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I pensieri intrusivi nel Disturbo Post-Traumatico da Stress 1. Definizione e Quadro clinico 2. Incidenza 3. Decorso 4. I pensieri intrusivi nel Disturbo Post-Traumatico da Stress 5. Modelli teorici di riferimento 5.1 Concettualizzazione cognitivo-comportamentale 6. Modalità di Assessment 6.1 Modalità del colloquio e diagnosi differenziale 6.2 Test psicologici 7. Modalità di trattamento 7.1 Psicoterapia individuale: approccio terapeutico cognitivocomportamentale 7.2 L’EMDR VALENTINA, da una Tonsillectomia ad un Disturbo Post-Traumatico da Stress con Attacchi di Panico. PRESENTAZIONE DEL CASO 1. Informazioni generali 1.1 Generalità del paziente 2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta per i test) 2.1 Richiesta dell’utente 2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio 2.3 Allargamento ad altri problemi 2.4 Motivazione 2.5 Strumenti psicodiagnostici 2.6 Analisi funzionale 2.7 Diagnosi DSM-IV: 2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento 3. Trattamento 3.1 Svolgimento delle sedute 3.2 Follow-up e Conclusioni Disturbo dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificato: una distinta realtà diagnostica 1. Definizioni e Quadro clinico 1.1 Definizione attuale di EDNOS 2. Incidenza dei Disturbi dell’Alimentazione 3. Modelli teorici di riferimento 3.1 Concettualizzazione Cognitivo-Comportamentale 3.1.1 Fattori predisponesti 3.1.2 Fattori scatenanti 3.1.3 Fattori di mantenimento 4. Modalità di Assessment 4.1 Colloquio clinico e Relazione Terapeutica 4.2 Test psicologici 5. Modalità di trattamento 5.1 Intervento psicoeducativo 5.2 Psicoterapia individuale: approccio cognitivo-comportamentale
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Benedetta, il “nervoso”, le abbuffate ed un Disturbo Alimentare Non Altrimenti Specificato. PRESENTAZIONE DEL CASO 1. Informazioni generali 1.1 Generalità del paziente 1.2 Caratteristiche della relazione 2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 2.1 Richiesta dell’utente 2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio 2.3 Allargamento ad altri problemi 2.4 Motivazione 2.5 Strumenti psicodiagnostici 2.6 Analisi funzionale 2.7 Diagnosi DSM-IV: 2.8 Concettualizzazione del caso 2.9 Proposta d’intervento 3. Trattamento 3.1 Svolgimento delle sedute 3.2 Follow-up e Conclusioni Fobia Specifica: un processo filogenetico di attenzione selettiva 1. Definizione e Quadro clinico 2. Incidenza 3. Decorso 4. Fobia specifica e Bias attentivo: la ricerca attuale 5. Modelli teorici di riferimento 5.1 Concettualizzazione cognitivo-comportamentale 6. Modalità di assessment 6.1 Modalità del colloquio e diagnosi differenziale 6.2 Test psicologici 7. Modalità di trattamento 7.1 Approccio terapeutico cognitivo-comportamentale: Esposizione graduale in vivo, Desensibilizzazione Sistematica ed Applied Relaxation Andrea: un caso di Cinofobia. PRESENTAZIONE DEL CASO 1. Informazioni generali 1.1 Generalità del paziente 1.2 Caratteristiche della relazione 2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di test) 2.1 Richiesta dell’utente 2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio 2.3 Storia del problema 2.4 Motivazione 2.5 Strumenti psicodiagnostici 2.6 Analisi funzionale 2.7 Diagnosi DSM-IV 2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento 3. Trattamento 3.1 Svolgimento delle sedute 3.2 Follow-up e Conclusioni
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Gruppo Disturbo di Panico. PRESENTAZIONE DEI CASI INTRODUZIONE 1. Informazioni generali 1.1 Generalità dei pazienti 2.1 Richiesta degli utenti 2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio 2.3 Motivazione 2.4 Strumenti psicodiagnostici 2.5 Analisi funzionale 2.6 Diagnosi DSM-IV: 2.7 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento 3. Trattamento 3.1 Svolgimento delle sedute 3.2 Follow-up e Conclusioni Elisa, Disturbo Borderline di Personalità e Drop-Out. PRESENTAZIONE DEL CASO 1. Informazioni generali 1.1 Generalità del paziente 1.2 Caratteristiche della relazione2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di test) 2.1 Richiesta dell’utente 2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio 2.3 Allargamento ad altri problemi 2.3.1 Lo stato di salute 2.3.2 Il rapporto madre-figlia 2.3.3 La storia educativa 2.3.4 La scuola ed il lavoro 2.3.5 Le aggressioni a sfondo sessuale 2.3.6 Il tentato stupro dello zio materno e la storia della madre 2.3.7 Conclusioni 2.4 Motivazione 2.5 Strumenti psicodiagnostici 2.6 Analisi funzionale 2.7 Diagnosi DSM-IV 2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento 3. Trattamento 3.1 Svolgimento delle sedute 3.2 Conclusioni Carmela: una fobia situazionale. PRESENTAZIONE DEL CASO 1. Informazioni generali 1.1 Generalità del paziente 2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di test) 2.1 Richiesta dell’utente 2.2 Storia del problema 2.3 Motivazione 2.4 Strumenti psicodiagnostici 2.5 Analisi funzionale
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2.6 Diagnosi DSM-IV 2.7 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento 3. Trattamento 3.1 Svolgimento delle sedute 3.2 Follow-up e Conclusioni Giada: Disturbo Evitante di Personalità. PRESENTAZIONE DEL CASO 1. Informazioni generali 1.1 Generalità del paziente 1.2 Caratteristiche della relazione 2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di test) 2.1 Richiesta dell’utente 2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio 2.3 Allargamento ad altri problemi 2.4 Motivazione 2.5 Strumenti psicodiagnostici 2.6 Analisi funzionale 2.7 Diagnosi DSM-IV: 2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento 3. Trattamento 3.1 Svolgimento delle sedute 3.2 Follow-up e Conclusioni Matteo un caso di Disturbo Oppositivo-Provocatorio. PRESENTAZIONE DEL CASO 1. Informazioni generali 1.1 Generalità del paziente 1.2 Caratteristiche della relazione 2. Assessment (5 sedute: 3 colloqui clinici con il minore, 1 con la madre, 1 con entrambi i genitori) 2.1 Richiesta dell’utente 2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio 2.3 Allargamento ad altri problemi 2.4 Motivazione 2.5 Strumenti psicodiagnostici 2.6 Analisi funzionale 2.7 Diagnosi DSM-IV: 2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento 3. Trattamento 3.1 Svolgimento delle sedute 3.2 Follow-up e Conclusioni BIBLIOGRAFIA
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I pensieri intrusivi nel Disturbo Post-Traumatico da Stress
1. Definizione e Quadro clinico
La caratteristica essenziale del Disturbo Post-Traumatico da Stress è lo sviluppo di sintomi tipici che
seguono l’esposizione ad un fattore traumatico estremo che implica l’esperienza personale diretta di
un evento che causa o può comportare morte o lesioni gravi o altre minacce all’integrità fisica, per se
o per altri; od il venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di
morte o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altra persona con cui si è in stretta
relazione (Criterio A1). La risposta della persona all’evento deve comprendere paura intensa, il sentirsi
inerme od il provare orrore (oppure, nei bambini, la risposta deve comprendere comportamento
disorganizzato o agitazione) (Criterio A2). I sintomi caratteristici che risultano dall’esposizione ad un
trauma estremo includono il continuo rivivere l’evento traumatico (Criterio B), l’evitamento persistente
degli stimoli associati con il trauma, l’ottundimento della reattività generale (Criterio C) e sintomi
costanti di aumento dell’arousal (Criterio D). Il quadro sintomatologico completo deve essere presente
per più di un mese (Criterio E) ed il disturbo deve causare disagio clinicamente significativo o
menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti (Criterio F).
Gli eventi traumatici vissuti direttamente includono, ma non sono limitati a, combattimenti militari,
aggressione personale violenta (violenza sessuale, attacco fisico, scippo, rapina), rapimento, essere
presi in ostaggio, attacco terroristico, tortura, incarcerazione come prigioniero di guerra o in un campo
di concentramento, disastri naturali o provocati, gravi incidenti automobilistici, ricevere una diagnosi di
malattie minacciose per la vita.
Gli eventi vissuti in qualità di testimoni includono, ma non sono limitati a, l’osservare il ferimento grave
o la morte innaturale di un’altra persona dovuti ad assalto violento, incidente, guerra o disastro, od il
trovarsi inaspettatamente di fronte ad un cadavere od a parti di un corpo.
Gli eventi vissuti da altri, ma di cui si è venuti a conoscenza, includono, ma non sono limitati a,
aggressione personale violenta, grave incidente o gravi lesioni subiti da un membro della famiglia o da
un amico stretto; il venire a conoscenza della morte improvvisa e inaspettata, di un membro della
famiglia o di un amico stretto; oppure il venire a conoscenza di una malattia minacciosa per la vita di
un proprio bambino. Il disturbo può risultare particolarmente grave e prolungato quando l’evento
stressante è ideato dall’uomo (per es. tortura, rapimento). La probabilità di sviluppare questo disturbo
può aumentare proporzionalmente all’intensità ed alla prossimità fisica con il fattore stressante.
L’evento traumatico può essere rivissuto in vari modi. Comunemente la persona presenta ricordi
ricorrenti ed intrusivi dell’evento (Criterio B1) o sogni sgradevoli ricorrenti durante i quali l’evento può
essere reiterato o altrimenti rappresentato (Criterio B2). In rari casi vengono vissuti stati dissociativi
durante i quali vengono rivissuti elementi dell’evento e l’individuo si comporta come se li stesse
affrontando in quel momento; essi possono durare da pochi secondi a diverse ore, fino ad interi giorni,
(Criterio B3). Questi episodi, spesso chiamati ‘‘flashback’,’ sono tipicamente brevi, ma possono essere
associati ad un disagio prolungato e ad un innalzato stato di attivazione. Spesso si manifestano
intenso disagio psicologico (Criterio B4) o reattività fisiologica (Criterio B5) quando la persona viene
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esposta ad eventi scatenanti che assomigliano o simbolizzano anche solo un aspetto dell’evento
traumatico.
Vengono poi evitati in modo persistente gli stimoli associati con il trauma; la persona comunemente si
sforza volontariamente di evitare pensieri, sentimenti o conversazioni che riguardano l’evento
traumatico (Criterio C1) e di eludere attività, situazioni o persone che suscitano ricordi di esso (Criterio
C2); tale comportamento può provocare amnesia per qualche aspetto importante dell’evento
traumatico stesso (Criterio C3). Di solito subito dopo l’accaduto inizia una riduzione della reattività
verso il mondo esterno, a cui ci si riferisce come “paralisi psichica” o “anestesia emozionale”.
L’individuo può lamentare una marcata riduzione dell’interesse o della partecipazione ad attività
precedentemente piacevoli (Criterio C4), di sentirsi distaccato od estraneo nei confronti delle altre
persone (Criterio C5), o ancora di avere una marcata riduzione della capacità di provare emozioni
(Criterio C6). Può essere lamentato un senso di diminuzione delle prospettive future (per es. non
aspettarsi di avere una carriera, un matrimonio, figli, od una normale durata di vita) (Criterio C7).
Infine vengono riportati persistenti sintomi d’ansia e di aumento dell’arousal, non presenti prima del
trauma; questi sintomi possono includere difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, che può
essere causata da incubi frequenti durante i quali viene rivissuto l’evento traumatico (Criterio D1),
ipervigilanza (Criterio D4), ed esagerate risposte di allarme (Criterio D5). Alcuni individui riferiscono
irritabilità e scoppi d’ira (Criterio D2), o difficoltà a concentrarsi od a eseguire compiti (Criterio D3).
Possono essere utilizzate le seguenti specificazioni per indicare l’esordio e la durata dei sintomi del
Disturbo Post-Traumatico da Stress:
Acuto: quando la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi.
Cronico: quando i sintomi durano 3 mesi o più.
Ad Esordio Tardivo: quando sono trascorsi almeno 6 mesi tra l’evento e l’esordio dei sintomi (APA,
2001).
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress si associa con tassi innalzati di Disturbo Depressivo Maggiore
(Episodio Singolo e Ricorrente), Disturbi Correlati a Sostanze, Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e
Con Agorafobia), Agorafobia, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo d’Ansia Generalizzato, Fobia
Sociale, Fobia Specifica e Disturbo Bipolare. Questi disturbi possono precedere, seguire o emergere in
concomitanza con l’insorgenza del Disturbo Post-Traumatico da Stress.
2. Incidenza
Si stima che la prevalenza nell'arco della vita del Disturbo Post-Traumatico da Stress sia compresa fra
l'1 e il 3% della popolazione, benché un ulteriore 5-15% possa presentare forme subcliniche di esso.
Benché il disturbo possa comparire ad ogni età, ha una maggiore prevalenza nei giovani adulti, a causa
della natura delle situazioni precipitanti. L'evento traumatico per gli uomini è di solito un'esperienza di
combattimento, mentre per le donne è più comunemente un'aggressione o uno stupro.
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3. Decorso
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress si può manifestare a qualsiasi età, compresa l’infanzia. I sintomi
di solito iniziano nei primi 3 mesi dopo il trauma, sebbene possa esservi un ritardo di mesi o anche di
anni prima della comparsa dei sintomi.
I sintomi del disturbo e la relativa predominanza della riesperienza, l’evitamento ed i sintomi di iper-
arousal possono variare nel tempo; se nella metà dei casi la remissione completa si verifica in 3 mesi,
altrettanti hanno sintomi persistenti per più di dodici mesi dopo il trauma. In alcuni casi, il decorso è
caratterizzato da un’alternanza di attenuazione e riacutizzazione della malattia e la riattivazione
frequentemente si associa a fattori intervenienti che fanno ricordare il trauma originale, circostanze di
vita stressanti o nuovi eventi traumatici (APA, 2001).
Come già accennato si è sempre ritenuto che la gravità, la durata e la prossimità dell’individuo
all’evento traumatico fossero i fattori più importanti nell’influenzare l’insorgenza del disturbo, mentre
vi sono recenti evidenze che i supporti sociali, l’anamnesi familiare, le esperienze infantili, le variabili di
personalità, i disturbi mentali preesistenti ed il personale e soggettivo vissuto individuale possano
incidere sull’insorgenza di questa sindrome. Resta di fatto che tale disturbo si può sviluppare anche in
individui senza alcuna condizione predisponente, soprattutto se l’evento stressante è particolarmente
grave (Yule, 1993).
4. I pensieri intrusivi nel Disturbo Post-Traumatico da Stress
I pensieri intrusivi rappresentano una delle caratteristiche fondamentali del Disturbo Post-Traumatico
da Stress, ancor prima del suo riconoscimento formale come categoria diagnostica (Kardiner, 1941).
In letteratura le cognizioni intrusive sono state studiate a fondo e nel dettaglio da Rachman e coll., da
circa 30 anni (Rachman, 1971, 1978, 1981; Rachman e de Silva, 1978; Parkinson e Rachman, 1981); i
primi studi erano focalizzati sulle cognizioni intrusive indesiderate e Rachman e de Silva, nella
pubblicazione del 1978 chiamavano “ossessioni normali”. Il termine fu suggerito dalla natura e dai
caratteri formali delle cognizioni intrusive indesiderate che, nei soggetti normali, non differivano molto
dalle ossessioni tipiche dei soggetti con Disturbo Ossessivo Compulsivo, ossia fenomeni di natura
intrusiva. Sebbene i primi studi ponessero l’attenzione sulle cognizioni intrusive negative ed
indesiderate (pensieri blasfemi o violenti, immagini di scene sgradevoli e così via) fu riconosciuta, fin
da quella fase, l’esistenza di cognizioni intrusive non negative o spiacevoli, come sogni ad occhi aperti,
fantasie sentimentali che Rachman accumunava alla cosiddetta ispirazione degli artisti (1981).
Salkovskis nel 1990 ne fornisce una nuova definizione: “Le cognizioni intrusive sono eventi della
mente che vengono percepiti come un’interruzione del flusso di coscienza e che catturano l’attenzione;
queste possono presentarsi sottoforma di pensieri verbali, immagini, impulsi od una combinazione dei
tre” (Salkovskis, 1990).
Nel PTSD queste cognizioni costituiscono uno specifico criterio diagnostico ed è dimostrato che,
sebbene possano essere sia pensieri che immagini, quest’ultime sarebbero più comuni (Ehlers e Steil,
1995), sebbene molti autori abbiano fatto la scelta di non distinguere i due concetti (Wells e Davies,
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1994), anche per non rimanere fuorviati da tutti quei casi in cui le esperienze cognitive risulterebbero
da una fusione di pensieri ed immagini (de Silva, 1986).
La principale reazione a questi elementi pare essere il loro evitamento spesso attraverso coercizioni
nella propria libertà per eludere stimoli trigger, che siano programmi televisivi, persone specifiche,
luoghi od attività.
Secondo Rachman (1980) le cognizioni intrusive si presenterebbero per una necessità di rielaborazione
ed assorbimento delle esperienze traumatiche, affinché quest’ultime non causino una compromissione
del funzionamento globale dell’individuo e che, incubi, reazioni di paura e pensieri ed immagini che
irrompono improvvisamente nel flusso di pensieri dipenderebbero da un’elaborazione emozionale
insoddisfacente. Poiché tali vissuti risultano spiacevoli essi vengono allontanati e per un processo di
rinforzo negativo andrebbero però a mantenersi nel tempo. La presenza di un’esperienza intrusiva
indica che la rete mnemonica legata al trauma si è attivata, consentendo una revisione della stessa in
senso adattivo; così alcune di queste esperienze possono venir considerate come meccanismi di
adattamento che nel tempo, potrebbero portare ad una riduzione dei sintomi; Creamer (1995)
sottolinea che solo alcuni fenomeni intrusivi possono arrogarsi il merito di svolgere questa funzione,
mentre gli altri contribuirebbero al mantenimento del problema.
5. Modelli teorici di riferimento
5.1 Concettualizzazione cognitivo-comportamentale
Il principale modello di riferimento del Disturbo Post-Traumatico da Stress si rifà alla famosa teoria
bifattoriale di Mowrer (1960) secondo la quale, attraverso un processo di condizionamento classico,
uno stimolo precedentemente neutro, che era presente nel corso del trauma, diventa in grado di
elicitare di per se stesso una risposta di ansia.
Inoltre, attraverso il processo della generalizzazione e di un condizionamento di secondo ordine, altri
stimoli associati sia allo stimolo di paura sia a quello neutro, che erano presenti nel corso del trauma,
divengono anch’essi in grado di provocare risposte di paura. Di conseguenza, mediante un processo di
condizionamento operante, si sviluppa un comportamento di evitamento. Quest’ultimo, insieme ai
comportamenti di fuga, viene appreso mediante un processo di rinforzo negativo in quanto è in grado
di porre termine allo stato aversivo di paura.
Oltre ai modelli basati sulle teorie dell’apprendimento, negli anni si sono affacciati alla ribalta anche
modelli cognitivi del PTSD. Uno dei primi modelli di questo tipo è stato quello di Horowitz (1986).
Egli sostiene che il principale slancio all’interno del sistema cognitivo per l’elaborazione delle
informazioni deriva dalla tendenza al completamento, cioè dal bisogno psicologico di far corrispondere
le nuove informazioni con i modelli interni basati su informazioni precedenti e la revisione di entrambi
sino al punto di trovare un accordo. Questa tendenza al completamento consente alla mente di
accordarsi con la realtà presente, requisito essenziale per prendere decisioni efficaci e perché
l’individuo sia in equilibrio con l’ambiente.
Horowitz sostiene che dopo aver subito un trauma, si verifica un iniziale crying out o reazione di
stordimento, seguita da un periodo di sovraccarico informativo, nel quale i pensieri, i ricordi e le
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immagini del trauma non riescono a conciliarsi con gli schemi cognitivi preesistenti ostacolando così la
tendenza al completamento. In questo modo diverse difese psicologiche entrano in gioco nel
mantenere l’informazione traumatica a livello inconscio e l’individuo sperimenta un periodo
caratterizzato da anestesia affettiva e negazione nei confronti dell’evento. Tali informazioni
traumatiche, però, a causa della tendenza al completamento, vengono mantenute ugualmente in
quella che Horowitz definisce memoria attiva. E’ quest’ultima che permette che le informazioni si
facciano strada attraverso le difese e irrompano nella coscienza attraverso flash back, incubi, pensieri
intrusivi, non appena l’individuo cerca di fondere le nuove informazioni con le concezioni preesistenti.
Secondo Horowitz, questo conflitto tra la tendenza al completamento da una parte e ed i meccanismi
psicologici di difesa dall’altra, fa sì che gli individui oscillino tra fasi caratterizzate da intrusività e
negazioni/anestesia affettiva. L’impossibilità ad elaborare completamente le informazioni traumatiche
fa sì che esse stazionino nella memoria attiva sino a cronicizzare il PTSD.
Un altro modello cognitivo, oggi molto accreditato, è quello sviluppato dalla Foa e dai suoi
collaboratori (Foa e Kozak, 1986; Foa et al., 1989; Foa et al., 1992; Foa e Riggs, 1993), denominato
“fear network” (rete della paura).
Esso si basa sulla formazione di una “rete della paura” nella memoria a lungo termine. Questa rete
comprende lo stimolo informazionale relativo all’evento traumatico, l’informazione circa le reazioni
cognitive, comportamentali e psicologiche dell’evento, e l’informazione che tiene insieme questi
elementi stimolo-risposta.
L’attivazione di uno di questi fear network, tramite la stimolazione di qualche elemento associato al
trauma, fa entrare l’informazione nella consapevolezza cosciente. I sintomi di evitamento che
caratterizzano il disturbo sono prodotti dal tentativo di ridurre tale tipo di attivazione.
Secondo la Foa, il trauma può essere superato integrando l’informazione contenuta nel fear network
con strutture mnemoniche preesistenti. Questa integrazione necessita che il network venga attivato
per poterlo modificare e che siano disponibili informazioni incompatibili con quelle contenute nel fear
network, così che l’intera struttura mnemonica possa venir modificata. Alcuni fattori sono in grado di
mediare il decorso di tale integrazione: ad esempio, eventi particolarmente imprevedibili e
incontrollabili sono meno facilmente assimilabili nei modelli preesistenti di eventi maggiormente
prevedibili. Inoltre, la particolare gravità dell’evento può condurre alla formazione di un network
particolarmente “smembrato e frammentato”, e quindi difficilmente integrabile con i modelli
preesistenti, a causa della distruzione dei processi cognitivi al momento del trauma.
6. Modalità di Assessment
6.1 Modalità del colloquio e diagnosi differenziale
Nel Disturbo Post-Traumatico da Stress l’evento stressante deve essere di natura estrema e questo
diventa elemento d’elezione per la diagnosi differenziale con il Disturbo dell’Adattamento, nel quale
l’evento stressante può essere invece di qualsiasi livello di gravità. La diagnosi di Disturbo
dell’Adattamento può essere appropriata sia per le situazioni in cui la risposta ad un evento stressante
estremo non soddisfa i criteri per il Disturbo Post-Traumatico da Stress (o per un altro disturbo
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mentale specifico), sia per le situazioni in cui il quadro sintomatologico del Disturbo Post-Traumatico
da Stress si manifesta in risposta ad un evento stressante non estremo (per es., abbandono da parte
del coniuge, licenziamento).
Non tutta la psicopatologia che si manifesta in individui esposti ad un evento stressante estremo deve
essere necessariamente attribuita ad un Disturbo Post-Traumatico da Stress.
I sintomi di evitamento, l’intorpidimento e l’aumento dell’arousal, presenti prima dell’esposizione
all’evento stressante non soddisfano i criteri per la diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress e
richiedono la considerazione di altre diagnosi (per es., un Disturbo dell’Umore o altri Disturbi d’Ansia).
Inoltre, se il modello di risposta sintomatologica all’evento stressante estremo soddisfa i criteri per un
altro disturbo mentale, (per es., Disturbo Psicotico Breve, Disturbo di Conversione, Disturbo
Depressivo Maggiore, Episodio Singolo e Ricorrente), dovrebbero essere poste queste diagnosi
insieme o in alternativa al Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Il Disturbo Acuto da Stress si distingue dal Disturbo Post-Traumatico da Stress poiché il quadro
sintomatologico nel Disturbo Acuto da Stress si deve manifestare entro 4 settimane dall’evento
traumatico e risolversi entro quel periodo di 4 settimane.
Se i sintomi persistono per più di un mese e soddisfano i criteri per il Disturbo Post-Traumatico da
Stress, la diagnosi cambia da Disturbo Acuto da Stress a Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo vi sono pensieri intrusivi ricorrenti, ma questi vengono vissuti
come inappropriati e non sono correlati all’esperienza di un evento traumatico.
I flashback nel Disturbo Post-Traumatico da Stress devono essere distinti dalle illusioni, allucinazioni e
altri disturbi percettivi che possono manifestarsi nella Schizofrenia, in altri Disturbi Psicotici, in un
Disturbo dell’Umore con Manifestazioni Psicotiche, in un delirium, nei Disturbi Indotti da Sostanze
(Intossicazione e Astinenza) e nei Disturbi Psicotici Dovuti ad una Condizione Medica Generale.
La Simulazione dovrebbe essere presa in considerazione in quelle situazioni che implicano
risarcimento, accesso a benefici e determinazioni legali.
Gli individui con Disturbo Post-traumatico da Stress possono descrivere dolorosi sentimenti di colpa
per il fatto di essere sopravvissuti a differenza degli altri o per ciò che hanno dovuto fare per
sopravvivere. Le modalità di evitamento possono interferire con le relazioni interpersonali e portare a
conflitti coniugali, divorzio o perdita del lavoro. In alcuni casi gravi e cronici possono essere presenti
allucinazioni uditive ed ideazione paranoide. Si può manifestare la seguente costellazione di sintomi,
che risulta associata più comunemente con eventi stressanti di tipo interpersonale (per es., abuso
sessuale o fisico nell’infanzia, violenze domestiche, essere presi in ostaggio, incarcerazione come
prigioniero di guerra o in un campo di concentramento, tortura): compromissione della modulazione
affettiva; comportamento autolesivo e impulsivo; sintomi dissociativi; lamentele somatiche; sentimenti
di inefficienza, vergogna, disperazione o mancanza di speranza; sentirsi irreparabilmente danneggiati;
perdita di convinzioni precedentemente sostenute; ostilità; ritiro sociale; sensazione di minaccia
costante; compromissione delle relazioni con gli altri; oppure cambiamento delle caratteristiche
precedenti di personalità.
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6.2 Test psicologici
Esistono diversi strumenti per la valutazione dei principali criteri diagnostici del Disturbo Post-
Traumatico da Stress, si tratta per lo più di scale che misurano la presenza e talvolta l’intensità di ogni
singolo sintomo così come riportato nel DSM, nella sua versione III-R.
Un test standardizzato specifico per il disturbo, in lingua italiana e che esplori in maniera allargata e
non troppo specifica la sintomatologia presente non esiste e molti clinici ritengono utile fidarsi della
propria indagine personale attraverso le tecniche del colloquio.
Sebbene non fornisca una discriminazione fine dei vari elementi che caratterizzano il disturbo, il test
MMPI-2 si presenta come metodo d’indagine standardizzato ed utile mezzo per l’individuazione di
questa patologia attraverso una specifica scala supplementare, la PK in maniera piuttosto accurata
(Lyons e Wheeler-Cox, 2005).
7. Modalità di trattamento
7.1 Psicoterapia individuale: approccio terapeutico cognitivo-
comportamentale
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress costituisce un grave problema sanitario. Nonostante sia stato
misconosciuto per molto tempo, esso è in realtà molto diffuso ed invalidante. I sintomi psichiatrici,
psicosomatici e fisici, le difficoltà nei rapporti familiari e sociali, il rischio di tossicodipendenza e di
alcolismo, le diverse inabilità sociali che ad esso si associano ne sono una dimostrazione.
Il trattamento del PTSD è teso principalmente a risolvere i problemi psicologici e comportamentali che
il soggetto presenta, tuttavia una terapia farmacologica può essere utilmente indicata in associazione
ad una psicoterapia; i tradizionali approcci con farmaci sedativi ed ansiolitici rappresentano ormai una
risposta superata ed anche errata alla luce degli studi sulle modificazioni del SNC conseguenti al
trauma. Sui sintomi intrusivi e sull’evitamento sembrano essere utili i farmaci serotoninergici, come gli
antidepressivi triciclici e gli inibitori della ricaptazione di serotonina mentre i sintomi attivi quali i flash-
back, l’iperattivazione, gli incubi e l’ansia sembrano migliorare con i tradizionali farmaci antiepilettici
quali valproato e carbamazepina.
Per quel che riguarda l’aspetto psicoterapeutico, l’approccio cognitivo-comportamentale, apprezzato
per l’efficacia (ampiamente documentata in letteratura) e brevità del trattamento, è tra quelli
maggiormente indicati; esso porta ad una progressiva riduzione dell’ansia e degli altri sintomi correlati
all’evento traumatico, e nello specifico prevede l’applicazione delle seguenti tecniche:
- l’esposizione in immagini, una tecnica basata sull’esposizione del soggetto al ricordo del trauma
attraverso resoconti verbali e immaginativi;
- l’esposizione in vivo, ossia il confronto graduale e controllato con quelle situazioni ansiogene
precedentemente evitate dal soggetto;
- la terapia cognitiva, che si concentra sulle credenze e assunzioni del soggetto circa se stesso, gli altri
e il mondo, procedendo ad una ristrutturazione cognitiva dei pensieri distorti dopo aver effettuato un
assessment specifico e accurato.
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7.2 L’EMDR
Non può non meritare un cenno una pratica clinica di cui molto si parla in questi anni, l’Eye Movement
Desensitizazion and Reprocessing (EMDR), una procedura psicoterapeutica introdotta da Francine
Shapiro (1989; 1995) per il trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress. La tecnica deve il suo
nome al fatto che la Shapiro ritiene fondamentale l’impiego di determinati movimenti oculari in grado
di favorire la desensibilizzazione nei confronti dei ricordi traumatici nei pazienti PTSD.
Sebbene la diffusione dell’EMDR sia stata molto rapida in tutto il mondo ed abbia creato, da un lato,
entusiasmo in molti clinici che riferiscono di averne constatato l’indubbia e sorprendente efficacia, non
vanno trascurate, dall’altro lato, le aspre critiche relative all’aura di magia e di eccessivo empirismo
attribuita alla tecnica. Molte perplessità, inoltre, sono relative alla rapidità ed efficienza della
remissione dei sintomi, e soprattutto al meccanismo fisiologico sottostante il trattamento.
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VALENTINA, da una Tonsillectomia ad un Disturbo Post-Traumatico da Stress con Attacchi
di Panico. PRESENTAZIONE DEL CASO
1. Informazioni generali
1.1 Generalità del paziente
Valentina nasce il 02/07/1981 a Tropea in Calabria, ma risiede a Certaldo dall’età di 9 anni con la
famiglia d’origine composta dai genitori e dai fratelli più giovani di lei, un maschio ed una femmina.
Dopo aver conseguito la licenza media decide di smettere di studiare per andare a lavorare ed
attualmente lavora come operaia in una fabbrica di scarpe.
1.2 Caratteristiche della relazione
Valentina si rivolge autonomamente alla psicologa dietro consiglio medico, in quanto ha sperimentato
alcuni attacchi di panico; al termine del primo colloquio, avvenuto in data 20/02/2008 viene stabilita
una frequenza di incontri settimanale della durata di un’ora ciascuno.
2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta per i test)
2.1 Richiesta dell’utente
Come accennato Valentina chiede aiuto perché da circa 5 mesi soffre di attacchi di panico e questo
disturbo comincia ad erodere parte della sua autonomia in quanto sente di non avere più il desiderio
di uscire e spesso si rende conto che non si tratta di voglia, bensì di paura di quello che potrebbe
accadere se invece svolgesse una vita normale.
2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio
Valentina si è trasferita in Toscana all’età di 9 anni con la famiglia; racconta di aver sofferto molto per
l’isolamento sociale che ha provato inizialmente anche se, con l’inizio della scuola è riuscita a ricrearsi
un gruppo di amici. Si è attaccata ad una bambina in particolare, ma, come spesso succede nella
preadolescenza, qualche screzio di troppo ha incrinato definitivamente il rapporto e quindi adesso
riferisce di non credere più nell’amicizia. Si fida molto della sua famiglia invece e ritiene che gli affetti
all’interno di essa abbiano un valore enorme; vive con i genitori ed ha un buon rapporto sia con loro
che con il fratello di 22 anni, mentre con la sorellina di 12 ha una relazione esclusiva, quasi filiare.
Valentina è una bella ragazza e come tale si considera senza falsa modestia anche se ritiene di poter
migliorare con un po’ di attività fisica il suo corpo. È fidanzata da 12 anni con un ragazzo di Certaldo
anche se, durante l’adolescenza si sono lasciati almeno 3 volte ricorda lei, soprattutto per problemi di
gelosia, in particolare da parte sua. Sostiene che è stata fortunata ad aver conosciuto il suo attuale
fidanzato e che è soddisfatta totalmente della loro relazione anche se negli anni ha subito alti e bassi.
Al rientro dalle ferie in Calabria con la famiglia d’origine, la coppia ha deciso di accendere un mutuo
per l’acquisto di una casa, dove pensa potranno abitare a partire dall’estate del 2008.
Nel suo ambiente professionale si trova bene sia con i colleghi che con i datori di lavoro.
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In generale Valentina si definisce una persona felice e fortunata ed il presentarsi di questi attacchi di
panico la fa sentire a disagio non solo per le limitazioni fisiche che comportano o per lo stato di
malessere cui si accompagnano, ma soprattutto perché giudica se stessa sciocca per aver sviluppato
una malattia simile, che non riconosce fino in fondo come tale.
Dai primi colloqui emerge come il disturbo si sia presentato in concomitanza dell’acquisto della casa,
un momento che, per quanto lieto, costituisce anche una fonte di stress e preoccupazione; inoltre,
appare immediatamente che i sintomi di attivazione sembrano strettamente collegati ad un trauma
fondamentale nella vita di Valentina, il cui ricordo è emotivamente destabilizzante e che, anziché un
fattore precipitante potrebbe costituire il problema principale, cui gli attacchi di panico si sarebbero
accompagnati in un secondo momento. La giovane riesce a raccontare tale evento solo durante il III
incontro, in data 5 Marzo, tra pianti e somatizzazioni anche molto invasive che rendono necessario
interrompere il resoconto ed introdurre alcune tecniche di rilassamento ed autocontrollo. Riportiamo di
seguito tale avvenimento:
Il 15 Marzo dello scorso anno, Valentina si è sottoposta ad un’operazione per asportare le tonsille che
ormai da diversi anni avevano la tendenza ad infettarsi portandole frequenti stati febbrili; una volta
ricoverata all’ospedale le spiegano che essendo già adulta avrà dei postumi molto dolorosi e che la
cauterizzazione delle ferite potrebbe non reggere del tutto e riportarla a dover riperpetuare tale
pratica attraverso dei tamponi. Nonostante le forti preoccupazioni ed il dolore post-operatorio
modulato solo grazie alla morfina per via endovenosa, dopo 2 giorni di degenza viene dimessa. Ormai
a casa da 5 giorni, il 21 Marzo tutta la famiglia si siede a tavola, ma Valentina si sente gonfia ed ha un
po’ di nausea, quindi decide di andare in bagno; inizia a vomitare sangue e viene immediatamente
portata dai genitori in ospedale. [Piange forte mentre racconta ed è necessario fermarsi e lasciare che
beva un po’ d’acqua; riferisce di “sentirsi la gola strana” quindi prima di proseguire viene invitata a
respirare con il diaframma ed in modo controllato e lento fin quando non si sente in grado di riniziare
il racconto].
Una volta raggiunto il policlinico emergerà che fin dal momento in cui aveva lasciato l’ospedale dopo
l’operazione, la ferita aperta aveva lasciato fuoriuscire il sangue ininterrottamente per 5 giorni e
questo si era accumulato nello stomaco fino alla massima quantità tollerabile dall’organismo, prima
che questo lo rigetti con il vomito. Poiché i conati hanno fatto riaprire in modo più esteso una delle
due ferite, l’otorino decide di operarla nuovamente e di tenerla in osservazione 2 giorni durante i quali
le sarebbe stato somministrato il ferro per via endovenosa ed evitarle la trasfusione.
Momento critico del racconto sembra essere il momento in cui Valentina si sofferma sul ricordo dei
momenti immediatamente precedenti all’operazione, durante i quali il medico le ha chiesto di vomitare
per espellere la maggior parte del sangue che ha ancora all’interno del suo stomaco; la ragazza
espone piangendo il ricordo vivido di una tinozza di metallo completamente piena di sangue e della
sensazione di non capire come potesse averne ancora nelle vene dopo tutto quello che aveva buttato
fuori.
Dimessa il 26 Marzo, riferisce di sentirsi finalmente serena; le avevano detto che c’era la probabilità
che le si riaprisse la ferita ed adesso che era stata operata nuovamente si era rilassata.
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Durante la notte del 29 Marzo, Valentina racconta di sognare che si trovava a lavoro e, strappando
con i denti del nastro adesivo, un pezzettino le si attacca alla gola, così inizia a schiarirsi la voce per
espellerlo e si sveglia; controllando la saliva, trova in bocca un pezzettino dell’escara caduta della
prima operazione ed un po’ di sangue, così avverte i genitori che la portano immediatamente
all’ospedale. Al pronto soccorso Valentina viene ricoverata per la notte e visitata la mattina seguente
dall’otorino di turno; la ferita non sanguina più, quindi, poiché le probabilità che una delle due ferite si
riapra è bassissima, la ragazza viene immediatamente dimessa.
Una volta a casa, mentre sta ridendo con la sorella prova improvvisamente la sensazione che la ferita
si apra ed immediatamente inizia a perdere sangue intensamente. La madre la porta quindi
all’ospedale all'istante, dove i medici, dopo aver provato a tamponare la ferita, pratica peraltro molto
dolorosa, decidono di operarla nuovamente, per cauterizzare le seconda ferita.
Valentina riferisce di aver sperimentato un tono di umore molto basso, era completamente
demoralizzata, ma dal 3 Aprile, giorno della sua dimissione ad Agosto, credeva di essersi ripresa
completamente, sia nel fisico che nella mente. Durante le vacanze a casa dei parenti in Calabria
racconta che si sentiva bene; esponeva a tutti ciò che le era capitato con dovizia di particolari e molti
rabbrividivano nell’ascoltare il suo resoconto.
Nel mese di Settembre accende il mutuo ed iniziano i lavori per la casa dove andrà a convivere con il
fidanzato. Nello stesso periodo rientra anche a lavoro ed una mattina, soffiandosi il naso ed aprendo
successivamente il fazzoletto, scorge in mezzo al muco un po’ di sangue. Questa esperienza la
spaventa molto e, anche se dopo alcune ore riesce a calmarsi grazie al supporto di una collega che
soffre di attacchi di panico, Valentina inizia a controllare con una frequenza l’ora, se ha del sangue in
bocca, presumibilmente proveniente dalla gola, mettendosi un dito in bocca. Ripete questo gesto varie
volte al giorno e durante la fase di assessment esso diviene oggetto di osservazione. Riferisce di aver
iniziato a manifestare anche una certa attenzione per tutti i segnali provenienti dal proprio corpo, in
particolare Valentina controlla da allora il proprio battito cardiaco, alla ricerca di differenze nella sua
frequenza.
Qualche giorno dopo l’aver scorto del sangue nel fazzoletto in cui si è soffiata il naso, mentre si trova
sdraiata nel letto accusa una fitta acuta al petto ed avverte una consistente tachicardia: chiama subito
i genitori e si fa portare subito dal pronto soccorso, convinta di avere un attacco cardiaco; dopo un
ECG le viene detto che si trattava di un attacco di panico e che non vi è niente di organico a livello del
miocardio, ma nonostante queste rassicurazioni Valentina si sottopone a diversi approfondimenti clinici
per rivolgersi solo alla stregua degli esiti negativi ad un trattamento di tipo Psicologico.
Relativamente ai sintomi fisici riporta un formicolio del braccio sinistro, dolori intercostali e tachicardia.
Dopo l’esordio panicoso, i checking consistenti nel controllare l’eventuale presenza di sangue nella
saliva, e nel verificare l’ipotetica accelerazione dei battiti cardiaci, aumentano in frequenza innescando
vari tipi di evitamento agorafobico. I fattori protettivi scelti e le situazioni o gli stimoli elusi sono legati
a caratteristiche della tonsillectomia, anche se Valentina non sembra esserne assolutamente
consapevole ed appare, al contrario, infastidita da questa osservazione.
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2.3 Allargamento ad altri problemi
La maggior parte dei dati che riportiamo in questa sezione sono derivati dall’analisi delle risposte di
Valentina al test CBA nelle schede anagrafiche ed autobiografiche e poi successivamente approfondite
durante i colloqui clinici. L’analisi delle teorie naif della paziente relativamente al proprio stato di salute
è da considerarsi poi fondamentale per l’inizio del trattamento; la loro messa in discussione è infatti
servita sia a creare un vocabolario comune con la psicologa, che come punto di partenza per una
futura ristrutturazione cognitiva.
Valentina riferisce di aver trascorso in un clima familiare affettuoso e caldo la propria infanzia ed
adolescenza e valuta l’educazione impartitele dai genitori buonissima; come già accennato anche il
rapporto con i fratelli è sereno e caratterizzato da sentimenti di affetto e comprensione.
Per quanto riguarda il suo rapporto di coppia che dura da 12 anni, valuta la relazione serena ed
appagante sebbene ritenga di non essere completamente soddisfatta dei rapporti sessuali con il
partner che, forse a causa di una diminuzione del desiderio sessuale, hanno una frequenza saltuaria,
anche se poi risulterà che alla base di questa sua dichiarazione vi è l’idea disfunzionale che una coppia
“giovane” deve avere rapporti ogni giorno, anche più volte nelle 24 ore e lei, continuamente afflitta da
problemi, disturbi e sintomi fisici, non riesce a mantenere tale ritmo.
Il suo lavoro è monotono e ripetitivo e non rappresenta una grossa fonte di soddisfazione personale
per lei, anche se ha ottimi rapporti con i colleghi. Poiché ha appena acceso il mutuo per l’acquisto
della casa nella quale andrà a convivere con il fidanzato, si trova in ristrettezze economiche e questo
pare aumentare i livelli personali di stress, anche se non riferisce di sentirsi particolarmente
preoccupata, dal momento che può sempre contare sull’aiuto delle famiglie di entrambi.
Relativamente alle abitudini alimentari riporta di non avere un appetito normale: mangia molto ed in
continuazione se è stanca o nervosa e d’altra parte vorrebbe riguardarsi in questi comportamenti per
regolare al meglio il suo peso corporeo del quale non è del tutto soddisfatta (62 Kg per 165 cm di
altezza).
Sebbene sia sempre stata stitica, dopo l’operazione ha iniziato a soffrire di colite, quindi ha spesso
sensazioni di gonfiore e fastidio a livello dello stomaco; in concomitanza con gli attacchi di panico, una
manifestazione frequente è quella dell’aver bisogno di evacuare anche 3 volte consecutive.
Non riesce a dormire in modo continuativo in quanto ha frequenti risvegli notturni con incubi o
sensazioni sgradevoli, ma non ricorre ai medicinali che in ogni caso non desidera utilizzare; quando
riesce a dormire più di 6 ore riferisce di svegliarsi comunque affaticata e stanca. I contenuti onirici
disturbanti riguardano medici ed ospedali e sono in stretta relazione con l’operazione subita a Marzo e
le sue infelici conseguenze.
Dal test sono inoltre emersi i checking già descritti; quando si sente ansiosa tende ad aumentare la
frequenza di questi atteggiamenti che saranno monitorati ed utilizzati come indice del comportamento
protettivo.
Valentina comunica che, rivalutando l’importanza della tonsillectomia subita, “forse ha una fobia
dovuta all’intervento”, sebbene non riesca a capire perché sia passato così tanto tempo prima
dell’esordio dei sintomi ansiosi.
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Ritiene che questo suo malessere con se stessa le impedisca di vivere serenamente anche il rapporto
con gli altri, soprattutto la sua relazione sentimentale; non riesce più a godere delle cose che prima la
facevano stare bene ed ha perso l’entusiasmo di affrontare nuove avventure per paura di sentirsi
male; aggiunge che questa tensione continua e l’incapacità di dormire bene le impediscono anche di
rilassarsi.
2.4 Motivazione
Valentina è motivata al cambiamento e si definisce stanca ed arrabbiata con se stessa per aver
indugiato così tanto; non è contenta del suo stato attuale e vuole tornare a vivere in modo più sereno,
imparando a gestire le preoccupazioni relative alla possibilità di avere un attacco cardiaco od
un’emorragia. È aderente alle prescrizioni e si applica negli homoworks con dedizione ed interesse. In
alcune fasi e tendenzialmente nei giorni precedenti al ciclo mestruale, Valentina tende a manifestare
un tono dell’umore bassissimo ed in tali occasioni risulta davvero difficile proseguire con un
trattamento prescindendo dall’accoglienza di questo stato emotivo improntato all’autocommiserazione.
Tali manifestazioni si sono mostrate tanto invasive soltanto i primi due mesi di trattamento, per un
totale di altrettante sedute.
2.5 Strumenti psicodiagnostici
Viene somministrato in data 29/02/2008 il test MMPI-2 di cui riportiamo i grafici ed in base ai criteri
descritti da Butcher e Williams una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams, 1996).
Sembra che sui risultati del test non abbiano influito tendenze a presentarsi in luce socialmente più
accettabile. L’asse timico è orientato in senso depressivo, con possibili variazioni disforiche del tono
dell’umore. Valentina tenderebbe a vivere ansiosamente, ad elaborare in senso depressivo le proprie
esperienze ed a provare scarso interesse per le abituali occupazioni, manifestando di conseguenza
difficoltà nell’intraprendere nuove iniziative.
Sono presenti inclinazioni al dubbio ed all’incertezza di fronte alle decisioni; la ragazza potrebbe avere
tendenze alla rimuginazione ideativa e presentare notevole difficoltà nel considerare l’idea di
cambiamenti, manifestando in aggiunta comportamenti di tipo compulsivo. Sono presenti in modo
marcato sintomi di ansietà, tensione e spunti fobici. Si ritiene che questi risultati siano indicativi dei
comportamenti di checking che la ragazza ha imparato a mettere in atto per poter controllare e sedare
la propria ansia.
Valentina non manifesterebbe una predilezione per le situazioni d’interazione sociale e potrebbe avere
qualche difficoltà d’inserimento nel gruppo; anche se il suo atteggiamento, verso tali situazioni non è
di tipo passivo, può così apparire. Potrebbe mostrarsi rigida, poco adattabile, diffidente ed attaccata
alle proprie opinioni ed essere comunque educata e compiacente.
Si denota una certa insicurezza nei confronti delle proprie capacità con dubbi circa la possibilità di
successo ed una tendenza alla colpevolizzazione nelle condizioni di frustrazione. Tale atteggiamento è
presente in questo periodo nei confronti del suo disagio psicologico ad esempio.
14
Scale Cliniche
34
62
39
71 7065
5552
6672
6056
62
30
40
50
60
70
80
90
100
29/02/2008 34 62 39 71 70 65 55 52 66 72 60 56 62
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 1 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 29/02/2008
Scale Supplementari
68
5258
41
6461
78
4438
30
40
50
60
70
80
90
100
29/02/2008 68 52 58 41 64 61 78 44 38
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 2 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 29/02/2008
Scale di Contenuto
6671
57 59
74
6872
51
6056 55
60
45
54 54
30
40
50
60
70
80
90
100
29/02/2008 66 71 57 59 74 68 72 51 60 56 55 60 45 54 54
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 3 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 29/02/2008
Nella stessa data viene anche somministrato il test CBA (Bertolotti et al., 1985); riportiamo di seguito i
risultati:
15
Risposte Punteggio Rango
omesse grezzo Punti z
percentile
Scheda 2 STAI X1 0 67 97,7
Scheda 3 STAI X2 0 58 90,8
EPQ/R E 0 7 37,4
EPQ/R N 0 10 78,1
EPQ/R P 0 4 81,4 Scheda 5
EPQ/R L 0 4 2,8
Scheda 6 QPF/R 0 77 99,5
IP F 0 104 73,7
IP PH 9 73,2
IP 1 24 66,5
IP 2 17 22,9
IP 3 20 81,1
IP 4 16 94,3
Scheda 7
IP 5 15 80,6
Scheda 8 QD 0 11 87,6
MOCQ/R 0 11 86,2
MOCQ/R 1 8 96,5
MOCQ/R 2 2 41,9 Scheda 9
MOCQ/R 3 2 72,1
STAI X1/R 0 33 98,3
STAI DIFF -3 34,3
STAI ACC 0 30,9
Scheda
10
INDICE IR 5 27,5
Fig. 4 Risultati al test CBA somministrato in data 29/02/2008
Il test evidenzierebbe un’ansia di tratto abbastanza elevata e persistente, quindi gli esiti al test non
dovrebbero risultare inficiati da una certa agitazione che poteva essersi manifestata a seguito della
somministrazione. Di questo stato costante d’ansia la ragazza parla apertamente e con un notevole
insight; racconta che è parte del suo temperamento l’essere sempre agitata, indaffarata, attiva ed un
po’ ansiosa di conseguenza.
Dalla Scheda 7 si rileva che le fobie principali di Valentina sono relative alle ferite aperte, al vedere
un’operazione chirurgica o del sangue, all’avere un attacco cardiaco, ai medici, al trovarsi in luoghi
troppo stretti e chiusi o in mezzo alla folla, ed al buio. Per quanto riguarda la paura di un attacco
cardiaco si riferisce principalmente ai sintomi percepiti prima degli attacchi di panico, mentre, trovarsi
in luoghi troppo stretti, chiusi od in mezzo alla folla si manifesterebbe come timore agorafobico di
sentirsi male proprio in quei determinati ambienti e situazioni.
16
Nella Scheda 9 si osservano valori significativi per la subscala MOCQ/R1 relativa al checking e già dai
colloqui clinici era noto come alcune pratiche di controllo costante del battito cardiaco o dell’eventuale
presenza di sangue nella saliva siano attualmente meccanismi protettivi in grado di esercitare un
controllo diretto sull’elevazione dell’ansia.
2.6 Analisi funzionale
Dalla III seduta di assessment è stato possibile monitorare i comportamenti protettivi di Valentina che,
come già affermato, consistono nel controllare i battiti del cuore e l’eventuale presenza di sangue nella
saliva. Valentina riporta diverse difficoltà nel affrontare tale compito, perché risulta per lei una forma
di esposizione a pensieri sgradevoli e mal tollerabili. Nonostante le vengano fornite delle griglie di
notazione, l’una intitolata: Griglia di Osservazione del Comportamento: Controllare la
presenza di sangue in bocca e l’altra: Griglia di Osservazione del Comportamento:
Controllare i battiti cardiaci, originariamente inizia con un foglietto che riportiamo in dimensioni
originali di seguito; B. indica “battiti” e le crocette si riferiscono appunto al numero di volte che si è
accorta di controllare la regolarità del proprio cuore; D. invece vuol dire “dito” e interessa l’altro
comportamento segnalato.
Fig. 5 Griglia utilizzata da Valentina per l’automonitoraggio
Durante la seduta successiva è stato utile iniziare la psicoeducazione relativamente ai fattori protettivi
ed agli evitamenti, in quanto l’utilizzo delle diciture personali rispetto alle schede fornite aveva
principalmente lo scopo di ridurre l’attivazione relativa all’esposizione ai termini utilizzati.
La ragazza sostiene che già leggere il titolo delle griglie fornite le crea disagio significativo, mentre le
iniziali di termini neutri come ha scelto da sola, sono meno attivanti.
La psicoeducazione è molto efficace con Valentina; è attenta ed intenzionata a trovare una soluzione
al suo problema e, allo stesso tempo, non manifesta la fretta di dover risolvere tutto e subito.
In generale, l’approccio schematico e descrittivo tipico della terapia cognitivo-comportamentale, con
l’utilizzo di automonitoraggio, tabelle ed analisi funzionali risulta immediatamente efficace con lei,
perché riesce a comprenderne il razionale in maniera immediata ed intuitiva. Nella scheda di analisi
funzionale fornitale in relazione ai comportamenti protettivi si orienta subito da sola senza necessitare
di una guida attenta.
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Riportiamo qui di seguito alcuni esempi tratti dalle schede di automonitoraggio fornite, secondo lo
schema di ABC cognitivo di Albert Ellis (Ellis, 1989):
01/03/08 ore 09.30 Comportamento: Controllare i battiti cardiaci
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura, panico.
Fisiologiche: palpitazioni,
irrigidimento del corpo,
sensazione di fiato corto.
Valentina ed il fidanzato stanno
osservando dei sanitari per il loro
futuro bagno in un negozio. Lei
ne vede uno in acciaio.
“Il materiale è lo stesso di quella
bacinella dove ho vomitato sangue in
ospedale”, “Mi sto agitando”, “Devo
calmarmi subito o farò qualcosa di
imbarazzante”. Comportamentali: distoglie lo
sguardo, mette le dita sulla
carotide ed inizia a contare i
battiti cardiaci.
Tab. 1 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
03/03/08 ore 13.00 Comportamento: Controllare la presenza di sangue nella saliva
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura, panico.
Fisiologiche: palpitazioni,
sensazione di pallore sul
volto.
Valentina ha una leggera
infiammazione orale a causa di una
allergia agli acari della polvere.
“Che sensazione, mi sento la gola strana”,
“Perché sento questa cosa?!”, “Devo
controllare se ho del sangue in bocca”.
Comportamentali: controlla il
colore della saliva.
Tab. 2 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
È chiaro che questo evitamento covert si manifesti come una risorsa di coping disfunzionale e
maladattiva in quanto non si tratta di un comportamento in grado di intervenire in modo attivo sul
disturbo, ma si pone come distrattore dal pensiero: mi sto agitando.
In realtà, dall’analisi di queste schede si evince che il controllo sul pensiero esercitato da Valentina è
invece molto positivo e funzionale anche se da solo insufficiente; la ragazza usa tranquillizzarsi non
utilizzando il pensiero magico, bensì sostituendo quello negativo con uno più realistico. Si ritiene
dunque che nella fase di trattamento sarà più utile lavorare sulle emozioni negative evocate da alcune
immagini sia reali che mentali, attraverso un’esposizione diretta e di esorcizzarne il potere
destabilizzante attraverso il meccanismo di saturazione, rinforzando comunque l’utilizzo del pensiero
funzionale, anche se attualmente la sua funzione non è potente quanto quella dei comportamenti
protettivi.
2.7 Diagnosi DSM-IV: F43.1 Disturbo Post-Traumatico da Stress [309.81]
Anche se Valentina si rivolge alla psicologa per il trattamento degli Attacchi di Panico, si rileva
immediatamente che questo disturbo sia solo una manifestazione secondaria di quello che si è
originato a partire dall’evento traumatico vissuto.
La caratteristica essenziale del Disturbo Post-Traumatico da Stress è lo sviluppo di sintomi tipici che
seguono l’esposizione ad un fattore traumatico estremo che implica l’esperienza personale diretta di
un evento che causa o può comportare morte, lesioni gravi od altre minacce all’integrità fisica
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personale o di un’altra persona soprattutto vicina e con la quale si è in stretta relazione (Criterio A1).
Com’è noto, Valentina ha subito diversi interventi secondari a complicazioni di una banale
tonsillectomia, i quali possono considerarsi un fattore traumatico dotato di tali caratteristiche.
La risposta della persona all’evento deve comprendere paura intensa, il sentirsi inerme od il provare
orrore (Criterio A2). I sintomi caratteristici che risultano dall’esposizione ad un trauma estremo
includono il continuo rivivere l’evento traumatico (Criterio B), l’evitamento persistente degli stimoli
associati con il trauma, l’ottundimento della reattività generale (Criterio C) e sintomi costanti di
aumento dell’arousal (Criterio D). Il quadro sintomatologico completo deve essere presente per più di
un mese (Criterio E) ed il disturbo deve causare disagio clinicamente significativo o menomazione del
funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti (Criterio F).
L’evento traumatico può essere rivissuto in vari modi, Valentina non racconta la presenza di
Flashbacks, ma riporta un sonno spesso disturbato da incubi relativi agli ospedali ed alle operazioni
mediche; una sollecitazione a livello della gola è in grado attualmente di evocare una sensazione
somatica simile a quella che riferisce di aver provato durante i periodi di convalescenza e questa
stessa percezione di evocare ricordi intrusivi e ricorrenti che inducono immediatamente intenso disagio
psicologico (Criterio B4) ed uno stato di attivazione generale (Criterio B5) che può essere sedato
soltanto mettendo in atto i comportamenti protettivi di checking. Vengono evitati in modo persistente
gli stimoli associati con il trauma, anche soltanto in maniera covert attraverso la distrazione; la
ragazza si sforza volontariamente di sottrarsi a pensieri, sentimenti o conversazioni che riguardano
l’evento traumatico (Criterio C1) e di evitare attività, situazioni o persone che suscitano ricordi di esso
(Criterio C2). Di solito subito dopo l’evento traumatico inizia una riduzione della reattività verso il
mondo esterno, a cui ci si riferisce come “paralisi psichica” o “anestesia emozionale”; anche Valentina
lamenta di aver subito una marcata riduzione dell’interesse o della partecipazione ad attività
precedentemente piacevoli (Criterio C4), peraltro affrontando spesso tale sentimento accompagnato
da colpa o rabbia nei confronti di se stessa (caratteristica descrittiva comunemente associata a questo
tipo di disturbo). Per i criteri del DSM-IV-TR, spesso le persone affette da Disturbo Post-Traumatico da
Stress presentano sintomi persistenti di ansia o di aumento dell’arousal non presenti prima del trauma
o quantomeno non così evidenti; questi sintomi possono includere difficoltà ad addormentarsi o a
mantenere il sonno, che può essere causata da incubi frequenti durante i quali viene rivissuto l’evento
traumatico (Criterio D1), ipervigilanza (Criterio D4), ed esagerate risposte di allarme (Criterio D5).
Valentina riporta anche una certa irritabilità od una tendenza agli scoppi d’ira (Criterio D2), ma è
difficile stabilire in che misura questo atteggiamento sia presente in modo più o meno marcato
rispetto a prima.
La specificazione del disturbo è Ad Esordio Tardivo, che indica che sono trascorsi almeno 6 mesi tra
l’evento e l’esordio dei sintomi.
I sintomi di solito iniziano nei primi 3 mesi dopo il trauma, sebbene possa esservi un ritardo di mesi, o
anche di anni, prima della loro comparsa; si tratta di un disturbo molto variabile ed anche il suo
decorso è caratterizzato da un attenuarsi ed un accentuarsi dei sintomi in modo molto soggettivo; tale
riattivazione si verifica più spesso in risposta a fattori che fanno ricordare il trauma originale, eventi di
vita stressanti o nuovi eventi traumatici; nel caso di Valentina il disturbo si riattiverebbe in un periodo
19
particolarmente stressante, a partire dal ritrovamento di un po’ di sangue nel muco, evento correlabile
al trauma originario.
La gravità, la durata e la prossimità dell’individuo all’evento traumatico sono i fattori più importanti
che influenzano la possibilità di sviluppare il disturbo. Vi è qualche evidenza che i supporti sociali,
l’anamnesi familiare, le esperienze infantili, le variabili di personalità ed i disturbi mentali preesistenti
possono influenzare lo sviluppo di un Disturbo Post-Traumatico da Stress; in realtà questo disturbo si
può sviluppare anche in individui senza alcuna condizione predisponente, soprattutto se l’evento
stressante è particolarmente grave.
2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento
Si presentano in questa sezione i fattori predisponenti individuali, iniziando da quelli appresi, per
arrivare agli schemi profondi che caratterizzavano la personalità della paziente anche nelle fasi
premorbose di questo disturbo. Fra i fattori favorenti il disturbo manifestato, si osserva principalmente
che Valentina è sempre stata una persona nervosa, iperattiva ed ansiosa, anche i test confermano
infatti una notevole ansia di tratto, sebbene si ritenga che essa possa essere attualmente più elevata
per via di un’iperattivazione del sistema di arousal; nella famiglia di Valentina si riscontra una certa
predisposizione all’ansia dalla parte del padre ed emerge dal racconto che anche molte persone vicine,
amici e colleghi, soffrono di un disturbo simile o che per molti anni hanno messo in atto
comportamenti evitanti nei confronti di una vita più serena e rilassata a causa di varie paure.
Il periodo del rientro dalle ferie è di per sé stressante per molti, ma nel caso di Valentina esso è reso
ancor più pesante dall’aver preso un mutuo con il fidanzato, per l’acquisto di una casa.
Evento critico per eccellenza quello che si è dimostrato il trauma da cui ha avuto origine il Disturbo
Post-Traumatico da Stress ad Esordio tardivo: le complicanze dall’operazione chirurgica di
tonsillectomia.
Il fattore precipitante è stato probabilmente la rievocazione dell’evento traumatico, riattivato dal
trovare del sangue nel fazzoletto assieme al muco, dopo essersi soffiata il naso.
La preoccupazione data dal fattore precipitante ha fatto sì che Valentina iniziasse a controllare
continuamente la presenza di sangue nella sua saliva e la frequenza dei suoi battiti cardiaci, al fine di
monitorare la possibilità che si siano aperte nuovamente le ferite alla gola e che stia per avere un
attacco cardiaco; questi checking si manifestano attualmente come il principale fattore di
mantenimento che consente alla ragazza di vivere una vita pressoché normale.
Come enunciato da Foa e Kozac (1986) la caratteristica che differenzia il DPST dagli altri disturbi
d’ansia è il fatto che l’evento traumatico tocca nell’individuo una convinzione di base circa la possibilità
di sopravvivere ed il ricordo risultante è per questo molto diverso da tutti gli altri; il trauma
attiverebbe una credenza di base di incontrollabilità e vulnerabilità personale, la quale a sua volta
alimenta pensieri catastrofici per il futuro, assieme ad un’iperattivazione generalizzata; poiché i trigger
ambientali in grado di attivare il network della paura relativa al trauma sono pressoché infiniti,
un’attenzione selettiva su di essi, assieme al rimuginio ed alla catastrofizzazione attivano e rinforzano i
comportamenti di evitamento e quelli protettivi.
20
Riassumendo attraverso un’analisi funzionale macro, emerge come ogni sensazione spiacevole, od
alcuni elementi in grado di rievocare la tonsillectomia di Valentina (A), sono in grado di generare
pensieri come: “È come l’altra volta”, “mi sentirò male”, “succedono tutte a me” (B) e questi a loro
volta inducono tre tipi di conseguenze:
- Emotive, di intensa paura;
- Fisiologiche, varie ma principalmente di aumento del ritmo cardiaco;
- Comportamentali, di messa in atto dei comportamenti protettivi o di evitamento che a loro
volta mantengono il problema.
La proposta d’intervento è quindi quella di costruire assieme una scala gerarchica di oggetti, immagini
e sensazioni fisiche che inducono in Valentina i sintomi dell’attacco di panico, mandando in
saturazione l’ansia e prevenendo l’utilizzo dei comportamenti protettivi.
Relativamente ai problemi di sonno riscontrati soprattutto durante l’ultima fase dell’assessment
vengono costruite con la ragazza delle “flashcards” per rilassarsi e proposta un’igiene del sonno
consistente principalmente nell’impedirle di dormire in momenti diversi dalla notte e di alzarsi dal letto
per andare in bagno, qualora dopo un risveglio notturno non riesca a riprendere sonno.
Per quanto riguarda il trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress, si ipotizza che, passato un
momento iniziale in cui Valentina potrebbe mostrare difficoltà nell’intraprendere la terapia, fin dai
primi step superati, acquisti una nuova sicurezza in se stessa ed aumenti la motivazione al
cambiamento. La ragazza, infatti, mostra inizialmente uno scarso insight relativamente all’idea che i
suoi attacchi di panico possano essere legati all’intervento chirurgico affrontato l’anno precedente. Su
quest’ultimo aspetto psicopatologico si decide d’intervenire attraverso la psicoeducazione e
l’apprendimento di tecniche di rilassamento e di respirazione diaframmatica, per contenere la
probabilità che si manifestino durante il trattamento del disturbo principale.
Si ipotizza inoltre che, a lungo termine, dopo un lasso di tempo di circa 3 mesi, la giovane riesca a
superare completamente il problema, eliminando la messa in atto dei comportamenti protettivi e
ricominciando a vivere in modo più sereno e spensierato.
Valentina accetta con entusiasmo ogni parte di questo contratto e si manifesta più speranzosa che
convinta circa il suo miglioramento, ma motivata a seguire la terapia con impegno.
3. Trattamento
Anche per quanto riguarda questa fase, vengono stabiliti incontri settimanali della durata di un’ora
ciascuno. Questa cadenza verrà mantenuta per 3 mesi, mentre saranno stabiliti altri 2 appuntamenti
per la somministrazione di un secondo test MMPI-2 e per una seduta di follow-up, a distanza di 5 mesi
dal termine dei colloqui di trattamento.
3.1 Svolgimento delle sedute
Durante la prima seduta di trattamento, in data 02 Aprile Valentina appare tranquilla e propositiva,
rispetto invece alla seduta precedente nella quale si era lasciata prendere dallo sconforto di non
riuscire a risolvere questa situazione. Dopo aver riassunto insieme alla psicologa le caratteristiche del
21
disturbo e le modalità di trattamento, inizia la costruzione della scala gerarchica per l’esposizione sia in
vivo che in immagine; per alcuni step si utilizzeranno dei video, altri invece saranno caratterizzati dalla
lettura ripetitiva di sintomi fisici ed altri ancora dall’utilizzo di prodotti comportamentali. L’elaborazione
del programma richiede le prime 3 sedute di trattamento.
Durante ogni incontro, a Valentina viene fornita una copia del materiale cui si è esposta durante la
seduta, in formato informatico, di modo che sia possibile per lei ripetere tali “esercizi” durante la
settimana con la consegna di effettuare questo lavoro per 3 volte. Inoltre, prima di passare al passo
successivo, nel corso di ogni colloquio viene riproposto l’ultimo step affrontato con successo.
Mostriamo di seguito la scala utilizzata per questo lavoro:
100 Vedere vomitare sangue
90 Vedere un cartoon sull’attacco cardiaco/Spiegazione di un attacco cardiaco
80 Ascoltare la storia dell’operazione
70 Registrare la storia dell’operazione
60 Vedere un attacco di panico
50 Vedere la preparazione di una sala operatoria
40 Vedere le foto di una sala operatoria
30 Ascoltare i sintomi del panico e di un attacco cardiaco
20 Registrare i sintomi del panico e di un attacco cardiaco
Tab. 3 Esposizione graduata
Oltre ad utilizzare un approccio principalmente psicoeducazionale, durante queste prime fasi di
trattamento è stato considerato utile l’insegnamento di una tecnica di rilassamento rapido attraverso
la regolarizzazione del respiro. Valentina che per qualche hanno ha preso lezioni di canto, conosce la
respirazione diaframmatica e sa metterla in pratica. Le viene quindi richiesto di aggiungere a questo
esercizio quello proposto. Alla base del training vi è la necessità di fornire uno strumento
immediatamente spendibile alla ragazza che, tendendo ad iperventilare, potrebbe sperimentare in
questo periodo un nuovo attacco di panico, data la grande attivazione riscontrata durante queste
sedute di preparazione al trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Riportiamo le istruzioni fornite alla ragazza ed anche la scheda da lei utilizzata per monitorare i
miglioramenti sostenuti durante le 2 settimane dedicate a questo training:
- Durante ognuno dei momenti della giornata segnalati, trattenga il respiro senza fare prima un
respiro profondo, contando mentalmente 1001, 1002, 1003, 1004 e 1005 equivalenti all’incirca
a 5 secondi.
- A 1005 mandi fuori tutta l’aria ed in modo calmo e tranquillo dica a se stesso “mi rilasso”.
- Inspiri l’aria con il naso senza sforzo, contando mentalmente 1001, 1002 e 1003 ed espiri allo
stesso modo contando 1004, 1005 e 1006, dicendosi mentalmente “mi rilasso”.
- Quando respira non cerchi di prendere troppa aria, non gonfi troppo lo stomaco e cerchi di
impiegare lo stesso tempo durante l’inspirazione e l’espirazione.
- Alla fine dei 10 respiri completi, trattenga nuovamente il fiato per 5 secondi (1001,…,1005) e
poi riprenda per altri 10 respiri ed una nuova interruzione di 5 secondi.
22
Fig. 6 Tabella riguardante la scheda di monitoraggio dell’iperventilazione compilata dalla paziente
Durante la IV seduta, svoltasi in data 23 Aprile Valentina ha iniziato la sua esposizione dal primo step
stabilito.
Prima di cominciare scriviamo su un foglio l’Unità di Disagio Soggettiva nell’intraprendere questa fase
del trattamento e la ragazza la stima 70, pur conoscendo i sintomi del Panico perché affrontati
durante la prima fase di psicoeducazione. Esplicita un lieve aumento del battito cardiaco e la
sensazione di avere un po’ caldo. Una volta affrontata la prova Valentina si stupisce però di un calo
brusco della SUD fino a 40, tanto che chiede di poter rileggere subito la lista dei sintomi e dopo 2
ripetizioni di andare avanti con l’esposizione, affrontando anche la lettura dei sintomi dell’attacco
cardiaco. Legge la prima volta dopo aver sperimentato una SUD pari a 50 ed anche questa prova
viene superata con un calo abbastanza repentino fino ad un livello di 5 dopo 3 ripetizioni. Valentina
pare molto soddisfatta e parla a lungo dei sintomi appena letti, cercando di elaborare le informazioni
acquisite; appare a suo agio e sorpresa dei contenuti. Riportiamo di seguito le liste fornite alla stessa
ragazza:
I sintomi dell’attacco di panico
Un periodo delimitato d’intensa paura o disagio, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si
sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco massimo nel giro di 10 minuti; queste
sensazioni si esauriscono al massimo entro mezz’ora:
1) palpitazioni, cardiopalmo, o tachicardia;
2) sudorazione;
3) tremori fini o grandi scosse negli arti superiori od inferiori;
4) dispnea o sensazione di soffocamento;
5) sensazione di asfissia;
6) dolore o fastidio al petto;
7) nausea o disturbi addominali;
8) sensazioni di sbandamento, d’instabilità, di testa leggera o di svenimento;
23
9) derealizzazione (sensazione di irrealtà o di sogno) o depersonalizzazione (sensazione di essere
distaccati da sé stessi);
10) paura di perdere il controllo o d’impazzire;
11) paura di morire;
12) parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio);
13) brividi o vampate di calore.
I sintomi dell’attacco cardiaco nella donna
Nella donna i segnali di allarme di un attacco cardiaco possono essere differenti e spesso molto più
deboli rispetto a quelli dell’uomo.
Sintomi classici:
• Senso di peso, di ripienezza, di schiacciamento, di oppressione o di fastidio al centro del torace;
• Il dolore si può irradiare al collo, alla mandibola, al dorso, alla parte alta dell’addome e al braccio
sinistro più spesso che al destro;
• Il dolore è spesso accompagnato da sudorazione, nausea e vomito;
• Può accompagnarsi a difficoltà respiratoria, vertigini, svenimento;
Altri sintomi spesso presenti nelle donne:
• Debolezza o affaticamento inusuale;
• Ansia o irritabilità;
• Indigestione o dolore addominale;
• Senso di peso o dolore oppressivo tra i seni;
• Fastidio/dolore tra le scapole;
Prima di terminare l’incontro viene chiesto a Valentina di leggere nuovamente i sintomi di entrambi i
disturbi, mentre la sua voce viene registrata, per poter utilizzare il file nella seduta successiva, mentre
questa pagina viene affidata alla ragazza con la consegna di leggerla completamente almeno una
volta al giorno.
La settimana successiva, il 30 Aprile, è stato possibile progredire con un’esposizione alla registrazione
dei sintomi del panico e di un attacco cardiaco, alle immagini che ritraggono una sala operatoria, di cui
mostriamo un esempio ed al video relativo alla preparazione di una sala operatoria e del chirurgo che
vi sarà occupato. La ragazza ha letto i sintomi dei disturbi ogni giorno, talvolta anche due volte ed ha
coinvolto in questo esercizio anche il fidanzato e la madre. Ha riportato una certa soddisfazione nel
leggere con serenità una serie di sintomi fisiologici senza necessariamente provare un disagio
particolarmente alto, perché comunque riferisce di non essere mai arrivata ad una SUD 0.
L’ascolto della sua voce registrata non è molto temuta e viene stimata un’unità di disagio soggettivo
pari a 40 prima di iniziare la prova, per arrivare a 10 dopo due sole ripetizioni.
Con più apprensione viene invece intrapreso il passo successivo, l’osservazione di immagini di una sala
operatoria. Valentina osserva in silenzio e riporta principalmente emozioni, piuttosto che sensazioni
fisiche; racconta infatti di sentirsi quasi triste nei confronti di quello che ha passato e mentre queste
figure scorrono lei si sente di aver visto dal vivo le stanze, le luci, il lettino e di provare verso se stessa
un certo senso di solidarietà e quiete. Riferisce che, per la prima volta non è impaurita né troppo
24
attivata, ma è come se si “permettesse” di avere determinate emozioni ed altrettante manifestazioni
fisiologiche relative alla visione di qualcosa che le ricorda da vicino il suo intervento.
Fig. 7 Immagine relativa ad una sala operatoria per l’esposizione
Fig. 8 Immagine relativa ad un gruppo di chirurgi in azione per l’esposizione
Anche durante questo step la SUD di Valentina tende a scendere drasticamente dopo poche
esposizioni ed è lei stessa a voler proseguire con un altro passo, costituito dal vedere un video
riguardante la preparazione di una sala operatoria e del chirurgo che vi dovrà operare.
La ragazza si dice molto contenta di se stessa e stenta a credere di non provare un’attivazione
eccessiva; inoltre riporta che dopo l’inizio di questa fase di trattamento, le sensazioni fisiologiche
sebbene siano presenti, non sono mai dirompenti e talvolta riesce a dar loro una lettura diversa da
quella ansiosa negativa, mentre in alcuni momenti prova un’eccitazione secondaria alla curiosità di
affrontare il passo successivo e di vedere come vi reagirà.
Al termine della seduta attraverso l’impiego di una penna USB viene fornito alla ragazza il materiale su
cui si è lavorato in seduta, con l’obiettivo di procedere a 3 esposizioni settimanali da sola.
Durante il VI incontro Valentina ha esposto nuovamente il suo racconto, cercando di prendere appunti
per essere il più possibile accurata; tale resoconto è stato audio registrato per poterne estrarre una
storia da trascrivere. Rispetto all’ultima volta in cui si era confrontata con le emozioni e sensazioni
evocate dal parlare dell’intervento, Valentina si mostra stupita per non aver avuto le precedenti
reazioni, mentre enuncia di aver pensato molto, durante la settimana, a questa seduta.
Nella fase di assessment, infatti, non era stato possibile raccogliere tutti i dati in modo così dettagliato
poiché la risposta emotiva principale della ragazza è stata il pianto ed un’attivazione ai limiti di un
Attacco di Panico. Questa volta invece, nonostante una SUD iniziale di 90, già durante il racconto
Valentina riporta di sentirsi gradualmente meno attivata e di utilizzare con questo fine le tecniche di
25
respirazione funzionale che ha imparato. Sembra che la sua concentrazione ed un approccio teso a
recuperare ogni dettaglio utile nella memoria si mantenga costante durante tutta la seduta ed al suo
termine vede una valutazione di disagio pari a 30 e successivamente a 20. Oltre ad esporsi agli step
precedenti Valentina viene invitata a pensare durante la settimana se ci fossero dei dettagli che le
fossero sfuggiti, per poterli integrare con la storia che verrà trascritta per l’incontro successivo.
Il 14 Maggio la ragazza, che non ha apportato nessuna modifica al materiale fornito durante l’incontro
precedente, è stata invitata a leggere la trascrizione letterale della storia dell’intervento, così come la
psicologa lo ha trascritto dalla registrazione e dagli appunti recuperati ed anche questa volta è stata
registrata per poter avere un resoconto attendibile e lineare della durata di circa 10 minuti.
La SUD riferita prima dell’inizio della lettura del resoconto è stata pari a 60; Valentina sostiene che
affrontare direttamente il ricordo di quanto le è accaduto le creerà sempre una certa attivazione, ma
che non riconosce in essa necessariamente le connotazioni negative dell’ansia; al termine di questa
attività il disagio riferito è pari a 15.
Durante lo stesso colloquio si è passati anche allo step successivo che consisteva nell’ascolto di tale
racconto. L’idea di riascoltare la propria voce registrata le ha fatto stimare una SUD pari a 60, ma
anche questa ha subito una riduzione a 20 dopo la prima esposizione. Anche questa volta il materiale
utilizzato in seduta è stato fornito a casa e Valentina è stata invitata a riascoltare la propria voce
almeno 3 volte durante la settimana a venire.
In data 20/05/08 Valentina ha affrontato il penultimo passo, consistente nel vedere un cartoon
relativo a quanto accade durante un attacco cardiaco e ad una spiegazione più tecnica fatta da un
Cardiologo. Dopo la lettura e il successivo ascolto delle operazioni subite, la ragazza si dice molto
meno “suggestionabile” e la sua accidentale attivazione fisiologica, pur rimanendo condizionata all’idea
di stare per avere un attacco cardiaco, è stata razionalmente rielaborata; in queste settimane di
trattamento, infatti, qualora abbia avuto delle tachicardie ha subito affrontato l’avvenimento
attraverso l’utilizzo consapevole della respirazione e la razionalizzazione grazie a flashcards con la
dicitura da lei scelta: “È una paranoia”. L’idea di affrontare direttamente dei filmati relativi all’attacco
cardiaco si traduce con una SUD di 60 che scende dopo 3 riproduzioni a 10.
Mostriamo alcune immagini che ritraggono le flashcards posizionate su vari oggetti di Valentina.
Fig. 9 Flashcard posizionata nel portafogli
26
Fig. 10 Flashcard posizionata sulla confezione di caramelle
La IX seduta è stata completamente dedicata a discutere di un improbabile quanto fortuito incidente
capitato a Valentina durante la mattinata di lavoro: in questo periodo la ragazza è stata colpita da
rinite allergica che, grazie a delle cure specialistiche sta guarendo ma le ha lasciato una certa
secchezza nelle cavità delle nari; sistematizziamo attraverso una tabella l’analisi funzionale
dell’accaduto e la successiva modificazione dello stesso schema grazie all’introduzione di una risposta
razionale.
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura.
Fisiologiche: palpitazioni,
iperventilazione.
Mentre era a lavoro per rimandare di qualche
minuto l’esigenza di soffiarsi il naso, Valentina ha
al contrario tirato su e subito dopo ha percepito il
sapore di sangue in bocca.
“Questo è sapore di
sangue”, “Perché ho del
sangue in bocca?” “Mi sto
agitando”. Comportamentali: Checking
della presenza di sangue nella
saliva (positivo).
Tab. 4 Analisi funzionale ricostruita dalla paziente, in relazione ad un avvenimento.
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: serenità crescente.
Fisiologiche: rallentamento del ritmo
sia respiratorio che cardiaco.
Valentina ha confermato la
presenza di sangue nella sua saliva
a seguito di un comportamento di
checking.
“Questo sangue non può venire
dalle ferite”, “Mi sono sicuramente
provocata una ferita nel naso”,
“Devo respirare e bloccare
l’iperventilazione”. Comportamentali: si siede ed esegue
una respirazione lenta.
Tab. 5 Analisi funzionale in seguito all’introduzione di una risposta razionale come nuovo antecedente.
Durante questo incontro la ragazza si dice molto soddisfatta di se stessa anche se ingenuamente
aveva ritenuto che avrebbe potuto evitare l’attivazione iniziale già da ora. Parla di questa esperienza
con entusiasmo e più volte ripete che è stata fortunata che gli sia accaduta proprio adesso che la
terapia si sta concludendo.
L’ultima seduta è stata dedicata ad affrontare l’ultimo step stabilito, consistente nel vedere una scena
tratta dal telefilm Dr. House Medical Division, che mostra una donna che, affetta da una grave
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malattia, improvvisamente inizia a vomitare sangue. Questa scenario è stato scelto perché ha dei
fortissimi richiami su quanto accaduto realmente nella vita di Valentina e, naturalmente
suggestionabile al sangue, l’idea di vedere una situazione tanto simile a quella che ha vissuto in prima
persona ben 2 volte induce una SUD pari a 85. Dopo aver respirato qualche secondo in modo più
lento si sottopone alla visione del filmato e, dopo 4 esposizioni riporta una nuova SUD pari a 30. Solo
dopo altre 3 esposizioni il livello di disagio percepito raggiunge un valore di 15. Si ritiene solo allora di
non dover proseguire oltre. Anche questo materiale viene fornito alla paziente perché vi si esponga a
casa da sola.
Nella stessa seduta decidiamo di stabilire un nuovo incontro, a distanza di circa 3 mesi, il 05/09/08,
perché si sottoponga nuovamente al test MMPI-2 e si presenti successivamente, in data 10/09/08, ad
un colloquio per verificare che cosa sia cambiato dopo questo tempo.
3.2 Follow-up e Conclusioni
Viene somministrato in data 05/09/08 il test MMPI-2 di cui riportiamo i grafici ed in base ai criteri
descritti da Butcher e Williams una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams, 1996). Per ogni
grafico è possibile osservare le linee tratteggiate relative al primo test somministrato, ed individuarne
così un immediato confronto.
Si evince come il profilo originario si manifestasse immediatamente patologico, soprattutto per
l’elevazione delle scale cliniche relative all’Ipocondria, la Depressione, la Paranoia e la Psicastenia,
andando poi ad avvalorare l’ipotesi di Disturbo Post-Traumatico da Stress con il valore della scala
supplementare PK. Il nuovo test manifesta un atteggiamento sottosogliare con alcuni tratti ancora
tendenti all’ipocondria sebbene la si possa inquadrare in termini di blanda preoccupazione per la
salute. Valentina si sarebbe inoltre sottoposta al test con più attenzione e questa si è mantenuta
elevata anche nella seconda parte, cosa che invece non era accaduta la prima volta. L’elevazione
ancora presente della scala di contenuto FRS, denoterebbe una tendenza all’ansia ed alle paure,
attuale anche adesso, per cui si ritiene utile, nel riportare tali risultati alla giovane farle notare questo
aspetto, affinché prosegua con un lavoro individuale alla continua esposizione alle fonti di paura ed
alla ristrutturazione cognitiva, coadiuvata dall’utilizzo di Flashcards.
Scale Cliniche
34
62
39
71 70 6555 52
6672
60 5662
46 4642
66
56 56 58
4548
5550 48 51
0102030405060708090
100
29/02/2008 34 62 39 71 70 65 55 52 66 72 60 56 62
05/09/2008 46 46 42 66 56 56 58 45 48 55 50 48 51
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 11 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 05/09/08
28
Scale Supplementari
68
5258
41
74
6168
4438
50 52
67
50 51 54 5158
45
0102030405060708090
100
29/02/2008 68 52 58 41 74 61 68 44 38
05/09/2008 50 52 67 50 51 54 51 58 45
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 12 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 05/09/08
Scale di Contenuto
6671
57 59
7468
72
51
6056 55
60
45
54 5459
68
5147
6256 54
47
6053 53 51
43 4549
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
29/02/2008 66 71 57 59 74 68 72 51 60 56 55 60 45 54 54
05/09/2008 59 68 51 47 62 56 54 47 60 53 53 51 43 45 49
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 13 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 05/09/08
Nell’incontro di follow-up tenuto in data 24/09/08, Valentina appare serena anche se agitata a causa
dell’imminente matrimonio. Dichiara di non aver avuto Attacchi di Panico e di aver imparato a
controllare perfettamente anche il più piccolo sintomo d’ansia attraverso la respirazione, ma
soprattutto con la sostituzione dei pensieri catastrofici in funzionali ed adeguati alla situazione.
Per quanto riguarda l’evento traumatico, rappresentato dalla tonsillectomia, riferisce di continuare a
rileggere la propria storia ogni tanto e di giudicare se stessa, qualora abbia qualche emozione più
difficile da gestire, senza voler forzare esageratamente i propri limiti personali.
29
Disturbo dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificato: una distinta realtà
diagnostica
1. Definizioni e Quadro clinico
I Disturbi dell’Alimentazione sono caratterizzati dalla presenza di grossolane alterazioni del
comportamento alimentare. Questa sezione di disturbi comprende due categorie specifiche, l’Anoressia
Nervosa e la Bulimia Nervosa; caratteristico della prima è il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di
sopra di quello minimo normale, mentre la seconda è contraddistinta da ricorrenti episodi di
“abbuffate” seguiti dall’adozione di mezzi inappropriati per controllare il peso, come: il vomito
autoindotto; l’uso di lassativi, diuretici, o altri farmaci; il digiuno; ed infine l’attività fisica praticata in
maniera eccessiva. Comune ad entrambi i disturbi, è invece la presenza di un’alterata percezione del
peso e della propria immagine corporea. I Disturbi dell’Alimentazione che non soddisfano pienamente
tali criteri vengono classificati come Disturbi dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati (Disturbi
dell’Alimentazione NAS) o EDNOS, dall’acronimo inglese (Eating Disorder Not Otherwise Specified)
(Bruch, 1977). La semplice obesità, inclusa nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) tra
le condizioni mediche generali, non compare nella classificazione del DSM-IV, poiché non ne è stata
accertata l’associazione costante con alcuna sindrome psicologica o comportamentale. Tuttavia,
quando vi sono prove che qualche fattore psicologico abbia un ruolo nell’eziologia o nel decorso di un
caso particolare di obesità, questo può essere indicato registrando i Fattori Psicologici che Influenzano
le Condizioni Mediche. I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione che vengono diagnosticati per la
prima volta nell’infanzia o nella prima fanciullezza (ad esempio Pica, Disturbo di Ruminazione, Disturbi
della Nutrizione dell’Infanzia o della Prima Fanciullezza) fanno parte della sezione Disturbi della
Nutrizione e dell’Alimentazione dell’Infanzia o della Prima Fanciullezza (APA, 1994).
Dopo il 1994, anno di pubblicazione del DSM-IV, l’Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa hanno
ricevuto moltissima attenzione dai ricercatori ed oggi sono disponibili numerosi studi che ne hanno
indagato la prevalenza, l’eziologia, le caratteristiche cliniche, il decorso e la risposta al trattamento.
Purtroppo questo non si può dire per gli EDNOS che, sebbene siano presenti in più della metà dei
pazienti affetti da Disturbi dell’Alimentazione, sono stati praticamente ignorati dalla ricerca. Di questo
gruppo di disturbi abbiamo pochissime informazioni circa la prevalenza nella collettività e non
sappiamo quasi nulla riguardo l’eziologia, il decorso e le risposte al trattamento (Ricca et al., 2001). Recentemente Fairburn e Bhon hanno suggerito che la scarsa attenzione dedicata agli EDNOS sia
imputabile principalmente all’attuale sistema classificativo e ne hanno dunque proposto delle possibili
alternative (Fairburn e Bhon, 2005); si ritiene utile in questa sede rivedere semplicemente lo stato
attuale delle conoscenze su tali disturbi atipici, senza addentrarci nella teorizzazione di un eventuale
progetto classificativo più complesso.
30
1.1 Definizione attuale di EDNOS
Il DSM ha introdotto le categorie di “disturbi atipici” (nel DSM-III) e “Non Altrimenti Specificati” o NAS
(DSM-III-R e DSM-IV) con l’obiettivo di “indicare una categoria di disturbi residua all’interno di una
classe superiore di essi” (APA, 1994; APA, 2001); secondo questa classificazione l’EDNOS è un
esempio di NAS nella categoria dei Disturbi dell’Alimentazione.
Per la diagnosi all’interno della categoria, sarebbe dunque necessario: 1) determinare la presenza di
un Disturbo dell’Alimentazione di severità clinica e, 2) evidenziare il non soddisfacimento dei criteri
diagnostici dell’Anoressia Nervosa o della Bulimia Nervosa.
La figura 1 rappresenta graficamente la relazione tra Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa ed EDNOS.
È da sottolineare che tra i due cerchi interni (quello più piccolo rappresenta l’Anoressia Nervosa, quello
più grande la Bulimia Nervosa) esiste uno spazio di sovrapposizione in cui i pazienti soddisfano i criteri
di entrambi i disturbi; in questo caso il DSM-IV sostiene che vada assegnata la diagnosi di Anoressia
Nervosa. Il cerchio più grosso rappresenta infine gli EDNOS, i cui bordi demarcano i confini dei disturbi
dall’alimentazione ed al di fuori dei quali non esiste il “caso clinico” in tale ambito psicodiagnostico.
Fig. 1 Rappresentazione schematica della relazione tra Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e EDNOS. La classificazione DSM, che ha considerato gli EDNOS come categoria residuale dei Disturbi
dell’Alimentazione, ha avuto l’effetto di spingere inevitabilmente i ricercatori a studiare l’Anoressia
Nervosa e la Bulimia Nervosa ed a dimenticare quasi del tutto l’ampia categoria di pazienti che non
rientrano in una di queste due classificazioni.
L’esperienza clinica degli esperti ha però verificato negli anni che i diversi tipi di EDNOS sono spesso
severi e di lunga durata ed in genere ricalcano l’Anoressia Nervosa, la Bulimia Nervosa, od un quadro
clinico misto tra i due disturbi principali ed in molti casi è presente una storia di uno di questi due
disturbi in passato. Alcuni tipi di EDNOS sono poi virtualmente identici ai due Disturbi
dell’Alimentazione maggiori, ma non soddisfano con precisione i criteri diagnostici richiesti.
Fairburn e Bhon, come precedentemente accennato, suggeriscono che sia utile distinguere due
sottogruppi principali di EDNOS, non comunque delimitati fra loro da un confine netto; nel primo
rientrano le persone che ricalcano le caratteristiche dell’Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa ma
Non “caso”Disturbo Alimentare “caso”Non “caso”
Bulimia Nervosa
Anoressia Nervosa
EDNOS
31
che non soddisfano la soglia diagnostica (EDNOS “sottosoglia”); nel secondo rientrano le persone che
non soddisfano uno o più criteri diagnostici per i due disturbi. Questi ultimi casi possono essere
chiamati “misti”, perché combinano caratteristiche di entrambi i Disturbi dell’Alimentazione.
Una terza categoria che si sta distinguendo negli ultimi anni all’interno degli EDNOS è il Disturbo da
Alimentazione Incontrollata o DAI; i pazienti che soffrono di questa condizione si abbuffano, ma non
usano in modo regolare comportamenti di compenso; inoltre, non seguono una dieta e tendono a
mangiare in eccesso anche al di fuori delle abbuffate, ciò spiega perché nella maggior parte dei casi
sia presente una condizione di sovrappeso o di obesità. Per la diagnosi di DAI, Fairburn ed Harrison
propongono che sia però essenziale che durante le abbuffate, le persone ritengano di non potersi
fermare o che comunque percepiscano la sensazione di non controllarsi (Fairburn e Harrison, 2003).
In questa sede si ritiene utile descrivere alcune delle caratteristiche fondamentali del DAI, oltre che
degli altri Disturbi dell’Alimentazione di base; tale quadro psicopatologico è contraddistinto da una
costante e continua richiesta psichica di cibo (alimentazione per sedare il nervosismo od il "senso di
vuoto"), accompagnata da sensi di colpa e d’inadeguatezza interiore e sociale.
Il quadro diagnostico presenta inoltre:
- Aumento, almeno del 20%, del peso originale (peso standard).
- Episodi ricorrenti di eccessi alimentari o abbuffate.
- Alimentazione selettiva.
- Tentativi ripetuti ed infruttuosi di perdere peso tramite diete severe e restrittive (sindrome yo-yo).
- Tendenza a mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati.
2. Incidenza dei Disturbi dell’Alimentazione
I Disturbi Alimentari rappresentano nei paesi occidentali industrializzati una vera e propria emergenza
sanitaria (Tridenti e Bocchia, 1994). Nonostante esista ancora oggi in Italia una forte resistenza
culturale ad applicare modelli terapeutici di approccio integrato, medico-nutrizionale e
psicoterapeutico, non può essere più a lungo ignorata l’esperienza trentennale internazionale che
documenta come opportune strategie di prevenzione e di cura siano in grado di ridurre il pesante
impatto che tali sindromi hanno sulla salute delle persone e sulla spesa sanitaria (Strassberg et al.,
1995; Safer et al., 2001; Wiseman et al., 2002).
Affrontando un disturbo dall’eziologia multipla, con aspetti non solo psicologici ma anche organici
rilevanti ai fini di un'adeguata riabilitazione, è stato ritenuto utile negli anni iniziare ad analizzare
anche ambiti apparentemente lontani dalla psicologia; infatti, uno psicoterapeuta che desideri lavorare
all'interno dei Disturbi dell’Alimentazione necessita di un sapere specialistico che non fa parte del
proprio bagaglio di base, ma che è trasversale e multidisciplinare (Dalle Grave, 2003).
Una recente review sulla prevalenza ed incidenza dei Disturbi dell’Alimentazione (Hoek e Van Hoeken,
2003) ha documentato una prevalenza dello 0.3% per l'Anoressia Nervosa e rispettivamente dell'1% e
dello 0.1% nelle donne e negli uomini affetti da Bulimia. La prevalenza stimata del disturbo da
alimentazione incontrollata (DAI) è invece pari ad almeno l’1%.
32
L’incidenza è di 8 casi per 100.000 soggetti in un anno per l’Anoressia Nervosa, con un aumento a
partire dagli anni ‘70 e di 12 casi per 100.000 per la Bulimia Nervosa.
L’aumento dell'incidenza dei Disturbi dell’Alimentazione negli anni è confermata da numerosi studi
epidemiologici, anche se è difficile il confronto tra gli stessi, per ragioni metodologiche e di differenze
di calcolo. L’età di esordio cade fra i 10 ed i 30 anni, con un'età media di insorgenza di 17 anni. I
Disturbi dell’Alimentazione che insorgono prima della pubertà e prima del menarca, sono più
frequentemente associati a psicopatologie ed hanno una prognosi psichiatrica più sfavorevole (Turner
e Bryant-Wough, 2004). Sono in aumento i casi di esordio in età più tardiva e le forme croniche di
soggetti con un’età superiore ai 40 anni.
I Disturbi dell’Alimentazione sono una patologia prevalentemente femminile: F : M = 9 : 1. Anche nei
maschi tuttavia, l’incidenza e la prevalenza sembrano essere in aumento sebbene non in maniera
marcata come per il sesso femminile; questa inclinazione potrebbe essere comunque solo apparente e
dovuta al fatto che oggi più uomini affetti da tali patologie chiedono di essere aiutati o vengono, per
una migliore informazione, diagnosticati.
È stata segnalata una rapida sequenza di cambiamenti negli anni, nella frequenza delle varie forme di
Disturbi dell’Alimentazione: alle forme restrittive di Anoressia Nervosa, che hanno caratterizzato gli
anni '60, si sono succedute negli anni '70 le forme di Bulimia Nervosa e, più recentemente, il DAI e le
forme multimpulsive di Bulimia Nervosa (Connors e Johnson, 1987). Per comprendere questo
fenomeno è importante ricordare che i Disturbi dell’Alimentazione sono considerati una sindrome
culture-bound (Gordon, 1990), come dimostra la loro assenza nei paesi più poveri dell'Asia, dell'Africa
e dell'America Latina e la rapida comparsa tra gli immigrati di nazioni più povere (ad esempio i paesi
dell'Est europeo) in quelle più ricche, a causa del rapido processo di occidentalizzazione (Nasser,
1997; Vandereycken e Noordenbos, 1998).
Per quanto riguarda gli EDNOS, non sono disponibili sufficienti dati per poter far luce sulla reale
distribuzione di tali disturbi. Come già accennato, questo è in parte dovuto al fatto che la maggior
parte degli studi ha esaminato la prevalenza dell’Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa, ma in
realtà, non abbiamo ancora a disposizione una semplice definizione di EDNOS, affinché sia possibile
stimarne l’impatto (Turner e Bryant-Wough, 2004).
Uno studio eseguito a Lecce ha evidenziato una prevalenza di EDNOS del 4% negli studenti di 14-18
anni (Dalle Grave et al., 1997), mentre la preponderanza di questa categoria diagnostica sulla
popolazione di Padova è risultata del 3,4% (in confronto allo 0,3% dell’Anoressia Nervosa e all’1,8%
della Bulimia Nervosa), (Favaro et al., 2003).
Alcuni resoconti indicano che circa il 60% dei pazienti affetti da Disturbi dell’Alimentazione che si
rivolgono ad un centro specializzato in Italia, per la cura dei Disturbi dell’Alimentazione, soddisfano la
diagnosi di EDNOS. Questa elevata percentuale di soggetti clinici, sottolinea che l’attuale sistema
classificativo è del tutto inadeguato perché definisce come residui la percentuale maggiore di
incidenza. Per quanto riguarda il decorso di questi disturbi è anch’esso poco conosciuto. Uno studio
longitudinale di tre anni ha però evidenziato che il Disturbo dell’Alimentazione persiste nella maggior
parte dei casi e che nella metà di essi va ad evolversi in Anoressia Nervosa o Bulimia Nervosa (Herzog,
et al., 1993).
33
3. Modelli teorici di riferimento
3.1 Concettualizzazione Cognitivo-Comportamentale
Le varie scuole di pensiero che si sono interrogate sulle cause dei disturbi alimentari hanno
evidenziato fattori diversi, enfatizzando di volta in volta ipotesi strettamente organiche (danno
dell’ipofisi, lesione del centro della fame, malattia genetica) o più specificatamente psicologiche
(caratteristiche di personalità, struttura della famiglia).
Oggi la comunità scientifica, soprattutto nell’ottica cognitivo-comportamentale, tende a proporre per i
disturbi del comportamento alimentare modelli multifattoriali che si rifanno ad un’ottica bio-psico-
sociale ed è concorde nell’affermare che non esiste una causa unica ma una concomitanza di fattori
che possono variamente e diversamente interagire tra loro nel favorirne la comparsa ed il perpetuarsi.
Ne consegue quindi che lo strumento d’elezione per la concettualizzazione di un disturbo alimentare
rimane l’analisi funzionale dei fattori predisponenti, precipitanti, perpetuanti e protettivi; proprio per
questo motivo nell’assessment e nel trattamento è possibile osservare che alcuni autori privilegiano
tecniche basate sul controllo diretto dell’alimentazione, altri lavorano sull’eliminazione dei fattori di
mantenimento, altri ancora sulla relazione terapeutica. Sulla base poi delle specifiche caratteristiche
del paziente affetto da un EDNOS, vengono utilizzate tecniche e training multifunzionali (Macchi et al.,
1992). Come appena accennato, per avere un’idea corretta circa la dinamica di sviluppo dei Disturbi
dell’Alimentazione bisogna tenere presente una lunga serie di fattori ed eventi, alcuni dei quali giocano
un ruolo importante rispetto ad una vulnerabilità biologica e psicologica al disturbo (fattori
predisponenti), altri nel passaggio dalla sensibilità al disturbo vero e proprio (fattori scatenanti) ed altri
infine nella formazione di un circolo vizioso che, una volta sviluppatasi, manterrebbe la malattia
(fattori perpetuanti).
Fig. 2 La natura multifattoriale dei disturbi del comportamento alimentare
3.1.1 Fattori predisponenti
Questi elementi concorrono a predisporre un terreno sul quale può innestarsi il disturbo del
comportamento alimentare. Sono quindi proprietà personali o di background preesistenti ad uno stato
eventualmente morboso e si distinguono in:
Socio-culturali
Familiari
Individuali
Fattori Predisponenti
Difficoltà psicologiche ed ambientali
Dieta restrittiva
Fattori Scatenanti
Vulnerabilità
Rinforzo positivo
dell’ambiente
Sintomi da digiuno
Disturbi
Fattori di Mantenimento
34
Caratteristiche individuali: possono essere sia di natura biologica che psicologica. Si
distinguono nel primo gruppo: il sesso femminile; la familiarità per il sovrappeso, l’obesità, alcuni
disturbi psichiatrici; una storia personale di diete od oscillazioni ponderali; alcune patologie croniche e
disturbi gastrointestinali. Nelle caratteristiche individuali più legate alla sfera psicologica è possibile
invece riscontrare una bassa autostima, perfezionismo patologico, anassertività, tendenza al pensiero
dicotomico, impulsività ed alcuni tratti di personalità (Salvemini et al., 2000). In generale gli
adolescenti sono più vulnerabili ed anche i più colpiti, dato il periodo estremamente delicato di
passaggio fra la dipendenza dell’infanzia e l’autonomia della fase adulta. Il disturbo alimentare può
nascere dall’incapacità di far fronte a questi cambiamenti, alla paura della maturità ed a tutte le
richieste e responsabilità che comporta.
Tra i fattori di tipo psicologico sembra inoltre rilevante l’idealizzazione della magrezza, peraltro
rinforzata dai messaggi veicolati quotidianamente dai mass-media. Viene costruita un’immagine di sé
strettamente legata a tratti fisici che vedono e pongono la magrezza come segno di valore e di
bellezza (magro è bene; grasso è male). Tutto ruota intorno al corpo come fonte di autonomia, di
controllo e di sicurezza. Le donne, in particolare le ragazze più giovani, sono più esposte degli uomini
a questo aspetto per motivi legati all’educazione ed al contesto socioculturale; risultano molto sensibili
al giudizio degli altri proprio perché il valore personale è maggiormente legato all’immagine esteriore;
fin da tempi immemori, le donne vengono educate ad essere guardate, per poter essere ammirate e
selezionate fra le altre e, avere un corpo che rispetti i canoni estetici imperanti, diviene una sorta di
necessità per le relazioni sociali (Gordon, 1990).
Caratteristiche familiari: il ruolo della famiglia nell’insorgenza di un disturbo alimentare è stato
spesso accentuato anche a sproposito (Gatti, 1989). Le varie teorie che si sono occupate di questo
aspetto hanno spesso fatto riferimento ad un rapporto disturbato tra madre e figlia o ad una
particolare configurazione della dinamica familiare, che presenterebbe una madre dominante
iperprotettiva ed intrusiva ed un padre assente. In realtà è impossibile sapere se un particolare clima
familiare sia causa piuttosto che conseguenza del disturbo; piuttosto sarebbe anomalo che di fronte
ad una figlia che deperisce giorno dopo giorno, un genitore non diventi iperprotettivo e che questo
non provochi un grande aumento della tensione familiare (Haley, 1983).
Una considerazione a parte va spesa per quelle famiglie in cui esiste una particolare attenzione ai temi
dell’aspetto fisico e dell’alimentazione. È probabile che un clima familiare in cui questi elementi
vengono enfatizzati possa portare alla costruzione di un’immagine di sé polarizzata sull’aspetto
esteriore. Tuttavia, anche in questo caso, non esistono prove che i Disturbi del Comportamento
Alimentare si manifestino più frequentemente in contesti di questo tipo.
Studi significativi hanno evidenziato che un’elevata insoddisfazione corporea nei genitori favorisce un
simile atteggiamento, in particolare nelle figlie femmine. Anche se, analogamente, atteggiamenti
ossessivi ed ipercritici sembrano essere più frequentemente presenti nelle famiglie delle ragazze
anoressiche, di per sé questo non implica che tali fattori siano causa diretta del disturbo alimentare.
Caratteristiche socio-culturali: l’Anoressia e la Bulimia Nervosa sono diffuse principalmente nei
paesi industrializzati ed in quelli in via di sviluppo. Come già preannunciato relativamente ai fattori
individuali, l’ideale della magrezza è esaltato da tutti i mezzi di comunicazione: l’aumento dei casi di
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Anoressia e Bulimia negli ultimi anni va di pari passo con la diffusione di articoli relativi alle diete e di
prodotti per dimagrire. L’immagine attuale di donna di successo non è legata tanto al possesso di
particolari capacità, quanto piuttosto a modelli irreali di donne attraenti e, soprattutto, molto magre
(Walitza et al., 2001). Nella nostra società la donna magra rappresenta l’ideale di donna potente,
ricca, di successo, sessualmente attraente e vincente. Il culto del valore estetico è tale che solo ciò
che è bello può anche essere buono e tende a porre la bellezza come presupposto implicito delle
qualità della persona. A tutto ciò si aggiunge il fatto che, disturbi quali l’Anoressia e la Bulimia
vengono facilmente mitizzati: spesso i rotocalchi li presentano come malattie delle giovani donne di
classe sociale elevata, belle, intelligenti ed attraenti. È indubbio che per molte ragazze alla ricerca
della propria identità, la capacità di controllo sul proprio corpo e la possibilità di attrarre l’attenzione su
di sé possano rappresentare, in una prima fase, un elemento di fascino.
3.1.2 Fattori scatenanti
In presenza di una vulnerabilità fisica e psicologica, questi elementi determinano l’insorgenza del
disturbo nel comportamento alimentare. A volte l’inizio del calo di peso non si associa a situazioni di
insoddisfazione corporea ma a cambiamenti fisiologici, talvolta impetuosi, derivati per esempio dal
normale sviluppo puberale in adolescenza; da un distacco dalla famiglia; dall’occasione di un viaggio
senza i genitori; dall’inizio o la conclusione di una relazione affettiva; dal cambio di residenza e/o di
scuola o di lavoro con conseguente perdita degli amici; ed infine dal verificarsi di molestie fisiche o
psicologiche. Altre volte si tratta di situazioni legate a momenti difficili e negativi della vita come la
morte di un congiunto, di un amico, una malattia, od una crisi familiare. Sono in ogni caso eventi che
tendono ad accrescere le difficoltà che una persona, più o meno giovane incontra sul piano delle
capacità di relazione e della propria autonomia ed autostima.
3.1.3 Fattori di mantenimento
Per fattori di mantenimento della malattia intendiamo tutti quegli eventi che contribuiscono a
rinforzare e perpetuare la condizione patologica, una volta innestata. È molto importante tenere in
debita considerazione questi aspetti poiché, alcuni tipi di terapia o, in ogni caso, in alcuni momenti di
essa, l’intervento si incentra proprio nella loro riduzione; qualora sia infatti impossibile reperire una
causa precisa da rimuovere, l’intervento più efficace, secondo molti autori, è rappresentato dalla
modifica di quegli elementi che tengono in vita il disturbo (Mazzali et al., 1989).
Inizialmente sono importanti gli aspetti legati alle assunzioni di carattere cognitivo: le idee sul peso e
sulle forme corporee spingono la persona a formulare un unico pensiero “è assolutamente
fondamentale essere magri!” ed a questo, seguono tutte quelle azioni che possono portare al
raggiungimento di tale obiettivo. L’intervento, in questo caso, deve mirare a mettere in discussione
principalmente i presupposti “disfunzionali” che spesso vengono rinforzati dall’esterno: non è raro
trovare qualcuno che si complimenti con una ragazza normopeso che si mette a dieta (Crisp, 1980).
Con il tempo tuttavia il rinforzo esterno tende a diminuire ed il fattore di mantenimento più importante
diventa la sintomatologia determinata dal digiuno. Le conoscenze a questo proposito derivano da un
filone di studi noto ormai dal 1950, iniziato presso l’Università del Minnesota (Keys et al., 1950). Le
36
persone che si sottopongono ad un’alimentazione ridotta, dopo una prima fase caratterizzata da
euforia ed iperattività, sviluppano una complessa serie di sintomi e segni che coinvolgono aspetti
organici, comportamentali e psichici, costituendo quella che viene definita la “sindrome da digiuno”:
- Sul piano fisico compaiono disturbi legati al ritmo del sonno; astenia; iperacusia ai rumori ed
alla luce; secchezza della cute; perdita di capelli; lanugo; disturbi gastrointestinali che a loro volta
possono essere così importanti che spesso dolori, spasmi, gonfiori e sensazioni di difficoltà digestive
sono segnalati come motivo del rifiuto del cibo; ipotermia; edema; parestesie; ridotto metabolismo
basale; amenorrea; e ridotto interesse sessuale.
- Sul piano psicologico si riscontra un’attenzione completamente polarizzata sul cibo, che porta
il soggetto ad imperniare tutta la sua quotidianità sull’alimentazione, talvolta con comportamenti
bizzarri, ritualistici e spesso caratteristici in particolare dell’Anoressia restrittiva.
- Si assiste spesso a modificazioni importanti sul piano emotivo, emergono stati depressivi,
ansiosi e di irritabilità; talvolta si possono riscontrare manifestazioni psichiatriche anche di maggiore
gravità. Spesso risulta evidente una tendenza all’isolamento sociale, amplificata dalle oggettive
difficoltà incontrate nel frequentare altre persone.
L’insorgenza della sintomatologia psichiatrica (ansia, depressione, irritabilità) e la tendenza a chiudersi
in sé pongono le persone affette da un Disturbo Alimentare, in una condizione in cui ogni relazione è
difficile ed anche l’accettazione di un aiuto esterno è problematica. Il controllo del cibo è, infatti, un
potente strumento per domare anche l’ansia ed ogni tentativo di ridurre questo controllo può
scatenare una crisi; è allora giocoforza riprendere quel controllo che riesce a dare un sollievo, per
breve che sia, (Martin, et al., 2000).
È importante sapere che i sintomi descritti sono legati in modo diretto e contingente alla condizione di
malnutrizione; essi sono quindi reversibili e, dal punto di vista del trattamento, l’intervento più efficace
per ridurre i sintomi da digiuno è rappresentato dalla riabilitazione psiconutrizionale che mira a far
recuperare abilità perdute e condizioni fisiche generali accettabili.
Dallo studio del semidigiuno di Keys e colleghi è emerso, come sia la restrizione alimentare a condurre
direttamente al comportamento di abbuffata; in questi casi, che sia presente o meno una storia di
Bulimia Nervosa, le persone che utilizzano tale condotta, con o senza eliminazione, sviluppano nel
tempo un’incapacità a distinguere i diversi stimoli biologici di fame e sazietà ed a percepire e gestire
correttamente ansia, rabbia, solitudine e tristezza. Il comportamento alimentare bulimico: la crisi di
abbuffata e/o la condotta di vomito, diviene spesso un diversivo, un riempitivo ed uno sfogo che può
apparire più gestibile della crisi di ansia e di depressione.
Per quanto possa sembrare paradossale le conseguenze di questi disturbi possono essere percepite
come vantaggi: nell’Anoressia ad esempio, il perdere peso dà un senso di gratificazione, di
autocontrollo, di capacità di gestire la situazione, nonché la possibilità di attirare l’attenzione su di sé,
di essere presenti agli occhi degli altri attraverso la scomparsa del proprio corpo; per tutti questi
motivi si dice che l’Anoressia è “egosintonica”, in quanto pone la persona in sintonia con lo stesso
disturbo.
Anche nel caso della Bulimia Nervosa l’ingerire grandi quantità di cibo è un modo per sedare i
momenti di ansia e di tensione, mentre i comportamenti eliminativi conseguenti, come il vomito o l’uso
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di lassativi, permettono di agire un certo controllo sulla situazione e sul peso corporeo. Le
conseguenze sono rappresentate dai sensi di colpa e di svalorizzazione personale che possono
vanificare la spinta al superamento del problema ed in queste situazioni appare utile una revisione
della motivazione al trattamento; in tal senso il comportamento bulimico è “egodistonico” e viene
vissuto come negativo e sgradevole a differenza di quanto avviene nell’Anoressia (Stunkard e Stellard,
1984). È necessario sottolineare che nella Bulimia Nervosa ciò che viene temuto di più è il fatto di aver
ingerito troppo cibo ed ogni rimedio possibile apparirà utile e necessario ad evitare il pericolo di
ingrassare. Egodistonica, pertanto, appare l’abbuffata e non il vomito che è invece “protettivo”. La
conseguenza dell’egosintonia dell’Anoressia e della egodistonia della Bulimia starebbe soprattutto nel
fatto che nel primo caso vi è un rifiuto delle cure e nel secondo una più frequente richiesta di aiuto. La
persona con diagnosi di Bulimia Nervosa vorrebbe saper evitare le abbuffate, per assumere un
comportamento alimentare restrittivo e controllato, mirato al conseguimento di quel peso corporeo
tanto desiderato, ma, poiché spesso è troppo basso o necessita di un rimedio repentino, incorre in una
restrizione alimentare andando a determinare la nuova abbuffata con i conseguenti pensieri di
svalutazione e l’eventuale compenso del vomito autoindotto (Garner, 1997).
Il momento in cui si cede alla tentazione del cibo diventa un modo per lasciarsi andare, per allentare
la tensione, per concedersi “l’oggetto proibito”, per allontanare ogni pensiero negativo. La persona si
trova quindi ad oscillare nella propria dualità, in cui la parte controllante e la parte cedevole,
inconciliabili tra loro, imparano a convivere. La conseguenza di ciò è che spesso l’abbuffata viene
accuratamente programmata, garantendosi una fornitura adeguata di cibo ed eliminando ogni
elemento di disturbo (Wardle e Beinart, 1981).
Infine, un fattore di mantenimento importante può essere rappresentato dalla dinamica familiare:
l’insorgenza del problema può indurre comportamenti che, anche se perfettamente comprensibili,
tendono purtroppo a perpetuare il disturbo. L’emergere di un atteggiamento iperprotettivo ha l’effetto
di ridurre l’autonomia del soggetto. Si viene quindi a creare una situazione di regressione dell’intero
nucleo familiare ad una fase in cui i genitori si dovevano occupare completamente dell’alimentazione
dei figli e questo, talvolta, capita anche all’interno di nuclei familiari composti da soli adulti. Se
consideriamo che il motore dei disturbi del comportamento alimentare è spesso rappresentato dalla
paura di crescere e di autonomizzarsi, diventa evidente come questa situazione può essere
maggiormente coerente con il mantenimento della malattia piuttosto che con il suo superamento.
Un intervento di supporto ai familiari può rivelarsi estremamente utile; negli anni si sono sviluppati ed
hanno trovato un buon riscontro sul piano dell’efficacia i gruppi di auto mutuo aiuto di genitori di
giovani affetti da disturbi alimentari, i quali, anche se possono prevedere l’intervento di professionisti
per alcuni incontri tematici, sono più spesso autogestiti.
4. Modalità di Assessment
4.1 Colloquio clinico e Relazione Terapeutica
L’approccio psicologico nei disturbi del comportamento alimentare, favorisce sicuramente dei
comportamenti adattivi, migliora le modalità relazionali, contribuisce alla trasformazione dei vissuti
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emozionali e dei processi di pensiero, ma questi, sono percorsi fondamentali per una futura azione
terapeutica ad ampio spettro, comune anche ad altri tipi di disturbi o disagi di tipo psicologico.
I lavori di Blundell, Fairburn e Garner hanno sostanzialmente determinato nella comunità scientifica e
negli operatori di base, la convinzione dell’importanza di accostarsi ai disturbi alimentari con un
approccio mulidimensionale, sia per quanto concerne l’individuazione e la specificazione di fattori di
rischio, siano essi genetici, organici, culturali, psichiatrici, psicologici e familiari, che per l’analisi di
fattori precipitanti e perpetuanti la patologia alimentare, come eventi stressanti, esperienze iatrogene,
alcune caratteristiche di personalità, schemi personali e modelli cognitivi di base (Blundell, 1984;
Fairburn, 1996; Garner, 1997).
Questa più precisa modalità di inquadramento della complessità teorica che caratterizza l’approccio a
questo tipo di disturbi, ha permesso di lavorare in modo più preciso e mirato, sia a livello di diagnosi
che di trattamento, orientando principalmente ad interventi integrati ma diversificati: terapia
cognitivo-comportamentale individuale, psicoeducazione, trattamento medico e partecipazione a
gruppi di auto-aiuto per i familiari.
Nella fase di assessment, attraverso l’uso del colloquio clinico è fondamentale andare ad individuare i
fattori di rischio presenti nell’individuo ed identificare quelli che invece possono essersi caratterizzati
come precipitanti; mentre, nella fase di trattamento, è fondamentale isolare quelli che attualmente lo
mantengono, riferendoci alla concettualizzazione cognitivo-comportamentale illustrata nel paragrafo
3.1 a pagina 33. Inoltre, può essere utile, ancora in virtù del successivo trattamento, verificare
l’eventuale presenza di fattori protettivi che, sono venuti a mancare o che non sono mai stati
sviluppati, per poterli re-insediare.
Le aree fisiche e psichiche da rilevare nel momento diagnostico possono essere identificate in:
1. Sintomatologia del disturbo alimentare;
2. Storia del peso e sue fluttuazioni;
3. Presenza e grado di compromissione di disturbi della personalità, d’ansia, depressivi, di abuso di
sostanze;
4. Disturbi ed alterazioni dell’immagine corporea, intesi come disturbi percettivi, cognitivi, affettivi
o comportamentali;
5. Eccessivo valore dato all’aspetto fisico per determinare il valore di Sé;
6. Perfezionismo e pensiero dicotomico;
7. Ruminazione cognitiva, disturbi dell’identità e difficoltà relazionali;
8. Eccesso di preoccupazione per il peso e le forme corporee.
L’obiettivo dell’assessment è quello di andare ad individuare sintomi come le abbuffate, i
comportamenti estremi per il controllo del peso, i comportamenti stereotipati verso il cibo e le funzioni
del corpo che definiscono le principali caratteristiche del disturbo: egosintonico nell’anoressia ed
egodistonico nella bulimia; inoltre in questa fase è possibile individuare la psicopatologia e le
dinamiche psicologiche che possiedono una particolare valenza clinica nelle loro interconnessioni e nel
loro valore eziologico.
Durante la fase diagnostica molti autori hanno rilevato l’importanza di effettuare un lavoro sulla
motivazione; questo, assieme al riconoscimento della specificità dei principali disturbi del
39
comportamento alimentare secondo il DSM-IV-TR, costituiscono i primi fattori funzionali per
l’indicazioni al trattamento (Stunkard, 1993).
4.2 Test psicologici
Fairburn e Bhon affermano che oggi abbiamo già gli strumenti per arrivare ad una buona definizione
di Disturbo del comportamento Alimentare: il colloquio clinico e l'EDI-2, che è un test per
l'autovalutazione di sintomi comunemente associati ai Disturbi dell’Alimentazione; nei setting clinici,
questo strumento fornisce informazioni sul trattamento da adottare e sul procedere della valutazione.
Tenendo conto dell’eterogeneità nella psicopatologia associata ai Disturbi dell’Alimentazione, i profili
individuali possono essere comparati con i dati normativi di pazienti con disturbi e con gruppi di
controllo. Somministrato in più periodi successivi, l'EDI-2 fornisce preziose informazioni sullo stato
clinico e sul grado di risposta al trattamento (Garner, 1995). Nei setting non clinici permette
d'identificare i soggetti con problemi alimentari mascherati e quelli a rischio.
Per un esame ad ampio spettro è inoltre possibile somministrare il test MMPI-2 (Butcher e Williams,
1996). Secondo ricerche sulla validità di questo test (Salvemini et al., 2000; Cumella et al., 2000;
Pryor e Wiederman, 1996) l’elevazione delle scale Hs e Pd, sarebbe indice di probabile disturbo
alimentare, in particolare: Bulimia, con elevazione contemporanea della scala D; Anoressia quando la
scala Hs risulta molto alta, mentre quella della Depressione assumerebbe valori normativi.
5. Modalità di trattamento
5.1 Intervento psicoeducativo
L’intervento psicoeducativo si basa sui seguenti principi: la responsabilità del cambiamento è del
paziente ed il paziente è partner responsabile e razionale all’interno di una relazione terapeutica; lo
stile è tipicamente collaborativo e socratico.
Nel corso dell’intervento vengono fornite specifiche informazioni in aree particolarmente importanti del
processo di cambiamento (contenuto educativo) e si incoraggia ad affrontarlo grazie alle informazioni
ricevute anche dopo la fine del programma (contenuto psicoterapeutico).
L’intervento può essere più o meno strutturato, ma si ritiene comunque utile dedicare una parte anche
all’interno di una psicoterapia transdiagnostica individuale (Polivy e Herman, 1987). In genere gli
elementi che vengono presi in considerazione durante il trattamento sono:
Il peso naturale ed i meccanismi di controllo del peso corporeo, malattie correlate all’eccesso di
peso, cenni sui disturbi alimentari e sulla sindrome metabolica -a cura del medico e del dietista;
Informazioni nutrizionali e skills training (centrato sulle aree che verranno poi riprese nella terapia:
automonitoraggio, alimentazione, attività fisica e stile di vita) -a cura del dietista e dello psicologo;
Controllo degli stimoli, identificazione delle situazioni a rischio ed attività alternative, problem-
solving -a cura del dietista e dello psicologo;
Immagine corporea, emozioni e cibo, assertività -a cura dello psicologo.
40
5.2 Psicoterapia individuale: approccio cognitivo-comportamentale
La teoria e la terapia cognitivo-comportamentale dei Disturbi dell’Alimentazione sono state descritte
agli inizi degli anni ottanta da Fairburn per la Bulimia Nervosa e da Bemis (oggi Vitousek) per
l’Anoressia Nervosa. Fairburn ha elaborato una teoria “focalizzata” esclusivamente sui processi che
mantengono i sintomi della Bulimia Nervosa (Fairburn, 1996), mentre Garner e Vitousek hanno
sviluppato una teoria “allargata” che include, oltre ai fattori di mantenimento, anche quelli di rischio e
precipitanti per l’Anoressia Nervosa (Garner e Bemis, 1985).
Per quanto riguarda la terapia proposta da Fairburn, nonostante oggi sia considerata il trattamento di
prima scelta per la cura della Bulimia Nervosa (non ci sono terapie che hanno dimostrato di essere più
efficaci) ha tre difetti principali:
1) Ha un’efficacia limitata (solo il 50% dei pazienti raggiunge una remissione prolungata);
2) È applicabile solo alla Bulimia Nervosa e non agli altri Disturbi dell’Alimentazione;
3) Non prende in considerazione la presenza di meccanismi psicopatologici aggiuntivi, presenti in un
sottogruppo di pazienti, che contribuirebbero a mantenere il disturbo e ad ostacolare il trattamento.
La terapia cognitivo-comportamentale “allargata” di Garner e Vitousek ha il vantaggio di essere
applicabile con minime modifiche a tutti i Disturbi dell’Alimentazione e di non focalizzarsi solo sul
comportamento alimentare del paziente e sulla sua preoccupazione per l’alimentazione, il peso e le
forme corporee, ma di affrontare anche altre variabili individuali come per esempio il senso di identità
scarsamente sviluppato, l’ascetismo, il perfezionismo, i conflitti di autonomia, i problemi familiari e
quelli interpersonali (Fukunishi e Koyama, 2001).
Anche questo modello ha però tre principali difetti:
1) La sua efficacia non è supportata da ricerche controllate, ma solo dall’esperienza clinica;
2) Ha una lunga durata (1 o 2 anni anche se applicata alla Bulimia Nervosa);
3) Non è preciso nello spiegare i meccanismi di mantenimento del disturbo.
I progressi compiuti negli ultimi anni nella comprensione dei meccanismi psicopatologici di sviluppo e
di mantenimento dei Disturbi dell’Alimentazione e l’osservazione clinica che Anoressia Nervosa, Bulimia
Nervosa e Disturbi dell’Alimentazione atipici hanno caratteristiche cliniche distintive condivise e che
esiste un movimento temporale da un disturbo dell’alimentazione all’altro, hanno spinto Fairburn e
collaboratori ad aggiornare la loro precedente teoria ed a proporre un modello teorico e terapeutico
“transdiagnostico”, in grado cioè di essere applicabile a tutti i Disturbi dell’Alimentazione apportando
minime modifiche nell’applicazione sull’uno o l’altro disturbo.
Il trattamento derivato da questa teoria, attualmente in corso di valutazione, prevede l’integrazione di
tre figure professionali (medico, dietista e psicologo) e si sviluppa altrettante fasi, con la possibilità di
usare 5 moduli aggiuntivi per affrontare alcuni fattori, presenti in un sottogruppo di pazienti, che
ostacolano il trattamento. La teoria si chiama “transdiagnostica” perché, come appena accennato, è
stata studiata e strutturata per essere applicata con minime modifiche a tutti i Disturbi
dell’Alimentazione, compresi gli atipici. La teoria sostiene che il nucleo psicopatologico centrale dei
Disturbi dell’Alimentazione è un sistema disfunzionale di valutazione del valore personale; le persone
affette da questi disturbi, infatti, giudicano loro stesse largamente o esclusivamente sulla base del
proprio comportamento alimentare, peso o forme corporee (spesso su tutte e tre le caratteristiche) e
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del grado di controllo che riescono ad esercitare su di essi. Lo schema di autovalutazione disfunzionale
si sviluppa gradualmente per il concorso di vari fattori di rischio specifici (presenti solo nei Disturbi
dell’Alimentazione) e generici (presenti in altri disturbi psichiatrici) ed è attivato da alcuni fattori
precipitanti. Tale trattamento può essere poi utilizzato nei casi di Obesità resistente, condizione che
può presentarsi accompagnata da caratteristiche psicologiche comuni ai Disturbi dell’Alimentazione.
L’attivazione dello schema di autovalutazione disfunzionale porterebbe l’individuo a seguire una dieta
ferrea e ad adottare altri comportamenti di controllo del peso come l’attività fisica eccessiva. La dieta
fortemente restrittiva da una parte mantiene iperattivo lo schema di autovalutazione disfunzionale
attraverso i rinforzi positivi e/o negativi che l’individuo percepisce quando riesce a controllare
l’alimentazione, il peso e le forme corporee e dall’altra favorisce la perdita di peso e la comparsa della
sindrome da digiuno che, a loro volta, agiscono nel mantenere attivato lo stesso schema di
autovalutazione disfunzionale.
Ancora secondo gli stessi autori, in un sottogruppo di pazienti la una rigida restrizione alimentare
favorisce la comparsa delle abbuffate, le quali magnificano le preoccupazioni del paziente sulla propria
abilità di controllare il comportamento alimentare, il peso e le forme corporee, che rappresenta il
nucleo psicopatologico stesso del disturbo alimentare in questione.
Ciò incoraggia una dieta ancora più ferrea, che di conseguenza aumenta il rischio di nuove abbuffate.
Un secondo processo che mantiene questo comportamento alimentare disfunzionale si verifica nei
pazienti che usano i comportamenti eliminativi (per es., vomito auto-indotto o assunzione di lassativi)
dopo essersi abbuffati. La fede di questi pazienti nella capacità di riuscire a minimizzare l’aumento di
peso con i comportamenti eliminativi favorisce l’abbandono del controllo dell’alimentazione ed
aumenta a sua volta il rischio di nuove abbuffate. Infine, spesso i pazienti adottano altri
comportamenti, come il body checking e gli evitamenti legati al corpo, che, ancora una volta,
mantengono attivata la preoccupazione per il peso e le forme corporee (figura 3).
Fig. 3 Sviluppo e mantenimento dei Disturbi dell’Alimentazione secondo la teoria cognitivo-comportamentale transdiagnostica.
Fattori di rischio Fattori precipitanti Fattori di mantenimento
Specifici
Generici
SCHEMA DI AUTOVALUTAZIONE DISFUNZIONALE
Eccessiva importanza attribuita al cibo, all’alimentazione, al
peso ed alle forme corporee ed al loro controllo.
Sindrome da digiuno
Basso peso
Rinforzi positivi
Dieta ferrea Attività fisica
Abbuffate
Vomito autoindotto Uso inappropriato di
lassativi, diuretici
Body Checking Evitamenti legati al corpo
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In un sottogruppo di pazienti si osservano uno o più processi di mantenimento aggiuntivi che
interagiscono con la psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione (lo schema di
autovalutazione disfunzionale) nel mantenere il disturbo ed ostacolare la guarigione; il primo è il
“perfezionismo clinico”, il secondo la “bassa autostima nucleare”, il terzo “l’intolleranza alle emozioni”
ed il quarto le “difficoltà interpersonali”. Sulla base di questo nuovo trattamento cognitivo-comportamentale transdiagnostico, il disturbo
dell’alimentazione specifico del paziente non è rilevante per il trattamento; piuttosto, il contenuto della
terapia è dettato dalle caratteristiche psicopatologiche particolari presenti e dai processi che le
mantengono.
Il medico esegue la fase della preparazione, la valutazione diagnostica e cura le eventuali complicanze
mediche presenti. Il dietista si occupa del comportamento alimentare e della normalizzazione del peso.
Lo psicologo esegue la formulazione personalizzata del caso, affronta lo schema di autovalutazione
disfunzionale ed eventuali fattori di mantenimento aggiuntivi.
Il trattamento prevede una prima visita con il medico, con il quale viene intrapreso l’intero percorso
terapeutico. Nella maggior parte dei casi si inizia con la terapia ambulatoriale standard per almeno tre
mesi, a meno che le condizioni del paziente non richiedano un ricovero urgente.
La durata del trattamento dipende dal livello di peso, utilizzando come parametro l’indice di massa
corporea (BMI) calcolato facendo il rapporto tra il peso ed il quadrato dell’altezza (kg/mt2):
• I pazienti con BMI > 17,5 intraprendono un percorso di 22 sedute in 24 settimane;
• I pazienti con BMI < 17,5 intraprendono un percorso di 46 sedute in 48 settimane.
Lo stile ed il contenuto dei due trattamenti è sovrapponibile.
La frequenza delle sedute è la seguente:
• prima settimana: 2 sedute;
• settimane successive: 1 seduta a cadenza settimanale;
• ultime sei settimane: 1 seduta a cadenza bisettimanale.
Il trattamento è individuale e non prevede sedute di gruppo; ogni incontro ha una durata di 45’ con lo
psicologo e di 30’ con il dietista. L’intero schema del trattamento viene riassunto nella figura 4.
Fig. 4 La nuova terapia cognitivo-comportamentale dei Disturbi dell’Alimentazione. CBT-F si riferisce alla terapia cognitivo-comportamentale focalizzata, CBT-A alla terapia cognitivo-comportamentale allargata.
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Alle sedute 4, 12, 24 (36 e 48 nei soggetti con BMI < 17,5) viene effettuata una valutazione
diagnostica da parte del medico per verificare l’andamento della terapia attraverso le seguenti
procedure:
• Visita medica;
• Esami bioumorali e strumentali per la valutazione di eventuali complicanze presenti.
• Valutazione dell’andamento del BMI;
• Valutazione della frequenza dei comportamenti disfunzionali tipici dei Disturbi dell’Alimentazione
nelle ultime quattro settimane;
• Somministrazione di test psicodiagnostici specifici per valutare l’andamento della sintomatologia
specifica dei Disturbi dell’Alimentazione e di quella psicologica associata;
Se dopo quattro settimane (prima valutazione diagnostica) il paziente è migliorato, il trattamento
continua con le procedure standard (terapia cognitivo-comportamentale-F o focalizzata); se invece
non è migliorato od emergono altre problematiche psicopatologiche di mantenimento, alla terapia
standard sono aggiunti moduli specifici per affrontare gli ostacoli evidenziati (terapia cognitivo-
comportamentale-A o allargata). Se le condizioni mediche sono scadenti si propone una terapia più
intensiva (per es., terapia ambulatoriale intensiva, day-hospital, ricovero).
Se dopo 12 settimane (seconda valutazione diagnostica) il paziente non è migliorato si cambia terapia.
Le opzioni possono essere: trattamento ambulatoriale intensivo (con consumo dei pasti in
ambulatorio), terapia farmacologica, day-hospital, od infine ricovero presso un reparto riabilitativo.
La fase 1 dura 6 sedute (5 settimane perché nella prima settimana vengono preposti 2 incontri) e si
basa su 7 aree principali d’intervento:
1. Sviluppare la formulazione generale del disturbo dell’alimentazione;
2. Stabilire il BMI naturale;
3. Pianificare l’alimentazione e se necessario normalizzare il BMI;
4. Sviluppare le abilità per eliminare i comportamenti disfunzionali;
5. Usare il diario emotivo;
6. Comprendere i principali fattori di sviluppo e di mantenimento;
7. Sviluppare la formulazione allargata del disturbo dell’alimentazione.
L’area 1 è discussa sia con il dietista che con lo psicologo, le aree 2, 3 e 4 sono portate avanti con il
dietista, le aree 5, 6 e 7 con lo psicologo.
La fase 2 inizia dalla seduta 7, occupa la maggior parte del trattamento ed ha un contenuto che è
dettato dalla formulazione personalizzata del caso, effettuata durante la fase 1 e modellatasi con il
progredire del trattamento.
La terapia cognitivo-comportamentale-F è riservata ai pazienti che sono migliorati nella fase 1 ed in
cui non sono emersi fattori di mantenimento aggiuntivi durante gli incontri eseguiti con lo psicologo; la
seconda fase affronta due aree principali d’intervento:
1. Continuare ad enfatizzare il recupero del peso forma, la normalizzazione dell’alimentazione e
l’eliminazione dei comportamenti disfunzionali;
2. Modificare lo schema disfunzionale di valutazione di sé.
Il punto 1 è effettuato con il dietista, il punto 2 con lo psicologo.
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La terapia cognitivo-comportamentale-A è riservata ai pazienti che non sono migliorati nella fase 1 o
che, dalla valutazione dello sviluppo e del mantenimento del disturbo eseguita con lo psicologo, sono
emersi fattori di mantenimento aggiuntivi, o soltanto diversi da quelli standard presi in considerazione
dalla terapia focalizzata; questo trattamento, infatti, include tutti gli interventi della terapia cognitivo-
comportamentale-F, ma anche uno o più moduli in base ai fattori di mantenimento aggiuntivi
evidenziati dalla formulazione personalizzata. I moduli che possono essere annessi alla terapia
standard sono:
• Modulo per ridurre il perfezionismo;
• Modulo per migliorare la bassa autostima nucleare;
• Modulo per migliorare le relazioni interpersonali;
• Modulo per regolare le emozioni.
La fase 3 inizia alla settimana 20 nei pazienti con BMI iniziale > 17,5 e alla settimana 44 nei pazienti
con BMI iniziale < 17,5.
Questa fase prevede 3 sedute eseguite ogni 2 settimane; i suoi obiettivi riguardano il futuro e sono:
1. Riassumere i progressi e le procedure del programma che hanno funzionato;
2. Prepararsi per le difficoltà future;
3. Fare un piano di mantenimento;
4. Chiarire quando è necessario riprendere la terapia;
5. Programmare il follow-up.
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Benedetta, il “nervoso”, le abbuffate ed un Disturbo Alimentare Non
Altrimenti Specificato. PRESENTAZIONE DEL CASO
1. Informazioni generali
1.1 Generalità del paziente
Benedetta, nasce ad Empoli il 02/04/84; attualmente risiede in San Miniato assieme alla famiglia di
origine che è composta dalla madre, dal marito di questa e dalla nonna materna. Conseguito il
diploma di maturità presso il Liceo Sperimentale Psico-pedagogico di Empoli nel 2002 decide di
interrompere definitivamente gli studi a seguito di una breve parentesi universitaria, per iniziare una
carriera lavorativa nella ditta di import-export di arredamento da giardino del patrigno, dove è tuttora
assunta come impiegata.
1.2 Caratteristiche della relazione
Benedetta si rivolge al servizio pubblico dell’azienda U.S.L. di appartenenza autonomamente, sotto
consiglio dei genitori e del medico di base, in data 03/01/2007; viene stabilita una frequenza di
incontri settimanale della durata di 45 minuti ciascuno.
2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di somministrazione dei test)
2.1 Richiesta dell’utente
Benedetta si rivolge al servizio per la prima volta, con la richiesta di essere aiutata a calmarsi
relativamente ad una sensazione di “nervoso”, ma invitata a spiegarsi meglio non riesce inizialmente a
chiarificare questo concetto.
Se è difficile ricavare dal colloquio esempi specifici per formulare la richiesta d’aiuto in un linguaggio
più operazionale, d’altra parte Benedetta si allontana da questa originaria domanda, introducendo
confusamente 3 argomenti principali: il proprio peso (aumentato di circa 15 Kg negli ultimi 5 mesi), la
relazione sentimentale precedente a quella attuale e la morte del nonno. Si ritiene utile quindi, almeno
durante il primo incontro, lasciare che la ragazza esponga liberamente i propri pensieri per tornare in
un secondo momento sulla richiesta al servizio.
Parlando del proprio peso, della relazione sentimentale conclusa da qualche mese e del recente lutto
familiare, si osserva come questi 3 eventi principali, presentati in maniera sovrapposta
nell’esposizione, ma chiaramente concatenati durante la ricostruzione, hanno concorso a generare e
poi incrementare questa sensazione che Benedetta riassume con il termine di “nervoso”.
La fine della relazione sentimentale e la morte del nonno materno si manifesterebbero, infatti, come
fattori predisponenti a questa sensazione che la ragazza percepisce e come vedremo di seguito è
molto complessa. Il “nervoso” di Benedetta si manifesta, infatti, scatenando quasi
contemporaneamente una forte sensazione di fame, che conduce direttamente a quello che può
essere considerato il fattore precipitante per il disturbo stesso: l’ingestione frequente di grosse
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quantità di cibo. Poiché il fattore suddetto, ha condotto all’aumento di peso che risulta essere
attualmente la preoccupazione principale della ragazza, la richiesta di Benedetta al servizio U.S.L. può
essere riassunto come un aiuto concreto per imparare a gestire e controllare questa sensazione di
nervosismo che si pone come innesco di “abbuffate” le cui caratteristiche verranno descritte in un
secondo momento.
2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio
Benedetta si presenta al primo appuntamento in data 03/01/2007 con 30’ di anticipo ed invitata ad
accomodarsi appare immediatamente a proprio agio. Mantiene un buon contatto oculare per tutta la
seduta, il corpo è proteso in avanti con gli avambracci appoggiati sulla scrivania; parla con un tono di
voce regolare ed adeguato ai contenuti, con leggere inflessioni verso un tono più basso e lento
nell’affrontare gli argomenti, per lei più problematici.
L’atteggiamento generale è comunque quello di normalizzare ogni informazione che fornisce circa la
propria vita, cercando di mantenersi coerente con la mimica facciale.
Come accennato, la famiglia di Benedetta è composta dalla madre, Sandra, nata nel 1963, dal marito
della stessa, Alessandro, nato nel 1970 e dalla nonna materna. La giovane ha scarsi contatti con il
padre naturale, Stefano, sposatosi con la madre nel 1983, quando presumibilmente era già incinta di
Benedetta. Dopo una separazione risalente al 1985 Sandra ottiene poi l’annullamento del matrimonio
alla Sacra Rota nel 1990.
Benedetta si riferisce al secondo marito della mamma come al vero padre, anche se, approfondendo
l’argomento spiegherà che non ha mai smesso di chiamarlo per nome, mentre lui fin da quando era
piccola le ha sempre espresso il proprio desiderio di essere chiamato da lei “babbo” o “papà”.
Benedetta racconta di avere un carattere accondiscendente ed accomodante; evita gli scontri e le
competizioni con gli altri, nel lavoro come nella vita privata. Lavorando con i genitori, sostiene di non
doversi mettere a paragone con gli altri impiegati della ditta, in quanto “come figlia” potrebbe
senz’altro ottenere grossi privilegi, ma aggiunge che preferisce non approfittarsi di tale condizione
soprattutto perché fra i colleghi vi sono le sue uniche tre amiche: Loriana, Rossana e Barbara. Queste
tre donne hanno tutte circa 40 anni, sono già sposate e, due di loro hanno dei figli; Benedetta svela
che secondo lei le sono amiche soltanto perché “è la figlia del capo”, ma aggiunge che la cosa le sta
bene comunque dato che, in ogni caso, almeno ha qualcuno con cui sfogarsi ogni tanto, sebbene non
le ritenga comprensive fino in fondo, soprattutto data la forte differenza di età.
Risulta fin dai primi esposti che la giovane non ha amici e non ne ha mai avuti neanche durante gli
anni scolastici; sottolinea che i coetanei non l’hanno mai compresa fino in fondo e che non si è mai
trovata bene con loro, poiché riferisce di averli sempre trovati più “piccoli” di quanto lei fosse mai
stata. Dal racconto di alcuni episodi specifici emerge che la relazione risulta veramente disturbata da
un’asimmetria in termini di maturità, ma che sia piuttosto lei a comportarsi in modo infantile e
soprattutto superficiale; Benedetta dà per scontato che la condizione economica della sua famiglia sia
ordinaria, mentre è chiaro che è invece assolutamente molto più alta della media. Questo suo
atteggiamento avrebbe quindi attirato in diverse occasioni invidie ed antipatie da parte dei coetanei.
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La sua vita sociale è quindi molto vuota e, durante il fine settimana se non esce con il fidanzato
attuale, Gabriele con il quale ha una relazione da 4 mesi, si ritrova da sola o con la nonna.
Durante l’assessment emergerà, anche se a fatica, che Benedetta generalmente ricerca gli amici,
prediligendo quelli di sesso maschile, tramite internet ed entro i primi 3 appuntamenti, intrattiene con
la maggior parte di questi una relazione di tipo sessuale.
All’età di 23 anni Benedetta riporta di aver avuto 9 partner sessuali, 7 dei quali conosciuti tramite
chat-room di incontri. Emerge dunque che le abilità sociali della giovane sono molto compromesse e
che attualmente, lei stessa ritiene funzionale tenere certi comportamenti “promiscui” al fine di
stringere un qualunque tipo di relazione che le permetta di non rimanere da sola.
Sebbene Benedetta si dimostri riluttante ad approfondire questo argomento relativo alle proprie
modalità relazionali, si ritiene utile capire che tipo di abilità sociali abbia appreso in famiglia per poi
verificare in che modo sia riuscita a generalizzarle al di fuori di essa, nel rapporto con i pari. Per fare
questo è necessario ritornare ad indagare il menage familiare, pur lasciando il tempo necessario alla
giovane di sentirsi libera di esprimersi totalmente.
2.3 Allargamento ad altri problemi
In virtù di una relazione che con gli incontri si è fatta più intima, Benedetta acconsente ad
approfondire il resoconto circa i propri rapporti interpersonali, a cominciare dall’ambito più
strettamente familiare. Anche se riporta i contenuti che esporremo qui di seguito come ordinari e,
standardizzando su di essi emozioni e sentimenti neutri, mentre parla si osservano continue
modificazioni neurovegetative delle quali la ragazza non sembra essere consapevole e queste
tradirebbero quindi il suo reale vissuto riguardo a quanto enunciato.
Benedetta riferisce che il padre e la madre si lasciano nel 1985 quando lei ha 1 anno e che, mentre il
padre torna a casa della famiglia d’origine, la madre va a convivere con Alessandro a Cascina, con il
quale aveva già una relazione, anche se la ragazza non conosce la storia completamente. Alessandro
è benestante, ha una ditta di import-export di arredamento da giardino nella quale lavora Sandra e
comincia subito a viziarle entrambe con grandi regali: auto costose alla compagna e giocattoli alla
figliastra.
In quegli anni Benedetta rimane a casa dei nonni materni a Fucecchio, i quali si occupano di lei come
ne fossero i genitori. Racconta che non ha trovato difficoltoso il periodo della propria infanzia, più
vicina ai nonni che alla madre ma, invitata ad esprimersi sinceramente, ritratta l’intero sentimento e,
la rabbia che riporta è accompagnata da un livore tuttora vivo.
La madre e la nonna, fino all’età di circa 4 anni, le dicevano che il padre l’aveva abbandonata perché
non le voleva bene e, fino al 1988 lei non ha avuto altre notizie di lui. In quell’anno però, la madre
decide di farli incontrare alla stazione di Pisa e vi porta la figlia senza darle nessuna spiegazione
particolare, o comunque, senza ritrattare quanto detto circa il fatto che Stefano l’aveva lasciata perché
non le voleva abbastanza bene. Continua dunque a vivere con i nonni, i quali, preferendo che non si
affezioni troppo al padre naturale, limitano gli incontri con lui; ella riferisce di aver capito solo intorno
agli 11 anni di età che non era Stefano a definire la frequenza dei loro appuntamenti.
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Benedetta cresce dunque con un dilemma: vede circa una volta al mese suo padre, perché crede che
lui non le vuole bene a sufficienza ed allo stesso tempo, vede la madre, che al contrario ritiene l’ami
molto, solo una o due volte in più. Sandra, infatti, era solita partire per viaggi di piacere con il nuovo
compagno e, affinché la piccola Benedetta non facesse le bizze per non aver visto la madre, i nonni le
dicevano che la mamma era tornata a casa quando si era già addormentata e che se n’era andata
prima che lei si svegliasse; la giovane aggiunge che incolpava di tale assenza Alessandro e che quindi
non le piaceva molto.
Nel 1995 Alessandro compra una grossa villa divisa in due appartamenti in San Miniato, in quello al
piano superiore si trasferiscono lui, Sandra e Benedetta, in quello inferiore i nonni materni.
Per quanto i nonni l’abbiano cresciuta con molto amore, Benedetta riferisce che sono sempre stati
molto protettivi nei suoi confronti e che spesso non la lasciavano giocare con gli altri bambini quando
la portavano fuori. Quando si trasferisce a San Miniato, è la madre che non le dà il permesso di
invitare i propri compagni di scuola, perché preoccupata per la casa nuova. Benedetta sostiene, però,
che non poter invitare altre persone a casa propria è stato per lei un grosso limite nel coltivare le sue
amicizie ed è anche per questo che adesso si trova senza una compagnia. Aggiunge che, per quanto
riguarda Sandra, non è mai riuscita a vederla come una vera “mamma” e riferisce piuttosto di provare
verso di lei un sentimento d’invidia: è magra ed ha un compagno che accontenta ogni suo desiderio e
che non la lascia mai sola!
C’è da dire che in ogni caso, Benedetta non ha mai imparato a stringere nuove amicizie né per
modellamento né tanto meno per esposizione diretta alle situazioni sociali e, qualora l’avesse fatto,
nessuno in famiglia l’avrebbe in qualche modo rinforzata.
I nonni e la mamma, sembrano però incoraggiarla fin dalle scuole medie a trovare un “fidanzato” e, in
questo ristretto ambito sociale, non ha mai avuto problemi; essendo molto carina sono sempre stati i
ragazzi a farsi avanti per primi con lei e, qualora la storia fosse stata destinata a finire prima del
tempo, a 15 anni impara che è sufficiente introdurre il sesso nella relazione, affinché essa diventi più
duratura. Anche adesso Benedetta usa “il sesso” in modo esclusivamente strumentale, non ricavando
dalle relazioni fisiche nessun tipo di piacere.
Fra le relazioni sentimentali della giovane si ritiene utile descrivere più dettagliatamente quella la cui
fine si presenta come evento critico, predisponente al disturbo per cui pone a questo servizio di
psicologia dell’A.U.S.L. 11 una richiesta di aiuto.
All’inizio del 2004, passeggiando per il centro di Cascina, incontra Giacomo, del quale Benedetta
riferisce di innamorarsi immediatamente. Egli è nato nel 1978 e, approfondendo i gusti della giovane,
emergerà che non prende mai in considerazione ragazzi della propria età per una storia “più seria”,
preferendo loro quelli più grandi che reputa più maturi; ha una ditta edile e si occupa di costruzioni
civili e, nel periodo in cui conosce Benedetta ha acquistato un terreno sul quale costruire delle case
che ospiteranno due appartamenti, uno per lui ed uno per la madre ed il fratello. La storia con
Giacomo è molto coinvolgente ed appare subito seria. Egli tende a rendere partecipe Benedetta di
ogni piccolo particolare della propria vita; le parla della propria ditta, degli operai che lavorano con lui,
della famiglia e, ogni qualvolta ne intervenga l’opportunità, la presenta come sua fidanzata.
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Ad Agosto del 2004 egli la porta a conoscere la famiglia d’origine che al contrario della sua è molto
numerosa (i genitori e 5 figli); lei apprezza il gesto del ragazzo ma non lo ricambia perché la madre
esprime subito alcuni pregiudizi nei confronti delle origini siciliane del futuro genero.
Parlando della famiglia di Giacomo, Benedetta aggiunge che si è sentita subito ben accolta: la sorella
di lui le lasciava senza indugi, i bambini di 3 e 5 anni da accudire in sua assenza, mentre, con il
fratello, Sebastiano, coetaneo della ragazza, inizia immediatamente una grande amicizia.
Non appena i ragazzi hanno scelto e montato i primi arredi del nuovo appartamento di Giacomo,
Benedetta inizia a dormirci sempre più frequentemente, fino a restare ogni fine settimana e talvolta
anche in alcuni giorni feriali. Giacomo delega totalmente a Benedetta di completare ed arricchire
l’arredamento della casa, e quest’ultima, con il libretto degli assegni e carta bianca per la scelta del
necessario, usa il proprio tempo libero per accontentare il fidanzato. Nel frattempo, la madre di
Giacomo, che possedeva una seconda copia delle chiavi, entrava liberamente nell’appartamento del
figlio per fare tutte le pulizie, indipendentemente dalla presenza o meno della ragazza. Benedetta
trovava assolutamente normale e legittimo che fosse la futura suocera ad occuparsi dei compiti
domestici ed è quello che peraltro accade anche a casa propria, dove sono la nonna e la donna delle
pulizie ad occuparsi di tutte le faccende di casa.
A marzo del 2005 viene diagnosticato al nonno un tumore e, se inizialmente l’atteggiamento di
Giacomo e della sua famiglia piacevano molto a Benedetta, da questo momento in poi ogni cosa
diventa motivo di discussione.
Il 15 Aprile del 2006, nonostante i problemi della coppia, sotto continua insistenza di lui finalmente
Benedetta accetta di ufficializzare il fidanzamento; Giacomo invita molti parenti che accorrono dalla
Sicilia ed organizza al ristorante un pranzo con 70 invitati, compresi i genitori, i nonni e qualche amico
delle scuole superiori di Benedetta.
Si inserisce cronologicamente in questo periodo il peggioramento delle condizioni mediche del nonno,
in conseguenza del quale, Benedetta vuole dormire sempre più frequentemente a casa propria e,
anche questo diventa un ulteriore causa di litigi con Giacomo, il quale non accetta che “la propria
donna” se ne vada via da quella che lui considera la loro casa.
Nel mese di Giugno, dopo l’ennesimo litigio, Benedetta chiede al fidanzato un chiarimento che lui
vorrebbe invece rimandare al giorno seguente e gli dice che, se non si riappacificheranno
immediatamente, lei tornerà a casa propria, considerando la loro storia definitivamente finita. Giacomo
sottovalutando totalmente questa minaccia, invita lui stesso la ragazza a tornare a casa propria,
pensando che sia solo irritata e magari stressata per le condizioni di salute del nonno. Soltanto il
giorno seguente, al telefono, capisce che la loro relazione è davvero finita e, nonostante qualche
insistenza o la richiesta di chiarimenti, Benedetta non vuole neanche tornare a prendere i vestiti
lasciati a casa sua.
Malgrado sia stata lei a prendere questa decisione e la famiglia l’approvasse pienamente, Benedetta
soffre molto la separazione da Giacomo e, proprio in questa occasione riferisce di aver scoperto che la
forte sensazione che lei chiama “nervoso” poteva essere agevolmente sedato con il cibo; Benedetta
che non ha più il fidanzato e non ha coltivato nessuna amicizia in questo periodo di 2 anni è adesso
sola. Il nonno continua a peggiorare, la nonna è totalmente assorbita dall’accudimento del marito e la
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madre è assente perché impegnata e a reagire al proprio dolore senza riuscire a farsi carico di quello
della figlia.
Poiché il “nervoso” non ha una forma ben specifica e non è distinguibile sui piani emotivo e fisiologico,
ma può essere controllato attraverso l’ingestione di grandi quantità di cibo, Benedetta lo considera
una forma di “fame” e di conseguenza si comporta. Queste abbuffate consistono ad esempio
nell’ingestione, in un lasso di tempo dell’ordine di 10 minuti circa, una scatola intera di biscotti “spicchi
di sole” da 500g, od una confezione da 6 pezzi di gelato al biscotto. Ricorda almeno 4 episodi simili in
un periodo che va da Giugno alla fine di Agosto.
Con la morte del nonno, sopraggiunta il 31 di Agosto, questa tendenza alle abbuffate si va a
presentare con più frequenza, ma gli effetti si iniziano a scorgere solo a fine mese, prima sul fisico,
anche se Benedetta pare non preoccuparsene troppo, poi sulla salute della ragazza.
Essendo sempre stata fisicamente un po’ robusta: 1,70 cm per 60 Kg, si accorge dei 5 Kg presi ad una
settimana dopo la morte del nonno perché, provandosi un vestito per un appuntamento, fissato con
un ragazzo conosciuto in una chat-room su internet, si accorge che le sta un po’ stretto.
Sottovalutando il problema completamente, riferisce di aver continuato a fare circa 2 abbuffate alla
settimana fino a tutto il mese di Settembre. In quegli stessi mesi Benedetta inizia ad avere il ciclo
mestruale in modo irregolare, ma in virtù dello stress provocato dagli ultimi avvenimenti, ritiene che
non sia il caso di allarmarsi.
Il 25 Settembre, ancora una volta attraverso le chat-room d’incontri, conosce quello che è il suo
attuale ragazzo, Gabriele, (nato nel 1977 e patrocinante presso uno studio commerciale). In tale
occasione Benedetta inizia a diventare un po’ più attenta alle proprie forme corporee, pesa 70 Kg
(circa 10 in più rispetto al suo peso abituale). Il nuovo compagno, non pare molto coinvolto nella
relazione, non è accogliente per quanto riguarda il recente lutto del nonno e non si preoccupa di
rassicurarla in alcuna maniera; al contrario la ragazza si comporta con lui come fossero fidanzati da
lungo tempo e pare rammaricarsi di questo suo distacco fisico ed emotivo.
Invitata alla riflessione dal medico di base, decide di prendere contatti con un servizio di psicologia nel
Dicembre del 2006, quando il suo peso è arrivato a 79 Kg, andando a determinare un Indice di Massa
Corporea di 27,3, che denoterebbe un discreto sovrappeso; contemporaneamente infatti, il medico le
chiede di sottoporsi a diverse analisi di laboratorio per determinare le eventuali cause dell’amenorrea
che s’instaura definitivamente ad Ottobre e del sovrappeso che è diventato evidente.
Durante la conduzione delle sedute di assessment, fin dal secondo incontro, arrivano gli esiti di tutti gli
esami clinici di approfondimento: l’aumento repentino del peso di Benedetta ha prodotto uno squilibrio
ormonale tale da indurre l’amenorrea; inoltre la ragazza risulta affetta da candida vaginalis e da
herpes vaginalis.
Il peggioramento della qualità della nuova relazione sentimentale, anche in virtù della mancanza dei
rapporti sessuali nella coppia a causa delle infezioni di Benedetta, la porta ad essere scoraggiata e
triste. Il recente lutto, i problemi fisici, una relazione sentimentale non appagante vanno a
determinare l’aumento del “nervoso” di Benedetta, che, come già spiegato, in termini operazionali può
tradursi come una continua irrequietezza motoria che dà sensazioni simili ad un vuoto nello stomaco e
51
quindi viene poi percepita come un’improvvisa voracità. È dunque lei ad individuare fin da questi primi
incontri il misconoscimento della sensazione di fame.
2.4 Motivazione
Benedetta appare motivata a cercare una soluzione ai propri problemi attuali, anche se,
ingenuamente, crede che tale aiuto non implichi un proprio coinvolgimento diretto continuativo. Si
rende disponibile ad esplicitare i propri vissuti, ma ha difficoltà a focalizzare le emozioni che prova e
quindi anche a riferirle. Spesso raccogliere dati risulta quindi un’ardua impresa e, se inizialmente
questo sembrava dovuto ad una sfiducia della giovane nei confronti degli altri, compresa la psicologa,
adesso appare chiaro come il problema sia proprio quello di riuscire a riconoscere quali elementi
risultano d’interesse nella terapia.
Si creano però ben presto i presupposti per una cooperazione attiva nell’affrontare i problemi emersi
durante l’assessment e, in virtù di una relazione terapeutica sempre più affiatata, si accresce anche la
fiducia e la motivazione nella stessa terapia, anche se, soprattutto durante i primi mesi di
frequentazione, appare un po’ discontinua.
2.5 Strumenti psicodiagnostici
In data 17 Gennaio 2007 è stato somministrato il test EDI-2 (Garner, 1995) i cui risultati sono
riassunti nella seguente tabella e spiegati subito dopo:
Sottoscala I ProvaAscetismo 2 Bulimia 0 Consapevolezza enterocettiva 4 Impulsività 4 Insoddisfazione corporea 21 Impulso alla magrezza 19 Perfezionismo 4 Inadeguatezza 15 Insicurezza sociale 19 Paura maturità 9 Sfiducia Interpersonale 15 Tab. 1 Risultati al test EDI-2 somministrato in data 17/01/07.
Per la valutazione del test, si ricorda che ascetismo (ASC) è la sottoscala che valuta la tendenza a
cercare valore perseguendo ideali quali il controllo dei bisogni corporei e l’autodisciplina, bulimia (BU)
evidenzia la caratteristica di pensare e avere atteggiamenti di alimentazione con perdita di controllo,
consapevolezza enterocettiva (CE) misura la difficoltà nel riconoscere i propri stati emotivi, impulsività
(I) è la sottoscala per la tendenza ad assumere comportamenti impulsivi ed autodistruttivi,
insoddisfazione corporea (IC) misura il grado di soddisfazione legato alla propria forma fisica, impulso
alla magrezza (IM) è importante per analizzare la paura d’ingrassare e la tendenza alla dieta,
perfezionismo (P) misura l’attitudine ad assumere atteggiamenti rigidi e perfezionistici, inadeguatezza
(IN) esplora insieme all’insicurezza sociale (IS), alla paura della maturità (PM) ed alla sfiducia
interpersonale (SI) le problematiche relazionali e le difficoltà con il senso di autostima (Garner, 1995).
Si evince che i punteggi più importanti si osservano per le scale di insoddisfazione corporea, IC = 21,
impulso alla magrezza, IM = 19, e per quelle relative al confronto sociale di inadeguatezza, IN = 15,
insicurezza sociale, IS = 19 e sfiducia interpersonale, SI = 15.
52
Viene somministrato nella stessa data, il 17 Gennaio 2007, il test MMPI-2 di cui riportiamo i grafici ed
in base ai criteri descritti da Butcher e Williams, una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams,
1996).
Scale Cliniche
5360
35
7672
48
76
5257
6367
61
51
30
40
50
60
70
80
90
100
17/01/2007 53 60 35 76 72 48 76 52 57 63 67 61 51
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 5 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 17/01/07
Scale Supplementari
60 58 60 62
45
68 68
5864
30
40
50
60
70
80
90
100
17/01/2007 60 58 60 62 45 68 68 58 64
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 6 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 17/01/07
Scale di Contenuto
6157
6864
71
5954
68
59 61
76 74 72 71
65
30
40
50
60
70
80
90
100
17/01/2007 61 57 68 64 71 59 54 68 59 61 76 74 72 71 65
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 7 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 17/01/07
53
Va rilevato che Benedetta ha risposto alle domande del test in modo adeguato e corretto, senza
tentare di influenzare consapevolmente i risultati e rendendosi così disponibile ad un confronto; i
risultati clinici del test vanno dunque ritenuti validi.
Attualmente il profilo delle scale cliniche denoterebbe un tono dell’umore depresso con difficoltà ad
intraprendere nuove iniziative ed un’elaborazione in termini disforici delle situazioni vitali non
soddisfacenti. A fasi di rallentamento psicomotorio potrebbe alternarne altre di irrequietezza; inoltre si
rileverebbe una notevole incidenza di comportamenti ostili a livello sociale, sottesi da tratti psicastenici
e da una notevole quota di insicurezza ansiosa.
Nelle situazioni di gruppo tenderebbe ad interagire in maniera aggressiva e scarsamente controllata: i
rapporti sociali potrebbero quindi risultare difficili da gestire ma non vengono direttamente rifiutati
anzi, è possibile che tale atteggiamento rifletta la frustrazione sottostante questa incapacità ad entrare
positivamente in relazione con gli altri.
Benedetta potrebbe mostrare tratti di passività-dipendenza, covando ostilità verso le persone dalle
quali ritiene di non sentirsi sufficientemente supportata; poiché questo troverebbe riscontro con
quanto emerso dai colloqui clinici, in generale si ritiene che, un tale atteggiamento potrebbe
manifestarsi soprattutto con i familiari ed i colleghi di lavoro, peraltro avvalorando tale tesi con
l’elevazione delle scale di contenuto FAM e WRK, dello stesso test MMPI-2.
La lettura del test per codici (Codice 1-4-2) suggerisce la presenza di notevoli problemi somatici o di
dolore cronico, accompagnati da frequenti lamentele relativamente all’essere fisicamente malata;
Benedetta potrebbe inoltre mostrarsi eccessivamente preoccupata per la propria salute tendendo a
reagire in maniera esagerata al minimo disturbo fisico. Appare di conseguenza tesa, irritabile, astenica
ed evidenzia mancanza d'iniziativa e sentimenti depressivi.
Come già ampiamente descritto, Benedetta si presenta al servizio U.S.L. di Psicologia con diversi
problemi di tipo fisico sopraggiunti di recente e, al momento del test, non ne erano ancora state
chiaramente individuate tutte le cause, tramite analisi di laboratorio.
In più, le capacità di insight potrebbero essere molto basse e questo determinerebbe una certa
resistenza ad accettare la propria responsabilità ed un coinvolgimento nel processo terapeutico (TRT).
È probabilmente presente una problematica che si è costruita nel tempo e che è evidentemente molto
resistente, in cui comportamenti di acting-out e la scarsa capacità di giudizio sono gli elementi
preminenti.
Secondo ricerche sulla validità del test MMPI-2 (Salvemini, et al., 2000; Cumella et al., 2000; Pryor e
Wiederman, 1996) l’elevazione delle scale Hs e Pd, sarebbe indice di probabile disturbo alimentare, in
particolare: Bulimia, con elevazione contemporanea della scala D; Anoressia quando la scala Hs risulta
molto alta, mentre quella della Depressione risulterebbe nei valori normativi.
Il quadro appena delineato trova riscontro in quanto appreso dai colloqui clinici, come presentato
nell’esposizione dell’allargamento ad altri problemi e meglio sistematizzato nei paragrafi successivi
relativi all’analisi funzionale ed alla concettualizzazione del caso.
54
2.6 Analisi funzionale
Vengono inizialmente fornite alla ragazza due schede di automonitoraggio: una relativa all’analisi
funzionale del “nervoso” in formato ABC cognitivo (Ellis, 1989), l’altra che rappresenta un diario
alimentare.
Durante le sedute di assessment si rileva che questa sensazione di “nervoso” e di “buco allo stomaco”,
si innesca come la prima volta, a causa del sentimento di rimanere da sola, attualmente attivato
frequentemente a causa dalla relazione con il nuovo ragazzo Gabriele, schivo e distaccato. Il “nervoso”
di Benedetta, anche in questo caso si placa in 3 modi diversi:
- Con un evitamento dei pensieri attraverso attività di sostituzione (masterizzare cd al computer);
- Assecondando il senso di fame attraverso l’ingestione di grandi quantità di cibo;
- Cercando di mantenere il legame con la persona amata, attraverso l’attività sessuale (con persone
del sesso opposto).
L’attività sessuale, come il cibo, risulta quindi una risorsa di coping che le permette di trattenere a sé
le persone e questo giustificherebbe il fatto che Benedetta intrattiene rapporti solo con persone di
sesso maschile.
Riportiamo qui di seguito alcuni esempi tratti dalle schede di automonitoraggio fornite alla ragazza:
12/01/07 ore 13.30
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: tristezza.
Fisiologiche: sensazione di vuoto allo stomaco.
Il fidanzato non la chiama
all’ora di pranzo sul
cellulare.
“Non mi ama”, “Non gli
interessa per niente come
sto”, “Mi lascerà”.
Comportamentali: dopo aver mangiato il pranzo al
sacco in ufficio, mangia una confezione da 10 brioche
confezionate, acquistate al negozio davanti.
Tab. 2 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
12/01/07 ore 13.40
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: serenità.
Fisiologiche: piacevole sazietà,
senso di rilassamento muscolare e
calore corporeo.
Benedetta ha appena consumato il pranzo al sacco
in ufficio, costituito da 2 braciole, un piatto di
piselli, 2 fette di pane, 2 mele ed 1 arancio ed una
confezione da 10 brioche confezionate, acquistate
al negozio davanti (come riportato dal diario
alimentare).
“Che devo fare?”,
“Ora sto proprio
bene”, “Mi sono
calmata”.
Comportamentali: telefona con
molta calma al fidanzato che non
l’ha chiamata per primo,
comportandosi normalmente.
Tab. 3 Analisi funzionale relativa al comportamento: ABBUFFATA, come riportata dalla paziente.
Questi schemi di analisi funzionale verranno affiancati da uno stilizzato diario emotivo, che ne integri
in modo più consapevole la parte relativa al vissuto provato; la funzione di questo strumento è, in
questo caso, quello di aiutare la giovane a soffermarsi sulle proprie emozioni, per imparare prima a
leggerle con chiarezza e poi a modularle attraverso un’attiva modificazione del comportamento che le
segue immediatamente.
55
2.7 Diagnosi DSM-IV: F50.9 Disturbi Dell’alimentazione Non Altrimenti Specificati
[307.50]
I sistemi di classificazione dei Disturbi dell’Alimentazione hanno seguito nel tempo un cammino
incerto, ritardando inizialmente il riconoscimento dell'Anoressia Nervosa come entità clinica,
accettando la nuova sindrome della Bulimia Nervosa e più recentemente indulgendo in un’eccessiva
sottotipizzazione di queste patologie (Russel, 2000). Un ulteriore problema è rappresentato dalla forte
evidenza della plasticità dell'Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa in risposta a fattori socioculturali ed
in particolare al culto della magrezza (Garfinkel e Dorian, 1997).
Pur quindi con le dovute riserve e critiche che la stessa Task Force impegnata nell'ultima riedizione ha
sempre ammesso riservandosi successive verifiche, nel 1994 è stata pubblicata dall’American Psychiatric
Association la 4° edizione del DSM (APA, 1994). Il DSM-IV contiene i criteri diagnostici per i Disturbi
dell’Alimentazione che raccolgono oggi il maggior consenso, in quanto utilizzano un linguaggio che è
facilmente comprensibile e condivisibile dai diversi operatori coinvolti nel trattamento interdisciplinare dei
Disturbi dell’Alimentazione.
Nel DSM-IV vengono riconosciuti 3 tipi di Disturbi dell’Alimentazione: l’Anoressia Nervosa, la Bulimia
Nervosa ed i disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (Eating Disorder Not
Otherwise Specified, EDNOS). Quest’ultima categoria contiene quelle sindromi definite anche parziali o
sub-cliniche caratterizzate dalla presenza di tutti i criteri per la definizione di uno dei due disturbi
alimentari principali, ma a livello sotto-soglia, o dalla presenza di alcuni ma non tutti, i sintomi necessari
per la diagnosi di Anoressia Nervosa o Bulimia Nervosa.
Gli esempi di questa categoria includono:
1. Per il sesso femminile, tutti i criteri dell’Anoressia Nervosa in presenza di un ciclo mestruale
regolare.
2. Tutti i criteri dell’Anoressia Nervosa sono soddisfatti e, malgrado la significativa perdita di peso, il
peso attuale risulta nei limiti della norma.
3. Tutti i criteri della Bulimia Nervosa risultano soddisfatti, tranne il fatto che le abbuffate e le
condotte compensatorie hanno una frequenza inferiore a 2 episodi per settimana per 3 mesi.
4. Un soggetto di peso normale che si dedica regolarmente ad inappropriate condotte compensatorie
dopo aver ingerito piccole quantità di cibo (es. induzione del vomito dopo aver mangiato due biscotti).
5. Il soggetto ripetutamente mastica e sputa, senza deglutirle, grandi quantità di cibo.
Dalla revisione del DSM-IV compare per la prima volta un tipo più specifico di EDNOS che prende il
nome di Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI), meglio descritto da Fairburn ed Harrison;
quest’ultimo è caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle regolari condotte
compensatorie inappropriate, tipiche della Bulimia Nervosa. Si determina come criterio fondamentale
la sensazione di perdita di controllo durante l’abbuffata o la sensazione di non potersi fermare.
È ovvio come Benedetta non soddisfi i criteri per la Bulimia Nervosa, ma neanche quelli per un DAI
secondo la definizione diagnostica del DSM-IV-TR (APA, 2001) o quella di Fairburn ed Harrison
(Fairburn e Harrison, 2003). La giovane, infatti, mostrerebbe una richiesta psichica di cibo che è atta a
sedare il senso di vuoto e solitudine, ma che non viene riconosciuta in modo diverso da una naturale
sensazione di fame. Inoltre non viene soddisfatto il criterio relativo alla sensazione di perdita di
56
controllo durante l’abbuffata ed essa non è seguita da un vissuto di sensi di colpa e d’inadeguatezza
interiore e sociale. Resta però un criterio valido l’aumento del peso di almeno il 20%, essendo passata
da 60 Kg ai 79 Kg attuali (pari a circa il 32% in più) e determinando un BMI pari a 27,3.
Per quanto riguarda una diagnosi alternativa, l’obesità o comunque il sovrappeso, non sono
considerate attualmente una malattia psichiatrica e non sono nemmeno enumerate nell’ultima
edizione del Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali; è vero anche che lo sviluppo di
questa condizione può non essere necessariamente legato alla presenza di problemi psichiatrici o
psicologici; infatti le numerose ricerche condotte nei pazienti obesi, sulla psicopatologia della loro
condizione, non hanno fornito risultati concordanti. In particolare in alcuni di questi studi (Safer et al.,
2001) è stato dimostrato che le differenze rilevate nel profilo psicopatologico dei soggetti obesi e di
quelli non obesi sono minime e di difficile interpretazione. Altre ricerche (Stunkard, 1993), al contrario,
hanno messo in evidenza valori specifici per la depressione, l’ipocondria e l’impulsività nei test
psicometrici, più elevati nei soggetti obesi. Pertanto la conclusione a cui si è arrivati attualmente è che
l’obesità non sia necessariamente legata a tratti psicopatologici, ma si è pensato piuttosto che i
fallimenti, sperimentati da questi pazienti nella perdita del peso corporeo con le conseguenti difficoltà
nelle relazioni interpersonali, possano incidere negativamente sui livelli di autostima. Inoltre, secondo
un’altra interpretazione, si asserisce che l’obesità possa assumere diverse forme in relazione alla
struttura di personalità dei soggetti che ne sono affetti (Molinari e Compare, 2002).
Al fine di evitare questa condizione, si stabilisce per Benedetta una diagnosi, in accordo con i criteri
del DSM-IV-TR, con l’analisi funzionale e con la concettualizzazione del caso che riportiamo di seguito,
di EDNOS con abbuffate concomitanti alla sensazione di fame e non presenti in caso contrario. Il
comportamento dell’abbuffata si presenta come uno dei comportamenti disfunzionali, assieme a quelli
sessuali promiscui e, poiché deriva da un misconoscimento dei segnali di fame e sazietà, non è di
conseguenza seguito da sensi di colpa.
2.8 Concettualizzazione del caso
Secondo uno schema che prende in considerazione i fattori predisponenti individuali, iniziando da
quelli appresi, per arrivare agli schemi profondi che caratterizzavano la personalità della paziente
anche nelle fasi premorbose di questo disturbo, è possibile identificare alcuni fattori predisponenti al
disagio di Benedetta, quali: da piccola viene cresciuta dai nonni a causa del fallimento del matrimonio
della madre; non viene spinta e quindi abituata a socializzare con i pari; inoltre pare vivere
costantemente e reiteratamente “l’abbandono” della madre, la quale limiterebbe la propria presenza
nella vita della figlia. I rapporti con il padre sono inoltre resi ambigui dalla totale mancanza di una
spiegazione circa la sua assenza ed altresì per la sua improvvisa ricomparsa alla stazione di Pisa nel
1988.
Fra i fattori predisponenti più recenti si evidenziano invece la rottura del fidanzamento durato due anni
con Giacomo e la morte del nonno, che probabilmente rende ancora più precaria la vita affettiva di
Benedetta, che, senza il ragazzo ed i nonni rimarrebbe definitivamente sola. Altro evento stressante
da non sottovalutare il trasloco della famiglia in una nuova casa, dove lei vive con i genitori e separata
dalla nonna.
57
Attraverso un’analisi funzionale macro possiamo evidenziare che, le situazioni che metterebbero la
ragazza in una condizione di solitudine si pongono come antecedenti a pensieri automatici di totale
smarrimento (sono sola, devo fare qualcosa e così via) e questi determinerebbero tre tipi di
conseguenze:
- A livello emotivo, Benedetta si sentirebbe triste, delusa, disgustata di sé e della situazione;
- A livello fisiologico, inizierebbe a provare una sorta di forte voracità;
- A livello comportamentale, si manifesterebbe un’irrequietezza motoria.
A loro volta, queste conseguenze diverrebbero innesco di un nuovo ABC in cui i pensieri automatici
riguardano la necessità di sedare la sensazione di fame ed i nuovi esiti sono così riassumibili:
- A livello comportamentale, si abbuffa;
- A livello fisiologico, sentirebbe diminuire la sensazione di fame;
- A livello emotivo, inizia a provare gradualmente serenità e senso di accettazione.
La prima abbuffata, che si è manifestata poco dopo aver lasciato Giacomo, gli ultimi giorni di Giugno,
si delineerebbe come il fattore precipitante che l’ha portata a queste sistematiche condotte alimentari
disfunzionali, le quali nel tempo si caratterizzano come:
- Qualche abbuffata sporadica nel periodo successivo alla separazione dal ragazzo fino alla
morte del nonno (da fine Giugno a fine Agosto);
- Circa 2 abbuffate alla settimana per un periodo di quasi 1 mese (dai primi di Settembre al 25 -
giorno in cui incontra per la prima volta Gabriele, il nuovo fidanzato-);
- In maniera più saltuaria e situazionale, da metà Ottobre 2006 a Gennaio 2007.
In quest’ultimo periodo le abbuffate sono secondare soprattutto alla preoccupazione per gli esami fisici
ed all’atteggiamento del nuovo fidanzato che, come già accennato nel paragrafo dedicato
all’allargamento dei problemi, non è molto attento alla condizione di salute di Benedetta. Inoltre,
anche la madre, che inizialmente pare dedicarsi molto ad accompagnarla dai migliori medici della zona
per gli accertamenti, comincia gradualmente a riprendere le proprie abitudini, passando la maggior
parte del suo tempo con il compagno.
In questo stesso periodo in esame, è possibile verificare che le variazioni ponderali di Benedetta sono
state:
- 60 Kg fino a Giugno;
- 65 Kg i primi di Settembre;
- 70 Kg fine settembre;
- 79 Kg a Dicembre.
I principali fattori di mantenimento di queste condotte sono: inizialmente il fatto che viene
sottovalutato come disturbo in sé e che diventa subito funzionale a placare questa sensazione di fame
tanto sgradevole; in un secondo momento, quando la ragazza si rende conto degli effetti dannosi di
queste condotte alimentari sul proprio fisico e sulla propria salute, il principale fattore perpetuante
diverrebbe la mancanza di abilità alternative a prevenire la sensazione di fame, piuttosto che ad
intervenire su di essa. L’abbuffata diventa un riempitivo ed uno sfogo utile a gestire rabbia, solitudine
e tristezza, così come i rapporti sessuali promiscui ed insoddisfacenti sono il modo per intrattenere
relazioni interpersonali durature. Un ulteriore rinforzo esterno deriva dalla madre che,
58
accompagnandola inizialmente dal medico per gli accertamenti di natura fisica, diviene per la prima
volta una figura accuditrice. Si suppone infatti che, la perdita dell’abitudine ad abbuffarsi almeno due
volte alla settimana, da Ottobre in poi, dipenda dal fatto che la mamma di Benedetta riprenda le
proprie abitudini a compiere viaggi con il compagno e deleghi la cura della figlia alla nonna.
La presenza dei nonni e di una relazione stabile si sono manifestati, fino al momento della prima
abbuffata, come i principali fattori protettivi da una solitudine che Benedetta trova inaccettabile ed
insostenibile. Il primo evento critico, la separazione da Giacomo viene per un primo momento
sopperito dalla preoccupazione per quella ancora peggiore dal nonno, perché si tratta di una perdita
irreversibile ed irrimediabile di una delle persone più importanti nella vita di Benedetta. In questo lasso
di tempo il pensiero anticipatorio della prossima solitudine diviene totale ed è quindi allora che trova
terreno fertile la prima abbuffata. Durante l’assessment, emerge però anche come la giovane usi
mettere in pratica alcune strategie alternative, per gestire il “nervoso” ed addirittura prevenirlo; oltre
ad abbuffarsi, talvolta compie evitamenti covert dei pensieri d’innesco del senso di fame, con
comportamenti sostitutivi che risultano ugualmente dannosi in quanto interferiscono con il normale
svolgimento delle attività quotidiane sociali, lavorative ed anche personali (masterizzare cd tutta la
notte anziché dormire; interrompere ogni attività lavorativa per mettersi a scrivere una lettera; etc.).
La ragazza pare aver sviluppato tali attitudini piuttosto che abilità sociali funzionali, la cui quasi totale
assenza, quando è coinvolta in rapporti interpersonali, viene compensata dalla messa in atto di attività
sessuali promiscue, che, oltre ad essere percepita da Benedetta come insoddisfacente, si è
manifestata dannosa. In tal senso l’uso il sesso è un mezzo per prolungare la relazione e quindi
prevenire un abbandono, la solitudine ed i conseguenti tentativi di gestire tali emozioni negative.
2.9 Proposta d’intervento
Le due forme più referenziate di terapia cognitiva e comportamentale applicate nei Disturbi
dell’Alimentazione, il modello di Fairburn (1996) per la Bulimia Nervosa e quello di Garner e Bemis
(1985) per l’Anoressia Nervosa, sono derivate principalmente dall’approccio di Beck e Emery per la
cura della depressione e dell’ansia (Beck e Emery, 1988). Entrambe le terapie, pur molto diverse tra
loro negli obiettivi e nelle modalità d’intervento, cercano di ridurre la preoccupazione disfunzionale per
il peso e le forme corporee, tipica di questi pazienti, utilizzando esercizi comportamentali e tecniche
classiche di ristrutturazione cognitiva.
Caratteristica principale del disturbo alimentare riscontrato in Benedetta, è invece la totale assenza di
preoccupazione patologica circa il corpo e le forme fisiche ed una tendenza ad abbuffarsi senza la
percezione di perdere il controllo. Per questo motivo le tecniche terapeutiche ordinarie non si
ritengono utili in questo caso. Viene proposta a Benedetta una terapia cognitivo-comportamentale
transdiagnostica (Fairburn e Harrison, 2003) la cui durata è stimata in 24 sedute in quanto la ragazza
ha un BMI superiore a 17,5 e specificatamente pari a 27,3; la frequenza delle sedute sarà la seguente:
• Prima settimana: 2 sedute;
• Settimane successive: 1 seduta la settimana;
• Ultime sei settimane: 1 seduta ogni due settimane.
59
Il trattamento è individuale, ogni seduta prevede un incontro di 45’ con la psicologa ed un incontro di
30’ con il dietista, il Dr. Bianchi, il quale si manifesta disponibile ad aderire completamente a tale
proposta d’intervento. Viene inoltre coinvolto il medico di base, il quale si sta già interessando degli
esami di laboratorio della giovane.
Durante le prime 6 sedute di trattamento, il dietologo si occuperà di sviluppare con Benedetta la
formulazione generale del suo disturbo, di stabilire il suo BMI naturale e di pianificare l’alimentazione;
nel contempo, durante un numero equivalente di sedute la ragazza sarà fatta partecipe di una
formulazione del proprio caso da un punto di vista più strettamente psicologico, verrà messa di fronte
ai principali fattori che si sono resi indispensabili affinché sviluppasse il disturbo alimentare che ci
accingiamo a trattare e quali sono quelli che permettono allo stesso di mantenersi tuttora;
contemporaneamente ad un’educazione dei propri vissuti emotivi e fisiologici, verranno sviluppate
abilità alternative alle abbuffate, riducendo questo comportamento fino alla sua estinzione ed infine
ella svilupperà una formulazione allargata del proprio caso, attraverso la discussione in terapia degli
schemi di analisi funzionale compilati dalla stessa Benedetta.
In questa prima fase, per quanto riguarda il trattamento psicologico, verranno richiesti a Benedetta i
seguenti homework: tenere un diario emotivo da sviluppare come uno schema per l’analisi funzionale
in forma di “ABC cognitivo” relativamente ai comportamenti disfunzionali alimentari (le abbuffate);
utilizzare uno schema per l’analisi funzionale in forma di “ABC cognitivo” relativamente ai
comportamenti disfunzionali conseguenti ai vissuti di “nervoso” che portano a conseguenze diverse
dalle abbuffate (comportamenti di evitamento); descrivere uno schema per l’analisi funzionale in
forma di “ABC cognitivo” relativamente ai comportamenti che tentano di prevenire il senso di
“nervoso” attraverso la messa in atto di condotte sessuali strumentali ed insoddisfacenti o promiscue e
poco sicure.
In questa prima fase si rende necessario affrontare un piano psicoeducazionale relativo ai
comportamenti disfunzionali, siano essi relativi al disturbo alimentare che a quello più strettamente
legato all’ambito interazionale e sociale, al fine di iniziare ad erodere i comportamenti di
mantenimento e protettivi relativi al persistere della malattia, sostituendoli gradualmente con quelli
funzionali.
La seconda fase di trattamento, che occuperà la maggior parte di esso, sarà incentrata sui progressi
che Benedetta avrà fatto durante le prime 6 sedute; l’obiettivo principale di questo periodo è scalzare
completamente i fattori di mantenimento del disturbo del comportamento alimentare e lavorare sulla
modifica dello schema di valutazione del Sé. Date le difficoltà relazionali di Benedetta è prevedibile che
sia necessario che si sottoponga ad un training assertivo, con un obiettivo a medio termine di
migliorare le abilità sociali possedute e da un loro incremento al fine di ottenere un’evoluzione sulla
qualità, oltre che sulla quantità, delle sue relazioni interpersonali, attualmente povere e limitate al
fidanzato ed a pochissime amiche. Ancora a medio termine si pone l’obiettivo che Benedetta impari ad
avere un controllo diretto sulla modulazione delle proprie emozioni, di modo che possa riconoscere
quelle che fungono da innesco per le attività disfunzionali, eventualmente residue.
60
Si ipotizza che i risultati ottenuti con il dietista circa un equilibrio sul piano corporeo-fisico e
l’apprendimento di abilità nuove, oltre che una maggior consapevolezza personale, permettano, entro
la XVIII seduta, un miglioramento dell’autostima, senza necessitare di un lavoro diretto in tale ambito.
Dalla XIX alla XXIV seduta, che rappresentano l’ultima parte di questo trattamento integrato e che,
come accennato in precedenza, avranno una frequenza quindicinale, gli obiettivi principali riguardano
il futuro e prevedono di:
1. Riassumere i progressi e le procedure del programma che hanno funzionato;
2. Prepararsi per le difficoltà future;
3. Fare un piano di mantenimento;
4. Chiarire quando è necessario riprendere la terapia;
5. Programmare il follow-up.
Benedetta accetta ogni parte del programma sia per quanto riguarda la parte psicologica, che per
quella medica, a carico del medico di base e quella dietistica curata dal Dr. Bianchi. Allo stesso modo
tra medico, dietista e psicologa vengono comparati ed adattati i programmi di lavoro come appena
descritto.
3. Trattamento
3.1 Svolgimento delle sedute
Durante le prime 6 sedute di trattamento, dal 31/01/07 al 28/02/07 (con due incontri durante la prima
settimana in data 31/01/07 e 02/02/07) ed in particolare nelle prime tre che si sono succedute in
tempi ristretti, Benedetta ha manifestato una motivazione molto alta, con una completa aderenza agli
homework ed una piena disponibilità ad aprirsi durante la terapia. Anche l’umore sembra migliorato e,
se da una parte questo può essere imputabile al miglioramento delle condizioni fisiche, dall’altra si
ritiene che questo dipenda in parte dalla sensazione della ragazza di “presa in carico totale”.
È stata riproposta alla ragazza la concettualizzazione del proprio caso, già mostratele alla chiusura
della fase di assessment e, durante i primi incontri, il trattamento si è incentrato principalmente
sull’analisi dei fattori che si ritiene siano predisponenti e poi precipitanti e di mantenimento al suo
disturbo. Sebbene vi siano continui contatti con il Dr. Bianchi, relativamente ai progressi sul piano
fisico, Benedetta si manifesta propositiva e soddisfatta dell’inizio di entrambe le terapie, trovando di
suo gradimento la dieta e, sentendosi sollevata da una parte del controllo che era solita esercitare
sulla propria vita e su se stessa; ella si definisce alleggerita dalla responsabilità di doversi pesare,
guardare allo specchio, misurare, senza saper porre rimedio a quello che emergeva, in quanto da
adesso questa forma di check-up è a carico del dietista, mentre, i pensieri incentrati sulla propria
condizione di solitudine o sul cattivo rapporto con il fidanzato, vengono monitorati attraverso gli
schemi di analisi funzionale, elencati insieme ad altre “preoccupazioni” e delegati alla psicologa con la
quale vengono discussi ogni seduta. L’utilizzo dei diari di automonitoraggio induce Benedetta a vedere
se stessa con un po’ più di distacco e senso critico, senza che il giudizio che entra in gioco, abbia
caratteristiche prettamente negative. È possibile asserire che, questa modalità di vedere se stessa in
modo decentrato, ha in sé un effetto molto positivo sulla giovane.
61
In generale, la preoccupazione per il proprio corpo, già originariamente non importante, tende a
scomparire quasi immediatamente dalle schede di ABC, mentre permane per tutta la prima fase di
terapia la sensazione di “nervoso” che come abbiamo potuto osservare durante l’assessment, è
l’innesco dei comportamenti disfunzionali, per una cattiva mediazione del pensiero e delle emozioni.
A tal proposito era stato proposto a Benedetta di tenere un diario emotivo e si rende necessario
lavorare con un’educazione alle emozioni, prima di poter avere dei risultati utili dall’automonitoraggio;
sotto la voce “nervoso” la giovane poteva elencare contemporaneamente anche tutte e 5 le emozioni
di base.
Durante la IV seduta, come da accordi avviene la prima valutazione dell’andamento della terapia ed i
risultati sono incoraggianti: il Dr. Bianchi riferisce che Benedetta ha perso 2 Kg, raggiungendo un peso
di 77 Kg per un BMI pari a 26,6. Per quanto riguarda gli esami clinici il medico di base accerta che non
è presente nessuna problematica a livello organico ed anche se non è possibile ancora parlare di
regolarità del ciclo mestruale, questo mese si è presentato nella data prevista. Da un punto di vista
psicologico, riportiamo nella seguente tabella i risultati dei test somministrati in data 17/01/07 e
14/02/07, per confrontarne i risultati:
Sottoscale I prova II Prova Ascetismo 2 2 Bulimia 0 0 Consapevolezza enterocettiva 4 4 Impulsività 4 4 Insoddisfazione corporea 21 21 Impulso alla magrezza 19 < 20 Perfezionismo 4 4 Inadeguatezza 15 > 13 Insicurezza sociale 19 19 Paura maturità 9 9 Sfiducia Interpersonale 15 < 17 Tab. 4 Risultati al test EDI-2 a confronto: 17/01/07 e 14/02/07.
I risultati al test EDI-2 rileverebbero una diminuzione del valore della sottoscala inadeguatezza, IN =
13, ma aumentano i valori per quanto riguarda la valutazione dell’impulso alla magrezza, IM = 20 e
della sfiducia interpersonale, SI = 17; rimangono alti ed inalterati i punteggi per le sottoscale relative
all’insoddisfazione corporea ed all’insicurezza sociale.
Insieme al dietista viene deciso di lavorare quindi sul riconoscimento dei segnali della fame; viene
affidato a Benedetta un ulteriore homework situazionale e, ogni qualvolta Benedetta prova o pensa di
provare un languore si deve soffermare a compilare una scheda di analisi funzionale, per verificare
che non vi siano antecedenti che solitamente determinano le conseguenze del “nervoso”. In ogni
caso, anche se la fame viene riconosciuta come tale, qualora si abbuffi, deve compilare una scheda
aggiuntiva del diario alimentare, documentando l’eventuale abbuffata e del diario emotivo per
descrivere le emozioni associate.
In questo primo mese di trattamento è stato possibile osservare nelle schede di analisi funzionale,
ognuna delle tre conseguenze comportamentali: sesso come strategia di recupero della relazione
interpersonale e prevenzione di un’eventuale solitudine; meccanismi di evitamento covert della
sensazione spiacevole; ed abbuffate alimentari; queste ultime sono però andate diminuendo in
frequenza fin dall’inizio. Benedetta, grazie al programma di psicoeducazione circa il circolo vizioso dei
disturbi alimentari e l’adozione della dieta somministrata dal dietista, ha infatti riportato di “non avere
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voglia” di compilare anche una sezione a parte nel diario alimentare per dover documentare
l’abbuffata ed una ulteriore di quello emotivo, quindi, come previsto, la ragazza sceglie un
comportamento alternativo anche come conseguenza di un costo della risposta rappresentato dalle
attività aggiuntive assegnatele. Inoltre ammette di godere dei primi risultati ottenuti e non vuole
rinunciarvi, quindi appare motivata a mantenere tale condotta.
Si registra durante questa valutazione una sola abbuffata, anche se, alla fine della prima fase di
trattamento saranno in totale due. Riprendiamo l’analisi funzionale per verificare come si sono
concatenati gli eventi:
09/02/07 ore 11.20
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: disperazione.
Fisiologiche: sensazione di vuoto allo stomaco,
fame, annebbiamento della vista, debolezza
degli arti.
Nonostante Benedetta dichiari
di non stare ancora molto
bene, la madre le comunica
che partirà per il week end
con il compagno.
“Non gliene importa niente”,
“Che farò io se Gabriele non
esce?”, “Starò da sola come
sempre”, “Che fame! Devo
mangiare qualcosa”, “Forse
non è fame, lo so”. Comportamentali: consuma il pranzo al sacco e
si reca alla macchinetta erogatrice di snack,
mangiando 12 merendine al cacao nel bagno
delle donne.
Tab. 5 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
09/02/07 ore 11.30
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: appagamento fisico e psicologico.
Fisiologiche: sensazione di piacevole sazietà.
Benedetta ha appena finito di
mangiare, nel bagno delle
donne della propria sede di
lavoro, 12 merendine al cacao,
immediatamente dopo aver
consumato il pranzo.
“Ora sto meglio!” “Non
dovevo mangiare così tanto,
il dietista si arrabbierà”, “Sì
ma che potevo fare?” “Per
questa volta che sarà
mai…”.
Comportamentali: torna a lavoro e molto
concentrata vi si dedica completamente.
Tab. 6 Analisi funzionale relativa al comportamento: ABBUFFATA, come riportata dalla paziente.
Come verificato durante la fase di assessment, Benedetta cede alla disperazione e dà libero sfogo ad
un rimedio immediato che le permette di gestire la rabbia e la delusione. Di fronte alla
concettualizzazione di quanto accade, sembra però rammaricarsi di quanto avvenuto e, attraverso dei
problem-solving prova a trovare insieme alla psicologa alternative diverse, una fra tutte imparare
abilità di tipo sociale che la mettano nella condizione di poter esprime esternamente i propri vissuti di
rabbia e solitudine e di crearsi una rete sociale adeguata che la famiglia non le ha fornito.
Come accennato alla fine di questa prima parte di terapia emergerà una seconda abbuffata,
documentata in data 17/02/07 e con caratteristiche simili alle altre già mostrate nelle precedenti
tabelle. La fonte d’insicurezza è nuovamente il fidanzato Gabriele che, dopo aver trascorso da amici il
Venerdì sera, lasciando Benedetta a casa sola con la nonna, le comunica il giorno seguente alle 19.40
che non ha voglia di uscire perché è troppo stanco per farlo, nonostante il giorno precedente avesse
preso accordi con lei per cenare al ristorante.
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In questo caso, Benedetta sembra scegliere l’abbuffata come unica soluzione al problema, in quanto
nella prima seduta utile, il 21/02/07, si presenta con un foglio sul quale ha elencato alcune alternative
al comportamento alimentare disfunzionale. Mentre porge i risultati scritti di questo problem-solving,
ne anticipa a lettura cominciando a riportarne gli esiti verbalmente con un tono alto e concitato della
voce: conoscere qualcuno su internet; chiamare una collega di lavoro (ma sono tutte adulte e con
famiglia); chiamare qualche vecchia compagna delle scuole superiori (che però non ha più sentito dal
fidanzamento con Giacomo nel 2004). Benedetta è arrabbiata per questa sua situazione e, sentendo
che non sa come farvi fronte, pare adirata anche con gli specialisti che la seguono in questo momento
perché non sono in grado di darle una soluzione immediatamente spendibile, prima fra tutte la
psicologa. L’entusiasmo delle prime 3 sedute, nelle quali la terapia è stata promettente e in rapida
successione sembrano adesso aver deluso le aspettative della ragazza. Solo guardando assieme il
calendario e verificando che entrambi i trattamenti sono iniziati da poche settimane (3 per l’esattezza)
riesce a calmarsi. Benedetta si scusa per tanta irruenza e, invitata ad apprezzare la soluzione
comunicativa, anche se deve imparare a modularla, riferisce di essersi sentita subito meglio, ma di
aver anche temuto di essere dimessa dalla terapia psicologica perché non è stata accondiscendente. Si
ritiene dunque, che questo evento sia stato provvidenziale per provare alla ragazza che, anche se in
un certo momento o per una determinata occasione può avere un comportamento inadeguato, questo
non la squalifica totalmente come persona e che gli altri possono non abbandonarla.
Questa caratteristica di Benedetta ogni tanto si ripresenta in terapia e vede la motivazione della
ragazza spegnersi improvvisamente, delegando al prossimo ogni possibilità di risolvere i problemi che
l’affliggono. Il pensiero dicotomico: “sono tutta buona o completamente cattiva”, si proietta sul
trattamento, dove il regime alimentare del Dr. Bianchi è stato “rovinato” dall’inevitabile abbuffata. Si è
reso necessario nel trattamento psicologico, andare quindi ad arginare l’impatto dell’abbuffata sul suo
approccio alla dieta. Inoltre, mentre Benedetta illustrava l’assenza di valide alternative a non passare
una serata da sola, che avevano determinato il senso di “nervoso”, derideva queste stesse possibilità
con tono strafottente, sentenziando di conseguenza l’abbuffata, come unico mezzo per sedare quella
sensazione; una volta abbuffata poi, la dieta è venuta meno, perché lei aveva ceduto e, dal momento
che non aveva soluzioni apprezzabili a placare un eventuale stato emotivo negativo futuro, non
sarebbe servito a niente continuare quel trattamento.
In questo periodo l’innesco degli eventi è spesso a carico del rapporto con Gabriele che, dal periodo di
San Valentino, (il 14 Febbraio), si fa molto problematico. Nonostante Benedetta abbia concluso a
Gennaio la cura per la Candida Vaginalis ed anche l’Herpes sia scomparso, non riesce a trovare con il
compagno l’equilibrio precedente all’insorgere di questi problemi; l’utilizzo dell’unica strategia che ha
trovato funzionale negli anni, il sesso, non sembra più essere abbastanza efficace.
Durante l’ultima seduta di questa prima fase di trattamento, tenutasi il 28/02/07, Benedetta sembra
disillusa circa l’eventualità di un lieto fine per la sua storia d’amore e si propone di utilizzare in maniera
corretta e funzionale gli homework, rincuorata di non essere ingrassata dopo l’ultima abbuffata e
sentendosi meno sola grazie alla terapia, anche se riconosce che non è abbastanza. Riferisce inoltre
che alcuni colleghi di lavoro, coetanei della madre, la prendono in giro per le continue infruttuose
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diete quando la vedono mangiare nella pausa pranzo e questo le dà una spinta ulteriore a collaborare
attivamente nelle terapia proposte.
Dalla VII seduta, tenuta in data 07/03/07 inizia la II Fase di trattamento. Benedetta aderisce
completamente alla dieta e terminato il lavoro sul riconoscimento attivo delle emozioni e quindi
elaborando in modo adeguato la sensazione di fame, inizia ad applicarsi anche su alcuni principi base
dell’assertività. Fattore di mantenimento residuo dei problemi della ragazza è infatti l’assenza di
strategie alternative ad elaborare la rabbia e la tristezza ed a gestire la solitudine. Anche se questi
nuovi strumenti hanno lo scopo di mettere Benedetta nella condizione di farsi nuove amicizie, il
trattamento si prefigge l’obiettivo di insegnarle a stare prima di tutto con se stessa, momento critico
nel quale, invece, inizia ad autovalutarsi in modo negativo, in quanto profondamente ritiene che sia lei
(come persona, non solo come aspetto fisico) a determinare questo stato di oggettiva solitudine.
Durante questo training delle abilità affermative, saranno quindi messi a disposizione della ragazza e
collaudati direttamente con lei, strumenti atti a: riconoscere ed esprimere le emozioni; riconoscere ed
utilizzare le abilità verbali e non verbali; riconoscere e mettere in atto comportamenti di tipo assertivo;
conoscere i propri diritti ed utilizzare abilità di persistenza e di difesa per affermarli.
Dai colloqui emerge un lato di Benedetta molto infantile: se appare veramente attiva nell’apprendere i
vari step delle abilità di conversazione tipiche del training assertivo, secondo il manuale di
addestramento affermativo di Alberti e Dinetto (Alberti e Dinetto, 1988), nell’esporsi all’espressione
delle proprie emozioni con gli altri, in maniera non aggressiva e non pretenziosa, appare fragile ed
indifesa. La sicurezza pare aumentare gradualmente e, in concomitanza ad una maggior padronanza
dell’abilità di conversazione, anche il suo aspetto fisico appare migliorato e questi elementi paiono
influenzarsi vicendevolmente.
In data 11/04/07 Benedetta viene nuovamente sottoposta al test EDI-2 ed alle visite di tipo medico. Il
dietista registra un’ulteriore diminuzione di peso arrivando a 70 Kg, corrispondente ad un BMI pari a
24,2. Dal punto di vista più strettamente psicologico si osservano dei miglioramenti, oltre che sul
piano relazionale anche da un punto di vista testistico. Riportiamo di seguito una tabella contenente i
risultati al test EDI-2 a confronto con quelli emersi nelle scorse somministrazioni:
Sottoscale I prova II Prova III Prova Ascetismo 2 2 2 Bulimia 0 0 0 Consapevolezza enterocettiva 4 4 4 Impulsività 4 4 4 Insoddisfazione corporea 21 21 > 12 Impulso alla magrezza 19 20 > 12 Perfezionismo 4 4 4 Inadeguatezza 15 13 > 11 Insicurezza sociale 19 19 > 17 Paura maturità 9 9 9 Sfiducia Interpersonale 15 17 > 15 Tab. 7 Risultati al test EDI-2 a confronto: 17/01/07, 14/02/07 e 11/04/07.
Nei risultati mostrati nella tabella 7, si osserva una forte diminuzione sulle sottoscale dell’EDI-2,
relativamente a: insoddisfazione corporea, IC = 12, impulso alla magrezza, IM = 20, inadeguatezza,
IN = 11; si mantengono relativamente stabili i valori in quelle dell’insicurezza sociale, IS = 17 e della
sfiducia interpersonale, SI = 15.
65
Sono ancora diverse le occasioni in cui Benedetta registra un senso di “nervoso” che sfoga in maniera
disfunzionale. Mentre sperimenta con persone nuove le abilità appena apprese con il training
assertivo, prima collaudate tramite role-playing in terapia, con il fidanzato pare continuare ad utilizzare
semplicemente un comportamento sessuale strategico. Benedetta non trova appaganti i rapporti fisici
con Gabriele, ma utilizza questi in maniera strumentale all’atteggiamento di lui o, come mezzo
alternativo all’espressione delle proprie emozioni. Prima di riportare qualche esempio espresso
attraverso l’analisi funzionale condotta negli homework, si ritiene di dover sottolineare che, fatta
eccezione per i rapporti con il ragazzo, Benedetta ha imparato ad esprimere i propri diritti e le proprie
emozioni in maniera sempre più adeguata e, nell’ambito familiare questo ha determinato un aumento
dell’accudimento da parte del compagno della madre, mentre quest’ultima, per quanto ci provi,
continua ad essere un po’ avara del proprio tempo.
21/04/07 ore 00.30
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: apprensione.
Fisiologiche: senso di farfalle nello stomaco.
Gabriele decide di tornare
a casa, dopo una serata
insieme.
“Questa storia sta per finire”,
“Non lo devo perdere”.
Comportamentali: ha un rapporto sessuale con lui.
Tab. 8 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
21/04/07 ore 00.50
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: felicità.
Fisiologiche: nessuna in
particolare.
Dopo aver avuto il rapporto
sessuale con il fidanzato.
“Ora sa quanto tengo a lui”, “Mi sembra più
contento”, “Se lo meritava alla fine, questa
settimana mi ha sempre telefonato”.
Comportamentali: torna a casa.
Tab. 9 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
Benedetta riferisce di non provare nessun interesse e piacere particolare nel sesso e, in virtù di
un’autostima che sta aumentando, sente di poter controllare questo aspetto della propria vita. Non
trattandosi di un’attività promiscua con partner sessuali diversi ed in accordo con l’esplicita richiesta
della ragazza di non trattare al momento questo aspetto come comportamento disfunzionale, si ritiene
coerente con il programma prefissato assecondare tale istanza.
In questo periodo Benedetta fa nuove amicizie ed in particolare sembra intrattenere rapporti sempre
più frequenti con Erica, una nuova collega di lavoro sua coetanea, e con Francesco, un ragazzo che ha
conosciuto al Rotary Club Valdelsa accompagnando la madre ad una partita di golf con le amiche. Per
quanto riguarda la prima, confessa di non aver provato ansia nell’approccio, in quanto, l’arrivo di una
ragazza della sua età sul posto di lavoro ed in questo periodo in cui voleva esercitare nuove abilità
apprese in campo interpersonale, le è sembrato davvero provvidenziale. Nonostante scoraggiata dai
colleghi più grandi, che hanno subito riferito alla nuova arrivata che Benedetta è la figlia dei datori di
lavoro, ha manifestato un sincero interesse verso di lei e, da un aiuto concreto ad ambientarsi, si è
sentita ben presto disinibita nel continuare questo rapporto al di fuori dell’ufficio. Trovandosi a poco
più di mezz’ora dal mare di Marina di Pisa, il Venerdì pomeriggio da circa metà Maggio le due ragazze
hanno iniziato a recarsi dopo lavoro sulla spiaggia, per poi trascorrere la serata insieme.
66
Nella seduta del 23 Maggio, Benedetta dichiara di non avere più rapporti sessuali con Gabriele da 15
giorni; lei non sente il desiderio di averne e, non avendo più bisogno di lui per uscire, non ha neanche
validi motivi per elargire “lodi e punizioni” utilizzandolo come strumento. Questo però fa sì che il
ragazzo si allontani ancora di più, portandole di conseguenza una tacita conferma che il sesso era
l’unico collante tra loro e, proprio in questa data, egli parte per Atene per il fine settimana senza dare
preavvisi di alcun tipo. Benedetta lo riferisce con un’espressione di biasimo sul volto, scuotendo la
testa e chiedendo in modo retorico: “Me lo merito un ragazzo così?”.
Si suppone che questa reazione controllata, ma soprattutto serena, dipenda dal fatto che, come si era
previsto nelle ipotesi di trattamento, l’autostima della giovane è aumentata, grazie al miglioramento
del suo aspetto fisico e delle proprie capacità di gestire se stessa indipendentemente dalle persone
intorno a lei. Per troppo tempo infatti, il biasimo verso di sé, per una madre disattenta ed egoista, per
non sapere come conoscere nuove persone se non in un mondo virtuale ed artificiale, l’ha in qualche
modo tutelata dal doversi esporre anche agli errori, nutrendo però il circolo vizioso dell’anassertività;
su un terreno tanto fertile si erano poi insediati problemi davvero difficili da gestire e da quel
momento il biasimo è divenuto, in un certo senso, legittimo.
Dalla XX alla XXIV seduta, tenute con frequenza bisettimanale come da accordi, si è lavorato
principalmente sul rinforzare i comportamenti funzionali appresi e consolidare le abilità acquisite.
Durante i primi giorni di Giugno, Gabriele lascia Benedetta, adducendo motivazioni che la ragazza
trova futili e di circostanza. Benedetta racconta di essere ancora innamorata di lui, per quanto la stima
nei suoi confronti sia diminuita molto nell’ultimo periodo; ritiene che, se anche lui provasse tali
sentimenti per lei, magari si sarebbe comportato in modo diverso. Appare un po’ triste, ma non
abbattuta o disperata e dichiara di non provare la sensazione di “nervoso” già da un po’ di tempo,
mentre l’ultima volta che ne ha esercitato un controllo attraverso l’analisi funzionale ABC, risale al 22
Aprile. Benedetta dice di sentirsi arrabbiata, frustrata, contenta, agitata, ma vi è una definizione
particolareggiata di quanto proviene da lei, non più un’informe e vaga sensazione, con molte
sfaccettature di tipo fisiologico. Con il Dr. Bianchi ha poi imparato a riconoscere gradualmente il senso
di fame e sazietà e quindi risale ormai al 17 Febbraio l’ultima abbuffata.
Per quanto riguarda l’amicizia con Erica, Benedetta sembra mantenere la giusta autonomia, senza
attaccarsi alla ragazza in modo eccessivo, come evitamento di una condizione di isolamento; al
contrario, ha iniziato a frequentare anche altre persone, soprattutto di sesso femminile, conosciute in
quest’ultimo periodo durante le uscite con l’amica. Per quanto riguarda l’amico Francesco, lo sta
tenendo un po’ a distanza, in quanto ritiene che il suo interesse per lei, vada oltre l’amicizia e non
vuole iniziare una nuova storia.
Non provando più la sensazione di “nervoso” ed arricchendo il proprio repertorio di emozioni, oltre che
mostrando un’abilità acquisita nel modularle e gestirle, non resta che lavorare su problem-solving di
eventuali situazioni future, al fine di verificare la generalizzazione degli apprendimenti fin qui eseguiti
ed eventualmente migliorarne l’efficacia.
In occasione della XXIV seduta, vengono somministrati nuovamente i test EDI-2 e MMPI-2 e viene
fissato un nuovo appuntamento a distanza di ulteriori 6 mesi per un incontro di follow-up.
Per quanto riguarda la somministrazione del test EDI-2 i risultati riassunti nella tabella 10, mostrano i
67
valori delle sottoscale in ognuna delle prove eseguite. Si osserva che i punteggi sono tutti rientrati e,
solo le sottoscale relative all’insicurezza sociale, IS = 9 ed alla sfiducia interpersonale, SI = 8
rimangono a livelli leggermente più alti delle altre.
Sottoscale I prova II Prova III Prova IV ProvaAscetismo 2 2 2 3 Bulimia 0 0 0 0 Consapevolezza enterocettiva 4 4 4 4 Impulsività 4 4 4 3 Insoddisfazione corporea 21 21 12 5 Impulso alla magrezza 19 20 12 6 Perfezionismo 4 4 4 4 Inadeguatezza 15 13 11 6 Insicurezza sociale 19 19 17 9 Paura maturità 9 9 9 5 Sfiducia Interpersonale 15 17 15 8 Tab. 10 Risultati al test EDI-2 a confronto: 17/01/07, 14/02/07, 11/04/07 e 01/08/07.
Relativamente al test MMPI-2, in base ai criteri descritti da Butcher e Williams riportiamo i grafici ed
una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams, 1996). Per ogni grafico è possibile osservare le
linee tratteggiate relative al primo test somministrato, per offrirne un confronto visivo immediato.
È possibile notare come, la conformazione delle scale cliniche appaia immediatamente simile alla
precedente, sebbene i valori della seconda somministrazione siano più moderati.
Dal punto di vista della validità del test va osservato che Benedetta anche in questo caso ha risposto
in modo corretto e sincero, anche se, più o meno coscientemente, ha cercato di coprire talune
presunte insufficienze della propria personalità.
Il tono dell’umore appare ancora caratterizzato da note depressive ed in coincidenza con un’elevazione
della scala supplementare PK e MDS si suppone sia reattivo ad un evento negativo in ambito
sentimentale; approfondendo attraverso il successivo colloquio, il tono disforico di Benedetta sarebbe
determinato da un tentativo fallito di riavvicinamento con Giacomo; dopo molto tempo che non si
vedevano infatti, il 28 Luglio lei lo ha invitato a cenare insieme e, nell’occasione, le ha proposto di
riniziare la frequentazione. Gabriele rifiuta un nuovo coinvolgimento ma propone a Benedetta di
continuare a frequentarsi “senza impegni”, ossia con una frequentazione poco frequente e con
l’eventualità di avere rapporti sessuali. La ragazza rifiuta questa offerta, riproponendo al contrario, una
relazione più stabile e, non trovandosi d’accordo decidono entrambi di lasciar perdere. Il malessere
emerso con la scala clinica della depressione, D = 65, può quindi essere associato anche a tratti di
irrequietezza ansiosa con una scarsa tolleranza alla frustrazione e tendenze oppositive nei confronti
dell’ambiente, che rimangono tipiche della personalità della ragazza.
È riscontrabile, comunque, un’ideazione congrua ed aderente alla realtà, non sono presenti elementi
disturbanti il contenuto del pensiero né tanto meno particolari meccanismi difensivi dell’ansia che,
dunque non viene somatizzata.
Sul piano dei rapporti, nell’ambito di una situazione gruppale, è possibile rilevare una liberazione di
tratti aggressivi che possono costituire un ostacolo per un adeguato inserimento ed integrazione al
gruppo medesimo, ma viste le tendenze ad assecondare gli altri, per paura di restare sola, tipiche di
Benedetta prima dell’intervento, è possibile leggere tale risultato nell’ottica di un aumento del rispetto
di sé relativamente alla vita nel gruppo. Può avere inoltre un’eccessiva fiducia nelle proprie capacità,
68
mostrando ipervalutazione di sé, anche se sono possibili oscillazioni in senso opposto con dubbi sulle
proprie reali facoltà.
Come rilevato anche negli ultimi colloqui, la caratteristica principale è attualmente rappresentata dalla
notevole difficoltà ad interiorizzare totalmente le norme etico-sociali del gruppo di appartenenza,
dall'assenza di una risposta emotiva profonda e dall'incapacità di trarre profitto dall'esperienza. Come
più volte riferisce Benedetta stessa, stare nel gruppo è difficile e faticoso e spesso sente la tentazione,
soprattutto per quanto riguarda le amicizie maschili, di ricadere nelle vecchie modalità relazionali
proprio con l’intento di velocizzare alcuni passaggi; si rende conto però che, introducendo il sesso in
una relazione, ne produrrebbe un cambiamento sostanziale, quindi cerca di mantenersi paziente e di
lasciare che gli eventi facciano il loro corso, anche se questo le crea talvolta un senso d’inquietudine.
Scale Cliniche
5360
35
76 72
48
76
5257
63 6761
5156
65
45
65 65
48
63
4553
58 56 57 57
30405060708090
100
17/01/2007 53 60 35 76 72 48 76 52 57 63 67 61 51
01/08/2007 56 65 45 65 65 48 63 45 53 58 56 57 57
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 8 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 01/08/07
Scale Supplementari
60 58 60 62
45
68 68
586463
54 56 59
45
61
70
54
72
30
40
50
60
70
80
90
100
17/01/2007 60 58 60 62 45 68 68 58 64
01/08/2007 63 54 56 59 45 61 70 54 72
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 9 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 01/08/07
69
Scale di Contenuto
6157
6864
71
5954
68
59 61
76 74 72 7165
61 60 61 60 60 59 57
6459 61
71 72
6265 63
30
40
50
60
70
80
90
100
17/01/2007 61 57 68 64 71 59 54 68 59 61 76 74 72 71 65
01/08/2007 61 60 61 60 60 59 57 64 59 61 71 72 62 65 63
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 10 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 01/08/07 Per quanto riguarda le analisi di tipo medico e fisico, in questa data il peso di Benedetta è arrivato a
63 Kg, con un BMI pari a 21,8. Benedetta ammette di piacersi molto di più e non manifesta tendenze
alla ricerca di un ulteriore calo di peso; riferisce di apprezzare il proprio corpo e di riconoscere di aver
sempre avuto una corporatura giunonica. Aggiunge che il dietista le ha consigliato di mantenersi
intorno a questo peso e di rivolgersi nuovamente al servizio nel caso in cui aumenti fino a 70 Kg,
mentre è prevedibile un successivo riassestamento naturale.
In quest’ultima seduta se ne approfitta quindi per illustrare a Benedetta la teoria del set-point e ci si
accerta che, un lieve aumento di peso non diventi fonte di ansia e preoccupazione.
3.2 Follow-up e Conclusioni
Nell’incontro di follow-up a 6 mesi, in data 04/02/08, Benedetta appare rilassata e serena. Esordisce
riferendo un aumento di peso di 2 Kg e, ormai da 3 mesi pesa dunque 65Kg. Ammette di piacersi e,
dopo molto tempo, di trovare piacevole andare a comprarsi vestiti ed accessori. Riferisce che affronta
queste attività con Erica, con la quale ha stretto una buona amicizia, soprattutto dopo che a
quest’ultima è scaduto il contratto di lavoro per la ditta del patrigno di Benedetta; sebbene si vedano
con meno frequenza, adesso la ragazza è più serena che questa relazione sia del tutto disinteressata.
Appare molto sicura e soddisfatta di sé nel comunicare di non avere un fidanzato. Nella storia della
propria vita, infatti, non le era mai capitato di non avere relazioni, neanche di tipo prettamente
sessuale, per più di 2 settimane, mentre adesso riferisce che, dopo l’ultima volta con Gabriele, intorno
ai primi di Maggio del 2007 non ha più avuto rapporti con nessuno. Non sente la mancanza del sesso,
bensì quella di una relazione amorosa, ma tollera bene il fatto di non aver incontrato la persona
giusta.
Benedetta si sente bene ed appare al meglio e l’entusiasmo con cui vive questa “nuova sé” è evidente
e contagioso.
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71
Fobia Specifica: un processo filogenetico di attenzione selettiva
1. Definizione e Quadro clinico
In passato era in uso denominare ciascuna Fobia con il nome dell'oggetto temuto, per cui sono state
coniate oltre un centinaio di appellativi: "claustrofobia" per la paura degli spazi chiusi, "aracnofobia"
per la paura dei ragni, "acrofobia" per la paura dei luoghi alti, etc.; attualmente sono tutte raccolte
nella dizione di "Fobia Specifica" tranne due, l'Agorafobia e la Fobia Sociale che sono sindromi più
complesse e diffuse.
Una Fobia Specifica è rappresentata da una paura marcata, persistente, irragionevole o
sproporzionata per stimoli precisi o situazioni circoscritte e chiaramente discernibili; talvolta tale
emozione può essere scatenata anche dalla previsione di un danno e collegata a certi aspetti
dell’oggetto o situazione.
Le Fobie Specifiche possono comprendere anche la preoccupazione di perdere il controllo, di avere il
panico, manifestazioni somatiche di ansia e di paura (quali l’aumentata frequenza cardiaca o la
dispnea) e di svenire, che si potrebbero manifestare durante l’esposizione all’oggetto temuto.
L’ansia, quasi invariabilmente, viene avvertita immediatamente quando avviene il confronto con lo
stimolo fobico ed il livello che può raggiungere, varia in funzione sia del grado di vicinanza a tale
input, che dalla percezione soggettiva della possibilità di allontanarsi da esso; in ogni caso, l’intensità
della paura può non essere sempre correlata in modo prevedibile con lo stimolo fobico.
Secondo il Manuale Psichiatrico e Diagnostico dei Disturbi Mentali DSM-IV-TR, (APA, 2001) si possono
specificare i seguenti sottotipi per indicare l’oggetto della paura o dell’evitamento nella Fobia Specifica:
Tipo Animali la paura viene provocata da animali o insetti. Questo sottotipo esordisce
generalmente nell’infanzia.
Tipo Ambiente Naturale la paura viene provocata da elementi dell’ambiente naturale, come
temporali, altezze, acqua. Questo sottotipo esordisce generalmente nell’infanzia.
Tipo Sangue-Iniezioni-Ferite la paura viene provocata dalla vista del sangue o di una ferita o
dal ricevere un’iniezione od altre procedure mediche invasive. Questo sottotipo ha un’elevata
familiarità ed è spesso caratterizzato da un’imponente risposta vaso-vagale.
Tipo Situazionale la paura viene provocata da una situazione Specifica, come trasporti pubblici,
tunnel, ponti, ascensori, volare, guidare o luoghi chiusi. Questo sottotipo ha una distribuzione
dell’età di esordio bimodale, con un picco nell’infanzia e un altro picco verso i 25 anni.
Altro Tipo la paura viene scatenata da altri stimoli che possono includere: la paura o
l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare, vomitare, o contrarre una malattia,
la Fobia dello “spazio” (cioè l’individuo ha timore di cadere giù se è lontano da muri od altri mezzi
di supporto fisico); ed il timore, nei bambini, dei rumori forti o dei personaggi in maschera.
Molte persone affette da una Fobia Specifica spesso ne presentano anche altre in comorbilità e,
l’essere affetti da una Fobia di un sottotipo specifico, tende ad aumentare la probabilità di avere
un’altra Fobia nell’ambito dello stesso sottotipo.
72
Tali disturbi frequentemente si manifestano poi insieme ad altre sindromi ansiose, del tono dell’umore
o correlate all’uso ed abuso di sostanze; tuttavia solo raramente rappresentano il nucleo
dell’attenzione clinica, in quanto la Fobia è di solito associata a minor disagio o minor interferenza con
il funzionamento rispetto alla diagnosi principale in comorbilità ed è quindi fondamentale stabilire se vi
sia una richiesta aggiuntiva, magari celata.
2. Incidenza
Sebbene le Fobie siano frequenti nella popolazione generale, raramente determinano una
menomazione od un disagio sufficienti a giustificarne una diagnosi. La prevalenza riportata può variare
a seconda della soglia utilizzata per determinare la menomazione od il fastidio ed in relazione al
numero di tipi studiati. Nei campioni di comunità, le percentuali di prevalenza attuale variano dal 4%
all’8,8% e le percentuali di prevalenza life-time dal 7,2% all’11,3%. Le percentuali di prevalenza
diminuiscono nell’età avanzata.
Il contenuto delle Fobie, così come la loro prevalenza, varia con la cultura e l’etnia. Ad esempio, le
paure della magia o degli spiriti sono presenti in molte culture e dovrebbero essere considerate una
Fobia Specifica solo se la paura è eccessiva nel contesto di tale background e causa menomazione o
disagio significativi. Tale disturbo può essere più comuni negli strati socioeconomici più bassi, benché i
dati siano contraddittori (Galeazzi e Meazzini, 2004).
Globalmente, il rapporto donne-uomini con Fobie Specifiche è di circa 2:1, anche nei soggetti anziani,
sebbene la nota riluttanza degli uomini ad esprimere le proprie ansie, rende questa stima altamente
ipotetica.
La prevalenza nel corso della vita è stimata oltre il 10% della popolazione, ma, come abbiamo già
accennato, solo in una piccola parte dei casi viene richiesto aiuto professionale. Nei familiari vi è un
aumentato rischio di Fobie Specifiche e vi sono alcuni dati che suggeriscono che può esservi
un’aggregazione familiare per tipo di Fobia, anche se questo potrebbe dipendere da un
apprendimento, piuttosto che da un fattore di ereditarietà genetica; al contrario, la Fobia del sangue e
delle ferite ha una familiarità particolarmente spiccata.
3. Decorso
I primi sintomi di una Fobia Specifica di solito si manifestano nella fanciullezza o nella prima
adolescenza; l’età media all’esordio varia con il tipo di Fobia Specifica: la Fobia Specifica Tipo
Situazionale, tende ad avere una distribuzione bimodale, con un picco nell’infanzia ed un secondo
picco verso i 25 anni; le Fobie Specifiche, Tipo Ambiente Naturale (per es., Fobia dell’altezza), tendono
ad iniziare principalmente nella fanciullezza, sebbene molti nuovi casi si manifestino nella prima età
adulta; le età di esordio per le Fobie Specifiche Tipo Animali e Tipo Sangue-Iniezioni-Ferite, si
collocano di solito nella fanciullezza. In ogni caso, solitamente la paura di uno stimolo è presente per
un certo periodo prima di causare disagio o compromissione tali da richiedere una prestazione
specialistica.
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4. Fobia specifica e Bias attentivo: la ricerca attuale
Da una prospettiva evoluzionistica, la risposta della paura umana osservata in situazioni di pericolo e
minaccia è parte di un sistema di comportamenti difensivi che motiva l’organismo a scappare ed
evitare la fonte del pericolo (Blanchard e Blanchard, 1988; Bolles, 1970; Fanselow e Lester, 1988). Le
basi Darwiniane di questa attivazione fobica sono state incorporate nei più moderni modelli di
processazione delle informazioni (Öhman, 1993), dove emozioni e funzioni cognitive divengono unica
rete nervosa cui l’individuo attinge nella propria esperienza quotidiana, attraverso “corsie preferenziali”
di elaborazione dell’informazione. La premessa centrale di questi approcci è che l’organismo umano ha
la capacità di fronteggiare un enorme numero di informazioni, ma che quelle di minaccia vengano
processate preferenzialmente rispetto a quelle meno importanti (Mineka e Öhman, 2002). Mineka e
Öhman propongono, infatti, il concetto di un evoluto “modulo della paura” che selettivamente
elaborerebbe stimoli filogeneticamente di minaccia, come i serpenti, i ragni e facce arrabbiate, ossia
target a lungo associati con un reale pericolo per l’uomo. Tale caratteristica faciliterebbe, secondo il
modello di Seligman di Preparedness (1971) l’acquisizione di alcune fobie rispetto ad altre.
Le ultime ricerche (Waters et al., 2008) si sono concentrate nel verificare se, come già dimostrato
negli adulti (Öhman et al., 2001), anche i bambini di 9 anni possiedano un già specifico modulo della
paura per ragni e serpenti ed i risultati al test di Stroop modificato hanno dato esito positivo. Questi
dati fornirebbero la prova che, di fronte a stimoli raffiguranti una minaccia, il sistema percettivo
umano, funzioni come parte di un comportamento adattivo di difesa in maniera efficiente fin dai primi
anni di vita, andando a migliorare con lo sviluppo e l’esperienza.
Fig. 1 Test di Stroop con immagini
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5. Modelli teorici di riferimento
5.1 Concettualizzazione cognitivo-comportamentale
I fattori che favoriscono l’esordio delle Fobie Specifiche includono eventi traumatici (come essere stati
attaccati da un animale o rinchiusi in uno stanzino), gli Attacchi di Panico inaspettati nella situazione
temuta, il vedere altri sottoposti ad un trauma o mostrare paura e la trasmissione di informazioni. Gli
oggetti o le situazioni temuti tendono a comprendere cose che possono realmente rappresentare, od
avere rappresentato, una minaccia in qualche momento dell’evoluzione dell’uomo, come abbiamo già
spiegato. Le Fobie che derivano da eventi traumatici o da Attacchi di Panico inaspettati tendono ad
essere particolarmente acute nel loro sviluppo; quelle di origine traumatica non hanno un’età di
esordio caratteristica. Questa patologia nell’adolescenza aumenta la possibilità della persistenza della
Fobia Specifica oppure dello sviluppo di altre Fobie nella prima età adulta, ma non predice lo sviluppo
di altri disturbi. Le Fobie che persistono fino alla vita adulta solo infrequentemente vanno incontro a
remissione (circa il 20% dei casi).
Due sono i processi fondamentali con i quali si tenta di spiegare la genesi delle Fobie Specifiche. Il
primo modello si richiama al condizionamento classico e viene così sintetizzato da Rachman (1971):
Le Fobie sono risposte apprese;
Qualsiasi stimolo sviluppa proprietà fobiche qualora venga associato, per contiguità spazio-
temporale, con situazioni che evocano paura;
Stimoli neutri che hanno particolare rilievo nella situazione ansiogena e/o che hanno particolare
impatto sul soggetto hanno probabilità più elevate di sviluppare proprietà fobiche rispetto a stimoli
banali od irrilevanti;
La Fobia è rafforzata dalla ripetizione dell'associazione tra la situazione ansiogena e tali stimoli;
Associazioni tra situazioni di paura particolarmente intensa e stimoli neutri produrranno, con
elevata probabilità, reazioni fobiche;
Si verificherà la generalizzazione dello stimolo fobico originario a stimoli di natura simile;
Esperienze nocive che hanno luogo in condizioni di eccessiva restrizione fisica produrranno, con
elevata probabilità, reazioni fobiche;
Stimoli neutri che sono associati con un'esperienza nociva possono sviluppare proprietà
motivazionali secondarie (pulsione di paura);
Risposte come quelle di evitamento possono essere rinforzate dalla riduzione della pulsione di
paura.
Tale modello è stato poi sottoposto a sostanziali revisioni; in primo luogo è stata messa in discussione
“l'equipotenzialità dello stimolo”, ovvero l'idea che tutti gli stimoli hanno la medesima probabilità di
divenire stimoli condizionati e conseguentemente di suscitare reazioni fobiche. Secondo il concetto di
“Preparedness” di Seligman (1971), infatti, la nostra specie si sarebbe preprogrammata per acquisire
con particolare facilità reazioni di paura in riferimento a situazioni di importanza fondamentale per la
sopravvivenza. Questa forma di facilitazione dell'apprendimento si manifesterebbe con un minore
numero di prove necessarie per instaurare la reazione condizionata, nella possibilità di apprendimento
in una sola prova ed in una maggiore resistenza all'estinzione. Oltre che su dati di laboratorio, la teoria
75
di Seligman si basa sul riscontro dell'evidenza psicopatologica: la maggior parte delle Fobie cliniche,
infatti, riguarda un numero circoscritto di situazioni di trasparente significato evolutivo: gli animali, il
buio, l'abbandono e come abbiamo già mostrato, la ricerca attuale conferma tale posizione sia negli
adulti che nei bambini (Öhman et al., 2001; Waters et al., 2008).
Successivamente, negli anni Settanta, si è fatta sempre più chiara l'importanza della trasmissione
sociale delle paure e delle Fobie, grazie agli studi di Bandura (1977) sull'apprendimento osservativo e
sul modeling. In sostanza si prevede che paure e Fobie possano essere acquisite, oltre che per
condizionamento diretto, in forma indiretta attraverso l'osservazione e la trasmissione di informazioni
ed istruzioni. Così, è stato dimostrato che giovani scimmie Rhesus (3-6 anni) nate ed allevate in
laboratori e senza alcuna paura, acquisiscono immediatamente una paura dei serpenti vivi
semplicemente osservando la reazione spaventata dei genitori di fronte a tali stimoli (Mineka et al.,
1984). Anche la ricerca sulle Fobie infantili offre indiretto sostegno alla tesi di una trasmissione delle
paure per osservazione e modeling. Per esempio, in una ricerca su 64 bambini fobici (età 6-13 anni),
Windheuser (1977) ha scoperto che le madri erano più fobiche, rispetto ad un gruppo di controllo, che
esisteva una corrispondenza statistica tra paure materne e paure dei figli e che i bambini rispondevano
meglio al trattamento se preliminarmente venivano trattate le paure delle madri.
Oggi si tende a pensare che esistano tre meccanismi nell'acquisizione delle Fobie: per
condizionamento diretto, per osservazione e per trasmissione verbale. Il processo comune sottostante
ai tre meccanismi deriva dalla rielaborazione in chiave cognitiva delle teorie sul condizionamento
classico (Rescorla, 1988). In breve, una paura verrebbe acquisita quando uno stimolo neutro assume
ruolo di “segnale” per l'occorrenza dello stimolo incondizionato. Considerando gli organismi come attivi
risolutori di problemi, l'identificazione di relazioni tra stimoli (diretta, per osservazione o per istruzione)
risponderebbe efficacemente alla domanda: cosa ha determinato l'evento rappresentato dallo stimolo
incondizionato? Infine, le teorie moderne aggiungono due ulteriori elementi nei modelli dell'acquisizione
delle Fobie: in alcuni casi, una Fobia potrebbe essere sviluppata a causa di “una falsa reazione di al-
larme” causata da un'attivazione eccessiva dell'organismo che produce una risposta di “attacco o fuga”,
esattamente come pare accadere nel Disturbo di Panico; in pratica, la persona svilupperebbe un
legame tra una esperienza simile ad un Attacco di Panico e lo stimolo contingente (Munjack, 1984;
McNally e Steketee, 1985); in altri casi, infine, l'acquisizione della Fobia sarebbe da ricondurre ad una
combinazione tra una componente genetica e specifiche esperienze ambientali (Kendler et al., 1992).
6. Modalità di assessment
6.1 Modalità del colloquio e diagnosi differenziale
Le Fobie Specifiche differiscono dalla maggior parte degli altri Disturbi d’Ansia per i livelli dell’ansia
intercorrente; tipicamente questi individui, a differenza di quelli con Disturbo di Panico con Agorafobia,
non presentano ansia pervasiva, poiché la loro paura è limitata ad oggetti o situazioni specifici e
circoscritti. Può comunque emergere ansia anticipatoria generalizzata nelle condizioni in cui diventano
più probabili i contatti con lo stimolo fobico, oppure quando eventi della vita obbligano al confronto
immediato con esso.
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La differenziazione della Fobia Specifica, dal Disturbo di Panico con Agorafobia può essere
particolarmente difficile, poiché entrambi i disturbi possono comprendere Attacchi di Panico ed
evitamento di tipi di situazioni simili. Tipicamente, il Disturbo di Panico con Agorafobia è caratterizzato
dall’esordio iniziale di Attacchi di Panico inaspettati e dal conseguente evitamento di situazioni
molteplici, ritenute probabili fattori scatenanti di essi. La Fobia Specifica, Tipo Situazionale, è
caratterizzata dall’evitamento di certe condizioni in assenza di ricorrenti Attacchi di Panico inaspettati.
Per migliorare il giudizio clinico quattro fattori possono essere utili: l’oggetto della paura, il tipo e
numero di Attacchi di Panico, il numero di situazioni evitate ed il livello dell’ansia intercorrente; inoltre,
anche la presenza della preoccupazione pervasiva di avere un Attacco di Panico quando non ci si
aspetta l’esposizione ad una situazione fobica supporta una diagnosi di Disturbo di Panico con
Agorafobia; infine, se l’individuo ha altri Attacchi di Panico inaspettati in altre situazioni, ma non si
sviluppa ulteriore evitamento o sopportazione della paura, la diagnosi appropriata sarebbe Disturbo di
Panico senza Agorafobia.
Talvolta sono giustificate diagnosi contemporanee di Fobia Specifica e Disturbo di Panico con
Agorafobia; in questi casi può essere utile prendere in considerazione l’oggetto della preoccupazione
fobica dell’individuo.
La Fobia Specifica e la Fobia Sociale possono essere differenziate sulla base dell’oggetto delle paure.
Diversamente dall’evitamento della Fobia Specifica, l’evitamento del Disturbo Post-traumatico da
Stress segue ad un evento stressante minaccioso per la vita ed è accompagnato da altre
manifestazioni.
Nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo, l’evitamento si associa con il contenuto dell’ossessione.
Negli individui con Disturbo d’Ansia di Separazione non si pone diagnosi di Fobia Specifica se le
condotte di evitamento sono limitate esclusivamente al timore di separarsi dalle persone alle quali
l’individuo è legato. Raramente è giustificata una diagnosi separata di Fobia Specifica.
La differenziazione tra l’Ipocondria e la Fobia Specifica, Altro Tipo, dipende dalla presenza o assenza
della convinzione di essere malato; gli ipocondriaci hanno, infatti, paura di avere una malattia in corso,
mentre gli individui con Fobia Specifica temono di contrarla.
Non si fa diagnosi di Fobia Specifica negli individui con Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa se le
condotte di evitamento sono limitate esclusivamente al cibo ed agli stimoli collegati ad esso.
Infine, un individuo con Schizofrenia o con un altro Disturbo Psicotico può evitare certe attività in
conseguenza di deliri, ma non riconosce che la paura possa essere eccessiva o irragionevole.
Come preannunciato, paure di vario tipo sono molto comuni, particolarmente nella fanciullezza, ma
non giustificano una diagnosi di Fobia Specifica, a meno che vi sia interferenza significativa con il
funzionamento sociale, scolastico o lavorativo, oppure disagio marcato per la presenza del disturbo
stesso.
6.2 Test psicologici
La procedura di assessment principale per le Fobie Specifiche consiste nel Behavioral Avoidance
Test (BAT; Prova di Evitamento Comportamentale), (Lang e Lazovik, 1963). Essa consiste nel
chiedere alla persona di avvicinarsi il più possibile allo stimolo temuto fino a quando si stente
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impossibilitata a procedere oltre; la distanza fisica dallo stimolo è utilizzata per quantificare il
grado di evitamento. Inoltre, all’individuo viene richiesto di valutare il grado di ansia provato a
diverse distanze dallo stimolo. L’unità di disagio soggettiva (SUD) viene comunemente utilizzata
per la stima dei livelli di ansia: essa consiste in una scala 0-100 dove 0 = nessun disagio e 100 =
disagio estremo. Alla persona viene dunque richiesto di graduare la propria paura e durante
questo compito può essere importante rilevare sia l’esistenza di comportamenti di protezione, che
il tipo e la natura delle cognizioni del paziente. Poiché il BAT può poi essere riutilizzato durante il
trattamento per guidare l’eventuale esposizione graduale, sia in vivo che in immagine, l’attenta
analisi di fattori protettivi può permetterne una valida applicazione.
Molti autori (Gervais et al., 2007) ritengono utile l’utilizzo del MMPI-2 come test ad ampio spettro per
identificare eventuali altri disturbi non emersi durante il colloquio, oltre ad una Fobia Specifica.
Qualora emergano dati discordanti od ambigui dai colloqui clinici e dalle analisi del test MMPI-2, nelle
indagini relative ai Disturbi d’Ansia, può essere utile utilizzare il Cognitive Behavioural Assessment,
CBA-2.0 (Bertolotti et al., 1985); si tratta di una batteria di più test a vasto spettro, che mira a
molteplici scopi: fornire una precisa valutazione dei problemi che il soggetto lamenta; fornire
indicazioni sugli approfondimenti più appropriati per una loro comprensione; raccogliere in modo
uniforme un'anamnesi psicosociale del soggetto; dare un ampio ventaglio di valori basali iniziali,
rispetto ai quali valutare l'evoluzione del caso e l'esito di un eventuale trattamento; fornire misurazioni
di alcuni costrutti psicologici di primaria importanza quali l'ansia di stato, la depressione, le paure, le
ossessioni, le compulsioni, i disturbi psicofisiologici; dare una valutazione di alcune variabili di tratto
costituenti indici prognostici riferiti al rischio del soggetto di sviluppare, in presenza di determinate
pressioni ambientali, disturbi e disadattamento; suggerire infine ipotesi relative alle relazioni funzionali
che possono intercorrere tra problemi e disturbi attuali ed eventuali manifestazioni disadattive presenti
nell'ambito familiare e socio-professionale del soggetto.
Il CBA-2.0 è stato pensato come sussidio per lo psicologo nel corso delle diverse operazioni di
valutazione iniziale del caso e come fonte di suggerimenti, ipotesi ed informazioni addizionali.
7. Modalità di trattamento
7.1 Approccio terapeutico cognitivo-comportamentale:
Esposizione graduale in vivo, Desensibilizzazione Sistematica ed Applied Relaxation
Notoriamente il trattamento delle Fobie semplici ha rappresentato una delle primissime applicazioni
della Behavior Therapy ed una delle prove più convincenti della non fondatezza degli assunti della
psicoanalisi. Negli anni ‘20, Mary Cover Jones (1924) illustrava una procedura di decondizionamento
per esposizione in vivo graduale su un bambino, Peter, che aveva paura di un ratto bianco, di un
coniglio, di una pelliccia, di piume e cotone. Alla fine degli anni ‘50, Wolpe (1958) sviluppava la
Desensibilizzazione Sistematica (DS), una tecnica che mira all’inibizione dell’ansia tramite il
condizionamento di risposte antagoniste alla stessa, rappresentate dal rilassamento ad esempio; in tal
modo, tramite la desensibilizzazione sistematica, il paziente impara a reagire a determinati stimoli che
in precedenza suscitavano l’ansia mettendo in atto la nuova risposta condizionata di rilassamento.
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Tecnicamente quindi, la Desensibilizzazione Sistematica consiste nell’insegnamento di una forma di
rilassamento (in genere il rilassamento muscolare profondo di Jacobson) e nella costruzione di una
gerarchia dell’ansia con la quale il terapeuta cerca di ottenere dal paziente una lista di stimoli - da
quello meno disturbante a quello più fobico - che attivano l’ansia stessa (Goldwurm et al., 2003).
Compiuti questi passi, il terapeuta incoraggia il paziente a raggiungere uno stato di rilassamento
profondo e quindi ad immaginare lo stimolo meno ansiogeno nella gerarchia dell’ansia. Tale prova
viene ripetuta finché il paziente non proverà più ansia immaginando quello stimolo. La terapia andrà
così avanti fino a che non si sarà passata in rassegna tutta la gerarchia. Nel processo appena descritto
sono molte le componenti critiche che determineranno la riuscita del trattamento: le capacità
immaginative del paziente, il grado di rilassamento raggiunto, le capacità di automonitoraggio delle
proprie reazioni emotive e la graduazione della gerarchia stessa. Con le tecniche in immagine il rischio
rimane poi sempre rappresentato dalla possibilità di avere problemi con la generalizzazione delle
risposte acquisite in un contesto reale. Per questo motivo si suole unire, o addirittura sostituire, questa
tecnica, con quelle di esposizione in vivo, più o meno graduali. Tali tecniche si basano sul principio
dell’abituazione dell’ansia; in altre parole, se il soggetto rinuncia a praticare i propri meccanismi di
evitamento e si espone alla situazione temuta per un periodo sufficientemente lungo, assisterà
inevitabilmente ad un calo dell’ansia soggettiva (Stern e Marks, 1973). Diverse esposizioni di questo
tipo porteranno all’estinzione della Fobia poiché la situazione stimolo eliciterà solo un’ansia
trascurabile. In effetti, l’esposizione più o meno graduata è considerata oggi il trattamento elettivo per
le Fobie (Galeazzi e Meazzini, 2004).
Ulteriori variazioni delle procedure descritte sono state fornite da Öst e colleghi; questi autori hanno
messo a punto una tecnica chiamata “Applied Relaxation” che si basa sul concetto di coping skills. In
altre parole, ai pazienti vengono insegnate tecniche di rilassamento che li mettano nella condizione di
gestire l’ansia elicitata dalla situazione temuta. Il fine di questa tecnica è duplice: insegnare al
paziente a riconoscere i primi segni di ansia ed imparare a gestire questa stessa emozione senza
sentirsi sopraffatti; in tal senso si andrebbe a lavorare indirettamente anche sull’aumento del senso di
autoefficacia del paziente (Öst et al., 1993).
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Andrea: un caso di Cinofobia. PRESENTAZIONE DEL CASO
1. Informazioni generali
1.1 Generalità del paziente
Andrea nasce il 23/06/86 a Siena ed è residente a Poggibonsi con la famiglia d’origine composta
attualmente da madre, padre e fratello minore di un anno.
Dopo aver conseguito il diploma di scuola media inferiore, per seguire i compagni di classe ha iniziato
gli studi di ragioneria nel paese di residenza, ma dopo un anno, non entusiasta di questa esperienza
decide di lasciare la scuola ed andare a lavorare in una ditta edile come operaio/magazziniere.
Dopo essere stato dal 2000 un volontario nella Croce Rossa Italiana, attualmente lavora per
l’associazione come soccorritore professionista a Poggibonsi e percepisce dunque uno stipendio
mensile fisso. La madre è ragioniera in uno studio commerciale ed il padre è impiegato in banca; il
fratello Giuliano è anch’egli un soccorritore per l’associazione Misericordia di Siena.
1.2 Caratteristiche della relazione
Andrea prende contatti telefonici con la psicologa autonomamente, richiedendo, senza approfondire
oltre, una consulenza; reperisce il numero di telefono nella stessa sede di lavoro tramite alcuni biglietti
da visita in possesso di un collega e viene dunque fissato un incontro per la settimana successiva.
Al termine del primo colloquio vengono spiegate ad Andrea le caratteristiche dei successivi incontri e
la loro finalità: la durata, la frequenza e le modalità di colloquio degli incontri saranno tesi inizialmente
a riconcettualizzare il problema da lui riportato, mettendo insieme i vari elementi che lo hanno
condotto a formulare tale richiesta; una volta definito in modo operativo il problema riferito, sarà
possibile formalizzare una proposta d’intervento e, qualora questa venga accettata si procederà
lavorando per obiettivi specifici e delimitati il più possibile nel tempo.
Viene quindi stabilita una frequenza di incontri settimanale della durata di 45 minuti ciascuno e viene
chiarito che i primi 4 incontri serviranno ad esplicitare una diagnosi ed a raggiungere una più chiara
concettualizzazione del caso.
2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di test)
2.1 Richiesta dell’utente
In data 14/02/06 Andrea si presenta puntuale al primo appuntamento; è visibilmente nervoso: parla
con un tono di voce molto alto e tende ad agitarsi sulla sedia. Come da lui suggerito emerge
immediatamente che è una persona molto timida ma, seppur non guardando quasi mai in faccia la
psicologa, esprime in termini chiari la propria richiesta: superare una paura per i cani che, soprattutto
negli ultimi tempi, ha influito molto sulla qualità della sua vita, sia in ambito lavorativo che in quello
personale.
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2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio
Sebbene conviva con questa paura da molti anni, essa è diventata limitante, solo recentemente, a
partire da uno specifico episodio: in data 05/01/06, Andrea risponde ad una chiamata sul lavoro, un
uomo di 65 anni ha avuto un malore ed è riuscito ad avvertire l’ambulanza, si sospetta un attacco
cardiaco. Egli raggiunge l’abitazione dell’utente con il collega responsabile dell’ambulanza ed entra
dunque da solo; dopo aver superato il cancello di fronte alla casa dell’uomo, Andrea vede arrivargli
incontro un cane di medie dimensioni; egli continua a camminare per andare ad effettuare il soccorso,
ma dopo pochi passi verso l’animale non riesce a proseguire oltre ed indietreggia verso l’ambulanza
allontanandosi dalla casa; una volta tornato al mezzo chiede al collega che vi era rimasto sopra di
sostituirlo. Spiega che per regolamento, la persona addetta alla guida e dotata quindi di idonea
patente, non deve mai lasciare la propria postazione in quanto, se subisse un infortunio, nessun altro
la potrebbe sostituire. Dal momento che Andrea non ha neanche la patente di guida B, per le
autovetture, egli chiede al partner di commettere per lui una grave infrazione al loro codice.
Anche se non è stato richiamato formalmente per l’accaduto, egli sente di aver deluso profondamente
i colleghi, che comunque sono venuti a conoscenza del fatto, e forse soprattutto a causa di questo
sentimento ha deciso di porre rimedio alla situazione.
Per quanto riguarda la condizione familiare i genitori sembrano molto protettivi nei suoi confronti, ma
non pietosi e quando ha raccontato loro l’accaduto sul lavoro, la madre in particolare non ha biasimato
il terrore del figlio, ma l’ha spinto a chiedere un aiuto per poter superare il problema una volta per
tutte; il padre si è principalmente stupito e confessa di non aver mai ritenuto tanto grave la paura che
il figlio ha da molti anni nei confronti dei cani; infine il fratello ha invece reagito prendendolo un po’ in
giro, ma Andrea riferisce che questo accade sempre. Giuliano infatti, pur avendo 1 anno in meno, è
sempre stato più brillante e di successo di lui: buoni voti a scuola, patente di guida presa al primo
esame, nessun problema relazionale e sentimentale con le ragazze; egli è dunque solito schernire il
fratello per i continui fallimenti su tutti questi fronti e, sapere che Andrea è scappato da una casa a
causa della presenza di un cane è stata una situazione perfetta per continuare ad avere questo
atteggiamento derisorio.
Per quanto riguarda i rapporti sociali al di fuori della famiglia, Andrea ha un legame quasi fraterno con
Filippo, più grande di lui di 11 anni e vicino di casa che ha intrapreso la carriera di soccorritore
professionale per la Croce Rossa Italiana durante la leva militare nel corpo sanitario. La famiglia di
Andrea ha sempre stimato molto questo ragazzo gentile e volenteroso e, quando Filippo ha proposto
ad Andrea di intraprendere lo stesso percorso in ambito civile, ne sono rimasti tutti molto entusiasti.
Dopo quasi 10 anni di volontariato, attualmente Andrea risulta regolarmente assunto, con un contratto
ad ore che non gli permette una vita molto agiata, ma la famiglia lo sostiene e lui si ritiene felice di
aver intrapreso questa strada. Poiché è il più giovane fra i soccorritori, i suoi colleghi di lavoro, primo
fra tutti lo stesso Filippo, sono molto affettuosi con lui e tendono a perdonargli anche alcuni errori.
Al di fuori dell’ambiente lavorativo Andrea frequenta alcuni ex compagni di scuola, anche se molto
raramente, preferendo la compagnia dei colleghi anche dopo la fine del turno.
Egli non pare svolgere un ruolo attivo in nessun ambito si trovi, sembra piuttosto mimetizzato con
l’ambiente che lo circonda e poco determinante sulle scelte generali del gruppo. Egli racconta poi una
81
certa difficoltà a prendersi le proprie responsabilità nell’eventualità di tollerare un errore; qualora
questo sopraggiunga nell’ambito lavorativo infatti, non è inusuale che i colleghi più anziani lo coprano
con i superiori.
Attualmente sta ripetendo per la IV° volta consecutiva l’esame teorico per prendere la patente di
guida; si definisce a riguardo molto frustrato e decisamente arrabbiato con se stesso; aggiunge che,
anche se preparato, quando si trova a svolgere la prova ha l’impressione di non comprendere le
parole che legge, come se fossero scritte in una lingua sconosciuta; questo non accade quando è
invece rilassato e, anche in seduta, la qualità della lettura appare subito buona, sebbene Andrea sia
distratto dall’effettuare una buona performance e nel riferire vocalmente quello che ha appena letto
abbia alcune lacune. Andrea non dimostra di avere un problema con il linguaggio scritto
indipendentemente dai livelli di ansia ed anche questi, possono offrire dei risultati molto variabili. Egli
sembra comunque temere molto un eventuale giudizio negativo da parte degli altri e spesso tende ad
evitarlo attivamente, a volte in modo funzionale, altre meno; per esempio egli può prepararsi
documentandosi e studiando prima di un esame, ma può anche nascondere le “prove” di un eventuale
errore, anche grave. Per quanto riguarda l’episodio del suo mancato soccorso dell’uomo con probabile
attacco cardiaco a causa del cane nel cortile, egli chiede infatti al collega di non tradirlo con i
superiori, ma si rende anche conto di dover risolvere questo problema affinché non si ripeta
nuovamente una situazione del genere.
2.3 Storia del problema
Fin dalla prima seduta, tenuta il 14/02/2006, si evince come questa Fobia si sia instaurata e
mantenuta coerentemente alla classica teoria bifattoriale di Mowrer (1960).
Andrea ha sempre vissuto in una villetta bifamiliare con la famiglia di origine al secondo piano, mentre
al primo risiede il fratello della madre con la moglie; la casa è completamente circondata da un
giardino attraversato da un vialetto in pietra e fin da prima della sua nascita, il cane dello zio, un
setter di taglia media molto mansueto, vi veniva lasciato libero.
Nel 1991, Andrea girando in bicicletta nel gradino comune, nell’appoggiare un piede a terra perde
l’equilibrio ed atterra sul bordo della ciotola del cane dello zio che in quel momento sta mangiando,
facendola saltare; l’animale, impaurito da questo movimento improvviso afferra lo stinco del bambino
con un morso, senza però serrare i denti, tanto che non si registrano conseguenze di tipo fisico.
Andrea racconta che, nonostante non avesse sentito male e non biasimi per niente il comportamento
del cane, probabilmente allora più impaurito di lui, non riesce ad avvicinare questo animale. Poiché
subito dopo quanto accaduto ha manifestato incoercibili crisi di pianto ogni volta che era necessario
uscire di casa, dopo qualche mese lo zio decise di portare l’animale in uno spazio idoneo in campagna,
dove si recava ogni giorno per curare un piccolo orto.
Come allora Andrea evita attivamente ogni tipo di cane, anche i più piccoli; elude i posti dove sa che
può trovarne uno, quindi strade di abitazioni con giardini dove potrebbe esservi questo animale, case
di amici o di eventuali ragazze che hanno un cane. Egli ha inoltre sviluppato una certa attenzione
selettiva per cui è molto rapido nel cogliere dettagli e parziali indizi relativi alla presenza dell’animale,
82
a volte confondendo gli indizi parziali offerti dall’ambiente, ma prima dell’avvenimento del 05/01/2006,
questa paura non aveva mai rappresentato per lui una reale limitazione di vita.
2.4 Motivazione
Andrea pare molto motivato alla risoluzione del problema, anche se si mostra scettico sui risultati
finali. Egli sente di aver perso la stima dei suoi colleghi e vuole assolutamente rimediare.
2.5 Strumenti psicodiagnostici
Poiché la richiesta è molto specifica ed il giovane desidera un intervento mirato e veloce per la
soluzione di questo problema, si decide di utilizzare il BAT per verificare il suo grado di evitamento dei
cani attraverso la costruzione di una SUD (scala di disagio soggettivo); in questo modo sarà possibile
valutare la severità della Fobia, i livelli di limitazione che ha sulla vita di Andrea e la presenza di
eventuali fattori protettivi; sarà poi possibile utilizzare la scala ottenuta nell’eventuale fase di
trattamento, sia che s’intenda proseguire con delle sedute di Esposizione in Vivo, o in Immagine, che
con una Desensibilizzazione Sistematica.
Durante l’esecuzione del test BAT, in data 28/02/06, emerge immediatamente una difficoltà molto
grande anche solo ad immaginare una situazione in cui egli si possa trovare ad una certa vicinanza dai
cani ed anche a livello fisiologico si notano diverse modificazioni: diventa rosso in viso ed inizia a
sudare e, ogni qual volta la psicologa ripete i vari livelli del test egli serra forte gli occhi, come se
stesse vivendo la stessa paura nel momento in cui gli viene presentata verbalmente.
Si decide quindi di utilizzare dei disegni e delle fotografie di cani di diversa taglia e nelle più disparate
pose o posture comportamentali, ma Andrea non prova ansia in questa situazione, sostenendo
divertito che sono soltanto delle immagini; se ne deduce quindi che egli è in grado di immaginare in
modo molto vivido le situazioni richieste per valutarne il grado di evitamento; tale capacità potrebbe
essere ben sfruttata qualora accettasse la terapia, lasciando quindi aperta la possibilità di
un’Esposizione sia in Vivo che in Immagine, sia secondo il principio di saturazione, appunto con
un’Esposizione, che per quello di controcondizionamento, con l’applicazione della Desensibilizzazione
Sistematica.
Presentiamo di seguito la scala graduata ottenuta con il BAT:
BAT per i cani - Paura 100 SUD
Toccare un cane libero in un ambiente chiuso. 100
Toccare un cane libero in un ambiente aperto. 95
Toccare un cane legato in un ambiente chiuso. 90
Toccare un cane legato in un ambiente aperto. 80
Stare in un luogo chiuso con un cane legato a 2 mt di distanza. 70
Stare in un luogo aperto con un cane legato a 2 mt di distanza. 60
Stare in un luogo chiuso con un cane legato a 5 mt di distanza. 50
Stare in un luogo aperto con un cane legato a 5 mt di distanza. 40
Stare in un luogo chiuso dove al di là di un cancello chiuso od un muro vi è un cane. 30
Stare in un luogo aperto dove al di là di un cancello chiuso od un muro vi è un cane. 20
Tab. 1 Scala gerarchica Unità di Disagio Soggettivo per i Cani.
83
Nella stessa data si decide anche di somministrare il test MMPI-2, al fine di poter evidenziare un
eventuale quadro psicopatologico più ampio; riportiamo quindi i grafici ottenuti dall’elaborazione del
test ed una breve relazione esplicativa sulla base dei criteri descritti da Butcher e Williams (Butcher e
Williams, 1996).
Scale Cliniche
5258
47
5561
5249
41
55
42
49 5155
30
40
50
60
70
80
90
100
28/02/2006 52 58 47 55 61 52 49 41 55 42 49 51 55
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 2 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 28/02/06
Scale Supplementari
5258
6156 57 55
64
5155
30
40
50
60
70
80
90
100
28/02/2006 52 58 61 56 57 55 64 51 55
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 3 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 28/02/06
Scale di Contenuto
6661
5862
45
55 57
48 50
43
65
57
49
57 56
30
40
50
60
70
80
90
100
28/02/2006 66 61 58 62 45 55 57 48 50 43 65 57 49 57 56
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 4 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 28/02/06
84
Dall’analisi del test MMPI-2 emerge come i valori delle scale di validità indichino un esame valido,
mentre quelle cliniche determinino l’assenza di patologie specifiche anche a livello subclinico.
Dall’analisi delle scale supplementari emergerebbe invece la scala PK sebbene il suo valore sia al limite
della norma, PK = 64; esso potrebbe essersi innalzato a causa dell’evento riportato dallo stesso
utente, come fattore precipitante del suo attuale disturbo. Anche l’elevazione delle scale di contenuto
ANX = 66 e LSE = 65 si potrebbero considerare contestuali a tale avvenimento, che l’ha
probabilmente fatto sentire inadeguato in quella situazione generando plausibilmente un
abbassamento dell’autostima.
2.6 Analisi funzionale
Viene chiesto ad Andrea di provare alcune delle situazioni che ha presentato durante la prima seduta
e di descrivere l’evento compilando delle schede di automonitoraggio, in formato di ABC cognitivo
(Ellis, 1989); per ogni situazione dovrà riportare i pensieri automatici che ha avuto e le conseguenze
suddivise in caratteristiche di natura emotiva, fisiologica e comportamentale; riportiamo qui di seguito
alcuni esempi tratti da questa attività:
14/02/06 ore 14.30
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura.
Fisiologiche: palpitazioni, sudorazione.
Andrea di ritorno da lavoro
passa davanti ad una casa con
inferriata dietro la quale abbaia
un cane, anche se non è visibile.
“Accidenti a me che ci sono venuto
a fare?!”, “E se il cancello venisse
aperto?!”, “Cosa faccio se il cane
esce?!”, “Se il cane esce mi
morderà!”.
Comportamentali: resiste qualche
secondo ma poi se ne va rapidamente.
Tab. 2 Esempi di analisi funzionale, come riportati dal paziente.
16/02/06 ore 19.40
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: Paura/panico.
Fisiologiche: palpitazioni forti, sudorazione,
senso di agitazione crescente, debolezza
nelle gambe.
Andrea sta andando a prendere un
amico che ha un cane che
solitamente è legato nel giardino di
fronte a casa e, anziché aspettarlo in
macchina scende dall’auto, ma non
sa dove si trovi l’animale.
“Non lo sento abbaiare”,
“Chissà dov’è”, “Ma
quanto ci mette Luca a
scendere?”, “Basta devo
rientrare in macchina”. Comportamentali: dopo pochi secondi
rientra in macchina.
Tab. 3 Esempi di analisi funzionale, come riportati dal paziente.
Non appena si allontana dal presunto pericolo, l’ansia di Andrea crolla immediatamente e le funzioni
fisiologiche ritornano subito normali; egli però in questo modo offre alla sua Fobia un rinforzo negativo
costante, tanto da aver generalizzato questa paura inizialmente relativa solo al cane dello zio, ad una
estesa a tutti i cani, anche quelli molto piccoli; egli inoltre ha normalizzato le limitazioni nella propria
autonomia, rendendosi conto solo di recente delle reali conseguenze sulla propria libertà.
85
2.7 Diagnosi DSM-IV: F 40.2 Fobia Specifica - Tipo Animali [300.29]
Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, esistono 7 criteri fondamentali per
poter fare una diagnosi di Fobia Specifica e sono poi presenti alcuni sottotipi per una migliore
indicizzazione. Si elencano qui di seguito i criteri del testo:
A. Paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di
un oggetto o situazione specifici
B. L’Esposizione allo stimolo fobico quasi invariabilmente provoca una risposta ansiosa immediata,
che può prendere forma di Attacco di Panico situazionale o sensibile alla situazione.
C. Nota Nei bambini l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, con l’irrigidimento o
con l’aggrapparsi a qualcuno.
D. La persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole.
E. Nota Nei bambini questa caratteristica può essere assente.
F. La situazione (le situazioni) fobica viene evitata oppure sopportata con intensa ansia o disagio.
G. L’evitamento, l’ansia anticipatoria od il disagio nella situazione (situazioni) temuta interferiscono in
modo significativo con la normale routine della persona, con il funzionamento lavorativo (o
scolastico), o con le attività o le relazioni sociali, oppure è presente disagio marcato per il fatto di
avere la Fobia.
H. Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi.
I. L’ansia, gli Attacchi di Panico o l’evitamento fobico, associati con l’oggetto o situazione specifici
non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come il Disturbo Ossessivo-Compulsivo,
il Disturbo Post-traumatico da Stress, il Disturbo d’Ansia da Separazione, la Fobia Sociale, il
Disturbo di Panico con Agorafobia o Agorafobia senza Anamnesi di Disturbo di Panico.
Per i dati raccolti fino a questo momento Andrea risponde chiaramente a tutti i criteri enunciati; la
specifica del sottotipo è Tipo Animale ed in particolar modo “cane”; egli non presenta altre paure né
situazionali né per animali diversi.
2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento
Si presentano in questa sezione i fattori predisponenti individuali, soffermandoci principalmente su
quelli appresi, ma provando ad arrivare agli schemi profondi che caratterizzavano la personalità del
paziente anche nelle fasi premorbose di questo disturbo. In realtà non si osservano fattori favorenti
particolari: Andrea è un ragazzo esteticamente robusto ed ammette di non aver sentito male quando il
cane l’ha morso nel lontano 1991; anche la famiglia, durante e subito dopo quell’incidente, non ha
drammatizzato l’accaduto ed ha insistito perché tornasse immediatamente a giocare nel cortile con
l’animale. Dai colloqui emerge però che è tendenzialmente una persona che soffre spesso di ansia da
prestazione, come nel caso dell’esame di scuola guida, quindi questo può essere considerato il terreno
fertile sul quale si è instaurato il disturbo. Allo stesso tempo, poiché non si rilevano caratteristiche
tipiche del perfezionismo, ma solo una sana ambizione, questa sua modalità di essere competente sul
proprio lavoro è anche la spinta principale a liberarsi del problema che, solo dopo aver inciso in questo
ambito è divenuto tale anche per il ragazzo.
86
Fin dalla prima esperienza negativa con i cani, egli ha sempre evitato di trovarsi in situazioni dove
fossero presenti questi animali: case di amici, della ragazza, di parenti e tale Fobia, fino a questo
momento, seppur molto limitante non l’aveva mai ostacolato sulla sfera lavorativa.
Il meccanismo di mantenimento del disturbo è quindi nutrito solo dall’evitamento perché a livello
razionale egli è ben consapevole di comportarsi in modo irragionevole.
Riassumendo attraverso un’analisi funzionale macro, quando Andrea si trova ad esporsi ad una
situazione in cui sia presente un cane, i suoi pensieri automatici sono relativi alla possibilità che questo
gli si avvicini e lo aggredisca; successivamente egli prova un’intensa paura che si accompagna a
manifestazioni fisiologiche di ansia: palpitazioni, tachicardia, sudorazione, etc.; ne consegue una
reazione di fuga o la permanenza nella situazione con una bassa tolleranza alla stessa e solo se ha la
certezza che il cane è fisicamente impossibilitato ad avvicinarsi a lui oltre 5 metri. Ogni volta che si
allontana dalla situazione temuta egli poi nutre la propria paura grazie al rinforzo negativo e, a
distanza di molti anni, anche se la sua condizione l’ha limitato nell’autonomia e nelle scelte,
attualmente ha intaccato un’area della propria vita cui tiene molto, quella lavorativa.
Indagando più in profondità questa Fobia, emerge che Andrea è convinto che un cane non solo
potrebbe aggredirlo, ma arrivare ad ucciderlo, così come ha spesso appreso dai telegiornali o dai
quotidiani. Egli crede che avendo paura dei cani, essi possano percepirlo ed approfittarne e, poiché
non sa come smettere di provare questa emozione nei loro confronti, non può far altro che starne
lontano.
La proposta d’intervento è quindi quella di chiarire, attraverso lo studio e la discussione, quali sono in
generale le caratteristiche comportamentali dei cani per comprendere in linea di massima quando
probabilmente non è pericoloso avvicinarsi a questi animali.
Per quanto riguarda il superamento della Fobia Specifica, viene proposta un’Esposizione Graduale in
Vivo, utilizzando il BAT come trama per la sua attuazione. Avendo a disposizione diversi cani del canile
municipale di Certaldo ed un appropriato spazio per il trattamento, si è dunque optato per questa
soluzione anziché per la Desensibilizzazione Sistematica, visti gli studi di efficacia relativamente
all’Esposizione graduale in Vivo per il superamento delle Fobie Specifiche (Öst, 1993).
Si ipotizza che fin dai primi mesi, l’Esposizione alla situazione accompagnata dalla maggior conoscenza
sui cani acquisita tramite lo studio e la discussione dei concetti appresi, possa aumentare il senso di
autoefficacia personale nell’affrontare la terapia, migliorando quindi la motivazione e cancellando ogni
titubanza residua.
Si ipotizza inoltre che, a lungo termine, dopo un lasso di tempo di circa 4 mesi, continuando con le
esposizioni graduali il giovane possa superare completamente il problema presentato.
Andrea accetta con un po’ di titubanza questo contratto; pur manifestandosi motivato a seguire la
terapia con impegno ed un’alta aspettativa di miglioramento della propria qualità di vita, appare
intimorito dal dover affrontare seppur in modo graduale, la presenza di un cane.
87
3. Trattamento
Come l’assessment, anche per quanto riguarda questa fase, vengono stabiliti incontri settimanali della
durata di 45 minuti l’uno. Questa cadenza verrà mantenuta per 12 incontri; viene inoltre stabilito fin
dall’inizio un nuovo appuntamento a distanza di 6 mesi dal termine del trattamento, per una seduta di
follow-up, tesa alla verifica del mantenimento degli eventuali risultati ottenuti. Come annunciato nella
proposta d’intervento, i cani e gli spazi saranno forniti dal canile del Comune di Certaldo, dove si
svolgono anche le sedute proposte; questi animali infatti sono coperti da assicurazione, sono lieti di
essere liberati dalle loro gabbie e possono essere intercambiati tra loro svariate volte al fine di evitare
che l’aumento di conoscenza di Andrea, per un solo cane, possa mandare in abituazione la sua paura,
rendendo quindi inutile il passaggio da un livello a quello successivo. Andrea viene inoltre invitato a
continuare a compilare le schede di automonitoraggio nelle situazioni quotidiane in cui si trova a
sperimentare la sua Fobia.
3.1 Svolgimento delle sedute
Durante la prima seduta di trattamento, in data 14/03/06 Andrea viene invitato a leggere assieme alla
psicologa vari articoli e parti di alcuni libri che parlano del comportamento animale e vengono
evidenziati alcuni atteggiamenti e comportamenti come tipici segnali amichevoli: scodinzolare, buttarsi
a terra e mostrare la pancia, accucciarsi e così via. Una volta commentato il materiale, la seduta
continua al canile comunale di Certaldo, dove li attende uno dei volontari il quale parla dei cani e
presenta quelli che verranno forniti per il successivo trattamento, raccontandone le caratteristiche
caratteriali ed una breve storia di vita.
Nelle sedute tenute dal 21/03/06 al 04/04/06 Andrea viene invitato ad esporsi alla propria paura
seguendo la gradazione ottenuta con la stesura del BAT e si trova quindi a sperimentare le prime 3
situazioni accompagnato dalla psicologa, la quale si accerta che, durante la seduta, egli non utilizzi
comportamenti protettivi o forme di evitamento covert.
Durante l’esposizione verrà compilata una scheda sulla quale sarà annotata: l’unità di disagio
soggettivo riferita durante la stesura della graduatoria (SUD), il tempo che è rimasto esposto affinché
la sensazione d’ansia fosse calata (T) ed il numero di ripetizioni sostenute della stessa situazione per
ritrovare il solito livello d’ansia riferito alla fine dell’esposizione precedente (Rip.). Si richiede infatti che
prima di passare alla situazione immediatamente più fobica, Andrea provi a sottoporsi nuovamente a
quella che ritiene di aver superato e, qualora il livello d’ansia ritorni ad essere più alto, vi si sottoponga
nuovamente, prima di proseguire. Riportiamo di seguito i risultati per i primi 3 passi affrontati:
BAT per i cani - Paura 100 SUD T SUD Rip.
IV° - Stare in un luogo chiuso con un cane legato a 5 mt di distanza. 50
III° - Stare in un luogo aperto con un cane legato a 5 mt di distanza. 40 35’ 10 3
II° - Stare in un luogo chiuso dove al di là di un cancello vi è un cane. 30 20’ 5 2
I° - Stare in un luogo aperto dove al di là di un cancello chiuso od un muro vi è un
cane.
20 20’ 5 2
Tab. 4 Scheda di valutazione durante l’Esposizione ai cani nei primi 3 step.
88
Si è utilizzato il parcheggio di fronte al canile ed uno spazio antistante le gabbie dove si trovano gli
animali, riservato al magazzino, per le situazioni descritte rispettivamente al 1° ed al 2° step, mentre,
per tutte le altre, si userà un cortile esterno dove possono essere accompagnati ed anche legati in
tutta sicurezza i cani ed uno interno che è adibito alla loro toelettatura. Si evince dalla tabella che per
la situazione “Stare in un luogo aperto con un cane legato a 5 mt di distanza” Andrea si è recato
nuovamente al canile dopo l’esposizione condotta durante la seduta; in data 06/04/06 in compagnia
della madre, egli ha effettuato ancora una volta questa esperienza, dal momento che è quella che ha
finora considerato più difficoltosa.
Nonostante il canile abbia dato disponibilità per alcuni cani, durante questi primi passi è stato
impiegato sempre lo stesso, un meticcio di taglia media, molto silenzioso e tranquillo che ha abbaiato
solo nelle prime due esposizioni perché richiamato dalla voce della psicologa, mentre, nella situazione
in cui era legato ad una distanza di 5 mt, dopo i primi 15 minuti di comportamenti festosi si è rilassato
e non si è mosso più di tanto.
In questo periodo non ci sono stati avvenimenti particolari che hanno portato Andrea a sperimentare
la propria Fobia, fatta eccezione per il cane dell’amico Luca che l’ha indotto ad una fuga fulminea dal
cortile dell’amico:
31/03/06 ore 23.00
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura/panico.
Fisiologiche: palpitazioni, sudorazione,
sensazione di calore al viso ed alle orecchie.
Andrea si reca a casa dell’amico
Luca ed in sua presenza oltrepassa il
cancello, convinto che il cane sia
chiuso nel proprio recinto. Appena
l’animale sente aprire il cancello si
dirige verso di loro abbaiando.
“Oddio sta arrivando!”,
“Devo provare a resistere
tanto Luca lo tratterrà”,
“Non ce la faccio devo
andarmene!”
Comportamentali: scappa dal cortile della
casa dell’amico, lo saluta e torna alla propria
abitazione rimandando la serata.
Tab. 5 Esempi di analisi funzionale, come riportati dal paziente.
Dal resoconto verbale di questa esperienza si evince come Andrea si senta un po’ scoraggiato
dall’accaduto, ma forse ancora più motivato a proseguire con il trattamento. Inoltre egli appare più
“clemente” nei confronti di se stesso. Sembra che si renda conto che il suo impegno debba essere
costante e prolungato nel tempo e che si preoccupi un po’ meno dell’opinione altrui, anche perché ha
avuto modo di rivalutarla; l’amico Luca, che spesso lo ha preso in giro per la sua paura dei cani, era
sinceramente dispiaciuto per l’accaduto e, entrando nel proprio cortile assieme ad Andrea non aveva il
minimo dubbio che il cane fosse nella propria cuccia a dormire, isolato dal resto del giardino.
Nei 3 incontri successivi, durante il mese di Aprile, Andrea continua il suo programma di esposizione
assieme alla psicologa nel canile e vengono affrontate le seguenti situazioni riassunte nella tabella di
monitoraggio:
BAT per i cani - Paura 100 SUD T SUD Rip.
VII° - Toccare un cane legato in un ambiente aperto. 80
VI° - Stare in un luogo chiuso con un cane legato a 2 mt di distanza. 70 45’ 15 4
V° - Stare in un luogo aperto con un cane legato a 2 mt di distanza. 60 35’ 15 4
IV° - Stare in un luogo chiuso con un cane legato a 5 mt di distanza. 50 35’ 15 4
Tab. 6 Scheda di valutazione durante l’Esposizione ai cani negli step 4-6.
89
Anche in questo caso è necessario che, dopo la seduta di esposizione in compagnia della psicologa,
Andrea si rechi al canile nuovamente per provare ancora gli step assegnati. Egli racconta che non
riesce ad abbassare la soglia dell’ansia sotto il livello autoriferito di 15, soprattutto per la situazione in
cui si trova in uno spazio chiuso. Dopo l’impiego del primo cane, per sottoporsi la IV° ed ultima volta
alla situazione attualmente più temuta, ne è stato scelto un altro: il nuovo esemplare è ancora di
taglia media ma molto più giovane e vivace del primo e, forse perché le distanze sono ridotte, mostra
diversi comportamenti classificabili come amichevoli (scodinzola, guaisce, si butta a terra di colpo,
etc.) cercando di attirare l’attenzione dei suoi osservatori ed eventualmente una carezza che però in
questa fase non arriva da Andrea. Egli racconta che trova molto dolce questo animale e che avrebbe
voglia di avvicinarsi a lui, ma che la paura è troppo forte e, anche solo stare ad una distanza di 2
metri, soprattutto nella stanza chiusa, è per lui davvero difficoltoso; questo trova conferma con la
comunicazione dell’abbassamento dell’unità di disagio soggettivo avvertito che, pur raggiungendo un
valore relativamente basso, 15, necessita di molto tempo (nella prima prova, tutta la seduta con la
psicologa; nelle successive impiega lo stesso tempo ma si fa accompagnare dalla madre).
Durante queste sedute egli ha avuto modo di tornare a casa dell’amico ed in sua presenza, ha provato
a fare una carezza al cane legato in giardino, comportamento spontaneamente rinforzato da Luca. Nel
riportare quanto accaduto manifesta un grande entusiasmo, sorride ed ha una postura impettita che
manifesta tutto l’orgoglio che prova per se stesso; essendo molto sensibile al giudizio altrui,
sentendosi fare i complimenti tanto stupiti e sinceri dall’amico, egli ha provato una grossa
soddisfazione personale ed aggiunge che il cane è stato molto calmo, come se rispettasse la sua
titubanza; si è fatto accarezzare mansuetamente mostrando la pancia ed il collo e quindi dimostrando
la sua non aggressività nei suoi confronti. Egli aggiunge che però, anche se sarebbe stato più comodo
chinato almeno in ginocchio, è rimasto invece in piedi piegando la schiena per raggiungere l’animale,
in quanto non voleva trovarsi in una posizione svantaggiosa qualora avesse “dovuto” allontanarsi
improvvisamente.
Egli riassume dunque questa esperienza attraverso una scheda di automonitoraggio:
30/04/06 ore 16.30
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: inquietudine.
Fisiologiche: palpitazioni.
Andrea è a casa dell’amico Luca che ha
legato il cane per evitare di spaventarlo.
Andrea gli chiede di raggiungere l’animale
e, dopo qualche minuto si avvicina con la
mano e lo accarezza.
“Bene guarda come sta
calmo!”, “Si è messo a
pancia in su quindi non
vuole aggredire”, “Che
bello!”
Comportamentali: rimane ad
accarezzare il cane finché non si
sente più tranquillo.
Tab. 7 Esempi di analisi funzionale, come riportati dal paziente.
Prima di proseguire oltre con le esposizioni programmate, viene richiesto ad Andrea di affrontare la
situazione “Toccare un cane legato in un ambiente aperto” da solo, perché ha avuto modo di fare
questa esperienza soltanto accompagnato; egli si reca quindi nel giardino da solo e dopo 10 minuti
riesce a toccare il cane, quello vivace, che vi trova già legato e pronto per la seduta del 02/05/06.
Dopo aver superato questa prova viene raggiunto dalla psicologa e dall’addetto del canile e la seduta
viene spostata all’interno della struttura per il passo successivo.
90
Andrea non manifesta particolari difficoltà nell’affrontare la situazione “Toccare un cane legato in un
ambiente chiuso”, soprattutto perché il cane è lo stesso che ha accarezzato nel cortile da solo e che,
ha potuto conoscere negli ultimi incontri. Poiché egli teme l’imprevedibilità dell’animale, anche se ha
imparato a riconoscere qualche segnale, viene chiesto al custode del canile di fornire un altro cane per
continuare le sedute e, l’VIII° step del programma viene affrontato con un meticcio, un incrocio tra un
pastore tedesco ed un boxer, quindi di dimensioni più grandi rispetto al precedente. L’animale è
particolarmente vivace e quando Andrea si avvicina egli si erge sulle zampe posteriori per offrirsi ad
una carezza incutendo, suo malgrado, un certo timore nel ragazzo. Ci vorranno 45 minuti prima che
egli riesca ad avvicinarsi tanto da poter toccare l’animale che, contrariamente alle sue aspettative, una
volta raggiunto si è accucciato per terra per lasciarsi accarezzare sulla pancia.
Anche in questo caso Andrea è tornato al canile da solo per ripetere l’esperienza ed ha sfruttato la
disponibilità dell’amico Luca per continuare ad esporsi anche al suo cane.
BAT per i cani - Paura 100 SUD T SUD Rip.
X° - Toccare un cane libero in un ambiente chiuso. 100
IX° - Toccare un cane libero in un ambiente aperto. 95 45’ 35 3
VIII° - Toccare un cane legato in un ambiente chiuso. 90 45’ 20 4
VII° - Toccare un cane legato in un ambiente aperto. 80 35’ 10 5
Tab. 8 Scheda di valutazione durante l’Esposizione ai cani negli step 7-9.
Nelle sedute tenute dal 02/05/06 al 16/05/06 come si evince dall’analisi della tabella 8 in questa
pagina, sono stati affrontati gli step più impegnativi ed anche i risultati sono stati quindi soddisfacenti
se non ottimali. Per la situazione “Toccare un cane libero in un ambiente aperto” sono stati utilizzati in
seduta, il primo cane proposto dal carattere mansueto e di taglia media e, nelle esposizioni individuali,
il cane dell’amico Luca. Egli riferisce che quando si trova a che fare con cani legati, se in presenza del
padrone o quando si sente relativamente sicuro di non venir aggredito tramite la lettura del
comportamento dell’animale, i livelli di ansia non superano mai una SUD pari a 20 e comunque, una
volta accarezzato l’animale, questa può calare anche fino a 10. Per quanto riguarda l’ultimo step
affrontato, “Toccare un cane libero in un ambiente aperto”, Andrea necessita di conoscere o di essere
con qualcuno che conosca bene il cane, oppure che questo sia di taglia piccola. Per arrivare a questa
conclusione sono state effettuate diverse prove ed i risultati sono stati che Andrea è molto spaventato
prima di iniziare la prova, che si trovi da solo od accompagnato, qualora abbia a che fare con un cane
di medie o grandi dimensioni, ma che l’ansia passi completamente una volta avuto il primo contatto
con l’animale; se il cane è piccolo, fin dall’inizio della prova egli invece non sente più un livello elevato
d’ansia.
In quest’ultimo periodo si è trovato nuovamente a dover affrontare una situazione, simile a quella che
l’aveva portato a rivolgersi ad uno psicologo: durante un soccorso sul posto, egli ha trovato nel
giardino della casa della persona che ha richiesto l’intervento, un cane di razza boxer. Egli sente
abbaiare da fuori e nonostante gli addestramenti finora affrontati riporta una SUD iniziale pari a 50;
dopo qualche secondo di esitazione egli però varca il cancello, ignora il cane che gli arriva incontro
(prontamente chiamato anche dalla moglie della persona in difficoltà) ed entra in casa lasciandolo
fuori ed iniziando a prestare soccorso al padrone dell’animale. Racconta che il cane non ha avuto mai
un atteggiamento aggressivo nei suoi confronti, ma che la paura iniziale derivasse proprio dal fare
91
un’esperienza tanto estrema ed imprevedibile; egli aggiunge che il muso dei cani di quella razza ha
un’apparenza molto aggressiva e la mancanza della coda gli ha impedito di poter valutare le
informazioni reperibili dal suo comportamento. Anche se ha provato un’ansia più elevata di quanto
sperato, egli sente di aver affrontato la propria paura tenendo a mente l’obiettivo del proprio lavoro.
Visto il clima lavorativo tanto accogliente, i colleghi di lavoro sono stati generosi in complimenti ed
elogi e questo ha rinvigorito di coraggio Andrea che, presentandosi in data 23/05/06 ad affrontare
l’ultimo step previsto, appare tanto motivato da favorire l’inserimento di un passaggio più elevato,
proposto dalla psicologa come “overlearning”, ossia una situazione limite che probabilmente non dovrà
affrontare mai più nella sua vita. Presentiamo qui di seguito una tabella riassuntiva di queste 2
esperienze.
BAT per i cani - Paura 100 SUD T SUD Rip.
XI° - Toccare più cani liberi in un ambiente aperto. 35’ 25 1
X° - Toccare un cane libero in un ambiente chiuso. 100 35’ 20 4
Tab. 9 Scheda valutazione durante l’Esposizione ai cani nell’ultimo step ed in uno aggiuntivo per un Overlearning.
Andrea ripete l’esperienza di toccare un cane in un ambiente chiuso, entrando nella gabbia di ognuno
dei 3 cani forniti dal canile di Certaldo per questo trattamento e stando con loro per un tempo di circa
20’/30’ l’uno ed ha quindi continuato questa esperienza dopo la seduta, restando in loco. Ancora una
volta ha poi esperito la stessa situazione con Luca ed il suo cane, nel garage della casa dell’amico.
Per quanto riguarda l’ultima seduta, in data 31/05/06 viene proposto ad Andrea di toccare più cani
liberi in un ambiente aperto e vengono quindi liberati contemporaneamente i 3 animali che in questo
periodo ha imparato a conoscere all’interno del cortile antistante al canile. Andrea riferisce che la
propria ansia, inizialmente valutata con una SUD pari a 40, è derivata dal pensiero che i cani
potrebbero irritarsi tra di loro e poi aggredire anche lui, ma, poiché questo non accade egli riesce
subito ad entrare in contatto con loro. Nonostante rimanga nella situazione per 35 minuti, egli
continua a provare un livello di ansia stimato con una SUD di 25 e, dopo aver toccato almeno una
volta ognuno dei 3 cani, rimane per conto suo e lascia che gli animali corrano e stiano fra loro senza
andarli a cercare.
Entusiasta dei risultati, viene invitato a presentarsi per una seduta di follow-up in data 05/12/06.
Si raccomanda ad Andrea di rimanere il più possibile in contatto con i cani per non perdere le abilità
guadagnate durante il trattamento appena concluso, secondo il principio classico di ri-
condizionamento delle paure (Franceschina et al., 2004).
3.2 Follow-up e Conclusioni
Andrea si presenta puntuale all’appuntamento in data 05/12/06; appare disteso anche se un po’
imbarazzato. Si accomoda immediatamente ed invitato a parlare racconta cosa è accaduto durante
questo lasso di tempo.
Dati i risultati al primo test MMPI-2 e non avendo rilevato alcuna psicopatologia aggiuntiva alla Fobia
Specifica per il cui superamento il ragazzo aveva chiesto aiuto, si decide di non somministrare lo
stesso test una seconda volta.
92
Il giorno del suo ventesimo compleanno, il 23/06/06, la madre d’accordo con il resto della famiglia gli
ha regalato un cucciolo di 3 mesi; il cane di taglia medio-grande, un Golden Retriver, è un maschio dal
carattere vivace che adesso all’età di circa 8 mesi e pesa già 18 Kg. Egli è rimasto davvero soddisfatto
da questo regalo e colto dalla tenerezza del cucciolo non si è impaurito per qualche piccolo morso
datogli nel gioco. Conoscendo l’animale e vivendo con lui giorno dopo giorno si è abituato alla sua
presenza e riferisce di capire completamente ogni suo movimento o gesto. Questo lo ha reso molto
più sicuro anche nell’approccio con altri animali simili, in quanto adesso ritiene di poter comprendere e
prevedere con una certa probabilità il loro comportamento.
Naturalmente la scelta familiare è stata fondamentale affinché si ottenesse nel tempo un risultato
tanto ottimale nel mantenimento dei risultati offerti dal trattamento proposto ad Andrea.
93
Gruppo Disturbo di Panico. PRESENTAZIONE DEI CASI
INTRODUZIONE
Presso l’Unità Operativa Complessa In San Miniato, sezione di psicologia per adulti, vengono formati e
gestiti da circa 10 anni, 2/3 terapie di gruppo l’anno, per il Disturbo di Panico.
Essendo l’unica struttura che fornisce tale servizio fra le USL di zona, è ormai uso comune che gli
Psicologi e gli Psicoterapeuti afferenti da altri enti indichino alle persone che richiedono aiuto per un
presunto Disturbo di Panico, tale sede. Fino a qualche anno fa, delle persone che arrivavano al
servizio era possibile reperire il diario clinico stilato dal primo professionista che ne aveva accolto la
domanda e non era insolito trovarvi allegato anche il risultato di alcuni test clinici come l’MMPI-2,
nonché una breve relazione esplicativa. Dal 2003 il numero di gruppi per il trattamento del Disturbo di
Panico si è stabilizzato su 2 l’anno, quindi si è ritenuto di poter effettuare una valutazione più precisa
di ogni soggetto che è stato indirizzato al servizio. Ogni persona che ha richiesto un intervento di
questo tipo suddetto è stata quindi sottoposta ad un colloquio preliminare ed alla somministrazione di
un test MMPI-2, qualora non fosse allegato al diario clinico di un precedente professionista e
comunque se questo non fosse stato eseguito entro 6 mesi. Per ogni gruppo sono state selezionate
dalle 6 alle 8 persone.
1. Informazioni generali
1.1 Generalità dei pazienti
Il gruppo formato nel mese di Ottobre per il trattamento del Disturbo di Panico è composto da 8
persone che presentiamo brevemente:
1. Debora ha 33 anni, vive da sola a S. Croce sull’Arno e di professione è una rappresentante di
materiale per il rivestimento di pavimenti.
Già da due anni è seguita dal Dr. Plutoni di San Miniato, il quale si rende disponibile ad uno
scambio di informazioni ed opinioni in questa prima fase di assessment.
2. Teresa ha 42 anni e vive con la famiglia composta dal marito e 3 figli a Montopoli. È un’infermiera
professionale nell’Ospedale di Pontedera e si è presentata al servizio autonomamente.
3. Katia è una casalinga di 36 anni, vive con la famiglia composta dal marito e dalla figlia di 7 anni.
Si rivolge al servizio anche lei autonomamente perché una sua buona amica era inserita nel
precedente gruppo di trattamento.
4. Riccardo ha 33 anni e, in attesa di sposarsi in Aprile dell’anno successivo, vive con i genitori a
Empoli. È impiegato in una piccola ditta della zona ed ha molti hobbies sportivi. Viene invitato a
rivolgersi al servizio dal medico di base che conosceva la struttura ed i suoi servizi.
5. Francesca è una giovane dottoressa in Giurisprudenza in attesa dei risultati dell’Esame di Stato per
Avvocato. Ha 29 anni e vive con la famiglia d’origine composta dai genitori e da una sorella
minore. Decide da sola di cercare un trattamento per il suo disturbo.
94
6. Tecla è una titolare d’azienda di S. Miniato, dove vive con il marito ed i due figli di 2 e 5 anni. È
seguita dalla Dr.ssa Bianchini, una psicoterapeuta dell’USL 11 di Empoli dalla nascita del secondo
figlio, a causa di una Depressione Post-Partum.
7. Maurizio è un operaio in una fabbrica di S. Croce sull’Arno, ha 32 anni e vive nello stesso paese da
solo, in una casa limitrofa a quella dei genitori. Si rivolge al servizio perché consigliato dal medico
di base.
8. Angela è un’ex-operaia in una confezione di Empoli, attualmente in mobilità; ha 42 anni e vive con
il marito e la figlia di 12 anni a Montespertoli. Si rivolge al servizio autonomamente.
1.2 Caratteristiche della relazione
Come già accennato la struttura che si occupa del trattamento di gruppo del Disturbo di Panico è
un’Unità Operativa Complessa di Psicologia, sezione adulti, in San Miniato, afferente all’azienda USL 11
di Empoli.
Durante il trattamento in gruppo anche le persone che sono seguite da uno psicologo individualmente,
sono tenute a sospendere momentaneamente quel servizio, affinché l’aderenza alle prescrizioni sia
totale.
2. Assessment (3 sedute: 2 colloqui clinici, 1 seduta di test)
Come già accennato, non è stato necessario sottoporre tutto il gruppo al test MMPI-2, in particolare
Debora e Tecla, che sono seguite individualmente; il Dr. Plutoni e la Dr.ssa Bianchini si sono
dimostrati disponibili nel fornire una copia dei test ed anche a presentare le loro rispettive pazienti
attraverso una relazione dettagliata.
Per motivi di spazio e per chiarezza espositiva, si ritiene utile proseguire utilizzando una tabella
dimostrativa delle caratteristiche di ogni utente selezionato per affrontare questa terapia di gruppo.
Durante la selezione di un gruppo è frequente l’esclusione di alcune persone, anche inviate al servizio
da colleghi; questo accade quando durante l’assessment si osserva una comorbilità con altri disturbi in
Asse I e più spesso in Asse II, dove gli Attacchi di Panico possano essere valutati come “sintomo” di
una patologia più profonda ed impossibile da gestire o semplicemente controllare, all’interno di una
dinamica gruppale, tanto omogenea; queste persone vengono quindi indirizzate verso una terapia
individuale personalizzata. Si è poi osservato negli anni una certa leggerezza sia degli utenti che dei
professionisti nel classificare gli Attacchi di Panico, per cui molti soggetti arrivati al servizio, pur
avendo una sintomatologia ansiosa non rispettano i criteri che soddisfano una diagnosi tanto specifica.
Poiché si ritiene fondamentale che vi sia un’omogeneità diagnostica all’interno di questo genere di
gruppi terapeutici, anche queste persone, convinte di avere un disturbo che non è il loro, vengono
rifiutate e reindirizzate ad altri tipi di trattamento.
Tutte le persone che si sono presentate al servizio per entrare nel gruppo di trattamento del Disturbo
di Panico sono state sottoposte ad un primo colloquio clinico durante il quale è stata indagata in modo
molto rigido la presenza dei criteri del DSM-IV-TR per fare una diagnosi; coloro che non avevano fatto
negli ultimi 6 mesi un test MMPI-2 vi sono stati sottoposti nell’incontro successivo; un ultimo colloquio
95
è servito poi per chiarire qualche punto rimasto diagnosticamente oscuro e per comunicare al paziente
la decisione o meno d’inserirlo nel gruppo.
2.1 Richiesta degli utenti
La richiesta da parte di tutti gli utenti, anche quelli che non sono stati selezionati per questo
trattamento di gruppo è quella di risolvere gli Attacchi di Panico, superare una serie di evitamenti che
impediscono al singolo di condurre una vita “normale”, ma anche quella di imparare a tollerare meglio
le molte situazioni quotidiane che riescono ad affrontare, sebbene con molto disagio.
È fondamentale in questa fase rielaborare con ognuno dei soggetti la richiesta presentata al servizio,
in quanto si è osservato che molte persone affette da questo disturbo manifestano sovente la
tendenza a desiderare di assopire ogni sensazione forte sia a livello emotivo che fisiologico.
2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio
Utilizzando delle tabelle mostreremo quali sono i principali sintomi dei pazienti ed elencheremo come
hanno appreso di soffrire del Disturbo di Panico (DAP). Tali dati verranno riutilizzati all’inizio del
trattamento quando ognuno dei partecipanti sarà invitato a condividere sintomi, professionisti e
motivazioni personali che l’hanno condotto alla terapia con il gruppo.
Si è deciso di mettere i risultati solo delle 8 persone che alla fine sono state selezionate, per motivi di
spazio ed interesse.
Paziente Cluster di sintomi Diagnosi di DAP
Debora Palpitazioni; sudorazione; sensazioni di sbandamento e di
svenimento; paura di morire; vampate di calore.
Medico del Pronto Soccorso
Teresa Sensazione di soffocamento; vampate di calore. Psichiatra privato
Katia Palpitazioni; sudorazione; dispnea; parestesie. Medico di Base dopo ECG
richiesto dalla paziente
Riccardo Palpitazioni; fastidio al petto; vampate di calore. Medico del Pronto Soccorso
Francesca Palpitazioni; sudorazione; sensazione di soffocamento; paura di
morire.
Servizio USL di San Miniato
Tecla Palpitazioni; sudorazione; dispnea. Guardia Medica
Maurizio Palpitazioni; sensazione di soffocamento; paura di morire. Guardia Medica
Angela sudorazione; nausea; derealizzazione (sensazione di irrealtà o di
sogno); sensazioni di svenimento; paura di perdere il controllo;
vampate di calore.
Servizio USL di San Miniato
Tab. 1 Tabella riassuntiva dei principali sintomi e di chi ha fatto la diagnosi di Disturbo di Panico.
Rispetto alla richiesta sono state respinte solo due persone: una perché presentatasi con una
dipendenza da sostanze stupefacenti e quindi reindirizzata al SerT, come da legislazione vigente,
l’altra a causa della presenza di un Disturbo Narcisistico di Personalità molto pronunciato in comorbilità
con gli Attacchi di Panico, patologia comunque presente ed invalidante. In quest’ultimo caso la
persona è stata invitata a fare richiesta per una psicoterapia individuale, dove trattare entrambi i
disturbi a partire da quello in Asse II. Si riporta di seguito un’esemplificazione dei principali evita
menti, fattori protettivi e precipitanti presentati dai partecipanti al gruppo.
96
Paziente Evitamenti e Fattori protettivi Durata del disturbo ed
evento precipitante
Debora Viaggi in auto da sola per una percorrenza di oltre 10 Km con
peggioramento dei sintomi su grosse statali, superstrade ed
autostrade.
5 anni; morte della madre
per un tumore.
Teresa Trovarsi in mezzo ad un gruppo di persone (più di 6) in un
ambiente ristretto. Temperature ambientali troppo alte.
2 anni; promozione da
infermiera semplice, a capo
reparto.
Katia Andare a letto e dormire. Da diversi mesi si corica sul divano
oppure, quando riesce a restare in camera, mette il cuscino alla
testiera del letto e si addormenta seduta.
5 anni; trasloco.
Riccardo Arrabbiature e sforzi fisici. 1 anno; morte del padre per
infarto.
Francesca Viaggi in auto da sola su grosse statali, superstrade ed autostrade
anche per brevi percorrenze. Uso del treno per tratte maggiori di
30 Km.
2 anni; fine dell’università ed
inizio del tirocinio.
Tecla Viaggi in auto da sola per una percorrenza di oltre 10 Km con
peggioramento dei sintomi su grosse statali, superstrade ed
autostrade.
2 anni; nascita del secondo
figlio.
Maurizio Viaggi oltre i 50 Km da solo. 1 anno; trasloco.
Angela Viaggi in auto con persone a bordo anche per brevi percorrenze. 1 anno; colpita da aneurisma
cerebrale.
Tab. 2 Tabella riassuntiva dei principali evitamenti messi in atto, della durata del disturbo e di eventuali eventi
precipitanti.
Dalla tabella è possibile desumere come, ognuno dei soggetti selezionati per partecipare al gruppo
terapeutico possa riconoscere un particolare evento stressante riconducibile al periodo nel quale sono
iniziati gli Attacchi di Panico. Questo non è sempre possibile o tanto netto, in ogni caso si cerca di
improntare fin dai primi incontri individuali il modus operandi della terapia cognitivo-comportamentale,
a partire dall’utilizzo dell’analisi funzionale ma soprattutto della concettualizzazione del caso. Durante
l’ultimo incontro, infatti, viene proposta la rielaborazione omnicomprensiva dei principali fattori
predisponenti, precipitanti e perpetuanti che hanno condotto la persona a richiedere aiuto, per
poterne poi discutere in gruppo in modo più generale e lasciando che siano gli stessi partecipanti ad
esporre la propria specifica concettualizzazione.
2.3 Motivazione
Come spesso accade con pazienti che soffrono di Attacchi di Panico da diverso tempo, la motivazione
al cambiamento è molto alta, ma in qualcuno, soprattutto Debora e Tecla, si osservano subito delle
resistenze caratterizzate principalmente da scetticismo. Non avendo risolto i loro problemi con le
sedute individuali, si approcciano a questo nuovo trattamento con diffidenza e sfiducia, anche se il
desiderio di risolvere il disturbo resta alta.
97
2.4 Strumenti psicodiagnostici
Viene somministrato durante il secondo incontro della fase di assessment il test MMPI-2. In questa
sede riportiamo i grafici ed in base ai criteri descritti da Butcher e Williams una breve relazione
esplicativa (Butcher e Williams, 1996) soltanto di una paziente: Katia.
Scale Cliniche
45
64
40
65
72
63
5450 52
6864
60
75
30
40
50
60
70
80
90
100
13/09/2006 45 64 40 65 72 63 54 50 52 68 64 60 75
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 1 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato a Katia
Scale Supplementari
65
58
73 71
57
75 73
51
75
30
40
50
60
70
80
90
100
13/09/2006 65 58 73 71 57 75 73 51 75
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 2 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato a Katia
Scale di Contenuto
64
50
6571
77
56
40
63
50
43
72 73 74 7378
30
40
50
60
70
80
90
100
13/09/2006 64 50 65 71 77 56 40 63 50 43 72 73 74 73 78
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 3 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato a Katia
98
Katia si presenta all’appuntamento in largo anticipo e questo comportamento è stato osservato in tutti
gli altri partecipanti al gruppo fatta eccezione per Maurizio e Tecla che, anche nei risultati a questo
test sono risultati più sicuri di sé e decisamente meno ansiosi, al limite con un comportamento
aggressivo.
Per quanto riguarda l’analisi di questo test, la signora manifesterebbe una personalità caratterizzata
da tratti di tipo passivo, non competitivo e con nette tendenze all’introversione ed al ritiro sociale;
quest’ultimo dato risulterà giustificato, nei colloqui, da una serie di evitamenti molto importanti sulla
vita di relazione in ogni ambito.
Nel rapportarsi agli altri, Katia si mostrerebbe insicura, ansiosa, priva di competenze sociali e, per
sfuggire a tale giudizio, tenderebbe quindi ad evitare del tutto il confronto.
Oltre ad un evidente innalzamento delle scale tipiche dell’ansia, sia fra quelle cliniche che in quelle di
contenuto, l’elevazione della scala D, starebbe ad identificare i sentimenti di svalutazione e tristezza,
secondari a questa condizione di ansietà, come confermato durante i colloqui clinici. L’elevazione della
scala Pt indicherebbe una certa rigidità e la presenza di rituali di tipo ossessivo che sarebbero utilizzati
dalla signora come forme di coping disfunzionali. Anche nell’analisi dei MMPI-2 degli altri partecipanti
è stata notata una certa tendenza all’elevazione di questa scala.
In generale i soggetti scelti come partecipanti di questo gruppo terapeutico, hanno manifestato una
certa elevazione delle scale Pd e Pt, su un profilo, per il resto, normativo.
2.5 Analisi funzionale
Come abbiamo già accennato, durante l’ultimo incontro di assessment si è costruito con ogni persona
che ha richiesto il trattamento di gruppo per il Disturbo di Panico, una scheda di Analisi Funzionale per
mostrare in che modo si manifesta la patologia e come essa si sta mantenendo (Ellis, 1989). Ai
pazienti non vengono fornite delle schede di automonitoraggio, bensì si struttura con loro questo
esercizio di ricostruzione di antecedenti, belief e conseguenze, a partire dai singoli racconti di ognuno,
una volta che i risultati dei test abbiano escluso altre patologie concorrenti. Questo lavoro verrà poi
palesato durante il trattamento riprendendo gli esempi forniti da ognuno dei partecipanti, affinché,
dopo una prima fase di psicoeducazione e l’apprendimento di alcune risorse di coping, tutti possano
imparare ad adattare il concetto generale sul proprio specifico caso.
Riportiamo qui di seguito alcuni esempi:
Debora 26/09/2006 ore 10 e 45
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura, tristezza, panico.
Fisiologiche: palpitazioni, sudorazione,
agitazione motoria.
Debora si trova in una ditta dove l’ultima
volta che vi si è recata (8 mesi prima) si
era sentita male accusando sintomi di
uno svenimento.
“Eccoci adesso mi
risento male”, “non ci
dovevo venire”, “ora
svengo”. Comportamentali: chiede di poter bere un
bicchier d’acqua, ma appena glielo porgono
esce dalla ditta e conclude fuori da essa gli
affari.
Tab. 3 Esempi di analisi funzionale, come riportati da Debora.
99
Maurizio 30/09/2006
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: panico,
preoccupazione.
Fisiologiche: vampate di
calore, sudorazione,
sensazione di fiato corto.
Maurizio sta giocando a calcetto con
gli amici, in una partita amatoriale,
quando si accorge di essere molto
accaldato.
“Come mai ho così caldo?”, “Non mi
posso sentire male qui, non è mai
successo”, “Questo non è un attacco di
panico, questo è il cuore!”.
Comportamentali: finge di
avere un crampo e si mette in
panchina.
Tab. 4 Esempi di analisi funzionale, come riportati da Maurizio.
2.6 Diagnosi DSM-IV: F41.0 Disturbo di Panico con Agorafobia [300.21]
Il DSM-IV-TR definisce il Disturbo di Panico con Agorafobia attraverso i 4 criteri che di seguito
elenchiamo:
A. Entrambi 1) e 2):
1) Attacchi di Panico inaspettati ricorrenti
2) Almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi:
a) preoccupazione persistente di avere altri attacchi
b) preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per es.,
perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”)
c) significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.
B. Presenza di Agorafobia.
C. Gli Attacchi di Panico non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una
droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo).
D. Gli Attacchi di Panico non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come Fobia
Sociale, Fobia Specifica, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo Post-traumatico da Stress o
Disturbo d’Ansia di Separazione.
Gli Attacchi di Panico inaspettati (non provocati) sono definiti come quelli in cui il soggetto non associa
l’esordio dell’attacco con un fattore scatenante situazionale interno o esterno (cioè l’attacco di panico
viene avvertito come spontaneo). Gli Attacchi di Panico causati dalla situazione (provocati) sono
definiti come quelli in cui l’attacco si manifesta quasi invariabilmente, durante l’esposizione a, o
nell’attesa di, uno stimolo o fattore scatenante situazionale. Gli Attacchi di Panico sensibili alla
situazione sono simili agli Attacchi di Panico causati dalla situazione, ma non sono invariabilmente
associati allo stimolo e non si manifestano necessariamente subito dopo l’esposizione.
Gli individui che richiedono cure per Attacchi di Panico inaspettati descrivono solitamente la paura
come intensa e riferiscono di avere pensato di essere in procinto di morire, di potere perdere il
controllo, di avere un infarto del miocardio od un ictus, o di “impazzire”. Riferiscono di solito anche un
desiderio urgente di fuggire dal luogo in cui si trovano in quel momento. Con il ripetersi degli Attacchi
100
di Panico inaspettati, nel tempo tipicamente diventano causati o provocati dalla situazione, benché
possano persistere attacchi inaspettati.
L’Agorafobia non è un disturbo codificabile a sé, ma può associarsi a diversi altri come condizione
aggiuntiva; essa viene codificata attraverso i seguenti criteri:
A. Ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile (o imbarazzante)
allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un Attacco di Panico
inaspettato o sensibile alla situazione o di sintomi tipo panico. I timori agorafobici riguardano
tipicamente situazioni caratteristiche che includono essere fuori casa da soli; essere in mezzo alla folla
o in coda; trovarsi ad un’altezza notevole da terra; guidare un’auto od essere su un mezzo pubblico.
Nel caso in cui l’evitamento è limitato alle sole situazioni sociali è necessario prendere in
considerazione la diagnosi di Fobia Specifica.
B. Le situazioni vengono evitate oppure sopportate con molto disagio o con l’ansia di avere un Attacco
di Panico o sintomi tipo panico, o viene richiesta la presenza di un compagno.
C. L’ansia o l’evitamento fobico non sono meglio giustificabili da un disturbo mentale di altro tipo,
come Fobia Sociale, Fobia Specifica, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo Post-traumatico da
Stress, o Disturbo d’Ansia di Separazione.
2.7 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento
Si presentano in questa sezione i fattori predisponenti individuali e, poiché i dati raccolti dai
partecipanti al gruppo durante la fase d’assessment risultano abbastanza omogenei tra loro, se ne
generalizzano i risultati.
Fra i fattori favorenti il disturbo manifestato, si osserva principalmente uno stile educativo molto
protettivo e la presenza di traumi ed eventi critici relativi alle malattie. Debora, Maurizio e Riccardo
hanno perso un genitore a causa di un attacco cardiaco od un ictus; Katia e Tecla riportano una
famiglia molto preoccupata per la salute e la sicurezza fisica dei figli.
I fattori precipitanti sono già stati presentati nella tabella 2 a pagina 96.
In ogni caso il disturbo si mantiene attualmente secondo lo schema del Panico di Clark (Clark, 1986)
modificato da Wells (Wells, 2000), che riportiamo di seguito:
Fig.4 Modello cognitivo del Disturbo di Panico
101
3. Trattamento
Il trattamento di Gruppo del Disturbo di Panico con o senza Agorafobia si sviluppa attraverso la
disposizione in cerchio dei partecipanti e di 2 terapeuti. Vengono forniti un Manuale, delle schede di
automonitoraggio e dei Cd audio. Ogni membro del gruppo, a turno legge una parte della guida; un
terapeuta si occupa della spiegazione dei vari argomenti trattati attraverso esempi pratici, l’altro
dell’accoglienza di ognuno in termini di raccolta delle informazioni individuali rispetto al disturbo.
3.1 Svolgimento delle sedute
Durante le prime 4 sedute di trattamento, l’approccio è principalmente di tipo psicoeducativo (Beck e
Emery, 1988; Barlow e Cerny, 1988). Dal 25/10/06 al 22/11/06 è stato spiegato cos’è il Panico, come
si caratterizza, quali sono i criteri per la sua diagnosi e quali sono gli elementi per una diagnosi
differenziale. Attraverso la riesamina dei dati raccolti durante l’assessment nell’analisi funzionale, il
secondo terapeuta fornisce esempi individualizzati dell’instaurarsi del disturbo e del suo attuale
mantenimento. Il lavoro di gruppo permette un confronto attivo ed oltre allo stabilirsi di legami tra i
componenti, quello che emerge è la sensazione di ognuno di non essere giudicato e di sentirsi quindi
libero di partecipare attivamente.
Vengono poi illustrati i principali antecedenti del Panico: lo stress, l’iperventilazione, alcune
caratteristiche individuali, per poi passare in rassegna i modelli di genesi e mantenimento del disturbo.
Sempre in questa fase vengono largamente trattati i temi riguardanti il condizionamento e la
generalizzazione ed il disturbo viene spiegato nei termini di un’eccessiva risposta di attacco o fuga
(Barlow et al., 1989; Clark et al., 1985; Clark, 1996). Durante queste spiegazioni il gruppo è stato
attento e partecipativo ed ha fornito molti elementi derivanti dall’esperienza privata di ciascuno. Sono
state poi illustrate le condizioni che possono indurre naturalmente dei sintomi simili a quelli del Panico,
per educare al riconoscimento di tali sensazioni, per offrire una prima ristrutturazione cognitiva grazie
alla razionalizzazione e per invitare l’intero gruppo ad uno stile di vita più salutare, abbandonando
però i frequenti comportamenti di malattia.
Per finire vengono anticipati i principali ostacoli al trattamento e tutte le particolari resistenze alla
guarigione; Debora, Francesca e Tecla hanno subito evidenziato la funzionalità del Panico nella propria
vita, nonostante gli evitamenti ed hanno esplicitato in che modo, le limitazioni alla propria autonomia
potrebbero venir considerate un vero e proprio vantaggio secondario; in tutti e tre i casi si tratta infatti
di non riuscire a guidare da sole anche per brevi percorrenze; se per Francesca e Tecla questo limite
ha anche significato un riavvicinamento con una persona cara, che si è prestata ad alleviare i sintomi
del disturbo diventando un rinforzo negativo, per Debora è la legittimazione a non andarsene dalla
Toscana e quindi a non correre il rischio di un fallimento lontana dalla famiglia e dagli amici.
Durante la V seduta, in data 29/11/2006 viene proposto il training di respirazione addominale,
consistente nel respirare con il diaframma contando 6 secondi per un’inspirazione ed un’espirazione,
per un totale di 2 minuti. Tecla sembra avere molti problemi nell’esercizio e non riesce a controllare il
respiro; Debora che è una cantante, ha una respirazione diaframmatica naturale. Viene consegnata ad
ognuno una scheda di monitoraggio dove annotare il numero di respiri, prima e dopo questo esercizio,
102
durante quattro momenti della giornata. Katia esprime subito un malessere generato dal “pensare a
respirare”, iniziando a sperimentare alcuni sintomi del panico; invitata a respirare con il gruppo in
modo lento e controllato, si sente però meglio.
Nella seduta successiva sarà proprio lei la più entusiasta di questo esercizio; ella ha infatti utilizzato
tale tecnica prima di affrontare alcune situazioni per lei ansiogene, come la riunione di classe della
figlia di 7 anni.
In media i risultati ottenuti dall’addestramento eseguito in seduta, sono riassumibili in questa tabella,
in cui vengono confrontati i risultati anche a distanza di 15 giorni dall’inizio del training:
06/12/2006 20/12/2006
Paziente Respiri
prima
Respiri
dopo
Respiri medi prima del
training
Respiri medi dopo 15 gg di
training
Riccardo 16 10 16 7
Francesca 10 9 10 9
Katia 16 13 16 8
Maurizio 18 14 18 13
Angela 13 9 13 9
Tecla 13 10 13 10
Luisa 20 18 20 11
Teresa 16 11 16 10
Debora 9 9 9 9
Tab. 5 Scheda riassuntiva del numero di respiri prima e dopo aver effettuato l’esercizio di respirazione controllata, la prima settimana e dopo 15 giorni di addestramento.
In data 06/12/2006 viene dunque introdotto il Training neuromuscolare progressivo di Jacobson
(Jacobson, 1928).
Dopo una breve spiegazione del metodo, si chiede ad ogni partecipante di riflettere su quale parte del
proprio corpo tiene più spesso in tensione ed a turno, si sperimenta direttamente l’esercizio
consistente nell’applicazione di una nuova tensione, porre attenzione sulla localizzazione della
tensione, distensione ed apprezzamento della distensione. Si spiega che il training serve inoltre ad
acquisire col tempo un migliore senso muscolare e che infine la distensione muscolare veicolerà quella
mentale in modo sempre più automatico.
Vengono quindi illustrati i distretti muscolari che verranno presi in considerazione durante il training
affinché ognuno svolga al meglio l’esercizio; essi sono:
- Le mani (fare il pugno, prima la destra, poi la sinistra ed infine contemporaneamente);
- Le braccia (sempre facendo il pugno, si flette l’avambraccio per coinvolgere i bicipiti; stendendole
con le mani aperte si coinvolgono i tricipiti);
- Il viso: si corruga la fronte assumendo un’espressione stupita; si aggrottano le sopracciglia
facendo l’espressione arrabbiata; si stringono gli occhi; si stringono i denti; si schiaccia la lingua
contro il palato; e si spingono in fuori le labbra come per dare un bacio;
- Le spalle (si alzano parallele al collo; poi si alzano parallele al corpo e si spingono avanti ed
indietro);
103
- Il collo (si schiaccia il mento contro il petto; poi si porta la testa all’indietro e si ruota verso destra
e verso sinistra);
- L’addome (si irrigidiscono i muscoli, poi si tira in dentro lo stomaco);
- La schiena (si inarca all’indietro alzandosi leggermente dalla spalliera);
- Le natiche e le cosce (si contraggono spingendo il tallone verso il basso e contemporaneamente
spingendo la punta dei piedi verso l’alto);
- I polpacci (si tendono spingendo con le punte dei piedi verso il basso).
Dopo questa prima fase introduttiva, improntata come sempre alla psicoeducazione, si procede con il
training vero e proprio: vengono abbassate le luci, tutti sono invitati a mettersi in una posizione
comoda, con la schiena e la testa appoggiata, le gambe leggermente divaricate e le mani appoggiate
sulle ginocchia. Mentre un terapeuta legge le istruzioni al gruppo, l’altro esegue gli esercizi affinché,
anche se l’istruzione è di tenere gli occhi chiusi, qualora qualcuno abbia dei dubbi sull’esecuzione di
alcuni esercizi lo possa utilizzare come modello.
Concluso l’esercizio viene chiesto ad ognuno di riportare la propria esperienza. Mentre la maggior
parte del gruppo risulta piacevolmente rilassata, Angela e Luisa riferiscono di aver provato dei lievi
giramenti di testa che hanno reso l’esercitazione fastidiosa; allo stesso modo Francesca riferisce di
provare tuttora un fastidio dato dalla sensazione di avere i muscoli “molli” e viene dunque invitata a
tenderli un po’. Al termine della seduta ogni partecipante riceve un cd dove si trova registrata la voce
che consentirà di ripetere il training anche a casa, almeno una volta al giorno.
L’incontro successivo inizia chiedendo ai partecipanti come hanno trascorso la settimana e se hanno
provato sintomi di fastidio a carico di alcuni muscoli in particolare, effettuando gli esercizi proposti.
Vengono riassunti qui di seguito i distretti interessati dai diversi partecipanti:
Paziente Muscoli Paziente Muscoli
Riccardo Gambe e pettorali Tecla Nessuna tensione in particolare
Francesca Denti e spalle Luisa Schiena
Katia Denti e gambe Teresa Denti, spalle e gambe
Maurizio Denti Debora Denti, spalle e gambe
Angela Collo, spalle e gambe
Tab. 6 Scheda riassuntiva dei distretti muscolari che hanno creato difficoltà durante l’esecuzione del training di rilassamento neuromuscolare. Vengono dunque tutti invitati a continuare questo addestramento ed a sopperire ai fastidi attraverso
l’applicazione di una minor tensione muscolare durante la prima fase dell’esercizio nei distretti in cui si
sono manifestate tali sensibilità. In generale il gruppo riporta di aver tratto giovamento in termini di
maggior rilassamento generale, dopo l’esecuzione degli esercizi.
Nella stessa seduta si introducono gli esercizi di rilassamento isometrico, ossia particolari movimenti
che non richiedono una modificazione della lunghezza del muscolo (da qui il loro nome), che possono
essere utilizzati in ogni circostanza in cui la persona si sente in tensione.
In data 20/12/2006, dopo un accenno durante la fase di assessment viene riproposta l’analisi
funzionale e vengono quindi utilizzate le schede raccolte inizialmente, per spiegare l’importanza del
pensiero nella genesi e nel mantenimento degli episodi di Panico. Dopo l’esercitazione sui dati tratti
dall’esperienza di ognuno, il gruppo viene invitato a leggere il Manuale, nel quale si affronta il tema
104
dei pensieri disfunzionali e delle idee irrazionali secondo la teoria di Beck ed Ellis (Beck e Emery, 1988;
Ellis, 1989; Ellis, 1996). Viene poi proposto un lavoro individuale in cui ognuno è chiamato a rendere
più funzionale alcuni dei pensieri più comuni nel caso del Disturbo di Panico, ad esempio:
Pensiero disfunzionale: La prossima volta che mi verrà il panico potrei svenire. Sarebbe terribile; la gente
penserebbe che non sono normale!
Mentre per alcuni questo problem-solving appare molto semplice (Francesca, Maurizio, Riccardo,
Teresa), Katia e Luisa partono dal presupposto che i pensieri disfunzionali siano “reali”, talvolta
catastrofizzandoli e rendendoli ancora più estremi di quelli che sono in realtà. È in momenti come
questo che emerge l’importanza del lavoro in gruppo, infatti è dagli stessi partecipanti che l’idea
disfunzionale di alcuni viene ristrutturata completamente.
Al termine di questo incontro viene consegnata una scheda per l’automonitoraggio, con l’istruzione di
modificare gli eventuali pensieri disfunzionali che possono talvolta generare sintomi panicosi, se non
vere e proprie crisi.
Dopo la pausa Natalizia, il gruppo si riunisce in data 03/01/2007; durante questo periodo tutti hanno
cercato di mettere a frutto le nuove abilità acquisite e nessuno di loro ha manifestato episodi di
Panico. Il lavoro sul pensiero si è dimostrato un tassello fondamentale di questo percorso ed è
attualmente quello che il gruppo considera lo strumento più rapido e funzionale per controllare
eventuali sensazioni o sintomi interni spiacevoli.
In questa seduta, la IX, il gruppo si trova a lavorare sull’esposizione in vivo di quelle situazioni che
ancora vengono evitate o che, nonostante le tecniche di rilassamento o di razionalizzazione apprese,
vengono vissute con enorme disagio. Si costruiscono insieme delle scale SUD (Unità di Disagio
Soggettivo) relativamente a tali contesti e si stabiliscono gli obiettivi settimanali di esposizione.
Durante l’incontro successivo ad ognuno viene chiesto di parlare degli obiettivi raggiunti, degli
eventuali ostacoli che sono stati incontrati e delle mete future. In generale, ogni partecipante ha
previsto di portare a termine la propria esposizione entro la seduta successiva per potersi quindi
confrontare con gli altri; per Debora e Tecla l’esposizione consiste nell’utilizzare l’auto da sole e
percorrere oltre 10 Km di strada; Francesca invece si misura su distanze più lunghe e Maurizio su
quelle oltre i 50 Km, preventivando quindi viaggi da Ponte a Elsa a Viareggio; Angela ha invece
provato a guidare con persone in auto con lei, a partire da quelle che trova più rilassanti e meno
giudicanti, fino al marito, che mentre guida è sempre molto “invadente”. In tutti questi casi le diverse
tappe del programma sono state rappresentate dalle uscite della Strada di Grande Comunicazione
Firenze-Pisa-Livorno, molto ravvicinate tra loro. Teresa deve affrontare luoghi affollati e decide di
graduare il suo piano di esposizione all’interno del supermercato a diversi orari del giorno e della
settimana. Katia è tornata a dormire in camera da letto con il marito ed ha modificato le angolazioni
del cuscino, da perpendicolare al letto, fino a tenerlo completamente sdraiato. Riccardo ha provato a
fare attività fisiche sempre più faticose, nel rispetto della propria sicurezza.
Durante l’ultima seduta, in data 24/01/2007 il gruppo viene sottoposto ad una seduta di Esposizione
Enterocettiva; sono stati studiati alcuni esercizi standard che inducono sintomi simili a quelli del Panico
105
che vengono eseguiti con l’aiuto dei terapeuti e degli altri partecipanti presenti. Prima di iniziare viene
chiesto di stimare il grado di spiacevolezza delle sensazioni che si andranno a provare e dell’ansia su
una scala da 0 a 100, mentre dopo essersi sottoposti a questa prova, di indicare il reale livello delle
due stime. Una volta individuato quale esercizio induce sensazioni più somiglianti al Panico, sarà
possibile continuare ad esporsi ad esso in modo controllato per poterne affrontare, a livello
consapevole, le conseguenze. Ogni esercizio dovrà essere sostenuto fino a quando la SUD non sarà
diminuita fino ad un punteggio di circa 10-20, in modo graduale ed in tutta sicurezza per la persona.
Gli esercizi proposti sono: respirare a bocca aperta per 1 minuto, prendendo abbondante aria;
trattenere il fiato per 1 minuto; respirare attraverso una cannuccia per 1 minuto; oscillare la testa ad
occhi chiusi per 1 minuto; mettere la testa fra le ginocchia per 1 minuto ed alzarla improvvisamente;
tendere tutto il corpo per 1 minuto e rilassarlo completamente; salire e scendere un gradino; ruotare
su se stessi.
Dopo quest’ultima prova che nel confronto ha mostrato quanto eterogeneo possa essere il panorama
delle emozioni indotte dai diversi prodotti comportamentali, si è deciso di rivedere individualmente
ognuno dei partecipanti in data 24/10/2007, esattamente un anno dopo dall’inizio del lavoro in
gruppo, per un colloquio e la somministrazione del test MMPI-2.
3.2 Follow-up e Conclusioni
Nell’incontro di follow-up ad un anno, in data 24/10/2007, è stato rilevato che nessuno dei
partecipanti ha presentato nuovi episodi di Panico e che in alcuni casi il cambiamento dello stile di vita
è stato molto radicale. Debora è andata a Milano ed ha partecipato a diversi casting che l’hanno
portata a lavorare come corista in una nota trasmissione televisiva. Francesca è riuscita ad affrontare
con successo l’esame di stato di giurisprudenza. Teresa si prepara ad accompagnare finalmente i figli
in piazza per il prossimo Carnevale, dopo anni di delega ad altre mamme. Per tutti gli altri il
cambiamento non è stato eclatante, ma la libertà e l’autonomia ritrovata sono da considerarsi
comunque un traguardo fondamentale per una qualità di vita senz’altro migliore.
Viene somministrato in data 24/10/2007 il test MMPI-2; come all’inizio di questa trattazione,
riportiamo i grafici di Katia ed in base ai criteri descritti da Butcher e Williams una breve relazione
esplicativa (Butcher e Williams, 1996). Per ogni grafico è possibile osservare le linee tratteggiate
relative ai risultati del primo test somministrato.
Come è possibile osservare dal confronto delle linee relative ad i due test somministrati alla signora
Katia, la conformazione del grafico, nell’insieme, è restata costante e questo denota sempre una
persona tesa, rigida e tendente all’ansia ed all’ipersensibilità verso le relazioni sociali ed interazionali.
Dai risultati si evince però immediatamente un abbassamento dei livelli originariamente più critici.
L’elevazione della scala D si è ridotto notevolmente e questo confermerebbe l’ipotesi che uno stato
d’umore basso fosse secondario al Disturbo di Panico ed alle limitazioni ad esso legate.
Concludendo, anche se abbiamo mostrato in questa trattazione un solo test, i risultati hanno
dimostrato una riduzione totale, fino alla scomparsa degli Attacchi di Panico, come confermato dal
colloquio di follow-up. L’apprendimento di nuove abilità di gestione ha inoltre permesso una
ristrutturazione più globale delle idee della persona e questo ha trovato riscontro anche nei risultati ad
106
un test ad ampio spettro, quale il MMPI-2. Per quanto riguarda i risultati ottenuti dagli altri
partecipanti si osservano dati normativi con una riduzione nelle scale Pd e Pt che inizialmente
risultavano più elevate.
Scale Cliniche
45
64
40
6572
63
5450 52
6864
60
75
30
40
50
60
70
80
90
100
13/09/2006 45 64 40 65 72 63 54 50 52 68 64 60 75
24/10/2007 46 66 45 58 64 63 52 50 49 62 58 59 65
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 5 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato a Katia il 24/10/2007. Con la linea tratteggiata si evidenzia il primo test somministrato.
Scale Supplementari
65
58
73 71
57
75 73
51
75
30
40
50
60
70
80
90
100
13/09/2006 65 58 73 71 57 75 73 51 75
24/10/2007 65 58 65 65 58 73 59 55 65
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 6 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato a Katia il 24/10/2007. Con la linea tratteggiata si evidenzia il primo test somministrato.
Scale di Contenuto
64
50
6571
77
56
40
63
5043
72 73 74 7378
30
40
50
60
70
80
90
100
13/09/2006 64 50 65 71 77 56 40 63 50 43 72 73 74 73 78
24/10/2007 55 45 59 63 65 55 45 62 50 43 65 65 69 68 65
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 7 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato a Katia il 24/10/2007. Con la linea tratteggiata si evidenzia il primo test somministrato.
107
Elisa, Disturbo Borderline di Personalità e Drop-Out. PRESENTAZIONE DEL
CASO
1. Informazioni generali
1.1 Generalità del paziente
Elisa nasce il 09/04/81 a Empoli ed è residente a Castelfiorentino, con la famiglia d’origine composta
attualmente da padre e madre. I genitori sono sposati dal 1971 anche se la coppia non appare molto
affiatata e fin dai primi incontri emergono molte difficoltà. Giorgio è un agente della Polizia Municipale
di Castelfiorentino che, come accade spesso nei piccoli centri, ha un ruolo attivo e molto importante
nella vita di paese; Elisabetta, è casalinga ed ha lasciato il lavoro di operaia nel 1981 per seguire Elisa,
la secondogenita appena nata.
In un appartamento limitrofo al loro vive la sorella Giorgia, nata nel 1973, ingegnere chimico
impiegata con successo in una grossa ditta di Empoli.
Elisa consegue il diploma di maturità professionale nel 2002, dopo alcuni avvenimenti: una bocciatura
sopraggiunta nel 1998, una pausa di un anno dagli studi nella quale è rimasta a casa ed il cambio di
scuola, da un istituto tecnico commerciale di Empoli ad uno professionale di Castelfiorentino.
Dal 2003 inizia la sua carriera lavorativa molto varia ed incostante; rimane assunta per circa tre mesi
per poi lasciare il lavoro, stare ferma in media cinque mesi e trovare il successivo.
Attualmente ha iniziato da qualche giorno un nuovo impiego che ha trovato per lei il padre; il fatto che
Elisa riesca o meno a dedicarsi completamente a questa nuova situazione occupazionale, rappresenta
la principale preoccupazione dei genitori.
1.2 Caratteristiche della relazione
Prende contatti telefonici con la psicologa il padre; durante la chiamata egli parla di “una bambina che
da qualche tempo piange tutti i giorni e che ha bisogno di essere rimessa in carreggiata”; invitato a
dare le generalità della figlia, si evince che si tratta di una ragazza del 1981, la quale viene
incoraggiata dalla psicologa a rispondere autonomamente al telefono; Elisa accetta la comunicazione e
si esprime in lacrime senza aggiungere niente a quello che ha già detto per lei il padre, ma è
direttamente con la ragazza che viene stabilito il primo appuntamento per la settimana successiva,
pattuendo che, se preferisce, può affrontarlo assieme al genitore, almeno inizialmente.
Al primo colloquio, si presentano con Elisa il padre e la madre ed al termine dell’incontro viene stabilita
una frequenza di sedute settimanali individuali della durata di un’ora ciascuna, mentre saranno
contrattati con la famiglia alcuni incontri comuni successivi, in accordo con le richieste degli utenti;
dopo i primi tre incontri, verrà proposto dalla psicologa di modificare la frequenza e la modalità degli
incontri per poter continuare a vedere Elisa con tutta la famiglia e non solo individualmente, ma
coerentemente con la richiesta del padre, verranno mantenute le condizioni descritte all’inizio per tutta
la fase di assessment ed anche per la prima parte di quella di trattamento.
108
2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di test)
2.1 Richiesta dell’utente
Come già accennato è il padre di Elisa, Giorgio, a chiedere per lei una consulenza che viene fissata in
data 29/03/2007. Egli, assieme alla moglie, chiede che la figlia venga aiutata ad uscire da uno stato
d’inedia che dura dal 2002, anno in cui ha conseguito il diploma di maturità. Egli infatti le ha appena
procurato un lavoro e spera che le sedute di psicologia le siano utili per portare a termine questo
ennesimo impegno che la ragazza ha preso. I genitori sembrano molto scontenti circa l’incapacità
della figlia di tenere un lavoro per più di tre mesi e, soprattutto ora che Giorgio si è presentato come
suo garante per questo nuovo impiego, egli è intenzionato a far sì che lei si dimostri all’altezza.
Rimanendo da sola con Elisa, si evince che la ragazza ha invece una richiesta diversa, anche se non in
collisione con quella dei genitori; vuole autonomizzarsi dalla famiglia di origine e dimostrar loro che
non è una bambina; ella ritiene infatti che le sue crisi quotidiane di pianto, siano dovute
principalmente alla frustrazione che prova nel deludere continuamente i genitori i quali, per questo,
tendono ad accudirla in modo sempre più pressante, instaurando e mantenendo un circolo vizioso.
Poiché gli obiettivi individuali e familiari non sono in contrasto tra loro, si può quindi riassumere la
richiesta dell’utente nei termini di un aiuto a trovare la propria strada, superando un periodo
caratterizzato da un tono dell’umore basso ed un senso di autosvalutazione, con l’obiettivo di
dimostrare ai genitori, anche assumendosi le responsabilità di questo nuovo impiego, che non ha
bisogno di essere accudita come una bambina.
2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio
Elisa si presenta all’incontro accompagnata dal padre e dalla madre. I genitori siano i primi a
presentarsi poi, una volta fatto il loro ingresso nell’ambulatorio, lasciano entrare anche la figlia e
prendendola per le spalle la presentano come si fa con una bambina piccola, spingendola leggermente
in avanti. Elisa ha una postura chiusa su se stessa, con le spalle incurvate e la testa bassa. Per
guardare negli occhi la psicologa alza solo lo sguardo e gira gli occhi verso l’alto. Ha i capelli rossi
lunghissimi e ricci che le coprono gran parte del volto; fisicamente è molto minuta ed ha mani piccole
ed ossute. Sul volto è possibile scorgere alcune cicatrici ed il sorriso mostra denti rovinati ed ingialliti.
Il viso è inoltre segnato da profonde occhiaie ed è talmente magro da risultare emaciato.
Giorgio, il padre, è il primo a sedersi; è alto ed ha una postura impettita e fiera. La madre invece è
silenziosa ed appare succube di questa figura imponente, siede composta osservando in modo fisso la
psicologa. Elisa si siede all’estremità opposta del tavolo, vicina al padre, si appoggia con tutta la
schiena incurvata alla sedia ed appare ancora più piccola e distante.
Inizia a parlare il padre, anche se Elisabetta ogni tanto ribatte; entrambi parlano di Elisa in terza
persona, come se non fosse presente, mentre l’interessata appare assorta; Giorgio è molto svalutante
in quello che dice, sia nei confronti della moglie che in quelli della figlia, in particolare sembra riflettere
ad alta voce sulle motivazioni che l’hanno spinto a chiedere un aiuto psicologico per quest’ultima
asserendo che “è come se si fosse persa durante il cammino, perché non è scema, o almeno credo
dall’incidente…”; egli si riferisce ad un incidente che Elisa ha subito all’età di dieci anni, cadendo dal
109
terrazzino di un ristorante che si affaccia sul fianco di una collina rocciosa. È proprio lui a raccontare
l’accaduto e mentre lo fa si commuove: Elisa era seduta sul parapetto di questa loggia e stava
giocando con altri bambini, quando ha perso l’equilibrio ed è caduta all’indietro. L’evento fece molto
scalpore perché venne chiamato l’elisoccorso, avvenimento assai raro in un piccolo paese di provincia;
Elisa dopo tre giorni in stato di coma si riprese completamente, pur dovendo rimanere diversi giorni
all’ospedale in osservazione. Il padre spiega che Elisa è sempre stata più lenta a capire e, soprattutto
dopo questo incidente gli altri hanno continuamente avuto la tendenza ad approfittarsene. Egli vede
dunque la figlia come piccola ed indifesa e, proprio per la sua costituzione fragile ha sempre avuto la
tendenza ad essere molto protettivo nei suoi confronti. L’incidente in cui Elisa è rimasta coinvolta ha
rinforzato ulteriormente il comportamento dei genitori di essere sempre più presenti ed assidui nella
sua vita al fine di controllare che nessuno le faccia del male.
La madre viene invitata a parlare e, se ha pazientemente aspettato in silenzio, prende la parola in
modo esplosivo esprimendosi in maniera veloce ed usando un tono molto alto. Elisabetta incolpa
Giorgio dei problemi della figlia e quest’ultima di approfittarsene essendo infine solo una
scansafatiche. Sostiene che il marito si fa riverire come un principe e costringe ad avere lo stesso
atteggiamento anche con la figlia che invece dovrebbe imparare a sbrigarsela da sola. Piange e si
dispera a lungo, mentre il marito cerca di sedarla con modi imbarazzati. Durante questa scena Elisa
porta le mani alla testa e vi spinge sempre più in profondità le dita, stringendo gli occhi e digrignando
i denti. Verrà illustrato più avanti che la ragazza usa questo gesto anche quando non riesce a capire le
richieste altrui ed in generale ogni qualvolta sente di essere in confusione per qualche motivo.
Vengono quindi invitati a calmarsi ed a lasciare che sia Elisa a parlare un po’ di questo suo stato
emotivo, ma lei accetta soltanto una volta che i genitori sono usciti dalla stanza. Prima di andarsene
viene stabilito il setting dei successivi incontri e fissato un nuovo appuntamento familiare per il
26/04/2007.
Elisa appare sollevata dal rimanere da sola; invitata a portarsi in una posizione più centrale rispetto al
tavolo mantiene la sua postura chiusa su se stessa e continua a guardare la psicologa senza alzare la
testa, ma solo lo sguardo; sorride timidamente ed assume un tono ed un atteggiamento molto
seduttivi.
Dice che “non ce la fa più”, che i suoi genitori le stanno troppo addosso e che non riesce neanche a
dormire da sola perché da circa un mese, la madre, in pena per il suo stato d’umore ultimamente così
basso, le ha messo nella sua camera un letto matrimoniale per stare con lei, alternandosi con il padre.
Si evince immediatamente che Elisa ha standard personali elevatissimi e che potrebbe essere presente
un perfezionismo clinico ad aggravare il senso di autosvalutazione personale; è molto doverizzata ed
ha schemi di comportamento cui aderire, estremamente rigidi e talvolta irragionevoli. Come i genitori
anche lei però ha una visione di se stessa come fragile ed indifesa e, sebbene esprima il desiderio di
voler essere più forte, lo fa come se si trattasse di cambiare una modalità ormai acquisita e fissa.
Nel parlare a volte si ha l’impressione che perda improvvisamente il filo del discorso, rimane con lo
sguardo smarrito per qualche secondo, poi alza gli occhi pieni di lacrime e si conficca le mani nei
capelli premendo a fondo e dicendo con la voce strozzata che non si ricorda cosa voleva dire. È
difficile calmarla immediatamente e solo dopo qualche incontro questo risulterà più immediato.
110
Riferisce che non ricorda se ha sempre avuto questi “vuoti”, ma di sicuro li ha in quest’ultimo periodo
ed è possibile che siano in qualche modo correlati con il tono dell’umore.
Per quanto riguarda i rapporti sociali al di fuori della famiglia, Elisa è attualmente molto sola e può
contare solo sull’affetto di Sandra, una sua vicina di casa con la quale ha frequentato l’ultimo anno
nella scuola a Castelfiorentino dove si è diplomata. Nonostante a volte trovi confortante la sua
presenza, spesso ne è impaurita perché teme che l’amica sia omosessuale e segretamente innamorata
di lei. Il tema dell’innamoramento ritornerà svariate volte e con accezioni talvolta molto morbose nei
colloqui di assessment che hanno interessato tutto il mese di Aprile.
Relativamente a questo suo stato emotivo, denotato da un umore labile ed a coloritura solitamente
depressiva, Elisa riferisce che potrebbe essere causato sia da un’alienazione sociale, impostale dai
genitori che non la lasciano più uscire la sera perché preoccupati per la sua salute, che dalla paura di
deluderli nuovamente a causa di un eventuale fallimento nel nuovo lavoro. Quest’ultimo consiste nel
notificare ingiunzioni di pagamento porta a porta, dopo aver verificato eventuali cambiamenti di
residenza dal terminale del Comune di Empoli; le vengono quindi consegnate delle schede ed un
taccuino di notifica dove dovrà appuntare delle specifiche sigle.
2.3 Allargamento ad altri problemi
I dati raccolti in questa sezione sono risultati dai tre colloqui individuali con Elisa, sostenuti in data 05,
12 e 19 Aprile e quello familiare del 26, il quale era stato precedentemente strutturato per riportare ai
genitori i dati discussi nella penultima seduta con la ragazza, prospettando così l’eventuale piano di
trattamento pattuito con lei ed eventualmente coinvolgerli per migliorare le probabilità di efficacia
della terapia.
Poiché la raccolta dati è stata gravata dalla confusione espositiva di Elisa e dei suoi genitori, si ritiene
utile suddividere questo paragrafo in ulteriori punti, per favorirne la lettura e la comprensione dei fatti
principali.
2.3.1 Lo stato di salute
Per quanto riguarda la salute in senso più strettamente fisico, Elisa riferisce fin dal primo incontro di
avere difficoltà ad addormentarsi ed a mantenere il sonno. Da quando è occupata con il nuovo lavoro
passa la serata a ricontrollare le schede che le ha dato il Comune di Empoli ed a dividerle nelle zone di
distribuzione, per poter effettuare le consegne il giorno seguente nella periferia del paese; va a letto
molto tardi, stanca e dopo aver fumato anche due pacchetti sigarette, vizio che ha dal 1999, anche se
ultimamente ne ha aumentato l’uso. Una volta nel letto le tornano a mente tutte le cose che dovrà
fare l’indomani ed inizia una nuova pianificazione mentale. Qualora riesca ad addormentarsi, le capita
di svegliarsi ed i pensieri del lavoro possono ritornare alla sua mente in modo talmente pressante da
costringerla ad andare a ricontrollare le schede da consegnare. La mattina seguente è stanca e la
madre l’accompagna a fare le consegne delle schede perché teme che potrebbe fare un incidente con
l’auto o sentirsi male e svenire; entrambi gli eventi si sono realmente verificati in passato mettendo in
allarme i genitori.
111
Per quanto concerne l’uso di sostanze quali farmaci, droghe ed alcool, Elisa riporta di aver utilizzato
soprattutto quest’ultimo anche in modo importante, perché insensibile ai suoi effetti; racconta con
orgoglio che “regge l’alcol come un uomo” quindi finché usciva regolarmente con gli amici, esagerava,
vantandosi con gli altri di poterne metabolizzare grosse quantità; sostiene invece di non abusare di
farmaci e di non aver mai utilizzato droghe. Nelle varie sedute emergerà che talvolta, durante uno dei
brevi ma frequenti mal di testa che accusa quando entra in confusione, Elisa ha preso medicinali senza
fare molta attenzione all’etichetta e quindi di aver conseguentemente allertato la madre affinché
stesse con lei fino al termine di eventuali effetti collaterali negativi (che però non si sono mai
manifestati).
Quando si conficca le dita nei capelli, talvolta si procura delle lesioni alla cute, che possono presentare
anche dei brevi ma intensi sanguinamenti. Elisa afferma che talvolta per calmarsi da un eccesso di
rabbia se non si ferisce la testa, con la mano destra graffia violentemente il braccio sinistro, fino a
ferirlo. Tali gesti automutilanti impressionano entrambi i genitori che tendono a contenerla fisicamente
ed a curarle le lesioni che si è provocata.
La ragazza aggiunge che a volte è molto presente nei suoi atti autolesionistici e, oltre che per cercare
una valvola di sfogo, tende a ricorrervi come se volesse punirsi per non essere abbastanza “brava” e
quindi deludere continuamente tutti.
2.3.2 Il rapporto madre-figlia
Dal momento che la madre è la prima a lamentarsi della mancanza d’impegno della figlia e si teme
che questo suo comportamento possa divenire una forma di rinforzo nelle condotte disfunzionali di
Elisa, si è ritenuto utile approfondire durante la seduta familiare del 26/04/2007 la sua disponibilità
nell’accompagnarla a lavoro. Mentre la figlia accusa la madre di essere troppo protettiva e soffocante,
riferendo che le porta la colazione a letto e non la fa crescere, da parte sua Elisabetta accusa la figlia
di richiedere attenzioni, facendosi prendere in braccio e chiedendole aiuto. Di fronte a tale
affermazione Elisa abbassa la testa alzando lo sguardo e sorride, assumendo l’espressione facciale e
mimando la voce di una bambina. È chiaro dunque che il rapporto madre-figlia è continuamente
altalenante ed oscilla dalla dipendenza al sentimento di soffocamento perché entrambe le donne
utilizzano, l’una con l’altra, modi manipolativi di comunicazione.
Durante la stessa seduta familiare, la madre ritiene utile affermare che la decisione di mettere un letto
matrimoniale in camera di Elisa, per dormire con lei, è stata maturata dopo che la ragazza per diverse
notti consecutive si era intrufolata nel letto dei genitori, costringendo il padre a spostarsi nella camera
della ragazza al suo posto.
Elisa appare serena e non si sente smentita, dimostra il suo giudizio individuale nei termini che
“qualche volta”, l’agito dei genitori è giusto e richiesto, altre non è gradito, in modo del tutto arbitrario
e senza un preciso schema valutativo di riferimento. Questo rapporto così oscillante e confusivo è
principalmente una regola relazionale madre-figlia, entrambe labili, deboli e volubili, mentre il padre
rimarrebbe un po’ in disparte, rispetto invece ad un coinvolgimento più marcato nei confronti
dell’omonima primogenita, vigorosa ed impegnata.
112
2.3.3 La storia educativa
Arricchendo la ricostruzione del proprio passato, nel raccontare lo stile educativo subìto durante
l’infanzia e la prima fanciullezza, Elisa riporta una storia di punizioni corporali perpetuatele soprattutto
dalla madre e ne mostra anche i segni evidenti come piccole cicatrici sulle mani e sulle braccia
provocate dai morsi di quest’ultima. Anche il padre e la sorella usavano violenze fisiche su di lei e
sebbene abbia imparato presto a reagire, i suoi contrattacchi non sono mai stati fisicamente lesivi,
data la corporatura piccola e debole. Le percosse venivano inflitte ad ogni errore, che si trattasse di un
brutto voto a scuola o di un comportamento inadeguato, soprattutto socialmente. I genitori nella
seduta del 26 Aprile non smentiscono la figlia e con un’alzata di spalle archiviano il loro
comportamento come normale ed ordinario. La sorella Giorgia non ha mai riportato ferite o segni
tanto evidenti perché di corporatura più importante rispetto a lei; inoltre, avendo imparato presto
“come comportarsi”, non ha subìto a lungo tale educazione: sposata nel 2003, è tornata a vivere con il
marito nell’appartamento limitrofo a quello dei genitori. Giorgio ed Elisabetta affermano senza mezzi
termini che Giorgia è sempre stata più intelligente di Elisa, se ne deduce quindi che la sensazione di
essere inadeguata e svantaggiata rispetto alla sorella maggiore, venga sovente rinforzata dagli altri.
Oltre che nel fisico, anche nel carattere ed infine nella sorte, pare esserci uno schema parallelo tra
primogenita e padre, forti e di successo e secondogenita e madre, deboli e succubi dei più forti.
2.3.4 La scuola ed il lavoro
Per quanto riguarda la sfera intellettiva, durante il periodo scolastico viene bocciata nel 1998 e dopo
un anno “di riflessione” decide di riprendere gli studi in un nuovo istituto per diplomarsi nel 2002
all’età di 21 anni. Affronta poi vari lavori: nel 2003 rimane tre mesi come cameriera in un bar; sei
mesi, da Giugno a Dicembre, come centralinista in una ditta di import-export dove dice di sentirsi per
la prima volta totalmente sovraccaricata dalle informazioni ed in completo stato di confusione; nel
2004 per due mesi fa la tagliatrice in una fabbrica, lasciando in favore di tre mesi come segretaria per
una ditta di trasporti ed ancora due mesi come promoter ed infine un mese da hostess per una
promozione di un gestore telefonico; continua quest’ultimo lavoro ottenendo due ingaggi di un mese
ciascuno per altre promozioni a carico dello stesso negozio ed infine si ferma ad Agosto per il resto
dell’anno 2006.
Nel 2007, dopo un anno che non aveva lavoro, il padre le trova un impiego presso un benzinaio di
Poggibonsi: il lavoro sembra facile, ma si dimostra impegnativo in quanto ora dopo ora le vengono
assegnate sempre più mansioni, l’ansia sale e lei sente di non riuscire a svolgere perfettamente tutte
le attività; inoltre, il datore di lavoro ha atteggiamenti ed attenzioni che Elisa trova ambigue, quindi,
tornando a casa in lacrime chiede ai genitori di “non mandarla più” a lavorare in quella sede.
2.3.5 Le aggressioni a sfondo sessuale
Ancora relativamente all’ambito familiare, emerge durante il secondo colloquio un evento fortemente
traumatico per Elisa, l’aggressione a scopo sessuale da parte del fratellastro della madre nel 1994, il
quale nel 1977 aveva già abusato di Giorgia. Tale evento sarà soltanto il primo di quattro aggressioni
con stessa finalità. Elisa preferisce non approfondire tale tema, mentre vorrà raccontare le circostanze
113
che l’hanno portata alle ultime tre violenze, di cui riportiamo il resoconto qui di seguito; questo
argomento verrà però ripreso durante la seduta familiare, in modo del tutto inaspettato.
Dalle descrizioni di Elisa emerge che, dopo il tentato stupro da parte dello zio materno, la seconda
aggressione subìta avviene nel Settembre del 2003 nella casa al mare dell’amica Debora, con la quale,
dopo questo avvenimento ha interrotto ogni rapporto; il fidanzato dell’amica l’aveva raggiunta in
bagno con l’intento di aggredirla mentre Elisa si stava facendo la doccia e nonostante lei urlasse e
chiedesse aiuto chiamando Debora, che non era intervenuta tempestivamente pensando ad uno
scherzo. Lo stesso fidanzato definisce l’intera storia un semplice scherzo frainteso e questo, determina
il loro allontanamento da Elisa.
Una nuova violenza si registra l’anno successivo: ad una festa di amici, alcuni ragazzi ballando la
circondano ed iniziano a strapparle i vestiti, istigati e rinforzati dalle urla di altri che stavano
assistendo; in quel caso un amico le prestò soccorso e prima che avvenisse il peggio la riportò a casa.
L’ultima violenza risale al 2005, in un periodo in cui Elisa era scappata di casa andando a vivere
dall’ex-fidanzato. Da circa cinque mesi aveva iniziato una nuova relazione con un uomo più grande di
lei e con un figlio a carico avuto dal precedente matrimonio e, poiché la famiglia non aveva accettato
questa unione, lei si era rifugiata a casa dell’amico.
Per non gravare sul suo ospite e la madre, entrambi con un equilibrio psicologico sostenuto
farmacologicamente e con tentativi di suicidio alle spalle, aveva due lavori e dal secondo tornava
molto tardi. Una sera, al suo rientro a casa, viene aggredita davanti al portone da una persona che lei
non riesce a vedere in faccia e che da dietro la palpeggia per qualche minuto per poi spingerla a terra
e scappare. Questo evento la porta ad interrompere la nuova relazione che, secondo Elisa, non vede
l’uomo sufficientemente interessato dall’accaduto e di conseguenza torna ben presto a casa sua,
abbandonando prima entrambi i lavori.
Di questo periodo parlerà anche la madre nella seduta del 26 Aprile, di fronte a lei ed al marito,
accusando Elisa di essere una donna di facili costumi che mentre viveva una relazione intratteneva
rapporti sessuali anche con il suo ex; circa le aggressioni subite dalla figlia aggiunge inoltre che è
sempre Elisa ad “andarsi a cercare certe situazioni” perché in realtà le piace attirare un determinato
tipo di attenzioni maschili.
Osservando la ragazza mentre riporta le aggressioni subìte nella seduta individuale, pare di cogliere
una certa soddisfazione nelle sue espressioni facciali; Elisa sembra sempre molto attenta
all’atteggiamento altrui in risposta al suo che, più o meno inconsapevolmente, è molto seduttivo anche
nei confronti della psicologa; ella gioca infatti ad assumere diversi ruoli che di volta in volta tentano,
affascinando od intenerendo l’interlocutore, di richiamare sentimenti di “avvicinamento” verso di lei.
Racconta che molte volte ha l’impressione che gli altri, sia uomini che donne, abbiano interessi di tipo
sessuale nei suoi confronti; se da una parte ne parla quasi ne fosse lusingata, dall’altra non nasconde
una certa inquietudine.
Lo stesso sentimento ambivalente traspare dai racconti della madre che durante la seduta familiare
s’imporrà sul resto della famiglia per poter parlare, principalmente, come già accennato, accusando
Elisa di “andarsi a cercare” certe situazioni ambigue.
114
2.3.6 Il tentato stupro dello zio materno e la storia della madre
Per quanto riguarda l’abuso perpetuato dallo zio, la maggior parte dei dati raccolti si deve alla madre,
durante la seduta familiare fissata per proporre una riformulazione del caso di Elisa. La madre della
ragazza all’inizio di quest’incontro irrompe nella discussione come un fiume in piena di pensieri e
parole e piangendo chiede di poter parlare per raccontare la sua verità, prima di venire a conoscenza
degli obiettivi terapeutici che sono stati concordati con la figlia; aggiunge che qualora venisse
“incolpata” lei per gli eventuali problemi di Elisa vorrebbe esibire delle giustificazioni. Viene invitata a
riferire quello che ritiene utile al trattamento di Elisa, cercando di ristrutturare le cognizioni circa
presunti giudizi negativi sulle sue doti “materne”, quindi inizia: racconta che la sua vita è stata una
continua sofferenza e sarebbe la stessa Elisa una delle principali cause di questo; lei la considera una
“prova di Dio” della sua fede perché fin dalla sua nascita è convinta l’abbia portata all’isolamento e ad
altre condizioni “di pena”.
Sia Elisa che Giorgio appaiono subito imbarazzati e si scambiano alcuni sguardi, poi il marito cerca
d’interrompere la moglie che alzando la voce continua nel suo resoconto; sarà la psicologa a chiedere
che la donna prosegua, per capire meglio il background familiare di Elisa ed eventualmente mettere in
luce caratteristiche disfunzionali che potrebbero ostacolare le riuscita del trattamento.
Elisabetta all’età di otto anni (nel 1958) rimase orfana di madre, morta suicida per impiccagione; il
padre, un agente della Polizia Municipale, si sposò l’anno successivo con una donna di 18 anni e da
questo secondo matrimonio nel 1960 nacque il fratellastro Giuseppe. Nel 1966 morì anche il padre per
una non meglio specificata malattia (parla di un’intossicazione da medicinali) e nel 1968, al
compimento della maggiore età, la matrigna la cacciò di casa, sostenendo che non poteva prendersi
cura di lei, oltre che del figlio naturale. Elisabetta inizia così a lavorare come operaia generica in una
fabbrica, mentre vive nel convento delle suore di Poggibonsi e durante questo periodo “sente la
chiamata di Dio”, anche se deciderà di aspettare a prendere i voti e, nel 1971 quando conosce
Giorgio, già Agente di Polizia Municipale così come lo era stato il padre, volgendo lo sguardo al marito
con aria sognante, afferma che “Dio le ha offerto una strada diversa da seguire”. Aggrottando la
fronte come se riflettesse ad alta voce, la donna afferma che forse ha sbagliato a scegliere di sposarsi
e che l’alternativa ai voti potrebbe avergliela mostrata il Diavolo e non Dio: da allora, infatti, aggiunge
che ha dovuto subire fin troppe vessazioni e tradimenti e nonostante questo, anche l’isolamento da
quella piccola parte di famiglia d’origine che le restava. Giorgio appare molto imbarazzato da quanto
affermato dalla moglie, ma rimane a testa china, mentre Elisa guarda fissa la psicologa sorridendo.
Dopo il matrimonio Elisabetta mantiene i rapporti con gli unici parenti in vita: la matrigna ed il
fratellastro; scopre nel 1977 quest’ultimo ad abusare di Giorgia, allora una bambina di tre anni, in casa
propria durante un pranzo di Pasqua e, convinta che non sarebbe più successo ha confessato
l’accaduto solo ad un prete. Mentre racconta questo terribile evento, descrive nei minimi particolari
tale violenza e cosa vide quando sorprese l’uomo; assume infine un’espressione stupita e, alzando le
spalle a giustificare il fratello, dice: “Forse era geloso di me e mi voleva fare un dispetto”.
La donna decise di mantenere questo segreto, apparentemente senza sforzarsi, ma alla nascita di
Elisa, cambiò tutto: riferisce che ha iniziato ad avere apparizioni di Gesù Cristo con una certa
frequenza, il quale le diceva in che modo prendersi cura della piccola poiché era più fragile. Elisabetta
115
avrebbe quindi iniziato ad allontanarsi suo malgrado dai familiari, impedendo ad Elisa di avvicinarsi
allo zio da sola, per evitare che quello che era successo alla sorella si ripetesse.
Durante il racconto Giorgio prima si commuove poi arrabbiato chiede alla moglie di smettere di
raccontare “storie vecchie, ormai di nessuna importanza”. La psicologa la invita invece a terminare il
racconto, per comprendere in che modo questa famiglia considera le aggressioni sessuali subite e
come hanno facilitato l’elaborazione da parte delle piccole vittime.
Elisabetta sostiene che tenendo Elisa lontana dallo zio, il suo segreto era salvo e, anche se le
frequentazioni si sono comunque diradate nel tempo, poteva continuare a coltivare un rapporto con la
sua famiglia d’origine. All’età di 13 anni, la ragazza va casa di Giuseppe per una consegna e l’uomo,
da solo in casa, l’aggredisce strappandole la camicetta di dosso; lei si divincola raggiungendo la porta
ed una volta a casa propria, l’accoglie la sorella che, visti gli abiti rovinati ed intuendo l’accaduto, la
costringe a raccontare cosa le è successo. Elisa si sfoga con i familiari ed emerge che Giorgia non
aveva mai dimenticato di essere stata aggredita dallo zio. Giorgio venuto a conoscenza dell’accaduto,
ma soprattutto che la moglie era al corrente di ogni dettaglio, dichiara di non voler più avere nessun
tipo di contatto con l’uomo e si arrabbia con la donna che per tanti anni ha continuato a “mettere in
pericolo le sue bambine”.
Elisabetta chiede alla psicologa che cosa possa aver mai fatto di male nel voler tenere unita la sua
famiglia, accusando quindi la figlia di essere andata a cercarsi una situazione scomoda che, alla fine,
ha penalizzato più lei stessa che Elisa (perché alla fine lo stupro non si è realizzato).
Al termine di questo sfogo Elisabetta smette improvvisamente di piangere assumendo un’espressione
serena; si dice quindi soddisfatta di aver potuto raccontare la propria versione dei fatti e si rende
disponibile a fare quanto possibile per aiutare la figlia a venir fuori da questo brutto periodo. Giorgio a
queste parole pare sollevato, mentre Elisa è tornata a mettersi nell’angolo ripiegata sulla sedia, con lo
sguardo assente, come durante la prima seduta.
2.3.7 Conclusioni
L’intera famiglia oltre ad essere sia fonte che mantenimento delle difficoltà di Elisa, in termini di fattori
predisponenti, precipitanti e perpetuanti, potrebbe nascondere alcune problematiche che sarebbe
interessante approfondire, ma Giorgio insiste che la terapia si concentri solo su Elisa e che lui e la
moglie vengano coinvolti solo per facilitarne il trattamento, almeno fin quando la figlia non starà
meglio. Inoltre, non accettano la possibilità di sottoporre la figlia ad esami di tipo neurologico per
effettuare una più precisa diagnosi differenziale dalle patologie di tipo medico, soprattutto per quanto
riguarda le capacità intellettive della ragazza.
2.4 Motivazione
Non è facile classificare il grado di motivazione di Elisa perché non è chiaro perché ha omesso di
raccontare fino in fondo la verità; ella pare disperata eppure divertita; chiede accudimento, ma poi lo
trova troppo asfissiante; i genitori la amano, ma le fanno del male. Questo continuo altalenare fra
estremi tanto distanti può essere sintomatico, ma in ogni caso, non avendo Elisa stessa le idee chiare
sulle richieste da fare all’ambiente, è probabile che il suo atteggiamento al cambiamento non sia
116
sufficientemente forte. La relazione è sempre vissuta ad un estremo od all’altro e la percezione della
psicologa è quella di essere continuamente sotto esame come persona, che dà o nega aiuto e
comprensione sufficienti alle richieste di Elisa.
Per quanto riguarda i genitori, sembrano invece intenzionati ad aiutare la figlia e si rendono anche
disponibili ad una messa in gioco personale globale; anche in questo caso però è da verificare che la
funzionalità del disturbo della figlia non interferisca con il suo eventuale miglioramento.
2.5 Strumenti psicodiagnostici
Viene somministrato in data 05/04/2007 il test MMPI-2 di cui riportiamo i grafici ed in base ai criteri
descritti da Butcher e Williams una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams, 1996).
Elisa si presenta all’appuntamento in ritardo di dieci minuti, dopo aver chiamato la psicologa cinque
minuti prima dell’appuntamento per avvertire che non si sarebbe presentata all’incontro prefissato,
anche se, invitata a raggiungerla, si decide subito ad andare. Emergerà al termine di questo incontro
che era la madre a non volerla accompagnare, perché avevano molto da fare per il lavoro di Elisa.
I risultati clinici del test sembrano essere validi, Elisa non ha tentato di influenzare coscientemente le
risposte e non ha mostrato eccessive resistenze nel comunicare i propri problemi emotivi e di rapporto
con gli altri.
Dal profilo risultante, appare gravemente depressa, con un tono dell’umore marcatamente disforico; è
rilevante un quadro di forte tensione e notevole ansietà, con fasi di rallentamento psicomotorio che si
alternerebbero ad iperattività ed irrequietezza motoria.
Elisa considera probabilmente se stessa in modo eccessivo e sproporzionato, oscillando tra momenti di
acritica ipervalutazione di sé ed altri caratterizzati da gravi dubbi sulle proprie capacità.
Tenderebbe inoltre a polarizzare l’attenzione su disturbi somatici senza una base organica dimostrabile
e tale tratto isteriforme, risulterebbe funzionale.
Oltre ad un quadro notevolmente nevrotico, si rileva una patologica tendenza alla chiusura in un
mondo autistico e fantastico con la possibile riduzione delle capacità di critica e giudizio nei confronti
dei propri vissuti e dei propri comportamenti.
Leggendo il profilo tramite l’analisi del codice 4-8-2, emergerebbe che Elisa è spesso irritabile e
sospettosa e la sua personalità sarebbe organizzata in senso fondamentalmente schizoide:
l’isolamento sociale, incontrato anche durante l’analisi dei colloqui clinici, potrebbe dipendere
principalmente dal fatto che tiene le persone a distanza per evitare le forme di coinvolgimento
emotivo che teme di più, in questo specifico caso quelle di tipo sessuale e potrebbe infatti vivere
questa sfera con una costante conflittualità.
Si mostra spesso triste, labile ed incongrua emotivamente. Il comportamento è caratterizzato da
imprevedibilità ed anticonformismo accentuato (in realtà si sente insicura ed ha un grande bisogno di
affetto ed attenzione). L'impressione diagnostica delle persone con questo codice varia dal disturbo di
personalità (di tipo schizoide o borderline) con reazione depressiva, ad una vera e propria reazione
psicotica; inoltre un’elevazione generalizzata delle scale cliniche viene sovente considerata indice della
probabile presenza di un Disturbo della Personalità di gruppo B, in particolare il Borderline (Evans et
al., 1986).
117
Scale Cliniche
46
73
46
8682
85
95
46
7773
81
69
46
30
40
50
60
70
80
90
100
05/04/2007 46 73 46 86 82 85 95 46 77 73 81 69 46
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 1 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 05/04/2007
Scale Supplementari
65 65
50
71
62 61
77
44
79
30
40
50
60
70
80
90
100
05/04/2007 65 65 50 71 62 61 77 44 79
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 2 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 05/04/2007
Scale di Contenuto
81
48
73
63
7468 67
5350
5659
46
82 82
58
30
40
50
60
70
80
90
100
05/04/2007 81 48 73 63 74 68 67 53 50 56 59 46 82 82 58
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 3 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 05/04/2007
2.6 Analisi funzionale
Viene richiesto ad Elisa di fare un automonitoraggio teso a valutare gli effetti del suo perfezionismo sul
regolare svolgimento dell’attività lavorativa, per poi ricostruire dalle schede risultanti, un’analisi
funzionale globale, sulla quale sia possibile lavorare ad un livello di macro-obiettivi (Ellis, 1989). Poiché
la ragazza non si rende conto di quali potrebbero essere le conseguenze del suo atteggiamento
meticoloso, viene invitata a tenere un diario del sonno ed a compilare delle schede in formato ABC
cognitivo, per annotare tutte le volte che non riesce a portare a termine un compito qualunque, in
118
quanto, come lei stessa asserisce, è entrata in confusione. Allo stesso tempo si auspica di visionare in
modo più attento il comportamento madre-figlia e le sue conseguenze su entrambe.
Al termine della raccolta dati iniziata durante la fase di assessment, ci si prefigge l’obiettivo di lavorare
su un atteggiamento globale verso il lavoro, la famiglia e gli affetti, per poter rendere più funzionale il
modo di vivere della ragazza. Tale attività ha anche lo scopo di valutare la motivazione di Elisa a
portare avanti questa terapia e le eventuali resistenze alla sua guarigione da parte dei familiari.
Riportiamo qui di seguito alcuni esempi tratti dalle schede di automonitoraggio fornite:
05/04/2007 ore 15.50
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: ansia, confusione, agitazione.
Fisiologiche: sensazione di agitazione crescente,
tremori delle mani, voglia di piangere.
Elisa sta per recarsi
all’appuntamento con la
Psicologa, ma è in arretrato
con il lavoro.
“Non ce la posso fare”,
“Vorrei andare ma come
faccio?”, “Devo sentire il
parere della mamma”. Comportamentali: va dalla madre molto scossa
dicendole che deve recarsi all’appuntamento ma ha
ancora molto lavoro da sbrigare.
Tab. 1 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente. 05/04/2007 ore 15.55
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: confusione, senso di distensione.
Fisiologiche: tremori delle mani, forte senso di
nodo alla gola.
Elisa ha riferito alla madre che non
sa come recarsi dalla Psicologa e
comunque portare a termine il
lavoro; la madre le consiglia di
disdire l’appuntamento.
“Si è la cosa migliore”,
“Però faccio una brutta
figura”, “Vorrei proprio
andare per sfogarmi un
po’”. Comportamentali: chiama la Psicologa per
disdire l’appuntamento, ma ottiene come
risposta un invito ad andare comunque.
Tab. 2 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente. 05/04/2007 ore 15.57
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: senso di distensione.
Fisiologiche: un leggero nodo alla
gola.
Elisa ha chiamato la psicologa
per disdire l’appuntamento, ma
viene invitata a recarvisi
comunque.
“Certo che devo andare”, “Mia madre
mi manipola sempre”, “La psicologa
ha voglia di aiutarmi, mia madre no”
“Se vado non sono cattiva”. Comportamentali: prende la
macchina e si reca all’appuntamento.
Tab. 3 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
2.7 Diagnosi DSM-IV: F60.31 Disturbo Borderline di Personalità [301.83]
I tratti di personalità sono modi costanti di percepire, rapportarsi, pensare ed agire nei confronti
dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali.
Soltanto quando i tratti di personalità sono rigidi e non adattivi e causano una compromissione
funzionale significativa od una sofferenza soggettiva, essi costituiscono Disturbi di Personalità. La
caratteristica essenziale di un Disturbo di Personalità è dunque un modello costante di esperienza
119
interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura
dell’individuo e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: cognitiva, affettiva, del funzionamento
interpersonale o del controllo degli impulsi (Criterio A). Questo modello costante risulta inflessibile e
pervasivo in un ampio spettro di contesti personali e sociali (Criterio B) e determina disagio
clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree
importanti (Criterio C). Il quadro è stabile e di lunga durata e l’esordio si può far risalire almeno
all’adolescenza od alla prima età adulta (Criterio D). Il quadro non risulta meglio giustificato come
manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale (Criterio E) e non è dovuto agli effetti
fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco, l’esposizione ad una
tossina), o di una condizione medica generale (per es., un trauma cranico) (Criterio F).
La diagnosi di Disturbo di Personalità richiede una valutazione del modello di funzionamento a lungo
termine dell’individuo e le particolari caratteristiche di personalità devono essere evidenti fin dalla
prima età adulta; tali tratti devono anche essere distinti da quelle caratteristiche che emergono in
risposta ad eventi stressanti situazionali specifici od agli stati mentali più transitori.
Sebbene talvolta sia sufficiente un singolo colloquio con la persona per fare diagnosi, spesso è
necessario condurre diversi incontri e distribuirli nel tempo, in quanto la valutazione può essere
complicata dal fatto che le caratteristiche che definiscono un Disturbo di Personalità possono non
essere considerate problematiche da parte dell’individuo. Elisa, come chiunque altro, ha un’idea ben
radicata su di sé e sulle persone che la circondano, ma essa risulta fin dai primi colloqui, irrealistica e
poco funzionale.
Alcuni Disturbi di Personalità ed in particolare il Disturbo Borderline, Istrionico e Dipendente di
Personalità vengono diagnosticati più frequentemente nelle donne. Le caratteristiche essenziali sono
una modalità pervasiva d’instabilità delle relazioni interpersonali, dell’autostima e dell’umore ed una
marcata impulsività, che iniziano nella prima età adulta e sono presenti in una varietà di contesti.
Gli individui con Disturbo Borderline di Personalità compiono sforzi disperati per evitare abbandoni
reali o immaginati (Criterio 1); la percezione della separazione o del rifiuto imminenti, o la perdita di
qualche strutturazione esterna, possono portare ad alterazioni profonde dell’immagine di sé,
dell’umore, della cognitività e del comportamento.
Queste persone sono molto sensibili alle circostanze ambientali. Provano intensi timori di abbandono e
rabbia inappropriata anche quando si trovano ad affrontare separazioni reali limitate nel tempo o
quando intervengono cambiamenti di progetti inevitabili; frequentemente arrivano a credere che
“l’abbandono” subìto derivi dal fatto che sono “cattive” o comunque indegne di ricevere amore. I
timori di distacco sono correlati ad un’intolleranza a stare soli e ad alla necessità di avere persone con
loro. I loro sforzi disperati per evitare l’abbandono possono includere azioni impulsive, come
comportamenti automutilanti o suicidari, che vengono descritti separatamente nel Criterio 5.
Gli individui con Disturbo Borderline di Personalità hanno una modalità di relazione instabile ed intensa
(Criterio 2). Possono idealizzare protettori o amanti potenziali al primo o secondo incontro, chiedere di
trascorrere molto tempo insieme e condividere i dettagli più intimi all’inizio di una relazione, per poi
passare rapidamente da questa esaltazione, ad una svalutazione totale di queste stesse persone.
120
Si tratta frequentemente di individui che empatizzano ed accudiscono le persone che li circondano, ma
solo con l’aspettativa di venir ricambiati con altrettante attenzioni e con il soddisfacimento di tutte le
proprie necessità; quest’ultime aumenterebbero poi in un’escalation senza fine, solo per mettere alla
prova l’amore e la dedizione altrui.
Allo stesso modo in cui queste persone tendono a passare da una valutazione esaltata di coloro che si
curano di loro, ad una di totale riduzione di valore, può esservi un disturbo dell’identità caratterizzato
da un’immagine di sé o da una percezione di sé marcatamente e persistentemente instabile (Criterio
3). Sono frequenti variazioni fulminee ed altamente emotive dell’immagine di sé, caratterizzate da
cambiamenti di obiettivi, di valori e di aspirazioni. Sono comuni repentini cambiamenti di opinioni e di
progetti a proposito della carriera, dell’identità sessuale, dei valori e dei tipi di amici.
Questi individui possono improvvisamente passare dal ruolo di supplice, bisognoso di aiuto, a quello di
giusto vendicatore di un maltrattamento precedente (subìto o presunto). Sebbene abbiano di solito
un’immagine di sé che si basa sull’essere “cattivi” o “dannosi”, le persone con questo disturbo possono
talvolta sentire di non esistere affatto, soprattutto quando non stanno vivendo una relazione
significata.
Avere un Disturbo Borderline della Personalità significa manifestare impulsività in almeno due aree
potenzialmente dannose per sé (Criterio 4): giocare d’azzardo, spendere soldi in modo irresponsabile,
fare abbuffate, abusare di sostanze, coinvolgersi in rapporti sessuali non sicuri, o guidare
spericolatamente.
Gli individui con tale disturbo manifestano ricorrenti comportamenti, gesti o minacce suicidari, o
comportamento automutilante (Criterio 5). Il suicidio riuscito si verifica nell’8-10% dei casi, mentre i
gesti automutilanti e le minacce ed i tentativi di suicidio sono molto frequenti. La tendenza ricorrente
al suicidio è spesso la ragione per cui questi individui chiedono aiuto. Le azioni autodistruttive sono di
solito precipitate da minacce di separazione o di rifiuto, o dall’aspettativa di assumere maggiori
responsabilità. L’automutilazione può verificarsi durante esperienze dissociative e spesso porta
sollievo, riaffermando la capacità di sentire o di espiare la sensazione dell’individuo di essere cattivo.
A causa di una marcata instabilità dell’umore queste persone tendono a manifestare una certa labilità
affettiva (Criterio 6). L’umore disforico di base è spesso spezzato da periodi di rabbia, panico o
disperazione, ed è raramente sollevato da intervalli di benessere o soddisfazione. Questi episodi
possono riflettere l’estrema reattività dell’individuo al disagio interpersonale.
Gli individui con Disturbo Borderline di Personalità possono essere afflitti da sentimenti cronici di vuoto
(Criterio 7) e facilmente annoiati, possono costantemente ricercare qualcosa da fare.
Esprimono frequentemente rabbia inappropriata ed intensa, o manifestano una certa difficoltà nel
controllarla (Criterio 8); possono manifestare estremo sarcasmo, amarezza costante, od esplosioni
verbali. La rabbia è spesso suscitata dal vedere un curante od un amante come disattento, rifiutante,
poco dedito, o abbandonante e tali espressioni di rabbia sono spesso seguite da vergogna e colpa e
contribuiscono alla sensazione di essere cattivi.
Durante i periodi di stress estremo, possono manifestarsi ideazione paranoide o sintomi dissociativi
transitori (Criterio 9), ma questi sono generalmente di gravità o durata insufficienti a giustificare una
diagnosi addizionale, inoltre, si manifestano più frequentemente in risposta ad un abbandono reale o
121
immaginato. Tali sintomi tendono ad essere transitori, durano da pochi minuti ad ore. Il ritorno reale o
percepito della funzione di accudimento da parte della figura curante può determinare una remissione
immediata dei sintomi.
Data la storia di Elisa, le caratteristiche di personalità emerse durante i colloqui ed i risultati al test
MMPI-2, si effettua una diagnosi di Disturbo Borderline della Personalità, poiché tutti i criteri vengono
soddisfatti.
Anche se i comportamenti manipolativi e la ricerca di attenzioni possono essere caratteristiche comuni
ad altri disturbi come il Narcisistico, l’Antisociale ed il Dipendente, il comportamento lesionistico ed
impulsivo manifestato dalla ragazza allontanano la decisione da diagnosi differenziali alternative. Elisa
vuole l’attenzione degli altri e cerca di ottenerla con mezzi manipolatori più o meno impulsivi, talvolta
autolesionistici e solitamente disfunzionali, non si impone di ottenere profitti diversi da questo, come
invece ci si aspetterebbe nel caso di Disturbo Antisociale di Personalità. Inoltre, ogni qualvolta sente di
perdere il controllo sulle persone dalle quali necessita di essere accudita, incorre in gesti autopunitivi
con una modificazione evidente dell’immagine di sé, in quanto la sensazione principale è di “meritare”
l’abbandono come punizione per la propria inadeguatezza.
2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento
Si presentano in questa sezione le condizioni che possono aver favorito l’instaurarsi di uno specifico
disturbo a partire da caratteristiche individuali innate ed apprese; sarà poi possibile creare una
relazione causale fra i vari eventi per arrivare a comprendere gli schemi cognitivi e comportamentali
attuali.
Elisa ha una costituzione fragile ed a causa di essa i genitori sono sempre stati da una parte molto
apprensivi ed iperprotettivi, dall’altra duri e rigidi sulla sua educazione e, contrariamente alle
aspettative, molto severi con le punizioni di tipo corporale. Hanno confermato la fragilità della ragazza
e quindi rinforzato il sistema educativo genitoriali due eventi:
- La caduta dal muretto del ristorante nel 1991;
- I diversi tentativi di violenza carnale che si sono presentati in molte occasioni e che possiamo
riassumere con il primo da parte del fratellastro della madre nel 1994; il secondo dal fidanzato della
migliore amica nel 2003; il terzo da un gruppo di ragazzi ad una festa a Viareggio nel 2004; ed infine
l’aggressione per strada di un uomo nel 2005.
Per quanto riguarda l’impegno con la scuola e successivamente nel lavoro, si è osservata una
tendenza di Elisa a perdersi facilmente d’animo: non crede nelle proprie capacità così come percepisce
di non godere della fiducia dei suoi genitori o della sorella e vive queste esperienze con un senso di
estrema frustrazione e come una sorta di punizione, che può contribuire ad infliggersi anche da sola.
Passa da tali considerazioni ad altre ipertrofiche, per poi cadere nuovamente nell’autocommiserazione
di essere sola, però accusando gli altri di averne provocato i fallimenti.
Possiamo elencare come fattori perpetuanti delle caratteristiche patologiche nel comportamento e nel
modo di pensare di Elisa, ogni condotta dei suoi genitori a riguardo: quando la ragazza evita di
prendersi delle responsabilità sul lavoro perché trova frustrante l’esperienza, i genitori anziché
122
spronarla, la ignorano fino al comportamento autolesionistico messo in atto alla ricerca estrema della
loro attenzione, la biasimano perché non la ritengono in grado ed infine la sollevano da ogni onere.
Da un punto di vista strettamente cognitivo si evidenzia che oltre a “testare” l’amore dei genitori, Elisa
si trova veramente in difficoltà nell’affrontare i lavori che le vengono proposti e, come se fosse travolta
dai pensieri e dalle operazioni da compiere, inizia ad utilizzare delle strategie fallimentari. Un nucleo
perfezionistico le impedisce poi di accontentarsi di una prestazione qualsiasi ed il suo approccio
diventa dicotomico ed inflessibile. In generale i pensieri automatici perfezionistici di Elisa la portano
alla credenza che, se non si sa fare una cosa perfettamente, non la si sa fare affatto e, solo saper
ottenere un risultato ottimale nel lavoro la rende meritevole di amore da parte dei genitori.
Lo schema perfezionistico di Elisa andrebbe ad inficiare quindi il suo schema di non amabilità,
portandola a considerare il comportamento dei genitori come punitivo, quando la mandano a lavorare
e di supporto, quando invece la sollevano da tale incarico.
Possiamo dunque riassumere con un ABC di tipo cognitivo, l’atteggiamento generale della famiglia:
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Il padre le trova un
lavoro
“Non ce la farò mai”, “Se sbaglio, non mi
ameranno”, “Se non mi amano, è perché
sono cattiva (o una buona a nulla)”.
Emotive: rabbia e tristezza
Comportamentali: smette di lavorare
Fisiologiche: sintomi ansiosi o depressivi
Tab.4 Concettualizzazione macro del disturbo di Elisa
Una volta lasciato il lavoro Elisa si sente di nuovo amata dai suoi genitori e quindi meritevole di tale
sentimento. Le manipolazioni della ragazza si riflettono però in quelle della madre che garantendole
presenza e supporto nei momenti difficili, si guadagna la sua incondizionata dipendenza.
Considerando che la famiglia non vuole partecipare direttamente ad un trattamento, relegando la
responsabilità dei problemi di Elisa solo alla ragazza stessa, la proposta d’intervento condivisa è quella
di regolarizzare il suo stile di vita, a partire dai cicli biologici, in modo autonomo dal controllo e dalle
attenzioni dei genitori. Viene innanzitutto richiesto di lasciare che dorma nuovamente da sola e che
svolga le varie attività quotidiane, concordate ogni volta, in modo indipendente; per quanto riguarda
l’organizzazione di base del lavoro, questo verrà fatto con la psicologa usufruendo del tempo degli
incontri settimanali.
Si ipotizza che fin dai primi mesi Elisa possa maturare un certo distacco dalla famiglia ed iniziare a
manifestare dei comportamenti manipolativi nei confronti della psicologa; in tal senso sarà possibile
lavorare sull’obiettivo più a lungo termine della modalità interazionale della ragazza; andando ad
elaborare un nuovo senso d’identità personale, più funzionale ed autonomo, ci si aspetta che il senso
di autostima di Elisa aumenti fin dai primi incontri. Inoltre, spostando l’attenzione dalla figura di
attaccamento primaria, la madre, e concentrandosi sull’attuale relazione terapeutica, si ritiene di poter
ripercorrere insieme le varie convinzioni disfunzionali di Elisa ed organizzarle in modo più adeguato
all’interno della sua storia personale e familiare. Non viene inizialmente esplicitato un eventuale lavoro
più mirato sugli schemi cognitivi di base della ragazza, anche se si ritiene che la terapia degli schemi
(Young et al., 2003) potrebbe essere utile per modificare in modo stabile le modalità relazionali una
volta che si è instaurata una certa fiducia nel rapporto terapeutico.
123
Elisa appare molto soddisfatta della proposta e guarda sorridendo i genitori, che annuiscono e si
dicono pronti alla più completa collaborazione. La madre abbassa leggermente la testa e scuotendola
afferma che sua figlia non migliorerà mai, Giorgio abbassa lo sguardo, Elisa fissa decisa la psicologa.
3. Trattamento
Anche per quanto riguarda questa fase, vengono stabiliti incontri settimanali della durata di un’ora
l’uno. Questa cadenza verrà mantenuta per quattro mesi e mezzo, mentre saranno stabiliti altri due
appuntamenti per la somministrazione di un secondo test MMPI-2 e per una seduta di follow-up,
rispettivamente a distanza di tre e cinque mesi dal termine dei colloqui di trattamento.
Verrà richiesto inoltre di affrontare una volta al mese una seduta con tutta la famiglia per evidenziare
eventuali problemi nel proseguire con il trattamento individuale ed invitare nuovamente il nucleo a
sottoporsi ad una terapia indipendente da quella di Elisa, con un altro professionista.
3.1 Svolgimento delle sedute
Durante le prime quattro sedute di trattamento, dal 03/05/2007 al 24/05/2007 Elisa è stata invitata a
procurarsi una cartina dettagliata della zona periferica di Empoli e le schede che deve consegnare.
L’obiettivo è quello di arginare il perfezionismo di Elisa attraverso un’organizzazione più funzionale del
lavoro, lasciando comunque a lei la responsabilità del problem-solving; in questo modo ci si aspetta di
andare ad incrementare la sensazione di padronanza ed autonomia che da soli dovrebbero divenire i
principali rinforzi di Elisa.
Innanzitutto occorre spiegare in modo più dettagliato in cosa consiste il lavoro di Elisa e come ha
intrapreso l’attività fino a questo momento; ogni mese il Comune di Empoli consegna alla ragazza 120
schede che lei dovrà notificare ad altrettante persone abitanti nella periferia del paese. Prima d’iniziare
la consegna deve controllare eventuali cambi di residenza cercando ogni nominativo nel database
aggiornato dell’ufficio dell’anagrafe. Qualora non vi siano variazioni, o se ci fossero, una volta
registrato l’indirizzo esatto, la ragazza deve dividere le schede per indirizzi e poi iniziare il giro di
consegna. Come già accennato dovrà annotare con delle sigle particolari l’avvenuta ricezione e tornare
per almeno tre volte dai domiciliati che non trova in casa. Esaurita questa fase del lavoro deve recarsi
nuovamente in Comune, consegnare il certificato di notifiche che ha raccolto e fare una particolare
segnalazione per le schede non consegnate.
Inizialmente le viene proposto di dividere le varie fasi del lavoro in quattro parti, corrispondenti
ognuna ad una settimana:
- La prima comprenderebbe ricevere le nuove schede, controllare eventuali variazioni di
residenza al computer dell’anagrafe e dividerle in zone di consegna.
- La seconda consisterebbe principalmente nella consegna, con l’obiettivo di 24 schede al
giorno.
- La terza prevedrebbe invece i secondi e terzi passaggi presso le abitazioni nelle quali non ha
trovato nessuno.
124
- La quarta sarebbe composta dal recuperare eventuale lavoro arretrato e dal tornare al
Comune con i risultati.
Questa prima proposta trova subito una certa resistenza in quanto la ragazza confessa di provare una
forte ansia nel dover suddividere il lavoro in tempi tanto lunghi. Fino a questo momento il lavoro le è
stato organizzato principalmente dalla madre; Elisa racconta che una volta portate a casa le schede,
non riesce a pianificare da sola le consegne, entrando in quel particolare stato mentale di confusione
che le provoca rabbia e delusione nei confronti di se stessa e che spesso si traduce poi in gesti
autolesionistici. La madre invece riesce a svolgere questo compito passandoci molte ore consecutive, a
volte non va neanche a dormire per finirlo per il giorno seguente, e, una volta svegliata la figlia le
chiede di cominciare subito con le consegne, per ricompensare il duro lavoro da lei eseguito. In questo
modo, non solo Elisa si sente inadeguata e stupida, ma pure in dovere di “apprezzare” sua madre, di
ringraziarla e di cedere alle sue richieste. Inoltre, è proprio Elisabetta ad accompagnarla a consegnare
le schede, restando fuori con lei anche per tutto il giorno. Il lavoro si esaurisce così in circa una
settimana, considerando ogni fase che comprende.
In data 03/05/2007 Elisa è stata invitata a portare tutte le schede per valutare con la psicologa le
eventuali difficoltà nell’organizzare il lavoro e trovare insieme una strategia di fronteggiamento,
mentre, in data 02 avrebbe dovuto recarsi in Comune e svolgere l’attività di controllo dell’esattezza
degli indirizzi; quando si presenta all’appuntamento ha con sé soltanto 40 schede. La madre ha
insistito perché non perdesse tempo e l’ha accompagnata in comune lunedì 30 Aprile, anche se pareva
aver acconsentito al fatto che Elisa avrebbe cominciato la divisione della lista in zone, soltanto il 03
durante la seduta con la psicologa. La ragazza racconta di aver provato una forte rabbia e riferisce alla
psicologa che non c’è possibilità che la madre la lasci imparare da sola; risulta infatti che la donna
continua a svegliarla ogni mattina portandole a letto la colazione e, poiché è stata tanto gentile, la
ragazza si sente in obbligo ad andare insieme a fare un giro di consegne. In tale data le due donne
hanno dunque recapitato 68 schede, mentre 12 persone non erano in casa. Durante l’appuntamento,
Elisa mostra tutta la sua inquietudine di non saper come interrompere questo circolo vizioso che la
porta sempre ad assecondare i desideri della madre, ma anche l’irrequietezza di non essere a
consegnare le 40 schede rimanenti. Come già accennato la ragazza infatti prova una grande ansia dal
momento in cui le vengono consegnate le schede, fino a quando non se ne è sbarazzata ma, in virtù
di un precedente accordo, si era ritenuto che sia lei che la madre avrebbero resistito alla tentazione di
ripercorrere i soliti schemi.
Viene chiesto ad Elisa di mischiare le 40 schede che le restano da consegnare, come se fossero un
mazzo di carte da gioco, per poterle riorganizzare assieme, con la cartina geografica della zona di
consegna. La ragazza esplicita subito un grave disagio; inizialmente sostiene che sua madre non sarà
d’accordo, poi che si arrabbierà con lei e non l’accompagnerà più a lavoro. La forte paura di essere
giudicata cattiva e quindi di conseguenza abbandonata dalla madre, è il fattore di mantenimento
principale dei comportamenti di entrambe. Si ritiene che se Elisa non supera questa paura di perdere
la madre, rimarrà sempre invischiata in questo rapporto che rende disfunzionale la sua vita, che è
quindi subordinata ai desideri della genitrice.
125
Elisa viene invitata quindi a ripensare a quali sono le sue richieste di trattamento, in particolare quella
di autonomizzarsi dalla famiglia e, fissato questo come obiettivo fondamentale decide di ricostruire da
sola il piano di lavoro delle restanti 40 schede da consegnare.
Da questo problem-solving, si evince che lo stato confusionale di Elisa sopraggiunge immediatamente
di fronte al lavoro e non viene placato con nessuna rassicurazione. La ragazza viene invitata a lavorare
per stadi ed ognuno di essi viene esplicitato e scritto su un foglio come promemoria:
1. Dividere la cartina in quattro zone (A, B, C, D);
2. Predisporre dei cartellini per ognuna delle zone;
3. Cercare sulla cartina l’indirizzo di una scheda;
4. Sistemare le schede davanti al cartellino che indica la zona corrispondente;
5. Ordinare ogni zona in base ai passaggi da effettuare con un massimo di 24 schede giornaliere.
Per ogni step Elisa è stata invitata a tener presente solo l’obiettivo relativo a quella specifica fase; ella,
infatti, ha manifestato la tendenza a vedere il problema come generale, complesso ed impossibile da
suddividere in passi più semplici. È dunque necessario ripetere con una certa frequenza la consegna
originaria.
Riportiamo qui di seguito il materiale utilizzato in terapia per poter compiere questo lavoro.
Innanzitutto per favorire la comprensione si presenta una mappa di Empoli e delle zone limitrofe, poi
una relativa ad una delle quattro singole zone d’interesse con le relative vie:
Fig. 4 Mappa di Empoli e delle zone limitrofe di Avane, Empoli Ovest e Corniola
Fig. 5 Mappa dettagliata della zona di Avane
126
Anche se la ragazza cerca un supporto seppur soltanto con lo sguardo fino alla fine del compito, riesce
a portarlo avanti da sola ed al termine appare più stupita di avercela fatta, che entusiasta.
Affinché possa continuare a svolgere questa attività, le viene chiesto di studiare assieme una strategia
utile ad arginare l’impegno attivo della madre. Innanzitutto si ritiene fondamentale che Elisa inizi ad
autonomizzarsi nella vita di casa, prima che nel lavoro.
Ogni giorno verrà scandito da una serie di operazioni da compiere in piena libertà che comprende:
consumare la colazione a tavola e non a letto, dedicarsi alla pulizia personale e fare una parte dei
lavori domestici relativi alla camera da letto che occupa; si decide per il momento di lasciare che la
madre continui ad accompagnarla a lavoro.
Come già affrontato nel colloquio familiare si rende necessario che la ragazza dorma da sola in camera
sua ma questa condizione non si è ancora realizzata. Elisa riporta di aver avuto un forte mal di testa
qualche notte prima e quindi di aver chiesto alla madre di farle compagnia per un po’ in camera, poi si
sono entrambe addormentate; quando il giorno seguente le ha chiesto di poter dormire da sola, la
madre se n’è andata dalla stanza offesa e con le lacrime agli occhi, così la ragazza è andata a cercarla
per convincerla a tornare a dormire con lei.
Spiegando alla ragazza che sta continuando ad alimentare un vecchio circolo vizioso, le viene proposto
di dire alla madre che dormire da sola è una richiesta della terapia psicologica.
Poiché Elisa appare troppo spaventata dall’eventualità di perdere l’appoggio della madre, le viene
proposta la possibilità di rivolgersi direttamente alla psicologa telefonando al suo numero di cellulare
in un orario prestabilito, massimo tre volte la settimana, per trovare il conforto nel portare avanti il
percorso scelto, ma la ragazza non usufruirà mai di questa concessione.
Per quanto riguarda il lavoro, ora che ha acquisito la tecnica per dividere da sola le schede da
consegnare nelle zone periferiche di Empoli, la ragazza dovrà occuparsi di questa fase senza la madre
ed eventualmente iniziando il lavoro con la psicologa nella prima seduta utile.
Durante gli incontri successivi si osserva un miglioramento nell’autogestione della ragazza ma Elisa
riporta chiaramente un’autostima molto bassa ed un tono dell’umore ancora decisamente disforico; i
rapporti tra lei e la madre sono diventati più freddi perché la donna, sentendosi rifiutata dalla figlia, ha
iniziato ad essere più evitante ed a rinfacciarle spesso i molti sacrifici che ha affrontato per lei.
Racconta di sentirsi troppo sola ed isolata e, anche se sa di non fare niente di male, le ritorna la
convinzione di essere una persona cattiva. Viene quindi invitata a riallacciare i rapporti con Sandra,
l’amica che aveva allontanato qualche mese prima perché convinta della sua omosessualità, anche se
non ne appare molto felice.
Durante la V seduta, il giorno 31/05/2007 Elisa viene invitata a presentarsi con i genitori, con l’intento
di eliminare i fattori protettivi residui perpetuati dai familiari, che rendono quindi difficile il proseguire
della terapia. La madre riferisce di essere molto ferita dal “trattamento” che le è stato riservato,
mentre Giorgio afferma che trova Elisa molto autonoma e questo gli fa piacere perché pensa che
finalmente abbia “imboccato la giusta strada”.
La ragazza di fronte ai genitori esprime il disagio di trovare sua madre tanto distante e, dopo averla
implorata qualche secondo di comprendere che questo suo atteggiamento ha lo scopo di stare meglio,
esplode in un pianto incoercibile e violento. Urla alla madre che è colpa sua se si sente sempre sola ed
127
inadeguata e che non vuole lasciarla “guarire”. Anche la donna scoppia in lacrime ed alzandosi
abbraccia la figlia; ugualmente il padre si commuove. L’incontro si conclude chiarendo nuovamente le
regole e, poiché è l’ultimo giorno del mese, raccomandando ad Elisa di organizzare il lavoro per il
prossimo mese in totale autonomia, oppure aspettando l’incontro successivo, fissato per il
07/06/2007.
Dalla VI seduta all’VIII, tenute dal 07/06/2007 al 21/06/2007, Elisa appare molto migliorata,
soprattutto nel tono dell’umore, anche se mostra acting-out violenti con una frequenza molto più alta
di prima. Si nota ancora chiaramente come le persone vengano valutate in modo diametralmente
opposto, da un istante al successivo; in particolare questo sentimento si osserva nei confronti della
madre, che, come se non avesse assistito all’incontro precedente, continua a comportarsi come suo
solito. Per quanto riguarda il lavoro, le chiede di poterle ordinare le schede al posto suo; inizialmente
porge la richiesta in forma di aiuto perché magari vede Elisa stanca ed affaticata, poi, di fronte alla
risposta negativa, la scoraggia insistendo sul fatto che non ce la farà mai da sola. Il padre, quando
presente, appoggia la ragazza senza mezzi termini e la consola a lungo dopo le discussioni con la
madre, ma spesso egli è assente e lei si ritrova a dover fronteggiare la situazione contando solo su se
stessa. Dopo l’eventuale intervento di Giorgio, Elisabetta torna sui suoi passi e per qualche giorno
evita la figlia, sostenendo, senza apparente rabbia, che è quello di cui ha bisogno per stare bene, ma
implicitamente “punendola” con una palese assenza. Poco dopo torna a perpetuare gli stessi
comportamenti.
Al fine di rassicurare Elisabetta e continuare questo percorso con Elisa, la donna viene dunque invitata
a partecipare alla seduta successiva assieme alla figlia per poter decidere un trattamento comune.
Una volta accomodatasi parla in modo pacato ma diretto e non abbassa mai lo sguardo e, invitata ad
esplicitare il proprio vissuto relativamente al cambiamento di abitudini della figlia, riporta di sentirsi
abbandonata e scalzata dal suo ruolo di madre protettrice; poco dopo inizia a piangere ed emerge
come l’autonomia di Elisa sia per lei una minaccia insostenibile.
In data 27/06/2007 Elisabetta chiama per disdire l’appuntamento preso; riferisce che Elisa è d’accordo
con lei ma che non ha voglia di parlare al telefono; sostiene che è meglio che le sedute vengano
interrotte perché questo trattamento sta disgregando la loro famiglia e che la figlia necessita di essere
sempre supportata e non può vivere in modo autonomo dai genitori per il momento.
3.2 Conclusioni
Molti autori sostengono il rischio di interruzione prematura del trattamento, come uno dei motivi
principali d’insuccesso nella cura del paziente borderline (Gunderson, 2002; Linehan, 1992). In questo
specifico caso possiamo ipotizzare che il Drop-Out della paziente sia avvenuto a causa del complesso
invischiamento con la madre; il loro rapporto si rinforza continuamente andando a confermare i
comportamenti disfunzionali l’una dell’altra; inoltre, Elisa rendendosi velocemente più autonoma,
avrebbe indotto un forte senso di abbandono nella madre che ha cercato di ipercompensare tale
vissuto allontanando a sua volta la figlia. È stata individuata la possibile soluzione di coinvolgere
attivamente nella terapia anche la madre, ma questa ha declinato l’appuntamento individuale ed ha
insistito perché anche la figlia abbandonasse la sua terapia.
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Carmela: una fobia situazionale. PRESENTAZIONE DEL CASO
1. Informazioni generali
1.1 Generalità del paziente
Carmela nasce il 28/05/44 ad Empoli ed attualmente vive con il marito Lido in Fucecchio; la figlia
Ornella, parrucchiera nata nel 1969 convive dal 2004 con il fidanzato in Empoli, ma fino ad allora ha
abitato insieme ai genitori. La signora riferisce di non essere a conoscenza di informazioni circa la
propria famiglia di origine, con la quale ha rotto ogni tipo di rapporto nel 1960 quando, ancora
minorenne, è scappata con Lido per sposarsi.
Carmela è operaia presso una Conceria in Santa Croce ed aspetta di andare in pensione.
1.2 Caratteristiche della relazione
La signora si rivolge autonomamente, al servizio pubblico dell’azienda U.S.L. presso l’Unità Operativa
Complessa di Psicologia in San Miniato, in data 30/08/06; al termine di questo primo colloquio viene
stabilita una frequenza di incontri settimanale della durata di un’ora ciascuno. Durante il primo
appuntamento, che Carmela ha insistito per fare accompagnata dal marito, emergerà come sia proprio
Lido ad aver avuto il peso maggiore nell’indurre la signora a sottoporsi a queste sedute.
2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di test)
2.1 Richiesta dell’utente
Durante il primo incontro in data 30 Agosto 2006, Carmela appare agitata e tende a piangere molto
frequentemente proprio a causa di questa emozione; chiede di poter sostenere il colloquio insieme al
marito e tale richiesta viene accolta. La coppia siede vicina e, se Carmela tende ad affidarsi al marito
per poter esprimere le proprie richieste al servizio, Lido cerca di rassicurarla e la invita a fare tutto da
sola, anche se alla fine cede ed aiuta la moglie a spiegare meglio il problema.
Si può riassumere la richiesta dell’utente come un aiuto per superare la paura specifica di restare
“rinchiusa” in stanze piccole o nell’abitacolo dell’auto, o di passare all’interno di un tunnel o in un
sottopassaggio buio. Entrambi riferiscono che questo problema si presenta limitando l’autonomia della
coppia, dal 1990, anno in cui sono stati invitati dalla sorella di Lido al mare e, per paura di affrontare il
viaggio, disseminato di tunnel, Carmela ha insistito perché restassero a casa. Da allora, i loro
spostamenti sono avvenuti raramente e, prima d’intraprendere il cammino, entrambi si informano che
la strada non sia caratterizzata dalla presenza di tunnel o sottopassaggi bui e lunghi. Non vi è un
terrore specifico dato dall’affrontare queste situazioni, come ad esempio rimanere rinchiusi e
“soffocare”; Carmela riferisce che trovarsi in un tunnel le genera una paura, che riconosce al momento
del colloquio, spropositata, ma che nella situazione non riesce a gestire in alcun modo, pensando
soltanto che vorrebbe allontanarsi il prima possibile.
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2.2 Storia del problema
Dopo che Lido ha aiutato la moglie ad esplicitare una richiesta chiara al servizio, viene invitato ad
aspettare fuori la fine della seduta, mentre rimane Carmela che, presa confidenza, pare più tranquilla
anche nel continuare da sola.
Riferisce di essere molto preoccupata per la salute del marito, il quale nel 1987 ha avuto un infarto; a
seguito di questo problema Lido ha ripreso a vivere ordinariamente che, racconta Carmela, significa in
modo impulsivo ed iroso; tali atteggiamenti del marito, si manifesterebbero principalmente in auto.
Nel tentativo di evitare questi eccessi di rabbia, Carmela ha limitato il numero degli spostamenti,
“ritrovandosi” in un secondo momento atterrita al solo pensiero di affrontare un viaggio in macchina
lungo un percorso probabilmente disseminato di tunnel da attraversare; all’interno di essi, qualora
succedesse un incidente, è convinta di non poter essere soccorsa, di stare male e che lo spavento
gravi sulle condizioni di salute di Lido. Negli anni i problemi di salute del marito si sono ripresentati in
molte forme e, le prescrizioni dei medici riguardano principalmente il mantenimento di uno stile di vita
regolare e senza eccessi. Dallo stesso anno dell’infarto del marito, il 1987, Carmela ha iniziato a
provare una paura crescente per tre situazioni segnalate come fobiche da entrambi i coniugi, anche se
si considera come primo evento, la crisi avuta durante il viaggio per raggiungere la cognata al mare,
nel 1990, in quanto si è manifestata come originario elemento di limitazione dell’autonomia.
Per quanto riguarda la situazione familiare, da quando la figlia se n’è andata di casa, nel 2004,
Carmela riferisce di trovarsi in difficoltà nella gestione del marito che, a causa di eccessi di rabbia, a
volte non vuole assumere le medicine per il cuore o mantenere il piano dietetico assegnatogli;
aggiunge che deve trattarlo quasi fosse un bambino e che cerca di evitargli ogni inutile stress, motivo
per cui da molti anni ormai, si reca a lavoro utilizzando i mezzi pubblici ed evitando quindi di farsi
accompagnare da Lido, che è l’unico nella coppia ad avere la patente.
2.3 Motivazione
Carmela ha un atteggiamento molto aperto verso la terapia e talvolta un po’ infantile; ella riferisce di
potersi attenere ad ogni richiesta, tanto profondo è il suo desiderio di modificare questa sua paura che
dura da quasi 20 anni. Trattandosi di un disturbo così radicato si è ritenuto utile valutare anche la
motivazione al cambiamento del marito e quest’ultimo si è mostrato disposto a collaborare quanto
possibile alla buona riuscita della terapia della moglie; egli pare inoltre non trarre alcun beneficio dalla
sua Fobia.
2.4 Strumenti psicodiagnostici
In data 06/09/06, Carmela viene invitata a sottoporsi a due approfondimenti psicodiagnostici:
- Le viene richiesto il BAT, che, oltre a definire in maniera più chiara l’entità degli evitamenti
che mette in atto, suggerisce una scala di disagio soggettivo che può essere ripresa in
considerazione durante la futura fase di trattamento (Lang e Lazovik, 1963);
- Si sottopone alla somministrazione del MMPI-2, al fine di poter evidenziare un eventuale
quadro psicopatologico omnicomprensivo (Butcher e Williams, 1996).
130
Attraverso l’elaborazione del Behavioral Avoidance Test, si evidenzia immediatamente che Carmela
evita principalmente 3 situazioni: quella che riferisce di sostenere con maggior disagio è caratterizzata
dal prendere l’ascensore, anche se ha poche occasioni in cui mettere alla prova tale vissuto; molto
ansiogeno risulta poi l’attraversare un tunnel con la macchina; mentre più sostenibile ma ancora fonte
di angoscia è chiudersi a chiave in una stanza. Per ognuna di queste situazioni sono state
successivamente graduate le condizioni che le rendono più o meno sostenibili e ne riassumiamo i
risultati nelle seguenti tabelle:
Situazione Ascensore - Paura 100 Unità di Disagio Soggettivo
Arrivare da sola oltre il 2° piano 100
Arrivare in compagnia oltre il 2° piano 90
Arrivare da sola al 2° piano 80
Arrivare in compagnia al 2° piano 70
Arrivare da sola al 1° piano 60
Arrivare in compagnia al 1° piano 50
Entrare in un ascensore e lasciare che si chiudano le porte 40
Entrare in ascensore in compagnia e lasciare che si chiudano le porte 30
Entrare in un ascensore 20
Tab. 1 Scala gerarchica di Unità di Disagio Soggettivo per la situazione “Ascensore”.
Situazione Tunnel - Paura 90 Unità di Disagio Soggettivo
Tunnel lungo e buio 100
Tunnel più lungo di 200 metri con traffico intenso 90
Tunnel più lungo di 200 metri con traffico regolare 80
Tunnel buio che si stima di circa 200 metri, con traffico intenso 70
Tunnel buio che si stima di circa 200 metri a traffico regolare 60
Tunnel in cui si intravede l’uscita a circa 100 metri 50
Tunnel in cui si vede l’uscita a circa 30 metri 40
Tunnel in cui si vede l’uscita a circa 10 metri 30
Tunnel in cui si vede chiaramente l’uscita a pochi metri 20
Tab. 2 Scala gerarchica di Unità di Disagio Soggettivo per la situazione “Tunnel”.
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 Unità di Disagio Soggettivo
Chiudersi a chiave in un bagno pubblico da sola 100
Chiudersi non a chiave in un bagno pubblico da sola 90
Chiudersi a chiave in un bagno pubblico in compagnia 80
Chiudersi non a chiave in un bagno pubblico in compagnia 70
Chiudersi a chiave in una stanza piccola di casa da sola 60
Chiudersi a chiave in una stanza piccola di casa in compagnia 50
Chiudersi non a chiave in una stanza piccola di casa 40
Chiudersi a chiave in una stanza grande di casa 30
Chiudersi non a chiave in una stanza grande di casa 20
Tab. 3 Scala gerarchica di Unità di Disagio Soggettivo per la situazione “Chiudersi in una stanza”.
131
Come già preannunciato viene somministrato nella stessa data il test MMPI-2 di cui riportiamo i grafici
ed in base ai criteri descritti da Butcher e Williams una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams,
1996).
Scale Cliniche
6168
43
74
82
63 64
30
59
68
52 53 55
30
40
50
60
70
80
90
100
06/09/2006 61 68 43 74 82 63 64 30 59 68 52 53 55
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 1 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 21/09/06
Scale Supplementari
65
5862 61
5763
73
51
75
30
40
50
60
70
80
90
100
06/09/2006 65 58 62 61 57 63 73 51 75
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 2 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 21/09/06
Scale di Contenuto
7578
65
71
58 56
40
59
50
43
58 56
74 73
54
30
40
50
60
70
80
90
100
06/09/2006 75 78 65 71 58 56 40 59 50 43 58 56 74 73 54
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 3 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 21/09/06 Emerge dall’analisi delle scale di validità del test, che Carmela ha risposto in modo sincero e che non
ha provato a dare un’immagine di sé troppo distante dalla realtà.
132
In accordo con la scala L = 61, un valore tanto basso della scala Mf = 30 denoterebbe non soltanto
una certa inclinazione di Carmela ad avere interessi prettamente femminili, ma anche ad essere
probabilmente insicura, autosvalutante, passiva, dipendente ed eticamente rigida.
Il quadro generale delle scale cliniche delineerebbe una personalità un po’ immatura e superficiale,
molto attenta alla morale ed egocentrica. Carmela potrebbe essere molto suscettibile ai torti subiti ed
ai rifiuti e decisamente permalosa; può diventare manipolativa nei confronti degli altri ed utilizzare in
modo strumentale tali condizioni (Hs = 74; Hy = 63; Pd = 64; Pa = 59).
Dalle scale cliniche del test, così come dai colloqui, emerge che la signora non presenta alcun
problema nella socializzazione; ella stessa si definisce estroversa e ben disposta al contatto con gli
altri. L’elevazione della scala D = 82 e Pt = 68 indicherebbero al contrario, una sorta di ritiro ed una
recente sensazione di essere sopraffatta dai problemi; quest’ultimo risultato troverebbe riscontro nei
recenti avvenimenti che hanno visto il marito Lido, minacciato nuovamente da seri problemi di salute
ed anche la scala supplementare PK = 73 concorderebbe con l’analisi presentata.
2.5 Analisi funzionale
Per arricchire le informazioni relative all’ansia che Carmela riferisce di provare per ascensori, tunnel
stradali e rimanere chiusa all’interno di alcune stanze, già emerse durante i colloqui ed esplorate con il
BAT, le viene richiesto di compilare alcune schede di automonitoraggio relativamente a tali vissuti,
qualora si trovi a dover affrontare le situazioni temute. Tali report sono strutturati secondo lo schema
di un ABC cognitivo (Ellis, 1989).
Riportiamo qui di seguito alcuni esempi tratti dalle schede di automonitoraggio fornite:
10/09/06 ore 13.30 Comportamento: Rimanere chiusa in una stanza
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura.
Fisiologiche: palpitazioni,
tremori alle mani.
Il marito Lido si dedica al
giardinaggio e chiede a Carmela di
occuparsi di alcune cose in
cantina; lei accetta.
“La porta si è chiusa?”, “Se rimango
chiusa e lui sta male morirà”, “Devo
uscire immediatamente”, “Morirò qua
dentro”. Comportamentali: esce
immediatamente dalla cantina e
corre in giardino dal marito.
Tab. 4 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
10/09/06 ore 13.40
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: sollievo.
Fisiologiche: nessuna.
Carmela è stata male in cantina ed è
corsa in giardino.
“Finalmente respiro”, “Anche lui
sta bene”.
Comportamentali: aiuta il marito in
giardino.
Tab. 5 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
133
15/09/06 ore 18.10 Comportamento: Prendere l’ascensore
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura.
Fisiologiche: palpitazioni,
sudorazione.
Carmela ed il marito si recano
all’ospedale per trovare un amico che
ha avuto un infarto; la stanza del
degente si trova al 4° piano; Lido
vuole prendere l’ascensore.
“Se rimaniamo chiusi dentro non ci
troverà nessuno”, “Non c’è aria qua
dentro, morirò, moriremo tutti e due!”.
Comportamentali: implora il
marito di andare via.
Tab. 6 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
15/09/06 ore 18.25
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: sollievo.
Fisiologiche: nessuna.
Lido accetta di lasciare l’ospedale con la
moglie.
“Menomale non è successo
nulla”.
Comportamentali: va a casa con il
marito.
Tab. 7 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
17/09/06 ore 10.30 Comportamento: Attraversare un tunnel
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: panico.
Fisiologiche: palpitazioni,
sudorazione, senso di
agitazione crescente, voglia
di piangere.
Lido vuole recarsi a Firenze (richiede
lo spostamento in autostrada con 3
tunnel di cui 1 lungo 350 mt) con la
moglie; sono in auto a circa 1 Km
prima dell’imbocco autostradale.
“Me lo ricordo c’è il tunnel lungo”, “Se ci
vengono addosso e Lido si agita gli
viene un altro attacco di cuore”, “Ci
sentiremo male e moriremo entrambi”,
“Ho un brutto presentimento”.
Comportamentali: inizia a
piangere e chiede a Lido di
tornare indietro ed andare
un’altra volta.
Tab. 8 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
17/09/06 ore 11.40
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: felicità e sollievo.
Fisiologiche: senso di spossatezza.
Carmela ha chiesto al marito di annullare il
loro viaggio a Firenze poco prima di prendere
l’autostrada e lui ha acconsentito.
“Menomale”, “Ho
avuto una gran
paura”. Comportamentali: ringrazia il marito e
tornati a casa prepara una torta per
farsi “perdonare”.
Tab. 9 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
2.6 Diagnosi DSM-IV: F40.2 Fobia Specifica - Tipo Situazionale [300.29]
Per i dati raccolti fino a questo momento sia dai colloqui che dai test somministrati, Carmela risponde
alla totalità dei criteri enunciati dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, (APA, 2001).
Nelle tre situazioni enunciate: il trovarsi in un ascensore, attraversare un tunnel e chiudersi in una
stanza, la donna presenta una paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, (Criterio A).
L’esposizione a tali situazioni, invariabilmente provoca una risposta ansiosa immediata (Criterio B),
sebbene, una volta allontanatasi da esse, riconosca che la paura è eccessiva o irragionevole (Criterio
134
D). Da 20 anni Carmela evita tali condizioni (Criterio F) e questo, negli ultimi tempi interferisce in
modo significativo con la sua normale routine e con le relazioni sociali (Criterio G).
Per quanto riguarda la specifica del sottotipo, si ritiene che l’unico dubbio sia stato relativo alla Fobia
Altro tipo, piuttosto che quella tipo Situazionale, in quanto Carmela sostiene che nelle situazioni più
temute: stare in ascensore da sola, rimanere bloccata in un tunnel, o chiusa in una stanza, lei pensa
di poter morire; in realtà la paura che lei associa alla situazione è generica e, dall’analisi funzionale
emerge che nasce da un sentimento di paura crescente relativa più al marito che alla propria
incolumità personale.
2.7 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento
Si presentano in questa sezione i fattori predisponenti individuali, soffermandoci principalmente su
quelli appresi, ma provando ad arrivare fino agli schemi profondi che caratterizzavano la personalità
della paziente anche nelle fasi premorbose di questo disturbo. Fra i fattori favorenti si osserva
principalmente che Carmela ha caratteristiche di personalità lievemente narcisistiche e con tratti
superficiali ed infantili. Ella ha sperimentato durante alcuni eventi critici, che la sua ansia poteva
servire a dissuadere il marito da comportamenti potenzialmente dannosi alla propria salute e così ha
rinforzato la propria “paura” doppiamente: da una parte, convincendosi che, se il marito non era stato
male, dipendeva dal fatto che non avevano affrontato quella determinata situazione, dall’altra
nutrendo lo stesso timore con l’evitamento, secondo il principio di rinforzo negativo. Per la teoria
bifattoriale di Mowrer le Fobie s’instaurerebbero come una forma di Condizionamento Classico e si
manterrebbero successivamente, per una di Condizionamento Operante grazie al continuo evitamento
delle situazioni ansiogene (Mowrer, 1960).
Si ritiene dunque che la Fobia di Carmela riguardi 3 situazioni distinte, accomunate dal fatto di
rimanere intrappolata e morire (per asfissia, di fame, per una ferita che potrebbe essersi procurata nel
frattempo, etc.) senza poter ricevere aiuto.
La mancanza di abilità sociali più sofisticate ed il continuo sperimentare successi con il marito,
evitando tali situazioni dannose ad entrambi, ha aumentato nella signora questa paura ed attualmente
l’ansia anticipatoria nell’affrontare tali situazioni è molto alta.
Carmela non ha sviluppato nessun comportamento protettivo qualora si trovi nella situazione temuta e
nel caso in cui, per motivi importanti debba affrontare le proprie paure, ammette che lo fa con forte
disagio e spesso piangendo, noncurante dell’opinione che potrebbero farsi le persone che la vedono.
Alcune caratteristiche di Personalità e molte convinzioni devianti hanno portato la signora a temere
determinate situazioni prima, per una paura relativa alla salute del marito e col tempo, per una
sensazione di soggettivo terrore crescente nell’approcciarsi a tale condizione; la prima volta che il
disturbo ha avuto caratteristiche di reale limitazione nell’autonomia della coppia, durante il viaggio per
andare a trovare la cognata al mare, nel 1990, si è manifestato come fattore precipitante. La paura
sperimentata di per sé nelle 3 diverse condizioni fobiche è diventata lo stesso fattore di mantenimento
principale, perché utile ad impedire al marito di sottoporsi a condizioni che Carmela ritiene pericolose
per la sua salute e, a lungo termine, perché l’evitamento di una situazione temuta serve a sedare in lei
il senso di ansia crescente.
135
Riassumendo attraverso un’analisi funzionale macro, quando Carmela si trova in una delle 3 situazioni
segnalate come fobiche, ad esempio in macchina con il marito prima di attraversare un tunnel, ella
inizia ad avere i seguenti pensieri automatici: “se picchiamo con l’auto nessuno potrà soccorrerci”, “io
mi sento male”, “se io sto male chi penserà a Lido?”, “Lido per soccorrere me potrebbe sentirsi male”,
etc.. A loro volta tali pensieri inducono nella donna un senso di ansia crescente che, a livello fisiologico
si manifesta con vari segni tipici: dalle palpitazioni alla sudorazione, ai tremori delle mani, od al senso
di nausea, in modo molto variabile; da un punto di vista comportamentale si osserva la fuga e
l’evitamento delle situazioni temute e questo avviene spesso attraverso lo sperimentare crisi di pianto.
Poiché il marito è molto sensibile a queste manifestazioni di Carmela, tende solitamente ad
acconsentire alle sue richieste e negli anni, la signora ha potuto verificare molte volte il rinforzo
negativo per cui, allontanarsi dalla situazione temuta, permette un repentino crollo della sensazione di
ansia, in favore di quella più piacevole di rilassamento e sollievo, divenendo il principale fattore
perpetuante del disturbo.
Alla base di questi pensieri automatici, attraverso l’applicazione della tecnica della freccia discendente,
si evince che le credenze principali sono: “se controllo la rabbia di Lido, non ha un infarto e muore”,
“se io muoio, nessuno può garantire la vita di mio marito” “se evito alcune situazioni, non morirò e
non morirà Lido”, “se Lido muore, chi si prenderà cura di me?”. Se ne deriverebbero quindi schemi di
dipendenza dal marito e di paura dell’abbandono da parte di quest’ultimo, i quali si sono formati su
idee devianti relativamente alla pericolosità delle situazioni temute.
La proposta d’intervento è quindi quella di chiarire, attraverso alcuni incontri di psicoeducazione, quali
sono i reali rischi, sia per l’incolumità di Carmela nelle situazioni che teme, che per la salute di Lido;
per quest’ultima sarà necessario coinvolgere il Dr. Rossi, cardiologo del marito. Ci si prefigge di
affrontare tali sedute sia con la signora che con il marito, affinché intraprendano insieme questo
cammino, essendo così mutuamente invischiati l’uno nella vita dell’altra.
Per quanto riguarda il superamento della Fobia Specifica Situazionale, viene proposta un’esposizione
graduale in vivo, utilizzando il BAT come trama per la sua attuazione; avendo a disposizione un
ascensore che percorre 3 piani nella sede dell’AUSL 11, verrà utilizzata questa situazione fobica per
l’esposizione con la psicologa. Una volta chiariti i reali rischi di salute di Lido, si prospetta alla coppia di
lavorare insieme sull’esposizione alla situazione di attraversamento dei tunnel, rispettando la
gradualità stabilita in seduta e contrattando continuamente ogni passo successivo. Infine, per quanto
riguarda l’affrontare la situazione di rimanere chiusa in una stanza, viene richiesto a Carmela di
provare ad affrontare i diversi gradini della scala SUD fin dall’inizio della terapia, manifestando verso la
situazione una paura generale di 60/100 ed eventualmente, di lasciare che il marito, la figlia, un’amica
od una collega di lavoro, si prestino per aiutarla.
Relativamente alla psicoeducazione al proprio problema ed a quello del marito, fin dall’inizio di questo
trattamento si auspica che Carmela modifichi le proprie idee relativamente alla vulnerabilità personale
e del marito.
Si ipotizza che fin dai primi mesi, l’esposizione alla situazione meno fobica, quest’ultima descritta,
permetta a Carmela di prendere familiarità con il proprio vissuto d’ansia e, portandolo alla saturazione
con l’esposizione, senta anche aumentare il senso di autoefficacia nelle proprie possibilità. Inoltre, la
136
richiesta di aiuto generalizzata per condurre le proprie esposizioni, ha lo scopo di mettere la signora
nella condizione di chiedere aiuto per superare un evento negativo, modificando la vecchia modalità
atta solo ad evitarlo. Questo a lungo termine potrebbe avere un effetto positivo sulle proprie abilità
sociali.
Si ipotizza inoltre che, a lungo termine, dopo un lasso di tempo di circa 6 mesi, continuando con le
esposizioni graduali a tutte le condizioni temute, Carmela riesca a superare pienamente il senso di
ansia situazionale e, sentendosi più sicura di sé possa affrontare in modo più sereno anche lo stato di
salute del marito, senza sentirsi soverchiata da eventuali problemi.
La signora Carmela accetta con entusiasmo ogni parte di questo contratto e si manifesta motivata a
seguire la terapia con impegno ed un’alta aspettativa di miglioramento della propria qualità di vita.
3. Trattamento
Come l’assessment, anche per quanto riguarda questa fase, vengono stabiliti incontri settimanali della
durata di un’ora l’uno. Questa cadenza verrà mantenuta per 4 mesi e mezzo, mentre saranno stabiliti
altri 2 appuntamenti per la somministrazione di un secondo test MMPI-2 e per una seduta di follow-
up, entrambi a distanza di circa 6 mesi dal termine dei colloqui di trattamento.
3.1 Svolgimento delle sedute
Durante le prime 4 sedute di trattamento, dal 04/10/06 al 25/10/06, come da accordi, gli incontri si
sono concentrati sulla psicoeducazione circa i disturbi d’ansia ed in particolare le Fobie Specifiche e,
attraverso la concettualizzazione del caso di Carmela è stato possibile invitare lei stessa ed il marito a
riflettere sul modo in cui la Fobia Situazionale si è instaurata e mantenuta negli anni;
contemporaneamente, il lavoro di approfondimento che la coppia ha affrontato relativamente ai
problemi cardiaci di Lido, grazie all’aiuto del Dr. Rossi (il cardiologo di riferimento) pare averli
innanzitutto tranquillizzati, anche se risulta necessario ripetere spesso a Carmela, durante questo
primo mese, che la vita di entrambi “non dipende dalla sua diretta responsabilità”.
Vengono riprese le tabelle 1, 2 e 3, recanti il grado di Unità di Disagio Soggettivo riportate a pagina
130 per spiegare nel dettaglio, a Carmela ed al marito, il lavoro che andranno ad affrontare.
Dal terzo incontro, tenuto il 18/10/06, Carmela si sente pronta ad iniziare la sua Esposizione Graduale
in Vivo relativamente allo stare chiusa in una stanza; le viene spiegato il principio della saturazione
dell’ansia e come proseguire sulla propria scala gerarchica, dopo aver effettuato il primo step in
seduta. In quella successiva la signora riporta i primi risultati dell’esposizione, compilando le seguenti
schede, fornite in precedenza; per ogni situazione con cui la signora dovrà misurarsi, sarà riportata
l’unità di disagio soggettivo riferita durante la stesura della graduatoria, (SUD), il tempo che è rimasta
esposta per sentir calare la sensazione d’ansia (T) ed il numero di ripetizioni sostenute (Rip.). Si
richiede infatti che prima di passare alla situazione maggiormente fobica, Carmela provi quella che
ritiene di aver superato e, qualora il livello d’ansia ritorni ad essere più alto, si sottoponga nuovamente
all’esposizione prima di proseguire. Riportiamo di seguito i risultati per i primi due step affrontati dalla
signora durante questa settimana, nella situazione “chiudersi in una stanza”:
137
Step per Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 SUD T SUD Rip.
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - III° Chiudersi non a chiave in
una stanza piccola di casa
40
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - II° Chiudersi a chiave in una
stanza grande di casa
30 20’ 10 2
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - I° Chiudersi non a chiave in
una stanza grande di casa
20 15’ 0 2
Tab. 10 Scheda di valutazione durante l’esposizione ai primi 2 step per la situazione “Chiudersi in una stanza”
Durante il colloquio del 25/10/06, Carmela riferisce che il residuo di ansia nell’affrontare l’esposizione
in vivo alla situazione “chiudersi a chiave in una stanza grande di casa”, è emerso al momento in cui
stava per girare la chiave ed aprire la porta; tale emozione è stata più bassa la seconda volta, ma
ritiene che, anche nel riaffrontarla prima di passare a quella successiva, potrebbe comunque
mantenere livelli un po’ più alti. Durante questa fase Lido si è tenuto in disparte e non ha né aiutato
né ostacolato la moglie durante le prove previste. Concordiamo che, fino a quando non si riterrà
necessario, è preferibile che Carmela affronti da sola le esposizioni.
L’analisi funzionale registra, con un’autosservazione per incidenti critici, altre difficoltà emerse; ne
riportiamo alcuni esempi:
13/10/06 ore 14.00 Comportamento: Attraversare un tunnel
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: paura.
Fisiologiche: palpitazioni,
sudorazione.
I coniugi devo recarsi a Firenze in auto perché
Lido deve fare alcune analisi di routine. Si trovano
ad affrontare 3 tunnel; Lido è nervoso e guida
arrabbiandosi con gli altri autisti.
“Mi sento male sto per
morire”, “Se muoio Lido farà
un incidente”, “Ho paura
voglio andar via”. Comportamentali: piange e
chiede al marito di guidare
con attenzione.
Tab. 11 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
13/10/06 ore 14.00
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: sollievo, sorpresa, timore.
Fisiologiche: agitazione motoria.
Lido tranquillizza la moglie e
guida in modo più rilassato e
tranquillo.
“Menomale è passato”,
“Ce ne sono altri due
adesso, come farò?”. Comportamentali: ringrazia il marito di rimanere
calmo mentre guida, si concentra sul proprio
respiro per affrontare i rimanenti tunnel.
Tab. 12 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
17/10/06 ore 20.30 Comportamento: Rimanere chiusa in una stanza
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: panico.
Fisiologiche: palpitazioni,
sudorazione, tremore alle mani.
Mentre Carmela è in cantina la porta
si chiude violentemente per uno
spostamento d’aria.
“Rimarrò bloccata!”, “Lido non sa
dove sono ed io morirò qui”, “Devo
uscire immediatamente”.
Comportamentali: spalanca la porta
Tab. 13 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
138
17/10/06 ore 20.32
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: sorpresa e sollievo.
Fisiologiche: nessuna.
Carmela ha aperto la porta della
cantina che si era chiusa.
“Si è aperta subito”,
“Che sciocca!”.
Comportamentali: mette un ferma-porta e finisce
quello che stava facendo in cantina.
Tab. 14 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
Analizzando insieme le schede riportate dalla signora, è stato possibile rimarcare l’importanza di
pensare in maniera funzionale e non catastrofica ed affrontare su un piano più specificatamente
cognitivo i suoi convincimenti erronei relativamente alla possibilità di morte del marito qualora
accadesse a lei qualcosa di grave.
Dalla V seduta all’VIII, tenute dal 02/11/06 al 22/11/06, Carmela continua la sua esposizione alla
situazione “Chiudersi in una stanza” ed inizia anche il lavoro con le rimanenti due; come
precedentemente pattuito, per la situazione “Tunnel” ella si fa accompagnare dal marito, il quale viene
addestrato a non tranquillizzare la moglie bensì a lasciare che affronti la propria paura direttamente.
Inoltre, dedichiamo una parte delle successive sedute all’esposizione in vivo della condizione
“Ascensore”, usufruendo di quello presente nella sede dell’azienda USL. Durante questo mese, non si
sono presentati eventi in cui la signora abbia sperimentato un’intensa paura in una delle tre situazioni
indicate, al di fuori di quelle programmate durante l’esposizione in vivo e, per questo motivo, non ha
riportato alcuna scheda per l’analisi funzionale.
Riportiamo quindi i risultati delle tre classi di esposizione affrontati fino a questo momento:
Step per Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 SUD T SUD Rip.
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - VII° Chiudersi a chiave in un
bagno pubblico in compagnia
80
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - VI° Chiudersi non a chiave in
un bagno pubblico in compagnia
70 35’ 20 3
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - V° Chiudersi a chiave in una
stanza piccola di casa da sola
60 35’ 20 3
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - IV° Chiudersi a chiave in una
stanza piccola di casa in compagnia
50 30’ 20 2
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - III° Chiudersi non a chiave in
una stanza piccola di casa
40 25’ 10 2
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - II° Chiudersi a chiave in una
stanza grande di casa
30 15’ 5 3
Tab. 15 Scheda di valutazione durante l’esposizione agli step 3-6 per la situazione “Chiudersi in una stanza”
Carmela riferisce di essersi stupita di non provare quasi nessuna ansia nell’affrontare una stanza di
casa chiusa a chiave, ma nell’iniziare nuovamente la sua esposizione ha piacevolmente constatato
questo risultato. Per gli step successivi al secondo si è prestato Lido, come compagnia durante i passi
più impegnativi. Come da accordi non ha tranquillizzato la moglie relativamente alla possibilità di
rimanere bloccati all’interno di una stanza e non l’ha aiutata quando, una volta calata la sensazione di
ansia, ella si è apprestata a riaprire la porta. Per quanto riguarda il bagno pubblico hanno scelto quello
di un supermercato molto grande presso il quale si recano regolarmente per la spesa settimanale.
139
Durante i colloqui sembra che le idee disfunzionali relativamente alla morte di Lido, si siano molto
ridimensionate nella mente di Carmela, mentre, per quanto riguarda quelle relativamente alla propria
fobia, sono diventate più funzionali in maniera proporzionale alla conoscenza reale del contesto e ad
un aumento del senso di autoefficacia in quelle stesse situazioni critiche. Analoghi risultati si
osservano per le altre due situazioni che, durante questo mese, sono state affrontate con l’aiuto del
marito e con la psicologa durante lo svolgimento delle sedute settimanali. Per quanto riguarda
l’attraversamento dei tunnel, poiché il tempo necessario non può essere modulato, i coniugi hanno
affrontato la situazione reiterate volte, fino alla percezione di diminuzione dell’ansia di Carmela,
entrando da un ingresso e lasciando all’uscita successiva la Strada di Grande Comunicazione “FI-PI-
LI”. Carmela ha inoltre iniziato a percorrere brevi percorsi pedonali in compagnia della figlia, i quali
sortivano le stesse emozioni dei tunnel, anche se in modo assolutamente meno marcato.
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 SUD T SUD Rip.
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - V° Tunnel buio che si
stima di circa 200 metri a traffico regolare
60
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - IV° Tunnel in cui si
intravede l’uscita a circa 100 metri
50 1’/2’ ad
esposizione
10 6
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - III° Tunnel in cui si vede
l’uscita a circa 30 metri
40 30”/1’ ad
esposizione
5 7
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - II° Tunnel in cui si vede
l’uscita a circa 10 metri
30 30”/1’ ad
esposizione
5 7
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - I° Tunnel in cui si vede
chiaramente l’uscita a pochi metri
20 30”/1’ ad
esposizione
0 7
Tab. 16 Scheda di valutazione durante l’esposizione ai primi 4 step per la situazione “Tunnel”
Come nel caso della situazione: “Tunnel”, anche per quella “Ascensore” il tempo di percorrenza
dell’ascensore, durante il III° passo nell’esposizione graduale, non può essere modificato, quindi
Carmela l’ha affrontato diverse volte fino a provare un senso di ansia accettabile.
Situazione Ascensore - Paura 100 SUD T SUD Rip.
Situazione Ascensore - Paura 100 - V° Arrivare da sola al 1° piano 60
Situazione Ascensore - Paura 100 - IV° Arrivare in compagnia al 1° piano 50 30” 20 6
Situazione Ascensore - Paura 100 - III° Entrare in un ascensore e lasciare che
si chiudano le porte
40 30’ 10 2
Situazione Ascensore - Paura 100 - II° Entrare in ascensore in compagnia e
lasciare che si chiudano le porte
30 20’ 5 2
Situazione Ascensore - Paura 100 - I° Entrare in un ascensore 20 15’ 0 2
Tab. 17 Scheda valutazione durante l’esposizione ai primi 4 step per la situazione “Ascensore”
Dalla V alla VIII seduta, dal 29/11/06 al 20/12/07, la signora ha continuato autonomamente ad
esporsi fino a raggiungere la fine della graduazione della situazione “Chiudersi in una stanza”,
raggiungendo il livello desiderato; Carmela durante il colloquio tenutosi in data 06/12/06 ammette che
gli ultimi passi sono risultati meno preoccupanti dei primi, in quanto si sentiva sufficientemente sicura
non solo di “non morire chiusa in una stanza”, ma che nel contempo sarebbe stato improbabile che
Lido avesse avuto un malore; inoltre, essendosi esercitata a chiudere ed aprire le porte con la chiave,
è aumentato il senso personale di autoefficacia, ma anche l’abilità oggettiva a compiere questo gesto.
140
Step per Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 SUD T SUD Rip.
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - IX° Chiudersi a chiave in un
bagno pubblico da sola
100 35’ 20 3
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - VIII° Chiudersi non a chiave in
un bagno pubblico da sola
90 30’ 10 2
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - VII° Chiudersi a chiave in un
bagno pubblico in compagnia
80 30’ 10 2
Situazione Chiudersi in una stanza - Paura 60 - VI° Chiudersi non a chiave in
un bagno pubblico in compagnia
70 35’ 10 4
Tab. 18 Scheda di valutazione durante l’esposizione agli step 7-9 per la situazione “Chiudersi in una stanza”
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 SUD T SUD Rip.
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - IX° Tunnel lungo e buio 100
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - VIII° Tunnel più lungo di
200 metri con traffico intenso
90 5’/10’ 30 5
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - VII° Tunnel più lungo di
200 metri con traffico regolare
80 4’/6’ 20 5
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - VI° Tunnel di circa 200
metri, con traffico intenso
70 3’/5’ 20 4
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - V° Tunnel di circa 200
metri a traffico regolare
60 2’/4’ 10 4
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - IV° Tunnel in cui si
intravede l’uscita a circa 100 metri
50 1’/2’ ad
esposizione
5 7
Tab. 19 Scheda valutazione durante l’esposizione agli step 5-8 per la situazione “Tunnel”
Situazione Ascensore - Paura 100 SUD T SUD Rip.
Situazione Ascensore - Paura 100 - IX°Arrivare da sola oltre il 2° piano 100
Situazione Ascensore - Paura 100 - VIII° Arrivare in compagnia oltre il 2° piano 90 45” 20 6
Situazione Ascensore - Paura 100 - VII° Arrivare da sola al 2° piano 80 30” 20 6
Situazione Ascensore - Paura 100 - VI° Arrivare in compagnia al 2° piano 70 30” 10 7
Tab. 20 Scheda di valutazione durante l’esposizione agli step 7-8 per la situazione “Ascensore”
Similmente alla prima situazione, anche l’esposizione ai Tunnel, è andata avanti fino a raggiungere il
penultimo stadio pattuito. La collaborazione del marito in questo periodo è stata davvero preziosa e, di
per sé, ha permesso una graduale modificazione delle idee disfunzionali di Carmela relativamente al
suo stato di salute, ma anche un reale miglioramento nella modulazione, da parte di Lido stesso, dei
suoi tipici eccessi d’ira; il clima di coppia ha trovato giovamento dalla terapia della donna, non solo in
termini di affiatamento dei coniugi, ma anche spostando l’attenzione di entrambi da una sensazione di
morte incombente che aleggia da molti anni su Lido.
Per quanto riguarda il trattamento della situazione “Ascensore”, l’esposizione, come negli incontri
precedenti, si è tenuta durante le sedute settimanali e dalla IX alla XII seduta, effettuate dal 03/01/07
al 17/01/07; Carmela ha raggiunto l’ultimo step di entrambe le situazioni rimaste: nell’affrontare un
viaggio in macchina e nell’eventualità di dover percorrere dei tunnel, ella è arrivata a non preoccuparsi
esageratamente ed a gestire la sua ansia fino ad un livello accettabile; nello stesso periodo è poi
141
riuscita a prendere l’ascensore, esponendosi alla condizione più fobica consentita nel distretto
dell’azienda USL, il 3° piano.
Già negli scorsi mesi abbiamo assistito ad un’assenza delle schede di automonitoraggio, relativamente
a situazioni che hanno messo in difficoltà Carmela, al di fuori di quelle cui si è sottoposta per
l’esposizione; tale risultato è dato principalmente dalla maggior libertà che Carmela ha guadagnato,
affrontando il rischio di provare ansia in una condizione di per sé non pericolosa. Inoltre, più la signora
sente aumentare il proprio senso di autoefficacia, maggiormente tende a sperimentare se stessa in
situazioni che ha temuto per anni o, nel caso in cui si trovi in una condizione imprevista, a trovare
subito la forza di reagire senza lasciarsi attanagliare dall’ansia.
Come per gli scorsi mesi mostriamo le tabelle che indicano il tempo di esposizione alle 2 situazioni
fobiche rimaste ed i livelli di ansia percepiti da Carmela, oltre al numero di ripetizioni necessarie per
ottenere tale risultato.
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 SUD T SUD Rip.
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - IX° Tunnel lungo e buio 100 7’ 20 6
Step per Situazione Tunnel - Paura 90 - VIII° Tunnel più lungo di 200 metri
con traffico intenso
90 5’/10’ 20 6
Tab. 21 Scheda di valutazione durante l’esposizione all’ultimo step per la situazione “Tunnel”
Situazione Ascensore - Paura 100 SUD T SUD Rip.
Situazione Ascensore - Paura 100 - IX°Arrivare da sola oltre il 2° piano 100 1’ 20 6
Situazione Ascensore - Paura 100 - VIII° Arrivare in compagnia oltre il 2° piano 90 45” 10 7
Tab. 22 Scheda di valutazione durante l’esposizione all’ultimo step per la situazione “Ascensore”
In occasione della XV seduta, tenutasi nel giorno 17/01/07, vengono ripresentate a Carmela le schede
originarie tratte dal BAT e commentate ulteriormente le prime analisi funzionali per verificare e
confermare i risultati ottenuti sia sul piano comportamentale, che su quello più strettamente cognitivo;
in entrambi i casi si è assistito ad un miglioramento nell’abilità di autocontrollo della signora, nel suo
senso di autoefficacia, ma anche nello sperimentare dopo molti anni se stessa in modo libero e
completo.
Carmela viene invitata a continuare ad esporsi alle proprie situazioni critiche almeno una volta alla
settimana, cercando di non perdere i risultati finora ottenuti.
Decidiamo dunque di stabilire un nuovo incontro, a distanza di 6 mesi, in data 18/07/07 perché si
sottoponga nuovamente al test MMPI-2 e ad un colloquio teso a verificare che cosa sia cambiato dopo
questo tempo.
3.2 Follow-up e Conclusioni
Viene somministrato in data 18/07/07 il test MMPI-2 di cui riportiamo i risultati ed in base ai criteri
descritti da Butcher e Williams una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams, 1996). Per ogni
grafico è possibile osservare le linee tratteggiate relative al primo test somministrato.
Dal profilo delle scale di validità è possibile asserire che la donna ha risposto al test con un giusto
equilibrio tra apertura, sincerità e difesa.
Per quanto riguarda la conformazione delle scale, essa si presenterebbe lievemente ridotta nei singoli
punteggi; Carmela rimarrebbe una persona che tende a lamentarsi e scoraggiarsi; probabilmente la
142
sua preoccupazione per la salute del marito è ancora alta ed è rimasta una persona permalosa se
contraddetta o non assecondata. Riteniamo però che questo sia da considerarsi normale in una
persona nata nel 1944 ed in ogni caso, si ritiene che tali peculiarità individuali possano essere
annoverate come stabili caratteristiche di personalità non disfunzionali. Dall’analisi delle scale Pa = 54
e Pt = 61 emerge che Carmela ha riacquistato una certa razionalità, modificando alcune idee di
riferimento non aderenti alla realtà; mentre, l’aumento del punteggio alla scala Ma = 57
evidenzierebbe un miglioramento della qualità dei rapporti sociali estesi in modo più generalizzato al di
fuori della coppia.
Scale Cliniche
65
5862 61
5763 62
51
64
54
61
5357
6565
58
73 71
57
75 73
51
75
68 6864
60
75
30
40
50
60
70
80
90
100
06/09/2006 65 58 62 61 57 63 62 51 64 54 61 53 57 65
18/07/2007 65 58 73 71 57 75 73 51 75 68 68 64 60 75
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 4 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 18/07/07
Scale Supplementari
65
5862 61
57
63 62
51
6465
58
73 71
57
75 73
51
75
30
40
50
60
70
80
90
100
06/09/2006 65 58 62 61 57 63 62 51 64
18/07/2007 65 58 73 71 57 75 73 51 75
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 5 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 18/07/07
143
Scale di Contenuto
56
48
6367
57
45 4551 50
41
5752
6467
58
7578
6571
58 56
40
59
5043
58 56
74 73
54
30
40
50
60
70
80
90
100
18/07/2007 56 48 63 67 57 45 45 51 50 41 57 52 64 67 58
06/09/2006 75 78 65 71 58 56 40 59 50 43 58 56 74 73 54
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 6 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 18/07/07
Nell’incontro di follow-up a 6 mesi, in data 19/07/07, è emerso che la signora in questi ultimi mesi, ha
potuto usufruire di alcuni giorni di ferie non spese e, poiché le era stato consigliato di mantenersi
esposta alle situazioni fobiche che aveva superato durante la terapia, si è concessa diversi viaggi con il
marito. Con molto entusiasmo riporta di essere stata in Liguria in auto, Lido, date le paure della
moglie si è mantenuto il più sereno possibile alla guida ed ogni tunnel attraversato lei si è sentita
sempre meno in ansia. Per quanto riguarda il trovarsi chiusa in una stanza, racconta invece che non è
più un problema e che adesso utilizza spesso il bagno della fabbrica dove lavora, durante il proprio
turno. Registra poche occasioni per prendere l’ascensore, ma quando può lo fa.
144
145
Giada: Disturbo Evitante di Personalità. PRESENTAZIONE DEL CASO
1. Informazioni generali
1.1 Generalità del paziente
Giada nasce il 09 Gennaio del 1983 a Fucecchio e da sempre è residente a Santa Maria a Monte, un
piccolo paese in provincia di Pisa con la famiglia d’origine composta attualmente da madre, padre e
fratello.
Descriviamo brevemente più in dettaglio i familiari della richiedente: la madre di Giada, Vera, è nata
nel 1952 ed è un’ausiliaria in ospedale; il padre Dino, nato nel 1950 è attualmente pensionato e si
dedica soprattutto alla cura dei campi limitrofi alla casa; il fratello Roberto, nato nel 1979, è titolare di
un’officina da elettricista. Appare inoltre utile menzionare il fatto che è fidanzata dal 1999 con
Massimo, imprenditore edile, nato nel 1976 e residente nello stesso paese della ragazza.
Nel 2002 dopo aver concluso l’istituto d’arte frequentato a Volterra, Giada si ritrova con una grande
passione, un’adeguata abilità e tuttavia pochi sbocchi lavorativi; decide quindi di frequentare a Roma
un laboratorio di fumetti, ma, dopo uno stage di 3 mesi, nel 2003 torna a vivere con la famiglia,
perché non tollera il pensiero di doversi trasferire in pianta stabile in questa città tanto lontana da
casa, per poter continuare gli studi e trovare successivamente un lavoro.
Spronata dalla madre, l’anno seguente decide di riprendere gli studi, anche se in ambito assistenziale.
La ragazza sottolinea che avrebbe preferito seguire il corso per Operatore Socio Sanitario (O.S.S.) in
quanto le sembrava più adatto alle proprie capacità, ma la madre aveva insistito tanto affinché
s’iscrivesse al corso di laurea in Scienze Infermieristiche, perché lei stessa avrebbe voluto frequentarlo
quando era giovane. Dopo aver ripetuto per otto volte consecutive lo stesso esame (Istologia) senza
mai essere promossa la ragazza decide di interrompere gli studi e, proprio nel comunicare questa sua
posizione alla madre, manifesterà un acting-out così violento ed improvviso, che la spingerà a
rivolgersi al servizio U.S.L. di Psicologia. Spiegheremo dettagliatamente nel paragrafo 2.1 a pagina
146, che cosa s’intende per acting-out e perché ha creato tanto allarme all’utente ed alla sua famiglia.
Attualmente Giada non risulta più iscritta ad alcun corso universitario, impartisce lezioni private a due
bambini che frequentano le classi elementari, fa la babysitter e vende nelle sagre e nei mercati dei
fiori costruiti con la carta crespa, che lei stessa crea assieme alla cugina, ma soprattutto, passa la
maggior parte del suo tempo in casa ad occuparsi delle faccende domestiche e dei propri familiari.
1.2 Caratteristiche della relazione
Giada si rivolge autonomamente, anche se fortemente consigliata dal medico di base che richiede in
prima persona la consulenza psicologica, al servizio pubblico dell’azienda U.S.L. presso l’Unità
Operativa Complessa di Psicologia in San Miniato; al termine di questo primo colloquio viene stabilita
una frequenza di incontri settimanale della durata di un’ora ciascuno.
146
2. Assessment (4 sedute: 3 colloqui clinici, 1 seduta di test)
2.1 Richiesta dell’utente
Giada si rivolge al servizio pubblico di San Miniato pur non appartenendo a questo distretto perché
preferisce evitare di incontrare la persona che, nel proprio comune di residenza si occupa delle
prenotazioni, in quanto preoccupata che vengano messe in giro voci su un suo eventuale trattamento
psicologico.
L’impegnativa con cui si presenta all’U.O.C. di Psicologia in San Miniato, in data 13 Settembre 2006, è
del Dr. Martinelli, il medico di famiglia dal quale la madre accompagna la ragazza immediatamente
dopo la crisi cui si accennava in precedenza e che adesso andremo a spiegare dettagliatamente. Giada
è considerata da tutti la “bimba brava di casa” che si occupa di tutto e di tutti, dai nonni malati alla
madre, dalle faccende di casa ai propri lavori part-time. Nel mese di Giugno, mentre sta facendo dei
lavori domestici con la madre, le comunica di voler lasciare il corso di laurea in Scienze
Infermieristiche che frequenta da 2 anni, perché frustrata dal fatto di non essere riuscita a superare
l’esame di istologia, già sostenuto otto volte; Giada prova a spiegare che non ritiene sia la facoltà
adatta a lei, ma la madre liquida le sue motivazioni come “un capriccio momentaneo”. La ragazza, di
fronte all’indifferenza della madre, sente le lacrime salirle agli occhi e se ne va nella stanza vicina con
l’intento di calmarsi, ma, al contrario, racconta di aver preso una ad una tutte le porcellane della
vetrinetta del soggiorno di casa sua ed urlando, le ha rotte buttandole a terra. La madre, attirata dai
rumori accorre, le dà uno schiaffo con il tentativo di interrompere questo comportamento e, dopo
esserci finalmente riuscita la convince ad andare insieme dal dottore, il quale, venuto a conoscenza di
questo acting-out, prescrive alla ragazza un antidepressivo triciclico, il Laroxil, e prepara l’impegnativa
con cui la giovane si presenterà all’azienda U.S.L. 3 mesi dopo.
I primi giorni dall’accaduto, la madre insiste che Giada prenda con regolarità il farmaco assegnatele
dal medico, ma al contrario lei smette precocemente, in quanto il Laroxil le induce una forte
sonnolenza ed anche il fidanzato, Massimo, che non conosce pienamente quanto accaduto, inizia a
notare questo suo calo fisico.
La ragazza si presenta al servizio di Psicologia molto impaurita nei confronti di sé e del proprio gesto,
che ricorda soprattutto accompagnato dalla chiara sensazione di non potersi fermare.
Si può quindi riassumere la richiesta dell’utente come un aiuto a capire perché ha avuto una reazione
così estranea al proprio modo di essere ed eventualmente ad intervenire per prevenire che un simile
accesso di rabbia si ripresenti nuovamente. Come approfondiremo al termine del prossimo paragrafo,
Giada richiede inoltre al servizio un aiuto a maturare abilità specifiche per emanciparsi dalla famiglia
ed in particolare dalla madre.
2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio
Giada riferisce che il gesto di acting-out appena descritto, ha comunque sortito l’effetto desiderato:
non sentendosi presa sul serio ed ascoltata, solo la messa in atto di un comportamento eclatante
avrebbe finalmente attirato l’attenzione quel tanto da garantirle l’imposizione della propria decisione di
interrompere gli studi su quella della madre, anche se la reazione in oggetto le è poi “sfuggita di
147
mano” perdendone il controllo. La giovane spiega che per la prima volta dopo molto tempo era come
se avesse asserito con decisione: “ci sono anche io!” ed è forse a causa di questa lunga attesa che il
mezzo per farlo è stato così sproporzionato ed a lei stessa estraneo, da spaventarla in prima persona.
Fino ad allora, solo un’altra volta, all’età di 18 anni, riferisce di aver cercato di attirare l’attenzione con
un atteggiamento tanto plateale, colorandosi i capelli di Fucsia ispirata al cartone animato “Jem e le
Hologram”; anche in quell’occasione, Giada si era resa conto della portata del proprio gesto solo in un
secondo momento e la madre, dopo averla sgridata severamente, le aveva però dedicato tutto il suo
pomeriggio, portandola dal parrucchiere e scegliendo con lei un colore di capelli sempre appariscente
ma più naturale.
Per quanto riguarda i rapporti sociali al di fuori della famiglia, frequenta assieme al fidanzato Massimo
il bar del paese, che è il punto principale di ritrovo degli amici della coppia. Non pare avere rapporti
esclusivi di amicizia con nessuno tranne la cugina, della quale parla spesso, sebbene riferisca di non
andarci molto d’accordo ultimamente, in quanto è una persona che non sta molto attenta al denaro, al
contrario suo. Le due ragazze, infatti, si occupano insieme della produzione e della promozione e
vendita dei fiori di carta cui accennavamo in precedenza. Se la ragazza sta molto attenta alle spese
sostenute, rispetto agli incassi delle vendite dei loro prodotti, la cugina appare invece più superficiale
e, in diverse occasioni, ha insistito perché comprassero della carta al dettaglio, anziché rifornirsi
all’ingrosso a prezzi più vantaggiosi; tale atteggiamento ha portato Giada a stabilire che non avrebbe
più potuto lavorare con la cugina e, per alcuni mesi (da Marzo a Luglio 2006) ha mantenuto fede a
tale decisione, ritornando sui propri passi soltanto adesso.
In generale racconta che, nonostante in famiglia ci siano stati grossi sperperi, la loro situazione
economica è abbastanza buona; aggiunge però di essere l’unica in casa ad avere una mentalità
risparmiatrice e pensa che molti dei soldi che, per lei sono stati completamente scialacquati, sarebbero
potuti esser devoluti a lei per aprire, come il fratello, una propria attività autonoma o quantomeno per
acquistare un’auto nuova.
Giada parla spesso dei soldi e ne esprime anche una vera preoccupazione. Riferisce che la propria
famiglia misura l’affetto e la felicità attraverso il denaro. Giada, adeguandosi suo malgrado a questo
atteggiamento familiare, vorrebbe quindi che le fossero dati dei soldi per sé, cosicché avrebbe la
certezza che la famiglia la ama, anche se non sa esprimere questo sentimento in altro modo.
La ragazza riferisce di essere abituata a rinunciare a qualunque cosa per gli altri; se all’inizio, questo
suo atteggiamento la fa sentire bene con se stessa, perché felice di aver aiutato in qualche modo una
persona cara, successivamente tende a rammaricarsi per il fatto che la maggior parte delle persone
che aiuta non la ringrazia e, tanto meno, ricambia tali favori. Nel dire questo si riferisce principalmente
ai membri della propria famiglia ed in particolare al fratello, il quale sembra addirittura approfittarsi
della disponibilità della ragazza.
La madre della giovane soffre di una malattia reumatoide molto dolorosa e Giada si prende cura di lei,
cercando di sopperire il più possibile alle faccende familiari, accompagnandola in palestra ed
aiutandola a sottoporsi a sedute di elettrostimolazione con apparecchiature domestiche. Per quanto
riguarda la cura della casa, è utile sottolineare il fatto che viene svegliata dalla madre la mattina alle 6
per svolgere i lavori domestici, con una pausa dalle 12 alle 14 per il pranzo; il pomeriggio, dopo aver
148
lavato i piatti e rimesso in ordine la cucina, Giada si dedica a qualche mansione specifica come
lucidare l’argenteria, pulire l’aia davanti casa, passare la cera, lavare i tappeti, etc. Quando sua madre
va a lavorare è lei da sola ad occuparsi delle pulizie. Questo avviene tutti i giorni, compresi i festivi.
Il rapporto della ragazza con la mamma è molto particolare: quest’ultima rivive i propri desideri
attraverso la vita della figlia, ad esempio persuadendola a frequentare il corso di studi che a suo
tempo lei non ha potuto seguire, mentre Giada, che fallisce regolarmente nel realizzare i sogni della
madre, si sente frustrata e limitata. La giovane, infatti, sostiene che incaricarsi di tali attività, che
probabilmente risulteranno fallimentari, la espone maggiormente alle critiche e, soprattutto quando
queste provengono dalla madre, lei si trova in difficoltà. Approfondendo questo elemento, racconta di
non riuscire ad accettare giudizi di disapprovazione, soprattutto della madre ed in generale da parte
delle persone per lei significative ed è per questo che molte volte, si “veste con i panni della bimba
brava” che proprio non le piacciono, ma che almeno la proteggono da un’eventualità anche peggiore:
il giudizio negativo.
Giada afferma, infatti, che non vuole essere la “bimba brava” e, quando le persone al di fuori della
famiglia, le fanno i complimenti per la sua dedizione alla casa ed ai familiari, riferisce di provare una
rabbia intensa, tanto da indurle delle alterazioni fisiologiche caratterizzate principalmente da tremori
delle mani e degli arti superiori. Appare subito un po’ strano che Giada, tanto tristemente abituata a
non ricevere mai né lodi né ringraziamenti dai familiari, possa detestare i complimenti mossi da amici
o conoscenti, tanto da avere delle conseguenze di tipo fisiologico così forti. Disquisendo a lungo,
emerge piuttosto che tanta passione per l’accudimento della propria casa e famiglia, ha lo scopo di
renderla in qualche modo “indispensabile” ai suoi componenti, i quali, secondo questo principio,
dovrebbero sentire il dovere di esprimerle la loro più profonda gratitudine. Poiché questo non è mai
accaduto, Giada continua ad essere tanto dedita a “recitare questo ruolo”, per evitare attivamente le
critiche che, se smettesse di essere così “brava”, soprattutto secondo gli standard della madre, le
verrebbero certamente rivolte; di conseguenza, ricevere lodi e complimenti da “estranei” le rende
evidente l’ingratitudine e la freddezza dei suoi familiari ed è questa presa di coscienza a determinare
la sua reazione di rabbia. Inoltre, percepire rabbia è di per sé un problema, in quanto genera un
vissuto di disagio e senso di colpa e, se nei confronti di persone più distanti ha conseguenze più
accettabili, verso i familiari, per prima la mamma è assolutamente intollerabile.
Per quanto riguarda il padre è definito dalla ragazza “di passaggio” perché non si fa mai vedere in
casa e, anche adesso che è in pensione, tende a starne il più possibile lontano, dedicandosi piuttosto
alla cura delle terre attorno ad essa od agli animali che alleva e macella per la vendita a privati. Giada
sostiene che è un uomo tirchio, nonostante sperperi molti soldi nel gioco del Lotto. Ha un carattere
nervoso e, se la sua presenza casalinga è limitata, quando si trova con la moglie litigano accesamente
per qualunque cosa. Riporta che quando li sente discutere, spesso dà ragione alla madre ed interviene
per difenderla.
Il fratello di Giada, Roberto, un po’ come il padre è sempre stato molto schivo. Ad Aprile del 2006
conosce Laura, una ragazza più grande di lui di 4 anni ed il mese successivo la presenta alla famiglia.
Giada ritiene che questa ragazza sia eccessivamente gelosa e controllante e che “porti via da casa”
suo fratello troppo spesso; s’insinua subito in lei il dubbio che il suo interesse principale siano i soldi di
149
famiglia e cerca di persuadere in tal senso anche Roberto, il quale al contrario, reagisce chiudendosi
ancora di più.
Nonostante sia stata la madre 6 anni prima, a dare a Roberto i soldi per aprire la sua officina elettrica,
anche adesso che ha un buon giro di affari egli continua a non contribuire in alcun modo al menage
familiare. Giada recrimina il fatto di dover sopperire alle mancanze del fratello non solo per quanto
riguarda la cura della casa, ma anche economicamente, coprendo alcuni pagamenti rateali che
arriverebbero al domicilio e dei quali Roberto si dimentica regolarmente, mentre al contrario, pare
spenda gran parte delle proprie entrate per fare doni alla fidanzata.
Dal racconto portato, oltre il vasto impegno verso il proprio nucleo familiare, colpisce come questa
ragazza, fin da giovanissima, si sia occupata anche fisicamente dei nonni materni, accudendoli fino
alla morte. In effetti, emergerà soltanto in un secondo momento quanti anni aveva al momento del
decesso dei nonni, in quanto lei riferisce di aver vissuto con loro fino a “pochi anni prima” al piano
superiore di una bi-familiare, mentre in quello sottostante risiedevano i genitori ed il fratello. Solo
chiedendo a Giada le date dei vari eventi di vita, per poterne costruire un quadro cronologico più
preciso, risulterà quanti anni sono trascorsi realmente; la malattia e poi la dipartita dei nonni,
risalgono a 18 e 13 anni prima: la nonna viene a mancare nel 1988; suo marito, malato di tumore dal
1993, lascia la nipote alla fine dello stesso anno, quando lei ha 10 anni. Riferisce che il nonno provava
disagio nell’essere curato e soprattutto lavato da lei, ma nessun altro lo voleva fare: la madre per via
dei dolori alle ossa ed il fratello perché diceva di provare “schifo” nel farlo. Parla di entrambi i nonni
materni come persone molto affettuose e gentili con lei ed è proprio per questo motivo che il loro
accudimento non le è stato di peso.
Prima di apprendere dove si colloca precisamente nella storia di Giada, la morte del nonno, la ragazza
riporta come la sua vita sia peggiorata da quel momento in poi e, se fosse possibile, il suo più grande
desiderio sarebbe quello di tornare a prima di quell’avvenimento; solo il nonno, infatti, sapeva
ringraziarla per quanto faceva per lui e se fosse ancora in vita, farebbe in modo che anche il resto
della famiglia le fosse riconoscente e la rispettasse di più.
I nonni paterni, al contrario, sono stati poco affettuosi e non ci ha mai legato molto, ma, nonostante
questo li ha accuditi fino alla loro morte avvenuta nel 2004.
2.3 Allargamento ad altri problemi
Per quanto riguarda la salute in senso più strettamente fisico, la giovane riporta difficoltà di
addormentamento, sebbene qualora riesca a prendere sonno esso è duraturo e ristoratore.
Da circa 2 anni soffre di coliche addominali le quali sopraggiungono ogni qualvolta riferisce di provare
una profonda rabbia che solitamente si presenta, come già accennato, accompagnata da tremori delle
mani e degli arti superiori e che generalmente è poi repressa anziché espressa e sfogata verso
l’esterno.
Anche la madre soffre di questo disturbo ed è solita lamentarsi del dolore ad alta voce, talvolta
piangendo; in generale durante questi avvenimenti algici usa spesso dire ad alta voce che la propria
vita è terribile e che nessuno le vuole bene o fa qualcosa per lei. A seguito di queste occasioni, anche
a Giada capita spesso di avere delle coliche, riportando immediatamente gli stessi sintomi lamentati
150
dalla mamma; riferisce di trovare intollerabili tali rammarichi, anzi, sono proprio quest’ultimi che
vanificano definitivamente ogni suo sforzo di essere d’aiuto e ritiene che probabilmente è la rabbia che
prova verso la madre, tanto ingrata dopo tutto quello che fa per lei e per il resto della famiglia, ad
indurle tali sintomi.
Durante il terzo incontro, Giada dice di essere contenta di aver trovato al servizio U.S.L. una psicologa,
in quanto ad Ottobre del 2005 ha affrontato un aborto e si sente quindi più disinibita nel parlarne con
una donna piuttosto che con un uomo. Tale evento, riferisce, “insieme alla morte del nonno” la fa
sentire molto giù di morale. Massimo, il suo ragazzo dal 1999, nonostante abbia con la ragazza un
rapporto aperto e confidenziale e sia più grande di lei di 7 anni, in questa occasione non è stato molto
supportivo nei suoi confronti e non si è comportato in modo “maturo”; Giada riferisce di essere
rimasta sola nella sua decisione e, per quanto riferisca che si sarebbe aspettata un atteggiamento più
consigliante da parte di Massimo, allo stesso tempo lo difende, sottolineando che era giusto che fosse
lei a scegliere. La preoccupazione più grande era per lei quella di confidare alla madre di essere
rimasta incinta e, per evitare questo problema decide di perdere il bambino. Mentre parla di questo
avvenimento sorride serenamente e non mostra segni fisiologici o comportamentali che possano
indicare un’emozione particolare; inoltre, tornerà soltanto una volta sull’argomento manifestando un
sentimento di rabbia più che di rimpianto e, successivamente non esprimerà particolari richieste a
riguardo, durante la terapia.
Se la mamma ed il medico di base la convincono ad effettuare dei colloqui psicologici a causa
dell’acting-out avuto nei confronti delle porcellane di casa, Giada individua subito come questo servizio
potrebbe esserle d’aiuto per imparare a svincolarsi dalla famiglia di origine senza sentirsi in colpa e
senza essere giudicata male, soprattutto dalla mamma e dal fratello. Per quanto, infatti, fino a questo
momento riferisca di aver giustificato la propria condizione solitaria e la paura di affrontare da sola
l’ambiente esterno, sente che adesso ha bisogno di focalizzarsi su se stessa, prendendo quindi questo
acting-out come una richiesta d’aiuto inadeguata e sproporzionata. La ragazza giunge a questa
conclusione durante l’ultima seduta di assessment, nella quale, in data 18/10/06, le è stata proposta
la concettualizzazione del suo problema ed è stata invitata a condividere gli obiettivi della terapia.
Giada non esprime di volersi evolvere rispetto alla propria famiglia, ma lo chiede, come se non
sapesse se fosse davvero possibile fare una richiesta del genere.
2.4 Motivazione
Giada, forse anche per le proprie caratteristiche di personalità, risulta molto aderente alle prescrizioni
e fin da subito svolge senza problemi le attività assegnatele a casa. Il suo comportamento è
principalmente di tipo anassertivo passivo, con una condotta tesa a compiacere l’ascoltatore ed a non
deluderlo, forse nel tentativo di evitare un’eventuale critica od abbandono da parte di quest’ultimo.
2.5 Strumenti psicodiagnostici
Viene somministrato in data 21 Settembre 2006 il test MMPI-2 di cui riportiamo i grafici ed in base ai
criteri descritti da Butcher e Williams una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams, 1996).
151
Giada si presenta in anticipo sull’appuntamento, appare rilassata e propositiva, si siede e senza
chiedere altre spiegazioni inizia a compilare il test.
Il profilo delle scale cliniche, pur evidenziando la validità del test, potrebbe rilevare una mancanza di
difese od una richiesta di aiuto accentuata dalla simulazione di disturbi. La marcata criticità verso sé
tipica della scala K=36 correlerebbe con l’elevazione di Si=75, LSE=72 e D=82.
Il livello bassissimo della scala Mf rifletterebbe lo stereotipo di “donna” che la ragazza si è cucita
addosso occupando la maggior parte delle proprie giornate a svolgere l’attività di casalinga, con o
senza l’aiuto della madre, dopo l’abbandono del corso universitario in Scienze Infermieristiche.
Il profilo delle scale cliniche suggerisce la presenza di una condizione depressiva del tono dell’umore in
un soggetto con nette tendenze all’introversione ed al ritiro sociale. Giada mostrerebbe una notevole
difficoltà ad interiorizzare le norme etico-sociali del gruppo di appartenenza verso il quale può
mostrare valenze ostili e comportamenti caratterizzati da impulsività ed aggressività (Pd=73). Ciò
sottenderebbe sentimenti di insicurezza, ansia e paura del confronto, specialmente riguardo all’altro
sesso. Può tendere a formare forti legami emotivi, nutrendo molte aspettative negli altri a copertura di
profonde sensazioni di inadeguatezza, insicurezza ed inferiorità. Lo stile interpersonale e la struttura
della personalità indicherebbero prevalentemente una persona evitante con note antisociali.
Sono presenti, probabilmente a livello soltanto covert, rifiuto del concetto di autorità, bisogno
compulsivo di soddisfare le proprie pulsioni istintuali e possibile manifestazione di comportamenti
impulsivi; potrebbe poi vivere tali atteggiamenti con forte ansia o senso di colpa quando vengono
realmente messi in atto.
Secondo recenti indagini sperimentali sul test MMPI-2 (Sellbom et al. 2006), si tende a considerare il
codice 2-4-0 come indice di Disturbo di Personalità di tipo Evitante, anche se per una chiara diagnosi è
naturalmente necessario tener conto dei colloqui clinici finora effettuati.
Scale Cliniche
6167
36
7682
63
7368 68
6460
75
30
40
50
60
70
80
90
100
21/09/2006 61 67 36 76 82 63 73 0 68 68 64 60 75
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 1 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 21/09/06
152
Scale Supplementari
65
58
73 71
57
75 73
51
75
30
40
50
60
70
80
90
100
21/09/2006 65 58 73 71 57 75 73 51 75
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 2 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 21/09/06
Scale di Contenuto
64
50
6571
77
56
40
63
50
43
72 73 74 7378
30
40
50
60
70
80
90
100
21/09/2006 64 50 65 71 77 56 40 63 50 43 72 73 74 73 78
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 3 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 21/09/06
2.6 Analisi funzionale
Poiché gli episodi di acting-out sono sporadici nel tempo e risulterebbe quindi impossibile monitorarli,
decidiamo di stabilire, coerentemente agli obiettivi che illustreremo successivamente,
l’automonitoraggio dei sentimenti di colpa e delle altre emozioni negative, che la giovane prova ogni
volta che non asseconda i desideri dei familiari o che questi le rivolgono delle critiche. È quindi
relativamente alle situazioni in cui Giada non rispetta e non fa rispettare agli altri i propri diritti (Smith,
1975), che viene eseguita l’analisi funzionale. Si sceglie inoltre di utilizzare una forma di ABC cognitivo,
sia per questa prima fase di assessment che successivamente per la fase di trattamento (Ellis, 1989).
Riportiamo qui di seguito alcuni esempi tratti dalle schede di automonitoraggio fornite alla ragazza:
13/09/2006 ore 00.35
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE e grado su scala 100
Emotive: Senso di colpa, tristezza.
Fisiologiche: sensazione di agitazione crescente,
tremori delle mani, voglia di piangere.
Giada è appena tornata da
un’uscita con il fidanzato ed
al rientro la madre le chiede
di metterle gli elettrodi per
il mal di schiena.
“Ma è tardi!”, “Perché mi
scarica sempre questa
responsabilità?”, “Non ho
voglia adesso”. Comportamentali: dice alla madre che è tardi e va in
camera sua.
Tab. 1 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
153
14/09/2006 ore 00.50
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: Senso di colpa, ansia.
Fisiologiche: irrequietezza.
Giada è andata a letto
senza mettere gli
elettrodi a sua madre.
“Se non faccio qualcosa mi terrà il
broncio”, “Domattina devo
preparare la colazione e poi fare le
faccende”, “Speriamo che basti
questo”.
Comportamentali: rimane sveglia prendendo
sonno diverse ore dopo e, l’indomani alle 05.00
si alza e prepara la colazione per tutta la
famiglia ed inizia a fare le faccende di casa.
Tab. 2 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente
Giada riporta settimanalmente il numero di volte che ha provato un sentimento di colpa nei confronti
delle persone per lei significative ed inizia in contemporanea a compilare dei grafici a torta riguardanti
il tipo di attività svolta: per la famiglia, per il fidanzato, per gli amici, per la scuola, per il lavoro, per gli
hobby e per se stessa; inoltre le viene affidato un diario emozionale molto stilizzato relativo al vissuto
cumulativo di ogni giornata.
Dai colloqui, emerge, infatti, che non solo non sembra in grado di ritagliarsi sufficienti spazi personali,
ma affronta un vissuto emotivo di colpa o di fallimento personale, ogni qual volta non si dedica
completamente alla vita familiare e soprattutto a svolgere le attività della madre, per sollevarla da
oneri di tipo fisico.
Riportiamo qui di seguito alcuni esercizi di automonitoraggio svolti dalla ragazza:
7 69
7
02468
10
1 sett. 2 sett. 3 sett. 4 sett.
Assessment
Fig. 4 Grafico del numero di sensi di colpa provati in un mese
14/09/06FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
22/09/06 Famiglia
Fidanzato
Amici
Scuola
Lavoro
Hobby
Giada
Fig. 5 Grafico della suddivisione della giornata Fig. 6 Grafico della suddivisione della giornata
2.7 Diagnosi DSM-IV: F60.6 Disturbo Evitante di Personalità [301.82]
La caratteristica essenziale del Disturbo Evitante di Personalità, secondo il DSM-IV TR (APA, 2001), è
una modalità pervasiva di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza ed ipersensibilità alla
valutazione negativa, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti.
Gli individui con Disturbo Evitante di Personalità evitano il lavoro o le attività scolastiche che
coinvolgono un contatto interpersonale significativo per timore di essere criticati, disapprovati o
rifiutati (Criterio 1). Possono essere respinte offerte di promozione sul lavoro, poiché le nuove
responsabilità potrebbero determinare la critica dei colleghi. Questi individui evitano di farsi nuovi
154
amici, a meno che non siano certi di piacere e di essere accettati senza critiche (Criterio 2). Finché
non superano prove rigorose che dimostrano il contrario, le altre persone sono ritenute critiche e
disapprovanti. Gli individui con questo disturbo non si uniscono ad attività di gruppo, a meno che non
vi siano offerte ripetute e generose di supporto e di accudimento. L’intimità interpersonale è spesso
difficoltosa, sebbene si riscontri una capacità di stabilire relazioni intime, quando viene assicurata
un’accettazione incondizionata. Possono agire con inibizione, avere difficoltà a parlare di sé, e
trattenere sentimenti intimi per timore di esporsi, di essere ridicolizzati o umiliati (Criterio 3).
Poiché gli individui con questo disturbo sono preoccupati di essere criticati o rifiutati in situazioni
sociali, possono essere dotati di una soglia molto bassa per avvertire tali reazioni (Criterio 4). Se
qualcuno li disapprova o li critica anche leggermente, possono sentirsi estremamente feriti. Tendono
ad essere timidi, quieti, inibiti ed “invisibili”, per timore che qualsiasi attenzione sia umiliante o
rifiutante. Si aspettano che indipendentemente da quello che dicono, gli altri lo riterrebbero
“sbagliato” e quindi possono non dire assolutamente niente. Reagiscono vistosamente ad ogni piccolo
indizio che, negli altri, suggerirebbe scherno o derisione. Nonostante il loro desiderio di partecipare
attivamente alla vita sociale, temono di mettere il loro benessere nelle mani degli altri. Gli individui
con Disturbo Evitante di Personalità sono inibiti nelle situazioni interpersonali, poiché si sentono
inadeguati ed hanno una bassa autostima (Criterio 5). In situazioni che comprendono interazioni con
estranei diventano particolarmente manifesti i dubbi riguardanti la competenza sociale e l’attrattiva
personale. Questi individui credono di essere socialmente inetti, personalmente non attraenti, o
inferiori agli altri (Criterio 6). Sono insolitamente riluttanti ad assumere rischi personali o ad
ingaggiarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante (Criterio 7). Sono
inclini ad esagerare i pericoli potenziali di situazioni ordinarie, e dalla loro necessità di certezza e
sicurezza può derivare uno stile di vita coartato. Anche sintomi somatici marginali o altri problemi
possono diventare la ragione per cui evitano nuove attività.
Come emerso dai colloqui clinici sostenuti con Giada, si evince che vengono soddisfatti la maggior
parte dei criteri qui elencati, fatta eccezione per la paura di venire ridicolizzata nei rapporti intimi,
mentre con il fidanzato sembra avere l’unico rapporto affettivo sano e mutualistico; va però aggiunto
che, anche nelle caratteristiche del Disturbo Evitante di Personalità che abbiamo appena descritto, si
evince una certa libertà di azione in quelle situazioni in cui la persona sente di essere totalmente
accettata, quindi, con Massimo, Giada potrebbe trovarsi esattamente in questa condizione. Inoltre,
anche le manifestazioni ed i disturbi associati con questo in esame appaiono calzanti: la ragazza può
diventare molto ansiosa circa l’eventualità di reagire alle critiche arrossendo o piangendo.
Secondo il manuale diagnostico le persone affette da Disturbo Evitante di Personalità, sono descritte
dagli altri come “riservate”, “timide”, “solitarie” ed “isolate” ed è proprio questa stessa definizione che
Giada fornisce di se stessa, in modo congruente al comportamento direttamente osservabile. Sempre
secondo l’APA, i problemi principali associati con questo disturbo si manifestano nel funzionamento
sociale e lavorativo; la bassa autostima e l’ipersensibilità al rifiuto correlano con una restrizione dei
contatti interpersonali; questi individui possono divenire relativamente isolati e di solito non hanno
un’ampia rete di supporti sociali che possa aiutarli a superare le crisi, desiderano affetto ed
155
accettazione e possono fantasticare su relazioni idealizzate con altri, come accade per la ragazza nei
confronti dei propri familiari.
Oltre che nei colloqui fatti con lei, tali caratteristiche si riscontrano forse più “oggettivamente”,
nell’analisi del test MMPI-2, con la scala di introversione sociale molto alta (Si), assieme alla scala di
contenuto della bassa autostima (LSE), mentre la scala della depressione (D), potrebbe essere alta
anche come risultato di questa vita sociale ritirata e l’imbarazzo nei confronti dell’ennesimo acting-out.
Secondo il DSM-IV, esistono poi diversi disturbi sovente diagnosticati in comorbilità con il Disturbo
Evitante di Personalità come: i Disturbi del Tono dell’Umore a coloritura Depressiva appunto ed il
Disturbo Dipendente di Personalità. Quest’ultimo elemento deriverebbe dal fatto che gli individui con
Disturbo Evitante di Personalità tendono ad attaccarsi molto a quelle poche persone con cui hanno un
vero contatto affettivo e dalle quali temono di venir criticate, piuttosto che abbandonate. Giada come
già espresso è molto aderente alle prescrizioni anche durante le sedute proposte, collabora
attivamente nel rispondere alle domande e spesso, sembra proprio anticipare le richieste della terapia.
2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento
Si presentano in questa sezione i fattori predisponenti individuali, iniziando da quelli appresi, per
arrivare agli schemi profondi che caratterizzavano la personalità della paziente anche nelle fasi
premorbose di questo disturbo. Fra i fattori favorenti il disturbo manifestato, si osserva principalmente
lo stile educativo materno, orientato ad un patriarcato che vede la donna destinata ad essere una
casalinga, il cui unico scopo è quello di prendersi cura della casa e dei propri familiari.
Questa famiglia tanto importante nella vita di Giada, allo stesso tempo si pone, fino al momento
dell’acting-out, come fattore protettivo da una patologia di tipo psicologico, in quanto, è presente e
premurosa nella vita della giovane donna finché ne ha bisogno e smette di esserlo, soltanto quando la
vede forte ed autodeterminata. Diventerebbe quindi Giada stessa “causa” dell’atteggiamento
pretenzioso che i genitori ed il fratello mostrano nei suoi confronti, affinché si prenda cura di loro,
come prima ha fatto nei confronti dei nonni anziani.
Al momento della richiesta effettuata dalla stessa Giada, relativamente ad una spiegazione per
l’acting-out molto violento avvenuto durante una discussione con la madre, del quale lei per prima si è
spaventata di se stessa e ad un rimedio per prevenirne altri, si leggerebbe come fattore precipitante la
comunicazione alla madre della sua decisione di interrompere gli studi in Scienze Infermieristiche, che
quest’ultima inizialmente non prende neanche in considerazione.
Giada appare congelata in un circolo vizioso familiare dal quale non riesce ad uscire e che, al
contrario, continua ad alimentarsi ulteriormente, rinforzando da una parte, l’evitamento sociale,
dall’altra, la necessità di non deludere i propri cari ed in particolare la madre. Se fino ad adesso infatti,
la famiglia è stata una protezione dall’avere relazioni sociali con persone esterne alla propria
quotidianità, dall’evento critico rappresentato dall’“impossibilità” di poter lasciare autonomamente il
percorso di studi scelto per lei dalla madre, Giada riconosce di non essere libera di vivere la propria
vita. Tutto ad un tratto, sembra diventare consapevole della propria condizione: se non è stata capace
di imporre alla madre la propria decisione di interrompere degli studi, che aveva accettato di
156
intraprendere solo per compiacerla, come avrebbe potuto farle accettare una gravidanza l’anno
precedente?
Quindi, riassumendo attraverso un’analisi funzionale macro di tipo cognitivo, quando Giada si trova a
prendere una decisione personale (A) riferirebbe dei pensieri automatici come “mia madre non
accetterà mai, mi giudicherà male, non mi vorrà più bene, non capirà” (B) e questo la porta ad avere
conseguenze:
- Emotive, di rabbia verso se stessa e senso di colpa verso la madre;
- Comportamentali, di ritiro sociale in favore dell’accudimento della casa e della famiglia;
- Fisiologiche, con tremori degli arti superiori e sensazioni spiacevoli allo stomaco.
Alla base di questi pensieri automatici, attraverso l’applicazione della tecnica della freccia discendente,
si evince che le credenze principali sono: se non aiuto i miei familiari allora verrò criticata, o
allontanata; se non aiuto i miei familiari allora sono una persona cattiva; se sono una persona cattiva
allora merito di venir allontanata, e così via. Se ne deriverebbero quindi schemi di non amabilità, di
autosacrificio, di ricerca di approvazione, ma anche di scarsa individuazione/sottomissione più
specificatamente nei confronti della madre (Young et al., 2003).
Questo circolo vizioso si manterrebbe poi con un evitamento della critica, che può essere ottenuto
dalla ragazza, continuando ad accudire la casa e la famiglia, senza differenziare se stessa ed i propri
interessi da quelli della madre.
La proposta d’intervento è quindi quella di continuare a monitorare le proprie giornate attraverso i
grafici a torta utilizzati anche in fase di assessment e di discutere l’effettiva necessità della propria
dedizione ai vari settori circolari relativi alle attività in esame. A questo fine vengono consegnati alla
ragazza: i fogli con i grafici a torta vergini; un diario dei pensieri per identificare l’effettiva
responsabilità nell’occuparsi di determinate mansioni; una serie di schede in formato ABC per
continuare a monitorare gli eventuali sentimenti di colpa di fronte alle critiche, attraverso un’analisi
funzionale che tenga conto sia dei pensieri che dei comportamenti della ragazza nel determinarne le
conseguenze.
Durante lo svolgimento delle sedute, verranno controllate tali attività che fungeranno da input per
iniziare la discussione.
Viene poi proposto a Giada di seguire un Training di Abilità Sociali al fine di fornire alla ragazza risorse
alternative a quelle possedute in tale ambito, attraverso lo svolgimento di problem-solving di situazioni
sociali ed uno specifico addestramento assertivo. Durante questo training saranno quindi messi a
disposizione di Giada, ma anche collaudati direttamente con lei, strumenti atti a: riconoscere ed
esprimere le emozioni; riconoscere ed utilizzare le abilità verbali e non verbali; riconoscere e mettere
in atto comportamenti di tipo assertivo; conoscere i propri diritti ed utilizzare abilità di persistenza e di
difesa per affermarli. Ogni fase dell’addestramento proposto viene affiancata da un’esposizione
graduale in vivo alle situazioni sociali più temute, ossia le critiche da parte delle persone più
significative in questo ordine di difficoltà: padre, fratello e madre.
Le tecniche e gli strumenti, ripresi dalle direttive del manuale di addestramento assertivo di Lino
Alberti ed Anna Dinetto (Alberti e Dinetto, 1988) verranno forniti alla giovane, discussi, spiegati e
provati attraverso la messa in atto di role-playing durante ogni seduta e poi sperimentati all’esterno da
157
sola. All’incontro successivo alcuni degli esempi considerati più emblematici per la soddisfazione
provata o per la difficoltà nella messa in atto, sempre come riferito da lei, verranno riproposti e
sperimentati insieme.
Si ipotizza che fin dai primi mesi Giada possa migliorare le proprie abilità sociali, tanto da essere meno
evitante nei rapporti sociali; inoltre, poiché il training prevede l'acquisizione di abilità di persistenza e
di difesa, è auspicabile che lei si senta libera di esprimersi senza pensare alle conseguenze negative
delle critiche, soprattutto se a mettere in atto questo comportamento sono i familiari della ragazza.
Si ipotizza inoltre che, a lungo termine, dopo un lasso di tempo di circa 6 mesi, si vada a determinare
una differenziazione marcata dalla mamma, con la quale invece Giada pare vivere in simbiosi. Ci si
aspetta dunque che si dedichi con meno enfasi e dedizione alla cura della casa andando a ricoprire un
ruolo più da figlia che da madre di famiglia, cercando la propria strada personale ed andando a
perseguirla senza provare sensi di colpa rispetto ai genitori ed al fratello che, a causa di tale evenienza
potrebbero criticarla od accusarla di essere egoista.
Giada accetta con entusiasmo ogni parte di questo contratto e si manifesta motivata a seguire la
terapia con impegno ed un’alta aspettativa di miglioramento della propria qualità di vita.
3. Trattamento
Anche per quanto riguarda questa fase, vengono stabiliti incontri settimanali della durata di
un’ora l’uno. Questa cadenza verrà mantenuta per 4 mesi e mezzo, mentre saranno stabiliti
altri 2 appuntamenti per la somministrazione di un secondo test MMPI-2 e per una seduta di
follow-up, rispettivamente a distanza di 3 e 5 mesi dal termine dei colloqui di trattamento.
3.1 Svolgimento delle sedute
Durante le prime 4 sedute di trattamento, dal 19/10/06 all’08/11/06 Giada affina le tecniche di
automonitoraggio ed il lavoro è soprattutto incentrato sul creare una buona relazione terapeutica; il
clima emotivo delle sedute è sempre più partecipativo e, gradualmente la fiducia pare aumentare
come si evince dal fatto che riporta verbalmente di sentirsi libera di parlare di quello che prova,
piuttosto che soltanto di quello che fa. Inoltre, sempre in modo molto graduale, la ragazza impara
anche a tollerare l’eventualità di “sbagliare” e di fronte ad una correzione, per esempio nell’esecuzione
degli homework, inizia a distinguerla nettamente da un giudizio totalizzante sulle proprie capacità di
comprensione o addirittura su tutta la propria persona in termini di intelligenza o dedizione alla
terapia. L’obiettivo in questa fase è principalmente quello di guadagnare la fiducia dell’utente per
potersi offrire come modello in una relazione sociale “sana” e collaborativa, ma anche per dimostrare
che le critiche possono essere costruttive e che, in ogni caso, possono non andare a minare l’intera
persona (Sperry, 2004).
Per quanto riguarda l’addestramento assertivo Giada sperimenta le conseguenze di atteggiamenti
negativi con persone dello stesso sesso, conosciute e sconosciute e ripropone questa esperienza nelle
4 sedute attraverso dei role-playing. Sembra molto divertita da questi esercizi che lei stessa chiama
158
esperimenti e riferisce di apprezzare particolarmente i dati che raccoglie come osservatrice, uscendo
così per la prima volta dal suo solito ruolo di “osservata”.
In questi primi incontri Giada inizia a riconoscere la disarmonia tra i grafici a torta relativi al tempo
speso per i familiari e quelli invece relativi ai sensi di colpa, che è solita provare ogni qual volta non
riesce ad assecondare completamente le loro richieste.
Viene poi dedicato uno degli incontri a familiarizzare con le emozioni, soprattutto quelle negative che
Giada fatica a riconoscersi. Solo successivamente sarà però palese una lettura sistematica e
soprattutto l’ammissione di tali vissuti, come elemento necessario, oltre che naturale della propria
persona.
Riportiamo di seguito il primo grafico che mostra il numero di sensi di colpa percepiti dalla ragazza
durante il primo mese di trattamento:
76
97
76
7 7
0
2
4
6
8
10
1 sett. 2 sett. 3 sett. 4 sett.
Primo Mese
Assessment
Fig. 7 Grafico del numero di sensi di colpa provati in un mese
Dalla V seduta all’VIII, tenute dal 16/11/06 al 06/12/06, Giada comincia a registrare dei miglioramenti
nell’esperire sensi di colpa nei confronti dei familiari, sia quantitativamente che qualitativamente.
Ecco alcuni esempi tratti dall’analisi funzionale di questo mese:
16/11/06 ore 16.14
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: nervosismo, rabbia,
insicurezza.
Fisiologiche: tremore alle mani,
agitazione.
Mentre Giada sta preparando una
torta, la madre la osserva e la
critica.
“Ha sempre da ridire”, “Per lei non va
mai bene quello che faccio”, “Questa
torta deve venire bene!”.
Comportamentali: continua a fare
la torta trattenendo le lacrime.
Tab. 3 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
16/11/06 ore 17.00
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: sollievo, rabbia, insicurezza.
Fisiologiche: nessuna in particolare.
Giada estrae la torta dal
forno.
“Menomale che è venuta bene”, “Devo stare
più tranquilla”.
Comportamentali: osserva la torta con
soddisfazione.
Tab. 4 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
Come già accennato, i sensi di colpa verso la madre e la paura del giudizio da parte dei propri familiari
si sono molto modificati; Giada pensa un po’ più a se stessa e tende a biasimare di più questa famiglia
159
che ha imparato a “manipolarla” grazie al suo carattere tanto accomodante e disponibile ed alla sua
precoce maturità, ma anche al suo desiderio di evitare eventuali critiche, che, di fatto, si presenta
come maggior fattore di mantenimento del disturbo stesso.
In realtà Giada riferisce durante la VII seduta, tenuta il 29/11/06 che riconosce di aver cercato a lungo
di rendersi indispensabile per la propria famiglia e talvolta di provarci ancora, in quanto gradirebbe
ricevere riconoscimenti di tipo principalmente affettivo dai suoi componenti, anche se questo non
accade mai. In altre occasioni, per esempio con gli amici, il fidanzato, o la famiglia di quest’ultimo
tutto ciò che fa viene ricompensato, sia socialmente, con encomi ed affettività espressa con abbracci,
che materialmente, con regali di vario tipo, a lei sempre graditi.
In generale comunque, dalla quantificazione degli episodi in cui il senso di colpa è stato provato dalla
giovane durante questo secondo mese di trattamento emerge tale tipo di grafico:
76
9
77
67 7
54
54
0
2
4
6
8
10
1 sett. 2 sett. 3 sett. 4 sett.
Secondo Mese
Primo Mese
Assessment
Fig. 8 Grafico dei sensi di colpa provati in un mese
In queste settimane Giada impara a riconoscere ed utilizzare le componenti non verbali del linguaggio
e riferisce durante le sedute che ha trovato molto divertente questa parte del programma; ha invece
esperito qualche difficoltà nell’aprire la conversazione con le persone estranee e, in generale,
nell’esprimere stati d’animo negativi, mentre sui positivi sente di non aver avuto nessun problema. Per
fare tali esperienze ha approfittato della fiera di paese che, per 3 fine settimana consecutivi, l’ha
ospitata con una bancarella in cui ha esposto i fiori e le decorazioni fatte da lei e dalla cugina con la
carta crespa.
È stato precedentemente fornita alla ragazza una scheda riassuntiva degli elementi non verbali:
sincronizzazione, aspetto fisico, osservazione, contatto oculare, mimica facciale, spazio sociale, tono
della voce e gestualità ed una con quelli verbali di auto-apertura facendo perno su oggetti materiali
offerti dall’ambiente. Tutti questi elementi sono stati sperimentati tramite role-playing durante gli
incontri tenuti, affinché vi ci familiarizzasse prima di usarli con persone estranee.
Giada, riferisce di aver iniziato a provare alcune di queste procedure con le persone con cui ha un
certo grado di confidenza, per poi spostarsi sugli sconosciuti, notando inoltre che, dare inizio alla
conversazione manifestando sentimenti positivi durante lo svolgimento del mercato, ha avuto effetti
tangibili sul quantitativo di merce venduta, stabilendo addirittura un record rispetto agli anni passati.
Tale effetto è stato dunque immediatamente rinforzante e, lavorando con i role-playing di seduta in
seduta si sono subito colti miglioramenti in ambito relazionale, ma anche emotivo: Giada riferisce,
infatti, di piacersi di più e di sentirsi maggiormente ricercata anche dalle altre persone.
160
I grafici a torta manifestano però ancora un forte coinvolgimento familiare, anche se, facendo la
lettura delle proprie emozioni, Giada riferisce di trovare meno pesante di prima; la ragazza riporta che,
il suo impegno familiare cambierà appena ve ne sarà la possibilità. Ha infatti intenzione di frequentare
un corso per Operatore Socio Sanitario (O.S.S.) che dovrebbe iniziare nei primi mesi dell'anno 2007,
mentre, trova inaccettabile il fatto di restare a casa, magari a guardare la tv per tutto il giorno se non
ha altro di cui occuparsi anche solo per diletto. La ragazza apprezza il fatto di avere una casa pulita e
curata o di mangiare qualcosa che le piaccia ai pasti, quindi, cerca di dedicarsi alle proprie attività
casalinghe con questo spirito, piuttosto che con il timore di deludere i familiari che ormai rivestono in
lei alte aspettative.
Sebbene i risultati iniziali non siano quindi tanto evidenti nei diagrammi a torte, con una netta
diminuzione delle porzioni dedicate alla famiglia, dalle analisi funzionali e dal diario emozionale, è
possibile cogliere un miglioramento di tipo qualitativo. Riportiamo qualche esempio di quanto accaduto
in quest’ultimo mese, così come riferito da Giada.
22/11/06
FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
25/11/06
FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
Fig. 9 Grafico della suddivisione della giornata Fig. 10 Grafico della suddivisione della giornata
10/12/06
FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
15/12/06
FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
Fig. 11 Grafico della suddivisione della giornata Fig. 12 Grafico della suddivisione della giornata
Dalla IX alla XIII seduta, dal 13/12/06 al 10/01/07, il training assertivo, dopo l’apprendimento delle
diverse abilità ed il riconoscimento della funzionalità di tale acquisizione, è giunto al conseguimento
delle abilità di difesa e persistenza e, in questi incontri, Giada riporta di aver colto o addirittura
provocato nei familiari delle critiche per potersi cimentare nel rispondervi; come pattuito inizia a
“produrre” una reazione nel padre, per passare, durante questo gruppo di sedute anche al fratello.
Riportando in seduta quanto avvenuto durante la settimana, Giada appare rilassata e trova divertente
che i suoi familiari siano assolutamente all’oscuro di essere continuamente sottoposti ai suoi
“esperimenti”. Continua nel frattempo a consolidare gli apprendimenti precedenti, lavorando ancora
sulle abilità verbali e non verbali di comunicazione. Si riscontra che, data la buona relazione
terapeutica, è attualmente aperta ad un confronto diretto nella messa in discussione dei suoi pensieri
161
automatici ed è quindi possibile lavorare, anche più direttamente, su un piano principalmente
cognitivo.
Visto il perdurare dell’assenza del bando per il corso O.S.S. sul sito della facoltà, in data 18.12.06
Giada decide di chiamare l’università e, pochi minuti prima del nostro incontro le dicono che il corso
cui aspirava ad iscriversi, è stato sospeso per l’anno 2007 e che quindi non potrà frequentarlo; in
seduta viene immediatamente proposto un problem-solving, sia per verificare se la ragazza ha
sviluppato in modo più radicato una certa sicurezza in sé, indipendente dai desideri della famiglia, che
per evitare che questo ostacolo nella vita di Giada abbia su di lei un impatto emotivo a coloritura
depressiva derivato dall’idea di incontrollabilità degli eventi esterni.
Se inizialmente appare abbattuta, la reazione di fronte a questo problem-solving è ottimale:
inizialmente ella dice a se stessa ad alta voce, di calmarsi e di riflettere, poi inizia da sola a trovare
alternative. In realtà, non cerca modi alternativi per “essere legittimata” a non dedicare più la maggior
parte del proprio tempo alla famiglia ed alla cura della casa, ma attività funzionali al cambiamento
della sua vita, innanzitutto per se stessa e per garantirsi il futuro che desidererebbe avere. Propone
quindi di cercare una scuola privata in cui sta per partire lo stesso corso, o di trovare un lavoro come
assistente alla persona affiancata ad un’infermiera per iniziare a fare esperienza; inoltre, data la
passione per i fiori e la sua attività nel costruirne di carta, Giada si prefigge di verificare l’opportunità
di fare la commessa all’interno di un negozio, almeno fin quando non potrà frequentare un corso per
O.S.S. che rimane il suo attuale obiettivo.
L’analisi funzionale che svolge durante queste sedute dimostra come, la ricerca attiva di una soluzione
soddisfacente per il proprio futuro, la renda meno sensibile alle manipolazioni familiari ed ai propri
sensi di colpa conseguenti.
Presentiamo alcuni esempi:
18/12/06 ore 16.00
ANTECEDENTI BELIEF CONSEGUENZE
Emotive: rabbia, decisione.
Fisiologiche: agitazione.
Mentre Giada sta per uscire a
comprare i regali di Natale, sua madre
le chiede di restare per aiutarla nelle
faccende domestiche.
“Non adesso!”, “Perché non
può aspettare domattina?”,
“Stavolta faccio quello che mi
sembra giusto per me!”.
Comportamentali: invita la madre a
rinviare le faccende domestiche a
domani quando potrà aiutarla.
Tab. 5 Esempi di analisi funzionale, come riportati dalla paziente.
Nella figura 13 sono dunque riassunti quanti sensi di colpa Giada riferisce di aver provato nei confronti
della famiglia; innanzitutto, da un punto di vista puramente qualitativo, si evince come ormai, sia
rimasta solo la madre come fonte di sentimenti di questo tipo. Il padre prima ed il fratello poi, sono
scomparsi dalle analisi funzionali e dai resoconti della ragazza già dagli ultimi mesi del 2006. Quello
che è interessante è che i sentimenti di Giada si stanno evolvendo e, la rabbia che spesso prova in
quest’ultimo periodo è un segno di riconoscimento inconsapevole della manipolazione altrui. Dai
colloqui emerge come la ragazza riconosca gli intenti manipolativi nel comportamento della madre,
soprattutto in virtù di quanto finora ha fatto per lei e per tutta la famiglia. La prima volta che Giada
riferisce di non aver provato senso di colpa, ma rabbia nei confronti della madre subito dopo una
richiesta irragionevole di quest’ultima, si definisce molto confusa, ma con un tono emotivo sottostante
162
di piacevolezza. Nel riferire durante la seduta l’episodio riassunto nell’analisi funzionale della Tabella 5,
a pagina 161, relativamente al giorno 26/12/06, Giada appare molto divertita, anche se un po’ in
difficoltà a comunicare il tipo di emozione provato in quell’occasione e per quale motivo: ella titubante
riporta la propria rabbia, mista a delusione e sorpresa e, sorridendo, pone ad alta voce una domanda
retorica riferendosi alla madre: “Non lo sa che torno a casa sempre in tempo per aiutarla!?”. Circa
l’esperire in modo consapevole le emozioni, indagando più a fondo emerge che attualmente la ragazza
non si fa giudizi negativi o positivi verso di esse di per sé o sulla propria persona che le sta provando,
al contrario, ogni forma di emotività assume una coloritura particolare e piacevole poiché è per lei
un’esperienza nuova. Infatti, ogni volta che ha provato una forte rabbia, questa sensazione si
trasformava in una fisica spiacevole, tipica della colica addominale, oppure, sfuggiva al suo controllo
tanto da portare a manifestazioni eclatanti e distruttive come quell’ultima che l’avevano condotta alla
terapia (rompere tutte le porcellane contenute nella vetrina). Appare dunque divertita e sorpresa di
poter provare continuamente delle emozioni, di saper dare loro un nome e soprattutto di poterle
gestire.
Presentiamo quindi il grafico che riassume gli episodi in termini quantitativi in cui la giovane riferisce di
aver provato senso di colpa durante questo mese:
76
9
77
67 7
54
54
2 23
2
0
2
4
6
8
10
1 sett. 2 sett. 3 sett. 4 sett.
Terzo Mese
Secondo Mese
Primo Mese
Assessment
Fig. 13 Grafico del numero di sensi di colpa provati in un mese
I grafici a torta, circa la suddivisione degli impegni durante la settimana, mostrano un leggero
miglioramento da quelli precedenti, fatta eccezione per il periodo natalizio durante il quale Giada, di
sua spontanea volontà si è dedicata alla cura della casa ed alla preparazione di pranzi e cene,
invitando la famiglia del fidanzato Massimo presso il proprio domicilio. Riporta verbalmente che è stata
contenta di darsi tanto da fare, perché, al contrario dei suoi, i familiari del fidanzato apprezzano molto
le sue doti e le dispensano complimenti ed affetto ogni volta che la vedono; Giada riferisce che, a fine
del pranzo di Natale, la madre di Massimo le ha detto in privato che è molto felice di avere una
“nuora” tanto brava e volenterosa e che, talvolta dovrebbe ritagliarsi dei momenti per sé e lasciare
che sia suo figlio ad aiutarla. Mentre lo racconta appare leggermente commossa ed aggiunge “questo
è il miglior regalo che mi si possa fare ed è per questo che non mi ha pesato lavorare così tanto!”.
Riportiamo quindi alcuni dei grafici disegnati dalla ragazza in questo periodo:
163
18/12/06
FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
25/12/06
FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
Fig. 14 Grafico della suddivisione della giornata Fig. 15 Grafico della suddivisione della giornata
03/01/07
FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
15/01/07
FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
Fig. 16 Grafico della suddivisione della giornata Fig. 17 Grafico della suddivisione della giornata
Dalla XIV alla XVIII seduta, effettuate dal 17/01/07 al 14/02/07, l’attività principale è stata quella di
potenziare gli apprendimenti conquistati da Giada e di delineare i traguardi raggiunti in questi 5 mesi
di trattamento.
La ragazza è soddisfatta di come trovi cambiata se stessa e la propria vita in quest’ultimo periodo, non
solo per quanto riguarda i vissuti personali, ma anche per la svolta che hanno preso gli eventi; infatti,
il suo modo diverso e più arricchito di comunicare anche i sentimenti e le emozioni che prova nelle
diverse situazioni, l’hanno portata ad essere determinante nel far sì che certi comportamenti altrui
siano più o meno frequenti, intensi o duraturi. Durante i colloqui Giada riporta che, se da una parte lei
ha smesso quasi completamente di provare sensi di colpa quando non accontenta i desideri dei propri
cari, d’altra parte sono proprio loro ad aver cominciato a ridurre le richieste più irragionevoli che erano
soliti porle.
Presentiamo quindi il grafico che riassume gli episodi in termini quantitativi in cui la giovane riferisce di
aver provato senso di colpa durante questo mese:
76
9
77
67 7
54
54
2 23
2
10 0
10
2
4
6
8
10
1 sett. 2 sett. 3 sett. 4 sett.
Quarto mese
Terzo Mese
Secondo Mese
Primo Mese
Assessment
Fig. 18 Grafico del numero di sensi di colpa provati in un mese
I grafici a torta, circa la suddivisione degli impegni durante alcune giornate di queste ultime settimane,
non mostrano dei livelli differenti rispetto all’ultimo mese in esame; quello che cambia è lo spirito della
164
giovane nell’affrontare i vari momenti. Giada ha riflettuto a lungo circa il corso che avrebbe voluto
frequentare e che, anche privatamente non è riuscita a seguire, quindi ha deciso di dedicarsi
principalmente al lavoro, per mettere così i soldi da parte e sopperire all’anno in cui, riuscendo
finalmente a dedicarsi allo studio, non potrà guadagnare abbastanza per mantenere il tenore attuale e
non chiedere alla famiglia. Poiché riferisce inoltre di sentirsi meno inibita ed in imbarazzo nelle
situazioni sociali che coinvolgono persone sconosciute, ha potuto vagliare diverse opportunità
lavorative e, proprio in questo periodo sta provando un nuovo impiego all’interno di in un parco giochi
permanente in Empoli, come addetta ad una giostra per bambini dai 3 ai 5 anni.
Racconta che il lavoro è duro e che non è pagato moltissimo, ma le piace vedere bambini; rispetto a
quando va ad esporre i propri fiori, aggiunge che non comunica molto, in quanto il lavoro non glielo
permette, ma continua ad esercitarsi quotidianamente ed a rafforzare gli apprendimenti perseguiti in
questo periodo in altri contesti, come quando va a fare la spesa, quando le capita di partecipare ad un
mercatino e comunque in casa con i familiari.
Riportiamo quindi alcuni dei grafici disegnati dalla ragazza durante queste ultime sedute:
31/01/07FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobby
Giada
10/02/07FamigliaFidanzatoAmiciScuolaLavoroHobbyGiada
Fig. 19 Grafico della suddivisione della giornata Fig. 20 Grafico della suddivisione della giornata
In occasione della XVIII seduta, tenutasi nel giorno 14/02/07, vengono posti tutti i grafici e le sintesi
delle analisi funzionali in un unico documento, per poter confrontare e riassumere i vari risultati.
Nonostante ogni seduta, durante i colloqui, Giada riportasse di sentirsi più a suo agio con se stessa e
con gli altri e di provare una sensazione più piacevole nello stare con loro ed anche in famiglia, vedere
il grafico nel quale sono stati riportati il numero dei sensi di colpa da lei riferiti ogni settimana, come
mostra la figura 18, nonché i grafici a torta allineati l’uno vicino all’altro ha avuto un impatto molto
forte su di lei, tanto da farla commuovere. Ha più volte affermato che non si sarebbe mai aspettata un
cambiamento tanto radicale e che, le lacrime che stava versando non erano soltanto di gioia e
soddisfazione, ma anche di rabbia per non essersi liberata prima da una situazione che l’ha afflitta per
tanto tempo.
Decidiamo dunque di stabilire un nuovo incontro, a distanza di 3 mesi perché si sottoponga
nuovamente al test MMPI-2 e di fissare un appuntamento a distanza di ulteriori 2 mesi, per verificare
che cosa sia cambiato dopo questo tempo.
3.2 Follow-up e Conclusioni
Viene somministrato in data 18 Aprile 2007 il test MMPI-2 di cui riportiamo i grafici ed in base ai criteri
descritti da Butcher e Williams una breve relazione esplicativa (Butcher e Williams, 1996). Per ogni
grafico è possibile osservare le linee tratteggiate relative al primo test somministrato.
165
Il tono dell’umore di Giada è caratterizzato ancora da note depressive che possono essere associate a
tratti d’irrequietezza ansiosa, ma come si osserva dall’elevazione delle scale, tutti i sintomi che
riportiamo sono rappresentati da un punteggio normativo o paranormativo rispetto al test precedente;
può mostrare ancora un po’ di esitazione o dubbio di fronte alle decisioni e tale comportamento è da
considerarsi quale manifestazione dell’ansia. Può anche reagire a tali tratti con comportamenti
impulsivi, ma l’equilibrio emotivo appare relativamente stabile; sebbene dai colloqui emerga che non
tende più ad evitare le situazioni d’interazione sociale, può avere ancora qualche difficoltà ad inserirsi
senza disagio ed imbarazzo nelle situazioni pubbliche e, per quanto sia rimasta ipercritica circa le
proprie capacità, attualmente tende ad uscire dai dubbi attraverso l’azione.
Se la tendenza di Giada è quella di preferire nettamente di rimanere sola o, al limite, di relazionarsi
esclusivamente in situazioni di sicurezza e protezione per se stessa (mostra di trovarsi a proprio agio
con pochi amici intimi, apparendo fondamentalmente timida e riservata agli altri), questo non implica
che la giovane eviti di sperimentare se stessa in situazioni di tipo sociale, sebbene sia tuttora
ipersensibile al potenziale rifiuto od all'aspettativa timorosa di essere sottostimata e, di conseguenza,
a ciò che le altre persone possono pensare di lei.
Il versante emotivo è caratterizzato da una tendenza all'ipercontrollo e dalla cauta manifestazione dei
propri sentimenti. Lo stile interpersonale e la struttura della personalità, sono di tipo
fondamentalmente evitante, anche se attualmente ad un livello sub-clinico.
Scale Cliniche
5448
38
56 5854
60
33
5461
5357
6561
67
36
7682
63
7368 68
6460
75
30
40
50
60
70
80
90
100
21/09/2006 54 48 38 56 58 54 60 33 54 61 53 57 65
18/04/2007 61 67 36 76 82 63 73 0 68 68 64 60 75
L F K Hs D HY Pd Mf Pa Pt Sc Ma Si
Fig. 21 Grafico scale cliniche MMPI-2 somministrato il 18/04/07
Scale Supplementari
6558
73 71
57
75 73
51
75
55 5863
56
40
6166
51
60
30
40
50
60
70
80
90
100
21/09/2006 65 58 73 71 57 75 73 51 75
18/04/2007 55 58 63 56 40 61 66 51 60
FB TRIN VRIN MAC-r APS AAS PK O-H MDS
Fig. 22 Grafico scale supplementari MMPI-2 somministrato il 18/04/07
166
Scale di Contenuto
64
50
6571
77
56
40
63
5043
72 73 74 7378
56
48
65 6762
45 4551 50
41
72
6064 67
58
30
40
50
60
70
80
90
100
21/09/2006 64 50 65 71 77 56 40 63 50 43 72 73 74 73 78
18/04/2007 56 48 65 67 62 45 45 51 50 41 72 60 64 67 58
ANX FRS OBS DEP HEA BIZ ANG CYN ASP TPA LSE SOD FAM WRK TRT
Fig. 23 Grafico scale di contenuto MMPI-2 somministrato il 18/04/07 Nell’incontro di follow-up a 5 mesi, in data 18/07/07, Giada racconta che, durante quest’ultimo
periodo ha cambiato diversi lavori ed ha trovato un corso O.S.S. privato che inizierà nel Settembre del
2007. La ricerca di un lavoro diverso da quello delle giostre si è ritenuto indispensabile proprio per una
necessità crescente di avere relazioni sociali più frequenti. Da circa 3 settimane lavora, infatti, in un
bar con un tipo di contratto part-time a turni di 4 ore; riferisce di aver già chiesto al datore di lavoro di
poter utilizzare i turni in modo funzionale alla frequenza del corso che inizierà a Settembre e lui si è
mostrato molto disponibile nei suoi confronti.
Si ritiene dunque che la scala Si del test MMPI-2 somministrato a Giada due mesi prima,
probabilmente avrebbe adesso un punteggio un po’ più basso, trovandosi quotidianamente ad
affrontare situazioni di tipo sociale con persone, a lei più o meno note.
Giada appare più matura e tranquilla, è sorridente ed un po’ emozionata per questo incontro. Riferisce
che in famiglia si sono risolti alcuni nodi cruciali: ha convinto la madre a sottoporsi a cure mediche
specifiche per il proprio mal di schiena, quindi, 2 volte alla settimana effettua delle elettrostimolazioni
nella clinica di un fisioterapista. Non potendo dedicarsi totalmente alle faccende domestiche, divide le
spese con il padre per una donna delle pulizie che 3 volte alla settimana si occupa della casa mentre
Giada è a lavoro.
Si ritiene che, il training delle abilità sociali, insieme ad una ristrutturazione cognitiva avvenuta di volta
in volta più o meno dirittamente, ma soprattutto per presa visione dell’automonitoraggio dei propri
sentimenti di colpa e del tempo dedicato alla cura della propria famiglia, siano stati fondamentali per
raggiungere questi risultati e gli obiettivi proposti. Entrambe le ipotesi, a breve ed a lungo termine,
sono state infatti confermate: Giada oltre ad essere diventata meno evitante nei rapporti sociali e
suscettibile alle critiche fin dai primi mesi di trattamento, manifesta adesso una differenziazione netta
dalla madre, pur rimanendo una figlia molto attenta e giudiziosa.
167
Matteo un caso di Disturbo Oppositivo-Provocatorio. PRESENTAZIONE DEL
CASO
1. Informazioni generali
1.1 Generalità del paziente
Matteo nasce il 17/06/1994 a Poggibonsi ed è residente a Gambassi Terme, con la famiglia d’origine
composta dai genitori e dal fratello gemello.
Descriviamo brevemente più in dettaglio i familiari del richiedente: la madre, Marta è casalinga e
passa quindi la maggior parte della sua giornata in casa con i figli; il padre, Lorenzo è un
metalmeccanico e rientra a casa alle 18.00; il fratello, Andrea come lui frequenta le scuole medie di
Gambassi Terme ed è all’ultimo anno.
Dopo aver trascorso separati gli anni delle scuole elementari, Matteo e suo fratello sono stati iscritti
nella stessa classe all’inizio delle Medie, su esplicita richiesta del primo.
1.2 Caratteristiche della relazione
Marta si rivolge autonomamente alla psicologa per chiedere un aiuto nella gestione del figlio che, dal
mese di Luglio ha manifestato acting-out anche molto violenti che si sono conclusi a seguito della
distruzione di alcuni mobili e suppellettili di casa. Si presenta da sola al primo incontro in data
23/01/2008 poiché non riesce a convincere il ragazzo ed al termine di questo viene stabilita una
frequenza settimanale di incontri della durata di un’ora ciascuno con Matteo; assieme a lui verrà
pattuito di volta in volta se dovrà essere da solo od accompagnato dalla famiglia.
2. Assessment (5 sedute: 3 colloqui clinici con il minore, 1 con la madre, 1 con
entrambi i genitori)
2.1 Richiesta dell’utente
Come già accennato la richiesta della madre di Matteo è quella di impedire al ragazzo di avere
comportamenti violenti soprattutto di natura etero-aggressiva; durante il secondo incontro tenuto in
data 30/01/2008 con il ragazzo stesso si evince che anche lui sente la necessità di controllare questi
accessi d’ira, i quali una volta manifestatisi lo fanno sentire fortemente in colpa nei confronti della sua
famiglia e degli oggetti che può aver danneggiato.
2.2 Situazione generale al momento del primo colloquio
I dati qui riportati sono stati raccolti dai colloqui con Marta e successivamente sono stati confermati
dai resoconti di Matteo e dall’ultimo incontro di assessment condotto con tutta la famiglia.
Il primo episodio di acting-out riportato si rifà al mese di luglio del 2007: il ragazzo gioca a calcio nel
ruolo di punta fin da quando aveva 6 anni e si è sempre dimostrato un ottimo atleta, molto apprezzato
sia dai compagni che dagli allenatori; il fratello gioca dall’età di 10 anni nella stessa squadra, prima
168
come portiere poi in difesa. Nell’ultimo anno però il coach è stato sostituito da una persona molto
irruente e brusca nei modi, che è solita spronare i ragazzi utilizzando accuse, prese in giro e parolacce.
Dopo una discussione con lui in Maggio, Matteo decide di lasciare la squadra, ma in seguito a ripetute
lusinghe da parte dell’allenatore egli decide di rientrare il mese successivo, in concomitanza di un
infortunio al ginocchio del fratello; alla riammissione anche di questo in squadra sembra non esserci
stato nessun tipo di problema.
Durante una partita di campionato Matteo ed il fratello sono entrambi in campo: lui ha già segnato 2
gol ed è stato ammonito una volta da un arbitro molto attento alle infrazioni, così nello spogliatoio alla
fine del primo tempo, l’allenatore gli comunica che lo metterà in panchina, evitando così che
un’eventuale seconda ammonizione lo faccia espellere e quindi gli impedisca di giocare nella partita
successiva che è molto importante per la squadra. Matteo rimane a testa bassa senza dire niente, si
cambia ed osserva la fine della partita (ormai vinta) dalla tribuna con i genitori; inizialmente è
arrabbiato, ma sembra in grado di controllarsi normalmente, poi, quando il fratello segna un gol, un
altro ed infine il terzo, il ragazzo sembra scurirsi sempre di più. Una volta a casa dichiara alla famiglia
che non vuol più giocare a calcio e che avrebbe smesso definitivamente e, alle domande insistenti dei
genitori e del fratello per capire come fosse giunto a tale decisione risponde agitandosi, urlando ed
iniziando a lanciare le sedie della cucina sui mobili.
La madre si definisce stanca e disperata perché dopo l’accesso di rabbia di Luglio se ne sono
presentati altri; lei sostiene che il figlio si arrabbia senza motivo e che comunque la sua reazione
sarebbe esagerata; aggiunge che Andrea non ha le stesse reazioni del fratello, ma questa realtà è
destinata a cambiare molto presto.
La prima volta che Matteo si presenta all’appuntamento si racconta come un ragazzo riservato e
riflessivo che preferisce stare per conto suo, anche se a volte ritiene che “isolarsi” non sia un bene.
Nella sua famiglia non c’è mai stata comunicazione ed ora che invece c’è questa peggiora le cose
perché lo porta sempre ad arrabbiarsi.
È schivo nel parlare degli specifici episodi ed emerge solo dopo i racconti che si vergogna molto delle
sue reazioni in quanto le ritiene delle forme di “vendetta” sull’agito dei genitori.
Spesso prova a darsi delle regole ed a chiedere ai suoi genitori di fargliele rispettare, ma la madre non
ne capisce il senso o forse l’importanza e spesso disillude queste attese innescando
inconsapevolmente gli scatti di rabbia del ragazzo.
In data 10/02/2008 Marta chiama al telefono la psicologa per chiedere come interrompere l’acting-out
in corso del figlio che ha già rotto alcuni oggetti di casa nell’impeto della rabbia; Matteo non vuole
parlare con nessuno, ma accetta di richiamare la psicologa un’ora dopo. Durante questa telefonata
racconta che il giorno prima si era recato ad un campo di calcio con gli amici ed il fratello e giocando
dice di essersi “girato” il ginocchio con un contatto con un altro giocatore; nonostante la richiesta di
farsi venire a prendere con l’auto nessuno ha potuto esaudire questa richiesta e, poiché anche il
fratello, convinto che non si fosse fatto niente se n’era andato prendendo la bicicletta, lui ha dovuto
percorrere la strada di casa a piedi. Una volta arrivato ha riportato l’accaduto a sua madre che però
accusava un forte mal di testa ed alla richiesta di accompagnarlo al pronto soccorso a vedere cosa si
era fatto risponde di no. Matteo è furioso ma non ha manifestazioni comportamentali particolari, si
169
chiude in camera, che divide con fratello, si sdraia sul letto e cerca di calmarsi ascoltando la musica.
Qualche ora dopo rientra anche il padre, Matteo racconta nuovamente l’accaduto quindi Lorenzo dice
alla moglie che lo avrebbe accompagnato a fare un accertamento medico, ma questa sostiene che non
sia assolutamente necessario perché “non si è fatto niente”! Matteo inizia quindi ad urlare che invece
si è fatto male e che nonostante fosse rimasto sdraiato a lungo sentisse ancora dolore, poi arrabbiato
torna in camera sua e va a dormire senza mangiare. L’indomani si rivolge nuovamente ai genitori
sostenendo che passata la notte, prova ancora fortissimi dolori al ginocchio ed all’assenso del padre
nell’accompagnarlo al pronto soccorso, si fa strada invece il diniego della madre. Matteo ricomincia ad
urlare sostenendo che quando è stato male il fratello tutti gli hanno creduto, lui per primo, mentre nel
suo caso a nessuno importa niente dell’accaduto ed inizia quindi a mettere in atto dei comportamenti
aggressivi: lanciare le sedie in soggiorno, prendere a pedate gli sportelli della cucina ed infine tirare un
pugno nella porta di camera facendoci all’interno un foro e procurandosi un grosso ematoma alla
mano destra.
2.3 Allargamento ad altri problemi
La madre riporta che Matteo è sempre stato fisicamente più vulnerabile di Andrea anche se
paragonandoli adesso la stazza del primo è ben più imponente di quella del fratello; all’età di 2 anni il
giovane è stato infatti sottoposto ad un’operazione di Ernia, mentre a 6 è stato nuovamente ricoverato
per l’eliminazione delle adenoidi. Per questo motivo riferisce che è sempre stato molto apprensivo
circa il proprio stato di salute, richiedendo alla famiglia delle visite al pronto soccorso che poi si sono
rivelate inutili. Al contrario Matteo racconta di avere una soglia del dolore molto alta e quindi di non
lamentarsi o preoccuparsi molto della salute o degli stati algici e diventa dunque grande motivo di
rabbia quando sta male e gli altri non gli credono. Confrontando le versioni di entrambi emerge che
Matteo ha richiesto di fare i raggi X ad un arto, perché convinto di esserselo rotto, una sola volta.
Matteo trova particolarmente fastidiosi ed irritanti i paragoni e purtroppo riporta di subirne tanti
soprattutto nei confronti del fratello. Egli sostiene che è più bravo di lui a scuola anche se in molte
materie si equivalgono.
Attualmente si sente interessato ad una ragazza della sua scuola con la quale non ha mai parlato e
ritiene che non ci parlerà presto perché “è riservata e silenziosa come lui”.
Per quanto riguarda la famiglia si è osservato che i genitori non si sentono di poter gestire i figli e
questo li rende vulnerabili quando avanzano ogni tipo di richiesta; Andrea è arrogante e prepotente,
non accetta che gli adulti gli dicano cosa fare e non rispetta nessuno dei 2 genitori. Il padre appare
succube nella seduta familiare ma emergerà che in famiglia alza spesso la voce e perde
continuamente le staffe; inoltre i genitori sono soliti litigare e parlare dei propri problemi di coppia di
fronte ai figli.
Durante le sedute appare come Matteo inizi a mostrare un tono dell’umore più basso in conseguenza
alla frustrazione di non saper controllare i suoi istinti aggressivi; egli suggerisce anche di sentirsi solo
ed abbandonato, vorrebbe essere più considerato dal fratello Andrea ed accudito dai genitori ed in
risposta alle loro palesi mancanze, non riesce ad impedirsi di avere comportamenti etero-distruttivi.
170
2.4 Motivazione
Matteo si dice disposto ad impegnarsi perché vuole “migliorarsi” e smettere di arrabbiarsi come ha
fatto finora e quindi con le conseguenze che questa emozione porta con sé. È aderente alle
prescrizioni e fin da subito si cimenta nei compiti che gli vengono assegnati anche se non sono di suo
gradimento. Si nota una certa difficoltà ad applicarsi ai compiti di interruzione nell’escalation dei
comportamenti aggressivi, una volta che la rabbia ha iniziato a farsi strada. In quei momenti egli
riferisce di non riuscire a concentrarsi e non ha voglia di fare niente di programmato o di avere
contatti diretti con qualcuno. Anche quando gli accessi si sono conclusi egli necessita di qualche ora
per stare da solo e sentire scemare completamente questa emozione.
2.5 Strumenti psicodiagnostici
Matteo si è mostrato subito aperto e fiducioso di poter trovare giovamento da un lavoro con una
psicologa ma non per questo non si è messo più volte sulla difensiva, sostenendo di “non essere
pazzo”. Si è ritenuto dunque utile non somministrare test e condurre l’intero assessment affidandosi ai
colloqui clinici ed a strumenti di misurazione della frequenza dei comportamenti aggressivi, definendo
chiaramente il valore della sua identità, indipendentemente dagli agiti che in alcune circostanze può
mostrare.
2.6 Analisi funzionale
Per spiegare ad un ragazzo di 13 anni l’analisi funzionale, come con gli adulti si è mostrato in una
tabella l’antecedente, prendendolo da un suo esempio e la conseguenza a questo nel seguente modo:
Antecedente Conseguenza
Matteo si è fatto male giocando
a calcio con gli amici, chiede di
essere accompagnato a fare un
accertamento medico, ma la
madre non gli crede e si rifiuta.
Fisiologica = niente in particolare
Comportamentale = Ho preso un
oggetto e l’ho lanciato colpendo un
quadro, danneggiandolo.
Tab. 1 Esempio di Antecedente e Conseguenza di un’analisi funzionale, costruita con Matteo
Per inserire il concetto dei pensieri disfunzionali, viene scelto insieme al ragazzo un personaggio
fantastico che vivrebbe nella sua testa e gli parlerebbe continuamente portandolo, da una certa
situazione antecedente, ad avere una particolare conseguenza comportamentale denotata da
aggressività.
Questo personaggio è Don Vito, un punto interrogativo che può essere molto dispettoso e dire a
Matteo solo quelle cose che lo fanno arrabbiare, anziché farlo ragionare su cosa è realmente
accaduto. Il nome è stato preso dal libro e film preferito di Matteo: “Il padrino”.
171
Fig. 1 Le espressioni di Don Vito quando succede qualcosa nella vita di Matteo
Nel sistematizzare nello schema ABC nuovamente l’episodio in cui ha reagito con rabbia Matteo dovrà
cercare di far emergere che cosa gli ha detto Don Vito e come l’ha fatto sentire; nell’esempio
precedente Matteo ha aggiunto:
Antecedente B = Cosa mi ha detto Don Vito? Conseguenza
Matteo si è fatto male giocando
a calcio con gli amici, chiede di
essere accompagnato a fare un
accertamento medico, ma la
madre non gli crede e si rifiuta.
“Nessuno mi crede”, “pensano che
sono bugiardo”, “a nessuno importa
se io sto male!”, “quando si è fatto
male Andrea sono tutti corsi in suo
aiuto”.
Fisiologica = niente in particolare
Emotiva = Come mi ha fatto sentire
quello che ha detto Don Vito?
Arrabbiato
Comportamentale = Ho preso un
oggetto e l’ho lanciato colpendo un
quadro, danneggiandolo.
Tab. 2 Esempio di Analisi funzionale, costruita con Matteo
In questa prima fase si ritiene fondamentale che il ragazzo impari a concentrarsi e porre attenzione ai
propri pensieri, piuttosto che a modificarli immediatamente, infatti, se la madre riporta una difficoltà di
gestione di questi stati aggressivi improvvisi, dall’analisi funzionale emerge come invece essi, seppur
disfunzionali ed incongruenti con lo stato di realtà, vengono scatenati da situazioni oggettivamente
irritanti e che vanno a confermare continuamente la svalorizzazione di Matteo, rispetto invece alla
valutazione che molti fanno di suo fratello Andrea. S’ipotizza che egli abbia iniziato a comportarsi in
modo da confermare le basse aspettative altrui attraverso una “profezia che si auto avvera”, per
trovare comunque una coerenza nella propria identità.
Dall’analisi dei vari episodi emerge come i genitori ed in particolare la madre, pur non essendo sempre
la causa scatenante dei pensieri negativi di Matteo, non sia in grado di interrompere immediatamente
l’escalation aggressiva comportamentale, andandola al contrario a fomentare.
Sia lei che il marito si dicono disposti a collaborare attivamente nel tentativo di aiutare Matteo a
gestire la propria rabbia, ma si manifesterà ben presto l’importanza che tutta la famiglia si ponga nella
condizione di dover imparare a comunicare in modo più assertivo.
172
2.7 Diagnosi DSM-IV: F91.3 Disturbo Oppositivo-Provocatorio
Dai dati raccolti durante i colloqui sia con Matteo direttamente, che con la madre, emergono gli
elementi necessari affinché sia possibile fare una diagnosi di Disturbo Oppositivo-Provocatorio; la
caratteristica fondamentale di questa condizione è una modalità ricorrente di comportamento
negativistico, provocatorio, disobbediente ed ostile nei confronti delle figure dotate di autorità che
persiste per almeno 6 mesi (Criterio A) ed è caratterizzato da frequente insorgenza di almeno uno dei
seguenti comportamenti: perdita di controllo (Criterio A1), litigi con gli adulti (Criterio A2), opposizione
attiva o rifiuto di rispettare richieste o regole degli adulti (Criterio A3), azioni deliberate che danno
fastidio agli altri (Criterio A4), accusare gli altri dei propri sbagli o del proprio cattivo comportamento
(Criterio A5), essere suscettibile o facilmente infastidito dagli altri (Criterio A6), essere collerico e
risentirsi (Criterio A7), o essere dispettoso o vendicativo (Criterio A8). Al fine di definire la presenza di
questo disturbo inoltre, è necessario aggiungere che tali comportamenti, nonostante un
temperamento particolare di Matteo, fin da piccolo, sono aumentati non solo in frequenza nell’ultimo
anno, ma anche in intensità e durata e che, tale atteggiamento sta compromettendo il funzionamento
scolastico e sociale del ragazzo che salta spesso la scuola e fa una vita piuttosto ritirata (Criterio B).
I comportamenti negativistici ed oppositivi sono espressi con persistente caparbietà, resistenza alle
direttive, scarsa disponibilità al compromesso, alla resa o alla negoziazione con gli adulti o coi
coetanei. L’oppositività può anche includere la deliberata o persistente messa alla prova dei limiti, di
solito ignorando gli ordini, litigando e non accettando i rimproveri per i misfatti. L’ostilità può essere
diretta contro gli adulti o i coetanei e viene espressa disturbando deliberatamente gli altri o con
aggressioni verbali. Il disturbo si manifesta principalmente a casa ed a scuola, mentre Matteo non ha
mai mostrato segni di reazione aggressiva nelle attività sportive o durante i momenti di svago. Come
suggerito dal DSM-IV-TR il ragazzo manifesta tali atteggiamenti principalmente in presenza delle
persone che conosce meglio, mentre in terapia appare un ragazzo gentile ed introverso e sembra
quasi impossibile immaginarlo durante un accesso di rabbia. Inoltre egli tende a giustificare il proprio
comportamento senza ritenersi oppositivo o provocatorio anzi, sostiene che siano gli altri a porgli
richieste irragionevoli in grado di evocare tanta rabbia e, sebbene questo possa essere ritenuto
talvolta vero, il suo atteggiamento ne risulta comunque inadeguato e disfunzionale..
Rispetto alla diagnosi standard del Manuale, Matteo però riconosce di esagerare durante i suoi acting-
out, sente anche di non essersi comportato bene e prova colpa soprattutto verso gli oggetti che può
aver distrutto, mentre resta arrabbiato soprattutto con i genitori per molto tempo e anche solo
ripensandoci è in grado di agitarsi molto.
Matteo anche a causa di questi comportamenti, pare non godere di una buona autostima e sembra
anzi voler confermare il parere altrui che lo vede sempre inferiore rispetto al fratello: lui è quello
isolato, che va peggio a scuola e che risponde ai professori, Andrea è sempre circondato dagli altri,
scherza con le ragazze, va meglio a scuola ed è molto stimato dai professori. Egli appare spesso anche
con un tono d’umore tendente alla malinconia anche se si ritiene che questo aspetto sia secondario
all’isolamento ed alla constatazione di non fronteggiamento delle proprie reazioni emotive di fronte
alla rabbia.
173
2.8 Concettualizzazione del caso e Proposta d’intervento
Poiché dal colloquio con entrambi i genitori emerge che anche Andrea ha comportamenti aggressivi e
che se la madre è molto rigida ed ha un atteggiamento educativo improntato sulla punizione, il padre
è invece permissivo ed a volte perfino lassista, si ritiene che il terreno su cui si è instaurato il
comportamento di Matteo fosse fertile. La sua educazione, come quella del fratello potrebbe essere
stata incoerente e la modalità principale di tutta la famiglia è comunque quella dell’imposizione della
propria volontà su quella degli altri.
La madre in particolare, che non si sente sostenuta dal marito, utilizza costantemente la punizione e
quando afferma una cosa, suona a tutta la famiglia come una sentenza; se Matteo non ha iniziato a
fare i compiti, lei può ripetergli di fare i compiti anche 5 volte di seguito; il figlio innervosito le
risponde con termini maleducati che vuole essere lasciato in pace; Marta risponde alla sua parolaccia
con una punizione: “Non si risponde così a tua madre, stasera non ti porto dal tuo amico” ed è con
antecedenti simili che si va a manifestare la rabbia incontrollata, seguita da un totale lassismo dei
genitori.
Si ritiene che Matteo utilizzi una modalità appresa dalla madre che consiste nell’essere duro, rigido ed
impulsivo nelle sue reazioni e che, la mancanza di controllo sulle risposte aggressive si manifesti poi
attraverso l’acting-out.
Il fattore precipitante di tali condotte è da far risalire al momento dello sviluppo fisico che ha visto una
dose di energia e forza che probabilmente entrambi i ragazzi non sono in grado di gestire, mentre la
modalità aggressiva è comune ai due fratelli e la differenza principale si gioca solo sul temperamento
che ha visto Matteo, fin da bambino più agitato ed Andrea più calmo.
Quindi, riassumendo attraverso un’analisi funzionale macro quando Matteo riceve un rifiuto secco dalla
madre soprattutto, ma anche a scuola, o vive come punitivo un provvedimento, pensa innanzitutto
che viene fatta una differenza tra lui ed il fratello, poi, trovandosi di fronte ad un muro insormontabile
(perché la madre, come i professori emetterebbero una vera e propria sentenza) si scatena la rabbia
che non gestita esplode in un acting-out; non sono state rese note modificazioni fisiologiche rilevanti
durante questi accessi di rabbia.
I pensieri automatici di Matteo sono di accusa verso la persona che sta cercando di sminuirlo od
impedirne la libertà e si possono far risalire ad una credenza del tipo: se mi sminuisce allora non mi
ama e di conseguenza ad uno schema di amabilità più che di fallimento od indesiderabilità sociale.
Considerando l’età del ragazzo, si ritiene però utile in fase sia di assessment che di trattamento,
evidenziare la presenza dei pensieri automatici e cercare di allargare lo spazio metacognitivo
riempiendolo con questi e, solo successivamente cambiare tutti quelli negativi e che portano la rabbia
ad un’escalation, con altri più realistici e funzionali.
La proposta d’intervento è quindi quella di dare a Matteo personalmente ma anche agli altri membri
della famiglia delle regole di condotta e comunicazione, dove ognuno sia responsabile della propria
rabbia ma che diventi anche specchio dell’altro al momento di controllarla.
Si ipotizza che fin dai primi mesi si inizino a registrare un numero minore di acting-out violenti, intesi
anche come discussioni ad alta voce ed uso del turpiloquio. Durante il breve periodo di assestamento,
174
a seguito dell’introduzione delle nuove regole, ci si aspetta di osservare un certo peggioramento della
condotta, per le naturali difficoltà di tutta la famiglia ad adattarsi alle nuove prescrizioni.
Si ipotizza inoltre che, a lungo termine, dopo un lasso di tempo di circa 6 mesi, gli acting-out siano
scomparsi del tutto e che il clima familiare sia più sereno.
Matteo accetta ogni parte di questo contratto e si manifesta motivato a seguire tali regole anzi, in
alcuni momenti è evidente che lui stesso senta la necessità di avere dei limiti giusti che la famiglia non
gli dà. Anche gli altri membri si impegnano a rispettare le direttive ed ognuno pare disposto a mettersi
in gioco in prima persona per risolvere una volta del tutto questo problema; se Lorenzo, è molto
vittimista circa un’assunzione di responsabilità come padre, Marta appare invece più distanziante e
critica. Andrea rimane imbronciato ed aggressivo per tutta la seduta, dichiarando di non volersi
attenere al programma fornito, il padre lo riprende con tono drammatico e continuando a piangersi
addosso, Marta invece lo minaccia di non dargli più la “paghetta” e di levargli pure tv e lettore mp3.
Matteo appare divertito da questa dinamica, guarda negli occhi la psicologa e dice: “menomale sono
io che sto male” in modo compiaciuto ed un po’ strafottente. È necessario intervenire e ridimensionare
i ruoli di ognuno nella famiglia, sistematizzare le regole, premi e punizioni e mediare la comunicazione
tra i genitori e fra questi ed i figli.
3. Trattamento
Anche per quanto riguarda questa fase, vengono stabiliti incontri settimanali della durata di un’ora
l’uno; la maggior parte delle sedute avviene solo con Matteo e ad intervalli regolari di un mese,
vengono stabiliti dei momenti di feedback con la tutta la famiglia.
3.1 Svolgimento delle sedute
Durante la prima seduta di trattamento, il 05/03/08 il lavoro principale è stato rappresentato
dall’elaborare con Matteo e con i suoi familiari delle regole che tutta la famiglia è tenuta a seguire ed
all’automonitoraggio degli acting-out e dei pensieri in grado di generare e mandare escalation la
rabbia.
3.1.1 Le regole di Matteo
Di seguito verranno elencate le prescrizioni stabilite durante la seduta familiare; queste sono state
programmate con tutta la famiglia, stabilendo premi e punizioni a seconda dell’atteggiamento dei
diversi membri nei confronti di esse. La mamma rinuncia a vedere un telegiornale regionale cui tiene
particolarmente, i ragazzi alla paghetta e, se proprio il loro comportamento è grave all’utilizzo della
Play Station; il babbo a vedere una partita di calcio. Andiamo ad analizzare adesso queste norme così
come sono state formulate:
1) Mamma e Babbo prima di dare una risposta definitiva devono sempre consultarsi tra loro! Quando si chiede il
permesso a Mamma o a Babbo, si deve aspettare che abbiano deciso.
2) Non si urla! Si può mostrare ad una persona qual è il livello della sua voce sul “termometro della voce”!
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3) Non si pretende, ma si chiede! Non dire: cambia il programma voglio vederne un altro, ma: mi piacerebbe
vedere proprio quel programma lì, potresti metterlo? E, IMPORTANTISSIMO: Quando si chiede, l’altro può
risponderci anche di NO e lo si deve accettare!
4) È importante stare con gli amici! Almeno 3 volte alla settimana passiamo il pomeriggio con loro!
Il termometro della voce serve a regolare l’escalation della rabbia attraverso qualche accorgimento
visuale: quando qualcuno alza la voce, gli altri gli devono far vedere a che livello è sul termometro ed
è necessario che il volume venga immediatamente diminuito.
Durante la seduta sono state fatte diverse prove di volume della voce e in alcuni casi è stato
necessario utilizzare immediatamente questo strumento, di cui ne mostriamo un’immagine ridotta:
Fig. 2 Il termometro della voce alta
Matteo vorrebbe poi organizzare la sua giornata ideale in diversi momenti nei quali promette
d’impegnarsi a mantenere le attività decise, arginando invece le richieste continue della madre che
risultano incoerenti e spesso irritanti per entrambi i figli.
Mostriamo di seguito questa giornata tipo:
07.00 Sveglia
07.30 Prepararsi per andare a Scuola
08.00 Inizio delle lezioni
13.10
Pranzo 13.30
Guardare la Tv 14.30
Fare i compiti 17.00
Giocare fuori o in casa con gli amici, alla PlayStation, o stare al Pc 18.30
Continuare a giocare con gli amici ma non con la PlayStation od il Pc, o ascoltare la musica
19.45 Cena
20.20 Guardare la Tv
22.30
Andare a dormire Fig.3 La giornata tipo di Matteo
Durante la settimana la madre di Matteo si mette in contatto con la psicologa per chiedere aiuto;
Andrea, infatti, non collabora minimamente all’applicazione del programma stipulato e Matteo ha
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iniziato a manifestare acting-out più violenti del solito. Vengono quindi invitati a ripresentarsi tutti
assieme nella seduta successiva, ma, senza preavviso, nessuno di loro si fa vedere all’appuntamento.
La signora si giustificherà telefonicamente, una volta contattata, che non aveva capito e che forse era
meglio interrompere le sedute. Pochi giorni dopo però è lei stessa a richiamare la psicologa in quanto
gli agiti aggressivi di Matteo sono totalmente fuori controllo ed è stato necessario chiamare il medico
del 118 affinché somministrasse dei tranquillanti al ragazzo. A seguito di questi episodi il ragazzo si è
mantenuto calmo e sereno qualche giorno, per poi esplodere. Durante l’ultimo episodio è stato
possibile parlare direttamente con Matteo il quale ha prenotato un nuovo appuntamento per il 23
Aprile; rispetto all’ultimo incontro sembra sconvolto e con una gran voglia di parlare; si dice convinto a
riprendere il programma lasciato in sospeso perché ha creato troppi danni fisici alla casa e si sente
fortemente in colpa per questo; l’umore è decisamente depresso e pare influire sulla sua capacità di
giudizio. Accetta di incontrare una Neuropsichiatra Infantile che possa contribuire con una
somministrazione attenta e personalizzata di farmaci, ad una modulazione dei comportamenti
aggressivi.
Si decide quindi d’intraprendere in data 30 Aprile un nuovo colloquio con tutta la famiglia, il cui
interesse è ancora concentrato a risolvere definitivamente il problema, anche se si rende necessario
ristrutturare cognitivamente le aspettative dei genitori, principalmente della madre, che, visti gli effetti
dei sedativi sul figlio, si è resa meno aderente al trattamento psicologico, con l’idea di ricorrere in
modo esclusivo a quello farmacologico. Se Marta si sta convincendo che il problema principale è
“Matteo” e che il ragazzo può venire sedato con un tranquillante, è invece palese come le difficoltà
gestionali dei genitori costituiscano il vero nucleo del disagio di tutta la famiglia.
Nel colloquio individuale con Matteo, nell’incontro successivo, si apprende come il ragazzo provi diversi
fastidi nel continuare la terapia farmacologica e si rende necessario un intervento psicoeducativo
mirato ad aumentare la sua compliance. Viene chiesto al ragazzo di mettere su un’ipotetica bilancia gli
effetti positivi e negativi del farmaco e, in accordo con la Neuropsichiatra Infantile, viene spiegato a
Matteo che questi farmaci dovranno essere utilizzati soltanto per un periodo ed è necessario che nel
frattempo egli continui a lavorare su un piano più comportamentale per imparare a rispondere in
modo adeguato alle situazioni che attualmente scatenano aggressività. È evidente che mentre pare
aderente e concentrato durante la seduta con la psicologa, in casa il suo atteggiamento sta andando
in escalation non per le regole assunte a pieno dai genitori, ma per il comportamento ormai lassista
della madre.
In data 07/05/2008, Marta chiama la psicologa per avvertire che Matteo, che non è andato a scuola
perché il giorno precedente non ha fatto i compiti, non verrà all’appuntamento fissato perché allo
stesso orario vuole andare in palestra. Invitata a patteggiare con il ragazzo, Marta si rifiuta, dicendo
che ha paura che possa spaccare qualche altro oggetto in casa e che ha deciso di provare a
“sistemare la situazione” attraverso i farmaci; accetta comunque l’invito a presenziare alla seduta con
il marito, sostituendosi al figlio.
L’atteggiamento della famiglia, il ruolo dei farmaci ed anche quello della terapia, se non viene
immediatamente ristrutturato in modo adeguatamente organizzato, rischia di divenire a sua volta un
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rinforzo di tipo intermittente degli agiti aggressivi, che garantiscono ancora una volta il potere assoluto
di Matteo sulla famiglia ed anche sul controllo di se stesso.
Nonostante i genitori affrontino questi nuovi incontri con sfiducia e vittimismo, è necessario che non
cedano mentre la rabbia del figlio sta andando in escalation, soprattutto quando la madre ignora le
richieste di Matteo proponendogli di prendere le medicine; sebbene fossero stati precedentemente
preparati a questo, non si aspettavano che la situazione sarebbe potuta degenerare tanto, soprattutto
il padre, che era all’oscuro di molte dinamiche. Si profila quindi ai genitori di proseguire con delle
sedute di parent training perché apprendano delle tecniche di gestione dei figli in grado di modificare
radicalmente anche la percezione che ognuno di loro ha di sé come genitore. Nel contempo Matteo
continua a lavorare attraverso l’analisi funzionale e ad assumere farmaci che lo aiutino a contenere
l’impulso aggressivo, fissando nuovi premi soprattutto, ma anche delle punizioni.
Nell’incontro tenuto il 04 Giugno al cospetto di tutta la famiglia, si osserva principalmente una
dinamica diversa. Il padre non è più seduto in posizione marginale rispetto agli altri ed anche Andrea
sembra partecipare.
Alla richiesta di spiegare come stanno andando le cose Marta guarda negli occhi i figli ed il marito e
chiede chi vuole iniziare e Lorenzo accetta l’invito. Colpisce subito il silenzio mentre sta parlando,
anche se Matteo ed il fratello giocano con lo sguardo.
Nonostante siano presenti ancora alcuni sporadici episodi di aggressività a carico di Matteo, il ruolo del
padre è diventato determinante nel controllo di essi; egli infatti, aiuta il figlio a scrivere sul un foglio le
conseguenze positive e negative di un eventuale agito aggressivo quando è presente, mentre, lascia
che Matteo lo chiami sul cellulare quando è a lavoro.
La riscoperta della genitorialità e del ruolo di “capo famiglia” da parte di Lorenzo sembra aver
influenzato in modo positivo il comportamento di Matteo che a quello del padre s’ispira.
In data 30 Luglio si stabilisce un ultimo incontro con l’intera famiglia. Da 3 settimane, forse anche
grazie ad un periodo relativamente sereno, dopo il conseguimento della Licenza Media dei ragazzi,
Matteo non ha più avuto agiti di tipo aggressivo ed il rapporto con entrambi i genitori ed il fratello
pare molto migliorato. Anche Andrea sembra meno maleducato e più attento.
Parallelamente alla terapia farmacologica il cui dosaggio verrà ridotto fino all’estinzione totale prevista
per Settembre, si decide di stabilire un incontro di follow-up in data 03/10/2008 dopo che Matteo avrà
iniziato la scuola superiore a Poggibonsi.
3.2 Follow-up e Conclusioni
Matteo è evidentemente più sereno e tranquillo. Riferisce di non sentirsi più arrabbiato e di chiedere
ciò di cui ha bisogno in modo adeguato; inoltre, qualora gli venga negato qualcosa, riesce a fermarsi e
riflettere sulle possibili conseguenze delle proprie azioni. Riporta che questa modalità sta diventando
sempre più semplice da fare e che spesso, sente la rabbia diminuire fin dall’inizio di questa
elaborazione. È contento di non assumere più medicine, anche se non sentiva più gli effetti collaterali
ed inizialmente ha temuto di poter avere qualche problema ad addormentarsi. Più che altro riferisce di
sentirsi più libero e che preferisce sapere che il controllo sull’aggressività viene ormai soltanto da lui.
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Parla in modo più disinvolto e sembra molto maturato sebbene sia trascorso così poco tempo
dall’ultimo incontro. Nella nuova scuola si trova a suo agio e non avere il metro di paragone costante
con il fratello è per lui una condizione sufficiente ad essere più sereno.
Marta ha smesso di chiedergli di riprendere gli allenamenti di calcio, sport a lei molto caro ed in cui il
ragazzo si era dimostrato ben predisposto. Matteo ha deciso di frequentare un corso di nuoto e per il
momento ha deciso di mantenere questa attività ad un livello non agonistico. In generale le doti di
negoziazioni del ragazzo sembrano funzionali e spesso anche migliori di quelle della madre che, al
contrario, sembra continuare a mettere in atto il suo comportamento privante e di negazione.
Purtroppo, rispetto alle ipotesi originarie si è notato uno spostamento di autorità dalla madre al padre,
certo più pacato e flessibile della donna con i propri figli, ma comunque senza che la famiglia potesse
sviluppare un equilibrio educativo che vedesse entrambi i genitori uniti su di un fronte pedagogico
comune. Nonostante questo per il momento si considerano buoni i risultati ottenuti in relazione
all’eliminazione degli acting-out di Matteo e della sua raggiunta serenità psicologica.
179
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RINGRAZIAMENTI
Il primo ringraziamento va ai miei genitori, per il supporto economico e morale che non mi è stato mai
negato e soprattutto per averci creduto anche quando io stessa stavo cedendo; per i consigli, per
l’incoraggiamento, per le ore di telegiornale andate perse a parlare di qualche mio problema.
Ringrazio coloro che hanno saputo dividermi con le mie mille(r) attività, che spesso mi hanno portato
lontano con il corpo e con la mente e per aver diviso con me le piccole vittorie e le brucianti sconfitte.
Sono estremamente grata all’Istituto Miller per le gioie ed i dolori, anche se molti preferiscono parlare
di rinforzi e punizioni! Un grazie di cuore per aver messo a disposizione la preparazione di docenti
leggendari e che mai avrei creduto d’incontrare personalmente, né tantomeno di avere come
commensali al mio stesso tavolo da pranzo! Ringrazio i professori che mi hanno lasciato qualcosa,
quelli che mi hanno dato la possibilità di esprimermi nella mia creatività professionale, quelli che lo
faranno in futuro…ma soprattutto le persone che mi hanno lasciato crescere e maturare come
psicologa e come persona; non c’è alcun bisogno di mettere nome e cognome.
Ancora al Miller esprimo la mia riconoscenza per avermi permesso di incontrare persone straordinarie
che resteranno sempre nel mio cuore: Raffaella e Lara, mie carissime compagne di viaggio, con le
quali la condivisione è stato un piacere inestimabile, ma anche una necessità emotiva talvolta; mi
auguro che questo non sia altro che una parte di un’ancora lungo cammino.
La più sentita ammirazione va anche agli altri colleghi/amici per i quali l’affetto e la stima non
verranno mai a mancare.
Esprimo infine una profonda gratitudine verso i tutor del tirocinio, come loro hanno fatto con me in
questi anni di lavoro, crescita e qualche arrabbiatura, con l’augurio che presto possa nascere una
nuova collaborazione.
Questi quattro anni sono stati duri e non voglio far finta che mi siano scivolati completamente
addosso, perché li ricordo volentieri anche per quell’impegno che hanno richiesto e che colora e dà
luce a questo importantissimo traguardo.