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Le prime forme d’arte visiva create dall’uomo nella profondità delle grotte e nei ripari sotto roccia presentano, accanto a un bestiario naturalistico di straordinaria bellezza, immagini enigmatiche che non trovano riscontro nella percezione della realtà sensibile. Esseri ibridi e segni geometrizzanti convivono con i grandi animali dipinti, spezzando l’incanto del loro linguaggio figurativo. Queste presenze irreali costituiscono la sfida maggiore alla nostra capacità di comprensione delle culture preistoriche, il punto più buio dell'universo oscuro della nostra spiritualità nascente. Le diverse ipotesi che, dalla fine dell’Ottocento a oggi, sono state avanzate sul loro significato non hanno mai trovato un consenso unanime. Si potrebbe però tentare l'azzardo di procedere obscurum per obscurius, cercando di capire se non siano proprio queste emergenze visionarie a offrire un ponte insperato per una maggiore comprensione delle più antiche espressioni della creatività e, insieme a queste, delle strutture antropologiche profonde dell'immaginario.
Gabriella Brusa-Zappellini (Milano 1948), già docente di Estetica e di Storia dell’Arte, ha progettato e diretto Corsi di Istruzione e Formazione Superiore per la tutela e la valorizzazione dei siti preistorici, finanziati dalla Regione Lombardia e dalla Comunità Europea. Studiosa delle prime forme d’arte e di cultura, ha pubblicato numerosi saggi e una decina di volumi monografici. Fra i più recenti: Lo stregone danzante. Mito e mímesis alle origini dell’arte (Milano 1997); Arte delle origini. Preistoria delle immagini (Milano 2002); Il dio del vino e del miele. Radici preistoriche dell’immaginario dionisiaco (Milano 2002); Alba del mito. Preistoria dell’immaginario antico (3 voll., Milano 2007).
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Gabriella Brusa Zappellini
L’arte delle origini fra linguistica e neuroscienze
Morfologiadell’immaginario
ARCIPELAGO EDIZIONI
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€ 20,00[IVA ASSOLTA DALL’EDITORE]
In copertina: Pittura rupestre di Ayers Rock, Australia centrale.
9540167888769
ISBN 978-88-7695-401-6
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cod. 401 MORFOGENESI_copertina.pdf 01/10/2009 12.37.35
Milano
2009
capitolo iii
iconoGRafia DeLL’inVisiBiLe
suL finiRe DeGLi anni ottanta del secolo scorso,J.D. Lewis-Williams e t.a. Dowson pubblicavano su“current anthropology”, la prestigiosa rivista americana
fondata da sol tax nel 1957, un breve studio, The Signs of AllTimes. Entoptic Phenomena in Upper Palaeolithic, destinato,fra infinite polemiche, ad aprire un nuovo orizzonte interpreta-tivo.1 i due autori, riprendendo i risultati delle sperimentazionicliniche condotte in ambito neurologico sulle distorsioni visive,avanzavano l’ipotesi che alcuni segni aniconici dell’arte paleo-litica potessero essere la “restituzione grafica” dei fosfeni, cioèdelle apparizioni luminose (zig-zag, punti, reticoli, ecc.) cheinsorgono negli stati alterati di coscienza riconducibili, in que-sto caso, a pratiche rituali di carattere sciamanico. una decinad’anni dopo esce in francia un testo altrettanto innovativo, natodalla collaborazione fra J.D. Lewis-Williams e Jean clottes,Les chamanes de la préhistoire.2
“Dans le premier stade de la transe le plus léger, l’on “voit“des formes géométriques telles que des points, des zigzags, desgrilles, des ensembles de lignes ou de courbes parallèles et desméandres. ces formes ont des couleurs vives, elles scintillent,bougent, s’élargissent, se contractent et se mêlent (...) Des so-ciétés chamaniques attribuent une signification précise à cer-taines et pas à d’autres. pour les tunkanos d’amérique du sud,des séries de points brillants représentent la Voie lactée, but del’envol chamanique. Des lignes courbes organisées, parallèles,dans certains contextes mythologiques hallucinatoires des tun-kanos, représentent l’arc-en-ciel.”3
Ma qual è propriamente la natura di queste insorgenze lumi-
1. L’ipotesi
fosfenica
94 Morfologia dell’immaginario
nose, del tutto indipendenti da stimolazioni esterne, chiamate
in neurologia “fenomeni entottici”? Si tratta propriamente di
sensazioni visive che non derivano da sorgenti luminose
esterne, ma dalla struttura interna del sistema percettivo. Come
scrive G. Oster, l’occhio è un organo che può essere spento fa-
cilmente.4 Ognuno di noi può chiudere gli occhi e premere leg-
germente con le dita sul bulbo oculare per vedere piccole sfere
luminose fluttuare in un campo scuro. Se ne erano già accorti
gli antichi che avevano ipotizzato che dentro gli occhi vi fosse
della luce. Il fenomeno era però problematico. Aristotele rifiu-
tava l’idea che l’apparato osservativo potesse produrre autono-
mamente la luce, mentre Platone era più prudente e possibilista.
Il dibattito si sviluppa per tutta l’età moderna, ma è solo agli
inizi dell’Ottocento che vengono avviati studi scientifici, con-
nessi alla fisiologia della percezione e alla destabilizzazione
del sistema visivo. Le prime ricerche, se trascuriamo alcune
marginali sperimentazioni di Alessandro Volta, si devono al fi-
siologo boemo Joannes Purkinje (1787-1869) che compie
un’indagine mirata sulle alterazioni provocate sia da avvelena-
mento da oppio e belladonna che da stimolazioni elettriche.
Degli effetti destabilizzanti della cocaina se ne occupa, alla fine
del secolo, Freud nel suo studio del 1884 Über Coca.5 Secondo
il padre della psicoanalisi, l’intossicazione provocata da questo
arbusto, della cui tossicità la medicina del tempo non si era an-
cora resa pienamente conto, tende a sconvolgere tutto il campo
sensitivo producendo modificazioni auditive, tattili e olfattive,
ma soprattutto visive.
In ambito neurofisiologico, le ricerche più significative sui fo-
sfeni e sulla fisiologia della percezione negli stati alterati di co-
scienza sono, però, legate prevalentemente alla mescalina, un
alcaloide psicotropo derivato dai germogli di un piccolo cactus,
chiamato comunemente peyote e impiegato da tempo imme-
morabile nei riti e nelle cerimonie degli indios messicani e dei
pellerossa delle Grandi Pianure.
Le prime relazioni scientifiche sugli effetti del peyote si devono
a Ludwig Lewin. Nel suo Über Anhalonium Lewinii (1888), il
famoso tossicologo dell’Università di Berlino, parla di “visioni
Iconografia dell’invisibile 95
strane e fantastiche” provocate dall’ingestione di questo vege-
tale appartenente alla Famiglia delle Cactaceae cui dà il suo
nome: Anhalonium Lewinii (o Lophophora williamsii).6 In que-
sti stessi anni, l’antropologo inglese Francis Galton – cugino
di Darwin – pubblica i risultati dei suoi studi sulla sinestesia e
sulle “percezioni paradossali”. Nel 1918 un chimico tedesco,
E. Spath, individua la struttura chimica della mescalina. Nei
primi decenni del Novecento gli studi clinici sulle distorsioni
visive e sui fenomeni entottici assumono un carattere più siste-
matico. A fare da battistrada sono le ricerche del neurologo te-
desco Heinrich Klüver che avvia negli anni venti in America,
presso l’Istituto di Scienze Biologiche dell’Università di Chi-
cago, una serie di sperimentazioni su se stesso utilizzando, di
nuovo, come sostanza psicotropa, la mescalina.7 Bisogna rico-
noscere che agli inizi del secolo scorso, la scienza medica non
era ancora pienamente consapevole del carattere devastante
delle sostanze allucinogene e non ne aveva vietato la sperimen-
tazione farmacologica. Klüver giunge, in questo modo, a defi-
nire la fisionomia dei fosfeni e a individuare, con una certa pre-
cisione classificatoria, una gamma di forme costanti generate
dalla destabilizzazione del sistema ottico e dei suoi recettori.
Il primo cambiamento che si manifesta, dopo l’assunzione di
sostanze psicotrope, è una modificazione della percezione sen-
soriale-visiva. Queste alterazioni della visione non generano
un semplice “pulviscolo” visivo indistinto, ma tendono anche
a produrre forme geometrizzanti individuabili e ricorrenti. Nei
primi stadi dell’intossicazione, Klüver registra l’apparizione –
quasi una sorta di proiezione filmica allucinata – di bagliori
semplici e ripetitivi e ne fornisce un elenco dettagliato secondo
quattro modelli di base: 1) reticoli, filigrane, alveari e scac-
chiere; 2) reti e ragnatele; 3) gallerie, imbuti, coni e contenitori
4) spirali e forme a vortice (Fig. 117). In Europa, negli stessi
Figura 117
96 Morfologia dell’immaginario
anni, le sperimentazioni neuropsicologiche sembrano confer-mare i dati di Klüver. “Luci colorate, rapide come fulmini” o“piogge di pietre preziose illuminate dall’interno” ricorrononella descrizione dei primi stadi dell’intossicazione da alluci-nogeni. in italia, un altro grande pioniere, Giovanni enricoMorselli, clinico e uomo di ampia cultura, direttore dell’ospe-dale psichiatrico di novara, nel 1935 pubblica un Contributoalla studio delle turbe da mescalina e, qualche anno più tardi,nel 1942, un’analisi dei rapporti fra l’alterazione della visioneallucinata e le forme di dissociazione delle psicosi schizofreni-che destinati entrambi a diventare punti di riferimento clinicifondamentali.8 come Klüver, anche Morselli riferisce in ma-niera dettagliata, “minuto per minuto”, gli effetti prodotti su sestesso dalla intossicazione e la conseguente apparizione di im-magini deliranti, destinate a permanere a lungo anche dopo lascomparsa dei sintomi più vistosi e a dileguarsi gradatamentenel giro di circa due mesi. si tratta, in ogni caso, di sperimen-tazioni finalizzate alla comprensione delle dinamiche neurofi-siologiche delle psicopatologie e all’individuazione di inter-venti terapeutici e farmacologici efficaci. più interessanti, aifini della nostra indagine sulla genesi dei segni aniconici nel-l’arte, sono invece le ricerche di Georges Marinesco (1863-1938), un neurologo di Bucarest di fama internazionale, for-matosi a parigi con charcot a La salpêtrière, che pubblica nel1933, ormai sul finire della vita, su “presse Médicale” una spe-rimentazione del tutto particolare condotta su due “pittori pro-fessionisti” consenzienti e “appartenenti a tendenze artistichediverse”.9 anche in questo caso viene iniettata della mescalina(33 centigrammi in quattro dosi nello spazio di un’ora e ventiminuti). all’apparire iniziale di fosfeni, “stelle luminosissimee ruotanti”, fa seguito la comparsa di segni geometrici mobilie colorati stagliati su uno sfondo scuro che si trasformano viavia in complessi arabeschi sotto lo stimolo di input musicali.Dopo due ore dalla prima iniezione, le vere e proprie allucina-zioni, fiabesche e fantasmagoriche, sono caratterizzate dalla so-vrapposizione di elementi umani e animali e da una straordi-naria vivacità cromatica. ancora sotto l’effetto allucinogeno, i
iconografia dell’invisibile 97
due artisti iniziano a dipingere. Marinesco annota che entrambiconservano intatte, pur nello stato alterato di coscienza, le lorocapacità tecnico-operative. Questo significa che è possibile di-pingere sotto l’effetto della droga. “La mescalina rende visio-nario e fantastico il gioco degli elementi pittorici rispettandoperò l’effetto formale”. anche la gamma cromatica, caratteriz-zata da un dinamismo caleidoscopico di colori e di forme, èmolto accesa, ma sostanzialmente ancorata al mestiere e alla“pratica pittorica”. i soggetti dei dipinti sono vari, sia di carat-tere erotico (un nudo di donna che affiora fra “reticoli”)(Fig. 118) sia di carattere paradisiaco (potremmo dire dell’al-dilà cristiano).
figura 118
in alcune tele, le linee non si ricompongono in un ordine figu-rativo, ma sembrano esplodere in vibrazioni di masse cromati-che “informate qua e là a criteri decorativi” (Fig. 119). sembrache la mescalina – conclude Marinesco – abbia il potere di faraffiorare zone profonde del patrimonio rappresentativo tenutein ombra dai meccanismi inibitori. si tratta ovviamente di os-servazioni su pittori europei contemporanei, ma anche le figuredelle grotte preistoriche, nella loro straordinaria maturitàespressiva, sono opera di artisti. con Marinesco si apre dunque
figura 119
98 Morfologia dell’immaginario
la strada all’analisi delle basi neurali delle forme della creativitàartistica in condizioni alterate di coscienza.Queste ricerche sui fenomeni entottici e sulla fisiologia dellapercezione alterata trovano conferma in una indagine a largoraggio condotta presso la technische Hochschule di Monaconegli anni cinquanta da Max Knoll su oltre mille volontari sot-toposti a un test di laboratorio.10
in questo caso, i fenomeni entottici (15 categorie costanti diforme) non sono indotti dall’ingestione di sostanze allucino-gene, ma da una leggera stimolazione elettrica della retina deltutto priva di effetti collaterali nocivi (Fig. 120). Le ricerche diKnoll hanno, fra l’altro, il merito di aver evidenziato come lestesse forme fosfeniche possano derivare sia da intossicazioneche da stimoli elettrici, e potremmo aggiungere, da altre formedi “alterazione della coscienza”; pensiamo a particolari condi-zioni patologiche, alla danza protratta, alla prolungata man-canza di stimolazioni visive o all’iperventilazione che produ-cono una analoga destabilizzazione delle normali funzioni ot-tiche. in certe zone dell’asia sudorientale, la trance può essereindotta anche dal suono ripetitivo e prolungato dei semi agitatiin un vaglio. Roland K. siegel, a metà degli anni settanta, haelencato tredici condizioni in cui sono state registrate appari-zioni fosfeniche: dormiveglia, ipoglicemia, epilessia, sifilideavanzata, stimolazione luminosa, uso di lenti cristalline, uso disostanze tossiche, vertigini, stati di delirio febbrile, episodi psi-cotici, deprivazione sensoriale, stimolazione elettrica, emicra-nia.11 alle medesime conclusioni giungono anche le ricercheneurofisiologiche di Mardì Horowitz.12
“La tecnica di stimolazione elettrica della corteccia cerebrale èstata notevolmente sviluppata negli ultimi anni da Wilder pen-field e dai suoi colleghi del Montreal neurogical institute. essiapplicarono una corrente alternata a due elettrodi distanziati,ma in stretto contatto con le diverse aree della superficie delcervello. stimolando la corteccia visiva della parte posterioredel cervello, si modfica nel paziente la visione normale per farspazio alla visione di punti luminosi. Quando gli elettrodi ven-gono spostati nella regione adiacente il paziente riferisce di ve-
figura 120
iconografia dell’invisibile 99
dere dei fosfeni di forma geometrica”.13 ora, queste sperimen-tazioni, nate in sede clinica e con finalità terapeutiche, a metàdegli anni settanta, iniziano a uscire dall’ambito strettamentepsichiatrico e neurologico e a sollevare un interesse culturalepiù vasto. uno dei massimi studiosi delle culture amaz-zoniche, l’antropologo d’origine austriaca Ge-rardo Reichel-Dolmatoff rileva, nel suo lavoromagistrale del 1975 The Shaman and the Ja-guar. The Study of Narcotic Drugs among theTukano Indians of Columbia, sorprendenti cor-rispondenze fra le decorazioni geometrichedegli indios tukano della colombia e le formefosfeniche individuate da Klüver e da Knoll(Fig. 121). “Queste corrispondenze – scrive –sono troppo precise per essere puramente casuali. esse sem-brano dimostrare che i disegni degli indios sotto l’effetto delloyajé, soprattutto quelli del primo stadio di intossicazione, sonofosfeni, poi interpretati in chiave culturale come se avessero unsignificato specifico”.14
analizzando le decorazioni geometriche dei tukano sui tes-suti, sugli strumenti musicali e sulle case, Reichel-Dolmatoffsi convince che queste forme ricorrenti e stereotipe ripetono,in modo piuttosto fedele, le apparizioni fosfeniche (Fig. 122)
figura 121
figura 122
100 Morfologia dell’immaginario
(Fig. 123). si tratta di reti,motivi a spirale, linee paral-lele, zig-zag e cerchi concen-trici che appaiono in seguitoall’ingestione di un infusoamaro, l’ayahuasca – a basedi un potente alcaloide, la di-metriltriptamina, che i nativichiamano yajé (Fig. 124).Questa bevanda si ottiene fa-
cendo cuocere una liana, la Banisteriopsis caapi insieme allefoglie di un arbusto della famiglia delle Rubiaceae molto dif-fuso nella foresta amazzonica. secondo i nativi, esiste un rap-porto stretto fra la liana magica e l’anaconda, il serpente chevive nella rete fluviale della foresta e che popola la fantasiadelle visioni allucinate. i tukano usano lo stesso termine per definire le “visioni in statodi trance” e “dipingere con punti colorati”. “Le diverse tribùdel gruppo linguistico tukano – scrive Giorgio samorini –hanno creato un particolare sistema di classificazione delle im-magini percepite durante lo stato allucinatorio indotto dalloyajé. esse distinguono quelle percepite durante il primo stadiodell’effetto, chiamate noméri (“dipingere con punti colorati”),caratterizzate da forme geometriche semplici, da quelle perce-pite durante un secondo stadio, chiamate tere, caratterizzate daforme geometriche più complesse (griglie, linee a zig-zag, on-dulate, ecc.), sino a quelle percepite in uno stadio ancora piùavanzato dell’effetto allucinatorio, costituite da immagini figu-rative e pittoriche, interpretate dagli indios per lo più comescene mitologiche”.15 per gli sciamani, trasformati durante latrance in giaguari, le apparizioni aniconiche costituiscono laporta magica oltre la quale si spalanca allo sguardo il regnodegli spiriti governato dal “signore della selvaggina”, unmondo onirico popolato da creature fantastiche. Gli uomini “siannegano” nelle visioni, come “si annegano” nella donna du-rante il coito. i segni geometrizzanti dei tukano sono gli stessiche ricorrono nell’arte rupestre delle alture dell’amazzonia
figura 123
figura 124
iconografia dell’invisibile 101
nord-occidentale accanto o in sovrapposizione ai grandi animalidipinti in ocra rossa ai quali gli indios attribuiscono un signifi-cato simbolico. “i motivi geometrici dipinti accanto alle figureanimali rappresentano la fecondità. Le fila di punti rappresen-tano gocce di sperma e le linee a zig-zag la successione dellegenerazioni. Le figure geometriche all’interno dei corpi deglianimali dipinti stanno a significare la loro fertilità”.16
negli stessi anni, siegel e i suoi collaboratori decidono di stu-diare gli effetti del peyote sugli indios Huichol della sierraMadre (Messico). La descrizione delle figure apparse durantele loro visioni estatiche corrispondono in maniera puntuale alleforme che decorano i loro tessuti e i loro manufatti.
Èin Questo cLiMa che matura il paradigma sciamanico-neu-rologico di The Signs of All Times, un saggio dirompente e
provocatorio fin dal titolo che lancia la sfida di una chiave uni-versale di lettura dei segni ricorrenti della preistoria in gradodi superare distanze spazio-temporali abissali, sciogliendol’enigma delle figure bizzarre e di alcune forme aniconichedell’arte di “tutti i tempi”. il primo banco di prova della nuovaipotesi è costituto dalle pitture rupestri dei boscimani san dellemontagne del Drakensberg. siamo dinanzi a raffigurazioni sur-reali, emerse dalla creatività di una cultura sciamanica di cacciae raccolta presente in sudafrica fin dai tempi più remoti e oggipressoché scomparsa – o peggio assassinata – ma di cui posse-diamo uno straordinario corpus mitologico che testimonia diun complesso sistema di credenze. si tratta dei cosiddetti “qua-derni divini”, oltre diecimila pagine manoscritte negli anni set-tanta dell’ottocento che raccolgono le interviste del filologotedesco Wilhelm Bleek e di Lucy Lloyd a membri autorevolidelle tribù san della colonia britannica di capo di Buona spe-ranza.17 È una fonte di informazione preziosa anche per la com-prensione dell’arte rupestre san sopravvissuta alla estinzione
2. sciaManisMo e
pReistoRia
102 Morfologia dell’immaginario
di questa cultura (Fig. 125). Nei di-pinti e nei graffiti che rappresentanoper lo più scene rituali e di danza, isegni aniconici si confondono con leimmagini figurative dando vita a cu-riose metamorfosi, presentificazionidei grandi esseri fantastici, antropo-zoomorfi, che popolano l’immagina-rio visivo e mitologico dei viaggi ex-tracorporei degli sciamani nel regnodegli spiriti e dei defunti. Secondo lecredenze San, le fenditure delle roccecostituiscono un ingresso privilegiatonel mondo ultraterreno. Gli sciamani
hanno la capacità di convincere gli esseri sotterranei ad attra-versare queste spaccature della terra, rendendosi così visibili.Le pitture rupestri sono la testimonianza di questo potere fuoridell’ordinario. È probabile, però, che gli sciamani non dipin-gessero le immagini delle loro visioni durante lo stato di trance,ma in un momento successivo come ricordo favoloso di unaesperienza passata. Di questa cultura Lewis-Williams se ne stava occupando da pa-recchi anni. Una ricerca accurata, condotta secondo criteriquantitativi vicini ai metodi d’indagine di Leroi-Gourhan. Apartire dalla fine degli anni ottanta, l’individuazione del para-digma sciamanico-neurologico colloca il suo lavoro in un oriz-zonte diverso. La genesi dei segni che accompagnano le raffi-gurazioni viene individuata nei fosfeni apparsi nello stato ditrance indotto dalle danze rituali. Dall’analisi dei dipinti e, inparticolare, delle incisioni rupestri, è possibile, secondo Lewis-Williams, isolare la presenza di sei modelli entottici: 1) grigliedi base e loro sviluppo in un modello esagonale in espansione;2) insieme di linee parallele; 3) punti e piccole macchie; 4) zig-zag che attraversano il campo visivo (spigolosi o ondulatori);5) motivi curvilinei; 6) filigrane e meandri (Fig. 126). Queste tipologie trovano un sorprendente riscontro nell’icono-grafia di una cultura molto lontana nello spazio e senza alcun
Figura 125
Figura 126
Iconografia dell’invisibile 103
raccordo diretto con il Drakensberg, quella americana dei Sho-
shoni-coso del Gran Bacino della California. Anche in questo
caso, l’indagine è sostenuta da un ampio corpus mitologico ri-
conducibile a una società tribale di carattere sciamanico. Se-
condo le antiche leggende di queste tribù, furono gli sciamani
a trasferire sulle rocce le loro visioni per mostrare la loro po-
tenza o furono gli stessi esseri soprannaturali, “i figli della roc-
cia” – creature invisibili che appaiono durante la trance – a di-
pingere, aiutati dagli sciamani (Fig. 127).
Fin qui, al di là della datazione molto alta di alcune immagini
rupestri sudafricane, ci muoviamo in un contesto sostanzial-
mente etnologico, sostenuto da riscontri narratologici relativa-
mente recenti.
Il paradigma neurologico viene, però, esteso anche all’arte prei-
storica europea. Secondo Lewis-Williams e Dowson, alcuni
segni geometrizzanti dell’arte parietale e mobiliare del Paleoli-
tico superiore potrebbero avere la stessa origine entottica ed es-
sere la restituzione grafica di apparizioni fosfeniche (Fig. 128).
Il medesimo discorso viene riproposto anche per taluni segni
dell’arte del Mesolitico (Fig. 129).
A un anno di distanza da The Signs of All Times appare, sempre
su “Current Anthropology” (1989) un articolo di Richard Bra-
dley, Deaths and Entrances: A Contextual Analysis of Megali-
thic Art in cui l’archeologo sostiene che le decorazioni dei mo-
numenti megalitici europei possano offrire un terreno più fertile
per l’applicazione delle ipotesi di Lewis-Williams e Dowson
Figura 127
Figura 128 Figura 129
104 Morfologia dell’immaginario
rispetto all’arte paleolitica, prevalentemente animalisica e fi-gurativa18 (Fig. 130).L’architettura megalitica rappresenta la testimonianza più im-ponente del neolitico dell’europa atlantica. nel iV millennioa.c. è presente dalla penisola iberica alle isole britanniche.Le decorazioni a rilievo dei dolmen – camere a grandi lastre,in molti casi precedute da un corridoio, ricoperte da un am-masso di pietre (cairn) e da tumuli di terra – presentano, accantoa rari motivi naturalistico-schematici (vomeri, bovidi, asce), in-numerevoli motivi astratti (centri concentrici, spirali, zig-zag,linee ondulate, ecc.) ottenuti con una tecnica particolare, perabbassamento delle superfici. Monumenti sepolcrali – come èstato evidenziato dagli scavi – i dolmen sono stati associati aritualità stagionali. si è ipotizzata, inoltre, una loro funzione calendaristica comeosservatori astronomici (Fig. 131). cosa del tutto plausibile perdelle comunità agricole. nel grande cairn circolare di new-grange (irlanda), circondato da pietre erette, la camera, prece-duta da un corridoio, è orientata in modo da lasciar filtrare, du-rante il solstizio d’inverno, i raggi del sole fino a illuminare lasala del fondo e i grandi bacili di pietra posizionati in particolaripunti strategici. Le decorazioni dell’intero complesso sono pre-valentemente astratte. L’ipotesi più accreditata è che si tratti di
figura 130
figura 131
iconografia dell’invisibile 105
motivi uranici, anche se molte incertezze permangono sul lorosignificato simbolico. piuttosto convincente è la lettura calen-daristica delle incisioni sulla lastra di pietra che delimita la basedel tumulo megalitico di Knowth (irlanda) (Fig. 132). i cerchie i semicerchi rappresenterebbero i ventinove giorni del meselunare, la spirale al centro il novilunio, mentre la linea ondulatala successione degli equinozi. come, però, rileva VinceslasKruta, “sarebbe imprudente generalizzare a tutto il complessodei monumenti megalitici una situazione irlandese di cui moltiaspetti rimangono oscuri e fortemente ipotetici. La loro conce-zione e la loro funzione non possono non aver variato secondole regioni e i periodi, poiché non solo coprono uno spazio moltoesteso e culturalmente diversificato, ma si scaglionano per oltredue millenni. tuttavia, per le comunità neolitiche, la conserva-zione della memoria del tempo, d’altronde indissociabile dalgrande mistero della vita e della morte, doveva essere altret-tanto vitale quanto la preservazione del ricordo dei loro mem-bri, anche i più potenti e i più gloriosi”.19
Jean pierre Mohen tende a ricondurre il megalitismo europeoal culto degli antenati: “Le società neolitiche rurali e sedentariedell’europa occidentale devono assumere la legittimità del pos-sesso del suolo, esse “inventano“ così un culto degli antenatiorganizzato a partire dai monumenti megalitici, in cui prendeforma una divinità superiore, la “dea madre“ o della fertilità,che raduna le caratteristiche femminili assicurando la trasmis-sione della vita e degli antenati. Questi ultimi sono gli organiz-zatori della vita sociale a partire dagli attributi del potere. unsimile cosmo, allo stesso tempo terreno e celeste, è animato daun ritmo preciso, definito dal ciclo rurale delle stagioni, calco-lato a partire dall’osservazione del corso del sole e della luna”.20
Bradley introduce un’ottica interpretativa nuova. “L’arte irlan-dese è per la maggior parte dei casi costituita da immaginiastratte che potrebbero venir analizzate come figure entottiche,secondo i criteri proposti da Lewis-Williams e Dowson”.21
nel 1990 “current anthropology” ospita un ulteriore interventosull’origine fosfenica delle decorazioni megalitiche europeecon il saggio di Mark patton, On Entoptic Images in Context:
figura 132
106 Morfologia dell’immaginario
Art, Monuments and Society in Neolithic Brittany. Lo studioso
centra il suo interesse sul Neolitico dell’ovest della Francia, re-
gione dove compaiono – già a partire dalla seconda metà del V
millennio – i più antichi complessi.22 Una delle testimonianze
più suggestive e ricche dal punto di vista istoriativo è costituita
dal dolmen dell‘isola di Gavrinis. Il complesso monumentale
è formato da 29 lastre di cui 23 scolpite con motivi astratti (di-
schi, linee ondulate e parallele, spirali, ecc.). Si tratterebbe, se-
condo Patton, della più grande concentrazione di motivi entot-
tici di tutta la Bretagna. Riprendendo alcune considerazioni
espresse una decina d’anni prima da Elizabeth Shee Twohig in
The Megalithic Art of Western Europe,23 Patton avanza l’ipotesi
che l’architettura megalitica rimandi a cerimonie iniziatiche ri-
servate a pochi. Le stesse, rare sepolture dei dolmen, potrebbero
appartenere a individui dotati di particolari conoscenze sopran-
naturali acquisite durante stati alterati di coscienza. Alla fine
del V millennio, nel sud della Bretagna, si sarebbe verificato
un processo di marcata differenziazione sociale. L’emergere dei
motivi entottici nei repertori istoriativi testimonierebbe dell’im-
portanza che una nuova casta di “veggenti” avrebbe assunto
nella società.
Nel 1993 con On Vision and Power in the Neolithic: Evidence
from the Decorated Monuments, Lewis-Williams e Dowson
estendono il loro paradigma interpretativo anche ad alcuni
segni del Neolitico.24 Nel 1996 Lewis-Williams torna, però, in
maniera ampia e sistematica sull’arte delle origini con Les cha-
manes de la préhistoire, scritto in collaborazione con Jean Clot-
tes.25 Fin dai primi mesi della sua pubblicazione, il libro ha sol-
levato, insieme a un notevole interesse, anche critiche molto
aspre. Senza entrare nel merito di queste polemiche, è rilevante
evidenziare l’aspetto metodologico del nuovo orizzonte inter-
pretativo che i due autori prospettano. L’estensione del para-
digma sciamanico alla preistoria europea non segue la strada
del comparativismo etnografico, una via già ampiamente bat-
tuta fin dai primi studi di Salomon Reinach e dell’abate Breuil
e che Leroi-Gourhan aveva ripetutamente criticato sostenendo
l’inutilità di “colmare i vuoti” delle origini con qualche fram-
iconografia dell’invisibile 107
mento di etnografia. numerose sono, in effetti, le ragioni cherendono la convergenza etnologica fragile e problematica. Dauna parte, il presupposto di matrice materialistico-ottocentescache analoghe forme di produzione economica determinino ana-loghe concezioni del mondo. cosa non facilmente dimostrabile.Dall’altra, la considerazione che le culture di caccia e raccoltache sopravvivono nel mondo moderno risentono, nella maggiorparte dei casi, di scambi e contatti con le società agricole e conle culture avanzate occidentali. cosa del tutto estranea al pa-leolitico. Da ultimo, la consapevolezza – e questo vale soprat-tutto per le culture dell’ultima fase glaciale europea – che gliambienti peri-glaciali pleistocenici erano profondamente di-versi dagli ambienti artici contemporanei e che le condizionipaleo-climatiche delle prime società di cacciatori-raccoglitorinon trovano corrispondenza nelle culture di caccia e raccoltaattuali. il paradigma sciamanico di Lewis-Williams e clottes,fondato sull’analisi delle dinamiche neurofisiologiche della no-stra specie, individua, invece, nei fenomeni entottici un deno-minatore comune indipendente dalle diverse forme culturali enella loro restituzione grafica una forma archetipica ricorrentedell’arte rupestre di tutti i tempi. se il sistema nervoso umanoè universale e comune a tutti gli uomini e i fosfeni sono unaconseguenza del suo disfunzionamento, si può concludere chetutti coloro che sperimentano uno stato alterato di coscienza,indipendentemente dalla loro mentalità e dal loro livello cul-turale, possano trovarsi in una comune situazione percettiva.“Dal momento in cui gli uomini del paleolitico superiore eranoanatomicamente del tutto “moderni“ – scrivono Lewis-Wil-liams e Dowson – e avevano un sistema nervoso simile al no-stro, noi possiamo accettare l’idea che le loro allucinazioni do-vessero essere simili nella forma, beninteso non nei contenuti,alle allucinazioni avute in via sperimentale dagli occidentaliche partecipano alle esperienze di laboratorio sugli stati di al-terazione della coscienza e anche alle allucinazioni e alle espe-rienze nelle società sciamaniche diffuse nel mondo”.26
i segni che non trovano riscontro nella realtà sensibile “esterna”
108 Morfologia dell’immaginario
sono indubbiamente fra le espressioni grafiche più enigmatichedi tutta l’arte preistorica (fig. 5). L’ipotesi fosfenica potrebbeaprire uno spazio di lettura nuovo, ampliando il campo delleinterpretazioni. in questo caso, talune forme geometrizzantiverrebbero ad avere una “origine realistica” del tutto particolarein quanto restituzioni grafiche di un’esperienza visiva real-mente vissuta, un’esperienza che può aver successivamentestrutturato una convenzione rappresentativa destinata a ripro-porsi nel tempo indipendentemente dall’apparizione allucina-toria originaria. Questa ipotesi avrebbe, fra l’altro, il vantaggiodi superare la vexata quaestio del diffusionismo di alcuni segnisorprendentemente ricorrenti.Le più recenti ricerche sui fenomeni entottici, utilizzando lamodellistica matematica, ne hanno ulteriormente sottolineatoil carattere di universalità. p.c. Bressloff e J.D. cowan (2002-2005), analizzando la geometria dei recettori visivi, sono giuntiall’individuazione delle loro strutture formali: gli stati alteratidi coscienza – imputabili a diversi fattori (sostanze psicotrope,deprivazione sensoriale, movimenti ritmici o frenetici, schizo-frenia, iperventilazione ecc.) – destabilizzando le connessionidel cervello e alterandone i processi chimici e il loro normalefunzionamento, inducono un modello spontaneo di attività cor-ticale che fa emergere l’architettura intrinseca della cortecciavisiva primaria (Fig. 133). si tratta, dunque, di un fenomenoottico di inciampo della neocorteccia connesso a fattori neuro-fisiologici del tutto indipendenti dalle specifiche forme di cul-tura delle diverse società.27
L’ipotesi sciamanico-neurologica si va ad aggiungere alle in-terpretazioni plausibili – cioè sostenute dalla analisi delle fontidocumentarie – che sono state avanzate dalle prime scopertedell’arte paleolitica ai giorni nostri. certamente è un’ipotesi enon un passe-par-tout come, a loro tempo, erano ipotesi quelleformulate da Reinach e da Breuil, da Bégouën e da Luquet, daLeroi-Gourhan e da Laming-emperaire.sostenere che, in assenza di scrittura, sia impossibile decifrareil significato intenzionale delle prime forme d’arte ha pocosenso. il problema vale per ogni espressione simbolica che sia
figura 133
iconografia dell’invisibile 109
in grado di travalicare l’orizzonte della propria contemporaneitàe la prima generazione dei propri “lettori”. L’intentio auctorisper le generazioni successive è sempre qualche cosa di estre-mamente problematico, una nebulosa destinata a diventaresempre più lontana e indistinta, catturata dalle trappole di teorieanacronistiche, ritagliate sulla fisionomia della intentio lectoris.È evidente che il problema interpretativo dell’arte preistorica èparticolarmente marcato. ciò non toglie, però, che, anche inquesto terreno per certi aspetti indissodabile, vi sia un punto diriferimento solido, costituito da quella “comunità interpreta-tiva” che in questi ultimi cento anni si è andata via via compo-nendo e stratificando. ogni nuovo paradigma che parta da unaanalisi rigorosa delle evidenze archeologiche non può che ar-ricchire il dibattito e condurlo verso una più articolata com-prensione del patrimonio delle origini.
L’appaRizione Dei fosfeni, nella sua universalità, potrebbefornire una spiegazione coerente di differenti stati non solo
allucinatori, ma anche visionari. ora, è del tutto evidente cheil fenomeno spirituale delle visioni mistiche – presente in molteculture – non può essere ridotto all’interno di categorie clinichee neurologiche. in questo ambito, è la fenomenologia religiosache può fornire le chiavi di lettura più adeguate alla sua com-prensione. Questo non significa, però, che alcuni tratti imma-ginifici dell’universo mistico non possano venir correlati conle esperienze allucinatorie analizzate dalle scienze. L’appari-zione di bagliori fluttuanti e strani sembra accomunare le vi-sioni estatiche alle esperienze di trance degli sciamani. “se siconsidera il misticismo religioso in tutta la ricchezza delle suemanifestazioni – scrive il maggior studioso della misticaebraica Gershom scholem – s’incontrerà sempre, man manoche si percorrono le tappe del cammino dell’esperienza mistica,una progressiva demolizione delle strutture ontologiche chedanno forma al mondo empirico e, correlativamente, una co-struzione di strutture mistiche che accompagnano l’estinzione
3. peRcezione e
Visione
110 Morfologia dell’immaginario
del mondo delle forme naturali ai diversi livelli o nelle diversesituazioni della coscienza. tutti questi mistici da noi conosciutidescrivono queste strutture come configurazioni di luci o disuoni, che peraltro vengono a loro volta dissolte dall’amorfo,quando l’esperienza mistica procede ulteriormente”.28 anchese le diverse appartenenze religiose tendono a proiettare nel-l’universo estatico dei mistici la loro simbologia, le visioni,nella loro purezza originaria, non sembrano derivare da speci-fiche tradizioni. pensiamo a due grandi figure del basso me-dioevo di straordinario valore sia religioso che letterario, la ba-dessa tedesca ildegarda di Bingen e il teologo persiano sohra-vardi.Della mistica benedettina, vissuta in Renania fra il 1098 e il1179, possediamo alcuni codici miniati di rara bellezza, fra que-sti il Liber Scivias (Sci vias – conosci le strade) e Liber divi-norum operum.29 ildegarda ebbe, durante tutta la sua vita, a par-tire dall’infanzia, innumerevoli visioni cui il sinodo di trier(1147-1148) attribuì un riconoscimento ufficiale e che la mo-naca descrive come apparizioni di sciami di luce scintillanti chesi spostano, per lo più con moto ondulatorio, nel campo visivo(Fig. 134). ildegarda interpretò queste visioni come stelle,occhi fiammeggianti o angeli ribelli che precipitano negliabissi. nel Liber Scivias si legge: “Dopo queste cose vidi unagrandissima visione oscura fatta a somiglianza di un uovo,stretto nella parte superiore, largo nel mezzo e ristretto di nuovosul fondo (...) all’interno di questo fuoco vi era un globo difuoco scintillante, di tale grandezza che tutta la visione ne ve-niva illuminata (…) Questo globo in certi momenti si levava inalto e una grande quantità di fuoco gli si faceva incontro (…)e nello stesso etere erano state poste ovunque molte sfere lu-minose, in cui lo stesso globo talvolta faceva scorrere la sua lu-minosità svuotandosi alquanto (…) e udii una voce dal cieloche mi diceva: attraverso le cose visibili e temporali si mani-festano quelle che sono invisibili ed eterne”. È una lettura sug-gestiva, del tutto in sintonia con la cultura cristiana del tempo.Queste visioni ritornano, ventotto anni più tardi, nel Liber di-vinorum operum. È interessante rilevare che le visioni luminose
figura 134
iconografia dell’invisibile 111
degli sciami di fuoco vanno qui a confluire, secondo la tradi-zione mistica del Libro di Ezechiele e della Apocalisse di Gio-vanni, in immagini teriomorfe (il tetramorfo). nel mezzo deicircoli di fuoco e di aria appare un globo e quattro teste in per-petua metamorfosi. “Ma verso le stesse parti apparivano quattroteste, come di leopardo e di lupo, di leone e di orso. infatti soprail vertice della stessa immagine umana, nel segno dell’eterepuro, vedevo come una testa di leopardo, in atto di soffiarecome un fiato dalla sua bocca, fiato che uscendo anche dallaparte destra della bocca, dopo aver formato una curva, assu-meva l’apparenza della testa di un cancro con le due forbici, si-mili a due piedi, mentre dalla parte sinistra la direzione incur-vata del soffio sembrava finire nella testa di un cervo”. immagini di luci in perpetua metamorfosi sono descritte anchein uno dei testi più suggestivi della teologia orientale: Il librodel raggio di luce (Partavw-nameh) di sohravardi scritto inpersiano qualche decennio dopo le apparizioni di ildegarda.nato nel 1155 nell’antica città di Media, nell’iran nord-occi-dentale, contemporaneo di averroé, sohravardi è il fondatoredi una “teosofia orientale” che ripropone l’antica sapienza per-siana attraverso una sintesi mistica fra il pensiero di zoroastro,la filosofia platonica e quella plotiniana. sohravardi raccontadi essersi convertito durante la giovinezza in seguito a una vi-sione estatica che si manifestò come apparizione straordinariadi una moltitudine di “esseri di luce”. nel Libro del Raggio diLuce, sohravardi fonda una fenomenologia della coscienza vi-sionaria, intrecciando considerazioni di ordine filosofico a de-scrizioni estatiche in cui la luce si moltiplica nel gioco di spec-chi di una catoptrica mistica. Le visioni possono essere ostaco-late o dall’eccesso di visibilità delle percezioni sensibili (l’im-maginazione attiva soccombe all’immagine) o dall’eccesso diriflessioni teoretiche (la visione mentale soffoca la visionedell’anima). L’immaginazione attiva esige, invece, una certa ri-lassatezza dei sensi sia esterni che interni, come può accaderenei bambini che si lasciano affascinare “dagli specchi d’acquao dagli oggetti neri e brillanti”. Queste riflessioni sulle dinami-che dell’immaginario rappresentano il punto più significativo
112 Morfologia dell’immaginario
della gnosi islamico-persiana e conservano ancora oggi un in-
dubbio interesse filosofico. Citiamo un passo della parte con-
clusiva del testo nella edizione francese curata da Henri Corbin.
“Dans le sensorium tombe une lumière plus resplendissante que
le soleil, et une grande douceur l’accompagne (....) Ces fulgu-
rations et ces lumières ne sont ni connaissance ni forme intel-
lective; elles sont une irradiation de lumière sacro-sainte. Du
monde sacro-saint viennent les lumières immatérielles et les
êtres aux âmes pures reçoivent leur part de cette splendeur de
lumière (…) Les épileptiques et les hypocondriaques, par
exemple, voient les formes de telle sorte que, même s’ils fer-
ment les yeux, il continuent de les voir mêmement. La vision
tient donc à une cause interne. Les génies et les démons sont
également au nombre des formes qui sont actualisées per l’Ima-
gination active. L’Imagination active est perpétuellement en
transfert d’une forme à une autre; elle n’est pas stabile”.30
Tornando ai fenomeni entottici, questi sembrano caratterizzati,
oltre che dalla luminosità, anche da un estremo dinamismo. Du-
rante le visioni, una griglia può frammentarsi producendo un
motivo scaliforme, le linee possono integrarsi formando un ara-
besco più complesso, i punti possono mescolarsi con i motivi
a zig-zag. I fosfeni tendono, dunque, ad aggregarsi e a disag-
gregarsi secondo diversi principi dinamici. Non tutti i segni ani-
conici della preistoria sono riconducibili ad apparizioni fosfe-
niche. Le lance, ad esempio, ammettono Lewis-Williams e
Dowson, potrebbero essere motivi realistici, anche se alcune
hanno al loro interno motivi a zig-zag. Anche certi claviformi,
come quelli della Grotta di Les Trois Frerès e della Grotta
Niaux, potrebbero essere forme femminili semplificate, come
riteneva Leroi-Gourhan. I motivi tettiformi sono i più difficili
da comprendere anche se gli elementi a griglia e puntiformi
sembrano suggerire, in alcuni casi, una relazione con i feno-
meni entottici. Anche se il numero delle combinazioni possibili
è molto elevato, Lewis-Williams e Dowson propongono sette
principi combinatori fondamentali: 1) replica (ripetizione di
modelli); 2) frammentazione (dissociazione delle forme); 3) in-
tegrazione (accumulo di forme); 4) sovrapposizione (proiezione
iconografia dell’invisibile 113
di forme le une sopra le altre); 5) giustapposizione (forme con-tigue); 6) raddoppiamento (duplicazione delle forme); 7) rota-zione (le forme si muovono in un vortice). Queste combinazionidanno vita a visioni surreali, di carattere iconico, che le diverseculture tendono a interpretare in sintonia con le loro più gene-rali concezioni del mondo. ora, sono soprattutto queste appa-rizioni iconiche, che emergono quando la mente cerca di de-codificare le impressioni entottiche, a spingere l’analisi versointerrogativi ai quali le scienze neurofisiologiche non sono ingrado di rispondere adeguatamente senza l’integrazione di ap-porti disciplinari più ampi.
Collana di Studi Paletnologici diretta da G. Brusa-Zappellini
© 2009 Arcipelago edizioni
© 2009 Gabriella Brusa-Zappellini
ISBN 978- 88-7695-401-6
Prima edizione: maggio 2009
via Carlo D’Adda 21
20143 Milano
www.arcipelagoedizioni.com
info@arcipelagoedizioni.com
gabriella.brusazappellini@istruzione.it
Elaborazione grafica: Marisa Chiani
Tutti i diritti riservati
Ristampe:
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Gabriella Brusa-Zappellini
MoRfoLoGIADeLL’IMMAGINARIo
L’arte delle originifra linguistica e neuroscienze
Indice
Capitolo I
ALLe oRIGINI DeLL’ARte
1. figure dell’immaginario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
2. Creature ibride . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
3. forme aniconiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
Capitolo II
eMPAtIA e AStRAZIoNe
1. Imitazione e schematizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
2. Excursus etnologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
3. I “grandi segni” della preistoria . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
Capitolo III
ICoNoGRAfIA DeLL’INvISIBILe
1. L’ipotesi fosfenica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
2. Sciamanismo e preistoria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
3. Percezione e visione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
Capitolo Iv
MetAfoRe vISIve
1. Immaginario versus fantastico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
2. Linguaggio e creatività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124
3. Strategie figurative del linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . 138
Capitolo v
ANtRoPoLoGIA DeLL’IMMAGINARIo
ANIMALIStICo
1. frammenti di etomitologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
2. Il paradigma emozionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169
3. Nell’aldilà del segno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
Note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183
Indice delle illustrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 207