Post on 02-May-2015
Inclusione sociale, sviluppo economico e economia sociale
Gorizia, 13 giugno 2008
I temi
Le politiche di welfare: dall’assistenza allo sviluppo economico
Gli esiti delle riforme del welfare
Il problema dei soggetti svantaggiati
Il ruolo dell’economia sociale
Dimensioni, performance e prospettive di sviluppo
Le politiche di welfare: dall’assistenza
allo sviluppo economico
• Fino al 1995 la spesa sociale nei paesi EU 15 variava dal 28% al 35% del Pil
• Il sistema di garanzie sociali assicurava reddito via trasferimenti o assunzioni dirette a circa 1 su 2 elettori adulti
• Le prestazioni erano molto generose • La spesa sociale è collegata alla crescita economica:
l’interruzione della crescita economica a partire dagli anni 80 rende il modello tradizionale di welfare insostenibile
• Pochi lavorano per assicurare le garanzie di tanti• Le risorse sono insufficienti
Trasformare il welfare in fattore di sviluppo economico
• Razionalizzare la spesa• Ridurre la platea degli aventi diritto• Introdurre la prova dei mezzi • Aumentare i tassi di attività e di partecipazione
al lavoro • Sviluppare politiche attive del lavoro• Allentare le garanzie del diritto del lavoro• Favorire un incontro più diretto tra domanda e
offerta
Gli esiti delle riforme del welfare nel settore dell’occupazione
• Secondo Eurostat, a febbraio 2008 il tasso di disoccupazione era pari al 7,1% come nel mese di gennaio. A febbraio 2007 era al 7,6%. Complessivamente positivo il dato dell'Italia, con un tasso di disoccupazione al 6,1% (anche se riferito al quarto trimestre 2007): meglio di Belgio (6,9%), Germania (7,4%), Portogallo (7,5%), Francia (7,8%) e Spagna (9,0%).
Mercati del lavoro duali
• Un mercato primario caratterizzato da migliori garanzie e stabilità occupazionale
• Un mercato secondario caratterizzato da garanzie basse e instabilità occupazionale
Chi fa parte del mercato del lavoro primario?
• Gli adulti
• I dipendenti del pubblico impiego
• I dipendenti con contratto a tempo indeterminato
Chi fa parte del mercato del lavoro secondario?
• I lavoratori precari
• I lavoratori atipici
• I giovani
• Le donne
• Gli immigrati
• I lavoratori in nero
Chi rischia di stare fuori da questi mercati?
• I soggetti svantaggiati
“Lavoratori svantaggiati", indicati all’articolo 2, lett. f), del Regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002
e dal Dlgs 155/2006
• a) i lavoratori che abbiano difficoltà a entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro ai sensi del citato regolamento CE n. 2204, ed in particolare:
• 1. i giovani con meno di 25 anni o che abbiano completato il ciclo formativo da più di due anni, ma non abbiano ancora ottenuto il primo impiego retribuito regolarmente (regolamento CE n. 2204);
• 2. i lavoratori extracomunitari che si spostino all’interno degli Stati membri della Comunità europea alla ricerca di una occupazione (regolamento CE n. 2204);
• 3. i lavoratori, appartenenti alla minoranza etnica di uno Stato membro, che debbano migliorare le loro conoscenze linguistiche, la loro formazione professionale o la loro esperienza lavorativa per incrementare la possibilità di ottenere una occupazione stabile (regolamento CE n. 2204);
• 4. i lavoratori che desiderino intraprendere o riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni, in particolare quei soggetti che abbiano dovuto abbandonare l’attività lavorativa per difficoltà nel conciliare la vita lavorativa e la vita familiare (regolamento CE n. 2204);
• 5. i lavoratori adulti che vivano soli con uno o più figli a carico (regolamento CE n. 2204);
• 6. i lavoratori che siano privi di un titolo di studio, di livello secondario o equivalente, o che abbiano compiuto 50 anni e siano privi di un posto di lavoro o in procinto di perderlo (regolamento CE n. 2204);
• 7. i lavoratori riconosciuti affetti, al momento o in passato, da una dipendenza ai sensi della legislazione nazionale (regolamento CE n. 2204);
• 8. i lavoratori che, dopo essere stati sottoposti a una pena detentiva, non abbiano ancora ottenuto il primo impiego retribuito regolarmente (regolamento CE n. 2204);
• 9. le lavoratrici residenti in una area geografica del livello NUTS II , nella quale il tasso medio di disoccupazione superi il 100% della media comunitaria da almeno due anni civili e nella quale la disoccupazione femminile abbia superato il 150% del tasso di disoccupazione maschile dell’area considerata per almeno due dei tre anni civili precedenti (regolamento CE n. 2204);
• 10. i disoccupati di lunga durata senza lavoro per 12 dei 16 mesi precedenti o per 6 degli 8 mesi precedenti nel caso di persone di meno di 25 anni d’età (regolamento CE n. 2204);
• b) gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico (legge n. 381 del 1991);
• c) i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare (legge n. 381 del 1991);
• d) i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli 47, 47-bis, 47-ter e 48 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificati dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 (legge n. 381 del 1991).
Il problema dei soggetti svantaggiati
• Rappresentano un costo sociale• Diretto se sono finanziate misure assistenziali• Indiretto sulle famiglie se non sono finanziate
misure assistenziali • Sono difficili da agganciare• Sono difficili da tenere • Sono difficili da formare • Sono difficili da piazzare
Come si può fare a portare questi soggetti al lavoro?
• Introdurre incentivi economici per i salari bassi
• Riservare posti per via legislativa
• Introdurre sistemi di incentivazione o sanzionamento alle imprese
• Costruire processi di mediazione e accompagnamento
I problemi
• La competizione sui salari bassi è tra lavoratori precari e giovani
• Le imprese possono preferire di pagare sanzioni piuttosto che inserire persone problematiche
• I servizi di mediazione sono spesso vincolati da carenze di risorse e rigidità burocratiche
• Le imprese richiedono accompagnamento per inserire i lavoratori svantaggiati
Il ruolo dell’economia sociale
• Favorire l’accompagnamento dei processi di inserimento lavorativo
• Favorire la preparazione dei requisiti per l’accesso al lavoro
• Favorire la socializzazione al lavoro
• Flessibilizzare i percorsi di accompagnamento al lavoro
Le dimensioni• Le cooperative sociali di tipo A erano complessivamente 4.345 (160 in FVG)
(il 59% del totale) e le cooperative di tipo B 2.419 (il 32.8%). Si aggiungevano a queste 315 cooperative di tipo misto (il 4.3%) la cui presenza si concentra solo in alcune regioni del paese.
• Nelle regioni centrali, le cooperative di tipo B raggiungono il 43.0% del totale. Nel nord ovest sono pari al 35% e nel nord est al 32,3%. Le regioni meridionali registrano la quota più bassa in assoluto di cooperative sociali di inserimento lavorativo con il 25,6%. Le regioni con il tasso più elevato di cooperative di tipo B sono nell’ordine: il Lazio (con il 45,8%), l’Umbria con il 43,3%, le Marche con il 40,8%, il Friuli Venezia Giulia con il 39,5% e la Toscana con il 39,3%.
• Nel 2005 il valore complessivo della produzione delle cooperative sociali italiane era pari a 6.381.275 euro. Le cooperative di tipo B raccolgono il 21,2% e le miste il 3,4%.
• Il numero degli occupati riflette direttamente la diversa distribuzione delle cooperative di tipo A e di tipo B: nelle cooperative di servizi i dipendenti e i collaboratori sono 176.440 mentre nelle cooperative di inserimento lavorativo essi sono meno di un terzo (54.415).
• Le cooperative di tipo B offrono occupazione a un numero molto elevato di soggetti in condizione di grave svantaggio sociale che avrebbero altrimenti enormi difficoltà a essere inserite nel mercato del lavoro. Le persone svantaggiate inserite in cooperativa erano nel 2005 30.141 con un aumento del 21,7% rispetto al 2003.
• In secondo luogo esse sono l’unica forma di impresa espressamente finalizzata allo scopo del reinserimento lavorativo e sociale di soggetti deboli.
• In terzo luogo, anche se complessivamente minoritaria la cooperazione di inserimento lavorativo è la componente della cooperazione sociale proporzionalmente in fase di maggiore crescita. Tra il 1996 e il 2000 è stato costituito il 34,1 % delle cooperative di tipo B a fronte del 29,2% delle cooperative di tipo A, mentre tra il 2001 e il 2005 sono state fondate il 22% delle cooperative di servizi e il 25,7% di quelle di inserimento lavorativo.
Le caratteristiche
• Piccola dimensione
• Specializzazione in attività ad elevata intensità di lavoro
• Utenti standard (certificati L. 381/91)
• Radicamento territoriale
• Forte legame con gli enti pubblici
Le sfide
• Ampliamento e diversificazione di soggetti svantaggiati
• Le risorse
• La competizione
• La saturazione dei mercati tradizionali
• La dipendenza dagli enti pubblici
• L’integrazione nella rete dei servizi
• L’immagine sociale
Le prospettive
• Necessità di ampliare e differenziare le opportunità di inserimento
• Necessità di ampliare i settori di intervento• Necessità di aumentare la capacità di fare
impresa • Necessità di aumentare la capacità di fare rete • Necessità di aumentare le competenze
manageriali e imprenditoriali • Necessità di rendere visibili e tangibili i risultati
I rischi
• Culture conservative
• Apprendimento superstizioso
• Scarse risorse umane e materiali da investire per innovare
• Le priorità dell’agenda politica
• Difficoltà di immaginare un approccio di insieme