Post on 28-Jun-2020
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La distinzione di Weber tra storia e sociologia:
«La sociologia elabora ─ e ciò è stato più volte
assunto come evidente ─ concetti di tipi e cerca
regole generali del divenire, in antitesi alla storia,
la quale mira all’analisi causale di azioni, di
formazioni, di personalità individuali che rivestono
un’importanza individuale. L’elaborazione
concettuale della sociologia trae il suo materiale ─
in forma di modelli ─ essenzialmente, anche se non
esclusivamente, dalle realtà dell’agire che sono
rilevanti anche dal punto di vista della ricerca
storica. Essa forma infatti i suoi concetti e indaga in
cerca di regole soprattutto anche in base alla
prospettiva dell’utilità che essi possono, per tale
motivo, rivelare in vista dell’amputazione storico-
causale dei fenomeni di importanza culturale».
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I rapporti tra sociologia e storia: (1) di reciproco,
indispensabile sostegno; (2) di antecedenza sul
piano logico.
«La sociologia (nel senso qui inteso di questo
termine, impiegato in maniera così equivoca) deve
designare una scienza la quale si propone di
intendere in virtù di un procedimento interpretativo
l’agire sociale, e quindi di spiegarlo causalmente
nel suo corso e nei suoi effetti».
Le due questioni implicite in questa definizione:
(1) Che rapporto esiste tra il comprendere
interpretativo e lo spiegare causalmente? Quale
valore è assegnabile all’avverbio “quindi”, che
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assolve una funzione connettiva tra questi due
processi?
(2) Che rapporto esiste tra questi due
procedimenti, da un lato, e (a) la
formulazione di concetti di tipi e (b) la ricerca
di regole generali del divenire, dall’altro?
La prima questione: comprendere interpretando
e spiegare casualmente
Da un punto di vista metodologico, l’interesse
suscitato dalla definizione di sociologia proposta da
Weber consiste nell’accostamento di due modalità
conoscitive (la comprensione e la spiegazione) che
nella tradizione di pensiero storicista ─ rinvenibile,
ad esempio, in autori come Dilthey ─ venivano
presentate come distinte e alternative, appartenenti
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rispettivamente ai due emisferi del Globus
intellectualis: le Scienze cosiddette dello Spirito (la
comprensione) e le Scienze della Natura (la
spiegazione).
L’anomalia, se di anomalia si può parlare, potrebbe
risolversi considerando che Weber distingue due
forme distinte di “intendere”: l’intendere attuale e
l’intendere esplicativo (o motivazionale).
L’intendere attuale (Aktuelles Verstehen) si
riferisce ai contenuti (al che cosa) di un’azione, di
un atteggiamento o di una affermazione,
diversamente dall’intendere esplicativo
(Erklärendes Verstehen) che si riferisce invece alle
motivazioni che risiedono alla base (al perché) di
quell’azione, atteggiamento o affermazione.
La spiegazione causale, pertanto, potrebbe
coincidere con l’intendere esplicativo. Ma questa
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interpretazione non corrisponde al pensiero di
Weber.
Una corretta analisi del punto di vista di Weber in
merito può essere svolta a partire dalla seconda
parte del saggio del 1906 Studi critici intorno alla
logica delle scienze della cultura, dedicata al tema
della Possibilità oggettiva e causazione adeguata
nella considerazione della storia.
«Il più semplice giudizio sopra il “significato
storico” di un “fatto concreto”, ben lontano
dall’essere una mera registrazione di qualcosa che
si sia “trovato innanzi”, rappresenta piuttosto un
quadro concettuale formato categorialmente, e di
fatto [tale giudizio] acquista validità solo in quanto
aggiungiamo alla realtà “data” l’intero tesoro del
nostro sapere di esperienza a carattere
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nomologico» (da Possibilità oggettiva e causazione
adeguata nella considerazione causale della storia,
tr. it. p. 218).
Dal brano appena riportato emergono due istanze
precise:
(1) Insufficienza dei processi interpretativi a
provvedere di validità i giudizi di fatto;
(2) Necessità del sostegno di conoscere (a) basate
sull’esperienza; (b) espresse in forma
nomologica; (c) collegate ad un quadro
concettuale a monte.
Lo stesso Weber non manca di dar conto di una
posizione alternativa, da lui stesso non condivisa, a
quella appena riportata:
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«Lo storico farà valere, di fronte a ciò che si è ora
detto, che il procedere effettivo del lavoro
storiografico … è differente. Il “fiuto” oppure
l’“intuizione” dello storico, non le generalizzazioni
e la riflessione sulle regole, sarebbero la via per
scoprire le connessioni causali. La differenza nei
confronti del lavoro della scienza naturale
consisterebbe appunto in questo fatto, che lo storico
ha da fare con la spiegazione dei processi … i quali
sarebbero “interpretati” e “intesi” in analogia con il
nostro proprio essere spirituale; e l’esposizione
dello storico richiederebbe di nuovo il suo “fiuto”,
l’intuitività suggestiva del racconto che consente al
lettore di “rivivere” ciò che è rappresentato, così
come l’intuizione dello storico l’ha vissuto e visto,
non però scoperto con il ragionamento» (ibid., pp.
218-9; corsivo aggiunto).
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Weber contesta questa interpretazione
squisitamente storicistica:
«In siffatte argomentazioni vengono però
scambiate anzitutto cose differenti, cioè da una
parte il procedimento psicologico dell’origine di
una conoscenza scientifica e la forma “artistica” di
presentazione di ciò che è conosciuto, scelta allo
scopo di influenzare “psicologicamente” il lettore e
dall’altra la struttura logica della conoscenza»
(ibid., p. 219; corsivo nel testo).
Qui emerge chiaramente la necessità, posta da
Weber, di distinguere un contesto della scoperta da
un contesto della giustificazione.
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In una nota del testo appena citato, Weber rimanda
ad un altro suo scritto (Roscher e Knies e i
problemi logici della scuola storica dell’economia,
pubblicato ne Il metodo delle scienze storico-
sociali), in cui viene ripreso il tema della
distinzione. Weber, nel passo che segue, da un lato,
sottolinea l’insufficienza dell’Erlebnis, della
soggettiva comprensione empatica dell’agire
sociale, dall’altro, evidenzia la necessità di analisi
più attendibili i cui risultati possano acquisire una
valenza oggettiva o intersoggettiva che dir si
voglia:
«Bisogna infrangere l’opaca uniformità
dell’“Erleben” … Quando si dice che quella
“esperienza vissuta” [Erlebnis] è perfettamente
certa, è ovvio che si intende dire che noi abbiamo
fatto un’esperienza. Ma di che cosa realmente
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abbiamo fatto esperienza, ciò può divenire
accessibile all’“interpretazione” solo se si
abbandona lo stadio dell’“Erlebnis” stessa e si fa
del vissuto l’“oggetto” di un giudizio, il cui
contenuto, a sua volta, non può essere
“esperimentato” [vissuto a livello interiore] nella
sua uniforme opacità, ma va riconosciuto come
“valido” » (da Roscher e Knies e i problemi logici
della scuola storica dell’economia, tr. it., p. 99).
Una posizione analoga si ritrova in Economia e
società: «Ogni interpretazione tende a conseguire
l’evidenza. Ma un’interpretazione fornita di senso,
per quanto evidente, non può come tale e in virtù di
questo carattere di evidenza, aspirare ad essere
anche l’interpretazione casualmente valida. Essa
rimane di per sé soltanto un’ipotesi causale
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particolarmente evidente» (da Economia e società,
I vol., tr. it., p. 9).
La seconda questione: la relazione sussistente
tra la spiegazione causale e i due scopi
fondamentali della sociologia: (1) formare
concetti di tipi e (2) cercare regole del divenire.
«La spiegazione causale designa pertanto la
constatazione che a un dato processo (interno o
esterno) osservabile fa seguito un altro processo
(oppure si presenta insieme con esso), secondo una
regola di probabilità in qualche modo
determinabile, e nel caso ideale ─ che si verifica
raramente ─ formulabile in termini quantitativi»
(da Economia e società, I vol., tr. it., p. 11).
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“Tizio ha compiuto l’azione Y perché spinto dal
motivo X” costituisce pertanto «un’asserzione
causale corretta soltanto nella misura in cui viene
dimostrata la sussistenza di una possibilità (in
qualsiasi modo determinabile) [una legge
probabilistica a prescrivere] che l’agire assuma di
solito, con una data frequenza o approssimazione
(in media o nel “caso puro”) un corso effettivo
identico a quello che appare adeguato in base al
senso» (ibid.).
La connessione di senso dell’agire sociale deve
essere innanzitutto “interpretata”, individuando il
possibile motivo che sta alla base dello stesso agire.
L’“interpretazione”, tuttavia, rappresenta solo una
condizione necessaria, ma non sufficiente, di un
corretto procedimento conoscitivo.
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«La nostra questione specifica è però di stabilire
mediante quali operazioni logiche cogliamo, e
possiamo giustificare dimostrativamente, che
sussiste una siffatta relazione causale tra quegli
elementi “essenziali” dell’effetto e determinati
elementi entro l’infinità dei momenti
determinanti». Ovviamente non mediante la
semplice “osservazione” del processo ─ in ogni
caso non in tale modo, se per “osservazione” si
intende una “fotografia spirituale”, “priva di
presupposti”, di tutti i processi fisici e psichici che
cadono nella sezione di spazio e di tempo in esame,
supposto che ciò sia possibile. Ma l’imputazione
causale si compie nella forma di un processo
concettuale che implica una serie di astrazioni» (da
Possibilità oggettiva e causazione adeguata nella
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considerazione causale della storia, tr. it., pp. 213-
4. corsivo aggiunto).
Giudizi di possibilità e ragionamento controfattuale
«Ciò [la formulazione di un corretto giudizio di
possibilità] significa anzitutto, in ogni caso, la
creazione ─ diciamolo pure tranquillamente ─ di
quadri fantastici, formati prescindendo da uno o da
vari elementi della “realtà” esistenti di fatto, e
mediante la costruzione concettuale di un processo
mutato in rapporto ad una o ad alcune “condizioni”.
Già questo primo passo trasforma pertanto la
“realtà” data, allo scopo di farne un “fatto” storico
[il giudizio di possibilità], in un quadro concettuale:
nel “fatto” è appunto implicita per dirla con
Goethe, la “teoria”» (ibid., pp. 216-7).
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«Se si considerano però in maniera ancora più
precisa questi “giudizi di possibilità” ─ cioè le
asserzioni su ciò che “sarebbe” avvenuto nel caso
di un’esclusione o di un mutamento di certe
condizioni ─ e se ci si chiede in primo luogo come
noi perveniamo ad essi, non può sussistere alcun
dubbio che si tratti senza eccezioni di procedimenti
di isolamento e generalizzazione; ciò vuol dire che
noi scomponiamo il “dato” in “elementi”, finché
ognuno di questi può venir inserito in una “regola
dell’esperienza” e si può quindi stabilire quale
effetto vi “sarebbe” stato da “aspettare” da parte di
ognuno di essi, sussistendo gli altri come
“condizioni”, secondo una regola dell’esperienza»
(ibid.)La formulazione di un giudizio di possibilità
che abbia il carattere della validità è
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necessariamente legata a regole generali
dell’esperienza:
«Un “giudizio di possibilità” … implica di
continuo il riferimento a regole dell’esperienza. La
categoria della “possibilità” non viene qui
impiegata nella sua forma negativa, cioè nel senso
in cui essa è un’espressione della nostra ignoranza,
o dell’incompiutezza del nostro sapere; al
contrario, essa qui significa riferimento ad un
sapere positivo concernente “regole del divenire”,
cioè al nostro sapere “nomologico” , come si suole
dire».
Nozioni di (a) fattore causalmente rilevante e di (b)
fattore causalmente irrilevante.
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(a) Fattore che, escluso «dal complesso dei fattori
determinanti, oppure mutato in un determinato
senso», avrebbe potuto determinare «in base a
regole generali dell’esperienza», un corso degli
eventi diversamente configurato rispetto a quello
atteso;
(b) Fattore che, escluso o mutato, non potrebbe
determinare alcuna variazione nel corso degli
eventi attesi.
Il grado di determinatezza del giudizio di
possibilità viene massimizzato mediante:
1. Analisi delle condizioni la cui presenza incide
positivamente, facendo aumentare il «grado di
favoreggiamento» (il grado di probabilità) che si
verifichi proprio quella «conseguenza»;
ovviamente, nell’ambito delle scienze sociali tale
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probabilità è solo stimabile in termini di maggiore
o minore ma non calcolabile con precisione;
2. Analisi delle condizioni neutrali o irrilevanti, la
cui presenza non altera in alcun modo quel livello
di probabilità;
3. Analisi delle condizioni la cui presenza incide
negativamente, facendo diminuire la probabilità
che si verifichi proprio quella «conseguenza».
La causazione accidentale:
«Parliamo di causazione “accidentale” laddove
sugli elementi dell’effetto… hanno agito fatti i
quali hanno prodotto una conseguenza che non
era… “adeguata” ad un complesso di condizioni
connesse concettualmente in unità».
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La formulazione di concetti di tipi
Come si è avuto modo di vedere nei punti
precedenti, Weber assegna un carattere di
indispensabilità all’elaborazione teorica nella
costruzione di resoconti esplicative dei fenomeni
storico-sociali («Per comprendere le connessioni
causali reali, noi procediamo a una costruzione
irreale»).
«La sociologia si distacca dalla realtà. Affinché
[questi concetti] possano designare qualcosa di
univoco, la sociologia deve formulare tipi puri
(cioè tipi ideali)… [i quali] mostrano in sé l’unità
conseguente della più completa adeguazione di
senso, ma appunto perciò non si presentano, in
questa forma assolutamente e idealmente pura,
forse più di quanto nella realtà si presenti una
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reazione fisica calcolata in base al presupposto di
uno spazio assolutamente vuoto».
Perché la sociologia deve fare ricorso alla
formulazione di tipi ideali?
(a) Per l’alto grado di articolazione dell’oggetto di
studio (il numero totale di elementi che
intervengono ed interagiscono a costituire
segmenti di realtà dotati di senso);
(b) Per l’alto dinamismo che contraddistingue i
processi attraverso i quali una determinata realtà
sociale viene a costituirsi per poi modificarsi
sotto l’effetto di quegli stessi processi.
«Allorché cerchiamo di riflettere sul modo in cui
essa [la realtà sociale] si presenta immediatamente
a noi, la vita ci offre una molteplicità, senz’altro
infinita, di processi che sorgono e scompaiono in
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un rapporto reciproco di successione e
contemporaneità, “in” noi e “al di fuori” di noi. E
l’assoluta infinità di questa vita molteplice non
diminuisce anche quando noi prendiamo in
considerazione un singolo “oggetto” isolatamente
– ad esempio un concreto atto di scambio – e
intendiamo studiarlo con serietà allo scopo di
descrivere questo “oggetto” singolo in maniera
esaustiva, in tutti i suoi elementi individuali, per
non dire poi nel penetrarlo nel suo
condizionamento causale».
La mera classificazione è ritenuta impraticabile.
Analogamente, è impraticabile l’operazione
consistente nell’individuazione degli illimitati nessi
che collegano, sincronicamente e diacronicamente,
tutti i possibili aspetti del fenomeno o dei fenomeni
che si intendono studiare.
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La nozione di tipo ideale
Che cosa non è un tipo ideale:
(1) Non è un concetto osservativo;
(2) Non è un concetto emanatistico (di essenza);
(3) Non è un concetto normativo.
(2) La polemica con Roscher
(3) La polemica con i socialisti della cattedra
Che cosa è un tipo ideale:
«Esso è ottenuto mediante l’accentuazione
unilaterale di uno o alcuni punti di vista, e mediante
la connessione di una quantità di fenomeni
particolare diffusi e discreti, esistenti qui in
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maggiore e là in minore misura, e talvolta anche
assenti,corrispondenti a quei punti di vista
unilateralmente posti in luce, in un quadro
concettuale in sé unitario. Nella sua purezza
concettuale questo quadro non può mai essere
rintracciato empiricamente nella realtà; esso è
un’utopia».
La duplice funzione del tipo ideale:
(1) euristica
(2) espositiva
Quando il “tipo ideale” esaurisce le sue
funzioni?
Quando le «le connessioni che appaiono motivate
in maniera plausibile alla nostra fantasia» non
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risultino anche «”oggettivamente possibili, cioè
adeguate nei confronti del nostro sapere
nomologico».
La realtà sociale, per sua natura, appare
difficilmente imbrigliabile in uno schema astratto;
il numero e la qualità delle discrepanze tra quanto
stabilito in una dimensione tipico-ideale e quanto
invece accade nella realtà, costituiscono un criterio
di valutazione della funzionalità dello strumento
concettuale “tipico-ideale”.
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La questione dei valori in Weber
1. No al giudizio di valore e alla «profezia
professorale»;
2. Si alle «idee di valore» (non ammissibilità, ma
inevitabilità);
3. No all’attribuzione «oggettiva», impersonale, di
rilevanza ai fenomeni culturali;
4. No al primato della «materia» sulle «idee di
valore» (impossibilità di una validazione empirica
delle «idee di valore»;
5. No all’oggettività delle premesse conoscitive,
ma si all’oggettività delle conclusioni.
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Il significato della nozione di «avalutatività»
«Di tutti i tipi di profezia la profezia professorale…
è la sola realmente insopportabile. È una situazione
senza confronto quella di numerosi profeti
accreditati dallo Stato, i quali non predicano per le
strade o nelle chiese…, oppure, privatamente, in
conventicole personalmente scelte che si dichiarano
tali, ma si permettono invece di esprimere “in nome
della scienza”, nella quiete che si suppone
oggettiva, ma che è poi incontrollabile, priva di
discussione, e soprattutto protetta da ogni
contraddittorio, di un’aula accademica privilegiata
dallo Stato, delle decisioni direttive su questioni di
intuizioni del mondo».
La profezia professorale «non può abusare della
situazione di costrizione esistente per lo studente
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[lo stato di subalternità]… per istillargli insieme a
ciò di cui egli [lo studente] ha bisogno… anche, in
forma protetta da ogni contraddizione, la propria
cosiddetta intuizione del mondo, per quanto
interessante essa possa talvolta risultare (mentre
sovente è a buon diritto indifferente)…
Il professore non deve avanzare la pretesa di recare
nel suo zaino, in quanto professore, il bastone di
maresciallo dell’uomo di Stato…, come egli fa
quando utilizza la protezione della cattedra per
esprimere il suo sentimento di uomo di Stato».
La connessione di tutti gli individui storici con
«idee di valore»
«Noi siamo esseri culturali, dotati della capacità e
volontà di assumere… posizione nei confronti del
mondo… . Ciò ci condurrà a valutare nella vita
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determinati fenomeni della coesistenza umana… e
ad assumere nei loro confronti una posizione
(positiva o negativa) … . Quale che sia il contenuto
di tale presa di posizione, questi fenomeni hanno
per noi un significato culturale, e su questo
significato soltanto poggia il loro interesse
scientifico. Allorché si è qui parlato… del
condizionamento della conoscenza della cultura da
parte di idee di valore, non si è però voluto aprire il
cammino a fraintendimenti… come quello
rappresentato dall’opinione che debba essere
attribuito significato culturale soltanto ai fenomeni
forniti di valore. La prostituzione è un fenomeno
culturale al pari della religione o del denaro; e tutti
e tre lo sono in quanto e solamente in quanto, e
nella misura in cui, la loro esistenza e la forma che
storicamente assumono tocchino, direttamente o
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indirettamente, i nostri interessi culturali, ed in
quanto essi suscitino il nostro impulso conoscitivo
sotto punti di vista orientati in base a idee di valore,
le quali rendono per noi significativo il settore di
realtà pensato in quei concetti».
«Sebbene sempre ricorra l’opinione che sia
possibile “assumere dalla materia stessa” quei punti
di vista, ciò deriva dall’illusione ingenua dello
specialista, il quale non riflette che egli ha
dapprima isolato, in virtù delle idee di valore con
cui si è inconsapevolmente accostato alla materia
un ristretto elemento di una assoluta infinità come
quello che solo lo riguarda per la sua trattazione».
«Egli [lo studioso] deve imparare a riflettere i
processi della realtà – consapevolmente o
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inconsapevolmente – a “valori culturali” …, e
quindi a porre in luce le connessioni che sono per
noi significative».
«Questa scelta di singole parti… ha luogo sempre e
ovunque, in forma sia consapevole sia
inconsapevole…».
«Quelle idee di valore sono, fuori da ogni
questione, “soggettive”. …Da ciò non discende
ovviamente che la ricerca delle scienze della
cultura possa dar luogo soltanto a prodotti i quali
siano “soggettivi” nel senso che valgono per l’uno
e non per l’altro. Ciò che cambia è piuttosto il
grado in cui interessano l’uno e non l’altro. In altri
termini, ciò che diventa oggetto dell’indagine, ed in
quale misura questa si estenda nell’infinità delle
connessioni causali, è determinato soltanto dalle
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idee di valore che dirigono il ricercatore e la sua
epoca; nel “come?” vale a dire nel metodo della
ricerca,… il punto di vista a cui si ispira è
determinante per l’elaborazione degli strumenti
concettuali che egli impiega – mentre nel modo
della loro applicazione il ricercatore è di certo
vincolato, qui come ovunque, alle norme del nostro
pensiero. Poiché verità scientifica è soltanto ciò che
esige di valere per tutti coloro che vogliono la
verità».
«Nel campo delle scienze sociali…, la possibilità di
una conoscenza fornita di senso… appare vincolata
al costante impiego di punti di vista di carattere
specifico, i quali da parte loro possono essere
empiricamente constatati e vissuti …, ma non già
fondati validamente in base al materiale empirico.
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L’”oggettività” della conoscenza sociale dipende
piuttosto da questo, che il dato empirico è
continuamente indirizzato in vista di quelle idee di
valore che sole gli forniscono un valore conoscitivo
…, ma tuttavia non diventa mai piedistallo per la
prova, empiricamente impossibile, della loro
validità. E la fede, che sempre è in qualche forma
presente in noi, nella validità sovraempirica delle
ultime e supreme idee di valore, non esclude ma
reca in sé l’incessante mutabilità dei punti di vista
concreti da cui la realtà empirica deriva un
significato».