Post on 31-Mar-2016
description
In uscita il 29/7/2014 (15,70 euro)
Versione ebook in uscita tra fine agosto e inizio settembre 2014 (3,99 euro)
AVVISO
Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita.
La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi
preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione
dell’anteprima su questo portale.
La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.
MATTEO ASTONE
LA BAMBINA
DIETRO ALLO SPECCHIO
www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com
www.quellidized.it
www.facebook.com/groups/quellidized/
LA BAMBINA DIETRO ALLO SPECCHIO Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni
ISBN: 978-88-6307-757-5
Immagini interne e in copertina:
illustrazioni di Loredana Re David
Prima edizione Luglio 2014 Stampato da
Logo srl Borgoricco – Padova
A tutti i bambini della casa famiglia IN-CON-TRA,
che mi hanno ricordato quanto è bello ascoltare una
storia
anche quando non si è più tanto piccoli…
A tutti i bambini nell’anima.
A chi di fronte a un sasso, una nuvola,
un sorriso, un tramonto sa ancora meravigliarsi.
A chi non riesce a capire
come il mare possa essere così grande.
A chi non ricorda più
come si fanno tutte queste cose…
Ma vorrebbe tornare a farle.
Sono nata oggi
E cosa c’era ieri non lo so.
Sono nata oggi
E non so dire ancora che farò.
Se sarò una stella gigante
O un puntino nel cielo
Ma so di sicuro che senza amore
Non vivrò.
“Il più grande motore”
Zecchino d’Oro 1991
7
IO SONO UN VAGABONDO
C’era una volta un piccolo villaggio alle soglie del bosco,
non molto distante dal mare. C’erano poche, semplici case
e la vita scorreva tranquilla e leggera, come l’acqua che
sgorga da una fontanella di campagna. Poi c’era un castel-
lo, come quelli delle fiabe, ma non proprio come quelli del-
le fiabe. Ci vivevano un re e una regina, ma avrò tempo più
tardi per raccontarvi meglio del castello e della sua storia.
Io ci sono stato, ed è stato un tempo bellissimo.
Mi piacerebbe molto tornarci, ma la mia strada mi ha ormai
portato lontano da quel villaggio. Non è però lontano dai
miei pensieri, perché c’è qualcosa di più, qualcosa che non
riesco a descrivere, che lo rende unico. E io, nella mia lun-
ga vita, ho visto così tanti posti diversi che le dita di un
millepiedi non basterebbero a contarli. Sicuramente ha a
che fare con la sorgente che luccica ai margini del bosco,
dove la stradina del paese comincia a sparire sotto le fronde
degli alberi.
8
Io sono un vagabondo. Non mi fermo mai molto tempo in
un posto, ma così visito un mare di paesi diversi. Ma questo
angolo di mondo mi è rimasto nel cuore più di ogni altro,
per questo voglio raccontarvelo. Vi racconterò ogni partico-
lare che la mia mente riuscirà a ricordare. Vi racconterò le
persone che ho conosciuto. Vi racconterò i sussulti del mio
cuore, le lacrime dei miei occhi, i sorrisi della mia bocca.
Vi racconterò quello che altri mi hanno raccontato. Vi rac-
conterò quello che ho sentito nel profondo di me.
Racconterò per non dimenticare e perché le emozioni che
ho provato continuino a vivere dentro di me… e dentro di
voi.
Non ha importanza come io sia giunto in quel villaggio o
perché io mi sia fermato lì per qualche tempo. Diciamo so-
lo che… era sulla mia strada. Quando qualcosa è sulla no-
stra strada, sono molte le cose che possiamo fare. Possiamo
fermarci, girare le spalle e tornare indietro. Possiamo devia-
re, passare oltre facendo finta di niente. O possiamo chiu-
dere gli occhi un istante, poi riaprirli e continuare a cammi-
nare dritti davanti a noi… sulla nostra strada.
È così che feci quando il sentiero di sassi su cui strascicavo
le mie scarpe stanche e impolverate s’infilò fra un pugno di
casette, abbracciate poco più in là dai primi, giovani alberi
del bosco. Le foglie più alte erano arrossite dallo stupore,
9
nell’ammirare un nuovo saluto del sole, che rosso dalla
stanchezza andava a coricarsi a ovest.
Alzai lo sguardo anch’io, e il vento fresco dell’inverno in
arrivo mi accarezzò e mi schiaffeggiò. Il viaggio era stato
lungo ed ero molto stanco, ma il benvenuto del vento mi
fece subito sentire a casa.
Poco più avanti, dove il sentiero diventava una stradina più
battuta, vidi un cartello di legno piantato dietro a una gros-
sa roccia, ai margini della strada. Il tutto mi sembrò il corpo
di un elefante ciccione appisolato sulla soglia del villaggio,
ma con ancora la forza di alzare la sua proboscide per ac-
cogliere un nuovo visitatore. Lo salutai con un sorriso e mi
avvicinai per leggere l’incisione sul cartello.
Dopo qualche passo, un lampo di luce arancione mi colpì
gli occhi, accecandomi per un istante. Quando si ripresero,
il passo successivo, capii da dove era venuta la luce. C’era
un frammento di qualcosa attaccato sulla piccola insegna di
legno, in parte. Ora si mostrava di un celeste argenteo, ma
sul momento ancora non capii cosa fosse.
Raggiunsi l’elefante di pietra e gli accarezzai lentamente la
schiena. Il palmo ruvido della mia mano grattava sulla sua
superficie liscia. E vidi il pezzo di vetro che mi aveva sor-
preso da lontano riflettendo la luce del sole. Vi avvicinai il
volto per osservarlo più da vicino e feci un piccolo balzo
all’indietro dalla sorpresa e dalla paura.
10
Posai a terra il bastone che porto sempre sulla spalla, con la
mia vecchia sacca appesa a un’estremità. Emisi un respiro e
tornai a guardare. C’era il viso di uno sconosciuto, bruciato
dal sole e dal tempo, con gli occhi stanchi e la fronte appe-
na rigata di sudore, i lunghi capelli sporchi e spettinati che
si agitavano scomposti nel vento.
Ero io. Non ricordo l’ultima volta, prima di quella, in cui
mi era capitato di guardare la mia immagine riflessa in uno
specchio; nella vita da vagabondo non capita spesso di in-
contrare degli specchi lungo il cammino.
Distolsi lo sguardo da quel viso consumato dal vento e lessi
l’incisione sul legno. Ero curioso di conoscere il nome del
villaggio in cui la mia strada mi aveva condotto. Rimasi
quasi deluso. Il cartello diceva solo: Villaggio.
Accarezzai un’altra volta l’elefante, mi ricaricai sulla spalla
il bastone con il mio bagaglio e passai oltre, chiedendomi
cosa potesse significare.
Forse aveva visto la mia espressione sorpresa l’uomo che
mi si affiancò sulla stradina, venendo dal braccio di bosco
non lontano sulla sinistra.
«Un nome che stupisce molti» disse. «Ma capirai, se avrai
il piacere di fermarti un po’ nel nostro paese.»
«Villaggio…» mormorai quasi senza accorgermene, pensie-
roso.
11
«Non proprio» mi corresse l’uomo sorridendo. «Il fram-
mento di vetro a fianco al nome non è messo a caso. Vil-
laggio dello Specchio; è qui che ti trovi.»
Le mie labbra aprirono una fessura, ma non ne uscì alcun
suono.
«Vuoi sapere perché dello specchio» mi lesse nel pensiero.
Annuii.
«Lo capirai presto. Alcuni dicono che è magia, ma nessuno
lo sa davvero. Io è da una vita che sono in questo villaggio,
ma lo specchio non ha ancora cessato di sorprendermi.»
Rimasi a guardarlo ammirato, senza capire le sue parole.
Ma non chiesi nulla; i miei lunghi viaggi mi hanno insegna-
to che bisogna saper aspettare. Un ruscello d’acqua gelida e
limpida è un dono molto più prezioso se arriva dopo ore di
cammino sotto il sole.
L’uomo mi sorrise di nuovo e con un cenno mi invitò a se-
guirlo.
«È da molto che sei in viaggio?» mi chiese.
«Da una vita» risposi. Ed era la verità.
«Ma non è molto che ho lasciato l’ultimo centro abitato.
Sono tre giorni di cammino» aggiunsi.
«Ti tratterrai molto qua?»
«Qualche giorno al massimo.»
Questa non era la verità, ma non potevo saperlo allora.
12
Poco prima che la stradina curvasse verso il centro del pae-
se, nasceva un piccolo sentiero di terra battuta che si diri-
geva lento verso il bosco. L’uomo lo imboccò e io lo se-
guii.
Presto giungemmo a una vecchia staccionata di legno. Die-
tro alla staccionata c’era un orticello ben curato, con picco-
le aiole fiorite e i frutti della stagione.
«Questo è il nostro orticello» mi spiegò l’uomo guardando
oltre alla staccionata, «mio e di mia moglie. Il nostro lavoro
ci dà quasi tutto quello che ci serve per vivere. Vieni, ti
mostro la nostra casa.»
Eravamo ormai ai piedi del bosco, e le sue braccia ci ave-
vano già avvolti in un’atmosfera fresca e ombrosa. Non
immaginavo certo di trovare una casa laggiù, se non forse
uno di quei piccoli rifugi per la legna che sembrano casette
degli gnomi.
Costeggiammo la staccionata alla nostra destra e cammi-
nammo qualche altro minuto lungo il sentiero, ora sempre
più stretto e coperto di aghi di pino e di foglie cadute
dell’autunno. Il bosco era una coperta sopra di noi; lì sotto
sembrava che il sole fosse già tramontato da un pezzo.
Solo quando il sentiero si aprì in una minuscola radura fra
gli alberi, l’uomo parlò di nuovo.
«Questa è la nostra casa.»
13
Indicò una vecchia costruzione di legno, piccola come una
casetta degli gnomi ma carina e accogliente come una baita
di montagna. La porta ad arco, di legno scuro, era socchiu-
sa, e sopra di essa due finestrelle sorridevano come occhi al
nuovo arrivato, salutando con i loro balconcini aperti che
ondeggiavano appena al vento della sera.
«E questa è mia moglie.»
Incantato a guardare la casetta, non mi ero accorto della
donna che stava stendendo un panno ai margini della radu-
ra, su un filo teso fra il tronco di un albero e un palo pianta-
to qualche metro più in là.
«Benvenuto nella nostra casa» mi salutò.
«Grazie, tuo marito è stato già fin troppo gentile.»
L’uomo fece un gesto con la mano come a dire che non a-
veva fatto niente di che, quindi si rivolse alla donna.
«È un viaggiatore, è appena giunto nel nostro villaggio, al
tramonto.»
Il tramonto… pensai, rivedendo con gli occhi della mente
la palla rossa del sole che mi aveva accolto sulla strada.
Guardai a ovest, all’orizzonte, ma nel cielo fra gli alberi
non era rimasto che qualche debole spennellata di arancio-
ne. Il sole per oggi ha chiuso il suo spettacolo, riflettei con
una vena di nostalgia. Ma lo ripeterà domani, basterà atten-
derlo.
14
«Sono un vagabondo» dissi. « È così che mi chiamano di
solito ed è così che mi piace definirmi.»
«Sai una cosa?» l’uomo guardò me, poi sua moglie. «Non
ci siamo ancora presentati.»
«È vero» risposi. «Ma credo che possiamo rimediare.»
Dissi loro il mio nome e mi disposi ad ascoltare i loro, ma
non mi sarei mai aspettato una sorpresa quale quella che mi
colpì.
«Io mi chiamo Gioacchino» si presentò l’uomo tendendomi
la mano.
Gli porsi la mia, e stringendomela continuò:
«Ti accolgo come re di Villaggio dello Specchio. Benvenu-
to nel nostro paese, e che tu possa passare un periodo sere-
no qui da noi.»
Per un attimo rimasi imbambolato. Re? Stava scherzando?
Lo guardai negli occhi e… no, quella era la verità. Ho in-
contrato persone di tutti i tipi nella mia vita di viaggi e par-
lato con molte di loro, e capisco al volo se il cuore di chi mi
parla è sincero. E il cuore di Gioacchino era sincero.
Tuttavia non avevo mai fatto conoscenza con un re e restai
con gli occhi fissi e la bocca aperta, quasi spaventato. Co-
me ci si comporta con un re? Accennai un inchino, incerto.
Gioacchino si mise a ridere e lasciò cadere la sua mano sul-
la mia spalla. Ma la sua era una risata amichevole, che can-
cellò all’istante ogni mio disagio.
15
«Oh, lascia stare queste cose! Un inchino?!» mi scosse dol-
cemente la spalla e rise di nuovo. «Queste sono cose per i
re cattivi delle fiabe, non per noi! Io voglio solo essere a-
mico. Sono l’uomo che hai incontrato sulla tua strada ap-
pena sei arrivato al villaggio, niente di più. Solo che ho il
compito di governare questo paese, di cercare il bene per i
suoi abitanti, con il loro aiuto. Questo è un re, e mi sembra-
va giusto dirtelo. Assieme alla mia regina, e regina del vil-
laggio: mia moglie Anna.»
Stavolta fu Anna a dedicarmi un inchino e io non potei far
altro che sorridere, piacevolmente sorpreso. Gioacchino
scoppiò a ridere e un secondo dopo eravamo in tre.
Fu così che conobbi il re e la regina di Villaggio dello
Specchio.
«Dove passerai la notte?» mi domandò Gioacchino. «Se hai
bisogno…»
Non sentii subito la sua domanda; ero perso nei miei pen-
sieri. Un re e una regina che vivono in una catapecchia di
legno come questa, bah, riflettevo, un re e una regina che
lavorano la terra in un orticello, come gli altri abitanti del
paese, i loro… sudditi. Per quel che ne sapevo io, forse più
dalle fiabe e dalle storie passate di bocca in bocca, i re sta-
vano seduti sui troni, i re comandavano, i re decidevano co-
sa gli altri dovevano fare, che diamine! Eppure da quando
16
avevo incontrato il re di Villaggio dello Specchio, sentivo
nel cuore un battito positivo e confortante. Forse sono gli
altri che sono sbagliati, ma Gioacchino… Gioacchino è un
re vero, è questo che sentivo nel cuore.
«Se non hai un posto dove andare a dormire, noi…» ripeté
lui, vedendo che non rispondevo.
Mi riscossi dai miei pensieri, scusandomi, e risposi:
«No, questo no. Io sono un vagabondo, ve l’ho detto, e
dormo dove la natura mi offre un giaciglio. Non ho bisogno
di molto.»
«Solo…» disse Anna sorridendo «non penserai che il no-
stro villaggio non sia ospitale?»
«Sono appena arrivato e so già che questo è un paese fanta-
stico. Non potrebbe essere altrimenti, con un re e una regi-
na come voi.»
«Grazie, sei troppo gentile» mi rispose Anna.
Gioacchino invece mormorò qualcosa, lo sguardo sospeso
verso le cime degli alberi.
«Un posto fantastico…»
Vidi un’ombra nei suoi occhi, qualcosa che non avevo no-
tato prima e che mi stupì. Calò il silenzio per qualche istan-
te, colorato appena dal fruscio delle foglie degli alberi che
oscillavano al vento. Ma l’alone di tristezza sul volto di
Gioacchino non andò via.
17
Lo guardai profondamente e lui abbassò lo sguardo su di
me. Non ci fu bisogno di parole.
«Vieni» disse parlando lentamente con voce più profonda
della sua. «Ti mostrerò il cuore vivo di Villaggio dello
Specchio, un cuore meraviglioso e terribile, e capirai molte
cose…»
Partì, e prima di seguirlo io mi voltai un attimo indietro,
verso Anna, per salutarla e ringraziarla con lo sguardo.
All’angolo di un occhio della donna si era affacciata una
lacrima.
La casetta di legno era accoccolata sul nascere della parte
più fitta del bosco. Infatti, spostandoci sul retro per imboc-
care un altro sentiero, percepii il veloce diminuire della lu-
ce. L’inizio del sentiero era quasi invisibile; una galleria
naturale si apriva fra i rami degli alti pini e le piante cariche
di piccoli frutti rossi. Lì il buio era già quasi quello della
notte.
Mi infilai fra le fronde al seguito di Gioacchino, che si
muoveva con agilità fra le fitte ombre del bosco, scaval-
cando con naturalezza pietre e radici affioranti. Io non co-
noscevo la strada come la conosceva lui, ma sono abituato
a ogni genere di cammino e non mi fu difficile seguirlo.
Presto il sentiero si aprì in una radura, molto più grande di
quella in cui sorgeva la casa del re e della regina del villag-
18
gio. Era incredibilmente luminosa, sebbene fosse ormai se-
ra, il tramonto ormai dimenticato sotto l’orizzonte. Sem-
brava che la luce giungesse dal sottobosco tutt’intorno, e
fosse magicamente riflessa in tutta la radura con una delica-
tezza rosea quasi irreale.
E al centro il cuore pulsante di Villaggio dello Specchio.
Gioacchino mi posò una mano sulla spalla, e in quel mo-
mento dimenticai che era un re; in quel momento era un
amico che aveva bisogno di qualcuno che gli stesse vicino.
«La sorgente» mormorò. «Ha molti altri nomi; se rimarrai
fra noi per qualche tempo, li conoscerai. È lei che dà il no-
me al nostro villaggio.»
Senza che me lo dicesse, seppi che avrei dovuto aspettare
prima di capirne il perché.
Nel fulcro dei riflessi rosei librati nell’aria della radura si
apriva uno specchio d’acqua. La superficie era chiara, come
fosse bagnata dalla luce dell’alba, lucente e… misteriosa.
In un angolo era ormeggiata una barchetta di legno.
Un brivido mi percorse il corpo. Ancora non capivo come
quella sorgente fosse il cuore vivo del paese, ma sentivo già
con una sicurezza inspiegabile che era vero.
Gioacchino cominciò a parlare all’improvviso, come in un
sogno.
«Io e mia moglie Anna avevamo una figlia.»
19
Mi voltai verso di lui e vidi che le sue guance erano già ri-
gate dalle prime lacrime. Sapevo che eravamo andati alla
sorgente per questo.
«Stella. Era la principessa del villaggio. Ma prima di tutto
era la gioia dei nostri cuori.»
Ci fu una lunga pausa di silenzio. Tornai a guardare le pla-
cide acque della sorgente e aspettai. Stava cercando la forza
per continuare.
«Ma molti anni fa… o pochi… - il tempo si è sfocato nella
mia testa - Stella è sparita.»
Mi salivano alla mente una marea di domande, ma temevo
di ferire il suo ricordo e il suo dolore, ancora vivi più che
mai. Così tacqui.
«Aveva poco più di un anno.»
Si passò due dita sull’angolo di un occhio per asciugarsi le
lacrime e continuò: «Da allora non si è più saputo niente di
Stella, e Anna e io viviamo come a metà.»
Alzò lo sguardo verso l’alto, dove cominciavano a spuntare
le prime stelle della notte. Le sue lacrime brillarono nella
luce misteriosa che bagnava la radura della sorgente.
«Stella…» bisbigliò in un sussurro così dolce che mi fece
commuovere. Pareva scrutare le stelle come se sua figlia
fosse una di loro.
Forse era così.
20
Quando Gioacchino tornò a posare lo sguardo su di me,
lesse tutte le domande inespresse che vorticavano nei miei
occhi e si sforzò di rispondere.
«È stata rapita? È stata uccisa? Non lo sappiamo. L’unica
cosa che ci è rimasta di lei è la voce della sorgente.»
Avanzò lentamente fino al ciglio dello specchio d’acqua,
facendo scricchiolare i lucenti sassi bianchi sotto i sandali.
«Vieni, guarda» mi invitò.
Mi avvicinai leggero, sospeso nell’alone di mistero e sacra-
lità che ispirava la sorgente.
La superficie dell’acqua davanti ai miei piedi ondeggiò
dolcemente. Lungo le lievi increspature scivolò un soffio di
quella magica luce rosata, poi l’acqua si fece piatta e si ve-
stì di turchese. Sentii fremere tutto intorno a me, e osservai
meravigliato i nastri di luce che presero a vorticare lenti
nell’azzurro dell’acqua, disegnando figure evanescenti che
i miei occhi non riuscivano ad afferrare.
Poi la sorgente parlò.
I segni tracciati dalla luce divennero lettere, parole, diven-
nero la voce incantata della sorgente che mai dimenticherò.
Brilla una stella nella notte
ma la notte la rubò
È nata in una lacrima
che la notte spegnerà
21
Aspettate l’azzurra stella
che sorge all’alba della luna
e di essere
non ha paura
Fra mille stelle uguali
diversa la troverai
se oltre il riflesso
saprai leggere l’amore
«Cosa significa?» chiesi a Gioacchino, staccando a fatica lo
sguardo dalla sorgente.
«Non lo sappiamo. Ma ogni mattina, quando mi sveglio,
sento queste parole risuonare nella mia mente. E ogni sera,
prima di addormentarmi, penso che possano avere un sen-
so, che possano dare una speranza.»
Le parole di Gioacchino riecheggiavano ancora nel mio
cuore quando quella sera mi coricai sotto a un albero, al li-
mitare del bosco, sul letto di foglie colorate d’autunno che
mi fece da materasso. Mi addormentai con un sorriso tinto
di malinconia, e con quel sorriso mi sorprese l’alba di un
nuovo giorno, il primo dei tanti che avrei passato al villag-
gio.
22
Così è iniziata la mia avventura a Villaggio dello Specchio.
Il paese mi aveva affascinato e rapito fin dal primo incon-
tro, e la nascosta magia della sorgente aveva lasciato un
seme dentro di me, una piccola traccia che prometteva un
germoglio nuovo e affascinante. Perciò non me ne andai
subito, com’era mia intenzione e mia abitudine. Ogni gior-
no coltivavo questo germoglio e scoprivo qualcosa di più
del mistero della sorgente. Capii perché dava il nome al vil-
laggio, capii l’importanza che aveva per Anna e Gioacchi-
no, ne intuii la bellezza e il pericolo.
Così il tempo scorreva, lento e veloce, e la mia anima di
vagabondo dovette fermarsi a riposare per un po’.
Poi arrivò la zingarella… e tutto cambiò.
23
LA ZINGARELLA
Due code sbarazzine, qualche filo di fieno che spunta fra i
capelli castani, due nastrini colorati, uno azzurro e uno gial-
lo, ingarbugliati in due buffi fiocchi. Un vestitino color del-
la terra, con tanti fiorellini, ma che forse una volta era di un
arancio brillante come il sole. Due sandaletti bianchi, color
dei sassi della strada.
È così che me la ricordo, è così che apparve un tardo pome-
riggio a fianco all’elefante di pietra. L’elefante la salutò
con la sua proboscide alzata, offrendole un frammento di
vetro in cui avrebbe potuto specchiarsi per sistemarsi un
po’ i capelli arruffati che giocherellavano come un muc-
chietto di paglia al vento. Ma la bambina non lo fece.
Avanzò lenta, guardandosi intorno spaesata. Si voltò indie-
tro, osservando i suoi ultimi passi e poi lasciando scivolare
gli occhi lontano, dove il sentiero si perdeva nel ricordo di
una bambina che qualche tempo prima era passata di lì. Il
suo viso limpido e fresco era dipinto dei colori che potreb-
24
be avere una contadinella dopo un pomeriggio passato a
giocare in campagna, correndo su e giù per i fossati e roto-
landosi nell’erba. E c’era una macchiolina color caffelatte
sul monticello di una guancia, che le dava una tenera e-
spressione giocosa. Lei odiava quella macchia sul suo viso,
ma secondo me la rendeva ancora più bella.
Prima che la strada raggiungesse la più vicina abitazione
del villaggio, la bambina abbandonò la via e s’incamminò
verso il bosco. Era da molto che vagava da sola, e forse
l’idea di incontrare la gente del paese la intimoriva. Inol-
trandosi fra gli alberi, la leggera aria di malinconia che
l’accompagnava lasciò il posto a un accenno di sorriso,
come se stesse entrando in casa sua anziché in un luogo
sconosciuto.
«E quella chi è?»
«Che ci fa qui una bambina da sola?»
«E tutta sporca e trasandata. Io mi vergognerei con una fi-
glia così.»
«Una forestiera. Di sicuro.»
«Ci mancava solo la zingarella!»
La bambina non se n’era accorta, ma c’era qualcuno dietro
a quelle prime case fra le quali s’infilava la strada che ave-
va appena abbandonato. E loro l’avevano notata. Si sporse-
ro oltre il muro di una casa e la squadrarono da capo a piedi
25
mentre si allontanava verso il bosco. Un commento antipa-
tico dopo l’altro se la raccontarono, contenti di aver trovato
quello che giudicarono un buon argomento di cui spettego-
lare.
Contenti ma non del tutto soddisfatti. Dopo tutto l’avevano
solo vista da distante, la zingarella, e solo per qualche mi-
nuto prima che sparisse fra le fronde del bosco. Poi un si-
gnore del gruppetto, con un brutto cappello nero, ebbe
un’idea che parve agli altri una pensata eccezionale. Si
complimentarono con lui e non persero un secondo di più.
«Che vergogna» fu l’ultimo commento di uno sguardo che
strisciava verso il bosco, lì dove era appena scomparsa la
zingarella.
La bambina camminò finché non arrivò alla sorgente che
conosciamo bene, o quasi, e lì c’era un uomo e non era so-
lo, ma stavolta la bambina non sembrò per nulla intimorita.
L’uomo sembrava vestito di stracci e sulla sponda dello
specchio d’acqua sembrava parlare con delle macchioline
marroni che si muovevano davanti a lui. Al suo fianco, po-
sata sui sassi bianchi della sorgente, c’era una vecchia sca-
tola di legno.
La bambina rallentò appena il passo, continuando ad avvi-
cinarsi. L’uomo non si era accorto di lei e lei ora poteva
vedere bene che era davvero vestito di stracci. Le vecchie
26
pezze sbrindellate, di colori diversi, erano attaccate insieme
come dalla mano di un bambino maldestro, a formare un
paio di pantaloni e una specie di giaccone che gli ricadeva
da un lato. La bambina era ora abbastanza vicina da capire
anche cosa fossero quelle macchie marroni che saltellavano
attorno all’uomo. Lui stava davvero parlando con loro. E le
macchie erano scoiattoli, che si rincorrevano, si scavalca-
vano e agitavano concitati le loro folte code.
La bambina si fermò con la bocca spalancata in un sorriso
di stupore. L’unica cosa che desiderava in quel momento
era accarezzare uno di quei meravigliosi scoiattoli. Fece
qualche altro passo avanti, ma era ancora nell’ombra degli
ultimi alberi prima dell’inizio della radura quando si arrestò
di botto spaventata. L’uomo aveva lanciato il braccio
all’indietro con uno scatto improvviso, facendosi ricadere
pesantemente la mano sul sedere. Poi era tornato a chiac-
chierare con i suoi piccoli amici, come nulla fosse. Gli
scoiattoli, sebbene molto più vicini della bambina, si erano
spaventati molto meno di lei, facendo solo un saltello indie-
tro per poi tornare immediatamente attorno all’uomo.
Un respiro e un passo avanti; così le avevano insegnato una
volta non si ricordava chi. Prese coraggio, scostò un ramo
ed entrò nella radura, muovendo qualche timoroso passo
verso lo sconosciuto. Gli scoiattoli furono i primi ad accor-
gersi della sua presenza. Alzarono i musi incuriositi e pun-
27
tarono gli occhi sulla nuova arrivata. Tutto parve congelarsi
per un istante. Poi la bambina mosse un altro passo e gli
scoiattoli schizzarono via veloci come il vento, scomparen-
do nella vegetazione ai margini della radura. Due secondi
dopo la sorgente era muta e deserta, se non per un singolare
uomo vestito di stracci e una altrettanto strana bambina con
una macchia al caffelatte sulla guancia.
L’uomo si voltò inquieto per capire cosa avesse fatto fuggi-
re i suoi scoiattoli e si stupì nel trovarsi di fronte una picco-
la vagabonda, ferma con le braccia appena sollevate e
l’espressione stranita e sorpresa.
«Hai fatto scappare i miei amici!» la rimproverò offeso.
«Non sei una brava bambina!»
«Scusa, io…» balbettò lei «volevo solo accarezzarli.»
«Chi sei?»
La bambina rimase in silenzio, imbarazzata, non sapendo
bene cosa rispondere.
L’uomo non ci fece caso.
«Vuoi essere mia amica?» le chiese con un grande sorriso
stampato in faccia.
La bambina era sempre più confusa. Lei era ancora piccola,
ma davvero non capiva il comportamento assurdo dello
sconosciuto, che parlava come un bambino più piccolo di
lei.
28
Poi all’improvviso il braccio dell’uomo scattò alle sue spal-
le e ricadde colpendosi il di dietro, come era successo poco
prima davanti agli scoiattoli, quando lei era ancora nascosta
fra gli alberi. La bambina ebbe un sussulto, ma lui parve
non accorgersi di niente.
«Se diventerai mia amica ti farò conoscere i miei amici
ciamociaccioli!»
La bambina lo squadrò con la faccia come un punto inter-
rogativo.
«I miei amici ciamociaccioli! Quelli che hai spaventato.
Non sei stata una brava bambina!»
La piccola abbassò lo sguardo ai suoi piedi, rattristata, mo-
strando quanto davvero le dispiacesse per gli scoiattoli.
«Oh, non importa per i ciamociaccioli!»
Lo sconosciuto si abbassò inclinandosi comicamente da un
lato per incrociare lo sguardo della bambina e le sorrise.
«I ciamociaccioli torneranno. Vengono a trovarmi ogni
giorno. Se vuoi diventare mia amica te li farò conoscere.
Uno per uno, tutti quanti. Secondo me sei una brava bam-
bina.»
La bambina non ci capiva più niente, ma si sentì di abban-
donare le paure che provava verso quell’uomo. Era strano,
di sicuro, ma se fosse stato solo un po’ più piccolo anche
lei avrebbe detto che lui era un bravo bambino.
«Ma ho fatto scappare i tuoi scoiattoli.»
29
«Scappano perché ancora non ti conoscono.»
«Neanche tu mi conosci.»
«No, ma ho già visto che sei una bambina buona. E adesso
ti conosco.»
«Come fai a dirlo?»
«Me l’ha detto il ciuffolo che hai sulla guancia.»
«Ciuffolo?»
«Sì, quella macchiolina al cioccolato. Un ciuffolo!»
La bambina abbassò gli occhi inorridita, cercando di guar-
darsi la guancia. Non riusciva a vedere la macchia al caffe-
latte, ma sapeva che c’era e lei odiava quel suo difetto.
«No, non guardare!» strillò coprendosi il viso con le mani.
« È bruttissima.»
«Invece è proprio bella! Sembra una goccia di cioccolato su
una torta!»
Le parole dell’uomo forse non la convinsero, ma la gioia
sincera e spensierata che emanava da tutto se stesso era tale
che pian piano le mani della bambina scivolarono giù, tor-
nando a mostrare tutta la bellezza del suo viso.
«E cosa ti avrebbe raccontato questa bruttissima macchioli-
na sulla mia guancia?»
«Mi ha raccontato una storia.»
30
Raccolse la scatola di legno che era posata sui sassi bianchi
lungo la sponda della sorgente e la prese sottobraccio,
stringendosela al fianco.
«Un sacco di cose raccontano storie, solo che di solito noi
non le ascoltiamo.»
La bambina era sempre più incuriosita: «Sentiamo questa
storia.»
«C’era una volta una tazza di caffelatte e dentro alla tazza
di caffelatte c’erano un sacco di gocce di caffelatte. Un si-
gnore con un alto cappello nero stava mescolando il suo
caffelatte e le goccioline si divertivano un sacco a girare e
girare in tondo dentro alla tazza.
«Ogni tanto qualche goccia schizzava un po’ più su, così
poteva vedere un pezzo del mondo, che da dentro alla tazza
non si vedeva. Quando la goccia di caffelatte ricadeva giù,
sempre girando e girando, raccontava alle altre del mare
stupendo che si vedeva oltre il bordo della tazza, con le ve-
le colorate delle barche che scivolavano veloci e felici
sull’acqua. Tutte le gocce di caffelatte sognavano così di
riuscire un giorno a tuffarsi nel mare, per nuotare insieme a
tutte le migliaia e milioni e miliardi di gocce dell’acqua del
mare, che le avrebbero portate ad ammirare pesci, alghe e
coralli nelle profondità dell’oceano.
31
32
«Il signore con l’alto cappello nero e con la faccia burbera
mescolava il caffelatte sempre più nervosamente, mentre
leggeva una lettera posata sul tavolo di fianco alla tazza. Le
gocce erano contente perché la giostra era sempre più velo-
ce e sempre più spesso qualcuna di loro riusciva a guardare
il mondo oltre il bordo della tazza. Ma non si accorgevano
del pericolo.
«All’improvviso il brutto signore doveva aver letto qualco-
sa che lo fece molto arrabbiare nella lettera, perché batté un
forte colpo col pugno sul tavolo. La tazza piena di caffelat-
te sussultò e un sacco di gocce fecero il loro salto e videro
il mare oltre la terrazza dello scuro signore che mescolava
il suo caffelatte e leggeva la lettera. Le gocce erano sempre
più contente e strillavano di gioia. Ma davvero non si ac-
corgevano del pericolo.
«Il signore col brutto cappello nero continuò a leggere la
lettera sempre più furioso, finché esplose di rabbia, batté di
nuovo il pugno fortissimo sul tavolo e poi diede uno schiaf-
fone rovescio alla tazza di caffelatte, come se fossero state
tutte quelle simpatiche goccioline di caffelatte a farlo ar-
rabbiare. La tazza volò giù dal tavolo finendo a terra sulla
terrazza e tutte le gocce di caffelatte fecero un lungo schiz-
zo come una fontana, spalmandosi sul pavimento.
«La loro fine è molto triste ed è meglio non raccontarla. Ma
una goccia, una goccia di caffelatte riuscì a fare un salto più
33
grande di tutte le altre e nel suo volo superò il parapetto
della terrazza, volando oltre, sopra la spiaggia che portava a
quel mare stupendo in cui tutte le sue amiche gocce sogna-
vano di tuffarsi. Non avrebbe mai raggiunto il mare per u-
nirsi alle gocce dell’acqua del mare perché era troppo di-
stante. Ma c’era una bambina sulla spiaggia, che correva a
piedi nudi veloce e felice come le vele delle barche in mez-
zo al mare. La goccia di caffelatte volando cominciò a
piangere, perché vide che si sarebbe spalmata sulla sabbia,
facendo una fine triste come le sue amiche sul pavimento
della terrazza. Ma quando ormai la gocciolina aveva chiuso
gli occhi perché fra un istante si sarebbe schiantata sulla
sabbia, la bambina che correva a piedi nudi passò davanti a
lei e la goccia atterrò sul suo viso, disegnando una macchia
al caffelatte sulla guancia della bimba. La bambina non si
accorse di nulla e continuò a correre leggera e veloce e feli-
ce.
«Chissà, forse poi avrebbe odiato quella macchia di caffe-
latte sul suo viso, ma aveva salvato la vita a una piccola
goccia, che ora sulla sua guancia avrebbe potuto visitare il
mondo, ammirarne il mare e il cielo e tutte le sue meravi-
glie.»
«E allora io sono una bambina buona?» chiese la bambina
all’uomo vestito di stracci, affascinata dalla sua storia.
34
«Hai salvato una goccia di caffelatte. E hai un bellissimo
ciuffolo sulla guancia!»
L’uomo fece saettare nuovamente il suo braccio all’indietro
e si sculacciò. La bambina sussultò, ma meno di prima.
Guardò quello sconosciuto, che era tutto fuori che normale,
e non poté evitare di sorridere.
«Chi sei?» le domandò di nuovo lui.
La bambina alzò le spalle e spostò lo sguardo verso il cielo.
«Non lo so.»
Nello specchio di cielo fra le fronde degli alberi che delimi-
tavano la radura, stava sorgendo la luna, e pareva anch’essa
riflettere la luce rosea della sorgente.
«Quanti anni hai?» chiese l’uomo dopo aver gettato solo
un’occhiata fugace al cielo.
«Non lo so.»
«Da dove vieni?»
«Da lì» rispose la bambina indicando semplicemente dietro
di sé, dove era sbucata dal bosco entrando nella radura.
Non aveva risposto a nessuna delle domande dello scono-
sciuto, ma lui non sembrò preoccuparsene.
«Come ti chiami?» le chiese ancora, sorridendo.
La bambina alzò di nuovo le spalle e gli rispose un po’ tri-
ste.
«Non lo so.»
«Io so il mio nome!» replicò lui allargando il suo sorriso.
35
Poi aspettò un istante, forse sperando che la bambina gli
domandasse quale fosse. Ma lei non lo fece.
«Patapà!» esclamò allora lui. «Patapà è il mio nome. Pata-
pà! Non ti piace?»
Alla bambina sfuggì una risatina.
«Oh, sì… è così… strano. Ma carino.»
«Prova a dirlo!»
«Patapà.»
Il sorriso dell’uomo si trasformò in una risata gioiosa, e an-
cora una volta il suo braccio guizzò all’indietro.
«Mi diverte un sacco quando qualcuno dice il mio nome.
Patapà, Patapà!»
«Patapà» ripeté la bambina scoppiando a ridere assieme al-
lo sconosciuto, che per lei non era più uno sconosciuto per-
ché ora sapeva che si chiamava Patapà.
«E tu come ti chiami?» provò di nuovo lui.
«Non lo so, te l’ho detto.»
«Oh, ma ce l’avrai un nome! Il mio è Patapà, e mi piace un
sacco. Tu quando pensi a te come ti chiami?»
«A me piace…» cominciò timidamente la bambina, come
se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato.
«Hai visto che lo sai!»
«A me piace Celeste.»
«Che bel nome! Celeste…»
36
Inclinò la testa da un lato, cercando di assaporare il suono
del nome della bambina.
«Non divertente come Patapà, ma sicuramente bello come
te, dolce come il tuo viso.»
La bambina, che ora non era più una bambina a caso ma era
Celeste, si rasserenò, diventando ancora più bella.
«Dici che mi sta bene?»
«Oh… oh sì. Vuoi diventare mia amica, Celeste? Ti farò
conoscere tutti i miei amici ciamociaccioli!»
«Guardali lì come se la raccontano! Lei e quel fuori di te-
sta!»
«Non deve essere molto normale neanche lei, se si trova
con quel matto.»
«Cosa potevamo aspettarci da una bambinetta che arriva da
sola nel nostro paese? Una zingarella! L’avevo detto io,
l’ho inquadrata subito appena è spuntata nel nostro villag-
gio.»
Il signore con il brutto cappello nero e il resto del gruppetto
che aveva spiato Celeste al suo arrivo al Villaggio dello
Specchio erano lì, a pochi passi da lei e Patapà, nascosti
dietro a un groviglio di piante ai margini della radura. Era
stata quella la pensata eccezionale del brutto signore col
cappello nero: seguire la zingarella, così magari avrebbero
37
trovato qualcos’altro su cui spettegolare. E di meglio non
potevano aspettarsi.
«Non ci bastava un matto in paese! Adesso ha trovato pure
una che ascolta tutte le sue scemenze!»
Celeste e Patapà parlavano, si ascoltavano e ridevano in-
sieme, felici entrambi di aver trovato un amico. Il tempo
passava, il cielo era ormai scuro e lo spicchio di luna era
brillante sopra la sorgente. Ma i due non se ne rendevano
conto e non se ne preoccupavano; non avevano una casa a
cui dover fare ritorno.
E il gruppetto di spioni stava lì, dietro alle foglie. Qualcosa
vedevano, qualcosa sentivano, ma nulla capivano. Ridac-
chiavano e spettegolavano, e a loro bastava.
Fine anteprima.Continua...