I consiglieri irrazionali: la behavioral corporate governance può ... · La presentazione dei...

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I consiglieri irrazionali: la behavioral corporate

governance può spiegare la crisi?

Paola Schwizer

Professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari, Università degli Studi di Parma

Maria-Gaia Soana

Dottore di Ricerca in Banca e Finanza, Cultore della materia, Università degli Studi di Parma

Michèle F. Sutter-Rüdisser

Assistant Professor of Organizational Control and Governance, University of St. Gallen

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Esiste una relazione tra la "buona governance" delle aziende e le loro

performance economico-finanziarie?

� la letteratura sul tema (Huse, 2005; Morck, 2008; Van Ees et al., 2009) non permette di identificare un legame diretto tra le due variabili;

� la recente crisi economico-finanziaria ha registrato numerosi fallimenti di imprese (almeno formalmente) perfettamente compliant ai codici di autodisciplina in tema di governo societario.

Come si può spiegare questa evidenza?

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Secondo la Commissione Europea (2010)alcune criticità possono essere individuate:

� nell'insufficienza di tempo e risorse dedicati dai consiglieri, soprattutto non esecutivi, ai propri compiti consiliari;� nella limitata diversity di genere, ambiente sociale, cultura e formazione e, quindi, nello scarso confronto critico nei processi di decisionmaking;� nella ridotta sensibilità dei board, ed in particolare dei presidenti, verso la valutazione delle performance dei singoli e del consiglio nel suo complesso;� nell'incapacità dei CdA di riconoscere la natura sistemica di alcuni rischi.

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La versione aggiornata del codice di autodisciplina (2011) contiene alcune novità:

� precisa che l'obiettivo prioritario del CdA è la creazione di valore per gli azionisti nel medio-lungo periodo e che il consiglio ha il compito di definire la natura e il livello di rischio compatibile con gli obiettivi strategici dell’emittente;

� valorizza la board evaluation, sottolineando i vantaggi che possono derivare dalla diversity;

� rimarca il tema della tempestività e completezza dell’informativa consiliare e pre-consiliare;

� raccomanda l’adozione di un piano di successione del management.

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Scarsa attenzione alle dinamiche comportamentali che influenzano i processi decisionali nel board:

behavioral corporate governance

• overconfidence del manager (Bainbridge, 2002; Malmendier e Tate, 2005; Shefrin, 2007);

• herding behavior del gruppo (Paredes, 2004; Morck, 2008);

• groupthink: predisposizione a fare scelte in linea con le aspettative del gruppo (Asch, 1951; Maharaj, 2008) e ad imitare le decisioni degli altri ignorando le proprie informazioni ed i propri giudizi (Bainbridge, 2002).

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Il presente contributo si pone l'obiettivo di indagare, in riferimento al mercato italiano, gli elementi in grado di rappresentare la

capacità del board e dei suoi membri di ridurre le asimmetrie informative rispetto al

management acquisendo una conoscenza approfondita delle tematiche oggetto di

delibera, l’entità del confronto critico e del dibattito in atto nelle riunioni consiliari ed i

fattori di influenza sul processo decisionale del consiglio.

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� Hp.1: il tempo dedicato dai singoli consiglieri allo svolgimento del proprio incarico non è commisurato alla complessità dello stesso;

� Hp.2: il CdA è poco impegnato nell'attività di formazione dei propri membri e nella autovalutazione dell’efficacia dei propri modelli di funzionamento;

� Hp 3: il CdA articola le proprie riunioni in modo non coerente con l’importanza attribuita dai singoli consiglieri ai diversi temi che rientrano nelle responsabilità del board;

� Hp 4: le decisioni del CdA sono influenzate da fattori che si qualificano come biascomportamentali.

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L'analisi è stata condotta attraverso l'erogazione di

un questionario anonimo on-line sottoposto ad

un campione di consiglieri di società quotate

Italiane: l’Associazione NedCommunity si è

occupata dell'erogazione del questionario a tutti gli

Associati.

Le domande del questionario sono state testate

mediante una verifica qualitativa (intervista

diretta) operata su 7 consiglieri.

Complessivamente sono pervenuti 68 questionari.

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La presentazione dei risultati dell’indagine è

stata articolata in quattro aree:

� dimensioni quali/quantitative dell’attività svolta;

� presenza di attività di formazione dedicata al CdA e di processi di autovalutazione;

� commitment e coerenza tra importanza attribuita ai diversi temi ed il tempo ad essi dedicato;

� influenza esercitata da alcuni fattori di natura comportamentale sull'operato dei singoli consiglieri e aree di miglioramento percepite.

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5.1 Le dimensioni quali/quantitative

dell’attività svolta dal CdA

I CdA svolgono in media 11 riunioni l’anno: ciò

appare in linea con le esigenze di presidio, con

continuità, dell’attività aziendale.

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Non vi è, salvo in casi rari, una correlazione forte, di segno negativo, tra la durata ed il numero delle adunanze consiliari: ciò significa che i CdA hanno metodi e processi di lavoro molto differenziati.

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Non è stata rilevata alcuna relazione significativa tra il tempo dedicato all’incarico, il numero di comitati in cui è presente il consigliere ed il numero di riunioni svolte in CdA e nei comitati. Ciò consente di affermare che l’ipotesi 1 è verificata.

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5.2 L’attenzione prestata allo sviluppo

professionale e all’autovalutazione

Nel 61,5% dei casi, il CdA ha svolto attività di

Autovalutazione ed il 19,2% del campione dichiara

di aver partecipato ad attività formative specifiche

dedicate al board: l’ipotesi 2 risulta verificata per

quanto riguarda la formazione e parzialmente

verificata con riferimento all’autovalutazione.

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5.3 Commitment e distribuzione del tempo

Il board rivestirà in futuro un ruolo cruciale per la

competitività delle imprese e la complessità di tale

ruolo è destinata ad aumentare in modo rilevante.

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� Vi sono differenze significative tra l’importanza attribuita alle tematiche di competenza del CdA ed il tempo ad esse dedicato durante le riunioni.

� Gli argomenti di maggior rilievo riguardano i profili strategici e di controllo.

� Emerge una limitata tensione verso lo svolgimento di un ruolo attivo nel monitoraggio dell’operato del management.

� Le riunioni sono dedicate soprattutto a profili amministrativi e di compliance, mentre tematiche quali risk management, gestione delle risorse umane, organizzazione e strategie occupano in genere meno del 20% del tempo complessivo.

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5.4 I fattori di influenza nel processo decisionale del CdA e le aree di miglioramento

� Non emerge una chiara percezione di quali siano gli elementi in grado di influenzare le decisioni finali.

� I rispondenti segnalano esigenze di una migliore e più tempestiva informativa, di competenze più elevate di tutti i membri e soprattutto di quelli non esecutivi.

� L’ipotesi 4 risulta quindi verificata sulla base dell’individuazione di numerosi segnali di disagio, ma la presenza di bias comportamentali è percepita in modo solo parziale dai rispondenti.

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A fronte del livello crescente di responsabilità attribuito ai CdA e delle valutazioni negative formulate sul rispettivo operato dopo la crisi, i consigli sembrano incontrare oggettive difficoltà nell’impostare la propria attività in modo coerente con i più alti standard di governance e con le esigenze derivanti dalla complessità aziendale e dalla instabilità del contesto.

I risultati confermano come il ruolo del consigliere sia ancora poco strutturato e non del tutto conforme alle best practice; viceversa l’efficacia del ruolo dipende in misura elevata dall’impegno e dalla volontà dei singoli soggetti.

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