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Seconda Università degli Studi di Napoli
Facoltà di Economia Corso di Laurea in Economia Aziendale
TESI DI LAUREA IN
ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
INFORMATION AND TELECOMMUNICATION TECHNOLOGY
E GESTIONE DELLE GIACENZE:
La gestione integrata della catena logistica RELATORE
Ch.mo Prof.
MARCELLO
CANDIDATO
Matr. 063/2533
ANDREA MACCARONE
3
Indice
Introduzione V
Capitolo 1 - Il Contesto Competitivo
1.1 Introduzione 1
1.2 Il contesto competitivo 2
1.2.1 Evoluzione dei bisogni e delle richieste dei
consumatori
5
1.2.2 Sviluppo di una concorrenza basata sulla qualità e sulla
personalizzazione 12
1.2.3 Esplosione e diffusione delle tecnologie dell’informazione
e della comunicazione 16
1.2.4 Diffusione della globalizzazione e delle alleanze
strategiche 23
1.2.5 Cambiamento del ruolo e degli obbiettivi della funzione
logistica 30
Capitolo 2 - Un’Alternativa Strategica: la Supply
Chain Management
4
2.1 Introduzione 41
2.2 La Supply Chain Management 44
2.3 Supply chain management e logistica 64
2.4 SCM ed ICT 79
Capitolo 3 - La Gestione delle Giacenze
3.1 Introduzione 89
3.2 La gestione e il controllo delle scorte: un’introduzione 90
3.3 La gestione e il controllo delle scorte: Approfondimenti teorici 98
3.3.1 L’inventario come fonte di valore del servizio erogato al
cliente 104
3.3.2 Un unico inventario per l’intera catena logistica 109
3.3.3 Competizione basata sul tempo 114
3.3.4 Sostituire l’inventario con le informazioni 119
Capitolo 4 - La Pianificazione delle Risorse della
Supply Chain
4.1 Introduzione 127
4.2 L’evoluzione delle applicazioni informatiche 135
4.2.1 L’integrazione di attività specifiche 137
4.2.2 L’integrazione intra-sfera 138
5
4.2.3 L’integrazione inter-sfera 141
4.2.4 Oltre il modello di Kaplinsky: la quarta tappa 148
4.3 La raccolta delle informazioni dal cliente 150
4.4 Pianificazione dei materiali e della capacità produttiva 160
4.5 Il controllo della produzione 170
4.6 La Gestione dei magazzini 176
4.7 Chiusura della supply chain: l’integrazione manufacturer
fornitore
183
Capitolo 5 - Il Caso “FERRI”
5.1 Introduzione 185
5.2 Contestualizzazione: il settore commerciale e della distribuzione.
Stato dell’arte ed evoluzione prevedibile 187
5.3 Il gruppo “FERRI”: presentazione 192
5.4 “Logistica e tecnologia: il motore che fa girare il mondo FERRI” 196
5.5 Conclusioni 203
Appendice al capitolo 5
I Fattori Propulsivi dell’Evoluzione del Commercio al Dettaglio 207
Conclusioni 211
Indice delle Tabelle 215
7
Il mondo delle imprese, al pari della società nel suo complesso, è stato
scosso, negli ultimi anni, da una serie di novità tecnologiche che ne hanno
sovvertito le fondamenta. Ci si è iniziati a chiedere se i recenti sviluppi nel
campo, in particolar modo, dell’Information technology non potessero avere
conseguenze sul modo di competere. Si sono così iniziate a profilare teorie
gestionali che su tali innovazioni si fondano e progressivamente si sono iniziati a
vedere i primi cambiamenti nelle strategie e nel modo di operare delle aziende più
lungimiranti e innovative.
Proprio da tali considerazioni trae spunto questo lavoro rivolto
essenzialmente ad evidenziare il contributo che le nuove tecnologie informatiche
possono apportare nella gestione della logistica aziendale.
Il testo è composto da 5 Capitoli
Nel primo si delineano i connotati dei principali fattori di cambiamento
dell’attuale contesto competitivo. In particolare si affrontano i temi della
globalizzazione, dell’innovazione tecnologica e dell’evolversi dei bisogni dei
consumatori, mostrando, per ciascun elemento, le conseguenze dei cambiamenti
in atto sul tradizionale modo di lavorare e compete nonché le future
minacce/opportunità in essi insite.
Il Capitolo Secondo presenta, nei suoi aspetti teorici più rilevanti, la
principale risposta strategica ai cambiamenti in atto, la Supply Chain Management
cioè la gestione integrata della catena logistica, un modello teorico che propugna
8
la natura sistemica della filiera e la gestione unitaria e coordinata della stessa. In
oltre se ne approfondiranno i legami con la “funzione” logistica e con
l’Information and Telecommunication Technology.
Nel Terzo Capitolo l’accento si sposta su di un aspetto particolare della
SCM, la gestione delle giacenze. Di esse si fornirà una definizione e se ne
illustreranno i principali metodi di gestione soffermandosi, in modo particolare,
sul metodo flow control, il più coerente ai principi della SCM.
Il Quarto Capitolo affronta, invece, nel dettaglio i componenti
dell’infrastruttura informatica di supporto alla realizzazione dell’integrazione
intra-aziendale, se ne descriveranno i diversi moduli software ed hardware, se ne
approfondirà il ruolo nel coordinamento e il controllo dei flussi fisici in
entrata/uscita, e se ne evidenzieranno i riflessi sui modelli organizzati aziendali e
sulle tecniche di gestione.
Infine, il Quinto Capitolo è dedicato alla verifica empirica di quanto
precedentemente illustrato, attraverso lo studio e l’analisi di un Caso Aziendale
Originale: il caso FERRI.
Chiudono le conclusioni alle quali lo studio condotto ha permesso di
giungere.
Capitolo 1
9
IL CONTESTO COMPETITIVO
1.1 Introduzione
La Supply Chain Management (SCM) è una risposta alla notevole velocità con
la quale si susseguono gli eventi che stanno ridisegnando l’attuale contesto
competitivo. La numerosità dei cambiamenti e la velocità con la quale essi
accadono e si susseguono è diventata l’elemento caratterizzante gli ultimi anni
novanta, tanto da divenire il tema preferito dalla letteratura economica
contemporanea. La Supply Chain Management è una filosofia di gestione del
cambiamento, come sarà visto meglio nel secondo capitolo, e dell’impatto del
cambiamento sulla cultura e sulla struttura del business, a livello di singola
impresa e di filiera, e si evolve, a sua volta, sulla scia delle continue redifinizioni
dei confini del territorio competitivo indotti in modo particolare dallo sviluppo
dell’Information and Communication Technology.
Le imprese di oggi si trovano a dover gestire una complessa serie di relazioni
e flussi in entrata/uscita con i soggetti facente parte della medesima catena
logistica (supply chain). L’abilità delle imprese di gestire tanto le competenze
interne quanto quelle dislocate lungo la filiera, l’esplosione dei prodotti/servizi ad
alto valore aggiunto e fortemente personalizzati, e la crescente velocità
caratterizzante le consegne ai clienti hanno elevato proprio la gestione della filiera
allo status di funzione di business fondamentale per il conseguimento del
vantaggio competitivo con conseguente arricchimento del ruolo prettamente
10
operativo che tale gestione aveva avuto in passato. In un ambiente sempre più
competitivo e dove è sempre più difficile prevedere le forze che domineranno il
futuro scenario competitivo, la gestione della supply chain sembra quasi imporsi,
anche alla luce delle esperienze di molte aziende leader, come una scelta obbligata
per il conseguimento di posizioni di leadership, se non addirittura per la
sopravvivenza.
Forse il modo migliore per capire il concetto e l’impatto della SCM è quello di
partire, però, da una analisi dei principali fattori di cambiamento caratterizzanti
l’odierno contesto economico e sociale.
Pertanto, prima di addentrarci nello studio della SCM, ci soffermeremo, nel
proseguio del capitolo, sulla descrizione di tali cambiamenti che fanno da sfondo
e da presupposto alla nascita e alla diffusione di tale nuova filosofia di gestione,
alla discussione della quale sarà invece dedicato il capitolo seguente.
1.2 Il contesto competitivo
La comprensione dei principali vettori di cambiamento con i quali devono
confrontarsi le imprese, e senza l’azione dei quali la SCM non sarebbe necessaria,
è il passo preliminare per una proficua comprensione della SCM e di tutte le sue
sfaccettature. Tali vettori, secondo quanto esposto da Ross nel testo Competing
through supply chain management, sono riconducibili a cinque dinamiche critiche
dell’odierno ambiente competitivo. Esse possono essere così schematizzate [Ross,
1998]:
11
1 Evoluzione dei bisogni e delle richieste dei consumatori. Tale dinamica fa
riferimento ai cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nelle richieste che i
consumatori pongono alle imprese. In particolare, risulta sempre più
fondamentale la comprensione dell’intima natura di ciò che i consumatori
percepiscono come “valore”, in quanto è sulla massimizzazione dello stesso
che devono concentrarsi gli sforzi dell’impresa e, come sarà più chiaro in
seguito, dell’intera supply chain.
2 Sviluppo di una concorrenza basata sulla qualità e sulla
personalizzazione. Profondamente collegata alla precedente, tale dinamica
discende dalla presa di coscienza da parte delle aziende che il mercato non può
essere segmentato sulla base di pochi consumatori tipo, ma che, in realtà, ogni
singolo consumatore ha una propria concezione del “valore” alla quale le
imprese devono cercare, quanto più possibile, di dare risposte personalizzate.
3 Evoluzione e diffusione dell’Information and Communication Technology
(ICT). Gli ultimi anni hanno visto lo sviluppo impetuoso delle tecnologie
informatiche e, in modo particolare, di quelle della comunicazione e
dell’informazione. Come sarà visto nel seguito, tali tecnologie, legate in
particolar modo alla raccolta, trasmissione ed elaborazione di grandi quantità
di dati grezzi ed informazioni, stanno avendo un impatto rivoluzionario sia su
consuetudini sociali sia sul mondo economico al punto da far ipotizzare
l’avvento di un’era per molti aspetti diversa da quella attuale e nella quale le
informazioni sostituiranno, in molti casi, oggetti aventi consistenza fisica.
12
4 Diffusione della globalizzazione e delle alleanze strategiche. In qualche
modo discendente dalla dinamica precedente, il cui contributo alla riduzione
delle distanze fisiche è facilmente immaginabile, tale dinamica riguarda la
tendenza delle imprese a cercare nuovi mercati anche al di fuori dei
tradizionali confini nazionali e a ricorrere ad alleanze con soggetti terzi,
stranieri e non, in possesso di competenze chiave per il successo nella
complessa e differenziata arena globale.
5 Cambiamento del ruolo degli obbiettivi della funzione Logistica.
Conseguenza diretta delle dinamiche precedenti, quella in questione riguarda
l’inevitabile arricchimento pratico e concettuale di cui la funzione logistica è
stata fatto oggetto negli ultimi anni a seguito dell’emergere di forti spinte
all’integrazione inter e intra aziendale e della centralità assunta dal fattore
tempo nella lotta per le posizioni di leadership nel mercato Vista sotto una
diversa luce la logistica offre alle imprese nuove strade per il conseguimento
di vantaggio competitivo, attraverso la continua ed innovativa offerta di
servizi per il cliente, la riduzione dei tempi di ciclo, l’incremento della qualità
e dell’affidabilità dei servizi logistici, e la riduzione dei costi complessivi della
filiera.
Queste cinque dinamiche portano con sé svariate minacce e/o opportunità che
le imprese devono saper individuare.
Nel seguito si analizzeranno separatamente tali dinamiche, al fine di
comprenderne gli aspetti rivoluzionari e le insite minacce/opportunità.
13
1.2.1 Evoluzione dei bisogni e delle richieste dei consumatori
Iniziamo la nostra analisi delle principali dinamiche che stanno
ridisegnando l’attuale contesto sociale ed economico a partire dal modo in cui si
sono o si stanno evolvendo, per varie ragioni, i rapporti tra le aziende e i
consumatori.
Oggi non sembrano più esserci dubbi sul fatto che la chiave per soddisfare
compiutamente il cliente consista nel comprendere e continuamente alimentare ciò
che egli percepisce come “valore”, in modo da fornirgli il giusto mix di
prodotti/servizi che soddisfino i suoi bisogni o lo mettano nella condizione di
cogliere nuove opportunità.
Questo aspetto è ben descritto dalle parole di Treacy e Wiersema:
I consumatori di oggi vogliono quantità maggiori di ciò che essi
considerano di valore. Se essi attribuiscono valore al prezzo contenuto, ecco che
lo vogliono ancora più contenuto. Se attribuiscono valore alla comodità e alla
velocità dell’atto di acquisto, ecco che lo vogliono ancora più semplice e rapido.
Se attribuiscono valore all’ultimo ritrovato della tecnologia, ecco che vogliono
che la tecnologia si spinga ancora oltre. Se desiderano l’attenzione dell’azienda,
ecco che vogliono più attenzione, più tempo e più capacità dell’azienda di farli
sentire come fossero l’unico cliente della stessa.
[Treacy e Wiersema, 1995]
14
Le parole dei due autori nord americani possono sembrare banali ma non
lo sono. Nascoste fra le righe vi sono, infatti, due importanti implicazioni, la cui
diffusa accettazione è, in verità, una conquista recente. La prima riguarda il ruolo
del cliente nella formulazione delle strategie aziendali. La tradizionale
impostazione di marketing vuole che sia l’azienda a “spingere” (push) i propri
prodotti sul mercato convincendo i consumatori che tali prodotti hanno proprio le
caratteristiche adatte a soddisfare le loro esigenze. In un tale contesto è come se
l’azienda modellasse il concetto di valore del cliente: il sistema di offerta è un
elemento dato, il contenuto del concetto di valore di ogni singolo cliente deve in
qualche modo adattarsi agli attributi del sistema di offerta stesso. Il ruolo del
cliente, nella formulazione delle strategie aziendali, è quindi un ruolo passivo ma
le parole di Treacy e Wiersema ribaltano questa impostazione. Il cliente ha una
propria accezione di valore, accezione che spetta all’azienda identificare quanto
più precisamente è possibile al fine di rispondere con un sistema di offerta
calibrato su misura per essa. Detto diversamente questo significa che le strategie
aziendali devono essere completamente customer driven, cioè guidate dal cliente
che in questo contesto “tira” (pull) i prodotti sul mercato e viene, quindi, posto al
centro del processo di formulazione delle strategie acquistando un ruolo attivo.
La seconda implicazione è, in realtà, una presa di coscienza sulla
multidimensionalità e sulla soggettività del concetto di valore, il quale non è
identificabile con questo o quell’attributo né definibile inequivocabilmente per
tutti i consumatori, ma è in realtà il frutto di una matrice di dimensioni che
15
variano, per natura ed importanza relativa, nel tempo, nello spazio nonché, come
già detto, da soggetto a soggetto. Ciò nonostante, e con riferimento al già citato
lavoro di Ross, è possibile individuarne alcune:
1. Qualità. In passato, i consumatori e i clienti industriali prendevano il
prezzo come principale elemento motivazionale a guida delle proprie
decisioni di acquisto. Aggiungendo qualità sia nella forma di accessori
addizionali, materiali pregiati, o servizi di vario tipo, si aggiungono costi.
Ma oggi la qualità sta diventando qualcosa di ordinario. Sia che essa
riguardi la performance, l’affidabilità, o l’estetica, i consumatori vogliono
sempre più prodotti di alta qualità a prezzi sempre più bassi e a
prescindere dal bene o servizio in questione, automobile o tostapane che
sia.
2. Prezzo. Il costo di un prodotto o servizio è sempre stato un elemento
fondamentale nel determinare il valore che il consumatore vi attribuisce.
A mano a mano che i fornitori hanno cercato di proteggere i margini come
risposta al crescere dei costi di produzione, i consumatori hanno dovuto
accettare prezzi più alti. Ma ora essi vogliono che i prezzi diminuiscano
indipendentemente dal crescere dei costi di produzione. Nel mercato
attuale, sia che si tratti di beni di largo consumo, sia che si tratti di beni di
lusso ed altamente personalizzabili, le imprese si trovano quindi a dover
fronteggiare la necessità di contenere i costi complessivi di un prodotto al
fine di proteggere i margini, piuttosto che aumentarne il prezzo. Prezzi più
16
alti daranno al cliente tutte le ragioni per tradire reputazione e “brand” e
acquistare dalla concorrenza.
3. Consegna. Nella maggior parte dei business, l’affidabilità e la
tempestività delle consegne sono diventati elementi qualificanti per il
conseguimento del successo. Condizionati dalla cultura del “fast food” e
dalla crescente disponibilità di informazioni in tempo reale, i consumatori
di oggi hanno sviluppato elevate aspettative circa i tempi di consegna, e
questo è diventato un elemento chiave del concetto di valore. Inoltre,
inconvenienti e ritardi causati da consegne incomplete o non
corrispondenti agli ordinativi emessi sono diventate intollerabili. Si può
dire semplicemente che adesso i clienti considerano il tempo di consegna,
e l’impegno del fornitore a cercare nuove strade per ridurlo ulteriormente,
come un elemento intrinseco della stessa transazione. Rigidità nella
disponibilità dei prodotti, nell’offerta di servizi, e nell’intero sistema di
offerta, spingono i clienti a cercare altrove soluzioni alle loro richieste di
prodotti e servizi.
4. Prodotto. I clienti non sono più soddisfatti da prodotti generici,
standardizzati, e spinti sul mercato da politiche di marketing
indifferenziato. Essi vogliono prodotti di qualità superiore, perfettamente
progettati, a basso costo, e offerti in un’ampia gamma dalla quale
scegliere la soluzione più appropriata alle proprie personali esigenze.
Inoltre, i prodotti attuali devono essere facilmente personalizzabili per
17
rispondere ad esigenze specifiche e sufficientemente flessibili da poter
essere aggiornati ed ampliati a seconda delle mutevoli esigenze del cliente
stesso.
5. Servizio. L’elemento “servizio” è la più recente dimensione del concetto
di valore e, forse, la più apprezzata dal consumatore odierno. Ai fini del
conseguimento del successo, i fornitori devono avere una visione allargata
del concetto di servizio, una visione che guardi alla leadership di servizio
come ad un impegno continuo che deve permeare tutti i piani e le azioni
dell’impresa. I clienti vogliono fare affari con fornitori che cerchino senza
sosta di soddisfare le loro aspettative, in qualsiasi momento, e che puntino
con decisione all’obbiettivo degli “zero difetti” come paradigma centrale
della propria attività operativa.
Ciò detto, e prima di passare all’analisi degli altri fattori contingenti di
cambiamento, si rende opportuno evidenziare ulteriormente la difficoltà pratica di
identificare il contenuto del concetto di valore per il cliente, identificazione alla
quale, per i motivi già detti e per altri che si esporranno nel seguito, l’azienda non
può comunque sottrarsi.
Se, infatti, da un punto di vista contabile, il valore è facilmente calcolabile,
almeno in teoria, come la differenza tra i benefici acquisiti e i costi sostenuti, al di
fuori di una prospettiva contabile il valore per il cliente può essere definito, come
fin qui ripetuto più volte, in vari modi. A complicare le cose si aggiunga che
anche la natura e lo scopo per cui i prodotti/servizi stessi sono acquistati può
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giocare un ruolo determinante. Solo tenendo in considerazione questi ultimi due
elementi, ciò che è visto come valore può, infatti, assumere varie forme e spaziare
dal semplice possesso alla possibilità di arricchire la propria organizzazione molto
di più di quanto sia stato speso per il prodotto o servizio in questione, si pensi ad
esempio ai prodotti/servizi che offrono soluzioni per il business. Il valore per il
cliente, quindi, può essere concepito come un’insieme di elementi il cui valore
economico non è necessariamente determinato dal costo di
produzione/erogazione. Questo aspetto rappresenta certamente un elemento di
discontinuità rispetto al concetto di valore dell’era della produzione di massa. In
passato, quando ci si riferiva ad un prodotto/servizio definendolo a “valore
aggiunto” si intendeva dire che esso era stato realizzato attraverso il ricorso a
materiali costosi, o a macchinari particolari, o a personale altamente specializzato,
o, ancora, a processi in grado di assicurare una elevata qualità. In questa accezione
basata sui costi, il valore è principalmente visto come la somma del costo dei
materiali e del lavoro consumati nella produzione/erogazione di un determinato
prodotto/servizio, indipendentemente dai bisogni del consumatore o del valore che
a sua volta tale prodotto/servizio può generare quando utilizzato come input di
un’altro processo di business.
Nell’attuale contesto competitivo, tale concezione del valore appare sempre
più obsoleta e non coerente con la realtà del mercato. Infatti oggi, ciò che
determina il valore di un dato prodotto/servizio non è tanto, o non solo, il suo
costo di produzione/erogazione, ma quanto questo prodotto/servizio possa
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assistere il cliente nella soddisfazione dei propri bisogni o nel conseguimento dei
propri obbiettivi strategici.
In particolare, e ricollegandoci a quanto prima affermato circa il rapporto tra
la natura del prodotto/servizio e le caratteristiche del valore ad esso associato,
possiamo dire che, per quei prodotti/servizi considerati commodity, è facile
pervenire ad una definizione del valore il cui contenuto è principalmente
collegabile ad elementi come la proprietà, la disponibilità, il prezzo contenuto, ed
un soddisfacente livello qualitativo. Invece, per quei prodotti/servizi non
commodity per natura, il contenuto del valore è sicuramente più ampio e
difficilmente definibile a priori. Sebbene gli elementi visti precedentemente vi
rientrino senza dubbio, esso ne comprende anche altri appartenenti ad un vasto
spettro e riconducibili prevalentemente alle possibilità di personalizzazione dello
specifico prodotto/servizio [Zuckermann, 1995].
In fine, il caso più complesso è sicuramente quello riconducibile ai
prodotti/servizi che rappresentano soluzioni strategiche di business per il cliente.
Infatti, quando oggetto della transazione è il prodotto/servizio in quanto tale, il
valore per il cliente non è generalmente di molto superiore al suo costo. Tali tipi
di prodotti/servizi sono di solito consumati rapidamente ed un loro eventuale
utilizzo nell’impresa del cliente ha spesso un impatto limitato ed indiretto. Per tali
tipi di prodotti/servizi il prezzo è generalmente calcolato partendo dal costo delle
risorse consumate aggiungendovi poi il margine di profitto. Al contrario, i
prodotti/servizi che rappresentano soluzioni strategiche hanno un impatto di lungo
20
termine sull’impresa del cliente e sono finalizzati direttamente all’ottenimento di
processi in grado di avere conseguenze sulla posizione competitiva dell’impresa
stessa. Tali soluzioni sono fortemente personalizzate ed il loro prezzo è
determinato tramite una trattativa tra le parti, sulla base dei benefici attesi
[Goldman, 1995].
1.2.2 Sviluppo di una concorrenza basata sulla qualità e sulla personalizzazione
Come già detto precedentemente, nel passato le imprese solevano
competere attraverso la vendita di linee di prodotti/servizi standardizzati e
realizzati in lotti di grandi dimensioni. Il principale obbiettivo, per il
conseguimento del successo, era produrre e distribuire al minor costo unitario.
L’efficienza era perseguita tramite la minimizzazione dei costi diretti di
produzione e distribuzione, associati principalmente al consumo di materiali e
lavoro. Gli obbiettivi di marketing si concentravano prevalentemente nel
persuadere i consumatori ad acquistare prodotti/servizi standard il cui prezzo era
fissato a priori con riferimento ai costi sostenuti. Il ruolo delle vendite era
unidimensionale: la transazione d’acquisto era considerata come il culmine del
processo d’acquisto, dopo di che, generalmente, ne il venditore ne l’acquirente si
aspettavano ulteriori opportunità per incrementare il valore aggiunto dei
prodotti/servizi oggetto della transazione stessa.
21
Nell’attuale contesto competitivo, invece, le vecchie regole della
produzione e della distribuzione hanno lasciato campo aperto a nuove regole per
lo sviluppo di relazioni radicate e mutuamente convenienti tra produttori,
distributori, e clienti. Come illustrato nella figura 1.1, le aspettative del cliente,
con riguardo alle tradizionali strategie di marketing, sono cambiate
considerevolmente. Nell’illustrazione, alle tradizionali utilità di marketing di
forma, tempo e luogo, ne sono state aggiunte altre, e più precisamente quelle di
qualità, prezzo e servizio. In oltre, è anche possibile confrontare il modo in cui
Forma
Tempo
Luogo
Qualità
Prezzo
Servizio
Predefinita
Quando disponibile
Dove disponibile
Accettabile
Basso
Minimo
Personalizzata
Quando desiderato
Dove desiderato
Superiore alle stesse aspettative
Configurabile
Complesso
Prodotti standardizzati
Prodotti personalizzati
Aspettative passate Aspettative attuali
Fig. 1.1 – Evoluzione delle aspettative del cliente rispetto alle strategie di marketing; Fonte: Ross, 1998
22
queste utilità di marketing sono viste dai consumatori attuali rispetto al passato. Il
tema centrale della figura è illustrare proprio il radicale cambiamento avvenuto
nel mercato dalla standardizzazione alla personalizzazione di massa (mass
customization), la quale cerca di rispondere alle uniche ed individualizzate
esigenze di ciascun consumatore. Le implicazioni della figura sono critiche. In
passato le imprese hanno cercato il successo offrendo prodotti a basso costo che
possedevano standard qualitativi appena superiori a quelli della concorrenza ma la
realtà dell’odierno scenario competitivo è che esso è sempre più caratterizzato
dalla differenziazione e non dall’omogeneizzazione. Oggi, per conquistare il
successo nel mercato, le imprese devono continuamente offrire prodotti e servizi
di qualità superiore che possano essere configurati, anche nel prezzo, per
incontrare richieste individualizzate, e devono cercare, inoltre, di aggiungere
continuamente valore ai propri sistemi di offerta attraverso l’instaurazione di
relazioni mutuamente utili con fornitori ed acquirenti.
Al crescere della segmentazione dei mercati tradizionali, produttori e
distributori non possono semplicemente limitarsi a trovare spazio in uno di questi
già angusti segmenti. Essi, invece, devono essere capaci di anticipare, se non
guidare, l’emersione di aspettative completamente nuove da parte dei
consumatori, se vogliono mantenere la fedeltà dei clienti e la leadership di
mercato.
Come realizzare tutto ciò? La risposta a questa domanda è molto
complessa e non è sicuramente univoca. Tuttavia nel proseguio del presente testo
23
si tenterà di individuare alcune linee di azione che possono portare a questi
risultati. Per adesso, a conclusione del presente paragrafo e continuando il
discorso di Ross, già introdotto in precedenza, si elencano alcune attività, miranti
ad una profonda revisione dei processi aziendali in essere, suggerite dallo stesso
Ross e propedeutiche al conseguimento degli obbiettivi su indicati [Ross, 1998]:
• Sviluppo continuo dei processi di progettazione, produzione, e
distribuzione al fine di conseguire flessibilità e configurabilità necessarie
per soddisfare le mutevoli richieste dei clienti e, contemporaneamente,
perseguire obbiettivi di ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse utilizzate.
• Creazione e sviluppo di sistemi dedicati all’assistenza clienti in grado di
guidarli nell’identificazione della soluzione specifica ed accelerare, così,
transazione e consegna.
• Incoraggiamento alla formazione di alleanze mutuamente convenienti per i
partner della filiera, al fine di incrementare il valore competitivo del
sistema di offerta della singola azienda e della supply chain nel suo
complesso.
• Implementazione di strutture organizzative e sistemi operativi in grado di
supportare il cambiamento, l’imprenditorialità e il pensiero creativo.
• Rifiuto assoluto degli sprechi, dello stile di gestione “Comanda e
Controlla” e degli indici di performance non in grado di fotografare la
situazione competitiva del sistema filiera, sistema di cui ogni singola
impresa fa inevitabilmente parte.
24
1.2.3 Esplosione e diffusione delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione
Si sente dire, sempre più insistentemente e da più parti, che stiamo
abbandonando l’era industriale per entrare in una nuova era: l’era
dell’informazione. Affermazioni simili sono dettate dalla crescente
consapevolezza che le basi fondamentali del valore economico e del benessere
sociale stanno inesorabilmente cambiando. A tal proposito risultano illuminanti le
parole di Negroponte, direttore del Media Lab del MIT di Boston, il quale afferma
che “stiamo per entrare nella società dei bit, una società in cui le principali
risorse scambiate avranno forma digitale (saranno cioè rappresentate da bit), a
differenza della società preesistente in cui le risorse avevano una consistenza
fisica, per cui si poteva parlare di società degli atomi. Mentre l’economia della
società degli atomi – continua Negroponte – è basata essenzialmente sulla
produzione di beni fisici, quella della società dei bit è fondata sulla produzione di
informazioni e di conoscenze, ovvero di prodotti e di servizi derivanti da
informazioni... La circolazione delle informazioni sostituirà in parte la
circolazione delle merci... La produzione e il consumo di informazioni e di
conoscenze rappresenteranno l’attività economica prevalente della società del
futuro” [Negroponte, 1995]. Ovviamente Negroponte non sostiene che la
produzione di beni fisici cesserà di esistere ma semplicemente che essa diventerà
un’attività scontata. Ciò che determinerà il successo di un’azienda sarà invece
25
dovuto alle attività di progettazione, commercializzazione e distribuzione, attività
che saranno rese incomparabilmente più efficienti dalla circolazione dei bit resa
possibile dalla nuova società digitale. L’influenza delle nuove tecnologie nello
sviluppo economico è d’altra parte testimoniato da più parti. “...gli Stati Uniti
hanno sperimentato in questi ultimi anni una crescita elevata della produttività
(output per ora di lavoro). L’eccezionale incremento nella potenza dei computer e
nella velocità delle trasmissioni sembra sia stato l’elemento determinante di tale
crescita” [Alan Greenspan, Monetary policy testimony and report to the
Congress, 1998], ma al di là dell’esperienza americana sembra esserci una
correlazione positiva tra tassi di crescita del PIL e gli investimenti in informatica,
come testimoniato da diversi studi (si veda fig.
1.2).
Fig. 1.2 – Correlazione tra gli investimenti in ICT e PIL pro capite; Fonte: Camussone (2000)
26
Guidate dagli enormi sviluppi delle tecnologie informatiche avvenuti negli
ultimi dieci anni, le aziende hanno lentamente iniziato a rendersi conto che le
radici della prosperità economica non affondano più solamente nel lavoro e nei
processi produttivi ma anche nelle possibilità di accesso ad informazioni accurate,
nella velocità con la quale le stesse possono essere trasferite, e nella profondità
della conoscenza che queste riescono a mettere a disposizione come input dei
processi decisionali. I sistemi ICT quindi, grazie alla loro naturale capacità di
gestire e manipolare dati ed informazioni, sono uno strumento fondamentale cui
le imprese possono ricorrere per generare sempre nuove conoscenze, nuovi
modelli organizzativi, nuove culture aziendali, e nuove idee su come utilizzare al
meglio le risorse dei partner della catena logistica, nella ricerca di nuove fonti di
vantaggio competitivo.
Storicamente, la capacità delle imprese di controllare gli eventi fisici e di
gestire i legami, interni ed esterni, fra le varie attività e processi da esse posti in
essere, è stata determinata dalle tecnologie per il processamento delle
informazioni esistenti in un dato momento. In passato, limiti tecnologici e
l’assenza di standard condivisi hanno notevolmente inibito la raccolta, lo scambio,
e la condivisione delle informazioni. In particolare, la condivisione era del tutto
impossibile e la trasmissione limitata dal fatto di dover essere attuata
manualmente. Queste limitazioni, assieme ovviamente ad altri fattori, possono
essere giustamente collocate alla base della nascita e proliferazione del modello
organizzativo funzionale gerarchico che ha per lungo tempo dominato i modelli
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organizzativi aziendali. Aziende nelle quali proliferavano i livelli gerarchici
tentavano di estrarre un significato dal fiume di informazioni che da ogni lato
impattavano l’organizzazione stessa dividendola in svariate unità funzionali ed
assegnando a ciascuna di esse una parte di quel flusso che presentasse una certa
omogeneità e che, quindi, si prestasse ad una più semplice gestione ed
interpretazione. I dati, dopo una prima sintesi, venivano successivamente passati
ai livelli immediatamente superiori della gerarchia fino ad arrivare, attraverso
successive aggregazioni e manipolazioni, al top management e alle strutture di
pianificazione dai quali, a loro volta, partivano le direttive strategiche ed operative
che ripercorrevano, questa volta in senso inverso, la struttura gerarchica passando
da disaggregazione in disaggregazione. La lunghezza del tempo necessario a tali
passaggi implicava, ovviamente, lunghi tempi di reazione agli stimoli provenienti
dal mercato. La lentezza del processo di raccolta e manipolazione delle
informazioni, pianificazione, attuazione, analisi delle varianze, ripianificazione, e
implementazione delle azioni correttive portò, così, all’allungamento dei lead time
e all’accumularsi di scorte di sicurezza lungo l’intera supply chain.
Con l’avvento dei computer, capaci di gestire e trasmettere dati a velocità
e in volumi prima ritenuti impossibili, i limiti del passato iniziarono lentamente ad
essere rimossi rivelando nuovi orizzonti per l’applicazione delle informazioni e
rendendo obsoleti molti metodi tradizionali di gestione e paradigmi organizzativi
sviluppatisi con riferimento alla situazione precedente. Al posto delle rigide
strutture dominate dal principio del “comanda e controlla”, l’abilità delle imprese
28
di integrare le funzioni interne e creare reti con i partner della supply chain ha
portato lentamente ad una nuova era caratterizzata dall’arricchimento del lavoro
individuale e dal ricorso a team multiaziendali per la gestione di attività e processi
complessi.
Quanto esposto precedentemente è, d’altra parte, suffragato dalle prime
esperienze di alcune aziende leader operanti in vari settori le quali hanno iniziato a
riconoscere che l’ICT fornisce loro enormi potenzialità per fondere ed
armonizzare le diversità disperse lungo la filiera in un sistema unificato
focalizzato sulla creazione di valore per il cliente attraverso la tempestiva
comunicazione delle informazioni provenienti dal mercato. Per esempio, il
sistema privato di comunicazione satellitare della Wal-Mart consente all’impresa
di inviare quotidianamente ai sui quattromila fornitori le informazioni provenienti
dai punti vendita, fornendo in tal modo ai fornitori stessi una vista in tempo reale
sulla situazione inventariale di ciascun punto vendita. Procedure simili sono state
adottate anche da altre aziende, fra le quali si possono ricordare J.C.Penny e
Hallmark.
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono assumere
svariate forme a seconda degli obbiettivi di business della specifica azienda
implementante. Applicazioni computerizzate, come i sistemi per l’interscambio
elettronico dei dati (EDI), i sistemi di identificazione automatica, i sistemi per
l’ottimizzazione dei trasporti e delle rotte, e le applicazioni per l’automazione
delle attività d’ufficio, sono tecnologie finalizzate ad aumentare la produttività
29
attraverso l’automazione delle attività e dei processi ripetitivi. D’altra parte, i
sistemi informativi aziendali, come i sistemi ERP (Enterprise resource Planning) e
i sistemi per la distribuzione integrata (CID), forniscono architetture per i sistemi
di business che rendono possibile la convergenza di team virtuali, sia all’interno
dei confini organizzativi sia al di fuori degli stessi lungo la catena logistica,
focalizzati sull’eccellenza operativa e sul servizio al cliente. Un aspetto critico di
tale processo di allineamento è costituito dalla presenza, o meno, di sistemi basati
su architetture e standard aperti, in grado di interfacciarsi con altri sistemi di
aziende diverse e in uso presso aziende diverse, in grado di unificare le attività di
marketing, produttive, e distributive dell’intera filiera. La figura 1.3 illustra
l’architettura di un sistema informativo così come fin qui descritta.
Clienti Canali
distributivi
Servizi di trasporto
Fornitori Altri partner di
business
Banche dati e servizi informativi
Engineering
Pianificazione e
programmai
Logistics Automati
Automazione d’ufficio
Sutomazione shop floor
Autostrada informativa / connettività
fisica
Fig. 1.3 – Architettura di un sistema informatico aperto e integrato; Fonte: Ross, 1998
30
Concludendo il discorso sull’evoluzione dei sistemi informatici aziendali,
discorso che sarà ripreso ed approfondito successivamente, non può mancare una
breve classificazione riassuntiva dei principali sistemi ICT sviluppati per precipui
fini aziendali:
• Soluzioni per la gestione del business. In quest’area si possono ritrovare
le applicazioni a supporto dell’integrazione funzionale, come le
applicazioni ERP (Enterprise Resource Planning), e intra aziendale, come
le applicazioni PDM (Product Data Management), nonché tutte le
applicazioni a supporto di singoli processi o attività, come le applicazioni
per la gestione dei trasporti o dei magazzini e le applicazioni per la
raccolta dei dati nei punti vendita.
• Tecnologie per la comunicazione. In quest’area confluiscono le
tecnologie per la comunicazione dei dati, fra le quali possono essere
ricordate il telefono, il fax, i sistemi satellitari e i sistemi EDI.
• Attrezzature per la movimentazione dei materiali. In quest’area
possono essere ritrovati veicoli a movimentazione automatica, i lettori dei
codici a barre, e in generale tutti quegli strumenti e macchinari che
utilizzano l’informatica per supportare le attività di magazzino.
• Internet. Sebbene Internet faccia sicuramente parte delle tecnologie della
comunicazione, esso rappresenta in qualche modo un fenomeno a se
stante. Grazie ad esso le possibilità di integrazione e networking delle
precedenti tecnologie EDI si sono ampliate notevolmente e la sua
31
diffusione lo candida a diventare la principale piattaforma di runtime
anche per le classiche applicazioni aziendali (ad esempio i sistemi ERP).
Sebbene ciascuna delle tecnologie illustrate precedentemente possa anche
considerata isolatamente assistere la singola impresa e la filiera nel suo insieme
nel conseguire la leadership di mercato, l’ICT può dispiegare tutto il suo
potenziale innovativo solo quando queste tecnologie sono combinate assieme a
formare un unico sistema integrato. Molte imprese, d’altra parte, hanno già
iniziato ad integrare i propri sistemi EDI, i codici a barre, i sistemi per
l’ottimizzazione dei trasporti e delle rotte, e i sistemi POS (Point of Sale), per
disporre di informazioni sempre più tempestive, complete ed accurate. Le varie
applicazioni informatiche presenti in azienda, siano esse relative alla gestione
degli ordini o del servizio al cliente, della produzione o della distribuzione, della
contabilità o degli aspetti finanziari, devono essere, in sostanza, collegate
reciprocamente al fine di permettere ai partner della supply chain, ma
quest’aspetto sarà reso più chiaro nel proseguio del testo, non solo di integrare,
ma addirittura di fondere, i rispettivi processi operativi e strategici dando, per
questa via, vita ad una singola organizzazione “virtuale”.
1.2.4 Diffusione della globalizzazione e delle alleanze strategiche
La fine della guerra fredda, la crescita di nuovi mercati nell’est europeo e
in Asia, lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, la
velocizzazione dei trasporti, e l’integrazione delle attività economiche su scala
32
mondiale hanno spinto molte aziende, grandi e piccole, a cercare nuove
opportunità di crescita al di fuori dei tradizionali ambiti territoriali. L’esplosione
del commercio globale è il risultato dell’azione di diversi fattori. Il primo di tali
fattori è sicuramente la maturazione delle economie dei paesi maggiormente
industrializzati, la quale ha obbligato molte imprese a guardare ai mercati stranieri
non solo come a possibili fonti di materie prime, lavoro a basso costo e tecnologia
a buon mercato, ma anche come a possibili territori per espandere l’arena
competitiva. Il serrarsi della competizione globale è, a sua volta, alla base del
secondo fattore: l’emergere di potenti blocchi commerciali nel Nord America
(NAFTA, 365 milioni di persone, 5.900 miliardi di dollari), in Europa (UE, 350
milioni di persone, 5.000 miliardi di dollari) e in Asia (Cina, 1,2 miliardi di
persone, 393 miliardi di dollari). La crescita del reddito in tutto il mondo, lo
sviluppo di infrastrutture distributive e la velocizzazione delle comunicazioni
rappresentano altrettanti fattori di sviluppo dell’economia globale, incrementando
la domanda globale per beni e servizi e dischiudendo nuove opportunità di
mercato. Infine, l’emergere a livello globale di strategie focalizzate sulla gestione
delle risorse e competenze distintive ha portato all’esplosione di alleanze e joint
venture tra partner spesso internazionali, nella ricerca di nuove strade per
migliorare processi e prodotti e cogliere nuove opportunità altrimenti inaccessibili
se perseguite isolatamente.
Come tutti i fenomeni osservati in precedenza, lo sviluppo dell’economia
globale porta con se, oltre ad una serie di opportunità, anche una serie di minacce
33
o quantomeno di problematiche nuove con le quali le imprese devono confrontarsi
o alle quali devono in qualche modo adattarsi.
Oltre ai notevoli cambiamenti politici e allo sviluppo dell’ICT, che hanno
ridotto le distanze fra i paesi, le imprese, infatti, devono fare i conti anche le
diversità istituzionali e giuridiche esistenti fra i vari stati mondiali, nonché con
l’emergere di una sensibilità ambientalista gravida, a sua volta, di nuove minacce
ed opportunità. L’influenza dei governi può essere osservata guardando, per
esempio, alla formazione dei blocchi commerciali, all’interno dei quali vengono
perseguite politiche protezionistiche, oppure alle differenze legislative in campo
economico, fiscale, ambientale, etc., che differenziano i vari paesi e che
certamente pongono difficili problematiche alle imprese che ad esse devono
adeguarsi. Egualmente importante è, come già detto, l’emergere di una sensibilità
globale sui temi correlati alla salvaguardia ambientale. L’attenzione politica ed
istituzionale rivolta ai problemi suscitati dall’inquinamento o relativi alla
sicurezza dei trasporti di sostanze tossiche o inquinanti, alla congestione dei centri
urbani, allo smaltimento e al riciclaggio dei rifiuti, o, in generale, alla salute
pubblica, pone vincoli specifici e nuove sfide al mondo economico ed industriale.
Oltre a tutto ciò, hanno dato il loro congruo aiuto alla spinta verso la
globalizzazione tutta una serie di fattori più prettamente aziendali e perciò relativi
a problematiche riguardanti costi, produttività, competitività. Tra essi meritano
senz’altro menzione i seguenti [Ross, 1998]:
34
• Attenzione ai cost-driver. L’obbiettivo di un’azienda che si muove verso la
globalizzazione è chiaro: aumentare la propria quota di mercato proponendo i
propri prodotti/servizi a nuovi mercati e, contemporaneamente, ottenere
risparmi di costo grazie alle economie di scala nella produzione e
nell’approvvigionamento. Il vantaggio economico può derivare, inoltre, dalla
prossimità ai mercati finali o di approvvigionamento, dagli incentivi dei
governi stranieri, dai bassi costi della manodopera, e dalla
gestione/acquisizione di imprese locali.
• Maggiore facilità nel ricorso alle alleanze fra partner internazionali.
L’alleviarsi delle tensioni internazionali, lo sviluppo dell’ICT, e la
strutturazione di sistemi di trasporto planetari hanno favorito la nascita di
nuovi mercati, virtualmente in ogni angolo della terra. Inoltre, sta diventando
sempre più facile per le aziende coordinare i propri processi ingegneristici,
produttivi, distributivi, e di marketing con gli omologhi processi di partner
internazionali a formare, così, imprese virtuali in grado di rispondere
prontamente alle richieste dei clienti. Tutto ciò fa si che, ne le distanze fisiche,
ne le eventuali deficienze nei processi e/o nei prodotti/servizi, costituiscano un
ostacolo insormontabile per l’ingresso nel mercato globale.
• Accresciute possibilità di personalizzazione dei prodotti/servizi. Sviluppi
innovativi nei processi di progettazione e produzione hanno permesso alle
aziende di configurare, in modo tempestivo ed efficiente, i propri
prodotti/servizi, al fine di soddisfare le richieste individuali dei clienti.
35
Processi a valore aggiunto, come il riconfezionamento e la rietichettatura, e
caratteristiche produttive, come la facilità di assemblaggio e riassemblaggio
della componentistica, facilitano la personalizzazione del sistema di offerta
sulla base delle diversità esistenti nei vari mercati nazionali.
• Implementazione di sistemi Quick Response. I cambiamenti radicali occorsi
nei sistemi di comunicazione e di trasporto hanno notevolmente ridotto i rischi
tradizionalmente associati al commercio internazionale. La crescita delle
infrastrutture logistiche internazionali e delle tecnologie della comunicazione
hanno, infatti, reso più accessibile per le imprese, ovunque esse siano ubicate,
l’implementazione di sistemi Quick Response, i quali facilitano enormemente
la gestione di prodotti dal ciclo di vita sempre più breve e la loro
personalizzazione in base alle richieste del cliente, nel tentativo di rispondere
velocemente ed efficacemente alla volubilità della domanda globale.
Tra i punti elencati precedentemente merita senz’altro un ulteriore
approfondimento il tema dello sviluppo delle alleanze strategiche, a prescindere
dalla nazionalità dei partner coinvolti. Se, infatti, l’obbiettivo dei competitori
globali è l’ampliamento delle quote di mercato relative e lo sfruttamento delle
conseguenti economie di scala, lo sviluppo di catene logistiche integrate
finalizzate all’ottenimento dell’eccellenza mediante la condivisione e la fusione
delle risorse di ciascun anello della catena stessa appare sempre più un passo
indispensabile nel cammino verso quella meta ambiziosa. In netto contrasto alle
relazioni avversarie fra venditori ed acquirenti caratteristiche del passato anche
36
recente, il management contemporaneo sta, infatti, ponendo particolare attenzione
allo sviluppo di relazioni che mirino ad instaurare rapporti cooperativi fra i
membri della supply chain. Alcune delle ragioni alla base di questo nuovo modo
di gestire le relazioni inter-impresa discendono direttamente dall'emergere della
globalizzazione. Anche se è senz’altro vero che oggi un sistema filiera risulta
esposto agli attacchi di competitori sparsi in tutto il globo, la capacità di gestire
risorse intellettuali e materiali di partner internazionali sta rendendo notevolmente
più agevole, per quelle stesse filiere, entrare nella nuova arena competitiva.
L’abilità delle imprese di esplorare le potenzialità di reti paritetiche di progettisti,
produttori, distributori, e venditori, rese possibili dall’attuale ICT, sarà un
elemento determinante per la creazione di nuove forme di cooperazione tra
imprese multi-business dinamiche e globali. La crescita delle alleanze strategiche
e delle varie forme di partnership può, inoltre, essere imputata anche alla crescita
di infrastrutture informatiche le quali rendono senz’altro più agevole la
cooperazione tanto all’interno dei mercati nazionali quanto nel mercato globale.
Tendenze come l’esplosione dell’ICT, la scarsità di personale altamente
specializzato, l’enfasi sulla personalizzazione dei prodotti/servizi, la
ristrutturazione e il ridimensionamento di molte grandi imprese, e la crescente
attenzione riservata al fattore “tempo” hanno incoraggiato la formazione di
alleanze strategiche finalizzate al conseguimento di vantaggi competitivi
altrimenti irrealizzabili. Inoltre, attraverso l’integrazione dei business, le alleanze
strategiche risultano essere anche un potente strumento per la riduzione dei rischi
37
associati alle attività di sviluppo, produzione, e distribuzione di nuovi prodotti
attraverso la condivisione tanto dei profitti quanto delle perdite. Un quadro
riassuntivo delle principali differenze tra un’impresa che si accosta al mercato in
modo tradizionale, facendo cioè affidamento esclusivamente sulle proprie risorse
e competenze, e una che invece vi compete ricorrendo alle alleanze strategiche è
riportato nella tabella 1.1. Solo a titolo di esempio, fra le più comuni forme di
alleanze e partnership si ricordano quelle tra produttori, distributori e fornitori
terzi di servizi logistici, quelle tra imprese fornitrici di servizi, come quelle tra
ASP (Application Service Provider) e Software House, e quelle tra produttori sia
facenti parte della stessa supply chain sia appartenenti a supply chain concorrenti,
Gestione basata sulle transazioni Gestione basata sulle alleanze
Relazioni di breve termine Relazioni di lungo termine Molti fornitori Pochi fornitori
Relazioni avversarie Relazioni cooperative Notevole importanza ricoperta dai prezzi Notevole importanza ricoperta dai servizi a
valore aggiunto Investimento minimo richiesto ai fornitori Alti investimenti richiesti ad entrambe le parti
Minima condivisione di informazioni Condivisione estensiva delle informazioni riguardanti i prodotti, il marketing, e la logistica
Indipendenza delle imprese coinvolte nelle relazioni
Elevata interdipendenza nei processi decisionali
Minima interazione fra le omologhe aree funzionali
Interazione estensiva fra le omologhe aree funzionali
Tab. 1.1 – Modi alternativi di approccio al mercato da parte delle aziende; Fonte: Ross, 1998
38
come nel caso dell’alleanza tra FIAT e General Motors [Gopal & Cypress, 1993;
Bouersox, Daugherty, Droge, Germain & Rogers, 1992]. Oltre a differenziarsi per
la natura dei soggetti coinvolti, alleanze e partnership si differenziano anche per
gli obbiettivi per le quali vengono costituite. Alcune di queste alleanze mirano, ad
esempio, all’ottenimento di economie di scala attraverso l’utilizzo congiunto della
capacità produttiva dei partner. Altre cercano, invece, di fondere le competenze
specialistiche dei partner nella progettazione e nella produzione al fine di ridurre il
time to market. Altre ancora, mirano alla costituzione di alleanze temporanee tra
competitor per conseguire vantaggi contingenti, come nel caso, già ricordato,
dell’accordo tra Apple, Motorola e IBM per lo sviluppo del Power PC. Infine,
altre puntano all’integrazione delle competenze specifiche di ciascun partner al
fine di incrementare le risorse collettive e conseguire economie di scopo. In ogni
caso, qualunque ne sia la finalità, le alleanze strategiche di filiera hanno tutte un
fine comune: rendere possibile un rapido e proficuo assemblaggio di differenti
competenze e risorse specialistiche, nonché di tecnologie specifiche, da utilizzare
nei processi di progettazione, produzione, e distribuzione al fine di conseguire
vantaggi competitivi sostenibili e difficilmente imitabili [Goldman, 1995].
1.2.5 Cambiamento del ruolo e degli obbiettivi della funzione logistica
Profondamente influenzata dall’emergere delle dinamiche viste in
precedenza è, senz’altro, la dinamica relativa al cambiamento del ruolo e degli
obbiettivi della funzione logistica.
39
Infatti, i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni e relativi alla tecnologia,
alle esigenze dei consumatori, ai prodotti/servizi, all’emergere della
globalizzazione, e al concetto di filiera stanno significativamente alterando le
strutture e gli obbiettivi di tale funzione. In passato, la logistica è stata vista
principalmente come un insieme di attività operative – gestione dei trasporti, dei
magazzini, delle giacenze di prodotti finiti, e simili. Al contrario oggi, le imprese
più avanzate e lungimiranti stanno iniziando a concepire la logistica come una
funzione strategica inter-funzionale, la cui missione è non solo pianificare e
coordinare tutte le attività necessarie a ridurre i costi delle giacenze senza però
introdurre discontinuità nel processo produttivo e distributivo, ma anche
permettere alle imprese di cogliere nuove opportunità competitive legate proprio
alla gestione del flusso fisico lungo l’intera supply chain, gestione dalla quale può
derivare un notevole miglioramento del servizio offerto al cliente finale..
L’espletamento di tale ruolo fa della logistica la funzione inter-funzionale per
eccellenza dovendo essa avere uno sguardo a trecentosessanta gradi sulle attività
aziendali, a partire dalla produzione, all’approvvigionamento, fino alla consegna
al cliente finale.
Ma quali obbiettivi deve in concreto perseguire la moderna logistica? Se in
un tentativo di estrema semplificazione si potrebbe rispondere che esso consiste, e
non potrebbe essere diversamente, nel rafforzare la posizione competitiva
dell’impresa o meglio dell’intera supply chain, come sarà più chiaro nel
proseguio, tuttavia è possibile identificare degli obbiettivi a questo senz’altro
40
strumentali e che presentano l’indubbio vantaggio di rendere tale obbiettivo
supremo un po’ meno generale ed astratto. Ancora una volta è Ross a venirci in
aiuto suggerendone alcuni che, confrontati con i tradizionali obbiettivi
prettamente operativi da sempre attribuiti alla funzione logistica, aiutano anche a
delineare il profilo del processo di arricchimento del quale la logistica stessa è
stata oggetto negli ultimi anni, processo per altro ancora non giunto a conclusione
[Ross, 1998]:
• Erogazione di servizio al cliente. Uno degli obbiettivi della logistica è
rendere attuali le utilità di spazio e luogo necessarie all’effettiva erogazione
del servizio al cliente. Inoltre, oggigiorno, alla funzione logistica sono ormai
demandate le responsabilità inerenti la trasparenza dello status degli ordini, la
trasmissione degli stessi all’interno dell’azienda e fra i partner di canale, e la
tempestività, efficacia, ed efficienza dei servizi post-vendita. Alcune aziende,
infine, hanno attribuito alla logistica anche responsabilità relative alla
pianificazione della produzione di modo che, l’intero processo di evasione
degli ordini, dall’approvvigionamento dei materiali alla consegna del prodotto
finito al cliente, viene ad essere posto sotto la responsabilità di un unico
soggetto. Proprio tale ampliamento dei compiti tradizionalmente attribuiti alla
funzione logistica, ampliamento che può portare la stessa a gestire
completamente il ciclo di evasione dell’ordine, è diventato assolutamente
critico per la sopravvivenza di molte aziende. Ad esempio, per la Orval Kent
Food Co. I.N.C., il più grande produttore statunitense di insalate fredde, una
41
siffatta gestione del processo logistico è essenziale data l’estrema deperibilità
del prodotto e l’incessante richiesta di eccellenza da parte dei clienti. Orval
Kent assicura di essere in grado di realizzare un qualsiasi prodotto su
ordinazione con un preavviso minimo di quarantotto ore e di consegnarlo
entro quattro giorni dal momento del ricevimento dell’ordine stesso. Una
simile promessa può essere mantenuta solo se le funzioni di gestione degli
ordini, produzione e distribuzione sono accuratamente integrate. Inoltre, via
via che i tentativi di ridurre drasticamente l’entità delle giacenze all’interno
della filiera alimentare si sono moltiplicati, Orval Kent è stata obbligata, al
fine di rimanere competitiva, a progettare ed implementare sistemi produttivi e
distributivi flessibili, in grado, cioè, di produrre e distribuire a costi
economicamente sostenibili lotti di piccole dimensioni su richiesta del cliente.
Per far fronte a queste richieste particolari, per altro sempre più frequenti,
l’azienda ha creato appositi team inter-funzionali focalizzati sul servizio a
specifici clienti. Questi team includono rappresentanti del servizio al cliente,
della logistica, delle vendite e di altri dipartimenti, tutti dedicati a soddisfare
le richieste del cliente e a risolvere ogni possibile problema che eventualmente
potrebbe manifestarsi. In altre parole, la Orval Kent ha riconosciuto il ruolo
chiave giocato dalla logistica come crocevia ineludibile fra l’operatività
interna e la crescente richiesta di servizio da parte della clientela [Gooley,
1996].
42
• Riduzione dei tempi di ciclo. In un contesto competitivo nel quale il ciclo di
vita dei prodotti/servizi diventa sempre più breve, il tempo di consegna è in
continua diminuzione, e le consegne stesse diventano sempre più frequenti e
di modeste entità, la logistica deve essere capace di implementare tecniche che
riducano costantemente i tempi di svolgimento delle attività di magazzino, di
processamento degli ordini, di fatturazione, di approvvigionamento, di
consegna, e simili. L’obbiettivo sotteso è semplice. Quanto più le imprese
riescono ad accelerare il movimento del flusso di materiali e prodotti finiti
attraverso l’intera supply chain, tanti più prodotti dovrebbero riuscire a
vendere e tanto più dovrebbero incrementare la propria redditività e la propria
posizione competitiva. La chiave per ridurre i tempi di ciclo risiede
nell’integrazione dei membri della catena logistica. Connettere i fornitori di
materie prime, componenti e servizi, i produttori, i distributori, i dettaglianti, e
i clienti finali, è fondamentale per l’eliminazione delle ridondanze, degli
sprechi, e delle inefficienze ovunque disperse nella supply chain, nonché per
la riduzione dei costi complessivi di filiera e per il miglioramento del servizio
erogato al cliente finale. La logistica fornisce le strutture operative per la
concreta realizzazione dell’integrazione della filiera. Attraverso la
reingegnerizzazione continua delle attività e delle procedure transattive, di
stoccaggio, trasporto, comunicazione e simili, sia internamente ai confini
della singola organizzazione, sia esternamente nella filiera, la logistica può
accelerare e rendere più fluido il flusso di prodotti/servizi ed informazioni
43
lungo l’intera catena logistica. Le potenzialità della logistica nel creare
vantaggio competitivo attraverso la drastica compressione dei tempi di ciclo è
stata ben documentata nell’industria elettronica. Secondo quanto contenuto in
un rapporto della società di consulenza “Pittiglio, Rabin, Todd & McGrath”,
l’implementazione di tecniche efficienti di gestione logistica ha prodotto, negli
ultimi cinque anni, costanti miglioramenti del tasso di rotazione del
magazzino nelle aziende statunitensi osservate. Inoltre, secondo uno studio del
1994, il valore delle giacenze come percentuale dei ricavi è diminuito dal
14,3% nel 1993, al 13,4% nel 1994, il margine lordo è passato dal 3,4% nel
1993, al 37,6% nell’anno successivo, e il fatturato è passato dal 13,4% al
14,7% sempre nello stesso periodo. Inoltre, il tempo del ciclo monetario è
passato dai 142 giorni del 1990, ai circa 114 del 1994, e il tempo di giacenza
delle scorte è diminuito di circa 22 giorni sempre con riferimento all’arco
temporale 1990-1994 [Pittiglio, Rabin, Todd & McGrath, 1995].
• Incremento dei servizi a valore aggiunto. In aggiunta a quanto finora visto,
la logistica deve essere anche capace di scoprire ed inventare sempre nuovi
approcci per la ricerca di vantaggio competitivo attraverso lo sviluppo e
l’arricchimento dei servizi offerti al mercato. Le relazioni cliente-fornitore, a
partire dai primi anni 90, si sono focalizzate sempre più sui servizi a valore
aggiunto, quei servizi, cioè, in grado di ridurre i costi, non solo monetari, per
il cliente, e, nel caso di clienti business, di agevolarne lo svolgimento
44
dell’attività operativa e di incrementarne la produttività. A tal fine possono
essere identificate tre linee d’azione critiche [Ross, 1998]:
Implementazione di tecniche di gestione e tecnologie che accelerino il
flusso fisico dei beni dalla sorgente al luogo di consumo.
Eliminazione delle ridondanze nella trasmissione delle informazioni
critiche lungo l’intera supply chain.
Disponibilità di servizi a valore aggiunto che incrementino la produttività
ed eliminino costi, come ad esempio il riassortimento automatico, il
tracking dello status degli ordini, l’utilizzo dei codici a barre, e il
postponimento del confezionamento e dell’etichettatura.
Un esempio delle possibilità di servizi a valore aggiunto che la logistica è in
grado di erogare è ben illustrato dalle attività poste in essere dalla Flexible
Packaging, una divisione della Union Camp, per risolvere i problemi del
proprio mercato
• Incremento della qualità dei servizi logistici. Erogare servizi a valore
aggiunto non basta. Essi devono anche possedere elevati standard qualitativi.
È ormai chiaro che il mercato attuale chiede prodotti e servizi di elevata
qualità e che tale domanda è destinata ad aumentare in futuro. Le
problematiche relative alla qualità ed alla produttività sono ormai diventate
predominanti tanto nelle aziende manifatturiere, quanto in quelle distributive.
Secondo uno studio condotto nel 1992 dalla Arthur Andersen, risultò che
l’affidabilità era il principale fattore utilizzato per misurare la performance dei
45
fornitori, seguito dalla tempestività, e, al terzo posto, dall’accuratezza,
quest’ultima accreditata del secondo posto per il 2000. Le aziende campione
affermarono che l’accuratezza, sia essa riferita alla merce consegnata, alla
fatturazione, o ai prezzi applicati, poteva fornire un grande vantaggio ai
clienti, in quanto permetteva di ridurre i costi e individuare, rispetto alla
massa, le aziende leader, quelle, cioè, che facevano bene le cose al primo
colpo [Andersen, 1992]. La logistica, quindi, si trova oggi ad essere duramente
impegnata nel tentativo di arrivare all’obbiettivo degli “zero difetti” nelle
consegne, di sviluppare continui miglioramenti nel servizio erogato, e di
implementare parametri di performance focalizzati sull’accuratezza delle
transazioni e sul valore aggiunto per il cliente. Quest’ultimo aspetto riveste, in
particolare, una notevole importanza poiché i classici parametri reddituali si
sono dimostrati spesso inefficaci nel cogliere l’intima matura dei fenomeni
oggetto di rilevazione. Affianco ad essi si stanno, pertanto, diffondendo altri
indici volti a misurare i livelli di soddisfazione del cliente, di utilizzo delle
attività fisse, dei costi operativi, della qualità, dei tempi di ciclo, della
produttività, e simili, i quali forniscono al management una visione più
dettagliata e veritiera del rapporto esistente tra opportunità di mercato,
obbiettivi strategici, e risultati conseguiti. Al fine di migliorare costantemente
la qualità dei servizi erogati molto utile si presenta anche la tecnica del
benchmarking competitivo, il quale consente di [Ross, 1998]:
Identificare ed implementare le best practice
46
Fornire stimoli e motivazioni al personale
Rompere le resistenze individuali e dell’organizzazione al cambiamento
Fornire un supporto ed un parametro di confronto agli specialisti incaricati
di implementare nuovi processi e tecnologie
• Riduzione dei costi complessivi del processo logistico. Al crescere dei costi
operativi, della domanda di prezzi competitivi da parte dei clienti, e al
diminuire dei margini, la logistica può rispondere efficacemente aggiungendo
valore tramite uno stretto controllo dei costi operativi e di processo.
L’effettiva gestione dei costi aziendali non può prescindere, infatti,
dall’efficace organizzazione e gestione del processo logistico, e
dall’individuazione del più opportuno equilibrio tra costi e livello del servizio
erogato al cliente. Identificare e quantificare l’impatto delle decisioni
logistiche cui costi complessivi della supply chain è, tuttavia, un compito
difficile. Il processo logistico, infatti, per sua natura si snoda e prende corpo
tagliando trasversalmente strutture organizzative e processi aziendali, e di
filiera, e questo rende difficoltoso determinare con esattezza gli effetti
complessivi delle politiche adottate. Ad esempio, una decisione di ridurre il
livello delle giacenze se da un lato consente di ridurre l’entità del capitale
immobilizzato, dall’altro può portare ad una degenerazione del livello del
servizio e ad un aumento delle spese di trasporto.
• Reattività organizzativa. Fondamentale per una gestione competitiva del
processo logistico è la sua continua riprogettazione, al fine di essere sempre in
47
grado di rispondere prontamente alle richieste del mercato e cogliere le
potenzialità dischiuse dal progresso tecnologico. L’evolversi tumultuoso delle
une e delle altre obbliga la logistica ad adottare modelli organizzativi e
processi operativi flessibili ed adattabili a diverse situazioni. Più precisamente
si assiste al progressivo abbandono del modello organizzativo
funzionale,verticalizzato, gerarchico e fondato sul principio, ormai obsoleto,
del “Comanda & Controlla”, col modello basato sui processi1, piatto,
orizzontale e basato sulla soddisfazione del cliente
In conclusione si può dire che i continui cambiamenti ambientali determinati
dall’avvento del mercato globale, dai nuovi prodotti/servizi, e dall’esplosione
dell’ICT hanno radicalmente cambiato il tradizionale ambiente operativo della
funzione logistica. Il crescere delle aspettative sul servizio, il ridimensionamento
di alcune grandi imprese, l’automazione, l’outsourcing, etc., hanno alterato le
caratteristiche del terreno di gioco e il modo in cui la logistica può contribuire a
creare vantaggio competitivo.
1 Un’impresa che si struttura per processi sceglie di accorpare le proprie attività sulla base della
48
Capitolo 2
UN’ALTERNATIVA STRATEGICA: LA SUPPLY CHAIN
MANAGEMENT
2.1 Introduzione
Uno dei temi più importanti e ricorrenti nello studio della gestione delle
moderne imprese manifatturiere e della distribuzione è la Supply Chain
Management (SCM). Negli ultimi dieci anni, la letteratura economica, ma anche
la stampa popolare, ha riempito pagine e pagine con articoli e saggi tesi a
descrivere ed analizzare i drammatici cambiamenti avvenuti nei processi
produttivi e nelle strutture organizzative a seguito delle radicali innovazioni
avvenute nelle metodologie di gestione aziendale, dell’implementazione di
tecniche di Business Process Reengineering (BPR), della globalizzazione del
mercato, e dell’esplosione dell’ICT. Oggi, studiosi, consulenti, e manager stanno
cercando di scoprire come poter mettere insieme questi eventi, a volte divergenti,
al fine di pervenire a nuove strategie in grado di aprire all’impresa nuove
opportunità di mercato e nuovi spazi competitivi.
Sempre più al centro di questo dibattito emergente si può rinvenire il
concetto di Supply Chain Management. La SCM è diventata un argomento di
loro comune finalizzazione alla realizzazione di un prodotto/servizio compiuto, destinato ad un
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discussione talmente “caldo” che è difficile aprire una rivista dedicata ai problemi
della produzione, della distribuzione, della gestione clienti, dei trasporti, o simili,
senza trovare almeno un articolo dedicato ad essa o a temi in qualche modo ad
essa collegati.
Questa attenzione nei confronti della SCM non è però esclusiva del mondo
accademico ed intellettuale. Un numero sempre crescente di imprese appartenenti
al gruppo delle Fortune 500 ha manager con la locuzione “supply chain” nel titolo
e, recentemente, diverse tra queste hanno anche creato team specifici per la
gestione delle attività logistiche, interne ed esterne. Per esempio, la Becton
Dickinson and Company, produttore e distributore a livello mondiale di
apparecchiature e strumenti medici, ha creato al proprio interno, fin dal 1995,
un’apposita divisione, la BD Supply Chain Services, investita di tutte le
responsabilità relative ai servizi logistici per l’intera filiera, servizi che
ricomprendono tra gli altri, la gestione dei trasporti, dei magazzini, della
fatturazione, e del credito [Novack, Langley & Reinhart, 1995]. A dispetto, però,
dello spazio conquistato sulla stampa, nelle aule universitarie, e nei consigli di
amministrazione, attorno al concetto di Supply Chain Management c’è ancora non
poca confusione. Qual’è il suo esatto contenuto, come può essere praticamente
applicato, e quali benefici ci si può attendere a seguito di una sua corretta
implementazione? Poiché la maggior parte della letteratura sull’argomento si è
concentrata su singoli aspetti particolari, operativi o strategici, della SCM, come
cliente interno o esterno all’organizzazione. [Davenport, Sommadossi, Oriani]
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ad esempio la gestione dei trasporti, delle relazioni con i partner, o del servizio al
cliente, quasi nessuno si è cimentato nel compito di formulare una definizione
esaustiva, definizione, cioè, in grado di illustrarne i principi fondamentali e
fissarne una volta per tutte i confini teorici ed applicativi. Parte del problema
risiede, in realtà, nel fatto che la SCM, come altre filosofie e tecniche di gestione
quali il Just in Time (JIT) o il Total Quality Management (TQM), può essere
definita in molti modi e possiede una matrice di possibili applicazioni. Ad ogni
modo, la confusione deriva principalmente dall’errore comune di identificare la
SCM con l’insieme delle attività operative costituenti la logistica moderna. Come
si tenterà di chiarire nel seguito, la SCM è molto di più di un set di tecniche
finalizzate a consegnare i prodotti ai clienti più rapidamente riducendo
contemporaneamente i costi della filiera. Piuttosto, essa può essere considerata
come un approccio di gestione totale, dinamico, orientato alla crescita, al
cambiamento e alla ricerca costante di vantaggio competitivo fondato sulla
soddisfazione del cliente finale, nel tentativo di prosperare in un ambiente
dominato da estrema incertezza e relazioni globali.
Nel capitolo precedente si sono descritte le principali dinamiche che
stanno ridisegnando l’attuale contesto competitivo. Ciò non è stato fatto per
diletto intellettuale ma perché prima dell’emergere di quelle dinamiche la SCM
non era necessaria e, aggiungiamo, senza le attuali tecnologie dell’informazione e
della comunicazione, virtualmente irrealizzabile [Ross, 1998]. All’emergere di
ciascuna delle cinque dinamiche precedentemente illustrate, dinamiche che, lo si
51
noti bene, sono strettamente correlate ed interdipendenti, i tradizionali paradigmi
gestionali associati al marketing indifferenziato, ad una struttura informatica
centralizzata, e ad una logistica il cui sguardo non va oltre i confini aziendali, si
sono rivelati sempre più incapaci a reperire ed armonizzare le risorse e le
competenze necessarie per sfruttare adeguatamente quelle stesse dinamiche
emergenti e conseguire lo sperato vantaggio competitivo. D’altra parte, fornendo
una filosofia di gestione a 360 gradi, capace di unificare le risorse chiave disperse
fra i vari partner della catena logistica, la SCM sembra fornire le basi concettuali e
gli strumenti operativi per la creazione di organizzazioni virtuali, capaci di
realizzare approcci innovativi per la continua soddisfazione del cliente.
Il resto del capitolo sarà, pertanto, incentrato sull’analisi di questa nuova
ed emergente filosofia di gestione. Se ne darà una definizione chiara, se ne
illustreranno i principi cardine e, fondamentale per lo scopo del presente testo, si
chiarirà il perché quando si parla di SCM non si può fare a meno di parlare anche
di logistica e di ICT.
2.2 La Supply Chain Management
Mai nel passato la gestione del sistema filiera è stata così importante come
lo è oggi nel contesto competitivo descritto nel capitolo precedente.
In passato, la produzione e la distribuzione dei prodotti/servizi, e la
gestione delle informazioni ad essi correlate è stata ovunque considerata di
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secondaria importanza se paragonata a quella attribuita alle strategie di marketing
e finanziarie.
Oggi, invece, al crescere delle sfide poste da una crescente richiesta per
prodotti/servizi di alta qualità e configurabili secondo le esigenze del cliente, per
consegne sempre più tempestive ed affidabili, per processi flessibili in grado, cioè,
di rispondere prontamente ai repentini cambiamenti delle richieste del mercato,
per riduzioni dei costi dei prodotti e di processo, e per addestramento del proprio
personale a rispondere alle sfide che quotidianamente si presentano, le aziende
stanno sempre più rivolgendo la propria attenzione alle potenzialità disperse nei
partner di filiera, al fine di arricchire le proprie capacità competitive. Così,
parallelamente ad una crescita dell’attenzione rivolta a potenziare le proprie
competenze distintive e a riprogettare i processi inefficienti, esse stanno anche
iniziando a guardare fuori dei propri confini organizzativi per cercare nei partner
di filiera nuove fonti di competenze chiave, risorse fisiche, e processi vincenti
orientati ai clienti.
Si va quindi delineando una nuova tendenza che vede intere filiere, e non
più imprese isolate, cercare nuove strade per diventare sempre più creative e
sensibili al mercato, attraverso la convergenza dei propri obiettivi strategici e delle
proprie procedure operative. Così come quanto sta avvenendo in molti business
dimostra, il conseguimento di drastiche riduzioni dei costi e l’incremento del
livello del servizio erogato non sono praticabili agendo isolatamente. Appare, al
contrario, sempre più evidente che per battere la concorrenza e scoprire aree
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inesplorate nell’arena competitiva, le imprese devono abbandonare i
convenzionali paradigmi di business, incentrati sulla gestione delle transazioni e
su indici di performance parrocchiali, e indirizzarsi verso strategie che
riconoscano nella cooperazione tra le imprese della filiera e nella convergenza
delle attività operative dei singoli partner il modo migliore per conseguire il
successo nel mercato. Oramai, da più di cinque anni accademici, consulenti e
manager usano la locuzione ”Supply Chain Management” per riferirsi proprio a
siffatte strategie. Tuttavia, sebbene ci sia un solido consenso attorno al fatto che la
SCM costituisca uno dei requisiti fondamentali per il conseguimento della
leadership nel mercato, emerge una sorprendente confusione ogni qual volta si
tenti di pervenire ad una definizione concisa del concetto di SCM, di come
implementarla e di quali benefici ci si debba attendere.
Il motivo è semplice. Il concetto della SCM non è apparso sulla scena come
un corpo ben definito di conoscenze ma si è formato, o meglio si sta formando,
giorno dopo giorno così come le imprese leader cercano di trovare nuove strade
per imporsi nel nuovo ambiente sempre più competitivo. Detto diversamente, il
concetto della SCM non è nato nelle aule universitarie per poi essere applicato,
per induzione, nel mondo reale ma ha fatto, e sta facendo, esattamente il percorso
inverso. Le aziende più intraprendenti e lungimiranti hanno iniziato già da qualche
anno a cercare nuove strade per scoprire nuove fonti di vantaggio competitivo, in
particolare tramite la gestione integrata della catena di fornitura, integrazione resa
possibile dagli ultimi progressi nel campo dell’ICT. Successivamente gli ambienti
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accademici e universitari hanno preso atto dell’emergere di una nuova filosofia di
gestione e, attraverso un procedimento deduttivo, hanno estrapolato dalle
differenti applicazioni pratiche, gli elementi comuni nel tentativo di poter
pervenire ad una formulazione astratta e rigorosa della nuova filosofia. Il risultato
è stato un proliferare di definizioni con significati spesso differenti e egualmente
differenti applicazioni, ora focalizzate su temi operativi, ora più marcatamente
strategiche. Ellram, ad esempio, definisce la SCM in termini generali come “un
approccio integrato alla pianificazione e al controllo dei flussi dei materiali dai
fornitori agli utilizzatori finali attraverso il canale di distribuzione” [Lisa M.
Ellram, 1991]. L’approccio di Ellram è chiaramente rivolto agli aspetti operativi
della SCM. In oltre, forse per la sua precocità, nelle parole di Ellram manca
qualsiasi riferimento alle informazioni come oggetto della pianificazione e del
controllo. Esso non manca, però, in quelle di J. T. Mentzer [J. T. Mentzer, 1993]
che, pur conservando un approccio operativo, non manca di citarle come oggetto
della nuova metodologia. Egli definisce infatti la SCM come “un metodo di
gestione focalizzato in modo particolare sulla facilitazione dei flussi in uscita
dell’inventario e delle informazioni”. Il metodo per raggiungere questo obbiettivo
consiste in una forte integrazione dei partner della filiera così da raggiungere una
elevata sincronizzazione delle attività di canale. Cooper amplia gli orizzonti.
L’accento si sposta sugli aspetti strategici e l’attività operativa viene
contestualizzata in un progetto più ampio e conscio. Secondo Cooper [Cooper,
1994] la SCM fornisce alle imprese un focus sul canale che supera i confini
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geografici, politici e corporate, allo scopo di soddisfare particolari gruppi di
clienti. In fine, Walton and Miller [Walton, Miller, 1995] affermano che
“l’integrazione strategica dei partner è la SCM”. Per la loro eterogeneità, le
definizioni precedenti mostrano come il concetto della SCM sia in realtà una
complessa matrice di concetti e applicazioni pratiche che può trovare applicazione
a una miriade di problemi che impattano l’impresa sia orizzontalmente all’interno
dei suoi confini, sia verticalmente nel canale.
Da un lato la SCM ha attinenza con temi strategici come l’integrazione dei
processi di business interni ed esterni all’impresa, lo sviluppo di stretti rapporti
con i partner di canale e la gestione dei flussi di prodotti e informazioni lungo la
filiera. Dall’altro, la SCM è anche uno strumento tattico che può essere applicato
alla gestione delle attività operative come il servizio al cliente, il controllo dei
flussi in entrata e in uscita di beni ed informazioni e l’eliminazione delle
inefficienze, dei costi e delle ridondanze di canale che si estendono dai fornitori di
materie prime, alla manifattura, alla distribuzione, al consumo e a ritroso tramite il
riciclaggio e i resi.
Un’ulteriore fonte di confusione deriva dal confronto tra il concetto di
SCM e di logistica. Oggigiorno, l’efficace gestione della logistica sta acquisendo
un ruolo fondamentale come fonte di vantaggio competitivo, attraverso la
creazione di valore per il cliente, l’abbattimento dei costi operativi,
l’attualizzazione degli obbiettivi del marketing e delle vendite, e
l’implementazione di elementi di flessibilità nei processi operativi. Uno sguardo
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alla logistica è fondamentale nel processo di formulazione delle strategie generali
dell’azienda, al fine di sintonizzare effettivamente le risorse e le competenze
aziendali con le esigenze dei consumatori, riconoscendo in tal modo il ruolo di
interfaccia tra l’azienda e l’ambiente circostante, al processo logistico. Di
particolare rilevanza, a tal proposito, è la tendenza, manifestatasi negli ultimi anni
relativa all’arricchimento delle responsabilità dei manager preposti alla gestione
della logistica. Ad essi infatti è stata affidata, da parte di molte aziende, la
responsabilità non solo delle attività logistiche interne, ma anche dell’integrazione
ed il coordinamento del flusso fisico ed informativo lungo l’intera supply chain.
L’obbiettivo di un tale arricchimento è la creazione di una strategia logistica che
trascenda la singola organizzazione e che unisca, invece, tutti i costituenti la
filiera a formare, in tal modo, una singola entità competitiva. Infatti, attraverso
l’integrazione delle risorse produttive, distributive, e di inventario, tanto su base
aziendale che di filiera, le aziende hanno l’opportunità di realizzare un maggior
valore per il cliente contemporaneamente al contenimento dei costi.
Proprio a partire da questa tendenza della logistica a guardare oltre
i confini organizzativi della singola azienda e a proporsi come infrastruttura
organizzativa dell’integrazione stessa, sono nate parecchie occasioni di confusione
tra i due concetti: quello di Logistica e quello di Supply Chain Management, in
verità molto diversi. Christopher, ad esempio, afferma che: “deve essere
riconosciuto che il concetto di SCM, sebbene relativamente nuovo, sia in realtà
niente di più che un’estensione della logica della logistica.” [Christopher, 1994].
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Più espliciti in tal senso Gopal e Cypress i quali affermano che: “la locuzione
“gestione logistica” è spesso usato intercambiabilmente con il termine SCM”
[Gopal e Cypress, 1993].
In modo simile, il concetto di SCM è stato spesso confuso con il concetto
di “supply channel management”. Ad ogni modo, anche in questo caso la
distinzione tra i due è piuttosto netta. Infatti, come sarà evidenziato tra breve, la
SCM è fondamentalmente una filosofia di gestione dell’intera catena logistica
(fornitore – produttore – distributore – dettagliante – cliente finale), la quale punta
alla sincronizzazione e alla convergenza delle risorse strategiche ed operative, sia
all’interno della singola impresa, sia fra le imprese della filiera, a formare, in tal
modo, una singola ed unificata entità competitiva sintonizzata sulle esigenze del
cliente. In contrasto, con la locuzione “supply channel management” ci si riferisce
non ad una filosofia, un concetto astratto, ma piuttosto all’insieme degli obbiettivi
strategici reali, alle concrete strutture organizzative, funzioni, istituzioni e attività
operative che definiscono il modo in cui una particolare catena logistica muove
beni e servizi [Ross, 1998]. La SCM fornisce alle aziende che l’implementano
strategie competitive innovative, che le rendono capaci di maneggiare ed
utilizzare al meglio le risorse dell’intera coalizione di imprese al fine di soddisfare
ed anticipare le richieste del cliente. La supply channel management, al contrario,
è composta dalle reali funzioni di business, dalle concrete relazioni tra i partner,
dalla gestione quotidiana delle operazioni logistiche, dalla concreta gestione della
domanda e degli ordini, e dal modo specifico di gestire le transazioni finanziarie,
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tutti elementi che, cioè, definiscono il modo in cui la SCM è in concreto attuata
[Ross, 1998].
Quanto esposto fino ad ora, se da un lato evidenzia la confusione esistente
sul concetto di SCM, dall’altro non deve essere da ostacolo al tentativo comunque
necessario di pervenire ad una definizione di tale concetto.
• Si può innanzi tutto dire che la SCM consiste essenzialmente di due
dinamiche. La prima definisce la SCM come una tecnica di gestione delle
attività operative che permette alle imprese di andare oltre l’ottimizzazione
delle sole attività logistiche, verso un modello in cui tutte le funzioni
aziendali, dal marketing alla produzione, dalla finanza alla R&S, sono
ottimizzate attraverso una stretta integrazione. L’integrazione aziendale a
questo livello, che, lo si noti bene, è qui intesa limitata ai processi e alle
attività interne all’azienda stessa, permette al management di coordinare
ed indirizzare unitariamente la performance quotidiana delle attività
operative che creano valore.
La prima dinamica della SCM spinge quindi con decisione verso
l’allineamento continuo degli obbiettivi tattici dipartimentali, l’ottimizzazione di
tutte le funzioni operative, e la creazione continua di valore per il cliente.
Venendo adesso alla seconda dinamica, essa può essere vista come
l’estensione della precedente alle attività e ai processi performati dalla supply
chain nel suo complesso. L’obbiettivo della SCM, a questo livello, è lo stretto
interfacciamento, se non la fusione, delle attività di un’impresa con le omologhe
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attività svolte dagli altri partner di filiera. Alla base della dinamica in questione vi
è un semplice assunto e cioè che nell’attuale ambiente competitivo nessuna
azienda può competere da sola e possedere al proprio interno tutte le risorse, le
competenze, e il know how necessari per raggiungere e mantenere la leadership
del mercato.
Alle due dinamiche fin qui illustrate se ne deve ora aggiunge una terza, senza
la quale il discorso sul contenuto della SCM risulterebbe palesemente incompleto.
Infatti, sebbene il discorso precedente illustri due dimensioni critiche del concetto
di SCM, esso in realtà ruota attorno ad un tema comune. Fin qui la SCM è stata
vista principalmente come un’attività di gestione delle attività operative,
finalizzata all’accelerazione dei flussi fisici ed informativi attraverso la catena
logistica, all’ottimizzazione delle funzioni interne, alla sincronizzazione delle
stesse con le omologhe attività poste in essere dai partner di filiera, e
all’attivazione di meccanismi atti alla riduzione dei costi e all’incremento della
produttività complessivi della filiera intesa come sistema integrato ed unico
soggetto competitivo. Ora, sebbene questi elementi siano tutti aspetti critici della
SCM, essi, non di meno, rappresentano solo una frazione delle potenzialità insite
nel concetto di SCM. Quindi, a queste dimensioni operative, deve esserne
necessariamente aggiunta una terza: la dimensione strategica. “Aggiungendo la
dinamica strategica, il concetto di SCM acquista una nuova dimensione. Per
prima cosa, l’SCM fornisce le basi concettuali che rendono le singole imprese
costituenti una filiera capaci di competere come una singola entità competitiva.
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Questo significa molto di più che una condivisione dei dati dell’inventario via
EDI.. L’SCM supporta la convergenza delle attività di marketing, product design,
produzione, logistica e altre svolte indipendentemente da ciascuna impresa, in un
coerente sistema di filiera finalizzato alla creazione di valore e pronto a reagire
prontamente ai rapidi cambiamenti del mercato globale. Le attività sulle quali la
SCM estende la sua influenza si estendono dallo stabilire le alleanze di canale al
supportare il sistema ICT attraverso le previsioni di business, al product design,
all’approvvigionamento, alla produzione e alla gestione logistica. L’obbiettivo è
la creazione di un sistema canale, in continua evoluzione, che consenta ai vari
partner di ricercare nuove strade, non solo per migliorare i prodotti e i processi
esistenti, ma anche di pervenire più facilmente alla generazione di nuovi mercati
e soluzioni innovative per la soddisfazione delle esigenze individuali dei clienti”
[Ross, 1998].
La SCM ha si a che fare con l’accelerazione dei tempi di consegna e con la
riduzione dei costi, ma essa ha anche a che fare con l’utilizzo di nuovi metodi di
gestione e con la potenza dell’ICT i quali consentono congiuntamente di produrre
prodotti/servizi affatto innovativi e in grado di rispondere alle mutevoli richieste
del mercato.
L’aspetto operativo della SCM fornisce alle imprese gli strumenti per
partecipare alla lotta per la leadership di mercato. D’altra parte, l’aspetto
strategico fornisce gli strumenti per guidare l’evoluzione del mercato stesso,
aprire nuove opportunità in mercati correlati, ed esplorarne di completamente
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nuovi, attraverso la creazione di una visione della supply chain unica e condivisa
da tutti i partner, la formazione di alleanze strategiche pari a pari tra gli stessi
partner, e la gestione delle complesse relazioni con fornitori e clienti che in tal
modo si vengono a creare.
Al cuore della SCM, come già detto, può essere rinvenuta la potenza
dell’odierna ICT. Queste particolari tecnologie, infatti, consentono la creazione
reale di reti di imprese che a sua volta rende possibile l’implementazione di
processi decisionali multi soggettivi, che coinvolgono, cioè, una pluralità di
soggetti, e focalizzati sulla soddisfazione del cliente.
L’obbiettivo competitivo della SCM è sviluppare le potenzialità diffuse fra
i partner al fine di generare nuove fonti di valore, nuovi processi e tecnologie,
nuove forme di integrazione verticale,e nuove strade per il conseguimento di
economie di scala al fine non solo di sopravvivere, ma anche di imporsi
nell’attuale contesto competitivo.
Pertanto, sulla base di quanto fin qui detto, la SCM può essere definita nel
modo seguente:
la Supply Chain Management è una filosofia di gestione che si
evolve continuamente e che cerca di unire, all’interno
dell’impresa e all’esterno fra i partner dislocati lungo catene di
fornitura intersecantesi, le risorse e le competenze collettive
esistenti in un unico sistema di fornitura altamente competitivo e
customer based, finalizzato allo sviluppo di soluzioni innovative
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e alla sincronizzazione del flusso di prodotti, servizi e
informazioni per creare uniche e individualizzate fonti di valore
per il cliente.
[Ross, 1998]
La SCM è quindi una filosofia aperta per la gestione delle singole imprese
e delle filiere nelle quali partecipano, e fornisce alle stesse gli strumenti per far
fronte ai radicali cambiamenti, già ampiamente discussi, che stanno riscrivendo le
regole della competizione attuale.
Formalmente, l’implementazione della SCM sarebbe di competenza del
dipartimento Logistica di un’impresa. Ad ogni modo, avendo elevato la SCM allo
status di filosofia strategica di management, la sua implementazione è, in realtà,
responsabilità dell’alta direzione, dispiegando i suoi effetti ben al di là di ambiti
prettamente logistici. In particolare, dovrebbe essere ormai chiaro che:
• La SCM fornisce una visione strategica del canale di fornitura.
Sebbene la SCM dedichi grande attenzione allo svolgimento delle attività
operative in generale, e di quelle logistiche in particolare, la caratteristica
saliente della stessa deve senz’altro essere rinvenuta nella sua capacità di
fornire alle imprese un orientamento strategico rivolto verso l’esterno
dell’organizzazione. Detto in altre parole, in un ambiente come quello
attuale, descritto nel capitolo precedente, caratterizzato dall’accorciarsi del
ciclo di vita dei prodotti e dal proliferare della segmentazione del mercato,
la capacità delle imprese di gestire e fondere le competenze chiave, le
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risorse fisiche, i processi ingegneristici, produttivi, logistici, e di
marketing, e le infrastrutture informatiche di ciascun costituente la supply
chain, è diventata la fonte principale di vantaggio competitivo. Solo
agendo in questo modo, e dato il contesto ambientale, è possibile ottenere
quelle innovazioni vincenti nella progettazione dei prodotti, nel modo di
consegnarli, nel servizio erogato al cliente e nella gestione dei costi, che
sono al di là delle possibilità di una singola azienda.
• Il raggiungimento degli obbiettivi della SCM non è il risultato di
qualcosa che accade all’interno di una sola azienda. Sebbene
l’applicazione di tecniche di BPR e di TQM, concepite per ridurre i costi,
eliminare le ridondanze, accelerare il flusso fisico, e incrementare la
produttività, facciano sicuramente parte degli strumenti di cui si avvale la
SCM per raggiungere i suoi obbiettivi, l’implementazione della stessa non
è sinonimo ne dell’una ne dell’altra. Inoltre, la SCM non postula il
semplice arricchimento delle relazioni con i partner di filiera attigui. In
fine, la SCM non è sinonimo di integrazione verticale, che presuppone la
comune proprietà di tutte o alcune le entità facenti parte della supply
chain. Infatti, integrazione verticale, BPR, TQM, e arricchimento delle
relazioni con i partner attigui, presentano tutti un’ottica rivolta all’interno
delle singole organizzazioni implementanti, e sono finalizzate, nella loro
accezione originaria, ad aumentare la competitività dell’azienda intesa
come player autonomo ed indipendente. Come già visto, invece, il reale
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valore della SCM non è da ricercare nell’orientamento interno, comunque
presente, ma in quello esterno. Le imprese che implementano la SCM
mostrano la capacità di incrementare sostanzialmente le loro competenze e
risorse produttive e distributive attraverso la convergenza non solo delle
attività logistiche e produttive, ma anche delle attività finanziarie, di
marketing, di pianificazione operativa, e di progettazione e sviluppo
prodotti, in un’unica visione strategica condivisa all’interno
dell’organizzazione e, reale elemento di innovazione e rottura con il
passato, all’esterno nella catena logistica. Attraverso la formulazione di
alleanze strategiche, la sincronizzazione delle funzioni interaziendali, e il
libero accesso alle competenze complementari disponibili presso i partner
di filiera, la SCM offre all’intera supply chain, e solo a questa, la
possibilità di realizzare una rete virtuale di aziende capace di produrre
sempre nuovo valore per il cliente. Attraverso la condivisione e il
mixaggio delle risorse e delle attrezzature, dei rischi e dei costi, delle
risorse umane e delle conoscenze tecnologiche, i membri della catena
logistica possono acquisire la flessibilità necessaria per configurare
rapidamente nuovi approcci al mercato, indispensabili per rispondere
efficacemente alla mutevolezza del mercato, in un modo decisamente
irrealizzabile da un’azienda che agisca isolatamente.
• Una strategia basata sulla SCM è completamente customer driven.
Nell’era della produzione di massa, le aziende manifatturiere producevano
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prodotti standardizzati tra i quali, poi, il consumatore avrebbe individuato
la risposta alle proprie esigenze prevalentemente sulla base del prezzo,
delle promozioni e della varietà disponibile. In un tale contesto, il ruolo
della logistica era di assistere le politiche di marketing “spingendo” i
prodotti verso i clienti nel modo più rapido ed economico possibile. Al
contrario, nell’odierno scenario competitivo, il flusso di prodotti/servizi
viene guidato dai clienti, i quali si aspettano di ricevere prodotti/servizi
configurati ad hoc per le loro specifiche esigenze. Questo radicale
cambiamento nel modo di gestire la domanda, passando, cioè, da un’ottica
di tipo push ad una di tipo pull, si sta traducendo in altrettanto radicali
cambiamenti nella gestione delle tradizionali funzioni aziendali, come ad
esempio la produzione o la distribuzione. Attraverso la messa in rete sia
delle risorse operative, sia di quelle strategiche, dei fornitori, produttori,
distributori, e dettaglianti dislocati lungo la catena logistica, la SCM
facilita la cooperazione fin dalla fase progettuale, l’implementazione di
processi produttivi flessibili, lo sviluppo di elevati standard qualitativi, il
trasferimento delle informazioni rilevanti, e la fluidità dei flussi fisici che
attraversano la supply chain. In particolare, per poter efficacemente
adottare una strategia di gestione della domanda di tipo pull è
fondamentale la condivisione tra i partner dei dati di vendita al cliente
finale (sell out), i quali sono gli unici in grado di descrivere realmente il
profilo della domanda effettiva. Ciò detto si può quindi affermare che la
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SCM gioca un duplice ruolo. Da un lato si propone come strumento di
comunicazione delle richieste del cliente a tutti i partner della filiera, dal
dettagliante al fornitore di materie prime, dall’altro come potente
strumento per progettare e gestire al meglio il flusso fisico, sempre
attraverso l’intera catena logistica.
La SCM è, quindi, una filosofia di gestione che trascende i confini aziendali,
che impegna una pluralità di soggetti distinti nella sua implementazione, e che
impone alle aziende che vi si avvicinano di cercare fonti di vantaggio competitivo
guardando al di là degli angusti confini delle rispettive organizzazioni.
Le precedenti teorie e tecniche manageriali, come ad esempio il Just in time
(JIT), il Business process reengineering (BPR), o il Total quality management
(TQM), risultano chiaramente focalizzate su obbiettivi di produttività e riduzione
dei costi da realizzarsi all’interno dei muri aziendali. La SCM, al contrario,
riconosce che, per conseguire la leadership di mercato, le imprese dovrebbero
essere gestite, non come entità individuali, ma bensì come membri attivi di catene
logistiche integrate alle quali ciascuna singola impresa apporta il proprio
patrimonio di risorse e competenze. Al giorno d’oggi, infatti, nessuna singola
impresa, per quanto grande possa essere, può possedere o gestire autonomamente
l’insieme di capacità, talenti, risorse, tecnologie, e informazioni, necessario a
rispondere prontamente ed efficacemente alla mutevolezza e all’incertezza
caratterizzanti, come già visto, l’attuale mercato globale. Per questo l’essenza
della SCM può forse essere vista anche nella continua formazione e permutazione
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di alleanze strategiche di lungo periodo tra imprese che puntano alla leadership di
mercato attraverso la condivisione delle rispettive risorse e competenze, dando
vita in tal modo ad entità competitive composte da più soggetti, aventi unità di
intenti, ma i cui rispettivi confini rimangono invisibili ai clienti finali [Goldmann,
Nagel & Preiss, 1995]. La SCM è, quindi, una forza unificante che porta le
imprese costituenti una specifica catena logistica ad agire come fossero una
singola entità competitiva.
Sebbene costituisca già un notevole passo avanti rispetto alla discontinuità del
passato, l’integrazione intra-aziendale della sola funzione logistica non può
rispondere da sola alla velocità dei cambiamenti e alle esigenze di integrazione
delle risorse umane, fisiche, ed informative, necessaria per competere
Logistica Gestione delle
Programmazione dellaApprovvigionam
entoServizio al clienteTrasporti
Stoccaggio
Logistica Gestione delle
Programmazione dellaApprovvigionam
entoServizio al clienteTrasporti
Stoccaggio
• Finanza • Marketi
ng • Vendite
• Finanza • Marketing • Vendite • R & S
Azienda fornitrice Azienda cliente
Fig. 2.1 – Schema di integrazione della sola funzione logistica; Fonte: Ross 1996
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efficacemente nel mercato attuale. Come illustrato nella figura 2.1, in un simile
contesto organizzativo, infatti, le singole imprese conservano ancora autonomia
circa la gestione delle altre funzioni interne e nella definizione delle strategie di
business. Al contrario, l’implementazione della SCM prevede che ciascuna entità
indipendente abbandoni la propria settorialità (vedi fig. 2.2). Quindi, non la
semplice integrazione delle sole attività logistiche, come la pianificazione delle
giacenze o la gestione dei trasporti, ma la fusione di tutte le funzioni
fondamentali, come il marketing o la R&S, attraverso la creazione di team
interfunzionali ed intra-aziendali.
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In passato, le imprese di successo erano quelle che riuscivano a creare e
gestire intrigate e fisse catene di imprese, spesso detenendone la proprietà,
attraverso le quali fluivano beni standardizzati spinti sul mercato da politiche di
marketing di tipo push e puntando sulla leadership di costo. Oggi, invece, il
vantaggio competitivo appartiene a quelle imprese che danno vita a catene
logistiche integrate e dinamiche, i cui membri, cioè, non siano individuati una
volta per tutte, che condividono infrastrutture, costi, e rischi, che si impegnano
congiuntamente per gestire la brevità del ciclo di vita dei prodotti/servizi, che
riducono il time to market, e che ascoltano le esigenze del cliente lasciando a
quest’ultimo il compito di “tirare” la produzione e la distribuzione. Sebbene ogni
singolo membro del sistema combatta ancora per il conseguimento dei propri
personali obbiettivi di business, la lezione della SCM è che il successo finale può
essere raggiunto solo a patto di condividere le core competence, le risorse fisiche,
e le conoscenze specifiche di ciascun membro, sulla base di un disegno strategico
Azienda fornitrice Azienda cliente
Logistica Finanza
Marketing Vendite
Gestione del canale R & S
Sistemi informativi
Logistica Finanza
Marketing Vendite
Gestione del canale R & S
Sistemi informativi
Infrastrutture di rete
Fig 2.2 – Integrazione in ottica SCM; Fonte: Ross, 1998
70
comune e della omogeneizzazione dei processi, dei sistemi e delle interfaccia
operative. Tutto ciò ha una serie di vantaggi pratici di immediata identificazione.
Solo per citare i più evidenti, un tale modo di operare lascia libere le imprese di
concentrarsi su ciò che sanno fare meglio, fornisce loro l’accesso ad un’ampia
gamma di risorse e competenze non disponibili al loro interno, accelera
l’innovazione di prodotto e di processo, e genera un profondo senso di
appartenenza attorno ad una visione comune dell’ecosistema cui appartengono.
Tradurre in precise regole e puntuali prescrizioni i principi teorici della SCM è
un compito difficilissimo, se non impossibile. Non esistono formule da seguire o
modelli universalmente validi. Ogni impresa, così come si può vedere dai diversi
casi pratici, segue la propria strada a partire dai propri obbiettivi e risorse. Ciò
nonostante è possibile astrarre, dalle numerose applicazioni reali, alcuni elementi
comuni che possono servire da riferimento in un processo di implementazione. Ad
esempio, la BASF Corp., divisione nordamericana della BASF Group, con un
fatturato di 5,5 milioni di dollari e 16.000 dipendenti, ha individuato cinque fattori
di successo nel proprio processo di implementazione della SCM:
1. Selezione di partner di dimensioni globali, a partire dai fornitori terzi di
servizi logistici ed informatici, in grado di aiutare l’impresa a gestire lo
stato dell’arte nell’universo tecnologico e dei servizi.
2. Sviluppo e promozione delle risorse umane interne. Il management della
BASF è apparso deciso nel ritenere che la formazione continua dei
dipendenti fosse un elemento fondamentale per migliorare il senso di
71
appartenenza, la consapevolezza del proprio lavoro, e per incoraggiare la
creazione di nuove competenze e conoscenze.
3. Sviluppo di strutture operative consistenti di team interfunzionali e
smantellamento della rigida struttura organizzativa per funzioni.
4. Creazione di canali per la condivisione di informazioni ed idee.
5. Creazione di una forte leadership del management al fine di ottenere il
massimo consenso sui nuovi obbiettivi e processi.
Sebbene la BASF debba ancora ultimare il proprio percorso implementativo della
SCM, successi evidenti ne raffermano il passo e ne consolidano le convinzioni. In
quelle aree dove il processo di implementazione è giunto a compimento o è a
buon punto, il livello del servizio al cliente è migliorato del 54-99%, la puntualità
delle consegne è salita al 97%, l’investimento in scorte di vario tipo è sceso del
30%, e i costi per le attività amministrative sono diminuiti del 50%.
Quanto esposto fino ad ora illustra il contenuto fondamentale del concetto
di Supply Chain Management che, come visto, trova la sua ragion d’essere negli
sviluppi economici, sociali ed tecnologici illustrati nel primo capitolo.
Già nelle pagine precedenti si è nominata più volte la funzione logistica e
lo stesso è stato fatto con riferimento all’ICT. È ora venuto il momento di
approfondire i legami esistenti tra essi. A questo proposito sono dedicati i due
paragrafi successivi.
72
2.3 Supply chain management e logistica
Non ci sono dubbi sul fatto che l’emergere della logistica moderna affondi
le sue radici nella nascita della SCM. Infatti, uno dei presupposti applicativi
fondamentali per l’implementazione della SCM è proprio l’integrazione delle
attività logistiche lungo l’intera filiera allo scopo di accorciare i tempi di ciclo e
ridurre gli investimenti in scorte. Adesso quindi che una concisa definizione della
SCM è stata data, è senz’altro possibile, nonché opportuno, chiarire il ruolo che la
gestione logistica acquista in questo contesto.
Nel corso degli ultimi venticinque anni la scienza logistica è progredita
dall’essere un’attività puramente operativa al diventare una potente arma
competitiva in grado di mettere l’impresa nella condizione di percorrere nuove ed
inesplorate strade nella ricerca di vantaggi competitivi.
In origine, il ruolo della gestione logistica riguardava la creazione di valore
aggiunto attraverso la gestione dei magazzini e dei trasporti in modo tale da
consentire all’azienda di supportare gli obbiettivi finanziari e di marketing. Oggi,
invece, la logistica è diventata, in quanto tale, essa stessa una risorsa competitiva
dell’impresa in grado di creare valore per il mercato fornendo sempre nuove
risposte alle crescenti aspettative dei consumatori, progettando procedure e
sistemi operativi capaci di realizzare contemporaneamente alti livelli qualitativi e
drastiche riduzioni dei costi, ed evidenziando le asincronie esistenti fra gli
elementi chiave dell’impresa, come ad esempio il posizionamento dei prodotti, il
73
livello di integrazione della supply chain, le competenze del personale, e le
strategie di business, asincronie che possono inibire la crescita dell’azienda.
Come nel caso della SCM, non mancano certo le definizioni, talora
contrastanti ma in grado di evidenziare ciascuna un aspetto particolare, se
considerate congiuntamente. Tra le più quotate resiste ancora quella formulata dal
Council of logistics management nell’ormai lontano 1985. Essa recita:
“la Logistica è il processo di pianificazione,
implementazione e controllo dell’efficiente flusso ed
immagazzinamento di materie prime, semilavorati, prodotti
finiti, servizi ed informazioni dal punto di origine al punto di
consumo/utilizzo (compresi i movimenti in entrata/uscita ed
interni/esterni all’impresa) allo scopo di conformarsi alle
richieste del cliente.”
[Council of Logistics Management, 1985]
La definizione precedente dipinge la logistica come un processo integrativo che
lega i flussi fisici ed informativi nel loro fluire da funzione a funzione e da
impresa ad impresa. Più orientata alla creazione del valore per la filiera risulta,
invece, la definizione di Novack, Reinehart e Wells:
“La Logistica riguarda la creazione di utilità di tempo, luogo,
quantità, forma e possesso all’interno e tra le imprese e i
soggetti/individui, attraverso la gestione strategica, la gestione
delle infrastrutture e la gestione delle risorse, con l’obbiettivo di
74
creare prodotti/servizi che soddisfino il cliente attraverso
l’ottenimento di valore.”
[Novack, Rinehart, Wells, 1992]
In fine, Christopher definisce la missione della gestione logistica come:
“la pianificazione e il coordinamento di tutte quelle attività
necessarie a raggiungere il desiderato livello di servizio al
cliente e qualità al più basso costo possibile. Per questa ragione
la logistica deve essere vista come il ponte tra il mercato e le
attività operative del business. Le attività e gli obbiettivi
logistici si estendono lungo l’intera azienda, dalla gestione delle
materie prime alla consegna del prodotto finito.”
[Christopher, 1994]
Alla luce delle definizioni precedenti si può, quindi, dire che la logistica
partecipa alla creazione del vantaggio competitivo attraverso l’erogazione di
servizi al cliente, il conseguimento dei prefissati standard qualitativi, e il
contenimento dei costi operativi, tutti elementi che incrementano il valore offerto
al mercato.
75
Un buon metodo per comprendere meglio il contenuto della logistica è
quello di dividerla idealmente in due funzioni separate ma strettamente integrate,
come illustrato nella figura 2.3. La prima funzione può essere chiamata Gestione
dei materiali e si identifica con la gestione dei flussi in entrata dei materiali e
delle informazioni ad essi correlate. La Gestione dei materiali può essere definita
anche come l’insieme delle funzioni di business che supportano il flusso dei
materiali, dalla pianificazione agli acquisti, dal controllo delle giacenze alla
Approvvigionamento
Gestione delle giacenze
Ricevimento e stoccaggio
Movimentazione dei materiali
Produzione
Altri processi a valore aggiunto
Gestione dei materiali Distribuzione fisica
Gestione dei magazzini
Gestione scorte prodotto finito
Trasporti
Supply channel management
Previsione della domanda
Altri processi/servizi
Gestione logistica
Fig 2.3 – Le funzioni logistiche: uno schema semplificato; Fonte: Ross, 1996
76
produzione e alla consegna dei prodotti finiti al sistema distributivo della filiera.
All’interno della Gestione dei materiali è, inoltre, possibile procedere ad una
ulteriore classificazione delle attività che ve ne fanno parte. In particolare, queste
ultime possono riguardare la Acquisizione dei materiali, come la gestione dei
fornitori, gli acquisti, il ricevimento, e il controllo qualità, o la Gestione delle
giacenze, come la movimentazione e lo stoccaggio dei materiali, la gestione del
wip, e la consegna al sistema distributivo.
La seconda funzione nella quale può essere idealmente scomposta la
logistica è la Distribuzione fisica. Questa funzione è normalmente associata con
l’immagazzinamento e la movimentazione dei prodotti finiti lungo il canale
distributivo, al fine di far fronte agli ordinativi dei clienti. Spesso la Distribuzione
fisica è così strettamente legata ai processi che presidiano l’erogazione del
servizio al cliente, l’attività previsionale, e la gestione della catena logistica, che,
in molte aziende, è parte integrante dei dipartimenti Marketing o Vendite. Ad ogni
modo, fra le attività facenti parte della Distribuzione fisica si ricordano
l’immagazzinamento, il trasporto, il controllo e la movimentazione dei prodotti
finiti, la gestione degli ordini dei clienti, l’analisi della ubicazione dei magazzini,
il confezionamento dei prodotti e la gestione dei resi [Ross, 1996].
La precedente separazione e classificazione del processo logistico in
attività e categorie deve, però, essere intesa come un puro strumento didattico teso
ad illustrare il flusso fisico ed informativo nel suo fluire lungo l’intera supply
77
chain, essendo i legami tra quelle attività e categorie così stretti da non permettere,
nella pratica, una gestione indipendente delle stesse.
Alla precedente descrizione del processo logistico, tratta dal testo di Ross
Competing through supply chain management, se ne può affiancare un’altra molto
simile ma che comunque può risultare utile ai fini di una migliore comprensione
del processo in questione e delle problematiche ad esso associate. Secondo lo
schema proposto da Johnson e Wood, tale processo può essere idealmente
scomposto in quattro fasi [J. C. Johnson e D. F. Wood, 1994]:
• Logistica in entrata, relativa al flusso di materiali, componenti e
semilavorati provenienti dai fornitori
• Gestione dei materiali, relativa alla gestione dei movimenti dei materiali,
componenti e semilavorati all’interno dell’azienda
• Distribuzione fisica, relativa alla gestione dei movimenti dei prodotti
finiti dalla linea di assemblaggio al consumatore finale
• Logistica inversa, relativa alla gestione di quegli atomi che, a vario titolo,
percorrono in senso inverso la catena logistica
Quanto esposto può essere visto graficamente nella figura 2.4.
78
La figura mostra sia la scomposizione del processo logistico nelle fasi di cui
sopra, sia la direzione del flusso di atomi che la logistica deve gestire.
Il processo così schematizzato si articola, in realtà, in una serie di attività
fondamentali il cui efficiente ed efficace espletamento è condizione necessaria al
successo del processo in questione. Tra queste possiamo ricordare [Lambert, Stock
ed Ellram, 1993]:
• Servizio al cliente
Cu
s
tomer
Gestione logistica
Logistica inversa
Logistica in entrata Gestione dei materiali Distribuzione fisica
Informazioni e dati
Materie prime, parti e componenti
Fornitori
Scarti, materiali da riciclare
Sub-assemblaggio
e prime lavorazioni
Fabbrica
Prodotti finiti
Scarti
Magazzini di
prodotto finito
ProdottiCentri di distribuzio
ne
Dettaglio
Scarti, invenduti,
etc.
Scarti, invenduti,
Resi
Pallet
Componenti e semilavorati
Fig. 2.4 – Scomposizione del processo logistico ed evidenziazione dei flussi fisici ed informativi; Fonte: Ross, 1998
79
• Previsione e pianificazione della domanda
• Gestione degli inventari
• Gestione delle comunicazioni
• Movimentazione dei materiali e dei prodotti finiti
• Gestione dei trasporti
• Immagazzinamento dei materiali e dei prodotti finiti
Date queste premesse si evince facilmente una caratteristica importante del
processo logistico, e cioè il suo essere un’interfaccia naturale tra l’impresa i gli
altri soggetti della supply chain, caratteristica che spiga il ricorso massiccio in
ambito logistico alle applicazioni informatiche di tipo integrativo.
Dopo queste necessarie premesse circa l’essenza e il reale contenuto del
processo logistico, è ora giunto il momento di porsi un importante interrogativo.
In che modo la logistica interviene nella creazione di quel valore tanto importante
per il successo dell’impresa e della supply chain?
Un primo aiuto verso una possibile risposta a questa fondamentale
domanda ce lo fornisce, ancora una volta, Ross il quale nell’affermare che
“l’efficiente ed efficace gestione del processo logistico consente all’impresa di
rispondere alle richieste dei clienti” pone in relazione diretta la qualità, e quindi il
valore, del servizio atteso dal cliente con quella che egli definisce la “qualità” del
processo logistico stesso, qualità che, continua Ross, dipende essenzialmente da
tre elementi chiave [Ross, 1998]:
• Produttività del processo logistico
80
• Performance dei servizi logistici
• Sistema di rilevamento della performance del processo e dei servizi
stessi
La produttività del processo logistico riguarda l’assorbimento di risorse da
parte dello stesso processo (efficienza), mentre la performance dei servizi riguarda
la qualità degli stessi e l’efficacia con la quale questi raggiungono gli obbiettivi
prefissati. Questi due elementi costituiscono l’essenza della qualità del processo
logistico, qualità che però necessita di adeguati indici di performance per essere
adeguatamente misurata e permettere al management di adottare le opportune
misure correttive qualora i risultati attesi non dovessero essere in linea con i
risultati programmati. A tal proposito, si rende necessario il ricorso ad indici che
ne sappiano cogliere il significato per il cliente, come ad esempio la frequenza
delle situazioni di stock-out presso i punti vendita, il tempo di processamento
degli ordini, la percentuale di consegne ritardate o incomplete, etc.
Se quanto esposto da Ross getta senza dubbio una luce sul problema che ci
siamo posti è Novack ad aggiungere concretezza ad un discorso fino ad ora
abbastanza astratto e generale. Egli, infatti, elenca una serie di attività concrete
attraverso le quali la logistica interviene fattivamente nel complesso processo di
creazione del valore che, lo si noti ancora una volta, coinvolge, o dovrebbe
coinvolgere, tutti i soggetti in qualche modo facenti parte della supply chain.
In particolare, la logistica crea valore attraverso le seguenti attività [Novack et
al., 1995]:
81
• Trasporto. Questa attività aggiunge valore assicurando la tempestività
delle consegne e l’integrità dei materiali, dei componenti, e dei prodotti
finiti.
• Varie attività operative. La capacità di coordinare efficacemente tanto le
attività interne, quanto quelle che avvengono esternamente nella supply
chain, come la produzione, l’immagazzinamento, e la distribuzione,
consentono alle imprese costituenti la catena logistica di ridurre
continuamente i costi e incrementare i profitti attraverso l’innalzamento
complessi vo della qualità del sistema di offerta.
• Gestione delle giacenze. Il controllo dei costi delle giacenze ha un
impatto diretto sulla performance complessiva del processo logistico. I
metodi di gestione delle giacenze volti a ricercare sempre nuove strade per
contenere l’entità delle stesse consentono all’impresa di liberare risorse
finanziarie che possono essere meglio utilizzate in altri processi a valore
aggiunto.
• Gestione delle informazioni. Le attuali tecnologie dell’informazione e
della comunicazione rendono concretamente realizzabile il collegamento
fra tutti i partner della filiera, più efficace la pianificazione e l’allocazione
delle risorse logistiche, e facilitano la gestione degli ordini dei clienti e dei
servizi ad essi associati. La gestione delle informazioni incrementa la
competitività della singola azienda e del sistema di cui fa parte attraverso
la riduzione del tempo di processamento degli ordini, il contenimento delle
82
giacenze stoccate e in transito, e la facilitazione delle attività di
pianificazione e programmazione della produzione e degli
approvvigionamenti.
• Attività speciali. La logistica contribuisce alla realizzazione del vantaggio
competitivo, in oltre, garantendo il rispetto delle normative statali, come
ad esempio quelle riguardanti lo smaltimento dei rifiuti, il contenimento
delle emissioni inquinanti, e la movimentazione e lo stoccaggio delle
sostanze tossiche o pericolose. In aggiunta, la logistica fornisce un
fondamentale supporto al perseguimento degli obbiettivi di marketing
attraverso il sostegno delle iniziative speciali come svendite o promozioni.
Ciò detto, risulta evidente come la comparsa della SCM abbia elevato la
gestione logistica ad un nuovo ruolo di importanza critica per le aziende
contemporanee. È certamente compito della SCM assistere l’impresa nella
generazione di nuovi mercati e nello sviluppo dell’innovazione di
prodotto/servizio. È sempre compito della SCM fornire gli strumenti teorici per la
fusione delle risorse e delle competenze disperse nella supply chain, ma rendere
concrete le potenzialità strategiche della SCM richiede l’integrazione spinta dei
partner e l’allineamento, ed interfacciamento, dei rispettivi processi operativi
lungo l’intera filiera, e spetta proprio alla logistica realizzare, gestire, e controllare
l’infrastruttura informatica ed organizzativa che deve rendere concretamente
attuabile quella integrazione. E, sebbene anche alle altre classiche funzioni
aziendali, quali il marketing, la produzione e la finanza, venga chiesto di trovare
83
nuove risposte alle sfide poste dalla SCM e dal mutato contesto competitivo,
spetta senz’altro alla logistica creare il terreno fertile e le strutture necessarie a
supportare le alleanze strategiche fra i partner e gli innovativi e multisoggettivi
processi di generazione dell’innovazione, di produzione, di progettazione, e di
distribuzione che della SCM costituiscono l’elemento qualificante. Per assolvere
efficacemente a questo compito impegnativo, i manager logistici devono ripensare
la natura del proprio ruolo e delle proprie responsabilità. Infatti, invece di
concentrarsi sugli obbiettivi operativi quotidiani, i responsabili della logistica si
trovano a dover dedicare sempre più tempo e risorse nella strutturazione delle
alleanze con i partner della supply chain. Questo significa che l’abilità dei
responsabili logistici di gestire le varie attività interfunzionali di loro competenza
al di fuori dei confini organizzativi aziendali diventa sempre più importante
rispetto alla stessa capacità di gestire internamente quelle stesse attività. Capacità
come quelle di saper negoziare, gestire team, coagulare il consenso dei partner su
obbiettivi condivisi, e gestire i progressi dell’ICT, stanno diventando sempre più
bagaglio indispensabile dei responsabili logistici [Lalonde & Ross, 1996].
A rafforzare il nesso tra SCM e Logistica interviene anche una nuova tendenza
nella gestione della logistica stessa, tendenza che affonda le sue radici concettuali
proprio nella SCM e nei presupposti ambientali che ne hanno giustificato la
nascita. Stiamo parlando della crescente tendenza alla terziarizzazione delle
attività logistiche (outsourcing). Infatti, come già detto, i mercati del terzo
millennio richiedono performance logistiche che l’impresa può raggiungere solo
84
esternalizzando le funzione e i processi sottostanti, in altre parole affidando
parzialmente o totalmente la logistica aziendale e i suoi flussi di merci e prodotti
in entrata e/o uscita a operatori professionali e con adeguati volumi di attività. Tali
soggetti sono, infatti, in grado di proporre alla clientela la terziarizzazione
dell’intero ciclo logistico. Essi sono, infatti, capaci di gestire tutti i costi logistici
della distribuzione definendo le scorte minime, i punti di reintegro e gestendo gli
ordini verso i fornitori e la distribuzione finale (vedi tab. 2.1).
Classi di operazioni Servizi Operazioni di trasporto (di approvvigionamento, di distribuzione fisica verso i depositi, verso le piattaforme e i punti vendita)
• Raggruppamento • Smistamento • Organizzazione dei giri di
consegna • Locazione degli automezzi, con o
senza autista, di lunga o breve durata
Operazioni ausiliarie di trasporto • Transito • Dogana • Commissione di trasporto
Operazioni di distribuzione fisica • Movimentazione e gestione del parco pallet
• Ricevimento delle merci • Controllo quali-quantitativo della
merce • Messa in riserva • Etichettatura e pezzatura • Creazione di etichette c0n il codice
a barre per la gestione dei flussi interni e/o del trasporto
• Ricondizionamento • Preparazione degli ordini • Pesatura • Imballaggio • Pallettizzazione • Preparazione dei carichi
85
• Prefatturazione • Consegna finale
Operazioni di gestione • Deposito, tenuta degli stock • Gestione informatizzata degli
ordini • Connessione del sistema
informativo del terzista con quello dei suoi committenti
Operazioni a carattere commerciale • Fatturazione • Merchandising e gestione dei
lineari nei punti vendita • Messa a disposizione del
committente di un ufficio e dei mezzi logistici e informatici presso il trasportatore
• Costruzione di tariffe modulari e gerarchizzate per le differenti componenti modulari di prestazioni proposte
• Gestione e regolamento delle controversie
Operazioni di consulenza logistica • definizione dei mezzi e delle procedure da utilizzare per ottimizzare le operazioni logistiche
A differenza del trasportatore classico che prende in carico la merce da un
unico committente per trasferirla a diversi punti di consegna, spesso il prestatore
di servizi logistici combina la molteplicità delle fonti di spedizione con il
consolidamento dei flussi in piattaforme locali di smistamento secondo la tecnica
del raggruppamento per destinatario. In particolare, a parità di livello di servizio
Tab 2.1 -I servizi offerti dalle imprese outsourcer; Fonte: Colin, Pachè, 1998
86
alla clientela, i risparmi di costo vengono realizzati dai fornitori attraverso la
condivisione delle strutture di distribuzione e grazie alle economie di flusso
conseguibili nelle fasi di raccolta, stoccaggio e consegna delle merci [Luceri,
1996].
Dal punto di vista dell’impresa cliente, invece, l’outsourcing ha la sua
giustificazione fondamentale nel breve-medio periodo, nella riduzione e/o
variabilizzazione dei costi e, nel medio-lungo periodo, nella consapevolezza che
l’innalzamento delle aspettative di servizio richiederebbe investimenti propri in
tecnologie e competenze che le singole aziende avrebbero difficoltà a sostenere,
mentre da parte loro gli operatori logistici sono propensi a migliorare le proprie
capacità interne per offrire ai clienti una gamma sempre più ampia di servizi,
tecnologie e Know how.
Infine, l’outsourcing deve essere distinto dalla semplice esternalizzazione, la
quale consiste nella costituzione di unità esterne dotate di autonomia giuridica con
la missione di erogare servizi all’azienda che le ha poste in essere. L’outsourcing,
invece, ha per oggetto non singoli servizi, ma intere aree di attività e si fonda sulla
costituzione di rapporti di partnership tra l’azienda che esternalizza e un’impresa
che già esiste sul mercato in qualità di specialista nell’erogazione dei servizi
richiesti. L’outsourcing richiede, pertanto, che le parti realizzino un ampio
scambio di informazioni, una pianificazione congiunta e perseguano obbiettivi
comuni in modo da ridurre i rischi di ciascuno ed innalzare la soglia di efficienza.
87
In sostanza, attivare il potere della logistica nell’era della SCM necessita
cambiamenti radicali nel modo in cui le risorse logistiche sono organizzate ed
effettivamente gestite, al fine di stimolare il pensiero critico, supportare una
visione unitaria della filiera, sviluppare continuamente nuovi
prodotti/servizi/processi, ed offrire sempre nuove forme di valore per il cliente.
2.4 SCM ed ICT
“Le origini e il continuo sviluppo del concetto di SCM sono direttamente
dipendenti dalle caratteristiche dell’odierna tecnologia dell’informazione e della
comunicazione (ICT). In fatti, la realizzazione della maggior parte degli aspetti
manageriali e operativi dell’SCM – la messa in rete di team geograficamente
dispersi, l’integrazione delle strategie e delle attività operative del canale, la
connettività fra imprese differenti, la gestione integrata degli inventari lungo
l’intera catena logistica, e altro ancora – sarebbero impossibili senza
l’implementazione di sistemi ICT. L’SCM offre approcci manageriali ed operativi
così innovativi per il conseguimento di vantaggi competitivi poiché è intimamente
legata al potere del networking rinvenibile negli odierni sistemi ICT. Ci sono
pochi dubbi che, al fiorire degli strumenti ICT, le potenzialità di integrazione ed
informative della SCM si espanderanno di conseguenza... In sostanza, al cuore
del concetto di Supply Chain Management può essere ritrovata l’Information and
communication thecnology (ICT)” [Ross, 1998].
88
Come già detto la Supply Chain Management (SCM) è una filosofia di
gestione totale che cerca di fondere le funzioni di business interne con quelle dei
partner di filiera per formare un singolo sistema integrato. Il successo
nell’implementazione della Supply Chain Management può essere misurato sulla
base di quanto strettamente le risorse e le competenze delle imprese costituenti la
filiera sono fuse insieme e focalizzate sulla soddisfazione del cliente finale. Il filo
che tiene i partner di canale uniti è l’informazione, e gli strumenti che essi
utilizzano per la condivisione della stessa è l’ICT che essi sviluppano ed
implementano. All’apparire di nodi informativi lungo la catena logistica, essi
possono essere collegati reciprocamente a creare una rete informativa. Al crescere
del numero dei nodi che possono essere collegati, tanto più robusta diventa la
condivisione informativa e tanto più efficace il processo decisionale lungo i
molteplici livelli della catena logistica convergente.
Entrando maggiormente nel dettaglio, due sono, in particolare, le possibilità
innovative introdotte in azienda dalle moderne tecnologie della comunicazione e
dell’informazione, possibilità che, relativamente al rapporto in discussione nel
presente paragrafo, sono da considerarsi certamente alla base della nascita e
diffusione della SCM:
• Possibilità di integrare processi inter e intra aziendali
• Possibilità di networking
L’integrazione spinge per l’eliminazione delle barriere ideologiche,
strategiche ed operative caratteristiche delle vecchie strutture gerarchiche. Da un
89
punto di vista organizzativo, l’integrazione significa gestire strumenti informativi
che uniscano le funzioni operative, sia a livello aziendale che lungo la supply
chain, facilitando in tal modo la cooperazione nell’esecuzione dei processi di
business.
Per quanto riguarda le possibilità di networking, invece, ci si deve ricollegare
a quanto detto precedentemente circa le modalità di manipolazione e trasmissione
delle informazioni nelle organizzazioni funzionali gerarchiche. In passato, i
sistemi informativi manuali o basati su mainframe permettevano il trasferimento
dei dati solo seguendo la struttura gerarchica del sistema stesso, che ovviamente
ricalcava quella dell’azienda implementante. Quando un nodo informativo
completava il suo lavoro, l’output veniva trasmesso al nodo successivo, il quale,
dopo averlo a sua volta elaborato, lo passava al nodo successivo e così via. Oggi,
invece, con l’avvento dei PC e dell’architettura client/server, il processo di
trasmissione delle informazioni si è svincolato dalla struttura gerarchica aziendale
per connettere in una grande rete pari a pari differenti stazioni di lavoro e relativi
database. Queste reti pari a pari permettono alle aziende di manipolare le
conoscenze, le capacità e le esperienze delle persone integrandole in team
multifunzionali orientati ai processi. Cosa ancor più importante è, però, che a far
parte di tali team possono essere chiamati anche soggetti esterni alla singola
organizzazione, ovunque dispersi nella supply chain e, quindi, senza alcun
vincolo fisico a formare, in tal modo, team non solo interfunzionali ma anche
intra aziendali.
90
Riassumendo, l’integrazione è il processo finalizzato al collegamento logico
delle diverse funzioni di business, mentre il networking consiste nell’attivazione
concreta di quei collegamenti svincolati da vincoli gerarchico - organizzativi, i
quali consentono alle persone di andare oltre i confini funzionali ed aziendali per
fondere le rispettive competenze ed esperienze in un sistema policentrico. È
evidente quindi come integrazione e networking siano entità complementari che
possono essere combinate insieme e dar vita, in tal modo, a quello che Ross
definisce come il “Processo Integrativo” [Ross, 1998]. Secondo Savage questo
processo “ci mette in contatto con tutto ciò che ci circonda, con i clienti, con i
fornitori, in schemi di relazioni che cambiano continuamente. Inoltre, tale
processo ci mette in contatto con le nostre ambizioni, emozioni e conoscenze. Il
processo integrativo è un processo volto alla creazione di reti umane: esso mette
in rete le nostre visioni e conoscenze così da permetterci di intraprendere azioni
decisive in concerto con gli sforzi di altri soggetti.”
[Savane, 1990]
Fino a questo punto, lo si sarà notato certamente, il discorso è stato mantenuto
volutamente astratto. Si sono analizzati i legami esistenti tra SCM ed ICT e si
sono viste, in particolare, quali possibilità innovative pongono, tali tecnologie, al
servizio dell’impresa per il miglioramento dei processi strategici e delle modalità
operative. Tutto ciò è stato fatto introducendo i concetti di integrazione e
networking ma ancora nessun accenno è stato fatto a specifici ed individualizzati
strumenti tecnologici. È ora giunto il momento di colmare tale lacuna.
91
La capacità della SCM di integrare le funzioni aziendali e creare una rete
informativa è resa concretamente realizzabile dalla nascita e lo sviluppo di tre
strumenti informatici:
• I database condivisi
• Le reti di database
• Le tecnologie EDI
Lo sviluppo dei database condivisi ha permesso di risolvere uno dei maggiori
ostacoli all’effettiva trasmissione e condivisione di informazioni e dati all’interno
delle strutture aziendali. Nelle vecchie organizzazioni gerarchiche ogni
dipartimento aveva il proprio archivio informativo e, come già ampiamente detto,
passava le informazioni al nodo successivo solo dopo averle elaborate secondo le
proprie esigenze. Come è facile aspettarsi, le informazioni critiche che
necessitavano di essere comunicate all’intera organizzazione risultavano, in tal
modo, spesso incomplete, intempestive e di difficile interpretazione. D’altra parte,
l’esistenza di un unico archivio condiviso, il cui accesso sia, cioè, possibile
all’intera comunità di utenti seppure con vincoli e limitazioni legati ai ruoli dagli
stessi utenti ricoperti in azienda, consente all’organizzazione di mantenere la
coerenza e l’integrità dei dati archiviati, oltre che consentire il tempestivo accesso
agli stessi interessati e a ciò opportunamente abilitati. Tutto ciò, ovviamente, si
ripercuote positivamente sulla produttività e sul livello di allineamento tra
obbiettivi strategici ed attività operative raggiunto dall’intera supply chain. La
potenza dei database condivisi è ulteriormente amplificata da un altro strumento
92
messo a disposizione dall’attuale tecnologia informatica: le reti di database. In
passato, le aziende erano obbligate ad utilizzare software il cui impiego era
vincolato a determinate piattaforme hardware (si veda il capitolo 4 per
approfondimenti). Evidenti problemi emergevano ogni qual volta si presentava la
necessità di integrare archivi che giravano su piattaforme differenti. Lo sviluppo
delle attuali reti di PC e l’imporsi degli standard aperti hanno risolto in buona
parte questi problemi. In sostanza le moderne tecnologie permettono il
consolidamento dei dati archiviati in database differenti ed alloggiati su computer
differenti in un unico archivio logico.
Il terzo ritrovato tecnologico, al quale si è gia più volte fatto riferimento, è
costituito dai sistemi EDI (Electronic Data Interchange). In realtà, senza l’ausilio
di tali sistemi niente di quanto visto precedentemente sarebbe possibile. Infatti i
sistemi EDI forniscono la connettività fisica tra stazioni indipendenti
rappresentando di fatto il canale attraverso il quale fluiscono le informazioni.
È grazie a tali innovazioni tecnologiche che gli attuali sistemi informativi
forniscono alle singole imprese, e all’intera supply chain, una serie di vantaggi
chiave. Per iniziare, la possibilità di processare informazioni ottenute in tempo
reale e l’integrazione di rete riducono il tempo necessario per la pianificazione e
l’esecuzione dei cicli. Questo, a sua volta, si traduce in una riduzione degli
inventari e degli investimenti in attività fisse ad essi relativi, nonché facilita le
transazioni. In secondo luogo, la tempestività e l’accuratezza delle informazioni
permettono ai fornitori di essere più pronti nel rispondere alle esigenze dei loro
93
clienti. Terzo, i sistemi in questione permettono alle imprese di ottimizzare le
rispettive funzioni operative riducendo le ridondanze ed incrementando la
produttività. Quarto, l’automazione delle attività routinarie consente ai dipendenti
di concentrarsi sulle attività che aggiungono valore, mentre le potenzialità
integrative delle reti permettono loro di accedere alle conoscenze e alle esperienze
dei partner attraverso la costituzione di team virtuali inter-aziendali. In fine, tutti i
livelli del management possono prendere decisioni più efficaci, in quanto basate
su informazioni tempestive ed aggiornate che riflettono l’effettivo stato del
mercato.
Sebbene l’ICT possa fornire alla catena logistica la possibilità di raggiungere
significativi miglioramenti nella produttività e nella capacità di competere, le
aziende devono, però, prestare grande attenzione alla scelta delle specifiche
soluzioni ICT da introdurre al proprio interno Se è vero, infatti, che l’Information
and Communication Technology può aprire all’impresa la strada verso il successo
essa, non di meno, introduce in azienda vincoli e complessità i quali, se non
attentamente ponderati e calibrati sulle reali esigenze dell’azienda stessa, possono
portare a risultati catastrofici e compromettere, se non la sopravvivenza,
sicuramente il raggiungimento degli obbiettivi prefissati. Al fine di evitare tutto
ciò si rendono pertanto necessarie una serie di precauzioni a partire dall’esatta
individuazione degli obbiettivi aziendali e delle problematiche che dovranno
essere affrontate in modo da restringere lo spettro delle soluzioni ICT adottabili.
Un tale passo è necessario al fine di evitare alcuni errori classici, come l’acquisto
94
di tecnologie sovradimensionate rispetto alle reali esigenze, non finalizzate allo
scopo che ci si prefiggeva di raggiungere, o che pongono seri limiti di
compatibilità con i futuri e prevedibili sviluppi della tecnologia. In generale,
comunque, le tecnologie ICT implementate all’interno dell’azienda e della supply
chain devono poter fornire una risposta alle seguenti sfide:
• Capacità di fornire servizi personalizzati e a valore aggiunto
• Capacità di fornire il supporto necessario alla creazione di relazioni di
lungo termine tra i partner della catena logistica
• Capacità di adattarsi ai progressi tecnologici
• Capacità di fornire supporto ai processi transattivi tramite la verifica della
condizione finanziaria delle parti contraenti e il trasferimento dei fondi
• Capacità di estendere il ricorso a terzi fornitori di servizi di vario tipo,
inclusi gli stessi servizi informatici (ASP – Application Service Provider)
e i servizi logistici
• Capacità di migliorare la gestione e il controllo della logistica interna
In ultima analisi, e riassumendo, si può dire che il successo
nell’implementazione di qualsiasi strumento ICT può essere misurato sulla base di
quanto strettamente le risorse e le competenze di ciascun partner della supply
chain possono essere fuse insieme e focalizzate sulla soddisfazione del cliente
finale. Le imprese più lungimiranti riconoscono che i progressi dell’ICT
forniscono loro potenti strumenti per fondere ed armonizzare le diversità dei vari
partner di filiera in un unico sistema di fornitura finalizzato alla creazione di
96
Capitolo 3
LA GESTIONE DELLE GIACENZE
3.1 Introduzione
L’efficiente ed efficace gestione delle scorte dell’intera catena logistica è
forse l’obbiettivo fondamentale della SCM. Essa, in tal modo, si pone, tra gli altri,
l’obbiettivo di sciogliere il dilemma fondamentale sollevato dalla gestione delle
giacenze stesse. Infatti all’interno della supply chain le scorte sono senz’altro
necessarie per il conseguimento degli obbiettivi del marketing e del servizio al
cliente; tuttavia, una quantità eccessiva di scorte, o un errato assortimento delle
stesse, risultano dannosi per il benessere dell’intera supply chain. Le giacenze,
infatti, assorbono ed immobilizzano capitale, incorrono in costi di gestione,
necessitano di essere custodite e trasportate, e possono deteriorarsi o divenire
obsolete. Quando gestite impropriamente, le scorte possono diventare una
passività significativa riducendo la capacità dell’impresa di produrre reddito.
D’altra parte, il valore di un’appropriata gestione dell’inventario eccede di gran
lunga i suoi stessi costi. La disponibilità dei prodotti nel luogo, nel tempo, nella
qualità, nella quantità e al prezzo desiderati dal cliente, non solo fornisce un
immediato ritorno sotto forma di maggior profitto, ma assicura soprattutto la
fedeltà del cliente stesso nel medio – lungo termine e la leadership nel segmento
97
di mercato di riferimento. Quando condotta efficacemente, la gestione delle scorte
permette la realizzazione delle strategie di marketing, finanziarie e logistiche, e
fornisce il lubrificante al flusso dei beni fisici e dei servizi dal fornitore di materie
prime al consumatore finale.
Il presente capitolo espone i principi teorici alla base della gestione
integrata delle scorte. Dopo una illustrazione del concetto di “scorta” e delle sue
varie nature ed accezioni si analizzeranno quali sono i motivi che rendono
conveniente ricorrere ad una gestione unitaria dei diversi inventari dei partner
della supply chain, si analizzerà in cosa consiste la concorrenza basata sul tempo,
come le informazioni possono sostituire gli inventari e altri principi teorici
generali, i quali illustrano gli obbiettivi strategici cui la funzione logistica deve
mirare in un’ottica SCM.
3.2 La gestione e il controllo delle scorte: un’introduzione
Le scorte, definite da Pellicelli [Pellicelli, 1994] come “un insieme di
materie prime, semilavorati e prodotti che in un determinato momento sono in
attesa di partecipare ad un processo di trasformazione o di distribuzione”,
assumono un ruolo cruciale nella gestione della supply chain poiché permettono
di regolare lo svolgimento dei processi di acquisto, di trasformazione e di
distribuzione delle produzioni realizzate. Questa finalità, in apparenza molto
semplice ed intuitiva, nasconde in realtà un’enorme complessità in relazione alla
numerosità dei fattori, esogeni ed endogeni all’impresa, che possono influenzare
98
tale regolarità. A titolo di esempio si pensi alla necessità di anticipare la
produzione in tutti quei casi in cui la capacità produttiva non è strutturalmente in
grado di far fronte a picchi delle vendite dovuti ad un profilo stagionale della
domanda, oppure si pensi all’esigenza di disaccoppiare la singola unità produttiva
dalla domanda del mercato o dell’unità a valle al fine di consentirne un
funzionamento più efficiente. In relazione specificatamente a quest’ultimo
aspetto, si consideri il ruolo di ammortizzatore della variabilità, in termini di
volumi, e della varietà, in termini di assortimento, giocato dalle scorte nei vari
stadi della catena logistica. In particolare, alcuni autori [Falcone, 1992; Marini,
1994] sottolineano la funzione delle:
• Scorte di materie prime, nel separare le rigide necessità, sia in termini
temporali che quantitativi, dei reparti di produzione rispetto alle
irregolarità delle consegne dei fornitori
• Scorte di semilavorati, nell’isolare il singolo centro di lavoro rispetto alle
fasi a monte e a valle, affinché questo possa essere programmato in modo
sostanzialmente autonomo e possa funzionare per un certo lasso di tempo
senza risentire dell’influenza dei flussi in entrata ed in uscita
• Scorte di prodotto finito, nello sganciare, sempre in termini di tempo e di
quantità, le esigenze dei clienti dai vincoli del ciclo produttivo
Tutto ciò sottolinea come, attraverso la formazione ed il mantenimento di
adeguate scorte, l’azienda tenda a fronteggiare le asincronie tra i tempi di
produzione e quelli di consumo, con la finalità evidente di assicurare una certa
99
Forme delle scorte
Funzioni delle scorte
Materie prime Semilavorati Prodotti finiti
Di transito
• Lontananza dei fornitori
• Struttura dei sistemi di approvvigionamento
• Localizzazione e layout dello stabilimento
• Tipologia del processo produttivo
• Sistemi di movimentazione dei materiali
• Lontananza dei mercati serviti
• Sistema di distribuzione fisica del prodotto
Di ciclo • Acquisto a lotti
• Produzione a lotti
• Tecnologia del processo produttivo
• Distribuzione a lotti
Di sicurezza • Affidabilità
dei fornitori • Qualità delle
forniture
• Affidabilità degli impianti
• Fluttuazioni della capacità produttiva
• Qualità del processo produttivo
• Affidabilità delle previsioni
• Fluttuazioni della domanda
• Affidabilità delle consegne del sistema produttivo
Di disaccoppiamento
• Flessibilità dei fornitori
• Flessibilità degli impianti
• Bilanciamento delle linee produttive
• Flessibilità del sistema produttivo
Stagionali • Stagionalità delle forniture
• Stagionalità della domanda
Tab 3.1 - Tipologie di scorte e variabili che le influenzano; Fonte: Rielaborazione Di Meo, 1985; Zanoni, 1989
100
costanza del volume di produzione compatibilmente con le peculiari esigenze del
proprio mercato. Questa generica funzione di regolazione è all’origine delle più
note classificazioni funzionali2 delle scorte che prevedono una suddivisione tra
[Di Meo, 1985; Lanzara, 1988; Zanoni, 1989; Falcone, 1992] (tab 3.1):
• Scorte di transito: si generano a causa del tempo necessario per trasferire
un bene da un dato stadio di lavorazione o da un punto di stoccaggio al
successivo
• Scorte di ciclo (o di partita): si manifestano quando si produce in misura
maggiore rispetto a quanto serve per il fabbisogno immediato. E’ il caso
classico delle scorte che si formano nella produzione a lotti
• Scorte di sicurezza: necessarie per far fronte alle incertezze e alle
irregolarità che caratterizzano i flussi all’interno della catena logistica
• Scorte di disaccoppiamento: vengono costituite per fornire una certa
indipendenza a ogni stadio della catena logistica, ossia perché ciascun
nodo del flusso possa operare per un dato periodo di tempo in autonomia.
Tipica è la scorta che si viene a formare tra fasi sbilanciate in una linea di
produzione
2 Non si considerano in questa sede le scorte di natura speculativa in quanto vengono costituite, indipendentemente dalla funzione tecnica da esse svolta, per trarre vantaggio da una variazione prevista dei prezzi in un determinato periodo di tempo. Pertanto la loro gestione esula dalle scelte logistiche oggetto di studio nel presente testo.
101
• Scorte stagionali: si originano per fronteggiare le variazioni stagionali tra
andamento della domanda e ritmo di produzione
. Ciò premesso, emerge chiaramente, ma sarà più evidente con il proseguo
della discussione, come si renda sempre più indispensabile attuare le politiche più
adatte per mantenere le giacenze entro limiti fisiologici, che siano cioè sufficienti
ad ammortizzare le fluttuazioni all’interno della catena logistica. A tal fine, la
prassi aziendale ha sviluppato due distinte modalità di gestione dei materiali, che
si contrappongono con riferimento sia alle logiche sottese, sia agli strumenti
operativi adottati.
Una prima modalità, definita alternativamente Stock control o Look back,
postula l’esistenza di una scorta che viene reintegrata ogni qualvolta essa scende
al di sotto di un certo livello ritenuto fisiologico3. E’ una logica reattiva poiché la
gestione dei materiali all’interno della supply chain, o di uno specifico stadio, si
realizza predisponendo scorte che anticipano il manifestarsi del fabbisogno.
Questo non viene previsto in relazione a quanto può manifestarsi nel futuro, ma è
stimato in funzione della storia più o meno recente che caratterizza il determinato
articolo da gestire. Il fabbisogno così determinato viene gestito all’interno della
singola unità produttiva nell’ottica di ottimizzare il bilanciamento nel tempo tra
carico/capacità e tra oneri di giacenza/oneri di riconfigurabilità4 [Bonel, 1989].
3 Quanto descritto si basa sulle logiche di funzionamento delle tecniche di gestione delle scorte a quantitativi fissi. In realtà, vi è anche una modalità alternativa che prevede di ricostruire la scorta in funzione del risultato del controllo della giacenza effettuato in istanti temporali predefiniti. 4 La riconfigurabilità è l’espressione del grado di flessibilità dell’impianto al mix produttivo, ossia della capacità di riassortire un’ampia gamma di prodotti all’interno di un mix dato [Brandolese, 1990].
102
Nella seconda modalità, comunemente conosciuta come flow control o look
ahead, l’enfasi si sposta dalla gestione di uno stock alla gestione di un flusso di
materiali. In questo caso, infatti, non si postula l’esistenza a priori di una scorta,
bensì la pianificazione del flusso che attraversa i vari stadi di
approvvigionamento, produzione e distribuzione all’interno della supply chain. La
programmazione dei flussi avviene ovviamente rispettando la tempificazione dei
fabbisogni, calcolati in base alla richiesta finale effettiva o in funzione di
previsioni attendibili della stessa. Il metodo flow control risulta pertanto alla base
dell’approccio di pianificazione e programmazione della produzione, oggetto di
studio dettagliato nel capitolo successivo. Esso si struttura a partire dalla
previsione della domanda per trasferire successivamente tali previsioni in piani di
produzione caratterizzati da un progressivo livello di dettaglio, fino alla
determinazione dei fabbisogni dei materiali calcolati attraverso l’esplosione della
distinta base e l’anticipazione delle fasi di lavorazione in relazione ai singoli lead
time che caratterizzano i vari stadi del processo produttivo e distributivo.
Nel flow control l’eventuale formazione di stock lungo la catena logistica
deve essere considerata come il risultato di vincoli di rigidità intrinseci al sistema
stesso, non certo come il presupposto della logica di gestione sottostante, come
avviene invece nello stock control. In astratto nel flow control non dovrebbero
esistere scorte di nessun tipo di materiale, salvo quelle che precedentemente
abbiamo definito di transito [Bonel, 1989; Zanoni, 1989]. Si è detto in astratto in
quanto occorrerebbe ipotizzare una situazione ideale in cui, ad esempio, sia
103
possibile prevedere in misura molto accurata il manifestarsi della domanda,
anticipare adeguatamente la produzione e l’approvvigionamento dei materiali
necessari, non avere variabilità nei rifornimenti e nel processo produttivo e
disporre di fasi di produzione perfettamente bilanciate, prive cioè di colli di
bottiglia, e dotate di forte elasticità. Se si rimuovono queste ipotesi restrittive e del
tutto irrealistiche, anche in un sistema flow control si manifesta la presenza di
scorte, che tuttavia – è opportuno sottolinearlo nuovamente data l’estrema
importanza del concetto – non rappresentano il frutto di una decisione ex-ante, ma
il risultato ex-post dell’impatto di una serie di variabili endogene ed esogene. In
relazione alla natura e alla funzione attribuita alle scorte, si veda ancora la tabella
3.1 che sintetizza i principali fattori che ne determinano la creazione. La lettura
della tabella è sufficientemente intuitiva per cui non ci si sofferma sul commento
dei singoli punti.
Venendo ai principali vantaggi generalmente associati al metodo flow control,
relativamente al metodo stock control, essi possono essere identificati nei seguenti
[Bonel, 1989; Di Bernardo e Rullani, 1990]:
• Minore immobilizzo di capitale investito in scorte, poiché queste sono
finalizzate a coprire una precisa domanda che, se si verifica, assorbe la
totalità del magazzino
• Maggiore tempestività nel porre in sintonia le attività produttive con le
variazioni della domanda, in virtù dell’assenza di ritardi indotti dalla
frapposizione degli stock
104
• Minori rischi di obsolescenza degli articoli, poiché viene generalmente
prodotta la quantità richiesta
Di converso è opportuno segnalare anche una serie di svantaggi, cui
corrispondono specularmente i vantaggi del metodo stock control:
• Non sempre si hanno a disposizione le richieste effettive. Inoltre le
previsioni dei fabbisogni futuri possono scontare elevati gradi di
incertezza che inficiano la validità della logica sottostante connessa
all’ordinazione di quantitativi allineati al consumo prospettico e al
coordinamento temporale tra i vari stadi
• È necessario disporre di un sistema informativo molto articolato e
complesso per il quale i costi di progettazione e di gestione possono
annullare, in tutto o in parte, i benefici legati al contenimento degli oneri
di mantenimento delle scorte
• Occorre mantenere sempre le macchine in condizione di elasticità,
nell’ipotesi di dover far fronte a tutti i possibili programmi [Di Bernardo e
Rullani, 1990]
Si procederà di seguito ad un’analisi accurata dell’approccio flow control,
approccio sicuramente più coerente alle logiche di gestione proprie della Supply
Chain Management. Questa maggior coerenza non deve però indurre ad escludere
il ricorso allo stock control anche all’interno di una supply chain integrata.
Ragioni di opportunità economica, nonché vincoli strutturali endogeni ed esogeni,
possono sicuramente consigliare, in particolari stadi della catena logistica, il
105
ricorso a quest’ultimo per la gestione di alcuni input o output del processo
produttivo, cosicché sarà sicuramente possibile rinvenire, all’interno di una filiera,
articoli gestiti in ottica stock ed altri gestiti in ottica flow, senza che ciò costituisca
uno strappo ai principi teorici della SCM.
3.3 La gestione e il controllo delle scorte: Approfondimenti teorici
Nel paragrafo precedente, oltre ad analizzare il concetto di “scorta” si sono
introdotti i due metodi maggiormente utilizzati per la gestione delle giacenze
stesse. È ora giunto il momento di analizzare il contesto teorico nel quale, e dal
Materie primi e
materiali grezzi
Componenti Prodotti
Magazzini, Distributori Dettagliante Cliente
Flusso fisico
Flusso informativo
Third party logistic service provider
Application service provider
Fig 3.1 – I soggetti coinvolti nel processo logistico; Fonte: Ross, 1998
106
quale, tali metodologie, e in particolare il metodo flow control, traggono
fondamento e legittimazione.
La gestione e l’utilizzo strategici delle giacenze dell’intera catena logistica
sono sicuramente da considerarsi tra i pilastri della strategia competitiva della
filiera. Il primo scopo delle scorte della supply chain è quello di rifornire ciascun
partner, nonché il consumatore finale, con quanto necessario nella quantità, nel
luogo, e nel momento opportuni. Ad ogni modo, sebbene ci sia un ampio
consenso sui benefici derivanti dalle giacenze stoccate, un consenso non minore
riguarda i pericolosi effetti che un eccesso di stock può avere sulla redditività del
sistema filiera.
Per poter efficacemente comprendere i principi teorici sottesi alla gestione
integrata delle scorte dell’intera catena logistica appare innanzitutto necessario
dare uno sguardo al percorso che le stesse devono percorrere nel loro fluire verso
il mercato, nonché ai soggetti che a vario titolo partecipano al processo. Come
illustrato nella figura 3.1, il flusso fisico attraverso l’intero canale logistico può
essere idealmente scomposto in sei stadi consecutivi. Esso inizia con
l’acquisizione delle materie prime. Tale passaggio vede coinvolti fornitori e
aziende manifatturiere. Le problematiche derivanti da questo passaggio
riguardano la selezione dei fornitori, l’eventuale ricorso a contratti di partnership,
le modalità di trasporto e consegna, la sincronizzazione delle attività operative e la
verifica della performance dei fornitori stessi.
107
Negli stadi due e tre, le scorte acquistate vengono trasformate in
semilavorati e prodotti finiti. Il secondo stadio, in particolare, è focalizzato sulla
trasformazione dei materiali grezzi in un’ampia varietà di componenti mentre nel
terzo stadio i componenti acquistati o fabbricati in proprio sono finalmente
Struttura semplice – canale
Fornitore
Fornitore Manufacture
Cliente
Cliente
Magazzini, distributore
Magazzini, distributore
Fornitore
Fornitore Manufacture
Cliente
Cliente
Cliente
Cliente
Fornitore
Fornitore Manufacture
Magazzini, distributore
Dettagliante
Dettagliante
Cliente
Cliente
Cliente
Cliente
Magazzini, distributore
Dettagliante
Dettagliante
Cliente
Cliente
Cliente
Cliente
Struttura multicanale – canale
Struttura complessa – canale indiretto
Fig. 3.2 – Strutture del canale distributivo; Fonte: Ross,
108
assemblati nel prodotto finito. Le problematiche che si incontrano in questi due
passaggi derivano dall’implementazione delle tecniche del JIT e del TQM,
entrambe finalizzate alla riduzione dei componenti e dei materiali stoccati, al
ridimensionamento dei lotti in entrata/uscita e al contenimento del numero di
prodotti scartati o da rilavorare.
Il quarto stadio segna l’inizio del flusso distributivo in senso stretto. La
parte più critica di questo passaggio riguarda la scelta della struttura da dare al
canale distributivo attraverso il quale i prodotti realizzati nello stadio precedente
arrivano nelle mani del consumatore finale. Come illustrato nella figura 3.2, ci
sono sostanzialmente tre possibili strutture che possono essere adottate.
Nella prima il prodotto è venduto direttamente dal produttore al
consumatore finale.
La seconda struttura è più complessa ed è composta da una serie di
distributori intermedi posti fra il manufacturer e il consumatore. I distributori
possono essere soggetti terzi indipendenti o controllati dal produttore. Questa
tipologia di canale è più costosa e più difficile da controllare rispetto alla struttura
analizzata in precedenza.
In fine, l’ultima tipologia è sicuramente la più complessa e prevede un
ulteriore passaggio tra il distributore e il consumatore, passaggio coperto dal
dettagliante.
Temi critici di questo stadio per quel che riguarda la gestione delle scorte
sono la definizione delle politiche di marketing per il canale distributivo, la
109
determinazione e il controllo dei costi logistici complessivi, la determinazione del
numero, della localizzazione, e delle dimensioni dei centri di distribuzione, il
controllo e la gestione dei livelli delle giacenze ad ogni stadio del canale, la
definizione delle procedure per il processamento degli ordini, e la gestione del
servizio al cliente.
In fine, attraverso gli stadi cinque e sei il prodotto è consegnato al
dettagliante e da qui giunge al consumatore finale. È da notare che il numero dei
livelli e gli assetti proprietari delle strutture analizzate precedentemente variano da
supply chain a supply chain.
Descritto il percorso che le giacenze fanno nel loro fluire verso il mercato
dobbiamo porci, adesso, una domanda fondamentale. In termini generali ed
astratti, qual’è l’obbiettivo cui la gestione delle stesse deve tendere all’interno di
ogni singola impresa e della supply chain tutta?
Sebbene la condizione ottimale, ricordando quanto detto in precedenza,
sarebbe l’assenza totale di stock, a causa del fatto che, in una delle varie forme
viste in precedenza, l’esistenza di giacenze nei vari nodi della catena logistica è
certa, l’obbiettivo di una efficiente gestione delle scorte stesse all’interno della
supply chain deve essere l’assicurare che le giacenze stoccate siano una fonte
continua di vantaggio competitivo. La sfida è identificare nuovi metodi per
migliorare il rapporto tra valore aggiunto dalle giacenze e costi per il
mantenimento delle stesse. In prima approssimazione, pertanto, la gestione delle
scorte di canale può essere definita come “l’utilizzo e la redistribuzione delle
110
scorte di materiali grezzi, componenti, wip e prodotti finiti fra i partner della
catena logistica allo scopo di creare valore per il cliente” [Ross, 1998].
Al fine di perseguire efficacemente tale obbiettivo, ovviamente la gestione
delle giacenze deve pur risultare conforme ad alcuni principi generali.
Premettendo che l’identificazione di regole precise è assolutamente impossibile,
come dimostrano le notevoli diversità emergenti dalle varie esperienze pratiche
cui numerose imprese hanno dato vita negli ultimi anni, è possibile tuttavia,
procedendo per deduzione, isolare dalle stesse alcuni principi teorici generali che
possono senz’altro valere come riferimento nell’implementazione di una gestione
delle scorte di tipo integrato In particolare Ross individua i seguenti [Ross, 1998]:
• Tutte le scorte della catena logistica devono essere gestite con la finalità di
massimizzare il valore del servizio erogato al consumatore finale
• Le giacenze della filiera devono essere gestite come se fossero parte di un
unico sistema competitivo, e non devono, pertanto, essere gestite
indipendentemente in ciascun nodo della filiera
• La chiave per una gestione di successo delle giacenze di filiera risiede
nella gestione del tempo che le stesse impiegano a percorrere l’intera
catena logistica nel loro tragitto verso il consumatore finale
• La disponibilità e la possibilità di elaborazione di informazioni tempestive
circa la domanda del consumatore finale, lo status delle giacenze lungo
l’intera supply chain, e lo status del rifornimento dei singoli nodi, sono il
miglior sostituto delle giacenze stoccate lungo la catena logistica stessa
111
3.3.1 L’inventario come fonte di valore del servizio erogato al cliente
La presenza di scorte opportunamente dislocate nella catena logistica è
una indiscussa fonte di valore sotto forma di servivi erogati al cliente finale.
Per poter misurare efficacemente la performance della gestione delle
scorte è essenziale la comprensione delle due, ma strettamente correlate,
dimensioni alla base del concetto di “valore delle scorte”.
Per il fornitore, ovunque collocato nella supply chain, tale valore assume
la forma del livello di soddisfazione ottenuto dal cliente, livello misurato in
funzione della disponibilità del prodotto offerta al cliente stesso per soddisfare le
sue immediate esigenze, della capacità di effettuare consegne complete ed
accurate alla data stabilita, e della lunghezza del tempo di processamento degli
ordini, e quindi del tempo necessario a rispondere agli input provenienti dal
cliente.
D’altra parte, il cliente percepisce il valore dei beni acquistati in base alla
risposta che gli stessi sono in grado di fornire ai propri bisogni e desideri o in
relazione alle opportunità che il loro utilizzo può dischiudere.
Alla luce di ciò il problema diventa non quanto inventario stoccare lungo
la catena logistica ma, come già detto, quali processi rivolti alla soddisfazione del
cliente attivare per incrementare il valore dell’inventario stesso come fonte di
vantaggio competitivo e, contemporaneamente, ridurne i costi associati.
112
Con riferimento a tali principi teorici, concretamente le aziende
percepiscono il valore delle scorte come fonte di vantaggio competitivo in
migliaia di modi differenti, a seconda degli obbiettivi strategici, delle
caratteristiche del business, e della posizione occupata nella catena logistica. Si
consideri, ad esempio, la McMaster Carr Supply Company, un distributore
globale di prodotti industriali del valore di diversi miliardi di dollari. L’azienda
consiste di quattro mega centri distributivi con più di mille addetti. In ogni
momento l’azienda nel suo complesso stocca oltre 175.000 articoli differenti per
un valore di centinaia di milioni di dollari. Il valore di questo investimento
impressionante, per tacere dei costi associati alle strutture e ai servizi necessari per
supportarlo, può essere rinvenuto nell’impegno assunto dalla McMaster ad
evadere un ordine entro sole otto ore lavorative dal ricevimento dello stesso, a
prescindere dalle dimensioni e dal valore dell’orine stesso. Il fatto che l’azienda
possa sbandierare una percentuale di successo del 97% nel mantenere fede a tale
impegno testimonia inequivocabilmente l’abilità della stessa nel gestire enormi
quantità di articoli e complessi canali distributivi al fine di erogare valore prezioso
per il cliente e per il proprio personale successo.
D’altra parte, per la maggior parte delle aziende manifatturiere l’incessante
ricerca di metodi per eliminare le scorte non impegnate in processi produttivi è la
conseguenza di un modo completamente diverso di guardare alle stesse.
McMaster vede il valore dell’inventario nella propria capacità di rispondere quasi
istantaneamente alle richieste del cliente. McMaster però è un distributore. Per un
113
manufacturer il discorso è diverso. Esso, infatti, vede le scorte erogare valore solo
quando sono richieste in produzione. Il manufacturer risponde al cliente non
avendo stock disponibili ma implementando processi produttivi flessibili
abbastanza per cambiare rapidamente produzione con un preavviso minimo e
contenendo confusione e difficoltà varie. Ad esempio, la Baldor Electric,
produttore statunitense di motori elettrici, ha progettato ed implementato processi
produttivi tali da consentirle la produzione di migliaia di modelli di motori in lotti
di piccole dimensioni. Lo stabilimento è un meraviglioso esempio di Kanban e
tecniche per il controllo qualità espressamente concepite per limitare l’attesa delle
scorte e facilitarne il flusso lungo tutti gli stadi del processo produttivo. L’intero
ciclo produttivo è stato così portato ad un risicatissimo cinque giorni [Martin,
1996]. È ovvio quindi che imprese come la Ford, la PepsiCo o la Eaton abbiano
percezioni completamente differenti del valore delle scorte rispetto a imprese
come la McMaster, Walmart, etc.
Un’impresa manifatturiera che normalmente misura la propria
competitività a lungo termine anche attraverso il tasso di rotazione delle scorte
collasserebbe sotto il peso del mantenimento di un vasto stock di materiali,
semilavorati e prodotti finiti, giusto in caso dovessero essere necessari in un non
meglio definito momento futuro. In contrasto, un’azienda distributiva verrebbe
rapidamente spinta fuori dal mercato se i propri clienti dovessero aspettare cinque
giorni per vedersi consegnare un articolo urgente.
114
Il nocciolo del problema non è, quindi, se le aziende debbano cercare ad
ogni costo di eliminare completamente il proprio inventario o no, ma, piuttosto,
quale valore può fornire un dato livello di magazzino al posizionamento
competitivo dell’impresa stessa. Proprio la gestione di tale valore è uno degli
obbiettivi cruciali della SCM e della funzione logistica in particolare.
Di seguito si riportano alcune delle specifiche modalità, individuate da Ross,
attraverso le quali un’attenta gestione dello stesso può avere effetti positivi sul
servizio erogato al cliente [Ross, 1998]:
• Incremento dell’efficienza del canale. Rimuovendo gli eccessi di stock
lungo l’intera rete di imprese, riprogettando i processi distributivi,
implementando le tecniche JIT, e rendendo più fluido il flusso
dell’inventario, la supply chain può ridurre significativamente i costi
complessivi di canale e, contemporaneamente, assicurare la disponibilità
del prodotto giusto nel posto giusto al momento giusto così da
capitalizzare le opportunità di mercato. In modo particolare, si deve notare
come l’efficienza del servizio incrementi l’accessibilità al prodotto.
L’accessibilità si può identificare con il grado di facilità con il quale i
clienti possono reperire ed acquistare i prodotti, contattare la funzione
vendite, o accedere ai servizi di supporto al processo di acquisto.
L’accessibilità può anche essere identificata con la disponibilità dei
prodotti entro un arco di tempo generalmente accettato dal mercato
specifico di riferimento. In fine, l’accessibilità si può identificare anche
115
con il grado di facilità con la quale i clienti possono usufruire dei servizi
post – vendita e dell’assistenza tecnica. La convenienza per il cliente e
l’accessibilità ai beni e servizi sono elementi fondamentali del vantaggio
competitivo.
• Incremento della qualità. La riduzione dell’entità delle scorte, delle
situazioni di stock – out, degli errori nell’evasione degli ordini, del numero
di prodotti difettosi, e degli altri errori relativi alla gestione dell’inventario
può significativamente ridurre i costi operativi e incrementare, al
contempo, il servizio al cliente. Il punto fondamentale è “l’affidabilità” del
servizio. I leader di mercato devono continuamente performare il livello di
servizio promesso in modo affidabile ed accurato. L’affidabilità del
servizio permette ai partner della filiera di fidelizzare il cliente, il quale si
mostrerà disposto a pagare un prezzo più alto dato proprio il livello di
servizio atteso e la conseguente qualità del sistema di offerta.
L’implementazione delle tecniche di Total Quality Management (TQM)
risultano a tal fine necessaria in quanto permette il raggiungimento di
elevati livelli di qualità sostenibile nel tempo.
• Incremento delle informazioni sulle scorte della filiera. L’accuratezza e
l’accessibilità delle informazioni riguardanti i prodotti, i livelli di stock, la
localizzazione dell’inventario, e altre ad esso relative sono elementi
primari per la creazione di valore attraverso il servizio erogato al cliente
finale. Internamente, le informazioni consentono ai partner di filiera di
116
controllare i livelli delle giacenze, assicurare rifornimenti tempestivi, e
gestire prezzi e consegne lungo l’intera supply chain. Esternamente, le
informazioni riducono le distanze tra il sistema di offerta e le richieste dei
clienti e il conseguente verificarsi di situazioni che possono portare alla
perdita del cliente stesso e che hanno un effetto deleterio sull’intera catena
logistica.
3.3.2 Un unico inventario per l’intera catena logistica
Forse il più serio impedimento all’uso efficace delle giacenze della filiera
può essere individuato nella pratica tradizionale di considerare le giacenze di
ciascun anello della catena logistica come occupanti posizioni indipendenti.
La gestione dell’inventario è stata finora focalizzata sui costi e le
performance di ciascun centro di stoccaggio misurati meticolosamente attraverso i
costi di mantenimento, il tasso di rotazione, etc. L’inventario è stato così
pianificato, gestito e controllato in ciascun anello della catena logistica senza tener
conto dei piani e delle situazioni contingenti degli altri anelli. Il risultato è stato
che poca attenzione è stata posta nell’assicurare che il valore dell’inventario
crescesse nell’interesse dell’intera supply chain e non a beneficio di singoli anelli
all’interno della stessa. Una simile mancanza di integrazione fa si che il legame
tra la reale domanda del consumatore e le attività operative di ciascun partner
della filiera diventi via via più labile a mano a mano che ci si sposta a monte della
filiera stessa a causa delle crescenti distorsioni apportate alle informazioni relative
117
il reale andamento della domanda dai singoli obbiettivi operativi e strategici,
nonché dalle priorità di performance, perseguiti in modo indipendente da ciascun
partner. L’impatto complessivo sulle giacenze della filiera di una tale mancanza di
coordinamento può essere drammatico. Al decrescere della visibilità dei
fabbisogni reali della supply chain, e all’interno di questa di ogni singolo anello,
l’incertezza della domanda tende ad essere convertita in inventari crescenti e
dispersi a vari livelli nella catena logistica. Per ovviare all’incertezza alcuni
membri della supply chain tendono a sviluppare proprie previsioni della domanda
e a calibrare su queste i livelli degli stock indipendentemente dal reale andamento
della domanda a valle e dalle richieste di fornitura degli altri membri della filiera.
A ciò va aggiunto che, poiché i modelli previsionali si basano prevalentemente su
dati storici, a fronte di scostamenti imprevisti della domanda attuale dai trend
individuati le imprese tendono ad accumulare scorte ulteriori appositamente
detenute come assicurazione contro l’incertezza. L’occultamento della domanda
effettiva, l’eccesso di scorte di sicurezza in ciascun anello della catena logistica, il
verificarsi di situazioni di sovra/sotto capacità, e più in generale la mancanza di
coordinamento aggiungono costi lungo tutta la supply chain, inibiscono l’efficace
allocazione dell’inventario lungo i vari anelli della catena logistica al fine di
rispondere alla domanda del consumatore quando e dove occorre, e minano nelle
fondamenta il processo di creazione del valore generato dalla detenzione
dell’inventario stesso.
118
A partire dai primi anni novanta alcune fra le supply chain leader hanno
iniziato ad abbandonare la vecchia visione frammentata dell’inventario della
filiera in favore di un nuovo paradigma operativo che considera la gestione di tutti
gli stock rinvenibili nella catena logistica come se essi appartenessero ad un
unico, integrato, reticolare soggetto competitivo. Pionieri come la General
Motors, Kellogg e Nabisco stanno conseguendo importanti vantaggi competitivi e
strategici dalla cooperazione stretta con fornitori, distributori e dettaglianti,
cooperazione che punta a creare un unico sistema integrato che si estende dal
fornitore di materiali grezzi al luogo di effettiva consegna al consumatore finale.
In altri settori industriali, come quello della cosmesi, dell’abbigliamento e degli
elettrodomestici per la casa si sta diffondendo sempre più fra i membri delle varie
supply chain in competizione il ricorso alle tecniche della Quick Response (QR)
che permettono di ridurre sostanziosamente i costi connessi alle scorte, a partire
dall’entità stessa del capitale immobilizzato in esse, e di velocizzare il flusso delle
scorte stesse lungo l’intera catena logistica.
L’implementazione di una siffatta gestione delle scorte del canale richiede
il passaggio per alcune tappe intermedie [Ross, 1998]:
• Integrazione delle strategie e dei processi operativi dei partner della
supply chain. Le strategie e i processi operativi dell’intera supply chain,
iniziando dai fornitori di materie prime e dai manufacturer per arrivare ai
dettaglianti passando per i distributori, devono essere integrati e
119
sintonizzati sulle richieste del mercato. Raggiungere una tale integrazione
è di gran lunga il compito più difficile che attende i partner della filiera.
• Incremento della flessibilità. L’efficiente ed efficace gestione delle
giacenze richiede processi flessibili ed agili in modo da accelerare il flusso
delle stesse e rispondere più velocemente alle mutevoli esigenze dei
consumatori. La flessibilità, in particolare, consente ai membri del canale
di ridurre le scorte di prodotti finiti riducendo la dimensione dei lotti in
produzione e post – ponendo la differenziazione e la personalizzazione
degli stessi al livello più basso possibile nella catena logistica.
• Abbattimento dei costi. Considerando le giacenze stoccate lungo l’intera
supply chain come costituenti un unico sistema integrato è possibile
identificare e rimuovere le giacenze non necessarie ovunque disperse nel
canale. Inoltre, le aumentate possibilità di post – porre l’assemblaggio, la
personalizzazione e il confezionamento dei prodotti finiti consentono di
ridurre ulteriormente l’entità degli stock e dei relativi costi incrementando,
nel contempo, la velocità di reazione agli stimoli del mercato.
• Accelerazione dei tempi di risposta. Ogni giorno che le scorte
trascorrono nel canale aggiungono costi. Ogni giorno speso per portare il
prodotto sul posto di consumo/utilizzo rallenta la risposta alle richieste del
cliente. Al crescere dell’importanza della velocità delle consegne, la
combinazione di alti costi e lentezza delle risposte diviene sempre più
intollerabile.
120
• Accorciamento della lunghezza del canale. Le supply chain leader
pongono grande attenzione alla lunghezza del canale. Al crescere della
lunghezza della catena logistica, infatti, crescono inevitabilmente anche i
tempi di transito delle giacenze attraverso la supply chain e l’entità delle
scorte di sicurezza. Viceversa, all’aumentare delle dimensioni delle
giacenze aumenta la lunghezza del canale. Le scorte di sicurezza sono
state usate tradizionalmente per proteggere l’azienda dalle fluttuazioni
della domanda e delle forniture. Al contrario, gli attuali leader di mercato
cercano di tagliare tempi, giacenze e lunghezza del canale attraverso il
ricorso al JIT, all’ICT e alla gestione cooperativa dei rapporti con i
fornitori.
• Arricchimento semantico degli indici di performance. Indici che
misurano indipendentemente la performance di ciascun anello della catena
logistica forniscono, generalmente, scarse informazioni sulla performance
della supply chain come sistema integrato. Poiché i singoli anelli sono
invece inestricabilmente legati nella gestione dei flussi fisici ed
informativi che attraversano la supply chain, essi dovrebbero utilizzare
indici di performance in grado di rilevare l’andamento delle prestazioni
dell’intero sistema e condividere i medesimi obbiettivi di soddisfazione
del cliente.
A conclusione del paragrafo si riportano alcuni dei principali vantaggi
derivanti dalla gestione integrata dell’inventario [Ross, 1998]:
121
• Invece di molti e spesso discordanti piani per la gestione delle giacenze, la
visione di un inventario integrato permette ai partner della supply chain di
sviluppare un singolo e condiviso piano strategico per la gestione delle
scorte teso al governo e all’ottimizzazione degli investimenti complessivi
in scorte.
• Un singolo piano per la gestione dell’inventario fornisce visibilità sulle
esigenze di stock di ciascun singolo anello della catena logistica. Piani
migliori e più tempestivi si traducono in minori investimenti in capitale
fisso, minori costi operativi e maggiore probabilità di conseguire gli
obbiettivi prefissati di servizio al cliente.
• A causa del fatto che in questo modo tutti i membri della supply chain
seguono i medesimi piani, in tal modo integrando le rispettive risorse
nonché le rispettive attività operative, la supply chain come sistema può
erogare più alti livelli di valore per il cliente.
3.3.3 Competizione basata sul tempo
Circa quaranta anni fa, in un articolo pionieristico pubblicato dalla
Harvard Business Review, Jay W. Forrester sviluppò un modello col quale
dimostrava l’impatto del tempo sul flusso dei prodotti e delle informazioni su di
una supply chain non integrata. Nell’articolo Forrester tracciò gli effetti degli
sfasamenti temporali sui processi decisionali all’interno di un semplice sistema
economico costituito da un manufacturer, un magazzino appartenente allo stesso
122
manufacturer, un distributore ed un dettagliante. Sommando i tempi necessari
affinché le informazioni relative alla domanda effettiva facessero il loro percorso
da valle a monte lungo la supply chain e le giacenze il percorso inverso da monte
a valle fino al consumatore finale Forrester calcolò che occorrevano circa
diciannove settimane per far giungere i beni richiesti a destinazione. Ad ogni
modo, qualora si fosse verificato un improvviso e temporaneo incremento del
10% della domanda ciò avrebbe provocato una reazione violenta dei processi
produttivi, reazione che il sistema avrebbe impiegato più di un anno ad assorbire e
ritornare al precedente stato di equilibrio. Ciò che distorceva così pesantemente il
sistema era il tempo: lo sfasamento tra il momento in cui avviene un dato evento e
Con
sum
ator
i
A C D E B
+5%
+40%
100%
A
ECapacità richiesta
Tempo
Fig 3.3 – Effetto Forrester; Fonte: Vinelli, Forza, 1996
123
il momento in cui il sistema ne riceve informazione e si appresta a reagirvi.
Quanto più è lungo tale intervallo, tanto più distorto appare il quadro dei bisogni
del mercato, producendo confusione, sprechi ed inefficienze [Forrester, 1958]
(vedi fig. 3.3).
Nell’attuale mercato sempre più competitivo, la capacità di un sistema
filiera di reagire prontamente ai cambiamenti non si misura più in settimane o
mesi ma bensì in giorni e, alle volte, addirittura in ore. All’accorciarsi del ciclo di
vita dei prodotti e all’aumentare della volatilità del mercato, i partner della supply
chain dovrebbero cercare di ridurre sempre più l’entità delle giacenze. In passato
le supply chain tentavano di far fronte alla volatilità della domanda accumulando
scorte di sicurezza, identificando i nodi chiave nella catena logistica dove
stoccarle, e cercando strade per conseguire economie di costo. Oggi, invece, i
sistemi supply chain più avanzati stanno realizzando che il miglior approccio alla
variabilità della domanda consiste nel ridurre il tempo nel quale prodotti ed
informazioni percorrono nei due sensi la catena logistica. Le strategie e i processi
operativi focalizzati sul tempo, come la Produzione flessibile, la Quick Response e
l’Efficient Consumer Response (ECR), stanno sempre più acquistando importanza
critica per la sopravvivenza di molte imprese. Le supply chain leader stanno
cercando di essere quanto più vicine possibile ai propri clienti, ricorrendo anche ai
nuovi strumenti messi a disposizione dalla tecnologia dell’informazione e della
124
comunicazione, come ad esempio Internet. Sempre più nuovi modelli
organizzativi e tecniche di gestione puntano ad accelerare i tempi di risposta
piuttosto che ridurre i costi per attirare i clienti migliori.
Fulcro della competizione basata sul tempo è la gestione dell’order lead
time dell’intera supply chain. Tale lead time può essere visto secondo due
prospettive. Con la prima, che considera il punto di vista del cliente e che
possiamo chiamare Customer order lead time, ci si riferisce al tempo necessario
per processare l’ordine del cliente, dal momento in cui si manifesta la domanda al
momento in cui la merce viene consegnata. In pratica, sotto questa prospettiva, la
domanda del cliente è il primo input che mette in movimento il processo logistico.
Da ciò si evince chiaramente come la qualità, la velocità e l’accuratezza del
processo di evasione degli ordini abbia un impatto fondamentale sul
posizionamento competitivo dell’intera supply chain. Infatti l’efficace
processamento dell’ordine è parte integrante del servizio al cliente ed elemento
chiave del vantaggio competitivo. La gestione efficace del customer order lead
time richiede, pertanto, l’individuazione e la rimozione dei colli di bottiglia, dei
processi che non aggiungono valore e, quando possibile, delle cause delle
fluttuazioni degli ordini.
Accanto alla precedente esiste, come già detto, un’altra prospettiva che
possiamo chiamare Internal lead time, che fa riferimento ai tempi per la
ricostituzione dei livelli di inventario all’interno della supply chain, processo che
inizia con l’emissione della richiesta di ricostituzione da parte di qualche
125
dipartimento interno e finisce con il ricevimento della merce e l’emissione
dell’ordine di pagamento. In sostanza l’internal lead time guida il processo di
ricostituzione dei prefissati livelli di stock lungo l’intera catena logistica.
A dispetto della differenza concettuale delle due prospettive sopra esposte, sta
diventando sempre più evidente come le stesse siano in realtà così strettamente
legate ed interdipendenti che dovrebbero essere gestite come fossero differenti
estensioni del medesimo processo. Il soddisfacimento dei presupposti alla rapida
risposta alle richieste del cliente presuppone che gli ordini di produzione e di
riassortimento siano visti come il primo passo di un processo continuo di gestione
dell’order lead time che finisce con la consegna di quanto richiesto al cliente
finale.
La domanda del cliente per risposte sempre più rapide richiede che ciascun
membro della supply chain si interroghi su come possa contribuire alla riduzione
dell’order lead time complessivo e, per estensione, dei costi totali di inventario.
Sommariamente nel seguito si elencano i metodi principali impiegati per
ridurre l’order lead time:
• Stretta integrazione dei piani strategici ed operativi per la gestione della
ricostituzione degli stock e per la gestione del servizio al cliente
• Riduzione dei ritardi dovuti ad attività amministrative semplificando le
procedure e riducendo la documentazione cartacea
• Riduzione delle dimensioni della catena logistica
• Eliminazione dei colli di bottiglia ovunque annidati nella supply chain
126
• Spingere la fase di personalizzazione dei prodotti quanto più a valle
possibile nella supply chain in modo da prevenire premature
differenziazioni
• Riduzione delle dimensioni dei lotti in produzione e in vendita
• Implementazione di tecniche per il miglioramento continuo dei processi
progettati per l’assorbimento delle variazioni nella domanda e nelle
forniture
In conclusione, lo strumento imprescindibile nel perseguire la riduzione
dell’order lead time complessivo è la creazione di un sistema integrato in grado di
ricalibrare velocemente composizione ed entità dell’inventario nonché le modalità
di esecuzione del processo logistico al fine di far fronte prontamente alla reale
domanda di mercato.
3.3.4 Sostituire l’inventario con le informazioni
Uno dei postulati fondamentali della supply chain management è che al
crescere dell’incertezza circa il reale status della domanda e delle forniture,
crescono conseguentemente le giacenze lungo l’intera supply chain. Infatti, più
del 50% dell’inventario in mano ad un’impresa media esiste nella forma
concettuale di scorte di sicurezza costituite allo scopo di arginare l’incertezza su
ciò che è necessario per rispondere alle esigenze della catena logistica, esigenze
queste ultime determinate a loro volta dagli input provenienti dal mercato. Questa
perdita di visibilità della domanda effettiva dispiega i suoi effetti con un processo
127
a cascata che investe tutti i partner della filiera e aggiunge stock ad ogni nodo
della stessa. I fornitori di componenti e materiali grezzi detengono un eccesso di
scorte a causa della incapacità dei manufacturer a fornire dettagliate e tempestive
informazioni circa i propri futuri fabbisogni. A loro volta, i manufacturer stoccano
un eccesso di scorte a causa di inefficaci processi di pianificazione dei fabbisogni
e di previsione delle vendite, mancanza di informazioni relative all’effettivo
andamento della domanda, della grande dimensione dei lotti in produzione, e dei
difetti e resi non previsti. In fine, distributori e dettaglianti sono obbligati a
stoccare un eccesso di prodotti finiti al fine di evitare di trovarsi spiazzati di fronte
a radicali cambiamenti nelle richieste dei clienti e a causa delle dimensioni dei
lotti posti in vendita dai manufacturer o, per i dettaglianti, dagli stessi distributori.
La soluzione per rompere questo circolo vizioso è incrementare la disponibilità e
la profondità delle informazioni relative a quali prodotti sono realmente richiesti.
In passato raramente accadeva che i membri di una catena logistica si
comunicassero vicendevolmente i relativi fabbisogni di inventario con eccezione
del momento in cui veniva effettivamente emesso un ordine di riassortimento.
Oggi, però, i clamorosi sviluppi dell’ICT hanno dispiegato a ciascun
partner la possibilità di condividere le informazioni relative a domanda e
forniture/fabbisogni in tempo reale e a costi irrisori con gli altri partner della
catena logistica. La disponibilità di sistemi per la schedulazione, la pianificazione
e la comunicazione in grado di processare enormi quantità di dati in modo rapido
ed economicamente conveniente dischiude le porte ad un modo completamente
128
nuovo di gestire la supply chain. Il principio è semplice: quanto più sono
disponibili informazioni relative ai fabbisogni totali dell’intera catena logistica per
tutti i membri della supply chain, tanto più i partner stessi saranno capaci di
produrre i prodotti giusti per rispondere alle richieste effettive del mercato, nelle
quantità e nei momenti desiderati. Al decrescere dell’incertezza circa il reale
andamento della domanda, cala il bisogno di detenere scorte di sicurezza. In
questo modo, si può dire che informazioni tempestive ed accurate circa la reale
domanda di mercato e la reale domanda interna diventano un sostituto delle scorte
di sicurezza. La chiave per realizzare una simile sostituzione è fornita dalle
capacità integrative dell’attuale ICT, le quali mettono a disposizione dei singoli
anelli della catena logistica le informazioni critiche relative a quali materiali
grezzi, componenti e prodotti finiti sono necessari per far fronte alla domanda di
mercato, quando e dove.
Ad ogni livello nella supply chain devono essere assunte decisioni relative
a cosa comprare e dove, quale deve essere il livello di stock, etc., decisioni che
devono essere tradotte in ordini di fornitura necessari a soddisfare non solo il
singolo nodo ma anche le esigenze degli altri partner posti a monte e a valle nella
catena logistica. Per poter far funzionare efficacemente un simile sistema sono
necessarie due condizioni. La prima riguarda la comune implementazione di
sistemi di comunicazione computerizzati e di applicazioni per il supporto dei
processi aziendali. Si intende qui fare riferimento a sistemi come gli Enterprise
Resource Planning (ERP), i Distribution Requirements Planning (DRP), i
129
Product Data Management (PDM) e simili, i quali forniscono visibilità in tempo
reale all’effettivo stato della domanda e alle condizioni di fornitura lungo l’intera
supply chain. Questi sistemi consentono ai vari partner della catena logistica di
utilizzare applicazioni comuni per la schedulazione e la simulazione, applicazioni
capaci di calcolare la domanda reale ed effettuare delle previsioni e dimostrare
l’impatto che decisioni relative al livello del servizio erogato al cliente, alla
produzione o ai livelli di stock hanno sui costi e i ricavi dell’intera catena
logistica. Inoltre, sistemi per la raccolta e la trasmissione dei dati come i codici a
barre, le radio frequenze, e il riconoscimento vocale, permettono alla supply chain
di processare e tener traccia dei movimenti dell’inventario così come essi
accadono. In fine nuove tecnologie per la comunicazione dei dati, come il wireless
e le fibre ottiche, Internet e Intranet, permettono di ridurre tempi e costi di
trasferimento dei dati a livelli fino a pochi anni fa impensabili, accorciando
sempre più i lead time e legando sempre più strettamente i partner della supply
chain.
La seconda condizione riguarda la disponibilità di archivi condivisi di
informazioni critiche riguardanti i clienti, i livelli di inventario, etc. In particolare,
fra le informazioni maggiormente critiche possono essere annoverate le seguenti:
• Informazioni relative alle richieste complessive dei clienti della supply
chain. Queste informazioni riguardano quali prodotti sono richiesti e come
devono essere consegnati a ciascun cliente. Il contenuto di queste
informazioni mostra nel dettaglio le richieste esatte dei clienti esterni alla
130
catena logistica (sell-out) e, in particolare, quali prodotti o gruppi di
prodotti sono richiesti, quando e da chi [Gopal & Cypress, 1993].
• Informazioni relative alle richieste di riassortimento di ciascun anello
della catena logistica. Poiché l’inventario esiste in varie forme presso
ciascun anello della catena logistica, la visibilità delle richieste di
ricostituzione dello stesso, al fluire dei prodotti lungo il canale per far
fronte alle richieste del cliente finale, è una delle informazioni
maggiormente critiche. Tali informazioni svelano le scelte strategiche che
determinano il rapporto tra il costo delle scorte e il livello del servizio,
rendono trasparente la reale forma dell’inventario stoccato e le esigenze di
riassorbimento di ciascun partner, e fanno luce sull’effettiva affidabilità
delle previsioni che governano la gestione collettiva delle scorte della
filiera. Tali informazioni devono essere comunicate rapidamente ed
accuratamente a ciascun membro della supply chain.
• Informazioni relative alla disponibilità di risorse logistiche.
Essenzialmente le informazioni in questione riguardano la disponibilità di
capitale di ciascun membro per coprire i costi dell’inventario, la capacità
del sistema di trasporto di far fronte alle richieste di riassortimento dei
membri stessi, la capacità dei magazzini e la capacità della forza lavoro di
far fronte alle attività di carico/scarico, stoccaggio, etc. Sebbene
estremamente difficili da rilevare, tali informazioni permettono di rilevare
131
i colli di bottiglia che impediscono il tempestivo fluire dell’inventario
attraverso la catena logistica.
• Informazioni relative alla performance dell’intero sistema. Queste
informazioni sono composte da una matrice di dati riguardanti il servizio
al cliente, come il tempo di ciclo per l’evasione degli ordini, dati riferiti
all’inventario, come il tasso di rotazione delle scorte, e dati relativi alle
consegne, come la puntualità delle stesse.
Come risulta evidente, il ruolo principale di tali informazioni è quello di
fornire ai membri della supply chain i dati necessari per gestire al meglio
l’incertezza operativa che deriva dai processi e dalle attività poste in essere dai
partner della stessa supply chain e ridurre in tal modo l’entità dell’investimento in
scorte relativo all’intera catena logistica. Il seguente esempio illustra un possibile
utilizzo delle informazioni come sostitute delle giacenze e fonte di valore per il
cliente. Andersen Windows, produttore statunitense di finestre, ha, fino a poco
tempo fa, prodotto finestre standard realizzate in grandi quantità. Al crescere, nei
primi anni novanta della domanda per finestre personalizzate Andersen si è
trovata a dover affrontare una serie di problemi connessi al servizio al cliente
riguardanti il design, il sistema dei prezzi, la produzione e le consegne. La
produzione è passata da 28.000 unità nel 1985 a 188.000 unità nel giro di dieci
anni, i lead time e le giacenze si sono ampliati a dismisura e gli errori nelle
consegne sono significativamente aumentati. La soluzione a tali problemi è stata
individuata nell’implementazione di un sistema informativo integrato in grado di
132
collegare i punti vendita agli stabilimenti produttivi, permettere ai clienti di
progettare agevolmente la propria personale soluzione, e fornire istantaneamente
il prezzo della soluzione stessa. Ad oggi, Andersen ha fatto ulteriori passi avanti
verso la personalizzazione di massa adottando un sistema, chiamato batch of one
manufacturing, finalizzato ad espandere la flessibilità produttiva, ad incrementare
il livello di servizio erogato al cliente, e, contemporaneamente, a ridurre
consistentemente gli stock di semilavorati e materiali grezzi. Infatti, tutte le
finestre sono realizzate assemblando alcuni comuni componenti standard, il che
rende possibile realizzare il prodotto finito in breve termine e solo dopo il
ricevimento di un effettivo ordine. Nello stabilimento di punta della Andersen non
esistono giacenze eccezion fatta per le scorte di fibre grezze e di pochi altri
componenti critici. Il tempo che passa dal ricevimento dell’ordine all’istallazione
del prodotto finale presso il consumatore finale è di appena un mese. In sostanza,
riducendo i costi dell’inventario, incrementando il livello del servizio,
semplificando i processi di collocamento ed evasione degli ordini, produzione e
controllo delle scorte, migliorando la qualità del processo distributivo, collegando
i punti vendita con la produzione, e riducendo le inefficienze in genere grazie alla
disponibilità e all’accuratezza di un vasto patrimonio informativo Andersen è
riuscita ad incrementare significativamente il valore del servizio erogato ai propri
clienti rafforzando in tal modo la propria posizione competitiva [Martin, 1996].
133
Capitolo 4
LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE DELLA SUPPLY CHAIN
4.1 Introduzione
Nel discorso condotto fino a questo punto si è proceduto a circoscrivere e
definire sempre più l’oggetto di analisi procedendo per contestualizzazioni
successive e andando a restringere progressivamente “l’inquadratura” su di uno
specifico dettaglio. Infatti nel primo e nel secondo capitolo, per continuare la
metafora fotografica, si è utilizzato un “campo largo”, andando a riprendere,
rispettivamente, l’intero panorama nel quale si muovono le aziende
contemporanee e individuando per vie generali una possibile risposta strategica,
operando comunque in questo modo già una prima definizione dell’area di analisi.
Nel terzo capitolo si è operata una prima, consistente restrizione del campo di
inquadratura puntando su di uno specifico aspetto della SCM, la gestione delle
giacenze, ed escludendo di conseguenza molti altri aspetti dall’area di analisi che
pure meriterebbero studi approfonditi. Si pensi, ad esempio, ai riflessi
dell’integrazione e della cooperazione sui processi legati allo sviluppo di nuovi
processi / prodotti, alla possibilità di affidare in outsourcing la gestione di interi
processi a soggetti terzi specializzati terziarizzando di fatto alcune finzioni tipiche
aziendali come la logistica, all’aspetto legato agli assetti proprietari e alle forme
134
contrattuali dei contratti di partnership o più in generale alle politiche perequative
dei costi e dei benefici attesi, alle possibilità offerte da internet, all’e-commerce,
all’e-procurement, etc. Se si aggiunge a tutto ciò il fatto che ciascuna delle
dimensioni d’analisi su indicate può essere affrontata da più punti di vista,
guardando cioè alle implicazioni finanziarie piuttosto che di marketing,
organizzative piuttosto che amministrative, operative piuttosto che strategiche, si
capisce facilmente quale sia la ricchezza di dettagli che circonda il punto su cui
andremo a zoommare tra poco. Infatti adesso si procederà ad una ulteriore
restrizione del campo di osservazione portandovi al centro il ruolo delle
informazioni e di adeguate infrastrutture informatiche nel supportare la gestione
delle giacenze stesse. Ancora una volta sarà necessario isolare la dimensione
d’analisi prescelta da tutte le altre possibili. Infatti l’obbiettivo di contenere
l’entità delle giacenze della supply chain non è perseguibile con successo
ricorrendo esclusivamente all’implementazione di sistemi informativi integrati. In
altre parole, se nel seguito ci si concentrerà sul ruolo giocato da alcuni fra i più
recenti sviluppi dell’ICT nell’aiutare le imprese a contenere l’entità degli stock e
nell’incrementare la velocità di reazione agli stimoli esterni delle stesse imprese,
non và dimenticato il ruolo che altri fattori giocano nel perseguire i medesimi
obbiettivi. Senza pretese di esaustività ma con il solo intento di aprire uno
spiraglio su tali strumenti se ne elencano di seguito alcuni, così come riportati da
Vinelli e Forza nel testo Quick Response [A. Vinelli & C. Forza, 1996]:
135
CVS -
Australia
Agricoltor
Raffinatore
Distributore
Raccolto di eucalipto
Olio di eucalipto
New
Arabia
Estrattore
Raffinatore
Gas naturale
Raffinatore
Alcol sintetico
Texas
Agricoltore
Raffinatore
Raccolto di grano
Midwest
Warner Lambert
Olio di eucalipto Serbitolo Etanolo
Pennsylvania
CVS -
Listerina
CVS –
Listerina
Listerina
USA Clienti
Fig. 4.1 – La filiera della listerina Warner-Lambert/CVS; Fonte: libero adattamento da Kalakota, Robinson,1999
CVS – CVS – CVS –
136
• Realizzazione di accordi di collaborazione fra gli attori principali della
supply chain
• Condivisione fra gli stessi soggetti delle informazioni sulle vendite
provenienti dalla distribuzione attraverso la comunicazione telematica
(EDI)
• Trasmissione ai fornitori, da parte del manufacturer, delle informazioni
inerenti alla programmazione e alla schedulazione della produzione in
modo che l’oggetto della fornitura sia subito messo in produzione appena
consegnato
• Diminuzione dell’entità dei lotti minimi di acquisto e produzione nei
rapporti transattivi fra i membri della supply chain
• Implementazione di un sistema di movimentazione degli input dei processi
produttivi che permetta una disposizione a celle delle macchine per le
lavorazioni
• Utilizzazione di nuove tecnologie che permettano la riduzione dei tempi di
set – up
• Implementazione di sistemi produttivi flessibili e modulari
• Massimo post – ponimento delle fasi di personalizzazione e
confezionamento dei prodotti finiti tramite l’affidamento di tali attività ai
distributori o ai prestatori terzi di servizi logistici (Logistics service
provider – LSP)
137
• Preparazione dei lotti di spedizione dei prodotti finiti in modo che gli
stessi siano esponibili alla vendita negli scaffali immediatamente dopo la
consegna
Come si vede chiaramente si tratta di strumenti estremamente eterogenei di
natura sia organizzativa che tecnologica e la cui implementazione coinvolge
spesso più soggetti all’interno della supply chain. Si tratta, inoltre, di interventi il
cui presidio ricade in qualche modo all’interno delle responsabilità della funzione
logistica, a sottolineare ancora una volta l’accresciuta importanza che tale
funzione và assumendo quotidianamente nelle organizzazioni aziendali.
Per capire meglio quale sarà l’oggetto del presente capitolo conviene ora
guardare al funzionamento di una supply chain reale. Si consideri a tal proposito
la catena logistica che vede la Warner – Lambert (WL), azienda farmaceutica
statunitense, e la CVS, distributore con propri punti vendita di prodotti
farmaceutici sempre negli Stati Uniti, nel ruolo di leader [J. Bresnahan, 1998]
(fig. 4.1). Consideriamo il funzionamento della supply chain con riferimento alla
produzione, distribuzione e vendita di uno specifico prodotto, la listerina (un
antisettico a base di eucalipto, timo e menta). Quando un cliente entra in un punto
vendita CVS e chiede una confezione di listerina, per la CVS tale richiesta è
l’ultimo anello di un processo complesso teso ad assicurare che la confezione
richiesta sia nel posto giusto al momento giusto così che il cliente possa vedere
soddisfatta la sua richiesta. Il problema di fondo è riuscire a coordinare tutti gli
attori che intervengono nel processo produttivo e distributivo. Tale processo
138
comincia in Australia dove un agricoltore vende il suo raccolto di eucalipto ad una
ditta che ne estrae l’olio e a sua volta lo vende ad un distributore del New Jersey.
Il distributore, successivamente, trasporta l’olio al centro di produzione e
distribuzione della WL in Pennsylvania. Contemporaneamente in Arabia viene
estratto il gas naturale da cui si ottiene l’alcol sintetico che dà la giusta gradazione
alla listerina. La Union Carbide spedisce l’alcol sintetico in Texas dove viene
trasformato in etanolo e quindi spedito alla WL in Pennsylvania. Nel Midwest,
invece, viene raccolto il grano da cui si ottiene il sorbitolo per dolcificare, che a
sua volta viene inviato alla WL. In fine, tutti questi ingredienti vengono uniti
assieme presso gli stabilimenti WL in Pennsylvania e così si ottiene la listerina
pronta per essere confezionata. Il prodotto finito, a questo punto, è inviato ai
magazzini della CVS e quindi distribuito nei punti vendita. Il problema, come già
detto, è riuscire a coordinare efficacemente tutti questi soggetti affinché
ogniqualvolta un cliente finale vuole una confezione di listerina, essa sia pronta
sul banco di vendita. A tal fine vengono impiegati molti sistemi applicativi ed è su
questi che si concentrerà l’attenzione nei prossimi paragrafi. Per la CVS il sistema
di controllo gestionale calcola l’esatta quantità di listerina necessaria, genera un
ordine e lo invia, a mezzo EDI alla WL. L’ordine è mandato in copia per
conoscenza anche al magazzino di CVS che si prepara a ricevere la fornitura. Alla
WL il sistema informativo integrato analizza i dati di produzione, distribuzione e
vendita in rapporto alla domanda stimata e decide quanto prodotto realizzare e,
conseguentemente, i quantitativi di materie prime da acquistare dopo aver
139
verificato i livelli di stock disponibili. Il sistema di pianificazione della
produzione definisce le fasi di produzione e genera gli ordini di acquisto ai
fornitori. Tale sistema stabilisce, inoltre, prezzi e quantitativi da produrre. Lo
stesso giorno tale sistema trasferisce l’ordine ad un altro sistema, quello di
pianificazione della movimentazione della WL, affinché quest’ultimo possa
determinare l’ottimizzazione del trasporto e a quali aziende di trasporto rivolgersi,
così da minimizzare i costi. Nello stesso tempo questi dati vengono trasmessi
anche al magazzino per predisporre le movimentazioni. Non appena avviene la
consegna al magazzino della CVS, i responsabili del sistema di gestione del
magazzino inviano una comunicazione elettronica all’ufficio contabilità per
comunicare loro che la merce è stata ricevuta e che dunque si può procedere ai
pagamenti. I dati sono trasmessi anche al sistema centrale della CVS per
realizzare previsioni sugli acquisti futuri, e al sistema di gestione del magazzino,
che colloca automaticamente le confezioni nei ripiani giusti di stoccaggio, dove
rimarranno fino ad un massimo di tre settimane, fino a quando, e secondo le
previsioni, saranno inviate ai negozi CVS che le richiedono. Qui, infine, arriva il
cliente, acquista la sua confezione di listerina e il ciclo ricomincia.
L’obiettivo fondamentale della supply chain, appena descritta, è quello di
implementare sistemi produttivi e distributivi “on demand” (su richiesta), cioè che
si mettano in moto solo quando ci siano richieste effettive. In situazioni simili la
quota di mercato e l’aumento degli utili sono fortemente dipendenti dalla capacità
di portare il prodotto giusto nel posto giusto al momento giusto (servizio). Ecco
140
perché l’implementazione di sistemi on demand diventa così critica; l’obiettivo è
riuscire a soddisfare i clienti, anche i più esigenti: sarà proprio la soddisfazione
del cliente a creare ulteriore domanda e a permettere all’impresa di raggiungere
posizioni di leadership. È, fra le altre cose, grazie a sistemi come quelli descritti
che aziende come la WL reagiscono rapidamente alle richieste del mercato e
producono beni solo quando i clienti li desiderano e nel modo in cui li vogliono.
Nell’esempio appena illustrato il punto di partenza è stata la richiesta di
prodotto da parte del cliente finale ad un punto vendita al dettaglio. La raccolta e
la successiva elaborazione di tale informazione ha permesso alla supply chain WL
– CVS di coordinare tutti i processi operativi della filiera, da quelli performati dal
distributore fino a quelli presidiati dai fornitori di materie prime, al fine di
eliminare gli sprechi, ridurre il magazzino e permettere alla stessa di rispondere
alle richieste del cliente in modo tempestivo ed efficace.
È proprio su tali aspetti che si concentrerà l’attenzione nei paragrafi
successivi, identificando ed analizzando ciascun singolo elemento che compone
l’infrastruttura informatica, hardware e software, che supporta i flussi fisici ed
informativi che attraversano la supply chain e che permette alla stessa di operare
in modo simile a quanto visto nell’esempio precedente, tentando di portare alla
luce il contributo che essa dà nel raggiungere gli obbiettivi operativi e strategici
più volte ricordati (contenimento delle scorte, riduzione dei costi, incremento del
servizio erogato al cliente, etc.).
141
4.2 L’evoluzione delle applicazioni informatiche
Prima di passare all’analisi dettagliata del flusso di “bit” che correda il
flusso di “atomi” che la logistica ha il compito di presidiare, si rende necessaria
una breve disanima dell’evoluzione delle applicazioni informatiche aziendali. Il
perché di tale introduzione è necessaria al fine di comprendere gli aspetti
rivoluzionari introdotti dalle moderne tecnologie dell’informazione e della
comunicazione. Tali aspetti, infatti, non riguardano l’introduzione in azienda di
applicazioni informatiche in grado di supportare vari processi aziendali
(l’introduzione delle prime applicazioni risale, infatti, agli anni 60) ma si legano
essenzialmente alla possibilità di integrare le “isole” tecnologiche nate a seguito
dell’introduzione in azienda delle prime applicazioni, applicazioni che, lo si vedrà
meglio in seguito, erano confinate in ristretti ambiti operativi e del tutto incapaci
di interagire tra loro. Con riferimento agli studi di Kaplinsky [1984] si
propongono tre stadi evolutivi che si differenziano sia sotto l’aspetto delle attività
presidiate dalle applicazioni informatiche, sia sotto l’aspetto dell’architettura del
sistema informativo, sia per il livello di integrazione delle varie applicazioni.
Prima di elencare ed analizzare i singoli stadi evolutivi, qualche spiegazione si
rende necessaria circa le dimensioni di analisi su indicate.
Per quel che riguarda la prima dimensione essa valuta l’estensione delle
attività coperte dalle applicazioni informatiche. Tali attività, nel contesto di
un’impresa manifatturiera, possono idealmente raggrupparsi in due macro aree:
142
• L’area manufacturing, con i processi di progettazione del prodotto e del
processo, industrializzazione, pianificazione e controllo della produzione,
produzione in senso stretto, gestione dei magazzini e delle scorte
• L’area business management [Booz Allen, Hamilton, 1986], legata ai
processi di budgeting - pianificazione finanziaria - contabilità, marketing –
vendite - distribuzione, approvvigionamenti
Le caratteristiche semantiche dei dati di input/output delle singole applicazioni
all’interno e tra le macro aree pongono pesanti implicazioni sotto l’aspetto
dell’integrazione, come si chiarirà meglio in seguito.
La seconda dimensione ha attinenza sia con le logiche progettuali adottate
all’interno del sistema informativo, cioè con le regole che definiscono le
caratteristiche funzionali e le modalità di interazione dei moduli hardware e
software, sia con le tecnologie specifiche adottate per realizzare il sistema stesso.
In fine, per quel che riguarda il concetto di integrazione si può dire che
esso riguarda l’aspetto semantico dei dati, cioè il significato attribuito ai dati
stessi. Si ha integrazione tra due applicazioni quando, in caso di trasferimento di
dati dall’una all’altra, la ricevente sia in grado di capire l’oggetto e il contenuto
dell’informazione. Si può dire quindi che, il concetto di integrazione così come
precedentemente illustrato riguarda la sfera logica a differenza del concetto di
connessione che invece, spostando l’attenzione sulle tecnologie di trasmissione
(reti, protocolli, ecc.) che collegano fisicamente due differenti mezzi informatici
per favorire il trasferimento di dati da un’applicazione all’altra, riguarda la sfera
143
fisica. A tal proposito Madnick [1991] parla di “connettività logica”, assimilabile
al concetto di integrazione, e di “connettività fisica”, assimilabile al concetto di
connessione, mentre Bartezzaghi [1994] parla di “automazione nella trasmissione
della informazioni”, assimilabile al concetto di connessione, e “automazione
nell’interpretazione delle informazioni”, assimilabile al concetto di integrazione.
Ciò premesso possiamo passare adesso all’esplicitazione del modello
evolutivo proposto da Kaplinsky. Tale modello risulta articolato in tre tappe
fondamentali caratterizzate dalla:
• Automazione di attività specifiche
• Integrazione intra-sfera
• Integrazione inter-sfera
4.2.1 L’integrazione di attività specifiche
Il primo stadio del modello di Kaplinsky si colloca temporalmente negli
anni 60 e 70 allorché fecero la loro comparsa in azienda le prime applicazioni
informatiche finalizzate all’automazione di specifiche attività svolte in singole
aree funzionali. In particolare si fa riferimento alla comparsa delle prime
applicazioni volte al supporto dei processi di sviluppo ed industrializzazione del
prodotto (CAD, CAE,CAPP e CAM) e ai processi di programmazione e controllo
della produzione (MRP, CRP, SFC), oltre alla comparsa delle prime applicazioni
gestionali volte al supporto di attività amministrative e contabili. Per immaginare
un po’ l’ambiente, dobbiamo pensare a qualcosa dove l’architettura dei sistemi sia
144
basata su mainframe centrale (costosissimo) e terminali periferici “stupidi”, le
interfaccia software siano esclusivamente di tipo testuale e, in fine, ogni
applicazione insista su di un proprio database. Altro elemento caratterizzante
questa prima fase evolutiva è l’imporsi, per mancanza di alternative, delle
cosiddette “isole tecnologiche”, sistemi composti da elementi hardware e software
basati su standard proprietari e quindi non integrabili fra loro sia sotto il profilo
fisico sia sotto il profilo logico, isole la cui integrazione porrà seri problemi nelle
tappe successive del processo evolutivo. In sostanza, all’epoca, un’azienda che
avesse deciso di adottare una soluzione informatica a supporto di un qualche
processo, peraltro estremamente costosa e alla portata esclusivamente di grandi
imprese, si sarebbe trovata di fronte un ristretto gruppo di possibili fornitori
ciascuno offerente esclusivamente soluzioni “tutto compreso”; ciò vuol dire che il
pacchetto software prescelto avrebbe girato esclusivamente in un ambiente
supportato da uno specifico sistema operativo, il quale sistema operativo, a sua
volta, avrebbe potuto essere eseguito solo nel ristretto ambito dei componenti
hardware dello stesso produttore. Tutto ciò ebbe gravi conseguenze sotto il piano
della diffusione dell’informatica aziendale prima e pose seri problemi poi, quando
si rese necessario rimuovere tutti quegli ostacoli all’integrazione di cui nel
frattempo si erano riempite molte imprese.
4.2.2 L’integrazione intra-sfera
145
Il contesto ambientale nel quale prende consistenza il secondo stadio del
processo evolutivo dell’informatica aziendale non è molto dissimile da quello
precedentemente esposto a proposito della prima tappa. Fermi restanti i problemi
connessi agli alti costi dei sistemi, alla difficoltà del loro utilizzo, all’esclusività
delle offerte “tutto compreso” inizia a farsi largo qualche soluzione integrata tra
le applicazioni in uso, integrazione però limitata alle applicazioni a supporto di
attività afferenti alla medesima area funzionale. Con riferimento, per esempio,
all’area manufacturing, si poté assistere a esempi di integrazione fra:
• le applicazioni strettamente funzionali alle attività di progettazione (CAD)
e le applicazioni funzionali al processo di industrializzazione (CAM,
CAPP), allo scopo di rendere direttamente utilizzabili, nel processo di
creazione del ciclo di produzione e dei programmi per le macchine a
controllo numerico, i dati tecnici archiviati nei database delle applicazioni
CAD
• l’integrazione tra gli applicativi MRP – quelle applicazioni, cioè, che
supportano il processo di programmazione del fabbisogno dei materiali,
senza tener conto però dell’effettiva disponibilità di risorse che rendono
possibile le proposte di produzione – e le applicazioni CRP che, ricevendo
come dati di input il risultato dell’elaborazione MRP e confrontandoli con
le disponibilità effettive , calcolano l’effettiva realizzabilità della
programmazione
146
Apparvero addirittura, con il nome “closed-loop MRP”, dei sistemi integrati
MRP/CRP/SFC, con questi ultimi a supporto del controllo della produzione.
Questi sistemi sovrintendevano alla generazione di piani operativi, che
governavano l’allocazione degli ordini di produzione ai centri disponibili e il loro
sequenziamento nel tempo, attingendo sia ai risultati dell’elaborazione MRP
(esplosione dei fabbisogni), sia ai risultati dell’elaborazione CRP (livelli di carico
delle macchine disponibili), sia, per finire, ai risultati dell’elaborazione SFC
(precisa situazione inventariale ottenuta tramite un continuo aggiornamento dei
versamenti in produzione).
In tutti i casi appena esposti si presentò il problema di rendere utilizzabile
da più applicazioni il medesimo set di dati. La soluzione utilizzata fu la medesima
per tutte le esperienze di integrazione del periodo considerato: il ricorso ad un
medium che traducesse il significato del dato o dell’informazione trasferita da
un’applicazione all’altra, fermo restando che ogni applicazione continuava ad
insistere su di un proprio database. Tralasciando il caso dell’operatore umano, il
medium può assumere due sole forme:
• interfaccia software
• file neutro
La soluzione data, a prescindere dalla natura del medium e senza contare i
numerosi problemi sia sotto il profilo della manutenzione del sistema
infrastrutturale, sia sotto il profilo della velocità delle operazioni di scambio dei
dati, sia sotto il profilo della correttezza/coerenza dei dati, portò solamente ad una
147
forma di integrazione indiretta. Per ottenere una integrazione reale occorrerà
giungere ad una standardizzazione delle definizioni e delle strutture dei dati
attraverso un modello comune in cui siano precisamente specificate le definizioni
dei campi e dei record, la loro struttura e le regole per aggiornare i valori dei dati
[Heimbigner e McLeod, 1985; Litwin et al., 1990], in poche parole al database
unico.
4.2.3 L’integrazione inter-sfera
L’ultima fase del processo evolutivo descritto da Kaplinsky è
caratterizzata dalla ricerca di un’integrazione che vada oltre i confini funzionali.
Alla base di questa nuova fase c’è la consapevolezza emergente che il
miglioramento delle performance del sistema azienda sia direttamente
proporzionale al livello di coordinamento delle attività che l’azienda pone
quotidianamente in essere, a prescindere dall’area funzionale di appartenenza, e
che, a sua volta, tale coordinamento dipenda dal livello di integrazione delle
singole isole di automazione.
Da un punto di vista applicativo i migliori interpreti di questa nuova filosofia
furono i sistemi:
• CIM
• MRP II
• ERP
elencati secondo l’ordine temporale di apparizione sul mercato.
148
I sistemi CIM apparvero sul mercato in una varietà di configurazioni che
ne rende difficile la proposizione di un modello di riferimento. Accogliendo lo
schema di Arthur D. Little [1983] possiamo dire che essi erano dei sistemi che
prevedevano l’impiego, nella configurazione tipica, di sei differenti insiemi di
applicazioni basate sul computer (CAD, Group Technology, sistemi di
pianificazione e controllo della produzione, sistemi di movimentazione
automatica, CAM e robotica) applicate a tre sottosistemi del manufacturing
(progettazione del prodotto e del processo, pianificazione della produzione,
produzione in senso stretto). Come si vede si rimane confinati ancora nell’area
manufacturing, ma, a partire proprio da tali sistemi si iniziò a svilupparne di altri
che affiancavano agli applicativi CIM altri applicativi a supposto dei processi di
collaudo e controllo qualità (CAT, CAQ) o di attività finanziarie, amministrative
ed organizzative (CAO, CIB, CIE). Questi esempi rappresentano storicamente i
primi sistemi che cercarono di integrare le applicazioni informatiche a supporto
delle principali funzioni aziendali.
Parallelamente a questi sistemi si svilupparono i sistemi MRP II. Essi
rappresentano il punto di arrivo di un autonomo processo evolutivo iniziato con
le applicazioni MRP (prima fase evolutiva del modello di Kaplinsky) e
proseguito con le applicazioni MRP a circuito chiuso (seconda fase del modello
di Kaplinsky). Come diretti discendenti degli MRP “closed loop” ne
riproponevano le funzionalità alle quali tentarono di aggiungere quelle di:
149
• Pianificazione finanziaria, così da poter verificare le implicazioni
economico-finanziarie legate al rilascio di determinati piani di produzione
• Pianificazione più in generale di tutte le risorse produttive ritenute critiche
(fornitori o terzisti, capacità di stoccaggio, ecc.)
• Simulazione di tipo “what if”, che consente la verifica di diverse ipotesi
del piano di produzione
Precedentemente abbiamo parlato di un tentativo di aggiungere tutte queste
altre funzionalità. In realtà i presupposti di integrazione rimasero circoscritti alle
applicazioni di supporto ai processi di pianificazione e programmazione della
produzione. Le interazioni con le aree non produttive risultarono, in fatti,
funzionali all’alimentazione dei moduli applicativi del sistema MRP II, ma non
viceversa. I dati di output MRP II non potevano, cioè, essere utilizzati, in via
diretta, come dati di input per altre applicazioni. D’altra parte rimasero confinate
al piano teorico anche le altre promesse di integrazione con le applicazioni
funzionali ai processi di progettazione ed industrializzazione del prodotto (CAD,
CAM, CAPP) e con le applicazioni utilizzate nei processi amministrativi e
finanziari. La funzionalità di pianificazione finanziaria di cui si è parlato prima si
tradusse, in realtà, nella possibilità di valorizzare i piani di produzione e di
valutarne, utilizzando le potenzialità simulative, l’impatto sul profilo economico-
finanziario dell’azienda.
I sistemi MRP II introdussero, ciò nonostante, due elementi di profonda
differenziazione rispetto alle precedenti esperienze di integrazione, elementi che
150
caratterizzeranno anche il successivo evolversi dell’informatica aziendale. Tali
elementi sono:
• La modularità
• L’unicità del database su cui insistevano le applicazioni componenti il
sistema
La modularità consiste nella caratteristica dei sistemi MRP II di essere offerti
come insieme di moduli indipendenti, realizzati da un medesimo produttore, la cui
implementazione poteva avvenire in tempi successivi, mentre l’unicità dei
database permise finalmente di pervenire a quella standardizzazione semantica dei
dati e delle informazioni che, eliminando interfaccia e file neutri, rendeva
finalmente giustizia dell’ integrità e della coerenza dei dati e delle informazioni
archiviate.
Siamo così giunti a parlare dell’ultimo ritrovato dell’informatica per integrare
le applicazioni di supporto alle principali funzioni aziendali: i sistemi ERP.
Essi, oltre ad essere costituiti da moduli indipendenti insistenti su di un unico
database, si poterono avvalere, a differenza di tutto quanto visto fin’ora, di due
nuovi sviluppi dell’informatica:
• La nascita dei PC
• La nascita delle reti locali
Questi sviluppi permisero di soppiantare definitivamente la vecchia architettura
basata su mainframe e di sostituirla con la più efficiente, ed economica,
architettura client-server. In essa i vecchi terminali sono sostituiti da PC dotati di
151
un’autonoma capacità di calcolo (client) ed il mainframe è sostituito da un
computer che svolge specifiche funzioni all’interno della rete stessa (server).
Questa soluzione permise, oltre ad un consistente risparmio sul costo
dell’infrastruttura, il definitivo affrancamento dalla tirannia dei produttori “tutto
compreso”. Il software, comunque costosissimo e pertanto ad appannaggio
esclusivo della grande impresa, diventava indipendente dai componenti hardware
che con l’avvento dei PC si standardizzarono progressivamente. Ma questa è
anche l’era di altre innovazioni tecnologiche, che contribuirono a rendere più
semplice e potente l’ambiente informatico di lavoro. Solo a titolo di esempio si
pensi alle interfaccia grafiche, ai linguaggi di programmazione object-oriented, ai
database relazionali, al web.
Ciò premesso possiamo ora tornare ad occuparci dei sistemi ERP
analizzandone l’estensione delle attività interessate dall’integrazione. Esse
comprendono tutte le attività che configurano i processi di pianificazione e
programmazione della produzione ma si estendono anche a numerose altre attività
operative come la gestione dei magazzini, dei trasporti, della qualità e della
manutenzione oltre a tutta una serie di attività amministrative, commerciali,
finanziarie ed organizzative. La copertura dei sistemi ERP non si estende invece,
se non in misura assolutamente marginale, alle attività appartenenti ai processi di
progettazione ed industrializzazione del prodotto.
Prima di concludere il discorso sui sistemi ERP si rende necessaria una
breve disanima delle conseguenze organizzative legate all’implementazione di un
152
simile sistema. Questo perché i sistemi ERP introducono, grazie alle
caratteristiche già accennate (ampia copertura delle attività aziendali, architettura
client-server, integrazione nativa) un approccio diverso rispetto alla gestione delle
attività supportate e dei relativi flussi informativi. In fatti, fino all’avvento dei
sistemi ERP, la ricerca dell’integrazione era avvenuta solo con riferimento alla
variabile tecnologica, senza ipotizzare alcun intervento di natura organizzativa
legato ad una revisione dei processi aziendali. Ciò è testimoniato, tra gli altri
aspetti, anche dall’uso del modello piramidale per rappresentare le relazioni tra le
attività aziendali e l’architettura del sistema informativo. In pratica la struttura del
sistema informativo doveva aderire ai modelli di gestione propri dell’impresa.
Con l’introduzione dei sistemi ERP le cose cambiano radicalmente. In realtà
l’implementazione di tali sistemi induce ad un ripensamento della stessa
concezione di impresa. L’impresa non è vista più come un insieme di funzioni
indipendenti aggregate su base gerarchica ma come un sistema, cioè come
un’insieme di parti (processi) strettamente legate ed interdipendenti
rappresentabili attraverso un modello orizzontale piuttosto che verticale e
gerarchico. In conseguenza i ciò il problema dell’integrazione viene risolto non
agendo esclusivamente sulla variabile tecnologica ma ponendo, per la prima volta,
attenzione alla progettazione dei flussi fisici ed informativi. Nei sistemi ERP le
attività vengono aggregate rispetto a cicli omogenei di operazioni che si
sviluppano in modo trasversale rispetto alle unità funzionali, combinando in un
unico schema logico e applicativo i flussi di informazioni che accompagnano le
153
transazioni operative intersecando l’area della produzione, della logistica, della
contabilità, del controllo direzionale, del marketing, dell’amministrazione del
personale e così via. Ciò permette, in sostanza, di collegare in modo trasversale le
diverse funzioni aziendali che vengono quindi poste nelle condizioni di poter
dialogare in modo naturale attraverso la base dati comune, passando così
definitivamente da architetture gerarchiche ad architetture distribuite, sia in campo
informativo che organizzativo.
All’atto dell’implementazione di un’applicazione ERP occorre procedere
in via prioritaria a una chiara definizione , con successiva codifica, delle
procedure e delle prassi ammesse. Devono, fra gli altri, essere chiaramente
esplicitati:
• La sequenza delle attività che dovrà essere rispettata
• Il flusso dei documenti che interessa le diverse unità organizzative
• Le responsabilità associate a ciascuna fase in termini di esecuzione o
controllo
Ma nel fare ciò, l’impresa non è del tutto libera da vincoli, dovendosi
necessariamente muovere nell’ambito dei modelli predefiniti di gestione dei
processi, sulla cui razionalizzazione e messa a sistema si fonda di fatto
l’integrazione realizzata dai sistemi ERP, sovvertendo così il paradigma classico
secondo cui la struttura del sistema informativo dovesse adattarsi ai modelli di
gestione propri dell’azienda. Un sistema integrato impone la propria logica
mettendo a disposizione modalità di gestione e trattamento di dati ed informazioni
154
cui l’impresa deve necessariamente adattarsi, e una propria disciplina sia nella
gestione delle relazioni aziendali, sia nell’impostazione delle prassi operative. Se
da un lato, questa caratteristica introduce certamente una qualche rigidità,
dall’altro permette all’azienda di accedere alle best practice formalizzate proprio
nei modelli proposti.
Alla luce di quanto esposto non deve sorprendere che l’implementazione
di un sistema ERP rientri spesso nell’ambito di un progetto TQM (Total Quality
Management) o di BPR (Business Process Reengineering).
4.2.4 Oltre il modello di Kaplinsky: la quarta tappa
Per concludere la nostra trattazione sull’evoluzione dell’informatica
aziendale è necessario un accenno ad una nuova tendenza manifestatasi dopo gli
studi di Kaplinsky cui fin’ora si è fatto riferimento. Negli ultimi anni, parliamo
degli anni 90, hanno fatto apparizione sul mercato due nuove famiglie di
applicativi. Essi sono:
• I sistemi PDM (Product Data Management)
• I sistemi SCM (Supply Chain Management)
Rispondendo ad una esigenza apparsa recentemente, e di cui si è già
ampiamente discusso, entrambi i sistemi tentano di superare i limiti
dell’integrazione inter-sfera, pur sempre confinata fra le mura della struttura
aziendale, per tentare di coordinare attività e processi che avvengono nell’intera
supply chain e che, come tali, coinvolgono più soggetti e relativi sistemi
155
informativi. Proprio questa caratteristica spiega anche il ricorso massiccio che
questi applicativi fanno alle tecnologie web, a partire dall’utilizzo di architetture
intranet/extranet per le reti aziendali al posto delle classiche Ethernet, FDDI,
ATM e via dicendo. In altre parole, con questi applicativi si cerca di proporre
schemi e modelli organizzativi che siano validi per più soggetti, al fine di
aumentare la prevedibilità dei comportamenti, il coordinamento delle attività, la
trasparenza dei flussi fisici ed informativi, e ridurre l’incertezza.
In oltre con tali sistemi si cerca di superare i limiti insiti nelle applicazioni
precedenti, superando, ad esempio, la frattura esistente nei sistemi ERP tra
progettazione ed industrializzazione del prodotto da un lato (con i sistemi CAD,
CAM, CAPP), e programmazione e controllo della produzione dall’altro
(MRP/CRP). In pratica si tenta anche di ampliare l’estensione dell’integrazione
inter-sfera.
Più in particolare i sistemi PDM puntano all’integrazione dei dati di canale
sulla base del prodotto di appartenenza, permettendo in tal modo l’interoperatività
delle varie applicazioni che tali dati utilizzano, mentre i sistemi SCM offrono
specifiche funzionalità a supporto dei processi:
• Previsionale
• Order processing
• Pianificazione della produzione, con la sostituzione delle applicazioni
MRP da parte delle più evolute APS ( Advanced Planning System)
156
ovviamente con il concorso dei dati e delle elaborazioni di tutti i principali
soggetti della supply chain.
Quanto esposto, sebbene non abbia pretese di esaustività, può senz’altro
bastare a chiarire le tappe principali dell’evoluzione dell’informatica aziendale ed
a tratteggiare le caratteristiche principali dell’odierno contesto. Possiamo quindi
passare allo studio concreto del flusso di bit di cui ci eravamo riproposti
un’analisi.
4.3 La raccolta delle informazioni dal cliente
Nel corso della discussione portata avanti nei capitoli precedenti si è più
volte ribadita l’importanza del cliente nel guidare tanto i processi strategici quanto
quelli operativi. Infatti, sia nel definire la SCM sia nel definire la logistica si è
ribadito come il conformarsi alle richieste del cliente sia l’obiettivo fondamentale
di entrambe. Si è visto come stanno cambiando le strategie di marketing dove il
passaggio da un’ottica di tipo push ad una di tipo pull è oramai un dato di fatto per
molte realtà aziendali. Si è visto inoltre come, per raggiungere con successo gli
obiettivi strategici ed operativi che accompagnano l’implementazione della SCM,
sia indispensabile conoscere in tempo reale le effettive richieste del mercato. Alla
luce di ciò non deve sorprendere come la nostra esplorazione del flusso
informativo che guida il flusso fisico nella supply chain e dell’infrastruttura
informatica che lo supporta parta dall’ultimo movimento del flusso fisico che
attraversa la supply chain, e cioè dalla consegna del prodotto finale al
157
consumatore. Questo passaggio rappresenta contemporaneamente sia l’ultimo
stadio del flusso fisico sia il primo del flusso informativo, flusso quest’ultimo,
come già più volte ribadito, di fondamentale importanza per guidare, in tempi e
quantità, i processi produttivi e distributivi affinché il prodotto giusto sia nel
luogo giusto al momento giusto.
Come il caso WL – CVS mostra chiaramente, ogniqualvolta un prodotto
finale viene consegnato al cliente tale dato deve essere registrato e trasmesso agli
attori a mante nella supply chain. In particolare la disponibilità di tali dati
permette di conoscere, tramite opportune elaborazioni:
• La situazione delle scorte a scaffale, la quantità esposta e la correlazione
tra le categorie di prodotto
• La variabilità delle vendite all’interno del mese, della settimana o del
giorno
• I successi o gli insuccessi delle vendite dei diversi articoli, per varianti
proposte
• La risposta alle variazioni di prezzo, al posizionamento dei prodotti ed agli
investimenti promozionali
Tali dati possono e devono essere utilizzati per gestire i rifornimenti e le
scorte dei prodotti stessi. Essi, infatti, possono essere inviate ai produttori o ai
distributori affinché sincronizzino su di essi i rispettivi processi ed eseguano il
ripristino del venduto. In tal modo, attraverso la realizzazione di un sistema di
coordinamento del canale, che va direttamente dal produttore alla vetrina saltando
158
talvolta il passaggio per il centro di distribuzione, è possibile pervenire ad una
riduzione del numero dei magazzini intermedi, dell’entità degli stock e del tempo
di fornitura [Sabath, 1995; Ferrozzi, Hammond, Shapiro, 1993].
Solo una condivisione di queste informazioni permette a tutti gli attori del canale
di avere una visione della domanda finale più aderente alla realtà ed impedisce la
diffusione a monte di informazioni distorte o amplificate.
Il flusso informativo parte dunque dall’ultimo anello della catena logistica per
risalire la corrente fino al fornitore di materie prime, seguendo, in tal modo, un
percorso inverso rispetto a quello seguito dal flusso fisico.
Per una effettiva riorganizzazione della filiera è quindi necessario partire dalle
esigenze e dalle richieste del cliente, come insegnano i fondamenti teorici della
SCM. E’ proprio dal cliente, in fatti, che parte quel flusso di informazioni che,
come già più volte ricordato, deve guidare l’azione coordinata di tutti gli attori
della filiera. Per ottenere questo obbiettivo è quindi necessario permettere a tutti i
membri della supply chain l’accesso alle informazioni sul sell-out, cioè ai dati sul
venduto al consumatore finale. Questo modo di operare, sebbene intuitivamente
vantaggioso, rappresenta in realtà un importante elemento di discontinuità rispetto
al modo in cui gli attori della catena logistica si sono da sempre rapportati
reciprocamente. Tradizionalmente, infatti, ogni membro della filiera ha operato
cercando di ottimizzare solo i propri obbiettivi, sviluppando così situazioni
antagoniste con i vicini di filiera. Ogni attore del canale si è fatto guidare dal sell-
in, cioè dalle informazioni di vendita al cliente di canale attiguo, e non ha avuto a
159
disposizione il sell-out, patrimonio esclusivo della distribuzione. Il risultato di
queste zone d’ombra all’interno della filiera è stato un gigantesco spreco di
energie e di denaro, a causa di errori di previsione ed inefficienze del sistema
logistico. Infatti, con un tale approccio l’incertezza della domanda cresce e
l’affidabilità delle previsioni decresce a mano a mano che ci si sposta sempre più
a monte nella supply chain. Il sistema illustrato, inoltre, reagisce molto lentamente
e in ritardo rispetto alle fluttuazioni del mercato. Ai fini di una più chiara
comprensione di quanto si sta esponendo si riconsideri la supply chain WL – CVS
descritta nel primo paragrafo e si supponga che al suo interno i partner non
condividano i dati sul sell – out ma che ogn’uno agisca isolatamente e basando le
proprie previsioni esclusivamente sui dati relativi al sell – in. Si supponga adesso
che le vendite della listerina diventino elevate a causa di fattori improvvisi ed
imprevisti e che a seguito di ciò il dettagliante emetta degli ulteriori ordini al
centro di distribuzione CVS. A questo punto potrebbero verificarsi due ipotesi:
• Le scorte del distributore sono sufficienti per fronteggiare gli ulteriori
ordini
• Le scorte del dettagliante non sono sufficienti per fronteggiare la crescita
della domanda
Nel primo caso gli effetti dell’improvviso cambiamento della domanda si
fermerebbero a questo stadio della filiera ma nel secondo caso continuerebbero ad
espandersi per la supply chain amplificandosi ad ogni passaggio da un partner
all’altro. Infatti, in questa seconda ipotesi il centro di distribuzione della CVS
160
emetterebbe un ordine alla WL. Questa, a sua volta, emetterebbe un ordine ad uno
dei fornitori dei vari ingredienti della listerina solamente quando il livello di
scorta di quel determinato articolo dovesse raggiungere il rispettivo livello di
riordino e quando venisse generato un nuovo piano di produzione [Sabath, 1995].
Se quindi il trend di vendita dovesse continuare, il sistema lo seguirebbe in
ritardo. A causa di ciò il sistema induce l’effetto Forrester di amplificazione delle
oscillazioni della domanda finale [Forrester, 1958; Montgomery & Porter, 1993].
L’effetto Frrester, già incontrato nel terzo capitolo, è un fenomeno che si riscontra
specialmente nei canali in cui ciascun operatore regola la propria produzione e i
propri livelli di scorte sulla domanda dei suoi partner a valle, piuttosto che sulla
domanda dei consumatori finali. In tali sistemi non è raro notare come una
variazione del 5% della domanda presso il punto vendita generi una variazione
della domanda del 30-40% a livello dei produttori delle materie prime [Ferrozzi,
Hammond, Shapiro, 1993]. Ciò è dovuto soprattutto all’effetto distorcente delle
diverse e non coordinate politiche di riordino lungo la filiera ed al fatto che
nell’ordine non si distingue la parte connessa alla variazione della domanda da
quella associata a semplice variazione del livello dello stock di magazzino
[Wikner, Towill, Naim, 1991].
È evidente quindi che, al di là delle difficoltà organizzative all’adozione di un
paradigma operativo che faccia leva sull’integrazione e sulla condivisione di
informazioni, esistono anche notevoli ostacoli di carattere culturale connessi ad
anni di relazioni antagoniste basate su di una scarsa fiducia reciproca, ostacoli il
161
cui superamento, sebbene necessario, non sarà di facile ed immediata soluzione
aggiungendo, in tal modo, nuovi problemi all’implementazione di sistemi
operativi e strategici realmente integrati.
Venendo all’analisi dell’infrastruttura informatica necessaria a supportare
quanto visto fino ad ora possiamo dire che le tecnologie per realizzare questo
scambio informativo sono sostanzialmente tre [Vinelli e Forza, 1996]:
• Codici a barre (vedi fig. 4.2)
• Scanner e raccolta dei dati dal punto vendita (Point of Sale - POS) (vedi
fig. 4.3)
• Scambio informativo per via elettronica (Electronic data Interchange -
EDI)
I codici a barre permettono di identificare gli articoli, i sistemi POS
permettono di leggere i codici a barre evitando l’immissione manuale dei dati e le
Fig. 4.2 – Esempio di codice a barre; Fonte: Mertenz (1999)
162
tecnologie EDI permettono il trasferimento elettronico dei dati raccolti in
precedenza. Abbinando, nel punto vendita, l’uso dei codici a barre con le
tecnologie POS ed EDI, tanto il dettagliante quanto il distributore, oltre che essere
le informazioni a monte. Da notare che l’adozione dei codici a barre e degli
strumenti di lettura (scanner), inizialmente introdotti al solo scopo di permettere la
fatturazione automatica, rappresenta il primo, imprescindibile, passo per la
condivisione delle informazioni tra gli operatori della filiera, ovviamente associata
ad una tecnologia di tipo EDI.
Fig 4.3 – POS e flussi informativi; Fonte: Mertenz (1999)
163
In pratica, ogni cassa di ciascun punto vendita dovrebbe essere dotata di un
apposito scanner in grado di leggere i codici a barra apposti sui singoli articoli.
Quando il codice a barre viene letto dallo scanner il dato viene registrato da un
computer che annota ogni notizia relativa a quel prodotto. Dall’informazione
memorizzata si può risalire al produttore dell’articolo, alla data di fabbricazione,
al prezzo, alla data di vendita, ecc.
Tale sistema ha enormi potenzialità di controllo delle informazioni ed il suo
impiego si sta rapidamente diffondendo. Infatti l’avvento delle tecnologia POS
permette di controllare, istante per istante, l’esistente a magazzino tanto presso il
punto vendita quanto, per aggregazione, presso il distributore. Il POS con scanner
viene così impiegato per concretizzare il principio del ripristino del venduto, per
cui ogni qual volta il livello delle giacenze raggiunge il minimo stabilito, scatta
automaticamente la richiesta di riordino. Il riassortimento continuo degli scaffali
(continous replenishment) sostituisce i magazzini nel retro del negozio ed evita, o
quanto meno riduce, forniture superiori ai consumi previsti. Il perseguimento
operativo di una simile strategia, volta al contenimento della variabilità della
domanda, si basa, inoltre, su di una riduzione a monte dei lotti minimi in
produzione/distribuzione con conseguente riorganizzazione del sistema
produttivo/distributivo verso una maggiore frequenza delle consegne e una
compressione dei tempi di consegna, in altre parole su di una maggiore
flessibilità, ma questa, come già detto nell’introduzione al capitolo, è un’altra
storia.
164
Il coordinamento di canale, quindi, che può sembrare un fatto essenzialmente
fisico, viene in realtà governato da uno scambio informativo completo e
tempestivo. Tale sistema di gestione del magazzino presso il punto vendita, basato
su di una stretta cooperazione tra produttore, distributore e dettagliante , prende il
nome di VMI (Vendor Manages Inventory) e presuppone l’utilizzo di comuni
standard di comunicazione che permettano ai rispettivi sistemi informativi di
scambiarsi informazioni e, soprattutto, di interpretarne correttamente il
significato. In tal senso, il ricorso a sistemi PDM o SCM, descritti in precedenza,
può rappresentare un valido supporto.
L’ impiego di codici a barre, POS e sistemi EDI porta con se anche altri
vantaggi, oltre a quelli associati alla riduzione degli stock, alla migliore
programmazione della produzione, delle spedizioni e dei trasporti, che è bene
sottolineare per l’incidenza che hanno sia in termini di costo che di qualità
erogata.
Per quel che riguarda il primo aspetto basti considerare che, mediamente, il
25% dei costi di transazione è rappresentato dalle fasi di data entry e re-entry
comunemente svolte manualmente, costi che aumentano in caso di errori e
conseguenti correzioni.. I sistemi POS automatizzano l’attività di data entry ed
eliminando gli errori alla radice evitano le attività di re-entry, aumentando il
volume delle informazioni scambiate nell’unità di tempo (aumento della
produttività).
165
Per quel che riguarda la qualità, notevoli benefici si ottengono grazie alla
riduzione degli errori nell’immissione dei dati ed all’incremento della velocità
nell’immissione degli stessi e nel loro trasferimento agli attori della filiera.
L’interscambio elettronico dei dati, acquisiti automaticamente via scanner,
semplifica ed automatizza le procedure aziendali per lo scambio di quelle
informazioni che in precedenza erano trasmesse su supporti cartacei. Tramite
queste tecnologie, i rapporti tra gli attori della catena diventano più veloci e diretti
con conseguente aumento della qualità del lavoro svolto.
In conclusione, codici a barre, POS e sistemi EDI sono i primi elementi
dell’infrastruttura informatica aziendale e della supply chain. Il loro utilizzo è
riscontrabile un po’ ovunque, non solo presso le casse dei punti vendita o nei
magazzini del distributore. Infatti, come sarà visto nel seguito, i codici a barre e i
POS sono utilizzati in genere per il censimento e il controllo, in punti significativi
del flusso, degli oggetti fisici che attraversano la supply chain così da conoscere,
ad esempio, in tempo reale l’entità degli stock e alimentare con dati aggiornati i
sistemi per la programmazione della produzione e la verifica della disponibilità di
risorse. I sistemi EDI sono costituiti, invece, dagli elementi hardware e software,
nonché dall’insieme di standard e protocolli che rendono possibile il collegamento
in rete delle stazioni di lavoro.
Ciò detto andiamo a veder adesso quali strumenti informatici vengono
utilizzati dal manufacturer per elaborare le informazioni raccolte via POS e
trasmesse a mezzo EDI dalla distribuzione al fine di coordinare ed ottimizzare il
166
processo produttivo, e il flusso fisico che l’attraversa, e produrre solo ciò che è
realmente richiesto.
4.4 Pianificazione dei materiali e della capacità produttiva
Abbiamo detto in apertura del presente capitolo che l’obbiettivo di fondo
di una supply chain che si prefigga di ridurre i costi di inventario senza incrinare i
livelli di servizio è quello di produrre e distribuire i propri prodotti solo quando se
ne presenti una richiesta reale, implementando un approccio operativo che
abbiamo definito “on demand”.
Abbiamo anche già detto più volte che un simile approccio pone il cliente
al centro dei processi strategici ed operativi della supply chain e nel paragrafo
precedente abbiamo iniziato a vedere in che modo ciò si traduca da un punto di
vista prettamente operativo. In particolare le informazioni relative all’effettivo
andamento delle vendite al cliente finale, il cosiddetto sell – out, assumono a
questo fine un’importanza strategica. Sempre nel paragrafo precedente si è visto
come queste informazioni vengano di fatto raccolte e come vengano
successivamente messe a disposizione dei partner a monte tramite il ricorso a
sistemi EDI. È ora giunto il momento di vedere in che modo queste informazioni
vengono utilizzate una volta immesse nel sistema informativo del manufacturer e
di quali applicazioni lo stesso manufacturer si serva per elaborarle e produrre solo
quello che, in un dato periodo, il mercato richiede ed è pertanto in grado di
167
assorbire, il tutto contenendo al minimo i livelli di inventario propri e degli
operatori a valle e a monte.
Al fine di rispondere più o meno efficacemente alle richieste del mercato il
manufacturer deve dar vita a tre attività distinte ma indissolubilmente interrelate.
Tali attività, elencate in ordine di successione temporale, sono:
• Previsione della domanda
• Pianificazione dell’uso delle risorse aziendali e programmazione delle
attività operative
• Esecuzione delle attività programmate e relativo controllo
Ovviamente l’ordine temporale delle suddette attività deve essere considerato
elasticamente essendo ciascuna di esse soggetta a continue verifiche e controlli i
quali potrebbero dar vita a modifiche ed aggiustamenti che , a prescindere
dall’attività oggetto di specifica revisione, coinvolgerebbero inevitabilmente
anche le altre in un processo iterativo di tipo circolare.
Iniziando dall’attività previsionale, appare evidente come previsioni accurate e
aggiornate periodicamente, tradotte in un piano della domanda, siano essenziali
per la preparazione e la gestione delle scorte e del livello di servizio [Giordano,
1994]. A tal fine risulta determinante la tempestività delle informazioni inviate
dalla distribuzione (sell – out). I dati vengono processati attraverso apposite
applicazioni autonome o moduli dedicati dei sistemi integrati ERP, SCM e PDM.
Qual’ora si ricorra ad una soluzione integrata, in oltre, è possibile confrontare
continuamente le previsioni con i risultati dei moduli addetti alla programmazione
168
della produzione (Closed loop MRP, MRP II, ERP, SCM, PDM) avviando così un
processo continuo di feedback. Infatti, e come già detto, tali soluzioni sono le sole
che supportano l’automazione dell’interpretazione delle informazioni e
consentono ai vari moduli per la pianificazione e la schedulazione della
produzione, per le previsioni, per la gestione degli approvvigionamenti, delle
scorte e degli acquisti di comunicare direttamente.
Inoltre, sempre nell’ambito delle soluzioni integrate, nel momento in cui il
distributore emette l’ordine di fornitura, i volumi e gli articoli richiesti vengono
confrontati con il profilo tracciato in fase di pianificazione. Con i successivi ordini
di riassortimento si scalano i versamenti effettuati dal fabbisogno complessivo
previsto e si valuta l’andamento delle vendite effettive con quelle previste,
Verifica scostamenti
Ritaratura dei fabbisogni e dei profili
Definizione scorte di sicurezza
Profilo iniziale
Ordini effettivi
Scorte iniziali
Fig 4.4 – Verifica degli scostamenti e definizione dei livelli di sicurezza; Fonte:Vinelli, Forza, !996
169
evidenziando eventuali scostamenti e proiettando i fabbisogni dei periodi
successivi. In base all’analisi degli scostamenti tra previsioni ed ordini effettivi,
Piano della Domanda
Piano Aggregato (PP)
Piano Principale (MPS)
Pianificazione Fabbisogno di materiale (MRP)
Richiesta di
acquisto
Proposta di Ordine
Verifica disponibilità risorse (RRP)
Verifica grezza capacità produttiva (RCCP)
Pianificazione Fabbisogno capacità produttiva (CRP)
Pianificazione della capacità
Fig. 4.5 – Il processo di pianificazione; Fonte: Secchi, 2000)
170
vanno ritarate le scorte di sicurezza a magazzino prodotti finiti nonché i piani di
produzione (si veda in proposito fig. 4.4).
Venendo adesso all’attività di pianificazione occorre innanzitutto ricordare
come essa sia funzionale all’adozione del metodo flow control per la gestione dei
flussi fisici interni alla supply chain. Come già detto in precedenza, il metodo
flow control per la gestione dei materiali da impiegare nei processi di
approvvigionamento, produzione e distribuzione all’interno della supply chain,
pone l’accento sul concetto di flusso, intendendo per esso “il movimento
ininterrotto dei materiali che vanno ad alimentare i vari stadi della catena
logistica al fine di soddisfare una determinata tempificazione dei fabbisogni,
calcolati in base alla richiesta finale effettiva o in funzione di previsioni
attendibili della richiesta stessa” [Secchi, 2000]. Tale modalità di operare
presuppone, tuttavia, che vi sia un processo formalizzato di pianificazione che
trasformi le previsioni sui potenziali consumi in coerenti piani di produzione volti
ad assicurare la disponibilità dei materiali nei nodi della supply chain [Bonel,
1989; Zanoni, 1989].
Il processo di pianificazione (fig. 4.5) si articola in una serie sequenziale di
fasi distinte, sebbene fortemente interrelate, caratterizzate da un crescente livello
di dettaglio circa l’oggetto e l’orizzonte temporale di riferimento [Da Villa, 1991].
Con riferimento al modello gerarchico5 [Vollmann et al., 1992], caratterizzato da
5 È bene ricordare che l’organizzazione del processo produttivo è fortemente firm-specific in quanto dipende in misura sostanziale dalle caratteristiche del prodotto da realizzare, dal grado di flessibilità/elasticità che caratterizza il sistema produttivo, dalle modalità con cui si intende rispondere alle richieste del mercato, dalla natura della domanda ecc. Per tali ragioni si è ritenuto
171
un sufficiente livello di generalità, le fasi di tale processo possono essere così
suddivise:
• Piano della domanda (analizzato in precedenza) che, come già detto
costituisce la fase di input del processo di pianificazione, in quanto riporta
le informazioni relative alle richieste provenienti dal mercato. Tali
richieste possono essere la sintesi tra la domanda futura, che la funzione
commerciale cerca di anticipare, e la domanda effettiva espressa dal
mercato, già tradotta in specifici ordini. L’attività previsionale è
funzionale alla formulazione sia del piano aggregato (con riferimento ad
un orizzonte di lungo termine), sia del piano principale di produzione (con
riferimento ad un orizzonte di medio termine).
• Piano aggregato di produzione che definisce il programma delle attività
produttive nel lungo termine6. Il piano aggregato determina con dettaglio
solitamente mensile o trimestrale le quantità da produrre e, di
conseguenza, gli impegni di capacità produttiva necessari per soddisfare i
fabbisogni previsti nel piano della domanda.
• Verifica della disponibilità di risorse produttive, volta a valutare se vi
sono in azienda sufficienti disponibilità di risorse per far fronte al piano
opportuno fare riferimento a un modello che ha il pregio di mantenere una buona capacità interpretativa delle problematiche di pianificazione anche quando si prendono in considerazione tipologie produttive diverse. È naturale che quanto più si approfondisce l’analisi di uno specifico contesto produttivo, tanto più il modello perde efficacia nello spiegare le singole peculiarità. In questi casi occorre tenere in considerazione le varianti al modello che sono state sviluppate nel corso degli anni [Scott, 1994].
172
così definito. La verifica riguarda generalmente le risorse aziendali
maggiormente critiche (di natura produttiva o finanziaria, quelle
dipendenti dai fornitori, le disponibilità di spazio, ecc.). Volendo
focalizzare l’attenzione solamente sulle risorse produttive, la verifica
richiede la trasformazione del piano aggregato in fabbisogni di Capacità
Produttiva Necessaria (CPN), espressi nella più appropriata unità di
riferimento, il successivo confronto, periodo per periodo, tra fabbisogno
(CPN) e disponibilità di risorse produttive (CPD – Capacità Produttiva
Disponibile) e la decisione di eventuali riconciliazioni a fronte di
incoerenze tra fabbisogno e disponibilità.
• Piano principale di produzione, che è il risultato della disaggregazione
del piano di lungo termine in un piano più dettagliato, sotto il profilo sia
dell’orizzonte temporale, sia degli oggetti considerati.
• Verifica grezza di capacità produttiva, finalizzata alla valutazione della
congruenza tra capacità e disponibilità di risorse produttive in relazione
all’orizzonte di programmazione e ai centri di produzione interessati dal
piano principale di produzione. Si tratta comunque di una verifica “grezza”
in quanto non tiene in considerazione il carico generato sui singoli centri
in funzione del ciclo di lavoro [Vollmann et al., 1992]. Un riscontro
positivo permette di passare dal piano principale “pianificato” al piano
6 Solitamente ciò significa riferirsi ad un arco temporale pari a 6-12 mesi, anche se occorre sottolineare l’impossibilità di una definizione di lungo termine che abbia validità generale per qualsiasi impresa.
173
principale “autorizzato”, che diventa l’input ufficiale per dar corso alla
successiva fase del processo di programmazione [Da Villa, 1991].
• Pianificazione del fabbisogno dei materiali, con cui si definiscono le
proposte relative agli ordini di lavoro per i codici realizzati internamente,
oppure gli ordini di acquisto per i codici approvvigionati. Il calcolo dei
fabbisogni avviene generalmente mediante il sistema MRP (Material
Requirements Planning) che, con riferimento al piano principale, esplode
la distinta base e determina il fabbisogno di tutti i materiali necessari alla
realizzazione del prodotto finito. Tali fabbisogni vengono poi anticipati nel
tempo per tenere opportunamente in considerazione i lead time necessari
per l’esecuzione delle attività di trasformazione e di approvvigionamento
[Orlicky, 1975].
• Pianificazione del fabbisogno di capacità, che si pone l’obbiettivo di
verificare, con un elevato grado di dettaglio, se la capacità disponibile
presso i centri di produzione è sufficiente per realizzare gli ordini di lavoro
proposti dal sistema MRP. In termini analitici, il calcolo dell’impegno di
capacità per ogni centro viene effettuato, per ciascuno degli ordini che
cadono all’interno dell’orizzonte di riferimento, attraverso una
schedulazione di tutte le operazioni previste dal ciclo di produzione
[Vollmann et al., 1992].
In altre parole, il processo ha avvio con l’elaborazione del piano della
domanda da parte della funzione commerciale. Da tale piano scaturisce poi la
174
formulazione del piano aggregato di produzione (Production Plan – PP), che è
finalizzato alla traduzione delle previsioni di vendita in impegni di produzione su
di un orizzonte di lungo termine. Successivamente si provvede ad una prima
verifica di fattibilità, confrontando il fabbisogno di capacità produttiva, così come
emerso dalle fasi precedenti, e la capacità produttiva disponibile. Se l’esito della
verifica è positivo, o dopo gli opportuni aggiustamenti nel caso opposto, si
procede con la fase di sviluppo del piano principale di produzione (Master
Production Schedule) con il quale vengono dettagliati i piani di produzione con
riferimento al medio termine. Si tratta cioè di esplicitare con un maggior livello di
dettaglio quanto contenuto del piano aggregato di produzione e con riferimento ad
un orizzonte temporale più limitato, stabilendo non solo le quantità da produrre
ma specificando l’entità dei lotti e le alternanze di produzione in modo da saturare
la capacità produttiva e ottenere un efficace livellamento dei carichi. L’MPS così
ottenuto viene quindi sottoposto nuovamente a verifica di fattibilità. Tale verifica,
effettuata con ricorso a specifici moduli software chiamati RCCP (Rough Cut
Capacity Planning), come già detto, è detta “grezza” in quanto non tiene in
considerazione il carico generato sui singoli centri in funzione del ciclo di lavoro.
In fine, superata la verifica, l’MPS diventa autorizzato ed è quindi possibile
procedere all’esplosione dei fabbisogni di materiali e componenti attraverso il
sistema MRP, esplosione da sottoporre anch’essa a verifica di fattibilità,
utilizzando questa volta i sistemi CRP (Capacity Requirements Planning).
175
Quella appena descritta è la descrizione del processo attraverso il quale si giunge a
fissare temporalmente gli impegni delle risorse produttive in modo che le
scadenze previste per le varie fasi del ciclo di acquisto, trasformazione e
distribuzione siano correttamente rispettate. Solo attraverso un’attenta
pianificazione e il rispetto di quanto in essa fissato è, infatti, possibile assicurare
la fluidità del flusso di atomi all’interno della supply chain ed evitare la
formazione di stock non previsti ex-ante lungo i nodi della stessa.
In fine, poiché l’orizzonte temporale più breve considerato nel processo di
pianificazione è il medio termine, prima di procedere all’attuazione dei piani di
produzione si rende necessaria un’ulteriore fase di disaggregazione con
riferimento al breve o brevissimo periodo. A tal proposito, gli ordini di lavoro,
relativi a tutti i materiali che devono subire, secondo quanto pianificato dal
sistema MRP, una fase di fabbricazione o di assemblaggio, sono oggetto di un
successivo stadio di programmazione che ha il compito di definire in dettaglio il
loro avanzamento all’interno del sistema produttivo. Si tratta della
programmazione operativa, detta anche programmazione di dettaglio o scheduling
[Brandolese et al., 1991], che abbraccia, per l’appunto, un orizzonte temporale di
breve o brevissimo periodo ed è caratterizzata da un elevato grado di dettaglio, sia
con riferimento alle risorse considerate (specifiche unità produttive, siano esse
reparti, linee o singoli impianti), sia con riferimento all’oggetto (i singoli ordini di
lavoro).
176
Nella prassi si è soliti distinguere il piano delle operazioni terminali (FAS
– Final Assemble Schedule), che ha per oggetto le fasi di coda (assemblaggio e
fabbricazione terminali di codici di prodotto finito), dalle attività di scheduling in
senso stretto, che interessano le operazioni di testa (lavorazioni su componenti
collocati ai livelli inferiori della distinta base e quindi relativi a fasi di monte del
processo produttivo) [Grando, 1995]. Tale distinzione si rende opportuna per via
del dissalineamento temporale che si verifica tra la programmazione delle fasi di
testa, che devono essere lanciate in anticipo per effetto della precessione dei lead
time, e delle fasi di coda, in cui il pianificatore deve assicurare il rispetto degli
“appuntamenti” tra tutti i codici di distinta base che servono per realizzare il
prodotto finito.
4.5 Il controllo della produzione
Quello descritto nel paragrafo precedente è, sostanzialmente, il processo
che dà come output un “progetto” del flusso fisico che attraversa la supply chain.
In seguito questo progetto sarà realizzato attraverso quelle attività, come la
produzione, l’approvvigionamento, le attività di magazzino, che concretamente
danno vita a questo flusso e che realmente spostano gli atomi da monte a valle.
Quel progetto, lo si è visto, è stato costruito principalmente sulla base dei dati sul
sell – out, ma essi da soli non bastano ad assicurare la realizzabilità e la
realizzazione del progetto stesso. Occorre continuamente alimentare i moduli che
177
sovrintendono al processo di pianificazione e di emissione automatica degli ordini
di approvvigionamento anche con le informazioni relative alle reali consistenze
del magazzino, allo stato del wip, allo stato di avanzamento delle lavorazioni.
Cosi come visto in precedenza per la rilevazione dei dati sul venduto, è necessario
anche in questo caso il ricorso ad un’apposita infrastruttura hardware e software,
istallata prevalentemente nei magazzini in entrata e lungo le linee di produzione,
per rilevare e controllare il reale flusso di atomi, si tratti di materiali in arrivo dai
fornitori o wip in attesa tra due macchine.
Per rendere più agevole l’esposizione di questo passaggio analizziamo
separatamente la parte di flusso che si snoda lungo le linee produttive rispetto a
quella che prende vita nei magazzini. Di seguito verrà analizzato il primo punto,
mentre per il secondo si rimanda al paragrafo successivo.
Per controllo della produzione si intende “l’insieme delle attività volte a
verificare che le diverse fasi del processo produttivo siano svolte nei tempi e nelle
modalità previste dal programma di produzione” [Bonel, 1989]. L’attenzione è
rivolta non solo al controllo delle operazioni di produzione, ma anche alle
condizioni in cui esse si svolgono. Ciò significa procedere ad una serie di
rilevazioni che riguardano nel complesso [Balbiano, 1980]:
• L’avanzamento delle lavorazioni
• Le attività svolte dal personale
• Lo stato delle macchine e degli impianti
178
Fra le tre serie di rilevazioni quelle che più interessano ai nostri fini sono
sicuramente le prime. Infatti, l’avanzamento delle lavorazioni riveste un ruolo
fondamentale all’interno del processo di pianificazione e programmazione della
produzione poiché permette di monitorare costantemente i flussi produttivi e di
mettere in atto le azioni correttive più opportune per fronteggiare eventuali
problemi. La verifica dell’avanzamento presuppone la segnalazione dell’avvenuto
passaggio del materiale in corso di lavorazione attraverso step significativi del
processo produttivo. Il numero e il tipo di tali step può variare significativamente
in relazione all’ambiente operativo, alle modalità di lavorazione e
all’organizzazione esistente, tuttavia è necessario almeno provvedere alla
segnalazione dei momenti di inizio e di fine delle singole lavorazioni. Un sistema
più complesso ed esaustivo può riguardare, oltre alle lavorazioni, le seguenti
segnalazioni [Balbiano, 1980].
• Inizio e fine dell’attrezzaggio
• Interruzione e ripresa della lavorazione
• Denuncia di produzione parziale
• Inizio del trasporto
• Arrivo del materiale al centro di lavorazione
• Inizio e termine delle attività di manutenzione
• Denuncia dei risultati del collaudo
Il sistema di controllo dell’avanzamento può interfacciarsi inoltre con il
sistema di pianificazione al fine di [Scott, 1994]:
179
• Confermare tutti gli eventi previsti. Ciò riguarda, in prima istanza, il
completamento degli ordini di produzione interni, in modo da aggiornare il
database su cui si appoggia il sistema MRP e rendere di conseguenza più
realistici i piani elaborati a ogni esplosione dei fabbisogni
• Notificare tutti gli eventi imprevisti. Questi potrebbero includere, ad
esempio, differenze tra quantità ordinate/programmate e quantità
ricevute/prodotte o quantità dichiarate difettose a seguito di un controllo
qualità
Questi dati, opportunamente elaborati, risultano necessari sia per la
consuntivazione del ciclo di pianificazione, attraverso l’accertamento degli
scostamenti tra valori rilevati e valori attesi, sia per l’elaborazione di un nuovo
ciclo, allorché si siano manifestate specifiche situazioni che richiedono interventi
ad hoc (ad esempio, la sopraggiunta indisponibilità di un centro di lavoro che ha
impedito di evadere completamente un ordine in scadenza nel precedente periodo
dell’orizzonte di pianificazione).
Accanto alle finalità direttamente connesse con il controllo
dell’avanzamento della produzione, i dati rilevati possono fornire una serie di
input che consentono di alimentare altri sistemi all’interno della sfera gestionale.
In primo luogo, la rilevazione dei dati lungo il processo di trasformazione
può essere strutturata in modo da alimentare un articolato sistema di reporting
industriale volto alla misurazione dei principali indicatori di prestazione relativi
alla sfera produttivo-logistica. Senza entrare nel merito delle logiche sottostanti
180
alla creazione di un tale sistema di reporting, in questa sede ci preme solamente
sottolineare che i dati a disposizione consentono di porre sotto osservazione i
principali fattori che incidono sulla competitività aziendale:
• Costo, in termini della produttività della manodopera, degli impianti e dei
materiali impiegati nel processo di trasformazione
• Qualità, in relazione alla capacità di garantire un’elevata conformità dei
prodotti realizzati
• Servizio, legato essenzialmente alla determinazione dei tempi di
attraversamento del processo produttivo che concorrono a determinare,
insieme ai lead time degli altri stadi della catena logistica, la velocità di
risposta al mercato
In secondo luogo, alcuni dei dati rilevati possono opportunamente alimentare
il sistema di controllo di gestione. Nell’ottica di verificare non solo il dato
economico di sintesi, ma anche i parametri quantitativi che determinano i costi
aziendali (cost driver), si pone la necessità di trasferire al sistema gestionale di
controllo i dati relativi, ad esempio, all’utilizzo e all’efficienza degli impianti e
della manodopera, al consumo effettivo dei materiali, agli scarti. Questi dati
vengono generalmente consuntivati per centro di lavoro oppure, dove la
produzione lo consente, per prodotto o per linea di prodotto. In questo caso, si ha
la possibilità di monitorare anche gli scostamenti che si verificano sul costo stesso
del prodotto, attraverso l’analisi dei delta di costo rispetto al costo standard
[Falchero, 1992].
181
Per quel che riguarda l’infrastruttura informatica che presidia la porzione del
flusso fisico in questione, quella cioè che si snoda fra le linee produttive, i sistemi
all’uopo utilizzati vengono generalmente identificati con l’acronimo SFDC7 (Shop
Floor Data Collection).
All’interno di tali sistemi occorre distinguere la componente legata alla
raccolta dei dati da quella attinente all’elaborazione degli stessi. Per quel che
riguarda il primo aspetto non c’è niente di nuovo da dire. La soluzione più
informatizzata prevede il ricorso al sistema POS, gia analizzato precedentemente ,
attraverso cui è possibile effettuare le attività di rilevazione e di data entry
all’interno del sistema informativo senza alcun presidio degli addetti disponendo
gli scanner nei punti corrispondenti agli step significativi.. I dati possono essere
raccolti con elevata velocità, con un ottimo livello di accuratezza e in un formato
già adatto per una successiva elaborazione elettronica. Altre modalità meno
informatizzate di rilevazione dei dati prevedono tutte l’immissione manuale dei
dati stessi nel sistema informativo, dati riportati su apposite schede associate alle
unità in lavorazione o agli addetti alla linea produttiva.Ovviamente tali soluzioni
sono meno efficienti.
Per quel che riguarda, invece, le funzionalità di elaborazione esse non
presentano un contenuto specifico, consistendo prevalentemente in operazioni
matematiche e statistiche su database e sintesi in forma tabellare e/o grafica, e il
7 In alcuni testi, tali soluzioni informatiche vengono anche definite con l’acronimo FDC, ovvero Factory Data Collection. Le applicazioni SFDC o FDC non devono tuttavia essere confuse con un altro insieme di soluzioni, denominate SCADA – Supervisory Control And Data Acquisition – che
182
loro impiego assume connotati differenti in relazione alle finalità del
monitoraggio che ciascuna azienda intende perseguire. Non va comunque
dimenticato l’importanza, sottolineata precedentemente, che le informazioni in
questione assumo quando utilizzate per alimentare i moduli ERP, piuttosto che
PDM o SCM, per la pianificazione e la programmazione della produzione e degli
approvvigionamenti.
4.6 La Gestione dei magazzini
Passiamo adesso alla descrizione dell’ultima parte del flusso fisico e cioè di
quella che avviene nei magazzini Essa è composta da una serie di attività che
hanno lo scopo di gestire tutte le operazioni connesse con i flussi di materiali
[Rumi, 1996b]:
• Arrivati dai fornitori esterni e stoccati in attesa di essere impiegati in
produzione
• Movimentati tra le diverse aree operative all’interno di un sito produttivo
• Movimentati tra i diversi nodi della catena logistica
• Spediti ai clienti
Inoltre tali attività possono essere distinte in [Secchi, 2000]:
• Attività volte al presidio dei flussi di materiali all’interno delle aree di
stoccaggio (magazzini interoperazionali, magazzini centrali annessi agli
trovano ampia diffusione tipicamente nelle aziende di processo per il monitoraggio dei parametri di funzionamento degli impianti (temperatura, pressione, peso della miscela, ecc.)
183
stabilimenti di produzione, centri distributivi, transit point e magazzini
periferici) poste lungo la catena logistica.
• Attività che consentono di avere una precisa, aggiornata e completa
informazione sulle giacenze all’interno della supply chain.
Nel proseguio, coerentemente alla dimensione di analisi prescelta, ci si
soffermerà esclusivamente sull’infrastruttura informatica a supporto della seconda
classe di attività. Infatti, sebbene gli strumenti informatici a supporto della prima
serie di attività siano piuttosto ricchi e di sicuro interesse, il loro utilizzo nei
magazzini è rivolto a scopi diversi rispetto all’oggetto del nostro studio e
essenzialmente legati all’ottimizzazione degli spazi, all’emissione automatica di
documenti come bolle di accompagnamento e buoni di reso, alla razionalizzazione
delle attività di picking e più in generale al supporto delle attività fisiche che
presidiano il flusso stesso. A noi, invece, interessano quegli strumenti informatici
funzionali alla rilevazione, elaborazione e trasmissione di informazioni utilizzabili
nel processo di pianificazione o di previsione e che, per l’appunto, supportano la
seconda classe di attività. Si noti, infatti, come la precisa, aggiornata e completa
informazione sulle giacenze all’interno della supply chain presupponga la
registrazione contabile di tutte le operazioni che modificano la consistenza degli
stock, la loro eventuale valorizzazione ai fini di una valutazione più analitica del
capitale investito e un periodico accertamento quantitativo e qualitativo dei beni
in giacenza (inventario) per verificare eventuali differenze tra magazzino
contabile, che risulta dal sistema informativo, e fisico. La registrazione dei
184
movimenti di magazzino e il conseguente aggiornamento degli inventari
costituiscono, in realtà, il presupposto per garantire efficacia a tutto il processo di
pianificazione della produzione. L’elaborazione dei piani di produzione e la
determinazione dei fabbisogni dei materiali non possono infatti prescindere dalla
conoscenza dei livelli di disponibilità lungo la catena logistica, a meno di non
accettare un’approssimazione che tuttavia conduce inesorabilmente ad accrescere
gli investimenti in capitale circolante oppure ad offrire un livello di servizio
inadeguato alle richieste del mercato.
Ancora una volta codici a barre, scanner e sistemi EDI fanno la parte del
leone. L’utilizzo del POS permette, infatti, di rilevare gli spostamenti dei beni
fisici così come essi accadono all’interno dei magazzini. È importante però
individuare le operazioni che avvengono nei magazzini stessi al fine di
individuare, come è stato fatto per il controllo della produzione, gli step
fondamentali nei quali si rende necessaria una rilevazione delle informazioni circa
le esistenze di stock.
Tali operazioni possono essere così individuate [Secchi, 2000]:
• Il ricevimento, che ha lo scopo di espletare tutti i controlli formali e
sostanziali al fine di deliberare l’accettazione del materiale da
immagazzinare. Esso costituisce praticamente il momento in cui viene
riconosciuta la presenza del materiale all’interno dei punti di stoccaggio,
sia esso proveniente dall’esterno (fornitori o conto lavoro), sia esso versato
dai reparti di produzione
185
• Lo stoccaggio, che costituisce l’insieme delle operazioni necessarie alla
corretta allocazione dei materiali presso i singoli vani delle strutture
all’uopo predisposte
• Il picking, che si occupa del prelievo di un numero limitato di beni dal
sistema di stoccaggio al fine di soddisfare le richieste di materiale
provenienti dai vari nodi della catena logistica (unità produttive interne,
unità produttive esterne, altri magazzini intermedi, centri di distribuzione,
ecc.). L’attività di prelievo richiede una serie di operazioni preliminari,
quali l’identificazione, la selezione e la ricerca del materiale, che devono
essere svolte in modo molto accurato per garantire la corretta spedizione
dei materiali richiesti
• La movimentazione, che presidia tutte le attività di trasferimento dei
materiali tra il magazzino e i vari luoghi di utilizzo e tra le singole aree
operative all’interno di un sito produttivo
• La spedizione, che rappresenta la fase di “estinzione” del materiale
all’interno del centro di stoccaggio. Questo termine deve essere inteso in
senso lato in quanto riguarda la spedizione del materiale sia all’interno dei
reparti produttivi, sia ai magazzini a valle, sia al cliente finale.
Il ricevimento costituisce una operazione critica e senza dubbio uno di quegli step
nel quale è opportuno effettuare un’attenta rilevazione del flusso fisico che
l’attraversa. Esso è costituito da un insieme di attività finalizzate a gestire
l’ingresso di un materiale all’interno del magazzino. È una fase importante in
186
quanto rappresenta un filtro primario volto a verificare la rispondenza quantitativa
e qualitativa tra quanto richiesto e quanto consegnato. Una scarsa attenzione alle
attività di ricevimento può comportare tra l’altro una serie di disfunzioni a cascata
che riguardano ad esempio:
• La mancanza dei materiali necessari a soddisfare le richieste della
produzione, con il rischio di fermare le linee di produzione in attesa che
venga ripristinato lo stock, o dei clienti finali
• La presenza di materiali non conformi alle specifiche di progettazione, con
il rischio di realizzare e distribuire prodotti difettosi
Appare pertanto necessario predisporre un adeguato supporto per gli addetti,
affinché siano poste in essere tutte le verifiche necessarie ad assicurare che il
flusso dei materiali in ingresso sia coerente con quello programmato.
Qui l’utilizzo dei sistemi POS è senza dubbio utile. Inoltre gli appositi
moduli dei sistemi ERP per la gestione dei magazzini consentono di verificare,
richiamando tutte le posizioni aperte (di acquisto, di produzione, in conto lavoro),
l’esistenza di un ordine che giustifichi l’accettazione del materiale nonché di
evidenziare prontamente eventuali differenze tra le quantità riportate nella bolla
di accompagnamento e le quantità effettivamente riscontrate. Se il materiale
richiede uno specifico controllo qualitativo, esso può essere caricato in un
prefissato magazzino logico al fine di renderlo temporaneamente indisponibile.
Molte applicazioni supportano anche le procedure per effettuare le operazioni di
controllo, soprattutto nel caso in cui si adottino tecniche di campionamento. Al
187
termine delle verifiche necessarie, l’addetto completa l’immissione dei dati nel
sistema informativo, segnalando le quantità scartate non recuperabili e quelle
ripristinabili. Sulla base di queste informazioni, l’applicazione può generare
eventuali richieste di reintegro della fornitura oppure trasferire al sistema
contabile i dati necessari per l’addebito al fornitore.
Al termine di questo gruppo di attività, il materiale è in carico al
magazzino, è disponibile per le operazioni successive e la sua presenza è nota a
tutti i moduli del sistema informativo integrato.
Per quel che riguarda il secondo gruppo di operazioni, quelle relative allo
stoccaggio, esse prevedono il posizionamento dei materiali all’interno di
specifiche strutture, poste in una data area del magazzino, affinché siano
conservati fino al momento del loro impiego.
Le soluzioni informatiche che supportano queste attività esulano, per
quanto detto all’inizio di questo paragrafo, dal nostro oggetto di studio essendo
rivolte essenzialmente a fornire agli addetti le informazioni necessarie per
individuare la migliore allocazione disponibile per un dato materiale.
Discorso analogo vale anche per le applicazioni informatiche a supporto delle
attività di picking (o prelievo frazionato) , di quelle attività cioè attraverso le quali
“un numero limitato di beni è prelevato dall’impianto di stoccaggio al fine di
soddisfare le richieste provenienti dai sistemi esterni al magazzino, ovvero dai
clienti finali, dalle unità produttive o da altre unità che operano per conto
dell’azienda committente” [Rushton e Oxley, 1993; Quintili e Roveta, 1994; Rumi,
188
1996c]. In questo caso, infatti, le soluzioni informatiche partono da applicazioni
per il supporto delle attività dell’operatore attraverso la redazione di picking list
che ne minimizzino gli spostamenti e ne agevolino l’attività di identificazione dei
codici in carico fino a sfociare, nei casi più complessi, in sofisticati strumenti di
automazione industriale [Groover e Zimmers, 1984; Rembold et al., 1993;
Rushton e Oxley, 1993; Rumi, 1996b; Caron et al., 1997].
Per le operazioni di movimentazione è chiaro che ci troviamo ancora al di
fuori della nostra area di interesse. I supporti informatici sconfinano
nell’automazione industriale, come nel caso precedente, mentre per quel che
riguarda il presidio del flusso fisico nelle linee produttive si rimanda a quanto già
detto nel paragrafo dedicato al controllo della produzione senza dimenticare
comunque che anche in tale contesto è possibile rinvenire altri strumenti
informatici i quali però, oltre a sfociare spesso nell’automazione industriale ( si
pensi a titolo di esempio ai sistemi UPS – Unit Production System), sono utilizzati
per finalità differenti rispetto a quelle in esame e pertanto esulano dall’oggetto del
presente testo.
In fine con le operazioni di spedizione torniamo ad occuparci , come è facile
immaginare, di uno step significativo al fine della rilevazione delle informazioni
relative alla consistenza degli stock.
La spedizione rappresenta l’ultima attività operativa nella gestione del flusso dei
materiali che attraversa il magazzino. Nell’accezione più restrittiva si considera la
spedizione come la fase di “estinzione” dei materiali all’interno del sistema
189
logistico, poiché essi vengono trasferiti ai clienti che ne hanno fatto richiesta. Alla
luce di ciò è facile immaginare l’utilità di un sistema POS che consenta la
rilevazione automatica dei codici in uscita. Infatti grazie ad esso i codici relativi a
ciascuna unità di carico sono trasmessi al sistema informativo che aggiorna
immediatamente le esistenze di inventario ed effettua le verifiche di congruità
rispetto all’ordine corrispondente.
Esistono, inoltre, apposite applicazioni volte al presidio di queste specifiche
operazioni ma ancora una volta si esula dall’oggetto di studio. Tali applicazioni
informatiche, infatti, supportano prevalentemente l’elaborazione delle spedizioni
da effettuarsi in relazione alle scadenze previste.
4.7 Chiusura della supply chain: l’integrazione manufacturer fornitore
A questo punto il quadro è quasi completo. Sappiamo quali informazioni
sono necessarie per contenere l’entità delle giacenze della supply chain, sappiamo
dove si originano e quali strumenti utilizzare per rilevarle prontamente, sappiamo,
inoltre, come saranno elaborate per raggiungere l’obbiettivo prefissato e attraverso
quali applicazioni informatiche. Affinché l’analisi copra effettivamente tutti i
membri della supply chain manca ancora un passaggio, e cioè l’analisi del
rapporto tra il manufacturer e il fornitore con l’identificazione, anche con
riferimento a tale rapporto, delle informazioni strumentali all’obbiettivo del
contenimento delle giacenze e delle modalità di elaborazione delle stesse. In realtà
nel discorso condotto precedentemente si è già più volte fatto implicito
190
riferimento a tale rapporto ad esempio a proposito della possibilità di emissione
automatica di ordini di approvvigionamento da parte del sistema informativo del
manufacturer. In oltre tale rapporto presenta notevoli affinità con quanto visto a
proposito del rapporto distributore – manufacturer . Infatti il fornitore deve
mettere in atto le stesse attività di previsione, pianificazione, programmazione e
controllo tipiche del manufacturer e anche per esso i dati sul sell – out acquistano
notevole importanza. Vi è in più per il fornitore l’esigenza di essere costantemente
informato circa lo status delle attività eseguite dal manufacturer così da mantenere
sempre la necessaria sincronia tra i rispettivi processi produttivi ed effettuare i
rifornimenti in base alle effettive esigenze di quest’ultimo senza che questi corra il
rischio di dover fermare le macchine, ma dove reperire tali informazioni, come
trasmetterle e come elaborarle è stato gia materia di ampia discussione nei
paragrafi precedenti. Pertanto in quest’ultimo paragrafo non viene ripetuto il
discorso già fatto ma si sottolinea solo la necessità di estendere il coordinamento
fra partner e la necessaria infrastruttura informatica di supporto fino agli operatori
più a monte della supply chain al fine di presidiare effettivamente il flusso fisco in
transito per la stessa e conseguire effettivamente gli obbiettivi di contenimento
degli stock che sono alla base di un tale modo di operare [La Londe, Grabner,
Robenson, 1993].
191
Capitolo 5
IL CASO “FERRI”
1.1
1.2 5.1 Introduzione
Dopo aver analizzato, nel corso dei capitoli precedenti, gli aspetti teorici
che legano indissolubilmente i flussi fisici ed informativi ed aver descritto tramite
un modello generale l’infrastruttura informatica necessaria al coordinamento dei
due flussi, si procederà di seguito a contestualizzare, ed a verificare sul campo,
quegli stessi legami, quegli stessi principi e quel modello generale attraverso lo
studio sistematico di un caso aziendale reale. In altre parole si vuole qui di seguito
verificare, attraverso la descrizione e l’analisi delle procedure operative di una
specifica azienda, se e in che misura quella sensibilità alle esigenze del cliente,
quella propensione al servizio, quel ruolo dominante attribuito alla funzione
logistica, e quell’attenzione prestata al controllo degli stock, delle quali si è più
volte fatta menzione nelle pagine precedenti, sono in realtà presenti nelle azioni
aziendali quotidiane oltre che nelle parole e nei testi degli eminenti studiosi citati
nel corso dell’esposizione precedente.
Appare ovvio che una risposta non equivoca a questo interrogativo
richiederebbe una laboriosa verifica condotta su di un campione significativo di
192
aziende di varie dimensioni, appartenenti a settori industriali diversi, operanti in
diversi paesi e collocate a diversi livelli della filiera. Appare altresì ovvio che una
Regioni Esercizi alimentari per 1000
ab.
Esercizi non
alimentari per 1000
ab.
Ipermercati per 1000 ab.
Supermercati per 1000 ab.
Grandi magazzini per 1000
ab.
Piemonte 65,5 61,1 162,9 93,8 92,0
Valle d’Aosta
168,3 173,1 209,5 27,8 53,4
Lombardia 76,6 96,9 175,7 113,2 110,9
Liguria 162,7 142,6 60,5 94,3 119,6
Trentino A.A.
100,3 115,3 54,4 182,6 117,9
Friuli V.G. 57,5 67,6 126,4 157,2 134,3
Veneto 51,1 65,6 72,9 173,0 78,7
Emilia R. 64,5 59,7 88,8 137,9 84,1
Toscana 95,2 112,5 191,4 107,1 104,8
Umbria 67,5 73,5 90,3 82,4 122,8
Marche 86,2 82,5 51,8 163,1 145,2
Lazio 106,9 133,8 153,2 79,7 133,1
Abruzzo 132,9 137,1 98,1 186,3 165,1
Molise 88,8 49,3 - 83,4 77,1
Campania 153,7 134,6 21,6 49,2 54,0
Puglia 112,0 97,6 42,8 46,4 59,2
Basilicata 150,8 117,1 - 58,1 73,4
Calabria 149,0 115,3 24,1 69,2 168,9
Sicilia 112,9 100,9 34,3 74,2 96,2
Sardegna 151,2 106,5 120,2 65,0 91,9
193
siffatta indagine esula dai compiti e dalle possibilità pratiche di chi scrive ragion
per cui ci si limiterà nel seguito ad esporre i riscontri avuti nello studio di un unico
caso, fatto questo che permette da un lato di verificare in qualche modo quanto
esposto nei capitoli precedenti ma, dall’altro, non permette di giungere comunque
a quelle conclusioni non equivoche cui precedentemente si è fatto riferimento.
Ciò premesso si è ora pronti ad esporre il caso studiato, caso che, lo si
vedrà meglio in seguito, conferma alcune delle teorie esposte fino ad ora ma
mostra anche come su alcuni punti, vedi in particolare il rovesciamento dei
tradizionali rapporti di tipo avversario tra soggetti appartenenti alla stessa supply
chain, vi sia ancora un grave scollamento tra teoria e prassi aziendali.
1.3 5.2 Contestualizzazione: il settore commerciale e della distribuzione. Stato
dell’arte ed evoluzione prevedibile
Lo studio di un caso aziendale, qualunque ne sia la prospettiva di analisi,
non può prescindere da una descrizione del settore di appartenenza. Pertanto,
operando FERRI nel settore della distribuzione, e in particolare della distribuzione
organizzata, si procederà di seguito a fornire alcuni dati ed informazioni di
carattere generale riguardanti il settore stesso, dati che permetteranno meglio di
interpretare le azioni del gruppo e aiuteranno in seguito in fase di estrapolazione
di conclusioni relative al caso in oggetto.
Iniziando, quindi, una descrizione del sistema distributivo italiano bisogna
innanzitutto dire che esso presenta un forte livello di frammentazione. Secondo il
194
Ministero dell’Industria (tab. 5.1), a fine 1996 erano attivi in Italia 509000
esercizi al dettaglio, un numero particolarmente elevato rispetto a quello dei
principali paesi europei, Francia, Inghilterra e Germania in testa. Sempre nel 1996
le grandi unità di vendita detenevano una quota superiore al 30% dei consumi
commercializzati di prodotti alimentari e inferiore al 10% nell’ambito del non
food. Per il dettaglio tradizionale è possibile stimare una quota di mercato ancora
prossima all’80%.
Il numero di supermercati, che nel 1975 era ancora inferiore a 1000 unità, si è
avvicinato alle 1400 nel 1980 e ha superato le 5000 nel 1996.
Quote % degli associati sul totale degli esercizi
Ripartizioni Numero di dettaglianti
Associati Alimentare Non alimentareNord Ovest 9,876 20,3 2,4
Nord Est 9,082 39,8 2,6
Centro 7,840 20,4 1,3
Sud 3,208 3,6 0,0
Anche gli ipermercati hanno sperimentato, a partire dalla fine degli anni ottanta,
una crescita relativamente ampia: nel 1987 se ne contavano solo 50, nel 1990 già
114 e nel 1996 240, un numero pur tuttavia significativamente inferiore a quello
della Francia o della Germania.
Tabella 5.2 – Le caratteristiche del commercio associato in Italia (1996); Fonte: Ministero dell’Industria
195
I grandi magazzini, al contrario, non hanno presentato un particolare dinamismo
delle nuove aperture, fatta eccezione per alcuni punti vendita collocati all’interno
di centri commerciali.
All’espansione della grande distribuzione si è accompagnata anche la diffusione
della distribuzione organizzata, inizialmente a partire dal comparto alimentare ed
estesasi solo successivamente anche al comparto non food (tab. 5.2).
Un altro fenomeno interessante apparso negli ultimi anni è stato la nascita
di mega centrali di acquisto, che operano per conto di più imprese e che
rispondono all’esigenza di sviluppare una massa critica più elevata. In alcuni casi
Fig. 5.1 - Evoluzione attesa delle quote di mercato delle principali tipologie distributive in Italia (Fonte: Elaborazioni Prometeia su
dati di varie fonti)
92,0
80,0
68,0
1,0
3,8
9,0
4,011,6
14,5
3,0 4,6 8,5
0%
20%
40%
60%
80%
100%
1980 1995 2006
Altri (G. magazzini, Gspecializzati, vendite per corr.)supermercati
Ipermercati
Piccole superfici
196
il ruolo della centrale si è spostato dalla semplice gestione degli acquisti
all’accorpamento di altre funzioni per le quali è possibile sfruttare economie di
scala e di scopo arrivando, in alcuni casi, allo sviluppo di marchi commerciali
comuni.
I fenomeni evidenziati a livello di grandi imprese si sono, ovviamente,
ripercossi negativamente sulle aziende medio-piccole tradizionali. In generale, gli
operatori tradizionali hanno dovuto scontrarsi con tensioni competitive
particolarmente intense e con un grado di incertezza particolarmente elevato.
Molti di essi si sono rivelati impreparati ad affrontare una situazione competitiva
Fig 5.2 - Evoluzione attesa delle quote di mercato delle principali tipologie distributive in Francia (fonte: Elaborazioni Prometeia)
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
1980 1995 2006
Ipermercati
Superm, mag. pop, e DO alim.
Grande distribuzione nonalimentare (specializzata e non)Piccole e medie superfici
197
che richiedeva, e richiede tuttora, innovazione, flessibilità e razionalità gestionale,
fenomeno questo che ha visto la chiusura di oltre 25000 esercizi tradizionali al
dettagli nel periodo tra il 1991 e il 1996.
In prospettiva è possibile identificare alcune tendenze storiche di lungo
periodo [Centro studi sui sistemi di trasporto, 2000] :
• L’internazionalizzazione dei grandi gruppi distributivi e la concentrazione
del commercio al dettaglio e all’ingrosso
Fig 5.3 - Evoluzione attesa delle quote di mercato delle principali tipologie distributive in Germania (fonte: Elaborazioni Prometeia)
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
1980 1995 2006
Grandi superfici despecializzatecon alimentariGrandi superfici specializzate
Catene di piccoli e medi negozispecializzatiPiccole e medie superficispecializzati trad.
198
• La quota di mercato del commercio organizzato indipendente (catene in
franchising, gruppi di acquisto, etc.) aumenterà ancora notevolmente,
sviluppandosi o come strategia di aggregazione di negozianti tradizionali
(spesso sotto l’impulso di un grossista o di un produttore) oppure come
strategia di diversificazione della distribuzione organizzata
• Le quote di mercato del commercio tradizionale di vicinato (piccole
superfici e mercati rionali) continueranno a diminuire
Alla luce di ciò è, pertanto, possibile prefigurare per quanto riguarda la
distribuzione al dettaglio una configurazione non caratterizzata dalla presenza
esclusiva di ipermercati, supermercati, grandi magazzini, grandi superfici
specializzate e centri commerciali, ma altresì una struttura nella quale
giocheranno un ruolo determinate anche il dettaglio medio-piccolo (tradizionale
ma anche riposizionato su particolari segmenti e/o fasce di mercato, oppure
strutturato in gruppi e altre realtà organizzative come il franchising) e le nuove
modalità distributive (come le vendite a distanza e il commercio elettronico) (fig.
5.1; 5.2; 5.3).
Da ultimo, e con specifico riferimento al caso FERRI, il Centro studi sui
sistemi di trasporto ipotizza un’espansione del settore non food sia attraverso
grandi superfici specializzate sia attraverso catene di negozi medio-piccoli.
1.4 5.3 Il gruppo “FERRI”: presentazione
199
La storia di FERRI, forse oggi la prima catena distributiva rigorosamente
non food operante in Italia per giro di affari (il fatturato del gruppo per il 2001 è
stato di circa 500 milioni di euro) e numero dei punti vendita, inizia negli anni
venti allorché l’omonima famiglia aprì a Corato (BA), paese di origine della
famiglia stessa, il primo punto vendita gestito direttamente e specializzato nei
prodotti per la detergenza e la cura della persona. Negli anni a venire
l’assortimento si allarga a tutto quello che occorre per gestire la casa e, negli anni
ottanta, i punti vendita, sempre gestiti direttamente e dislocati in varie località
della Puglia, diventano dieci.
Alla fine degli anni ottanta avviene la svolta con il passaggio dai punti
vendita diretti, comunque ancora presenti anche se in minima parte, al franchising.
750
1.400 1.350
3.900
2.050
6.100
0
1.000
2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
7.000
2002 2004 2006
Fig 5.4 - Previsioni andamento punti vendita e giro d'affari 2002/2006 (fonte: ufficio Marketing FERRI)
Punti vendita
Giro d'affari(in €)
200
Il numero dei punti vendita inizia così a crescere rapidamente con una netta
impennata alla fine degli anni novanta. Infatti, sparsi ormai in tutta Italia, sono
100 alla fine del 1999, 240 alla fine del 2000, 500 alla fine del 2001 e l’obbiettivo
è quello di arrivare a 2000 per il 2006, con un assortimento merceologico sempre
più ampio e che va dai detersivi alle stoviglie, dai piccoli e grandi elettrodomestici
all’arredamento vero e proprio, “per offrire tutto ciò che fa più bella e pratica la
casa” (fig 5.4) [Brochure istituzionale “FERRI”].
Oggi FERRI ha una lista di attesa di 500 franchisee e 30000 richieste di
franchising, con una prospettiva di apertura di oltre 300 nuovi punti vendita8
all’anno per il solo territorio italiano. In oltre, i piani di sviluppo futuri prevedono
l’uscita dai confini nazionali con l’apertura di nuovi punti vendita in Grecia (dove
è già attivo un punto vendita a Patrasso), Spagna, Austria, Germania e Francia.
Più in dettaglio i punti vendita FERRI, che trattano mediamente dalle
25000 alle 30000 referenze all’anno, sono di tre tipi (si confronti tab.A1 in
appendice):
• “FERRI SHOP”, con una superficie di vendita sino a 250mq, 3-4 addetti,
un assortimento medio di circa 8000 referenze e un giro d’affari intorno al
milione di euro.
8 Per il rilascio della licenza di franchising è importante, tra gli altri, l’ubicazione presso centri con più di 10000 abitanti in zone commerciali comodamente raggiungibili dai clienti, la cui selezione è supportata dal staff FERRI.
201
• “FERRI TUTTO PER TUTTI”, con una superficie di vendita superiore ai
400mq, da 6 a 10 addetti, un’offerta media di oltre 10000 referenze e un
giro d’affari medio di oltre 3 milioni di euro.
• “FERRI WORLD” (nuovissimi e le cui prime aperture, tuttora in
allestimento sono previste nei prossimi mesi a Reggio Emilia e Padova),
megastore da 5000mq con una ventina di addetti, un fatturato stimato di
oltre 6 milioni di euro e oltre 20000 referenze a stock.
In oltre, i punti vendita sono divisi in 5 categorie, relative tra l’altro ai metri
quadri espositivi, cui sono associate altrettante griglie assortimentali di ampiezza
via via crescente.
Ma FERRI non è solo questo. Essa non si limita, infatti, a distribuire
prodotti a marchio di terzi ma firma in prima persona una gamma, in espansione,
di oltre mille prodotti a marca propria (Private label). Tali prodotti sono presenti
con diverse denominazioni in tutte le fasce di prezzo. In particolare le etichette in
questione sono ( si confronti tab. A1 e A3 in appendice):
• “PLUS DI FERRI”, che rappresenta il premium price
• “FERRI”, che contrassegna la fascia di prezzo medio/alta
• “by FERRI”, che identifica i primi prezzi
In conclusione a questa breve presentazione del mondo FERRI, e prima di
approfondire il discorso legato alla logistica e alla gestione degli stock, non può
mancare un accenno alla struttura societaria del gruppo.
202
Infatti oggi dietro al marchio FERRI “Tutto per Tutti” c’è l’organizzazione
globale del gruppo GE.NE.SI. (GEstione NEgozi e Supermercati Italiani): una
struttura formata da diverse aziende operanti in sinergia.
GE.NE.SI. s.p.a. coordina la gestione dei due centri di distribuzione
(Corato (BA) e San Benedetto del Tronto): mega strutture strategicamente
dislocate sul territorio dove avvengono lo stoccaggio e il rifornimento di merce
per tutta la rete commerciale.
EFFE-PI Import-Export s.r.l. si occupa degli acquisti, dai propri uffici di
Milano per l’area Europa e di Hong Kong per il Sud Est Asiatico (prodotti a
marchio proprio).
FERRI s.r.l. coordina la rete in franchising.
FIN FERRI s.r.l. è la finanziaria del gruppo.
FERRI Group, con sede a Londra, cura l’espansione in Europa del gruppo.
E ancora EUROCHECK s.r.l. per il controllo logistico e di gestione e
ORIGINE s.r.l. per la gestione e lo sviluppo dell’infrastruttura informatica.
1.5 5.4 “Logistica e tecnologia: il motore che fa girare il mondo FERRI”9
Siamo ora pronti, concluso il breve preambolo introduttivo di cui al
paragrafo precedente, ad affrontare ed analizzare il punto fondamentale del
discorso sviluppato a partire dalle prime pagine del presente lavoro e nei confronti
del quale il caso aziendale in esame ha evidentemente carattere strumentale: la
9 Brochure istituzionale “FERRI”.
203
gestione reale di un processo logistico teso alla riduzione degli stock e della
relativa infrastruttura informatica di supporto.
Al fine di mettere subito in luce la visione che FERRI ha di tale processo
si è scelto di utilizzare come titolo del paragrafo quello di una omonima sezione
della brochure istituzionale del gruppo stesso, come già sottolineato in nota.
Questo espediente ci permette di dare così una prima risposta ad uno dei quesiti
sollevati nell’introduzione al presente capitolo. In quella sede, lo si ricorderà
certamente, ci si era chiesti, non senza malizia, se una reale sensibilità al controllo
degli stock, nonché il riconoscimento di una posizione privilegiata alla “funzione”
logistica, fossero realmente esistenti nelle prassi aziendali oltre che nei dibattiti
degli studiosi. Ebbene, alla luce di ciò si deve ammettere che, almeno
teoricamente e limitatamente al caso in esame, tale sensibilità esiste.
Certo è che, se ci si volesse fermare alle enunciazioni di principio, miseria
e povertà apparirebbero debellate da un pezzo in tutto il globo. Si pone quindi la
necessità di fare un ulteriore passo in avanti e, messa da parte la brochure, entrare
nel dettaglio delle prassi operative.
Prima di procedere oltre nell’analisi, e al fine di avere ben chiari innanzi
agli occhi tutti i termini del problema e gli elementi di complessità in esso insiti, è
necessario puntualizzare due altri elementi la cui rilevanza per il corretto proseguo
dell’analisi appare banale. Tali elementi sono:
• la merce è consegnata ai negozi in conto vendita
204
• i punti vendita sono tendenzialmente privi di depositi dove stoccare la
merce in eccesso rispetto alle capacità degli spazi espositivi
I due punti precedenti sono gravidi di conseguenze per l’oggetto dell’analisi
come è facile intuire.
Infatti, non essendovi depositi, rifornimenti sovradimensionati comportano
quantomeno gravi conseguenze sul layout espositivo del punto vendita con
prevedibili ripercussioni negative sulle politiche di merchandising perseguite. In
oltre, pagando il franchisee solo la merce effettivamente venduta, FERRI finanzia
di fatto il capitale circolante della rete commerciale assumendosene rischi ed oneri
(solo in parte bilanciati dagli ampi termini di dilazione dei pagamenti dei quali
FERRI beneficia nei rapporti con i propri fornitori), cosa che assimila la merce
presente nei punti vendita a quella stoccata nei centri di distribuzione.
Se quindi nella brochure è affermata una certa sensibilità al controllo degli stock,
quanto appena esposto ne rafforza il contenuto.
P.V. FERRI SERVER
CE.DI. CORATO
CE.DI. S. BENEDETTO
P.V. FERRI
ORDINI
MERCE
24 ORE
Fig. 5.5 – Il ciclo dell’ordine in FERRI
205
E veniamo ora alle procedure operative.
Ai nostri fini importanza cruciale assume, come ampiamente affermato e
giustificato in via teorica nel capitolo terzo, il ciclo dell’ordine e le relative
procedure operative.
Con riferimento al caso FERRI esso si presenta così strutturato (fig. 5.5):
1. il punto vendita effettua l’ordine10 per via telematica utilizzando l’apposito
software fornito direttamente da FERRI
2. l’ordine viene successivamente trasmesso elettronicamente ai server
centrali dove viene scomposto automaticamente e, a seconda delle
referenze oggetto dell’ordine, smistato ai Centri di Distribuzione dove
sono stoccate univocamente le referenze stesse
3. gli addetti, verificata la disponibilità della merce, predispongono i pallet e
il sistema di gestione provvede all’ottimizzazione degli spazi di carico
(predeterminato) e delle rotte per il giorno successivo
10 Gli ordini possono essere di due tipi:
1. AUTOMATICI; vengono emessi direttamente dal sistema istallato nel punto vendita che, verificato il raggiungimento del punto di riordino, provvede in automatico senza alcun intervento dell’operatore
2. MANUALI; vengono inseriti manualmente dall’addetto per particolari esigenze e verificate via EDI le esistenze presso i Centri di Distribuzione
In realtà esiste anche un terzo tipo di “ordine”, gestito autonomamente dalla sede centrale di Casamassima (BA) e relativo a particolari esigenze (si veda ad esempio il caso di iniziative promozionali per le quali la distribuzione dei relativi prodotti viene, per l’appunto, gestita centralmente). Da notare in oltre che, al fine del corretto espletamento della procedura di riassorbimento, l’ordine stesso deve essere inviato entro un’ora prestabilita di ciascun giorno. In caso contrario l’ordine si considera emesso il giorno seguente.
206
4. all’atto del carico sul camion11 il sistema invia ai punti vendita degli
appositi file informatici per la verifica della congruenza
ordinato/consegnato e l’aggiornamento in automatico delle giacenze
5. la merce viene consegnata12 ai punti vendita entro 24 ore dall’emissione
dell’ordine (fig. 5.6)
Ovviamente quanto esposto rappresenta solo metà dell’intero ciclo logistico.
Per la sua ricostruzione integrale è necessario descrivere anche il ciclo di
approvvigionamento dei Centri di Distribuzione. Da un punto di vista operativo
11 I trasporti vengono assicurati in via preponderante da piccole aziende locali (i così detti “padroncini”), la cui offerta in termini di volumi di carico è rigida, e in minima parte da mezzi di trasporto propri, altrettanto rigidi in termini di volumi disponibili.
Fig 5.6 - Analisi andamento ordini/consegne 2001(fonte: ufficio elaborazione dati FERRI)
84%
3%13%
Totale ordini consegnatiregolarmenteTotale ordini cons. in ritardo(oltre 24 h)Totale ordini cons. parzialmente(entro 24 h)
207
tale ciclo è caratterizzato dall’emissione manuale degli ordini (a causa di
incompatibilità dei sistemi informatici dei soggetti coinvolti) al raggiungimento
del punto di riordino, da minor frequenza delle consegne rispetto al ciclo visto
precedentemente e da maggiori lead time13. In oltre, importanza critica ai fini
della corretta inquadratura del ciclo di fornitura assumono i modelli contrattuali e
l’impostazione delle relazioni FERRI/fornitori. Ebbene, tali relazioni risultano
improntate secondo il tradizionale modello avversario nel cui contesto il prezzo è
il principale parametro di selezione dei fornitori stessi e lo scambio informativo e
lo ridotto al minimo se non addirittura inesistente. Generalmente i contratti sono
impostati su base annua e prevedono una scala sconti parametrizzata alle future
quantità acquistate per quali non sempre è previsto un minimo (si confronti tab.
A2 in appendice).
Da ultimo, a conclusione dell’esposizione delle procedure operative che
sovrintendono al processo logistico e coerentemente con l’oggetto dell’analisi
teorica sviluppata nei capitoli precedenti, si procede di seguito ad una sintetica
descrizione dell’infrastruttura informatica della quale FERRI si avvale per il
coordinamento dei flussi fisici descritti precedentemente.
12 In alcuni casi circostanziati, relativi ad alcune referenze, si adotta una procedura differente. L’ordine inviato dal punto vendita viene infatti smistato direttamente al fornitore che provvede alla consegna della merce direttamente al punto vendita e senza passare per il Centro di Distribuzione. 13 I lead time variano, ovviamente in relazione alle caratteristiche del fornitore, che deve assicurare comunque una certa elasticità e tempestività dei propri processi produttivi, nonché in relazione alle distanze da i mercati di approvvigionamento. Con riferimento a quest’ultimo aspetto il lead time varia dalle 24 ore ai 7 giorni per i fornitori dell’area Europa e si aggira intorno ai 20 giorni / un mese per i fornitori del Sud Est Asiatico, con conseguente incremento della dimensione degli ordini e diminuzione della frequenza delle consegne di questi ultimi rispetto ai fornitori Europei. Si ricorderà, inoltre, dal capitolo terzo la relazione inversa che lega lead time e dimensione delle
208
Tale infrastruttura, la cui gestione, sviluppo e manutenzione è affidata alla società
ORIGINE s.r.l. interna al gruppo, è costituita, per la parte hardware, da una rete
Intranet a 100 Mb p/sec., con i server accentrati negli uffici di Corato, che
permette il trasferimento e la condivisione delle informazioni fra tutte le stazioni
di lavoro collegate, ivi comprese le casse dei punti vendita14, e realizza così
l’automazione della trasmissione dei dati, elemento fondamentale di ogni rete
informatica. La parte software, invece, si avvale di diversi elementi eterogenei,
alcuni giranti su architettura UNIX altri su architettura Windows NT/2000/Xp,
che in parte si sovrappongono nella gestione di medesime porzioni del processo
logistico in particolare e, più in generale, dei principali processi aziendali. In oltre
i vari software non si appoggiano su di un unico database fatto questo che mina
seriamente l’integrità, la trasparenza e la coerenza dei dati archiviati. I software15
possono così condividere dati solo a seguito di lunghi processi di importazione e
adattamento, quando possibili, non realizzando quella fondamentale automazione
nell’interpretazione dei dati della quale si è ampiamente discusso nel capitolo
quarto e che dovrebbe essere un altro requisito indispensabile di una rete
aziendale.
giacenze a sottolineare ancora l’importanza che gli elementi appena accennati assumono nel processo di minimizzazione degli stock e nel processo logistico in generale. 14 Queste ultime non sono, in realtà, permanentemente collegate. La trasmissione dei dati da esse rilevati, per altro i fondamentali dati sul sell-out (che qui assumono ancor più importanza date le particolari caratteristiche del contratto di franchising e in particolare alla consegna in conto vendita della merce), avviene infatti con cadenza settimanale allorché, appunto, le casse vengono connesse ala rete. 15 A tal proposito va comunque segnalato lo sforzo, tuttora in atto, della società teso ad eliminare le aree di sovrapposizione con la progressiva dismissione dei software più obsoleti (in particolare quelli giranti su piattaforma UNIX). E’ in oltre allo studio la possibilità di una ristrutturazione
209
1.6 5.5 Conclusioni
Dopo aver fornito nei paragrafi precedenti una presentazione del gruppo
FERRI e averne tratteggiato le procedure operative rilevanti ai fini dell’oggetto di
studio si è ora in grado di procedere ad alcune conclusioni tenendo a mente, bene
inteso, quanto detto a tal proposito nell’introduzione al presente capitolo circa la
possibilità di pervenire a conclusioni non equivoche e generalmente valide.
Ciò detto possiamo iniziare il discorso conclusivo notando come FERRI,
nel gestire la propria rete commerciale, stia iniziando ad applicare alcuni dei
principi teorici che costituiscono parte integrante della Supply Chain
Management. Infatti, come detto precedentemente, FERRI sta progressivamente
accentrando l’attività di controllo delle giacenze dei punti vendita attraverso
l’utilizzo di una infrastruttura informatica che permette di vedere lo stato delle
giacenze stesse in ciascun punto vendita quasi in tempo reale. È evidente, quindi,
lo sforzo che l’azienda sta compiendo per minimizzare l’insieme complessivo
delle giacenze (a punto vendita e a Centro di Distribuzione) le quali, per quanto
detto precedentemente circa l’assenza di depositi presso i negozi e le modalità di
pagamento della merce da parte dei componenti la rete commerciale, giocano un
evidente ruolo cardine nel perseguimento di vantaggi competitivi sia nella forma
di riduzione dei costi, sia sotto forma di servizio per il cliente. In oltre, l’azienda,
oltre a disporre di strumenti che le consentono di gestire in modo trasparente gli
complessiva della componente software con la migrazione dall’attuale sistema proprietario
210
stock dispersi nella rete commerciale, ha anche a disposizione, con cadenza
settimanale, i dati sul venduto e cioè quei dati sul sell-out la cui importanza
cruciale nel guidare i flussi fisici lungo la catena logistica è stata già ampiamente
discussa e sottolineata nei capitoli precedenti. In fine, FERRI ha da poco
introdotto, come strumento di Marketing volto alla fidelizzazione del cliente, una
card con microchip che viene consegnata ai clienti stessi e sulla quale, in base alla
spesa effettuata di volta in volta, vengono accreditati dei punti premio che
consentono di partecipare a particolari iniziative promozionali. In realtà tali card
possono essere impiegate anche per tracciare dei profili sui consumi dei clienti
con lo scopo non solo di calibrare meglio le tradizionali iniziative di marketing di
tipo push ma anche le dimensioni dell’assortimento (ampiezza e profondità delle
gamme offerte) implementando, in tal modo, anche strategie di marketing di tipo
pull al fine di incrementare la rotazione delle giacenze e rendere così più fluido lo
stesso flusso fisico.
Se così, rivolgendo lo sguardo a valle lungo la supply chain, le cose
sembrano andare bene e i principi della SCM quantomeno considerati come mete
da raggiungere, rivolgendo l’attenzione a monte la situazione appare alquanto
diversa. Si ricorderà infatti che l’impostazione dei rapporti con i fornitori è di tipo
tradizionale con i prezzi che giocano un ruolo primario e assenza di scambi
informativi tra le parti. Detto diversamente, il controllo delle giacenze si ferma
alla fase distributiva non estendendosi anche alla fase produttiva. La gestione
prodotto internamente ad un sistema modulare di tipo ERP ed in particolare al Sap S/3.
211
della filiera risulta così frammentata con le conseguenze che è facile immaginare
sulla supply chain intesa come sistema integrato ed unitario. In tutto ciò, oltre a
problemi di tipo culturale, gioca d’altra parte da ostacolo alla realizzazione
compiuta di una gestione integrata la stessa infrastruttura informatica di cui
FERRI si avvale la quale essendo realizzata internamente risulta difficilmente
integrabile con quelle utilizzate dai fornitori. Ci si intende qui riferirsi in modo
particolare alla componente software che si avvale di propri standard per la
formattazione dei dati standard che, anche se risultano spesso (ma non sempre)
convertibili nei diffusissimi formati “.txt” e “..xls”, pongono sicuramente dei seri
ostacoli nella comunicazione diretta con altri software gestionali, compresi i più
diffusi sistemi ERP.
Prima di concludere, in fine, ci sia consentita una breve riflessione, anche
se non strettamente pertinente l’oggetto specifico di analisi, circa le modalità di
gestione del flusso propriamente fisico. Abbiamo detto in precedenza che FERRI
si avvale dei servizi di trasporto di vari corrieri locali di piccole dimensioni e, in
minima parte, di mezzi propri, conservando comunque il controllo sull’andamento
del flusso fisico e sulla gestione dei magazzini. A questo si aggiunga la tendenza
in atto all’interno del gruppo FERRI a muoversi verso una costante riduzione
dell’entità media delle consegne e verso un conseguente incremento della
frequenza delle stesse, in linea con i più recenti sviluppi, relativamente
all’arretrato contesto italiano, in materia di gestione della funzione logistica. È
quindi lecito affermare che FERRI attui una forma di esternalizzazione parziale
212
della funzione logistica. Questa modalità di gestione, seppur rappresenti già un
netto passo in avanti rispetto alla classica modalità di gestione diretta, è comunque
diversa dall’outsourcing (ultima frontiera della gestione aziendale) che invece
prevede l’affidamento a terzi della gestione di interi processi aziendali non ritenuti
attinenti alle core competence dell’azienda esternalizzante, anche se strategici. In
questo FERRI si ritrova perfettamente nella descrizione dello scenario logistico
italiano descritto da Ottimo e Vona [Ottimo, Vona, 2001] i quali, concordemente a
quanto evidenziato anche da diversi altri studiosi nonché Istituti di ricerca,
sottolineano il grave ritardo tanto dell’offerta quanto della domanda di servizi
logistici avanzati16 per il contesto italiano se paragonati agli scenari degli altri
paesi europei, nonché del contesto statunitense, ovviamente.
Concludendo, si può affermare che lo studio condotto sull’azienda FERRI,
e gli altri riscontri empirici cui precedentemente si è fatto riferimento,
evidenziano una certa frattura tra teoria e prassi operativa, fra parole scritte in
costosi libri patinati e altre pronunciate nei consigli di amministrazione, fra essere
e dover essere, alla cui ricomposizione sembrano opporsi soprattutto una forte
resistenza al cambiamento e ostacoli di tipo culturale, in modo particolare se si
pensa al rovesciamento della tradizionale impostazione conflittuale dei rapporti tra
i partner della filiera. Forse una teoria, per quanto nuova e affascinante, non è
necessariamente valida ed applicabile in tutti i contesti, forse lo scenario
16 A tal proposito si deve comunque sottolineare come gli stessi studi dai quali emerge questo grave ritardo del contesto logistico italiano, che sta tra l’altro lasciando campo aperto alla conquista del mercato dei servizi logistici ai grandi operatori stranieri, evidenzino una netta
213
statunitense, patria d’origine della SCM, è ancora troppo diverso da quello
europeo ed italiano o forse le pressioni concorrenziali non sono ancora così forti
da sovvertire principi ritenuti immutabili. Forse!
tendenza per gli anni a venire all’aumento della terziarizzazione della logistica e dei trasporti
214
Appendice al capitolo 5
I FATTORI PROPULSIVI DELL’EVOLUZIONE DEL COMMERCIO AL
DETTAGLIO
Le tabelle seguenti, tratte da un volume intitolato “Previsioni a lungo
termine della distribuzione urbana delle merci in Europa” e contenete i principali
risultati di uno studio realizzato dal Centro Studi sui Sistemi di Trasporto (CSST)
per conto di FIAT Capogruppo, FIAT Auto e Iveco nel 1998 e pubblicato nel
2000, propongono alcuni dei fattori di evoluzione che accomunano i Paesi
(Germania, Francia, Italia e Regno Unito) nei quali è stata condotta l’indagine e
che, anche se con modalità in parte differenti, hanno influenzato ed
influenzeranno in futuro l’evoluzione dei rispettivi sistemi distributivi.
Si tratta di fenomeni di notevole complessità, di cui qualsiasi schema
costituisce un’inevitabile semplificazione poiché l’obbiettivo dei mutamenti in
atto è costituito dalla sempre maggiore rispondenza del sistema commerciale ad
una molteplicità di esigenze che si manifestano lungo tutta la supply chain
(dall’approvvigionamento di materie prime alla consegna dei prodotti ai clienti
finali), la cui soddisfazione può essere raggiunta solo attraverso un sistema
articolato e flessibile di offerta di servizi.
[Ottimo, Vona, 2001; CSST, 2000]
215
L’inserimento di tali tabelle in appendice al capitolo dedicato al caso
aziendale si giustifica banalmente data l’appartenenza dell’azienda FERRI al
settore della distribuzione, cui le tabelle si riferiscono. La loro consultazione
permette quindi di comprendere meglio alcune scelte operate dal gruppo, quale
quella di puntare tanto su negozi di piccole dimensioni (FERRI SHOP) quanto su
grosse superfici specializzate (FERRI WORLD), la predisposizione di una gamma
ampia e differenziata di private label, il ricorso al franchising o l’impostazione
Esigenze del cliente finale Evoluzione del quadro di riferimento
Risposte della distribuzione
Risparmio di tempo/efficienza negli acquisti
Ampiezza e profondità negli assortimenti (quindi delle superfici); garanzie di preselezione dei prodotti; localizzazione dei punti vendita (centri commerciali, zone periferiche, aree con parcheggio); category management
Semplificazione degli spostamenti e dei trasporti
Localizzazione dei punti vendita (rientra qui il ruolo dei negozi di vicinato); vendite per corrispondenza e a distanza; consegne a domicilio
Conoscenza e confronto delle caratteristiche dei prodotti
Assistenza preventiva; visual merchandising (disposizione dei prodotti e dei cartelli informativi)
Individuazione di marchi ed insegne in cui riporre fiducia per ridurre l’impegno nella ricerca di informazioni che precede l’acquisto
Sostegno dell’immagine d’insegna; sviluppo di catene di negozi con forte connotazione delle politiche commerciali; franchising; sviluppo di marchi del distributore
Ottimizzazione del rapporto qualità/prezzo
Acquisizione di potere di mercato verso i fornitori; riduzione degli ambiti di inefficienza; controllo delle fasi produttive nell’ambito dello sviluppo di prodotti con marchio commerciale;
216
assistenza post-vendita
avversaria dei rapporti con i fornitori. Se ne consiglia pertanto la
consultazione sistematica in sede di lettura del caso aziendale e vanno considerate
parte integrante del capitolo quinto.
Esigenze del produttore (competizione col distributore sul cliente finale/collaborazione)
Evoluzione del quadro di riferimento
Risposte della distribuzione
Conflitto Collaborazione Maggiori informazioni sul mercato finale per una corretta segmentazione del mercato stesso e la definizione di politiche di prodotto (comprese le politiche di innovazione)) e di prezzo mirate e flessibili
Utilizzo delle informazioni detenute per aumentare il potere negoziale nei confronti del fornitore
Utilizzo delle informazioni ottenute dal contatto col cliente per perseguire obbiettivi comuni
Controllo del posizionamento di prezzo
Utilizzo dei prodotti di marca come civetta
Impegno per una valorizzazione congiunta dei prodotti
Mantenimento del contatto con il cliente finale con l’obbiettivo di una sua fidelizzazione
Ricerca di fidelizzazione del cliente all’insegna piuttosto che alla marca
Franchising; negozi monomarca; assistenza post-vendita qualificata
Ampliamento/ritaratura dei mercati di presenza e delle modalità di raggiungimento degli stessi
Distribuzione al dettaglio (es. di altri paesi) come strumento di penetrazione di nuovi mercati
Ampliamento dei mercati di approvvigionamento e delle modalità di acquisizione degli input
Alleggerimento della gestione delle scorte
Uso di strumenti informatici per la
Tabella A1 – I fattori propulsivi dell’evoluzione del commercio al dettaglio; Fonte: Centro Studi sui Sistemi di Trasporto
217
gestione degli ordini e la trasmissione di informazioni sulla domanda
Riduzione degli ambiti di inefficienza
ECR; BPR; QR; JiT
Obbiettivi del distributore Evoluzione del quadro di riferimento
Risposte della distribuzione
Sviluppo di una propria individualità strategica, con aumento del potere di mercato nei confronti dei fornitori
Politiche di fidelizzazione dei clienti all’insegna; autonomia di fissazione dei prezzi; sviluppo marche commerciali; concentrazione degli acquisti attraverso cooperative, gruppi e centrali d’acquisto
Aumento delle quote di mercato/ aumento traffico nei punti di vendita
Prezzo; promozioni; prodotti civetta; acquisizioni e fusioni
Individuazione del posizionamento migliore rispetto al mix di assortimento/prezzi/servizio, con l’obbiettivo di fidelizzare il cliente e migliorare i margini operativi attraverso la creazione di maggiore valore aggiunto commerciale
Ampliamento e/o approfondimento degli assortimenti; offerta di servizi accessori; valorizzazione della funzione di preselezione dei prodotti; diversificazione dell’attività
Ricerca della massima efficienza, in un contesto di modeste possibilità di espansione dei ricarichi
Aumento del libero servizio; selezione dei servizi offerti; delega all’esterno di funzioni/processi (es. logistica, sistemi informativi)
Tabella A2 – I fattori propulsivi dell’evoluzione del commercio al dettaglio; Fonte: Centro Studi sui Sistemi di Trasporto
Tabella A3– I fattori propulsivi dell’evoluzione del commercio al dettaglio; Fonte: Centro Studi sui Sistemi di Trasporto
218
Conclusioni
Il mondo cambia velocemente e chi rimane indietro può avere grossa
difficoltà a rientrare sul gruppo. Lo scenario descritto precedentemente mostra
questa realtà, una realtà in rapida evoluzione e dove le pressioni concorrenziali si
fanno ogni giorno più forti.
Questo premesso, si è analizzata una particolare risposta strategica, la
Supply Chain Management, e se ne sono studiate le ricadute operative sulle
modalità di gestione del processo operativo e nel controllo delle scorte. L’analisi
di un caso aziendale originale ha permesso, infine, di sottoporre a verifica,
seppure parziale, la teoria esaminata in precedenza e di pervenire, già in chiusura
del precedente capitolo, ad alcune importanti conclusioni. Generalizzando le
conclusioni esposte nel Capitolo 5, e a chiusura del presente lavoro, è in oltre
possibile evidenziare quanto segue:
• L’attuale contesto competitivo, caratterizzato dal crescere delle
pressioni competitive, sembra, paradossalmente, proporre, come
modello vincente, quello della cooperazione. Si intende qui fare
riferimento alla cooperazione tra membri della stessa catena
logistica, catena che dovrebbe diventare sempre più, nei prossimi
anni, il vero soggetto nella lotta per l’acquisizione di quote di
mercato.
219
• All’implementazione della tanto auspicata cooperazione è, in realtà
da ostacolo una serie di fattori il cui superamento, seppure
condizione necessaria (secondo l’opinione di diversi ed illustri
studiosi) al conseguimento del successo di mercato, se non
addirittura per la sopravvivenza, appare problematico e di incerta
soluzione.
• Gli ostacoli di cui al punto precedente sono alquanto eterogenei per
natura. Ve ne sono di legati ad aspetti tecnologici, si pensi ai
problemi legati alla trasmissione e alla corretta interpretazione di dati
ed informazioni, la cui rimozione può richiedere investimenti
notevoli e la riprogettazione completa dei processi e delle procedure
aziendali. Altri, invece, sono legati ad aspetti contingenti e
macroambientali, un esempio può essere la scarsa disponibilità, tanto
dal lato dell’offerta quanto della domanda, di servizi logistici
integrati. Altri ancora, e sono forse i più ostici da superare, appaiono
legati ad aspetti culturali e da innata resistenza al cambiamento (si
pensi a quanto possa essere difficile per molte aziende pensare ai
fornitori come a partner).
• Un altro grande problema, all’attuazione della SCM, è costituito dal
fatto che la SCM non è un insieme di disposizioni precettive. In altre
parole è impossibile pervenire, attraverso l’analisi dei casi aziendali,
alla formulazione di un nucleo di precetti operativi e/o strategici
220
universalmente validi. La one best way non esiste ed ogni azienda
che si incammini verso l’integrazione con i partner della filiera
dovrà trovare la propria strada.
• Il futuro può riservare ancora diverse sorprese e rendere obsoleto
rapidamente ciò che ieri era all’avanguardia. In questo senso, molto
interessanti sembrano le prospettive legate allo sviluppo di reti di
comunicazione a banda larga, il cui sviluppo potrebbe aprire le porte
dei sistemi ERP anche alle piccole PMI attraverso la nascita di
particolari soggetti (ASP). Le ricadute anche sulla gestione dei
processi logistici sono in tal senso enormi e in buona parte
inesplorate.
• I prossimi anni saranno dominati sempre più dal diffondersi delle
tecnologie di rete e dell’informatica distribuita, in particolare, e
dell’ICT in generale
• Il possibile sviluppo dell’outsourcing e il crescente ricorso ai
contratti di partnership rappresentano alcune delle principali fonti di
cambiamento del prossimo scenario competitivo
Il precedente elenco, in realtà, non costituisce che una minima parte dei
possibili temi di ricerca che la discussione condotta in precedenza può sollevare,
temi peraltro vicendevolmente legati e dagli sviluppi interdipendenti. Certo è che
la teoria appare spesso slegata dal mondo reale, specie se la patria di nascita della
221
teoria stessa (Stati Uniti, in questo caso) è molto lontana e per certi versi diversa
dal contesto nazionale.
Non resta quindi da aspettare, lasciando che sia il tempo a dare un giudizio
definitivo, non dimenticando che forse una risposta univoca a tutti i problemi
aziendali non esiste e non esisterà mai, e riflettendo che se anche la cooperazione
non dovesse risultare vincente in ambito aziendale potrebbe comunque aiutare a
vivere meglio.
222
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