, alcinema ragioni dacaporeparto,rimproverii tuoifiglieragionidacaporeparto,non so, bisognerebbechiedere a Silvana, saperecome va con il marito, lui è

uncustode,eseleisiportaacasa il vizio del comando?Matuopadre,Hilde,nonc’è?Dov’è?Almare.Almare?Ea fare cosa, con il brutto?Almareèbello,èbruttoqui.

Quando entra in casaHelga ci ammutoliamo, laforchetta sospesa sulla pianasterminata di spaghetti.Lei èmia sorella. Ma siete…?Gemelle, dice Helga. Èproprio uguale a te, Hilde.

PotrebbelavorarealpostotuoallaRinascente.

E insieme ancora fuori, lospiritodicorpoaziendale.LaRinascente organizza attivitàdopolavoristiche, le stesseiniziate durante il fascismo epervenute intatte in questianni italiani:gitedomenicali,concerti, spettacoli teatrali,serate danzanti. Consumo unpaio di scarpe ogni tre mesi

per ballare,mi sorprendo neldire frasi come: vado aballare con le mie colleghe.Andiamo nei dancing dalleinsegne blu ceruleo, losplendore artificiale dellasera, vediamo sedondolandosi la prospettivacambia,maadesso,allenovedi mattina nel reparto, nonesiste il tempo, lo spazio èsospeso, nessuna importanzaper le strade, le targhe di

commemorazione, i quartieri,le case, esiste solo il reparto,eppure arriva sempre la finedel turno, della settimanalavorativa, il rapidoavvicendamento di stagioni eanni travestiti da collezioniautunno-inverno,primaveraestate. Vogliamodivertircisoprattuttoilsabato,tanto non abbiamo ancorafigli, e anche se li avessimo,la Rinascente pensa a tutto,

ancheallecolonieestiveperibimbi. Molti dicono, chenoia, uno Stato, un partito,un’azienda chepensa a tutto,cosí non c’è piú libertà discelta. Ma tra una cosa chepensaa tutto, eunacosachepensa a niente, non èmegliolaprima?

Vado in bicicletta, sullacanna, pedala Fausto,commesso nel reparto

Abbigliamento uomo. Lovedoquandoarrivoalmattinoedègià al lavoro, sistema lecamicie, le mani fanno ilnodo alla cravatta in unsecondo. All’inizio sullacanna della bicicletta non socosa dire, sento che pedalabene, senza sforzo, come senon esistessi.Nell’Abbigliamentouomomitrovo, direi bene, non possodiremale,Hilde,cosavuoi,il

lavoro è il lavoro, ilproblema, piú del lavoro, èquello che viene prima edopo,cheègiàlavoro:alzarsidimattina, nella stanza con ifratelli piú piccoli di me,studianoallemedie,dormonoancora, mi sciacquo e mettola camicia, i pantalonipreparati sulla sedia accantoal lettodalla seraprecedente,son contento, eh, ma a volteviene la nausea a buttare giú

illatteconungocciodicaffè,nonècolpadimiamadrecheaspetta inpiedi, saluta edicesempre, stai attento, a cosa,poi,amiopadremorto,forse,non è colpa di nessuno seesco e sento abbaiare i caninella corte di fianco, prendola corriera ai margini deicampi, puzzano, sarà lavicinanza dell’industria, lachimica che usano, non so,eppure in inverno è bello

quando è buio fuori, sullacorriera mi riaddormentoilluminato dalle lampadinebianche, i vetri appannati,basta quel calore, sempremeglio dell’estate, tuttaquesta luce come adesso, ètroppo caldo fin dal mattinopresto, anche con i finestriniaperti, o in bici. Ma te,piuttosto, Hilde: è vero chesei tedesca?Voglio dire, unadi quelle tedesche là? Eh,

quali, quali. No, ferma, sivede che nonmi conosci.Lapoliticamiinteressasolosecifa vivere tranquilli, a me eallamiafamiglia,ovviamenteancheall’azienda,eatuttiglialtri, se avanza. Mi togli lafamiglia, cosa faccio? LaRinascente un giorno c’è edomani pure, ma senza lafamiglia?Iol’hoancoraquasitutta intera, nonostante laguerra,miopadrenonc’èpiú

per il bere, non per altro.Vorrei farne una tutta mia,moglie, figli, e tu? Io alcontrario ci penso. Hilde, èsolounesempio,no?Adessomi fidanzo subito con te, tumi dici sí, è bello. Inveceipotesi sto zitto, non stiamoinsieme, divento caporepartodomani. Sarebbe un’altracosa se te lo chiedo solodopo,dacapo,nonèbelloseaccetti.Nonèbellopermee

nemmenoper te.Sembrachedici sí solo perché sono ilcapo, non perché ti piaccio emi vuoi bene. Loraccomandano sempre nelleaziende, e hanno ragione.Nessunrapportosentimentaletra capi e commesse, almenoufficialmente, soprattutto conle apprendiste o aiutocommesse, dopo le donnevogliono essere trattate dasignore, come faccio a dire,

svelta,spostamiloscaffaledimagliette,aunaconlaquale,laseraprima,ecco,insomma.Èdifficilesempre,ancheseètuamoglie,acasalofasenzachetulodebbadire,allavoroèdiverso,ecosírischituttolostesso, lei si allena a unnuovo modo di pensare, tiporti la Rinascente in casa,salta il matrimonio, i figli, ilreparto, la Rinascente intera,ti devi licenziare, oppure si

licenzia lei, è un peccato, iosto bene qui, vedo le coppienelnostrograndemagazzino,Hilde, immagino sia bellopasseggiare tra i reparti,amore èmano nellamano inRinascente.

Gli altri pedalano piú infretta, sono avanti a noi diqualchemetro,stranecreaturea due ruote, pedalano duegambe, una schiena, unatesta,un’altratestavicinoalla

spalla sinistra di chi pedala,ancora due gambe, chepenzolano di lato e sfioranol’asfaltonel sole, io eFaustosiamo cosí visti da lontano,orataceeglipiombaaddossolasolitudinedellesueparole,appoggia la fronte quasi aimiei capelli, si accosta alcollo, voglio dire, Hilde, mipiaci,èsolounesempio.

C’èsempreunmomentoin

cuiviveresignificacomprare.Lo suggerisce un valore, unacifra che è inquietudine eattrattiva,l’iniziodiqualcosa.

Nel1949lapercentualedituristi tedeschi in Italia èprossima allo zero per centodel totale. È un datointeressanteperHansHinner.Lo0,5percentoèpursempreun numero. Le migrazionidelle tribú germanichecominciano tre secoli prima

di Cristo. Sangue e suoloresta ciò che è per lamaggioranza: soltanto unimbarazzante sloganpubblicitario del passato. Ilpresente è la possibilità dimovimento in rapporto alladiversa capacità di spesa. Ilconsumo medio annuo dicarne è indice di benessere.«Non appena potrannomangiaredinuovoasazietà,itedeschi ricominceranno a

viaggiare ancora piú diprima». Carl Degener fondal’agenzia turistica Touropanel 1948. Organizza ilviaggio di un treno speciale,nel Natale dello stesso anno.Partenza daAmburgo, arrivoa Ruhpolding, villaggiobavarese al confine conl’Austria. «Scommettiamodieci bottiglie di champagneche entro cinque anni leagenzie di viaggio tedesche

avranno almenocinquecentomilaclienti?»

Hans Hinner parte daMilanoconlasuanuovaauto,il Maggiolino acquistato inuna concessionaria milanese.Auto tedesca e targa italiana:combinazione perfetta.Ricorda la prima volta, ilpieno di benzina alla OpelOlympia targata Monaco, lacorsa in autostrada, Hilde

appoggiata con l’orecchio alsedile posteriore, per captarele minuzie dei granidell’asfalto. Una voce ripete,Hans, siamo sempre eovunque, l’autostrada è lanostra vittoria, se abbiamodavvero perso l’onore dellazolla, abbiamo conquistatol’asfaltoper sempre, ènostropadre, separa l’uomo dalsuolo.

In Italia l’autostrada in

direzionemare non esiste. Siaccontentadella statale,dellavia Emilia. Ha quarantunoanni, i capelli neri brizzolatisulletempie,lemanichedellacamiciaspuntanodallagiaccainsiemeall’orologioalpolso,che indica un orario vago,adattabile a qualsiasisituazione e interlocutore,senza piú quella necessità diassolutismo cosí caro alrecentepassato,chespingeva

sempre piú in là la soglia,tanto che la soglia pereccellenza, la morte, eraormai svilita, ridotta a ungesto quotidiano collettivo,morire era un lavoretto, unamansione. Adesso il popolovuole divertirsi, diventaregente,HansHinnerèprontoaservire il nuovo sentimento.Per ciò che è stato possiamofinalmente usare il passato.Anche da giornalista – pensa

di se stessomentre guarda ilpaesaggio piatto e monotonodi cascine e campanili – erosolo un venditore, suggerivodiscorsi a funzionariprovinciali,ipiccoliburocratiriempivano un tendone, unapiazzetta di paese comestrilloni di fiere, avanti,signore, guardate la bellezzadiquestocorredodilenzuola!Hans Hinner vendeva inveceparole,scritteeorali, tornava

a casa da Monaco, alla vitaabituale della villetta diKirschenstraße, era solo inautostrada con i propri occhiassuefatti al manto notturno,seguiva ipnotizzato le lineebianche delle corsie, i rarifanali posteriori, mentre ailati sfuocavano le luci dellecase rurali, gli occhi verdifosforescenti di animaliimprecisati, in attesa diattraversare.

Era nato aBockburg, lí siera sposato con una donnanata nello stesso posto, aBockburg erano nate legemelle, la vita sembrava unaccrescimento continuo,lineare, in nome dellacomunità, dei riti. I genitorisarebbero morti di vecchiaianei loro letti. Hans Hinneravrebbe ascoltato la predicadel parroco giocherellandocon la fede nuziale. A

Bockburg avrebbero vissutopersempre,acquistatolacasapiúbelladellacittadinaeduecase alle gemelle, chesarebbero diventate grandi,rendendo lui e Maria nonni.Ma le storie della cittadinaavevanopersovaloreduranteil Terzo Reich, le personevivevano come se gliaccadimenti e i pettegolezzidi Bockburg – susseguirsi distagioni, nascite e morti,

tradimenti coniugali, litifamiliari sulle eredità – nonavessero piú alcunaimportanza, davantiall’opportunità di parteciparealla Storia. La quotidianitàera fagocitata da qualcosa ditotalizzante, che azzeravatutto e svuotava il sensostessodeiluoghi.Nonpotevadurare troppo a lungo. HansHinner–all’altezzadiParma,mentre sorpassa un camion

chetrasportasuinialmacello–ripeteasestesso,sonostatosolo questo, una piccolarotella dell’infinitamanovalanza, che vive errorie giorni come un compito acuiobbedire,edopoognifinesi ricicla, ed è bene, sevogliamo proseguire, seproprio la vita devecontinuare.

Per la prima volta è sulla

riviera adriatica italiana. Laborghesia piemontese,lombarda ed emilianafrequenta Rimini e Riccioneneimesi estivi. La borghesiadel Nord è composta daitaliani patiti della necrofilia.SfilanoinautodavantiaVillaMussolini, santificano ildittatore, o almeno, il corpospensierato e vacanziero incui identificarsi ancora,l’uomochesicambiavanella

cabina circondata dacarabinieri a protezione efaceva il bagno sorvegliatodalla moglie orgogliosa diavereunmaritoconlebracciasporchedi rossetto,dopochealcune ragazze baciavano gliarti del dittatore a riva.HansHinner accelera, imbocca lastradastataleAdriatica,risalediunaventinadichilometrianord, passa Cesenatico, lacampagnaegliedificiruralia

sinistra, la pineta a destrasuggerisceancoralaspiaggia.Abbassa il finestrino perricevere meglio l’odore delmare dentro l’abitacolo.Attraversa Cervia, unacittadina poco piú estesa diBockburg. Cervia ha lastazioneferroviaria, incentronon può mancare una piazzaGaribaldi, il palazzo delmunicipio, una fontana, iportici, i tavolini dei bar, la

piazzadelmercato,iconventideidiversiordinidifrati,unamezza dozzina di chiese e ilduomo di scuola romana, isegnideltempofondatosullesaline intorno al nucleofortificato dalle mura.Appena fuori si estendono icampi, un tempo incoltipaludosi, ristagni di areeinsalubri, ricettacoli dizanzare emalaria, campi poidissodati e bonificati

attraverso il lavoro digenerazioni, per strapparefrutti alla terra. Tra i fruttetispiccano case incerte setrasformarsi in sempliciresidenzeconortisulretro.Èl’unica forma di mobilitàconcessa alla campagna, cosínoiosa e relegata alle catenedellestagioni.Certo,ancheilmare ha le sue leggicommerciali, labassae l’altastagione,ma almeno lí c’è il

presentimento del brulichio,dello spirito d’impresaindividuale, una mobilitàassente nei margini di questicampi,dovecisonolesaline.Alcuni canali collegano lesaline al mare e attraversanoCervia. Sulle sponde sonoedificatelecasedeipescatoriche attraccano le loroimbarcazioni lungo il porto,vicino al faro. Si ricominciadalmare.

Hans Hinner percorre unarotatoria, supera il piccoloponte che conduce in vialeMatteotti, a MilanoMarittima,frazionediCervia.Pini e ginepri sopravvivonoagli abbattimentiottocenteschi, alla vendita diterreni demaniali, allaprivatizzazione dello spazio,ai villini liberty degli anniVenti e Trenta, quandoMilano Marittima – dopo la

fondazione del 1912, volutada una società privata diinvestitorimilanesi – diventauna località turistica,mediazione tra città ecampagna,teoricoparadisodiservizi cittadini innestati nelrimpianto agreste, conl’aggiunta del mare. AMilanoMarittima la natura èdocile, addomesticata algodimento privato,all’utilizzoguidatodauomini

per altri uomini. I graziosivillini liberty punteggiano lapineta con le loro misurestandard, composte da unsalone,unacameradapranzo,quattro camere da letto e unbagno; villini a voltetrasformati in castellettineogotici con torrette chedànno al luogo intero unasensazioneinfantile,comeunpomeriggio d’autunnotrascorso ad ascoltare una

fiaba attraversata da calessi.Hans Hinner parcheggia ilMaggiolino lungo il latodestro di vialeMatteotti. Gliaghi di pino precipitano sulparabrezza, hanno un ultimosussulto prima di depositarsivicino al tergicristallo. Unoscoiattoloattraversalastrada,si rifugia nel giardino di unacasa disabitata. Hans Hinnercammina aspirando l’aria dimare, Milano Marittima

sembraunluogoancorapocoesplorato, vede solo un paiodi alberghi, con piccolepiscine vuote, il fondo e lepareti scrostate. I villinilibertyesprimono imedesimivalori deimanifestimeranesidiLenhart: luoghi asportabiliovunque,astrazionedi tempoe spazio, appena scalfitadall’andirivieni delle onde, èla fruizione della bellezza su

misura: abbiamo bisogno diquesto.

La spiaggia è deserta,come in ogni autunno einverno, ma non ostile eminacciosa. È un mare inapparenzamoderato, fiaccoeospitale, le onde giungonomansuete, sembra nonappartengano nemmenoall’acqua, quasi chel’Adriatico fosse un pigro e

domenicale lago lombardo,con l’aggiunta dei beneficimarini. L’acqua cerca senzaconvinzione la riconquistadella sabbia, dei litoralisottrattidall’uomoper imesiestivi.Laspiaggiaèinnervatadabassedune,piccoliarbusticedono lo spazio agli ultimipini.Glistabilimentibalnearicontinuano la loro esistenza,ora muta, come quella deglihotel aperti dall’inizio di

aprile alla fine di ottobre.Lescarpe affondano nellasabbia, sotto le suolescricchiolano gruppi digranchi morti e sfattidall’aria, accanto a piccolipesci grigi ancora radiosidurante il trapasso. HansHinner è felice di essere aterra e non innalzato su unridicolo scoglio in posizionedominante. L’Adriaticod’autunno è ancora lo

spicchio orientale delMediterraneo, luogo ditraffici e passaggi, di cittàmarinare decadute perchéincapaci di accettare ildeclinoprovenientedalmare,dalle leggi di sopravvivenzadel piú abile a adattarsi, finoai relitti di guerra sepoltiappena sotto lo sguardo. Sefossel’uomodipochiannifa,ostinato nelle sueconvinzioni, investirebbe se

stesso del ruolo di sentinellasolitaria, sentirebbe quelposto come il confine tral’Ovest e l’Est. La sabbiacomunista è a centochilometri, appena oltre ifumi dell’orizzonte, ma ladozzinadianni trascorsanonèstatasoltantoiltempodellagiovinezza, dell’abominio,dell’avventura vacua etragica. Quel tempo haaccelerato i cambiamenti

dellavitaeora ilmarenonèsolo la smania di uninvestimento immobiliare, èanche davvero mare, e unpeschereccio apre un varco,circondatodaldisordinedelleacquelottaperricomporreunsenso, correnti inattese,inesauribili maree e modestiabissi abitati da pesci, libericome tutti noi, entro i limitiimposti–oltrechedalleleggi

di natura – dalle leggi disopraffazionedell’uomo.

Alle due e trenta di unpomeriggio d’autunno, acentinaia di chilometri dallatomba di sua moglie e dallacasa milanese, Hans Hinnerlambisce a ritroso le cabinecorrose d’acqua e sole, eappena oltre le dune e lasabbiasorge–incastonatotrapochipini–unedificioadue

piani, che ricorda alcunetipiche costruzioni ruraliromagnole. Un cartello dilegno è affisso al tronco diuno dei pini del giardinoprivato: «Vendesi pensione,perinformazionitelefonarealnumero». Calligrafia incerta,sbuffi di vernice neratracciata con un pennello.L’erbadelgiardinoè incolta,dialtezzairregolare,cresciutaanchetralepiastrellerottedel

patio,doveriposanodecinedipigne rotolate là sotto.Nell’angolo del giardino, c’èun tavolo da ping-pong dicemento, e accantoun’uccellieraarrugginita.Unadelle imposte di legno sbattesul retro, cigola appena ilvento la smuove. Nessunainsegna celebra il recentepassatodellapensione,unadiquelle insegne chemanifestanoildeclinofisicoe

verbale,quandoalcuneletteresistaccanocondannandoaunnuovo alfabeto la parolacommerciale monca. HansHinner scrive il numero ditelefono sulla sua piccolaagenda. Guida verso Cervia,attraversa il ponte eparcheggia in piazzaGaribaldi. Entra in un bar etelefonaalnumero.Rispondeuna voce tranquilla,giovanile,deveessereilfiglio

o un erede del vecchioproprietario. L’uomodall’altro capo del telefonodice che è possibile vederel’edificiolamattinaseguente.Va bene, non ho fretta, michiamo Hinner. Inn? No,Hinner,conlahdihotel.

Alloggia da una dellepoche affittacamere cheoffrono ancora un letto nelperiodo autunnale e

invernale. La donna,un’anzianacheparlaa stentol’italiano, lo guardasospettosa,soprattuttoappenaintuisce l’accento straniero.Lui le allunga la carta diidentità del Comune diMilano.

Cammina sotto i porticidel palazzo municipale.Avvolta nell’umiditànebbiosa da camposantosettentrionale, la piazza è

quasi deserta, la attraversanorare biciclette condotte dauomini ingobbiti, che leappoggiano ai muri delporticato, per bere qualcosaneibar.HansHinnerentra inuna trattoria,ordinaunpiattodi tagliatelle al ragú e unquartodivinorosso.

Alcuniavventori, residentistagionali, sembranoconsapevoli della lorodecisione: prolungare la fine

dell’estateoltrel’autunno,persfidare la naturale tristezzadell’avvicendamento.Eppure,habitué o avventori dipassaggio, hanno le stessefacce diffidenti, quasiimpaurite. Hans Hinner nonsa se stia facendo la cosagiusta. Comprare un albergodaristrutturare.Perlavorareevivere in un posto di cuiconoscesoloilnome:MilanoMarittima. La zona

dell’albergo è attraente. ACervia arriva la ferrovia. Laprevisioneperiprossimianniè buona. Certo, adesso sivedonosolo fogliemortee ilmare grigio appena oltre ilcemento. Cinque mesi fa,all’inizio della stagioneturistica, sarebbe statosemplice scegliere. Il maredocile e i riflessi dorati digiorno o d’argento di notte.L’euforiadelleautocarichedi

bagagli epromesse,gli arrividei treni in stazione, lapigrizia delle lancettenell’orologio tondodella salad’attesa. Le bagnanti stese alsole lungo la riva e le gridadei bambini presi nei lorogiochi sempre nuovi. Lacoesistenza dimondi lontani,le barche dei pescatori equelle dei turisti, unite dalsolcare la medesima acqua.L’ombradeipinioquellapiú

internadeipioppi, aimarginidellacampagna,traicasolari.Le corse a ritroso lungo icanali che sfocianonelmare.Hans Hinner chiede di usareil telefono. Compone ilnumero con la speranza dipoter contare sulle propriefiglie.RispondeHelga.HildeèfuoriconBlondi.

Parcheggia il Maggiolinodavanti alla pensione e

attende sul marciapiede, lemani infilate nelle tasche delcappotto. Viale Matteotti èdeserto. Tra le cime dei pinispiccanolegrandicostruzionidelle colonie fasciste, cheingombrano lo spazio ancheinverticale.Giungeunuomodi venticinque anni, inbicicletta.Èlei ilsignorInn?Sí, sono io, sono Hinner.Piacere, mi chiamo Vitali.L’uomo apre il cancello con

una pesante chiavearrugginita. Questa pensioneera di mio padre, adesso èmia, lui è morto e sonorimasto solo con mia madre.È impegnativa, non è unaroba da mandare avanti indue. Vendiamo solo perquesto motivo. Ecco, laresepsiò per la registrazionedeiclienti.Líc’èilsoggiornocomune. Il salottino. Lospaziopercolazione,pranzoe

cena. Dietro quella porta c’èlacucina.Dallatooppostoalsoggiorno, il corridoioconduce alle camere. Sonoquattro. Aspetti, apro leimposte. Belle grandi, eh?Potrebbero diventare ildoppio, basta restringerle.Visto che luce? S’immaginid’estate. Sopra ce ne sonoaltre sei. Dieci stanze intotale. In ogni camerapossono dormire quattro

persone. Quando erobambino, stavamo bene,stagionibellissime,cinquantaclienti, tutto esaurito. Miamadre e mia nonnacucinavano. Se c’è un po’ didisordineèperchémiopadreè morto cinque anni fa.Abbiamo chiuso per capirecosa fare. Subito dopo laguerra ci hanno requisitol’albergo per alcuni mesi.Non lo nego: gli sfollati

hannorovinatoiletti,ibagni,gliinfissi.

Se fosse stato vivo, miopadre non l’avrebbepermesso.Ilrestoèinordine.Basta una rinfrescata divernice bianca. Questo è ungioiello, non ce ne sonoalberghicosí.

Quasi commosso daitentativi commerciali delragazzo,HansHinnerchiede,come si chiamava, prima, la

pensione? Non ho vistonessunainsegna.

Si chiamava AlbergoVitali. Ovviamente puòcambiarlo. Uno sceglie ilnomechevuole.Credechelepossa interessare, il nostrohotel?Noinonabbiamofrettanella vendita, però leconsigliodicomprareadesso,èunbuonperiodo.

VitaliportaHansHinnera

casa sua. Vive insieme allamadre e alla nonna, in unappartamento nel centro diCervia. La luce muta sullepareti di casa, illumina gliuccelli della carta da parati.Hans Hinner sa che ognicambio di luce nella stanzainfluenza l’esito dellatrattativa,sbilanciandooraluiora la controparte. SignoraVitali, suo figlio ha ragionequando dice che questo è un

buonmomentopercomprare,ma non per i motivi che luisostiene.Nonconoscoiricavigeneratineglianniprecedentila guerra. Siamo a metàautunno, se voglio aprire –appena in tempo – per laprossima stagione turisticadevo acquistare adesso, cisono moltissimi lavori dafare. Esterni e interni.L’intonaco.Gliinfissi.Ivetridelle finestre. I letti delle

camere. La cucina. Ipavimenti. L’impiantoelettrico. L’impianto diriscaldamento. I tubidell’acqua. E bisognaverificare anche il tetto. Letegole. Se ci sono perdite.Infiltrazioni. La cosa piú inordine, nonostante le erbaccee le piastrelle rotte, è ilgiardino. La cifra richiestanon è eccessiva: è fuori daogni logica. Dovete tenere

conto di questi lavori.Dureranno alcuni mesi. Ioposso offrire ciò che vi hodetto. Altrimenti non c’èproblema. Sembrate bravepersone, ma la rivieraadriatica romagnola è lungacentochilometri.

Steso sul materassosfondato dell’affittacamere,Hans Hinner ripensa a sestesso nella trattativa. Gli si

aggrovigliano nella testaimmagini di pini, scoiattoli,ipotesi di turisti italiani incanottiera,sabbiacaldasottoipiedi, stivali militari,Bockburg, frammenti dellavocedisuamoglie,tastidellamacchina da scrivere. Forsedovrebbe occuparsid’immobili piú che diturismo. Quando vende ocompra casenonpensapiú anulla.Recitaallaperfezioneil

ruolo, chiuso nelle mura inquestione o intorno a esse.Èfuori dal tempo reale,immerso nellarappresentazione dellatrattativa. Non è nemmenounaquestionedisoldi.Certo,vuoleprevaleresull’altro,manon ha niente a che vederecon la sopraffazionelinguistica. Se parlassero dipolitica, non inizierebbenemmeno il discorso. Adora

contrattare perché l’esito diquelle schermaglie sarà ilprezzo finale, un numero, lasuacifra.

Coordina i lavori diristrutturazione. Muratori,idraulici, elettricisti,imbianchini, piastrellisti,falegnami. Gli operai e gliartigiani sono felici ericonoscenti, quando tornanoa casa ripetono alle mogli,

menomalechec’èiltedesco.Hans Hinner procura lavoroautunnale e invernaleinatteso. Adesso lui puòcomunicarlo al telefono,sicuro di sé. Hilde, Helga,siamo proprietari di unalbergo.Staremolàdurantelastagione turistica. Poitorniamo aMilano, all’iniziodiogniautunno,oaMerano,inottobreèbellissima.Helga,appena finisci l’anno

scolasticolavoriqui.EHilde,basta, licenziati dallaRinascente. Se proprio devilavorare, fallo per una cosatua. L’albergo ha un belgiardino. Prenderemo unacuoca. Avremo la vita chevogliamo.Unpiccolohoteldinostra proprietà. La sabbia eil mare. Mi dispiace che lamamma non sia qui con noi.Sarebbefelice.

Hans Hinner guardasoddisfatto il suo piccoloalbergo ristrutturato, nellapineta di Milano Marittima,inattesadell’estate.VorrebbechiamarloHotel 1950. Helgasi oppone. Hilde, come lochiameresti? Lo chiamereiHotelSand.Sandè lasabbia.Per i tedeschi e glianglosassoni. Anche gliitaliani sanno pronunciareSand. Tutti possono dire

Sand. In fondo, Sand nonsignifica nulla. Potrebbeesserequalsiasicosa.Hilde,ame Sand non dice niente,ripete Helga. Non devericordare nulla. È un nomebreve, semplice, mediazionetra mare e terra, un granellodi sabbiaquasi identico a unaltrogranellodisabbia.

Dopo Milano, MilanoMarittima, il mare Adriatico,il prolungamento dei traffici

cittadini.Finire ildopoguerracon il mare, i bombolonidell’inizio di giornata,discutere di soldi sottol’ombrellone, le onde sonofatte apposta per noi, i corpiabbandonati al sole,immobili.

Intermezzo

L’acqua del NaviglioGrande ha una superficieoleosa, uno sciroppo denso e

bituminosoresistenteall’urto,difficile da infrangere conl’affondare del corpo, utileforse a una deriva transitoriasulastremaleodoranti.Nonsiintravedono pesci, solo unfondaleindistintoaduemetridi profondità, pietremimetizzate nella sabbiasenza alcuna forma di vita.Arrivo al ponticello di SanCristoforo senza sforzo.VorreilegareBlondiattornoa

unpalodellaluce,dovesonoappese fotocopie, i numeritelefonicidicaseinvenditaelo smarrimento di un gatto,ma la lascio libera,sull’alzaia.L’acquaèsolounmetro e mezzo al di sottodella strada. All’inizio è unlampo fresco, come se mituffassi giovane, di testa,nella voce dei cinegiornali,gli acuti dei bambini sullariva del lago di Starnberg, a

tre metri dal fondo in cuinuotano donne nate nel XIXsecolo, che indossanocostumi neri e cuffie di roserosse,comesefossialLidodiMerano, ancora un po’ dineve sullemontagne intorno,e sono cosí felice da sentireun dolore scambiato per uncolpodi freddoalpetto,quelpomeriggiodel1945.Icapellisi allungano rallentati nellacorrentemuta, la spinta delle

braccia consapevoli, unmovimento fluido,ininterrotto, e poi l’abbagliopuzzolente, l’inspirazionebreve nell’apnea el’immaginazione della luce,che arriva a scrosci, con unmoto di sorpresa, nonostantepianifichiquestomomentodasessantotto anni. Sonoduecento centimetri al disotto della superficie,attraverso l’umida barriera,

ora toglietemi tutto,discendenze che non avròmai,eintornoancoraBlondi,per sempre, a pochicentimetridame,situffaconla spinta delle zampeposteriori, atterra in acqua,nuota, mi sfiora, sento lezampe, le unghie, riemergonell’allontanarsi del respiro,affondo, non respirare doverespira Blondi, dice miamadre, lo vedi che perdi le

cose? Nella separazione delcorpo divento il limite incontinuazione, rilascio lebraccia lungo i fianchicircondati da solchicentrifughi, definitivi. Lacorrentemiriportaindietro,lesirene cercano un pertugiosopra il silenziodell’acqua. Isoccorritori appoggiano lamia nuca al selciato, nonpompanonemmenosulpetto.La camicia è fatta di me

stessa, i pantaloni aderenti alcorporingiovanito,allamortesempre piú evidente. Hointorno un capannello dicuriosi,pensionatiintutaconi giornali gratuiti sottobraccio come baguette,trentenni sudate inpantaloncini, sostano senzasmettere di muovere legambe, riprendono subito lacorsa, in attesa del prossimoevento.

I capelli grigi sonoappiccicati alle guance, lanuca accanto a un pacchettodi sigarette accartocciato.Curiose sono anche le autodall’altra parte del Naviglio,proseguono lente, ignareall’inizio, quando cedonoall’accordo rancoroso deiclacson, poi si placano,risucchiate da uno sbadiglio,le teste allungatemeccanicamente verso ilmio

cadavereannusatodaBlondi,che rifiata con la punta delnaso vicino al cranio. Uncarabiniere la allontana,Blondi ringhia, il guinzagliosporco a penzoloni. Ilcarabiniereappoggia lamanoalla fondinadellapistola,no,attenzione, dice unpensionato, è il cane delladonna.

Sono stesa su un tavolodell’obitorio. Il giorno

seguentelecronachecittadinee nazionali dei quotidianiriportano le iniziali H. H. emi descrivono comeun’anziana di ottant’anni, diorigine tedesca. I tgtrasmettono servizi dicentottanta secondi, laversione del mio sacrificiodiventaufficiale:mortaperilcane. Le telecamereinquadrano Blondi inzuppatasulla sponda del Naviglio

Grande, evidenziano losguardomortificatodiBlondicaduta accidentalmente nelcanale e salvata dal mioaltruismo.

Sabatomattina,almercatodi viale Papiniano parlanodellamiamorte.Civadotuttele settimane, molto presto,compro frutta e verdura allasolita bancarella di Vito, ilvecchio fruttivendolopugliese. Siamo coetanei, da

qualche anno l’attivitàcommerciale è dei figli, luiaiutaancoradietroilbancone.Unmiovicinodicasachiededue chili di zucchine, eaggiunge: sentito cosa èsuccesso, ieri? Racconta lastoria ascoltata neitelegiornali. Ah, è la tedescadel cane!, dice Vito. Treclienti abituali gli sono giàintorno. Un pensionato conduesacchettiinmanoricolmi

di fruttiprotettidallaplasticaaggiunge, non è vero quelloche dicono e scrivono. Ilpensionato appoggia isacchetti per terra, vuolespiegare meglio la dinamicadella scena. Io sono la suamano sinistra, che annaspanell’aria di viale Papiniano eaffoga sotto la sua cintura,dopo il mio rifiuto a Blondi,la mano destra. Ilfruttivendolo passa il

sacchetto con le zucchine almio vicino di casa, midescrive a un altro clientecome la gemella, una delledue tedesche. Credetemi,questaè lastoria,concludeilpensionato testimone. Tuttigli restituiscono uno sguardodi rimprovero. Be’, ecco,voglio dire, posso anchesbagliare, aggiunge ilpensionato.

Il sole illumina la verdura

esposta, cuori di insalataripuliti dai pezzi di terriccioin superficie, le mele rossesplendono ammucchiatevicino ai numeri certi, allelettere scritte a strappi – conun piccolo gesso bianco –dallamanodell’uomo.

Il riscaldamento solareprovoca l’evaporazionedell’acqua dai mariall’atmosfera.Lenuvolesono

gocce condensate di vaporesalito verso le parti superioriefredde.Legoccepiúgrandi– soggette alla forza digravità – cadono a terra,nutrono le falde idriche, cherestituiscono acqua allasuperficie del terreno. Leacquedeiruscelli,deifossati,dei torrenti, confluiscono infiumi piú grandi. I fiumiformanoilaghiesfocianoneimari. I raggi del sole

distribuiscono calore. Ilcalore sollecita ilmovimentodelle molecole. Le molecoleabbandonano il loro statoliquido e diventano vaporedell’atmosfera. Il ciclo puòricominciare.

Ora che Hilde non esistepiú, lascio la parola aHelga.Coraggio, toccaa te.Helgaèrestia, non sa cosa farsenedello spazio, non vuole

parlareopregareetantomenoscrivere qualcosa a propositodel cadavere di sua sorella,della propria vita. PerHelga,anche a ottant’anni, lascritturaèancorailmomentodelle scuole elementari, daassolverealmeglio seguendola voce della maestra,qualcosa che si svela sottodettatura.

Helga esce da casa subito

dopo la telefonata deicarabinieri. È un venerdíafoso, l’ora della pausapranzo nei bar ristorantilungo il Naviglio Grande.Uomini e donne in manichecorte, nel pieno delle loroesistenze. Controllano itelefoni, invecchiano senzarendersene conto, con lasequenzadelleinfinitenovità.Quando hai trenta oquarant’anni, benché le

cellulesmettanodirigenerarsia venticinque, non pensi diarrivare a ottanta, diavvizzirti. Pensi alla morte,all’inizio blandamente, spostil’attenzione sulla mortegenerica, quella degli altri,poi pensi che un giornomorirai, eppure non credi didiventare una vecchia, unvecchio, pensi direttamenteallamorte.

Helga boccheggia. Se è

cosí caldo a maggio, comesaràtraduemesi?

L’autobus è affollato, ipasseggeri parlano altelefono, mangiano paniniflaccidi che conservano nellascorza un sapore di plastica,farciture di würstel arancionispruzzati da senape ocra.Masticano nelle orecchie diHelga, che sente ledeglutizioni di focacce e

pizzette, i filamenti diformaggisintetici.

Helga crede di trovare ilcadavere gonfio, appenaripulito dalle alghe, dallamelmadelfondale.Immaginadi vedere il viso sfatto,sfregiato dall’acqua. Invecefissaincredulailvoltoancoraincolume di Hilde. Avrò latua stessa faccia anche dacadavere?, si chiede Helga.

Due gemelle nell’infanzia enella giovinezza sono unfenomeno naturale daguardare con curiosità. Lavecchiaia gemellare èscandalosa, la potenzialemorte sempre piú vicina, larovina raddoppiata. Helgabacia la sorella sulla frontefresca per avere confermadella morte, per prenderecoscienza della propriaautosufficienza e

individualità, l’epilogo delsuo doppio, della copia di sestessa, conscia di quantosaputo fin dai primi mesi divita: l’impossibilità delricongiungimento passaattraverso l’eliminazionedell’altra, colei cheprende laparola, che non sempre è lagemella piú forte, come delresto non è detto che lagemella debole muoia perprima.

Quandounaddettosollevail lenzuolo bianco, HelgavedeilcorpomagrodiHilde,l’addome al proprio posto enon risalito e galleggiantecarico di gas come per gliannegati, l’addome è cosípiatto da evidenziare lecostole. Il resto del corpo,nonostante il sole fuori, lericorda un invernodell’infanzia con moltenevicate, le sorelle gemelle

sedute accanto al camino,nella villetta diKirschenstraße, basse nuvolegrigie spinte dal vento ecariche di altra neve. Helgasospira, le macchie scure e ineiintornoalcostatodiHildesono il pomeriggio difebbraio dopo la scuola, aBockburg, la luce nellepozzanghere e il riverbero, ilconfine provvisorio tra lanevescioltaeilfango.

Il foglio bianco del librodellecondoglianzeèriempitosolo dalla firma del signorSalvetti, il condomino delquarto piano, l’unico aschierarsi a favore dellegemelle Hinner, tre anniprima della morte di Hilde,quando l’assembleacondominiale vorrebbeimporre il divieto di utilizzodell’ascensore da parte diBlondi. L’impresa funebre

prepara il cadavere. Helgasceglie un abito di velluto,come quello della primabambola di Hilde. Hannosempre sostenuto di averegusti diversi, eppure moltospessosisonovestiteinmodosimile, anche da adulte.L’abito di velluto, indossatodalla sorella morta, potrebbesembrareassurdo,tantopiúseunito all’odore forte dinaftalina, che dalle tasche

invade la bara. Ma se unapersona muore con ventottogradi, chi lo dice che debbaesseresepoltaconunabitodicotone, di lino? Nella baraquasi spoglia, rivestita da unsottile strato di cotone, ilcolorito di Hilde sembragiallastro, quasi beige, comel’alba ispessita attorno a uncentro commerciale in unazona inquinata.Helgaapre lamano di Hilde, deposita un

angiolettodi legnosulpalmodestro. L’angioletto è quasiugualeaquello lasciatonellabara di Maria Zemmgrund.Helga muove le dita delcadavere, per stringerleattorno al corpo del ricordo.La pelle è fredda e tesa,sembra ricoperta di cera.Hilde ha ancora un’unghiasporca di sabbia. Helgavorrebbereclamare,oalmenodire qualcosa, indicare i

frammenti di sporco, ma ilcappellanoinizialarecitadelrosario.

I due uomini dell’impresasaldano il coperchio dellabara, sistemano la salma nelcarro funebre. È unmonovolume, necessarioperché, oltre alla cassa damorto e ai due uomini,occorre lo spazio dei sediliposteriori, dove Helga si

accomoda con Blondi, indirezionediMerano.

L’autostrada A4 è unflusso denso di camion che,scaricate le merci a Milano,torna vuoto nell’Est europeo,tra le screziature dei campiresistenti ai capannoni, allecase a schiera, agli svincolientro i quali, tra febbraio esettembre, si riproduconomisteriosamente lepri e altri

piccoli animali, uccisi daicacciatoriall’iniziod’autunnoo, prima, da automobili ecamion. Le scritte TRANS eINTERNATIONAL – letteresulle fiancate, spessoscolorite nonostante lostampatello imponente –fanno pensare a un grandeimpero infantile, dicartapesta. Basta un cantiereautostradale per creare unrallentamento, presto

tramutato in coda, bitorzolid’asfalto, insofferenza dipolveri, oli che ribollonodentrovaschette surriscaldatedi plastica e forzanoguarnizioni made in Chinafino a dilatarsi, e gocciolanosotto pneumatici lisci, cosíimmemori da non riuscire aleggervineppureduemesidistoria recente. Consulentitecnicicalcolanolalunghezzaidealedi un cantieregrazie a

cui è possibile evitarel’effetto imbuto o collo dibottiglia in una carreggiataridotta, eppure – mentrefissano le parentesi, le radiciquadrate e i dati del trafficogiornaliero medio – sonoconsci degli aspetti casuali eprivi di senso in ogniesperimento – vita compresa– e allora la strozzaturadiventa necessaria alfunzionamento delle cose,

perché prima del naturaledeflusso–mutuatodalleleggidell’idrodinamica – moltiautomobilisti approfittanodella sospensione, parlano altelefono, litigano per unafattura,diconotivogliobene,ascoltano voci registrate,mangiano patatinearomatizzate, si stiranotenendo una mano sulvolante, gettando l’altrobraccio all’indietro, nello

spazio vuoto dell’abitacolo.Seunuomodel1933potesseassistere alla scena sarebbesconvolto, direbbe chesoltanto una persona potenteodisuccessopuòpermettersidi telefonare in auto, giustoHitler o Mussolini. I duebecchini ricevono telefonatedi lavoro, l’indomani devonoandareaprendereunmortoaComoeportarlo aMilano. Ilsottofondo del notiziario

avverte di code in uscita pertraffico intenso sullaviabilitàordinaria, da qualche parte,nelmondo,maignoralacodadovesitrovanoBlondi,HelgaeilcadaverediHilde.Dietroil carro funebre c’èGabriele,il figlio di Helga, alla guidadellasuaAlfaRomeostation-wagon. Al suo fianco c’è lamoglie Roberta, nel sedileposteriore i bambini dellacoppia giocano con due

pistole giocattolo scariche.Helga si volta per accertarsichel’autodelfigliosiadietroilcarrofunebre.Vedelabaradi Hilde, la corona di fiori efronde con la scritta sulnastro: «La tua gemellaHelga».

Dopo l’aspersionedell’acqua benedetta sullabara, il dondoliodell’incensoelabreveorazionefunebrein

tedesco – durante la qualeRoberta chiede a Gabriele:matucapiscitutto?–ilcarrofunebre, con le portiereaperte, attende che il feretroesca dalla chiesa di StGeorgen,inCavourstraße.Lachiesetta del XIII secolosplende al sole, con il suobassotettoacono.Ilchiaroreè cosí forte da confondere inun’unica luce le opere diartisti minori, il martirio di

san Giorgio, la crocifissione.I sussulti giungono sullevetrate dalle piante esterne,che originano ombre edovrebbero aumentare ilmistero della vita e dellamorte. Il prete, con il suotedesco dialettale sudtirolese,riporta a qualcosa didomestico, rassicurante, saràforse l’odore delle panche dilegno, lo scricchiolio nelriassestare iglutei, la solidità

dell’acquasantiera posta inmezzoallanavatacentrale,lafissità con cui i treconfessionali, protetti dapesanti tendoni, sostanonell’angolo destro, vicinoall’ingresso. È un luogo cosíraccolto da rendere Diovicino, le vergini sagge,Cristo circondato dagliangeli, gli apostoli, laresurrezione delle schiere dibeati,mentreancheilpiccolo

pulpito appeso alla sinistradella navata centrale è cosíprossimo da sembrare ilrigonfiamento del ventre diognuno, e non un espedientearchitettonicoperinnalzarelaparoladelSignore.

Labaralascialachiesetta,il carro funebre lambisceAlessandro-Manzoni-Straße,imbocca Piavestraße, passadavantiaipensionatibavaresidel campeggio di Merano,

giraversoil trattoalberatodiRomstraße e da qui nellastrettatraversacheconducealcimitero, dove sono sepolti idefunti di madrelinguatedesca. È una via chiusa,nella zona sud della città, ilquartiere di Untermais, MaiaBassa. Il sole illumina lecoltivazioni di mele checircondano il camposanto.Bambini,lasciatelepistoleinmacchina, dice Roberta, qui

non servono. Il prete ha lemani al petto, su cui premeuna copia in tedesco delVangelo. I due becchinisistemanolabarasulcarrello.Il piccolo corteo funebrevarcalasogliaeincominciailrumore dei passi cimiterialisulla ghiaia. Una vecchiaannaffia i fiori della tombadel marito. I nipoti di Helgafissano ammirati un elmettodella Wehrmacht, sospeso a

un metro e mezzo d’altezza.L’elmettospiccaaccantoauncero acceso in ricordo dialcuni nazionalsocialisti. Sulpavimento è inscritta unacrocecelticanera,cheBlondiannusa. Le tombe di MariaZemmgrund e Hans Hinnersonoqualchemetropiúinlà.Iloronomiecognomi,ledatedi nascita e dimorte – senzaalcuna fotografia – sonoincisiconcaratterineriinuna

lapidealtaunmetroemezzo,a forma di massicciodolomitico. Lunghi steli difiori coprono quasiinteramenteleletterediMariaZemmgrund, riverniciate inoccasione della morte delmarito.

Questi sono i bisnonni,dice Gabriele ai suoi figli,scostandoifioriconungestosimile a quando, su unautobus turistico, scostiamo

le tendine per guardare leultime cose fuori dalfinestrino, nel tardopomeriggio. Quello invece èilnonno,miopadre.Lamanodel marmista aggiungerà sulmasso «Hilde Hinner 1933-2013». La buca è quasipronta,preparatadaunuomoalla guida di una minuscolascavatrice, uguale a quellacon cui di solito si scavano imarciapiedi cittadini per

installare fibre ottiche. Lapala sistema gli ultimidettagli, accanendosi su unaradice che sbuca dal fiancodella terra. A dieci metridall’uomo è pronta un’altrafossa, ricoperta da uncellophane panna, che rendelabuca–elostareinpiediaguardare – poco piú diun’amnesia. I presenti fannoun passo in avanti, verso labuca di Hilde lavorata dalla

pala, come per specchiarsidentro una pozza trasparentee profonda, stando benancorati al suolo. Ilprossimospaziosaràmio,pensaHelga.I becchini calano la bara. Ilpiccolo gruppo di afflitti siallontana mentre la terraricopre il feretro di Hilde.Fuori, pochi metri oltre ilmurodicinta,qualcunosbatteinmodoasincronoleportierediun’auto.

Helga

Ciaiutal’insorgenzadiunanomalo disturbo dellamemoria.Ilmottocollettivoè

qualcosa di simile adimenticate in memoria dime. Le nostre azioni passatesvaniscono, seppellite daglistereotipi.IlGrandeMale.LaBelva Umana. Il CriminaleAssoluto. Milioni di morti esiamo ancora qui, pronti anuovi oggetti, a criteri dicomportamento volti allaconcupiscenza delle cose.Ridimensionata la visibilitàdell’ideologia – ora diluita

sotto ogni traccia – resta lavolontà di vivere secondoquelle stesse dinamichetotalitarieapplicateairapportilavorativi e familiari.Possiamo fare e subire tutto,purché rimaniamo in unasfera economica, finanziaria.Siricominciaconlarinnovatafame dei consumi e l’AnnoSanto. Il Papa benedice leonde, la sabbia dorata, glistabilimenti balneari che

sembrano morti a ogniautunno, eppure resuscitanoin primavera, per brillare piúnuovi in estate. La Reginadelle sirene dell’Adriatico.MissSorriso.MissSalsedine.Mister Muscolo. Il concorsopirotecnico. La corsa delletartarughe. La settimanadell’umorismo. La garagiornaliera di barzellette. Lamarcia al mare per soledonne. La gara di

aeromodellismo.Ilradunodeimoto club. La gincanaautomobilistica. L’olimpiadedeibambiniintelligenti.

Helga e Hilde partono daMilano in treno, unamattinad’inizio giugno del 1951.Destinazione: MilanoMarittima. Helga è sullabanchina della StazioneCentraleinsiemealfidanzato.Si chiama Alessandro, è il

figlio di un avvocato, hafrequentato l’altra sezionedellaScuolaSvizzera,adessos’iscriverà a Giurisprudenza.Helga socchiude gli occhi elasciache lui lebaci il collo.Lorassicura,dice, ti telefonoquandoarrivo.Hildeègiàsultreno, testimone della scenafinale dell’abbraccio.Alessandro ha il mentoappoggiato alla spalla diHelga, stringe il fianco della

fidanzata, guarda le scarpedeipassantisullabanchina,leruotedeicarrellideifacchini.Helga fissa il ferro dellacarrozza ferroviaria e, piú insu,ilfinestrinoaperto,latestaimmobile di Hilde. Blondiguarda Helga con lamuseruola.

DietrogliocchialiscuridiHelga,appoggiataconlatestaal finestrino della prima

classe, il sole splende sullapianura. Le vecchie cascineimporporate dai raggi, illavoro dei campi, le grandiballedifieno,l’ariagiàcaldae immobile, ilmais cresciutocome tante piccole lance diun esercito, l’odore dicampagna e ferrovia, lasensazione di languore esonnolenza trasmessa daimovimentideltreno:fissandoil paesaggio dal finestrino –

pioppeti suimargini di fiumisecchi o campanili inlontananza – le gemelle nonpossono giurare di esseresveglie, o almeno, di nonessersi mai addormentate, ecosíanche le testedeibovini– intrappolate nelle stalle, lecatene che obbligano al cibo– riguardano le possibilità diunavitaumana.Hildedicedinon voler sottostare anessuno. Marito o padre, è

uguale.Desidera guadagnarsida vivere. Meglio duesettimane di ferie con laRinascenteche ladipendenzadaunuomo.Parladiorgoglioaccarezzando Blondi. Nonvuole l’elemosina di unfidanzato, di un marito.Quando esce a ballare con icolleghi paga sempre la suaconsumazione. Eppure anchel’elemosina di un uomosignifica guadagnarsi da

vivere. Elemosinare è unlavoro. Tutto è un lavoro.Perfino andare a scuola efidanzarsi con il figlio di unavvocato. È una vitanormale? Cosa? Sottolineareun libro con il righello.Ripetere i nomidi località incui sono morti migliaia disoldati in una guerra lontanacinquecento anni. Il tempolibero è fermarsi unpomeriggio feriale davanti a

una vetrina, andare dalparrucchiere, sfogliare leriviste per essere aggiornata,impararelalinguadominante,espressioni come «al passocoi tempi». Solo un uomopuò donare tempo libero, lobaratta con il corpo di unadonna. Si reclude per tutto ilgiorno nel luogo di lavoro,guadagna i soldi necessari. Isoldinecessaripossonoesseretantiopochi.Ladipendenzaè

simile in entrambi i casi.Hilde dice di non volere isoldi di nessuno. AncheHelga dice di non volere isoldi di nessuno. Desiderasolo che la sorella si fermicon lei e con il padre,nell’estate del 1951. Hilde,rassegnati:sietelepadronediunalbergo.

Hans Hinner aspetta inmacchina, davanti alla

stazionediCervia.Chiamaleduefiglie,agitailbracciodalfinestrino,appenavedeHelgaeHildeconlevaligie.Blondiriconosce subito la voce,scodinzola, saltella sullezampe posteriori, smuovel’aria con le anteriori, tira ilguinzaglio, Hilde la liberadallamuseruola.HansHinnerscende dalla macchina, laaccarezza, sistema le valigienel bagagliaio. Helga siede

accantoalpadre.Hildeèallespalle dell’uomo, appoggia ilmento allo schienale delsedile, ha una mano sullatestadiBlondi, sedutacon lalingua a penzoloni, dietro lespallediHelga.

Hans Hinner guida piano,in seconda marcia, lascia ilvolante per indicare luoghi,ripete nomi ancorasconosciuti alle gemellesorpresenelvederlointegrato

in un luogo, l’ultima voltache loavevanovistocosíeraa Bockburg, alla guida dellaMercedes Autobahnkurier,lungo Marktstraße. Svolta asinistra in via Mazzini,attraversa piazza Garibaldi,quelloè ilpalazzocomunale,dice a Hilde, e quella è lacattedrale,diceaHelga.Passaaccanto alla Torre di SanMichele, frenasul lungomarequando sulle strisce pedonali

due donne, di ritorno dallaspiaggia, attraversano lastrada, le borse di pagliagonfiate dagli asciugamani.Ragazze, proteggetevi dalsole, usate la crema. Suonacome il consiglio asettico diunaconfezioneinvendita,piúcheunsuggerimentopaterno.HansHinnerscostal’orologioe gratta il segno bianco delcinturino. Adesso è cosí, main inverno è un mezzo

deserto, le persone vivonosolo in centro a Cervia,MilanoMarittimaèvuota.Lastagione comincia alla finedella primavera, o meglio, aPasqua, dipende dalcalendario, dai preti. È laprimavoltacheHelgavedelariviera adriatica. È la primavoltacheHildevede ilmare.Finora solo fiumi, le piscinecomunalidiMerano,lapozzadell’Idroscalo di domenica a

Milano.Ai lati del finestrinoaperto, porzioni di ondenascoste dal cemento, daglistabilimenti balneari, dagliombrelloni. Dall’altro lato, iprimi alberghi degli anniVenti, i villini liberty diproprietàdimedici, avvocati,notai.Einmezzo,lafamigliaHinner, a bordo delMaggiolino tedesco targatoMilano. Passato il ponte sulcanale,HansHinner imbocca

viale Matteotti, che taglia lapineta. Le traverse sonosegnatecon inumeri romani,vie spesso senza uscita, cheterminano nella sabbia. Lecolonie fasciste, gli alberghiin costruzione e la lusingamai morta del monumentaleoscurano il cielo, ottundonoperfino la voce del mare,mentre la lineadell’orizzontesembra sbollire attraversopiccole inesauribili ondeche,

indifferenti alle epochestoriche,civengonoincontro.

L’albergo è un edificio adue piani, costruito tre anniprima che le gemellenascessero. Un palopubblicitario è infilato nelmarciapiede.Hotel Sand. Lascritta è illuminatadal sole ela freccia, piú che un invitopubblicitario, sembra lalancetta di un orologio

monco,diun tempo irrisolto.Una cancellata di ferro, cheavrebbe inorridito HerbertHinner, cinge la proprietà.Piante rampicanti cresconosui tronchi dei pini. Duestatue di cemento, alte comeunbambinodi sei anni, sonoai lati del piccolo viale diaccesso alla reception. Lastatua maschile –riconoscibile dall’assenza delsenoedaungrumogrinzoso,

una sorta di borsellino fintomedioevale che dovrebbecontenerepeneetesticoli–hail braccio destro tagliatoall’altezzadel gomito, da cuiparte una macchia dimuschio.Lastatuafemminile–dalsenodestrosbrecciato–ha il mento rivolto verso ilbasso, in una posa dipudicizia. L’angolo sinistrodel giardino è occupato dasedie bianche di legno e

tavoliniazzurridisposticomequandoungruppodipersone,dopoaver fintodi ascoltare idiscorsi degli amici, fuggeverso le proprie solitudini.Due racchette da ping-pongsono appoggiate sul tavoloverde, in cemento. Lafamiglia Hinner camminalungo il piccolo viale diaccesso. La ghiaia strepitasottoipiedidiHans,HelgaeHilde. Blondi annusa il

terreno subito dopo il loropassaggio.

Non si aspettano«Willkommen» scritto sullozerbino di ingresso. Strategiacommerciale. Non è ilsentimento nostalgico delpadre.Turisti tedeschi: lo0,5percentosul totaledei turististranieri in Italia. Lo 0,5 percentoèquasiniente,èundatoincoraggiante, possiamo solo

crescere: queste sono le miefiglie.

L’hotel ha una decina diclienti. Due famigliemilanesi, con i bambinipiccoli. E una coppia digiovani svizzeri che arrivanoda Zurigo, felici di parlaretedesco.

In cucina c’è Margherita.Cucina tradizionaleromagnola. Tagliatelle al

ragú. Tortelli al ragú.Garganelli al ragú.Strozzapreti al ragú.Cappelletti con ripieno dicarne o ricotta. Ravioli conripieno di spinaci e ricotta.Gnocchi al pomodoro. Polloarrosto. Spiedini di pesce.Minestre di pesce. Spaghettialle vongole. Salame, coppa,prosciutto. Formaggio. Losquacquerone, una specie distracchino liquido. Piadine

farcite con il crescione,verduregratinate,piadineconsalsicce, porchetta. Vino.Sangiovese o Trebbiano.Crostate. Ciambelle. Gelato.Caffè.

Alle pareti del ristorantesono appesi quadri di vitaagresteemarina.L’unionediquesto luogo. Campagna emare. Il movimentocadenzatodellacodadeibuoi,aratri, trattori. Piccoli

pescherecci ancorati alporticciolo. Rozzeincrespature di onde. Barchedainomididonnacercanodidare lustro agli uominiproprietari, che fumanosoddisfatti a prua. Reti tirateda mani, il resto dei corpifuoridallecornici.

Il rumore dell’acqua delrubinetto, lo sbattere dellepadelle e delle stovigliegiungefinoalsecondopiano,

noninfastidisce,anzi,aiutailsonnellino dopo pranzo. Lecamere del lato sinistro delcorridoioaffaccianosulretro,dove sono parcheggiate leauto dei clienti; le altre, sulgiardino dell’albergo, e senon fosse per un hotel incostruzione, si potrebbevedereperfinoilmare.

La camera di Helga eHildeègrandeabbastanzada

contenere due letti, duecomodini, una scrivania. C’èanche un piccolo bagnointerno. È al piano terra, difianco a quella del padre. Lastanza di Hans Hinner ègrande allo stessomodo, piúche qualcosa di turistico, haun aspetto monacale. C’è unsolo letto, le lenzuola intatte,un comodino, un bicchierevuotoconunabroccad’acquaaccanto ai quaderni con i

conteggi, e una debolelampadina a picco, al centrodello spazio. Hans Hinnerspesso non dorme nemmenoin quella stanza, durante lanottedormicchiasullabrandanello stanzino ricavato dietrolareception.Helgasiedesottounalbero,Hildeè incamera,Hans Hinner è con unfornitore. I clienti sono inspiaggia o riposano nellestanze, in penombra. Blondi

dorme ai piedi di una sediavuota, accanto a Helga.Qualcuno sarà spaventatodalcane, ma Blondi non sidiscute. Vivrà in giardino odietro il bancone dellareception.

Hans Hinner assegna unruolo sociale a se stesso. Èl’imprenditore del nuovodecennio, del nuovo mondonato dopo la guerra. Noimangiavamo le mele solo

nello strudel, prima. Questafrase è solo di Hilde, è unvano esercizio, qualcosa chevorrebbe resistere al diveniree invece è meno di unricordo, di un rimorso, solopassato che si trascina versol’oblio. Helga e suo padrenon devono nemmenosforzarsididimenticare,ègiàtutto nel lento, inesorabiledinamismo del passato, che

vive nella combustione di sestesso.Noi mangiavamo le mele

solo nello strudel, prima.Esiste solo questa vita,adesso.L’insegnadiunhotel,il registro degli ospiti, lariviera adriatica italiana.Nonoccorre fuggire.HansHinnerè immobile alla reception,l’avvenires’incamminaversodi lui. Insiemepossiamo farequalsiasicosa.

Gli alberi nella proprietà.Gli uccelli sui rami. Glioggetti del giardino. L’autoparcheggiata al fresco.L’appartamento di Milano.LacasadiMerano.LatombadiMariaZemmgrund.Blondi.HansHinnerstendeunfogliobiancosultavolo.Disegnatreics.XXX.Hans,Helga,Hilde.Una casetta infantile – a duepiani,piúgrandedellamisurastandarddascuolaelementare

– è l’albergo, la famiglia, illavoro.Hilde si ricordadiunpomeriggio a Bockburg,quando lei e Helga eranoandate nella redazione di«Mutter», in tipografia,durante la stampa delgiornale. Avevano quattroanni, era il 1937, nonsapevano ancora scrivere mavedevano le immagini dellaprima pagina, le rotative nelseminterrato, bisognava

scendere una scala di legnoche scricchiolava, c’erarumore e per parlare allefiglie Hans Hinner avevadovuto abbassarsi versoHelga eHilde.Legambedeipassanti si vedevano dalbasso, il ritmo della stampadava loro un timbromilitaresco.

Il disegno è la ditta. Laditta è individuale. HotelSand, diHansHinner.Helga

vorrebbe variare lacostituzione della società.Hans Hinner dice, noi siamouna famiglia. Helga ribatte,certo, adesso siamo ancheun’azienda.Helga,ascoltatuopadre, non abbiamo bisognodiunadittaper sentirciuniti.Papà, non sto dicendo chesaremmopiúuniticomeSrloaltro. Helga, da una Srl èpossibile uscire, da unafamigliano.

È giugno, la famigliaHinner è riunita in albergo.Hotel Sand, la rinascitadell’uomo padre attraverso ilcorpo fisso e mutevoledell’albergo, la somma delleesistenzealtruièlanuovavitadiHansHinner, ilcappellanoa disposizione dei clientiprotagonisti per pochesettimane all’anno. La genteama parlare di sé, eall’interno della gente c’è il

sottogruppo della clientela, etra la clientela nessuno amaparlarediséquantoilsingolocliente.

HansHinnerèiltestimonemuto, spugna senza identità,come le mura imbiancatedell’hotel indifferente allaStoria lasciata fuori dallecamere, dal ristorante, dallareception sentinella, cheassicura il rispetto dellanormalità, dello svago

stabilito. La reception di ungrazioso albergo lungo lariviera adriatica italiana è unbuon posto dove ritirarsi epassare inosservato. HansHinner ascolta tutti, è unaformadiattenzione,nonsoloinvestimento commerciale.Maria Zemmgrundinorridirebbe al pensiero divedere le due gemelle con ladivisa da cameriera, ma lascelta paterna è un ultimo

vezzo educativo, sonocameriereproprietarie, è soloun’esperienzamomentanea.Epoi Maria Zemmgrund èmorta da cinque anni, HansHinner è vivo ed è padre,imprenditore, portiere,segretario, cassiere, direttoredisestesso.

Bisogna innaffiare ilgiardinoprimachesialzinoiclienti piú mattinieri. Lacolazione è dalle sette alle

nove.Lapuliziadellecamereincominciadopolacolazione.L’hotel, oltre alle stanze delpadre e delle gemelle, hasedicicamere.Ottoperpiano.Se fossero tutte occupate,sarebbero in media unacinquantina di clienti,considerando tre persone perstanza. Sono camere ampie,nonostanteHansHinnerabbiaricavatopiústanzedurantelaristrutturazione. Hilde si

occupadelpianoterra,Helgadel primo piano. Quandopuliscono, indossano diviseazzurre a maniche corte,colletti bianchi da collegiali,grembiuli. Hotel Sand vuoledarel’ideadellasecondacasaai propri clienti, ma è beneindossare una divisa, creaquella distanza indice diprofessionalità. Bisognacalcolare quindici minuti perstanza. Il cambio di lenzuola

è tre volte alla settimana.Spolverare, scopare, lavare ipavimenti,rifareiletti,pulirei bagni. Poi c’è l’ingresso, ilsalottino, la sala ristorante.Sparecchiare, lavare piatti,bicchieri, tazzine, cucchiaini,coltelli, stoviglie dellacolazione.

GliHinnernondevonopiútemerediusare ilnoi. Il loronoi è affettivo, economico,imprenditoriale, non politico.

Il loro noi è un padre e duefiglie, una famiglia che èancheunaditta.Nonesistonoalberghi di madrelinguatedesca, come noi. Legemelle hanno passato piúdella metà dei loro anni inItalia. Le gemelle siamo noi.Due mondi che si unisconopersempre.

Hans Hinner riconosce lacadenza a cominciare dal

saluto. Grüß Gott! Da quasivent’anni non ascoltava ilsaluto bavarese, scomparsodurante il Terzo Reich. Hapensatospessoalmomentoincui sarebbe entrato il primotedesco, non credeva chearrivassedacosívicino.GrüßGott! Salve! La famiglia dituristi giunge daWolfratshausen, cittadina apochi chilometri daBockburg.Loscoprequando,

dopo la spiegazione deiservizi offerti e dei costi,Hans Hinner incassal’approvazionedell’uomo,unquarantenneconmoglieeduefigli. L’uomo lascia idocumenti d’identità e saleconlamogliepersceglierelacamera. I figli accarezzanoBlondi stesa su un tappeto,nell’angolo dell’ingresso chefunge da saletta diconversazione. Helga mostra

le stanze, Hilde stende labiancheria sul retro delgiardino. Hans Hinnerregistra i numeri deidocumenti.IlnuovoStato.LaRepubblica federale tedesca.Le fotografie del passaporto,fatteinunnegoziodelcentrodiWolfratshausen.Unavolta,aseianni,erastatolíconsuopadreHerbert,incarretto,ealritorno si erano fermati avedere il fiume Isar. Adesso

nonhailcoraggiodichiederenulla, spera che l’uomo nonfaccia domande. E se ungiorno entrasse in albergoqualcuno che riconosce ilvecchio direttore di«Mutter»? Quest’uomo hamailetto«Mutter»?

Dopo quella diWolfratshausen, molte altrefamiglie arrivano dallaGermania, e in particolaredallaBaviera.Partonolasera

precedente, gli uominiguidano di notte lungo leautostradetedesche,giungonoin fretta al Brennero e da lípercorrono le lente stradestatali italiane. Arrivanoall’ora della colazione aMilano Marittima.Parcheggiano, scendonoubriachi di stanchezza,entranonell’hotel, incontranountedescodall’altrapartedelbancone, gli occhi rossi, le

labbra arse dalle sigarettefumate per tenersi svegli;prendono informazioni suiprezzidellecamere,chiedonosec’èlavistamare,sonobendisposti, si fidano di un altrotedesco, che ripete loro iservizi offerti, il ristorante dicucina italiana, il giardino, ilparcheggio interno. Quandooccorre decidere, gli uominiesconosullasoglia,chiamanoa gesti le mogli rimaste in

auto, ledonne ispezionano lestanze, tastano i materassi,controllano i bagni; gliuomini si fidano del giudiziodelle donne, approfittanodella pausa per fumareintorno alle proprie auto,controllano le carrozzerie, ifigli si risvegliano, si stiranoappoggiati ai giocattoli allelorospalle.

Horst, Klaus, Franz,Humbert, Paul, Peter,

Johannes.HerrHinner!GrüßGott!La richiesta dialettale, di

un cliente milanese, lorincuora.

Il mare è a trecentometrididistanza,aldilàdeipalazziincostruzione.Cisonogiorniin cui, soprattutto almattino,non sembra nemmenoesistere, se non fosse perl’ariettachesmuove i leggeri

tendaggi pastello delristorante, creando un varcoalle mosche. Alle tre delpomeriggio,quandolacucinaè in ordine, Helga raggiungelaspiaggiaper fareunbagnoe prendere un po’ di sole.Hilde va in camera, dormeper quindiciminuti. Le bastaun quarto d’ora, quando sisveglia è riposata, sembraun’altra persona. Ma comefacevaallaRinascente,astare

in piedi tutto il giorno?Èuntempo ormai distante, chiusoda una telefonata a Milano,un viaggio in treno perfirmarelaletteradidimissionie bagnare i gerani morti sulbalcone dell’appartamento diPortaTicinese.

Helga esce conl’asciugamano nella borsa, lídentro ha la crema solare euna piccola sveglia puntata

alle cinque meno dieci delpomeriggio, l’ora del rientroallavoro,nelcasoleidovesseaddormentarsi. È unoscrupolo davvero superfluo,c’è sempre Hilde accanto alei,inspiaggia.

Helga va al solito posto,passa nel retro deglistabilimenti balneari, lenuove costruzionisuggeriscono l’idea diorganizzazione professionale

dello svago, scientificaestensione delle attivitàlavorative. È un lungo,accecante serpentone biancodi cemento con l’ombra asaliscendi,unozig-zagcreatodai tetti delle cabine cheHelga sfiora, dalle insegneconinomideiprodotti,dallepalme stilizzate sui muri deibar.

È un’ora abbastanzacalma, la maggioranza dei

bambinidormeacasaonellecamere d’albergo, dopopranzo; gli adultisonnecchiano sotto i gazebodai tetti di paglia deglistabilimentibalneari,sottogliombrelloni portati al mattinoin spalla e piantati nellaspiaggia libera con il tipicomovimento rotatorio a duemanieipiedibenpiantati,ungestoassorbitotraleabitudinidi un popolo, la punta

inferiore infilata come atrivellare la sabbiadell’estateitaliana,leexcoloniefascistechecontinuanolaloroattivitàneimedesimi edifici divenutistrutture governate daassociazioni religiose, daaziende.

Almattinolesuoreagitanole campanelle per svegliare ibambini che attraversano ilunghi corridoi sino aigabinetti,silavano,indossano

la divisa e fanno colazione,scendono le scale interne infila per due, arrivano inspiaggiaordinati,esultanoperle attività ginniche e i tuffiritmati dai fischietti dellereligiose, attendono affamatiil pranzo prima di tornare aigiochi di socializzazione, lepiste sulla sabbia per lebiglie, ancora tuffi, cene,preghiere, notti, una nuovaalba, quando i corpi divenuti

adultiappoggianomaglietteepantaloncini sui raggi apertidegli ombrelloni, perascoltare distratti ilsottofondo dell’acqua, losfogliare dei settimanalid’evasione, dei rotocalchi, lefoto ricordo a se stessibambini.

Helga stendel’asciugamano e si dirige ariva. I piedi affondano nelcaldo, la rena toglie

brillantezza allo smalto rossodelle unghie dei piedi, cheriemergono faticosamente aogni passo, impolverandoanche i malleoli, simili apiccole conchiglie vuote. Fauna breve corsa versol’acqua. C’è qualcosa dilavorativo nel suo approccioalla riva, e nemmeno lasabbia vacanziera – umida ebagnata–olalieverisaccaletolgono la sensazione di

pausa.Infondoanchetuttoilresto è un monumentoedificato all’intervallolavorativo, sia esso di dueore,diduesettimaneodiduemesi: i bomboloni alpomeriggio, la piadina, lostrutto, l’acidità di stomaco,l’odore di crema solare, lechiacchiere sottol’ombrellone, i rimbrottimaterni, la sonnolenzapaterna, il babbo è stanco,

deve risposare. L’acqua salealle caviglie, ai polpacci,Helgaècostrettaacamminareper vedere il proprio corpoimmersofinoalbusto;sigiraverso l’asciugamanodistante,s’immerge circondata dacoetanee italiane stese suimaterassini, stravaccate neicanotti di plastica da cuispuntano i piedi, i piccoliremi.Ilfondalesitrovaasolicentocinquanta centimetri,

Helga deve sforzarsi perassegnareaigestiunavalenzache sia, se non un brividoagonistico, almeno qualcosadi salutare. Ha uno stileperfetto, solleva la testanell’istante esatto, le bracciatese il giusto, il sedere a filod’acqua, le gambe nonsmettono mai di muoversi.Dopo ogni bracciata, guardailfondale,chissàselasabbiasi è davvero allontanata o

rimane costante e infantile,unatinozzanellaqualeHelganuota incatenata, nonostanteil ritmo delle bracciate siasempre regolare, come ilrespiro degli affondi, dellerisalite, mentre i muscolitrapezoidali luccicano tra laschiuma, e le particelled’acqua risalgono alla bocca,che rilascia bolle trasparentidiossigeno,lalucecangiantedelmare.Nelritornoversola

spiaggia, il vituperato bassofondaleèutileperavvicinarsialla riva, come quando sicammina nella neve alta finoal ginocchio. Helga esceravviando i capelli bagnati, ela sabbia, al solito, risalemisteriosamente, simile aeleganti ghette fino almarginedellecaviglie.

Helga ha gli occhisocchiusi, li riapre quandocontrolla la sveglia nella

borsa senza riuscire adecifrare le lancette, poi sistende sulla schiena, ascoltale voci dei bambini liberatidalle colonie in lontananza,mormoriochearrivaaondate,oscilla seguendo la parabolaaerea di una palla e i picchiisterici simili a quelli deigabbiani, quando al mattino,dopo una ricognizione,planano sugli scarti delmondo. Le gocce ristagnano

lungo lo sterno, Helga lecosparge sulla pelle, perevitare che scivolino vialungo i fianchi, ne conservasempre un paio perl’ombelico. Quando ha gliocchi chiusi, gli eventidell’universo si combattononel corpo, galassie rosse osemplici chiazze arancioniattraversano le pupille, sisciolgono in scaglie grandiquanto i pomodorini della

cucina dell’albergo, unacentrifuga in cui tempo espaziosiscontornano lungo ibordi delle cornee, delleciglia: basta un’increspaturadel dotto lacrimale a creareun’ombra, Helga sbatte lepalpebre per aprire gli occhiimpastati dal troppo buio edalla troppa luce, per vederelasagomadiHilde.Adessoènella situazione abituale, malapresenza èqualcosadi piú

grande e insistente, nonsembraHilde,chedisolitosiabbassaindirezionediHelgaperallineareil telodispugnaidenticoaquellodellasorella.Sopra gli occhi socchiusi,l’ombra massiccia restasospesa, ilsoleriescequasianascondersi dietro di essa,Helga si passa la lingua suidenti, deglutisce. Non puòaccaderle nulla, è a MilanoMarittima, alle tre e dieci di

un pomeriggio di giugno nel1951, è la stagione dellepromesse, la spiaggia iniziaadaffollarsi.Helgasollevalatesta, punta i gomitisull’asciugamanoeprimachepossadirequalcosa,unuomole chiede: exchius mi, escusmuà,sigarett?

La tensione dell’ignoto sistempera nella piú usurataformula d’approccio.Sigarettasignorinasarebbeil

titoloperfettodiunacanzoneestiva.L’uomorestainpiedi,le mani posate sui fianchi,come fanno gli italiani senzarendersene conto,scimmiottano Mussolini einveceproseguonolemosseeigesti che lo stessodittatore,nella celebrazione della suaparte femminile, avevaereditato dai rimproverimaterni. Adesso Helga – lamanodestrasullafrontecome

quando si cerca unaconferma, prima di misurarelafebbre–hagliocchimenoannebbiati dalla luce, eppureinforca gli occhiali da sole,schermandosi dietro le lentiscure si sente piú forte, el’uomo, mastodonticonell’ombra percepita daHelga come una folata divento, ora sembra ciò che è,impacciato nella suaspavalderia, un ragazzo di

una ventina d’anni, incostume, una mascherasorridente, i capelli neritagliati in modo irregolare,con una chiazza cresciutasghemba, come capita dopoaver subito, due mesi prima,diecipuntidisuturaintesta,epiú in basso, un crocifissod’orotra ipeliradidelpetto.Dall’alto, lui la vede comeuna ragazza straniera, icapelli corti a caschetto, già

schiariti dal sole, uguali aquelli dei rotocalchiabbandonati sui tavolini deibar.Crede che sia svizzera ofrancese,lacarnagionemezzascottata, sull’epidermidespiccano nei e lentigginicome un virus luminoso.Franco riempie l’attesa dellarisposta di Helga con altrefrasi sconnesse, dalle sillabetronche. No, mi spiace, nonfumo, risponde Helga. Ah,

ma lei è italiana? Scusi, misono sbagliato, pensavo chefumasse, sa, con una borsacosí grande, mi chiedevo:possibile che non abbiaalmenouna sigaretta? Io, peresempio, non butto vianemmeno i mozziconi, nonmi piacciono quelli che lisotterrano in spiaggia, poi tiritrovi imozziconi tra leditadei piedimentre parli.Vuolevedere come? Il giovane

uomo si siede e smuove lasabbia, scava alla ricerca diun mozzicone, trova solo unrametto portato chissà daqualefiumeeunpacchettodisigarette con un velieroaccartocciato, mentre Helgarimane completamenteraccoltaall’internodeltelodispugna, a eccezione deglialluci, che oltrepassanol’asciugamano e lasciano unimpercettibile solco nella

sabbia, segno interpretatodalragazzo come un’apertura.Ecco, adesso che serve unmozzicone non si trova. Ierinehotrovatouno,diceHelga.Qui?, chiede lui, indicandocon il dito sospeso. Proprioqui,ribatteHelga,chetracciaun semicerchio con l’indicedella mano destra. Ah, lovede? Vede che non dicostorie? Be’, andiamo acomprare un pacchetto di

sigarette?,domandaHelga.IomichiamoFranco,piacere.

FrancoBergamaschinascenel 1930, ad Abbiategrasso.Frequenta per due anni unistituto alberghiero al lago.Abbandona lascuolaasedicianni, insofferente alle ricettedecantateconspiritomilitare.Seguono alcune settimane incui Franco oscilla tra ilcoraggiodelgestoel’euforia

della libertà subito frustratadaisensidicolpa,daivincolifamiliari e sociali, che glifanno prendere il primolavoro, a caso. Alla bottegadei fornai intorno a PortaGenova,aMilano,occorreungarzone.

Franco sale in biciclettanell’inverno del 1946, seusasse il tram che viaggialungo il Naviglio Grande daAbbiategrasso a Milano non

farebbe in tempo ad arrivareper l’inizio del suo lavoro, epoi cosí risparmia i soldi delbiglietto. Usa una vecchiabici Bianchi comprata perpochi soldi. Va a lavoraretutti i giorni, inclusa ladomenica mattina. Mentrepedalanelbuio,lungoiventichilometridi rettilineo,pensacheognunodovrebbeavereillavoro vicino a casa, neltragittodiandataodi ritorno

si guadagna solo un cumulodi stanchezza e voglia dievadere.Pedalacomesefossealtrove, dentro l’assolatascampagnata domenicale o,nelle fasi di accelerazione,durante una gara. In queimomenti notturni immaginadi poter diventare un ciclistavero, robada iscriversiaunasquadra, il lavoro di uno chepedala, sgobbare in salita etirare agli altri le volate è

sempremegliodellafabbrica.Al mattino è ancoraassonnato nel primochilometro.Appena fuori dalcentro abitato, sulla brevesalitadelpontediCastelletto,il freddo lo sveglia, e ancoradipiú ilbuio,che loavvolgeecullaeunpo’ lo terrorizza,non tanto la massa scuracompatta quanto le lucifiochedicascineestalle,chepaiono cimiteri, mentre il

tintinnio delle muccheincatenate agli anelli glirimbomba in testa, locostringe ad attraversare conlosguardoleincrespaturedelNaviglio, chemai avranno laforza per diventare onde, siaccontentano, come lui. Laluna riflessa in superficie –nel tremolio dell’acqua edell’asfalto sconnesso – èdavvero poca cosa, unsatellite tascabile di cui

Franco non sa cosa farsene:alla luna preferisce il buiototale.

Aquell’orasembral’unicouomorimastosulpianeta,unaterra periferica appiattita,attraversata da lunghirettilinei,stradedisegnateconlasquadraalfiancodicanali,eppure gli resta sempre iltimorediforare,diarrivareinritardo.Isegnidivitaumana,oltreallaschiavitúdeibovini,

sono il rimbombo inlontananza dei primiautocarri, sembrano aerei inricognizione, mezzi ancoraincertisemantenereunostatoprovvisorio di pace opreferire una condizionepermanente–senondiguerra– di potenziale ostilità.Accelera, associa il rumoresempre piú forte e vicino aldilatarsi dei fari, le lucifendono la strada, l’umidità

ristagnaprimad’inzupparegliabitidiFranco,orailluminatocomeunnaufragofuoriuscitodal canale adiacente.Quandogli autocarri lo sorpassanocigolanti, sente unospostamento d’aria calda, imezzimalandatisonocaricatimale, sbilanciati a destratantodarischiarediadagiarsicome pachidermi sul fiancodellabanchina.

Si allontanano, lo lasciano

al pericolo scampato, e perdimostrare a se stesso diessere ancora vivo, Francorifiatainclinatoinavanti,conuno sbuffo dalla bocca, divapore sul manubrio. SolodopoleprimelucidiCorsicoappare Milano ancoraaddormentata,lungoilastroniche quasi lo sbalzano dalsellino,eaquelpunto,sudatoe già stravolto davanti al

panificio,senteilcostofisicodell’odoredipane.

Di lavoro in lavoro, dallapanetteria all’officinameccanica, dal negozio diliquoriallatrattoria,FrancoèintornoallaStazioneCentraledi Milano, in un tardopomeriggio di maggio, nel1951.ÈinsiemeadArmando,unsuoamicoconlafissadelmare. Franco parcheggia la

sua vecchia auto dietro lastazione, partono con lamacchina di Armando lungola via Emilia. Armando hasonno, lascia il volante aFranco, che guida mentrel’amico russa, la testareclinataversolaportiera,chesembra vibrare a ogni sibilodinasoebocca.Dopolanotteinsonne, Franco parcheggiasotto un albero, all’inizio diviale Matteotti, a Milano

Marittima. Armando vuoleandare in spiaggia, Francopreferisce passeggiare versoCervia.Beveuncaffè,lavalafacciainbagno,passalemanitra i capelli. La stagioneturistica sta per iniziare, icommercianti espongono icartelli di ricerca delpersonale,bagnini,camerieri,baristi,l’esercitodeidiligenti.«Cercasi cuoco ragazzovolenteroso». Franco entra

nel negozio, chiede delpadrone, dice propriopadrone, non proprietario,tantomeno titolare oprincipale,nonsivergognadiripetere la parola padrone.Tende la mano all’uomo, sipresenta, BergamaschiFranco. Solleva gli occhialida sole per offrire il suosguardo. Assicura diconoscere bene il propriomestiere, ho fatto

l’alberghiera, insomma, sonoandato a scuola. Spiega tuttoquello che sa cucinare,disegna traiettorie di coltelli,mestoli, affetta l’aria, lasvuota, al padrone vienel’acquolina. Il signor Ginovorrebbe prendere unromagnolo,mapochihannoilmestiereeunocheparlacosíalmenounpo’discuoladeveaverla fatta.Va bene Franco,proviamo,dadomanimattina.

Grazie signor Gino, madomattina non posso, ho lamacchina in divieto di sosta.Enonpuòandareaspostarla?No, lamacchina è in divietodi sosta a Milano. AlloraFranco prende il treno quellamattina stessa, abbandonaArmando al proprio destinoinspiaggia,tornaaMilanoedèquasi felicealpensierochela sua macchina sia statarimossadalcarroattrezzi.Èil

piccolo prezzo da pagare percambiarevita.

Lavorano nel negozioanche Angelo, Mario,Giuseppe. E la moglie diGino,Silvana. Il signorGinosta di solito alla cassa. Neimomenti di maggioreaffollamentosialternacon lasignora Silvana, che dice dinon poter stare troppo inpiedi, sigonfiano lecaviglie,

deve sedersi, lui dice che lecaviglie si gonfiano anche incassa. Franco pensa che lapadrona voglia stare lí perevitarecheilmaritoimboschiqualcosa dell’incasso,togliendolo al bene comunedella famiglia per spenderlofuori, ma il signor Gino èsempreinnegozio–apartelamattinaquandovainbancaaversare i soldi della seraprecedente – e le tentazioni

nei cinquanta metri dalnegozio alla banca sono unatabaccheria, un’edicola: ilpadrone fuma e non leggegiornali.

Ilbanconedellarosticceriaè luccicante, lo pulisceGrazia. Quando non serve iclienti, Franco lavora nelretro aiutato da Grazia, chelava coltelli, pentole,stoviglie, taglieri.Il lavorodiGrazia è piú umile rispetto

agli altri, sembra che lei nonfaccia nemmeno parte delgruppo,vaacasaamangiaree a dormire, mentre gli altrimangiano in negozio edormonoalpianodisopra.

Franco iniziaallesettedelmattino,lavorafinoallediecidisera,spessofinisceall’unadi notte, se prepara ciò chepoiverràvendutol’indomani.

Suggerisce di acquistaredai fornitori i tendini di

vitellino, sa condirli bene e iclienti apprezzano. Francometteabagnoinunapentola,aggiunge sale, pepe, olio,porta l’acqua a ebollizione,continua a fuoco basso, perdue ore e mezza. Si siede afumare una sigaretta incucina, vede le luci accesedellecasedifronte,ascoltailsignor Gino, lo spostamentodi una latta d’olio, di unabottiglia d’aceto, il rumore

dei calcoli del padrone, chealla cassa fa i conti con lebanconote, ammonticchia lemonete,infinegiocaacartealsolitario, mentre la mogliedormealpianodisopra,edafuori giungono grida didivertimento. Franco scola lepartidelvitello,faraffreddaree le scarnifica quando nonsonopiúcalde,metteciòcheresta in frigorifero, spegne lasigaretta, saluta il padrone e

va in camera. Ha ventunoanni,vorrebbequalcosadipiúdallavita,adessoesco,vadoadivertirmi, pensa mentre sigiranelletto,eppurespessosiaddormenta vestito, con ipanni da lavoro, l’odore dicarne addosso. Al mattinoscende in negozio, il signorGino è già fresco, rigeneratodai futuri guadagnigiornalieri, il negozio aprealle otto, la saracinesca è

sollevata ametà, è il segnaleper gli habitué, i clientiaffezionati bussano edentrano. Se la sera Francopreparal’insalatadinervetti–operazione da lui definitamiporto avanti coi nervetti – litoglie dal frigorifero, dove leparti del vitello riposanoinsiemeagliavanzidelgiornoprecedente, insalata di riso,roastbeef, lasagne.Spezzettainervettiecondisceconolio,

sale, pepe, aceto, una cipollaa fettine, sedano, peperonirossi, e per creare l’effettobandiera tricolore aggiungeprezzemolo tritato e, infine,qualche fagiolo intorno, aguarnizione. Sistemal’insalata di riso accantoall’insalatarussa.Ognigiornodeveoccuparsidiun’ottantinadi polli. Il fornitore liconsegna morti e spennati.Sarebbemegliosearrivassero

eviscerati, ma il signor Ginodovrebbe pagare di piú eallorapenserebbeinsiemeallamoglie, cosa teniamo a fareFrancoinrosticceria?

Alle dieci di sera, dopoquasi tredici ore di lavoro,Franco mette il primo pollosteso sul tavolo, le zampe inaria, lavora la pelle insuperficie,lasolleva,infilaledita tra la pelle e il coltello,affonda in orizzontale, estrae

lo stomaco, il fegato, deveutilizzarloperun’altraricetta,non vuole rompere la bile,sciacquare a lungo è tuttotempo perso. Pulisce leeventuali granaglie mangiatedal pollo la sera prima dellamacellazione. Perché glidànno da mangiare sel’indomani lo ammazzano?Pulisco io il giorno dopo,pensaFranco.Ilpollosembraun cartoccio svuotato, il

palloncino di una festa perbambini esploso in cielo ericadutoaterra.Sonopensierichegliricordanolemattinateascuola,laprimacomunione,l’ubriacaturadei familiarineigiorni di festa, le serate inbalera, i turni in fabbricadegli amici rimasti aMilano,lavitadacuièscappato.Cosaracconterà agli amici, che loimmaginano divertirsi almare?Ipensieriduranoperil

primo pollo, massimo per ilsecondo. Franco sa comefunziona il lavoro: bastaprendere la mano e dopo ètuttoniente.Finitiipollivadoa divertirmi, ripete fra sé,mentre incide il collo perestrarre il gozzo. Quandofinisce è troppo stanco, ilcoltello gli pesa, lo appoggiasul tagliere conquell’indolenzimento delgomitochecolpisceitennisti.

IlsignorGinosonnecchiaallacassa, appoggia la schiena aicartelli delle offerte speciali.Signor Gino, dice Franco. Ilpadronehagliocchirossideisogni spezzettati in tantiepisodi contraddittori, eppurenonostante un sognosmentisca quello seguente,riescono tutti a essere pocopiacevoli.IlsignorGinobevel’opaco bicchiere d’acquarafferma, accanto alla penna

utilizzata per i conteggi. Lasaracinesca è abbassata dalledieci di sera, i due uominiesconodalretroerisalgonoaipropri letti; Gino sta con lamoglienellapartedestradellapalazzina, un appartamentocon tre stanze e una cucinautilizzata solo per lacolazione; gli altri dormononella parte sinistra, un’unicacamera con quattro letti, unasedia,unaportaasoffietto, il

bagno ha un lavandinominuscolo. Franco avanzanell’oscurità, allunga atentonilemani,ècosíbuiodanon riuscire a vederle, puòsolo sentirle grazie all’odoredelle interiora dei polli. Latransizionedallarosticceriaalletto lo sveglia. I tre colleghirussano alternandosi con unaccordo misterioso, unmiracolo della natura checompensa le piccole

conflittualità lavorativediurne. Si sdraia vestito, unodei suoi sogni ricorrenti è laperditadellamanodestra,chesistaccadalbraccioerimanesottoilcuscino,ealloraluisialza di scatto, convinto diessere senzamano, spesso incoincidenzadelleseiemezza,ilbraccioinaria,perpauradimorire dissanguato. Lamattina si lava, si cambia,beveuncaffènelbardifronte

e va in rosticceria, riparte dadovefinisce.

Ricopre il pollo di erbearomatiche, le aggiungeanche all’interno, mettecinque polli sugli spiedi ementregiranoFrancopreparal’insalata russao l’insalatadiriso, le polpette di pesce peraverle sempre pronte,friggerle in tre minutinell’olio caldo e venderle daasporto. In quei tre minuti è

costretto a parlare con iclienti, discute di calcio, diragazze, di nuovi dancing, lechiacchiere fanno parte dellaricetta; prepara le polpette dicarne partendo dal paneraffermo,acuitoglielacrostae lo spezzetta tritandolo,comel’aglioe ilprezzemolo,e infine aggiunge la carne,recuperatadatuttigliscarti.Ilsignor Gino è felice quandoFranco annuncia le polpette,

amavedereraschiareleparetidel frigorifero per recuperarelacarne,ah,comemangianoiclienti, soprattutto i primistranieri che arrivano invacanza sulla rivieraadriatica,etratutti,quellicheapprezzano con piú gustosono proprio i tedeschi.Franco sa come trattarli,aggiunge uova fresche eparmigiano in abbondanza, isapori coprono eventuali

guasti della carne, da servireconpatatinefritte,opatatealforno. Di solito prepara lepolpette due volte allasettimana, cosí può gestire ilfrigorifero e la rotazione deisuoi piatti, e se le polpetteavanzano le conserva per tregiorni,insiemealleinsalate;ementre cinque nuovi polligiranoallospiedo–comeunritmatore meccanico, ilpulsaredi sistoleediastole–

Francopreparagli arancini, ifegatinidipolloconfunghiecipolline.Non c’è tempo peridentificarsi con la stagioneche passa scandita dai polliche ruotano, i clienti entranodalle prime ore del mattino,attirati dai profumi deicondimenti, che invadono imarciapiedi come flautimagici:affollanoilnegozioela rosticceria soprattuttoall’ora di pranzo, quando

tornano dalla spiaggia.All’una emezza il negozio ela rosticceria chiudono.Ginoe Silvana mangiano insiemeagli altri il cibo cucinato daFranco. Il signor Ginoriempie il piatto prima ailavoratoriedopoallamoglie,si offende se Franco non siferma a pranzo con tutti. IlsignorGinoèunpadrone,maognuno è padrone a modosuo,luinonècometantialtri

padroni, che detraggonol’importodeipastidallapagaancheseunononmangia,luioffre alloggio e vittoabbondante. Franco appenapuòpreferiscesaltareilpastoper andare almare.Sveste lagiacca bianca da rosticciere,cammina con l’asciugamanosulla spalla sinistra e ilpacchetto di sigarette infilatonella manica destra dellamaglietta, come un qualsiasi

turista. Si tuffa deciso, nuotacon uno stile volenteroso,sbatte i piedi da autodidatta,schizza, va sott’acqua,riemerge sputando come ilputto di una fontana dicemento, muove troppo latesta, quasi la svita imitandoil cavatappi quando gira avuoto e sbriciola il sughero,pareilproblemaprincipalediogni povero, avere un corpoche non si mette mai

d’accordo con i corpi deisimili e nemmeno con sestesso, cosí ci si accontentadel ritorno a riva per unasigaretta in costume, bastaquello per sentirsi, fuori dalnegozio,unpersonaggio,nonilrosticcieredelsignorGino.

Il pomeriggiodell’approccio tra Helga eFranco,Hildenonincontralasorella nel solito punto;

cammina credendo disbagliare qualcosa nei suoipassi, e quando arriva dovepensa di trovare la sorella,fissa il calco del telogemellaresullasabbia.

Helgaè invialeMatteotti,accantoaFranco,chefumalesigaretteregalategli.Luifingedi non accettare il regalo,dice,mano,celihoanch’ioisoldiperlesigarette.Estraeilportafoglio per restituire il

denaro. No, dice Helga. Eallora lui ringrazia, mi scusisignorina, ma come sichiama?Potròsapereilnomedi chi mi fa un regalo? Michiamo Helga. Francoaccende la sigaretta. Helga?,ripete lui, agitando il cerinoperspegnerelafiamma.Sononata in Germania, vivo inItalia da quando avevo setteanni. C’è silenzio, Helgafuma per la prima e unica

volta, non aspira, butta fuorila nuvoletta dalla bocca,storce le labbra come sedovesse confidare un segretosgradevole nell’orecchio diqualcuno.Luidicechelavorain rosticceria, spiega anchedove,deveriprenderealle tree mezza, oggi è un po’ inritardo,inventeràunascusa,èilcuocodelnegozio.Leidicedi lavorare in albergo.HotelSand, di mio padre. Quando

diceèdimiopadre,Francosiferma e volta la testa versoHelga, il mozzicone fumantetra le labbra. Lui finora hafrequentato solo cameriere,operaie,commesse,duefigliedi un macellaio, è la primavolta che si trova al fiancodella figlia di unimprenditore. È aperto dapoco, si schermisce Helga,nonsappiamoseandràbeneomale. Come non sappiamo?,

chiedeFranco.Logico, andràbene, aggiunge, qui èimpossibile che qualcosavada male. Sa quanti pollicucino al giorno? Dieci? Eh,dieci. Venti? Ma no, cosavuole che siano, venti.Cinquantacinque?Cinquantacinque? Cosasignifica cinquantacinque?Era cosí, per dire, volevoessere precisa: novanta?Uhm,quasi,novantasolouna

volta, semmai ottanta, lamediaèfaccioottantapollialgiorno, ecco. Non è pocoottanta polli, dice Helga.Fosserosoloipolli,aggiungeFranco, dopo ottanta polli,cucinare anche solo unarancino ti pesa come unelefante, ma il lavoro mipiace, ho studiato per farequello che faccio, non sonouno che s’inventa ilmestieredella disperazione. Vede

quell’insegna, accanto allapianta? Lavoro lí, finiscostasera verso le dieci. Escosempreamangiareungelato,a bere qualcosa, dopo: leandrebbe?

Adesso l’universodovrebbe essere assorbitodalla storia d’amore. Unagiovane donna, un giovaneuomo, ilmare, la spiaggia, ilcielo stellato. Hans Hinner

non può interessare, è unquarantenne senza una storiasentimentale, è vedovo,nemmeno di guerra ma dimogliemortaperunamalattianel1946,eora,seiannidopola fine della Seconda guerramondiale, può davveroimportare a qualcuno il tassodi occupazione, la sommaalgebrica delle partenze edegliarrivi,ilnumerodeilettie dei pernottamenti, il

movimentomedio di rinnovoin un albergo della rivieraadriatica?Ottocamerecontreletti, quattro camere conquattro letti, quattro camerecon due letti, sonoquarantotto letti, quarantottoclienti, da uno a ottantunanni, se fosse sempre cosíl’Hotel Sand avrebbe unacapacitàricettivaannuadi17520, valore da cui estrarrel’indice di utilizzazione dei

letti, simile a quello degliospedali, alla gestione deicimiteri in una metropoli.Sono i numeri cari al nuovoHansHinner.Niente.Amore.Solo amore. Al massimo, unpo’ di cronaca, un po’ disport, muoversi va semprebene, anche se si tratta divedere quelli che lo fanno.Eppure l’hotel è ancora cosípieno di futuro, arrivano iprimi tedeschi, le coppiette

italiane risparmiano tuttol’inverno per sette giorni agiugno, quando ilmare costameno; ci sono le giovanimadri con i figli piccolissimio quelli piú grandi, dellescuole. Hans Hinner è allareception, alle sue spallespiccano le chiavi dellecamere, ogni stanza haun’unicagrandechiaveconilnumero e il fiocco azzurro.Annota sul registrodell’hotel

nomi, cognomi, indirizzi,registratuttoancheinun’altraagenda, dove – ripete a sestesso – scrive solo perquestioni commerciali, unascheda scientifica, per averel’identikit dei clienti. Nome,cognome, età, professione,nazionalità, lingua,composizione della famiglia,moglie, professione dellamoglie, numero di figli, etàdei membri della famiglia,

fidanzati, coniugi, coniugianzianisenzafigli,mezzoconcui sono arrivati all’hotel,treno, automobile, modello ecilindrata dell’automobile,motivodellascelta,ricercaditranquillità, di serviziadeguati,gustipersonali, tipodipropensioneallaspesaealconsumo, preferenzealimentari, carne, pesce,pasta,sportpraticati,richiestadi informazioni su svaghi,

escursioni, serate con eventi,simpatie politichedichiaratamente espresse osottintese, tendenzageneralizzata a non parlaremai del passato. Già diritorno?, chiede a Helga,mentre la piccola svegliadella figlia risuona nellaborsaallecinquemenodieci.Oggi la spiaggia mi annoia.Hilde è venuta da te, non visieteviste?

Le sorelle preparano itavoli. Hilde fingedisinteresse, non accenna almotivo del loro mancatoincontro. Sistema le tovaglie,le appiattisce con i palmidelle mani. I clienti tedeschisonoabituati acenarepresto,dalle sei del pomeriggio:tornanogiàallecinque,ivoltiesausti, la pelle arrossata siscorticadandolorounaspetto

bruciacchiato da scampati,eterniconvalescenti.

Allenovediseralacucinachiude, Helga e Hildesparecchiano bicchierisporchi di rossetto, piatti,mozziconi di sigarette spentinelletazzinedicaffèoancorafumanti tra lische di pesce, èl’oradelcambiotramosceriniezanzareintornoailampioni,avanza ancora tempo per lavita.

Hilde porta fuori Blondi,fa un lungo giro dell’isolato,asseconda l’indole del cane,chesispingeaimarginidellapineta, dove annusa leimpronte di una giornata.Helga ha la patente di guidadapoche settimane, chiede ilMaggiolino a suo padre.Vadoafareungiro,c’èpocotraffico di sera, papà,m’impratichiscomeglio.

Helga parcheggia davantial negozio.Francoèdietro ilbanconedellarosticceria,dicequalcosa al signor Gino,pulisce le mani affondandoledentrounostraccio sporcodisangue ormai rappreso, chestride con l’urgenza delcorrere,alpianodisopra.Nelpomeriggio, sapendo diuscire,preparaipolli,temediavere le mani puzzolentid’interiora. Lava e sciacqua

bene, le mani, la faccia, icapelli, si fa una docciaintera, versa l’acqua dicolonia dappertutto, tanto datemere di essere troppoprofumato, cosí accende unasigaretta e sbuffa il fumosullemani,appenaèinstradaaccendeun’altrasigaretta.

Helga suona il clacson, sisporge dal Maggiolino,Franco è sorpreso di vederlain automobile. Attraversa la

strada, appoggia la mano altettuccio della macchina, unatteggiamento confidenzialecome quello di un poliziottocheparlaconilcollegaafineturno. Di solito preferisco leitaliane, però vorrei guidareio. Franco, posso fidarmi?Helga passa sul sedileanteriore destro senzascendere dall’auto, con lostessomovimentogoffodellegambe, come quando, da

seduti,cisicambiailcostumein spiaggia, avvolti in unasciugamano. Franco guidatranquillo, sembra HansHinner la prima volta cheHelga è arrivata alla stazionediCervia.L’andaturalorendeagli occhi di Helga piúadulto.Attraversanoilcentro,in direzione sud versoPinarella, risalgono illungomareGraziaDeledda,ilcanale delle saline, per

tornare a Milano Marittima.Viale Matteotti sembra unaltro posto dal sedileanteriore destro, incompagnia di un uomo.Pocheautosonoparcheggiatedavanti ai tavolini dei bar,lungo i bordi della strada,sotto i lampioni cheilluminano a stento lecarrozzerie, lasciando letarghe nella penombra,l’originediognispostamento.

Famiglie sparse di turisticamminano senza una metaprecisa, i bambini dormononeipasseggini,ilventoscostale fronde degli alberi, lenuvole, e libera la luna. Madov’è il tuo hotel? Di là,indica Helga, con un gestovago e noncurante dellamano, in direzione delfinestrino aperto.Ventiquattro ore prima,Franco mai avrebbe pensato

di guidare un Maggiolinotargato Milano, con unaragazza nata in Germania alfianco.Helgaloguarda,l’ariacauta dei cinquanta all’orasmuove il ciuffo impomatatoe già secco sulla frontesudata, lo sguardo le cadesulla camicia aperta, líspuntano due peli, sembranoreclute in ricognizione, chedànnoaFranco,nonostantelaposa, un’aria ancora da

ragazzo. Cosa c’è? Non haimai visto uno che guida?,dice gettando il mozziconedal finestrino, per aprirsi inun sorriso. Helga, non ti dàfastidiosetidodeltu,vero?

Hilde passeggia sulmarciapiede insieme aBlondi, sistema il guinzagliointornoalcollodelcane,chesi gira di scatto, riconosce ilmotore del Maggiolino.Anche Hilde si volta, piú

lentamente,cosídàiltempoaFranco di vederle la schiena,iltagliodeicapellisullanucasimileaquellodellagemella,ilbracciopenzolantelungolatraiettoria del guinzagliomolliccio. Helga non dicenulla, fissa sua sorella nonproprio come un’estranea,come una cugina di secondogrado. Le sembra immaturo,un avanzo d’infanzia,l’ostinarsi con Blondi.

Guarda che bel pastoretedesco, Helga, ce ne sonopochi in giro; però, incompenso, quella padrona lí,quasi ti somigliava, be’,vogliodire,solounpo’,tuseimolto,molto piú carina, diceFranco, che accarezza loschienale. Lui ancora ignorase il principio della suaeffusione abbia l’odore diinteriora avicole, di acqua dicolonia, di fumo, di niente,

ma appena vede unassestamento di Helga, chemuove le spalle come fossesedutasuunosgabellodabaralla ricerca di equilibrio,Franco appoggia la manodestrasullaschienadiHelga,cerca le spalline delreggiseno, non sente nulla, ealloraaccelerasoddisfattodelprimorisultato,portalamanodestra al cambio, innesta la

mezza vittoria della terzamarcia.

Il mito dell’ordine,dell’igiene fisica e mentalesopravvivenellazonanorddiMilano Marittima, sul latodestro di viale Matteotti indirezionedellaspiaggia,doveci sono le colonie. Franco eHelga sfilano davantiall’ingresso, il cancello èpattugliatodauncustode,che

esce dal gabbiotto mimandouna posamilitare. La grandestruttura, che spiccaaggressiva ingombrando ilgiorno, di notte pare unpiccolo prolungamento delbuio verso il mare, cheperaltro,dopolediecidiseranel mese di giugno,custodisce una misteriosariserva di luce autonoma dairaggi lunari, sufficiente ailluminare forme scheletriche

dipedalòebarchettesparseariva.

Maiandatoincolonia.Esíche potevo, bastava esserepovero:tuinvece?Ahgià,eritedesca. Almeno a noiMussolini ci dava le colonie,il mare. Franco, nonpossiamo parlare di una cosapiúallegra?Noinonparliamomai di politica in famiglia, ètutto passato.Helga, passato,passato, sono sei anni, non

seicento, magari può ancorainteressare, cosí, percuriosità, non per altro. Iovivevo già a Merano, diceHelga, quando era l’epocadellecolonie.

Franco parcheggia ilMaggiolino lungo vialeMatteotti, poco prima delloScolo Cupa. La strada èsilenziosa, le foglioline deglialberi nella pineta – colpitedai raggi lunari – luccicano

come fiammelle d’argento,prima di confluire in chiazzepiúgrandi,aipiediscurideglialberi.Labrezzasitramutainvento appena inizia laspiaggia, e l’aria, al posto dirisvegliare la coppia,rinchiude Helga e Franconellaloroserata.Sull’edificiospiccano due grandi crocirosse, eredità del periodobellico,quandolacoloniaeradiventataunospedale.Tunon

hai la fidanzata? Nooo, sonolibero, liberissimo. Francostendeilbraccioperattirareasé Helga, l’aria entra dallalarga manica della maglietta,Franco ha un piccolo brividoequivocato da Helga, checonsidera quella scossa unsintomo supplementare didesiderio. Lui le accarezza icapelli,lanuca,leisocchiudegli occhi, e pensa cheAlessandro sarà anche il

figliodiunavvocato,manonle accarezza mai la nuca,tanto che, per laprimavolta,Helgasirendecontodiavereuna nuca quando è incompagniadiunuomo,enonsolo dalla parrucchiera. Poilui si accosta, posa le labbra,non come fa Alessandro conl’urgenza di uno in debito diossigeno,edèquestal’ultimavolta che lei si perde instupidi paragoni. Il mare

sembramolto piú vicino e leonde – a pochi metri dallacoppia – sono esse stessesoltanto pieno rumore. Leonde si portano appresso untronco d’albero che nonriescea spiaggiarsi,ma lotta,resiste abbandonandosi allacorrente, la suaarrendevolezza superficiale èun’ostinazione dissimulata,che prolunga l’agonia, ilrientro nel circolo d’acqua

dopo ogni nuova onda.Franco prende Helga permano, la indirizza verso ilmuro di cinta della colonia.Helgasichiedeperunistantese non sia troppo prematuro,in fondo conosce Franco dameno di otto ore. Lui leappoggialespallealcementoancora caldo per tutto il soledella giornata.Lei approva iltepore ruvido del muro, lamano destra di Franco, che

risalepiúcaldadallapanciaalseno,mentre lamanosinistradi Franco stacca Helga dalmuro, per attirarla contro disé. Se un naufrago arrivassedalmare,sentirebbelasabbiabagnataoanchesoloumidaeimmobile, mentre quella aventi metri dalla riva sisolleva spinta dal vento, e lefolate piú forti dànnoall’immagine una sensazioned’incertezza, tanto che

potrebbe non esserenemmeno una coppia,ma unuomo solo, infreddolito, chesiabbraccialespalle.

Franco prende i capezzolicon gli indici e i pollici, leisembra restare in equilibrioproprio grazie alle sue dita.Helgalosorprendecomequeipugili bravi a incassare, chesembranocrollarealtappetoeinvece ripartono conl’improvvisasequenzadestro-

sinistro; posa le mani suifianchi, le fa scivolare sulsedere di Franco, tocca ilportafoglioinfilatonellatascadi modesto tessuto, eimmaginare il portafogliovuoto,dipellescadente,conidocumenti dell’uomo dalcognomeancoraignoto,ledàun’eccitazione inaspettata.Helga fa questo movimentocon la borsetta appoggiata alpolso, penzolante dal sedere

di Franco. Appena lei lasciala presa, la borsetta cade perterra con un tonfo attutitodalla sabbia. Franco si gira,sembrachecerchiqualcosadipersonale, come un canequando si voltaper fissare lapropriacodaeinvecetrovailmondo, e abbaia. PrendeHelgae,conlacuradelcanefedele, la adagia sulla sabbiachericopreilcemento.Helga,asuavolta, loattraeversodi

sé, ricrea Franco nelpomeriggio di giugno, ildesiderioèquell’immagine,esebbene siano le undici disera è accecata dalla lucedelle tre del pomeriggioappena trascorso, i capelli diFranco neri tirati all’indietro,la barba del giornoprecedente–quandonéluinéHelga sapevano ancora dellareciproca esistenza –, lacatenina d’oro al collo e il

crocifisso che pendeballonzolando tra i peli delpetto, le spalle larghe per unuomo di statura media, iltessuto del costume nero dacui sbucano le gambeleggermente storte da excalciatore dilettante,l’abbronzatura uniforme, ilmodo in cui Franco scavanella sabbia con i piedi e lemani, il paesaggio deldesiderio, la collimazione di

tuttociòconlapropriapausadi lavoro, lei senza Hilde,HelgaeFrancoinpienosole.Nella penombra lunare sivedono meglio i confini deicorpi, che si espandonoliberandosi dagli abiti, e sicontorcono ora sul fianco diuno, ora su quello dell’altra,in un movimento che,sottratto all’istante,risulterebbe stucchevole,invecelíènecessario,esposto

comeundogmaecclesiastico.Helga inarca la schiena peragevolare lamanodiFranco,che le abbassa le mutande,disincagliandole dallecaviglie con il piede, untocchetto d’esterno destrocalcistico. Il vento muove iltricolore italiano issato sulpennone, quasi lo strappa,Helga guarda la bandierasferzata a dieci metrid’altezza, fino a quando il

vento – e infiniti granelli disabbiatraidenti,icapellieleorecchie – le fanno chiuderegliocchi.

Restanoimmobili,luihalafacciaaffossata tra ilcollodiHelga e la sabbia, gli occhisocchiusi suggeriscono aFranco il corpo di Helgalontano, impalpabile, quasidisciolto. Si gira sullaschiena, sospira, come se sifosse dimenticato – prima –

di quest’ultimo soffio, cheora, liberato dall’abitudine odall’urgenza,halaqualitàdelsuperfluo, o peggio,dell’avanzo. Franco si sdraiaaccanto a Helga, prende lesuedita,guardanomanonellamano i lembi della bandiera,le scosse del tricoloreliberano fette piú ampie dicielo, di stelle. Il ventoimpetuoso–quasi aadattarsiai loro respiri di nuovo

regolari, ai pensieri divenutiquotidiani–sitrasformainunventicello modesto, da nonprenderetropposulserio.Chene dici se andiamo?, chiedeHelga. Franco accende unasigaretta, copre il fiammiferocon la mano, per abitudine,unmezzoriverberodi lucesiestende alle gambe diHelga,illuminandole mentre lei sitira su lemutande.Helga,ho

sete: andiamo a berciqualcosa?

L’Adriatico, alle spalledellacoppia–oltre ibastionidelbuio,cheunisconocieloemare, dove brillanointermittenti le luci deipescherecci – si sforza diessere aperto,minacciosonelsuo essere un telone pocoprofondo, eppure sempresoggetto alle leggi di natura.

Helga passa la chiave delMaggiolinoaFranco,latienesospesaamezz’aria. Ilgesto,grazie a un impercettibiledondoliodelpolsocamuffatoda ultimo refolo d’aria, dà aHelga una consapevolezzamolto superiore all’etàanagrafica,mentrelamanodiFranco, sportiva e adultanell’afferrarelachiave,rivelaancoraqualcosad’infantile.

Parcheggia in piazza

Garibaldi, indica il tavolinocon un cenno, l’altramano atastare le chiavi dell’auto intasca.

La tenda con la scrittaalimentari è sollevata, ilpadrone dorme nel letto,accanto alla padrona sogna, icolleghi di Franco riposanonella loro stanza. Potreiresistere ancora fuori, diceFranco, a volte sto in giro

tutta la notte, mi unisco aquelli che escono dai night,bevo due caffè e alle settesono al lavoro, i coltelli inmano: domani ci vediamo?Helgaannuisceconilmotoreacceso, lui scende dalMaggiolino, lei lo vedeattraversare verso lasaracinescaabbassata.Francodeve andare sul retro, indirezione della scala diaccesso all’appartamento,

prima però si volta in modoplateale, lei non può evitaredi salutarloagitando lamanodal finestrino. Tre minutidopoHelgaèinalbergo.Ifariilluminano gli occhi diBlondi, stesa e sonnolenta ingiardino.Parcheggiasulretro,accanto ad auto con targhestraniere. Hans Hinner è albancone della reception,augura la buonanotte agliultimi clienti. Helga

approfittadellaloropresenza,lascia le chiavi accanto alregistro e va in camera. Silava e raggiunge il suo letto,mentre Hilde finge didormire.

Fanno colazione, Helgabeve un caffè doppio, ha gliocchi ridotti a fessure per lastanchezza della seraprecedente, si aspetta daHilde una domanda sulla

serata, o almeno qualcosasull’assenza pomeridiana.Nulla. I clienti piúmattinieriarrivano affamati, lacolazione alle sette di ungiorno di giugno è qualcosadipiúdiunapromessadivita.Hans Hinner è sbarbato, conla camicia fresca dietro ilbancone della reception.Blondi è in piena forma,scodinzola in giardino, dovebambini tedeschi e italiani

giocano sotto lo sguardo delcane edellemadri. I genitoris’intendono a gesti, dopo unpo’ di mimo sciolgonol’imbarazzo con una risata,che sopravvive per alcuniistanti mentre guardano ifigli.

Helga telefona adAlessandro con indossoancora la divisa, vuolechiudere la relazione,ammesso che sia davvero

incominciata. Risponde lacameriera. Il signorinoAlessandro dorme, devolasciardettoqualcosa?

L’ora di pranzo arriva infrettaperognialbergo.Helgaè impaziente, serve ai tavoli,si ferma sulla soglia dellacucina, vorrebbe imboccaretutti i clienti, giovani donneche si cibano di un solocontorno come passeri presida una lentezza malata,

adolescentiinsaziabilisemprealla ricerca di una porzionesupplementare, bambinicapricciosi che mordicchianoilpaneegiocanoconilcibo,staccano a morsi palline dimollica prima della carne,quando arriva un pezzod’arrostocincischiano.

Le voci della sabbias’intersecano, piccoleporzioni di mondo

contengono tutto ciò cheserve: la ditta va benissimo,ha dieci persone sotto di sé,prendiunasigarettadellemie,è un capo, è nata la figlia,inizia a perdere i denti, lamoglie gli vuole bene, èmorta la nonna, i soldi nonsono importanti, è diventatopreteperfame,hoilserbatoiopieno, quella lí è bella difaccia, chiudo gli occhi perfinta.

Magari non vienenemmeno,pensaFrancostesoin spiaggia, sono qui dalleduemenounquarto,ho fattouna corsa sotto il sole, conquesti zoccoli non è unoscherzo, e prima ho dovutodiscutere con il padrone,voleva che mi fermassi apranzo.Nonènemmenoluiainfastidirmi, il padrone fa ilsuo mestiere, il problemasono i colleghi, guardano il

mondo con i miei gesti, noncredevo di essere cosíimportante,daquando lavoroho capito di esserlo, tutticontrollano gli altri perdimenticare il tempo chemanca alla morte, misuranoquanto impieghi a stringereun bullone, a scrivere unalettera, a pulire un pollo,mase il pollo impiega un totnumerodigiornipercresceree morire, io devo pulirlo

bene,èunaformadirispetto,lo facciopermestesso,se locucino al meglio è come sedicessi:tivogliobene,Helga,haibisognodiuncuoco?

Magra è la consolazionedeicadaveri,polliesoldatiinuna guerra poi perduta, forselo è ancora di piú per chivince e muore. Helga eFrancoparlanoepasseggianolungo la riva, ogni piccola

onda, per quantomodesta, siciba della precedente e nutrequella successiva, che ognivolta sembra la postrema, einvece si ricompone subitoper disfarsi, solletica i piedi,le caviglie, non costa nulladire ti amerò per sempre, ècome ascoltare le canzonidell’estate, cambiano ognianno eppure c’è sempre unapreferita, che fa camminaremano nella mano, e proietta

ombre unite per riempire leculledelmondo.

Helga,semidàifiducia,iovengo a lavorare nel tuoalbergo. Franco, l’albergononèmio,èdimiopadre,unsuo capriccio. Capriccio?Non avete necessità dilavorare?Lavoriamoperchéègiusto. Infatti, Helga, ègiusto, la mia non èelemosina, sono unlavoratore, che ti vuole già

bene, chiedi referenze alsignorGino se nonmi credi,ma non dirgli che mi vuoiprendere da te al ristorante,lui vorrebbe tenermi inrosticceria,poveretto, luie lapadrona non hanno avutofigli,unfigliochetifaottantapollialgiorno–senzacontarele insalatee lepolpette–è ilmassimo, ma io ce l’ho giàuna famiglia, ne voglio unatutta mia, moglie, bambini,

forse sto correndo troppo, tel’hodettoilprimogiorno,ierisembra lontanissimo. Disolito non parlo cosí, sai, unconto è uscire con unaragazza qualunque permangiare un gelato, si puòmangiare un cono senzabisognodelprete,masetroviquella giusta? Nonm’interessa una da divertirsiinsiemelasera,io,modestiaaparte,neavreiasecchiate,per

finire come? Li vedo quellicheentranoinnegozioconlebellemogli, soddisfatti di sé,leportanoaspassoelemogliaprono bocca solo perordinareinrosticceriaoneglialtri negozi. Peggio sarebbeunadelmiopaese,voglionoilmatrimonioprimadell’amore,guardano la famiglia delragazzo,sehaunpo’diterra,misurano la vita in pertiche,si accontentano di un fienile

mezzo diroccato, perfino diun maiale da ammazzare adicembre intorno al fuoco,meglio di niente, oh, anch’iovoglio sposarmi una donnachediventisignora,mafinoaun certo punto, non vogliouna che esce di casa quandosente il languorino e va inrosticceria o nei negozi,quello non è appetito,tantomenofame,ènoia,bastapoco a far crollare tutto, la

casa carina, i vestiti negliarmadi, cambiare i soldi invaluta straniera per visitarel’estero e comprare unricordino,ancheinspiaggia,èbelloandaredurantelapausa,ma se la spiaggia diventa latua occupazione principale,l’unica, c’è da impazzire aguardarsi il segno delcostume, capisci, per questopreferisco la donna chelavora, indipendente, anche

una che ogni tanto micontraddice, senza esagerare,non mi esalto se ripetesempre e soltanto quello chevogliosentirmidire,infattituhai tutto, saidueo tre lingueequandoridereaunabattuta,è importante, nessuno vuolestare con un funerale, nelsenso, mi piaci, credimi, èdifficile parlare al sole senzanemmeno gli occhiali scuri,sono certo che se aspettavo

stasera, le parole davanti alvinooallalunatisembravanomeno ridicole, mi davi unbacio. Non dico che cidobbiamo mettere insiemeufficialmente adesso, se vuoipossiamo fingere di nonconoscerci mentre lavoro inalbergo,sai,primadiarrivarein spiaggia sono passatodavanti all’hotel,complimenti, lo avete messogiú bene, da fuori funziona.

Franco,diceHelga,telodicosubito,abbiamogiàunabravacuoca, è una del posto. Eallora? A parte che di unuomo c’è sempre bisogno allavoro, dài, Helga, cosa saràuna cuoca romagnola, unavolenterosa che viene lí acucinare tortellini come sefosse a casa sua, ascolta, hostudiato per fare il cuoco,dimentica il fatto che mipiace la vita tranquilla, se

volessi potrei fare lo chef,altro che la rosticceria delsignorGino,Helga, facciamoun bel ristorante, t’insegnocome si sta in cucina, è unrito, i clienti spargono lavoce, vanno a casa e sisentono meglio, hanno ivaloridelsanguerovinatimatornano felici l’anno dopo,tuopadreincassa,ècontento,se sai stare in cucina riesci agestire bene anche il resto

dell’albergo, non devinemmeno urlare allecameriere,lecamerierefannoquello che dici tu e devesembrarenaturale.

Helga e Franco – divisidalle loro occupazioni – noncomprendonosubitoilgiornofestivo.Lavitaneglialberghio nei negozi è quasi sempreuguale, è il potere delcalendario, dell’alta stagione,

di domenica si lavora comeglialtrigiorni,forseunpo’dipiú.

Da giugno cominciano amuoversi quellidell’entroterra per trascorrerela giornata almare.Arrivanoinbiciclettaointreno,chihal’automobilefalacollettaperil carburante, riempie lamacchina e porta a spasso ilpropriomillebenzina,almenodi domenica. Partono da

Forlí, da Bologna, alcuniperfino la sera prima daMilano, guidano per orelungo la via Emilia, quandovedono il luccichio del marebattono le mani dallacontentezza, giuntiall’avventura della spiaggiacon sguardi assetati di vita,sembra debbano piangere nelcorso di una risata;parcheggiano lontano dai barmigliori frequentati da ciò

che essi stessi definiscono labella gente, si vergognano asbucare in cinque cometopolini da un’utilitaria del1938, sebbene sia targataMilano rimane sempreun’utilitaria del 1938; sistiracchiano e tolgono lestropicciature ai pantaloni,passano lemani sulle gambecome se patissero unindolenzimento muscolare, siscroccanosigaretteavicenda,

rifiutano la spuma a unchiosco di bibite e gelaticonfezionati, un baracchinoche ha sedie di ferroarrugginito e ombrellonisponsorizzati dalla bibitaamericana, la loro preferita;poco prima della spiaggia,arrotolano i pantaloni, le duescarpe in unamano, i calziniappallottolati. Cercano diconoscere chi ha un pallone,soprattuttoseèdiproprietàdi

una ragazza, e sebbenedetestino la pallavolo, vigiocano con entusiasmo, incerchio. Non riescono mai aprolungare gli incontri al difuori della spiaggia, spessoorganizzano una partita dicalcio con ragazzi piúgiovani, che potrebberoessere fratelli minori, equando il gioco finiscesrotolano i risvolti deipantaloni,scuotonolasabbia;

sono silenziosi mentretornano verso la macchina,ma è troppo presto perrientrare a casa, e allora siappoggiano alla berlina neraparcheggiata davanti a unapasticceria, con unaconfidenza tale che qualcheragazzadipassaggiopotrebbeimmaginare, in quellagiovane disperazione umana,qualcosa di personale, diduraturo.

E invece non sononemmeno del tutto depressi,mangianounconoalternandole leccate ai complimentiespliciti, piú spesso lisussurrano dopo un sibilomeccanico, a volte riesconoperfino a scambiare duebattute: ma uno può passarela domenica a mangiaregelati? Finisce che di seraarrivaancheunpo’dinausea,e allora tornano all’utilitaria,

allamacchinadelloroamico.È lui ad accendere il motoreverso casa, si ritirano ignaridi una nuova sconfitta, tuttosommato soddisfatti, tengonogiú i finestrini, le bracciaarrostite dal sole, sotto laluna.

Helga è incerta seaccettare cosí in fretta lapropostadifidanzamento.Hadiciotto anni, è ancora

giovane. Hilde, per esempio,che lei sappia, non hanemmeno un filarino, se loavesse avuto sarebbe stato instazione a salutarla il giornodella partenza, come fannotutti senza vergognarsidell’amore, o almeno dellasua superficie, invece erasola, con Blondi, portatasempre a spasso come unastampella,anchealmare.

A volte Hilde esce in

compagnia, con ragazzi eragazze tedesche e qualcheragazzo italiano patito delladanza. Helga non esce maicon loro, incontra Franco alpomeriggio, in un’altra zonadella spiaggia, lei non vuolecheHilde lo conosca adesso,teme possa dirne male.Franco non gradisce lacompagnia di altre persone,ha già tanto da parlare innegozio, il pomeriggio vuole

stendersiaccantoaHelgaperprendere il sole, la serapreferisce stare tranquillo.Vanno poco sotto la lunadelle colonie, passano leseratealtavolinodiunbaradascoltareidiscorsideglialtri,a discutere della giornata.Franco racconta di qualchecliente, dei colleghi e delpadrone, Helga dei nuoviarrivi, progettano insieme ilfuturo, che sarebbe la fine

della stagione balneare,quando molti negozichiudono, il signor Ginopotrebbe decidere di tenereaperto rinunciando alpersonale, ma non a Franco,lui è indispensabile per lacucina. Alla fine di giugno,Helga è indecisa, forseproiettata all’iniziodell’autunno, all’eventualeiscrizione all’università, acosa poi? Mi piacerebbe

avere la donna dottoressa,dice Franco, tanto guarda,non rimango indietro rispettoate,ilcuocoècomeilsartooil calciatore, è un mezzoartista, anche se sbaglia unpo’ a parlare i verbi, i ricchiglieloperdonano,epoiancheiricchisbagliano,avolte.

Il problema è comepresentare Franco a HansHinner e farlo assumere in

cucina. Helga conosce suopadre. Se lei arrivasse allareceptiondell’albergoconungiovane italiano di ventunoanni, abbronzato, cuocodallaparlantina vivace, fatta dipicchi e improvvisesospensioni, suo padre nonaccetterebbe mai diassumerlo, e tantomenolicenzierebbe Margherita.Costa poco, è una bravadonna, dietro quella faccia

burbera, da cinquantenneinvecchiata precocemente, sinasconde una smentita, lacertezza che, se è giustoaddossare la colpad’inaffidabilitàaunanazione,èbeneassegnarealsingololapossibilitàdiriscatto.

Margherita è semprepuntuale alle dieci delmattino, esce alla due emezza del pomeriggio.Mentre Hilde lava i piatti,

Margherita conserva lepietanze avanzate e i sughiper la cena dentro il frigo,primadi salire in bicicletta etornare a Pinarella. Helgainfila tre mele nella borsa diMargherita, va dal padre edice, papà. Ripete spessopapà nella sua imminenterivelazione, per rinsaldare illegame delle sue parole alvero. Non avrei mai volutodirlo, papà, non ce la faccio

piú:Margheritaruba,lofadaquando sono arrivata. Uhm,davvero?Ecosa?Parlapiano,eintedesco,papà,ocisente,sta arrivando qui, ascolta,ruba poco, ma ogni giorno,quattro fette di pane, un po’di frutta e verdura, burro, unpezzettino di formaggio,cinque fette di salame, papà,poca roba, solo una voltamezza bottiglia di olio:

adesso ha tre mele nellaborsa.

Margherita passa dallareception per salutare HansHinner. Fa sempre cosí. Ilsaluto è una forma diraccordotraleazionifatteperilpranzoelaprospettivadellacena. Dopo va nel retro delgiardino, verso la propriabicicletta. Signor Hans, civediamoallecinqueemezza,è già tutto pronto, basta

scaldareisughi.HansHinnerannuisce. Mi potrebbemostrarelasuaborsa?Lamiaborsa? Chiedo scusa, eperché, signor Hans? Lofanno ovunque, signoraMargherita,ancheinfabbrica,agli operai prima di uscire.Margherita gliela passa,ricordava una borsa piúleggera, adesso avvertequalcosa,unpesosuperioreaquello precedente, ma

nell’incertezzadelsuosentireaddebita la differenza allafatica delle ore.HansHinnerapre la borsa e rovescia ilcontenuto sul bancone dellareception: un fazzoletto, unborsellino, le tre mele. Unadelle tre rotola versoBlondi.Il cane la spingecon il naso,versoipiedidiMargherita.Equeste cosa sono, signoraMargherita? Mele, signorHans. E da dove arrivano?

Margheritaècosísorpresadanon riuscire a ribattere nulla.Glielo dico io da dove: dallacucinadell’albergo,dallamiacucina. Signor Hans, èimpossibile, glielo giuro.Signora Margherita, perfavore,semiavessedettocheaveva bisogno di tre meleglieleavreidate, l’ho semprepagata, ma adesso comefaccio a fidarmi? Sa cos’èquesto a casa mia? Furto. E

ringrazi che non ci sianoclienti qua davanti: cosadirebbero se sapesseroche lacuoca dell’hotel è una ladra?Alla parola furto, Hilde escedallacucinaconunostracciosulla spalla. Cosa succede?Helga, spiegalo a tua sorella.Margherita abbassa losguardo, resta in silenzio, sulpunto di piangere. Helgaprende una delle due melerimaste sul bancone della

receptionelasolleva,sembraun avvocato infervoratoduranteildibattimentofinale.Appena la requisitoria sispegne,Hildeprende lameladalla mano della sorella, larigira come una pallina datennis, quasi vi possascorgere nella traccia delpassato la predizione delfuturo.Hilde accosta lamelaalle labbra, sente il propriorespiro sulla buccia, i denti

affondano nella polpa da cuiesce una leggera schiumabianca. Gli altri restano insilenzio,leimangialamela,ilrumore della suamasticazione riempie lareception, si alterna in unaccordo misterioso al suonodegli spiccioli con cui HansHinnercongedaMargherita.

Prima di andare inspiaggia, non ancora sicura

del proprio successo, Helgadice che per stasera se lacavano, i sughi sono pronti,ma domani? Né io né Hildesiamo brave a cucinare. Iclientiprotesterebbero.Loso,Helga,forsesonostatotroppoprecipitoso, avrei dovutosgridarla, trattenerle soldidalla paga, punire il gesto insé. Papà, hai fatto bene, nonpreoccuparti, conosco unbravissimocuoco,hastudiato

in una scuola alberghiera sullago.Lavora in rosticceria, líè sprecato, c’è la fila ed ètutto merito suo. Non me lofareiscappare.Sevuoi,provoa chiedere, magari vuolevenirealavoraredanoi.Telofarei conoscere oggipomeriggio.

Helgaentranellastanzadisuo padre, afferra unamaglietta bianca pulita, corre

in spiaggia da Franco. Luidorme al sole, lo svegliascuotendogli la spalla.Hai lemani fredde, dice Franco,cos’hai fatto? Forse ti hotrovatoillavoro,eccocosahofatto.Mettitiquesta,èdimiopadre, tanto non se neaccorge.Per andaredove? Inalbergo, te lo faccioconoscere,sesiamobravi,dadomani sei il cuocodell’HotelSand.

Alla chiacchierata – nonun vero colloquio – assisteanche Helga. Hilde è inspiaggia. Franco indossa lamaglietta bianca del padre diHelga.HansHinnerloguardacome se in lui ci fossequalcosa di noto, unriconoscimentoreciproco.

Mi chiamo FrancoBergamaschi. Ho ventunoanni. Ho frequentato una

scuola alberghiera al lago eseguito il laboratorio dicucina e di sala. Ho studiatoinglese, un po’ di francese,storiaegeografiaturisticapersaperedadovearriva il cibo,non basta leggere le targhedeicamionquandoscaricano.Chimica e fisica, quattro oredi letteratura italiana allasettimana, serve tutto perconoscere il cliente,per farloparlare. A scuola

indossavamo la divisa, lamettevamo anche fuori, erapigrizia, in realtà nonavevamo altro, sempre indivisa, in strada, sul battello,ci comportavamo bene pernon svergognare il nomedell’istituto.Dentro la scuolafingevamo di essere unalbergo lussuoso, ilregolamento scolasticovietava di fermarsi neicorridoi, potevamo farlo solo

all’intervallo, se capitava enon era l’intervallo dicevoall’insegnante: sono ilcamerierediunalbergo,luièun cliente con i soldi. Ognitanto facevo io quello con isoldi. Dovevamo essere unhotel lussuoso del lungolago,con lepalme, lemagnolie, lepiantealtetrentacinquemetri,gli alberi secolari amati dalleduchesse, le piscineall’aperto, i bicchieri dei

cocktail sui tavolini, i campida tennis, le panchineall’aperto, i saloni dailampadari con la luce caldachefasembrareelegantitutti,anche i camerieri, be’, a direilvero,noiavevamoilneonascuola, per me è la lucemigliore, è rilassante.L’istituto mi ha insegnato ladisciplina, il rispetto delleregole. Sono diventato unprofessionista, appena uscito

da lí ho lavorato neiristoranti,mavolevoviverealmare, cosí sono venuto aMilanoMarittimaehosceltodilavorareinrosticceria,nonè stato un declassamento,tutto serve, per le referenzepuò chiedere al padrone, ilsignorGino.

Scusi se la interrompo.Papà, il signor Franco è uncuoco bravissimo, è sprecato

in una rosticceria, amezzogiornoc’èlafila,anchedi sera fino a tardi, è inutilechiederereferenzealpadrone,ti direbbe solo cattiverie pertrattenerlo: spesso esserebravièunmale.

Ringrazio sua figlia per lafiducia, signor Hinner, hovisto il vostro menu,privilegiare cosí tanto lacucina locale romagnolacome avete fatto finora, mi

permettodidirle,èsbagliato.Ituristi,inparticolareiturististranieri, e tra gli stranierisoprattutto quelli tedeschi,vengono per mangiare ilcaratteristico, il tipico delposto, certo, ma è benericordareai turistichestannomangiando in un ristorante,non nella cucina della sciuraMaria. Un ristorante seriodeve rivendicare la propriadifferenza rispetto alla

signora Maria. Purtroppo lamaggioranza dei turistiriconosce raramente laqualità, i clienti dellarosticcerialichiamopalatidimarmo,perloroètuttobuonoallo stessomodo, il piatto diun cuoco e il piatto dellanonna, anzi, il piatto dellanonna, unto e pesante, èsicuramente piú genuino, piúè della nonna piú è buono.Comunque, ho le mie idee

con gli stranieri, ho cucinatoal lago per gli svizzeri, iocucino da cuoco italiano enon come gli stranieri siaspettano che cucini unitaliano.Carne,pesce,nessunproblema, possiamo faretutto,dipendedaidesiderideiclienti, i desideri li creiamonoi. Voi avete aperto unalbergo delizioso, dovetecapire che un ristorantemodesto non aggiunge nulla

all’hotel, anzi, rischia diappannarlo. Invece, se midarete fiducia, la mia idea èunristorantebomboniera.

Interessante, signorFranco,eppuremichiedo:leinonvorràfareunacosaquasiindipendente dall’albergo?No, papà, figurati, nessunaindipendenza. Helga, faiparlare lui. Ecco, signorHinner,suafigliaharagione.Soprattutto i primi tempi,

sarebbe difficile gestire unlocale aperto al pubblicoesterno e non solo ai clientidell’albergo, tra l’altro, inquel caso il ristorantedovrebbe avere un ingressoanche sulla strada. Miconcentrerei solo sui clientidell’albergo. Chi mangia alristorante dell’hotel lo faspesso per pigrizia o perrisparmiare, perché i pastisono compresi nel prezzo. I

clienti devono arrivareentusiastia tavola,conscidelprivilegio di stare all’HotelSand.

Helga e Francocamminano in fretta direttialla rosticceria, toccandosil’avambraccio a vicenda, peravere una conferma fisica.Com’è andata, Helga? Sonocontenta. Non vorrei averfatto troppo lo strano, per

conquistare il posto. Tu seianchecosí,no?Be’,unpo’síun po’ no, non sono micaesattamente cosí, anchequella storia, i palati dimarmo, non la pensodavvero, solo che l’ho detta,magarituopadrecredecheiodetesti i clienti, li consideriportafogli ambulanti. Franco,nonhairecitatotroppo,vero?Se tu fossi molto diverso daquello di prima, non mi

piaceresti, tumi piaci perchéhaidentro tutto, è inutile cheti butti giú, sei un artista, ionon lo sono.Helga, anche tuseiunaditalento.No,Franco,nonlosono,nonhotalento.Eanche se fosse? Io vorreiessere sempre un normale,comegli altri, uguale aimieicolleghidella rosticceria.No,Franco, tu vuoi esseremigliore. Posso tenere lamagliettadituopadre?

Quella seraHelga eHildecucinano insiemespaghettialpomodoro, scaldano il sugogià pronto, il lascito diMargherita.Ituristimangianosoddisfatti, non si accorgonodelladifferenza.Sealmenosirendessero conto di una soladissonanza – l’acqua perbollire troppo salata, dueminuti di ritardo nellascolatura della pasta – cisarebbe una sorta di

risarcimento.Niente.Helgasidirige verso la reception. Eallora, papà? Cosa pensi delcuoco?Chi, il tuo fidanzato?È il mio fidanzato, ma è uncuoco vero. Però potevidirmelo subito, cosíevitavamo la commedia.Papà, non abbiamoalternative, domani mattinabisognapreparareilpranzoe,a differenza di Margherita,Franco non ruba, e se anche

rubasse, hai detto bene: è ilmiofidanzato,ormaièunpo’comeserubasseasestesso.

Helga telefona inrosticceria, manca poco allachiusura, risponde la signoraSilvana, il signor Ginosistema i gelati. Franco, tivogliono al telefono. Unaragazza, dice la moglie delpadrone. La signora Silvanalo guarda, è a mezzo metro,

sedutaallacassa,ha inmanodue fatture, sente i gridolinidi Helga: vittooo ealloggiooo, sempreeeamoreee.Nonlochiamamai,amore, forse amoreee èun’altra cosa. Franco tace,appoggia la mano sopra lacornetta, per soffocarel’entusiasmo telefonico, mal’esaltazione arriva fino alleorecchie della signoraSilvana.Feliceeimbarazzato,

sivoltaversoilbanconedellarosticceria,vede lostraccio–ciò che lui ha definito inquesti due mesi il miostraccio – appoggiato vicinoai coltelli. Ha abbandonatopresto forme e lineamentiinfantili, e incominciato alavorare a sedici anni, lavitagli ha già dato molteoccasioni per sentirsi adulto,ma lasciare la rosticceria peril ristorante dell’albergo

significa davvero diventaregrande.

Seiunadelusione,Franco.Tiabbiamodatotutto.Pernoieri come un figlio. Abbiamotolto il pane dalla nostrabocca per darlo a te. Tiabbiamotrattatomegliodeglialtri e pagato sempre. E tucosafai?Nonpuoifarequelloche vuoi. Hai obblighi neiconfronti di chi si è sempre

comportato bene. Non puoidire arrivederci, cosí, senzasdebitarti. E con chi tisostituiamo, domattina? Cisono i polli da preparare.Sono bravo e buono, ma semi tocchi lagiustiziadiventouna bestia! Ti faccio pagareottanta polli! Te li facciomangiaretuttiinunavolta!Esenonlimangituttieottanta,quant’èveroilGesúCristotifaccio pagare anche il

mancato incasso!Silvana, faiil conto! Quanto vengonoottanta polli al cliente?Veloce, Silvana. Hai sentito,Franco? Scordati le ultimedue settimane di paga. Ciabbandoni proprio adesso,all’iniziodi luglio.Edove loprendouncuoco,unocheeracome un figlio? Vai su,prendi le tue quattro cose, evattene, ingrato. Sei arrivato

qui da barbone, te ne vai dabarbone.

I rapporti si chiudonospesso cosí.Un litigio con lasaracinescaabbassata,sottolalucediunalampadina.Chihainventato la saracinesca e lalampadina doveva conoscereabbastanzabenelavita.

Franco guida ilMaggiolino senza una metaprecisa, per distendersi.

Sceglie la strada buia, chetaglia verso le saline. Mihanno trattatocomeunagranmerda, ti rendi conto? Dopoquello che ho fatto, i polli, inervetti, le insalate, tutto.Maio lo sapevo, lo sapevo chefinivacosí.IlsignorGinononmi ha pagato due settimane.Franco, dovresti andare daicarabinieri. Carabinieri? Masei pazza? Cosa dico? Ilpadronenonmihapagatodue

settimane di lavoro? Simettono a ridere, forse miarrestano, cosí imparo asparlare.Anche iprimisoldi,li ho avuti, sí, ma conl’umiliazione. Me li ha datimentre andavo in spiaggia,ero in costume, all’una emezza, io lo so, li ha dati inquel momento per punirmi,non volevo pranzare con lui,lamoglie, i colleghi, è colpamia se mi faceva schifo

mangiarelíconloro?Nonmipiaceva nemmeno piú il cibochecucinavo,ilsignorGinoèuntradizionale,percertecoselo rispetto, il padrone è ilpadrone, ma non è la miafamiglia. I soldi quella voltame li ha dati, anche unapiccola mancia, mi ha detto,Franco, sei il mago dellapolpetta, hai salvato tutta lacarne. Mi ha dato del tu daquel giorno, proprio per la

carnedellapolpetta,ioinvecelo chiamavo signor Gino, hosempre dato del lei, per nonsbagliare. Voglio dire, nonme li poteva dare dopo?Dovevo tornare su e lasciarliin camera, nonmi fidavodeicolleghi,allorahoringraziatoe, in un angolo del negozio,senza farmi vedere hoabbassato ilcostumecomealmilitare e li ho messi alsicuro, arrotolati, non ho

potuto nemmeno fare ilbagno, sentivo il calore dellebanconote, eh, adesso le hospese tutte e il signor Ginononmi dà nemmeno il letto,stasera: andrò a dormire inspiaggia,davantiallacolonia.

Vieni in albergo, da me.Nellatuastanza?Línonpuoi,non è tanto per mio padre,quanto per mia sorella. Tuasorella?Sí,hounasorella.Mihai parlato di tua madre

morta, di tuo padre inreception,nonhaimaiparlatodi tua sorella. Non siamoandati sul discorso. Pensavononavessiuna sorella.Figliaunica,io?Arrivanoinfondoaviale Matteotti, vicino allecolonie. La strada terminasulla spiaggia. Franco restacon il motore acceso, i fariilluminano le sterpagliedell’unica duna, cinquantametri di rena e due barchette

insabbiate,dipintediazzurro,i nomi di due santi sullesponde. Le luci sembranoprecipitare nell’aria umida,nella notte senza luna.Helgaaccarezza la testa di Franco,scendeverso lanuca, l’iniziodelle spalle. Scusa, non èserata. Lo so, Franco, adessoandiamo in albergo: peròguidoio.

Primadelleundicidisera,i bambini piú resistenti

giocano ancora nel giardinodell’hotel,lelorourlastanchedi contentezza diventanoruzzoloni sulla ghiaia,sbucciature, pianti, ilmalessere serale. Blondiassiste imperturbabile,sialzaquandoriconosce ilmotore, ifari del Maggiolino. Franco,scendi,leièBlondi,nonaverpaura. Oggi pomeriggio nonc’era. Blondi c’è sempre,

forsedormivasulretro.Dalleunacarezza.Vedicheamore?

HansHinnerparlacondueclientitedeschiallareception.SibloccaquandovedeentrareFranco.È già qui, papà: cosídomattina inizia a lavorareprima.

Franco dorme nellostanzino usato da HansHinner. È uno spazio di seimetri quadrati, appena

sufficiente per il letto, unprolungamento dellareception,divisodalbanconecon una sottile parete dicartongesso. Appoggia laborsaperterra,tremaglietteeduepaiadi pantaloni sono lasua dote. Il materasso èscomodo, infossa la schiena.Da fuori arriva l’ultimoimpeto della luce artificialenotturna,chepoisistabilizzain attesa dell’alba. Le auto

sempre piú rare passano neiviali, fino a quandodiventeranno i primifurgoncini del mattino.Franco ha in tasca idocumenti e una solabanconota, di cui ignora iltaglio.IlpadrediHelgaparlain tedesco con l’ultimoavventore. Franco vede leloro ombre proiettate sullaparete dello stanzino, ai suoipiedi. Non sa il tedesco, ma

gli pare di percepire leabituali coordinate delleconversazioni. Situazionemeteorologica. Cibo. Lavoro.Soldi. Cambio valuta. Laconcordiaregnanelmondo.Illitigio con il signor Gino èlontano, un’altra vita. Ilsonno lo accoglie a piccolipassi, un abbraccio tiepido euniforme.Nonhatrovatosoloun lavoro, ma casa, il puntoesattodelpianeta.

Lacolazionesiservedallesette, Franco si svegliaall’alba, riportato alla realtàdai canti degli uccelli, chezampettanosullespogliedellapineta. Hans Hinner innaffialepianteeifioridelgiardino.Franco gira intorno albanconedellareception,vedeil registro aperto, lacalligrafiadelpadredellasuafidanzata. Cerca di aprire lamaniglia della porta del

bagno, quello con la scritta«Privato».Laportaèchiusaachiave, Franco entra nelpiccolo bagno a disposizionedi tutti, al piano terra, e lí silava. Attraversa la salaristorante,entraincucina,c’èodore di pulito, di detersivo.Apre la dispensa, i cassetti,controllalepentole,icoltelli,i taglieri. E lei chi è, scusi,cosastafacendo?,chiedeunavoceallesuespalle.Francosi

giraesorride.Appenaguardameglio la donna che lo fissa,diventa serio, confuso dallasomiglianza, preso dallameraviglia di chi vede l’altragemella per la prima volta:ma tu, voglio dire, lei,signorina,nonèHelga,vero?

Aria fresca, luce, caffè,pane, burro e marmellata,niente di meglio per iniziarelamattina.Trapocoscendono

iprimiclienti.Ecco,adesso–dice Franco, con la boccasegnata ai lati dal burro –HelgaoHildedevonoalzarsie servirli. Io sono appenaarrivato, l’albergo è vostro,mi permetto di dare unconsiglio per il benedell’azienda e della famiglia.Proporrei una cosa nuova, lafannosolopochialberghi,perme è già il futuro: lacolazione a buffet. Uniamo

tre tavoli, li mettiamonell’angolo e sistemiamotuttoilcibodellacolazionelàsopra: caraffe di tè, caffèlungo, latte fresco, cereali,pane, burro, marmellata,salumi, formaggi, uova sode,frittate.Facciamosoloilcaffèespresso, su ordinazione. Cistavo pensando anch’io, lovedreicomeuninvestimento,hogiàfattounpo’dicalcoli,potrebbe convenire. Esatto,

signor Hinner, mi fa piacereche la pensiamo allo stessomodo: è un ottimoinvestimento. Le personesoddisfatte si sentono a casa,ritornano l’anno prossimo, iclienti fedeli sonofondamentali all’inizio diun’attività, piú di tre quartidei ricavi derivano da pocomenodiunquartodeiclienti,quelli fedeli costano moltomeno della conquista dei

nuovi, e non è nemmenodetto che i nuovi diventinofedeli, gli insegnanti ce loripetevano sempre, a scuola.E tutti possono prenderequello che vogliono?, chiedeHelga. Helga, i clienti nonsonotutti:peribambinibastamezzobicchieredilatteeunafettina di pane, voglionotuffarsiprestoinmare.Anchelemadrimangianopoco,conla colazione a buffet i clienti

prendono in teoria ciò chevogliono, in pratica c’èsempre qualcuno di noi, insala, e si controllano da soli,se uno porta via qualcosa,come è considerato daglialtri? Come un povero,Helga,laguerraèfinitadaseianni, c’è da vergognarsi aessere ancora poveri. Aproposito: appena i clientifiniscono,mimetto al lavoroincucina.

Sai come li chiamavamoalla Rinascente quelli comelui? Lecchini. Helga, staiinsieme a un lecchinodisposto a mettersi contro diteperingraziarsipapà.SignorHinner. Signor Hinner.Signor Hinner. Ma comeparla?Sivedebenissimocherecita. Sembra che staleggendo un testo senzacapire ciò che dice. Dareiimpulso. I ricavi d’esercizio

come fontedi finanziamento.La potenzialità dell’albergo.La massima capacitàdimensionale. La fascia diprezzo.Passaredaquarantaacinquanta coperti incidepochissimo. La pentola è lastessa. L’acqua e il gasutilizzato per la pasta diquaranta persone è ugualeall’acqua e al gas utilizzatoper la pasta di cinquantapersone.Labreveduratadella

biancheria è un costod’esercizio. Le lenzuolaconsumate possono diventarestracci per la polvere.Valuterei la trasformazione.Un albergo non solostagionale, se ci saràabbastanza svilupponell’edilizia. L’identità dellastruttura.Lacapacitàricettivadello stabile in rapportoall’edificio. Un bar e uncambiavalute. Le dimensioni

sono le stesse, ma possonocrescere i servizi. Se unalbergo è senza accessodiretto alla spiaggia non èdettochesianegativo,purchéoffra altro. E bla, bla, bla,completamente innaturale,sembrava stesse recitando,Helga, le cosevannobene inquesto modo, non abbiamobisognodinovità.Tunonhaibisogno,Hilde,ioinvecesí,eanchel’albergo.Selosapevo,

rimanevo alla Rinascente,anzi, è lui che dovrebbelavorare alla Rinascente,sarebbe perfetto. Lui ha unnome, si chiama Franco,Hilde,abbiamobisognodiuncuocoediunuomocheaiutipapà anche nel resto dellavoro. È lui quello che eracon te sul Maggiolino?Quando? Una sera, ero fuoricon Blondi, sei passata conunoinmacchina.EraFranco,

sí, ma papà non l’ha sceltoperché è il mio fidanzato,l’avrebbe preso in ogni caso,Franco è uno dei cuochi piúbravidellarivieraromagnola,edèanchemilanese.Eallora?Cosasignifica?

Il primo pranzo del cuocoFranco Bergamaschi,all’Hotel Sand di MilanoMarittima,iniziamoltoprimadiunmezzogiornodell’estate

1951. Alle dieci di mattinacompra una piccola lavagna,fascrivereilmenuaHelga,initalianoeintedesco.Istruiscele sorelle su comeapparecchiare. Se non avetela passione del servire, fatecome tutti: fingete di averla.Franco spiega il menu delgiorno. Da domani, sedobbiamo smaltire qualcosain magazzino, è bene chespingiate i clienti verso il

piattodelmenuchevidirò.Enon potresti cucinare solo unpiatto, quello da eliminare?No, il mio insegnante dilaboratoriodicevasemprecheci sono state due guerremondiali ancheper questo, ilclienteapprezzaquandocrededi poter scegliere tra due opiúportate.Comeservivateaitavoli, di solito? La signoraMargherita preparava i piattie noi li portavamo. No, le

porzionistandarddànnomoltisprechi e avanzi. Potrestemettere il vassoio da portatasull’avambraccioeservirenelpiatto del cliente. Ci saràsempre qualcuno che vorràuna porzione abbondante,quasi doppia, ma saràcompensato dalle altreporzioni:èmegliodaredipiúaunoedaredimenoadaltrinove. E se lasciamo lí ilvassoio e si servono da soli?

Helga, se fossero unafamiglia e una sola tavolata,forse, ma abbiamo dodicipiccoli tavoli da gestire. Einvece io voglio fare comeprima. Hilde, facciamo uncompromesso: esci con ilcarrelloeliservi.Scordatelo.Non vado in giro con ilcarrellino, non lo faccionemmeno per i formaggi e idolci, vacci tu in giro con il

carrellino. Hilde, io sono ilcuoco.

Franco cucina aiutato daHelga, Hilde serve i piattipreparati da lui. A metà delpranzo, Helga e Francos’intrattengonoconiclienti.Ipiattinonsonotropposalatioinsipidi, i condimenti giusti,sugo, olio, burro, è tuttoperfetto,èlamanodiFranco,la signora Margherita era unfantasma sudaticcio,

asserragliataincucina,conlasua vita di privazioni e trequartidiesistenzaallespalle.Franco è il presente diventuno anni, abbronzato, informa, Helga traduce icomplimenti, quando luiazzarda una frase in tedescoridonotutti,nonèderisione,èsimpatia, anche i clientiitaliani gli dànno subito deltu,didovesei,chiedono,coni milanesi lancia battute in

dialetto. Hilde e Franco siscambiano frasi tecniche,lavorative, le parole miglioriper adattarsi a una cordialitàgestita da Hilde come unasorta di esercizio,l’allenamentoutilepervivereun’eventuale parentela. HansHinnerèallareception,comeal solito legge la paginaeconomica e le previsionimeteodel quotidiano, daunaprimastimalastagioneestiva

è in netta crescita, i turistitedeschi sono piú chedecuplicatirispettoadueannifa. Merito dell’Anno Santodel 1950, del tempo chepassa, dei morti proprietaridel passato, cosí liberali dalasciarci tutto il presente. Lavita impressiona, anchequando somiglia a una fiababuona.

Offrireciboèunaformadi

potere,unvincolo.Losabenela madre, quando avvicina ilneonato al proprio seno e loaffonda nel calore. La carnecucinata – lontanissimadall’animale che è stata –adesso è di Franco. Il menusullalavagna,induelingue,èun altro segno della suanuova posizione. Nonimporta che sia Helga ascrivereconilgesso.Helgasilimita a eseguire il dettato,

come alle scuole elementari.Franco si manifestafisicamente uscendo a metàpranzooametàcena.Chiedeai suoi cortigiani segradiscono,sevoglionoaltro.Icommensaliapprezzano, luic’è e al tempo stesso èdistante, fuori dalla scena,nella segretezza dellapreparazione, del rito, comeun umile servitore delSignore,comeunaltoprelato.

Tocca sempre a lui deciderela quantità di cibo offerto.Franco divide le pietanze inparti uguali per gli adulti,chiedequantibambinicisonoin ciascuna tavola, in mododariempireognipiattoconlagiusta quantità di cibo, senzasprechi.Hanelle suemani laconcordia dell’Hotel Sand. Iclienti,benchédivisiindodicitavoli, sono un unico grande

gruppo, lui hapotere suognimembro.

Ci sono giorni in cuiFranco ama servire ai tavoli,accade quando, a fine cena,offreigiridiamari.Spingeilcarrellino e a turno riempie ibicchieri di liquore ad alcuniclienti, è il momento delleconfidenze serali, dellenarrazioni reciprochestimolate dalla gratuità delgesto. Si potrebbe dire, tanto

non è lui a pagare, è HansHinner, certo, ma Francotramuta un pezzo di animalemorto o un liquore inqualcosa che i turistiapprezzano. Nella cucinadell’albergo lui è davveroqualcuno. Non sarà mai piúun ragazzo. Ha la possibilitàdidiventareuomoepadrone.Questioneditempo.Duranteigiridiamariraccontasemprele stesse storie, senza

nemmeno fare qualchemodifica. L’ideale sarebbepartire da un canovaccio einnestare piccoli guizzi, einvece lui continua con leproprie storie sempre uguali.La clientela non se neaccorge, cambia al massimoogni quattro settimane, cosíalmenoper laprimastagionetutti accolgono come ineditoil copione di Franco: l’annoprossimo, ci penseremo.

Franco ha i clienti nelle suemani,seituristinonavesserouna guida come luipotrebbero crearsi invidie,ripicche, e se il cibo fossecattivo o suddiviso in mododiseguale, i turistiprotesterebberoammutinandosi control’autorità dell’Hotel Sand. Incondizioni nemmeno cosíeccezionali, se non esistessepiúacquaetantomenoilvino

rosso o quello bianco fresco,potrebbero dimenticare diessere in un albergo sullariviera,coalizzarsiedividersiin fazioni, per annientarsireciprocamente.

Helga sa di aver trovatol’uomodellavita,Francocosísicuro di se stesso eppureanche fragile, l’uomo dellavita a diciotto anni è unpiccolo miracolo. Fino a unpaio di mesi prima era

convinta d’iscriversiall’università, un fidanzatoricco, magari noioso,l’albergo aMilanoMarittimadoveva essere una piccolatappa, un diversivo, utile pertenere occupato il padre ecoinvolgere Hilde. InveceHelga e Franco sonol’albergo, perfino HansHinner è una specie divecchio monarcaquarantaduenne, che abdica

volentieri alle scelteimportanti, contento dellaloro intraprendenza. Trattanolamerceconifornitori,tempidi consegna, pagamenti.Suggeriscono una nuovastrategiapubblicitariachenonsia solo il passaparola.HotelSand potrebbe utilizzarequalche agenzia turisticatedesca, stampare opuscoli,dépliant. L’anno prossimobisogna fare il tutto esaurito

fin dalla prima settimanadella stagione. Un piccoloalbergo con poche cameredeveesseresemprepieno.

Hilde fa le pulizie nellestanze, serve ai tavoli,sistemalacucina.Sembraunadi quelle lavoratrici chevivonoillavorosolonelleoredella mansione, nonpermettono per nessunmotivo di essernecolonizzate, lasciano sempre

unapiccolabrecciaaperta–ochiusa, dipende dai punti divista – affinché la parte veradi sé possa sopravvivere,testimoniare.

QuestaèlastoriadiHelga.Lei doveva prendere laparola, non ha voluto farlo.Pigrizia,desideriodiviverelapropria esistenza senzafermarsi a raccontarla. Helgaè stataquasiun fantasmanel

racconto di Hilde. Hildestessa è l’impossibilità acompiersi, voragine riempitadainfinitirivolidigressivi.Sele incontrassimo per strada,sapremmo almenoriconoscerle? Ci vorrebbeun’altradescrizione,partendodalla testa, dall’acconciatura:comescendonoicapellisullafronte, sulle tempie, unaggettivo adeguato per gliocchi, il loro colore, la

geografia del volto, glizigomi, il naso, le labbra e identi svelati dal sorriso o dauna smorfia, lascomposizionemeccanicadelcorpo.

E invece, Hilde. Ognimattina, prima dellacolazione, sale in bicicletta epedala verso il chiosco deigiornali, è ilmomento in cuiriescearitagliarsisolitudineesilenzio,comequandopulisce

nelle stanze. L’edicola è unaspecie di cabina telefonicagestita da una donna grassa,che a stento ne emerge perprendere i soldi, il pertugiobattealcentrocomeuncuore,cheincassaedàseoccorrelemonete di resto. Sulla destradel chiosco sono esposti iquotidianinazionali,asinistrai giornali locali, al centro isettimanali, i rotocalchi e legrandi copertine, cosí è

possibile divertirsi con unpuzzle immaginario,assegnando uno dei corpiqualunque delle copertine alvolto dell’edicolante. Hildefrena e dà subito un’occhiataai titoli dei quotidiani, cheogni mattina paiono cosívitali edecisivi.Dice semprebuongiorno, comese fosse laprima volta in quell’edicola,non lo ripete in modoabitudinario, lascia una

traccia di sonno strappato alfluire del tempo, che propriol’edicola santifica. Hilderipete il nome del primogiornale, ha una lieveincertezza sul secondo, comefosseunasceltaimprovvisa,ilcapriccio di una novità utileper mantenere a distanzal’edicolante. Non è detto,signora,checompreròquestoquotidiano o entrambi igiornali, e non è detto che

vengaquidomani.Einveceilgiorno dopo Hilde arrivapuntuale alle sei emezzadelmattino, ha la speranza dipassare inosservata, è lacondizione migliore pervivere,ancheseèconsciadelfatto che non può duraretroppo a lungo, perfino lapersona piú riservata edistanteprimaopoicedeedècoinvolta in un commentosulle condizioni

meteorologiche. L’edicolantedalla faccia tonda,sporgendosi in avanti, tantoda far vacillare i titoli delleprime pagine, le dice, contono confidenziale: e allora,signorina Hinner, come staandando la stagione inalbergo? Hilde è sbigottita,chissà chi avrà dettoall’edicolante il suo segreto,nonsolosacheèproprietariadell’albergo, conosce perfino

il cognome. Hilde risponde,bene, signora, grazie, moltobene, siamo al completo,vengono anche dallaGermania, dice in modoingenuo, rivelando cosí –oltre al fatto che dietro ognipersona taciturna vive unapotenziale chiacchierona – lapochezza della sua naturacommerciale.

Hilde non scende dallabicicletta, si appoggia sulla

punta della sella e allunga ildenaro depositandolo sulpalmo secco dell’edicolante,che pur stendendo il bracciooltrepassa a fatica il muroinvisibile, il confine traesterno e interno, tanto chealcune monete restanoall’ombra sulla mano delladonna, e altre al sole, per unistante, prima di essereritirate.Hildemetteigiornalinellacestadiviminidellasua

bicicletta olandese, porta idue quotidiani nella salaristorante, a disposizione deiclienti. I turisti tedeschichiedonoungiornaletedesco,almeno un settimanaleaustriaco.Hildedice,forselaprossimaestate.

Durante la pausa tra illavorodipuliziadellecamereeillavorodiservizioaitavoliper il pranzo, Hilde legge ingiardino conBlondi ai piedi,

sottolineaeprendeappuntisuuno dei suoi quaderni, tuttiuguali, lacopertinaarancionetinta unita. La lettura deigiornalièunritochecercadiassolvereognigiorno,senonriesce a leggerli comevorrebbe, si ritroval’indomani con una piccolapignadinotiziedasetacciare,per recuperare mille grammidi tempo italiano smarrito.Non è la stessa cosa

immergersi nel giornale cosíinvecchiato,riprenderelavitadi ieri, chenellenotizie èunvortice, l’esistenza dell’altroieri,esesonofattiavvenutiinterrestranierepossonorisalireacinque,seigiorniprima.Levittime di una sparatoriaamericana sono ormaiseppellite, come quelledell’alluvione nel sudestasiatico o l’elezione di unamiss o i risultati già

vecchissimi di un qualsiasisport: d’accordo, pensiamoalla prossima partita, ma ilpassato schiuso riverberaunapiccola promessa, la tracciadel futuro. Hilde sfoglia isegni del passaggio altrui,vite di tre righe, macchie dicaffè e di sugo, improntestropicciatedaritagliare,ogniframmentocollimaconlasuavita per renderla piú vera diun titolo. Al mattino in

bicicletta pedala versol’albergo, con le due copiestirate.Igiornalicelebranoglianniversari della guerra perfarla scomparire nellamemoria affollata da decinedi altre commemorazionialternateacuriositàbellicheeinezie quotidiane:rievocazioni del processo diNorimberga scritte come idialoghi di un romanzopoliziesco, le condanne a

morte, la dispersione delleceneri in una puntualissimaalba piovosa d’autunno;gerarchi trasformati inrappresentanti di commercio;rivelazioni improvvise delcameriere o dell’autista diHitler,tuttiprontiasvelareloscoop, il segreto banale chedovrebbe spiegare la Storia;quanti litri occorrono perbruciare il cadavere? Nonsarebbe meglio domandare

all’autista, scusi, cosaprovava a guidare inautostrada, in corsia disorpasso,conHitlersulsedileposteriore?

Miss Universo sorrideincoronata,ciinformanodellemisure,90centimetridipetto,60divita,90difianchi,èaltaun metro e 62 centimetri,pesa 52,600 chilogrammi.Blondi beve dalla ciotolasbattendo la lingua grande

quanto un piede della miss.Hildepensaai162centimetriproprietari dell’universo, allegalassie distanti miliardi dilancette, pianeti abitati dastraniesseribellissimi,checiguardano con un occhioinserito nel cranio, il foltopeloaprotezionedelcuore.

Piú che i fatti e i giorni,sembra che solo gli oggettiaccadano, le loro brillantiesistenzenascondonolestorie

opache di ognuno. Le merciseparate, sparse negli anniimpiegati all’utilizzo e allacontemplazione,siaggreganodentroilgrandemercatodellecose,ilpoteredellasuperficieè un blocco unico, attrattivo,che garantisceinvolontariamente l’accessoal contenuto, a qualcosa diprofondo illuminato proprioda impulsi inavvertiti. Hildesceglie, ritaglia e conserva i

frammenti di ciò che sembradecisivo per la sua vita,l’intersezione fra sé e iltempo. Quando butta unacopia del quotidianotagliuzzato sa che, piú deiritagli conservati, guarderàper un’ultima volta gli spazivuoti creati dalle forbici, ciòche, ora luminoso scarto,risalta nell’immondiziaimminente, la vita, soloquesto, accettare

l’oscillazione di vaneinsistenze,checapitolano.

Franco, il fidanzato dimiasorella,–scriveHildenel suodiario,– è il cuocodelnostroalbergo, un arrampicatoresocialefintroppoesplicitonelsuo comportamento. Mostratuttiivaloritipicidell’italiano,le aspirazioni frustrate, ildesiderio smodato dirispettabilità rivela quanto sia

ininfluente l’origine popolareper creare il borghese, nelpopolo italiano si annida ilborghese piú convinto. Lamaggiorpartedellerivoluzioni– o meglio, ogni tentativo dirivoluzione – appartiene alleélite, ai giovani evolutidell’alta borghesia,dell’aristocrazia illuminata. Ipoverihannoprodottoqualchefiammata episodica per ilpane, il lavoro, gli affanni

quotidiani, si sono accodatialle rivoluzioni cercando diavere vantaggi pertrasformarsi in piccolaborghesia. Ogni rivoluzioneriuscita è un dolorosotradimento dei suoi scopiiniziali. Franco ha fatto delcibo, della buona cucina, ilproprio sostentamentoeconomico, il mezzo per lascalata sociale. Certo, Helgadeverenderlomenogrezzo,se

lo vuole introdurre nellasocietà milanese. Io detestoquell’ambiente e ne ho presosubito le distanze. Appenaparliamodiviaggi–unadellefissazioni dell’ambientefrequentato finora da Helga –Franco ha lo sguardo perso,non ha alcun desiderio diconoscere luoghi differenti,d’incontrare persone nuove.Luistabenesoloquandohailtotale controllo della scena,

deveessereilmattatore,comenel ristorante dell’albergo. Lísi nasconde dietro le suepietanze e le storielle cheracconta davanti a unbicchiere di amaro. L’anticafame, la necessità disoddisfare l’esigenza dellostomaco è divenuta arte delmangiare, che imponel’occultamento del ciboqualunque – vegetale oanimalesenzainfingimenti–a

favore del cibo di Franco, iltravestimento spacciato perarte e cultura culinaria. Nonvoglio mangiare i piattipreparati da Franco, nientecarne e pesce. All’iniziotemevo di dover spiegare imotividellamiascelta,volevoevitare discussioni inutilisoprattutto a tavola, avanzavola carne o il pesce,mangiavosolo i contorni di verdure epatate. Quando sparecchiavo,

portavo la carne e il pesce aigatti, o a Blondi, senza direnulla. Poi ho deciso di esserechiara. Come previsto, Helgaha considerato la mia sceltauna delle solite stranezze diHilde. Senza carne non puoivivere bene, diventi pallida,anemica, le proteine servono,lo sanno tutti, e poi Francocucinabenissimo,èunpeccatonon mangiare la carne diFranco. Franco, colpito

nell’orgoglio, ha aggiunto,senti, non è che sei diventatavegetariana perHitler? Ilmioinsegnante di laboratorio loripeteva sempre, ragazzi, miraccomando, tanta carne epesce, non fate come Hitler,cheeravegetariano.Hitlernonera vegetariano, adorava lacarne, soprattutto la carne dipiccione, ho detto. Eravegetariano.Nonera.Era.No:tra cent’anni le persone come

te ripeteranno ancora lastoriella diHitler vegetariano.Insomma, basta, ha dettomiopadre.Haposatoilbocconedicarne infilzato nella forchettadentro il piatto. Franco, noinonparliamomaidipolitica,èuna delle regole della nostrafamiglia, tantomenodiscutiamoatavoladiHitleredel TerzoReich, di cui credotu sappia poco o nulla. Nonparlavamo mai di Hitler

quando c’era Hitler evivevamo nella nazione diHitler: vogliamo parlare diHitler adesso, al mare? E tu,Hilde,basta.Sevuoimangiaresolo riso e verdura, va bene.Hai mangiato carne perdiciotto anni, adesso seivegetariana, fa’ la tua scelta,noi continuiamo a mangiarecarne, non voglio sentirediscussioni su questa cosa:

ognunocontribuiscecomepuòalladistruzionedelmondo.

Era tanto tempo che nonvedevo mio padre cosí, daquando abitavamo aBockburg, il suo volto teso eaccalorato, l’uomo di untempo lontano. Abbiamoripreso a mangiare, le testebasse nei piatti di ognuno, ilsilenzio interrottodalleposateera sorgivo, ciascunorimuginava nella propria

lingua madre, la lingua delrimprovero,equellafintapaceconteneva vincoli, regolelinguistiche intraducibili, chesi perdono da un passaggioall’altro, e che il silenzio inqualche modo ricompone.Helgahacercatodi rintuzzarelo screzio, mi sentivo inimbarazzo per lei, ripetevafrasi accomodanti, tradiva ilpensieroannidatoappenasottola superficie delle sue parole:

solite stranezze di Hilde. Ioinvececonsiderostranoefolleil comportamento diHelga. Ilgiorno dopo il diploma, hachiuso qualsiasi genere dilibro. Siamo venute al mare,ha scelto il primo passantedella spiaggia, o quasi; si èfidanzata perché – secondoHelga – di uno bello comeFranco è impossibile noninnamorarsi. Dopo averloconquistato, ora teme di

perderlo, non vuole dividerlocon altre persone, lo difendedallanoiadeldancing,lotrattacome il bambolotto bellodell’albergo. Un giorno,mentre servivo il pranzo,Helga e Franco sono uscitidallacucinaperandareversoitavoli mano nella mano.Volevano sapere se andavatutto bene. In realtà, unaragazza tedesca avevaguardato Franco la sera

precedente e allora Helgaaveva bisogno di un gestoplateale,rinasceredall’intimitàdella cucina e portare il suocuocoversolaclientela,comese entrambi fossero investitidalla luce della navata di unachiesa, il giorno delmatrimonio. Helga è lapadrona dell’albergo, èarrivataprimanellagaradellaconquista dell’amore, l’haincontrato in spiaggia, alle tre

del pomeriggio, questaaccessibilità semplice vaprotetta, pensa Helga, se èstato cosí facile per me, puòesserlo anche per le altre. Lealtre donne sono sempre esoltanto le altre: arrivanopallide, si abbronzano, giranoin costume o in pantalonciniper l’hotel, fanno icomplimenti al cuoco. Lealtre, dal punto di vista diFranco, sono molto piú reali

delle donne della spiaggia,sebbene anche Helga,all’inizio, sia stataper luiunadella spiaggia. Le donnedell’albergo sono un genere ametà tra le donne dellaspiaggiae ledonnedellavita,forse per questo Helga credesiano ancora piú pericolose,possono saltare da unacategoria all’altra con unsemplice balzo: passare dalbagno nelle onde adriatiche

alle pulizie di casa è invecepiú faticoso. Lei non è unacameriera qualunque, è lapadrona dell’albergo, cheospita le altremomentaneamente.HelgahaisoldiepagaFrancoper ilsuolavoro di cuoco e non vuolepensarealfattocheisoldiconcui lo paga arrivino anchedallealtre.ÈdiHelga l’uomoideale,con luistabene,nonèmai a disagio, è un uomo

pratico, rilassante, le insegnatante cose, invece uno comeAlessandro, che è ancora unragazzo,hapocodainsegnare.A differenza di Alessandro,che non deve conquistarenulla, solo amministrare,Franco è attento agli altriuomini. Se un uomo – e inparticolareungiovanetedesco– dice qualcosa aHelga e leisorride, Franco si rabbuia echiede subito, cosa ha detto?

Se Helga dice, ma niente,figurati, Franco s’incupisce,allora dimmelo, dimmelo semidevoiscrivereauncorsoditedesco. Sa che devepattugliareilcorpodiHelga,imenudellalavagna,lacucina,i piatti, le stoviglie e lepentole, tutto potrebbe sparirein fretta dalla vita di Francocuoco e di Franco futuropadrone, se solo Helgavolesse. Io le ho mostrato

come si sta in cucina, nonsapeva fare nemmeno unsoffritto, le ho insegnato isegreti dei cuochi, cosa fareper digerire i peperoni e lacucina che non fa ingrassare,adesso arriva qualcun altro ese laprende?Quando lui è inquesto stato emotivod’incertezza, si chiude incucinaanchesenonc’ènientedafare.

Il mare è una beffa, la

vastità dell’acqua diventa unagabbia, il susseguirsi dellepiccole onde adriatiche è laconferma di quanto servavegliare su ciò che si ha, c’èsempre un’onda pronta aprendersilaschiumaelariva,primailmareelasabbiaeranola conquista della propriapausa lavorativa, adesso c’èsolo la sua cucina, ciò cheoccorrepervivere,conquistareognigiorno,difendere.

DisolitoHelgaeFrancomifanno rabbia, a volte provopenaperluiepermiasorella.La cosa buffa è che loro duesarebbero tristissimi sedovessero vivere la miaesistenza.Helgal’haportatoalavorare in albergo dopoquella patetica storia dellemele rubate da Margherita.Non mi sorprenderebbe se losposasse. Un giorno le hochiesto, allora, quando te lo

sposi? L’ho detto scherzando,lei seriamiha risposto,moltopresto, e voglio avere ibambini, non sono come te,chenonvuoiunmarito,ifigli.E allora? La mamma sarebbeaddolorata se potesse esserequi, anzi, sono certa, da lassúciguardaenontiapprova,einpiú ti dico,Hilde, che tu,nonvolendo figli, dovresti taceresucertecose,senonhaiifigli,come puoi capire chi ha i

figli? E tu, Helga, quandoavraiifigli,comepotraicapirechinonhaifigli?Ioposso,c’èstato un momento in cui nonne avevo, come adesso, soquel che provano le personesenza figli. Helga, ma sedimentichiamo cosa eravamoieri, credi di ricordare chi eriquando non avevi figli? Cisiamo lasciate come sempre,ciascuna spolverando leproprie ragioni. Franco

sarebbe contento di sposarsi,se non fosse per mia sorellasventrerebbeancorapolli.Be’,ancheadessolisventra,madapadrone immagino sia piúdivertente.Maritoepadroneinun colpo solo! Un belmatrimonio in chiesa, aMilanoo aMerano, aCervia,se vogliono la coreografia delmare. Una casa comprata dapapà e subito un figlio. Vistelepremesse,fareilmaritoein

seguito il padre sarebbe unadeguamento della mansioneiniziale.Cuoco,marito,padre,unfiglio legherebbeancoradipiú Franco alla famiglia,diventerebbe per sempre unHinner. Se dicessi, Franco, tusei un opportunista, sioffenderebbe e negherebbesdegnato, per lui calcolo eattitudine sono un’unica cosa.Tutto questo è possibile solograzie a Helga. Mia sorella

finge di non accorgersene echiama amore la menzogna.Helga ha avuto tutto il veroamore nella culla, nelle manidi nostra madre che lasollevavano e la stringevanobaciandola. Helga è semprestata la gemella dimiamadree non si rassegna a questofatto straordinario della suavita, l’amore ricevuto daMaria Zemmgrund. Cosíappiccica l’amore a Franco:

amore, amore, amore, perfortuna la vita sopravviveall’amore che passa, la vitavince. Helga e Franco sonosentimentali, eppure sirivelano sempre piú per ciòche sono: parlano di soldi, dipagamentiposticipati,dinuovifornitori, che scaricano ilpresente, reclamanol’indomani, attendono ansiosi,come se davvero dalle portedei camioncini uscisse un

nuovo giorno e la promessadel futuro. La cucina èdiventataillororegnoeiononposso farepiúnulla làdentro,la coppia ha sempre laprecedenza, soprattutto lacoppiainnamorata,chesialleaescansailmondo.Leidipendedalui.Luidipendedalei.Duegiornifasonouscitinelprimopomeriggio, subito dopopranzo,sonoandatiaRavennacon il Maggiolino, per fare

acquisti. Helga ha compratocamicie, pantaloni, scarpe,tuttonuovo,perfinounpaiodiciabatte damare, roba che luinon metterà mai, veste soloabitidacuocoecalzaunpaiodi vecchi zoccoli. Helga èritornata entusiasta, habuttatoivestitinellostanzinodietrolareception,sullettodovedormeFranco, ma non ci stavano,allorahasistematoalcuniabitinelnostropiccoloarmadio, in

camera. Ho solo cinquemagliette, un paio dipantaloni, uno di pantaloncinieunagonna, cheperaltrononmettomai.IlmioguardarobaèrimastoaMilano,insiemeagliabiti comprati a maggio, allaRinascente.Misembradinonavere piú bisogno di nulla.L’esistenzanelreparto,inomidelle mie colleghe, alcuninemmeno li ricordo, sembratutto cosí lontano, Helga di

ritorno da scuola, ora persanella storia con Franco. Cosacistasuccedendo?Perfortunac’èBlondi,solidaingiardinoeresistente alle carezze. Anchemio padre sembra sereno,maè un’impassibilità che nonmirilassa comequelladiBlondi,luimiinquieta,glisomiglioinmolte cose: questo non averetempoper l’amore,a luibastala pagina di economia, ilgrafico delle azioni, di chissà

quali investimenti, cosí comeper me è sufficiente la vitafiltratadallenotizie,daigiorniche si accostano al mare. Leprevisioni del tempo sonol’ossessione di mio padre,sebbene la meteorologiamostri spesso inadeguatezzeeritrattazioni peraltro maiesplicite. I meteorologiproseguono ostinati, noiabbiamolostessodestino,nonpossiamo fare a meno di

ripetere le frasi dimio padre,buongiorno Herr Freuler,domani è bel tempo, diconoper tutta la settimana. Questodicono spettrale, superiore,proveniente dall’entità a noiestranea quanto l’orizzontesenza suoni, capace diripeterci, con un mormoriod’improvvisa intimità: buonagiornata, buona giornata,buonagiornata…

La riviera romagnola,miscuglio popolare,nostalgico, della borghesiache aspira o è già comevorrebbe essere, uomini edonne ricordano quellamattina, quando quasiall’alba,Mussolini.Oquandoun pomeriggio, sempreMussolini. O quando unasera, ancora Mussolini.Adesso alcuni sonoappesantiti dagli anni, la

fatica di respirare tenendo lapancia indietro, per nonvenire male nelle fotografied’azione con il tamburello inspiaggia. Rinnovano i propricorpi, spalmano gli ultimiritrovati della cosmesiabbronzante, anzi,autoabbronzante, la pellelavora imbrunendosi da sola,il corpo non devepreoccuparsi di nulla, soloandare avanti, è sempre

dispostoalperdono,all’oblio,purdisalvarsi.

Hilde va in spiaggia nelpieno sole del primopomeriggio. È l’ora in cui lasabbiafondeipiedi, ilcaloresaleaipolpacci, alla schiena,finoallanucaetrasformaciòche appare. Il lastrone quasiimmobile dell’acqua cambiacolore sotto le sferzate diluce, che tuttavia non lorendono brillante d’azzurro,

di celeste o d’indaco, mamodificano – come ilpresagio di un cattivopensiero – il mare in grigiopiombo anche d’estate. È ladoteeticadell’Adriatico,utileper restare abbagliati daquell’improvvisoaccecamento negativo,ricordarci, ogni tanto, chisiamo.

HansHinnermetteunpaiodiocchialidasole.Escepoco

dall’albergo, è il periododell’annoincuilaluceriflettesul bancone della reception.Occhiali neri, lenti scure, lamontatura un po’ larga, haquarantadue anni, staperdendo i capelli, neriimpastatidigrigio,conquegliocchiali sembra un exfunzionariodelVentennio.Lemosche volano a zig-zagdentro la luce d’estate, è unfenomeno naturale, guardarsi

invecchiati allo specchio delproprio hotel, ricevere ilsorriso di una figlia, in unamattina di agosto. Papà,all’iniziodiottobremisposo.

Francospiegaalsuofuturosuocerocosavuolefare.Deveanticipargli i soldi, un mesedi stipendio. Dice di nonrivelare la sorpresa. Helgavorrebbe seguirlo, subitodopo le colazioni dell’hotel.

Luidicedirestareinalbergo,di guardare il cielo verso leundici, da una camera, omegliodallaspiaggia.Francodecollaalfiancodelpilotadiun aereo da turismo. Volalungo il tratto di mare, è laprima volta che si trova incielo, la vertigine delmovimento si placa dopopochi istanti, sembra direstare fermo lungo la costaadriatica, ogni piccolo

albergo è l’Hotel Sand, ognistabilimento balnearepotrebbe essere quello dellafelicità, i puntini umanisprofondano nella sabbiainsieme agli ombrelloni, aglistabilimentibalneari,ecosílestrade, gli alberghi, icondomini, leville,gli alberidella pineta, tutto, la suanuova vita. L’aereo volamolto al di sotto delle nubi,che sembrano sostenute da

un’impalcatura invisibile. Ilmare è grigio, immobile, leteste dei bagnanti all’insú,rapiti dall’improvvisaapparizionedell’aereo,perunattimo sottratti alla ressa delbagnasciuga, ai castelli disabbia, alle bocce, ai filiaggrovigliati degli aquiloni,tuttipresidallacuriositàperilpiccolo aereo dal rumored’anteguerra, la scritta del

lungo telone, che si tende incielosospintodall’aria.

«Franco & Helga sposi –Hotel Sand – MilanoMarittima».

Una trovata pubblicitariaper annunciare l’amore inagosto, nel pieno dellastagione, sebbene ilmatrimonio sia due mesidopo.HelgaabbracciaFrancoal ritorno in cucina. Hans

Hinner sorride divertito.Quando si sposeranno, perHelgaeFrancoc’è lacasadiMilanoodiMerano.Possonoabitare in albergo per tuttol’anno, scelgono la camerapiú grande, è tranquilla,affacciasulretrodelgiardino,quando avranno il primofiglio prenderanno una casavera.

Il matrimonio si svolgenellacattedralediCervia,una

chiesadi inizioSettecento, lafacciata di mattoni divisa indue parti, quella superiorecon una grande finestraguarnita da un oculo appenasotto la croce del tetto e,molto piú in basso, sopra laporta d’ingresso, lo stemmadi cardinali morti daduecentocinquanta anni.Nella navata siedono tutti iparenti di Franco, gli Hinnernon hanno nessuno da

invitare. Igenitori, il fratello,inonni,glizii.Unacuginettafa la damigella e attende lasposaperprenderelacodadelvestito. Hilde è la testimoneperHelga.

Si narra che la chiesa siastatacostruitaconl’intentodivedere il mare dall’altaredurante le prediche, ma ciòche Hilde scorge, oltre aiparenti di Franco, è la luceche passa dall’apertura del

portone in legno, ilmovimento tranquillo eindifferente nella piazza,l’arrivodelMaggiolino.

Il banchetto di nozze è alristorantedell’Hotel Sand. Inottobre il buio arriva alle seidi pomeriggio, gli invitati sispecchiano nelle finestreappannate, mangiano il cibocucinato da Franco, nessunovede in lui il cuoco, è solo

Franco, un figlio, un cugino,unnipote.

I parenti non chiedono aHansHinnerchecosafacesseinGermania,prima.E lei, dottor Hinner, di

cosa si occupava inGermania?Mi occupavo di nazismo,

qualcunodesideraancoraunpo’ditagliatelle?

HansHinnerècontentodiquel pezzo d’Italia, è stato

accolto senza domande sulpassato. Esiste solo il piattocaldo davanti a ciascuno, ibicchieri subito rabboccatiappenasisvuotano.

Voi sapete quellabarzelletta? No, sentiamola.C’è un tedesco, unamericano, un italiano.Ridono e brindano tutti, èfinita la prima soddisfacentestagione turistica dell’HotelSand ed è iniziata la vita

matrimoniale di Helga eFranco.Lacoppiapuòpartireper ilviaggiodinozze.SeelSignur el voeur, – dice lanonna di Franco, lasciandointendere una fusione tra lavolontà del signor Hinner equella del Signore GesúCristo, – l’an che vegn semamòchí.

La morte non arriva, omeglio, è ovunque, diluita,

cosí la fabbrica del mare ciaspetta, l’estatecominciaallafine di febbraio, quando gliuominiseganoalberi,pezzidilegno, tranciano ferro,imbiancano le mura deglistabilimenti balneari, checrescono insieme a nuovecase, alberghi, villette,condomini. La memoria siespande, annulla spazio etempo o li ingloba nellastagione delle infinite novità.

Cosa facciamo quando nonlavoriamo? Amori dellespiagge, civiltà delle auto, ifari illuminano lanotte,dopoc’è una nuova alba. Padre efiglia parlano del quotidianoda comprare per i clientitedeschi.HansHinnerscegliela novità, «Bild». Hilde ècontraria. Ci sono soloimmagini, disegni, vignette,didascalie, articoli cortissimi:

tu faresti ungiornale cosí, sefossiancoraundirettore?

Hilde in edicola compratrequotidiani, «Bild»e i duegiornali italiani. Nelrettangoloa sinistra spicca lascritta bianca «Bild» susfondo rosso e il prezzo didieci pfennig, ma Hilde,acquistando la copiaall’estero, la paga di piú, edeve sostenere un altropiccolo tributo; l’edicolante

incuriosita dal mosaicod’immagini,daititolinericheesprimono le urla dei puntiesclamativi, chiede: e allora,signorinaHinner,oggicosaciracconta«Bild»?

Helga sostiene di essereincinta,haunritardonelciclomestruale,capitaspesso,ogniritardo diventa l’inizio dellamaternità. Si mette a lettonellacamerachedivideconilmarito, al primo piano,

assumeunaposapensosa, damalaticcia della borghesiainglese, che guarda le ondesbattere contro le scoglieredellaCornovaglia.

Dopoogninuovoarrivodimestruazione, il ritorno allarealtà è traumatico, leisostiene di aver avuto unaborto spontaneo; Hilde diceche Helga dovrebbe andaredallo psicologo piú che dalginecologo; Helga non vuole

andare né dallo psicologo nédalginecologo, è impossibileprendere un appuntamentocon lo psicologo al mare,certe cose vanno bene perMilano, non per MilanoMarittima, stendersi su undivano di pelle, parlarealternando il soffitto alprofilo del medico, che fissal’insegnabancarianelpalazzodi fronte, eppure anche almare i figli non nascono,

anzi, perfino muoiono i nati,dopo uno slancio in acqua astomacopieno,dopountuffodistrattosulbordodicementodellapiscina,dopounmaloreper il troppo gioco sotto ilsole o uno schianto, insiemeai genitori, nell’incidentefrontale sulla via del rientroin albergo, alla fine diun’escursione duratamezzora.Helgaappenahaunritardo nel ciclo mestruale si

sdraia, cosí in albergolavorano due nuovecameriere:MariaaiutaFrancoin cucina, Lina aiuta Hildenelle pulizie e ai tavoli. Leseleziona entrambe Helga, lescelgo brutte, lo faccio perFranco. Lina è anchesemianalfabeta, quando escedalla cucina per prendere leordinazioni ai tavoli insiemea Hilde non scrive sultaccuino, porta le dita sulle

labbra come una bambinaquando impara a contare, lasperanzachequelmovimentopossatrasferireleordinazionideiclientieconservarlenellamemoria. L’albergo è pienodi turisti, sabbia, cucina,cucina, sabbia, avanti eindietrosempreconilsole,suogni asciugamano è scrittoHotel Sand, senza marchi odisegni di aquile, corone diregine, spade di cavalieri,

mazzi di fiori recisi. I turistiarrivano damaggio all’iniziodell’ultimo mese d’estate,Hilde li chiama i tedeschi disettembre,quandoilventodeiprimi temporali inclina glialberi in avanti come in unagenuflessione, e le grandigocce rimbalzanodappertutto, anche nel retrodeglialberghi,esonoquelliimomenti silenziosi nei qualil’acqua sembra scandire il

tempo. Il cielo afoso eoffuscato d’agosto diventanitido, nonostante la frescuradelle prime piogge permaneuna venatura di caldoagostano, che entusiasma inuovi venuti incuranti degliombrelloni sempre piú rari,deituffinell’acquaoraverde,che nutre all’interno di sestessa correnti di freddo. Iltempo nuvoloso nonimpedisce ai vecchi e ai

bambinidiessereinspiaggia,igiovanigenitoriitalianisonoipiúdepressi,recriminanosulperiodo prescelto, l’annoprossimo veniamo a giugno,costa uguale, c’è il sole ealmeno la speranza che dopodi noi esista ancora l’estate,nonlafine.Piovesuglialberie le foglie della pineta, suivilliniliberty,l’acquatintinnaimitando un gigantescoxilofono sui ponteggi degli

edifici in costruzione, lasabbia inzuppatas’ingrigisce,si confondecon il cemento el’asfalto delle traverse. Sivedono bene solo i primimetri dalla riva, la foschiaavvolge i pescherecci, imotoscafi già ricoveratiaspettano la prossimastagione.

Quando piove, chi sta inspiaggia torna sconsolato inalbergoanchesesonoledieci

dimattina,correcomeinunavera ritirata militaresca, unrotocalco al postodell’elmetto. Si asciuga allareception, parla con HansHinner, appoggia al banconela carta sfaldata dall’acqua;siede nella sala ristorante,prende un bicchiere di vinobianco,unanalcolico,giocaacarte, fuma,mangia patatine,sfoglia un quotidianosportivo, fissa il paesaggio

delle auto parcheggiate ingiardino, lo sfondo dellapineta, un angolo senzapossibilità, eppure, o forseproprio per questo, sereno.Èil periodo dell’anno in cuiudiamo meglio i rumori,l’odorediumiditàhailsaporedel pesce fritto alle undici etrentadimattina.

È l’anno in cui Hildeincontra Kurt, un ragazzo diMonaco, lui detesta lavorare

nel negozio di calzature delpadre, vorrebbe fare ilfotografo, una cosa comeAugust Sander, catalogaretutti i suoi connazionali inritratti, non sa bene comeviveresenzailnegoziodisuopadre, intanto fa il morto inacquaadiecimetridallariva,chiudegliocchicircondatodabambini, spalanca le braccia,galleggia come un Cristoorizzontale, quando

abbandona l’acqua pare cheesca dalla vasca da bagno,sbaciucchia Hilde sullaspiaggia, lei riprende aparlare tedesco tutti i giorni,da quanti anni sei via dallaGermania? È come se fossinata in Italia, stranieraovunque, non mi piaceparlare del passato, ridurlo auna chiacchiera. Non ti pareincerto il mio tedesco?Sarebbe meglio se il mondo

parlasse un’unica lingua,l’inglesedellecanzoni.

L’estate di Kurt c’è losciopero dei dancing, i localinon possono trasmetteremusica con gli altoparlanti,infastidiscono il sonno dellamaggioranza dei turistimentre una piccola fetta diclienti, i giovaniappassionati, protestanoinsieme ai lavoratori deidancing e ai padroni, lottano

tutti insieme, vogliamo soloballare, tenere il ritmodell’estate,deveessereil’56,Helga è senza figli e Francoha una Lancia Aurelia a dueposti,idealeperimesiestivi,eh, ancora niente, ma se minasce il bambino, dove lomettiamo,inspider?

HansHinnerterminailsuoperiodo di clausura allareception,adessoescedipiú,guida la sua nuova

Volkswagen Karmann, lamacchinapiacemoltoancheaHilde, è lei che amoreggianella Karmann davantiall’insegna spenta di undancingconKurt,luilabaciae sussurra nell’orecchio,vienimi a trovare, aMonaco,dài, quando l’albergo chiude.Certo, Kurt: una finestraaperta lancia il dialogodi unfilm – amore! amore! – e ilgrido dell’attrice azzera le

distanze,stranoilmioparlaretedesco, avrei bisogno di undoppiaggio. Hilde guardanello specchietto retrovisore,ha un ronzio nelle orecchie,come se risuonassero glialtoparlanti di quando erabambina.

Usciti da un sogno,bianchicci, unti di cremaabbronzante, viviamo sullaspiaggia e combattiamo lapiccolanoiadelleonde,basta

vedereunmicrofonoufficialeeuna telecameradiStatoperrisvegliare in noi un nuovopatto di natura. Lei, peresempio,sí,propriolei:vienequi da molto, a MilanoMarittima? È in campeggio,in albergo o in un’abitazioneprivata? Per la sua casa almare, se dovesse scegliere,preferirebbe acquistare untelevisore o un frigorifero?Scusi, ma che domande mi

fa?È scontato, un televisore:esistonolerosticcerie.

Hotel Sand va sempremeglio; per fuggire dallatentazione d’investire denaroin qualche nuova attivitàcommerciale, Hans Hinnerregala due appartamenti dicentoventimetriquadrati allegemelle. Sono uno accantoall’altro, all’ultimo piano delgrande palazzo di nuova

costruzione: il GrattacieloAnita,aMilanoMarittima.Èunedificioaltonovantametri,costruitoincementoarmato,ipochi pini intorno allefondamentasembranobonsai.Il venditore accompagnaHans Hinner nel cantiere inun pomeriggio di primavera.Salgono fino incimaapiedi,ogniventimetril’agente–uncinquantenne biondino egrassoccio, dalle guance

paonazze, gli occhi smarritinei rigonfiamenti deglizigomi, vestito con un abitopanna che lo fa somigliare aun turista inglese in viaggionel Maghreb insiemeall’anziana madre – si fermaperrifiatare,appoggiandosialmuro portante. Guardi, unospettacolo,altrochelevillettetra quei quattro alberi tristiche non fanno nemmenoombra. Adesso è ancora

primavera e si ragiona, traduemesiiniziailmanicomio,afa, motorini, clacson,schiamazzi, mangianastri,giovani che ripetonoparolacce sotto la finestra,bestemmie fino all’alba.Invece un appartamentosignorile nel nostrograttacielodicementoarmatodominatuttoinmodogentile;ecco, lí, l’Est, il mare, leonde,laspiaggia,lapineta,se

ci giriamo si vedono laferrovia, le saline, lecampagne coltivate,l’aeroporto militare è quellastriscia di asfalto, e piú in làiniziano le collinediCesena,nonoccorrenemmenoandarelassú a prendere il fresco,senta qui che roba, mettafuorilamano,senzaguardaretroppo in giú, ci sono iponteggi, ma non si sa mai.Sente?Estrattodiariamarina

purissima, a novanta metrid’altezza, arriva quassúgiusto qualche gabbiano,mica tutti, solo i migliori, ipiúcoraggiosi,glialtrinoncela fanno, si accontentano dibeccare sui tetti deglialberghi. Un’arietta cosínessuno gliela può offrire inItalia, e aquantohovisto io,nemmeno in Europa, forsel’America,be’,sí, l’America,senza dubbio, lo ammetto, la

Florida, la California, altracategoria, noi in Romagna,nel nostro piccolo, cidifendiamo bene, ci mancaniente, anche noi possiamouscire da un grattacielo incostumedabagno.PiúinlàèCesenatico, la costa fino aRiminieRiccioneèun’unicacittà, alberghi, pensioni,ristoranti, stabilimentibalneari, tutto fatto con lecambiali, è ilnostro lavoro, i

soldidellebanche,lastagionedeve ancora iniziare, l’estateèunpezzodi carta,maci fadivertire tutti. Siamo a buonpunto, inauguriamo ilgrattacielo a luglio, se leivuolel’affare,devecomprareadesso.Dopocisaràlafiladimilanesi e bolognesi, tutti icomfort, il doppio ascensoreautomaticoadaltavelocità,iltelefono, l’antenna televisivamultipla, la corrente

industriale, l’impiantocentrale di gas, il citofonocollegatoconlaportineriaeilristorante, perfino il serviziodeipastiadomicilio,nelcasoleinonvolesseperderetempoin cucina può citofonare alristorante, le mandano ilpranzoconilmontavivande,irifiuti di ogni piano sonoincanalati nella raccoltacentrale, il night club saràseminterrato,unpo’disvago

dopo un anno di lavoro. Ah,per due appartamentifaremmo un prezzo ancorapiú conveniente. Proprioidentici? Pavimenti,piastrelle, porte, rifiniture,tutto uguale. Be’, per duepossiamodiscutere,parlareditutto.

Hilde è contenta delregalo, torna al suoappartamento ogni sera, si

affaccia alla finestra, lavoraginedellelucicingetuttalacosta, il restodella riviera,ilmare,ilbrulichiochepezzodopo pezzo erode ogni cosa.Helga, dice Franco, pensaci:un neonato a novanta metrid’altezza può andare bene iprimi mesi, tanto non simuove, ma appena inizia agattonareoacamminareavreisempre l’incubo di distrarmi,lui che avanza verso il

cornicione della finestraaperta.Ci penseremoquandosarà. No, dice Franco,pensiamoci adesso. Tantovale affittare, noicontinuiamo a vivere inalbergo.

Per Hilde il tempoamoroso diventa unasequenzadistagionibalneari.L’estatediCarlo, ti amo,madevopartiresubitoperfareil

militare,sonofelicediservirela mia patria, voglio metterela firma in Marina, se tu miaspettassifedele,Hilde,pensache emozione, torno a casaconladivisadaufficialeemiabbracci ingiardino.L’estatedi Alberto, Hilde, nonme lasento di ricominciare subito,Luisa mi ha prosciugato, sisarebbe sposata a diciottoanni, non potremmo vedercisolo la domenica in autunno,

anche a Milano? L’estate diMarco finisce con unatelefonata da una pasticceriadi Torino all’inizio disettembre, il sottofondo ditazzine, cucchiaini, ordini aicamerieri, Hilde, seidolcissima, ripete mentre laschiuma del cappuccino glibagna le labbra. L’estate diPaul, un austriaco diVienna,sono capitato per sbaglio inRomagna, a Milano

Marittima, il nome mi faridere, l’obiettivo è arrivaremolto piú a sud, a SantaMariadiLeuca,difronteallecostegreche,dovel’Adriaticosiunisceaunaltromare, saiHilde, ho studi classici,voglio vedere l’acqua deigrandipoemi.Invece,ciòchedovrebbe essere la tappaintermedia di una notte,diventa cinque settimanetrascorse sulla riviera

romagnola, nemmeno inalbergo, manell’appartamento di Hilde.Quando lei torna dal lavoro,trova Paul sul divano, lui sialza e le dà un bacio. Hildegli chiede di citofonare alristorante, per ordinarequalcosa da mangiare. No,Hilde, ti prego, almeno disera ho bisogno di vederegente,mi servepermettereafuoco le suggestioni del

giorno, c’è una vistabellissima da qui, ognipersona sensibile dovrebbevivere a novanta metrid’altezzaperabbracciaretuttocon lo sguardo, ma se unapersona sensibile non scendenelmondo,comefaasentire?Prima di uscire, vuoiascoltarecosahoscrittooggi?

Alle sei di una luminosamattina di giugno, le nuvole

sonosospesesoprailtettodelgrattacielo, alcunepoco sottodiesso,carichediunchiaroreancorainesploso.L’ascensoreè al piano terra, Hildeschiaccia il pulsante, ha iltempo di sentire i primirumori del grattacielo – cheper alcuni turisti sono gliultimi suoni della seratatrascorsa fino all’alba – e gliscrosci dei gabinetti,dell’acqua convogliata nelle

tubature, che precipitanoverso il collettore fognario eda lí, dopo un lento tragittoorizzontale, almare. Si voltaverso la voce che, aperta laporta dell’appartamento diHelga,dice,buongiorno.Èunuomodiquarantacinqueanni,di altezza media, magro, ilviso scavato, i capellibrizzolati e castani, come sein testa mantenesse un’ideaartificiale, di giovinezza

vissuta non ancora del tuttopassata. Hilde risponde alsaluto, entra da solanell’ascensore,domandandosiil motivo per cui l’uomoabbia aperto la porta. Siguarda allo specchio,l’immagineriflessalesembraopaca, le prime rughecompaiono sottol’abbronzatura leggera.L’ascensore continua la suadiscesa verso il piano terra,

emette rauchi assestamenti.Cosa sta facendoHilde dellasuavita?Dicosatioccupi,dibello? Sí, ma di preciso?Glielo chiedono da oltre undecennio a Milano, sono ledomande autunnali einvernali, quando Hilde sicoccola pigra nel fuoristagione e perde ancora oreinsieme agli altri, al posto didefilarsi, per sprecare iltempo da sola. Potrebbe fare

ogni cosa per avere una vitapropria, distante dallafamiglia, inventarsi un nomeanglofono, aprire una dittaredditizia, una internationalqualsiasi, affiggere la targadorata nella traversa di corsoVittorio Emanuele a Milano,firmarecontratti,telefonarealcommercialista amico,seccarsi di tutto questo perunirsi a qualche grupporivoluzionario, cospirare

contro l’indecenzadell’esistente, prepararecomunicaticonunamacchinadall’inchiostro impastato inuna lingua aliena. Forsedovrebbe davverorassegnarsi, vivere appartata,agire per la difesa di cosedimenticate dal mondo, ladifesadeicapitelli,deirosoni.Vive circondata da libri,sottolinea frasi che laincoraggiano, lo vedi, Hilde,

siripete,nonseisola,qualcunaltro ha pensato con piúprecisione le tue stesse idee,sei pronta a qualcosa dipersonale, un libro di HildeHinner, il problema non èincominciare, è sistemare glispunti appena abbozzati, chele affollano lamente quandopulisce le cameredell’albergo.Dicesemprechenella stagione autunnale einvernale riscriverà i

frammentisparsi,daràlorounordine, come il negoziantecon i fiori di stagione neigiornideimorti,inveceimesipassano eHilde sverna con ipropri fallimenti, èinconcludente, impossibilitataa scappare o a restare,incapacedi essereunadonnacome sua sorella, ed è giàtempo di ricominciare unanuova stagione alberghiera,altromaterialesiaccumula,si

accascia su quello esistentenell’archivio e non lovivifica,losoffocaconnuovestorie, ritagli di giornali,eventi che banalizzano,svuotano di senso laprecedentesedimentazione.

AvolteHelga eFranco lesembranopiúonestidentrolarecitaimprenditoriale.Hildeèinvischiata in qualcosa chenon le appartiene, ma puòesserle davvero estranea

un’attivitàiniziataconisoldidel Terzo Reich? Ora èdenaro rispettabile, sonosoltanto soldi ripulitidall’espiazione del lavorostagionale, da infiniti episodireplicabili con un gettoneuguale a milioni di altrigettoni, ritornelli cantatiaccanto ai juke-box, nuoveidentità che ognuno puòinventarsi sulla sabbia, èfacile passeggiare con la

divisa del costume lungo ilbagnasciuga ed esserenessuno, le impronte sonoquelle di centinaia di altri,basta attendere un po’d’acqua salata per cancellaresegni,ricominciare.

Un amore, una relazionesentimentale vera, niente,soltantoalcunepiccolestorie,rese ancora piú instabilidall’ambientazione balneare.Lei vede pellegrini d’amore

schiavizzatidall’estate,donnealla ricerca di conferme,uomini ansiosi cheapprofittano della spiaggiaper appoggiare le labbra allespalle femminili, unacarezzatra dune notturne e gibbositàlunari, lamiere di autoparcheggiate tra arbusti, inattesadellanuovaalba.

Le sembra un’imposturadefinirsiancoragiovane,cosícome un’ipocrisia la regola

affissa dentro la targhettadell’ascensore:«Vietatol’usoai minori di anni 12 nonaccompagnati». A dodicianni,nell’ultimaprimaveradiguerra, aveva baciato duevolte un ragazzino di nomeMichael, si era vergognatadella sua inesperienza, avevavisto deportazioni, mitrapuntati alla schiena,saccheggi di appartamenti,svendite di tappeti, di quadri

e gioielli requisiti, cheluccicavano per pochi denarinelleastedeifascistiitalianiodeisudtirolesinazisti,perfettialleati nella spartizione; il 30aprile di quell’anno, aMerano– quando le date giàindicavano la Liberazionecinque giorni prima – Hildeera a scuola, un corteoattraversava il centrocittadino, lei era uscita dallaclasse per vedere, Helga era

rimasta alla finestra.Credevafosseropetardiperfesteggiarepiúforte,lepersonecadevanointerraall’incrocioconcorsoLibertà, gli spari eranoiniziati all’angolo conFreiheitsstraße, la maggiorparte era riuscita a fuggireabbandonando bandiere ecadaveri, i vessillisembravano stracci come ilcorpo di un bambino piúpiccolo di Hilde, poteva

essere lei e invece eramortolui, era morto qualcun altro;permolti anni aveva pensatoche, dopo quell’infanzia,avrebbe preso la parola conautorevolezza, avrebbeviaggiato a lungo, in nazionilontane, per ascoltare nuovestorie e raccontare ciò cheaveva visto, anche se, forse,un ritorno a Bockburgsarebbe stato l’unico viaggioda fare. Invece si era

rassegnata al proprio tempo,aveva vissuto il mondoprogettato e costruito dalpadre, un sistema cosítotalizzante da adattarsi aBockburg, a Merano, aMilano, a Milano Marittima.Hilde non era riuscita aprendere nemmeno unadistanza fisica da HansHinner,einfattileièqui–iosono qui, pensa davanti allospecchio dell’ascensore, la

cabina staper toccare terra–in un’estate italiana. Dopo ilpranzo in albergo, Hildecammina lungo la riva, laspiaggia a trecento metridall’Hotel Sand, la sua vitanon è come la loro primaestateadriaticaocinqueannifa, quando ascoltava icommenti dei ragazzi – lacredevano straniera – epensavachelefrasidurasseroper sempre. Il mare è piatto,

senza vento, governato daun’afa di profondaspossatezza, e lo sguardomaschile, per quantoinvecchiato e malaticcio,libera Hilde ma schiavizzaqualcun’altra, cade su chi hala metà dei suoi anni.Rassegnata e inquieta,raggiunge l’asciugamanoormeggiato tra giocattoli diplastica.Levienerichiestounmarito come sua sorella e

almeno un figlio – be’, ilfiglio manca pure a Helga –sí, figlio maschio e marito.Hilde può ancora permettersiun’accelerazione a perdifiatoin bicicletta? Fisicamente,certo, ma la società glieloconcedeolagiudicaridicola?Stanca, dovrebbe lasciarsicadere sul tappeto dellapineta, sull’erbadiuncampotra gli alberghi, rifiatando aschiena in giú, la bicicletta

buttata per terra. Quandol’ascensoresiapre,unraggioilluminalacornettagrigiadeltelefono del portiere, lascrivania quasi vuota, ilfermacarte appoggiato su unfoglio bianco. Hilde è unadonna di trent’anni, che escedi casa alle sei e dieci dimattina.

Basta poco per sapere dasua sorella qualcosa

sull’inquilino del grattacielo.È da solo, ha affittatol’appartamento di Helga perdue settimane, fa le cureinalatorie nel nuovostabilimento termale. È unmedico,Helganon sadiredipiú. Hilde ripensa al suotragitto in ascensore. E leicos’è?Cosadovrebbediredisé? Sono una cameriera?Sono un’imprenditrice? Nons’identifica con l’essere

cameriera, convinta che nonci sia piú autenticità nellamansioneumile,onell’essereumano che la riveste. E altempo stesso inorridisce difronte all’ottusità del bastarsipadronale diHelga eFranco,dell’invecchiare nei conteggidiunanuovastagioneestiva.

Da quest’anno Hildefotografa i clientidell’albergo. Li tranquillizzadicendo che si tratta di un

omaggio pensato dalladirezione. Il ricordodell’Hotel Sand. Quandofinisce di fare le pulizie,indossa i propri abiti – unamaglietta blu, un paio dipantaloni blu, scarpe rossetedesche – e chiede a coloroche stanno per terminare lavacanza di farsi fotografare.Li sistema nell’anfrattoricavato di fronte allareception, dove ci sono due

poltrone, il tavolino con ilvaso di fiori e il calendarioappeso alla parete, uno diquelli con i grandi numerirossi da strappare giornodopo giorno. Ritrae lepersone in piedi, appoggiateal muro bianco e investitedall’eventuale fascio di luce,che di solito filtra dallafinestratralediecieleundicidi mattina. Hilde usa unaPolaroid, la prima immagine

è per i clienti, li trattienenell’angolo dicendo sempre,scusate, facciamone un’altra,ecco, ancora un’altra, questaè l’ultima davvero. Devestancarli con gentilezza,guidarlidovevuole,versounlogorio rigenerante, lí accadel’esattezza del mondo, alterzo,avoltealquartoscatto,quando il sorriso turisticomuore e resta un accenno, lacostruzione di una smorfia,

della propria vita, tanto che,quando le persone guardanole fotografie di Hilde,ripetono:noinonsiamocosí.Consegna la prima fotografia– quella in cui di solitosorridono tutti – ai clientisoddisfatti,etieneilrestopersé,daarchiviare.Centinaiadiritratti,esseriumanichesonostati bambini nel 1951 eadesso tornano da adultiall’Hotel Sand, io sono il

figlio di Grendel, ilferramenta di Rosenheim, siricorda di noi, Herr Hinner?Siamo stati qui con mianonna,eral’unicacheportavaigambalettiinestateeavevaicapelli dai riflessi celesti, lanonna èmorta l’anno scorso,imieigenitoriverrannoquiinsettembre.

Non sempre Hans Hinnersiricorda,maappenaleggeleschede dei clienti nei vecchi

registri dell’albergo, glisembra d’identificare inumeri con i volti. Passa asua figlia le informazioniperaiutarla nella catalogazione.Lei dice che sta facendo unaltro tipo di lavoro, dietro lagiustificazione turistica ecommerciale sente lasfumatura poliziesca delpadre. Hilde dimentica comelo sviluppo decisivo dellafotografia nasca da atti

amministrativi, documentigiudiziari e criminologici,schede segnaletiche,procedure penitenziarie,classificazione di ritrattiall’interno degli archivi dipubblicasicurezza:unaformadicontrollodivenutaaltro, lamoltitudine di volti ripresidalla reception, dallaprospettivadiHansHinner,iltransito turistico in albergo,

passaggio di partenze inmattineluminose.

Si incontrano di sera, alpiano terra del grattacielo.Appena vede Hilde –impegnata a salutare ilportieredelpalazzo–siavviaverso l’ascensore. Entranoinsieme nella cabina. A chepiano?,chiedeHildeesitandocon l’indice sui numeri deitasti.All’ultimo.Leinondice

anch’io, si limita a sollevarelosguardoper rivolgerloallospecchio, non per guardarsi,maperfissarelanucariflessadell’uomo, che nonostante iltaglio accurato mantienequalcosa d’infantile, sembrala nuca di un ragazzinosottratta per un giorno alladivisa di una scuola privata.Hilde abbassa lo sguardo,abitudine e stanchezza piúcheimbarazzo,fissalaspalla,

il taglio maschile dellacamiciabianca.L’uomolastaguardando. Credo di averaffittato l’appartamento dasua sorella gemella. Èincredibile, lei è quasiidentica, ma ci sono alcunemagnifiche rughed’espressione, tic, piccolimovimenti, che la rendonodiversa,un’altrapersona.Già,sonoun’altra persona, è tuttala vita che andiamo avanti

cosí. Mi scusi, non vorreiessere invadente, immaginosia stanca di ascoltare questidiscorsi, sono incantato dallevostredifferenze.L’ascensoresi apre, l’uomo con un gestodella mano offre laprecedenza all’uscita diHilde,checercanellaborsalechiavi di casa. L’uomo siavvicina alla portadell’appartamento di Helga.Se permette, vorrei invitarla.

Infondo,anchenovantametripiúinbasso,èl’oradicena.

Si chiama FrancescoCastelli. Nato nella tardamattinata dell’ultimo giornodella Prima guerramondiale,Francesco Castelli provieneda una famiglia di medici.Suamadre, LuciaOggioni, èunadellepiúnotepediatrediMilano.Suopadre,LudovicoCastelli, oltre che senatore

durante ilVentennio fascista,è un chirurgo plastico.Collega di GustavoSanvenero Rosselli –considerato il padre dellachirurgiaplastica italiana– ilprofessor Castelli segue letracce percorse dal suocelebre collega, colui chesviluppailPadiglionemutilatidel viso, presso l’OspedaleMaggiore di Milano.L’attività di Ludovico

Castelli è invece circondatada un’aura politica ancoraprima che scientifica. Allafine degli anni Venti, ilprofessor Castelli fonda ilReparto speciale diricostruzione del corpo, nototra i reduci piú politicizzatidellaPrimaguerramondialeetra i militanti fascisti.Centinaia di ex soldativengono operati e assistitinellafatiscentepalazzinaatre

piani ubicata nel popolarequartiere di Porta Genova, aMilano.

Il professor Castelli sioccupa di ogni parte delcorpo e in evidente polemicacon il suo collega –specializzatonelrecuperodelviso–sostienecheunamanonon sia meno importante diuna faccia. Oltre agli exmilitari, il professor Castellicura bambini nati con

malformazioni fisicheoperabili. I suoi detrattori glirimproverano – nonpubblicamente, vista lamilitanza politica – dispostaresempreunpo’piúinlà il confine tra medicina esperimentazione estetica alservizio di teorie diffuse inquel periodo storico eculminatenelManifestodellarazza, pubblicato il 5 agosto1938 – da Castelli e da altri

dieci medici e scienziati –sulla rivista «La difesa dellarazza».

In quell’anno il giovaneFrancesco è un ventenne dapoco iscritto alla facoltà dimedicina dell’università diPavia, ma subito dopo leleggi razziali fasciste,preferisce studiare all’estero,in Svizzera. Qui incontra uncontesto internazionaleall’avanguardia nel settore

medico; conosce studenti diogni nazionalità, scienziati,architetti, artisti lontanidall’ideologia paterna, esebbene Francesco non sipossadefinireunantifascista,prova imbarazzo quandoriceveleletteredalpadre,checontengonoestratti, ritaglidarivistenellequali ilprofessorCastelli descrive la propriavisionedelcorpo,delmondo.

Liabbiamovistipermolto,troppotempo.Liriconosciamosubito, anche in una stradaaffollata, eppure è semprebene non dimenticare comesono fatti, descriverlifisicamente. È importante, sevogliamo essere scientifici,scomporre leparti delviso. Ilnaso è convesso, moltoincurvato all’ingiú, adunco,simile al becco di un rapace,un nasomercantile, che solca

ilgrandemaredeiguadagni;illabbro è prominente tantoquanto il setto nasale, muriportanti della loro architetturafacciale.Seillabbrosuperioreavolterimanequasi inombraa causa del naso, il labbroinferiore è viceversa moltocarnoso, cede in unasporgenza d’origine negroide,simile alla smorfia tracotantedi un bambino capriccioso edeluso per la mancata

conquista di un gioco. Gliocchisonopocoincavatinelleorbite, sembrano vivere inun’umidità continua, dasottobosco brulicante, omeglio ancora, da pantanocapiente, stagno infinitodovuto proprio alla fessurapalpebrale…

Alla fine della guerra, ilprofessor Castelli continua alavorare, senza che una

commissione analizzi il suopassato. Manca la volontàpolitica – nazionale einternazionale–diverificareicomportamenti di tutte lepersonalità italiane coinvoltenel fascismo. I giornalisticontinuano a scrivere suiquotidiani, i politici inparlamento e a dirigere entipubblici, i medici a tenerecattedre universitarie diantropologia, di zoologia, di

demografia, di fisiologia, dipatologia.

Il professor Castelli, aparte l’adesione alManifestodella razza, non scrive maisulle pubblicazioni piúimportantidell’epocafascista.Non invia nemmeno unarticolo a «La difesa dellarazza». Il professore confidapoco nella sua scrittura,meglio il bisturi della penna,è solito ripetere alla moglie,

dopo ogni tentativoinfruttuoso. I suoi brevi testiappaiono soltanto su rivistemediche milanesi oraintrovabili, probabilmentedistrutte durante ibombardamenti o rosicchiatedai topi in qualche umidoscantinato.

In fondo, dice di sé ilprofessor Castelli dopo laguerra, sono solo un medicochecercadidare speranza ai

meno fortunati. L’operatodella moglie contribuisce aricreare un clima positivointornoallafiguradelmarito,comeseilVentenniofascistafosse soltanto uno scherzo,unamascheratacollettiva,chenon scalfisce le qualitàindividuali.

Ilprofessoreaccoglie fra isuoi collaboratori anche ilfiglioFrancesco,laureatosiinSvizzeraerimastoaviverein

unacasaaffacciatasullagodiLugano,finoalsettembredel1945. Il figlio opera e suturacentinaia di pazienti, uomini,donne, bambini. Senecessario afferra il bisturiconforzaedecisione;avolteè cauto, quasi dovesseritoccare un dipintotrecentesco danneggiato daibombardamenti; altre volte,conscio dell’impossibilità diun interventoefficace, agisce

sul corpo del paziente comestesse ricopiando nell’agendail numero telefonico di unapersona che non richiameràmaipiú.

Pochi mesi dopo l’iniziodella sua attività, FrancescoCastelli è uno dei piúconosciuti chirurghi plasticiitaliani. Quando i pazientiparlano del Castelli chirurgo– pur apprezzando il passatodi Ludovico Castelli –

intendonoCastelli ilgiovane,non Castelli il vecchio. Ilfiglio sceglie un’altradirezione rispetto al padre.Non vuole piú occuparsi diferite di guerra, dimalformazioni congenite alpalato,ditumoriepitelialichenecessitano – dopo iltrattamento oncologico – delsuo aiuto; operai ustionati daliquidi bollenti, da metallisurriscaldati, da unmomento

didistrazione,daritmitroppoalienanti; casi disperati,uomini integri in superficie,bruciacchiati inprofonditàdaunascaricaelettrica,comesela corrente si prendessetempoprimadiagire,vagasseper raggiungere gli strati piúremotidelcorpo.

Francesco Castelliabbandona l’attività dichirurgo plastico percominciarequelladichirurgo

estetico.Lachirurgia esteticanell’Italia del 1947 è agliinizi.Castelli il giovane aprela Clinica Privata Castelli,situata nella zona sud diMilano. I suoi soci sono duefinanziatori italiani – exfascisti riciclati nel campodell’informazione – e unfinanziatore unghereseincontrato in Svizzera, unnostalgico dei confinidell’Impero austroungarico.

L’edificio è un castellocinquecentescodiquattromilametri quadrati. Il marchioimpresso sulla carta intestatadella clinica raffigura duecastelli, e sebbene sia unadichiarazione di ironicapacchianeria, piace molto adattrici, attori, cantanti, nobilidecadute, aristocratichedeluse, borghesi ansiose,perfino un registacinematografico si rifà il

labbro da FrancescoCastelli,poiché,èsolitodire,illabbrotroppo fine appartiene aipersonaggi malvagi delgrandeteatro.

I clienti arrivano a bordodi lussuose berline nere, cheattraversano la campagnamilanese per raggiungere ilgiardinodellaclinica,dopoilsaluto delle guardie armateall’ingresso. Si presentano alcolloquio preliminare,

ciascuno con le propriemotivazioni. Portano i ritaglidelle riviste, immagini condive e divi del cinema;un’attrice arriva con una suafotografia di scena, la gettasulla scrivania di FrancescoCastelli e dice sconsolata,dottore, questa sarei io, manonsonodavverocosí,vorreidiventare quella del film,avereunsenograndedafintapovera, ma ammirata come

un’attrice. La mogliegiapponese di un ex militarefascista italiano vuoleeliminare gli occhi amandorla, due anni dopo lafinedellaguerra.

Il 1947, un anno chenell’immaginario nazionalesignificapoco–senzaipicchistorici del 1945, del 1946 odel 1948 – è invece decisivoper la vita del ventinovenneFrancescoCastelli.L’apertura

della clinica lo mette incontatto con quello che irotocalchi chiamano il belmondo. Invece la parte piúconservatrice del clero sioppone ai trattamenti dellaClinicaPrivataCastelli.Inuneditoriale, padre UmbertoRescaldina si appella «algiudiziodiDio,neiconfrontidi coloro che spingonol’azione dell’uomo oltre ilimiti naturali, coloro che

sfidano lavolontàdivinaconla freddezza di un bisturispietato, nella cui puntaacuminata e glaciale si hadifficoltà a intravedere latraccia dell’uomo: rimanesolo una dissimulata ferociaanimalesca».

L’esito delle polemiche èun notevole incremento diclienti facoltosi. Dopo lastampa religiosa, quellascandalistica s’interessa al

tema,sebbeneconaltriscopi.Il direttore di un rotocalcopagherebbe molto bene dueimmagini – prima e dopol’intervento – di DorianaBerti, mediocre protagonistadialcunepellicoledelcinemafascista,nellequali interpretasempre la parte dell’amantepunita dal destino. In unacircostanza,duefotografi–inaccordo con i guardiani –carpiscono il ritratto di una

ricoverata compiacente –peraltro irriconoscibile acausadellebende–sedutasuuna panchina del giardino.Francesco Castelli nonosteggialapubblicazione,perlui la chirurgia esteticadovrebbe avvenire alla lucedel sole: se fossepossibile, èsolito dire, opererei inspiaggia.

Nell’estate 1947,FrancescoCastellièinvitatoa

far parte della giuria di unconcorsodibellezza.Lemissvivono per tre giorni in duepezzi, con un numeroappiccicato al costume dabagno.Marcianosulbordodiuna piscina olimpionicacalzando scarpe con il taccoalto; scendono da unascalinata tenendo libri inequilibrio, sulla testa; sfilanoin un ippodromo sotto letribune dell’arrivo,

camminano diritte, la testaalta, lo sguardo in direzionedelmurodifolla,cheapochimetri le guarda e le circondaimpedendo una via di fugadalla massa multiforme:carabinieri, vigili urbani,commercianti, impiegatistatali, operai dell’industriapesante, uomini con l’abitodella festa, ragazzini vestitida marinai, ragazzine con leborsette sotto braccio. Le

candidate ripartonodall’ippodromo versol’albergo,accompagnatedalleberline neredell’organizzazione, i flashdei fotografi brillano sullecarrozzerie lucide, suiparafanghicromati.

La sera della finale,Francesco Castelli bevecocktailesollevaunaseriedipalette con i numeri per lavotazione.Ladieci,mormora

ilcalciatoreGianniRossi.Ladieci incontra anche ilgradimento di FrancescoCastelli, le assegna ilmassimodei voti.Cosí comeleconcorrenti,ancheigiuratidevono giustificare la loropresenza, una brevedichiarazione con cui sichiarisca la propria scelta. Ipiú scrupolosi prendonoappunti durante la serata,scrivono sui taccuini

sponsorizzati da un’aziendadi costumi da bagno. Ilpresentatore dell’evento siavvicinaaFrancescoCastelli,ecco,gentilisignoreesignori,il dottor Castelli, un uomoche non ha bisogno dipresentazioni, di cuiricordiamoilsolcopaterno,lacontinuità con la miglioretradizione medica italiana, lascienza quando diventa ungioiellodifamiglia,cheoggi,

tuttavia, mostra uno spiritoancora piú moderno. Ilpresentatore, stretto in unosmoking da Capodanno,sospirastanco,comeseilsuorespiro fosse confinato nonsempre e soltanto dentro lacassa toracica del suo corpo,ma nell’Italia chiusa esoffocata dalleAlpi.Allungail braccio e piazza ilmicrofono davanti al mentodel dottor Castelli, che dice

solo: il corpo è il miomestiere. Poi allontana ilmicrofono con un colpettodelledita,ilrumoreattraversail filo, le casse dell’impiantoacustico, genera un frusciofastidioso, un fischionell’aria,unsibilonato–piúche dalle dita di FrancescoCastelli – dal miocardio delpresentatore.

La vincitrice, annunciatacon il rullo di batteria, è

Giovanna Salvatore. Porta lemanialleguance,spalanca labocca, sgrana gli occhi, latipica espressioned’incredulità, gioia e piantoincombente. Diciassettennecommessa, ripete ilpresentatore, milanese dichiare origini meridionali,una tipica bellezzamediterranea trapiantata alNord, vero signorina? Unimprenditore edile incorona

Giovanna Salvatore, lesistema la fascia dellavincitrice sulla spalla. Finitala premiazione, FrancescoCastelli sidirigesubitoversouna delle finaliste, eliminataall’iniziodell’ultimoturno:lanumero sei.La ragazza litigacon la cifra ancoraappiccicata al costume dabagno. Signorina, brava, fabenea toglierlo, il seinon lerende giustizia, lei è una da

dieci, il massimo, un dieciancora piú prezioso, perchénon appariscente. La ragazzasorride imbarazzata inmezzoalla calca distratta epreoccupata solo dellavincitrice, non comprendel’atteggiamento del dottorCastelli,medicoperaltroaleidel tutto ignoto, prima diquella sera. Lui non l’hanemmeno votata. E saperché?Iovogliopreservarla,

pensicomesarebbeorribilelavittoria: interviste, fotografie,il compiacimento dellasopravvivenza trionfatrice.Signorina, ignoro come lei sichiami. Provi a pensare allavincitrice: domani dovrebbecambiarsi il nome e ilcognome, alla ricerca dellaformula giusta per ilsuccesso, davvero, lei meritadimeglio, unmutamentopiúprofondo.

La ragazza cerca con losguardo la madre persa nelpubblico. Il dottorCastelli ledà un biglietto da visitaintestato alla Clinica PrivataCastelli. Lei lo sistema nelcostume, sotto il numero, inmodochelamadrenonpossascorgerlo.

La primavera seguente,Francesco Castelli sposa laventenne Fulvia Morigi. Lacerimonia si svolge nella

spoglia atmosferadell’abbazia cistercense diMorimondo, a pochichilometri dalla clinica. Igenitori dello sposopreferirebberounmatrimoniocon una ragazza della stessaclassesociale.Lelorolacrimesono interpretate da alcuniinvitati come il pentimentosfociato nella commozionetardiva; per altri, sonosoltanto la conferma, la

manifestazione esplicita deldisappunto. I genitori diFulvia Morigi – padremaestro elementare, madrecasalinga – accolgono conentusiasmo il matrimoniodella loro unica figlia. Lacoppia va a vivere in unappartamento di trecentometri quadrati nel centro diMilano. Un grande terrazzopienodipianteefioriaffacciasuitettiancoralesionatidalla

guerra. Fulvia sceglie ilpersonalediservizioe,dopoiprimi giorni di disagionell’impartireordini,siabituaalla novità.La coppia si alzamolto presto al mattino. Lagovernante serve lacolazione, Francesco salutaFulvia e la consegna alla sualunga giornata. Lui guidaverso la parte meridionaledella città. È un lussuosopendolarismo al contrario.

Chiusonella sua auto, vede ifinestrini appannati di tram eautobus pieni di sagomeinformi che addentano lebriciole della Milanoindustriale e dei servizi,mentre lui viaggia nellacorsiaopposta,vuota.

È il suo momento,l’intimità del congedoprovvisorio dalla città, ildistaccodallecose.Appoggiale mani al volante come se

rifiatasse, Milano si scioglienellaperiferia, che tuttavia siallarga sempre piú a sud,colmando i campi,riducendoliasemplice tempoditransito.Èaffascinatodallamaniera in cui l’uomomodella i luoghi con nuovecostruzioni, strade, ponti.Nonsi sentedifferentedauningegnere, un architetto, dachi si preoccupa dellosguardo del mondo, di

distruggerlo e di ricomporloin altro: pensando al bisturicheutilizzeràdi lí apoco, sadiessereunartista.

Una mattina di maggio,Francesco e Fulvia sonoseduti sul terrazzo, subitodopo la colazione. La luceindugia dentro le tazzinesporche.Fulviaguarda i fiorisbocciati, lui fissa il voltodella moglie, come fa dallaprima sera, al concorso di

bellezza. È un viso cheFrancescoconsideranormale,perquantopossaavere sensodefinirenormaleunviso.Perlui, lei è la sintesi perfettadella bellezza media, cosídiscreta da entrare in unufficiopostaleeuscirnesenzache nessuno colga la suaassenza. Fulvia dimagriscefin dai primi mesi dimatrimonio.Neipomeriggidinoia davanti allo specchio, si

ritrova nuda, la porta chiusaper evitare intrusioni dellagovernante. Lontano daqualsiasi suggestione erotica,il suo corpo sempre piúmagro le pare scisso: unaparte è come lei si vede,l’altra è come gli uomini laguardano. È simile alle duepiccolissime lastre di vetrosulle quali si appoggianoporzioni di materia, daesaminarealmicroscopio.

Credo sia il momento difare qualche piccolaoperazione, hai un corpoperfetto, il tuo volto èarmonico, vive secondo unaproporzione matematica, madobbiamo valorizzarlo,caratterizzarelatuasplendidabellezza media: non hai ildesiderio di percepirti, divederti ancora piú normale,una bellezza cosí comune dadiventaresimbolo?

Fulvia, a ventuno anni,entraper laprimavoltanellaClinica Privata Castelli. Aigenitori dice, vado qualchegiorno al mare. Stesa sullettino e addormentatadall’anestesia, a Francesconon sembra neppure suamoglie ma una mascheraperfetta e sempre piúanonima, contenitore di tuttele potenziali espressioni, glistatid’animopossibili.

Francesco interviene sullesopracciglia, sollevandoleverso l’alto, in modo che anessuno possa sfuggire laperfetta proporzione dellepalpebre.Quando suamoglieraccoglie i capelli nellacrocchia,leorecchiediFulviasporgono dall’attaccaturadella testa. È una cosaminima,bastatenereicapellisciolti, nessuno noterebbe leorecchiediFulvia,maperché

non migliorare, passare deltutto inosservati sfiorando laperfezione? Anche ungiardino, se non si cura eannaffia, è destinato alleerbacce, e le erbacce attiranosempre gli sguardi, ungiardinettobenrasatoèmoltopiú anonimo, sembra unacosa naturale. Francesco èconvintocheleorecchiedellamoglie sbilancinol’attenzione dello sguardo su

quella parte del corpo e nonsulrestodelviso,vanificandocosí le sue azioni precedenti.Dueminuscolecicatricidietrole orecchie sono il ricordodell’operazione. E poi glizigomi.Leborsedegliocchi.Ci pensa sempre Francesco,restituisce la freschezzasottratta a Fulvia dal tempo,dall’esposizionealsole,dallelacrime infantili. Avrai unavista anche migliore, brillerà

il tuo sguardo, le assicura. Eil seno di sua moglie, ilventre,legambe,ipolpacci,ipiedi di sua moglie.Francescopercorrearitrosoilcorpo di Fulvia, come unesploratore di ritorno in unterritorio conosciuto, percorreggerleilnaso.Dopounabanale operazione di routineallabbrosuperiore–unlievedifettodelsorriso,chesiapretroppo in una gioia

scomposta, rivelando ilcanino – Fulvia resta peralcune ore con l’abitualeposturadellamalatastesanelletto d’ospedale, la testa daun lato, la guancia sulcuscino. Francesco siavvicina, leparla,Fulvianonrisponde,rimaneconlaboccastorta, leggermente aperta edeviataversoilbasso.

ÈunerrorediFrancesco,oilcorpodiFulvia,checede.

Non si può nemmenodefinire un urlo trattenuto dipauraodidisgusto,quantoilmomento esatto in cui unpersonaggio – stancodell’unica frase ripetuta –mette le virgolette alla finedel dialogo e diventa unaparticellad’ariasospesasoprala propria spalla. La testaasseconda la smorfia dellabocca, da cui ora esconoincisivi e canini come timidi

attori, che dietro il sipariosbirciano il pubblico primadellarecita.

Dopo eventi traumatici,spessoèdifficileleggerel’etàdella persona. Fulvia haventisei anni e tuttaviapotrebbe averne trenta,trentotto,einalcunegiornatediluce,lelabbrasembranounfrutto precocementeavvizzito, ma giovane. Avolte la bocca non sembra

tanto storta, pare si stiaspostando, seguendo ilmovimento dell’asse dirotazionedelpianeta.

I genitori di Fulvia siappellano al destino avverso,causato dall’imperscrutabilevolontàdelSignore,checrea,piú del genero, una nuovaprovaperverificarelaqualitàdella loro fede. I genitori diFrancesco, nonostanteprovinopenaperFulvia,sono

piú preoccupati per la salutepsicologica del loro unicofiglio ormai trentaseienne,coinvolto in quella chedefinisconolabruttastoriadiFrancesco.LudovicoCastellichiede un parere ai luminaridi Svizzera, Francia,Germania, Inghilterra;Francesco e Fulvia vannoanchenegliStatiUnitiperunultimoinfruttuosotentativo.

Francesco Castelli era già

stato molto criticato daichirurghi plastici – quelliveri,nonquelliestetici,comesidicenell’ambiente–per lasua scelta di abbandonare lastruttura pubblica e fondareuna clinica privata. Sapetecome funziona ilmeccanismo: ci si trova incircolo,attornoauntavolo,eognuno aggiunge un tasselloalla colpa della personaassente, sembra una gara a

chitrovaildettagliopeggiore,sfuggito a tutti gli altri. Delresto,dachiscappaduranteilfascismo, decidendo di nonschierarsi né da una parte nédall’altra, cosa ci si puòattendere?Almenosuopadre,perquantodiscutibile,nonhamai tradito, è da semprefedele agli ideali, ai valori.ChièFrancescoCastelli?Unpiccolo prestigiatore natoricco e arricchitosi senza

scrupoli. Un baro da localefumoso frequentato daamanti. Un ciarlatano. Uncartomante, che si diverte asfogliarei tarocchisuivisidipersone incaute.Un traditorediemozioni.Unoche,stancodelle disgrazie operaie, nonvuole fare il bene dellasocietà, preferisce la via piúbreve, asseconda lemanchevolezze, i sensi dicolpa, le contraddizioni,

l’indolenza, i desideri delleclassi agiate; e le stimola,prevenendone i bisogni, inuna direzione che lui sentepropria, come se i loro corpifossero un unico grandeorganismo, il suo, e perquesta fuga da sé è statopunito indirettamente,attraverso il dramma di suamoglie.

Sfigurarelapropriamoglieè inaccettabile! Infezioni

cutanee. Traumi della vista.Lesioni dell’olfatto.Ematomi. Embolie.Deformazioni permanenti.Sappiamo che possonocapitare,manonanoi,nonainostrifamiliari.

Loro sono veri chirurghiplastici, svolgono lungheoperazioni su ogni tipo dipaziente, guadagnano diecivolte meno di FrancescoCastelli, che si limita a

un’oretta di lavoro. Anni dispecializzazioni, diapprofondimenti spazzati viadalle procedure di chirurgiaestetica e da una piccolapercentuale di rischio.Piccola, ma esistente. Noinon abbandoneremo mai gliospedali, la nostra è unamissionesociale,unamission,dicono quelli con un passatodi studi in Inghilterra. Einvece, per sfruttare il vuoto

lasciato da FrancescoCastelli, alcuni chirurghiplastici incominciano alavorare presso clinicheprivate per operazioni dichirurgia estetica.Raggiungono uncompromesso, alternanol’attività di chirurgo plasticonegli ospedali pubbliciall’attivitàdichirurgoesteticonelle cliniche private. Lofanno per il bene comune e

per la propria integritàpsicologica, la vita non puòridursi soltanto a ricuciremalformazioni infantili,ustioni lavorative,folgorazionioperaie:lavitaèanche un corpo datrasformare secondo lavolontà di una pazienteconscia del fatto che ognidottore vi aggiungerà untocco personale, la propriavisionedelmondo.

Inquellostessoperiodo,ilpadre di Francesco ha uninfarto; la madre, tre mesidopo la morte del marito,muore. I genitori lasciano unnotevole patrimonioimmobiliare e molto denaro.Castelli il giovane, rimastoormail’unicoCastelli, smettedi operare a trentasei anni.Svendelepropriequotedellaclinica al finanziatoreungherese. Diventa socio di

minoranza, direttore tecnico,né allenatore, né presidente,una via di mezzoinsignificante, assegnata peril suo spirito pionieristico. Iricchi pazienti, terrorizzati difinire come la moglie diCastelli, disertano la ClinicaPrivata Castelli. I soci lachiudono per aprire l’IstitutoItaliano di Salute&Bellezzanella zona della FieraCampionaria di Milano.

Francesco Castelli si occupadella moglie aiutato dallagovernante. Può fermarsi adormire fuori per una notte,anche per un mese. Maritorna sempre a casa daFulvia.

Capisciperchénonlasceròmia moglie? Francescoaccarezza la testa di Hilde.Sono sdraiati nel lettodell’appartamento di Helga,

impastatiinunsonnoleggero,forse nemmeno sonno,semplice rallentamento dipalpebre. Il motore delfrigorifero riparte fiacco,come se si fosse arrampicatofino all’ultimo piano delgrattacielo.Èunagiornatagiàafosaallecinqueemezzadelmattino. Il mare fatica auscire dalla cappa umida ecalda che lo sovrasta. Unaereo lascia una scia bianca

nel cielo ancora opaco, volalento, quasi in surplace,nell’attesa di atterrareall’aeroporto di Rimini,scaricherà un centinaio dinuovi turisti. Francesco bevel’acqua ristagnata un paiod’ore nel bicchiere sulcomodino accanto al letto,dove è appoggiato anche unpiatto di plastica, con avanzidi caviale. Ventinove gradi,eppure lui haquasi freddo, il

sudore gli si è asciugatoaddosso. Fissa il soffittobianco, continua adaccarezzare Hilde, l’intonaconon nasconde alcune piccolecrepe accanto al lampadariospento. Conoscevo la tuastoria, l’ho letta sui giornali.Non è solo mia, è anche dimia moglie. Conservo alcuniarticoli per un mio archivio,nonsonemmenoioperchélofaccia, la tua storia, voglio

dire,lavostrastoria,nonl’horitagliata, mi sembravatroppo.Preferiscounanotiziamenoeclatante,senzairicamideigiornalisti,amolanotiziaquando pare innocua, unaridotrafilettoditrerighe,trerighe non spiegano nulla,sonomegliodiunnecrologio.

Hilde, hai incontrato lametà vivente di una notiziache non hai volutoconservare: non

t’impressiona?M’impressiona il fattoche iostia bene con te, Francesco,non sono abituata, ieri sera,stanotte, adesso è ancorameglio,sochenonpotràmaiessere altro, niente piú dicosí, senza responsabilità;finora ho solo finto, conmiopadre, mia sorella, con tutti,mi chiedono una vitanormale, parlano solo delpresente e della costruzione

del futuro, tacciono sulpassato,dadoveveniamo.Lamano di Francesco scendeaffettuosa sul collo di Hilde,le dita disegnano un tenerosgorbioimmaginario,sopralevene.Èsoloungioco,masetu fossi ancora un chirurgo,quale parte del mio corpocambieresti? Mi aspettavoquesta domanda, non voglioche tu me lo chieda. È unparadosso, cambiare solo per

rimanere fedele al propriocorpo, per mantenerloefficiente e offrirlo allavisionedeglialtri.Hilde,èuneccesso di generosità: siiegoista, tieniti i tuoi difetti,sei perfetta cosí, esci dalmeccanismo che findall’infanzia t’imprigiona altuocorpodidonnasempreincompetizioneconinfinitialtricorpi di donna, io peresempiononsonopiúniente,

nemmenoilfigliodiunbravochirurgo, un fascista mortod’infarto in un tempo ancorasuo. Non mi considero unmedico, e non perché hosmesso di operare nove annifa. Un giorno ci penserannoaltri.Debellareintossicazioni,germi, batteri, tumori,malattie rare; il medicos’ingolosisce, monetizza lapaura, ma non si accontenta,ricerca l’altrove, qualcosa di

piú grande del corpo, èumano innamorarsi di uncuore che pulsa distante. Leoperazioni di chirurgiaestetica daranno corpiperfetti, a tutti, non solo airicchi cheoperavo in clinica,avremobisognodiconservareper piú tempo possibile latraccia, l’identità congelatadella nostra decadenza. Ciportiamo appresso questacontraddizione inestricabile,

lamalattianatadaunnucleorimasto giovane, una cellulafresca imprigionata dentro ilcorpo maturo, la cellulaimpazzisceecontagia tuttooforse è il resto del corpo aimpazzire prima, davanti alproprio confine, che mutacontinuamente. Il corponuovo ci spaventerà, lovivremotimorosi,qualcosadiabituale ed estraneo, nato daincisioni, raschiamenti,

limature, scavi, ricucituredella cute, senza cicatricivisibili, l’illusione che lapellepensi soloalprimaealdopo, alla vita e alla morte,mai al processo,all’attraversamento. Ciritroveremo addosso unamaschera contagiosa, a cuinon sapremo rispondere, perrassicurarci diremo che sottoquella maschera vive l’uomomedio,ladonnamedia,l’idea

compiuta di stabilità sociale,di salute. E invecemoriremomolto presto, e quantomoriremo, il corpo merce diqualchenuovamalattiacurataper finta da un farmaco delborsino azionario, unamalattia non proprio inedita,riciclata in un’altra lingua, enonostanteiltravestimentodivocaboli soffriremo allostesso modo, anzi, di piú, isopravvissuti non troveranno

leparolegiusteperdescrivereilmondo,ciòcheètremendodiventerà banale, equivalentea un pomeriggio noioso,qualcosa di svuotato daldolore, possiamo soffrire perun dolore che non è dolore?Volevo fare questo, non cisono riuscito. Hilde passa lamano sulla guancia ispidasegnata da due profondisolchiagliangolidellabocca.Non sei stanco del corpo?

Anche del mio, benché sianuovo, per il tuo sguardo.Francesco appoggia le manisulmaterassointornoalcorpodiHilde, scendecon la testa,lo sguardo fisso, le labbra apochi centimetri dalla pellesfiorataprimadalnaso,comeuno di quegli insetti chevolano a pelo d’acqua.Atterra sullo sterno diHilde,bacia il segnodell’abbronzatura.

Novantametripiúinbassoincominciano i primi rumoridi una nuova giornatabalneare. Le stagionituristiche non sono menoassurde della chirurgiaestetica, questo mare diaccessori, souvenir,cartoline,corpi è una menzogna, lanostra falsa garanzia, però cisiamo affezionati cosí tantoche lo consideriamo il mare.Le clienti della clinica in

primaveravoglionorifarsiperlui, l’estate, la spiaggia, labarca, l’insieme reale disimulazioni.Equandoilmarearriva? È come la lineadell’orizzonte. Si spostasempre il traguardo un po’piú in là, il sole cala ognigiorno piú in fretta, inautunno basta un ritocco allelabbra.Cheoresono,adesso?

Helga ha trentaquattro

anni. Fino allo scorso annopensava che le possibilitàdella vita fossero davverolimitate. Sposatasi poco piúchediciottenne,Helgaspendesedici anni della propriaesistenza ad attendere che lasua storia con Franco dia ilfrutto tanto atteso. Stregatadall’iniziale sicurezzaciarliera del marito, Helga sirinchiude sempre piú nellacoppia, a sua volta rinserrata

dentro l’albergo e, inparticolare, dentro la cucina,il loro futuro figlio dovrebbeessere concepito sui fornelli,accantoaunapadella.Invecesalgono di sera nella camerad’albergo, stanchi dopo unagiornata di lavoro. Sispogliano, si sdraiano sulmaterasso che conserva lacalura del giorno, guardanogliarredamentiugualiaquellidelle altre camere, lei si

chiede se le stanze adiacentidiano ai turisti la medesimasensazioned’incompiutezza.

A volte pensa di averscelto Franco solo persottolineare una differenzacon la sua gemella. Francorappresenta una forma dioriginalità, per dimostrare aHildedi esseredavvero fuoridagli schemi convenzionali,molto piú di lei, l’artista difamiglia, come Franco

sostiene ironicamente atavola. In fondo Helgaavrebbe potuto sposare unuomo molto diverso daFranco. E invece da sedicianni fa lacamerierapadrona,l’aiutante nella cucinadell’Hotel Sand, al fianco disuo marito, senza nemmenoaverelagiustificazione,comeHilde, di trasformare lapropria vita in un’operad’arte. Ricorda di aver

sentito, un’estate ormailontana,un litigio traHildeeGerhard, uno dei fidanzatitedeschi della sorella.Gerhard le rimproverava dinascondersi per sei mesiall’anno nel ruolo dicameriera, e di nonabbandonarlo neppurequando avrebbe potutomettere a frutto la suaesperienza. Sembri unacameriera disoccupata, le

aveva detto Gerhard, seianche peggio di quellegiornaliste che voglionoscrivereunreportageeperunmese puliscono la merda inalbergo, cosí credono diaggiungereun toccodiveritàal proprio testo.Helga avevamemorizzato la critica diGerhard, e al momentoopportuno – molto dopo lafine del breve fidanzamentodi sua sorella – l’aveva

ripetuta in italiano,aggiungendoqualcosadisuo.Parole che feriscono Hildema non cambiano lacondizionediHelga,stesasulletto, il corpo appesantito egiàsudatodiFrancoaddosso.C’èqualcosadipiúinsistentedei suoni dei clacson, deimotorini, della gioiagiovanile, del respiro di suomarito: i gemiti di dueconiugi settantenni, i signori

Porati, la coppia di milanesidella stanza dodici, quellaadiacente. Sono cosíantipatici, pensa Helga,mentre Franco si muovedentro di lei come quandonuotaarana,vicinoallariva,da solo. La testa di Helga èrapita dai godimenti anzianidei Porati, incomincia quellodella signora, il lamento perun dolorino di poco conto,pensa Helga, oggi le hanno

fatto portare indietro labistecca, dicevano fossetroppocotta,lorolamangianoal sangue, Franco si èarrabbiato, Helga ha detto,non facciamo tragedie peruna bistecca, la diamo aBlondi.Iduehannoesageratocon il vino rosso, la moglierideva per ogni battuta delmarito, Helga si è chiesta setra trentacinque anni leiriuscirà a ridere cosí delle

battutediFranco,cheperaltroè diventato un immusonitomalinconico,mentre il signorPoratiavevaleguancerosseegli occhi lucidi, la linguadardeggiava sospesa tra identiprimadipartireconunabattuta in milanese, Helga sichiede cosa stia pensandoFranco mentre continua ilmovimento inseguendo unageometriavolenterosa,fissailvolto di sua moglie, non gli

occhi, piú in alto, la fronte,l’attaccatura dei capelli, ilcuscino distantissimo, Helgapensache,dall’altrapartedelmuro, forse nella medesimaposizione, c’è la coppia dianziani milanesi, la signoraPorati ha il cranio contro laparete, e se non fosse per ladivisione Helga toccherebbecon il proprio cranio quellodella signora Porati, i capellitintidibiondo,evedrebbe,da

una prospettiva ribaltata, lasmorfiadelsignorPorati,cheadessononsoloha leguancerosse, sono infuocate pure leorecchie, la pressione delsangue deve essere salita, ilsuono emesso dal signorPorati è lontano dalgodimento, è piú simile aldolore,forsestaperavereuninfarto, pensa Helga, pochisono immersi nel sesso alledieci di sera in camera, gli

ubriachi,isazi,quellichenonsopportanopiúl’ideologiadelmare. La coppia è piúgiovane dei suoi nonni ed èpoco piú vecchia di suopadre, devono avere fattol’amore per la prima voltadurante la Prima guerramondiale,nonsi immagina ilsignor Porati in trinceamentre spara e feriscequalcuno o lo ammazza conlabaionetta,deveavertrovato

un modo per scansare laguerra, qualcheraccomandazionediunprete,che lo ha fatto rimanere acasaascopareconlagiovanesignora Porati, pensa Helga,questi scopanoininterrottamente dalla Primaguerra mondiale, e quandoFranco aumenta l’intensitàdel movimento, lei vedeBockburg, i nonni materni epaterni, zio Peter, parlano in

italiano,sonotuttivivi,anchelamamma,Helgaappoggialemani sulle natichediFranco,la fede nuziale ancoraluccicante,spingeilcorpodelmarito verso se stessa, iPorati continuano il loropiaceresenzaconseguenze.

Helga partorisce unbambino di quattro chili emezzo, sedici anni dopo ilsuo precoce matrimonio.

Ormai tutti consideravano lacoppia sterile.HansHinnerècontento. Anni di pensieri:due gemelle dovrebberomoltiplicarsi, darmi quattrodiscendenti,einvecenulla.

Adessoènonno.Igenitoridi Franco sonomorti.Ah, sefossenatoprima.Perchénonsei nato prima? Sarebbecontenta mia madre! E miopadre! Un maschio. UnBergamaschi, l’erede. Lo

chiamiamo Piero, come miopadre. Piero Bergamaschi.Franco, visto che porterà iltuo cognome, gli daremo ilnome di mio padre. Cosa?No, Helga, HansBergamaschièassurdo,nonècredibile, i compagni discuolaloprenderannoingiro,ilnomeèimportante.Franco,non è colpamia se ti chiamiBergamaschi. E come midovrei chiamare? Eins?

Zwei?Drei?Nonstodicendoquesto,nonesserestupido:sevuoi chiamarlo Piero, vabene,maalloravogliocheglidiamo ilmiocognome.PieroHinner? Stai scherzando?Piero Hinner sembra unosciatore,micamiofiglio.Allafine raggiungono uncompromesso che scontentasia Franco che Helga. Trenomi, quello che vale è ilprimo. Gabriele Piero Hans

Bergamaschi, per tuttiGabriele Bergamaschi, nascea Ravenna, il 15 maggio1967. Gabriele passa la suaprima estate all’Hotel Sand,nella culla accanto allareception,vicinoasuamadre,a suo nonno e a Blondi. Ilproblema è di notte, quandoinizia a piangere. Per nondisturbare i clientidell’albergo, Helga e Francosalgono in macchina, fanno

unpaiodigirilungoilbordodella pineta,Helga lo allatta,il bambino si riaddormenta.Gabriele di giorno è piútranquillo, ha le stessedistrazioni degli adulti.Sentite come gli piace lacanzone del juke-box? Èl’unica che lo fa staretranquillo. Vero che nonpiangi,Gabriele?Nonpiangemai con quella, Franco, tieniun gettone, mettila ancora, è

proprio la sua canzone.Sorride con gli occhi appenaparte il ritornello. Ha lefossette sulle guance. Lariconosci, amore? Venite avedere. Blondi lo stabattezzando, gli lecca lafronte.

Gabriele gattona inreception. Gabriele impara acamminare sulla sabbia. È lostesso anno del minibar incamera. Oh, Gabriele è cosí

piccolo! È l’anno in cuiiniziamo a chiamarlo Lele.Chi è alto come il minibar?Lele! Oh, Lele, che amore.Perché non facciamo unapiscina in albergo? I clientisono contenti, e poi Lele èfelice, papà, fallo per tuonipote. Helga, voglio bene amionipote,masehavogliadibagnarsi,làdietroc’èilmare.La scuola di Lele, aMilano.Eancora i tremesi diLele a

Milano Marittima, nell’hoteldelnonno.Unavitasemplice,un’infanzia felice, senzatroppedomande.Cosasannoibambini dei loro genitori? Edeilorononni?

I miei nonni paterni sonomorti.Iononlihoconosciuti.La mia nonna materna èmorta tanto tempo fa. Miamamma ha studiato, peròlavoranell’albergodelnonno,di suo papà, il mio unico

nonnovivo.Anchemiopapàlavora in albergo, è il cuocodell’hotel, lui è importantepiú di mia mamma, decidequello che mangiano tutti.Noiabbiamounalbergodovela gente viene al mare inestate.Hoancheunazia,èlagemelladimiamamma,sonouguali, ma io non confondomailamammaconziaHilde.Leinonèsposata,quindinon

ha bambini. Vorrei unasorellinaouncuginetto.

Bambini esconodall’acqua,bevonounabibitagassata, mangiano il conoall’amarena fotografato neicartelloni, tanti piccolinecessari consumatori,capricciosi eppure docili. Perquantovengacullatoilbimbodel futuro, ci sarà sempreanche solo un altro bambino

sospettoso sulla Terra. Èseduto sulla sabbiaeaddentauna pesca, il succo gocciolasulla pelle, guarda i vicini diombrellone, parlano italiano,tedesco.Nel1975,lamaestraha già parlato di Hitler eMussolini, lui ha guardato leimmaginideilibriscolastici,idocumentari con le colonnesonore, in spiaggia eseguesottrazionieaddizioni,tracciasullasabbiairisultatideisuoi

calcoli: per esempio, ilsignore sulla sdraio, chesfoglia tranquillo una copiadella «Bild» e si soffermasulla prima pagina dovespicca lagrandefotografiadiuna giovane donna nuda conunpaiodistivali,unaragazzaritrattadifianco,accovacciatacomese,suunvasodanotte,stesse fissando l’uomoealtrimilioni di tedeschi e italianiin spiaggia; questo turista a

pochi passi dal bambino, cheparla il tedesco nasale eraschiantedei film,quando ildoppiaggio italiano lascia lalingua originale per renderepiú cattivi i soldati tedeschidella guerra – mentre glialleati fascisti sono sempredoppiatidacaldevociteatrali– ecco, quest’uomo, che hapreso le sue meritatesettimane di ferie dopo mesidi piccole mosse e

contromosse, quotidianeinfamie aziendali, cattivedigestioni in mensa, carrellidel supermercato, schedinedella Bundesliga, ha caricatola macchina e insieme allamoglie raggiunto l’albergoprenotato lo scorso anno,ecco, se adesso hacinquant’anni, quanti anniaveva trent’anni fa? Era unragazzo di vent’anni, cosadiceva del mondo, della

Germania, dell’Italia, diHitler e Mussolini? Avrebbemaipensato,dopo il ricoverodi questi brevi decenni, diripararsi dal sole sotto unombrellone a strisce gialle eblu, gialle come il sole, blucomeilmare,ancheseilsoleèbeige e ilmare ègrigio, inunostabilimentobalnearedalnomeesotico,caraibico?

E quanti anni avevanotrent’annifal’uomoitalianoe

la donna italiana, coniugi invacanza sulla rivieraromagnola, invecchiati,orgogliosi di tutto il loropassato, capaci ancora dipranzi domenicali sfiancanti,i corpi in attesa di segnalipremonitori, gratificati dallapropriaesistenzariempitadaifigli e dai nipoti, ecco, cosapensavano loro di Hitler eMussolini, ora che sfoglianounrotocalcoconleimmagini

dei regnanti inglesicircondati, ancora prima chedallaricchezza,dalmitodellarispettabilità moltiplicato permiliardi? È questo chevogliono, iconiugi italiani, ilmondo di miss, lord e sir?Avevano trent’anni, nessunsenso di colpa e vergogna,trent’anni fa erano felici,compravano le cose,soprattutto le vendevano almercatonero, lorocoetaneie

personepiúgiovanilottavanoinmontagna,lacoppiavivevaindisturbata, il bisognoprimordiale di cibo maimesso in discussione:abbiamosempredamangiarein abbondanza, possiamoconquistare l’impero, tra unbocconeel’altro.

I genitori del bambinosononati nel 1935, lui pensasempre ai propri genitori

bambini, nati prima dellamortediHitlereMussolini.

Hans Hinner è un uomoanziano. Aveva trentasetteanniquandohaseppellitosuamoglie e ancora moltaenergia per una nuovafamiglia, per altri figli,magariunmaschio,acuidareil cognome Hinner. DopoHans Hinner si perderà ilcognome. Per quanto sia

amato,ilnipoteGabrielerestaunBergamaschi.

Hans Hinner settantennelavora ancora sei mesiall’anno inalbergo;unmese,quello prima di aprire, lotrascorre aMilanoMarittimaper qualche opera dimanutenzione; ha cinquemesi liberi, durante i qualiviaggia.

Nel 1953, con l’agenziaTouropa–eincollaborazione

con Air France – visital’Algeria, l’anno seguente ènella Spagna di FranciscoFranco grazie a una delleprime combinazioni aereo,treno,nave.Nel1957,dodiciannidopolafinedellaguerra,unanavetedescasolcaimariinternazionali, per unacrociera. Il quasicinquantenne Hans Hinnerincontra Ruth Gleich,coetanea bavarese, vede il

tramonto sulgolfodiNapoli,HanseRuthabbracciaticomein una commedia italiana, inun’altra esistenza sarebbestataunastoriaperfetta,leisisarebbe trasferita in Italia,avrebbe lavorato in albergoper sei mesi e conosciuto lefiglie, con una delle dueavrebbe avuto alcuni screzimentre con l’altra, tuttosommato, si sarebberoperfinovolutebene.MaHans

Hinner preferisce chiudere irapporti prima che le storiediventino importanti, per luidiventano importanti quandos’iniziaaparlaredavverodelpassato.

La reception dell’HotelSand è il suo osservatorio.Legge le riviste specializzatedel settore turistico, vive ilmondo delle brochure. Nel1964 decolla il primo aereocharter tedesco per il Kenya,

Hans Hinner sente che sichiudeper sempre il passato,inizia una nuova èra. Ilcompimento avviene nel1967, l’anno in cui nasce ilnipoteGabriele: ilnumeroditedeschi che va in vacanzaall’estero è superiore alnumerodeitedeschicherestainGermania.

HansHinnernonèmaipiúritornato,l’Italiaèstatalasuanuova vita, la nuova vita è

l’unica possibile. Si fermasempredipiúall’HotelSand,chiudeallafinediottobreeavolte – suscitando ilmalcontento dei parenti –riapre da metà dicembre ametàgennaio, per le vacanzediNatale.L’unicacosachelolegaaMilanoèlatargadellasua Volkswagen. FrequentaMerano, porta un mazzo difiorisullatombadellamoglie,è sempre indeciso se fare un

investimento commerciale,l’Alto Adige è in pienofermento turistico dagli anniSessanta: disboscamenti dipinete per tracciare piste dasci, seggiovie, funivie.L’autostrada che valica ilBrennero unisce per sempreGermaniaeItalia.

Durante la stagionebalneare, Hans Hinner lasciala reception dell’Hotel Sandper un paio d’ore, guida per

venticinque chilometri lungola strada statale Adriatica,verso nord.Alla periferia estdi Ravenna segue ilpetrolchimico, che spicca tral’ultimo lembo di terra e ilmare. Vede gli alti torrionidelle raffinerie, i bruciatori, icontainer, i silos sembranogiocattoli abbandonati daibambini lungo la spiaggia, eforseinqualchemodolosonodavvero in una forma – per

quanto cosí imponente –ancora immateriale: laplastica delle palette, deisecchielli, dei pigiamiinfantili, dei ritornelliimpressi sui dischi potrebbevenire, dopo il processo dilavorazione, da questi stessiimpiantidigommasinteticaecloruro di polivinile. HansHinner rallenta ipnotizzatodal fumo delle ciminiere, leesalazioni escono bianche,

ancorapiúpigredell’andaturadell’automobile, salgonomolto al di sopra dei pochipini marittimi chesopravvivonomisteriosamente sotto il cieloinquinato. Piú del coloregrigio perla o azzurro convenature lilla, colpiscel’odore dolciastro, fa pensareaunsognoazzurrino,adonneincostumedabagnofucsia,abambini che colgono tulipani

inunprato.L’odorederivadaprodotti immessi nell’aria inmodica quantità, è come unapiccola droga che HansHinner aspira dal finestrino,mentre costeggia il cimiterocomunale di Ravenna e ilmuro di cinta di una dellegrandi aziende chimiche. Sulmargine destro della strada,unpezzodiverdeèstrettotral’asfalto e i binari ferroviariutilizzati per il trasferimento

dei convogli, vagoni dallefiancate arrugginite, sullequali sono scritte lettere enumeri di un alfabetodecifrato solo da chi ognimattina varca il cancello diquelmondo,ilnostromondo,pensa Hans Hinner, quelloche ha vinto. Una volta daragazzo voleva scrivere unarticolo elogiativo sulla IgFarben, il vecchio direttoreaveva detto no, sono cose

troppo industriali, noibavaresi siamo semplici,ancorarurali,Hans,piuttosto,parliamo di cavalli. Mezzosecolo dopo è un riccosignore a bordo della propriaautomobile, il finestrinoaperto smuove i capellibianchi rimasti, i peli grigidelpettosullacamiciaaperta.Al di là del muro alla suadestra, le aziende, comesolidali sorelle, si affacciano

sulportodellacittà,suisedicichilometri di banchine. Lenavi arrivano, scaricanomaterie prime, semilavorati,nuoveoperazionidideposito,stoccaggio, carico, scarico,altre navi in arrivo,spedizione di tutto ciò cheoccorre alla vita: prodottipetroliferi, chimici,alimentari, fertilizzanti. HansHinner pensa al giornolontano, nello stesso periodo

degli anni Cinquanta in cuil’albergo era alle sue primestagionibalneari,egliuomini–abordodiberlinecarichediamministratori delegati eministri,seguitedaautodellapolizia e da furgoncini dioperai, da telecamere deicinegiornali–sonoarrivatisuquesto suolo, dopo avertrovato un giacimento di gasnaturale al largo della costaromagnola. Sono scesi dalle

macchinemostrando i calzinicorti, hanno camminato perpoche centinaia di metricercando di non rovinare leloro eleganti scarpe nere dipelle, hanno indicato l’areacon ampi giri di braccia,come se cingessero il cielod’amore, gli uccelli checinguettavano intorno sonoscappati all’arrivo delleruspe, gli uomini hannotrasformato i terreni agricoli

in aziende chimiche epetrolifere, per produrregomma sintetica efertilizzanti da esportare intutto il mondo. Eppure inalcuni pomeriggi di luce – eal tramontoedisera,quipiúlugubre che altrove – HansHinner prova ammirazioneper gli uomini che hannoprogettato il petrolchimico,vorrebbe organizzare visiteguidateperituristidell’Hotel

Sand, al posto di vederliarrossire inspiaggia.Sarebbeun modo per parlare di noi,del nostro presente – pensamentre imbocca una rotondaimpreziositadaaiuole,vicinoa un’azienda produttrice dibitume – o dobbiamospendere la vita a parlare diHitler e Mussolini, ascoltarela voce narrante e gli stacchimusicali per la commozionepilotata, come se il passato

fosse soltanto un enormedocumentario di tre quartid’ora? Gli uomini hannoprogettato e costruitoquell’intrico di tubi,collettori, pozzi tenutiinsieme da viti e valvole, digiornoedinotte,con il sole,la pioggia e la neve, chenemmeno riesce a posarsi suquelle cime, per il troppocaldo. Ci sono giorni in cuil’odore aromatico di qualche

composto chimico supera lasoglia, forse èunavalvoladispurgo stanca che sfiatanell’aria, allora l’odore è piúforte, diventa puzza, gira latesta, tutto appare sfuocato evicino,luisiaccostaalbordodella strada, dove attendonoun paio di prostitute. Lesceglie a rotazione, si sporgecondiscrezionedal finestrinoaperto,sollevagliocchialidasole, i raggi lo illuminano,

tienesempreunamanoposatasul cambio, come se l’astafosseilbastonepreziosodiunpiccolo re, una formamalatadidemocraziamonarchica,diredistribuzione delle risorse,diadesionealliberomercato.Ormai tutte lo conoscono,non sanno niente della suavita,parlal’italianomegliodiloro,chesiesprimonoancoranel dialetto d’infanzia.Guardano la targa della

Volkswagen, lui è il vecchiodiMilano,secondoloroparlacon l’accento strano daconnazionale che ha vissutotroppoall’estero, è tornato inItalia per godersi i marchitedeschi, un pensionato chepassatuttal’estatealmare,lavita è semplice, nessunadomandasulnazifascismo, laguerra, nemmeno sullaclassifica dei 45 giri, leamichevoliestivedelMilano

i prezzi degli ombrelloni inspiaggia. Basta imboccare lastradina sterrata laterale,innestare la seconda marcia,quasi a passo d’uomo, laviuzzatagliailcampoecullal’auto nel dondolio dellebuche, i finestrini aperti,silenzio, lo scoppiettare dipiccolepietre tra le ruotee ilsemiasse, un cane abbaia inuncortilelontanopiúdistantedel sole enorme e basso, che

non scompare inghiottito dalmare, sembra soloun’estensione, il marchiogigantesco mezzo nascostodietro le raffinerie, chegettanoombrefinoall’autodiunvecchio conal fiancounagiovane,laragazzaindossalaminigonna, una forma dicapitale al ribasso, lacamicettaapertasulseno,haicapelli a caschetto tinti dibiondo, mastica una gomma,

chiededovepuòbuttarla,nonvuole lanciarla nel prato,Hans Hinner le dà unfazzoletto, lei infila le puntediduedita inbocca,estrae ilgrumo rosicchiato, sembra ilmovimento contrariodell’Eucaristia, un gesto dicura e amore per il mondo,tanto superfluo quantonecessario, lui ha piú deldoppio degli anni, dieci annifa si sarebbe detto, è ancora

un bell’uomo, coniando latipica espressioneconsolatoria riservata aimaschi,ilchiacchiericciocheanticipa i silenzi dellavecchiaiaincombente,eppureHans Hinner ha davvero unaceramigliore della donna, lacarnagione abbronzata dauomomaturoancorainsaluteper pochi anni, la macchinaferma, gli occhi socchiusi inuncampo.

Hilde è sempre l’altra, dadiciassette anni. Francesco èquello che affittal’appartamento di Helga perqualche settimana in estate.Luinonrinunciaall’abitudinedel grattacielo. Hilde lovorrebbe con sé, non siconsidera né amante némoglie, ma non occorresottolineare cosí tantol’anomalia della lororelazione, peraltro è un

legame che dura piú a lungodimoltimatrimoni.

Francesco preferiscerestare da Helga, è come sefosse sempre la prima volta,gli piace sentire lo scrosciodella doccia di Hilde, che siprepara nel bagnodell’appartamento di fiancoedesce inaccappatoio,bussaalla porta di Helga, perFrancescolatransizionedallasoglia al letto è il vero

desiderio.Suamoglieèviva,intattanella formascompostapostoperatoria, luièunuomodi sessantadue anni, ha icapelli grigi folti, lacapigliatura fluente è unamacchiabeffarda,lorendeunragazzoinvecchiatotroppoinfretta, gesti e posturetradisconoancoraqualcosadigiovanile innestato su uncorpomaturo.

Francesco e Hilde

viaggiano per un paio disettimane fuori stagione,sempre in automobile, sustrade secondarie intasate ditraffico, macchine, camion,furgoni, vecchie in biciclettaresistenti all’abitudine divisitare i mariti alcamposanto. Cercano unalbergo, meglio se nel Sudd’Italia, in autunno è quasitutto chiuso, sbarrato peggiodella riviera romagnola, a

parte quelle tre o quattrolocalità destinate ai ricchi:l’Italia sembra un cimitero.Tornanoneiluoghi,litrovanostravolti dopo due anni,colline spianate da nuovecostruzioni spesso mai finiteoametà,accantoadaltregiàdiroccate, lasciate a marcire.Invecchiano con l’Italia. Inauto guida quasi sempreFrancesco, leistira legambe,guarda il mondo dal sedile

anteriore destro, legge lescritte vicinissime deicamion, nei sorpassi allefiancate, ai teloni che sigonfiano come animalipreistorici. Sfoglia la cartastradale acquistata daFrancesco venticinque anniprima, non è aggiornata,esistono le città dell’imperodecaduto, non ancora leautostrade. Mangiano,bevono un bicchiere di vino

nelle trattorie lungo le stradeprovinciali, quelle con ipiazzali di polvere, ghiaia ecamionparcheggiati.

Digeriscono in autostrada,laconversazioneèpiúfluida,procedono – nei pochi tratticon tre corsie – in quellacentrale, è la corsia dellaconversazione, potrebberoparlareperore,comelanottedell’estate1963.Leiraccontalaprimavoltainautostrada,a

tre anni, l’orecchio sul sediledell’Olympia per sentire, luipensachehaascoltatoquestastoria tante volte, capita allecoppiequandostannoinsiemedamoltotempo.

Hilde parla, Francesco sidistrae con i nomi dellelocalità segnalate sui cartelli,i chilometri che mancano aqualcosa, cerca un rapportotra lo scorrere del suotachimetro, le indicazioni

stradali e la voce al suofianco, distante, il sottofondodi Hilde, e cosí pensa a sestesso, non ricorda la primavolta in autostrada, avevadiciotto anni quando Hildeavevatreanni,vorrebbeaverela sua stessa età. Hilde paresentirel’assenzadiFrancescoperso al suo fianco, almenolui ha la scusa del volante,l’espressione corrucciatadovuta alla concentrazione,

invece lei è libera, cosí dasmettere di parlare, ripensaalle centinaia di volte in cuihasentito lestorie raccontateda Francesco, i sette fattiavvenutitrainfanziamilanesee giovinezza svizzera, oltre,ovviamente, all’operazionedellamoglie.

Tacciono, ciascunocustodisce ilpropriosilenzio,i silenzi in autostrada sonopiú duraturi rispetto alle

strade statali e provincialidove capita sempre uninciampo, un semaforo, unincrocio, un passaggio alivello in fase di chiusura, lalenta discesa delle sbarre, ilsuono cadenzato e calante,che descrive l’Italia.Francesco e Hilde inautostrada sentono il rumoredella berlina, si consolanopensando che la qualità deiloro silenzi sia superiore alla

media. Ascoltano il sibiloprodottodacinquemillimetridi finestrini aperti, il suonoipnotico del vento, chesembra conservare in sé illoro passaggio, i granid’asfalto e di bitume, deirespiri. Esconodall’autostrada,leinsegnedeinegozi si accendono, cercanounalbergo,leggonoinomi,ilmodo in cui le lettere siarrampicano, si estendono

sospese e verticali. Luivorrebbe che entrasseroinsieme per decidere sefermarsi, in fondo ti dovrestiintendere di alberghi, unafrase che lui ha detto moltianni prima, e lei ha rispostooffesa, tisbagli.Daalloraluiscende solo, chiude laportiera, cammina versol’ingresso, esita sullo zerbinoconsumato nella partecentrale.Hildesistiracchiain

macchina, guarda le finestresporchedell’hotel,itendaggi,sfiora la polvere delcruscotto, tocca il volantedove Francesco ha tenuto lemani per ore. A voltedormonoinunmotel,inItaliasono frequentati soprattuttoda amanti o da puttane eclienti, ricordano lacondizione di vita di Hilde,che non si sente a casa danessuna parte, a Milano o a

Merano, nemmeno nelgrattacielo di MilanoMarittima. Vive come sefosse sempre accampata,prontaapartire.

Quando torna dopo unsopralluogo, Francesco dice,questo hotel va bene. Hilde,acclimatata nell’abitacolo,scende dalla macchina afatica, aspira l’aria fresca, neè stordita. Ognuno prende lapropria piccola valigia, lui

prima di entrare si volta acontrollare,peraccertarsichel’abitacolosiadavverovuoto.Gli addetti alla receptionregistrano i loro nomi,crederannochesiamoamanti,una coppia recente, pensaFrancesco, si chiede se nelcorsodeglianni ladifferenzad’età si sia ingigantita osmorzata. Una voltaFrancesco ha fatto unoscherzo.Hapresounadoppia

– non una matrimoniale –mentre lei attendeva in auto,cosíHildeha trovato i lettiniseparati, distanziati da uncomodino comune. Lei hadetto, non capisco propriocosacisiadaridere.Luisièsdraiato su uno dei lettini,intrecciandolemanidietrolanuca,comeunostudentefuorisede. La mattina seguente,Hilde si è svegliata presto,seduta sul proprio lettino ha

appoggiatolepiantedeipiedisullepiastrellefredde,fissavaFrancesco ancoraaddormentato, sembravamoltopiúvecchioaconfrontodel Francesco steso nel lettomatrimoniale; la coperta afiori si sollevava appena incorrispondenza del respiromodesto, le gambe siperdevano nel tessutofloreale, non era una copertaa fiori, era una coperta di

fiori, pareva in una bara.Entrano nella matrimoniale,si sdraiano vestiti sul letto,coperte e lenzuola hannol’aria stantia, ravvivata dallaspruzzata di un deodorantesimile all’antitarme. Siaccarezzano, ripetono frasitenere, restano sdraiati, nonsanno dove andare, guardanola strada dietro i vetri dellefinestre,esseriumanitornanoa casa convinti del proprio

posto nel mondo. Prima diuscire si lavano in bagno,pensano all’ultima personache ha occupato la stanza, ilmotivo per cui fosse lí, forseunluttofamiliareinzona,uncugino di primo grado,l’impossibilità di dormire daiparenti ormai estranei.Escono a cena presto,vogliono vedere l’ultimamezzora di apertura deinegozi, la giornata stirata sui

visi dei bottegai sezionatidalle saracinesche a reteabbassate a metà. Indugianonella scelta del ristorante,fissano dai marciapiedi ipadroni appoggiati alleparetidei loro locali o seduti allecasse,sollevanoletesteversoi televisori delle mensole adue metri d’altezza. Non c’ènessuno, solo un paio dicamerieri che smanianoimbarazzati, per giustificare

la loro presenza sul pianetaaggiustano continuamente ladisposizione di bicchieri etovaglioli, sui tavoli vuoti.Quando Hilde e Francescoentrano nei ristoranti, icamerierilifissanoinfastiditi,comesefosserounacoppiadiaccattoni. Si siedono in unangolo,lontanodaltelevisore,credono di parlare, mas’interrompono presto eguardano a distanza

l’azzurrino metallico deiprimi modelli a colori.Sfoglianoilmenu,ordinanoacaso, appena addentano ilcibo riconoscono lamediocrità anche nel suonodelle forchette sui denti.Miocognato manderebbe indietroquesto piatto, ripete Hilde.Subitodopoèinfastiditadasestessa, si sente vittimadell’Hotel Sand, dellafamiglia, per evitare di

aggiungere altro si porta ilbicchiere – di vino rossoscadente – alle labbra.Amesembra normale, diceFrancesco,vogliodire,questocibo è davvero mediocre,verdura congelata, e davegetariana non sai che cosasia il mio merluzzo, è unprocesso irreversibile, laqualità interessa a pochi,genera sospetto, come sefosse un’impostura, una cosa

mediocreèpiúrassicurante, imediocri mandano avanti ilmondo, bisogna ringraziarli,non siamo diversi da questopoveromerluzzocongelato,ètutto triste abbastanza,neppuretristecompletamente.Pagano il conto, escono inunaviadesertaitaliana,pocheauto lungo le stradeprovinciali o lecirconvallazioni esterne dellepiccole città e dei paesi.

Tornano in albergo, salutanoil portiere, salgono in stanza,si abbracciano e impieganomolto tempo a spogliarsi, avolte non si spoglianonemmeno, dormono conindosso gli abiti del viaggio,ascoltano il volo di unazanzara reclusa in camera daunpaiodimesi.Leisisvegliaprima di lui, lo guardaimmerso nel sonno, russa,dovrebbe operarsi al naso,

ipertrofia dei turbinati, le hadettoungiornoinautostrada.A volte Hilde si sente intrappola anche conFrancesco, capita in alcunegiornate, dà la colpa alperiodo dell’anno, in estatesarebbe diverso, chi viaggianei primi quindici giorni dinovembre?

Alternano alberghianonimi a piccoli hotel deicentri storici italiani. Si

affacciano alle finestre, nonvedono capannoni, edificiqualsiasidel1980,maguglie,campanili trecenteschi epalazzi di signorie defunte otrasformate in fondazionibancarie. Quando escono disera per cercare un ristorantecamminano senza fretta,sentono ancora il suonodell’acqua che esce dallaboccadiunputtodimarmo.Icamerierihanno lagentilezza

artificiosa e abitudinaria dichi riceve migliaia di clientiall’anno. Hilde e Francescomangiano a fianco di altriclienti che parlano di lavoro,dicolleghi,difilmdavedere.Il cibo è caro, due pescitropicali vivacchianonell’acquario vicino alfrigorifero dei semifreddi.Serata tranquilla in unaqualsiasi città di provincia,una passeggiata sul pavé, il

rumoredellesuoledicuoioatarda sera, la melodiaromantica d’Italia, dei centristorici e delle neonate catenecommerciali, niente èestraneo, niente è davverofamiliare.

Una sera fuori stagione,dueesserinelmondo,vivonodi ora in ora senza pensarealla politica, alla cronaca, aiquiz televisivi, fuggono nelriparo confortevole della

berlina, Francesco leaccarezza la guancialasciando a malincuore ilcambio,scendetra isenie lecosce, ha meno nostalgiadella frizione, lei ricambia lacarezza, come dovessecercare un interruttore albuio: avviene quandoviaggiano di notte, chiudonolepiccoleschermaglieappenavedonogliocchifosforescentidi un animale lungo la

banchina della strada, Hildespera che non siano propriolorodueainvestirlo,vorrebbeche sopravvivesse, lui, tuttigli animali, il mondo intero.Tranquilla, non si butteràadesso, non ha alcunaangoscia della morte, quellaappartieneanoi,semmaituttoil suo corpo è la paura dimorire. Hilde stringe ilbracciodiFrancesco, sente iltonfo vicino al proprio lato,

un colpo morbido, comel’impatto con un cuscino disangue. Dopo il botto dice,andiamo, ti prego, andiamo.Non si fermano mai, vaganosenza una meta come glianimali vivi, frenano davantiall’insegna di un albergo,nell’alba ancora buia, per ilnuovogiorno.

Accadonofattiirreversibilinellevitecheciascunodinoi

racconta a se stesso, eppureportiamo il nostro passatocome se fosse qualcun altro,un familiare che si veste dadonna,ilrossettosullelabbra,appenasotto ibaffi, il sabatodicarnevale; ilpassatoèunoche conosciamo di vista, laprima volta che diciamo ioricominciamo sempre daestranei, spogliati da noistessi. Nei rari momenti dilucidità, aggiorniamo le

lancette, invecchiamo incostumedabagno;guardiamotelegiornali, ci sembra disentire sempre la stessanotizia: l’esercito fedele, gliscontri con i ribelli, il golpemilitare per difendere ildittatore ormai incapace, lafuga all’estero, il nuovodittatore, massacri tra lapopolazione, stato di quiete,la ripresa degli affari conaziende internazionali, la

visita apostolica del Papa, lacrisiitaliana.

Lestimedelleassociazionialberghiere prevedono unridimensionamento dellepresenze, i proprietari deglistabilimenti balnearilamentanouncalodeilettiniedegli ombrelloni affittati,dicono che è colpa dellaSpagnaedellaIugoslavia,líètuttogratis,manoilavoriamo

la sabbia, la setacciamo contrattorierastrelli.

Lavitamediadi unuomoin Italia è di settantacinqueanni.Francescomuoreall’etàdi sessantadue, Franco acinquantacinque. Decedutientrambifuoristagione.Hildedopodiciassetteanninonpuònemmeno considerarsi unavedova. Non ha maitelefonato a casa diFrancesco. Era sempre lui a

chiamarla, a volte dopo unpaio di giorni di silenzio, dauna cabina o da un bar,eppure sembrava che nonfossero mai distanti. Quandod’inverno Hilde tornava aMilano,duegiornidiassenza,anche abitando nella stessacittà,eranounacosanormale.CosíHilde,quandocomprailgiornale una mattina di finenovembre, non sospetta chetra le tante notizie ci sia un

articolonellepaginemilanesidel quotidiano: Chirurgomuore investito. Appenaleggelaparolachirurgohaunsussulto, ma Francesco nonopera piú da trentasei anni,pensa Hilde, e poi alcunigiornali degli anniCinquantalo avevano attaccato, era unreietto, un uomo che avevaosato sfidare le leggi dellanatura, della religionecattolica, aveva fallito e, a

differenza di quanto accadenormalmente in Italia, erastatopunito.Ilchirurgomortonon può essere Francesco,pensaHilde davanti al titolo,ma scorre lo sguardo piú inbasso, legge la dinamicadell’incidenteesubitodopoilnome e il cognome, l’età, unaccenno al passatoprofessionale del «dottorCastelli», alla «moglieirrimediabilmentesegnatanel

pieno della bellezza», quasitrent’anni prima. La vittimadell’incidente, continual’articolo, era il figlio del«professor Ludovico Castellie della dottoressa LuciaOggioni, che cosí tanto beneavevano fatto alla città diMilanoneldopoguerra».

Stordita, incredula,appoggiata allo schienale deldivano,lapaginadelgiornalepenzolante sulle ginocchia

annusate da Blondi, Hildescorre le altre pagine, pertrovare conferma in unnecrologio,l’ufficializzazioneburocratica e sociale dellamorte, ma non esiste alcunricordo, un’associazioneitaliana,uncomitatodirettivoo scientifico, un collegio direvisori, una presidenza oanche solo unavicepresidenza, figli, nipotiche si firmano con i

vezzeggiativi, amici,qualcunochericordiildoloredichiresta.

Hilderaggiungelabasilicache spicca dietro la casa diFrancesco,uncarrofunebreèparcheggiato davantiall’ingresso, il portellonesollevato, una corona di fiorianonima, come se le rose sifossero assemblate da sole.Una decina di personepartecipaalfunerale,Hildesi

siede nell’ultima fila dellagrande chiesa vuota, non ènemmeno certa che sia lacerimonia di Francesco,sembra il funerale di unvecchio senza parenti, c’èsolounadonnamaturaconlatesta leggermente inclinata,forse è la moglie, ma non sigiramai,fissasemprel’altare,a differenza di un paio dianziani, che si voltano dalleprime filee scambianoHilde

per una turista stranieradepressa, capitata per casodurante la cerimonia, e soloquandoilpreteripetenomeecognome del defunto, lei ècerta che all’interno dellabaracisiaproprioFrancesco.Unuomoche,cometuttinoi,ha fatto alcuni errori digioventú,mahasaputooffrireun’abnegazione assoluta allapropria sfortunata mogliecome raramente sivede,dice

ilprete,grazieallafedeeallaconvinta,cristianaadesionealsacramentodelmatrimonio.

Hilde vorrebbe alzarsi eurlare la propria rabbia,essere la vedova, l’unicadonna a patire il dolore delmondo,cosanesa ilpreteditutte le giornate trascorseinsieme a Francesco, deipiccoli alberghi e ristorantinell’Italia decadente, era unaforma di espiazione, di

vicinanza alle cose, di amoreenondiclandestinità.

Cammina verso la lucedell’uscita,ibecchiniparlanodi calcio appoggiati al carrofunebre vuoto. Doveporteranno la salma? Hildenon sa nemmeno dovevorrebbe essere sepolta allasuamorte,sesifossesposataavrebbe un loculo, il postoassicurato nella cappellafunebre della famiglia

Castelli,accantoaFrancesco,ai suoceri, ai mortiottocenteschi difesi da unaporta di ferro battuto, da unachiave grande quanto unaspada.

Torna a casa, prepara ilbagaglio, lo riempie, infilaanche un costume da bagnoassurdoperlastagione,finoadoversi aiutare con leginocchia premute perchiudere la valigia, pensa, in

questo istante lo stannoseppellendo. Sale sul primotrenoperMerano.

Francoviaggiadasolo.StaandandoinAltoAdige,vuoleacquistare un piccoloristorante da affidare ingestione. Ripeteromanticamente a se stesso:nelluogoincuiHelgaèstatabambina. Pochi coperti,candele, atmosfera calda, la

testa di un cervo appesa allaparete di perlinato, Francovuoledimostrarediessereunimprenditore, di esserequalcuno fuori dalla cucinadell’Hotel Sand. Ciò che èdiventata la sua tana èun’invenzione del suocero, ebenché Hans Hinner abbiacondiviso parte del potere,tutto è nato da lui, non daFranco.

Helga riceve la telefonata

della polizia stradale. Adifferenza diHilde, non soloè avvisata da qualcuno: èavvertita dall’autorità, unprivilegio guadagnato con lalegge, il matrimonio ditrentaquattro anni. Ilpoliziottoaltelefonodichiara,dopo la prima frase e ilsilenzio di Helga: signora,avevamo bisogno disgomberare la carreggiata,stiamo facendo ancora alcuni

rilievi, suomaritoèdecedutoal chilometro 62,3, non èancora chiaro dove, il signorBergamaschi èmortopropriosulconfinetraduecomuni,almomento è in una cameramortuaria, non è detto siaquella giusta, lei si deverecarelíperilriconoscimentodel cadavere e chiedere ilnulla osta al comunecompetente.

In effetti la salma di

Franco è nella cameramortuariasbagliata,dovrebbeessere in quella del comuneconfinante. A volte Helga,nonostante viva in Italia dal1940, fatica a entrare nellaperversione di alcunimeccanismi che invece, conun po’ di allenamento,risultano perfino accettabili.Losconcertoperlasituazionedistraedaldolore.Achidevochiedere il permesso per

portareviailcadaveredimiomarito?

Le domande di chisopravvive sono sempre lestesse. Ho fatto abbastanzaperquestapersonacheadessoè morta? Helga s’aggrappaalla comprensionepaterna, alfiglio, alla successionecronologica degli eventi, allecosepratichedellaburocraziaper andare avanti. Conti

correnti, passaggi diproprietà, frazionamenti,rogiti immobiliari, quotesocietarie.Hildeviveunluttosolitarioenonufficiale,senzaresponsabilità burocratiche,quasi che il dolore fosseintroversione passeggera,vezzo giovanile sancito dallapropria condizione. Dopo lamorte di Francesco, vendel’appartamentonelgrattacieloe vive all’Hotel Sand, come

quando era ragazza. Ilgrattacielo conserva troppiricordi. Lo specchiodell’ascensore, il tastodell’ultimo piano pigiatocentinaia di volte; lafamiliarità delle ported’ingresso dei dueappartamenti contigui; lefinestre chiuse durante untemporale o spalancatedurante i giorni di sole, suiminuscoli pini dabbasso,

l’amore passato. Hilde quasisi vergogna del suosentimentalismo inaspettato,che le richiederebbe uncomportamento opposto:tenere l’appartamento percelebrare ogni giorno la lororelazione, in fondo la casa ètuttociòcherimane,sebbeneimomenti piú significativi liabbiano vissutinell’appartamento di fianco,quellodiHelga.

Avrei dovuto darti ancoradi piú. Non ti dimenticheròmai.Tiameròpersempre.Cipiaceripetere frasisimili,mai giorni trascorsi sonosufficienti per renderciirriconoscibili, perfinodavanti alle nostre cose, chediventanoestranee.

Cosí, appena vedel’intonaco scrostato neipilastri di cemento, Hildedecide che, tutto sommato,

come direbbe suo padre, èarrivatal’oradivendere.

Dopo la morte di Francoinizia il lento periodo dideclino dell’Hotel Sand. GliHinner pensano sia colpa deivari cuochi che siavvicendano. La famiglia necambia una dozzina: uncuoco piú giovane, piúvecchio, coetaneo di Franco,del Nord, del Sud, niente,

nessunoriesceasostituirlo,aricrearequelminimosensodiappartenenza, che dai piattisalealgradimentodelturista.Il problema è che il nuovocuoco dovrebbe essere sceltodall’HotelSandpiúchedagliHinner, non è semprepossibile gestire un’aziendacome fosse la propriafamiglia. Helga trovaqualcosadisbagliatointuttiicuochi, benché cerchino di

lavorare al meglio delle lorocapacità.Lacucinadell’HotelSand per Franco era la suaesistenzaconHelgaenonunlavoro. Nonostante leincomprensioni in vita, damorti è piú semplice essererimpianti, diventaremonumenti per chi resta. Avolte basta l’odore disoffritto,diuncondimento,ilsuono di pentole e padelle,rimbombanodallacucinaalla

sala ristorante e attraggonoHelga, che apre la porta e sisente tradita, vede ai fornelliunuomochenonèFranco,hala metà dei suoi anni, Helgaguarda la padella, l’aglioimbrunito quasi affogatonell’olio, non un semplicerosolare, si arrabbia per ildestinodiquellospicchio.Suibarattoli della cucina o suvecchi scatoloni di aziendefallite sono appiccicate

etichette con la calligrafia diFranco. Sale scritto daFranco. Olio scritto daFranco. Aceto scritto daFranco. Pomodoro scritto daFranco. La cucina era il suoregno,necuravaogniminimodettaglio. Aveva perfinopiazzatounpiccolotelevisorenell’angolo accanto alfrigorifero, guardava unadelle prime trasmissioni diricette culinarie, era condotta

daunenologoanarchicoedaun’anziana attrice giovialesimile a tutte le nonneitaliane, i cuochi invitatimostravanocomesipulisceilpesce dalle interiora, non lopresentavano già a pezzetti eripulito in padella, bisognavatagliarglilatesta.

Hilde ripensa a quantoaveva detto Francesco pochesettimane prima di morire.L’elogio della mediocrità.

Helga,perchénoncuciniamonoi?Dopo tanti anni accantoaFranco,conosciilmestiere.Non saremo brave come lui,ma insieme non saremoneanche peggio di quellipassatiquidopolasuamorte.

I clienti che hannofrequentato per trent’annil’albergononesistonopiú.Nearrivano altri, ma sono dimeno. I tedeschi vanno in

Spagna,preferisconolaCostaBrava, la Costa del Sol, leBaleari.Vanno in Iugoslavia,inGrecia.HansHinnernonèpreoccupato, ascolta come ilsuono di una risacca lontanal’abituale retoricasull’ospitalità romagnola, ilamenti stagionali delleassociazionideglialbergatori,dei commercianti, che a ogniinizio estate lancianol’allarme per il

ridimensionamento delle loroattività, e a ogni fine estateripetono lemedesimefrasididisfatta, ma l’anno seguentesonoancoralí,arricchitisullasogliadei lorohotel,dei loronegozi, pronti perricominciare: noi siamospeciali, abbiamo il mareattrezzato, la politica delsorriso.

IlgiovaneGabrieleaiutailnonno alla reception.

Vorrebbe promuovere ilturismo da week-end estivo,per comitive di ragazzi chevannoaballareilsabatosera.Duenotti–venerdíesabato–al prezzo di una. Potremmoanche chiudere la cucina opreparare solo panini ewürstel, basta venderealcolici a prezzi bassi,sarebbe il rilanciodell’albergo, avrete micapauradiqualchepasticca?

Lele, non abbiamo apertoquest’albergoper guadagnaresoldi. Il denaro non ci faschifo, ma Hotel Sand è unpezzo della nostra famiglia,della nostra vita, lo abbiamoaperto perché non potevamofarediversamente.

Questa penna marchiataHotel Sand è un souvenir,ogni souvenir prolunga ilricordo dell’esperienza, il

paesaggio del nostroimmaginare, l’insistenzadell’estate, chi tornadopounanno aspira a un po’ di sole,vuole dimenticare gli undicimesi trascorsi, in fondo èsorpreso di essere ancora invita, il vano confronto dellestatistiche con la stagioneprecedente, il bambino delminigolf è cresciuto, gliarredamenti rinnovati dellestanze, il ristorante, il menu,

la carta dei vini, le serateculinarie a tema,l’intrattenimento musicale,l’incapacità di sognare senzauno spettacolo, il folklore difinteserateincostume,danzepopolari tradotte inesibizionituristiche, intrattenersi con lapropria vita, la notte di SanLorenzo, esprimere undesiderio,unflirt,noncisonopoi cosí tante stelle, i fuochid’artificio a Ferragosto, la

fosforescenza del cielo, ilatrati dei cani spaventati daibotti, memoria animale diguerra, tante piccole Blondi,grigliate miste, leccare ungelato seduti sul dondolo, ilballo, la discoteca, lelampadine verdi e blu, lapaglia sintetica, gli spaghettiquasi all’alba mangiati conaddosso gli occhi piccolidegli animali notturni, turistimattinieri che corrono in

pineta, i giornali che nonodoranodicartamadicremaabbronzante alla carota,stanchezza nel prendere ilsole, gli altoparlanti deglistabilimenti balneari, i corsidi ginnastica a riva, la zonadei campeggi, i cartelli delleagenzie immobiliari suitronchideglialberi,ilrumoredel jet che spacca i timpanimentre decolla dal vicinoaeroporto militare verso una

guerra civile nell’Esteuropeo, la guerrapomeridiananellasalagiochi,il campione del videogamelotta per la sua fama,scendono dal monitor tantelucine d’astronavi come alpetrolchimico, la base delgioco è avere i gettoni, unideale di benessere, seavessimo tanto dalla vitafaremmopiúconsumazioni,ilrisciò da ubriachi lungo lo

struscio, le insegne, tutto ciòche è scritto e letto èilluminato e sospeso davantiai negozi aperti, la sera, ilgiorno.

E quella volta, almattino,quando entra un uomoanziano all’Hotel Sand,ricordate? È come se sispecchiasse in Hans Hinner,parla sottovoce, prima dichiedere una stanza guarda

dietrodisé,versoilsalottino,per sincerarsi che non vi sianessuno, guarda a destraverso il ristorante vuoto, einfine a sinistra, verso ilgiardino.Solodopochiedeseè libera una camera.Vecchiaabitudine ereditata dalla suainfanzia: controllare prima diparlare.

I ragazzi invece nonpensanoaquestecose.Dànnotutto per scontato.Un giorno

d’inizio settembre dell’anno2000 entrano in albergo duegiovani tedeschi e chiedonouna stanza. Porgono ildocumento a Helga. HansHinnerèsullasediaarotelle,le mani appoggiate ai raggi.Non cammina piú da cinqueanni, le figlie lo spingonounpaio di volte al giorno versolaspiaggia,lungoilcorridoiodi auto parcheggiate, sulsentiero deserto di

calcestruzzodove incomincialasabbia.

Helgastaperavvisaresuopadre.Papà,vorrebbedire.

MargretFriedricheJasperKuhn. È la prima volta inquasicinquant’annid’attività.Helga chiama Hilde, initaliano, per non farsi capiredai due clienti. Le dice diguardare la carta d’identità.Hilde è incredula, come seBockburg fosse un sogno

d’infanzia. Vivono inBanhofstraße18.Laviadellastazione era la Hermann-Göring-Straße.HelgaeHildecamminavano al fianco diMaria Zemmgrund, inHermann-Göring-Straßeavevano incontrato il prete,PeterBurgsmüller,cheavevadomandato: voi siete lagemellaHinner?C’èqualcheproblema?, domanda ilragazzo, in tedesco. No, è

solo che, ecco, noiconosciamo Bockburg, cisiamo state una volta, tantotempo fa,ma non siamomaitornate: com’è, adesso? Oh,nonperdetenulla, èunpostocome tanti altri, un po’noioso,èilcapolineadellaS-Bahnlinea7,noilavoriamoaMonaco. Abbiamo visto ilsito internet di altri alberghi,voi non avete il sito, mapassando di qui ci è piaciuto

questo giardino, nonsapevamo che foste tedeschi,purtropposiamodipassaggio,ci fermiamo solo una notte,andiamopiúasud.

Èilpenultimogiornodellastagione balneare 2000. Perquanto sia annunciato comeal solito dai temporali disettembre – con la schiumabianca dell’asfalto spazzatodall’acqua, i tombini che

borbogliano residui marcid’estate–l’iniziod’ottobrecitrova sempre impreparati.Domani si chiude. Basta conquesto sole che non scalda.Le due cameriere – unacoppia di giovani sorelleromene– sotto lo sguardo diHelga puliscono le stanzevuote con grande attenzione,come se in questo modopotesseroaccumulareilpulitoper i prossimi sei mesi.

L’albergo è quasi deserto.Hans Hinner mangia ungelato spacciato perartigianale, lo aspira,sbatacchia la bocca, frulla lalingua nel buco della cialda,un po’ di crema imbratta larasatura irregolare dellabarba. Balbetta qualcosa, lavoce debole, in disuso, forsedice, buono, ma potrebbeessere anche suono, o tuono.Si assopisce dopo pranzo

sullasediaarotelle, ilsaporedell’edulcorante zuccherinotra le labbra.Inclinailmentoin avanti, il cranioofferto, lemani giunte, come ci siappisola nella sala di aspettodel proprio medico in unpomeriggio innocuo, mentrealtri pazienti attendono ilturno e parlano di acciacchirimediabili, sfogliandorotocalchi di pettegolezzi emensili di automobili. Helga

lo scuote dopo mezzora, latesta del padre crolla inavanti, se non fosse per lafiglia, Hans Hinner cadrebbeperterra.HelgachiamaHilde,la sala del ristorante è vuota,è l’inizio di un pomeriggiod’ottobre, il cielo è terso, letortore cantano per le ultimecovate dell’anno, fiori giallozolfo sbocciano tra lesterpaglie di una duna inspiaggia.Lefigliespingonoil

padre nella stanzetta, tastanoil polso, mettono una manosul petto. È morto davvero,mi sembra impossibile, diceHilde, dovremmo chiamareun medico. E per cosa? Unmedico constaterebbe lamorte, poi dovremmotelefonare all’agenzia dipompe funebri, chiederel’autorizzazionealcomunediCervia per trasferirlo a

Merano: no, ti ricordi iltrasportodiFranco?

Mettono il cadavere inmacchina, il corpo ha imuscoliancoraflaccidi,doponon riuscirebbero piú ainfilarloinauto.Ancheseuncliente dell’albergo dovessevedere qualcosa, non cisarebbe alcun problema, èunascenanormale,è solounanziano sollevato dalle duefiglie e portato da qualche

parte al mare, i vecchiadorano la spiaggia fuoristagione.

Helga apre la portieraanteriore destra dellaVolkswagen,Hilde loprendeper le ascelle, Helga per lecaviglie, è leggero, diconoinsieme, eppure faticano, ilcadaverenonvuoleentrareinmacchina, inclinano il sedileanteriore destro, vi adagianoilcorpoesollevanolasalma,

per agevolare la risalita delsedile. Lo sistemano con lemanisulventre.Adoperanolacintura di sicurezza, ilcadavere ha un leggerocontraccolpo in avanti,sembra uno di queidocumentari degli anniSettanta, in cui le caseautomobilistiche tedeschemostrano i filmati dei crashtest, il manichino alla guidadi un’auto urta contro un

muro, rimbalza alrallentatore,primadiritornareincolumenellostatodiquiete.

Blondièagitata, annusa ilperimetro della macchina, leruote. Portala via, Helga, èinutilelasciarlaqui,dovrebbeviaggiare in treno con me,domani.

Hilde rimane sulla soglia.Il corpo rimpicciolito di suopadre compresoperfettamente nel sedile

anteriore. La testa di Blondi,dietro, in mezzo, le orecchietese verso il tettuccio ancoraaperto. Helga s’immette incorso Matteotti e parte perMerano.

Nonostante la giovane etàdiMaria Zemmgrund, la suamorte era attesa,l’impossibilità di resistere almondo del dopoguerra nonera solo il manifestarsi

conclusivo della malattia,sembrava anche unatteggiamento politico, che asua volta poteva esserescambiato per disinteressematerno verso le propriefiglie. Helga al primosemaforo guarda il corpo disuopadre.Latestaspiccadalcolletto della camicia, uncranio piccolo e sottile comeilbastonedapasseggiodiunvecchio nobile. La guancia è

achiazze,come il restodellapelle visibile. Le mani sistanno già decolorando, leunghie annerite, il pettofermo, da uomo natoall’inizio di un altromillennio. Il notiziario radiosegnala una coda inautostrada. Helga taglia perRavenna,costeggiailparcodidivertimenti che avevaattiratoalcunituristiall’HotelSand, interessati piú a quello

che al mare. Il grandeparcheggio è vuoto, la ruotapanoramica sponsorizzatarisalta ancora di piúnell’immobilità, e piú inbasso le montagne russe, igiochi, le strutture di ferroinutilizzate permesi, i vestitiriposti dei pagliacci cheaccoglieranno ancora iprossimi bambini. Papà, seiqui con me, pensa Helga, aparte gli anni della guerra

siamo stati sempre insieme,non ti ho abbandonato inmano a medici annoiati einfermiere oberate dai turni.Hilde è stata la tua preferitaper tutta la vita, una ribelleconformista,adessosonoioaprendermi cura di te, tiaccompagnodallamamma, tiho sempre voluto bene, nonsono mai stata incompetizione, tu sei statosoltanto mio papà, non ho

mai voluto diventare te, persuperarti e demolire la tuagiovinezzanelTerzoReich.

Hilde avrebbe voluto fartivivere con il senso di colpaper essere scampato a tutto.Io ho vissuto al tuo fiancoun’esistenza normale, inalbergo, con unmarito, ti hodato anche l’erede, lasperanza del futuro, hocreduto nella vita. Noi

mangiavamo le mele solonellostrudel,prima.

Papà, non hai mai dettoquestafrase,ètuttonellatestadi Hilde, la mamma chesbuccia le mele, il tuo voltoilluminatodalsoleaMerano,lo sguardo fisso verso iltavolodellacucina,nellacasadi Alessandro-Manzoni-Straße, è tutto inventato daHilde,adessotiportolà.

Helgalasciailvolante,con

lamano accarezza il viso, loadagia sul fianco destro, latempia appoggiata alfinestrino, un liquidogiallastro esce dalla bocca,ma non scivolacompletamentesulpettoesulsedile, una parte del fluidolievita in una piccola bolla aforma di fungo. Le luciaccese del petrolchimicobrillano sullo sfondo,vegliano le lente fuoriuscite

dei fumi. Gli scampoli dellapineta di piombo simimetizzano con il primobuio a nord di Ravenna,quando Helga si immettesulla strada stataleRomea. Iltraffico è scorrevole erimuove il pensiero dellamorte di fianco, circolanosoprattutto camion dell’Esteuropeo, ma dopo pochichilometri inizia subito unacoda, causata dall’incidente

di un furgone bianco ucrainocon altre due macchine. LaVolkswagendiHelgaprocedeapassod’uomo,strettatrauncamion ungherese e unoslovacco. Quando l’autistaungherese frena, illumina dirosso ilvoltodelcadaverediHans Hinner e la lingua apenzolonidiBlondi,el’interoabitacolo–giàaccesodaifarianabbaglianti dello slovaccoseguente – avvampa, tanto

che Helga boccheggia,abbassa il finestrino per farentrare un po’ d’aria, e lesembradisentire–all’internodel suono grezzo dei motori,delle onde di gasolio – gliultimi canti degli uccelliprima del riposo notturno.Un’auto della polizia eun’ambulanza sono ferme,devono aver caricato unferito, dietro il vetro ruvidos’intravedono infermieri

vestiti di bianco.Helga temeche i poliziotti possanoaccorgersi del cadavere, orailluminato anche dalle lucigialle delle torce appoggiatesull’asfalto, dalle luci bludellesirene.

Svelta, signora, urla lapoliziotta sbracciando comeun’istruttrice di aquagymnella spiaggia d’agosto: su,veloce, avanti, andiamoavanti!

Vorrei tornare indietro, –scrive Hilde nel diario,l’indomani in treno, – tornarealla nascita, nel corso deldivenire origine,mare, fiume,goccia, mia madre sana oalmeno non ancora malata,pienadicosesbagliate,piccolee grandi convinzioni, tornarenella vaghezza di unpomeriggio qualsiasi, l’acquascorre dal rubinettodimenticato aperto, il

ticchettio di un articolo suGoebbels, il rumore dellapioggia, piú a ritroso, seproprio dovessi esserequalcosa vorrei essere lagamba amputata del nonno,perduta.

Helga firma l’atto divendita dell’Hotel Sand.Dentro le resta una vocinainforme, unione di lingue, divolti:Franco, ilpadre,Hilde,

i clienti che si sonoavvicendati nei decenni inquel piccolo spicchio dimondo, le cose, gli oggettidesueti finiti nella cantinadell’hotel, i quintali dispazzatura umida, nelle cuizaffateerapossibiledecifrareil senso dei giorni, perfinounatracciadelleore:icumulidicaffèbruciacchiato,l’odoredolce delle scorze di melonegettate con i segni dei morsi

della clientela, quello piúacidulo dei pomodori, con lebucce rosse rattrappite, soprale quali volavano mosceriniaffamati, resistenti ancheallefolate di vento, che liscompigliavano invano, suipetalidirose.

Sebbene i nuoviproprietari dell’albergo sianorestii, per una settimanaall’anno – quella di

Ferragosto–Helgausufruiscediunastanzadell’HotelSand.

È scritto nell’atto divendita, era l’unicacondizione che potessesbloccare la trattativa. Tanto,pensano i nuovi proprietari,Helgaèanziana,quantopotràvivere ancora? Lei è la solaad avere in usufrutto lacamera per una settimanaall’anno,nonisuoieredi.

EcosíHelgacaricaBlondi

–anchelapresenzadelcaneèindicatanell’attodivendita–sulsedileposterioredell’autoe guida da Milano a MilanoMarittima. Le è riservata lastanzaalpianoterra,l’entrataautonoma affaccia sul retrodel giardino, in modo cheBlondi non disturbi gli altrituristi.Lacameraèadiacenteallo stanzino dove riposavaHansHinnerduranteleprimenottidel1951;dovedormiva

Franco, appena arrivatoall’Hotel Sand, pochesettimanedopo.

IlpomeriggiodelgiornodiFerragosto. La spiaggiaaffollata. La sonnolenza deldopopranzo.L’ariasiadeguae pesa immobile, appenascalfita dal ronzio umanodelle suonerie dei telefoni.Sull’acqua – di coloritorossastro – galleggia un

manto denso, un lenzuolosudato, cinque metri dispessore composto daescrezioni di alghepiccolissime,particellenutrited’azoto e fosforo che –seguendo un impulso a noiignoto – si aggregano innuvole liquide di materia,diecimetrisottolasuperficie,per poi risalire e diventarecoltre. La mucillagineaccorcia il respiro del mare,

dei pesci, di noi stessi. Dalsentiero di calcestruzzo cheporta alla spiaggia, lasensazione è invece opposta.Non è la mucillagine aespandersidalmareallariva;siamonoia inoculare tossinenell’acqua, che subisce inostri corpi bianchicci eustionati. Lanciamo lecaviglie alle alghe, che sidifendono circondando imalleoli. Galleggiamo con la

massa gelatinosa,consideriamo l’agonia deipesci nell’acqua come ungiocoestivo.Unapartedinoicoltrecompattadebordadallaspiaggia, risale daglistabilimenti balneari, dallafiumana alcolica fino allastrada.Siamoigiovani,quasiesclusivamente di sessomaschile, tra i venti e itrentacinqueanni.Indossiamoper lo piú solo un costume e

ciabatte infradito, unacanottiera e cappellino dabaseballportatoconlavisierarivolta all’indietro. Sostiamoa centinaia in mezzo allastrada, beviamo, fumiamo,urliamodentro unmegafono,quando transitaun’automobile la fermiamo,facciamo le mosse dei toreriagitando asciugamanisponsorizzati.

Capita anche a Helga, di

ritorno in albergo dopo ungiroaPinarella.

La circondiamo urlando,decinedibraccia scuotono laVolkswagen che oscilla, lenocche sui finestrini,spalmiamo i petti sulparabrezza.

Helga non riesce a tenerele mani sul volante, Blondiabbaia.

Urliamo, Rex, cazzo diRex, vieni fuori se hai

coraggio. Imitiamo il cane,ridiamourlando ancora,Rex,cazzodiRex.

Blondi abbaia e ringhia,brandiamo alligatori verdigonfiabili, in quattro saliamosul cofano ballando comecalciatori sudamericani dopoun gol, mimiamo surfisti, citocchiamo i tatuaggi,riceviamo applausi, grida dientusiasmo al megafono,povera nonna, lasciamo

passare la nonna, dài nonna,facci sognare. Gli alberghi asei piani suggeriscono iltramonto intorno, un’altramacchina arriva con i fariaccesi in direzione del solebasso, Helga ne approfitta,innestalaprimaesgommainun varco. Sente le urlaattutite, vede la massadisgregarsi nello specchiettoretrovisore, cosí come si eracostituita dal nulla.

Parcheggia nel giardinodell’albergo, accarezzaBlondi per rassicurarla.Controlla la carrozzeria, nonc’è nemmeno una piccolaammaccatura. Salta la cena,resta a letto mentre da fuorigiungono i primi botti deifuochi d’artificio, sarà unalunganotte, ilgridogiungeaHelgacomeunsospiro.

Mentre Helga e Blondidormono,ilventosoffiaforte

tra le impostechiuse.Ilmarea forza quattro distrugge lamucillagine, la risucchia allargo. Helga è la prima adandarealbarperlacolazione.Gli arredamenti sonocambiati ma la luce, a volte,sembra entrare dalla finestraquasicomenel1951,equestaleggerissima differenzad’intensità la addolora piú diogni altra cosa, del suono

familiare delle mani e dellestoviglieincucina.

Helga fa alcune inalazionialletermediCervia.Lascialamacchina nel giardinodell’albergo, porta alguinzaglioBlondicheannusapiccoli rami spezzati,volantini pubblicitari diestetiste che promettono unnuovo corpo. La spiaggia èsemideserta, alcune sedie

sdraio sono ribaltate in aria.Un nugolo di plastica sparsatra gli ombrelloni attende ilavorigiornalierideibambini.I piú mattinieri hanno giàcaricato le loro pistole adacqua e sparano allasuperficie, che dopo lamareggiata notturna splenderinnovata e limpida. Unbambinopasseggiainsiemealnonno, il nipote ogni ventimetrisollevailretinocomese

brandisse un’ascia e laabbatte sull’acqua piatta, aduemetridallariva.Ilnonnologuardacompiaciuto,fissailcontenuto di un secchiellorosa della Disney, in cuiboccheggiano due piccolipesci.Unvecchio incrocia losguardo di Helga, scuote latesta,nonècosíchesipesca,mormora timoroso. Helgaesce dalla spiaggia, camminainunbrevetrattodellapineta,

traatletichecorronoecanialguinzaglio. Costeggia ilcimitero, attraversa ilpassaggio a livello, camminalungo il sentiero pedonaleaccanto ai binari dellaferrovia.Alla sua sinistra c’èun piccolo parco zoologico ebotanico. Cervi, daini, capre,pony,mufloni,cavalli,bufali,asinelli mangiucchiano inattesadell’apertura. I cigni si

spulcianosottoleali,ipavoniripetonoillorocanto.

Alle spalle del parco,spicca l’edificio delle termedi Cervia. Coppie dipensionati e giovani madriconilorobambinisiavvianoversol’ingresso.

Helga lega Blondi a unpalodellaluce,eledice,nonmuoverti,tornopresto.

S’immette nel flusso chesale al secondo piano, al

reparto delle cure inalatorie.C’è una lunga fila, tuttiritirano un numero,estraggonodalleborseodaglizainetti la mascherina peraspirare l’acquasalsobromoiodica.Alle paretisono appese fotografie delleterme negli anni Sessanta, apiccoli passi l’umanitàdavanti aHelga simuove, lenuche avanzano verso lagrande stanza avvolta nel

bianco nebulizzato, al di làdella vetrata. Le infermiereregolano l’accesso, timbranoil foglio di presenza,conducono i pazienti aimacchinari, stringono unbavaglio di carta intorno alcollo, schiacciano unpulsante, il fumo esce dalsupporto di plastica, unorologio digitale scandisce iltempo mancante alla finedell’applicazione, la

nebbiolina è gradevole ingola, nel naso, abbraccia ilrumore dei macchinari, ilviavai cadenzato delleinfermiere, dobbiamocontinuare, socchiudere gliocchi e proseguire ilmeccanismo inconsapevolesotto la pettorina bianca dicarta, una volta ancora, ilrespiro.

Notadell’Autore.

Holettoalcunepaginediquestolibro (una prima versione delsuicidio di Hilde inutilmente

soccorsa da Blondi) a OfficinaItalia, il 5maggio 2010, presso laPalazzinaLiberty,aMilano.

Ipersonaggiprincipalisono:HansHinner(1909-2000)MariaZemmgrund(1909-1946)HildeHinner(1933-2013),figliadi

HanseMariaHelgaHinner(1933-vivente),figlia

di Hans e Maria, gemella diHilde

Franco Bergamaschi (1930-1985),

maritodiHelgaGabriele Piero Hans Bergamaschi

(1967-vivente), figliodiFrancoeHelga

Francesco Castelli (1918-1980),amante di Hilde, marito diFulviaMorigi

FulviaMorigi(1928-2010),mogliediFrancescoCastelli

HerbertHinner(1879-1943),padrediHansHinner

Rosalind Fritzmayer (1881-1943),madrediHansHinner

MichaelZemmgrund (1881-1943),padrediMariaZemmgrund

Christa Wissens (1882-1943),madrediMariaZemmgrund

Peter Zemmgrund (1910-1943),fratellodiMariaZemmgrund

LeonKaumann(1907-?),vicinodicasa degli Hinner, marito diKarinKeller

Karin Keller (1907-?), vicina dicasa degli Hinner, moglie diLeonKaumann

Sebbene all’interno del libropare esista un unico personaggioBlondi,cheattraversailNovecentoe arriva fino a noi, in realtà legenerazioni canine sono sei. PerragioninarrativehofattonascerelaBlondidiHitlerprimadellaBlondidellafamigliaHinner.LaBlondidiHitler, sullaqualeperaltrononc’èuna data precisa di nascita,dovrebbe essere nata nel 1940,anche se alcune fonti sostengonosianatanel1934.

LeBlondidellibrosono:Blondi(1938-1953)Blondi(1953-1968)Blondi(1968-1980)Blondi(1980-1993)Blondi(1993-2008)Blondi(2008-vivente)

Sebbene la lingua tedescaimponga ai sostantivi l'inizialemaiuscola,peresigenzediscritturaho scelto in alcuni casi di nonrispettarequestaregola.

Bockburg è una cittàimmaginaria,cosícomeilgiornale«Mutter».

L’autostrada A95, Monaco –Garmisch-Partenkirchen non èstata costruita durante il TerzoReich ma, per ragioni narrative,l’ho inserita nell’infanzia dellegemelle Hinner. Per lo stessomotivo ho anticipato al 1936 lacommercializzazione delMaggiolinoVolkswagen.

Il numero civico 188 di viaAlessandro Manzoni (Alessandro-Manzoni-Straße 188) a Meranonon esiste. Alcuni personaggicollegati a Merano sono davveroesistitimaall’internodellibroogniloroazione,perquantoverosimile,èfruttod’invenzione.

Franz Josef Lenhart (1898-1992) è stato un cartellonista epittore austriaco, residente aMeranodal1922.

L’Uomo di Lenhart è

un’invenzione letteraria ma hapuntato su un cavallo francesedavveroesistente,RoideTrèfle,ilvincitore della prima edizione delGran premio ippico di Merano,disputatosi domenica 20 ottobre1935, diciotto giorni dopo lanascitadimiamadre.IlcavalloRoide Trèfle era di una scuderiafrancese. Il secondo classificatonon è statoOrizzonte Italia, che èun’invenzione letteraria, ma lefrustatesubitedaOrizzonteItalia–

nel 1935, prima, e anche dopo –sonopiúcheplausibili.

Lacanzonecitatadall’UomodiLenhartè laceleberrimaMille lireal mese, di Carlo Innocenzi eAlessandro Sopranzi, interpretatadaGilbertoMazzi.

Le parti riguardanti la ScuolaSvizzeradiMilanoelaRinascentesonofruttodiinvenzioneletteraria.

ElsaSchiaparelli (1890-1973) èstataunastilistaesartaitaliana.

Carl Degener (1900-1960) è

stato un imprenditore del settoreturistico.LecitazionisonotrattedaCamere libere: Il libro delTouriseum, di Josef Rohrer,TouriseumCastelTrauttmansdorff,Bolzano2003.Hotel Sand è un nome di

fantasia e non ha nulla a che farecon eventualiHotel Sand davveroesistenti, cosí come la ClinicaPrivataCastelli.

IpersonaggiLudovicoCastellieLucia Oggioni sono d’invenzione,

cosícomeFrancescoCastelli.Gustavo Sanvenero Rosselli

(1897-1974)èstatoinveceunodeipiúimportantichirurghiplasticidelNovecento.

Ho utilizzato le misure –riportate dai giornali dell’epoca –diMissUniverso1958,comeselaventenne studentessa colombiana,Luz Marina Zuluaga, fosse stataeletta nel 1951, cosa impossibile,perché la prima edizione delconcorsoèdel1952.

Sulla questione di Hitlervegetariano, perpetuata nel corsodei decenni, rimando alledichiarazioni di Dione Lucas(1909-1971), la cuoca inglese delristorante di Amburgo chepreparavailpiattodicuiHitlereraghiotto:nelsuolibroTheGourmetCooking School Cookbook(Bernard Geis Associates, NewYork 1964), Dione Lucas ricordacheilpiattopreferitodaHitlererailpiccioneripieno.

La mia ricetta è un remix traHitlerelatradizioneitaliana.

Ringrazio Sabrina Ragucci perl’immagine di copertina (NaturamortadimeleaMerano,2009)eipreziosisuggerimentidiscrittura.

E infine: in memoria di miopadrePaolo (1935-2011),morto il30 gennaio, nel settantottesimoanniversariodellanominadiHitleraCancelliere.

Il libro

«Succede nelle dittature enelle democrazie, laquotidianità prende ilsopravventocomeunaforma

ottusadirimozione,didifesa,esuggeriscelavita».

Giorgio Falco racconta inquesto romanzo come ilcuoresegretodeitotalitarismisopravviva oggi in noi.Un’opera che restituisce allaletteratura il suo ruolo disvelamento di un’interaepoca, nella quale siamoancoraimmersi.

Lastoriaditregenerazionidella famiglia Hinner, chedalla Germania di Hitlerarriva all’Italia dei giorninostri. A parlare è Hilde,testimone della sua stessaesistenza, ribelle inerte nelmondo progettato dal padre,dai padri. La sua voce, oralaconicaorastraripante,narraottant’annidivicendeprivateintimamente intrecciate alNovecento, «all’alba dei

grandimagazzini»,alturismodi massa, all’ossessione delcorpo.

Fino a innescare uncortocircuitochefaesplodereil nostro presente,denudandolocomemaiprimaerastatofatto.

Se I Buddenbrockripercorreva la decadenza diuna famiglia tedescadell’Ottocento,LagemellaHnon può che registrare il

giornaliero «assecondare ilflusso di eventi travestiti dasoldi» di una famigliaossessionata dai beni ecompromessa con il Male.Decisa a dimenticare, pur disalvarsi.

La voce deLagemellaHnonèsoloquelladiHilde:èuncrepaccioche inghiotte leparole di tutti. La storiacomincia nel 1933, a

Bockburg,cittadinabavarese,dove nascono le gemelleHinner, Hilde e Helga. IlpadreHansdirige il giornalelocale, e spintodall’ambizione vive sino infondo gli anni del TerzoReich, qui narrati da unaprospettiva del tutto inedita:lamerce.Idebitiperlacasa,la rincorsa all’automobilelussuosa, l’appropriazionedellavillettadelvicinoebreo,

che dà inizio a una seria dispeculazioni immobiliari,prima in Germania poi inItalia. Dal bagnino dellapiscina di Merano allecommesse della Rinascenteneldopoguerramilanese,finoalle sonnolenti stagionibalneari della Rivieraromagnola, il racconto di«due mondi che si unisconopersempre».

L’autore

Giorgio Falco è nato nel1967. Dopo Pausa caffè(Sironi 2004), hapubblicato per Einaudi

Stile Libero L’ubicazionedelbene(2009).

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