CagliariPad 6

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La rivista di Cagliari e dintorni!

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EDITORIALE

Maledetti centimetri

di Michele Ruschioni

A volte bastano pochi centimetri di cemento per cambiare la vita delle persone. Ne ba-

stano quindici, venti, un’altezza che anche un bimbo piccolo è in grado di affrontare senza problemi. Solo che la prospettiva cambia se siamo costretti su una sedia a rotelle o più semplicemente se ci troviamo a spingere una carrozzina e quel piccolo gradino diventa una montagna insormontabile.

L’ostacolo in questione è solo apparentemente fisico: di-pendere dall’aiuto di qualcun altro per salire su un marcia-piede è uno schiaffo all’idea stessa di indipendenza. Vivere quotidianamente situazioni del genere diventa umiliante. E pensare che costruire degli scivoli utili ad agevolare il pas-

saggio ai disabili non è impresa titanica. Bastano due operai, alcune ore di lavoro, qualche migliaio di euro e la volontà

degli amministratori cittadini. In fondo, se ci pensate, basta davvero poco. Ma non possiamo sempre prendercela con gli altri. Anche noi siamo nella lista di chi, per semplice disat-

tenzione, distrazione o mancanza di senso civico, mette degli ostacoli tra i disabili e la possibilità di spostarsi per la città.

Assessori e sindaci possono anche abbattere tutte le barriere architettoniche, ma se poi noi parcheggiamo l’auto mala-mente siamo da capo a dodici. Il problema è quindi profon-do, sentito e riguarda ognuno di noi. Quante volte abbiamo letto e sentito queste storie? Evidentemente troppo poco se ancora oggi siamo costretti a documentare che per un disa-

bile spostarsi in città è ancora terribilmente difficile.

m.ruschioni@cagliaripad.it

INDICE

Cagliari città degli ostacoli pag. 4Trasporti pubblici pag. 6La vita indipendente pag. 8La quotidiana battagliadei diversamente vivi pag. 10I bambini chiedono asilo pag. 12Il silenzio del Sindaco pag. 14La città degli eroi pag. 16Last News pag. 17Sport senza barriere pag. 18Il Casteddaio pag. 20Colpi di penna pag. 23

CAGLIARIpad.itANNO I • Numero 6 • 22 novembre 2011

EditoreGCS Green Comm Services. S.r.l.

Direttore ResponsabileMichele Ruschioni

RedazioneGuido GarauMichela SeuMaria Grazia PuscedduLaura PudduCarlo PoddigheAlessandra GhianiLexa

FotografieAlessandra Ghiani

Progetto grafico e impaginazioneCesare Giombetti

StampaGrafiche Ghiani • Monastir

Sede legaleVia Giotto, 5 • 09121 • Cagliari

RedazioneLargo Carlo Felice, 1809124 Cagliariwww.cagliaripad.itredazione@cagliaripad.itTel. 070.3321559 • 366.4376649

Autorizzazione Tribunale di Cagliari15/11 del 6 settembre 2011

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LA CITTÀ DEGLI OSTACOLI

LA LIBERTÀ NEGATADA UNO SCIVOLO CHE NON C’ÈNon è per niente facile girare per le strade di Cagliarise si è costretti su una sedia a rotelle.

di Michela Seu

“La vita è

piena di ostacoli”. Vero, verissimo. Figurarsi se a dirlo sono i disabili costretti a muover-si in carrozzina. E mica in una città del nord Europa: a Cagliari. Dove a quei non meglio identificati “ostaco-li” del nostro aforisma cor-rispondono nomi ben pre-cisi: gradini, ascensori fuori servizio, montacarichi fuori uso, marciapiedi dissestati e parcheggi inesistenti.

Quartiere che vai, bar-riere architettoniche

che trovi, verrebbe da dire. Ma non abbiamo trova-to proprio niente, perché niente abbiamo cercato. Semplicemente erano lì, in

ogni via, angolo o piazza della città. Alcuni li abbia-mo superati a fatica, talvol-ta con l’ausilio di gentilezza e forza fisica dei passanti;

altri, la maggior parte, sono rimasti ostacoli insuperati, perché insuperabili. A pre-sentarci la Cagliari off li-mits è stato Mauro, 28 anni,

paraplegico da quando un incidente stradale gli ha ini-bito l’uso delle gambe. Era il 2003: da allora la sua vita scorre sulle quattro ruote di una carrozzina.

Ci diamo appuntamen-to in via Roma, angolo

Largo Carlo Felice. Inten-diamo salire, ma dopo ap-pena qualche metro, siamo già al primo intoppo. Stri-sce pedonali che attraver-sano via Crispi: da un lato del marciapiede lo scivolo, dall’altro il gradino. Possi-bile? Proseguiamo fino alla Camera di Commercio, sempre nel Largo. Invano cerchiamo un’alternativa ai gradini: niente da fare, non fa per noi. Passiamo oltre. Raggiungiamo la facoltà di Scienze Politiche che Mau-ro frequenta: un concentra-to di barriere.

Marciapiede senza scivolo nel Largo Carlo Felice ang. via Crispi

Automobili che ostruiscono l’accesso allo scivolo in via Ospedale

A partire dai marcia-piedi dissestati fino ai

parcheggi per disabili oc-cupati da cassonetti o da lavori in corso - nessuno si preoccupa di sopperire dedicandone uno bianco o blu - passando per scivoli ostruiti da auto in sosta e vetture così vicine ai muri da impedire il passaggio persino a un normodo-tato. Che fatica. Per rilas-sarci, niente di meglio che un po’ di sano shopping in via Manno, storica via del commercio assieme a via Garibaldi. Ma qui, a parte un negozio, tutto ci è proi-bito: non tanto per i costi dei vestiti, pure eccessivi, quanto per l’ingresso. Ogni

esercizio ha gradini e disli-velli tali da non consentir-ne l’accesso: basterebbe un piccolo scivolo, nulla di più, ci irritiamo noi. Ma Mau-ro quasi non si scompone: “Solo i centri commerciali sono a norma – ci spiega sorridendo – e neppure tanto: i camerini spesso sono troppo stretti per le carrozzine”.

Ci consoliamo per non aver speso un cente-

simo e ci dirigiamo verso via Università. Biblioteca universitaria, perché no? Perché tre gradoni, di al-meno quaranta centimetri l’uno, costringono Mauro alla ritirata. Noi però non desistiamo: oltre il terzo

ostacolo c’è il campanello, a oltre un metro e mezzo dal pavimento. Suoniamo, spieghiamo la situazione:

“Dovrebbe verificare se funziona l’ascensore inter-no: sa, talvolta è fuori uso”, rispondono da su. “E per evitare i gradoni all’ingres-so?” “Beh no, per quelli non c’è nulla da fare! Bisogna che lo prendiate di peso”.

Ampio respiro, e pazien-za per la biblioteca:

poco più avanti c’è sempre il Bastione, il più caratte-ristico dei monumenti di Cagliari. Notiamo tuttavia che il montacarichi, al lato di quegli undici scalini, è impolverato e arruggini-to: praticamente fuori uso. “Non ha mai funzionato”, specifica una cameriera del bar accanto. Nella tanto ambita “città turistica” di chi vorrebbe Cagliari “ca-pitale del Mediterraneo” nemmeno i monumenti sono accessibili.

Le prime gocce di piog-gia cadono giù provvi-

denziali. Ci arrendiamo al maltempo, niente affatto agli ostacoli della vita in città.

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Montacarichi fuori uso al Bastione Saint Remy

I DISABILI? SOLO ACCOMpAGNATI!

Chi è costretto a stare in sedia a rotelle

non può ancora spostarsi indipendentemente

MUOVERSI IN CITTÀ CON I SERVIZI PUBBLICI

di Laura Puddu

Salire su un a u t o b u s

a Cagliari può rivelarsi un’impresa per una perso-na che non può fare affida-mento sulle proprie gam-be. Soprattutto se decide di muoversi senza chiede-re aiuto a nessuno.

Il parco mezzi del Ctm (che si occupa del tra-

sporto pubblico nel capo-luogo) è composto da 289 veicoli, di cui 223 dotati della pedana per consenti-

re l’accesso ai disabili. Sono 204 quelli che possiedono l’azionamento manuale, introdotto in seguito a un accordo tra le associazio-ni amiche dei portatori di handicap e l’azienda. Di solito il sistema manuale viene preferito a quello elettrico, quest’ultimo in-fatti non offre adeguate garanzie: basta un granello di polvere o di sabbia tra i rulli e il meccanismo non funziona più.

Con il congegno ma-nuale lo scivolo vie-

ne azionato dall’autista, o dall’accompagnatore della

persona disabile che poi deve far avanzare la car-rozzina fino al luogo ad essa riservato, presente in tutti i veicoli dotati della

pedana. Ma quando il por-tatore di handicap è solo, per salire si affida al buon cuore e alla sensibilità del guidatore, che scende dal

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mezzo e spinge la carroz-zella. Oppure non gli resta che chiedere aiuto a un altro passeggero o aspet-tare l’autobus successivo, sperando di incontrare qualcuno più disponibile.

Potrebbe bastare. E inve-ce no. Le grane per chi

è costretto a stare in se-dia a rotelle non finiscono qua. La pedana è utilizzabi-le sono in alcune fermate perché i marciapiedi non hanno lo spazio necessa-rio affinchè la manovra si possa eseguire in tranquil-lità. Roba da terzo mondo.

Si spera che per su-perare questo e altri

ostacoli possa servire il protocollo d’intesa tra il Ctm, la Provincia di Ca-gliari, i Comuni di Caglia-ri e Quartu e la Consulta Associazioni Disabili, che per ora somiglia più ad un inno alle buone intenzioni, ma sicuramente è meglio di niente. Questo accor-do dovrebbe portare non solo alla creazione di isole pedonali che riducano il dislivello tra bus e marcia-piedi, ma anche di pensili-ne con scivoli per il tran-sito delle carrozzelle, in modo che il disabile possa muoversi in piena autono-mia e libertà.

Con questo accordo, la città apre le porte,

almeno sulla carta, ad un importante cambiamento di cultura e mentalità. C’è ancora tanto da aspettare prima che la città cambi totalmente volto. L’obietti-vo dovrà essere raggiunto entro tre anni dalla firma, avvenuta nel Dicembre 2010. Sarà anche scontato dirlo, ma la collaborazione di tutti gli attori sociali ri-

mane fondamentale. Non resta quindi che appellarsi al senso di responsabili-tà degli automobilisti, che continuano a parcheggiare proprio nelle fermate dei pullman.

Il quadro generale però non è tutto a tinte fo-

sche. Ad oggi, la soluzione migliore per aggirare tutti gli impedimenti risulta es-

sere il servizio a domicilio “Amico bus”, che traspor-ta i portatori di handicap che ne fanno richiesta su prenotazione. L’unico inconveniente è che oc-corre telefonare il giorno prima e se una persona decide di uscire all’ultimo momento non può usu-fruirne. Come rimedio comunque funziona: il call center riceve circa 1200

chiamate al mese e soddi-sfa il 93% delle richieste.

di Carlo Poddighe

Entro l’anno

dovrà vede-re la luce il Plus di Cagliari: il Piano Locale Unitario dei servizi alla persona per il triennio 2012-2014. Pro-vincia e Comune, insieme alle associazioni lavorano da giorni alla pianificazione della futura politica per il sociale.

Le buone intenzioni. L’obbiettivo dichiarato

è razionalizzare l’ingente somma di denaro che an-

nualmente viene spesa per il sociale. «Attraverso la co-noscenza delle reali esigen-ze dei più deboli – ha spie-gato l’assessore comunale alle Politiche sociali, Susanna Orrù – potremo attuare una politica mirata, raggiun-gendo maggiori risultati con minore spesa».

La triste realtà. Ba-sterebbe uscire dal Mu-

nicipio, però, attraversare via Crispi dove mancano gli scivoli ai marciapiedi, per notare come per un disabile sia difficile affrontare anche una semplice azione quoti-diana. Ricca di saliscendi e di quartieri storici con viuz-

ze strette e lastricate col pavé, Cagliari per sua natu-ra non è una città facile da vivere per chi ha difficoltà a muoversi autonomamen-te. Nonostante il dichiarato impegno dell’attuale Giunta ad affrontare questi delicati problemi che perdurano da anni, non sembra che nei primi sei mesi di governo cittadino si sia registrato un cambio di tendenza rispetto al passato. Difficile capire anche le responsabilità dei mancati interventi. C’è un rimpallo di responsabilità fra le istituzioni riguardo alla ridistribuzione dei fondi e, anche all’interno dello stes-so Comune, i diversi uffici

scaricano l’un l’altro le com-petenze: l’Urbanistica riman-da ai Lavori pubblici, l’ufficio Viabilità ai Servizi sociali.

La politica è sempre la stes-sa. Le giunte comunali che

si sono susseguite nel tem-po hanno preferito creare una rete di servizi destinati ai disabili, invece che inter-venire con decisione sull’as-setto urbano in modo da rendere veramente indipen-denti i portatori d’handicap che vogliano vivere Cagliari. Il disabile viene gestito nella propria abitazione, ma appe-na esce fuori dal portoncino di casa si trova catapultato in una giungla cittadina, ab-

LA VITA INDIpENDENTETRA BUONE INTENZIONI E TRISTE REALTÀPer l’ex Ministro Antonio Guidi è sbagliato affidarsitroppo all’assistenzialismo in casa

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bandonato a se stesso.

Gli uffici dell’assessorato ai Servizi sociali, infatti,

garantisco ai cagliaritani di-sabili un servizio di assisten-za domiciliare. Anche alcune prestazioni previste dall’a-nagrafe cittadina vengono domiciliate, ben sapendo che le stesse circoscrizioni hanno spesso come sede vecchi edifici senza ascenso-re né scivoli. Oltre ai servizi, ai portatori d’handicap sono concesse alcune agevola-zioni fiscali. Una fra tutte ha del paradossale. Mentre appaiono scarsi gli interven-ti di contrasto alle barriere architettoniche presenti in città, il Comune si impegna economicamente per favo-rire l’abbattimento di quelle

presenti negli edifici privati. A questo tipo di interventi viene concesso un contribu-to a fondo perduto.

La linea di Guidi. «La vera sfida è la vita indi-

pendente, dare alla persona disabile un’autonomia già nelle piccole cose della quo-tidianità». È questa secondo Antonio Guidi, neuropsi-chiatra infantile, già ministro della Famiglia e poi sottose-gretario alla Salute, l’obietti-vo principe di una vera poli-tica sociale. «Le persone con disabilità escono sempre più di casa, questo è un dato positivo», continua Guidi. «Ma perché escano serve che si rafforzi l’educazione civica dell’intera città e che il disabile abbia uno scopo

per uscire: lavorativo e sco-lastico». Secondo Guidi non ci si può affidare esclusiva-mente ai finanziamenti per il contrasto alla disabilità, con somme che variano di anno in anno senza consentire una giusta programmazio-

ne. Serve piuttosto cambia-re radicalmente la politica degli interventi a favore dei più deboli, tenendo presen-te che «una città più vivibile per un disabile e una città migliore per tutti».

Antonio Guidi, ex Ministro della Famiglia

di Alessandra Ghiani

Nell’area me-

tropolitana del nostro capoluogo sono oltre 9.000, 30.000 in tutta la regione, oltre 7 milioni in Italia, un miliardo nel mondo. Stiamo parlando di persone con disabilità. Un miliardo in tutto il mondo. La po-polazione mondiale raggiun-ge la soglia di sette miliardi di abitanti.

È una questione di numeri? Speriamo di no, ma la ma-

tematica può arrivare dove non riesce la coscienza.

Visto che l’OMS (Organiz-zazione Mondiale per la

Sanità) si strugge per cercare definizioni e categorizzazio-ni ad hoc per i disabili. Visto che ormai ci si concentra più sull’uso discriminatorio dei termini e sui convenevoli di rappresentanza, forse è il caso

di sottolineare un fatto, e non dimenticarlo: ci sono perso-ne la cui prima ed essenziale necessità non è dimostrare la loro diversa abilità ma quel-la di garantirsi un servizio di sostegno che renda meno duro l’insopportabile peso della quotidianità ai loro cari ai quali è abbandonato total-mente il loro stesso respiro. Individui con handicap seris-simi o, se l’espressione irri-tasse gli animi più sofisticati, persone diversamente vive incapaci di partecipare al turismo accessibile, di gui-dare un veicolo predisposto, di utilizzare robotica, domoti-ca o servizi telematici. Esseri umani che non possono par-tecipare a nessuna battaglia che li riguardi, che se fondi e servizi vengono tagliati non possono ribellarsi e parlare perché non hanno la voce. Il loro unico pensiero è so-pravvivere.

E mai come ora quel ter-mine, che pare l’orgoglio

di politici ed opi-nionisti, è appar-so in tutto il suo splendore in ar-ringhe ed orazio-ni: il diversamente abile che seppellisce l’era del povero handicappato abban-donato ed istituzionalizzato. Finalmente è giunto il tempo dell’integrazione, della colla-borazione, dell’innovazione. Applausi.

Un’immagine buona per i boudoir e per le pol-

trone, forse. Ma dalle nostre sedie di legno è una real-tà distorta in un quadretto confortante. Debole però, perché non nasconde la no-stra responsabilità e l’obbligo civile di prendere in carico il problema.

Quanto siamo pronti nella nostra città ad accettare,

accogliere ed aiutare queste 9000 persone diversamente qualcosa?

Si tratta di abbattere le barriere architettoniche,

sono tante, troppe. Si tratta di fare cassa perché per mol-ti il minimo è diventato tutto. Si tratta di pensare disabile e di far diventare l’inusuale un’alternativa consueta. Sul lavoro, a casa, nelle attività commerciali, nello sport, nei luoghi sacri. Ovunque.

Sopra, barriere architetto-niche. Sotto, spettri molto

più duri da cacciare: barriere culturali, limiti della nostra mente, quelli che per un errore di valutazione, o per un’abitudine diffusa, fanno valutare il concetto di disa-bilità solo dal punto di vista medico. Così ci si concentra sulla menomazione fisica e

non sulle possibilità della persona.

Si da per scontato che gli ostacoli affrontati quoti-

dianamente dai portatori di handicap siano l’ovvia conse-guenza delle limitazioni che la biologia impone loro. L’inca-pacità e l’impossibilità di par-tecipare alla vita sociale allo stesso livello di una persona normale vengono conside-rate l’effetto scontato di una causa definita, non un tipo di discriminazione.

Azioni, scelte e idee avreb-bero un nuovo punto di

partenza se si concepisse la disabilità non come uno sta-tus ma il risultato dell’intera-zione tra una persona che ha determinate caratteristiche (deficit fisici per esempio) e il contesto (ambientale, socia-le e culturale) che lo ospita. Disabilità non significherebbe perdita del proprio poten-ziale e delle proprie qualità in quanto esseri umani, dei propri valori, delle opportu-nità di dare un contributo alla società, del diritto di vivere.

La diversità è di questo mondo. Siamo noi quelli

poco abituati ad ospitarla. I colpi di spugna su radicate abitudini non sono sicura-mente quanto di più semplice si possa fare. Ma è un dovere. Capire e seguire i ritmi della varietà, adeguarsi alla calma di chi non può andar di fret-ta. Ecco, questo sarebbe un ottimo inizio. La calma come gesto d’umanità.

a.ghiani@cagliaripad.it

LA qUOTIDIANA BATTAGLIADEI DIVERSAMENTE VIVIBarriere architettoniche e culturali in una cittàancora impreparata ad accogliere gli handicap

RIFLESSIONI SENZA OSTACOLI

pag. 11

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di Guido Garau

Una città a misura di

bambino? Per ora tutt’al-tro: Cagliari in questo senso deve ancora com-piere i primi passi. Lo slo-gan, caro al sindaco Mas-simo Zedda in campagna elettorale, rimane solo un manifesto appeso in piazza del Carmine, nulla di più. Eppure se c’è una categoria da proteggere è proprio quella dei più piccoli. E delle rispettive famiglie. Quanto è diffici-le vivere la città se que-

sta non tiene conto delle esigenze dei genitori e dei loro figli? Dove al-lattarli? Dove cambiarli? Come passare i momen-ti di svago – soprattut-to con l’arrivo dei primi freddi – senza il timore di doverli rincorrere o di evitare auto e motorini? E soprattutto, dove lasciarli quando, finito il periodo di congedo, si torna a la-voro?

Mandare un figlio all’a-silo – come chiari-

sce l’indagine nazionale di Cittadinanzattiva – a Cagliari come nel resto d’Italia è ancora un terno al lotto: colpa delle po-che strutture pubbliche

e delle conseguenti lun-ghe liste d’attesa. In città sono circa un centinaio le famiglie che attendono un posto in un asilo o in una scuola d’infanzia.

Per dirla tutta a Cagliari il problema strutture

esiste solo a metà. Una scuola di grande capien-za ci sarebbe, è la Seba-stiano Satta di via Angioy, ma il Comune continua a lasciarla in uso parziale al consultorio. Il perché è un mistero. Eppure da anni sono decine i bam-bini che aspettano di se-dersi su quei banchi, dove nell’ala nord dell’edificio stracolmo i locali sono parzialmente occupati

dalla Asl. Periodicamente la direttrice Rita Cam-buli sottopone richieste - corredate dalle adesioni dei genitori - al Comu-ne e all’Ufficio scolastico regionale denunciando richieste d’iscrizione alla scuola che non possono essere soddisfatte con le attuali disponibilità logi-stiche. «Per consentire a questa direzione didattica di far fronte alle attuali ri-chieste di iscrizione e ga-rantire il diritto al servizio scolastico dei cittadini re-sidenti o comunque gravi-tanti nella zona per motivi di lavoro - scrive la diret-trice del Satta - si chiede di esaminare la possibilità di assegnare alla scrivente

I BAMBINI CHIEDONO ASILO

NIDI IN CITTÀ

A Cagliari sono ancora troppo pochi e le liste di attesa troppo lunghe.Il caso assurdo della scuola aperta a metà.

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Tempo pieno, confronto dei costi nel 2010/11 Fonte: Cittadinanzattiva-Osservatorio Prezzi &Tariffe, 2011

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ulteriori locali idonei, ubi-cati nel quartiere e possi-bilmente in vicinanza della sede direzionale, per l’isti-tuzione di nuove sezioni di scuola dell’infanzia». Le risposte, finora, non sono mai arrivate. O quasi.

Qualche anno fa – du-rante la giunta co-

munale presieduta da Emilio Floris – l’assesso-re comunale alla Pubblica istruzione Edoardo Usai infine rispose: “Abbiamo già provato a bussare alla Asl. Ma quei locali servo-no. Non vedo perché il Comune debba erogare risorse. I genitori si ri-volgano alle altre scuole”. Già, a pagamento. Il nuovo assessore Enrica Puggioni ha promesso però che ri-solverà il problema. Se ne riparlerà, se tutto va bene, il prossimo anno.

Se Cagliari piange per la mancanza di strut-

ture, quando si parla di costi delle rette il discor-so cambia. Il capoluogo sardo, da questo punto di vista, è una città vir-tuosa. Gli italiani spendo-no in media 302 euro al mese che, considerando dieci mesi di utilizzo del servizio, portano la spe-sa annua a famiglia a più di 3.000 euro. In città si pagano “solo” 133 euro. A Lecco, per esempio, por-tare i bimbi a scuola costa quattro volte di più, 537 euro, a Roma si spendono 146 euro, a Milano 232.

Mediamente, in Italia dal 2005 a oggi le ta-

riffe sono aumentate del 4,8 per cento. In partico-lare, nel 2010/11, 26 città hanno ritoccato all’insù le rette di frequenza, e cin-que capoluoghi registra-no incrementi a due cifre:

Foggia (+54,6 per cento), Alessandria (+24,3 per cento), Siracusa (+20 per cento), Caserta (+19,5 per cento), Catanzaro (+19,4 per cento). La Calabria è la regione più economica (110 euro), Lombardia e Valle d’Aosta le più costose con non meno di 400 euro di spe-sa media. La Sardegna è tra quelle meno esose, e i prezzi negli anni non sono mai aumentati troppo.

Dati alla mano, co-munque, si può con-

statare quando l’Italia sia lontana dall’Europa. Fa-cendo un confronto tra i posti disponibili e la po-tenziale utenza in media nello Stivale la copertura del servizio è del 6,2 per cento (percentuale che sale all’11,7 per cento se si considerano solo i ca-poluoghi di provincia) con un massimo del 15,7 per

cento in Emilia Romagna e un minimo dell’1 per cento scarso in Calabria e Campania. L’obiettivo co-munitario è lontanissimo: fissa al 33 per cento la co-pertura del servizio. Dani-marca, Svezia e Islanda si contraddistinguono per il più alto tasso di diffusione dei servizi per la prima in-fanzia (con una copertura del 50 per cento dei bam-bini di età inferiore ai tre anni), seguiti da Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slove-nia, Belgio, Regno Unito e Portogallo (con valori tra il 50 e il 25 per cen-to). Percentuali comprese tra 25 e 10 per cento si registrano, oltre che nel nostro Paese, in Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania.

POTERI SORDI

Cari lettori,

nelle nostre intenzioni

questa pagina doveva

essere a disposizione del

Sindaco Zedda. Le indi-

cazioni che abbiamo dato

agli uomini del suo staff

erano chiare: in questo

numero si affronta un

tema delicato come la

vita dei disabili in città,

descriveremo le loro dif-

ficoltà quotidiane, i loro

sogni, le loro ambizioni,

per questo ci piacerebbe

che il Sindaco ci dicesse

la sua. In redazione ab-

biamo ritenuto giusto che

fosse lasciata un’intera

pagina al primo cittadi-

no affinché potesse scri-

vere quel che voleva su

questo argomento molto

sentito.

La nostra richiesta è

caduta però nel vuo-

to, nonostante l’invito a

riempire questa pagina

sia stato fatto con largo

anticipo. Non sappiamo

quale sia il motivo di que-

sto rifiuto ( di solito gli uf-

fici stampa liquidano la

pratica con un laconico “

troppi impegni”), la cosa

dispiace a noi, a tutti i

lettori (che in città cre-

scono di giorno in giorno)

ma più che altro, siamo

certi, dispiacerà a tutti

i diversamente abili e ai

loro familiari. A loro una

risposta andrebbe data.

Sempre.

Magari Zedda

avrebbe potuto

cogliere la palla al balzo

e spiegarci come mai il

montacarichi del Bastio-

ne sia fuori uso o perché,

all’incrocio tra largo Car-

lo Felice e via Crispi – a meno di cento metri dal

municipio - esistano an-

cora marciapiedi senza

lo scivolo. O raccontarci i

cambiamenti in vista, gli

investimenti in corso, gli

aspetti virtuosi che pure

non mancano. Secondo

noi è un peccato non aver

colto questa opportunità.

Di sicuro, caro Sindaco,

gliene daremo altre. Per-

ché noi tutti continuiamo

ad avere fiducia in lei.

Il Direttore

Michele Ruschioni

m.ruschioni@cagliaripad.it

ECCO COSA ACCADE SE IL SINDACO NON RISpONDE

Massimo Zedda, sindaco di Cagliari

pag. 15

LA CITTÀ DEGLI EROI

Il mIo metro quadro specIale

l’esperienza di diego, clown di corsia al Brotzu

Camicione colorato, naso rosso di plastica, scorta di palloncini e predisposizione alla gioia: sono gli strumenti con cui Diego la-vora, o meglio si regala, la do-menica pomeriggio.Diego Zedda, educatore nella Casa Famiglia dei Padri Soma-schi di Elmas, fa parte della VIP Sardegna, una Onlus operativa dal 2004 a Cagliari grazie a Giovanni Canargiu, ora presidente, e dal 1997 sul territorio nazionale. L’associazione, Viviamo In Positivo (VIP), raggruppa circa 40 volontari che in città si alter-nano per dispensare sorrisi nel reparto di pediatria dell’ospedale Brotzu. Diego è uno di loro da quattro anni.“Se fai il volontario per te stesso hai vita breve. Quando vesto i panni di Smile, il clown, tutto quello a cui penso è dedicarmi completamente ai bambini, alle famiglie che troverò in reparto. Ci sono momenti di allegria e soddisfazione ma ce ne sono tan-ti emotivamente devastanti. Certe volte ti trovi di fronte realtà davvero disperate e ti sembra di essere fuori luogo, devi trovare il tatto, la discrezione, devi avere l’esperienza per capire come agire. Questi momenti ti mettono alla prova, e se sei là esclusi-vamente per te stesso, per dare un tono alla tua autostima, molli la presa perché scopri che non sono solo pernacchie e palloncini”.Diego parla della sua esperienza come se non fosse nulla di eccezionale e sottolinea di non sentirsi affatto speciale. Come lui i tanti volontari suoi colleghi sono convinti che dedicarsi agli altri sia una cosa normale. Si imbarazzano se qualcuno li chiama “esempi” ma hanno di diritto un posto tra i nostri eroi cittadini perché vivono la generosità come pane quotidiano.“Io non voglio conquistare orizzonti, ho un mio piccolo spazio, il mio metro quadro. È poco, ma faccio di tutto perché sia un metro quadro speciale, per me e per gli altri”.

Alessandra Ghiani

la scrIttrIce deI pIÙ deBolI

claudia sarritzu

È nata a Cagliari il 13 maggio del 1986, quando la nube radioattiva di Chernobyl lasciava i cieli dell’I-talia, l’aria era ormai ripulita e il bollettino giornaliero dava il via libera al centro-sud per la vendita di verdure, ma restava proibito il latte per madri e bambini. Forse per questo Claudia Sarritzu, stu-

dentessa, scrittrice e blogger attivissima, è dovuta crescere in fretta.

Claudia lotta per il suo futuro, e sa che non è facile. Dopo il liceo classico Dettori studia Giurisprudenza perché le piacciono le re-gole, “quelle che in Italia non vanno di moda mai”. E mentre si sbatte nelle radio locali, nei giornali, nei mensili, è ar-rivata “L’isola dei cassintegrati”, il blog dove Claudia è redattrice, assieme a Marco Nurra e Michele Azzu, i ragazzi ideatori di uno dei più bei siti che esistono in Italia vincitore del premio “eretici digitali” al festival internazionale di giornalismo di Perugia. Oggi il blog è diventato un punto di riferimento, non solo in Sardegna: “Abbiamo allargato il nostro interesse ad altre vertenze – spiega. Io seguo tutto ciò che accade a Cagliari, ma sono stata inviata anche a Bari per seguire casi di crisi che, purtroppo, si ripetono identici ormai in tutta Italia”.Oltre alla Claudia attivista c’è pure la scrittrice. “Il maestrale in testa” è la sua opera prima, pubblicata dal gruppo Espresso, una raccolta di racconti scritti nella prima giovinezza con un filo con-duttore, il mare. Ora prova a ripetersi: con “Tutta la vita” ha vinto il premio letterario “Citta di Cagliari”. Il romanzo è ancora inedito, Claudia è in trattativa con diverse case editrici.La Speranze? Poche, ma salde. “Questo Paese ha bisogno di edu-cazione, di rispettarsi, di ritrovare dignità. Il sogno? “Abbando-nare lo stato d’emergenza e fare dell’Italia un Paese normale”

Guido Garau

Cagliari è piena di eroi, solo che non sanno di esserlo. Per questo nasce “la città degli eroi”, una rubrica dove non troverete i soliti vip luccicosi per eccesso di Photoshop, ma le storie di quelle persone vere, che tutti dovrebbero conoscere, perché fanno di

Cagliari una città migliore. Noi vogliamo dare spazio a queste persone, ringraziarle tutte perché sono degli esempi.Se anche tu hai la storia di un eroe da raccontare, mandaci la tua segnalazione.

redazione@cagliaripad.it

LAST NEWS

È ACCADUTO IN CITTÀa cura di Guido Garau

SPORT SENZA BARRIERE

qUANDO GLI OSTACOLI SONO SOLO GLI AVVERSARI

di Maria Grazia Pusceddu

Si chiama Sa.Spo. E’ il

nome della società spor-tiva, nata nel 1982, che consente ai soggetti con disabilità fisiche, sensoria-li ed intellettive di poter

praticare sport. La Sa.Spo opera in tutto il territo-rio regionale e collabora a stretto contatto con le federazioni competenti. L’obiettivo primario del-la polisportiva è quello di far acquisire alla persona disabile consapevolezza nelle proprie potenzialità. “La Sa.Spo svolge un im-portante ruolo sociale – sostiene Carmelo Addaris,

uno dei soci fondatori del gruppo sportivo oltre che atleta disabile pluripremia-to – in quanto consente un notevole risparmio econo-mico sia alle famiglie degli atleti che alle istituzioni sanitarie.

Quanto costerebbe infatti – continua Ad-

daris – per una Asl soste-nere un percorso riabilita-tivo per ogni atleta se non

ci fosse la Sa.Spo?

La nostra società per-mette infatti di ridur-

re, come è stato prova-to, l’utilizzo dei farmaci e il ricorso all’assistenza sanitaria grazie alla pra-tica sportiva, consenten-do un’apertura mentale dell’atleta che si rende per la prima volta consapevole delle proprie capacità”. Di fronte al ruolo di pubblica

Atletica leggera, nuoto, pallacanestro ma anche tiro con l’arco, equitazione, vela e canoa sono soltanto alcune delle discipline che possono essere praticate a Cagliari dalle persone disabili.

Mauro Caredda, cagliaritano, ha partecipato alle Paralimpiadi di Atlanta, Atene e Pechino.Bronzo ai Mondiali 2003 e agli Europei 2005 - Ph: equitando.com

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utilità svolto dalla Sa.Spo in quasi trent’anni di attività, è innegabile che anche la città di Cagliari abbia sem-pre incentivato la pratica sportiva per le persone di-sabili. “Cagliari – ha aggiun-to infatti Carmelo Addaris – ha adeguato col tempo i diversi impianti sportivi cittadini, tra i quali le strut-ture di Viale Diaz, il campo comunale di atletica legge-ra e la piscina olimpionica di Terramaini, e li ha resi di più facile accesso alle per-sone disabili”.

L’unica cosa che ancora chiede la Sa.Spo alle

istituzioni è una struttura adeguata dove svolgere le attività sportive e trasferi-re gli uffici amministrativi, visto che, dopo lo sfratto dai locali storici di via della Pineta, da più di un anno la società ha sede in un sot-topiano della chiesa di San Massimiliano Kolbe, gentil-mente concesso da Don Carlo Follesa.

ADDIO EUROLEAGUE

La crisi in cui versa lo sport sardo non ha ri-

sparmiato quest’anno una delle più grandi protago-niste italiane del basket in carrozzina. La Bads (Basket Disabili Sardegna) Quartu Sant’Elena, Associazione Sportiva Onlus, nata nel ’99 e affiliata alla Federa-zione Italiana Sport Disa-

bili, ha dovuto infatti rinun-ciare al campionato di A1 ma anche di A2 e di B oltre che all’EuroLeague1. Dopo sette stagioni in A2 e cin-que in A1, una Challenge Cup, un Trofeo Cip e varie partecipazioni a coppe ita-liane ed estere, la società di Quartu Sant’Elena ha dovuto dire addio ai mas-simi livelli. “Mi è dispiaciu-

to molto – ha dichiarato il Presidente Michele Secci – ma gli alti costi richiesti per poter partecipare alle competizioni italiane ed internazionali non mi han-no dato scelta visto che ormai dovevo usare soldi che non ho. Sicuramente la mancanza di sponsor e di un qualsiasi appoggio da parte del Comune di

Quartu Sant’Elena hanno portato a questo addio”.

Ora la Bads, per anni orgoglio dello sport

per disabili nel Medio Campidano, prosegue l’at-tività soltanto a livello loca-le, cercando di far crescere il settore giovanile anche attraverso la promozione nelle scuole.

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di Alessandra Ghiani

Capita anche agli irriduci-bili ogni tanto di sentirsi

male ed avere bisogno del medico. Chi abita in paese è abituato ad uscire di casa sa-pendo che una veloce visita ed il ritiro di una ricetta non impegneranno più di un’o-retta dell’intera mattinata.

In città invece è differente. Qui a Cagliari i medici non

sanno più come organizzarsi per smaltire i troppi pazienti. C’è chi ingaggia una segre-taria, chi un’aiutante che gli sbrighi le ricette senza visita, chi riceve solo per appunta-mento, chi distribuisce i nu-meri e chi invece fa finta che tutto vada bene.

In ogni caso, la fila si deve fare. Incredibilmente però,

a qualsiasi ora si arrivi, an-che con due ore di anticipo rispetto all’orario di ricevi-mento, si trova sempre qual-cuno che è arrivato prima. E

guarda caso si tratta sempre di uno o più attempati si-gnori che si sono piazzati in fila al canto del gallo. E suc-ceda quel che succeda, con il sole e con la pioggia, con la neve, il vento e la grandine, loro ci sono. Sempre, e sem-pre prima di te.

Non si fa nemmeno in tempo ad apparire in

fondo alla strada che già di-spensano istruzioni:

“Lei è il numero 13, subito dopo il signore (e indica-

no qualcuno già presente) e prima di quell’altra ragazza che sta uscendo dal portone della casa laggiù”.

Loro sanno già chi deve ancora arrivare e quanti

saranno i malati della gior-nata, sono i PR degli ambu-latori e hanno la situazione sotto controllo.

Quello che un po’ desta-bilizza è l’allegria che si

portano dietro, in un posto in cui in genere si va quando ci si sente male. Sono tutti

pimpanti, fuori. Arrivato il medico, però, iniziano ad ammalarsi.

Il panettiere, l’ingegnere, il fabbro e il calzolaio, il sar-

to ed il notaio, ognuno ha il suo bagaglio con il peso che gli dà, ma in quella stan-za tutti son pazienti e tutti non mancano di controllare bene che la fila venga rispet-tata. Chi arriva in ritardo rispetto al numeretto asse-gnato all’inizio, perde ineso-rabilmente il turno!

Tra i tanti anche una cop-pietta, gli eterni fidan-

zatini da sessant’anni, che si tengono per mano, si riem-piono di mille premure e, in perfetta simbiosi, si sentono anche male insieme. Atten-dono il loro turno parlando della gatta, della spesa o dei nipoti che non si vedono da un po’. Lei aggiusta il collet-to della camicia di lui che, nel frattempo, la guarda con gli occhi dell’amore e del ri-spetto profondo nonostan-

te non veda più a un palmo dal suo naso.

C’è sempre, poi, quel-lo che offre l’input alla

discussione. Ed è uno spet-tacolo. Mentre si accinge a sedersi piegandosi sulle sue gambe comincia: “Oioioiooioi….po carirari” nel frattempo si guarda in-torno per controllare se ha attirato abbastanza l’atten-zione. Sceglie una vittima, un giovanotto: “Sono caduto dalle scale e mi sono rotto il femore”.

Questa sua affermazione scatena l’orgoglio di

tutti gli altri che entrando palesemente in competi-zione con lui cominciano a gareggiare per stabilire chi sta peggio e chi si è fatto più male. Uno soffre d’asma e un altro porta un bypass, c’è chi non si può nemmeno se-dere per le emorroidi e chi soffre di incontinenza. Chi tira fuori la pancia per far ve-dere la cicatrice, chi spalanca

SCORCI DI VITA CAGLIARITANA

Terza età dal medico condotto

IL CASTEDDAIO

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la bocca per mostrare un dente mostruosamente cariato, l’unico rimasto.

Talmente son fieri di quello che mostrano e racconta-no che quasi ci si sente un po’ sfigati a star di fronte a cotanta esperienza ed ac-ciacchi di guerra con solo un paio di placche in gola.“Per caso non si sente bene?” “Per caso avrei le placche e un po’ di febbre…”Grosse risate: “ai miei tem-pi con la febbre mi porta-vano al mercato alle 4 del mattino”

E così, almeno, si scopre come mai inizia la fila pri-

ma dell’alba.Ad un certo punto entra un arzillo ottantenne che chiede a quale numero si sia giunti:

“c’è dentro l’8” gli rispondo-no in coro tutti gli altri. Lui guarda nella sua mano, ha il numero 13, decide di sedersi ed aspettare, finché fa un balzo e si dirige verso

la porta: “Che succede?” gli chiede discreto un altro. “Nulla, mi ero scordato di avere il pappagallo in auto” risponde lui.

“O poverino, e che fa? Lo porta qui?” “No, vado a svuotarlo!”.

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Ci sono cose che noi donne pro-prio non vogliamo capire e

metabolizzare. Alcune sono più semplici e immediate e vengono di solito esplicitamente messe in chiaro dagli uomini, come per esempio il fatto che detestino an-dare in giro per shopping, soprat-tutto se è shopping femmina. Altre invece sono più sottili e de-licate, per questo sempre omesse.

Dovremmo essere noi però a capirle in maniera inequivo-

cabile. È il caso delle lunghe tele-fonate. È strano ma sembra che nessuna si sia accorta che il sesso forte odia stare a lungo al telefono, non in generale, ma con la propria donna. Eppure i segnali sono dav-vero lampanti.

A noi donne piace avere l’il-lusione che una vera storia

d’amore si basi sulla totale con-divisione di sensazioni, emozioni, turbamenti e chi più ne ha più ne metta. Sbagliato. L’uomo non ha nel suo cervello lo spazio dedica-to alle confidenze, di conseguenza non sente la minima necessità di raccontare gli affari suoi.

Così quando il suo telefono squilla, in quell’orario solito,

in quell’istante preciso in cui sta prendendo in mano il joystick della PlayStation, non trasale come facciamo noi quando è lui a chiamarci, bensì lancia un delica-to commento di fastidio e punta il cronometro sull’orologio sapen-do che dopo una quarantina di minuti sarà finalmente libero. E spera che questi minuti passino in fretta.

Chi ha la fortuna di avere un uomo devoto deve sapere che tutto quel-lo che lui farà è mettersi in moda-lità telefonata, che funziona più o meno così.Primi cinque minuti: saluti di apertura. Ripeterà con efficacia, e scegliendola a caso, una di que-ste frasi: ciao, si dai tutto bene, oggi bene, solito tran tran, nien-te di nuovo, tutto ok, sono un po’ stanco.

Passati quei 5 minuti scatterà la domanda che darà a lei licenza

di parlare per un’altra mezz’ora buona: “e tu?”. Da quel momento, in ogni piccolo attimo di silenzio in cui lei starà riprendendo fia-to, lui emetterà meccanicamente frasi tipo: d’altronde è così, si si

è vero, eh vabbeh..ma cosa vuoi, eeehhh sì sì, mm mm, sì sì vero, ma non prendertela, chiaro, cer-tamente.

Il momento più alto della telefo-nata è quello in cui lui dirà la fa-

tidica frase attraverso la quale si guadagnerà tutto l’ammirazione possibile: “amore hai ragione”. - Quanto piace a noi donne sentir-ci dire che abbiamo ragione? - Da qui in poi lei sarà completamente soddisfatta e si accingerà a chiu-dere la conversazione.Lui, preso dall’enfasi della libera-zione, si sprecherà in un sì tran-quilla, ma certo amore, ok a do-mani.

Possiamo dire quello che voglia-mo, accendere quante liti possia-mo e far finta di non sapere come vanno le cose, ma la verità è che siamo delle pazze isteriche mai contente di niente. Se apprezzas-simo e ci adeguassimo all’elemen-tarità dei gesti maschili starem-mo di gran lunga meglio.

Perché non siamo e non sare-mo mai noi a dover decidere i

modi d’amare degli altri.

“Se le mogli fossero una bella cosa, Dio ne avrebbe una”

(Proverbio afgano)

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