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Politecnico di Torino
Collegio di Architettura
Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il restauro e
valorizzazione del patrimonio esistente
IL DEGRADO DEI MATERIALI LAPIDEI NATURALI:
CONFRONTO FRA SOLUZIONI CONSOLIDANTI E
CONTESTUALIZZAZIONE DEI REQUISITI
L’ANALISI CRITICA DI CASI STUDIO
candidata Martina Avenoso matricola 263195
relatore Prof.ssa Paola Palmero
correlatore Prof.ssa Monica Naretto
1.1.1 Struttura e classificazione dei minerali
..............................................................8
1.1.2 Classificazione e proprietà delle rocce
............................................................10
1.1.3 Estrazione e produzione
..................................................................................13
1.2 IL DEGRADO DEI MATERIALI LAPIDEI NATURALI
...........................................14
1.2.1 Classificazione dei fenomeni di degrado dei materiali lapidei
secondo la
normativa UNI 11182:2006 ed il glossario ICOMOS-ISCS
.........................................15
1.2.2 Il legame tra sollecitazioni ambientali e caratteristiche
intrinseche come cause
del degrado: acqua, idrofilia e porosità
....................................................................24
1.2.3 Pietre compatte e pietre porose: alcuni esempi di meccanismi
di degrado in
marmi, calcari e graniti
.............................................................................................27
1.2.5 L’inquinamento atmosferico e l’influenza delle precipitazioni
nella formazione
di croste nere
...........................................................................................................35
1.2.6 Degrado generato dalla presenza di umidità e
cristallizzazione dei sali ..........49
PARTE SECONDA
..................................................................................................
54
2.1 RESTAURO E FASI PRELIMINARI DI CONOSCENZA DEL MANUFATTO
.................54
2.1.1 Il restauro della pietra come problematica nella sfera della
conservazione e
della valorizzazione dei beni architettonici
..............................................................54
2.1.2 Diagnostica
......................................................................................................62
2.2.1 Pulitura
............................................................................................................67
2.2.4 Prodotti organici con funzione consolidante: innovazione
tecnologica
nell’utilizzo di silicato di etile TEOS
..........................................................................83
2.2.5. Prodotti organici polimerici con funzione consolidante e
protettiva .............94
5
2.2.6 Sostenibilità degli interventi e problematiche connesse
all’uso di solventi ..103
2.2.7 Considerazioni
...............................................................................................106
2.2.8 Analisi critica dell’efficacia, compatibilità e durabilità di
prodotti consolidanti
...............................................................................................................................108
RISPETTO DEI PRINCIPI DEL RESTAURO
..................................................................137
3.1.1 Discussione critica del rapporto fra contributi teorici e
pratici .....................138
3.1.2 Contestualizzazione dei principi del restauro e coerenza nei
trattamenti di
consolidamento......................................................................................................142
3.2 PROPOSTA DI UN INTERVENTO DI CONSOLIDAMENTO
....................................163
3.2.1 Breve inquadramento del caso studio: il Sacro Monte di
Varallo ..................163
3.2.2 La Basilica
......................................................................................................165
3.2.3 Le pietre
........................................................................................................171
RINGRAZIAMENTI
...................................................................................................209
6
INTRODUZIONE L’impiego delle pietre naturali come materiale da
costruzione è diffuso in tutto il mondo,
sin dall’antichità, sia per funzioni strutturali che ornamentali.
In origine, l’utilizzo di pietre
calcaree, arenarie, graniti o marmi era strettamente legato alla
loro disponibilità sul
territorio locale, nonché alla facilità di estrazione e
lavorabilità, senza tenere conto
dell’influenza delle proprietà intrinseche di ciascuna di esse. Con
il passare del tempo e
grazie all’innovazione tecnologica, si ha la possibilità di
caratterizzare e distinguere le
tipologie di pietre in base alla loro origine geologica ed alla
loro natura mineralogica per
ottenere migliori prestazioni ed un impiego più efficiente. Al
giorno d’oggi difficilmente si
utilizza la pietra in blocchi per la realizzazione di strutture
portanti a secco o con malte
d’allettamento, ad esclusione di casi specifici legati ad
architetture rurali e a condizioni
ambientali, paesaggistiche e climatiche ben definite. Molto più
frequente è l’impiego delle
pietre naturali per la realizzazione di finiture, pavimentazioni,
manti di copertura,
rivestimenti, elementi d’arredo o come aggregati per il
confezionamento di malte e
calcestruzzi. Considerando però l’ampia diffusione dei lapidei
naturali, oltre ai laterizi,
come materiali da costruzione impiegati nella maggior parte del
patrimonio edilizio
storico, è fondamentale conoscerne le caratteristiche intrinseche e
le cause dei
meccanismi di degrado cui sono soggetti per la realizzazione di
interventi di conservazione
e restauro coerenti, nel rispetto dei requisiti di compatibilità,
efficacia e durabilità. Nella
Parte prima della tesi si compie un’introduzione teorica rispetto
all’origine, alle
caratteristiche intrinseche e proprietà della pietra, cui si legano
inevitabilmente i
meccanismi di degrado cui è soggetta. Si individua come causa prima
dell’innesco di
fenomeni di degrado, la presenza di acqua; quest’ultima crea
l’ambiente adatto alla
proliferazione di microorganismi ed agenti biodeteriogeni ma è
anche causa della
formazione di incrostazioni superficiali di diversa entità, in
concomitanza con agenti
inquinanti sempre più presenti nell’atmosfera. Inoltre,
l’abbondante presenza d’acqua
sottoforma di umidità, all’interno dei materiali può provocare la
migrazione,
evaporazione e rideposito di sali dannosi per la pietra. Una volta
individuate le cause del
degrado, tramite l’analisi delle sue manifestazioni, è necessario
proporre un intervento di
restauro. Nella Parte seconda si pone molta attenzione alla
definizione di restauro, agli
obiettivi e requisiti richiesti dalle operazioni di diagnostica,
pulitura, protezione e
soprattutto consolidamento. Quando il materiale lapideo naturale
mostra evidenti ed
estese forme di decoesione, disgregazione e disomogeneità
strutturale è necessario
intervenire mediante l’impregnazione profonda di un prodotto
consolidante, in grado di
ristabilire l’equilibrio, la resistenza meccanica e la coesione al
materiale. Nell’ambito
dell’intervento di consolidamento, numerosi sono i prodotti
utilizzati e sperimentati nel
corso dei decenni. Si procede all’analisi di casi studio
bibliografici, riguardanti tre classi di
7
prodotti fra i più utilizzati e documentati nell’intervento di
consolidamento: prodotti
inorganici (idrossido di calcio), metallorganici (silicato di
etile) e polimerici (resine
acriliche) e le rispettive trasformazioni che hanno subito nel
corso dei decenni, grazie
all’innovazione tecnologica e alla ricerca. Si compie una
contestualizzazione dei principi
del restauro attraverso una lettura critica dei casi studio; come è
possibile valutare
l’efficacia, la durabilità e la compatibilità di questi prodotti
con il substrato? Quali sono i
parametri da considerare e quali sono i limiti e le incertezze
ritenute tollerabili? È
opportuno ricordare che nessun materiale naturale o prodotto
artificiale è infinitamente
resistente o esente da invecchiamento e degrado; la scelta del
miglior prodotto
consolidante deve essere guidata dalla necessità di ottenere
l’intervento più efficacie,
compatibile e duraturo possibile. Oltre alla lettura critica di
sperimentazioni dei materiali
consolidanti, nella Parte terza, si considera l’intervento di
consolidamento nel suo
complesso attraverso la definizione dei suoi obiettivi e dei suoi
requisiti. Questo lavoro di
tesi ha, dunque, l’obiettivo di analizzare la complessità del
dibattito attorno al tema del
restauro dei materiali lapidei naturali, sia nell’ambito
teorico-scientifico che pratico
sottolineando proprio il divario che spesso emerge fra questi due
contributi. L’analisi di
casi studio di interventi di consolidamento permette di comprendere
le procedure e le
scelte alla base di un progetto di restauro tenendo presente che
ogni intervento è a sé
stante, influenzato dalla tipologia di materiali utilizzati, dai
fenomeni di degrado coinvolti,
dalle condizioni ambientali cui è esposto il manufatto, dalla
presenza di interventi
precedentemente realizzati. Tutte queste particolarità, però,
devono essere tenute in
conto per il raggiungimento di obiettivi comuni a tutti gli
interventi di restauro
adeguatamente realizzati: efficacia, compatibilità e durabilità.
Nonostante la tesi abbia un
carattere teorico ed analitico, con l’obiettivo di riassumere i
vari e complessi aspetti
trattati, dedica un’ultima parte all’analisi di un caso studio
reale, con una proposta
preliminare di un intervento sulla scalinata d’accesso ed elementi
del basamento
marmoreo della facciata della Basilica dell’Assunta del Sacro Monte
di Varallo Sesia.
8
1.1 I MATERIALI LAPIDEI NATURALI: origine, classificazione,
caratteristiche
1.1.1 Struttura e classificazione dei minerali I materiali lapidei
o pietre naturali si considerano come un agglomerato naturale
formato
da uno o più minerali. Questi ultimi sono dei composti di origine
naturale, solidi,
inorganici1, aventi una composizione chimica ben definita ed una
distribuzione degli atomi
ordinata e regolare chiamata struttura cristallina generata da un
processo geologico.
Questo tipo di struttura è costituita da atomi o molecole legate da
legami chimici forti, a
natura ionica e covalente. La disposizione di questi atomi nello
spazio si ripete ad intervalli
regolari lungo tutte e tre le direzioni, creando una struttura
tridimensionale complessa
definita reticolo cristallino.
Le principali proprietà fisico-meccaniche del minerale sono
dipendenti sia dal legame
chimico (forza e distanza di legame) che dalla struttura
cristallina. Queste caratteristiche,
insieme alla composizione chimica, rendono ciascun minerale
distinguibile dagli altri.
• Le principali proprietà fisiche dei minerali sono: La temperatura
di fusione;
• La densità (kg/m3), cioè il rapporto fra la massa del minerale ed
il suo volume, che
dipende sia dalla distribuzione degli atomi nella struttura che dal
peso atomico
degli atomi costituenti;
• La durezza ovvero la capacità del minerale di resistere
all’abrasione o alla scalfi-
tura. È strettamente dipendente dalla forza dei legami reticolari e
si misura utiliz-
zando scale assolute come la scala Rosiwal, Knoop o vickers,
ottenute tramite test
di laboratorio o tramite una scala empirica come quella di
Mohs2;
• La sfaldabilità cioè la tendenza del minerale a rompersi, in
seguito ad un urto e
ad un’azione meccanica, secondo superfici piane o parallele. A
livello strutturale,
la sfaldatura si verifica nelle direzioni lungo le quali i legami
interatomici sono più
deboli;
• La lucentezza che misura la capacità di un minerale di riflettere
la luce sulla sua
superficie. Questa proprietà dipende dal rapporto fra la quantità
di luce riflessa e
quella che viene rifratta o assorbita dal minerale. Si distingue in
lucentezza me-
tallica e non metallica. In base alla quantità di luce riflessa,
assorbita o rifratta i
minerali si distinguono in: opachi, trasparenti e traslucidi;
1 Inorganico: composto privo di atomi di carbonio; 2 La scala di
Mohs, con valori da 1 a 10, misura la durezza delle pietre in
funzione della possibilità di graffiarsi a vicenda; ad esempio il
talco presenta valore di durezza più basso mentre il diamante
presenta il valore più alto poiché graffia tutti gli altri; (Matteo
GASTALDI, Luca BERTOLINI, Introduzione ai materiali per
l’architettura, Novara: Deagostini, 2011, p.111);
9
• Il colore che è definito dall’assorbimento di varie lunghezze
d’onda fra quelle com-
prese nello spettro della luce bianca;
Numerosissime sono le varietà di minerali presenti in natura,
risulta quindi necessario
ricorrere ad una classificazione elaborata considerando sia la
composizione chimica che
le caratteristiche strutturali dei minerali stessi.
Il gruppo più diffuso di minerali è quello dei silicati, che
compongono circa l’80% dei
materiali della crosta terrestre. Questi minerali sono formati da
atomi di silicio e ossigeno
che si legano chimicamente fra loro generando dei gruppi
tetraedrici SiO4 -4 i quali, a loro
volta, si uniscono formando strutture differenti (figura 1). I
cationi3 che più
frequentemente si legano e completano le strutture silicatiche sono
il sodio, potassio,
calcio, magnesio, ferro mentre si comporta in maniera differente
l’alluminio, in quanto
può sostituire parte del silicio originando alluminosilicati.
Figura -1 tabella esemplificativa della classificazione dei
silicati in base alla disposizione dei gruppi tetraedrici (Franco
Bagatti, Chimica, Capitolo 3 Silicati, Zanichelli Editore,
2012);
I minerali non silicatici, chiamati carbonati, sono meno diffusi ma
non per questo meno
importanti nella costituzione delle rocce, come ad esempio la
calcite CaCO3 e la dolomite
CaMg(CO3)2 che sono i componenti primari delle rocce sedimentarie
carbonatiche. Meno
numerosi ma sempre importanti sono il solfato di calcio idrato
CaSO4 ·2H2O (gesso) e la
salgemma NaCl.
10
1.1.2 Classificazione e proprietà delle rocce Come detto nel
capitolo precedente, le rocce sono aggregati naturali composti da
uno o
più minerali; nel primo caso sono dette rocce omogenee (gesso o
calcare) mentre nel
secondo caso sono definite eterogenee. Aldilà di questa distinzione
è possibile individuare
tre processi litogenetici, cioè generatori di rocce, che ne
determinano la diversa struttura
e quindi una differente classificazione in:
• Rocce eruttive;
• Rocce sedimentarie;
• Rocce metamorfiche;
Le rocce eruttive (o ignee) sono generate da processi di
solidificazione e cristallizzazione
di una massa fusa fluida, chiamata magma, proveniente dagli strati
più profondi della
terra e composta prevalentemente da silicati. Risalendo dal centro
verso la superficie
terrestre, il magma risente della diminuzione della temperatura e,
raffreddandosi,
cristallizza. Proprio in base alla velocità di raffreddamento della
materia, le rocce eruttive
si distinguono in intrusive ed effusive, caratterizzate da
strutture e quindi proprietà
differenti. Le rocce intrusive, o plutoniche (graniti, sieniti,
dioriti), si formano all’interno
della crosta terrestre, ad elevate profondità in camere magmatiche;
in queste condizioni
il magma si raffredda lentamente generando una roccia nella quale
ogni minerale ha
tempo di acquisire la propria forma e struttura cristallina. Quando
il magma fuoriesce
dalla superficie terrestre, traboccando come lava, il
raffreddamento avviene con
maggiore rapidità poiché vi è una variazione di temperatura e
pressione abbondante (da
circa 700°-1000° a quelli superficiali). Queste condizioni
determinano un raffreddamento
molto rapido della massa magmatica che cristallizza con struttura
molto fine, in quanto la
nucleazione dei cristalli non è seguita dalla fase di crescita. In
taluni casi, il rapido
raffreddamento non consente la formazione di strutture cristalline,
con atomi disposti in
maniera regolare sia a corto che a lungo raggio, e pertanto si
assiste alla formazione di
strutture amorfe. È così che si ottengono le rocce effusive
(basalti, porfidi, pomice).
Le rocce sedimentarie, generate nel ciclo sedimentario, derivano
dalla deposizione,
accumulo e successivo consolidamento di materiali e detriti
generati dall’azione
disgregante di rocce preesistenti (rocce clastiche). I detriti sono
trasportati dall’azione
degli agenti atmosferici esogeni come acqua, ghiaccio e vento. Vi
sono poi le rocce
sedimentarie di origine chimica ovvero che derivano dalla
precipitazione di sostanze
disciolte in acqua (sali) o da sostanze organiche (gusci,
scheletri, parti inorganiche di
organismi). L’insieme dei processi fisici e chimici che convertono
un sedimento in roccia
(litificazione) è chiamato diagenesi. La litificazione avviene
tramite compattazione, dovuta
al peso dei materiali che mano a mano si sovrappongono l’uno
all’altro, e cementazione
11
che avviene per la presenza d’acqua ricca di sostanze, nelle
porosità. Queste rocce,
immediatamente riconoscibili grazie alla presenza di strati,
possono essere di tipo
calcareo (calcare e dolomite), siliceo (arenaria, breccia),
solfatico (gesso) e misto (argille,
tufi).
Le rocce metamorfiche derivano dalla trasformazione di rocce ignee
o sedimentarie in
seguito ad azioni chimiche, fisiche e meccaniche che ne causano la
ricristallizzazione e la
cementazione. Questo processo di modifica della tessitura e
composizione mineralogica
della roccia è definito metamorfismo ed è influenzato da
cambiamenti delle condizioni
ambientali di temperatura e pressione. Esso avviene nelle
profondità della crosta
terrestre, senza giungere alla fusione del materiale coinvolto, e
si può distinguere in
metamorfismo di contatto o regionale. Il primo interessa porzioni
di roccia entrate in
contatto con magma mentre il secondo interessa grandi aree in
profondità nella crosta.
Le rocce metamorfiche (ardesie, lavagne, gneiss, marmi) presentano
cristalli orientati che
ne caratterizzano la tessitura scistosa grazie alla quale è
possibile dividerle lungo
specifiche direzioni.
In ambito architettonico ed ingegneristico, la classificazione
delle rocce in base alla genesi
risulta poco esaustiva in quanto fornisce indicazioni troppo
generali riguardo al loro
comportamento fisico, meccanico e chimico. Per questa ragione si
decide di classificare i
materiali lapidei anche per composizione, ovvero per tipi di
sostanze e struttura delle
quali sono composte o per classificazione commerciale. La
classificazione per
composizione si basa sul raggruppamento di rocce in base al tipo di
minerale di cui sono
composte: rocce solfatiche (solfato di calcio biidrato), rocce
carbonatiche (carbonato di
calcio e di magnesio, fra cui calcari, marmi e travertini
ampiamente usati in edilizia per la
produzione di leganti) ed infine le rocce silicatiche (silice e
silicati, i più importanti sono i
graniti, arenarie e argille).
La classificazione commerciale, descritta nella norma UNI EN
12670:20194, suddivide le
rocce naturali in differenti categorie in base alle caratteristiche
geologiche e petrografiche
utilizzando particolari e specifiche terminologie:
4 UNI EN 12760:2019- Pietre naturali- Terminologia / BS EN
12760:2019 – Natural stones- Terminology;
12
lucidabile, da decorazione e
costruzione, di natura silicatica,
porose con composizione
mineralogica vastissima ma
e/o compatte, non lucidabili
deposito chimico
Indipendentemente dal tipo di classificazione cui ci si rivolge, è
indispensabile conoscere
le peculiarità e le proprietà dei singoli materiali per la buona
riuscita di un progetto di
costruzione ex-novo o di un intervento di restauro adeguato alle
esigenze. Le proprietà
possono essere raggruppate in: fisiche e meccaniche.
Tra le principali proprietà fisiche, dipendenti direttamente dalla
genesi delle rocce,
ricordiamo la porosità, la densità, il coefficiente di dilatazione
termica, la conducibilità
termica, l’igroscopicità e la durezza. La porosità è un parametro
determinante poiché
influenza la maggior parte delle proprietà di una pietra (densità,
resistenza meccanica,
durabilità…). Il livello di porosità nei materiali lapidei, così
come in altri materiali,
determina la possibilità di assorbimento d’acqua che è il
principale fattore scatenante il
degrado delle strutture. Le proprietà meccaniche, come la
resistenza a compressione,
flessione, urto e all’usura, descrivono il comportamento delle
rocce quando su di esse è
13
applicata una forza di entità nota. Avendo un’elevata resistenza a
compressione, i
materiali lapidei sono utilizzati sin dall’antichità come materiale
di base per la
realizzazione di strutture portanti.
1.1.3 Estrazione e produzione Le pietre utilizzate in architettura
sono estratte da cave in blocchi molto grandi mentre,
per i materiali usati come aggregati nel confezionamento di
calcestruzzi e malte, si
effettua il prelevamento dai corsi d’acqua o la frantumazione dei
blocchi da cava. Le
tecnologie usate per l’estrazione delle pietre da cava, scelte in
base al tipo di materiale,
esigenze economiche e praticità, sono: il taglio esplosivo che,
nonostante sia una tecnica
economica e flessibile, può causare microlesioni nel materiale; la
perforazione continua
con la realizzazione di fori ravvicinati ed allargati, l’impiego di
cunei meccanici o idraulici
e infine il taglio con il filo diamantato. Una volta estratto il
blocco di pietra si procede con
la riduzione in forme regolari e più piccole attraverso il processo
di taglio (segagione o
water jet) e la realizzazione della finitura superficiale per
risaltare la tessitura della pietra
stessa.
14
1.2 IL DEGRADO DEI MATERIALI LAPIDEI NATURALI In generale, con
fenomeni di degrado5, si intende l’insieme di quei fattori che
agiscono
nell’alterare l’aspetto, la consistenza, le dimensioni, le
proprietà ed il comportamento del
materiale, sia nei suoi elementi individuali sia come parti
nell’insieme della struttura. La
variazione di queste caratteristiche originali avviene in seguito
allo scatenarsi di cause
ambientali, temporali, biologiche, chimiche, fisiche ed
antropogeniche che ne
compromettono, irreversibilmente, la durabilità e la funzionalità.
L’intensità e la rapidità
di questi processi dipendono dalla combinazione di fattori esterni,
legati alle condizioni
ambientali, e fattori interni connessi alla resistenza fisica e
meccanica del materiale
lapideo. Per questa ragione il processo di degrado, qualunque sia
la sua origine, si innesca
e produce effetti differenti a seconda della struttura stessa dei
materiali presi in analisi.
Spesso risulta complicato individuare le cause ed i meccanismi di
deterioramento poiché
possono essere numerosi ed agire in modo concomitante, con modalità
e tempistiche
differenti. Alcune delle cause di accelerazione del processo
naturale di decadimento6 o
invecchiamento dei materiali per l’architettura sono da ricercare
nella scelta inadeguata
della pietra e nei metodi d’estrazione, nei metodi di lavorazione e
finitura che possono
provocare microfratture superficiali ed aumento della superficie di
esposizione agli agenti
esterni, in errori di progettazione ed esecuzione delle opere, in
interventi non coerenti di
manutenzione o restauro mediante utilizzo di materiali non
compatibili, nel cambio di
destinazione d’uso degli edifici, in atti di vandalismo, incuria ed
abbandono degli stessi. Ai
fenomeni che interessano direttamente i materiali lapidei, si
sommano quelli che
coinvolgono le malte d’allettamento, utilizzate nella realizzazione
di alcune tipologie di
murature, che ne influenzano la tenuta e l’adesione dei materiali
lapidei, la distribuzione
dei carichi meccanici, la quantità di umidità presente nelle
murature. È comunque
opportuno ricordare che non esiste nessun materiale, naturale o
artificiale, esente o
infinitamente resistente all’azione degli agenti atmosferici
naturali o prodotti dall’uomo;
l’inesorabile trasformazione cui è sottoposto il mondo materiale
colpisce anche gli edifici
ed i monumenti se non sottoposti ad interventi di manutenzione
adeguati.
5 con questo termine, in riferimento alla norma UNI 11820:2006 si
intende la modificazione di un materiale che comporta il
peggioramento delle sue caratteristiche sotto il profilo
conservativo; 6 Dal glossario ICOMOS-ISCS, con il termine
decadimento si intente ogni modificazione fisica o chimica delle
proprietà intrinseche della pietra che comporta perdita di valore o
compromissione nell’utilizzo;
15
1.2.1 Classificazione dei fenomeni di degrado dei materiali lapidei
secondo la normativa UNI 11182:2006 ed il glossario ICOMOS-ISCS
Prima di analizzare nello specifico alcune delle tipologie e delle
cause di degrado dei
materiali lapidei più comunemente diffuse, è necessario fare
riferimento alla normativa
di base per il riconoscimento e la descrizione di questi fenomeni:
la norma UNI
11182:2006 che ha come obiettivo quello di descrivere i termini
utili per indicare le
differenti forme di alterazione e degradazione, visibili ad occhio
nudo, cui sono soggetti i
materiali lapidei naturali ed artificiali; ed il glossario
ICOMOS-ISCS7, utile qualora si debba
consultare documenti di ricerca scritti in inglese o francese, ed è
specifico sul tema dei
materiali lapidei naturali. A tal proposito, è di fondamentale
importanza sapere
distinguere, all’interno della famiglia dei materiali lapidei,
quelli naturali da quelli
artificiali: con materiali lapidei naturali, che sono l’oggetto di
studio di questa tesi, ci si
riferisce ai marmi, graniti, pietre e qualsiasi tipo di roccia
impiegata in architettura mentre
con materiali lapidei artificiali ci si riferisce ai materiali
artificiali (malte, stucchi, prodotti
ceramici…) impiegati in architettura che derivano dalla lavorazione
e trasformazione di
materie prime di origine naturale. Ai fini della presente norma si
adottano le seguenti
definizioni, con fotografia esemplificativa correlata:
NOME DEFINIZIONE UNI
manifesti in modo
Discolouration
7 ICOMOS-ISCS: Illustrated glossary on stone deterioration patterns
– Glossaire illustré sur les formes d’altération de la pierre,
monuments and sites, XV; per la lettura delle definizioni complete,
delle immagini e sinonimi correlati si rimanda al testo
originale
16
forma e dimensioni
variabili, dette al-
veoli, spesso inter-
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Colatura Traccia ad
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Crosta Modificazione dello
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
17
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Degradazione
differenziale
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Disgregazione Decoesione con ca-
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Distacco Soluzione di
continuità tra strati
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Erosione Asportazione di
più porzioni lami-
nari, di spessore
in corrispondenza
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Fratturazione/
fessurazione
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Fronte di
dipinto, porzione di
omogeneo, costi-
tuito prevalente-
strato;
Da A.Z.Miller Bioreceptivity of building stones: A review, «Science
of the total Environment», 2012, pp.1-12;
Pellicola Strato superficiale
trasparente o semi-
trasparente di so-
stanze coerenti fra
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Scagliatura Presenza di parti di
forma irregolare,
spessore consistente
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Peeling
(abrasione):
patina o di un
stone deterioration patterns – Glossaire
pierre, monuments and sites, XV
Mechanical
singole o un
insieme di punture,
buchi o gradini
prodotti dall’uomo
o da animali;
Tabella 2: schematizzazione delle tipologie di degrado descritte
nella norma UNI 11182:2006 e glossario ICOMOS:ISCS
24
1.2.2 Il legame tra sollecitazioni ambientali e caratteristiche
intrinseche come cause del degrado: acqua, idrofilia e
porosità
1.2.2.0 Sollecitazioni ambientali e caratteristiche intrinseche La
maggior parte dei processi di deterioramento e degrado dei
materiali derivano da
fenomeni di scambio, generati dal disequilibrio nell’interazione
fra oggetto ed ambiente
che lo circonda. Queste relazioni di scambio, siano esse di
energia, materia o calore, sono
influenzate e dipendenti da caratteristiche e sollecitazioni
ambientali legate alle
condizioni microclimatiche di temperatura, umidità dell’aria,
ventilazione, esposizione e
precipitazioni, oppure da caratteristiche intrinseche del materiale
come la composizione
chimica e mineralogica, le caratteristiche fisiche e strutturali ed
il tipo di lavorazione dei
manufatti che ne determinano la resistenza agli agenti esterni. Per
rallentare il processo
di degrado è necessario procedere, prima di proporre degli
interventi conservativi, con
una fase preliminare di conoscenza e studio del bene definita
diagnosi. Durante questa
fase è opportuno individuare quelle caratteristiche del materiale
che ne hanno
determinato non solo la disponibilità in un preciso luogo
geografico ma anche l’impiego
da parte dell’uomo come, ad esempio, la lavorabilità, il colore, la
resistenza a
compressione, la porosità e conseguente capacità d’assorbimento
dell’acqua. Queste
caratteristiche, come citato in precedenza, sono correlate a quelle
petrografiche,
chimiche e mineralogiche infatti, nel processo di caratterizzazione
dei lapidei, è
importante riconoscere che pietre aventi composizione mineralogica
simile possono
avere comportamenti differenti che dipendono dalla porosità, dalle
dimensioni, forma e
distribuzione dei pori, dalla rugosità ed altre proprietà. Non è
quindi possibile, né corretto,
generalizzare il comportamento di resistenza al degrado della
pietra solo in base alla sua
composizione ma è necessario valutare a fondo, caso per caso. A
questo proposito, chiaro
è l’esempio della pietra d’Istria e del marmo di Carrara, spesso
utilizzati congiuntamente
nella realizzazione di edifici veneziani, entrambi composti da
carbonato di calcio
cristallizzato come calcite ma, dalla loro differente origine
sedimentaria e metamorfica,
ne deriva una struttura interna molto differente dunque una
risposta alle sollecitazioni
altrettanto diversificata. Più nello specifico, i cristalli di
calcite che compongono le rocce
calcaree sono relativamente grandi (0,02-0,1 mm) e tenuti insieme
da depositi cristallini
di dimensioni notevolmente ridotte (≤ 2 µm) che formano un cemento
intergranulare
particolarmente sensibile all’attacco acido. È il caso della
struttura della Pietra d’Istria che
ha origine sedimentaria con struttura compatta e granulometria
molto fine che ne
conferisce ampia resistenza al degrado anche in ambiente salino; i
meccanismi di degrado
si manifestano tramite fenomeni di gessificazione, esfoliazione e
scagliatura. Per quanto
riguarda i marmi, sono formati da una struttura priva di cemento
intergranulare ma molto
compatta che, tuttavia, presenta sensibilità all’acqua dovuta alla
solubilizzazione della
25
Con sollecitazioni ambientali si indicano quei fattori che
concorrono a determinare gli
squilibri alla base dei processi di trasformazione e deterioramento
subiti dal materiale,
quali: fattori microclimatici, già precedentemente elencati,
fattori relativi agli agenti
inquinanti presenti in atmosfera che accelerano significativamente
il degrado e, infine,
fattori causanti sforzi meccanici per applicazione non corretta dei
carichi o dilatazioni e
contrazioni connesse a variazioni termiche. Così come materiali di
caratteristiche diverse
reagiscono diversamente ad una stessa sollecitazione, è anche noto
che lo stesso tipo di
materiale assume uno stato di deterioramento differente in base
alle sollecitazioni
ambientali cui è sottoposto. Per ottenere una visione più completa
dello stato attuale in
fase diagnostica, è fondamentale conoscere la risposta del
materiale alle sollecitazioni,
ovvero la variazione delle proprietà fisico-meccaniche, influenzata
dall’interazione fisica
e chimica tra i componenti originali ed ambientali.
L’interdipendenza dei fattori sin ora
elencati evidenzia la complessità del fenomeno di degrado dei
materiali lapidei e la
difficoltà nel separarne e quantificarne le cause9.
1.2.2.1 Acqua, porosità e rugosità È ormai confermato che la
presenza d’acqua rappresenta il maggior fattore scatenante,
sia in forma diretta che indiretta, meccanismi di degrado. i
osservano manifestazioni di
degrado negli edifici realizzati con materiali lapidei e porosi,
attraverso infiltrazioni da
impianto idrico, umidità di risalita capillare dal terreno, umidità
di condensazione
superficiale o interstiziale; tutti questi fattori possono causare
una parziale dissoluzione
superficiale (erosione), il deposito di agenti contaminanti, la
colonizzazione biologica e
precipitazioni di soluzioni saline. I materiali lapidei, quali
carbonati, silicati ed ossidi, sono
idrofili4, hanno cioè un’elevata affinità chimica con l’acqua che
ne determina la capacità
di legarla e trattenerla in superficie. L’effetto dell’acqua sul
materiale è, inoltre,
strettamente connesso alle sue caratteristiche microstrutturali,
prima fra tutte la
porosità. Con questo termine si indica il rapporto fra il volume
degli spazi vuoti presenti
nel materiale ed il suo volume totale (Vp/Vs); gli spazi vuoti si
definiscono pori e sono
distinti in aperti e chiusi. I pori aperti, cioè connessi con la
superficie esterna del materiale,
determinano il comportamento del materiale nei confronti
dell’ambiente esterno e ne
determinano la durabilità; possono essere anche interconnessi
quando, oltre a
8 Giovanni AMOROSO, Mara CAMAITI, Il degrado dei monumenti in
Trattato di scienza della conservazione dei monumenti. Etica della
conservazione, degrado dei monumenti, interventi conservativi,
consolidanti e protettivi, Firenze: Alinea editrice, 2002,
pp.48-50; 9 Marisa LAURENZI TABASSO, La conservazione dei materiali
lapidei: aspetti scientifici e tecnici, in Materiali lapidei.
Problemi relativi allo studio del degrado e della conservazione,
«Bollettino d’arte» del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, vol.I supplemento al n.41/1987, 1988, p.3;
26
comunicare con l’ambiente esterno comunicano fra loro. I pori
chiusi, cioè isolati,
determinano le caratteristiche di resistenza meccanica o altre
proprietà fisiche del
materiale, come la conducibilità termica ed il fonoassorbimento.
Dal range dimensionale
dei pori e dalla loro distribuzione si definisce il fenomeno della
risalita capillare e i
fenomeni di degrado ad essa connessi; infatti i pori capillari
hanno un diametro nell’ordine
dei micron (0,1-10 micron), di struttura variabile e costituenti
una canalizzazione continua
interconnessa. La porosità dei materiali lapidei dipende dalla loro
genesi ma non è esente
da variazioni causate dal tipo di lavorazione e finitura o dalla
realizzazione di trattamenti
conservativi che ne modificano la struttura originaria10. Lo studio
e la conoscenza della
porosità nei materiali lapidei sono importanti poiché connesse alla
relazione che
intercorre fra la presenza d’acqua nei materiali ed il loro
deterioramento. A tal proposito
si specifica che i mezzi porosi possono essere penetrati sia da
mezzi liquidi (acqua,
soluzioni, solventi organici), che da molecole allo stato gassoso o
di vapore (ossigeno,
anidride carbonica, valore acqueo), mediante meccanismi di
diffusione molecolare, cioè
attraverso piccoli spazi interstiziali, o permeabilità, attraverso
pori di grandi dimensioni.
La permeabilità descrive la capacità dei materiali di essere
attraversati da un fluido
quando è sottoposto a variazione di pressione ed è determinata
dalla struttura dei pori
stessi e del materiale. I parametri usati per definire la struttura
del materiale sono: la
porosità, la distribuzione ed il volume dei pori11 e la superficie
specifica12. A questi tre
parametri si aggiunge la forma dei pori, considerata entro limiti
ben definiti al di fuori dei
quali non si registra un ruolo significativo nell’effetto
capillare13 e nella permeabilità.
Esistono molteplici tecniche di studio delle caratteristiche
strutturali dei materiali porosi
ma, nell’ambito della conservazione dei materiali lapidei, solo
alcune rispondono
all’esigenza di correlazione fra queste caratteristiche e
l’osservazione dei fenomeni
macroscopici che innescano i processi di deterioramento incentivati
dalla presenza
d’acqua, in fase liquida o gassosa. Le analisi che consentono
un’osservazione diretta delle
caratteristiche morfologiche del materiale poroso sono:
osservazioni al microscopio
elettronico a scansione (SEM) ed osservazioni al microscopio ottico
con sezioni sottili. Altri
metodi sono invece basati sulla misura delle proprietà
macroscopiche in funzione della
struttura porosa come, ad esempio, la porosimetria a mercurio. Essa
si basa sul principio
10 Paola ROTA-DOSSI DORIA, Il problema della porosità in rapporto
al degrado ed alla conservazione dei materiali lapidei, in
Materiali lapidei. Problemi relativi allo studio del degrado e
della conservazione, «Bollettino d’arte» del Ministero per i Beni e
le Attività Culturali, vol.I, supplemento al n.41/1987, 1988, pp.
11-13; 11 distribuzione e volume dei pori definita tramite la
relazione: dV = f(r)dr, rappresenta la frazione di pori rispetto al
volume totale dei pori aperti, aventi determinato raggio; 12
superficie specifica che indica la superficie delle pareti dei pori
aperti; 13 effetto capillare, o capillarità, è l’insieme dei
fenomeni d’interazione fra le molecole di un fluido ed un solido,
attraverso la loro superficie di separazione, grazie alle forze di
coesione ed adesione che sono coinvolte.
27
che la pressione necessaria per intrudere un liquido in un poro del
materiale, è
inversamente proporzionale alle dimensioni del poro stesso. Il
modello che si utilizza è
quello di una struttura in cui i pori sono costituiti da capillari
cilindrici di dimensioni
differenti e sezione continua, all’interno dei quali viene intruso
un liquido (il mercurio)
sotto pressione. Si osserva che, nei confronti dei materiali
lapidei, l’acqua è un liquido
bagnante cioè che penetra spontaneamente nei pori del materiale e
bisogna esercitare
una pressione per estrarla, al contrario del mercurio che è un
liquido non bagnante e
quindi necessita di pressione per essere introdotto nei pori.
Grazie a questo metodo è
possibile risalire, a partire dal valore di pressione esercitata e
dal volume di mercurio
intruso, al volume di pori aperti nel materiale, ed alla loro
distribuzione dimensionale.
Un’altra componente fondamentale nella comprensione della relazione
fra materiale e
presenza d’acqua è rappresentata dalla rugosità. Con questo termine
si indica una
proprietà relativa alla presenza di microimperfezioni superficiali,
siano esse intrinseche,
generate da lavorazioni successive del materiale o da eventuali
meccanismi di
deterioramento. Questa grandezza si esprime in micrometri (µm) come
rugosità media
(Ra) e corrisponde all’altezza media delle irregolarità rispetto ad
una superficie ideale,
posta centralmente rispetto alla linea media delle cavità e delle
emergenze; rappresenta
un indice della struttura superficiale.
1.2.3 Pietre compatte e pietre porose: alcuni esempi di meccanismi
di degrado in marmi, calcari e graniti Una prima distinzione fra
pietre compatte o porose è molto utile nel campo della
conservazione dei materiali lapidei, poiché l’acqua agisce in modi
differenti sulla loro
alterazione: i materiali compatti, avendo valori di porosità totale
bassi (per graniti e marmi
compresi fra 0-10%)14, sono impermeabili dunque l’attacco
deteriorante agisce
principalmente sulla superficie o in eventuali fessure localizzate
a differenza dei materiali
porosi, dove il degrado riguarda tutta la massa del materiale
poiché permeabile. È quindi
possibile affermare che a bassi valori di porosità (fig.2),
misurati con metodo comparativo,
corrisponde una maggiore durabilità del materiale poiché, tanto più
un materiale è
compatto maggiore è la sua resistenza meccanica e minore è la
possibilità che sia
aggredito da agenti degradanti dissolti in acqua. Tuttavia,
l’azione combinata di diverse
cause di deterioramento ed una lunga esposizione a variazioni
termiche può produrre
alterazioni consistenti e nocive anche in materiali originariamente
compatti, come marmi
e graniti, con conseguenze deleterie.
14 Charles R.FITT, Physical Properties, «Groundwater Science»,
2013;
28
Figura -2 Tabella che mostra i valori, espressi in %, di porosità
totale in alcune tipologie di rocce. In ordine: limo, sabbia,
ghiaia granulometria fine e grossa, argille, arenaria, calcari e
dolomite, scisto, rocce cristalline (marmi), granito (Charles
R.Fitt, Physical Properties, «Groundwater Science», 2013;)
I marmi sono calcari, di origine metamorfica, composti da grani
cristallini di calcite
(CaCO3) che creano una struttura cristalloblastica priva di
depositi intergranulari, tipici dei
calcari. La struttura originaria del materiale si presenta
compatta, impermeabile e
resistente ad attacchi da agenti inquinanti ma, nel caso di
materiali esposti ad agenti
atmosferici e sollecitazioni termiche, la suscettibilità all’acqua
per solubilizzazione della
calcite è rilevante. Infatti, i cristalli di calcite sono dotati di
coefficiente di dilatazione
termica anisotropo che, in seguito a variazioni termiche, genera
delle deformazioni e
tensioni che provocano polverizzazione superficiale ed aumento
della porosità interna del
materiale (figura 3). Nelle zone dove il marmo è divenuto poroso,
l’acqua può penetrare
più facilmente in profondità e dilavare i granuli di calcite
aumentando la decoesione;
inoltre, in fase di evaporazione dell’acqua, i sali in soluzione
migrano lentamente verso
l’esterno precipitando nei pori. Il carbonato di calcio (CaCO3) ed
il solfato di calcio (CaSO4)
depositandosi sulla superficie divenuta più porosa, sottoforma di
cristalli finissimi di gesso
e calcite, cementano nuovamente i grani cristallini superficiali
dando origine ad
incrostazioni. La causa principale del degrado è quindi innescata
da dissoluzione di
carbonati presenti nel materiale, aggrediti da soluzioni di acqua e
anidride carbonica e
solfatica15.
15 Raffaella ROSSI MANARESI, Pietre porose:alterazione e
conservazione, in Materiali lapidei. Problemi relativi allo studio
del degrado e della conservazione, «Bollettino d’arte» del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, vol.II, supplemento
al n.41/1987, 1988, pp. 136;
29
Figura -3: microfotografie di sezioni sottili di campioni di marmo.
A sx, effetti attacco acido superficiale dove granoblasti soggetti
a microfratture. A dx, effetti attacco acido profondo con calcite e
gesso nuova formazione (Raffaella Rossi Manaresi, 1985,
p.137);
Differente è il comportamento osservato in materiali, sempre di
origine calcarea come i
marmi, ma con struttura molto porosa (fino al 45%), come le
calcareniti o tufi: le analisi
petrografiche, compiute in alcune ricerche realizzate su campioni
da cava e da
monumenti, indicano assenza di variazione delle caratteristiche di
composizione,
struttura e porosità nonostante la presenza di processi di
deterioramento indotti da
cristallizzazione dei sali. In generale, tenendo presente la grande
varietà di rocce che
rientrano in questa classificazione, i calcari sono rocce
sedimentarie formate da carbonati
(calcite CaCO3 e dolomite CaMg(CO3)2). I cristalli di calcite,
dalle dimensioni relativamente
grandi, sono tenuti insieme da altri depositi cristallini calcarei
che formano un cemento
intergranulare particolarmente sensibile agli attacchi dell’acido
carbonico, solforico e
solforoso (H2CO3, H2SO4, H2SO3) e solubili in acqua16. Dalla
reazione di questi composti
chimici con il materiale si generano dei sali che precipitando, si
depositano e
ricristallizzano nelle porosità della superficie generando
pressioni e tensioni che
divengono causa di microfratture e de coesione. Caso differente si
registra per i graniti,
rocce eruttive intrusive silicatiche, con basso contenuto di sodio,
potassio e magnesio. La
loro struttura cristallina molto compatta e l’assenza di carbonato
di calcio, conferiscono
maggiore resistenza al degrado sia per la qualità dei singoli
minerali che le costituiscono
sia per minore porosità (0,0 – 1,0%). Le trasformazioni chimiche
che si generano nelle
rocce silicatiche, prodotte dalla presenza di acqua, danno luogo ad
una riduzione della
silice e degli alcali a favore di ferro ed alluminio, dunque, le
alterazioni dei graniti
riguardano la trasformazione dei feldspati in argille che, per loro
natura, assorbono e
cedono facilmente acqua causando contrazioni o dilatazioni dei
minerali e tensioni
meccaniche. Così come per il marmo, anche i processi di degrado
chimico e biologico del
16 Giovanni AMOROSO, Mara CAMAITI, Il degrado dei monumenti in
Trattato di scienza della conservazione dei monumenti. Etica della
conservazione, degrado dei monumenti, interventi conservativi,
consolidanti e protettivi, Firenze: Alinea editrice, 2002,
pp.48-50;
30
facilitando la penetrazione di soluzioni aggressive.
In virtù di queste osservazioni e ricerche si può affermare che,
nonostante la
composizione mineralogica simile di marmi e calcareniti
suggerirebbe una risposta simile
alle sollecitazioni da parte di entrambe le tipologie di materiali,
le loro caratteristiche
strutturali e la porosità ne influenzano notevolmente il
comportamento ed il tipo di
deterioramento cui sono soggette. Marmi e graniti, formati da
composizione mineralogica
differente che ne determina risposta agli agenti chimici diversa,
sono caratterizzati da
struttura compatta, bassa porosità ed impermeabilità all’acqua che
dovrebbe garantirne
una maggiore resistenza al degrado. In realtà, più deleterie sono
le conseguenze di
variazioni termiche sulle strutture e composizione chimica delle
pietre compatte che ne
aumentano la porosità e quindi l’attacco da agenti esterni.
31
indica «la presenza riscontrabile macroscopicamente di micro e/o
macro organismi (alghe,
funghi, licheni, muschi…)»17; mentre con patina biologica ci si
riferisce ad uno « strato
sottile ed omogeneo, costituito
alterazione dello stato
originario del manufatto,
provocata dall’attività
metabolica di una o più popolazioni di organismi e microrganismi,
definiti biodeteriogeni.
Condizione favorevole all’innesco di questo meccanismo è l’aerosol
biologico che indica
la dispersione, il trasporto ed il deposito su di una superficie,
di cellule vive e particelle
anemofile19 di microrganismi biodeteriogeni per azione del vento.
La caratteristica
intrinseca, propria dei materiali lapidei, che entra in gioco in
questo tipo di
deterioramento è la bioricettività che indica, da una definizione
di Guillite del 1995,
l’attitudine del materiale ad essere colonizzato da uno o più
esseri viventi. Non è una
proprietà statica ma è differente per ogni tipo di roccia in base
alle sue caratteristiche
fisiche, chimiche e meccaniche; per questa ragione, è possibile
individuarne tre livelli
differenti a seconda del potenziale di colonizzazione biologica su
di una pietra sana,
intaccata o soggetta a trattamenti conservativi. Si verificano,
però, delle situazioni
particolari in cui la bioricettività è modificata da fattori
estrinsechi che alterano le
condizioni originarie della superficie stessa, come il deposito di
polveri e residui. In
generale, la bioricettività di una pietra è definita dalle sue
caratteristiche mineralogiche e
strutturali come la porosità, la permeabilità, la capillarità e la
rugosità superficiale ma
anche da particolari condizioni microclimatiche legate all’umidità,
all’esposizione solare,
al vento, all’inquinamento e, soprattutto, alla presenza d’acqua
(fig.4). Più nello specifico,
l’igroscopicità20 del materiale, strettamente legata alla porosità,
riveste un ruolo
17 Definizione da UNI 11182:2006 - Beni culturali – Materiali
lapidei e artificiali- Descrizione della forma di alterazione –
Termini e Definizioni; p.4; 18 Definizione da UNI 11182:2006 - Beni
culturali – Materiali lapidei e artificiali- Descrizione della
forma di alterazione – Termini e Definizioni; p.26; 19 Particelle
anemofile: pollini, spore, prozoi, virus, batteri, alghe; 20
igroscopicità: proprietà di un materiale di assorbire l’acqua
presente nell’ambiente circostante;
Figura 4 Immagine che mostra gli esiti del test della
biorecettività primaria eseguita su campioni di calcarenite (a) e
marmo (b) (a.Z. Miller, 2013)
32
fondamentale nel processo di biodeterioramento in quanto, maggiore
è la percentuale di
umidità relativa (UR) dell’ambiente esterno e maggiore è il livello
di assorbimento d’acqua
del materiale; si generano, così, le condizioni favorevoli allo
sviluppo di microflora sulla
superficie soprattutto in materiali aventi dimensioni dei pori
ridotte21.
Seppur in molti ambienti naturali le trasformazioni indotte dallo
svilupparsi di microflora
colonizzante siano considerate un fattore positivo, nell’ambito dei
beni culturali la
situazione è opposta: la presenza di biofilm sulla superficie dei
materiali genera processi
negativi e distruttivi sia dal punto di vista culturale che
economico. I materiali lapidei,
utilizzati nella realizzazione di edifici o apparato decorativo,
dimostrano elevata attitudine
ad essere colonizzati da microflora sottoforma di patine o
incrostazioni superficiali, in
differenti situazioni microclimatiche e qualsiasi sia la loro
composizione mineralogica e
struttura. Per molto tempo si è ritenuto che il processo di
biodeterioramento fosse solo
un meccanismo di degrado secondario manifestato attraverso la
semplice alterazione
estetica e cromatica della superficie; solo recentemente si è
dimostrato che la presenza
superficiale di microrganismi provoca alterazioni fisico-chimiche
molto complesse che
comportano, a loro volta, suscettibilità ad ulteriori processi di
degrado come la corrosione
da agenti inquinanti presenti in atmosfera. Il biofilm, inteso come
un sistema complesso
di cellule mono o pluristratificato, è formato da microrganismi
differenti incorporati in
una matrice polimerica idratata (70-95% di acqua) ed arricchita da
sostanze organiche ed
inorganiche. Gli organismi pionieri della colonizzazione, che
costituiscono la principale
causa d’innesco di processi di degrado, sono definiti autotrofi e
si distinguono in base alla
loro capacità di fissare il carbonio presente in atmosfera, ai fini
della respirazione
cellulare, utilizzando la radiazione solare (fotoautotrofi) o
processi chimici
(chemiosintetici). Questi organismi, come licheni e cianobatteri,
hanno la capacità di
variare la loro temperatura ed il loro metabolismo in base alla
presenza o scarsità d’acqua,
divenendo molto resistenti a differenti tipi di condizioni
microclimatiche. I biofilm
fotoautotrofi, formati da numerose varietà di essere viventi,
divengono uno strato ricco
di elementi nutritivi per lo sviluppo e crescita di altri tipi di
organismi definiti eterotrofi.
Inoltre, esistono specie di organismi (endolitici) che, a causa di
ridotta sopravvivenza a
condizioni superficiali avverse, si insediano nelle profondità del
materiale sfruttando
microfessure o irregolarità, causandone alterazioni fisiche; è il
caso delle alghe ife che, in
risposta a cicli di essiccamento ed umidificazione indotti da
variazione della temperatura,
modificano il loro volume generando tensioni meccaniche sulla
superficie dei pori,
alterandone la struttura originaria. La presenza di biofilm, in
generale, può alterare
21 A.Z. MILLER, P. SANMARTIN, L. PEREIRA PARDO, A. DIONISIO, C.
SAIZ-JIMENEZ, M.F. MACEDO, B. PRIETO, Bioreceptivity of building
stones: A review, «Science of the total Environment», 2012, pp.1-
12;
33
della ritenzione idrica, compromettendone la sua durabilità e
funzionalità nel corso del
tempo. Dal punto di vista chimico, il processo di alterazione è
indotto dall’attività
metabolica dei microrganismi presenti sul substrato che,
rilasciando acidi corrosivi
organici, come l’acido ossalico C2H2O4 e l’acido carbonico H2CO3,
solubilizzano i minerali
di cui è composta la pietra e corrodono la superficie contribuendo
alla formazione di sali.
Queste sostanze possono reagire con gli agenti inquinanti presenti
in atmosfera,
trasformandosi in solfati e nitrati altamente corrosivi per i
materiali lapidei. Le soluzioni
saline penetrate all’interno della struttura tendono a precipitare
e cristallizzarsi, in seguito
a cicli di evaporazione e condensazione, con conseguente aumento di
volume che genera
stress fisico, tensioni meccaniche all’interno dei pori generando
fessure, esfoliazioni,
alveolizzazioni e disgregazione del materiale.
Gli effetti dannosi legati alle attività dei singoli biodeteriogeni
sono, dunque, di natura
chimico-fisica; ogni gruppo colonizzatore (batteri, alghe, licheni,
muschi e piante) è
responsabile di danni specifici. I batteri chemio sintetici, tra
cui i batteri del ciclo dello
zolfo, dell’azoto e del ferro, svolgono diverse reazioni chimiche
nella sintesi del carbonio;
in particolare i batteri del ciclo dello zolfo possono ridurre i
solfiti e solfati in solfuri, e
possono produrre acido solforico in seguito ad ossidazione dei
solfuri. Questi prodotti
intaccano, sottoforma di incrostazioni nere, ogni tipo
di roccia. Per quanto riguarda i licheni, (figura 6) essi
esercitano i loro processi di degrado per produzione di
acidi generati da composizioni chimiche, sia su pietre
carbonatiche che silicee, in ambienti ricchi di
ossigeno. Le alghe, (figura 5 ) siano esse corrosive,
perforanti o ricoprenti, producono differenti effetti
sui manufatti: le alghe ricoprenti si sviluppano su
superfici già corrose dagli agenti atmosferici grazie
alla loro capacità di assorbimento del pulviscolo; le
alghe corrosive, sviluppate grazie alla presenza
d’acqua nelle irregolarità delle superfici, esercitano un danno
dovuto all’emissione di acidi
generati nei processi metabolici infine, le alghe perforanti come
le ifa, generano
meccanismi di degrado fisico dovuto alla penetrazione delle stesse
nelle cavità del
materiale22.
22 Clelia GIACOBINI, Anna Maria PIETRINI, Sandra RICCI, Ada
ROCCARDI, Problemi di biodeterioramento, in Materiali lapidei.
Problemi relativi allo studio del degrado e della
Figura--5 fotografia del reperto marmoreo dello scavo di Ostia che
mostra la presenza di patina biologica composta da alghe
(C.Giacobini, 1985, p.57)
34
manifestazione di attacco biologico, ampiamente
discusse in ricerche specifiche sul tema, le patine
biologiche (film, biofilm subarereo, tappeti, croste,
efflorescenze) rappresentano la manifestazione più
evidente di colonizzazione delle superfici da parte di
biodeteriogeni, che ne alterano le caratteristiche
estetiche, fisiche e chimiche. In particolar modo, le
croste nere rappresentano perfettamente la
complessità del riconoscimento ed individuazione di
un’unica causa scatenante il processo di
deterioramento: queste manifestazioni di degrado
sono prodotte dalla presenza congiunta di azione
corrosiva generata da agenti inquinanti presenti in atmosfera in
concomitanza alla
colonizzazione biologica incentivata da fattori intrinsechi del
materiale e condizioni
microclimatiche favorevoli 23.
conservazione, «Bollettino d’arte» del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, vol.I, supplemento al n.41/1987, 1988, pp.
53-63;
23 A.Z. MILLER, P. SANMARTIN, L. PEREIRA-PARDO, A. DIONISIO, C.
SAIZ-JIMENEZ, M.F. MACEDO, B. PRIETO, Bioreceptivity of building
stones: A review, «Science of the total Environment», 2012,
pp.1-12;
Figura-6 fotografia della statua marmorea del giardino del Palacio
Nacional de Queluz con estesa colonizzazione di licheni
(A.Z.Miller, 2012)
35
1.2.5 L’inquinamento atmosferico e l’influenza delle precipitazioni
nella formazione di croste nere
1.2.5.1 Agenti inquinanti e reazioni chimiche con i materiali
lapidei Con il termine inquinamento atmosferico si intende la
presenza o l’aumento esponenziale
di sostanze che alterano la naturale composizione dell’aria (78%
azoto, 21% ossigeno, 1%
argon, 0,03% anidride carbonica e percentuali più piccole di altri
elementi) rendendola
tossica e nociva per la salute degli esseri viventi e per
l’equilibrio degli ecosistemi ma
anche per lo stato di conservazione del patrimonio architettonico,
culturale, storico ed
artistico. Gli agenti inquinanti possono avere origine naturale
come i prodotti della
fotosintesi clorofilliana, della macerazione vegetale,
dell’erosione eolica,
dell’autocombustione delle foreste o delle eruzioni vulcaniche,
oppure origine antropica
sottoforma di prodotti generati da processi di combustione,
dall’attività produttiva, dai
sistemi di riscaldamento domestici, dai mezzi di trasporto e
concentrazione del traffico
urbano24. L’emissione di queste sostanze e la progressiva
alterazione della composizione
atmosferica si registra, soprattutto nel nord Europa, già a partire
dalla metà del XIX secolo
con l’avvento della Rivoluzione Industriale che, ad un sorprendente
progresso
tecnologico, affianca fenomeni di urbanizzazione di grandi porzioni
di territorio che
innescano processi di alterazione degli ambienti naturali e degli
ecosistemi. A partire dagli
anni Settanta del Novecento, numerose sono le ricerche svolte per
la comprensione degli
effetti negativi delle emissioni non solo sulla salute degli esseri
viventi e l’equilibrio degli
ecosistemi ma anche sul loro ruolo nell’innesco di meccanismi di
degrado del patrimonio
architettonico. Ad oggi, i danni più consistenti provocati
dall’azione delle sostanze
inquinanti sui manufatti si registrano nei paesi più
industrializzati fra cui Europa, Cina,
India, Russia e Stati Uniti. È ormai dimostrato che l’inquinamento
atmosferico, insieme ai
cambiamenti climatici che ne conseguono, è uno dei principali
fattori di innesco dei
meccanismi di deterioramento nell’ambito dei manufatti lapidei che
si manifesta tramite
azioni di dilavamento o corrosione delle superfici generate da gas
acidi presenti in
atmosfera, la formazione di patine o incrostazioni prodotte da
reazioni chimiche delle
componenti ed aumento dei danni provocati dal biodeterioramento25.
Dal punto di vista
della conservazione, si considera inquinante qualsiasi elemento
costituente
24 Vasco FASSINA, Influenza dell’inquinamento atmosferico sui
processi di degrado dei materiali
lapidei, in Materiali lapidei. Problemi relativi allo studio del
degrado e della conservazione, «Bollettino d’arte» del Ministero
per i Beni e le Attività Culturali, vol.I, supplemento al
n.41/1987,
1988, pp. 37-52 e e Fabio VIDAL, Romeu VICENTE, J. Mendes SILVA,
Review of environmental and air pollution impacts on built
heritage: 10 questions on corrosion and soiling effects for
urban
intervetion, «Journal of Cultural Heritage », vol.37, 2019,
pp.273-295
25 Eric DOEHNE, Clifford A.PRICE, Stone conservation. An overview
of current research. Second edition, Los Angeles: the Getty
conservation Institute, 2010;
36
dell’atmosfera, naturale o antropico, che può provocare alterazioni
chimiche, fisiche o
meccaniche del materiale o dell’edificio nella sua interezza. Si è
osservato che i materiali
lapidei più suscettibili a questa tipologia di meccanismi di
degrado sono quelli calcarei, a
causa della loro composizione mineralogica e, talvolta, del livello
di porosità che ne
incentivano l’attacco. Ruolo principale è giocato, ancora una
volta, dall’acqua che
favorisce il contatto e la permanenza delle sostanze aggressive
sulla superficie del
materiale oltre alla migrazione dei sali solubili all’interno dei
pori, con conseguenze legate
alla cristallizzazione. Sono numerose le ricerche svolte per
individuare il grado di
pericolosità o soglia limite della concentrazione di agenti
inquinanti oltre alla quale si
innescano dei processi di deterioramento molto invasivi; la
risposta dei materiali
all’aggressività dei composti acidi dell’atmosfera è molto diversa
rispetto a quella degli
esseri viventi poiché non sono dotati di meccanismi di autodifesa e
rigenerazione ma, al
contrario, accumulano sostanze lasciandole in circolo senza
possibilità di smaltimento. I
principali agenti inquinanti di origine antropica, presenti in
atmosfera sottoforma di
particelle solide, gas o gocce, e nocivi per i manufatti lapidei,
sono: anidride carbonica
(CO2), ossidi di azoto (NOx), ossidi di zolfo (SOx), ozono (O3),
acido cloridrico e fluoridrico
e particolato atmosferico (PM).
L’anidride carbonica è un costituente naturale dell’atmosfera
generalmente non
inquinante ma, a causa dell’elevata produzione antropica per
processi di combustione, la
sua concentrazione è tale da divenire nociva. I manufatti calcarei
come marmi, calcari e
arenarie, composti da carbonato di calcio (CaCO3), sono sensibili
alla presenza di acqua
acidificata con anidride carbonica (CO2) che trasforma i
bicarbonati solubili in carbonati
insolubili secondo la reazione di carbonatazione:
CaCO3+ H2CO3 → 2Ca (HCO3)2
La trasformazione del carbonato di calcio in bicarbonato di calcio
comporta sia la parziale
asportazione del materiale calcareo attraverso dilavamento sia la
parziale
ricristallizzazione della calcite in seguito ad evaporazione
dell’acqua. Il carbonato di calcio
di nuova formazione è caratterizzato da una struttura polverosa,
incoerente e porosa che
risulta più suscettibile agli attacchi da acidi dello zolfo. Il
processo di deterioramento per
reazione di carbonatazione è molto lento ma corrode la superficie
del materiale
lasciandola esposta ad attacchi da parte di altri fattori di
degrado26.
26 Vasco FASSINA, Influenza dell’inquinamento atmosferico sui
processi di degrado dei materiali lapidei, in Materiali lapidei.
Problemi relativi allo studio del degrado e della conservazione,
«Bollettino d’arte» del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, vol.I, supplemento al n.41/1987, 1988, pp. 37-52 e e
Fabio VIDAL, Romeu VICENTE, J. MENDES SILVA, Review of
environmental and air pollution impacts on built heritage: 10
questions on corrosion and soiling effects for urban intervetion,
«Journal of Cultural Heritage », vol.37, 2019, pp.273-295;
37
Gli ossidi dell’azoto, in particolare l’ossido nitroso N2O prodotto
dal terreno per azione
microbiologica, l’ossido nitrico NO ed il biossido di azoto NO2,
prodotti nei processi di
combustione, si ossidano in atmosfera reagendo con l’ozono (O3) e
formando l’acido
nitrico (2HNO3) che esercita un’azione molto corrosiva sia sui
materiali silicei che calcarei.
Nel caso specifico di quest’ultimi, dalla combinazione di carbonato
di calcio ed acido
nitrico si forma nitrato di calcio, prodotto a maggiore solubilità
rispetto al carbonato di
partenza, che – analogamente a quanto descritto sopra – subiscono
processi di
dilavamento da parte dell’acqua, con conseguente disgregazione del
materiale originale,
e successiva ricristallizzazione per evaporazione di acqua27.
I composti dello zolfo sono prodotti da sorgenti naturali come le
eruzioni vulcaniche che
formano anidride solforosa (SO2), gli aerosol marini che producono
solfati (SO4 2-) e
riduzioni da parte di agenti biologici che generano acido
solfidrico (H2S); quest’ultimo, in
presenza di alcuni batteri, può essere molto pericoloso per i
materiali calcarei poiché si
può trasformare in acido solforico (H2SO4) e reagire con il
carbonato di calcio, producendo
gesso. I composti dello zolfo, prodotti naturalmente, tendono a non
accumularsi in
atmosfera grazie ad un ciclo naturale che ne bilancia l’immissione
e la deposizione sulla
superficie terrestre. Le principali
sorgenti di zolfo atmosferico
combustibili fossili come il carbone
ed il petrolio e, a causa della crescita
esponenziale di queste emissioni, la
loro concentrazione in atmosfera ha
superato la soglia di tollerabilità. Dal
punto di vista del degrado subito dai
materiali lapidei, le pietre calcaree
sono suscettibili all’attacco dell’acqua acidulata con anidride
solforosa (SO2) che
trasforma il carbonato di calcio in solfato di calcio biidrato o
gesso, attraverso la reazione
di solfatazione:
CaCO3+SO2+H2O → CaSO4 · 2H2O + CO2
27 Vasco FASSINA, Influenza dell’inquinamento atmosferico sui
processi di degrado dei materiali lapidei, in Materiali lapidei.
Problemi relativi allo studio del degrado e della conservazione,
«Bollettino d’arte» del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, vol.I, supplemento al n.41/1987, 1988, pp. 37-52 e e
Fabio VIDAL, Romeu VICENTE, J. MENDES SILVA, Review of
environmental and air pollution impacts on built heritage: 10
questions on corrosion and soiling effects for urban intervetion,
«Journal of Cultural Heritage », vol.37, 2019, pp.273-295;
Figura -7 Schematizzazione dei cicli di produzione di composti
dello zolfo (V.Fassina, 1985, p.45)
38
Se il materiale è molto poroso, l’attacco può avvenire in
profondità causando, in breve
tempo, la disgregazione del materiale poiché il gesso è altamente
solubile. Se il materiale
è compatto, come ad esempio il marmo, il deterioramento interessa
la superficie che è
soggetta a dissoluzione per dilavamento o alla formazione di
incrostazioni. La
trasformazione del carbonato in gesso è il fenomeno che presiede
alla formazione delle
croste nere, che saranno trattate dettagliatamente nel paragrafo
successivo28.
L’ozono (O3) è prodotto in atmosfera inquinata per ossidazione
fotochimica, catalizzata
dall’ossido nitrico (NO) e dal biossido di azoto (NO2) , degli
idrocarburi provenienti dai gas
di scarico delle automobili. Le fluttuazioni diurne di ozono
costituiscono una delle
caratteristiche dello smog e si concentrano in atmosfera quando la
radiazione solare è
massima. Sui materiali lapidei esercita un’azione di degrado
indiretta poiché, essendo un
forte agente ossidante, trasforma gli ossidi di azoto in acido
nitrico e l’anidride solforosa
in acido solforico.
L’acido cloridrico è emesso da processi di lavorazione industriale
ed è caratterizzato da
elevata solubilità in acqua generando soluzioni acide che attaccano
i materiali calcarei
trasformando il carbonato di calcio (calcite) in cloruro di calcio
esaidratato (antarcticite)
che, essendo molto solubile, migra nelle porosità. Infine l’acido
fluoridrico, (HF) formato
da processi industriali di fabbricazione di alluminio, acciaio,
vetro e mattoni, è l’unico
acido ad esercitare un’azione corrosiva sia sui silicati29.
28 Vasco FASSINA, Influenza dell’inquinamento atmosferico sui
processi di degrado dei materiali lapidei, in Materiali lapidei.
Problemi relativi allo studio del degrado e della conservazione,
«Bollettino d’arte» del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, vol.I, supplemento al n.41/1987, 1988, pp. 37-52 e e
Fabio VIDAL, Romeu VICENTE, J. MENDES SILVA, Review of
environmental and air pollution impacts on built heritage: 10
questions on corrosion and soiling effects for urban intervetion,
«Journal of Cultural Heritage », vol.37, 2019, pp.273-295; 29 Vasco
FASSINA, Influenza dell’inquinamento atmosferico sui processi di
degrado dei materiali lapidei, in Materiali lapidei. Problemi
relativi allo studio del degrado e della conservazione, «Bollettino
d’arte» del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, vol.I,
supplemento al n.41/1987, 1988, pp. 37-52
39
considerarsi come la maggior causa scatenante meccanismi di degrado
nei materiali
lapidei più o meno porosi. Nel caso specifico del legame fra
inquinamento atmosferico e
deterioramento, le precipitazioni atmosferiche e i processi di
condensazione ne
influenzano particolarmente lo sviluppo. Con il termine pioggia
acida si indica quel
particolare fenomeno che consiste nell’aumento o nelle variazioni
innaturali dell’acidità
delle precipitazioni atmosferiche a causa dell’assorbimento da
parte della pioggia di gas
o particelle acide di origine antropogenica. L’acqua acidificata
reagisce a contatto con i
materiali lapidei, soprattutto di origine calcarea, attraverso
processi chimici di
solfatazione e carbonatazione, descritti in precedenza, generando
sali di calcio o gesso,
particolarmente solubili ed asportabili per dilavamento, alterando
la struttura originaria
del materiale30. L’acidità della pioggia (pH) è un parametro
importante nella valutazione
della corrosione delle superfici e rappresenta con 7 il valore di
neutralità, con valori
maggiori la basicità e con quelli minori l’acidità. La pioggia,
avente differenti valori di pH,
agisce sulla superficie calcarea attraverso processi di
solubilizzazione e corrosione diretta
del carbonato di calcio31; in sperimentazioni del CNR eseguite nel
1988, si osserva che
l’acidità della pioggia, qualora contenuta in livelli superiori a
4, non ha un effetto corrosivo
particolarmente pericoloso anzi, si ritiene competitivo con quello
della pioggia naturale
(pH 5,6). Tuttavia, se si supera questa soglia, l’effetto corrosivo
è devastante. Inoltre si
evidenzia che, fino ad un valore di acidità di 4,5 la
solubilizzazione è l’unico responsabile
dell’asportazione di carbonato di calcio e quindi non vi sono
effetti corrosivi. Altri
meccanismi di azione della pioggia, anche se indiretta, si
ritrovano nell’asportazione
meccanica del materiale calcareo incoerente e successivo deposito
superficiale da cui ne
deriva l’imbibizione del materiale con esposizione ai rischi legati
ai cicli di gelo e disgelo.
La solubilizzazione di composti presenti sulla superficie ed il
loro trasporto all’interno del
materiale con successiva ricristallizzazione indotta
dall’evaporazione graduale dell’acqua
nei pori, è un meccanismo che si verifica per effetto della
condensazione. Il diverso effetto
dell’acqua piovana sui materiali lapidei non è solo vincolato al
suo livello di acidità ma è
legato, soprattutto, al modo in cui la superficie è bagnata: per
ruscellamento, tramite
pioggia battente o per l’interazione di piccole gocce trasportate
dal vento. Con
3030 Vasco FASSINA, Influenza dell’inquinamento atmosferico sui
processi di degrado dei materiali lapidei, in Materiali lapidei.
Problemi relativi allo studio del degrado e della conservazione,
«Bollettino d’arte» del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, vol.I, supplemento al n.41/1987, 1988, pp. 37-52 31
Federico GUIDOBALDI, Piogge acide e piogge naturali: analisi
dell’interazione diretta con i monumenti in marmo o pietra
calcarea, in Materiali lapidei. Problemi relativi allo studio del
degrado e della conservazione, «Bollettino d’arte» del Ministero
per i Beni e le Attività Culturali, vol.I, supplemento al
n.41/1987, 1988, pp. 73-86
40
ruscellamento si intende quel fenomeno che si registra nel momento
in cui la velocità di
deposizione dell’acqua piovana sulla superficie è nettamente
maggiore rispetto alla
capacità di assorbimento della stessa. In questo caso l’acqua in
eccesso migra e scorre
lungo la superficie secondo meccanismi diversi in base alla natura
del materiale stesso. In
generale, l’acqua ruscellante ha un effetto diretto sulla
superficie agendo nell’idrolisi e
solubilizzazione dei sali costituente il materiale originario
mentre, l’acqua fornita da
eventi atmosferici diversi come la nebbia, la rugiada o la brina
non è in grado di attivare
le reazioni chimiche che porterebbero in soluzione il carbonato di
calcio. In numerosi studi
32 si osserva che, sulle facciate di alcuni edifici presi in esame,
sono presenti situazioni di
notevole contrasto fra le zone soggette a forte dilavamento e
quelle che sono interessate
da lievi contatti con l’acqua e riparate dal ruscellamento; le
prima appaiono molto più
chiare ed apparentemente non deteriorate mentre le altre sono
caratterizzate dalla
formazione di incrostazioni superficiali di colore nero, chiamate
croste nere. Questa
tipologia di incrostazione si genera in zone esposte all’azione
degli agenti atmosferici
riceventi acqua in quantità sufficiente a formare, in loco, una
soluzione chimicamente
attiva, ma sono protette da un intenso dilavamento da parte
dell’acqua piovana. Grazie
allo studio in sezioni sottili dello strato di alterazione (figure
8,9,10,11), è possibile
affermare che le croste nere sono principalmente formate da
cristalli di gesso prodotto
da reazioni di solfatazione tra l’anidride solforosa ed il
carbonato di calcio presente nella
pietra sottostante, secondo quanto descritto al paragrafo
precedente. Questi cristalli si
presentano molto porosi, capaci di inglobare al loro interno delle
particelle carboniose
che sono le dirette responsabili sia della colorazione scura
dell’incrostazione sia
dell’ossidazione dell’anidride solforosa con conseguente produzione
di acido nitrico e
solforico, a causa degli ioni metallici catalizzatori di cui sono
composte, che aggrediscono
il carbonato di calcio trasformandolo in gesso. I sali prodotti
dalle reazioni chimiche,
trovandosi in zone protette dal dilavamento, una volta precipitati
non sono disciolti ed
asportati ma si accumulano formando l’incrostazione. Con il
progredire del processo di
degrado, la crosta aumenta il suo spessore fino a divenire
incoerente rispetto al substrato
carbonioso, distaccandosi e lasciando esposta una superficie
altamente porosa e rugosa,
che sarà facilmente aggredibile dagli agenti atmosferici.
32 Dario CAMUFFO, Marco DEL MONTE, Cristina SABBIONI, Influenza
delle precipitazioni e della condensazione sul degrado superficiale
dei monumenti in marmo e calcare, in Materiali lapidei. Problemi
relativi allo studio del degrado e della conservazione, «Bollettino
d’arte» del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, vol.I,
supplemento al n.41/1987, 1988, pp. 15-35
41
Figura -8 Micrografie in sezione sottile di aree nere osservate a
nicols incrociati, eseguite trasversalmente alla superficie del
materiale lapideo. Evidente presenza di strato superficiale di
cristalli di gesso aghiformi
perpendicolari alla superficie (Dario Camuffo, 1985)
Figura-9 Micrografie in sezione sottile di aree nere osservate a
nicols incrociati, eseguite trasversalmente alla superficie del
materiale lapideo, mostra il formarsi di cristalli di gesso anche
all’interno di fratture e
crepe del materiale (Dario Camuffo, 1985)
Figura -10 Micrografie in sezione sottile di aree nere osservate a
nicols incrociati, eseguite trasversalmente alla superficie del
materiale lapideo. A sinistra si evidenzia la presenza di
microfrattura
superficiale parallela alla superficie, indotta da tensioni
meccaniche per la presenza di gesso. (Dario Camuffo, 1985)
Figura -11 Micrografie in sezione sottile di aree nere osservate a
nicols incrociati, eseguite trasversalmente alla superficie del
materiale lapideo, si mostra la presenza di frammenti di
materiale
originale inglobati nella crosta di gesso a dimostrazione del fatto
che il gesso costituente questo strato superficiale deriva da un
processo di solfatazione del carbonato di calcio (Dario Camuffo,
1985)
42
Differente è la situazione che si osserva nelle superfici
direttamente esposte al
dilavamento poiché i prodotti del deterioramento sono costantemente
dilavati ed
asportati; la formazione di incrostazioni è inesistente. La
superficie risulta
apparentemente inalterata ed intatta ma, in realtà, è fortemente
erosa dalla
solubilizzazione del carbonato di calcio ed è caratterizzata dalla
presenza di un sottile
strato bianco di calcite ricristallizzata e da piccole quantità di
gesso, ragion per cui si
individuano come aree bianche. Dall’osservazione più accurata in
sezione sottile di
frammenti prelevati nelle zone più esposte (figure 12-13), si
evidenzia che la pietra
carbonatica è fortemente dilavata dall’azione dell’acqua piovana
ruscellante che origina
un flusso sufficiente a portare in soluzione il carbonato di calcio
ed asportarne i prodotti.
L’evaporazione del velo d’acqua che permane in queste aree porta
alla precipitazione di
calcite e successiva ricristallizzazione superficiale ma, l’intenso
dilavamento cui sono
soggette non ne consente l’accumulo.
Figura-12 micrografia in sezione sottile di un frammento
appartenente all'area bianca. La pietra ha subito forte
dissoluzione superficiale ma i bioclasti di calcite, più resistenti
all'attacco chimico, appaiono in
rilievo. Assenza di cristalli di calcite secondaria (D.Camuffo,
1985)
43
Figura -13 micrografia in sezione sottile di un frammento
appartanente all’area bianca. Si osserva la riprecipitazione di
calcite secondaria in cristalli di grosse dimensioni (D.Camuffo,
1985)
Si osservano poi delle aree intermedie, definite grigie, in cui
l’acqua non raggiunge la
superficie e che risultano coperte da uno strato superficiale
incoerente di particelle di
natura, composizione e dimensioni differenti, debolmente vincolate
fra loro; possono
essere di origine naturale o prodotte dall’inquinamento
atmosferico. Queste aree grigie
si ritrovano in zone protette dalle precipitazioni atmosferiche ma
non dai fenomeni di
umidità, nebbia, rugiada e brina infatti, la soluzione acida che si
genera durante questi
eventi è la principale responsabile del deterioramento per
corrosione poiché la
concentrazione di agenti inquinanti è alta rispetto alla quantità
di acqua. La roccia
sottostante, comunque, appare inalterata da fenomeni di
dissoluzione della calcite o
formazione di gesso, rimanendo intatta.
44
Figura-14 Padova, Palazzo del Podestà. Fotografia della facciata
dove si evidenzia l'alternanza fra croste nere e porzioni soggette
a dilavamento (D.Camuffo, 1985)
Differente è il caso dei graniti; La loro composizione mineralogica
è caratterizzata, al
contrario dei calcari e marmi, da basse percentuali di carbonato di
calcio considerato
come il diretto responsabile delle reazioni di carbonatazione e
solfatazione alla base dei
meccanismi di deterioramento dei materiali stessi. Ne deriva che,
in presenza dei prodotti
di queste reazioni, l’origine dei processi di degrado non è dovuta
alle reazioni delle
componenti del materiale ma deve essere ricercata altrove. Uno
studio interessante33 si
concentra sull’esame di patine e croste nere rilevate da campioni
di granito prelevati dai
rivestimenti di alcuni monumenti situati ad Aberdeen (Scozia) e
Dublino (Irlanda): York
Street Nursery School di Aberdeen e Regent’s House del Trinity
College di Dublino. Nel
primo caso, l’edificio risale al XIX secolo, situato in prossimità
del porto ed incluso in un
programma di ricerca e sperimentazione sui metodi di pulitura dei
monumenti realizzati
in granito. Sono stati prelevati dei campioni di lamine di granito
con depositi superficiali
o presenza di rigonfiamenti e scheggiature, in porzioni di
rivestimento compresi fra 1,50
e 3,00 metri di altezza. A livello petrografico, il materiale è
costituito da quarzo,
plagioclasio, apatite, ossidi del ferro e altre componenti minori.
Le condizioni ambientali
e climatiche registrano precipitazioni medie annue intorno ai 789
mm/anno e la
concentrazione di SO2, registrata nel decennio precedente a questa
ricerca, si aggira
intorno al 29 µg/m3. Nel caso della Regent’s House del Trinity
College di Dublino sono stati
prelevati dei campioni di incrostazioni nere dalle canne fumarie
dei camini dell’edificio. Il
granito utilizzato per la costruzione, chiamato Leinster Granite,
deriva da cave locali ed è
33 N.SCHIAVON, G.CHIAVARI, D.FABBRI, G.SCHIAVON, Nature and decay
effects of urban soiling on granitic building stones, «the Science
of the Total Environment »1995, pp. 87-101;
45
ricco di quarzo, ortoclasio, plagioclasio e altri minerali. Il
college è situato in un’area
centrale della città soggetta a concentrazioni medio-alte di
inquinamento atmosferico
causato da traffico veicolare; la media annua di concentrazione di
SO2 registrata negli anni
precedenti allo svolgersi della ricerca è di circa 38 µg/m3. I
campioni di entrambi i casi
studio sono stati successivamente esaminati tramite microscopia
elettronica a scansione
(SEM) e altri tipi di osservazioni in laboratorio: nel caso dei
campioni prelevati dal Trinity
College di Dublino si osserva una patina superficiale, dallo
spessore di 0.50 cm, formata
da una rete di cristalli di gesso aciculari e lamelle. Si osserva,
inoltre, una diffusa micro-
frammentazione del granito e la presenza, all’interno della crosta
superficiale, di
frammenti di minerali derivati dal materiale stesso e di
particolato atmosferico di origine
antropica (Figura 15).
Figura -15 microfotografia di sezioni sottili di una porzione di
granito ricoperto da patina ricca di gesso. Si evidenzia la pr