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STRATEGIA DEI DIRITTI ETICA DELLA SOLIDARIETÀ'

La Costituzione e il federalismo/Intervista a Bruno 1 Ventili

UNO STATODA REINVENTARE

di Renato D'Agostini

II lavoro come diritto di realizzazione della persona alla basedi una nuova sperimentazione sociale e costituzionale

E• ormai da molti anni che si parla diriforme istituzionali, di revisione dellaCostituzione. Già diversi cambiamenti

si stanno verzicando nei latti sotto la spinta dieventi interni e internazionali che, anche senzamutare le Carte costituzionali, segnalano la crisidei tre grandi filoni culturali che si identificanocon le società industriali: il liberalismo, il sociali-smo, il pensiero democratico, laico e cattolico.La Costituzione italiana, nata come progettoper il futuro del paese dopo il fascismo, èl'espressione di un compromesso tra questi filo-ni culturali. 11 primo articolo, come noto, reci-ta: «L'Italia è una Repubblica democratica,fondata sul lavoro (...)». Si evoca il lavoro, nonla proprietà individuale delle Costituzioni libe-rali né quella collettiva delle costruzioni sociali-ste. Che cosa significava allora questa formula esoprattutto che cosa significa oggi?Domande che rivolgiamo a Bruno Trentin an-che perché, proprio quando tutti sembranod'accordo a celebrare il funerale delle grandi

utopie ottocentesche, lui rilancia l'idea di«un'utopia della trasformazione della vita quo-tidiana (...), della liberazione del lavoro che nonaspetti momenti magici o un nuovo corso dellastoria e che sperimenti sul campo quello che èpossibile fare» (// coraggio dell'utopia. Ixi sinistra e ilsindacalo dopo il laylorismo. Un'intervista di BrunoUgolini, Milano, Rizzoli, 1995).Trentin: Quella formula fu il risultato di uncompromesso sul cui significato letterale si po-trebbero fare molte considerazioni e obiezioni.Prima di tutto sull'owictà deH'all'ennazione, aldi là delle intenzioni: la valorizzazione del ruo-lo che la classe lavoratrice aveva avuto nellaResistenza e nella guerra di Liberazione e ilposto particolare che il mondo del lavoro assu-meva nella nuova Costituzione. Ma evidente-mente quel «fondata sul lavoro» può significaretutto e niente perché anche i sistemi più autori-tari sono fondati sul lavoro come lo sono i si-stemi democratici.Probabilmente la sinistra pensava di far avan-

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zare una formula diversa, nel senso di una «Re-pubblica dei lavoratori», e si è arrivati a uncompromesso che esprime però, malgrado tut-to, nella sua ambiguità, l'incertezza che ha ca-ratterizzato sia il pensiero cristiano-sociale sia ilpensiero della sinistra di ispirazione socialista ecomunista nei confronti del lavoro e dei suoirapporti con l'identità sociale dell'individuo.Un lavoro concepito come fatica che nobilital'individuo, o definito come un rapporto socia-le al quale non ci si può sottrarre, e dunque co-me una necessità di un lungo periodo della sto-ria dell'umanità prima di arrivare, magari at-traverso l'espropriazione dei mezzi di produzio-ne, a un lavoro maggiormente libero.Un lavoro quindi che deve essere innanzituttocompensato con una giusta mercede, o conl'equo salario, come dice la dottrina sociale cri-stiana, o che deve in ogni caso remunerare ilmassimo possibile il suo «costo di riproduzione»per difendere e migliorare le condizioni di vitadella classe lavoratrice, come ritenevano i mo-vimenti di ispirazione socialista. Idee che mo-strano una certa convergenza con il capitalismodi Stato del primo Novecento (si pensi a Bi-smarck). Si pensa al Welfare come risposta soli-dale della società alle ingrate fatiche, ai costi eai rischi del lavoro: l'infortunio, la malattia, lavecchiaia non assistita.

Il tema del lavoro inteso come fattore di cam-biamento, come strumento di autorealizzazionedella persona, quale riferimento obiettivo, co-stante, dei movimenti di emancipazione sociale,e quindi quale obiettivo non rinviabile a un fu-turo quasi millenario rimane assolutamentenell'ombra. E infatti non ce n'è traccia nellapolitica, nella discussione, nella letteratura teo-rica delle correnti dominanti socialiste, marxiste0 cristiane. Non c'è, a parte in alcuni momentidell'elaborazione del movimento anarchico nelprimo dopoguerra.Questi temi non avevano cittadinanza, se nonin termini molto indiretti, sfumati, neanchenell'opera dei costituenti. E infatti gli articolisuccessivi della Costituzione parlano della pro-prietà, del suo uso sociale, della partecipazionedei lavoratori alla sua gestione: siamo ancoranel filone dei provvedimenti correttivi del siste-ma attraverso il reddito o l'avvicinamento allaproprietà e al suo uso sociale.Da questo punto di vista il carattere indetermi-nato della formulazione nasconde anche una ri-mozione rispetto a un problema che pure è sta-to, in altri tempi e in altri luoghi, al centro diuna ricerca di ispirazione cristiana e da partemarxista e socialista. La formula di compromes-so è abbastanza singolare e poteva essere diver-sa se questo filone chiamiamolo della libera-zione del lavoro o dell'autorealizzazione nel la-voro — non fosse stato completamente rimosso.R S : Però bisogna tornare al momento in cui la Costi-tuzione è stata scritta. Si confrontavano forze reali dietro

1 diversi modelli: le Costituzioni liberal-democratiche chemettevano al primo posto la proprietà individuale e quel-

le socialiste che assumevano il principio della proprietàcollettiva. IM formula adottata non era un compromessoper marcare la distanza tra due concezioni dello Stato?Trentin: Ho parlato di ambiguità perché an-che gli istituti feudali erano fondati sul diritto diproprietà per sancire un potere, una legittimitàanche di carattere giuridico. Ma a dillerenza diquesti, nelle Costituzioni liberali la proprietà èun diritto di libertà, e non appare mai da solo,è la prima fra le libertà dell'individuo, un ele-mento di identità e la ragione della sua irridu-cibilità nei confronti dello Stato e delle istitu-zioni.

Questa è la ragione per la quale nelle Costitu-zioni del socialismo reale non c'è la proprietàcollettiva come primo capitolo, ma l'indicazionedi uno Stato governato dagli operai e dai con-tadini che si esprime attraverso una proprietàcollettiva. Anche qui, prima ancora che un con-cetto di proprietà, è affermato un concetto didiritto.Nella formulazione dell'articolo 1 invece non siesprime un diritto, una titolarità, per esempioun diritto al lavoro autorealizzante, a un lavorocreativo come diritto della persona. In fondonon sarebbe stato tanto assurdo visto che suc-cessivamente si afferma il diritto al lavoro comediritto all'occupazione.R S : Così chiarisci i limiti della formulazione dell'arti-colo 1, ma se si considera il contesto storico, il fronte"giarsi di idee e di forze politiche radica/mente diverse.Che cosa significa quel compromesso...Trentin: Soprattutto con la dottrina socialecristiana...R S : Certo, e non è proprio questo patto tra culture diverse che da un carattere programmatico specifico allanostra Carta costituzionale? Né liberali né socialisti, ilmercato da una parte, il lavoro dall'altra e in mezzouno Stato con una forte potenzialità accentratrice: comenon cercare anche qui le ragioni del fallimento della pri-ma Repubblica, se non vogliamo affidare solo alla gner-ra fredda e agli equilibri intemazionali la responsabilitàdi una democrazia bloccata e della sua degenerazione?Trentin: Non sarei così drastico, non parlereidi fallimento generale, ma di alcuni punti, es-senziali, della Costituzione. Bisogna riflettere dipiù sulla creazione di uno Stato fondalo sulleRegioni. Ricordiamo, ed è un fatto molto inte-ressante, che una delle poche grandi battaglieistituzionali della sinistra è stata quella per lacreazione delle Regioni.

Non c'è dubbio che la Costituzione riflettevauna notevole improvvisazione nel disegnareuno Stato fondato sulle Regioni e che al di làdel riconoscimento formale di queste istituzioni,quando questo ordinamento venne attuato, lasinistra in primo luogo, ma non solo lei, abban-donò la spinta a sperimentare uno Stato decen-trato, lo Stato federale.Si ignorò che in tutti gli esperimenti di decen-tramento politico, e non amministrativo, di unoStato centralizzato era necessario un disegno,una ridefinizione d'insieme dello Stato e dellesue funzioni nazionali. Qui vedo un fallimento.

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come fu fallimentare l'esperimento dei Consiglidi gestione che pure nascevano da un articolodella Costituzione tra i più avanzati rispetto al-le altre Carte europee.Ci sono fallimenti e zone d'ombra e d'altra par-te la Costituzione è riuscita a inquadrare un re-gime di tipo parlamentare abbastanza originale,con un ruolo del capo dello Stato che non è as-similabile né al monarca inglese né al presiden-te della Repubblica francese prima della rifor-ma gollista né al presidente della RepubblicaFederale Tedesca. C'è un ruolo effettivo di or-dinamento di equilibrio riconosciuto al capodello Stato che costituisce una garanzia, soloapparentemente paradossale, del Parlamentonei confronti del potere esecutivo. Non credoche questo tipo di soluzione vada smarrito osemplificato come vorrebbe chi parla di elezio-ne diretta o del capo dello Stato o del primoministro.Un'occasione mancata è stata soprattutto l'averevitato un approfondimento di alcuni filoni piùpropri del pensiero liberale che sonorimasti sostanzialmente sulla carta.Penso ai diritti individuali. Alla gene-ricità, che condanna all'impotenza, diun diritto al lavoro che si accompa-gna a una notevole superficialità nel-la definizione di altri diritti che, an-che allora, erano fondamentali nelleCarte costituzionali successive alla se-conda guerra mondiale.Vedo nel campo dei diritti, e soprat-tutto delle regole che possono garan-tire l'uguaglianza delle opportunitànel loro esercizio, un punto debole,una parte non sufficientemente esplo-rata, proprio quando attraverso laCarta delle Nazioni Unite una partedell'Kuropa aveva compiuto, con laseconda guerra mondiale, un grandepasso avanti nell'elaborazione di queidiritti della persona che dovevano esercitarsicon la tutela e il sostegno effettivo dello Stato.Il concetto dell'azione positiva, a proposito dei di-ritti inerenti all'emancipazione femminile, vienemolto dopo, mentre poteva certamente essereassunto già come uno dei fondamenti della Co-stituzione.

K singolare che in cinquanta anni di vita dellaRepubblica non ci sia stato nessun emenda-mento in questo senso. Mentre è proprio inmateria di diritti che sono stati approntati iprincipali emendamenti della Costituzione degliStati Uniti.R S : Ma non si poteva pensare allora al lavoro comediritto di autorealizzazione della persona...Trentin: Certamente, e per questo non parlodi fallimento...R S : VA e un fatto che malgrado un progetto costituzio-nale che non si limita alVajJennazione dei diritti fonda-mentali, che delinea un sistema democratico, si a/fermauno Stato che assume una forte funzione centrale e diri-gistica nell'economia e nella società...

Trentin: Dirigistica e assistenziale. Credo cheil compromesso fu raggiunto fra un'idea di«Repubblica dei lavoratori» e quella di una Re-pubblica ispirata alla rivalutazione etica del la-voro. Certamente non si pose allora il tema dellavoro come identità della persona, di un lavo-ro che andava liberato da elementi di coerci-zione, di soffocamento delle potenzialità dellapersona.R S : Eppure c'è un paradosso: tu hai notato come lacultura cristiano-sociale abbia dato un'impronta moltoforte alla Carta costituzionale e tanto più, guardando re-trospettivamente fino alla caduta del socialismo reale,i/uesta cultura avrebbe dovuto dimostrarsi vincente. Do-potutto l'idea di libere associazioni che si pongono tral'individuo e lo Stato e che valorizzano i fini socialidell'economia prefigura uno Stato diverso dallo Stato«arbitro» dei liberali e dello Stato dirigista. E invece ab-biamo assistito alla degenerazione dello Stato e persimialla scomparsa del partito cattolico.Trentin: Avrei qualche dubbio. Prima di tuttoperché la cultura sociale dominante nella De-

mocrazia cristiana, una delle forze presenti nel-la Costituente, aveva una forte ispirazione cor-porativa. Non dimentichiamo che prima dellaCostituzione c'è stata la diatriba sul destino delsindacalismo postfascista dove la Democraziacristiana in modo compatto, attraverso Gronchie De Gasperi, sosteneva la tesi del sindacatounico che ereditava le funzioni statuali che ave-va ricevuto durante il fascismo. Non si volevarompere quel meccanismo, la solidità e la legit-timazione che esso garantiva al sindacato in unregime di transizione.È stato un merito non piccolo di uomini comeDi Vittorio l'essersi battuto contro l'ipotesi delsindacato unico, sia pure organizzato in cor-renti, l'aver sostenuto l'idea di una associazionelibera e volontaria e aperta all'ipotesi di un plu-ralismo sindacale.Non si può quindi parlare di un prevalente ruo-lo democristiano, il loro pensiero ha dovutocomporsi con altri tipi di ispirazione. Per esem-pio sul ruolo delle associazioni, sul ruolo dei

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partiti, sull'autonomia delle associazioni dalloStato. Il che non ha impedito che continuassead alimentarsi una concezione nei rapporti traassociazioni e Stato di tipo molto particolarenel campo cattolico. Associazioni che acquisiva-no legittimità dal riconoscimento statuale.E un fatto che la Costituzione ha sancito ilprincipio dell'organizzazione sindacale libera.Un principio che contrastava con il neocorpo-rativismo democristiano. Allo stesso tempo han-no pesato orientamenti del pensiero cattolicoche venivano per esempio dall'esperienza del«personalismo» di alcune correnti di pensierodei cattolici francesi penso a Dossetti ,orientamenti che si ritrovano in quelle partidella Costituzione dove si pongono limiti all'usodella proprietà, la partecipazione dei lavoratorialla gestione delle imprese.Credo invece che ci fosse una sostanziale sinto-nia sulla concezione del lavoro con le correntidi ispirazione socialista, che non si ponevanocertamente l'obiettivo di una costituzione socia-lista (nessuno ha mai proposto l'espropriazionedei mezzi di produzione). Conviveva nelle di-verse culture una concezione del lavoro comesofferenza nobilitante che andava risarcita e tu-telata attraverso una politica sociale che, nellaversione democristiana, è diventata assistenzia-lismo. E cioè lo Stato assistenziale più che loStato del benessere creatore d'occupazione.Il tema dell'umanizzazione del lavoro che pureha circolato anche a livello istituzionale nellaRepubblica Federale Tedesca era assente inItalia.

R S : E la sinistra subiva quella cultura del progressotecnico-scientifico, come processo inarrestabile, che pone-va il lavoro come un fattore da razionalizzare più dieda liberare.Trentin: E da discutere se la subiva o se piut-tosto non era diventata sua da molti decenni.Era la cultura della Seconda e della Terza in-ternazionale. Già dalla prima guerra mondialeil patto tra le forze socialiste e i governi di allo-ra, le cosiddette unioni sacre, era sottoscritto innome non solo di un valore di difesa nazionalema per obiettivi di socializzazione del lavoro, diordinamento militare del lavoro come condi-zione di progresso.R S : E si apre lo spazio alla teoria e alla pratica deltaylorilmo e del fordismo. IM questione della proprietà,della socializzazione dei mezzi di produzione scomparee lo stesso ruolo del diritto di proprietà sembra finire insecondo piano nelle società moderne. Ala allora qualepuò essere il nuovo cardine di un patto costituzionale?Trentin: Bisogna ripartire dal 1 789. La Rivo-luzione francese non è terminata. Bisogna par-tire dai diritti delle persone, poter vivere inmodo associato per esercitare questi diritti epoter gestire in modo associato una proprietà.Facendo i conti con una semplificazione fuor-viante anche rispetto al marxismo che parlavadi socializzazione dei mezzi di produzionesopravvalutandone probabilmente gli efletti ••-ma in ogni caso di socializzazione e non di

proprietà statuale. C'è stata un'involuzioneconcettuale prima ancora che pratica iicll'idcn-tifieare la socializzazione con una delega alloStato, come entità sovrastante, del potere digestire il lavoro degli uomini. La sinistra ve-dendo crollare gli esperimenti del socialismoreale non ha fatto i conti con il loro fonda-mento, che non era la socializzazione mal'espropriazione statuale dei mezzi di produ-zione, tanto al capitalista quanto all'operaio.Questo non vuoi dire che il concetto di socia-lizzazione della proprietà che pure restaun'illusione quando con essa si pensa di soppri-mere automaticamente l'alienazione e l'oppres-sione del lavoro salariato — sia da espungerecome il demonio. Le forme di attività in coope-rativa, sanamente intese, dovrebbero rispondereproprio a questo obicttivo.R S : Certamente i diritti rimangono il centro di ognipatto costituzionale. La Costituzione italiana nasce dauna situazione storica contrassegnata appunto dalla ne-gazione di diritti fondamenta/i, ma nasce anche nel inomento della massima espansione del fordismo-tarlammoe cioè di una visione rigida di «razionalizzazione» dellavoro e di espansione massima dei consumi dentro unavisione gerarchica della società e dello Stato. Di fronte nigrandi mutamenti di questi anni non si ripropongami,assieme, i temi dei diritti, del lavoro e dello Stato?Trentin: Non a caso la cultura tayloristica vi-ve sul dogma della one best way, dell'unica solu-zione ottimale per organizzare gli uomini, i sa-peri, di dividere i poteri nell'amministrazionedello Stato, nell'organizzazione del lavoro epersino nella produzione della cultura. Bisognapartire dalla consapevolezza che c'è stata que-sta forte egemonia della cultura Pontista e tay-lorista. Un'egemonia che sembrava ogni voltacomprovata dai fatti, dai risultati. Un'egemoniasu tutta la cultura della sinistra.Questo ha certamente segnato anche il terrenodella contesa nella stesura della Costituzione.Era veramente comune a una vasta area cultu-rale, da quella cristiana a quella marxista, unaconcezione del lavoro organizzarle su basicerte o almeno obbligate per un lungo periododella storia dell'umanità. Anche le teorie psico-logiche che hanno dominato questi ultimi cin-quanta, sessant'anni, erano segnate dall'egemo-nia fordista-taylorista così come non a caso ledue guerre mondiali sono stati i due momentiin cui questa cultura ha realizzato un salto diqualità nella sua capacità di espansione. Il for-dismo entra in Italia e in Francia con la primaguerra mondiale e dopo la seconda diventa unsistema generalizzato di organizzazione non so-lo dell'industria ma dell'intera società.Ripensare oggi il lavoro, ripensare lo Stato,vuoi dire in un certo senso ripartire da zero.Ripensare il lavoro vuoi dire fornire anche at-traverso la Costituzione gli strumenti aftinchégli individui, prima ancora che le collettività ele masse, si impadroniscano di determinate ri-sorse, in primo luogo della conoscenza, per ri-conquistare la possibilità di esercitare una serie

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di altri diritti fondamentali, compreso quellodella partecipazione alla determinazione del lo-ro lavoro e quello della fruizione dei suoi risul-tati.Per lo Stato vale lo stesso ragionamento. Nelmomento in cui non c'è un «solo modo giusto»di funzionare dello Stato è molto pericolososcindere la tematica della riforma istituzionaledal tema della riforma amministrativa e cioèdell'organizzazione del lavoro nello Stato.E un problema di grande dimensione costitu-zionale ed è impossibile ripensare al caratteredecentrato dello Stato in un'ipotesi federalistasenza ridefinire i compiti dello Stato nazionale.Tutte le costruzioni di tipo federale, ad ecce-zione di quella tedesca che si è ricostruita all'in-domani di una sconfitta su un modello deter-minato dalle potenze vincitrici, il processo di ri-conoscimento degli Stati autonomi rispetto allaFederazione ha attivato unvero e proprio lavoro dielaborazione costituzionaleper ridefinire i diritti e leresponsabilità dello Statofederale. Non si può imma-ginare il federalismo comeun puro decentramento dipoteri, in realtà c'è un mu-tamento qualitativo dei po-teri sia delle Regioni chedello Stato federale che varidefinito.Mi pare ci sia nella discus-sione attuale una grandecarenza, si pensa di attri-buire determinati poteri al-le Regioni discutendo mol-to sul loro numero senzasapere che questa diversadistribuzione di competen-ze pone la necessità di defi-nire come queste compe-tenze vengono regolate sul-la base di princìpi, di dirit-ti e di regole comuni.Il decentramento fiscale dello Stato presupponeuna nuova legislazione fiscale federale che sta-bilisca il carattere dell'imposta e la modalità diprelievo come regole uguali per tutte le Regio-ni, indipendenti dalla natura della singola im-posta. Si impone la difesa dei diritti del contri-buente, nei confronti dell'amministrazione se-condo regole comuni.11 decentramento dell'istruzione presuppone lariscrittura delle regole generali e dei princìpifondanti di un istruzione laica e pluralista intutto il paese.Ci sono problemi giganteschi di riforma orga-nizzativa che hanno tutti dignità costituzionalecome l'organizzazione del lavoro nell'ammini-strazione centrale e locale (chi la decide e comeviene realizzata?) e come l'organizzazione dellavoro delle assemblee rappresentative. Non època cosa sapere se le Commissioni parlamen-

tari avranno di regola un potere deliberante, sesi riduce di molto il ricorso alla pratica assem-bleare nella discussione delle leggi, se e in qua-le misura una delle due camere ha un potere dicontrollo molto esteso, come avviene negli Usa,dove si costituiscono commissioni di controllocon due o tre senatori che esercitano un con-tropotere effettivo sulla pubblica amministrazio-ne.R S : Torniamo al lavoro. Taylorismo e fordismo po-trebbero essere simbolizzati dal cronometro e dall'espres-sione «tempo libero». Oggi più che di orario di lavoronon si dovrebbe parlare di organizzazione del tempo e\più che di tempo libero, espressione nata appunto con ilfordismo per identificare il luogo dei consumi, non si do-vrebbe pensare al ciclo della vita delle persone?Trentin: Certo, penso al progressivo supera-mento delle barriere teoriche e pratiche che so-no dietro la definizione dei diversi tipi di lavo-

ro o di attività umane chepure sono state fondamen-tali per concettualizzare leimplicazioni della divisionedel lavoro nella società mo-derna; l'opera, che defini-sce il compimento di un la-voro e il possesso della suaoggettivizza/.ione, l'attivitànon finalizzata alla remu-nera/ione, il lavoro subor-dinato, il lavoro autonomoo libero. Sono diverse defi-nizioni che tentano di staredietro a una società cheimpone, invece, diversemodulazioni dei tempi econsente il passaggio da unlavoro subordinato, all'ope-ra, all'attività culturale, so-ciale o politica. Il passaggiodal lavoro subalterno al la-voro relativamente autono-mo.

Anche la questione deltempo rientra allora come

elemento di liberazione effettiva del lavoro.Cioè un tempo che non è soltanto sottratto allavoro ma utilizzabile per altri tipi di attività.Solo così si può parlare di un lavoro che con-senta alle persone (senza sognare) di realizzarese stesse.R S : / / sindacato dei diritti è allora il passaggiodall'idea che si sintetizzava nella formula «dalla fabbri-ca allo Stato» a un nuovo rapporto tra il lavoro, così in-teso, e la società civile?Trentin: Esattamente.R S : E possibile immaginare la trasformazione del la-voro. Ma è meno semplice vedere nella realtà di lutti igiorni i segni tangibili di un cambiamento, di un 'utopiarealistica.Trentin: E possibile immaginare ma è anchepossibile vedere esperienze concrete di questoprocesso di trasformazione consapevole del la-voro. Ritrovando anche- intuizioni lontane nella

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storia perché ci sono sempre stati tentativi,esperienze di collettività di persone, non ci si èmai limitati a predicare cambiamenti per i mil-lenni futuri.C'è un rapporto tra le comunità utopiche,anarchiche degli inizi dell'Ottocento, tra le co-munità di lavoro in Inghilterra, negli Stati Uni-ti per sperimentare un nuovo modo di lavoraree vivere insieme socializzando alcuni mezzi di

^produzione come puro strumento di autogover-no sul posto di lavoro.Questo filone non si è mai interrotto anche neitempi più recenti. Si potrebbe parlare di Sa-turn, un'esperienza della General Motors, nondi una fabbrica qualsiasi. Si è tentato di dirige-re una fabbrica a cominciare dal progetto, dalmodello di prodotto, dall'architettura industria-le per arrivare all'organizzazione del lavoro, al-la politica di mercato, a quella dei prezzi, all'at-tività di servizio.E solo un esempio rispetto a tante altre espe-rienze parziali che indicano una strada percor-ribile inevitabilmente attraverso una continuaverifica delle prove e degli errori. Sono tutteforme di organizzazione del lavoro che spezza-no, sia pure parzialmente e per un momentosoltanto, il monopolio del sapere, che socializ-zano cioè quel vero strumento di dominio che èla conoscenza, molto più della proprietà mate-riale dei mezzi di produzione o del capitale so-ciale.Sono esperienze che consentono una pluralitàdi funzioni nella vita lavorativa e quindi unaconoscenza e un dominio sul proprio lavoro.Propongo di concentrare l'attenzione intanto suquesto microcosmo: il lavoro subordinato in undato luogo, un dato servizio, una data fabbricao amministrazione, e partendo da qui sperimen-tare le strade che possono essere più generaliz-zabili per organizzare la vita oltreché il lavoro.Ci sono anche in Italia tentativi, ancora ele-mentari, parziali. Bisogna organizzare, dovenon c'è, il lavoro per gruppi, mettere al primoposto nelle piattaforme contrattuali la forma-zione e il suo governo, la diffusione dell'infor-mazione. E necessario che lo Stato promuovala sperimentazione di nuove forme di lavoro dicui nessuno possiede una ricetta preconfezio-nata.R S : Si potrebbe obiettare che tutto questo appare possi-bile solo grazie alla lungimiranza di qualche impresa oalla capacità di iniziativa autonoma volontaria, di sin-gole persone.Trentin: Tutto questo rappresenta un costo,un costo sociale, come per ogni sperimentazio-ne. Anche il taylorismo ha avuto un costo no-tevole, non solo umano ma economico. Quan-do si tratta di rivoluzionare un vecchio mododi produrre, gli spretili, gli errori hanno uncosto rilevante. Quando si deve fare violenzaalle routine, alle tradizioni, c'è un costo socialee umano. Anche un'attenzione del carattere ri-petitivo e oppressivo del lavoro ha un costoenorme perché non si tratta di sperimentare

solo su giovani di sedici, diciotfanni ma anchesu uomini che hanno ormai assunto un atavi-smo di mestiere, del vecchio modo di lavoraree di non decidere.Qui vedo un ruolo fondamentale dello Stato,quello della promozione al posto della pianifi-cazione. E lo Stato ha uno strumento formida-bile, il controllo della domanda pubblica comeelemento di orientamento degli investimenti edi conseguenza della ricerca e della sperimenta-zione anche in materia organizzativa.Credo che siamo nella situazione assolutamenteoriginale, mai verificatasi in queste dimensioni,in cui il lavoro consapevole, il lavoro informato,il lavoro intelligente rappresentano la principa-le risorsa non solo per i i paesi che non hannomaterie prime ma anche per quelli che hannomaterie prime e tecnologie progredite. Ormaila competizione diventa qualcosa di diverso dal-la guerra selvaggia dei prezzi: è più ricco quelpaese che ha più lavoro informato, intelligentee capace di decidere. È una straordinaria op-portunità che deve trovare sanzioni di carattereistituzionale.

Basti pensare al campo dell'educazione, allaformazione e all'istruzione come priorità. Ecco,per fare una battuta, dovremmo poter dire og-gi: l'Italia è una repubblica fondata sull'istru-zione obbligatoria fino a venticinque anni.R S : Allora né lo Stato arbitro dei libera li, né lo Statogestore ma lo Stato promotore. Ma anche l'idea delloStato incorpora una cultura del potere che attraversa tut-ti i sistemi, federali o non. IM Stato promotore per sfug-gire a una logica gerarchica non dei<e essere anche Stalodelle autonomie e dell'autogoverno a partire, appunto, dallavoro e dalla società civile?

Trentin: Si, la struttura statuale deve oliineopportunità alle comunità locali e agli indivi-dui. In questo modo può esercitare la sua fun-zione di orientamento. Ma uno Stato federalepresuppone la definizione di princìpi condivisi,di regole del gioco.R S : lutti sentono il bisogno di riformulare le regole delgioco, qualcuno vorrebbe riscrivere la (istituzione, si discute, di nominare un 'assemblea costituente. E e "e ancheil timore che rimettere in gioco il testo costituzionalepossa portare a un 'involuzione anche sul piano dei dirit-ti fondamentali. Che fare allora?Trentin: Rischi ci sono. Credo che la via piùsaggia sarebbe quella degli emendamenti adot-tata molto empiricamente negli Stati Uniti.Senza angosce sulle parti che si possono tocca-re e quelle intangibili. Credo che anche la pri-ma parte della Costituzione possa essere rivisi-tata. Senza la pretesa di una revisione globale...R S : Che disconoscerebbe la storia, l'origine di questarepubblica democratica...

Trentin: Certamente. Emendamenti per ag-giungere e correggere: l'accentuazione del ca-rattere federale del sistema istituzionale italiano,la definizione dei compiti e delle funzioni delleassemblee elettive, il riconoscimento di diritti .1partire dal diritto al lavoro come autorealizza-zione dell'individuo. •

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