Carlo Magna IV. La rinascita dell'impero

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a) I rapporti con l'impero d'Oriente

La notizia dell'incoronazione venne accolta a Costanti-

nopoli con derisione e disprezzo. Fino ad allora, gli impera-tori romani avevano riconosciuto ai capi germanici, con de-

gnazione, soltanto il titolo subordinato di rex, ma era im-pensabile che uno di costoro potesse assumere quello di im-perator. Il cronista bizantino Teofane descrive il rituale del-l'incoronazione di Carlo in termini deliberatamente parodi-stici, affermando che il papa lo unse d'olio «dalla testa aipiedi», com'era previsto per l'Estrema Unzione, e conclude

gelidamente: «A partire da allora Roma si trova sotto la si-gnoria dei barbari». Lo stesso Carlo Magno sembra essersipreoccupato delle reazioni ostili che il gesto di Leone IIIavrebbe potuto provocare ad Oriente, e già nell'802 mandòun' conte e un vescovo a Costantinopoli per assicurare l'im-peratrice delle sue intenzioni pacifiche; nella capitale corseaddirittura voce che gli inviati franchi avessero proposto unmatrimonio tra Carlo e !rene, che avrebbe permesso di riu-nificare i due imperi. L'approccio, tuttavia, incontrò la gla-ciale ostilità dei notabili bizantini, che di lì a poco con uncolpo di Stato liquidarono Irene ed elevarono al trono unodei suoi ministri, Niceforo I.

Benché sia Carlo, sia il nuovo basileus non avessero nes-

suna voglia di farsi la guerra, il confine fra le due potenze,nel nord-est e nel sud della penisola italiana, era abbastanzaincerto da provocare continui incidenti, di cui approfittaro-no i mercanti di Venezia e di Zara per cercare di rendersi au-tonomi da Bisanzio, e il duca di Benevento per ribellarsiun'altra volta all'egemonia franca. Nell'811, però, NiceforoI venne ucciso in battaglia dal khan bulgaro Krum, e il suosuccessore Michele I Rangabe preferì garantirsi la pace conl'Occidente: un' ambasceria bizantina raggiunse Aquisgranae sia pure a denti stretti riconobbe a Carlo il titolo di impe-ratore. «A loro modo, e cioè in lingua greca», riferiscono gliAnnali Regi, «lo acclamarono, chiamandolo imperatore e ba-sileus»; evitando però, per salvare la faccia, di aggiungervi la

qualifica di romano. Carlo rispose con una lettera in cui sirallegrava della pace raggiunta «fra gli imperi d'Oriente ed'Occidente»: lo sdoppiamento dell'impero romano, varatosecoli prima da Diocleziano, offriva il modello o almeno lalegittimazione per la coesistenza di due imperi, entrambi ro-mani, in seno all'unica Cristianità.

Almeno in Occidente, la soluzione parve così comoda dacontinuare ad essere impiegata per molto tempo, in contra-sto con l'ostinazione degli imperatori bizantini, che non per-devano occasione per risollevare difficoltà a questo proposi-

inginocchiato. Un politico dell'intelligenza di Carlo Magnonon poteva non cogliere al volo le implicazioni di questo ge-sto, e ciò basta e avanza per spiegare il suo disagio. Non ècerto un caso se tredici anni dopo, quando volle che il figlioLudovico il Pio fosse incoronato imperatore per affiancarlo

nel governo e preparare la successione, Carlo organizzò lacerimonia secondo un protocollo completamente diverso,eliminando tutti gli aspetti che potevano essergli dispiaciutinella sua incoronazione: Ludovico venne incoronato nella

cappella palatina di Aquisgrana, e non in San Pietro; ad ac-clamarlo non c'erano i Romani, ma i Franchi; e soprattutto,

il nuovo imperatore non s'inginocchiò davanti al papa, mavenne incoronato dal padre, o, secondo un altro cronista, sipose da solo sul capo la corona. La regia era abile, ma or-mai era troppo tardi: la cerimonia dell'813 fu cancellata, nelricordo, da quella dell'800, e sull'impero rifondato gravòsempre l'ambiguità irrisolta del suo rapporto col papato.

Non .rer nulla, mille anni .dopo, u~ altr.o i~pe:a~or~',Napo:leone; ben consapevole dI queste ImplIcaZIOnI, invito bensiil papa alla propria incoronazione, ma badò bene a metter-si la corona in testa da solo! .

4. Il nuovo impero nel mondo

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to. Nell'827 il basileus Michele II si rivolse a Ludovico il Pio

chiamandolo «il nostro caro fratello Ludovico, glorioso redei Franchi e dei Longobardi, dai quali è chiamato impera-tore»; e ancora nell'871 il pronipote di Carlo, Ludovico II,ricevette dal basileus una lettera in cui gli si ricordava aci-

daIpente che !'impero era uno solo. TIsovrano franco rispo-se cortesemente che lui, Ludovico, essendo stato incorona-to a Roma aveva tutti i diritti di chiamarsi imperatore dei Ro-mani; quanto al collega, poteva benissimo intitolarsi impe-ratore della Nuova Roma. Si trattava, del resto, di scherma-glie diplomatiche rilevanti, sì, sul piano ideologico, ma di cuinon bisogna sopravvalutare l'urgenza, tanto meno al tempodi Carlo. La sua Europa, dove si pregava e si scriveva in la-tino, aveva pochi rapporti, o diciamo pure nessuno, conquell' altra Europa in cui si scriveva e si pregava in greco; ela concorrenza protocollare col sovrano che regnava su quellQI1tanopaese non aveva troppa importanza per nessuno... È però vero che Carlo, acclamato imperatore dei Roma-

ni nel momento della sua incoronazione, preferì introdurreuna modifica in quel titolo, e nei suoi diplomi s'intitolò «se-renissimo Augusto, incoronato da Dio, grande e pacifico im-peratore, governante l'impero romano, nonché per miseri-cordia di Dio re dei Franchi e dei Longobardi». Qualcunoha notato che essere imperatore, e governare !'impero ro-mano, non significa a rigore essere l'imperatore dei Romani,e che insomma Carlo adottando questo titolo si dimostravasensibile alle preoccupazioni dei Bizantini, e capace di riva-leggiare con loro in sottigliezze protocollari. Ma non è det-to che sia proprio così, giacché la formula «Romanum gu-bernans imperium» era una di quelle usate da Giustiniano,e senza dubbio quello era un esempio abbastanza autorevo-le di imperatore romano a cui ispirarsi. Nell'insieme, del re-sto, la simbologia del potere carolingio a partire dall' anno800 si richiamò sempre a quella dell'impero di Roma: Carlosi fece rappresentare sulle monete con la corona d'alloro e ilmantello di porpora, e fece iscrivere sul suo sigillo quello che

doveva restare per secoli uno slogan politico di straordina-ria efficacia: «Renovatio Romani Imperii».

Possiamo arguire che il problema, in definitiva, non fos-se la caratterizzazione dell'impero come romano, ma il suocollegamento con i Romani, che agli occhi di un Franco del-l'epoca erano innanzitutto il papa e la moltitudine di eccle-siastici, spesso anche infidi, che lo circondavano. TIrifiuto didirsi imperatore dei Romani risale probabilmente alle stessemotivazioni per cui, secondo Eginardo, Carlo era rimastoscontento delle acclamazioni ricevute in San Pietro: ciò chegli premeva era di non sminuire il suo titolo di re dei Fran-chi, che era pur sempre la vera base del suo potere, e nondar adito al sospetto, politicamente pericoloso, che i preti diRoma, e non i magnati franchi, fossero l'élite politica del-l'impero rinnovato.

b) Impero e papato

Nonostante l'ambiguità che aveva saputo introdurvi Leo-ne IlI, l'incoronazione imperiale sanciva la supremazia diCarlo sulla Chiesa latina e sullo stesso pontefice. Assumen-do il titolo d'imperatore, il sovrano rivendicava ufficialmen-te un primato che comè semplice re dei Franchi sarebbe sta-to più difficile da giustificare, anche se in pratica già primadell'800 Carlo si comportava a tutti gli effetti come il capodella Cristianità. Nei suoi capitolari s'intitolava «per graziadi Dio e per concessione della sua misericordia re e rettoredel regno dei Franchi, e devoto difensore e umile aiutantedella santa Chiesa»; ma non lasciamoci ingannare dal tono.L'aiuto che il re prestava alla Chiesa consisteva nel deciderele nomine di vescovi e abati, nel sorvegliarne severamente ilcomportamento, e nel radunarli in concilio quando lo giu-dicava opportuno, fissando personalmente l'ordine del gior-no e promulgando le conclusioni, tutte responsabilità cheoggi siamo abituati a veder esercitare dal papa. Quando poi,nel 799, quest'ultimo giunse profugo a Paderborn, insegui-

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to da accuse di immoralità e malversazioni, l'umile difenso-re della Chiesa lo rispedì a Roma sotto scorta, e venne per-sonalmente a presiedere un concilio che doveva giudicarlo.

Non c'era dunque dubbio possibile: se la Cristianità ave-va un capo supremo, quello era il re dei Franchi, e non cer-to il papa. Nel 775 il prete irlandese Catwulfo scrisse a Car-lo: «perché tu stai qui in vece di Dio, a custodire e gover-nare tutte le membra del Suo popolo, e dovrai rendere con-to nel giorno del Giudizio; mentre il papa è al secondo po-sto, sta soltanto in vecedi Cristo». Nei momenti critici il so-vrano non mancò di ribadire che era lui il nocchiero dellanave in tempesta, mentre al papa spettava soltanto pregareperché le acque si calmassero: condannando, contro il pare-re di Adriano I, le conclusioni del secondo Concilio di Ni-cea, Carlo affermò perentoriamente che «a noi è stata datada governare la Chiesa nei Butti tempestosi di questo mon-

-rào». Qualche anno dopo, affrontando un papa più accomo-dante di quel ch'era stato il vecchio Adriano, il re andò an-cora oltre, scrivendo al neoeletto Leone 111:

A noi spetta, coll' aiuto della Provvidenza, difendere la Chiesaall'esterno con le armi, contro le aggressioni dei pagani e la deva-stazione degli infedeli, e rafforzarla all'interno imponendo la fedecattolica. A voi, santissimo padre, spetta sostenere il nostro com-battimento levando le braccia a Dio come Mosè, affinché graziealla vostra intercessione il popolo cristiano sia sempre vittorioso. . . .SUl SUOi nemiCI.

ro episodio dell'inverno 804, quando Carlo fu informato cheLeone desideravaa tutti i costi trascorrere le feste di Nata-le in sua compagnia. L'imperatore rimase piuttosto sorpresoda quell'insolito desiderio, che spingevail papa ad attraver-sare le montagne sul far dell'inverno per raggiungerlo adAquisgrana, ma si degnò comunque di andargli incontro fi-no a Reims; poi però, dopo appena otto giorni trascorsi in-sieme, lo rispedì senz' altro a Roma, costringendolo a rifarel'interminabile viaggionel pieno della cattiva stagione. An-che se ignoriamo gli impellenti motivi che avevanoconsi-gliato il papa a sobbarcarsi quella fatica, è comunque chia-ro chi fosse, fra i due, il superiore; ed è anche confermatoche fra Carlo e Leone non esistevaquelfeelingches'era in-vecestabilito con Adriano.

Ecco dunque in che sensova inteso l'appellativo di aiu-tante e difensore della Chiesa,che Carlo assumevacon tan-ta umiltà. Nella Divisioregnorumdell'806, del resto, l'impe-ratore in persona, imponendo ai suoi figli l'obbligo della«defensio Ecclesiae», la definisce così: innanzi tutto difen-dere la chiesa di San Pietro, cioè il papa di Roma, dai suoinemici e proteggerne i diritti; in secondo luogo, salvaguar-dare i diritti di tutte le chiese, noi diremmo i vescovadi, chesi trovavano sotto la loro autorità. Non forzeremmo forsetroppo la realtà se ne concludessimo cheagli occhidell'im-peratore la sederomana, pur con tutta la deferenza ch'eradovuta al suo titolare, era in fin dei conti soltanto la primafra le sedi arcivescovili del suo impero; che è del resto il po-sto ad essa assegnato nel suo testamento, dove l'unica di-stinzione attribuita a Roma è il primo posto nell' elenco(<<poichénel suo regno si sa che vi sono ventun sedi metro-politane, e i loro nomi sono questi: Roma, Ravenna, Milano,Aquileia, Grado...»).

Fra il Natale dell'800 e la Pasqua dell'80l, d'altronde,Carlo Magno aveva trascorso cinque mesi consecutivi nellaCittà Eterna, e questo prolungato soggiorno sancivachiara-mente la sua sovranità; era inconcepibile, infatti, che il re

Ma il papa non era il successore di san Pietro? Nemme-no questo bastava. Nell'anno 800, quando Carlo stava perpartire per Roma a giudicare Leone 111,Teodulfo d'Orléansscrisse chesanPietro in personagli avevaaffidato le propriechiavi terrene, quelle cioè della basilica vaticana, acconten-tandosi di tenere per sé quelle del cielo: al re spettava go-vernare la Chiesa,il clero e il popolo cristiano.La scarsacon-siderazione in cui era tenuto il papa risulta anche dall'oscu-

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c) Carlo Magno e Harun al-Rashid

La statura imperiale assunta da Carlo Magno negli anniimmediatamente precedenti 1'800, e poi confermata dall'in-coronazione in San Pietro, si riflette anche nelle relazioni con

il suo equivalente musulmano, il califfo di Baghdad. All' e-poca di Carlo, era Principe dei Credenti un altro grande so-vrano entrato nella leggenda del suo popolo: Harun al-Ra-shid, califfo dal 786 all'809 e uno dei protagonisti delle Mil-le e una notte. I rapporti fra l'imperatore cristiano e quellomusulmano, che i cronisti franchi chiamano <<Aaronrex Per-sarum», erano eccellenti. Nell'anno 801 ambasciatori del ca-liffo sbarcarono a Pisa, e con loro rientrò in patria l'ebreoIsacco, che Carlo aveva mandato a Baghdad quattro anni pri-ma; portavano in dono il famoso elefante Abul Abbas, chesuscitò tanta sensazione da essere menzionato a più riprese

negli Annali Regi. Eginardo afferma che l'elefante era statorichiesto espressamente da Carlo per il suo serraglio, e cheil califfo teneva tanto a soddisfarlo da privarsi dell'unico

esemplare in suo possesso; anche se della veridicità di que-st'ultimo particolare è lecito dubitare.

È vero, invece, che uno degli intellettuali della corte d'A-quisgrana, l'irlandese Dicuil, trasse spunto dall' osservazionediretta dell' elefante per smentire l'affermazione del geograforomano Solino, secondo cui gli elefanti non sono capaci disdraiarsi: «mentre invece è sicuro che si sdraia come un bue,come tutto il popolo del regno dei Franchi ha comunemen-te visto fare all'elefante al tempo dell'imperatore Carlo». Èchiaro che il pachiderma era una grande attrazione, e forsemolti curiosi si affollavano fuori dai palazzi o dagli accam-pamenti di Carlo più per vedere l'elefante che per vedere illoro re. Ma il possesso d'un elefante, come di altri animalifavolosi, aveva anche una valenza simbolica; era la preroga-tiva d'un potere imperiale cui Dio aveva affidato il governodi una larga porzione del globo terrestre, e che sapeva fargiungere il proprio nome anche in paesi infinitamente lon-tani: tutte connotazioni di cui tanto Carlo quanto Hariìn era-no certamente ben consapevoli.

Nell'807 un'altra ambasciata del califfo portò da Bagh-dad ricchi doni, fra cui scimmie e tessuti preziosi, aromi eunguenti orientali, un orologio meccanico munito di automie suoneria, candelabri d' oricalco, e perfino un padiglione dacampo, insomma tutte le ricchezze d'Oriente, concludonoabbagliati i cronisti occidentali. Carlo non poteva compete-re con lo splendore e l'ingegnosità di quei regali, ma li ri-cambiò con cani da caccia, cavalli, muli e stoffe pregiate, dacui peraltro i cronisti arabi non risultano altrettanto impres-sionati. È comunque chiaro che i due sovrani avevano tuttele intenzioni di mantenere relazioni cordiali, nonostante ladifferenza di religione: i loro imperi erano abbastanza lon-tani da non doversi temere l'un l'altro, e saperli alleati ser-viva a tenere in allarme i comuni nemici, l'impero di Bisan-zio e gli Omayyadi di Spagna.

Carlo, poi, aveva almeno un altro motivo per conservarebuoni rapporti con Baghdad, giacché la benevolenza di

svernasse e celebrasse le principali festività annuali al di fuo-ri del suo regno, mentre all'inverso un lungo soggiorno in-vernale e festivo era stato la misura simbolica con cui Carlo

aveva già in passato affermato la sua sovranità su paesi re-centemente sottomessi, come la Sassonia e la Baviera. Del re-sto, l'annalista di Lorsch aveva giustificato l'incoronazioneimperiale dell'800 con la considerazione che Dio s'era com-piaciuto di mettere in potere di Carlo la città di Roma, «do-ve i Cesari avevano sempre risieduto», e le altre antiche me-tropoli della Cristianità d'Occidente. In un futuro nemme-no troppo lontano, qualche papa avrebbe cominciato a con-testare il primato dell'imperatore, e a rivendicare per sé laguida della Cristianità; ma all'indomani del 799-800 nessu-no, e tanto meno Leone 111,avrebbe potuto mettere in di-scussione l'autorità suprema di Carlo sull'Urbe e sull'orbe.

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Harun al-Rashid era indispensabile ai Cristiani di Terrasan-ta, che vivevano sotto la dominazione musulmana e avevanofrequenti attriti con le tribù beduine. Preoccupato per quel-le comunità, cui inviava frequenti sowenzioni in denaro,l'imperatore segnalò certamente al califfo che un gesto dibuona volontà in quella direzione avrebbe molto giovato ailoro rapporti, e Harun al-Rashid accettò di compiacerlo,giungendo addirittura a donargli, simbolicamente, il terrenosu cui sorgeva il sepolcro di Cristo. Si capisce allora comemai, negli stessi anni in cui il re dei Franchi scambiava am-basciatori e doni col califfo, il patriarca di Gerusalemme loriconobbe protettore dei Luoghi Santi, inviandogli le chiavidel Santo Sepolcro: non è soltanto con le armi che Carlomanteneva il suo prestigio di capo supremo della Cristianità.