Stampa Fine-Art Giclée
Stampa Fine-Art Giclée
Introduzione
Con l’espressione “belle arti” (in inglese “fine-art”) storicamente si indicava qualunque forma
d’arte sviluppata principalmente con scopi estetici, dunque svincolata da concetti utilitaristici.
Rientravano nel novero delle belle arti ovviamente la pittura e la scultura, ma anche
l’architettura, la musica, la danza e il teatro. La fotografia, invece, che si affermò nella prima
metà del Diciannovesimo secolo, faticò a ritagliarsi un posto tra le arti: qualcosa che si
realizza con l’ausilio di uno strumento meccanico poteva davvero possedere connotazioni
artistiche? A una “macchina”, insomma, era sensato riconoscere la capacità di dare vita ad
un’opera d’arte, fino a quel momento prerogativa assoluta dell’essere umano? Per comprendere tanta reticenza in questo senso occorre forse fare un passo indietro e
ripercorrere brevemente la storia di questo eccezionale mezzo espressivo. La parola
“fotografia” deriva da due sostantivi in greco antico: “PHOTOS”, che significa luce e
“GRAPHIA”, che significa scrittura… Scrittura eseguita con la luce è pertanto il significato di
questa parola, coniata in tempi molto lontani da noi, perché l’umanità imparò a “scrivere con
la luce” in epoca remotissima. La prima volta che venne descritto il processo della camera
oscura risale infatti niente meno che al V secolo avanti Cristo! Fu un filosofo cinese, Mo-Ti, a parlare di un “luogo di raccolta”, di una “stanza del
tesoro sotto chiave” dove avveniva un prodigio: un’immagine capovolta si formava
sulla parete di una stanza buia grazie ai raggi del sole che passavano attraverso
un piccolo foro posto nella parete di fronte.
Con il passare dei secoli, altre grandi menti descrissero il medesimo strabiliante
fenomeno (il filosofo Aristotele e il matematico Euclide, per esempio), fino ad
arrivare al 1551, quando l’italiano Giovanni Battista della Porta costruì un
apparecchio munito di lente in grado di rendere le immagini che si formavano
passando attraverso il foro molto più nitide, ma non si fermò qui: all’interno del suo
apparecchio posizionò uno specchio concavo per “raddrizzare” le immagini… In
pratica, costruì la prima rudimentale macchina fotografica della storia!
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Sebbene non fosse ancora possibile “fissare” le immagini disegnate dalla luce, esistono prove
schiaccianti circa il fatto che la “stanza oscura” sia stata utilizzata nei secoli passati dai più grandi
pittori (da Raffaello a Giorgione, dal Canaletto al Caravaggio), per proiettare, su pareti o su tele,
immagini che servivano da falsariga per realizzare le loro opere immortali. Scrivere con la luce, o fotografare che dir si voglia, poteva dunque al massimo,
secondo quanto ritenuto comunemente nei primi decenni dell’Ottocento, essere
una pratica utile all’arte, non già essere innalzata al ruolo di arte essa stessa. Ma le cose stavano per cambiare: nel 1839 Louis-Jacques-Mandé Daguerre,
scenografo francese con la passione per la chimica e un impareggiabile fiuto per gli
affari, aveva brevettato il dagherrotipo, cioè una fotografia realizzata in un’unica copia,
segnando così ufficialmente la nascita della fotografia, tuttavia la vera rivoluzione si
verificò una manciata di anni più tardi, quando l’inglese, William Henry Fox Talbot
inventò il meccanismo positivo/negativo (Calotipia e Carta salata), esso permetteva che
di ogni scatto potesse essere realizzato un numero potenzialmente infinito di copie.
Sebbene la sua invenzione non ebbe un successo immediato (risultava di qualità
inferiore rispetto al “Dagherrotipo” ed inoltre la possibilità di ottenere immagini
riproducibili non rendeva il prodotto “Calotopico” prezioso come l’opera unica del
dagherrotipo), quel momento segnò la nascita della fotografia analogica. E non è tutto: la qualità della stampa cominciò ad assumere un ruolo di primo piano e,
mentre l’interesse per la nuova tecnica cresceva a dismisura, il mondo artistico si divise in
due monolitici gruppi ben distinti, chi vedeva nella neonata fotografia una forma espressiva
capace di assurgere al ruolo di attività artistica, e chi rimaneva caparbiamente arroccato
sulle antiche posizioni. Gli argomenti a favore di entrambe le fazioni di certo non
mancavano: il difetto più grave che i suoi detrattori imputavano alla fotografia era il fatto di
poter sì riprodurre fedelmente le immagini, ma di poterlo fare esclusivamente in bianco e
nero: il vivido mondo dei colori sarebbe infatti entrato nell’universo della fotografia soltanto
molti decenni più tardi. D’altro canto, sebbene privati della componente cromatica, i soggetti
catturati dall’apparecchio fotografico possedevano una ricchezza di dettagli che era
impensabile ottenere con la pittura… In ogni modo, comunque la pensassero i sostenitori
della supremazia artistica della pittura, molto rapidamente, ai ritratti commissionati ai pittori,
la gente comune cominciò a prediligere quelli eseguiti dai
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fotografi, tanto per la novità dell’esperienza, quanto, e anzi soprattutto, per il
realismo del risultato. Fu così che molti pittori finirono per abbandonare i pennelli e convertirsi all’uso
della macchina fotografica, con la loro sensibilità artistica diedero vita a ritratti che,
tanto per abilità compositiva, quanto per acuta indagine psicologica, nulla avevano
da invidiare ai ritratti pittorici. L’ingresso nell’esclusivo mondo delle “belle arti” la fotografia se l’era dunque guadagnato, e
nell’ultimo decennio dell’Ottocento, l’intraprendenza e la genialità dell’americano George
Eastman, fondatore della Kodak, con la commercializzazione delle sue macchine
fotografiche che “persino un bambino era in grado di usare” (come assicurava la pubblicità)
trasformò la fotografia in un fenomeno di massa, non più esclusivamente riservato ai soli
professionisti dell’immagine. Grazie a quella “scatola magica” capace di catturare le scene di
vita quotidiana così come i grandi eventi della Storia con la semplice pressione di un
pulsante (“Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto” era lo slogan coniato da Eastman)
la fotografia diventava una delle più importanti fonti documentali della società moderna. Ma
se, per ottenere una fotografia, bastava compiere un semplice gesto meccanico, per dare
vita alle stampe era invece indispensabile un complesso laboratorio di stampa e possedere
importanti nozioni tecniche. Oggi come allora le cose semplici necessitano di complesse competenze di
programmazione e preparazione.
L’amore per quella nuova arte, capace, nelle giuste mani, di produrre capolavori, era ormai
consolidato e le prime fotografie avevano fatto il loro trionfale ingresso nei musei e nelle
dimore principesche dei ricchi collezionisti, facendo nascere l’esigenza di ottenere dai
negativi degli artisti una stampa il più possibile accurata, affidabile e, soprattutto, duratura.
La fotografia, ormai universalmente accettata nell’olimpo del “fine-art”, delle belle arti, aveva
cominciato il suo viaggio verso il futuro, ma nel corso della sua storia ormai quasi
bicentenaria, ha dovuto più volte scontrarsi con la resistenza al cambiamento, così tipica
dell’essere umano… Ogni mutamento tecnologico introdotto, infatti, (come per esempio,
l’invenzione del colore) ha dovuto superare perplessità, dubbi, incertezze quando non vere e
proprie avversioni. Può sorprenderci, dunque, l’iniziale sconcerto che in tempi molto recenti
ha provocato l’avvento delle tecniche digitali? Naturalmente no, ma come sempre succede, anche in questo caso, i più aperti al
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cambiamento, i più preparati, hanno fatto da battistrada (occorre ricordare che i
Locatelli, fondatori di Spazio81, hanno creduto tra i primi in questa rivoluzione?) e
oggi le tecniche digitali di ripresa e di stampa hanno saputo conquistarsi la fiducia
di fotografi, galleristi e collezionisti di ogni angolo del globo.
La nascita di un nuovo fenomeno artistico
Sono in molti a contendersi l’onore di avere inventato la moderna stampa artistica
digitale, ma il merito di avere avviato questa fondamentale rivoluzione in campo
fotografico spetta a Graham William Nash che utilizzando una stampante che aveva il
leggiadro nome di un fiore, “Iris”, realizzò le prime stampe senza utilizzare processi a
sviluppo chimico. Originariamente creata da Iris Graphics nel 1985, la stampante Iris è
stata concepita come una stampante da utilizzare nel campo delle arti grafiche per
realizzare prove colori digitali senza ricorrere alle costose e complesse “Prove a
torchio” (Cromalin). Stampava con inchiostri CMYK e con una risoluzione sufficiente a
produrre dettagli nitidi e sottili gradazioni. La carta era montata su un grande tamburo
rotante in grado di stampare a 34 x 46,8 pollici, e l’inchiostro veniva spruzzato dagli
ugelli in un flusso continuo sulla carta. Non era stata concepita per stampe artistiche, e
per fare quel fondamentale salto in avanti, fu necessaria un’ulteriore evoluzione… Graham Willam Nash, inglese di nascita naturalizzato americano, aveva passato la vita
dividendosi tra le sue due grandi passioni, la passione per la musica e quella per la fotografia.
Arrivato al successo in entrambi i campi era però destinato ad entrare nella storia per…errore. Più
precisamente per uno sbaglio commesso da un non meglio identificato art director, che verso la
fine degli anni Ottanta stava preparando una mostra fotografica dedicata alla cantautrice
canadese Joni Mitchell. Nash, che possedeva un mucchio di fantastici scatti sui musicisti più
famosi dell’epoca tra cui la Mitchell, inviò all’art director un intero book contenente gli originali dei
negativi di tutte le fotografie che aveva scattato alla cantautrice e ad altre grandi star della
musica, non potendo certo immaginare le conseguenze di quel suo atto di fiducia. Ma il distratto
art-director combinò qualcosa di impensabile: smarrì il pacco ricevuto da Nash, lasciando il
fotografo-musicista letteralmente devastato. Del resto, si trattava per lui di un danno enorme:
aveva perduto due anni interi di lavoro fotografico, decine e decine di negativi originali irripetibili
realizzati durante concerti leggendari!
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Poco tempo dopo la perdita del suo preziosissimo book e di tutti i negativi, a Nash
fu chiesto di partecipare a una importante mostra al parco Gallery di Tokyo, in
Giappone, con 35 suoi ritratti di personaggi famosi dei quali ormai gli restavano
soltanto i provini a contatto su carta. Purtroppo, trattandosi di stampare fotografie
di grandi dimensioni, era difficile riuscire a produrre stampe decenti riproducendo e
ingrandendo in camera oscura quei semplici provini… Doveva dunque rassegnarsi
e declinare l’offerta rinunciando a quella occasione tanto importante? Non Graham
Nash! Il musicista-fotografo non era tipo da arrendersi facilmente, così,
determinato a trovare una soluzione, si mise alla ricerca di un miracolo.
La fede, si sa, smuove le montagne e ben presto gli venne offerta un’alternativa
che aveva del miracoloso: il tour-manager della sua rockband, R. Mac Holbert,
grande appassionato di computer, aveva avuto l’occasione di provare uno dei primi
scanner digitali che fossero mai stati prodotti, il Thunderscan, e quell’esperienza gli
suggerì una soluzione per il problema di Nash. Perché non scannerizzare i provini
e poi stamparli per ottenere delle immagini delle dimensioni desiderate? Trovare la
stampante digitale adatta allo scopo non fu impresa semplice, ma alla fine, dopo
numerose ricerche, le splendide opere fotografiche di Nash vennero digitalizzate e
stampate con una Iris 3047 ottenendo un risultato sorprendente per l’epoca,
purtroppo poco longeve perchè stampate con inchiostri Day-Based. Con le stampe ottenute tramite lo scanner e la stampante digitale, Nash fece furore
in Giappone… Anzi, il successo riscosso fu tale che le sue fotografie vennero
ristampate per un’altra importante mostra a New York e quindi per un’altra ancora
più importante a Los Angeles.
Grazie al successo dei tre eventi e alla vendita delle stampe (andate letteralmente a ruba),
nel 1989 Graham decise di di non volersi più appoggiare a terzi per stampare le sue opere e
acquistò personalmente una stampante Iris sborsando ben 126mila dollari. Ma così com’era
la macchina (progettata per essere utilizzata con carta di grammatura ordinaria) non
rispondeva in pieno alle sue esigenze artistiche, che richiedevano l’utilizzo delle pregiate
carte di cotone di grammatura elevata: sotto gli occhi sbalorditi dei suoi collaboratori,
dunque, senza preoccuparsi di rendere nulla la garanzia, Nash tagliò con un seghetto la
testina di quel “gioiello” e la rimontò in una posizione arretrata che gli consentì
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l’uso della splendida carta da acquerello, con un risultato che aumentò
notevolmente il valore artistico delle stampe. Con quel gesto impulsivo aveva invalidato la garanzia e messo a rischio il suo investimento,
ma anche scritto un pezzo di storia dell’evoluzione fotografica: quel giorno segnò infatti
l’inizio di una nuova era per la stampa completamente digitale. Nash, con l’amico Holbert
diede vita a un esclusivo atelier di stampa, la Nash Editions, alla quale potevano rivolgersi
fotografi e artisti desiderosi di sperimentare nuove tecnologie e, soprattutto, di spingersi in
un territorio ancora sconosciuto in grado di fornire possibilità nuove ed entusiasmanti.
Fine-Art Giclée: un nome nuovo per una nuova era
Per la prima volta il procedimento produttivo era diventato interamente digitale, perché i
files ottenuti tramite la scansione dei negativi ed elaborati al computer venivano poi
stampati con la tecnica a getto d’inchiostro. Le immagini risultanti da questo processo
possedevano delle grandi potenzialità, l’intervento digitale mostrava le più diverse
possibilità artistiche e creative, tanto da sgombrare il campo da qualsiasi dubbio circa il
fatto che l’imaging fosse ad una svolta epocale. Fu a questo punto che la Nash Editions
decise di trovare una definizione appropriata per descrivere la neonata tecnica di
stampa. Graham e i suoi collaboratori evitarono accuratamente di usare termini come
“computer” e “digitale”, allora (e anche oggi, in realtà) guardati con enorme sospetto e
con una buona dose di snobismo dal mondo dell’arte… Fu così che coniarono un
neologismo destinato ad avere vita lunga e fortunata: Giclée. Il termine sta ad indicare il processo di “realizzare stampe Fine-Art, da file digitale,
utilizzando una stampante a getto d’inchiostro” e ha una chiara derivazione
francese che gioca sul sostantivo le gicleur (la testina) e il verbo gicler che significa
letteralmente “spruzzare”. Il termine “Giclèe” diventò un sinonimo per “stampa d’arte realizzata con stampante
a getto d’inchiostro” e ancora oggi è un termine universalmente accettato nel
mondo della fotografia, usato per indicare, univocamente, “una stampa d’arte
(Fine-Art) realizzata con tecnica digitale”. Anche Diego Locatelli, che in Italia è stato coraggioso pioniere della nuova rivoluzionaria
tecnologia di stampa, agli esordi della produzione Fine-Art nel suo laboratorio milanese, si
trovò ad un certo punto davanti alla necessità di dare un nome a quello che avevano
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“inventato”, utilizzando inchiostri pigmentati. «Io e la mia squadra eravamo insoddisfatti dei risultati ottenuti utilizzando “Driver” o
impostazioni di stampa “preconfezionate”», ammette il fondatore di Spazio81.
«Abbiamo dunque investito molto tempo e risorse nella sperimentazione e nella ricerca,
variando software e hardware delle nostre stampanti e riuscendo ad integrare i neri a
carboncino per le stampe in B/N ed anche nella stampa a colori per ottenere risultati
superiori. Ma il solo termine Fine-Art Giclée non bastava più a descrivere, nella maniera
più appropriata, le stampe che avevamo cominciato, primi in Italia, a produrre.
Decidemmo dunque, per sottolineare l’impiego esclusivo di inchiostri a pigmento ed a
carboncino, di coniare il termine Pigmented Fine-Art Giclée (per le stampe a colori) e
True Black Fine-Art Giclée (per le stampe bianco e nero a carboncino), termini che
ancora oggi impieghiamo per definire le nostre stampe Fine-Art».
Fine-Art Giclèe: aspetti tecnici
I files immagine, creati o acquisiti su PC, vengono trasposti in impulsi elettronici recepiti
dalle testine, le quali, rilasciano infinitesimali gocce d’inchiostro che si concretizzano, su
un’ampia varietà di supporti, in immagini dai colori ricchi e vibranti.
Gli elementi che concorrono alla realizzazione di una stampa Fine-Art Giclée sono: - un file (dotato di caratteristiche qualitative tali da soddisfare le aspettative del
cliente) ottenuto tramite scanner, fotocamera digitale, dorso digitale, web-design,
tecniche pittoriche digitali etc.
- il tipo di stampante impiegata nel processo, le cui caratteristiche siano gestite da un RIP, - gli inchiostri di alta qualità, pigmentati e a carboncino - i migliori supporti di qualità artistica - un uso professionale del Color Management per la creazione e la gestione dei
profili colore.
Grazie a queste nuove metodologie, il fotografo e l’artista possono non soltanto
ampliare le proprie potenzialità e capacità espressive ma addirittura accrescerle, grazie
ad un più ampio spettro di possibilità tecniche e ad un’accresciuta libertà di creazione e
controllo sul procedimento artistico e sulle possibilità di mercato dei propri lavori.
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Requisiti e materiali
In considerazione dell’importanza rivestita da tutti i fattori che intercorrono nella
realizzazione di una buona stampa Fine-Art riteniamo opportuno introdurli brevemente
con intento descrittivo e senza pretese di un esaustivo approfondimento tecnico.
Peso e risoluzione del file La risoluzione del file non è un valore assoluto: infatti deve, innanzitutto, essere
adeguata al risultato che l’artista desidera ottenere.
Con il termine risoluzione si intende la densità di punti per pollice (DPI, ovvero, numero di
punti contenuti in una specifica unità di misura espressa in pollici). Secondo un pensiero
diffuso quanto sostanzialmente errato, l’indicazione di 300 dpi è normalmente considerata
sinonimo di “alta qualità”: in realtà questo non indica, nel modo più categorico, immagini ad
alta risoluzione, a meno che esse non siano correlate alla dimensione di stampa non
interpolata. Ciò che identifica la grandezza di un file è, infatti, unicamente il suo peso nativo
in MB non interpolato, cioè dato dalla risoluzione per l’area dell’originale scansito o dalle
caratteristiche del sensore di ripresa. Per fare un esempio concreto, un file a 300 dpi nel
formato 20x20 corrisponde ad un file a 150 dpi nel formato 40x40 o a un file a 75 dpi nel
formato 80x80. Da dove nasce tale confusione sulla definizione di “alta qualità”? Tutto è
inizialmente legato all’operato dei fotolito, i quali, prima ancora della presenza del settore
fotografico, impiegavano scanner gestiti da software che consentivano l’impostazione
dell’area di stampa finale mantenendo però fissa la risoluzione a 300dpi lasciando poi al
computer il compito di calcolare il peso del file in base alle dimensioni dell’originale.
Determinante per la qualità del file è soprattutto la sua profondità in bit per canale (8/10/12/14/16
etc.), la quale indica la profondità con cui è stata eseguita l’acquisizione, cioè la capacità di
descrivere - in modo univoco - le caratteristiche del punto analizzato dal sensore. Una scansione
da 100mb eseguita con uno scanner da tavolo a 8bit avrà comunque una qualità inferiore rispetto
ad una scansione a 30mb eseguita con uno scanner a 14bit.
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Un’altra credenza da sfatare riguarda i software di fotoritocco che, impiegando algoritmi
matematici, aumenterebbero la risoluzione. In realtà, ciò che fanno non è altro che ricreare i
pixel mancanti, interpolando i colori di quelli contigui, per generare un’immagine ingrandita
che comunque risulta meno incisa e qualitativamente inferiore all’originale. Stampanti La scelta del tipo di stampanti da utilizzare è un requisito fondamentale del
procedimento di stampa Fine-Art. Per poter stampare ad un livello qualitativo tale da
soddisfare i requisiti di una stampa Fine-Art Giclée i soli driver della stampante non
sono sufficienti ma è indispensabile personalizzare in modo professionale tutti i settaggi
hardware per sfruttare appieno le potenzialità della macchina. Per questa ragione tutte
le stampanti in uso nel nostro Atelier sono a punto variabile e dotate di testine
piezoelettriche o termiche. Nelle stampanti piezoelettriche l’espulsione dell’inchiostro è
causata dal movimento meccanico di una parte ceramica che si trova all’interno della
testina. L’inchiostro non viene riscaldato prima dell’espulsione ma è la compressione
dell’elemento ceramico a permetterne la fuoriuscita sotto forma di gocce. Nelle
stampanti termiche ogni ugello è provvisto di un resistore che, attraversato da impulsi
elettrici, crea una variazione di calore di alcune centinaia di gradi in un lasso di tempo
molto breve. Il lasso di tempo tra un impulso elettrico e l’altro, in entrambe le tipologie di
stampante, è determinante per la dimensione delle gocce di inchiostro (più breve è il
tempo, più piccola sarà la goccia); da qui la possibilità del punto variabile ad alta
risoluzione che ci consente di stampare fino a 2.880dpi reali!
RIP Il RIP (Raster Image Processor) è un software fondamentale per poter sfruttare a pieno
le potenzialità di stampante e testine. Il compito del RIP è quello di gestire il processo di
stampa interpretando il file e convertendolo in eptacromia, optacromia o dodecacromia,
gestendo la generazione del nero, del retino virtuale, dell’inchiostrazione e della
corretta linearizzazione cromatica. Ogni software presente sul mercato è dotato di una
propria interfaccia e offre all’utilizzatore molteplici e differenti possibilità di intervento,
ma i produttori di stampanti si limitano generalmente a fornire comuni driver di stampa
o al più versioni estremamente semplificate di RIP, le quali, consentono unicamente
l’impostazione di poche opzioni di base (numero di copie da stampare, misura e taglio)
fanno riferimento a profili colore standard e inchiostrazioni forniti dalla casa produttrice.
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Il motore di conversione o CMM (color matching method) gestisce il procedimento di conversione colore e consta di: profilo d’origine profilo di destinazione intento di rendering
Profili colore L’uso dei profili colori in conversione compete al laboratorio e allo stampatore professionista;
solo in caso si voglia visualizzare a monitor l’eventuale ampiezza dello spazio colore è
possibile fornire al cliente il profilo di stampa. È importante chiarire che la conversione va
eseguita solo al momento della stampa per non corrompere il file originale. I profili colore,
realizzati con l’impiego di un software CSM (color system management), sono indispensabili
per compensare le differenze esistenti tra i vari dispositivi e consentono di calibrare le varie
periferiche integrate nel flusso di lavoro (scanner, monitor e stampanti) mantenendo
costante il colore durante tutto il processo, dall’acquisizione alla stampa.
I profili possono essere di due tipi: proprietari e ICC; i primi sono utilizzabili unicamente dal
software che li ha creati, mentre gli ICC (International Color Consortium) creati secondo uno
standard multipiattaforma, possono essere impiegati da qualsiasi applicativo ICC
compatibile. Le varie periferiche vengono tarate e profilate, mediante strumenti di
misurazione del colore, in base al tipo di supporto utilizzato, quindi è da ritenersi inadeguato
l’impiego dei profili colore standard forniti dalle case produttrici delle periferiche per un uso
professionale. Ogni periferica ha infatti un proprio spazio colore che va quantificato con
precisione, proprio come ogni materiale di stampa ha una propria specifica risposta al colore
in base alla superficie e all’ assorbimento degli inchiostri.
È fondamentale che il cliente alleghi SEMPRE lo spazio colore che ha utilizzato in
ripresa o assegnato in post-produzione, serve infatti al Color Management come fattore
nel calcolo della conversione colore.
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Inchiostri Esistono sul mercato due tipologie distinte di inchiostri che differiscono innanzitutto per
il tipo di sospensione e colore impiegati nella produzione: i Dye Based sono inchiostri
costituiti da coloranti o tinture a molecola singola, in sospensione chimica/alcolica che,
asciugando rapidamente, ovvia al problema, piuttosto comune nei Dye Based,
dell’inchiostro che tende ad inzuppare la carta deformandola e alla possibilità che
l’inchiostro scivoli sulla superficie del supporto macchiando la stampa; i Pigmented Inks
invece sono a base di pigmenti di natura organica/minerale disciolti in base acquea e
strutturati in particelle opache solide e complesse, ovvero costituite da molecole
multiple, conglobate in strutture cristalline. Mentre i Dye based contengono sbiancanti
ottici allo scopo di rendere più vivi i colori ed ampliare il gamut reso in stampa, gli
inchiostri pigmentati contengono resine che li rendono più resistenti. In fase di
asciugatura l’inchiostro pigmentato lascia sul supporto prescelto pigmento puro che,
non solubile in acqua, tende a perdurare, proprio come in natura, ricco e saturo nel
tempo. Gli inchiostri Dye Based tendono ad avere una scarsa stabilità, ad essere
soggetti a virate di colore e ad avere una bassa permanenza soprattutto quando
esposti all’azione fisica di acqua ed umidità. I coloranti dei Dye Based si disciolgono completamente nella sospensione (proprio
come potrebbe fare lo zucchero nell’acqua) rendendo l’inchiostro molto fluido e proprio
per questa loro caratteristica sono stati, per anni, considerati lo standard per le
stampanti a getto ma presentano il grosso rischio di dissolversi nuovamente qualora,
accidentalmente, dell’acqua dovesse entrare in contatto con la carta. Le particelle degli
inchiostri pigmentati invece hanno un comportamento molto simile alla farina
nell’acqua: non si sciolgono completamente; il pigmento si annida nelle fibre della carta
e, mentre l’inchiostro asciuga, il pigmento rimane letteralmente incastrato nella fibra;
questi inchiostri hanno dunque una maggior resistenza, non solo all’acqua ma anche
all’azione meccanica di sfregamento. I coloranti dei Dye Based hanno comunque, in
linea di massima, una struttura piuttosto fragile e dunque anche l’ozono e i normali
agenti inquinanti riescono a rompere chimicamente le catene molecolari causando
scarsa permanenza delle immagini. Il decadimento delle molecole dei Pigmented Inks,
causato da agenti inquinanti, è invece molto limitato e la presenza di resine protettive
nel liquido di sospensione lo limita ulteriormente.
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Gli inchiostri maggiormente utilizzati per le stampe Fine-Art a getto d’Inchiostro di
alta qualità sono i Pigmented Inks soprattutto in funzione della loro maggiore
stabilità e maggiore permanenza del colore nel tempo, requisiti fondamentali per
poter garantire longevità alle stampe e rispondere concretamente alla sempre più
frequente richiesta di durata museale e archiviale delle opere.
Supporti Un aspetto generalmente trascurato, più per mancanza di informazione che per deliberata
scelta, in materia di Fine-Art è l’importanza rivestita dal supporto impiegato nel processo
produttivo. La scelta del materiale sul quale stampare riveste notevole importanza, non solo
in quanto parte del flusso creativo/produttivo dell’artista, che grazie al tipo di supporto ha
una concreta possibilità per meglio veicolare il senso della propria opera, ma anche e
soprattutto perché esiste una relazione sinergica ben precisa tra il tipo di inchiostro utilizzato
e il tipo di carta. In un momento in cui la qualità museale e le proprietà di archiviazione delle
opere stampante sono diventate punto nevralgico di interesse per il mondo della fotografia,
non è più possibile parlare di durata delle opere riferendosi solo alla permanenza stimata
degli inchiostri: è altresì indispensabile tenere in grossa considerazione la carta su cui
l’immagine viene stampata! Le carte per stampa Fine-Art Giclée sono quelle che maggiormente si avvicinano, per
caratteristiche ed aspetto, alle carte impiegate nelle tecniche ad acquerello. Le proprietà dei
materiali Fine-Art Giclée non si limitano unicamente al colore della carta, al suo peso ed alla
sua finitura: per ottenere la massima longevità possibile i materiali utilizzati non devono
contenere tracce di lignina, cloro e sbiancanti e devono essere in cellulosa di cotone o fibra
naturale 100 per cento, pressate a caldo o a freddo a seconda del tipo di trama da ottenere,
esenti da acidi e con Ph neutro. Lo spessore della carta per applicazioni Fine-Art è data dai
grammi per metro quadrato e i materiali più costosi e pregiati generalmente partono da una
grammatura da 300gr/mq a salire; questo perché le carte per Fine-Art a getto d’Inchiostro
devono avere una buona stabilità e forza di superficie e quindi contrastare l’arricciamento e
le incurvature, e devono essere levigate e regolari, con la giusta porosità e il giusto tasso di
assorbenza per contrastare lo spargimento eccessivo dell’inchiostro in fase di stampa. Ovvio
è che la trama (liscia, ruvida, telata, etc.),
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la pesantezza e la tonalità della carta sono complemento indispensabile all’opera,
valore aggiunto e rappresentano, proprio come la scelta del colore o del bianco e
nero, il potere decisionale del cliente e la concretizzazione dei suoi intenti artistici.
La maggior parte dei supporti impiegati per la stampa Fine-Art sono cotizzati,
ovvero trattati in superficie, in modo da favorire la penetrazione dell’inchiostro
aumentandone la resa, il gamut e la profondità/incisione del colore e dell’immagine
(soprattutto dei neri) e garantire una più rapida asciugatura delle stampe. Per la squadra di Spazio81 la ricerca continua e i test per la scelta dei migliori
materiali di stampa in commercio è fondamentale in quanto, essa stessa, sinonimo
di garanzia e qualità assolute. È importante chiarire che sul mercato esistono
diverse cartiere che producono carta cotone di qualità, ma l’uso di un seppur ottimo
e certificato (con bollini o altro) materiale non è sufficiente a garantire che si tratti di
una stampa Fine-Art essendo il supporto di stampa uno solo dei parametri
necessari per creare una vera stampa Fine-Art Giclée.
Durata delle stampe
Testando la combinazione inchiostro-supporto-stampante su metodo Blue Wool Scale* si è dimostrato che la permanenza delle opere realizzate con metodo Fine-Art Giclée è tale da
soddisfare i criteri di durata museali e galleristici a secondo gli standard internazionali. Per
stabilire il deterioramento indoor delle stampe sottoposte all’azione della luce, sono state
prese in esame le condizioni espositive museali a 450 lux per 12 ore al giorno, con
temperatura di 24° e umidità relativa del 60% stimando una durata (prima che siano
riscontrabili variazioni visibili), per le stampe Fine-Art Giclée, superiore ai 100 anni.
Possiamo quindi affermare che, se le stampe Fine-Art Giclée vengono eseguite su carte di
ottima qualità - impiegando inchiostri di tipo superiore - esse posseggono una durata pari, se
non migliore, ai comuni standard di archiviazione delle altre opere da collezione. Spazio81,
in aggiunta all’annuale test richiesto dalla Fine Art Trade Guild, fa personalmente eseguire,
dai laboratori UKAS, test periodici sulle proprie stampe in modo da garantire, grazie al
costante superamento delle severe verifiche, standard di stampa elevati e certificati. I clienti
di Spazio81 hanno dunque l’assoluta certezza che le stampe
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Fine-Art Giclée realizzate nel suo laboratorio sono sinonimo di qualità e durata inalterata nel
tempo proprio in funzione della sua iscrizione alla Fine Art Trade Guild, la quale accetta e
rinnova unicamente le sottoscrizioni di quei membri che, su base annua, dimostrano di
corrispondere pienamente ai severi parametri imposti e quindi di aderire totalmente agli
standard dettati dalla corporazione. Il test di durata richiesto dalla Fine Art Trade Guild (i cui
risultati vengono fascicolati e conservati come storico del membro iscritto) deve essere
svolto da un laboratorio approvato UKAS (United Kingdom Accreditation Service, la sola
organizzazione imparziale e competente, riconosciuta dal governo britannico, che possa
eseguire test e conseguentemente produrre certificazioni e documentazioni relative alla
totale adesione agli standard qualitativi internazionali approvati) su metodo Blue Wool
Scale* e verte sulla valutazione della combinazione supporto-inchiostro, sia per ciò che
concerne il Ph del materiale di stampa, sia per ciò che concerne l’effettiva resistenza
all’azione della luce della stampa finita.
Le rilevazioni eseguite, con specifica richiesta di supporti dalla grammatura minima
di 250gsm, devono produrre risultati compresi tra il 7 e il 9 in riferimento al Ph e
risultati da 6 a superiore, in tutte le zone della stampa testata in condizioni
empiriche, in riferimento alla resistenza all’esposizione luminosa.
* tecnica di misurazione e calibrazione della permanenza dei pigmenti di colorazione in condizioni con-
trollate. Due campioni di pigmento identici vengono conservati in differenti condizioni ambientali (l’uno al
buio, l’altro esposto a fonte luminosa equivalente a luce solare amplificata) per un periodo di 3 mesi, al
termine del quale, i due campioni vengono sottoposti a comparazione. Ne viene così valutato il grado di
scolorimento su scala 0-8, laddove lo 0 indica un elevata alterazione del colore e l’8 rappresenta
l’assenza di alterazioni rispetto all’originale (colore stabile e permanente).
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Vantaggi per il cliente Così come la fotografia divenne testimonianza grazie alla sua forza documentativa ed
artistica e si fece strumento indispensabile della nostra cultura attuale, il digitale, pur
contribuendo alla riapertura di vecchie diatribe e dibattiti relativi al senso dell’arte e alla sua
riproducibilità diventa novità e innovazione, stimolo di una rinnovata creatività. Tralasciando
sia le considerazioni puramente tecniche che quelle filosofiche, riteniamo sia importante non
arroccarsi su posizioni preconcette, spesso frutto di precedenti esperienze negative, quanto
piuttosto guardare al digitale come “aggiunta” e non alternativa al flusso di lavoro abituale.
La stampa digitale a getto d’inchiostro pigmentato ha riscontrato pareri estremamente
positivi nel corso degli anni ed è attualmente utilizzata da una moltitudine sempre crescente
di artisti internazionali che, non solo espongono, ma abitualmente vendono le proprie opere
e creazioni. Per coloro i quali desiderano sperimentare tecniche di stampa differenti, la Fine-
Art Giclée rappresenta un innovativo ed entusiasmante metodo di espressione creativa che
si aggiunge ad altre tecniche per ampliare la scelta espressiva dell’artista e, come vantaggio
ulteriore, offre la possibilità di “print on demand”. La “print on demand”, o stampa in base alla
richiesta, consente di produrre per multipli (anche le edizioni limitate e numerate) in base
alla richiesta di mercato, senza farsi carico di grosse spese iniziali e con la totale sicurezza
di risultati identici alla copia originale, costanti e ripetibili anche su formati differenti e dopo
diverso tempo.
In una realtà in cui il digitale ha portato ad un costante adeguamento verso l’alto dei risultati,
con una conseguente massificazione su livelli medio buoni, il passo che separa
dall’eccellenza si fa sempre più ampio e sono aumentate le abilità e competenze richieste
per raggiungere risultati professionali. Ottenere l’eccellenza richiede quindi conoscenze ed
una costanza ancora maggiori oltre ad un continuo investimento di tempo e risorse per
superare la differenza tra buono ed ottimo ed aspirare ai migliori risultati possibili. La
squadra di Spazio81 è la prima a rendersi conto che questo settore è in continua crescita ed
evoluzione ed è pronta a contribuire alla sua affermazione, sia condividendo le proprie
esperienze, sia ascoltando con interesse i suoi interlocutori nell’intento comune di diffondere
ed ampliare questa nuova ed entusiasmante metodologia espressiva.
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La certificazione Fine-Art Giclée
Con il consolidamento della tecnica Fine-Art Giclée e il crescente mercato legato alla
produzione di questo tipo di stampe si fa sempre più pressante la questione della
certificazione delle opere prodotte ed è lampante quanto soprattutto, sul suolo italiano,
l’intera questione sia ancora decisamente fumosa e che a tutt’oggi non siano ben
chiare le modalità da rispettare per produrre Fine-Art Giclée e, conseguentemente,
generare la documentazione relativa alla durata e alla qualità museale delle stampe. La Fine Art Trade Guild di Londra, da più di un decennio, si pone la missione di
definire concretamente le basi sostanziali della stampa Fine-Art Giclée nel tentativo
di uniformare caratteristiche e processi generando standard consolidati e concreti:
“ …Gli standard di gilda richiedono che la carta abbia un peso minimo di 250gr.,
con un livello di acidità tra Ph7 e Ph10 per minimizzare lo scolorimento. I colori
dovrebbero essere resistenti all’azione della luce e totalizzare un punteggio di 6 o
superiore su Blue Wool Scale o sua equivalente….” Inoltre, la Fine Art Trade Guild è parte del Comitato Tecnico della British Standards
Institution; La British Standards Institution è il corpo nazionale ed indipendente
responsabile nella preparazione degli Standard britannici. Essa presenta la visione del
Regno Unito sugli standard, in Europa ed a livello internazionale. È l’organismo che
produce la Classificazione delle stampe BS 7876:1996
(http://shop.bsigroup.com/en/Produ ctD etail/?pid=000000000000932671). Oltre alla
Fine Art Trade Guild, il Comitato è formato dalla Federazione delle Industrie di Stampa
britanniche, l’Associazione Internazionale dei rivenditori di stampe d’arte, la
Federazione delle cartiere della Gran Bretagna, il Concilio degli Stampatori, la Royal
Academy of Art e la Royal Society degli stampatori e dei pittori. Bisogna innanzitutto
sottolineare che la produzione delle certificazioni non dovrebbe assolutamente essere
relegata ad abile manovra marketing né tantomeno ridursi a business spicciolo volto ad
aumentare le vendite o la credibilità di un’azienda, bensì dovrebbe tener conto - in
primis - dei diritti degli artisti che decidono di completare il proprio percorso creativo
stampando le proprie opere con tecnica Fine-Art Giclée e, in seconda istanza, degli
obblighi che gli artisti hanno nei confronti dei collezionisti delle proprie stampe. Una certificazione di qualità museale dovrebbe limitarsi, in modo imparziale e veritiero,
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possibilmente in seguito a ben specifici test con riscontro ISO, a testimoniare la
corrispondenza totale di una stampa ai requisiti base di durata e permanenza nel
tempo dati da una ben precisa e completa sinergia tra i supporti cartacei di altissima
qualità che devono essere impiegati nel processo produttivo, gli inchiostri che devono
essere idonei per caratteristiche alla realizzazione di stampe Giclée e le attrezzature
professionali di stampa che vengono usate per realizzare opere Fine-Art.
Ciascuna delle variabili che intercorrono alla realizzazione delle stampe riveste la
medesima importanza e tutte sono imprescindibili le une dalle altre: non è
sufficiente certificare un materiale o una stampante per poter, con assoluta
professionalità, certificare che si tratti di Fine-Art Giclée. Allo stesso modo, non si può assolutamente affermare che esistano solamente alcuni
prodotti che rientrano di diritto nella categoria Fine-Art in quanto rispondenti alle
caratteristiche proprie della stampa Giclée, sarebbe sbagliato e sarebbe
controproducente. A tutt’oggi esistono diverse società che producono ottimi supporti e
macchine da stampa eccezionali che sono perfetti per la realizzazione di stampe e di
riproduzioni artistiche e che soprattutto hanno tutti i requisiti indispensabili a garantire la
longevità del prodotto finito. Proprio per questo motivo non si può sostenere la falsa
tesi, come invece spesso avviene, che la stampa digitale d’arte di qualità sia ottenibile
solo se utilizza questo o quel prodotto e poi produrre una certificazione di parte,
etichette personali, bollini ecc. a sostegno della propria manovra commerciale. Oltre a questo, nessuna certificazione dovrebbe allettare l’artista con promesse di
maggiore visibilità o di incremento di entrate e quant’altro: una certificazione, come
specificato dalla parola stessa, ha il solo scopo di certificare qualcosa di specifico,
in questo caso la durata museale delle stampe, e non il compito di fare da presunto
passpartout per il mondo dell’arte.
Crediamo fondamentale rimarcare che, proprio com’era per la stampa tradizionale,
anche la stampa Fine-Art Giclée dipende non esclusivamente dalle macchine, o dai
materiali, ma dal “fattore umano” coinvolto nel processo di produzione: è la visione
dell’artista a creare l’opera d’arte e la stretta sinergia con la professionalità, la
competenza e la passione dello stampatore a dar vita, su carta, all’opera perfetta.
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Nel concetto di certificazione poi non dovrebbe mai assolutamente rientrare
qualsivoglia disquisizione sull’originalità delle opere prodotte. Il concetto di tiratura, di
edizione è qualcosa che prescinde la certificazione, è una libera scelta dell’artista e si
concretizza indipendentemente dal rilascio del certificato. Un artista decide in che
tiratura stampare, come numerare le proprie stampe, dove firmare i progetti, come
veicolarli, come e dove venderli e a chi. Un artista poi decide liberamente con il suo
curatore dove stampare i propri lavori, di chi fidarsi e sulla base di quali credenziali.
Conclusione della presentazione Fine-Art Giclée
Vi ringraziamo di aver preso visione di questa presentazione della tecnica di stampa
“Giclée”: la mission di Spazio81 è allargare la diffusione di questo rivoluzionario ed
entusiasmante strumento al servizio della creatività di fotografi, artisti ed illustratori. A questo proposito i titolari e i tecnici di Spazio81 sono disponibili a condividere le
proprie esperienze e ad ascoltare consigli e suggerimenti, con la profonda
convinzione che una qualità diffusa sia elemento indispensabile per raggiungere
obiettivi già consolidati in altri Paesi.
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