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1 Seconda Università degli Studi di Napoli Facoltà di Economia Corso di Laurea in Economia Aziendale TESI DI LAUREA IN ORGANIZZAZIONE AZIENDALE INFORMATION AND TELECOMMUNICATION TECHNOLOGY E GESTIONE DELLE GIACENZE: La gestione integrata della catena logistica RELATORE Ch.mo Prof. MARCELLO CANDIDATO Matr. 063/2533 ANDREA MACCARONE

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1

Seconda Università degli Studi di Napoli

Facoltà di Economia Corso di Laurea in Economia Aziendale

TESI DI LAUREA IN

ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

INFORMATION AND TELECOMMUNICATION TECHNOLOGY

E GESTIONE DELLE GIACENZE:

La gestione integrata della catena logistica RELATORE

Ch.mo Prof.

MARCELLO

CANDIDATO

Matr. 063/2533

ANDREA MACCARONE

2

MARTINEZ

ANNO ACCADEMICO 2000 / 2001

3

Indice

Introduzione V

Capitolo 1 - Il Contesto Competitivo

1.1 Introduzione 1

1.2 Il contesto competitivo 2

1.2.1 Evoluzione dei bisogni e delle richieste dei

consumatori

5

1.2.2 Sviluppo di una concorrenza basata sulla qualità e sulla

personalizzazione 12

1.2.3 Esplosione e diffusione delle tecnologie dell’informazione

e della comunicazione 16

1.2.4 Diffusione della globalizzazione e delle alleanze

strategiche 23

1.2.5 Cambiamento del ruolo e degli obbiettivi della funzione

logistica 30

Capitolo 2 - Un’Alternativa Strategica: la Supply

Chain Management

4

2.1 Introduzione 41

2.2 La Supply Chain Management 44

2.3 Supply chain management e logistica 64

2.4 SCM ed ICT 79

Capitolo 3 - La Gestione delle Giacenze

3.1 Introduzione 89

3.2 La gestione e il controllo delle scorte: un’introduzione 90

3.3 La gestione e il controllo delle scorte: Approfondimenti teorici 98

3.3.1 L’inventario come fonte di valore del servizio erogato al

cliente 104

3.3.2 Un unico inventario per l’intera catena logistica 109

3.3.3 Competizione basata sul tempo 114

3.3.4 Sostituire l’inventario con le informazioni 119

Capitolo 4 - La Pianificazione delle Risorse della

Supply Chain

4.1 Introduzione 127

4.2 L’evoluzione delle applicazioni informatiche 135

4.2.1 L’integrazione di attività specifiche 137

4.2.2 L’integrazione intra-sfera 138

5

4.2.3 L’integrazione inter-sfera 141

4.2.4 Oltre il modello di Kaplinsky: la quarta tappa 148

4.3 La raccolta delle informazioni dal cliente 150

4.4 Pianificazione dei materiali e della capacità produttiva 160

4.5 Il controllo della produzione 170

4.6 La Gestione dei magazzini 176

4.7 Chiusura della supply chain: l’integrazione manufacturer

fornitore

183

Capitolo 5 - Il Caso “FERRI”

5.1 Introduzione 185

5.2 Contestualizzazione: il settore commerciale e della distribuzione.

Stato dell’arte ed evoluzione prevedibile 187

5.3 Il gruppo “FERRI”: presentazione 192

5.4 “Logistica e tecnologia: il motore che fa girare il mondo FERRI” 196

5.5 Conclusioni 203

Appendice al capitolo 5

I Fattori Propulsivi dell’Evoluzione del Commercio al Dettaglio 207

Conclusioni 211

Indice delle Tabelle 215

6

Indice dei Grafici e delle Figure 217

Bibliografia 219

Introduzione

7

Il mondo delle imprese, al pari della società nel suo complesso, è stato

scosso, negli ultimi anni, da una serie di novità tecnologiche che ne hanno

sovvertito le fondamenta. Ci si è iniziati a chiedere se i recenti sviluppi nel

campo, in particolar modo, dell’Information technology non potessero avere

conseguenze sul modo di competere. Si sono così iniziate a profilare teorie

gestionali che su tali innovazioni si fondano e progressivamente si sono iniziati a

vedere i primi cambiamenti nelle strategie e nel modo di operare delle aziende più

lungimiranti e innovative.

Proprio da tali considerazioni trae spunto questo lavoro rivolto

essenzialmente ad evidenziare il contributo che le nuove tecnologie informatiche

possono apportare nella gestione della logistica aziendale.

Il testo è composto da 5 Capitoli

Nel primo si delineano i connotati dei principali fattori di cambiamento

dell’attuale contesto competitivo. In particolare si affrontano i temi della

globalizzazione, dell’innovazione tecnologica e dell’evolversi dei bisogni dei

consumatori, mostrando, per ciascun elemento, le conseguenze dei cambiamenti

in atto sul tradizionale modo di lavorare e compete nonché le future

minacce/opportunità in essi insite.

Il Capitolo Secondo presenta, nei suoi aspetti teorici più rilevanti, la

principale risposta strategica ai cambiamenti in atto, la Supply Chain Management

cioè la gestione integrata della catena logistica, un modello teorico che propugna

8

la natura sistemica della filiera e la gestione unitaria e coordinata della stessa. In

oltre se ne approfondiranno i legami con la “funzione” logistica e con

l’Information and Telecommunication Technology.

Nel Terzo Capitolo l’accento si sposta su di un aspetto particolare della

SCM, la gestione delle giacenze. Di esse si fornirà una definizione e se ne

illustreranno i principali metodi di gestione soffermandosi, in modo particolare,

sul metodo flow control, il più coerente ai principi della SCM.

Il Quarto Capitolo affronta, invece, nel dettaglio i componenti

dell’infrastruttura informatica di supporto alla realizzazione dell’integrazione

intra-aziendale, se ne descriveranno i diversi moduli software ed hardware, se ne

approfondirà il ruolo nel coordinamento e il controllo dei flussi fisici in

entrata/uscita, e se ne evidenzieranno i riflessi sui modelli organizzati aziendali e

sulle tecniche di gestione.

Infine, il Quinto Capitolo è dedicato alla verifica empirica di quanto

precedentemente illustrato, attraverso lo studio e l’analisi di un Caso Aziendale

Originale: il caso FERRI.

Chiudono le conclusioni alle quali lo studio condotto ha permesso di

giungere.

Capitolo 1

9

IL CONTESTO COMPETITIVO

1.1 Introduzione

La Supply Chain Management (SCM) è una risposta alla notevole velocità con

la quale si susseguono gli eventi che stanno ridisegnando l’attuale contesto

competitivo. La numerosità dei cambiamenti e la velocità con la quale essi

accadono e si susseguono è diventata l’elemento caratterizzante gli ultimi anni

novanta, tanto da divenire il tema preferito dalla letteratura economica

contemporanea. La Supply Chain Management è una filosofia di gestione del

cambiamento, come sarà visto meglio nel secondo capitolo, e dell’impatto del

cambiamento sulla cultura e sulla struttura del business, a livello di singola

impresa e di filiera, e si evolve, a sua volta, sulla scia delle continue redifinizioni

dei confini del territorio competitivo indotti in modo particolare dallo sviluppo

dell’Information and Communication Technology.

Le imprese di oggi si trovano a dover gestire una complessa serie di relazioni

e flussi in entrata/uscita con i soggetti facente parte della medesima catena

logistica (supply chain). L’abilità delle imprese di gestire tanto le competenze

interne quanto quelle dislocate lungo la filiera, l’esplosione dei prodotti/servizi ad

alto valore aggiunto e fortemente personalizzati, e la crescente velocità

caratterizzante le consegne ai clienti hanno elevato proprio la gestione della filiera

allo status di funzione di business fondamentale per il conseguimento del

vantaggio competitivo con conseguente arricchimento del ruolo prettamente

10

operativo che tale gestione aveva avuto in passato. In un ambiente sempre più

competitivo e dove è sempre più difficile prevedere le forze che domineranno il

futuro scenario competitivo, la gestione della supply chain sembra quasi imporsi,

anche alla luce delle esperienze di molte aziende leader, come una scelta obbligata

per il conseguimento di posizioni di leadership, se non addirittura per la

sopravvivenza.

Forse il modo migliore per capire il concetto e l’impatto della SCM è quello di

partire, però, da una analisi dei principali fattori di cambiamento caratterizzanti

l’odierno contesto economico e sociale.

Pertanto, prima di addentrarci nello studio della SCM, ci soffermeremo, nel

proseguio del capitolo, sulla descrizione di tali cambiamenti che fanno da sfondo

e da presupposto alla nascita e alla diffusione di tale nuova filosofia di gestione,

alla discussione della quale sarà invece dedicato il capitolo seguente.

1.2 Il contesto competitivo

La comprensione dei principali vettori di cambiamento con i quali devono

confrontarsi le imprese, e senza l’azione dei quali la SCM non sarebbe necessaria,

è il passo preliminare per una proficua comprensione della SCM e di tutte le sue

sfaccettature. Tali vettori, secondo quanto esposto da Ross nel testo Competing

through supply chain management, sono riconducibili a cinque dinamiche critiche

dell’odierno ambiente competitivo. Esse possono essere così schematizzate [Ross,

1998]:

11

1 Evoluzione dei bisogni e delle richieste dei consumatori. Tale dinamica fa

riferimento ai cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nelle richieste che i

consumatori pongono alle imprese. In particolare, risulta sempre più

fondamentale la comprensione dell’intima natura di ciò che i consumatori

percepiscono come “valore”, in quanto è sulla massimizzazione dello stesso

che devono concentrarsi gli sforzi dell’impresa e, come sarà più chiaro in

seguito, dell’intera supply chain.

2 Sviluppo di una concorrenza basata sulla qualità e sulla

personalizzazione. Profondamente collegata alla precedente, tale dinamica

discende dalla presa di coscienza da parte delle aziende che il mercato non può

essere segmentato sulla base di pochi consumatori tipo, ma che, in realtà, ogni

singolo consumatore ha una propria concezione del “valore” alla quale le

imprese devono cercare, quanto più possibile, di dare risposte personalizzate.

3 Evoluzione e diffusione dell’Information and Communication Technology

(ICT). Gli ultimi anni hanno visto lo sviluppo impetuoso delle tecnologie

informatiche e, in modo particolare, di quelle della comunicazione e

dell’informazione. Come sarà visto nel seguito, tali tecnologie, legate in

particolar modo alla raccolta, trasmissione ed elaborazione di grandi quantità

di dati grezzi ed informazioni, stanno avendo un impatto rivoluzionario sia su

consuetudini sociali sia sul mondo economico al punto da far ipotizzare

l’avvento di un’era per molti aspetti diversa da quella attuale e nella quale le

informazioni sostituiranno, in molti casi, oggetti aventi consistenza fisica.

12

4 Diffusione della globalizzazione e delle alleanze strategiche. In qualche

modo discendente dalla dinamica precedente, il cui contributo alla riduzione

delle distanze fisiche è facilmente immaginabile, tale dinamica riguarda la

tendenza delle imprese a cercare nuovi mercati anche al di fuori dei

tradizionali confini nazionali e a ricorrere ad alleanze con soggetti terzi,

stranieri e non, in possesso di competenze chiave per il successo nella

complessa e differenziata arena globale.

5 Cambiamento del ruolo degli obbiettivi della funzione Logistica.

Conseguenza diretta delle dinamiche precedenti, quella in questione riguarda

l’inevitabile arricchimento pratico e concettuale di cui la funzione logistica è

stata fatto oggetto negli ultimi anni a seguito dell’emergere di forti spinte

all’integrazione inter e intra aziendale e della centralità assunta dal fattore

tempo nella lotta per le posizioni di leadership nel mercato Vista sotto una

diversa luce la logistica offre alle imprese nuove strade per il conseguimento

di vantaggio competitivo, attraverso la continua ed innovativa offerta di

servizi per il cliente, la riduzione dei tempi di ciclo, l’incremento della qualità

e dell’affidabilità dei servizi logistici, e la riduzione dei costi complessivi della

filiera.

Queste cinque dinamiche portano con sé svariate minacce e/o opportunità che

le imprese devono saper individuare.

Nel seguito si analizzeranno separatamente tali dinamiche, al fine di

comprenderne gli aspetti rivoluzionari e le insite minacce/opportunità.

13

1.2.1 Evoluzione dei bisogni e delle richieste dei consumatori

Iniziamo la nostra analisi delle principali dinamiche che stanno

ridisegnando l’attuale contesto sociale ed economico a partire dal modo in cui si

sono o si stanno evolvendo, per varie ragioni, i rapporti tra le aziende e i

consumatori.

Oggi non sembrano più esserci dubbi sul fatto che la chiave per soddisfare

compiutamente il cliente consista nel comprendere e continuamente alimentare ciò

che egli percepisce come “valore”, in modo da fornirgli il giusto mix di

prodotti/servizi che soddisfino i suoi bisogni o lo mettano nella condizione di

cogliere nuove opportunità.

Questo aspetto è ben descritto dalle parole di Treacy e Wiersema:

I consumatori di oggi vogliono quantità maggiori di ciò che essi

considerano di valore. Se essi attribuiscono valore al prezzo contenuto, ecco che

lo vogliono ancora più contenuto. Se attribuiscono valore alla comodità e alla

velocità dell’atto di acquisto, ecco che lo vogliono ancora più semplice e rapido.

Se attribuiscono valore all’ultimo ritrovato della tecnologia, ecco che vogliono

che la tecnologia si spinga ancora oltre. Se desiderano l’attenzione dell’azienda,

ecco che vogliono più attenzione, più tempo e più capacità dell’azienda di farli

sentire come fossero l’unico cliente della stessa.

[Treacy e Wiersema, 1995]

14

Le parole dei due autori nord americani possono sembrare banali ma non

lo sono. Nascoste fra le righe vi sono, infatti, due importanti implicazioni, la cui

diffusa accettazione è, in verità, una conquista recente. La prima riguarda il ruolo

del cliente nella formulazione delle strategie aziendali. La tradizionale

impostazione di marketing vuole che sia l’azienda a “spingere” (push) i propri

prodotti sul mercato convincendo i consumatori che tali prodotti hanno proprio le

caratteristiche adatte a soddisfare le loro esigenze. In un tale contesto è come se

l’azienda modellasse il concetto di valore del cliente: il sistema di offerta è un

elemento dato, il contenuto del concetto di valore di ogni singolo cliente deve in

qualche modo adattarsi agli attributi del sistema di offerta stesso. Il ruolo del

cliente, nella formulazione delle strategie aziendali, è quindi un ruolo passivo ma

le parole di Treacy e Wiersema ribaltano questa impostazione. Il cliente ha una

propria accezione di valore, accezione che spetta all’azienda identificare quanto

più precisamente è possibile al fine di rispondere con un sistema di offerta

calibrato su misura per essa. Detto diversamente questo significa che le strategie

aziendali devono essere completamente customer driven, cioè guidate dal cliente

che in questo contesto “tira” (pull) i prodotti sul mercato e viene, quindi, posto al

centro del processo di formulazione delle strategie acquistando un ruolo attivo.

La seconda implicazione è, in realtà, una presa di coscienza sulla

multidimensionalità e sulla soggettività del concetto di valore, il quale non è

identificabile con questo o quell’attributo né definibile inequivocabilmente per

tutti i consumatori, ma è in realtà il frutto di una matrice di dimensioni che

15

variano, per natura ed importanza relativa, nel tempo, nello spazio nonché, come

già detto, da soggetto a soggetto. Ciò nonostante, e con riferimento al già citato

lavoro di Ross, è possibile individuarne alcune:

1. Qualità. In passato, i consumatori e i clienti industriali prendevano il

prezzo come principale elemento motivazionale a guida delle proprie

decisioni di acquisto. Aggiungendo qualità sia nella forma di accessori

addizionali, materiali pregiati, o servizi di vario tipo, si aggiungono costi.

Ma oggi la qualità sta diventando qualcosa di ordinario. Sia che essa

riguardi la performance, l’affidabilità, o l’estetica, i consumatori vogliono

sempre più prodotti di alta qualità a prezzi sempre più bassi e a

prescindere dal bene o servizio in questione, automobile o tostapane che

sia.

2. Prezzo. Il costo di un prodotto o servizio è sempre stato un elemento

fondamentale nel determinare il valore che il consumatore vi attribuisce.

A mano a mano che i fornitori hanno cercato di proteggere i margini come

risposta al crescere dei costi di produzione, i consumatori hanno dovuto

accettare prezzi più alti. Ma ora essi vogliono che i prezzi diminuiscano

indipendentemente dal crescere dei costi di produzione. Nel mercato

attuale, sia che si tratti di beni di largo consumo, sia che si tratti di beni di

lusso ed altamente personalizzabili, le imprese si trovano quindi a dover

fronteggiare la necessità di contenere i costi complessivi di un prodotto al

fine di proteggere i margini, piuttosto che aumentarne il prezzo. Prezzi più

16

alti daranno al cliente tutte le ragioni per tradire reputazione e “brand” e

acquistare dalla concorrenza.

3. Consegna. Nella maggior parte dei business, l’affidabilità e la

tempestività delle consegne sono diventati elementi qualificanti per il

conseguimento del successo. Condizionati dalla cultura del “fast food” e

dalla crescente disponibilità di informazioni in tempo reale, i consumatori

di oggi hanno sviluppato elevate aspettative circa i tempi di consegna, e

questo è diventato un elemento chiave del concetto di valore. Inoltre,

inconvenienti e ritardi causati da consegne incomplete o non

corrispondenti agli ordinativi emessi sono diventate intollerabili. Si può

dire semplicemente che adesso i clienti considerano il tempo di consegna,

e l’impegno del fornitore a cercare nuove strade per ridurlo ulteriormente,

come un elemento intrinseco della stessa transazione. Rigidità nella

disponibilità dei prodotti, nell’offerta di servizi, e nell’intero sistema di

offerta, spingono i clienti a cercare altrove soluzioni alle loro richieste di

prodotti e servizi.

4. Prodotto. I clienti non sono più soddisfatti da prodotti generici,

standardizzati, e spinti sul mercato da politiche di marketing

indifferenziato. Essi vogliono prodotti di qualità superiore, perfettamente

progettati, a basso costo, e offerti in un’ampia gamma dalla quale

scegliere la soluzione più appropriata alle proprie personali esigenze.

Inoltre, i prodotti attuali devono essere facilmente personalizzabili per

17

rispondere ad esigenze specifiche e sufficientemente flessibili da poter

essere aggiornati ed ampliati a seconda delle mutevoli esigenze del cliente

stesso.

5. Servizio. L’elemento “servizio” è la più recente dimensione del concetto

di valore e, forse, la più apprezzata dal consumatore odierno. Ai fini del

conseguimento del successo, i fornitori devono avere una visione allargata

del concetto di servizio, una visione che guardi alla leadership di servizio

come ad un impegno continuo che deve permeare tutti i piani e le azioni

dell’impresa. I clienti vogliono fare affari con fornitori che cerchino senza

sosta di soddisfare le loro aspettative, in qualsiasi momento, e che puntino

con decisione all’obbiettivo degli “zero difetti” come paradigma centrale

della propria attività operativa.

Ciò detto, e prima di passare all’analisi degli altri fattori contingenti di

cambiamento, si rende opportuno evidenziare ulteriormente la difficoltà pratica di

identificare il contenuto del concetto di valore per il cliente, identificazione alla

quale, per i motivi già detti e per altri che si esporranno nel seguito, l’azienda non

può comunque sottrarsi.

Se, infatti, da un punto di vista contabile, il valore è facilmente calcolabile,

almeno in teoria, come la differenza tra i benefici acquisiti e i costi sostenuti, al di

fuori di una prospettiva contabile il valore per il cliente può essere definito, come

fin qui ripetuto più volte, in vari modi. A complicare le cose si aggiunga che

anche la natura e lo scopo per cui i prodotti/servizi stessi sono acquistati può

18

giocare un ruolo determinante. Solo tenendo in considerazione questi ultimi due

elementi, ciò che è visto come valore può, infatti, assumere varie forme e spaziare

dal semplice possesso alla possibilità di arricchire la propria organizzazione molto

di più di quanto sia stato speso per il prodotto o servizio in questione, si pensi ad

esempio ai prodotti/servizi che offrono soluzioni per il business. Il valore per il

cliente, quindi, può essere concepito come un’insieme di elementi il cui valore

economico non è necessariamente determinato dal costo di

produzione/erogazione. Questo aspetto rappresenta certamente un elemento di

discontinuità rispetto al concetto di valore dell’era della produzione di massa. In

passato, quando ci si riferiva ad un prodotto/servizio definendolo a “valore

aggiunto” si intendeva dire che esso era stato realizzato attraverso il ricorso a

materiali costosi, o a macchinari particolari, o a personale altamente specializzato,

o, ancora, a processi in grado di assicurare una elevata qualità. In questa accezione

basata sui costi, il valore è principalmente visto come la somma del costo dei

materiali e del lavoro consumati nella produzione/erogazione di un determinato

prodotto/servizio, indipendentemente dai bisogni del consumatore o del valore che

a sua volta tale prodotto/servizio può generare quando utilizzato come input di

un’altro processo di business.

Nell’attuale contesto competitivo, tale concezione del valore appare sempre

più obsoleta e non coerente con la realtà del mercato. Infatti oggi, ciò che

determina il valore di un dato prodotto/servizio non è tanto, o non solo, il suo

costo di produzione/erogazione, ma quanto questo prodotto/servizio possa

19

assistere il cliente nella soddisfazione dei propri bisogni o nel conseguimento dei

propri obbiettivi strategici.

In particolare, e ricollegandoci a quanto prima affermato circa il rapporto tra

la natura del prodotto/servizio e le caratteristiche del valore ad esso associato,

possiamo dire che, per quei prodotti/servizi considerati commodity, è facile

pervenire ad una definizione del valore il cui contenuto è principalmente

collegabile ad elementi come la proprietà, la disponibilità, il prezzo contenuto, ed

un soddisfacente livello qualitativo. Invece, per quei prodotti/servizi non

commodity per natura, il contenuto del valore è sicuramente più ampio e

difficilmente definibile a priori. Sebbene gli elementi visti precedentemente vi

rientrino senza dubbio, esso ne comprende anche altri appartenenti ad un vasto

spettro e riconducibili prevalentemente alle possibilità di personalizzazione dello

specifico prodotto/servizio [Zuckermann, 1995].

In fine, il caso più complesso è sicuramente quello riconducibile ai

prodotti/servizi che rappresentano soluzioni strategiche di business per il cliente.

Infatti, quando oggetto della transazione è il prodotto/servizio in quanto tale, il

valore per il cliente non è generalmente di molto superiore al suo costo. Tali tipi

di prodotti/servizi sono di solito consumati rapidamente ed un loro eventuale

utilizzo nell’impresa del cliente ha spesso un impatto limitato ed indiretto. Per tali

tipi di prodotti/servizi il prezzo è generalmente calcolato partendo dal costo delle

risorse consumate aggiungendovi poi il margine di profitto. Al contrario, i

prodotti/servizi che rappresentano soluzioni strategiche hanno un impatto di lungo

20

termine sull’impresa del cliente e sono finalizzati direttamente all’ottenimento di

processi in grado di avere conseguenze sulla posizione competitiva dell’impresa

stessa. Tali soluzioni sono fortemente personalizzate ed il loro prezzo è

determinato tramite una trattativa tra le parti, sulla base dei benefici attesi

[Goldman, 1995].

1.2.2 Sviluppo di una concorrenza basata sulla qualità e sulla personalizzazione

Come già detto precedentemente, nel passato le imprese solevano

competere attraverso la vendita di linee di prodotti/servizi standardizzati e

realizzati in lotti di grandi dimensioni. Il principale obbiettivo, per il

conseguimento del successo, era produrre e distribuire al minor costo unitario.

L’efficienza era perseguita tramite la minimizzazione dei costi diretti di

produzione e distribuzione, associati principalmente al consumo di materiali e

lavoro. Gli obbiettivi di marketing si concentravano prevalentemente nel

persuadere i consumatori ad acquistare prodotti/servizi standard il cui prezzo era

fissato a priori con riferimento ai costi sostenuti. Il ruolo delle vendite era

unidimensionale: la transazione d’acquisto era considerata come il culmine del

processo d’acquisto, dopo di che, generalmente, ne il venditore ne l’acquirente si

aspettavano ulteriori opportunità per incrementare il valore aggiunto dei

prodotti/servizi oggetto della transazione stessa.

21

Nell’attuale contesto competitivo, invece, le vecchie regole della

produzione e della distribuzione hanno lasciato campo aperto a nuove regole per

lo sviluppo di relazioni radicate e mutuamente convenienti tra produttori,

distributori, e clienti. Come illustrato nella figura 1.1, le aspettative del cliente,

con riguardo alle tradizionali strategie di marketing, sono cambiate

considerevolmente. Nell’illustrazione, alle tradizionali utilità di marketing di

forma, tempo e luogo, ne sono state aggiunte altre, e più precisamente quelle di

qualità, prezzo e servizio. In oltre, è anche possibile confrontare il modo in cui

Forma

Tempo

Luogo

Qualità

Prezzo

Servizio

Predefinita

Quando disponibile

Dove disponibile

Accettabile

Basso

Minimo

Personalizzata

Quando desiderato

Dove desiderato

Superiore alle stesse aspettative

Configurabile

Complesso

Prodotti standardizzati

Prodotti personalizzati

Aspettative passate Aspettative attuali

Fig. 1.1 – Evoluzione delle aspettative del cliente rispetto alle strategie di marketing; Fonte: Ross, 1998

22

queste utilità di marketing sono viste dai consumatori attuali rispetto al passato. Il

tema centrale della figura è illustrare proprio il radicale cambiamento avvenuto

nel mercato dalla standardizzazione alla personalizzazione di massa (mass

customization), la quale cerca di rispondere alle uniche ed individualizzate

esigenze di ciascun consumatore. Le implicazioni della figura sono critiche. In

passato le imprese hanno cercato il successo offrendo prodotti a basso costo che

possedevano standard qualitativi appena superiori a quelli della concorrenza ma la

realtà dell’odierno scenario competitivo è che esso è sempre più caratterizzato

dalla differenziazione e non dall’omogeneizzazione. Oggi, per conquistare il

successo nel mercato, le imprese devono continuamente offrire prodotti e servizi

di qualità superiore che possano essere configurati, anche nel prezzo, per

incontrare richieste individualizzate, e devono cercare, inoltre, di aggiungere

continuamente valore ai propri sistemi di offerta attraverso l’instaurazione di

relazioni mutuamente utili con fornitori ed acquirenti.

Al crescere della segmentazione dei mercati tradizionali, produttori e

distributori non possono semplicemente limitarsi a trovare spazio in uno di questi

già angusti segmenti. Essi, invece, devono essere capaci di anticipare, se non

guidare, l’emersione di aspettative completamente nuove da parte dei

consumatori, se vogliono mantenere la fedeltà dei clienti e la leadership di

mercato.

Come realizzare tutto ciò? La risposta a questa domanda è molto

complessa e non è sicuramente univoca. Tuttavia nel proseguio del presente testo

23

si tenterà di individuare alcune linee di azione che possono portare a questi

risultati. Per adesso, a conclusione del presente paragrafo e continuando il

discorso di Ross, già introdotto in precedenza, si elencano alcune attività, miranti

ad una profonda revisione dei processi aziendali in essere, suggerite dallo stesso

Ross e propedeutiche al conseguimento degli obbiettivi su indicati [Ross, 1998]:

• Sviluppo continuo dei processi di progettazione, produzione, e

distribuzione al fine di conseguire flessibilità e configurabilità necessarie

per soddisfare le mutevoli richieste dei clienti e, contemporaneamente,

perseguire obbiettivi di ottimizzazione nell’utilizzo delle risorse utilizzate.

• Creazione e sviluppo di sistemi dedicati all’assistenza clienti in grado di

guidarli nell’identificazione della soluzione specifica ed accelerare, così,

transazione e consegna.

• Incoraggiamento alla formazione di alleanze mutuamente convenienti per i

partner della filiera, al fine di incrementare il valore competitivo del

sistema di offerta della singola azienda e della supply chain nel suo

complesso.

• Implementazione di strutture organizzative e sistemi operativi in grado di

supportare il cambiamento, l’imprenditorialità e il pensiero creativo.

• Rifiuto assoluto degli sprechi, dello stile di gestione “Comanda e

Controlla” e degli indici di performance non in grado di fotografare la

situazione competitiva del sistema filiera, sistema di cui ogni singola

impresa fa inevitabilmente parte.

24

1.2.3 Esplosione e diffusione delle tecnologie dell’informazione e della

comunicazione

Si sente dire, sempre più insistentemente e da più parti, che stiamo

abbandonando l’era industriale per entrare in una nuova era: l’era

dell’informazione. Affermazioni simili sono dettate dalla crescente

consapevolezza che le basi fondamentali del valore economico e del benessere

sociale stanno inesorabilmente cambiando. A tal proposito risultano illuminanti le

parole di Negroponte, direttore del Media Lab del MIT di Boston, il quale afferma

che “stiamo per entrare nella società dei bit, una società in cui le principali

risorse scambiate avranno forma digitale (saranno cioè rappresentate da bit), a

differenza della società preesistente in cui le risorse avevano una consistenza

fisica, per cui si poteva parlare di società degli atomi. Mentre l’economia della

società degli atomi – continua Negroponte – è basata essenzialmente sulla

produzione di beni fisici, quella della società dei bit è fondata sulla produzione di

informazioni e di conoscenze, ovvero di prodotti e di servizi derivanti da

informazioni... La circolazione delle informazioni sostituirà in parte la

circolazione delle merci... La produzione e il consumo di informazioni e di

conoscenze rappresenteranno l’attività economica prevalente della società del

futuro” [Negroponte, 1995]. Ovviamente Negroponte non sostiene che la

produzione di beni fisici cesserà di esistere ma semplicemente che essa diventerà

un’attività scontata. Ciò che determinerà il successo di un’azienda sarà invece

25

dovuto alle attività di progettazione, commercializzazione e distribuzione, attività

che saranno rese incomparabilmente più efficienti dalla circolazione dei bit resa

possibile dalla nuova società digitale. L’influenza delle nuove tecnologie nello

sviluppo economico è d’altra parte testimoniato da più parti. “...gli Stati Uniti

hanno sperimentato in questi ultimi anni una crescita elevata della produttività

(output per ora di lavoro). L’eccezionale incremento nella potenza dei computer e

nella velocità delle trasmissioni sembra sia stato l’elemento determinante di tale

crescita” [Alan Greenspan, Monetary policy testimony and report to the

Congress, 1998], ma al di là dell’esperienza americana sembra esserci una

correlazione positiva tra tassi di crescita del PIL e gli investimenti in informatica,

come testimoniato da diversi studi (si veda fig.

1.2).

Fig. 1.2 – Correlazione tra gli investimenti in ICT e PIL pro capite; Fonte: Camussone (2000)

26

Guidate dagli enormi sviluppi delle tecnologie informatiche avvenuti negli

ultimi dieci anni, le aziende hanno lentamente iniziato a rendersi conto che le

radici della prosperità economica non affondano più solamente nel lavoro e nei

processi produttivi ma anche nelle possibilità di accesso ad informazioni accurate,

nella velocità con la quale le stesse possono essere trasferite, e nella profondità

della conoscenza che queste riescono a mettere a disposizione come input dei

processi decisionali. I sistemi ICT quindi, grazie alla loro naturale capacità di

gestire e manipolare dati ed informazioni, sono uno strumento fondamentale cui

le imprese possono ricorrere per generare sempre nuove conoscenze, nuovi

modelli organizzativi, nuove culture aziendali, e nuove idee su come utilizzare al

meglio le risorse dei partner della catena logistica, nella ricerca di nuove fonti di

vantaggio competitivo.

Storicamente, la capacità delle imprese di controllare gli eventi fisici e di

gestire i legami, interni ed esterni, fra le varie attività e processi da esse posti in

essere, è stata determinata dalle tecnologie per il processamento delle

informazioni esistenti in un dato momento. In passato, limiti tecnologici e

l’assenza di standard condivisi hanno notevolmente inibito la raccolta, lo scambio,

e la condivisione delle informazioni. In particolare, la condivisione era del tutto

impossibile e la trasmissione limitata dal fatto di dover essere attuata

manualmente. Queste limitazioni, assieme ovviamente ad altri fattori, possono

essere giustamente collocate alla base della nascita e proliferazione del modello

organizzativo funzionale gerarchico che ha per lungo tempo dominato i modelli

27

organizzativi aziendali. Aziende nelle quali proliferavano i livelli gerarchici

tentavano di estrarre un significato dal fiume di informazioni che da ogni lato

impattavano l’organizzazione stessa dividendola in svariate unità funzionali ed

assegnando a ciascuna di esse una parte di quel flusso che presentasse una certa

omogeneità e che, quindi, si prestasse ad una più semplice gestione ed

interpretazione. I dati, dopo una prima sintesi, venivano successivamente passati

ai livelli immediatamente superiori della gerarchia fino ad arrivare, attraverso

successive aggregazioni e manipolazioni, al top management e alle strutture di

pianificazione dai quali, a loro volta, partivano le direttive strategiche ed operative

che ripercorrevano, questa volta in senso inverso, la struttura gerarchica passando

da disaggregazione in disaggregazione. La lunghezza del tempo necessario a tali

passaggi implicava, ovviamente, lunghi tempi di reazione agli stimoli provenienti

dal mercato. La lentezza del processo di raccolta e manipolazione delle

informazioni, pianificazione, attuazione, analisi delle varianze, ripianificazione, e

implementazione delle azioni correttive portò, così, all’allungamento dei lead time

e all’accumularsi di scorte di sicurezza lungo l’intera supply chain.

Con l’avvento dei computer, capaci di gestire e trasmettere dati a velocità

e in volumi prima ritenuti impossibili, i limiti del passato iniziarono lentamente ad

essere rimossi rivelando nuovi orizzonti per l’applicazione delle informazioni e

rendendo obsoleti molti metodi tradizionali di gestione e paradigmi organizzativi

sviluppatisi con riferimento alla situazione precedente. Al posto delle rigide

strutture dominate dal principio del “comanda e controlla”, l’abilità delle imprese

28

di integrare le funzioni interne e creare reti con i partner della supply chain ha

portato lentamente ad una nuova era caratterizzata dall’arricchimento del lavoro

individuale e dal ricorso a team multiaziendali per la gestione di attività e processi

complessi.

Quanto esposto precedentemente è, d’altra parte, suffragato dalle prime

esperienze di alcune aziende leader operanti in vari settori le quali hanno iniziato a

riconoscere che l’ICT fornisce loro enormi potenzialità per fondere ed

armonizzare le diversità disperse lungo la filiera in un sistema unificato

focalizzato sulla creazione di valore per il cliente attraverso la tempestiva

comunicazione delle informazioni provenienti dal mercato. Per esempio, il

sistema privato di comunicazione satellitare della Wal-Mart consente all’impresa

di inviare quotidianamente ai sui quattromila fornitori le informazioni provenienti

dai punti vendita, fornendo in tal modo ai fornitori stessi una vista in tempo reale

sulla situazione inventariale di ciascun punto vendita. Procedure simili sono state

adottate anche da altre aziende, fra le quali si possono ricordare J.C.Penny e

Hallmark.

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono assumere

svariate forme a seconda degli obbiettivi di business della specifica azienda

implementante. Applicazioni computerizzate, come i sistemi per l’interscambio

elettronico dei dati (EDI), i sistemi di identificazione automatica, i sistemi per

l’ottimizzazione dei trasporti e delle rotte, e le applicazioni per l’automazione

delle attività d’ufficio, sono tecnologie finalizzate ad aumentare la produttività

29

attraverso l’automazione delle attività e dei processi ripetitivi. D’altra parte, i

sistemi informativi aziendali, come i sistemi ERP (Enterprise resource Planning) e

i sistemi per la distribuzione integrata (CID), forniscono architetture per i sistemi

di business che rendono possibile la convergenza di team virtuali, sia all’interno

dei confini organizzativi sia al di fuori degli stessi lungo la catena logistica,

focalizzati sull’eccellenza operativa e sul servizio al cliente. Un aspetto critico di

tale processo di allineamento è costituito dalla presenza, o meno, di sistemi basati

su architetture e standard aperti, in grado di interfacciarsi con altri sistemi di

aziende diverse e in uso presso aziende diverse, in grado di unificare le attività di

marketing, produttive, e distributive dell’intera filiera. La figura 1.3 illustra

l’architettura di un sistema informativo così come fin qui descritta.

Clienti Canali

distributivi

Servizi di trasporto

Fornitori Altri partner di

business

Banche dati e servizi informativi

Engineering

Pianificazione e

programmai

Logistics Automati

Automazione d’ufficio

Sutomazione shop floor

Autostrada informativa / connettività

fisica

Fig. 1.3 – Architettura di un sistema informatico aperto e integrato; Fonte: Ross, 1998

30

Concludendo il discorso sull’evoluzione dei sistemi informatici aziendali,

discorso che sarà ripreso ed approfondito successivamente, non può mancare una

breve classificazione riassuntiva dei principali sistemi ICT sviluppati per precipui

fini aziendali:

• Soluzioni per la gestione del business. In quest’area si possono ritrovare

le applicazioni a supporto dell’integrazione funzionale, come le

applicazioni ERP (Enterprise Resource Planning), e intra aziendale, come

le applicazioni PDM (Product Data Management), nonché tutte le

applicazioni a supporto di singoli processi o attività, come le applicazioni

per la gestione dei trasporti o dei magazzini e le applicazioni per la

raccolta dei dati nei punti vendita.

• Tecnologie per la comunicazione. In quest’area confluiscono le

tecnologie per la comunicazione dei dati, fra le quali possono essere

ricordate il telefono, il fax, i sistemi satellitari e i sistemi EDI.

• Attrezzature per la movimentazione dei materiali. In quest’area

possono essere ritrovati veicoli a movimentazione automatica, i lettori dei

codici a barre, e in generale tutti quegli strumenti e macchinari che

utilizzano l’informatica per supportare le attività di magazzino.

• Internet. Sebbene Internet faccia sicuramente parte delle tecnologie della

comunicazione, esso rappresenta in qualche modo un fenomeno a se

stante. Grazie ad esso le possibilità di integrazione e networking delle

precedenti tecnologie EDI si sono ampliate notevolmente e la sua

31

diffusione lo candida a diventare la principale piattaforma di runtime

anche per le classiche applicazioni aziendali (ad esempio i sistemi ERP).

Sebbene ciascuna delle tecnologie illustrate precedentemente possa anche

considerata isolatamente assistere la singola impresa e la filiera nel suo insieme

nel conseguire la leadership di mercato, l’ICT può dispiegare tutto il suo

potenziale innovativo solo quando queste tecnologie sono combinate assieme a

formare un unico sistema integrato. Molte imprese, d’altra parte, hanno già

iniziato ad integrare i propri sistemi EDI, i codici a barre, i sistemi per

l’ottimizzazione dei trasporti e delle rotte, e i sistemi POS (Point of Sale), per

disporre di informazioni sempre più tempestive, complete ed accurate. Le varie

applicazioni informatiche presenti in azienda, siano esse relative alla gestione

degli ordini o del servizio al cliente, della produzione o della distribuzione, della

contabilità o degli aspetti finanziari, devono essere, in sostanza, collegate

reciprocamente al fine di permettere ai partner della supply chain, ma

quest’aspetto sarà reso più chiaro nel proseguio del testo, non solo di integrare,

ma addirittura di fondere, i rispettivi processi operativi e strategici dando, per

questa via, vita ad una singola organizzazione “virtuale”.

1.2.4 Diffusione della globalizzazione e delle alleanze strategiche

La fine della guerra fredda, la crescita di nuovi mercati nell’est europeo e

in Asia, lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, la

velocizzazione dei trasporti, e l’integrazione delle attività economiche su scala

32

mondiale hanno spinto molte aziende, grandi e piccole, a cercare nuove

opportunità di crescita al di fuori dei tradizionali ambiti territoriali. L’esplosione

del commercio globale è il risultato dell’azione di diversi fattori. Il primo di tali

fattori è sicuramente la maturazione delle economie dei paesi maggiormente

industrializzati, la quale ha obbligato molte imprese a guardare ai mercati stranieri

non solo come a possibili fonti di materie prime, lavoro a basso costo e tecnologia

a buon mercato, ma anche come a possibili territori per espandere l’arena

competitiva. Il serrarsi della competizione globale è, a sua volta, alla base del

secondo fattore: l’emergere di potenti blocchi commerciali nel Nord America

(NAFTA, 365 milioni di persone, 5.900 miliardi di dollari), in Europa (UE, 350

milioni di persone, 5.000 miliardi di dollari) e in Asia (Cina, 1,2 miliardi di

persone, 393 miliardi di dollari). La crescita del reddito in tutto il mondo, lo

sviluppo di infrastrutture distributive e la velocizzazione delle comunicazioni

rappresentano altrettanti fattori di sviluppo dell’economia globale, incrementando

la domanda globale per beni e servizi e dischiudendo nuove opportunità di

mercato. Infine, l’emergere a livello globale di strategie focalizzate sulla gestione

delle risorse e competenze distintive ha portato all’esplosione di alleanze e joint

venture tra partner spesso internazionali, nella ricerca di nuove strade per

migliorare processi e prodotti e cogliere nuove opportunità altrimenti inaccessibili

se perseguite isolatamente.

Come tutti i fenomeni osservati in precedenza, lo sviluppo dell’economia

globale porta con se, oltre ad una serie di opportunità, anche una serie di minacce

33

o quantomeno di problematiche nuove con le quali le imprese devono confrontarsi

o alle quali devono in qualche modo adattarsi.

Oltre ai notevoli cambiamenti politici e allo sviluppo dell’ICT, che hanno

ridotto le distanze fra i paesi, le imprese, infatti, devono fare i conti anche le

diversità istituzionali e giuridiche esistenti fra i vari stati mondiali, nonché con

l’emergere di una sensibilità ambientalista gravida, a sua volta, di nuove minacce

ed opportunità. L’influenza dei governi può essere osservata guardando, per

esempio, alla formazione dei blocchi commerciali, all’interno dei quali vengono

perseguite politiche protezionistiche, oppure alle differenze legislative in campo

economico, fiscale, ambientale, etc., che differenziano i vari paesi e che

certamente pongono difficili problematiche alle imprese che ad esse devono

adeguarsi. Egualmente importante è, come già detto, l’emergere di una sensibilità

globale sui temi correlati alla salvaguardia ambientale. L’attenzione politica ed

istituzionale rivolta ai problemi suscitati dall’inquinamento o relativi alla

sicurezza dei trasporti di sostanze tossiche o inquinanti, alla congestione dei centri

urbani, allo smaltimento e al riciclaggio dei rifiuti, o, in generale, alla salute

pubblica, pone vincoli specifici e nuove sfide al mondo economico ed industriale.

Oltre a tutto ciò, hanno dato il loro congruo aiuto alla spinta verso la

globalizzazione tutta una serie di fattori più prettamente aziendali e perciò relativi

a problematiche riguardanti costi, produttività, competitività. Tra essi meritano

senz’altro menzione i seguenti [Ross, 1998]:

34

• Attenzione ai cost-driver. L’obbiettivo di un’azienda che si muove verso la

globalizzazione è chiaro: aumentare la propria quota di mercato proponendo i

propri prodotti/servizi a nuovi mercati e, contemporaneamente, ottenere

risparmi di costo grazie alle economie di scala nella produzione e

nell’approvvigionamento. Il vantaggio economico può derivare, inoltre, dalla

prossimità ai mercati finali o di approvvigionamento, dagli incentivi dei

governi stranieri, dai bassi costi della manodopera, e dalla

gestione/acquisizione di imprese locali.

• Maggiore facilità nel ricorso alle alleanze fra partner internazionali.

L’alleviarsi delle tensioni internazionali, lo sviluppo dell’ICT, e la

strutturazione di sistemi di trasporto planetari hanno favorito la nascita di

nuovi mercati, virtualmente in ogni angolo della terra. Inoltre, sta diventando

sempre più facile per le aziende coordinare i propri processi ingegneristici,

produttivi, distributivi, e di marketing con gli omologhi processi di partner

internazionali a formare, così, imprese virtuali in grado di rispondere

prontamente alle richieste dei clienti. Tutto ciò fa si che, ne le distanze fisiche,

ne le eventuali deficienze nei processi e/o nei prodotti/servizi, costituiscano un

ostacolo insormontabile per l’ingresso nel mercato globale.

• Accresciute possibilità di personalizzazione dei prodotti/servizi. Sviluppi

innovativi nei processi di progettazione e produzione hanno permesso alle

aziende di configurare, in modo tempestivo ed efficiente, i propri

prodotti/servizi, al fine di soddisfare le richieste individuali dei clienti.

35

Processi a valore aggiunto, come il riconfezionamento e la rietichettatura, e

caratteristiche produttive, come la facilità di assemblaggio e riassemblaggio

della componentistica, facilitano la personalizzazione del sistema di offerta

sulla base delle diversità esistenti nei vari mercati nazionali.

• Implementazione di sistemi Quick Response. I cambiamenti radicali occorsi

nei sistemi di comunicazione e di trasporto hanno notevolmente ridotto i rischi

tradizionalmente associati al commercio internazionale. La crescita delle

infrastrutture logistiche internazionali e delle tecnologie della comunicazione

hanno, infatti, reso più accessibile per le imprese, ovunque esse siano ubicate,

l’implementazione di sistemi Quick Response, i quali facilitano enormemente

la gestione di prodotti dal ciclo di vita sempre più breve e la loro

personalizzazione in base alle richieste del cliente, nel tentativo di rispondere

velocemente ed efficacemente alla volubilità della domanda globale.

Tra i punti elencati precedentemente merita senz’altro un ulteriore

approfondimento il tema dello sviluppo delle alleanze strategiche, a prescindere

dalla nazionalità dei partner coinvolti. Se, infatti, l’obbiettivo dei competitori

globali è l’ampliamento delle quote di mercato relative e lo sfruttamento delle

conseguenti economie di scala, lo sviluppo di catene logistiche integrate

finalizzate all’ottenimento dell’eccellenza mediante la condivisione e la fusione

delle risorse di ciascun anello della catena stessa appare sempre più un passo

indispensabile nel cammino verso quella meta ambiziosa. In netto contrasto alle

relazioni avversarie fra venditori ed acquirenti caratteristiche del passato anche

36

recente, il management contemporaneo sta, infatti, ponendo particolare attenzione

allo sviluppo di relazioni che mirino ad instaurare rapporti cooperativi fra i

membri della supply chain. Alcune delle ragioni alla base di questo nuovo modo

di gestire le relazioni inter-impresa discendono direttamente dall'emergere della

globalizzazione. Anche se è senz’altro vero che oggi un sistema filiera risulta

esposto agli attacchi di competitori sparsi in tutto il globo, la capacità di gestire

risorse intellettuali e materiali di partner internazionali sta rendendo notevolmente

più agevole, per quelle stesse filiere, entrare nella nuova arena competitiva.

L’abilità delle imprese di esplorare le potenzialità di reti paritetiche di progettisti,

produttori, distributori, e venditori, rese possibili dall’attuale ICT, sarà un

elemento determinante per la creazione di nuove forme di cooperazione tra

imprese multi-business dinamiche e globali. La crescita delle alleanze strategiche

e delle varie forme di partnership può, inoltre, essere imputata anche alla crescita

di infrastrutture informatiche le quali rendono senz’altro più agevole la

cooperazione tanto all’interno dei mercati nazionali quanto nel mercato globale.

Tendenze come l’esplosione dell’ICT, la scarsità di personale altamente

specializzato, l’enfasi sulla personalizzazione dei prodotti/servizi, la

ristrutturazione e il ridimensionamento di molte grandi imprese, e la crescente

attenzione riservata al fattore “tempo” hanno incoraggiato la formazione di

alleanze strategiche finalizzate al conseguimento di vantaggi competitivi

altrimenti irrealizzabili. Inoltre, attraverso l’integrazione dei business, le alleanze

strategiche risultano essere anche un potente strumento per la riduzione dei rischi

37

associati alle attività di sviluppo, produzione, e distribuzione di nuovi prodotti

attraverso la condivisione tanto dei profitti quanto delle perdite. Un quadro

riassuntivo delle principali differenze tra un’impresa che si accosta al mercato in

modo tradizionale, facendo cioè affidamento esclusivamente sulle proprie risorse

e competenze, e una che invece vi compete ricorrendo alle alleanze strategiche è

riportato nella tabella 1.1. Solo a titolo di esempio, fra le più comuni forme di

alleanze e partnership si ricordano quelle tra produttori, distributori e fornitori

terzi di servizi logistici, quelle tra imprese fornitrici di servizi, come quelle tra

ASP (Application Service Provider) e Software House, e quelle tra produttori sia

facenti parte della stessa supply chain sia appartenenti a supply chain concorrenti,

Gestione basata sulle transazioni Gestione basata sulle alleanze

Relazioni di breve termine Relazioni di lungo termine Molti fornitori Pochi fornitori

Relazioni avversarie Relazioni cooperative Notevole importanza ricoperta dai prezzi Notevole importanza ricoperta dai servizi a

valore aggiunto Investimento minimo richiesto ai fornitori Alti investimenti richiesti ad entrambe le parti

Minima condivisione di informazioni Condivisione estensiva delle informazioni riguardanti i prodotti, il marketing, e la logistica

Indipendenza delle imprese coinvolte nelle relazioni

Elevata interdipendenza nei processi decisionali

Minima interazione fra le omologhe aree funzionali

Interazione estensiva fra le omologhe aree funzionali

Tab. 1.1 – Modi alternativi di approccio al mercato da parte delle aziende; Fonte: Ross, 1998

38

come nel caso dell’alleanza tra FIAT e General Motors [Gopal & Cypress, 1993;

Bouersox, Daugherty, Droge, Germain & Rogers, 1992]. Oltre a differenziarsi per

la natura dei soggetti coinvolti, alleanze e partnership si differenziano anche per

gli obbiettivi per le quali vengono costituite. Alcune di queste alleanze mirano, ad

esempio, all’ottenimento di economie di scala attraverso l’utilizzo congiunto della

capacità produttiva dei partner. Altre cercano, invece, di fondere le competenze

specialistiche dei partner nella progettazione e nella produzione al fine di ridurre il

time to market. Altre ancora, mirano alla costituzione di alleanze temporanee tra

competitor per conseguire vantaggi contingenti, come nel caso, già ricordato,

dell’accordo tra Apple, Motorola e IBM per lo sviluppo del Power PC. Infine,

altre puntano all’integrazione delle competenze specifiche di ciascun partner al

fine di incrementare le risorse collettive e conseguire economie di scopo. In ogni

caso, qualunque ne sia la finalità, le alleanze strategiche di filiera hanno tutte un

fine comune: rendere possibile un rapido e proficuo assemblaggio di differenti

competenze e risorse specialistiche, nonché di tecnologie specifiche, da utilizzare

nei processi di progettazione, produzione, e distribuzione al fine di conseguire

vantaggi competitivi sostenibili e difficilmente imitabili [Goldman, 1995].

1.2.5 Cambiamento del ruolo e degli obbiettivi della funzione logistica

Profondamente influenzata dall’emergere delle dinamiche viste in

precedenza è, senz’altro, la dinamica relativa al cambiamento del ruolo e degli

obbiettivi della funzione logistica.

39

Infatti, i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni e relativi alla tecnologia,

alle esigenze dei consumatori, ai prodotti/servizi, all’emergere della

globalizzazione, e al concetto di filiera stanno significativamente alterando le

strutture e gli obbiettivi di tale funzione. In passato, la logistica è stata vista

principalmente come un insieme di attività operative – gestione dei trasporti, dei

magazzini, delle giacenze di prodotti finiti, e simili. Al contrario oggi, le imprese

più avanzate e lungimiranti stanno iniziando a concepire la logistica come una

funzione strategica inter-funzionale, la cui missione è non solo pianificare e

coordinare tutte le attività necessarie a ridurre i costi delle giacenze senza però

introdurre discontinuità nel processo produttivo e distributivo, ma anche

permettere alle imprese di cogliere nuove opportunità competitive legate proprio

alla gestione del flusso fisico lungo l’intera supply chain, gestione dalla quale può

derivare un notevole miglioramento del servizio offerto al cliente finale..

L’espletamento di tale ruolo fa della logistica la funzione inter-funzionale per

eccellenza dovendo essa avere uno sguardo a trecentosessanta gradi sulle attività

aziendali, a partire dalla produzione, all’approvvigionamento, fino alla consegna

al cliente finale.

Ma quali obbiettivi deve in concreto perseguire la moderna logistica? Se in

un tentativo di estrema semplificazione si potrebbe rispondere che esso consiste, e

non potrebbe essere diversamente, nel rafforzare la posizione competitiva

dell’impresa o meglio dell’intera supply chain, come sarà più chiaro nel

proseguio, tuttavia è possibile identificare degli obbiettivi a questo senz’altro

40

strumentali e che presentano l’indubbio vantaggio di rendere tale obbiettivo

supremo un po’ meno generale ed astratto. Ancora una volta è Ross a venirci in

aiuto suggerendone alcuni che, confrontati con i tradizionali obbiettivi

prettamente operativi da sempre attribuiti alla funzione logistica, aiutano anche a

delineare il profilo del processo di arricchimento del quale la logistica stessa è

stata oggetto negli ultimi anni, processo per altro ancora non giunto a conclusione

[Ross, 1998]:

• Erogazione di servizio al cliente. Uno degli obbiettivi della logistica è

rendere attuali le utilità di spazio e luogo necessarie all’effettiva erogazione

del servizio al cliente. Inoltre, oggigiorno, alla funzione logistica sono ormai

demandate le responsabilità inerenti la trasparenza dello status degli ordini, la

trasmissione degli stessi all’interno dell’azienda e fra i partner di canale, e la

tempestività, efficacia, ed efficienza dei servizi post-vendita. Alcune aziende,

infine, hanno attribuito alla logistica anche responsabilità relative alla

pianificazione della produzione di modo che, l’intero processo di evasione

degli ordini, dall’approvvigionamento dei materiali alla consegna del prodotto

finito al cliente, viene ad essere posto sotto la responsabilità di un unico

soggetto. Proprio tale ampliamento dei compiti tradizionalmente attribuiti alla

funzione logistica, ampliamento che può portare la stessa a gestire

completamente il ciclo di evasione dell’ordine, è diventato assolutamente

critico per la sopravvivenza di molte aziende. Ad esempio, per la Orval Kent

Food Co. I.N.C., il più grande produttore statunitense di insalate fredde, una

41

siffatta gestione del processo logistico è essenziale data l’estrema deperibilità

del prodotto e l’incessante richiesta di eccellenza da parte dei clienti. Orval

Kent assicura di essere in grado di realizzare un qualsiasi prodotto su

ordinazione con un preavviso minimo di quarantotto ore e di consegnarlo

entro quattro giorni dal momento del ricevimento dell’ordine stesso. Una

simile promessa può essere mantenuta solo se le funzioni di gestione degli

ordini, produzione e distribuzione sono accuratamente integrate. Inoltre, via

via che i tentativi di ridurre drasticamente l’entità delle giacenze all’interno

della filiera alimentare si sono moltiplicati, Orval Kent è stata obbligata, al

fine di rimanere competitiva, a progettare ed implementare sistemi produttivi e

distributivi flessibili, in grado, cioè, di produrre e distribuire a costi

economicamente sostenibili lotti di piccole dimensioni su richiesta del cliente.

Per far fronte a queste richieste particolari, per altro sempre più frequenti,

l’azienda ha creato appositi team inter-funzionali focalizzati sul servizio a

specifici clienti. Questi team includono rappresentanti del servizio al cliente,

della logistica, delle vendite e di altri dipartimenti, tutti dedicati a soddisfare

le richieste del cliente e a risolvere ogni possibile problema che eventualmente

potrebbe manifestarsi. In altre parole, la Orval Kent ha riconosciuto il ruolo

chiave giocato dalla logistica come crocevia ineludibile fra l’operatività

interna e la crescente richiesta di servizio da parte della clientela [Gooley,

1996].

42

• Riduzione dei tempi di ciclo. In un contesto competitivo nel quale il ciclo di

vita dei prodotti/servizi diventa sempre più breve, il tempo di consegna è in

continua diminuzione, e le consegne stesse diventano sempre più frequenti e

di modeste entità, la logistica deve essere capace di implementare tecniche che

riducano costantemente i tempi di svolgimento delle attività di magazzino, di

processamento degli ordini, di fatturazione, di approvvigionamento, di

consegna, e simili. L’obbiettivo sotteso è semplice. Quanto più le imprese

riescono ad accelerare il movimento del flusso di materiali e prodotti finiti

attraverso l’intera supply chain, tanti più prodotti dovrebbero riuscire a

vendere e tanto più dovrebbero incrementare la propria redditività e la propria

posizione competitiva. La chiave per ridurre i tempi di ciclo risiede

nell’integrazione dei membri della catena logistica. Connettere i fornitori di

materie prime, componenti e servizi, i produttori, i distributori, i dettaglianti, e

i clienti finali, è fondamentale per l’eliminazione delle ridondanze, degli

sprechi, e delle inefficienze ovunque disperse nella supply chain, nonché per

la riduzione dei costi complessivi di filiera e per il miglioramento del servizio

erogato al cliente finale. La logistica fornisce le strutture operative per la

concreta realizzazione dell’integrazione della filiera. Attraverso la

reingegnerizzazione continua delle attività e delle procedure transattive, di

stoccaggio, trasporto, comunicazione e simili, sia internamente ai confini

della singola organizzazione, sia esternamente nella filiera, la logistica può

accelerare e rendere più fluido il flusso di prodotti/servizi ed informazioni

43

lungo l’intera catena logistica. Le potenzialità della logistica nel creare

vantaggio competitivo attraverso la drastica compressione dei tempi di ciclo è

stata ben documentata nell’industria elettronica. Secondo quanto contenuto in

un rapporto della società di consulenza “Pittiglio, Rabin, Todd & McGrath”,

l’implementazione di tecniche efficienti di gestione logistica ha prodotto, negli

ultimi cinque anni, costanti miglioramenti del tasso di rotazione del

magazzino nelle aziende statunitensi osservate. Inoltre, secondo uno studio del

1994, il valore delle giacenze come percentuale dei ricavi è diminuito dal

14,3% nel 1993, al 13,4% nel 1994, il margine lordo è passato dal 3,4% nel

1993, al 37,6% nell’anno successivo, e il fatturato è passato dal 13,4% al

14,7% sempre nello stesso periodo. Inoltre, il tempo del ciclo monetario è

passato dai 142 giorni del 1990, ai circa 114 del 1994, e il tempo di giacenza

delle scorte è diminuito di circa 22 giorni sempre con riferimento all’arco

temporale 1990-1994 [Pittiglio, Rabin, Todd & McGrath, 1995].

• Incremento dei servizi a valore aggiunto. In aggiunta a quanto finora visto,

la logistica deve essere anche capace di scoprire ed inventare sempre nuovi

approcci per la ricerca di vantaggio competitivo attraverso lo sviluppo e

l’arricchimento dei servizi offerti al mercato. Le relazioni cliente-fornitore, a

partire dai primi anni 90, si sono focalizzate sempre più sui servizi a valore

aggiunto, quei servizi, cioè, in grado di ridurre i costi, non solo monetari, per

il cliente, e, nel caso di clienti business, di agevolarne lo svolgimento

44

dell’attività operativa e di incrementarne la produttività. A tal fine possono

essere identificate tre linee d’azione critiche [Ross, 1998]:

Implementazione di tecniche di gestione e tecnologie che accelerino il

flusso fisico dei beni dalla sorgente al luogo di consumo.

Eliminazione delle ridondanze nella trasmissione delle informazioni

critiche lungo l’intera supply chain.

Disponibilità di servizi a valore aggiunto che incrementino la produttività

ed eliminino costi, come ad esempio il riassortimento automatico, il

tracking dello status degli ordini, l’utilizzo dei codici a barre, e il

postponimento del confezionamento e dell’etichettatura.

Un esempio delle possibilità di servizi a valore aggiunto che la logistica è in

grado di erogare è ben illustrato dalle attività poste in essere dalla Flexible

Packaging, una divisione della Union Camp, per risolvere i problemi del

proprio mercato

• Incremento della qualità dei servizi logistici. Erogare servizi a valore

aggiunto non basta. Essi devono anche possedere elevati standard qualitativi.

È ormai chiaro che il mercato attuale chiede prodotti e servizi di elevata

qualità e che tale domanda è destinata ad aumentare in futuro. Le

problematiche relative alla qualità ed alla produttività sono ormai diventate

predominanti tanto nelle aziende manifatturiere, quanto in quelle distributive.

Secondo uno studio condotto nel 1992 dalla Arthur Andersen, risultò che

l’affidabilità era il principale fattore utilizzato per misurare la performance dei

45

fornitori, seguito dalla tempestività, e, al terzo posto, dall’accuratezza,

quest’ultima accreditata del secondo posto per il 2000. Le aziende campione

affermarono che l’accuratezza, sia essa riferita alla merce consegnata, alla

fatturazione, o ai prezzi applicati, poteva fornire un grande vantaggio ai

clienti, in quanto permetteva di ridurre i costi e individuare, rispetto alla

massa, le aziende leader, quelle, cioè, che facevano bene le cose al primo

colpo [Andersen, 1992]. La logistica, quindi, si trova oggi ad essere duramente

impegnata nel tentativo di arrivare all’obbiettivo degli “zero difetti” nelle

consegne, di sviluppare continui miglioramenti nel servizio erogato, e di

implementare parametri di performance focalizzati sull’accuratezza delle

transazioni e sul valore aggiunto per il cliente. Quest’ultimo aspetto riveste, in

particolare, una notevole importanza poiché i classici parametri reddituali si

sono dimostrati spesso inefficaci nel cogliere l’intima matura dei fenomeni

oggetto di rilevazione. Affianco ad essi si stanno, pertanto, diffondendo altri

indici volti a misurare i livelli di soddisfazione del cliente, di utilizzo delle

attività fisse, dei costi operativi, della qualità, dei tempi di ciclo, della

produttività, e simili, i quali forniscono al management una visione più

dettagliata e veritiera del rapporto esistente tra opportunità di mercato,

obbiettivi strategici, e risultati conseguiti. Al fine di migliorare costantemente

la qualità dei servizi erogati molto utile si presenta anche la tecnica del

benchmarking competitivo, il quale consente di [Ross, 1998]:

Identificare ed implementare le best practice

46

Fornire stimoli e motivazioni al personale

Rompere le resistenze individuali e dell’organizzazione al cambiamento

Fornire un supporto ed un parametro di confronto agli specialisti incaricati

di implementare nuovi processi e tecnologie

• Riduzione dei costi complessivi del processo logistico. Al crescere dei costi

operativi, della domanda di prezzi competitivi da parte dei clienti, e al

diminuire dei margini, la logistica può rispondere efficacemente aggiungendo

valore tramite uno stretto controllo dei costi operativi e di processo.

L’effettiva gestione dei costi aziendali non può prescindere, infatti,

dall’efficace organizzazione e gestione del processo logistico, e

dall’individuazione del più opportuno equilibrio tra costi e livello del servizio

erogato al cliente. Identificare e quantificare l’impatto delle decisioni

logistiche cui costi complessivi della supply chain è, tuttavia, un compito

difficile. Il processo logistico, infatti, per sua natura si snoda e prende corpo

tagliando trasversalmente strutture organizzative e processi aziendali, e di

filiera, e questo rende difficoltoso determinare con esattezza gli effetti

complessivi delle politiche adottate. Ad esempio, una decisione di ridurre il

livello delle giacenze se da un lato consente di ridurre l’entità del capitale

immobilizzato, dall’altro può portare ad una degenerazione del livello del

servizio e ad un aumento delle spese di trasporto.

• Reattività organizzativa. Fondamentale per una gestione competitiva del

processo logistico è la sua continua riprogettazione, al fine di essere sempre in

47

grado di rispondere prontamente alle richieste del mercato e cogliere le

potenzialità dischiuse dal progresso tecnologico. L’evolversi tumultuoso delle

une e delle altre obbliga la logistica ad adottare modelli organizzativi e

processi operativi flessibili ed adattabili a diverse situazioni. Più precisamente

si assiste al progressivo abbandono del modello organizzativo

funzionale,verticalizzato, gerarchico e fondato sul principio, ormai obsoleto,

del “Comanda & Controlla”, col modello basato sui processi1, piatto,

orizzontale e basato sulla soddisfazione del cliente

In conclusione si può dire che i continui cambiamenti ambientali determinati

dall’avvento del mercato globale, dai nuovi prodotti/servizi, e dall’esplosione

dell’ICT hanno radicalmente cambiato il tradizionale ambiente operativo della

funzione logistica. Il crescere delle aspettative sul servizio, il ridimensionamento

di alcune grandi imprese, l’automazione, l’outsourcing, etc., hanno alterato le

caratteristiche del terreno di gioco e il modo in cui la logistica può contribuire a

creare vantaggio competitivo.

1 Un’impresa che si struttura per processi sceglie di accorpare le proprie attività sulla base della

48

Capitolo 2

UN’ALTERNATIVA STRATEGICA: LA SUPPLY CHAIN

MANAGEMENT

2.1 Introduzione

Uno dei temi più importanti e ricorrenti nello studio della gestione delle

moderne imprese manifatturiere e della distribuzione è la Supply Chain

Management (SCM). Negli ultimi dieci anni, la letteratura economica, ma anche

la stampa popolare, ha riempito pagine e pagine con articoli e saggi tesi a

descrivere ed analizzare i drammatici cambiamenti avvenuti nei processi

produttivi e nelle strutture organizzative a seguito delle radicali innovazioni

avvenute nelle metodologie di gestione aziendale, dell’implementazione di

tecniche di Business Process Reengineering (BPR), della globalizzazione del

mercato, e dell’esplosione dell’ICT. Oggi, studiosi, consulenti, e manager stanno

cercando di scoprire come poter mettere insieme questi eventi, a volte divergenti,

al fine di pervenire a nuove strategie in grado di aprire all’impresa nuove

opportunità di mercato e nuovi spazi competitivi.

Sempre più al centro di questo dibattito emergente si può rinvenire il

concetto di Supply Chain Management. La SCM è diventata un argomento di

loro comune finalizzazione alla realizzazione di un prodotto/servizio compiuto, destinato ad un

49

discussione talmente “caldo” che è difficile aprire una rivista dedicata ai problemi

della produzione, della distribuzione, della gestione clienti, dei trasporti, o simili,

senza trovare almeno un articolo dedicato ad essa o a temi in qualche modo ad

essa collegati.

Questa attenzione nei confronti della SCM non è però esclusiva del mondo

accademico ed intellettuale. Un numero sempre crescente di imprese appartenenti

al gruppo delle Fortune 500 ha manager con la locuzione “supply chain” nel titolo

e, recentemente, diverse tra queste hanno anche creato team specifici per la

gestione delle attività logistiche, interne ed esterne. Per esempio, la Becton

Dickinson and Company, produttore e distributore a livello mondiale di

apparecchiature e strumenti medici, ha creato al proprio interno, fin dal 1995,

un’apposita divisione, la BD Supply Chain Services, investita di tutte le

responsabilità relative ai servizi logistici per l’intera filiera, servizi che

ricomprendono tra gli altri, la gestione dei trasporti, dei magazzini, della

fatturazione, e del credito [Novack, Langley & Reinhart, 1995]. A dispetto, però,

dello spazio conquistato sulla stampa, nelle aule universitarie, e nei consigli di

amministrazione, attorno al concetto di Supply Chain Management c’è ancora non

poca confusione. Qual’è il suo esatto contenuto, come può essere praticamente

applicato, e quali benefici ci si può attendere a seguito di una sua corretta

implementazione? Poiché la maggior parte della letteratura sull’argomento si è

concentrata su singoli aspetti particolari, operativi o strategici, della SCM, come

cliente interno o esterno all’organizzazione. [Davenport, Sommadossi, Oriani]

50

ad esempio la gestione dei trasporti, delle relazioni con i partner, o del servizio al

cliente, quasi nessuno si è cimentato nel compito di formulare una definizione

esaustiva, definizione, cioè, in grado di illustrarne i principi fondamentali e

fissarne una volta per tutte i confini teorici ed applicativi. Parte del problema

risiede, in realtà, nel fatto che la SCM, come altre filosofie e tecniche di gestione

quali il Just in Time (JIT) o il Total Quality Management (TQM), può essere

definita in molti modi e possiede una matrice di possibili applicazioni. Ad ogni

modo, la confusione deriva principalmente dall’errore comune di identificare la

SCM con l’insieme delle attività operative costituenti la logistica moderna. Come

si tenterà di chiarire nel seguito, la SCM è molto di più di un set di tecniche

finalizzate a consegnare i prodotti ai clienti più rapidamente riducendo

contemporaneamente i costi della filiera. Piuttosto, essa può essere considerata

come un approccio di gestione totale, dinamico, orientato alla crescita, al

cambiamento e alla ricerca costante di vantaggio competitivo fondato sulla

soddisfazione del cliente finale, nel tentativo di prosperare in un ambiente

dominato da estrema incertezza e relazioni globali.

Nel capitolo precedente si sono descritte le principali dinamiche che

stanno ridisegnando l’attuale contesto competitivo. Ciò non è stato fatto per

diletto intellettuale ma perché prima dell’emergere di quelle dinamiche la SCM

non era necessaria e, aggiungiamo, senza le attuali tecnologie dell’informazione e

della comunicazione, virtualmente irrealizzabile [Ross, 1998]. All’emergere di

ciascuna delle cinque dinamiche precedentemente illustrate, dinamiche che, lo si

51

noti bene, sono strettamente correlate ed interdipendenti, i tradizionali paradigmi

gestionali associati al marketing indifferenziato, ad una struttura informatica

centralizzata, e ad una logistica il cui sguardo non va oltre i confini aziendali, si

sono rivelati sempre più incapaci a reperire ed armonizzare le risorse e le

competenze necessarie per sfruttare adeguatamente quelle stesse dinamiche

emergenti e conseguire lo sperato vantaggio competitivo. D’altra parte, fornendo

una filosofia di gestione a 360 gradi, capace di unificare le risorse chiave disperse

fra i vari partner della catena logistica, la SCM sembra fornire le basi concettuali e

gli strumenti operativi per la creazione di organizzazioni virtuali, capaci di

realizzare approcci innovativi per la continua soddisfazione del cliente.

Il resto del capitolo sarà, pertanto, incentrato sull’analisi di questa nuova

ed emergente filosofia di gestione. Se ne darà una definizione chiara, se ne

illustreranno i principi cardine e, fondamentale per lo scopo del presente testo, si

chiarirà il perché quando si parla di SCM non si può fare a meno di parlare anche

di logistica e di ICT.

2.2 La Supply Chain Management

Mai nel passato la gestione del sistema filiera è stata così importante come

lo è oggi nel contesto competitivo descritto nel capitolo precedente.

In passato, la produzione e la distribuzione dei prodotti/servizi, e la

gestione delle informazioni ad essi correlate è stata ovunque considerata di

52

secondaria importanza se paragonata a quella attribuita alle strategie di marketing

e finanziarie.

Oggi, invece, al crescere delle sfide poste da una crescente richiesta per

prodotti/servizi di alta qualità e configurabili secondo le esigenze del cliente, per

consegne sempre più tempestive ed affidabili, per processi flessibili in grado, cioè,

di rispondere prontamente ai repentini cambiamenti delle richieste del mercato,

per riduzioni dei costi dei prodotti e di processo, e per addestramento del proprio

personale a rispondere alle sfide che quotidianamente si presentano, le aziende

stanno sempre più rivolgendo la propria attenzione alle potenzialità disperse nei

partner di filiera, al fine di arricchire le proprie capacità competitive. Così,

parallelamente ad una crescita dell’attenzione rivolta a potenziare le proprie

competenze distintive e a riprogettare i processi inefficienti, esse stanno anche

iniziando a guardare fuori dei propri confini organizzativi per cercare nei partner

di filiera nuove fonti di competenze chiave, risorse fisiche, e processi vincenti

orientati ai clienti.

Si va quindi delineando una nuova tendenza che vede intere filiere, e non

più imprese isolate, cercare nuove strade per diventare sempre più creative e

sensibili al mercato, attraverso la convergenza dei propri obiettivi strategici e delle

proprie procedure operative. Così come quanto sta avvenendo in molti business

dimostra, il conseguimento di drastiche riduzioni dei costi e l’incremento del

livello del servizio erogato non sono praticabili agendo isolatamente. Appare, al

contrario, sempre più evidente che per battere la concorrenza e scoprire aree

53

inesplorate nell’arena competitiva, le imprese devono abbandonare i

convenzionali paradigmi di business, incentrati sulla gestione delle transazioni e

su indici di performance parrocchiali, e indirizzarsi verso strategie che

riconoscano nella cooperazione tra le imprese della filiera e nella convergenza

delle attività operative dei singoli partner il modo migliore per conseguire il

successo nel mercato. Oramai, da più di cinque anni accademici, consulenti e

manager usano la locuzione ”Supply Chain Management” per riferirsi proprio a

siffatte strategie. Tuttavia, sebbene ci sia un solido consenso attorno al fatto che la

SCM costituisca uno dei requisiti fondamentali per il conseguimento della

leadership nel mercato, emerge una sorprendente confusione ogni qual volta si

tenti di pervenire ad una definizione concisa del concetto di SCM, di come

implementarla e di quali benefici ci si debba attendere.

Il motivo è semplice. Il concetto della SCM non è apparso sulla scena come

un corpo ben definito di conoscenze ma si è formato, o meglio si sta formando,

giorno dopo giorno così come le imprese leader cercano di trovare nuove strade

per imporsi nel nuovo ambiente sempre più competitivo. Detto diversamente, il

concetto della SCM non è nato nelle aule universitarie per poi essere applicato,

per induzione, nel mondo reale ma ha fatto, e sta facendo, esattamente il percorso

inverso. Le aziende più intraprendenti e lungimiranti hanno iniziato già da qualche

anno a cercare nuove strade per scoprire nuove fonti di vantaggio competitivo, in

particolare tramite la gestione integrata della catena di fornitura, integrazione resa

possibile dagli ultimi progressi nel campo dell’ICT. Successivamente gli ambienti

54

accademici e universitari hanno preso atto dell’emergere di una nuova filosofia di

gestione e, attraverso un procedimento deduttivo, hanno estrapolato dalle

differenti applicazioni pratiche, gli elementi comuni nel tentativo di poter

pervenire ad una formulazione astratta e rigorosa della nuova filosofia. Il risultato

è stato un proliferare di definizioni con significati spesso differenti e egualmente

differenti applicazioni, ora focalizzate su temi operativi, ora più marcatamente

strategiche. Ellram, ad esempio, definisce la SCM in termini generali come “un

approccio integrato alla pianificazione e al controllo dei flussi dei materiali dai

fornitori agli utilizzatori finali attraverso il canale di distribuzione” [Lisa M.

Ellram, 1991]. L’approccio di Ellram è chiaramente rivolto agli aspetti operativi

della SCM. In oltre, forse per la sua precocità, nelle parole di Ellram manca

qualsiasi riferimento alle informazioni come oggetto della pianificazione e del

controllo. Esso non manca, però, in quelle di J. T. Mentzer [J. T. Mentzer, 1993]

che, pur conservando un approccio operativo, non manca di citarle come oggetto

della nuova metodologia. Egli definisce infatti la SCM come “un metodo di

gestione focalizzato in modo particolare sulla facilitazione dei flussi in uscita

dell’inventario e delle informazioni”. Il metodo per raggiungere questo obbiettivo

consiste in una forte integrazione dei partner della filiera così da raggiungere una

elevata sincronizzazione delle attività di canale. Cooper amplia gli orizzonti.

L’accento si sposta sugli aspetti strategici e l’attività operativa viene

contestualizzata in un progetto più ampio e conscio. Secondo Cooper [Cooper,

1994] la SCM fornisce alle imprese un focus sul canale che supera i confini

55

geografici, politici e corporate, allo scopo di soddisfare particolari gruppi di

clienti. In fine, Walton and Miller [Walton, Miller, 1995] affermano che

“l’integrazione strategica dei partner è la SCM”. Per la loro eterogeneità, le

definizioni precedenti mostrano come il concetto della SCM sia in realtà una

complessa matrice di concetti e applicazioni pratiche che può trovare applicazione

a una miriade di problemi che impattano l’impresa sia orizzontalmente all’interno

dei suoi confini, sia verticalmente nel canale.

Da un lato la SCM ha attinenza con temi strategici come l’integrazione dei

processi di business interni ed esterni all’impresa, lo sviluppo di stretti rapporti

con i partner di canale e la gestione dei flussi di prodotti e informazioni lungo la

filiera. Dall’altro, la SCM è anche uno strumento tattico che può essere applicato

alla gestione delle attività operative come il servizio al cliente, il controllo dei

flussi in entrata e in uscita di beni ed informazioni e l’eliminazione delle

inefficienze, dei costi e delle ridondanze di canale che si estendono dai fornitori di

materie prime, alla manifattura, alla distribuzione, al consumo e a ritroso tramite il

riciclaggio e i resi.

Un’ulteriore fonte di confusione deriva dal confronto tra il concetto di

SCM e di logistica. Oggigiorno, l’efficace gestione della logistica sta acquisendo

un ruolo fondamentale come fonte di vantaggio competitivo, attraverso la

creazione di valore per il cliente, l’abbattimento dei costi operativi,

l’attualizzazione degli obbiettivi del marketing e delle vendite, e

l’implementazione di elementi di flessibilità nei processi operativi. Uno sguardo

56

alla logistica è fondamentale nel processo di formulazione delle strategie generali

dell’azienda, al fine di sintonizzare effettivamente le risorse e le competenze

aziendali con le esigenze dei consumatori, riconoscendo in tal modo il ruolo di

interfaccia tra l’azienda e l’ambiente circostante, al processo logistico. Di

particolare rilevanza, a tal proposito, è la tendenza, manifestatasi negli ultimi anni

relativa all’arricchimento delle responsabilità dei manager preposti alla gestione

della logistica. Ad essi infatti è stata affidata, da parte di molte aziende, la

responsabilità non solo delle attività logistiche interne, ma anche dell’integrazione

ed il coordinamento del flusso fisico ed informativo lungo l’intera supply chain.

L’obbiettivo di un tale arricchimento è la creazione di una strategia logistica che

trascenda la singola organizzazione e che unisca, invece, tutti i costituenti la

filiera a formare, in tal modo, una singola entità competitiva. Infatti, attraverso

l’integrazione delle risorse produttive, distributive, e di inventario, tanto su base

aziendale che di filiera, le aziende hanno l’opportunità di realizzare un maggior

valore per il cliente contemporaneamente al contenimento dei costi.

Proprio a partire da questa tendenza della logistica a guardare oltre

i confini organizzativi della singola azienda e a proporsi come infrastruttura

organizzativa dell’integrazione stessa, sono nate parecchie occasioni di confusione

tra i due concetti: quello di Logistica e quello di Supply Chain Management, in

verità molto diversi. Christopher, ad esempio, afferma che: “deve essere

riconosciuto che il concetto di SCM, sebbene relativamente nuovo, sia in realtà

niente di più che un’estensione della logica della logistica.” [Christopher, 1994].

57

Più espliciti in tal senso Gopal e Cypress i quali affermano che: “la locuzione

“gestione logistica” è spesso usato intercambiabilmente con il termine SCM”

[Gopal e Cypress, 1993].

In modo simile, il concetto di SCM è stato spesso confuso con il concetto

di “supply channel management”. Ad ogni modo, anche in questo caso la

distinzione tra i due è piuttosto netta. Infatti, come sarà evidenziato tra breve, la

SCM è fondamentalmente una filosofia di gestione dell’intera catena logistica

(fornitore – produttore – distributore – dettagliante – cliente finale), la quale punta

alla sincronizzazione e alla convergenza delle risorse strategiche ed operative, sia

all’interno della singola impresa, sia fra le imprese della filiera, a formare, in tal

modo, una singola ed unificata entità competitiva sintonizzata sulle esigenze del

cliente. In contrasto, con la locuzione “supply channel management” ci si riferisce

non ad una filosofia, un concetto astratto, ma piuttosto all’insieme degli obbiettivi

strategici reali, alle concrete strutture organizzative, funzioni, istituzioni e attività

operative che definiscono il modo in cui una particolare catena logistica muove

beni e servizi [Ross, 1998]. La SCM fornisce alle aziende che l’implementano

strategie competitive innovative, che le rendono capaci di maneggiare ed

utilizzare al meglio le risorse dell’intera coalizione di imprese al fine di soddisfare

ed anticipare le richieste del cliente. La supply channel management, al contrario,

è composta dalle reali funzioni di business, dalle concrete relazioni tra i partner,

dalla gestione quotidiana delle operazioni logistiche, dalla concreta gestione della

domanda e degli ordini, e dal modo specifico di gestire le transazioni finanziarie,

58

tutti elementi che, cioè, definiscono il modo in cui la SCM è in concreto attuata

[Ross, 1998].

Quanto esposto fino ad ora, se da un lato evidenzia la confusione esistente

sul concetto di SCM, dall’altro non deve essere da ostacolo al tentativo comunque

necessario di pervenire ad una definizione di tale concetto.

• Si può innanzi tutto dire che la SCM consiste essenzialmente di due

dinamiche. La prima definisce la SCM come una tecnica di gestione delle

attività operative che permette alle imprese di andare oltre l’ottimizzazione

delle sole attività logistiche, verso un modello in cui tutte le funzioni

aziendali, dal marketing alla produzione, dalla finanza alla R&S, sono

ottimizzate attraverso una stretta integrazione. L’integrazione aziendale a

questo livello, che, lo si noti bene, è qui intesa limitata ai processi e alle

attività interne all’azienda stessa, permette al management di coordinare

ed indirizzare unitariamente la performance quotidiana delle attività

operative che creano valore.

La prima dinamica della SCM spinge quindi con decisione verso

l’allineamento continuo degli obbiettivi tattici dipartimentali, l’ottimizzazione di

tutte le funzioni operative, e la creazione continua di valore per il cliente.

Venendo adesso alla seconda dinamica, essa può essere vista come

l’estensione della precedente alle attività e ai processi performati dalla supply

chain nel suo complesso. L’obbiettivo della SCM, a questo livello, è lo stretto

interfacciamento, se non la fusione, delle attività di un’impresa con le omologhe

59

attività svolte dagli altri partner di filiera. Alla base della dinamica in questione vi

è un semplice assunto e cioè che nell’attuale ambiente competitivo nessuna

azienda può competere da sola e possedere al proprio interno tutte le risorse, le

competenze, e il know how necessari per raggiungere e mantenere la leadership

del mercato.

Alle due dinamiche fin qui illustrate se ne deve ora aggiunge una terza, senza

la quale il discorso sul contenuto della SCM risulterebbe palesemente incompleto.

Infatti, sebbene il discorso precedente illustri due dimensioni critiche del concetto

di SCM, esso in realtà ruota attorno ad un tema comune. Fin qui la SCM è stata

vista principalmente come un’attività di gestione delle attività operative,

finalizzata all’accelerazione dei flussi fisici ed informativi attraverso la catena

logistica, all’ottimizzazione delle funzioni interne, alla sincronizzazione delle

stesse con le omologhe attività poste in essere dai partner di filiera, e

all’attivazione di meccanismi atti alla riduzione dei costi e all’incremento della

produttività complessivi della filiera intesa come sistema integrato ed unico

soggetto competitivo. Ora, sebbene questi elementi siano tutti aspetti critici della

SCM, essi, non di meno, rappresentano solo una frazione delle potenzialità insite

nel concetto di SCM. Quindi, a queste dimensioni operative, deve esserne

necessariamente aggiunta una terza: la dimensione strategica. “Aggiungendo la

dinamica strategica, il concetto di SCM acquista una nuova dimensione. Per

prima cosa, l’SCM fornisce le basi concettuali che rendono le singole imprese

costituenti una filiera capaci di competere come una singola entità competitiva.

60

Questo significa molto di più che una condivisione dei dati dell’inventario via

EDI.. L’SCM supporta la convergenza delle attività di marketing, product design,

produzione, logistica e altre svolte indipendentemente da ciascuna impresa, in un

coerente sistema di filiera finalizzato alla creazione di valore e pronto a reagire

prontamente ai rapidi cambiamenti del mercato globale. Le attività sulle quali la

SCM estende la sua influenza si estendono dallo stabilire le alleanze di canale al

supportare il sistema ICT attraverso le previsioni di business, al product design,

all’approvvigionamento, alla produzione e alla gestione logistica. L’obbiettivo è

la creazione di un sistema canale, in continua evoluzione, che consenta ai vari

partner di ricercare nuove strade, non solo per migliorare i prodotti e i processi

esistenti, ma anche di pervenire più facilmente alla generazione di nuovi mercati

e soluzioni innovative per la soddisfazione delle esigenze individuali dei clienti”

[Ross, 1998].

La SCM ha si a che fare con l’accelerazione dei tempi di consegna e con la

riduzione dei costi, ma essa ha anche a che fare con l’utilizzo di nuovi metodi di

gestione e con la potenza dell’ICT i quali consentono congiuntamente di produrre

prodotti/servizi affatto innovativi e in grado di rispondere alle mutevoli richieste

del mercato.

L’aspetto operativo della SCM fornisce alle imprese gli strumenti per

partecipare alla lotta per la leadership di mercato. D’altra parte, l’aspetto

strategico fornisce gli strumenti per guidare l’evoluzione del mercato stesso,

aprire nuove opportunità in mercati correlati, ed esplorarne di completamente

61

nuovi, attraverso la creazione di una visione della supply chain unica e condivisa

da tutti i partner, la formazione di alleanze strategiche pari a pari tra gli stessi

partner, e la gestione delle complesse relazioni con fornitori e clienti che in tal

modo si vengono a creare.

Al cuore della SCM, come già detto, può essere rinvenuta la potenza

dell’odierna ICT. Queste particolari tecnologie, infatti, consentono la creazione

reale di reti di imprese che a sua volta rende possibile l’implementazione di

processi decisionali multi soggettivi, che coinvolgono, cioè, una pluralità di

soggetti, e focalizzati sulla soddisfazione del cliente.

L’obbiettivo competitivo della SCM è sviluppare le potenzialità diffuse fra

i partner al fine di generare nuove fonti di valore, nuovi processi e tecnologie,

nuove forme di integrazione verticale,e nuove strade per il conseguimento di

economie di scala al fine non solo di sopravvivere, ma anche di imporsi

nell’attuale contesto competitivo.

Pertanto, sulla base di quanto fin qui detto, la SCM può essere definita nel

modo seguente:

la Supply Chain Management è una filosofia di gestione che si

evolve continuamente e che cerca di unire, all’interno

dell’impresa e all’esterno fra i partner dislocati lungo catene di

fornitura intersecantesi, le risorse e le competenze collettive

esistenti in un unico sistema di fornitura altamente competitivo e

customer based, finalizzato allo sviluppo di soluzioni innovative

62

e alla sincronizzazione del flusso di prodotti, servizi e

informazioni per creare uniche e individualizzate fonti di valore

per il cliente.

[Ross, 1998]

La SCM è quindi una filosofia aperta per la gestione delle singole imprese

e delle filiere nelle quali partecipano, e fornisce alle stesse gli strumenti per far

fronte ai radicali cambiamenti, già ampiamente discussi, che stanno riscrivendo le

regole della competizione attuale.

Formalmente, l’implementazione della SCM sarebbe di competenza del

dipartimento Logistica di un’impresa. Ad ogni modo, avendo elevato la SCM allo

status di filosofia strategica di management, la sua implementazione è, in realtà,

responsabilità dell’alta direzione, dispiegando i suoi effetti ben al di là di ambiti

prettamente logistici. In particolare, dovrebbe essere ormai chiaro che:

• La SCM fornisce una visione strategica del canale di fornitura.

Sebbene la SCM dedichi grande attenzione allo svolgimento delle attività

operative in generale, e di quelle logistiche in particolare, la caratteristica

saliente della stessa deve senz’altro essere rinvenuta nella sua capacità di

fornire alle imprese un orientamento strategico rivolto verso l’esterno

dell’organizzazione. Detto in altre parole, in un ambiente come quello

attuale, descritto nel capitolo precedente, caratterizzato dall’accorciarsi del

ciclo di vita dei prodotti e dal proliferare della segmentazione del mercato,

la capacità delle imprese di gestire e fondere le competenze chiave, le

63

risorse fisiche, i processi ingegneristici, produttivi, logistici, e di

marketing, e le infrastrutture informatiche di ciascun costituente la supply

chain, è diventata la fonte principale di vantaggio competitivo. Solo

agendo in questo modo, e dato il contesto ambientale, è possibile ottenere

quelle innovazioni vincenti nella progettazione dei prodotti, nel modo di

consegnarli, nel servizio erogato al cliente e nella gestione dei costi, che

sono al di là delle possibilità di una singola azienda.

• Il raggiungimento degli obbiettivi della SCM non è il risultato di

qualcosa che accade all’interno di una sola azienda. Sebbene

l’applicazione di tecniche di BPR e di TQM, concepite per ridurre i costi,

eliminare le ridondanze, accelerare il flusso fisico, e incrementare la

produttività, facciano sicuramente parte degli strumenti di cui si avvale la

SCM per raggiungere i suoi obbiettivi, l’implementazione della stessa non

è sinonimo ne dell’una ne dell’altra. Inoltre, la SCM non postula il

semplice arricchimento delle relazioni con i partner di filiera attigui. In

fine, la SCM non è sinonimo di integrazione verticale, che presuppone la

comune proprietà di tutte o alcune le entità facenti parte della supply

chain. Infatti, integrazione verticale, BPR, TQM, e arricchimento delle

relazioni con i partner attigui, presentano tutti un’ottica rivolta all’interno

delle singole organizzazioni implementanti, e sono finalizzate, nella loro

accezione originaria, ad aumentare la competitività dell’azienda intesa

come player autonomo ed indipendente. Come già visto, invece, il reale

64

valore della SCM non è da ricercare nell’orientamento interno, comunque

presente, ma in quello esterno. Le imprese che implementano la SCM

mostrano la capacità di incrementare sostanzialmente le loro competenze e

risorse produttive e distributive attraverso la convergenza non solo delle

attività logistiche e produttive, ma anche delle attività finanziarie, di

marketing, di pianificazione operativa, e di progettazione e sviluppo

prodotti, in un’unica visione strategica condivisa all’interno

dell’organizzazione e, reale elemento di innovazione e rottura con il

passato, all’esterno nella catena logistica. Attraverso la formulazione di

alleanze strategiche, la sincronizzazione delle funzioni interaziendali, e il

libero accesso alle competenze complementari disponibili presso i partner

di filiera, la SCM offre all’intera supply chain, e solo a questa, la

possibilità di realizzare una rete virtuale di aziende capace di produrre

sempre nuovo valore per il cliente. Attraverso la condivisione e il

mixaggio delle risorse e delle attrezzature, dei rischi e dei costi, delle

risorse umane e delle conoscenze tecnologiche, i membri della catena

logistica possono acquisire la flessibilità necessaria per configurare

rapidamente nuovi approcci al mercato, indispensabili per rispondere

efficacemente alla mutevolezza del mercato, in un modo decisamente

irrealizzabile da un’azienda che agisca isolatamente.

• Una strategia basata sulla SCM è completamente customer driven.

Nell’era della produzione di massa, le aziende manifatturiere producevano

65

prodotti standardizzati tra i quali, poi, il consumatore avrebbe individuato

la risposta alle proprie esigenze prevalentemente sulla base del prezzo,

delle promozioni e della varietà disponibile. In un tale contesto, il ruolo

della logistica era di assistere le politiche di marketing “spingendo” i

prodotti verso i clienti nel modo più rapido ed economico possibile. Al

contrario, nell’odierno scenario competitivo, il flusso di prodotti/servizi

viene guidato dai clienti, i quali si aspettano di ricevere prodotti/servizi

configurati ad hoc per le loro specifiche esigenze. Questo radicale

cambiamento nel modo di gestire la domanda, passando, cioè, da un’ottica

di tipo push ad una di tipo pull, si sta traducendo in altrettanto radicali

cambiamenti nella gestione delle tradizionali funzioni aziendali, come ad

esempio la produzione o la distribuzione. Attraverso la messa in rete sia

delle risorse operative, sia di quelle strategiche, dei fornitori, produttori,

distributori, e dettaglianti dislocati lungo la catena logistica, la SCM

facilita la cooperazione fin dalla fase progettuale, l’implementazione di

processi produttivi flessibili, lo sviluppo di elevati standard qualitativi, il

trasferimento delle informazioni rilevanti, e la fluidità dei flussi fisici che

attraversano la supply chain. In particolare, per poter efficacemente

adottare una strategia di gestione della domanda di tipo pull è

fondamentale la condivisione tra i partner dei dati di vendita al cliente

finale (sell out), i quali sono gli unici in grado di descrivere realmente il

profilo della domanda effettiva. Ciò detto si può quindi affermare che la

66

SCM gioca un duplice ruolo. Da un lato si propone come strumento di

comunicazione delle richieste del cliente a tutti i partner della filiera, dal

dettagliante al fornitore di materie prime, dall’altro come potente

strumento per progettare e gestire al meglio il flusso fisico, sempre

attraverso l’intera catena logistica.

La SCM è, quindi, una filosofia di gestione che trascende i confini aziendali,

che impegna una pluralità di soggetti distinti nella sua implementazione, e che

impone alle aziende che vi si avvicinano di cercare fonti di vantaggio competitivo

guardando al di là degli angusti confini delle rispettive organizzazioni.

Le precedenti teorie e tecniche manageriali, come ad esempio il Just in time

(JIT), il Business process reengineering (BPR), o il Total quality management

(TQM), risultano chiaramente focalizzate su obbiettivi di produttività e riduzione

dei costi da realizzarsi all’interno dei muri aziendali. La SCM, al contrario,

riconosce che, per conseguire la leadership di mercato, le imprese dovrebbero

essere gestite, non come entità individuali, ma bensì come membri attivi di catene

logistiche integrate alle quali ciascuna singola impresa apporta il proprio

patrimonio di risorse e competenze. Al giorno d’oggi, infatti, nessuna singola

impresa, per quanto grande possa essere, può possedere o gestire autonomamente

l’insieme di capacità, talenti, risorse, tecnologie, e informazioni, necessario a

rispondere prontamente ed efficacemente alla mutevolezza e all’incertezza

caratterizzanti, come già visto, l’attuale mercato globale. Per questo l’essenza

della SCM può forse essere vista anche nella continua formazione e permutazione

67

di alleanze strategiche di lungo periodo tra imprese che puntano alla leadership di

mercato attraverso la condivisione delle rispettive risorse e competenze, dando

vita in tal modo ad entità competitive composte da più soggetti, aventi unità di

intenti, ma i cui rispettivi confini rimangono invisibili ai clienti finali [Goldmann,

Nagel & Preiss, 1995]. La SCM è, quindi, una forza unificante che porta le

imprese costituenti una specifica catena logistica ad agire come fossero una

singola entità competitiva.

Sebbene costituisca già un notevole passo avanti rispetto alla discontinuità del

passato, l’integrazione intra-aziendale della sola funzione logistica non può

rispondere da sola alla velocità dei cambiamenti e alle esigenze di integrazione

delle risorse umane, fisiche, ed informative, necessaria per competere

Logistica Gestione delle

Programmazione dellaApprovvigionam

entoServizio al clienteTrasporti

Stoccaggio

Logistica Gestione delle

Programmazione dellaApprovvigionam

entoServizio al clienteTrasporti

Stoccaggio

• Finanza • Marketi

ng • Vendite

• Finanza • Marketing • Vendite • R & S

Azienda fornitrice Azienda cliente

Fig. 2.1 – Schema di integrazione della sola funzione logistica; Fonte: Ross 1996

68

efficacemente nel mercato attuale. Come illustrato nella figura 2.1, in un simile

contesto organizzativo, infatti, le singole imprese conservano ancora autonomia

circa la gestione delle altre funzioni interne e nella definizione delle strategie di

business. Al contrario, l’implementazione della SCM prevede che ciascuna entità

indipendente abbandoni la propria settorialità (vedi fig. 2.2). Quindi, non la

semplice integrazione delle sole attività logistiche, come la pianificazione delle

giacenze o la gestione dei trasporti, ma la fusione di tutte le funzioni

fondamentali, come il marketing o la R&S, attraverso la creazione di team

interfunzionali ed intra-aziendali.

69

In passato, le imprese di successo erano quelle che riuscivano a creare e

gestire intrigate e fisse catene di imprese, spesso detenendone la proprietà,

attraverso le quali fluivano beni standardizzati spinti sul mercato da politiche di

marketing di tipo push e puntando sulla leadership di costo. Oggi, invece, il

vantaggio competitivo appartiene a quelle imprese che danno vita a catene

logistiche integrate e dinamiche, i cui membri, cioè, non siano individuati una

volta per tutte, che condividono infrastrutture, costi, e rischi, che si impegnano

congiuntamente per gestire la brevità del ciclo di vita dei prodotti/servizi, che

riducono il time to market, e che ascoltano le esigenze del cliente lasciando a

quest’ultimo il compito di “tirare” la produzione e la distribuzione. Sebbene ogni

singolo membro del sistema combatta ancora per il conseguimento dei propri

personali obbiettivi di business, la lezione della SCM è che il successo finale può

essere raggiunto solo a patto di condividere le core competence, le risorse fisiche,

e le conoscenze specifiche di ciascun membro, sulla base di un disegno strategico

Azienda fornitrice Azienda cliente

Logistica Finanza

Marketing Vendite

Gestione del canale R & S

Sistemi informativi

Logistica Finanza

Marketing Vendite

Gestione del canale R & S

Sistemi informativi

Infrastrutture di rete

Fig 2.2 – Integrazione in ottica SCM; Fonte: Ross, 1998

70

comune e della omogeneizzazione dei processi, dei sistemi e delle interfaccia

operative. Tutto ciò ha una serie di vantaggi pratici di immediata identificazione.

Solo per citare i più evidenti, un tale modo di operare lascia libere le imprese di

concentrarsi su ciò che sanno fare meglio, fornisce loro l’accesso ad un’ampia

gamma di risorse e competenze non disponibili al loro interno, accelera

l’innovazione di prodotto e di processo, e genera un profondo senso di

appartenenza attorno ad una visione comune dell’ecosistema cui appartengono.

Tradurre in precise regole e puntuali prescrizioni i principi teorici della SCM è

un compito difficilissimo, se non impossibile. Non esistono formule da seguire o

modelli universalmente validi. Ogni impresa, così come si può vedere dai diversi

casi pratici, segue la propria strada a partire dai propri obbiettivi e risorse. Ciò

nonostante è possibile astrarre, dalle numerose applicazioni reali, alcuni elementi

comuni che possono servire da riferimento in un processo di implementazione. Ad

esempio, la BASF Corp., divisione nordamericana della BASF Group, con un

fatturato di 5,5 milioni di dollari e 16.000 dipendenti, ha individuato cinque fattori

di successo nel proprio processo di implementazione della SCM:

1. Selezione di partner di dimensioni globali, a partire dai fornitori terzi di

servizi logistici ed informatici, in grado di aiutare l’impresa a gestire lo

stato dell’arte nell’universo tecnologico e dei servizi.

2. Sviluppo e promozione delle risorse umane interne. Il management della

BASF è apparso deciso nel ritenere che la formazione continua dei

dipendenti fosse un elemento fondamentale per migliorare il senso di

71

appartenenza, la consapevolezza del proprio lavoro, e per incoraggiare la

creazione di nuove competenze e conoscenze.

3. Sviluppo di strutture operative consistenti di team interfunzionali e

smantellamento della rigida struttura organizzativa per funzioni.

4. Creazione di canali per la condivisione di informazioni ed idee.

5. Creazione di una forte leadership del management al fine di ottenere il

massimo consenso sui nuovi obbiettivi e processi.

Sebbene la BASF debba ancora ultimare il proprio percorso implementativo della

SCM, successi evidenti ne raffermano il passo e ne consolidano le convinzioni. In

quelle aree dove il processo di implementazione è giunto a compimento o è a

buon punto, il livello del servizio al cliente è migliorato del 54-99%, la puntualità

delle consegne è salita al 97%, l’investimento in scorte di vario tipo è sceso del

30%, e i costi per le attività amministrative sono diminuiti del 50%.

Quanto esposto fino ad ora illustra il contenuto fondamentale del concetto

di Supply Chain Management che, come visto, trova la sua ragion d’essere negli

sviluppi economici, sociali ed tecnologici illustrati nel primo capitolo.

Già nelle pagine precedenti si è nominata più volte la funzione logistica e

lo stesso è stato fatto con riferimento all’ICT. È ora venuto il momento di

approfondire i legami esistenti tra essi. A questo proposito sono dedicati i due

paragrafi successivi.

72

2.3 Supply chain management e logistica

Non ci sono dubbi sul fatto che l’emergere della logistica moderna affondi

le sue radici nella nascita della SCM. Infatti, uno dei presupposti applicativi

fondamentali per l’implementazione della SCM è proprio l’integrazione delle

attività logistiche lungo l’intera filiera allo scopo di accorciare i tempi di ciclo e

ridurre gli investimenti in scorte. Adesso quindi che una concisa definizione della

SCM è stata data, è senz’altro possibile, nonché opportuno, chiarire il ruolo che la

gestione logistica acquista in questo contesto.

Nel corso degli ultimi venticinque anni la scienza logistica è progredita

dall’essere un’attività puramente operativa al diventare una potente arma

competitiva in grado di mettere l’impresa nella condizione di percorrere nuove ed

inesplorate strade nella ricerca di vantaggi competitivi.

In origine, il ruolo della gestione logistica riguardava la creazione di valore

aggiunto attraverso la gestione dei magazzini e dei trasporti in modo tale da

consentire all’azienda di supportare gli obbiettivi finanziari e di marketing. Oggi,

invece, la logistica è diventata, in quanto tale, essa stessa una risorsa competitiva

dell’impresa in grado di creare valore per il mercato fornendo sempre nuove

risposte alle crescenti aspettative dei consumatori, progettando procedure e

sistemi operativi capaci di realizzare contemporaneamente alti livelli qualitativi e

drastiche riduzioni dei costi, ed evidenziando le asincronie esistenti fra gli

elementi chiave dell’impresa, come ad esempio il posizionamento dei prodotti, il

73

livello di integrazione della supply chain, le competenze del personale, e le

strategie di business, asincronie che possono inibire la crescita dell’azienda.

Come nel caso della SCM, non mancano certo le definizioni, talora

contrastanti ma in grado di evidenziare ciascuna un aspetto particolare, se

considerate congiuntamente. Tra le più quotate resiste ancora quella formulata dal

Council of logistics management nell’ormai lontano 1985. Essa recita:

“la Logistica è il processo di pianificazione,

implementazione e controllo dell’efficiente flusso ed

immagazzinamento di materie prime, semilavorati, prodotti

finiti, servizi ed informazioni dal punto di origine al punto di

consumo/utilizzo (compresi i movimenti in entrata/uscita ed

interni/esterni all’impresa) allo scopo di conformarsi alle

richieste del cliente.”

[Council of Logistics Management, 1985]

La definizione precedente dipinge la logistica come un processo integrativo che

lega i flussi fisici ed informativi nel loro fluire da funzione a funzione e da

impresa ad impresa. Più orientata alla creazione del valore per la filiera risulta,

invece, la definizione di Novack, Reinehart e Wells:

“La Logistica riguarda la creazione di utilità di tempo, luogo,

quantità, forma e possesso all’interno e tra le imprese e i

soggetti/individui, attraverso la gestione strategica, la gestione

delle infrastrutture e la gestione delle risorse, con l’obbiettivo di

74

creare prodotti/servizi che soddisfino il cliente attraverso

l’ottenimento di valore.”

[Novack, Rinehart, Wells, 1992]

In fine, Christopher definisce la missione della gestione logistica come:

“la pianificazione e il coordinamento di tutte quelle attività

necessarie a raggiungere il desiderato livello di servizio al

cliente e qualità al più basso costo possibile. Per questa ragione

la logistica deve essere vista come il ponte tra il mercato e le

attività operative del business. Le attività e gli obbiettivi

logistici si estendono lungo l’intera azienda, dalla gestione delle

materie prime alla consegna del prodotto finito.”

[Christopher, 1994]

Alla luce delle definizioni precedenti si può, quindi, dire che la logistica

partecipa alla creazione del vantaggio competitivo attraverso l’erogazione di

servizi al cliente, il conseguimento dei prefissati standard qualitativi, e il

contenimento dei costi operativi, tutti elementi che incrementano il valore offerto

al mercato.

75

Un buon metodo per comprendere meglio il contenuto della logistica è

quello di dividerla idealmente in due funzioni separate ma strettamente integrate,

come illustrato nella figura 2.3. La prima funzione può essere chiamata Gestione

dei materiali e si identifica con la gestione dei flussi in entrata dei materiali e

delle informazioni ad essi correlate. La Gestione dei materiali può essere definita

anche come l’insieme delle funzioni di business che supportano il flusso dei

materiali, dalla pianificazione agli acquisti, dal controllo delle giacenze alla

Approvvigionamento

Gestione delle giacenze

Ricevimento e stoccaggio

Movimentazione dei materiali

Produzione

Altri processi a valore aggiunto

Gestione dei materiali Distribuzione fisica

Gestione dei magazzini

Gestione scorte prodotto finito

Trasporti

Supply channel management

Previsione della domanda

Altri processi/servizi

Gestione logistica

Fig 2.3 – Le funzioni logistiche: uno schema semplificato; Fonte: Ross, 1996

76

produzione e alla consegna dei prodotti finiti al sistema distributivo della filiera.

All’interno della Gestione dei materiali è, inoltre, possibile procedere ad una

ulteriore classificazione delle attività che ve ne fanno parte. In particolare, queste

ultime possono riguardare la Acquisizione dei materiali, come la gestione dei

fornitori, gli acquisti, il ricevimento, e il controllo qualità, o la Gestione delle

giacenze, come la movimentazione e lo stoccaggio dei materiali, la gestione del

wip, e la consegna al sistema distributivo.

La seconda funzione nella quale può essere idealmente scomposta la

logistica è la Distribuzione fisica. Questa funzione è normalmente associata con

l’immagazzinamento e la movimentazione dei prodotti finiti lungo il canale

distributivo, al fine di far fronte agli ordinativi dei clienti. Spesso la Distribuzione

fisica è così strettamente legata ai processi che presidiano l’erogazione del

servizio al cliente, l’attività previsionale, e la gestione della catena logistica, che,

in molte aziende, è parte integrante dei dipartimenti Marketing o Vendite. Ad ogni

modo, fra le attività facenti parte della Distribuzione fisica si ricordano

l’immagazzinamento, il trasporto, il controllo e la movimentazione dei prodotti

finiti, la gestione degli ordini dei clienti, l’analisi della ubicazione dei magazzini,

il confezionamento dei prodotti e la gestione dei resi [Ross, 1996].

La precedente separazione e classificazione del processo logistico in

attività e categorie deve, però, essere intesa come un puro strumento didattico teso

ad illustrare il flusso fisico ed informativo nel suo fluire lungo l’intera supply

77

chain, essendo i legami tra quelle attività e categorie così stretti da non permettere,

nella pratica, una gestione indipendente delle stesse.

Alla precedente descrizione del processo logistico, tratta dal testo di Ross

Competing through supply chain management, se ne può affiancare un’altra molto

simile ma che comunque può risultare utile ai fini di una migliore comprensione

del processo in questione e delle problematiche ad esso associate. Secondo lo

schema proposto da Johnson e Wood, tale processo può essere idealmente

scomposto in quattro fasi [J. C. Johnson e D. F. Wood, 1994]:

• Logistica in entrata, relativa al flusso di materiali, componenti e

semilavorati provenienti dai fornitori

• Gestione dei materiali, relativa alla gestione dei movimenti dei materiali,

componenti e semilavorati all’interno dell’azienda

• Distribuzione fisica, relativa alla gestione dei movimenti dei prodotti

finiti dalla linea di assemblaggio al consumatore finale

• Logistica inversa, relativa alla gestione di quegli atomi che, a vario titolo,

percorrono in senso inverso la catena logistica

Quanto esposto può essere visto graficamente nella figura 2.4.

78

La figura mostra sia la scomposizione del processo logistico nelle fasi di cui

sopra, sia la direzione del flusso di atomi che la logistica deve gestire.

Il processo così schematizzato si articola, in realtà, in una serie di attività

fondamentali il cui efficiente ed efficace espletamento è condizione necessaria al

successo del processo in questione. Tra queste possiamo ricordare [Lambert, Stock

ed Ellram, 1993]:

• Servizio al cliente

Cu

s

tomer

Gestione logistica

Logistica inversa

Logistica in entrata Gestione dei materiali Distribuzione fisica

Informazioni e dati

Materie prime, parti e componenti

Fornitori

Scarti, materiali da riciclare

Sub-assemblaggio

e prime lavorazioni

Fabbrica

Prodotti finiti

Scarti

Magazzini di

prodotto finito

ProdottiCentri di distribuzio

ne

Dettaglio

Scarti, invenduti,

etc.

Scarti, invenduti,

Resi

Pallet

Componenti e semilavorati

Fig. 2.4 – Scomposizione del processo logistico ed evidenziazione dei flussi fisici ed informativi; Fonte: Ross, 1998

79

• Previsione e pianificazione della domanda

• Gestione degli inventari

• Gestione delle comunicazioni

• Movimentazione dei materiali e dei prodotti finiti

• Gestione dei trasporti

• Immagazzinamento dei materiali e dei prodotti finiti

Date queste premesse si evince facilmente una caratteristica importante del

processo logistico, e cioè il suo essere un’interfaccia naturale tra l’impresa i gli

altri soggetti della supply chain, caratteristica che spiga il ricorso massiccio in

ambito logistico alle applicazioni informatiche di tipo integrativo.

Dopo queste necessarie premesse circa l’essenza e il reale contenuto del

processo logistico, è ora giunto il momento di porsi un importante interrogativo.

In che modo la logistica interviene nella creazione di quel valore tanto importante

per il successo dell’impresa e della supply chain?

Un primo aiuto verso una possibile risposta a questa fondamentale

domanda ce lo fornisce, ancora una volta, Ross il quale nell’affermare che

“l’efficiente ed efficace gestione del processo logistico consente all’impresa di

rispondere alle richieste dei clienti” pone in relazione diretta la qualità, e quindi il

valore, del servizio atteso dal cliente con quella che egli definisce la “qualità” del

processo logistico stesso, qualità che, continua Ross, dipende essenzialmente da

tre elementi chiave [Ross, 1998]:

• Produttività del processo logistico

80

• Performance dei servizi logistici

• Sistema di rilevamento della performance del processo e dei servizi

stessi

La produttività del processo logistico riguarda l’assorbimento di risorse da

parte dello stesso processo (efficienza), mentre la performance dei servizi riguarda

la qualità degli stessi e l’efficacia con la quale questi raggiungono gli obbiettivi

prefissati. Questi due elementi costituiscono l’essenza della qualità del processo

logistico, qualità che però necessita di adeguati indici di performance per essere

adeguatamente misurata e permettere al management di adottare le opportune

misure correttive qualora i risultati attesi non dovessero essere in linea con i

risultati programmati. A tal proposito, si rende necessario il ricorso ad indici che

ne sappiano cogliere il significato per il cliente, come ad esempio la frequenza

delle situazioni di stock-out presso i punti vendita, il tempo di processamento

degli ordini, la percentuale di consegne ritardate o incomplete, etc.

Se quanto esposto da Ross getta senza dubbio una luce sul problema che ci

siamo posti è Novack ad aggiungere concretezza ad un discorso fino ad ora

abbastanza astratto e generale. Egli, infatti, elenca una serie di attività concrete

attraverso le quali la logistica interviene fattivamente nel complesso processo di

creazione del valore che, lo si noti ancora una volta, coinvolge, o dovrebbe

coinvolgere, tutti i soggetti in qualche modo facenti parte della supply chain.

In particolare, la logistica crea valore attraverso le seguenti attività [Novack et

al., 1995]:

81

• Trasporto. Questa attività aggiunge valore assicurando la tempestività

delle consegne e l’integrità dei materiali, dei componenti, e dei prodotti

finiti.

• Varie attività operative. La capacità di coordinare efficacemente tanto le

attività interne, quanto quelle che avvengono esternamente nella supply

chain, come la produzione, l’immagazzinamento, e la distribuzione,

consentono alle imprese costituenti la catena logistica di ridurre

continuamente i costi e incrementare i profitti attraverso l’innalzamento

complessi vo della qualità del sistema di offerta.

• Gestione delle giacenze. Il controllo dei costi delle giacenze ha un

impatto diretto sulla performance complessiva del processo logistico. I

metodi di gestione delle giacenze volti a ricercare sempre nuove strade per

contenere l’entità delle stesse consentono all’impresa di liberare risorse

finanziarie che possono essere meglio utilizzate in altri processi a valore

aggiunto.

• Gestione delle informazioni. Le attuali tecnologie dell’informazione e

della comunicazione rendono concretamente realizzabile il collegamento

fra tutti i partner della filiera, più efficace la pianificazione e l’allocazione

delle risorse logistiche, e facilitano la gestione degli ordini dei clienti e dei

servizi ad essi associati. La gestione delle informazioni incrementa la

competitività della singola azienda e del sistema di cui fa parte attraverso

la riduzione del tempo di processamento degli ordini, il contenimento delle

82

giacenze stoccate e in transito, e la facilitazione delle attività di

pianificazione e programmazione della produzione e degli

approvvigionamenti.

• Attività speciali. La logistica contribuisce alla realizzazione del vantaggio

competitivo, in oltre, garantendo il rispetto delle normative statali, come

ad esempio quelle riguardanti lo smaltimento dei rifiuti, il contenimento

delle emissioni inquinanti, e la movimentazione e lo stoccaggio delle

sostanze tossiche o pericolose. In aggiunta, la logistica fornisce un

fondamentale supporto al perseguimento degli obbiettivi di marketing

attraverso il sostegno delle iniziative speciali come svendite o promozioni.

Ciò detto, risulta evidente come la comparsa della SCM abbia elevato la

gestione logistica ad un nuovo ruolo di importanza critica per le aziende

contemporanee. È certamente compito della SCM assistere l’impresa nella

generazione di nuovi mercati e nello sviluppo dell’innovazione di

prodotto/servizio. È sempre compito della SCM fornire gli strumenti teorici per la

fusione delle risorse e delle competenze disperse nella supply chain, ma rendere

concrete le potenzialità strategiche della SCM richiede l’integrazione spinta dei

partner e l’allineamento, ed interfacciamento, dei rispettivi processi operativi

lungo l’intera filiera, e spetta proprio alla logistica realizzare, gestire, e controllare

l’infrastruttura informatica ed organizzativa che deve rendere concretamente

attuabile quella integrazione. E, sebbene anche alle altre classiche funzioni

aziendali, quali il marketing, la produzione e la finanza, venga chiesto di trovare

83

nuove risposte alle sfide poste dalla SCM e dal mutato contesto competitivo,

spetta senz’altro alla logistica creare il terreno fertile e le strutture necessarie a

supportare le alleanze strategiche fra i partner e gli innovativi e multisoggettivi

processi di generazione dell’innovazione, di produzione, di progettazione, e di

distribuzione che della SCM costituiscono l’elemento qualificante. Per assolvere

efficacemente a questo compito impegnativo, i manager logistici devono ripensare

la natura del proprio ruolo e delle proprie responsabilità. Infatti, invece di

concentrarsi sugli obbiettivi operativi quotidiani, i responsabili della logistica si

trovano a dover dedicare sempre più tempo e risorse nella strutturazione delle

alleanze con i partner della supply chain. Questo significa che l’abilità dei

responsabili logistici di gestire le varie attività interfunzionali di loro competenza

al di fuori dei confini organizzativi aziendali diventa sempre più importante

rispetto alla stessa capacità di gestire internamente quelle stesse attività. Capacità

come quelle di saper negoziare, gestire team, coagulare il consenso dei partner su

obbiettivi condivisi, e gestire i progressi dell’ICT, stanno diventando sempre più

bagaglio indispensabile dei responsabili logistici [Lalonde & Ross, 1996].

A rafforzare il nesso tra SCM e Logistica interviene anche una nuova tendenza

nella gestione della logistica stessa, tendenza che affonda le sue radici concettuali

proprio nella SCM e nei presupposti ambientali che ne hanno giustificato la

nascita. Stiamo parlando della crescente tendenza alla terziarizzazione delle

attività logistiche (outsourcing). Infatti, come già detto, i mercati del terzo

millennio richiedono performance logistiche che l’impresa può raggiungere solo

84

esternalizzando le funzione e i processi sottostanti, in altre parole affidando

parzialmente o totalmente la logistica aziendale e i suoi flussi di merci e prodotti

in entrata e/o uscita a operatori professionali e con adeguati volumi di attività. Tali

soggetti sono, infatti, in grado di proporre alla clientela la terziarizzazione

dell’intero ciclo logistico. Essi sono, infatti, capaci di gestire tutti i costi logistici

della distribuzione definendo le scorte minime, i punti di reintegro e gestendo gli

ordini verso i fornitori e la distribuzione finale (vedi tab. 2.1).

Classi di operazioni Servizi Operazioni di trasporto (di approvvigionamento, di distribuzione fisica verso i depositi, verso le piattaforme e i punti vendita)

• Raggruppamento • Smistamento • Organizzazione dei giri di

consegna • Locazione degli automezzi, con o

senza autista, di lunga o breve durata

Operazioni ausiliarie di trasporto • Transito • Dogana • Commissione di trasporto

Operazioni di distribuzione fisica • Movimentazione e gestione del parco pallet

• Ricevimento delle merci • Controllo quali-quantitativo della

merce • Messa in riserva • Etichettatura e pezzatura • Creazione di etichette c0n il codice

a barre per la gestione dei flussi interni e/o del trasporto

• Ricondizionamento • Preparazione degli ordini • Pesatura • Imballaggio • Pallettizzazione • Preparazione dei carichi

85

• Prefatturazione • Consegna finale

Operazioni di gestione • Deposito, tenuta degli stock • Gestione informatizzata degli

ordini • Connessione del sistema

informativo del terzista con quello dei suoi committenti

Operazioni a carattere commerciale • Fatturazione • Merchandising e gestione dei

lineari nei punti vendita • Messa a disposizione del

committente di un ufficio e dei mezzi logistici e informatici presso il trasportatore

• Costruzione di tariffe modulari e gerarchizzate per le differenti componenti modulari di prestazioni proposte

• Gestione e regolamento delle controversie

Operazioni di consulenza logistica • definizione dei mezzi e delle procedure da utilizzare per ottimizzare le operazioni logistiche

A differenza del trasportatore classico che prende in carico la merce da un

unico committente per trasferirla a diversi punti di consegna, spesso il prestatore

di servizi logistici combina la molteplicità delle fonti di spedizione con il

consolidamento dei flussi in piattaforme locali di smistamento secondo la tecnica

del raggruppamento per destinatario. In particolare, a parità di livello di servizio

Tab 2.1 -I servizi offerti dalle imprese outsourcer; Fonte: Colin, Pachè, 1998

86

alla clientela, i risparmi di costo vengono realizzati dai fornitori attraverso la

condivisione delle strutture di distribuzione e grazie alle economie di flusso

conseguibili nelle fasi di raccolta, stoccaggio e consegna delle merci [Luceri,

1996].

Dal punto di vista dell’impresa cliente, invece, l’outsourcing ha la sua

giustificazione fondamentale nel breve-medio periodo, nella riduzione e/o

variabilizzazione dei costi e, nel medio-lungo periodo, nella consapevolezza che

l’innalzamento delle aspettative di servizio richiederebbe investimenti propri in

tecnologie e competenze che le singole aziende avrebbero difficoltà a sostenere,

mentre da parte loro gli operatori logistici sono propensi a migliorare le proprie

capacità interne per offrire ai clienti una gamma sempre più ampia di servizi,

tecnologie e Know how.

Infine, l’outsourcing deve essere distinto dalla semplice esternalizzazione, la

quale consiste nella costituzione di unità esterne dotate di autonomia giuridica con

la missione di erogare servizi all’azienda che le ha poste in essere. L’outsourcing,

invece, ha per oggetto non singoli servizi, ma intere aree di attività e si fonda sulla

costituzione di rapporti di partnership tra l’azienda che esternalizza e un’impresa

che già esiste sul mercato in qualità di specialista nell’erogazione dei servizi

richiesti. L’outsourcing richiede, pertanto, che le parti realizzino un ampio

scambio di informazioni, una pianificazione congiunta e perseguano obbiettivi

comuni in modo da ridurre i rischi di ciascuno ed innalzare la soglia di efficienza.

87

In sostanza, attivare il potere della logistica nell’era della SCM necessita

cambiamenti radicali nel modo in cui le risorse logistiche sono organizzate ed

effettivamente gestite, al fine di stimolare il pensiero critico, supportare una

visione unitaria della filiera, sviluppare continuamente nuovi

prodotti/servizi/processi, ed offrire sempre nuove forme di valore per il cliente.

2.4 SCM ed ICT

“Le origini e il continuo sviluppo del concetto di SCM sono direttamente

dipendenti dalle caratteristiche dell’odierna tecnologia dell’informazione e della

comunicazione (ICT). In fatti, la realizzazione della maggior parte degli aspetti

manageriali e operativi dell’SCM – la messa in rete di team geograficamente

dispersi, l’integrazione delle strategie e delle attività operative del canale, la

connettività fra imprese differenti, la gestione integrata degli inventari lungo

l’intera catena logistica, e altro ancora – sarebbero impossibili senza

l’implementazione di sistemi ICT. L’SCM offre approcci manageriali ed operativi

così innovativi per il conseguimento di vantaggi competitivi poiché è intimamente

legata al potere del networking rinvenibile negli odierni sistemi ICT. Ci sono

pochi dubbi che, al fiorire degli strumenti ICT, le potenzialità di integrazione ed

informative della SCM si espanderanno di conseguenza... In sostanza, al cuore

del concetto di Supply Chain Management può essere ritrovata l’Information and

communication thecnology (ICT)” [Ross, 1998].

88

Come già detto la Supply Chain Management (SCM) è una filosofia di

gestione totale che cerca di fondere le funzioni di business interne con quelle dei

partner di filiera per formare un singolo sistema integrato. Il successo

nell’implementazione della Supply Chain Management può essere misurato sulla

base di quanto strettamente le risorse e le competenze delle imprese costituenti la

filiera sono fuse insieme e focalizzate sulla soddisfazione del cliente finale. Il filo

che tiene i partner di canale uniti è l’informazione, e gli strumenti che essi

utilizzano per la condivisione della stessa è l’ICT che essi sviluppano ed

implementano. All’apparire di nodi informativi lungo la catena logistica, essi

possono essere collegati reciprocamente a creare una rete informativa. Al crescere

del numero dei nodi che possono essere collegati, tanto più robusta diventa la

condivisione informativa e tanto più efficace il processo decisionale lungo i

molteplici livelli della catena logistica convergente.

Entrando maggiormente nel dettaglio, due sono, in particolare, le possibilità

innovative introdotte in azienda dalle moderne tecnologie della comunicazione e

dell’informazione, possibilità che, relativamente al rapporto in discussione nel

presente paragrafo, sono da considerarsi certamente alla base della nascita e

diffusione della SCM:

• Possibilità di integrare processi inter e intra aziendali

• Possibilità di networking

L’integrazione spinge per l’eliminazione delle barriere ideologiche,

strategiche ed operative caratteristiche delle vecchie strutture gerarchiche. Da un

89

punto di vista organizzativo, l’integrazione significa gestire strumenti informativi

che uniscano le funzioni operative, sia a livello aziendale che lungo la supply

chain, facilitando in tal modo la cooperazione nell’esecuzione dei processi di

business.

Per quanto riguarda le possibilità di networking, invece, ci si deve ricollegare

a quanto detto precedentemente circa le modalità di manipolazione e trasmissione

delle informazioni nelle organizzazioni funzionali gerarchiche. In passato, i

sistemi informativi manuali o basati su mainframe permettevano il trasferimento

dei dati solo seguendo la struttura gerarchica del sistema stesso, che ovviamente

ricalcava quella dell’azienda implementante. Quando un nodo informativo

completava il suo lavoro, l’output veniva trasmesso al nodo successivo, il quale,

dopo averlo a sua volta elaborato, lo passava al nodo successivo e così via. Oggi,

invece, con l’avvento dei PC e dell’architettura client/server, il processo di

trasmissione delle informazioni si è svincolato dalla struttura gerarchica aziendale

per connettere in una grande rete pari a pari differenti stazioni di lavoro e relativi

database. Queste reti pari a pari permettono alle aziende di manipolare le

conoscenze, le capacità e le esperienze delle persone integrandole in team

multifunzionali orientati ai processi. Cosa ancor più importante è, però, che a far

parte di tali team possono essere chiamati anche soggetti esterni alla singola

organizzazione, ovunque dispersi nella supply chain e, quindi, senza alcun

vincolo fisico a formare, in tal modo, team non solo interfunzionali ma anche

intra aziendali.

90

Riassumendo, l’integrazione è il processo finalizzato al collegamento logico

delle diverse funzioni di business, mentre il networking consiste nell’attivazione

concreta di quei collegamenti svincolati da vincoli gerarchico - organizzativi, i

quali consentono alle persone di andare oltre i confini funzionali ed aziendali per

fondere le rispettive competenze ed esperienze in un sistema policentrico. È

evidente quindi come integrazione e networking siano entità complementari che

possono essere combinate insieme e dar vita, in tal modo, a quello che Ross

definisce come il “Processo Integrativo” [Ross, 1998]. Secondo Savage questo

processo “ci mette in contatto con tutto ciò che ci circonda, con i clienti, con i

fornitori, in schemi di relazioni che cambiano continuamente. Inoltre, tale

processo ci mette in contatto con le nostre ambizioni, emozioni e conoscenze. Il

processo integrativo è un processo volto alla creazione di reti umane: esso mette

in rete le nostre visioni e conoscenze così da permetterci di intraprendere azioni

decisive in concerto con gli sforzi di altri soggetti.”

[Savane, 1990]

Fino a questo punto, lo si sarà notato certamente, il discorso è stato mantenuto

volutamente astratto. Si sono analizzati i legami esistenti tra SCM ed ICT e si

sono viste, in particolare, quali possibilità innovative pongono, tali tecnologie, al

servizio dell’impresa per il miglioramento dei processi strategici e delle modalità

operative. Tutto ciò è stato fatto introducendo i concetti di integrazione e

networking ma ancora nessun accenno è stato fatto a specifici ed individualizzati

strumenti tecnologici. È ora giunto il momento di colmare tale lacuna.

91

La capacità della SCM di integrare le funzioni aziendali e creare una rete

informativa è resa concretamente realizzabile dalla nascita e lo sviluppo di tre

strumenti informatici:

• I database condivisi

• Le reti di database

• Le tecnologie EDI

Lo sviluppo dei database condivisi ha permesso di risolvere uno dei maggiori

ostacoli all’effettiva trasmissione e condivisione di informazioni e dati all’interno

delle strutture aziendali. Nelle vecchie organizzazioni gerarchiche ogni

dipartimento aveva il proprio archivio informativo e, come già ampiamente detto,

passava le informazioni al nodo successivo solo dopo averle elaborate secondo le

proprie esigenze. Come è facile aspettarsi, le informazioni critiche che

necessitavano di essere comunicate all’intera organizzazione risultavano, in tal

modo, spesso incomplete, intempestive e di difficile interpretazione. D’altra parte,

l’esistenza di un unico archivio condiviso, il cui accesso sia, cioè, possibile

all’intera comunità di utenti seppure con vincoli e limitazioni legati ai ruoli dagli

stessi utenti ricoperti in azienda, consente all’organizzazione di mantenere la

coerenza e l’integrità dei dati archiviati, oltre che consentire il tempestivo accesso

agli stessi interessati e a ciò opportunamente abilitati. Tutto ciò, ovviamente, si

ripercuote positivamente sulla produttività e sul livello di allineamento tra

obbiettivi strategici ed attività operative raggiunto dall’intera supply chain. La

potenza dei database condivisi è ulteriormente amplificata da un altro strumento

92

messo a disposizione dall’attuale tecnologia informatica: le reti di database. In

passato, le aziende erano obbligate ad utilizzare software il cui impiego era

vincolato a determinate piattaforme hardware (si veda il capitolo 4 per

approfondimenti). Evidenti problemi emergevano ogni qual volta si presentava la

necessità di integrare archivi che giravano su piattaforme differenti. Lo sviluppo

delle attuali reti di PC e l’imporsi degli standard aperti hanno risolto in buona

parte questi problemi. In sostanza le moderne tecnologie permettono il

consolidamento dei dati archiviati in database differenti ed alloggiati su computer

differenti in un unico archivio logico.

Il terzo ritrovato tecnologico, al quale si è gia più volte fatto riferimento, è

costituito dai sistemi EDI (Electronic Data Interchange). In realtà, senza l’ausilio

di tali sistemi niente di quanto visto precedentemente sarebbe possibile. Infatti i

sistemi EDI forniscono la connettività fisica tra stazioni indipendenti

rappresentando di fatto il canale attraverso il quale fluiscono le informazioni.

È grazie a tali innovazioni tecnologiche che gli attuali sistemi informativi

forniscono alle singole imprese, e all’intera supply chain, una serie di vantaggi

chiave. Per iniziare, la possibilità di processare informazioni ottenute in tempo

reale e l’integrazione di rete riducono il tempo necessario per la pianificazione e

l’esecuzione dei cicli. Questo, a sua volta, si traduce in una riduzione degli

inventari e degli investimenti in attività fisse ad essi relativi, nonché facilita le

transazioni. In secondo luogo, la tempestività e l’accuratezza delle informazioni

permettono ai fornitori di essere più pronti nel rispondere alle esigenze dei loro

93

clienti. Terzo, i sistemi in questione permettono alle imprese di ottimizzare le

rispettive funzioni operative riducendo le ridondanze ed incrementando la

produttività. Quarto, l’automazione delle attività routinarie consente ai dipendenti

di concentrarsi sulle attività che aggiungono valore, mentre le potenzialità

integrative delle reti permettono loro di accedere alle conoscenze e alle esperienze

dei partner attraverso la costituzione di team virtuali inter-aziendali. In fine, tutti i

livelli del management possono prendere decisioni più efficaci, in quanto basate

su informazioni tempestive ed aggiornate che riflettono l’effettivo stato del

mercato.

Sebbene l’ICT possa fornire alla catena logistica la possibilità di raggiungere

significativi miglioramenti nella produttività e nella capacità di competere, le

aziende devono, però, prestare grande attenzione alla scelta delle specifiche

soluzioni ICT da introdurre al proprio interno Se è vero, infatti, che l’Information

and Communication Technology può aprire all’impresa la strada verso il successo

essa, non di meno, introduce in azienda vincoli e complessità i quali, se non

attentamente ponderati e calibrati sulle reali esigenze dell’azienda stessa, possono

portare a risultati catastrofici e compromettere, se non la sopravvivenza,

sicuramente il raggiungimento degli obbiettivi prefissati. Al fine di evitare tutto

ciò si rendono pertanto necessarie una serie di precauzioni a partire dall’esatta

individuazione degli obbiettivi aziendali e delle problematiche che dovranno

essere affrontate in modo da restringere lo spettro delle soluzioni ICT adottabili.

Un tale passo è necessario al fine di evitare alcuni errori classici, come l’acquisto

94

di tecnologie sovradimensionate rispetto alle reali esigenze, non finalizzate allo

scopo che ci si prefiggeva di raggiungere, o che pongono seri limiti di

compatibilità con i futuri e prevedibili sviluppi della tecnologia. In generale,

comunque, le tecnologie ICT implementate all’interno dell’azienda e della supply

chain devono poter fornire una risposta alle seguenti sfide:

• Capacità di fornire servizi personalizzati e a valore aggiunto

• Capacità di fornire il supporto necessario alla creazione di relazioni di

lungo termine tra i partner della catena logistica

• Capacità di adattarsi ai progressi tecnologici

• Capacità di fornire supporto ai processi transattivi tramite la verifica della

condizione finanziaria delle parti contraenti e il trasferimento dei fondi

• Capacità di estendere il ricorso a terzi fornitori di servizi di vario tipo,

inclusi gli stessi servizi informatici (ASP – Application Service Provider)

e i servizi logistici

• Capacità di migliorare la gestione e il controllo della logistica interna

In ultima analisi, e riassumendo, si può dire che il successo

nell’implementazione di qualsiasi strumento ICT può essere misurato sulla base di

quanto strettamente le risorse e le competenze di ciascun partner della supply

chain possono essere fuse insieme e focalizzate sulla soddisfazione del cliente

finale. Le imprese più lungimiranti riconoscono che i progressi dell’ICT

forniscono loro potenti strumenti per fondere ed armonizzare le diversità dei vari

partner di filiera in un unico sistema di fornitura finalizzato alla creazione di

95

vantaggio competitivo tramite l’accurata e tempestiva trasmissione delle

informazioni rilevanti.

96

Capitolo 3

LA GESTIONE DELLE GIACENZE

3.1 Introduzione

L’efficiente ed efficace gestione delle scorte dell’intera catena logistica è

forse l’obbiettivo fondamentale della SCM. Essa, in tal modo, si pone, tra gli altri,

l’obbiettivo di sciogliere il dilemma fondamentale sollevato dalla gestione delle

giacenze stesse. Infatti all’interno della supply chain le scorte sono senz’altro

necessarie per il conseguimento degli obbiettivi del marketing e del servizio al

cliente; tuttavia, una quantità eccessiva di scorte, o un errato assortimento delle

stesse, risultano dannosi per il benessere dell’intera supply chain. Le giacenze,

infatti, assorbono ed immobilizzano capitale, incorrono in costi di gestione,

necessitano di essere custodite e trasportate, e possono deteriorarsi o divenire

obsolete. Quando gestite impropriamente, le scorte possono diventare una

passività significativa riducendo la capacità dell’impresa di produrre reddito.

D’altra parte, il valore di un’appropriata gestione dell’inventario eccede di gran

lunga i suoi stessi costi. La disponibilità dei prodotti nel luogo, nel tempo, nella

qualità, nella quantità e al prezzo desiderati dal cliente, non solo fornisce un

immediato ritorno sotto forma di maggior profitto, ma assicura soprattutto la

fedeltà del cliente stesso nel medio – lungo termine e la leadership nel segmento

97

di mercato di riferimento. Quando condotta efficacemente, la gestione delle scorte

permette la realizzazione delle strategie di marketing, finanziarie e logistiche, e

fornisce il lubrificante al flusso dei beni fisici e dei servizi dal fornitore di materie

prime al consumatore finale.

Il presente capitolo espone i principi teorici alla base della gestione

integrata delle scorte. Dopo una illustrazione del concetto di “scorta” e delle sue

varie nature ed accezioni si analizzeranno quali sono i motivi che rendono

conveniente ricorrere ad una gestione unitaria dei diversi inventari dei partner

della supply chain, si analizzerà in cosa consiste la concorrenza basata sul tempo,

come le informazioni possono sostituire gli inventari e altri principi teorici

generali, i quali illustrano gli obbiettivi strategici cui la funzione logistica deve

mirare in un’ottica SCM.

3.2 La gestione e il controllo delle scorte: un’introduzione

Le scorte, definite da Pellicelli [Pellicelli, 1994] come “un insieme di

materie prime, semilavorati e prodotti che in un determinato momento sono in

attesa di partecipare ad un processo di trasformazione o di distribuzione”,

assumono un ruolo cruciale nella gestione della supply chain poiché permettono

di regolare lo svolgimento dei processi di acquisto, di trasformazione e di

distribuzione delle produzioni realizzate. Questa finalità, in apparenza molto

semplice ed intuitiva, nasconde in realtà un’enorme complessità in relazione alla

numerosità dei fattori, esogeni ed endogeni all’impresa, che possono influenzare

98

tale regolarità. A titolo di esempio si pensi alla necessità di anticipare la

produzione in tutti quei casi in cui la capacità produttiva non è strutturalmente in

grado di far fronte a picchi delle vendite dovuti ad un profilo stagionale della

domanda, oppure si pensi all’esigenza di disaccoppiare la singola unità produttiva

dalla domanda del mercato o dell’unità a valle al fine di consentirne un

funzionamento più efficiente. In relazione specificatamente a quest’ultimo

aspetto, si consideri il ruolo di ammortizzatore della variabilità, in termini di

volumi, e della varietà, in termini di assortimento, giocato dalle scorte nei vari

stadi della catena logistica. In particolare, alcuni autori [Falcone, 1992; Marini,

1994] sottolineano la funzione delle:

• Scorte di materie prime, nel separare le rigide necessità, sia in termini

temporali che quantitativi, dei reparti di produzione rispetto alle

irregolarità delle consegne dei fornitori

• Scorte di semilavorati, nell’isolare il singolo centro di lavoro rispetto alle

fasi a monte e a valle, affinché questo possa essere programmato in modo

sostanzialmente autonomo e possa funzionare per un certo lasso di tempo

senza risentire dell’influenza dei flussi in entrata ed in uscita

• Scorte di prodotto finito, nello sganciare, sempre in termini di tempo e di

quantità, le esigenze dei clienti dai vincoli del ciclo produttivo

Tutto ciò sottolinea come, attraverso la formazione ed il mantenimento di

adeguate scorte, l’azienda tenda a fronteggiare le asincronie tra i tempi di

produzione e quelli di consumo, con la finalità evidente di assicurare una certa

99

Forme delle scorte

Funzioni delle scorte

Materie prime Semilavorati Prodotti finiti

Di transito

• Lontananza dei fornitori

• Struttura dei sistemi di approvvigionamento

• Localizzazione e layout dello stabilimento

• Tipologia del processo produttivo

• Sistemi di movimentazione dei materiali

• Lontananza dei mercati serviti

• Sistema di distribuzione fisica del prodotto

Di ciclo • Acquisto a lotti

• Produzione a lotti

• Tecnologia del processo produttivo

• Distribuzione a lotti

Di sicurezza • Affidabilità

dei fornitori • Qualità delle

forniture

• Affidabilità degli impianti

• Fluttuazioni della capacità produttiva

• Qualità del processo produttivo

• Affidabilità delle previsioni

• Fluttuazioni della domanda

• Affidabilità delle consegne del sistema produttivo

Di disaccoppiamento

• Flessibilità dei fornitori

• Flessibilità degli impianti

• Bilanciamento delle linee produttive

• Flessibilità del sistema produttivo

Stagionali • Stagionalità delle forniture

• Stagionalità della domanda

Tab 3.1 - Tipologie di scorte e variabili che le influenzano; Fonte: Rielaborazione Di Meo, 1985; Zanoni, 1989

100

costanza del volume di produzione compatibilmente con le peculiari esigenze del

proprio mercato. Questa generica funzione di regolazione è all’origine delle più

note classificazioni funzionali2 delle scorte che prevedono una suddivisione tra

[Di Meo, 1985; Lanzara, 1988; Zanoni, 1989; Falcone, 1992] (tab 3.1):

• Scorte di transito: si generano a causa del tempo necessario per trasferire

un bene da un dato stadio di lavorazione o da un punto di stoccaggio al

successivo

• Scorte di ciclo (o di partita): si manifestano quando si produce in misura

maggiore rispetto a quanto serve per il fabbisogno immediato. E’ il caso

classico delle scorte che si formano nella produzione a lotti

• Scorte di sicurezza: necessarie per far fronte alle incertezze e alle

irregolarità che caratterizzano i flussi all’interno della catena logistica

• Scorte di disaccoppiamento: vengono costituite per fornire una certa

indipendenza a ogni stadio della catena logistica, ossia perché ciascun

nodo del flusso possa operare per un dato periodo di tempo in autonomia.

Tipica è la scorta che si viene a formare tra fasi sbilanciate in una linea di

produzione

2 Non si considerano in questa sede le scorte di natura speculativa in quanto vengono costituite, indipendentemente dalla funzione tecnica da esse svolta, per trarre vantaggio da una variazione prevista dei prezzi in un determinato periodo di tempo. Pertanto la loro gestione esula dalle scelte logistiche oggetto di studio nel presente testo.

101

• Scorte stagionali: si originano per fronteggiare le variazioni stagionali tra

andamento della domanda e ritmo di produzione

. Ciò premesso, emerge chiaramente, ma sarà più evidente con il proseguo

della discussione, come si renda sempre più indispensabile attuare le politiche più

adatte per mantenere le giacenze entro limiti fisiologici, che siano cioè sufficienti

ad ammortizzare le fluttuazioni all’interno della catena logistica. A tal fine, la

prassi aziendale ha sviluppato due distinte modalità di gestione dei materiali, che

si contrappongono con riferimento sia alle logiche sottese, sia agli strumenti

operativi adottati.

Una prima modalità, definita alternativamente Stock control o Look back,

postula l’esistenza di una scorta che viene reintegrata ogni qualvolta essa scende

al di sotto di un certo livello ritenuto fisiologico3. E’ una logica reattiva poiché la

gestione dei materiali all’interno della supply chain, o di uno specifico stadio, si

realizza predisponendo scorte che anticipano il manifestarsi del fabbisogno.

Questo non viene previsto in relazione a quanto può manifestarsi nel futuro, ma è

stimato in funzione della storia più o meno recente che caratterizza il determinato

articolo da gestire. Il fabbisogno così determinato viene gestito all’interno della

singola unità produttiva nell’ottica di ottimizzare il bilanciamento nel tempo tra

carico/capacità e tra oneri di giacenza/oneri di riconfigurabilità4 [Bonel, 1989].

3 Quanto descritto si basa sulle logiche di funzionamento delle tecniche di gestione delle scorte a quantitativi fissi. In realtà, vi è anche una modalità alternativa che prevede di ricostruire la scorta in funzione del risultato del controllo della giacenza effettuato in istanti temporali predefiniti. 4 La riconfigurabilità è l’espressione del grado di flessibilità dell’impianto al mix produttivo, ossia della capacità di riassortire un’ampia gamma di prodotti all’interno di un mix dato [Brandolese, 1990].

102

Nella seconda modalità, comunemente conosciuta come flow control o look

ahead, l’enfasi si sposta dalla gestione di uno stock alla gestione di un flusso di

materiali. In questo caso, infatti, non si postula l’esistenza a priori di una scorta,

bensì la pianificazione del flusso che attraversa i vari stadi di

approvvigionamento, produzione e distribuzione all’interno della supply chain. La

programmazione dei flussi avviene ovviamente rispettando la tempificazione dei

fabbisogni, calcolati in base alla richiesta finale effettiva o in funzione di

previsioni attendibili della stessa. Il metodo flow control risulta pertanto alla base

dell’approccio di pianificazione e programmazione della produzione, oggetto di

studio dettagliato nel capitolo successivo. Esso si struttura a partire dalla

previsione della domanda per trasferire successivamente tali previsioni in piani di

produzione caratterizzati da un progressivo livello di dettaglio, fino alla

determinazione dei fabbisogni dei materiali calcolati attraverso l’esplosione della

distinta base e l’anticipazione delle fasi di lavorazione in relazione ai singoli lead

time che caratterizzano i vari stadi del processo produttivo e distributivo.

Nel flow control l’eventuale formazione di stock lungo la catena logistica

deve essere considerata come il risultato di vincoli di rigidità intrinseci al sistema

stesso, non certo come il presupposto della logica di gestione sottostante, come

avviene invece nello stock control. In astratto nel flow control non dovrebbero

esistere scorte di nessun tipo di materiale, salvo quelle che precedentemente

abbiamo definito di transito [Bonel, 1989; Zanoni, 1989]. Si è detto in astratto in

quanto occorrerebbe ipotizzare una situazione ideale in cui, ad esempio, sia

103

possibile prevedere in misura molto accurata il manifestarsi della domanda,

anticipare adeguatamente la produzione e l’approvvigionamento dei materiali

necessari, non avere variabilità nei rifornimenti e nel processo produttivo e

disporre di fasi di produzione perfettamente bilanciate, prive cioè di colli di

bottiglia, e dotate di forte elasticità. Se si rimuovono queste ipotesi restrittive e del

tutto irrealistiche, anche in un sistema flow control si manifesta la presenza di

scorte, che tuttavia – è opportuno sottolinearlo nuovamente data l’estrema

importanza del concetto – non rappresentano il frutto di una decisione ex-ante, ma

il risultato ex-post dell’impatto di una serie di variabili endogene ed esogene. In

relazione alla natura e alla funzione attribuita alle scorte, si veda ancora la tabella

3.1 che sintetizza i principali fattori che ne determinano la creazione. La lettura

della tabella è sufficientemente intuitiva per cui non ci si sofferma sul commento

dei singoli punti.

Venendo ai principali vantaggi generalmente associati al metodo flow control,

relativamente al metodo stock control, essi possono essere identificati nei seguenti

[Bonel, 1989; Di Bernardo e Rullani, 1990]:

• Minore immobilizzo di capitale investito in scorte, poiché queste sono

finalizzate a coprire una precisa domanda che, se si verifica, assorbe la

totalità del magazzino

• Maggiore tempestività nel porre in sintonia le attività produttive con le

variazioni della domanda, in virtù dell’assenza di ritardi indotti dalla

frapposizione degli stock

104

• Minori rischi di obsolescenza degli articoli, poiché viene generalmente

prodotta la quantità richiesta

Di converso è opportuno segnalare anche una serie di svantaggi, cui

corrispondono specularmente i vantaggi del metodo stock control:

• Non sempre si hanno a disposizione le richieste effettive. Inoltre le

previsioni dei fabbisogni futuri possono scontare elevati gradi di

incertezza che inficiano la validità della logica sottostante connessa

all’ordinazione di quantitativi allineati al consumo prospettico e al

coordinamento temporale tra i vari stadi

• È necessario disporre di un sistema informativo molto articolato e

complesso per il quale i costi di progettazione e di gestione possono

annullare, in tutto o in parte, i benefici legati al contenimento degli oneri

di mantenimento delle scorte

• Occorre mantenere sempre le macchine in condizione di elasticità,

nell’ipotesi di dover far fronte a tutti i possibili programmi [Di Bernardo e

Rullani, 1990]

Si procederà di seguito ad un’analisi accurata dell’approccio flow control,

approccio sicuramente più coerente alle logiche di gestione proprie della Supply

Chain Management. Questa maggior coerenza non deve però indurre ad escludere

il ricorso allo stock control anche all’interno di una supply chain integrata.

Ragioni di opportunità economica, nonché vincoli strutturali endogeni ed esogeni,

possono sicuramente consigliare, in particolari stadi della catena logistica, il

105

ricorso a quest’ultimo per la gestione di alcuni input o output del processo

produttivo, cosicché sarà sicuramente possibile rinvenire, all’interno di una filiera,

articoli gestiti in ottica stock ed altri gestiti in ottica flow, senza che ciò costituisca

uno strappo ai principi teorici della SCM.

3.3 La gestione e il controllo delle scorte: Approfondimenti teorici

Nel paragrafo precedente, oltre ad analizzare il concetto di “scorta” si sono

introdotti i due metodi maggiormente utilizzati per la gestione delle giacenze

stesse. È ora giunto il momento di analizzare il contesto teorico nel quale, e dal

Materie primi e

materiali grezzi

Componenti Prodotti

Magazzini, Distributori Dettagliante Cliente

Flusso fisico

Flusso informativo

Third party logistic service provider

Application service provider

Fig 3.1 – I soggetti coinvolti nel processo logistico; Fonte: Ross, 1998

106

quale, tali metodologie, e in particolare il metodo flow control, traggono

fondamento e legittimazione.

La gestione e l’utilizzo strategici delle giacenze dell’intera catena logistica

sono sicuramente da considerarsi tra i pilastri della strategia competitiva della

filiera. Il primo scopo delle scorte della supply chain è quello di rifornire ciascun

partner, nonché il consumatore finale, con quanto necessario nella quantità, nel

luogo, e nel momento opportuni. Ad ogni modo, sebbene ci sia un ampio

consenso sui benefici derivanti dalle giacenze stoccate, un consenso non minore

riguarda i pericolosi effetti che un eccesso di stock può avere sulla redditività del

sistema filiera.

Per poter efficacemente comprendere i principi teorici sottesi alla gestione

integrata delle scorte dell’intera catena logistica appare innanzitutto necessario

dare uno sguardo al percorso che le stesse devono percorrere nel loro fluire verso

il mercato, nonché ai soggetti che a vario titolo partecipano al processo. Come

illustrato nella figura 3.1, il flusso fisico attraverso l’intero canale logistico può

essere idealmente scomposto in sei stadi consecutivi. Esso inizia con

l’acquisizione delle materie prime. Tale passaggio vede coinvolti fornitori e

aziende manifatturiere. Le problematiche derivanti da questo passaggio

riguardano la selezione dei fornitori, l’eventuale ricorso a contratti di partnership,

le modalità di trasporto e consegna, la sincronizzazione delle attività operative e la

verifica della performance dei fornitori stessi.

107

Negli stadi due e tre, le scorte acquistate vengono trasformate in

semilavorati e prodotti finiti. Il secondo stadio, in particolare, è focalizzato sulla

trasformazione dei materiali grezzi in un’ampia varietà di componenti mentre nel

terzo stadio i componenti acquistati o fabbricati in proprio sono finalmente

Struttura semplice – canale

Fornitore

Fornitore Manufacture

Cliente

Cliente

Magazzini, distributore

Magazzini, distributore

Fornitore

Fornitore Manufacture

Cliente

Cliente

Cliente

Cliente

Fornitore

Fornitore Manufacture

Magazzini, distributore

Dettagliante

Dettagliante

Cliente

Cliente

Cliente

Cliente

Magazzini, distributore

Dettagliante

Dettagliante

Cliente

Cliente

Cliente

Cliente

Struttura multicanale – canale

Struttura complessa – canale indiretto

Fig. 3.2 – Strutture del canale distributivo; Fonte: Ross,

108

assemblati nel prodotto finito. Le problematiche che si incontrano in questi due

passaggi derivano dall’implementazione delle tecniche del JIT e del TQM,

entrambe finalizzate alla riduzione dei componenti e dei materiali stoccati, al

ridimensionamento dei lotti in entrata/uscita e al contenimento del numero di

prodotti scartati o da rilavorare.

Il quarto stadio segna l’inizio del flusso distributivo in senso stretto. La

parte più critica di questo passaggio riguarda la scelta della struttura da dare al

canale distributivo attraverso il quale i prodotti realizzati nello stadio precedente

arrivano nelle mani del consumatore finale. Come illustrato nella figura 3.2, ci

sono sostanzialmente tre possibili strutture che possono essere adottate.

Nella prima il prodotto è venduto direttamente dal produttore al

consumatore finale.

La seconda struttura è più complessa ed è composta da una serie di

distributori intermedi posti fra il manufacturer e il consumatore. I distributori

possono essere soggetti terzi indipendenti o controllati dal produttore. Questa

tipologia di canale è più costosa e più difficile da controllare rispetto alla struttura

analizzata in precedenza.

In fine, l’ultima tipologia è sicuramente la più complessa e prevede un

ulteriore passaggio tra il distributore e il consumatore, passaggio coperto dal

dettagliante.

Temi critici di questo stadio per quel che riguarda la gestione delle scorte

sono la definizione delle politiche di marketing per il canale distributivo, la

109

determinazione e il controllo dei costi logistici complessivi, la determinazione del

numero, della localizzazione, e delle dimensioni dei centri di distribuzione, il

controllo e la gestione dei livelli delle giacenze ad ogni stadio del canale, la

definizione delle procedure per il processamento degli ordini, e la gestione del

servizio al cliente.

In fine, attraverso gli stadi cinque e sei il prodotto è consegnato al

dettagliante e da qui giunge al consumatore finale. È da notare che il numero dei

livelli e gli assetti proprietari delle strutture analizzate precedentemente variano da

supply chain a supply chain.

Descritto il percorso che le giacenze fanno nel loro fluire verso il mercato

dobbiamo porci, adesso, una domanda fondamentale. In termini generali ed

astratti, qual’è l’obbiettivo cui la gestione delle stesse deve tendere all’interno di

ogni singola impresa e della supply chain tutta?

Sebbene la condizione ottimale, ricordando quanto detto in precedenza,

sarebbe l’assenza totale di stock, a causa del fatto che, in una delle varie forme

viste in precedenza, l’esistenza di giacenze nei vari nodi della catena logistica è

certa, l’obbiettivo di una efficiente gestione delle scorte stesse all’interno della

supply chain deve essere l’assicurare che le giacenze stoccate siano una fonte

continua di vantaggio competitivo. La sfida è identificare nuovi metodi per

migliorare il rapporto tra valore aggiunto dalle giacenze e costi per il

mantenimento delle stesse. In prima approssimazione, pertanto, la gestione delle

scorte di canale può essere definita come “l’utilizzo e la redistribuzione delle

110

scorte di materiali grezzi, componenti, wip e prodotti finiti fra i partner della

catena logistica allo scopo di creare valore per il cliente” [Ross, 1998].

Al fine di perseguire efficacemente tale obbiettivo, ovviamente la gestione

delle giacenze deve pur risultare conforme ad alcuni principi generali.

Premettendo che l’identificazione di regole precise è assolutamente impossibile,

come dimostrano le notevoli diversità emergenti dalle varie esperienze pratiche

cui numerose imprese hanno dato vita negli ultimi anni, è possibile tuttavia,

procedendo per deduzione, isolare dalle stesse alcuni principi teorici generali che

possono senz’altro valere come riferimento nell’implementazione di una gestione

delle scorte di tipo integrato In particolare Ross individua i seguenti [Ross, 1998]:

• Tutte le scorte della catena logistica devono essere gestite con la finalità di

massimizzare il valore del servizio erogato al consumatore finale

• Le giacenze della filiera devono essere gestite come se fossero parte di un

unico sistema competitivo, e non devono, pertanto, essere gestite

indipendentemente in ciascun nodo della filiera

• La chiave per una gestione di successo delle giacenze di filiera risiede

nella gestione del tempo che le stesse impiegano a percorrere l’intera

catena logistica nel loro tragitto verso il consumatore finale

• La disponibilità e la possibilità di elaborazione di informazioni tempestive

circa la domanda del consumatore finale, lo status delle giacenze lungo

l’intera supply chain, e lo status del rifornimento dei singoli nodi, sono il

miglior sostituto delle giacenze stoccate lungo la catena logistica stessa

111

3.3.1 L’inventario come fonte di valore del servizio erogato al cliente

La presenza di scorte opportunamente dislocate nella catena logistica è

una indiscussa fonte di valore sotto forma di servivi erogati al cliente finale.

Per poter misurare efficacemente la performance della gestione delle

scorte è essenziale la comprensione delle due, ma strettamente correlate,

dimensioni alla base del concetto di “valore delle scorte”.

Per il fornitore, ovunque collocato nella supply chain, tale valore assume

la forma del livello di soddisfazione ottenuto dal cliente, livello misurato in

funzione della disponibilità del prodotto offerta al cliente stesso per soddisfare le

sue immediate esigenze, della capacità di effettuare consegne complete ed

accurate alla data stabilita, e della lunghezza del tempo di processamento degli

ordini, e quindi del tempo necessario a rispondere agli input provenienti dal

cliente.

D’altra parte, il cliente percepisce il valore dei beni acquistati in base alla

risposta che gli stessi sono in grado di fornire ai propri bisogni e desideri o in

relazione alle opportunità che il loro utilizzo può dischiudere.

Alla luce di ciò il problema diventa non quanto inventario stoccare lungo

la catena logistica ma, come già detto, quali processi rivolti alla soddisfazione del

cliente attivare per incrementare il valore dell’inventario stesso come fonte di

vantaggio competitivo e, contemporaneamente, ridurne i costi associati.

112

Con riferimento a tali principi teorici, concretamente le aziende

percepiscono il valore delle scorte come fonte di vantaggio competitivo in

migliaia di modi differenti, a seconda degli obbiettivi strategici, delle

caratteristiche del business, e della posizione occupata nella catena logistica. Si

consideri, ad esempio, la McMaster Carr Supply Company, un distributore

globale di prodotti industriali del valore di diversi miliardi di dollari. L’azienda

consiste di quattro mega centri distributivi con più di mille addetti. In ogni

momento l’azienda nel suo complesso stocca oltre 175.000 articoli differenti per

un valore di centinaia di milioni di dollari. Il valore di questo investimento

impressionante, per tacere dei costi associati alle strutture e ai servizi necessari per

supportarlo, può essere rinvenuto nell’impegno assunto dalla McMaster ad

evadere un ordine entro sole otto ore lavorative dal ricevimento dello stesso, a

prescindere dalle dimensioni e dal valore dell’orine stesso. Il fatto che l’azienda

possa sbandierare una percentuale di successo del 97% nel mantenere fede a tale

impegno testimonia inequivocabilmente l’abilità della stessa nel gestire enormi

quantità di articoli e complessi canali distributivi al fine di erogare valore prezioso

per il cliente e per il proprio personale successo.

D’altra parte, per la maggior parte delle aziende manifatturiere l’incessante

ricerca di metodi per eliminare le scorte non impegnate in processi produttivi è la

conseguenza di un modo completamente diverso di guardare alle stesse.

McMaster vede il valore dell’inventario nella propria capacità di rispondere quasi

istantaneamente alle richieste del cliente. McMaster però è un distributore. Per un

113

manufacturer il discorso è diverso. Esso, infatti, vede le scorte erogare valore solo

quando sono richieste in produzione. Il manufacturer risponde al cliente non

avendo stock disponibili ma implementando processi produttivi flessibili

abbastanza per cambiare rapidamente produzione con un preavviso minimo e

contenendo confusione e difficoltà varie. Ad esempio, la Baldor Electric,

produttore statunitense di motori elettrici, ha progettato ed implementato processi

produttivi tali da consentirle la produzione di migliaia di modelli di motori in lotti

di piccole dimensioni. Lo stabilimento è un meraviglioso esempio di Kanban e

tecniche per il controllo qualità espressamente concepite per limitare l’attesa delle

scorte e facilitarne il flusso lungo tutti gli stadi del processo produttivo. L’intero

ciclo produttivo è stato così portato ad un risicatissimo cinque giorni [Martin,

1996]. È ovvio quindi che imprese come la Ford, la PepsiCo o la Eaton abbiano

percezioni completamente differenti del valore delle scorte rispetto a imprese

come la McMaster, Walmart, etc.

Un’impresa manifatturiera che normalmente misura la propria

competitività a lungo termine anche attraverso il tasso di rotazione delle scorte

collasserebbe sotto il peso del mantenimento di un vasto stock di materiali,

semilavorati e prodotti finiti, giusto in caso dovessero essere necessari in un non

meglio definito momento futuro. In contrasto, un’azienda distributiva verrebbe

rapidamente spinta fuori dal mercato se i propri clienti dovessero aspettare cinque

giorni per vedersi consegnare un articolo urgente.

114

Il nocciolo del problema non è, quindi, se le aziende debbano cercare ad

ogni costo di eliminare completamente il proprio inventario o no, ma, piuttosto,

quale valore può fornire un dato livello di magazzino al posizionamento

competitivo dell’impresa stessa. Proprio la gestione di tale valore è uno degli

obbiettivi cruciali della SCM e della funzione logistica in particolare.

Di seguito si riportano alcune delle specifiche modalità, individuate da Ross,

attraverso le quali un’attenta gestione dello stesso può avere effetti positivi sul

servizio erogato al cliente [Ross, 1998]:

• Incremento dell’efficienza del canale. Rimuovendo gli eccessi di stock

lungo l’intera rete di imprese, riprogettando i processi distributivi,

implementando le tecniche JIT, e rendendo più fluido il flusso

dell’inventario, la supply chain può ridurre significativamente i costi

complessivi di canale e, contemporaneamente, assicurare la disponibilità

del prodotto giusto nel posto giusto al momento giusto così da

capitalizzare le opportunità di mercato. In modo particolare, si deve notare

come l’efficienza del servizio incrementi l’accessibilità al prodotto.

L’accessibilità si può identificare con il grado di facilità con il quale i

clienti possono reperire ed acquistare i prodotti, contattare la funzione

vendite, o accedere ai servizi di supporto al processo di acquisto.

L’accessibilità può anche essere identificata con la disponibilità dei

prodotti entro un arco di tempo generalmente accettato dal mercato

specifico di riferimento. In fine, l’accessibilità si può identificare anche

115

con il grado di facilità con la quale i clienti possono usufruire dei servizi

post – vendita e dell’assistenza tecnica. La convenienza per il cliente e

l’accessibilità ai beni e servizi sono elementi fondamentali del vantaggio

competitivo.

• Incremento della qualità. La riduzione dell’entità delle scorte, delle

situazioni di stock – out, degli errori nell’evasione degli ordini, del numero

di prodotti difettosi, e degli altri errori relativi alla gestione dell’inventario

può significativamente ridurre i costi operativi e incrementare, al

contempo, il servizio al cliente. Il punto fondamentale è “l’affidabilità” del

servizio. I leader di mercato devono continuamente performare il livello di

servizio promesso in modo affidabile ed accurato. L’affidabilità del

servizio permette ai partner della filiera di fidelizzare il cliente, il quale si

mostrerà disposto a pagare un prezzo più alto dato proprio il livello di

servizio atteso e la conseguente qualità del sistema di offerta.

L’implementazione delle tecniche di Total Quality Management (TQM)

risultano a tal fine necessaria in quanto permette il raggiungimento di

elevati livelli di qualità sostenibile nel tempo.

• Incremento delle informazioni sulle scorte della filiera. L’accuratezza e

l’accessibilità delle informazioni riguardanti i prodotti, i livelli di stock, la

localizzazione dell’inventario, e altre ad esso relative sono elementi

primari per la creazione di valore attraverso il servizio erogato al cliente

finale. Internamente, le informazioni consentono ai partner di filiera di

116

controllare i livelli delle giacenze, assicurare rifornimenti tempestivi, e

gestire prezzi e consegne lungo l’intera supply chain. Esternamente, le

informazioni riducono le distanze tra il sistema di offerta e le richieste dei

clienti e il conseguente verificarsi di situazioni che possono portare alla

perdita del cliente stesso e che hanno un effetto deleterio sull’intera catena

logistica.

3.3.2 Un unico inventario per l’intera catena logistica

Forse il più serio impedimento all’uso efficace delle giacenze della filiera

può essere individuato nella pratica tradizionale di considerare le giacenze di

ciascun anello della catena logistica come occupanti posizioni indipendenti.

La gestione dell’inventario è stata finora focalizzata sui costi e le

performance di ciascun centro di stoccaggio misurati meticolosamente attraverso i

costi di mantenimento, il tasso di rotazione, etc. L’inventario è stato così

pianificato, gestito e controllato in ciascun anello della catena logistica senza tener

conto dei piani e delle situazioni contingenti degli altri anelli. Il risultato è stato

che poca attenzione è stata posta nell’assicurare che il valore dell’inventario

crescesse nell’interesse dell’intera supply chain e non a beneficio di singoli anelli

all’interno della stessa. Una simile mancanza di integrazione fa si che il legame

tra la reale domanda del consumatore e le attività operative di ciascun partner

della filiera diventi via via più labile a mano a mano che ci si sposta a monte della

filiera stessa a causa delle crescenti distorsioni apportate alle informazioni relative

117

il reale andamento della domanda dai singoli obbiettivi operativi e strategici,

nonché dalle priorità di performance, perseguiti in modo indipendente da ciascun

partner. L’impatto complessivo sulle giacenze della filiera di una tale mancanza di

coordinamento può essere drammatico. Al decrescere della visibilità dei

fabbisogni reali della supply chain, e all’interno di questa di ogni singolo anello,

l’incertezza della domanda tende ad essere convertita in inventari crescenti e

dispersi a vari livelli nella catena logistica. Per ovviare all’incertezza alcuni

membri della supply chain tendono a sviluppare proprie previsioni della domanda

e a calibrare su queste i livelli degli stock indipendentemente dal reale andamento

della domanda a valle e dalle richieste di fornitura degli altri membri della filiera.

A ciò va aggiunto che, poiché i modelli previsionali si basano prevalentemente su

dati storici, a fronte di scostamenti imprevisti della domanda attuale dai trend

individuati le imprese tendono ad accumulare scorte ulteriori appositamente

detenute come assicurazione contro l’incertezza. L’occultamento della domanda

effettiva, l’eccesso di scorte di sicurezza in ciascun anello della catena logistica, il

verificarsi di situazioni di sovra/sotto capacità, e più in generale la mancanza di

coordinamento aggiungono costi lungo tutta la supply chain, inibiscono l’efficace

allocazione dell’inventario lungo i vari anelli della catena logistica al fine di

rispondere alla domanda del consumatore quando e dove occorre, e minano nelle

fondamenta il processo di creazione del valore generato dalla detenzione

dell’inventario stesso.

118

A partire dai primi anni novanta alcune fra le supply chain leader hanno

iniziato ad abbandonare la vecchia visione frammentata dell’inventario della

filiera in favore di un nuovo paradigma operativo che considera la gestione di tutti

gli stock rinvenibili nella catena logistica come se essi appartenessero ad un

unico, integrato, reticolare soggetto competitivo. Pionieri come la General

Motors, Kellogg e Nabisco stanno conseguendo importanti vantaggi competitivi e

strategici dalla cooperazione stretta con fornitori, distributori e dettaglianti,

cooperazione che punta a creare un unico sistema integrato che si estende dal

fornitore di materiali grezzi al luogo di effettiva consegna al consumatore finale.

In altri settori industriali, come quello della cosmesi, dell’abbigliamento e degli

elettrodomestici per la casa si sta diffondendo sempre più fra i membri delle varie

supply chain in competizione il ricorso alle tecniche della Quick Response (QR)

che permettono di ridurre sostanziosamente i costi connessi alle scorte, a partire

dall’entità stessa del capitale immobilizzato in esse, e di velocizzare il flusso delle

scorte stesse lungo l’intera catena logistica.

L’implementazione di una siffatta gestione delle scorte del canale richiede

il passaggio per alcune tappe intermedie [Ross, 1998]:

• Integrazione delle strategie e dei processi operativi dei partner della

supply chain. Le strategie e i processi operativi dell’intera supply chain,

iniziando dai fornitori di materie prime e dai manufacturer per arrivare ai

dettaglianti passando per i distributori, devono essere integrati e

119

sintonizzati sulle richieste del mercato. Raggiungere una tale integrazione

è di gran lunga il compito più difficile che attende i partner della filiera.

• Incremento della flessibilità. L’efficiente ed efficace gestione delle

giacenze richiede processi flessibili ed agili in modo da accelerare il flusso

delle stesse e rispondere più velocemente alle mutevoli esigenze dei

consumatori. La flessibilità, in particolare, consente ai membri del canale

di ridurre le scorte di prodotti finiti riducendo la dimensione dei lotti in

produzione e post – ponendo la differenziazione e la personalizzazione

degli stessi al livello più basso possibile nella catena logistica.

• Abbattimento dei costi. Considerando le giacenze stoccate lungo l’intera

supply chain come costituenti un unico sistema integrato è possibile

identificare e rimuovere le giacenze non necessarie ovunque disperse nel

canale. Inoltre, le aumentate possibilità di post – porre l’assemblaggio, la

personalizzazione e il confezionamento dei prodotti finiti consentono di

ridurre ulteriormente l’entità degli stock e dei relativi costi incrementando,

nel contempo, la velocità di reazione agli stimoli del mercato.

• Accelerazione dei tempi di risposta. Ogni giorno che le scorte

trascorrono nel canale aggiungono costi. Ogni giorno speso per portare il

prodotto sul posto di consumo/utilizzo rallenta la risposta alle richieste del

cliente. Al crescere dell’importanza della velocità delle consegne, la

combinazione di alti costi e lentezza delle risposte diviene sempre più

intollerabile.

120

• Accorciamento della lunghezza del canale. Le supply chain leader

pongono grande attenzione alla lunghezza del canale. Al crescere della

lunghezza della catena logistica, infatti, crescono inevitabilmente anche i

tempi di transito delle giacenze attraverso la supply chain e l’entità delle

scorte di sicurezza. Viceversa, all’aumentare delle dimensioni delle

giacenze aumenta la lunghezza del canale. Le scorte di sicurezza sono

state usate tradizionalmente per proteggere l’azienda dalle fluttuazioni

della domanda e delle forniture. Al contrario, gli attuali leader di mercato

cercano di tagliare tempi, giacenze e lunghezza del canale attraverso il

ricorso al JIT, all’ICT e alla gestione cooperativa dei rapporti con i

fornitori.

• Arricchimento semantico degli indici di performance. Indici che

misurano indipendentemente la performance di ciascun anello della catena

logistica forniscono, generalmente, scarse informazioni sulla performance

della supply chain come sistema integrato. Poiché i singoli anelli sono

invece inestricabilmente legati nella gestione dei flussi fisici ed

informativi che attraversano la supply chain, essi dovrebbero utilizzare

indici di performance in grado di rilevare l’andamento delle prestazioni

dell’intero sistema e condividere i medesimi obbiettivi di soddisfazione

del cliente.

A conclusione del paragrafo si riportano alcuni dei principali vantaggi

derivanti dalla gestione integrata dell’inventario [Ross, 1998]:

121

• Invece di molti e spesso discordanti piani per la gestione delle giacenze, la

visione di un inventario integrato permette ai partner della supply chain di

sviluppare un singolo e condiviso piano strategico per la gestione delle

scorte teso al governo e all’ottimizzazione degli investimenti complessivi

in scorte.

• Un singolo piano per la gestione dell’inventario fornisce visibilità sulle

esigenze di stock di ciascun singolo anello della catena logistica. Piani

migliori e più tempestivi si traducono in minori investimenti in capitale

fisso, minori costi operativi e maggiore probabilità di conseguire gli

obbiettivi prefissati di servizio al cliente.

• A causa del fatto che in questo modo tutti i membri della supply chain

seguono i medesimi piani, in tal modo integrando le rispettive risorse

nonché le rispettive attività operative, la supply chain come sistema può

erogare più alti livelli di valore per il cliente.

3.3.3 Competizione basata sul tempo

Circa quaranta anni fa, in un articolo pionieristico pubblicato dalla

Harvard Business Review, Jay W. Forrester sviluppò un modello col quale

dimostrava l’impatto del tempo sul flusso dei prodotti e delle informazioni su di

una supply chain non integrata. Nell’articolo Forrester tracciò gli effetti degli

sfasamenti temporali sui processi decisionali all’interno di un semplice sistema

economico costituito da un manufacturer, un magazzino appartenente allo stesso

122

manufacturer, un distributore ed un dettagliante. Sommando i tempi necessari

affinché le informazioni relative alla domanda effettiva facessero il loro percorso

da valle a monte lungo la supply chain e le giacenze il percorso inverso da monte

a valle fino al consumatore finale Forrester calcolò che occorrevano circa

diciannove settimane per far giungere i beni richiesti a destinazione. Ad ogni

modo, qualora si fosse verificato un improvviso e temporaneo incremento del

10% della domanda ciò avrebbe provocato una reazione violenta dei processi

produttivi, reazione che il sistema avrebbe impiegato più di un anno ad assorbire e

ritornare al precedente stato di equilibrio. Ciò che distorceva così pesantemente il

sistema era il tempo: lo sfasamento tra il momento in cui avviene un dato evento e

Con

sum

ator

i

A C D E B

+5%

+40%

100%

A

ECapacità richiesta

Tempo

Fig 3.3 – Effetto Forrester; Fonte: Vinelli, Forza, 1996

123

il momento in cui il sistema ne riceve informazione e si appresta a reagirvi.

Quanto più è lungo tale intervallo, tanto più distorto appare il quadro dei bisogni

del mercato, producendo confusione, sprechi ed inefficienze [Forrester, 1958]

(vedi fig. 3.3).

Nell’attuale mercato sempre più competitivo, la capacità di un sistema

filiera di reagire prontamente ai cambiamenti non si misura più in settimane o

mesi ma bensì in giorni e, alle volte, addirittura in ore. All’accorciarsi del ciclo di

vita dei prodotti e all’aumentare della volatilità del mercato, i partner della supply

chain dovrebbero cercare di ridurre sempre più l’entità delle giacenze. In passato

le supply chain tentavano di far fronte alla volatilità della domanda accumulando

scorte di sicurezza, identificando i nodi chiave nella catena logistica dove

stoccarle, e cercando strade per conseguire economie di costo. Oggi, invece, i

sistemi supply chain più avanzati stanno realizzando che il miglior approccio alla

variabilità della domanda consiste nel ridurre il tempo nel quale prodotti ed

informazioni percorrono nei due sensi la catena logistica. Le strategie e i processi

operativi focalizzati sul tempo, come la Produzione flessibile, la Quick Response e

l’Efficient Consumer Response (ECR), stanno sempre più acquistando importanza

critica per la sopravvivenza di molte imprese. Le supply chain leader stanno

cercando di essere quanto più vicine possibile ai propri clienti, ricorrendo anche ai

nuovi strumenti messi a disposizione dalla tecnologia dell’informazione e della

124

comunicazione, come ad esempio Internet. Sempre più nuovi modelli

organizzativi e tecniche di gestione puntano ad accelerare i tempi di risposta

piuttosto che ridurre i costi per attirare i clienti migliori.

Fulcro della competizione basata sul tempo è la gestione dell’order lead

time dell’intera supply chain. Tale lead time può essere visto secondo due

prospettive. Con la prima, che considera il punto di vista del cliente e che

possiamo chiamare Customer order lead time, ci si riferisce al tempo necessario

per processare l’ordine del cliente, dal momento in cui si manifesta la domanda al

momento in cui la merce viene consegnata. In pratica, sotto questa prospettiva, la

domanda del cliente è il primo input che mette in movimento il processo logistico.

Da ciò si evince chiaramente come la qualità, la velocità e l’accuratezza del

processo di evasione degli ordini abbia un impatto fondamentale sul

posizionamento competitivo dell’intera supply chain. Infatti l’efficace

processamento dell’ordine è parte integrante del servizio al cliente ed elemento

chiave del vantaggio competitivo. La gestione efficace del customer order lead

time richiede, pertanto, l’individuazione e la rimozione dei colli di bottiglia, dei

processi che non aggiungono valore e, quando possibile, delle cause delle

fluttuazioni degli ordini.

Accanto alla precedente esiste, come già detto, un’altra prospettiva che

possiamo chiamare Internal lead time, che fa riferimento ai tempi per la

ricostituzione dei livelli di inventario all’interno della supply chain, processo che

inizia con l’emissione della richiesta di ricostituzione da parte di qualche

125

dipartimento interno e finisce con il ricevimento della merce e l’emissione

dell’ordine di pagamento. In sostanza l’internal lead time guida il processo di

ricostituzione dei prefissati livelli di stock lungo l’intera catena logistica.

A dispetto della differenza concettuale delle due prospettive sopra esposte, sta

diventando sempre più evidente come le stesse siano in realtà così strettamente

legate ed interdipendenti che dovrebbero essere gestite come fossero differenti

estensioni del medesimo processo. Il soddisfacimento dei presupposti alla rapida

risposta alle richieste del cliente presuppone che gli ordini di produzione e di

riassortimento siano visti come il primo passo di un processo continuo di gestione

dell’order lead time che finisce con la consegna di quanto richiesto al cliente

finale.

La domanda del cliente per risposte sempre più rapide richiede che ciascun

membro della supply chain si interroghi su come possa contribuire alla riduzione

dell’order lead time complessivo e, per estensione, dei costi totali di inventario.

Sommariamente nel seguito si elencano i metodi principali impiegati per

ridurre l’order lead time:

• Stretta integrazione dei piani strategici ed operativi per la gestione della

ricostituzione degli stock e per la gestione del servizio al cliente

• Riduzione dei ritardi dovuti ad attività amministrative semplificando le

procedure e riducendo la documentazione cartacea

• Riduzione delle dimensioni della catena logistica

• Eliminazione dei colli di bottiglia ovunque annidati nella supply chain

126

• Spingere la fase di personalizzazione dei prodotti quanto più a valle

possibile nella supply chain in modo da prevenire premature

differenziazioni

• Riduzione delle dimensioni dei lotti in produzione e in vendita

• Implementazione di tecniche per il miglioramento continuo dei processi

progettati per l’assorbimento delle variazioni nella domanda e nelle

forniture

In conclusione, lo strumento imprescindibile nel perseguire la riduzione

dell’order lead time complessivo è la creazione di un sistema integrato in grado di

ricalibrare velocemente composizione ed entità dell’inventario nonché le modalità

di esecuzione del processo logistico al fine di far fronte prontamente alla reale

domanda di mercato.

3.3.4 Sostituire l’inventario con le informazioni

Uno dei postulati fondamentali della supply chain management è che al

crescere dell’incertezza circa il reale status della domanda e delle forniture,

crescono conseguentemente le giacenze lungo l’intera supply chain. Infatti, più

del 50% dell’inventario in mano ad un’impresa media esiste nella forma

concettuale di scorte di sicurezza costituite allo scopo di arginare l’incertezza su

ciò che è necessario per rispondere alle esigenze della catena logistica, esigenze

queste ultime determinate a loro volta dagli input provenienti dal mercato. Questa

perdita di visibilità della domanda effettiva dispiega i suoi effetti con un processo

127

a cascata che investe tutti i partner della filiera e aggiunge stock ad ogni nodo

della stessa. I fornitori di componenti e materiali grezzi detengono un eccesso di

scorte a causa della incapacità dei manufacturer a fornire dettagliate e tempestive

informazioni circa i propri futuri fabbisogni. A loro volta, i manufacturer stoccano

un eccesso di scorte a causa di inefficaci processi di pianificazione dei fabbisogni

e di previsione delle vendite, mancanza di informazioni relative all’effettivo

andamento della domanda, della grande dimensione dei lotti in produzione, e dei

difetti e resi non previsti. In fine, distributori e dettaglianti sono obbligati a

stoccare un eccesso di prodotti finiti al fine di evitare di trovarsi spiazzati di fronte

a radicali cambiamenti nelle richieste dei clienti e a causa delle dimensioni dei

lotti posti in vendita dai manufacturer o, per i dettaglianti, dagli stessi distributori.

La soluzione per rompere questo circolo vizioso è incrementare la disponibilità e

la profondità delle informazioni relative a quali prodotti sono realmente richiesti.

In passato raramente accadeva che i membri di una catena logistica si

comunicassero vicendevolmente i relativi fabbisogni di inventario con eccezione

del momento in cui veniva effettivamente emesso un ordine di riassortimento.

Oggi, però, i clamorosi sviluppi dell’ICT hanno dispiegato a ciascun

partner la possibilità di condividere le informazioni relative a domanda e

forniture/fabbisogni in tempo reale e a costi irrisori con gli altri partner della

catena logistica. La disponibilità di sistemi per la schedulazione, la pianificazione

e la comunicazione in grado di processare enormi quantità di dati in modo rapido

ed economicamente conveniente dischiude le porte ad un modo completamente

128

nuovo di gestire la supply chain. Il principio è semplice: quanto più sono

disponibili informazioni relative ai fabbisogni totali dell’intera catena logistica per

tutti i membri della supply chain, tanto più i partner stessi saranno capaci di

produrre i prodotti giusti per rispondere alle richieste effettive del mercato, nelle

quantità e nei momenti desiderati. Al decrescere dell’incertezza circa il reale

andamento della domanda, cala il bisogno di detenere scorte di sicurezza. In

questo modo, si può dire che informazioni tempestive ed accurate circa la reale

domanda di mercato e la reale domanda interna diventano un sostituto delle scorte

di sicurezza. La chiave per realizzare una simile sostituzione è fornita dalle

capacità integrative dell’attuale ICT, le quali mettono a disposizione dei singoli

anelli della catena logistica le informazioni critiche relative a quali materiali

grezzi, componenti e prodotti finiti sono necessari per far fronte alla domanda di

mercato, quando e dove.

Ad ogni livello nella supply chain devono essere assunte decisioni relative

a cosa comprare e dove, quale deve essere il livello di stock, etc., decisioni che

devono essere tradotte in ordini di fornitura necessari a soddisfare non solo il

singolo nodo ma anche le esigenze degli altri partner posti a monte e a valle nella

catena logistica. Per poter far funzionare efficacemente un simile sistema sono

necessarie due condizioni. La prima riguarda la comune implementazione di

sistemi di comunicazione computerizzati e di applicazioni per il supporto dei

processi aziendali. Si intende qui fare riferimento a sistemi come gli Enterprise

Resource Planning (ERP), i Distribution Requirements Planning (DRP), i

129

Product Data Management (PDM) e simili, i quali forniscono visibilità in tempo

reale all’effettivo stato della domanda e alle condizioni di fornitura lungo l’intera

supply chain. Questi sistemi consentono ai vari partner della catena logistica di

utilizzare applicazioni comuni per la schedulazione e la simulazione, applicazioni

capaci di calcolare la domanda reale ed effettuare delle previsioni e dimostrare

l’impatto che decisioni relative al livello del servizio erogato al cliente, alla

produzione o ai livelli di stock hanno sui costi e i ricavi dell’intera catena

logistica. Inoltre, sistemi per la raccolta e la trasmissione dei dati come i codici a

barre, le radio frequenze, e il riconoscimento vocale, permettono alla supply chain

di processare e tener traccia dei movimenti dell’inventario così come essi

accadono. In fine nuove tecnologie per la comunicazione dei dati, come il wireless

e le fibre ottiche, Internet e Intranet, permettono di ridurre tempi e costi di

trasferimento dei dati a livelli fino a pochi anni fa impensabili, accorciando

sempre più i lead time e legando sempre più strettamente i partner della supply

chain.

La seconda condizione riguarda la disponibilità di archivi condivisi di

informazioni critiche riguardanti i clienti, i livelli di inventario, etc. In particolare,

fra le informazioni maggiormente critiche possono essere annoverate le seguenti:

• Informazioni relative alle richieste complessive dei clienti della supply

chain. Queste informazioni riguardano quali prodotti sono richiesti e come

devono essere consegnati a ciascun cliente. Il contenuto di queste

informazioni mostra nel dettaglio le richieste esatte dei clienti esterni alla

130

catena logistica (sell-out) e, in particolare, quali prodotti o gruppi di

prodotti sono richiesti, quando e da chi [Gopal & Cypress, 1993].

• Informazioni relative alle richieste di riassortimento di ciascun anello

della catena logistica. Poiché l’inventario esiste in varie forme presso

ciascun anello della catena logistica, la visibilità delle richieste di

ricostituzione dello stesso, al fluire dei prodotti lungo il canale per far

fronte alle richieste del cliente finale, è una delle informazioni

maggiormente critiche. Tali informazioni svelano le scelte strategiche che

determinano il rapporto tra il costo delle scorte e il livello del servizio,

rendono trasparente la reale forma dell’inventario stoccato e le esigenze di

riassorbimento di ciascun partner, e fanno luce sull’effettiva affidabilità

delle previsioni che governano la gestione collettiva delle scorte della

filiera. Tali informazioni devono essere comunicate rapidamente ed

accuratamente a ciascun membro della supply chain.

• Informazioni relative alla disponibilità di risorse logistiche.

Essenzialmente le informazioni in questione riguardano la disponibilità di

capitale di ciascun membro per coprire i costi dell’inventario, la capacità

del sistema di trasporto di far fronte alle richieste di riassortimento dei

membri stessi, la capacità dei magazzini e la capacità della forza lavoro di

far fronte alle attività di carico/scarico, stoccaggio, etc. Sebbene

estremamente difficili da rilevare, tali informazioni permettono di rilevare

131

i colli di bottiglia che impediscono il tempestivo fluire dell’inventario

attraverso la catena logistica.

• Informazioni relative alla performance dell’intero sistema. Queste

informazioni sono composte da una matrice di dati riguardanti il servizio

al cliente, come il tempo di ciclo per l’evasione degli ordini, dati riferiti

all’inventario, come il tasso di rotazione delle scorte, e dati relativi alle

consegne, come la puntualità delle stesse.

Come risulta evidente, il ruolo principale di tali informazioni è quello di

fornire ai membri della supply chain i dati necessari per gestire al meglio

l’incertezza operativa che deriva dai processi e dalle attività poste in essere dai

partner della stessa supply chain e ridurre in tal modo l’entità dell’investimento in

scorte relativo all’intera catena logistica. Il seguente esempio illustra un possibile

utilizzo delle informazioni come sostitute delle giacenze e fonte di valore per il

cliente. Andersen Windows, produttore statunitense di finestre, ha, fino a poco

tempo fa, prodotto finestre standard realizzate in grandi quantità. Al crescere, nei

primi anni novanta della domanda per finestre personalizzate Andersen si è

trovata a dover affrontare una serie di problemi connessi al servizio al cliente

riguardanti il design, il sistema dei prezzi, la produzione e le consegne. La

produzione è passata da 28.000 unità nel 1985 a 188.000 unità nel giro di dieci

anni, i lead time e le giacenze si sono ampliati a dismisura e gli errori nelle

consegne sono significativamente aumentati. La soluzione a tali problemi è stata

individuata nell’implementazione di un sistema informativo integrato in grado di

132

collegare i punti vendita agli stabilimenti produttivi, permettere ai clienti di

progettare agevolmente la propria personale soluzione, e fornire istantaneamente

il prezzo della soluzione stessa. Ad oggi, Andersen ha fatto ulteriori passi avanti

verso la personalizzazione di massa adottando un sistema, chiamato batch of one

manufacturing, finalizzato ad espandere la flessibilità produttiva, ad incrementare

il livello di servizio erogato al cliente, e, contemporaneamente, a ridurre

consistentemente gli stock di semilavorati e materiali grezzi. Infatti, tutte le

finestre sono realizzate assemblando alcuni comuni componenti standard, il che

rende possibile realizzare il prodotto finito in breve termine e solo dopo il

ricevimento di un effettivo ordine. Nello stabilimento di punta della Andersen non

esistono giacenze eccezion fatta per le scorte di fibre grezze e di pochi altri

componenti critici. Il tempo che passa dal ricevimento dell’ordine all’istallazione

del prodotto finale presso il consumatore finale è di appena un mese. In sostanza,

riducendo i costi dell’inventario, incrementando il livello del servizio,

semplificando i processi di collocamento ed evasione degli ordini, produzione e

controllo delle scorte, migliorando la qualità del processo distributivo, collegando

i punti vendita con la produzione, e riducendo le inefficienze in genere grazie alla

disponibilità e all’accuratezza di un vasto patrimonio informativo Andersen è

riuscita ad incrementare significativamente il valore del servizio erogato ai propri

clienti rafforzando in tal modo la propria posizione competitiva [Martin, 1996].

133

Capitolo 4

LA PIANIFICAZIONE DELLE RISORSE DELLA SUPPLY CHAIN

4.1 Introduzione

Nel discorso condotto fino a questo punto si è proceduto a circoscrivere e

definire sempre più l’oggetto di analisi procedendo per contestualizzazioni

successive e andando a restringere progressivamente “l’inquadratura” su di uno

specifico dettaglio. Infatti nel primo e nel secondo capitolo, per continuare la

metafora fotografica, si è utilizzato un “campo largo”, andando a riprendere,

rispettivamente, l’intero panorama nel quale si muovono le aziende

contemporanee e individuando per vie generali una possibile risposta strategica,

operando comunque in questo modo già una prima definizione dell’area di analisi.

Nel terzo capitolo si è operata una prima, consistente restrizione del campo di

inquadratura puntando su di uno specifico aspetto della SCM, la gestione delle

giacenze, ed escludendo di conseguenza molti altri aspetti dall’area di analisi che

pure meriterebbero studi approfonditi. Si pensi, ad esempio, ai riflessi

dell’integrazione e della cooperazione sui processi legati allo sviluppo di nuovi

processi / prodotti, alla possibilità di affidare in outsourcing la gestione di interi

processi a soggetti terzi specializzati terziarizzando di fatto alcune finzioni tipiche

aziendali come la logistica, all’aspetto legato agli assetti proprietari e alle forme

134

contrattuali dei contratti di partnership o più in generale alle politiche perequative

dei costi e dei benefici attesi, alle possibilità offerte da internet, all’e-commerce,

all’e-procurement, etc. Se si aggiunge a tutto ciò il fatto che ciascuna delle

dimensioni d’analisi su indicate può essere affrontata da più punti di vista,

guardando cioè alle implicazioni finanziarie piuttosto che di marketing,

organizzative piuttosto che amministrative, operative piuttosto che strategiche, si

capisce facilmente quale sia la ricchezza di dettagli che circonda il punto su cui

andremo a zoommare tra poco. Infatti adesso si procederà ad una ulteriore

restrizione del campo di osservazione portandovi al centro il ruolo delle

informazioni e di adeguate infrastrutture informatiche nel supportare la gestione

delle giacenze stesse. Ancora una volta sarà necessario isolare la dimensione

d’analisi prescelta da tutte le altre possibili. Infatti l’obbiettivo di contenere

l’entità delle giacenze della supply chain non è perseguibile con successo

ricorrendo esclusivamente all’implementazione di sistemi informativi integrati. In

altre parole, se nel seguito ci si concentrerà sul ruolo giocato da alcuni fra i più

recenti sviluppi dell’ICT nell’aiutare le imprese a contenere l’entità degli stock e

nell’incrementare la velocità di reazione agli stimoli esterni delle stesse imprese,

non và dimenticato il ruolo che altri fattori giocano nel perseguire i medesimi

obbiettivi. Senza pretese di esaustività ma con il solo intento di aprire uno

spiraglio su tali strumenti se ne elencano di seguito alcuni, così come riportati da

Vinelli e Forza nel testo Quick Response [A. Vinelli & C. Forza, 1996]:

135

CVS -

Australia

Agricoltor

Raffinatore

Distributore

Raccolto di eucalipto

Olio di eucalipto

New

Arabia

Estrattore

Raffinatore

Gas naturale

Raffinatore

Alcol sintetico

Texas

Agricoltore

Raffinatore

Raccolto di grano

Midwest

Warner Lambert

Olio di eucalipto Serbitolo Etanolo

Pennsylvania

CVS -

Listerina

CVS –

Listerina

Listerina

USA Clienti

Fig. 4.1 – La filiera della listerina Warner-Lambert/CVS; Fonte: libero adattamento da Kalakota, Robinson,1999

CVS – CVS – CVS –

136

• Realizzazione di accordi di collaborazione fra gli attori principali della

supply chain

• Condivisione fra gli stessi soggetti delle informazioni sulle vendite

provenienti dalla distribuzione attraverso la comunicazione telematica

(EDI)

• Trasmissione ai fornitori, da parte del manufacturer, delle informazioni

inerenti alla programmazione e alla schedulazione della produzione in

modo che l’oggetto della fornitura sia subito messo in produzione appena

consegnato

• Diminuzione dell’entità dei lotti minimi di acquisto e produzione nei

rapporti transattivi fra i membri della supply chain

• Implementazione di un sistema di movimentazione degli input dei processi

produttivi che permetta una disposizione a celle delle macchine per le

lavorazioni

• Utilizzazione di nuove tecnologie che permettano la riduzione dei tempi di

set – up

• Implementazione di sistemi produttivi flessibili e modulari

• Massimo post – ponimento delle fasi di personalizzazione e

confezionamento dei prodotti finiti tramite l’affidamento di tali attività ai

distributori o ai prestatori terzi di servizi logistici (Logistics service

provider – LSP)

137

• Preparazione dei lotti di spedizione dei prodotti finiti in modo che gli

stessi siano esponibili alla vendita negli scaffali immediatamente dopo la

consegna

Come si vede chiaramente si tratta di strumenti estremamente eterogenei di

natura sia organizzativa che tecnologica e la cui implementazione coinvolge

spesso più soggetti all’interno della supply chain. Si tratta, inoltre, di interventi il

cui presidio ricade in qualche modo all’interno delle responsabilità della funzione

logistica, a sottolineare ancora una volta l’accresciuta importanza che tale

funzione và assumendo quotidianamente nelle organizzazioni aziendali.

Per capire meglio quale sarà l’oggetto del presente capitolo conviene ora

guardare al funzionamento di una supply chain reale. Si consideri a tal proposito

la catena logistica che vede la Warner – Lambert (WL), azienda farmaceutica

statunitense, e la CVS, distributore con propri punti vendita di prodotti

farmaceutici sempre negli Stati Uniti, nel ruolo di leader [J. Bresnahan, 1998]

(fig. 4.1). Consideriamo il funzionamento della supply chain con riferimento alla

produzione, distribuzione e vendita di uno specifico prodotto, la listerina (un

antisettico a base di eucalipto, timo e menta). Quando un cliente entra in un punto

vendita CVS e chiede una confezione di listerina, per la CVS tale richiesta è

l’ultimo anello di un processo complesso teso ad assicurare che la confezione

richiesta sia nel posto giusto al momento giusto così che il cliente possa vedere

soddisfatta la sua richiesta. Il problema di fondo è riuscire a coordinare tutti gli

attori che intervengono nel processo produttivo e distributivo. Tale processo

138

comincia in Australia dove un agricoltore vende il suo raccolto di eucalipto ad una

ditta che ne estrae l’olio e a sua volta lo vende ad un distributore del New Jersey.

Il distributore, successivamente, trasporta l’olio al centro di produzione e

distribuzione della WL in Pennsylvania. Contemporaneamente in Arabia viene

estratto il gas naturale da cui si ottiene l’alcol sintetico che dà la giusta gradazione

alla listerina. La Union Carbide spedisce l’alcol sintetico in Texas dove viene

trasformato in etanolo e quindi spedito alla WL in Pennsylvania. Nel Midwest,

invece, viene raccolto il grano da cui si ottiene il sorbitolo per dolcificare, che a

sua volta viene inviato alla WL. In fine, tutti questi ingredienti vengono uniti

assieme presso gli stabilimenti WL in Pennsylvania e così si ottiene la listerina

pronta per essere confezionata. Il prodotto finito, a questo punto, è inviato ai

magazzini della CVS e quindi distribuito nei punti vendita. Il problema, come già

detto, è riuscire a coordinare efficacemente tutti questi soggetti affinché

ogniqualvolta un cliente finale vuole una confezione di listerina, essa sia pronta

sul banco di vendita. A tal fine vengono impiegati molti sistemi applicativi ed è su

questi che si concentrerà l’attenzione nei prossimi paragrafi. Per la CVS il sistema

di controllo gestionale calcola l’esatta quantità di listerina necessaria, genera un

ordine e lo invia, a mezzo EDI alla WL. L’ordine è mandato in copia per

conoscenza anche al magazzino di CVS che si prepara a ricevere la fornitura. Alla

WL il sistema informativo integrato analizza i dati di produzione, distribuzione e

vendita in rapporto alla domanda stimata e decide quanto prodotto realizzare e,

conseguentemente, i quantitativi di materie prime da acquistare dopo aver

139

verificato i livelli di stock disponibili. Il sistema di pianificazione della

produzione definisce le fasi di produzione e genera gli ordini di acquisto ai

fornitori. Tale sistema stabilisce, inoltre, prezzi e quantitativi da produrre. Lo

stesso giorno tale sistema trasferisce l’ordine ad un altro sistema, quello di

pianificazione della movimentazione della WL, affinché quest’ultimo possa

determinare l’ottimizzazione del trasporto e a quali aziende di trasporto rivolgersi,

così da minimizzare i costi. Nello stesso tempo questi dati vengono trasmessi

anche al magazzino per predisporre le movimentazioni. Non appena avviene la

consegna al magazzino della CVS, i responsabili del sistema di gestione del

magazzino inviano una comunicazione elettronica all’ufficio contabilità per

comunicare loro che la merce è stata ricevuta e che dunque si può procedere ai

pagamenti. I dati sono trasmessi anche al sistema centrale della CVS per

realizzare previsioni sugli acquisti futuri, e al sistema di gestione del magazzino,

che colloca automaticamente le confezioni nei ripiani giusti di stoccaggio, dove

rimarranno fino ad un massimo di tre settimane, fino a quando, e secondo le

previsioni, saranno inviate ai negozi CVS che le richiedono. Qui, infine, arriva il

cliente, acquista la sua confezione di listerina e il ciclo ricomincia.

L’obiettivo fondamentale della supply chain, appena descritta, è quello di

implementare sistemi produttivi e distributivi “on demand” (su richiesta), cioè che

si mettano in moto solo quando ci siano richieste effettive. In situazioni simili la

quota di mercato e l’aumento degli utili sono fortemente dipendenti dalla capacità

di portare il prodotto giusto nel posto giusto al momento giusto (servizio). Ecco

140

perché l’implementazione di sistemi on demand diventa così critica; l’obiettivo è

riuscire a soddisfare i clienti, anche i più esigenti: sarà proprio la soddisfazione

del cliente a creare ulteriore domanda e a permettere all’impresa di raggiungere

posizioni di leadership. È, fra le altre cose, grazie a sistemi come quelli descritti

che aziende come la WL reagiscono rapidamente alle richieste del mercato e

producono beni solo quando i clienti li desiderano e nel modo in cui li vogliono.

Nell’esempio appena illustrato il punto di partenza è stata la richiesta di

prodotto da parte del cliente finale ad un punto vendita al dettaglio. La raccolta e

la successiva elaborazione di tale informazione ha permesso alla supply chain WL

– CVS di coordinare tutti i processi operativi della filiera, da quelli performati dal

distributore fino a quelli presidiati dai fornitori di materie prime, al fine di

eliminare gli sprechi, ridurre il magazzino e permettere alla stessa di rispondere

alle richieste del cliente in modo tempestivo ed efficace.

È proprio su tali aspetti che si concentrerà l’attenzione nei paragrafi

successivi, identificando ed analizzando ciascun singolo elemento che compone

l’infrastruttura informatica, hardware e software, che supporta i flussi fisici ed

informativi che attraversano la supply chain e che permette alla stessa di operare

in modo simile a quanto visto nell’esempio precedente, tentando di portare alla

luce il contributo che essa dà nel raggiungere gli obbiettivi operativi e strategici

più volte ricordati (contenimento delle scorte, riduzione dei costi, incremento del

servizio erogato al cliente, etc.).

141

4.2 L’evoluzione delle applicazioni informatiche

Prima di passare all’analisi dettagliata del flusso di “bit” che correda il

flusso di “atomi” che la logistica ha il compito di presidiare, si rende necessaria

una breve disanima dell’evoluzione delle applicazioni informatiche aziendali. Il

perché di tale introduzione è necessaria al fine di comprendere gli aspetti

rivoluzionari introdotti dalle moderne tecnologie dell’informazione e della

comunicazione. Tali aspetti, infatti, non riguardano l’introduzione in azienda di

applicazioni informatiche in grado di supportare vari processi aziendali

(l’introduzione delle prime applicazioni risale, infatti, agli anni 60) ma si legano

essenzialmente alla possibilità di integrare le “isole” tecnologiche nate a seguito

dell’introduzione in azienda delle prime applicazioni, applicazioni che, lo si vedrà

meglio in seguito, erano confinate in ristretti ambiti operativi e del tutto incapaci

di interagire tra loro. Con riferimento agli studi di Kaplinsky [1984] si

propongono tre stadi evolutivi che si differenziano sia sotto l’aspetto delle attività

presidiate dalle applicazioni informatiche, sia sotto l’aspetto dell’architettura del

sistema informativo, sia per il livello di integrazione delle varie applicazioni.

Prima di elencare ed analizzare i singoli stadi evolutivi, qualche spiegazione si

rende necessaria circa le dimensioni di analisi su indicate.

Per quel che riguarda la prima dimensione essa valuta l’estensione delle

attività coperte dalle applicazioni informatiche. Tali attività, nel contesto di

un’impresa manifatturiera, possono idealmente raggrupparsi in due macro aree:

142

• L’area manufacturing, con i processi di progettazione del prodotto e del

processo, industrializzazione, pianificazione e controllo della produzione,

produzione in senso stretto, gestione dei magazzini e delle scorte

• L’area business management [Booz Allen, Hamilton, 1986], legata ai

processi di budgeting - pianificazione finanziaria - contabilità, marketing –

vendite - distribuzione, approvvigionamenti

Le caratteristiche semantiche dei dati di input/output delle singole applicazioni

all’interno e tra le macro aree pongono pesanti implicazioni sotto l’aspetto

dell’integrazione, come si chiarirà meglio in seguito.

La seconda dimensione ha attinenza sia con le logiche progettuali adottate

all’interno del sistema informativo, cioè con le regole che definiscono le

caratteristiche funzionali e le modalità di interazione dei moduli hardware e

software, sia con le tecnologie specifiche adottate per realizzare il sistema stesso.

In fine, per quel che riguarda il concetto di integrazione si può dire che

esso riguarda l’aspetto semantico dei dati, cioè il significato attribuito ai dati

stessi. Si ha integrazione tra due applicazioni quando, in caso di trasferimento di

dati dall’una all’altra, la ricevente sia in grado di capire l’oggetto e il contenuto

dell’informazione. Si può dire quindi che, il concetto di integrazione così come

precedentemente illustrato riguarda la sfera logica a differenza del concetto di

connessione che invece, spostando l’attenzione sulle tecnologie di trasmissione

(reti, protocolli, ecc.) che collegano fisicamente due differenti mezzi informatici

per favorire il trasferimento di dati da un’applicazione all’altra, riguarda la sfera

143

fisica. A tal proposito Madnick [1991] parla di “connettività logica”, assimilabile

al concetto di integrazione, e di “connettività fisica”, assimilabile al concetto di

connessione, mentre Bartezzaghi [1994] parla di “automazione nella trasmissione

della informazioni”, assimilabile al concetto di connessione, e “automazione

nell’interpretazione delle informazioni”, assimilabile al concetto di integrazione.

Ciò premesso possiamo passare adesso all’esplicitazione del modello

evolutivo proposto da Kaplinsky. Tale modello risulta articolato in tre tappe

fondamentali caratterizzate dalla:

• Automazione di attività specifiche

• Integrazione intra-sfera

• Integrazione inter-sfera

4.2.1 L’integrazione di attività specifiche

Il primo stadio del modello di Kaplinsky si colloca temporalmente negli

anni 60 e 70 allorché fecero la loro comparsa in azienda le prime applicazioni

informatiche finalizzate all’automazione di specifiche attività svolte in singole

aree funzionali. In particolare si fa riferimento alla comparsa delle prime

applicazioni volte al supporto dei processi di sviluppo ed industrializzazione del

prodotto (CAD, CAE,CAPP e CAM) e ai processi di programmazione e controllo

della produzione (MRP, CRP, SFC), oltre alla comparsa delle prime applicazioni

gestionali volte al supporto di attività amministrative e contabili. Per immaginare

un po’ l’ambiente, dobbiamo pensare a qualcosa dove l’architettura dei sistemi sia

144

basata su mainframe centrale (costosissimo) e terminali periferici “stupidi”, le

interfaccia software siano esclusivamente di tipo testuale e, in fine, ogni

applicazione insista su di un proprio database. Altro elemento caratterizzante

questa prima fase evolutiva è l’imporsi, per mancanza di alternative, delle

cosiddette “isole tecnologiche”, sistemi composti da elementi hardware e software

basati su standard proprietari e quindi non integrabili fra loro sia sotto il profilo

fisico sia sotto il profilo logico, isole la cui integrazione porrà seri problemi nelle

tappe successive del processo evolutivo. In sostanza, all’epoca, un’azienda che

avesse deciso di adottare una soluzione informatica a supporto di un qualche

processo, peraltro estremamente costosa e alla portata esclusivamente di grandi

imprese, si sarebbe trovata di fronte un ristretto gruppo di possibili fornitori

ciascuno offerente esclusivamente soluzioni “tutto compreso”; ciò vuol dire che il

pacchetto software prescelto avrebbe girato esclusivamente in un ambiente

supportato da uno specifico sistema operativo, il quale sistema operativo, a sua

volta, avrebbe potuto essere eseguito solo nel ristretto ambito dei componenti

hardware dello stesso produttore. Tutto ciò ebbe gravi conseguenze sotto il piano

della diffusione dell’informatica aziendale prima e pose seri problemi poi, quando

si rese necessario rimuovere tutti quegli ostacoli all’integrazione di cui nel

frattempo si erano riempite molte imprese.

4.2.2 L’integrazione intra-sfera

145

Il contesto ambientale nel quale prende consistenza il secondo stadio del

processo evolutivo dell’informatica aziendale non è molto dissimile da quello

precedentemente esposto a proposito della prima tappa. Fermi restanti i problemi

connessi agli alti costi dei sistemi, alla difficoltà del loro utilizzo, all’esclusività

delle offerte “tutto compreso” inizia a farsi largo qualche soluzione integrata tra

le applicazioni in uso, integrazione però limitata alle applicazioni a supporto di

attività afferenti alla medesima area funzionale. Con riferimento, per esempio,

all’area manufacturing, si poté assistere a esempi di integrazione fra:

• le applicazioni strettamente funzionali alle attività di progettazione (CAD)

e le applicazioni funzionali al processo di industrializzazione (CAM,

CAPP), allo scopo di rendere direttamente utilizzabili, nel processo di

creazione del ciclo di produzione e dei programmi per le macchine a

controllo numerico, i dati tecnici archiviati nei database delle applicazioni

CAD

• l’integrazione tra gli applicativi MRP – quelle applicazioni, cioè, che

supportano il processo di programmazione del fabbisogno dei materiali,

senza tener conto però dell’effettiva disponibilità di risorse che rendono

possibile le proposte di produzione – e le applicazioni CRP che, ricevendo

come dati di input il risultato dell’elaborazione MRP e confrontandoli con

le disponibilità effettive , calcolano l’effettiva realizzabilità della

programmazione

146

Apparvero addirittura, con il nome “closed-loop MRP”, dei sistemi integrati

MRP/CRP/SFC, con questi ultimi a supporto del controllo della produzione.

Questi sistemi sovrintendevano alla generazione di piani operativi, che

governavano l’allocazione degli ordini di produzione ai centri disponibili e il loro

sequenziamento nel tempo, attingendo sia ai risultati dell’elaborazione MRP

(esplosione dei fabbisogni), sia ai risultati dell’elaborazione CRP (livelli di carico

delle macchine disponibili), sia, per finire, ai risultati dell’elaborazione SFC

(precisa situazione inventariale ottenuta tramite un continuo aggiornamento dei

versamenti in produzione).

In tutti i casi appena esposti si presentò il problema di rendere utilizzabile

da più applicazioni il medesimo set di dati. La soluzione utilizzata fu la medesima

per tutte le esperienze di integrazione del periodo considerato: il ricorso ad un

medium che traducesse il significato del dato o dell’informazione trasferita da

un’applicazione all’altra, fermo restando che ogni applicazione continuava ad

insistere su di un proprio database. Tralasciando il caso dell’operatore umano, il

medium può assumere due sole forme:

• interfaccia software

• file neutro

La soluzione data, a prescindere dalla natura del medium e senza contare i

numerosi problemi sia sotto il profilo della manutenzione del sistema

infrastrutturale, sia sotto il profilo della velocità delle operazioni di scambio dei

dati, sia sotto il profilo della correttezza/coerenza dei dati, portò solamente ad una

147

forma di integrazione indiretta. Per ottenere una integrazione reale occorrerà

giungere ad una standardizzazione delle definizioni e delle strutture dei dati

attraverso un modello comune in cui siano precisamente specificate le definizioni

dei campi e dei record, la loro struttura e le regole per aggiornare i valori dei dati

[Heimbigner e McLeod, 1985; Litwin et al., 1990], in poche parole al database

unico.

4.2.3 L’integrazione inter-sfera

L’ultima fase del processo evolutivo descritto da Kaplinsky è

caratterizzata dalla ricerca di un’integrazione che vada oltre i confini funzionali.

Alla base di questa nuova fase c’è la consapevolezza emergente che il

miglioramento delle performance del sistema azienda sia direttamente

proporzionale al livello di coordinamento delle attività che l’azienda pone

quotidianamente in essere, a prescindere dall’area funzionale di appartenenza, e

che, a sua volta, tale coordinamento dipenda dal livello di integrazione delle

singole isole di automazione.

Da un punto di vista applicativo i migliori interpreti di questa nuova filosofia

furono i sistemi:

• CIM

• MRP II

• ERP

elencati secondo l’ordine temporale di apparizione sul mercato.

148

I sistemi CIM apparvero sul mercato in una varietà di configurazioni che

ne rende difficile la proposizione di un modello di riferimento. Accogliendo lo

schema di Arthur D. Little [1983] possiamo dire che essi erano dei sistemi che

prevedevano l’impiego, nella configurazione tipica, di sei differenti insiemi di

applicazioni basate sul computer (CAD, Group Technology, sistemi di

pianificazione e controllo della produzione, sistemi di movimentazione

automatica, CAM e robotica) applicate a tre sottosistemi del manufacturing

(progettazione del prodotto e del processo, pianificazione della produzione,

produzione in senso stretto). Come si vede si rimane confinati ancora nell’area

manufacturing, ma, a partire proprio da tali sistemi si iniziò a svilupparne di altri

che affiancavano agli applicativi CIM altri applicativi a supposto dei processi di

collaudo e controllo qualità (CAT, CAQ) o di attività finanziarie, amministrative

ed organizzative (CAO, CIB, CIE). Questi esempi rappresentano storicamente i

primi sistemi che cercarono di integrare le applicazioni informatiche a supporto

delle principali funzioni aziendali.

Parallelamente a questi sistemi si svilupparono i sistemi MRP II. Essi

rappresentano il punto di arrivo di un autonomo processo evolutivo iniziato con

le applicazioni MRP (prima fase evolutiva del modello di Kaplinsky) e

proseguito con le applicazioni MRP a circuito chiuso (seconda fase del modello

di Kaplinsky). Come diretti discendenti degli MRP “closed loop” ne

riproponevano le funzionalità alle quali tentarono di aggiungere quelle di:

149

• Pianificazione finanziaria, così da poter verificare le implicazioni

economico-finanziarie legate al rilascio di determinati piani di produzione

• Pianificazione più in generale di tutte le risorse produttive ritenute critiche

(fornitori o terzisti, capacità di stoccaggio, ecc.)

• Simulazione di tipo “what if”, che consente la verifica di diverse ipotesi

del piano di produzione

Precedentemente abbiamo parlato di un tentativo di aggiungere tutte queste

altre funzionalità. In realtà i presupposti di integrazione rimasero circoscritti alle

applicazioni di supporto ai processi di pianificazione e programmazione della

produzione. Le interazioni con le aree non produttive risultarono, in fatti,

funzionali all’alimentazione dei moduli applicativi del sistema MRP II, ma non

viceversa. I dati di output MRP II non potevano, cioè, essere utilizzati, in via

diretta, come dati di input per altre applicazioni. D’altra parte rimasero confinate

al piano teorico anche le altre promesse di integrazione con le applicazioni

funzionali ai processi di progettazione ed industrializzazione del prodotto (CAD,

CAM, CAPP) e con le applicazioni utilizzate nei processi amministrativi e

finanziari. La funzionalità di pianificazione finanziaria di cui si è parlato prima si

tradusse, in realtà, nella possibilità di valorizzare i piani di produzione e di

valutarne, utilizzando le potenzialità simulative, l’impatto sul profilo economico-

finanziario dell’azienda.

I sistemi MRP II introdussero, ciò nonostante, due elementi di profonda

differenziazione rispetto alle precedenti esperienze di integrazione, elementi che

150

caratterizzeranno anche il successivo evolversi dell’informatica aziendale. Tali

elementi sono:

• La modularità

• L’unicità del database su cui insistevano le applicazioni componenti il

sistema

La modularità consiste nella caratteristica dei sistemi MRP II di essere offerti

come insieme di moduli indipendenti, realizzati da un medesimo produttore, la cui

implementazione poteva avvenire in tempi successivi, mentre l’unicità dei

database permise finalmente di pervenire a quella standardizzazione semantica dei

dati e delle informazioni che, eliminando interfaccia e file neutri, rendeva

finalmente giustizia dell’ integrità e della coerenza dei dati e delle informazioni

archiviate.

Siamo così giunti a parlare dell’ultimo ritrovato dell’informatica per integrare

le applicazioni di supporto alle principali funzioni aziendali: i sistemi ERP.

Essi, oltre ad essere costituiti da moduli indipendenti insistenti su di un unico

database, si poterono avvalere, a differenza di tutto quanto visto fin’ora, di due

nuovi sviluppi dell’informatica:

• La nascita dei PC

• La nascita delle reti locali

Questi sviluppi permisero di soppiantare definitivamente la vecchia architettura

basata su mainframe e di sostituirla con la più efficiente, ed economica,

architettura client-server. In essa i vecchi terminali sono sostituiti da PC dotati di

151

un’autonoma capacità di calcolo (client) ed il mainframe è sostituito da un

computer che svolge specifiche funzioni all’interno della rete stessa (server).

Questa soluzione permise, oltre ad un consistente risparmio sul costo

dell’infrastruttura, il definitivo affrancamento dalla tirannia dei produttori “tutto

compreso”. Il software, comunque costosissimo e pertanto ad appannaggio

esclusivo della grande impresa, diventava indipendente dai componenti hardware

che con l’avvento dei PC si standardizzarono progressivamente. Ma questa è

anche l’era di altre innovazioni tecnologiche, che contribuirono a rendere più

semplice e potente l’ambiente informatico di lavoro. Solo a titolo di esempio si

pensi alle interfaccia grafiche, ai linguaggi di programmazione object-oriented, ai

database relazionali, al web.

Ciò premesso possiamo ora tornare ad occuparci dei sistemi ERP

analizzandone l’estensione delle attività interessate dall’integrazione. Esse

comprendono tutte le attività che configurano i processi di pianificazione e

programmazione della produzione ma si estendono anche a numerose altre attività

operative come la gestione dei magazzini, dei trasporti, della qualità e della

manutenzione oltre a tutta una serie di attività amministrative, commerciali,

finanziarie ed organizzative. La copertura dei sistemi ERP non si estende invece,

se non in misura assolutamente marginale, alle attività appartenenti ai processi di

progettazione ed industrializzazione del prodotto.

Prima di concludere il discorso sui sistemi ERP si rende necessaria una

breve disanima delle conseguenze organizzative legate all’implementazione di un

152

simile sistema. Questo perché i sistemi ERP introducono, grazie alle

caratteristiche già accennate (ampia copertura delle attività aziendali, architettura

client-server, integrazione nativa) un approccio diverso rispetto alla gestione delle

attività supportate e dei relativi flussi informativi. In fatti, fino all’avvento dei

sistemi ERP, la ricerca dell’integrazione era avvenuta solo con riferimento alla

variabile tecnologica, senza ipotizzare alcun intervento di natura organizzativa

legato ad una revisione dei processi aziendali. Ciò è testimoniato, tra gli altri

aspetti, anche dall’uso del modello piramidale per rappresentare le relazioni tra le

attività aziendali e l’architettura del sistema informativo. In pratica la struttura del

sistema informativo doveva aderire ai modelli di gestione propri dell’impresa.

Con l’introduzione dei sistemi ERP le cose cambiano radicalmente. In realtà

l’implementazione di tali sistemi induce ad un ripensamento della stessa

concezione di impresa. L’impresa non è vista più come un insieme di funzioni

indipendenti aggregate su base gerarchica ma come un sistema, cioè come

un’insieme di parti (processi) strettamente legate ed interdipendenti

rappresentabili attraverso un modello orizzontale piuttosto che verticale e

gerarchico. In conseguenza i ciò il problema dell’integrazione viene risolto non

agendo esclusivamente sulla variabile tecnologica ma ponendo, per la prima volta,

attenzione alla progettazione dei flussi fisici ed informativi. Nei sistemi ERP le

attività vengono aggregate rispetto a cicli omogenei di operazioni che si

sviluppano in modo trasversale rispetto alle unità funzionali, combinando in un

unico schema logico e applicativo i flussi di informazioni che accompagnano le

153

transazioni operative intersecando l’area della produzione, della logistica, della

contabilità, del controllo direzionale, del marketing, dell’amministrazione del

personale e così via. Ciò permette, in sostanza, di collegare in modo trasversale le

diverse funzioni aziendali che vengono quindi poste nelle condizioni di poter

dialogare in modo naturale attraverso la base dati comune, passando così

definitivamente da architetture gerarchiche ad architetture distribuite, sia in campo

informativo che organizzativo.

All’atto dell’implementazione di un’applicazione ERP occorre procedere

in via prioritaria a una chiara definizione , con successiva codifica, delle

procedure e delle prassi ammesse. Devono, fra gli altri, essere chiaramente

esplicitati:

• La sequenza delle attività che dovrà essere rispettata

• Il flusso dei documenti che interessa le diverse unità organizzative

• Le responsabilità associate a ciascuna fase in termini di esecuzione o

controllo

Ma nel fare ciò, l’impresa non è del tutto libera da vincoli, dovendosi

necessariamente muovere nell’ambito dei modelli predefiniti di gestione dei

processi, sulla cui razionalizzazione e messa a sistema si fonda di fatto

l’integrazione realizzata dai sistemi ERP, sovvertendo così il paradigma classico

secondo cui la struttura del sistema informativo dovesse adattarsi ai modelli di

gestione propri dell’azienda. Un sistema integrato impone la propria logica

mettendo a disposizione modalità di gestione e trattamento di dati ed informazioni

154

cui l’impresa deve necessariamente adattarsi, e una propria disciplina sia nella

gestione delle relazioni aziendali, sia nell’impostazione delle prassi operative. Se

da un lato, questa caratteristica introduce certamente una qualche rigidità,

dall’altro permette all’azienda di accedere alle best practice formalizzate proprio

nei modelli proposti.

Alla luce di quanto esposto non deve sorprendere che l’implementazione

di un sistema ERP rientri spesso nell’ambito di un progetto TQM (Total Quality

Management) o di BPR (Business Process Reengineering).

4.2.4 Oltre il modello di Kaplinsky: la quarta tappa

Per concludere la nostra trattazione sull’evoluzione dell’informatica

aziendale è necessario un accenno ad una nuova tendenza manifestatasi dopo gli

studi di Kaplinsky cui fin’ora si è fatto riferimento. Negli ultimi anni, parliamo

degli anni 90, hanno fatto apparizione sul mercato due nuove famiglie di

applicativi. Essi sono:

• I sistemi PDM (Product Data Management)

• I sistemi SCM (Supply Chain Management)

Rispondendo ad una esigenza apparsa recentemente, e di cui si è già

ampiamente discusso, entrambi i sistemi tentano di superare i limiti

dell’integrazione inter-sfera, pur sempre confinata fra le mura della struttura

aziendale, per tentare di coordinare attività e processi che avvengono nell’intera

supply chain e che, come tali, coinvolgono più soggetti e relativi sistemi

155

informativi. Proprio questa caratteristica spiega anche il ricorso massiccio che

questi applicativi fanno alle tecnologie web, a partire dall’utilizzo di architetture

intranet/extranet per le reti aziendali al posto delle classiche Ethernet, FDDI,

ATM e via dicendo. In altre parole, con questi applicativi si cerca di proporre

schemi e modelli organizzativi che siano validi per più soggetti, al fine di

aumentare la prevedibilità dei comportamenti, il coordinamento delle attività, la

trasparenza dei flussi fisici ed informativi, e ridurre l’incertezza.

In oltre con tali sistemi si cerca di superare i limiti insiti nelle applicazioni

precedenti, superando, ad esempio, la frattura esistente nei sistemi ERP tra

progettazione ed industrializzazione del prodotto da un lato (con i sistemi CAD,

CAM, CAPP), e programmazione e controllo della produzione dall’altro

(MRP/CRP). In pratica si tenta anche di ampliare l’estensione dell’integrazione

inter-sfera.

Più in particolare i sistemi PDM puntano all’integrazione dei dati di canale

sulla base del prodotto di appartenenza, permettendo in tal modo l’interoperatività

delle varie applicazioni che tali dati utilizzano, mentre i sistemi SCM offrono

specifiche funzionalità a supporto dei processi:

• Previsionale

• Order processing

• Pianificazione della produzione, con la sostituzione delle applicazioni

MRP da parte delle più evolute APS ( Advanced Planning System)

156

ovviamente con il concorso dei dati e delle elaborazioni di tutti i principali

soggetti della supply chain.

Quanto esposto, sebbene non abbia pretese di esaustività, può senz’altro

bastare a chiarire le tappe principali dell’evoluzione dell’informatica aziendale ed

a tratteggiare le caratteristiche principali dell’odierno contesto. Possiamo quindi

passare allo studio concreto del flusso di bit di cui ci eravamo riproposti

un’analisi.

4.3 La raccolta delle informazioni dal cliente

Nel corso della discussione portata avanti nei capitoli precedenti si è più

volte ribadita l’importanza del cliente nel guidare tanto i processi strategici quanto

quelli operativi. Infatti, sia nel definire la SCM sia nel definire la logistica si è

ribadito come il conformarsi alle richieste del cliente sia l’obiettivo fondamentale

di entrambe. Si è visto come stanno cambiando le strategie di marketing dove il

passaggio da un’ottica di tipo push ad una di tipo pull è oramai un dato di fatto per

molte realtà aziendali. Si è visto inoltre come, per raggiungere con successo gli

obiettivi strategici ed operativi che accompagnano l’implementazione della SCM,

sia indispensabile conoscere in tempo reale le effettive richieste del mercato. Alla

luce di ciò non deve sorprendere come la nostra esplorazione del flusso

informativo che guida il flusso fisico nella supply chain e dell’infrastruttura

informatica che lo supporta parta dall’ultimo movimento del flusso fisico che

attraversa la supply chain, e cioè dalla consegna del prodotto finale al

157

consumatore. Questo passaggio rappresenta contemporaneamente sia l’ultimo

stadio del flusso fisico sia il primo del flusso informativo, flusso quest’ultimo,

come già più volte ribadito, di fondamentale importanza per guidare, in tempi e

quantità, i processi produttivi e distributivi affinché il prodotto giusto sia nel

luogo giusto al momento giusto.

Come il caso WL – CVS mostra chiaramente, ogniqualvolta un prodotto

finale viene consegnato al cliente tale dato deve essere registrato e trasmesso agli

attori a mante nella supply chain. In particolare la disponibilità di tali dati

permette di conoscere, tramite opportune elaborazioni:

• La situazione delle scorte a scaffale, la quantità esposta e la correlazione

tra le categorie di prodotto

• La variabilità delle vendite all’interno del mese, della settimana o del

giorno

• I successi o gli insuccessi delle vendite dei diversi articoli, per varianti

proposte

• La risposta alle variazioni di prezzo, al posizionamento dei prodotti ed agli

investimenti promozionali

Tali dati possono e devono essere utilizzati per gestire i rifornimenti e le

scorte dei prodotti stessi. Essi, infatti, possono essere inviate ai produttori o ai

distributori affinché sincronizzino su di essi i rispettivi processi ed eseguano il

ripristino del venduto. In tal modo, attraverso la realizzazione di un sistema di

coordinamento del canale, che va direttamente dal produttore alla vetrina saltando

158

talvolta il passaggio per il centro di distribuzione, è possibile pervenire ad una

riduzione del numero dei magazzini intermedi, dell’entità degli stock e del tempo

di fornitura [Sabath, 1995; Ferrozzi, Hammond, Shapiro, 1993].

Solo una condivisione di queste informazioni permette a tutti gli attori del canale

di avere una visione della domanda finale più aderente alla realtà ed impedisce la

diffusione a monte di informazioni distorte o amplificate.

Il flusso informativo parte dunque dall’ultimo anello della catena logistica per

risalire la corrente fino al fornitore di materie prime, seguendo, in tal modo, un

percorso inverso rispetto a quello seguito dal flusso fisico.

Per una effettiva riorganizzazione della filiera è quindi necessario partire dalle

esigenze e dalle richieste del cliente, come insegnano i fondamenti teorici della

SCM. E’ proprio dal cliente, in fatti, che parte quel flusso di informazioni che,

come già più volte ricordato, deve guidare l’azione coordinata di tutti gli attori

della filiera. Per ottenere questo obbiettivo è quindi necessario permettere a tutti i

membri della supply chain l’accesso alle informazioni sul sell-out, cioè ai dati sul

venduto al consumatore finale. Questo modo di operare, sebbene intuitivamente

vantaggioso, rappresenta in realtà un importante elemento di discontinuità rispetto

al modo in cui gli attori della catena logistica si sono da sempre rapportati

reciprocamente. Tradizionalmente, infatti, ogni membro della filiera ha operato

cercando di ottimizzare solo i propri obbiettivi, sviluppando così situazioni

antagoniste con i vicini di filiera. Ogni attore del canale si è fatto guidare dal sell-

in, cioè dalle informazioni di vendita al cliente di canale attiguo, e non ha avuto a

159

disposizione il sell-out, patrimonio esclusivo della distribuzione. Il risultato di

queste zone d’ombra all’interno della filiera è stato un gigantesco spreco di

energie e di denaro, a causa di errori di previsione ed inefficienze del sistema

logistico. Infatti, con un tale approccio l’incertezza della domanda cresce e

l’affidabilità delle previsioni decresce a mano a mano che ci si sposta sempre più

a monte nella supply chain. Il sistema illustrato, inoltre, reagisce molto lentamente

e in ritardo rispetto alle fluttuazioni del mercato. Ai fini di una più chiara

comprensione di quanto si sta esponendo si riconsideri la supply chain WL – CVS

descritta nel primo paragrafo e si supponga che al suo interno i partner non

condividano i dati sul sell – out ma che ogn’uno agisca isolatamente e basando le

proprie previsioni esclusivamente sui dati relativi al sell – in. Si supponga adesso

che le vendite della listerina diventino elevate a causa di fattori improvvisi ed

imprevisti e che a seguito di ciò il dettagliante emetta degli ulteriori ordini al

centro di distribuzione CVS. A questo punto potrebbero verificarsi due ipotesi:

• Le scorte del distributore sono sufficienti per fronteggiare gli ulteriori

ordini

• Le scorte del dettagliante non sono sufficienti per fronteggiare la crescita

della domanda

Nel primo caso gli effetti dell’improvviso cambiamento della domanda si

fermerebbero a questo stadio della filiera ma nel secondo caso continuerebbero ad

espandersi per la supply chain amplificandosi ad ogni passaggio da un partner

all’altro. Infatti, in questa seconda ipotesi il centro di distribuzione della CVS

160

emetterebbe un ordine alla WL. Questa, a sua volta, emetterebbe un ordine ad uno

dei fornitori dei vari ingredienti della listerina solamente quando il livello di

scorta di quel determinato articolo dovesse raggiungere il rispettivo livello di

riordino e quando venisse generato un nuovo piano di produzione [Sabath, 1995].

Se quindi il trend di vendita dovesse continuare, il sistema lo seguirebbe in

ritardo. A causa di ciò il sistema induce l’effetto Forrester di amplificazione delle

oscillazioni della domanda finale [Forrester, 1958; Montgomery & Porter, 1993].

L’effetto Frrester, già incontrato nel terzo capitolo, è un fenomeno che si riscontra

specialmente nei canali in cui ciascun operatore regola la propria produzione e i

propri livelli di scorte sulla domanda dei suoi partner a valle, piuttosto che sulla

domanda dei consumatori finali. In tali sistemi non è raro notare come una

variazione del 5% della domanda presso il punto vendita generi una variazione

della domanda del 30-40% a livello dei produttori delle materie prime [Ferrozzi,

Hammond, Shapiro, 1993]. Ciò è dovuto soprattutto all’effetto distorcente delle

diverse e non coordinate politiche di riordino lungo la filiera ed al fatto che

nell’ordine non si distingue la parte connessa alla variazione della domanda da

quella associata a semplice variazione del livello dello stock di magazzino

[Wikner, Towill, Naim, 1991].

È evidente quindi che, al di là delle difficoltà organizzative all’adozione di un

paradigma operativo che faccia leva sull’integrazione e sulla condivisione di

informazioni, esistono anche notevoli ostacoli di carattere culturale connessi ad

anni di relazioni antagoniste basate su di una scarsa fiducia reciproca, ostacoli il

161

cui superamento, sebbene necessario, non sarà di facile ed immediata soluzione

aggiungendo, in tal modo, nuovi problemi all’implementazione di sistemi

operativi e strategici realmente integrati.

Venendo all’analisi dell’infrastruttura informatica necessaria a supportare

quanto visto fino ad ora possiamo dire che le tecnologie per realizzare questo

scambio informativo sono sostanzialmente tre [Vinelli e Forza, 1996]:

• Codici a barre (vedi fig. 4.2)

• Scanner e raccolta dei dati dal punto vendita (Point of Sale - POS) (vedi

fig. 4.3)

• Scambio informativo per via elettronica (Electronic data Interchange -

EDI)

I codici a barre permettono di identificare gli articoli, i sistemi POS

permettono di leggere i codici a barre evitando l’immissione manuale dei dati e le

Fig. 4.2 – Esempio di codice a barre; Fonte: Mertenz (1999)

162

tecnologie EDI permettono il trasferimento elettronico dei dati raccolti in

precedenza. Abbinando, nel punto vendita, l’uso dei codici a barre con le

tecnologie POS ed EDI, tanto il dettagliante quanto il distributore, oltre che essere

le informazioni a monte. Da notare che l’adozione dei codici a barre e degli

strumenti di lettura (scanner), inizialmente introdotti al solo scopo di permettere la

fatturazione automatica, rappresenta il primo, imprescindibile, passo per la

condivisione delle informazioni tra gli operatori della filiera, ovviamente associata

ad una tecnologia di tipo EDI.

Fig 4.3 – POS e flussi informativi; Fonte: Mertenz (1999)

163

In pratica, ogni cassa di ciascun punto vendita dovrebbe essere dotata di un

apposito scanner in grado di leggere i codici a barra apposti sui singoli articoli.

Quando il codice a barre viene letto dallo scanner il dato viene registrato da un

computer che annota ogni notizia relativa a quel prodotto. Dall’informazione

memorizzata si può risalire al produttore dell’articolo, alla data di fabbricazione,

al prezzo, alla data di vendita, ecc.

Tale sistema ha enormi potenzialità di controllo delle informazioni ed il suo

impiego si sta rapidamente diffondendo. Infatti l’avvento delle tecnologia POS

permette di controllare, istante per istante, l’esistente a magazzino tanto presso il

punto vendita quanto, per aggregazione, presso il distributore. Il POS con scanner

viene così impiegato per concretizzare il principio del ripristino del venduto, per

cui ogni qual volta il livello delle giacenze raggiunge il minimo stabilito, scatta

automaticamente la richiesta di riordino. Il riassortimento continuo degli scaffali

(continous replenishment) sostituisce i magazzini nel retro del negozio ed evita, o

quanto meno riduce, forniture superiori ai consumi previsti. Il perseguimento

operativo di una simile strategia, volta al contenimento della variabilità della

domanda, si basa, inoltre, su di una riduzione a monte dei lotti minimi in

produzione/distribuzione con conseguente riorganizzazione del sistema

produttivo/distributivo verso una maggiore frequenza delle consegne e una

compressione dei tempi di consegna, in altre parole su di una maggiore

flessibilità, ma questa, come già detto nell’introduzione al capitolo, è un’altra

storia.

164

Il coordinamento di canale, quindi, che può sembrare un fatto essenzialmente

fisico, viene in realtà governato da uno scambio informativo completo e

tempestivo. Tale sistema di gestione del magazzino presso il punto vendita, basato

su di una stretta cooperazione tra produttore, distributore e dettagliante , prende il

nome di VMI (Vendor Manages Inventory) e presuppone l’utilizzo di comuni

standard di comunicazione che permettano ai rispettivi sistemi informativi di

scambiarsi informazioni e, soprattutto, di interpretarne correttamente il

significato. In tal senso, il ricorso a sistemi PDM o SCM, descritti in precedenza,

può rappresentare un valido supporto.

L’ impiego di codici a barre, POS e sistemi EDI porta con se anche altri

vantaggi, oltre a quelli associati alla riduzione degli stock, alla migliore

programmazione della produzione, delle spedizioni e dei trasporti, che è bene

sottolineare per l’incidenza che hanno sia in termini di costo che di qualità

erogata.

Per quel che riguarda il primo aspetto basti considerare che, mediamente, il

25% dei costi di transazione è rappresentato dalle fasi di data entry e re-entry

comunemente svolte manualmente, costi che aumentano in caso di errori e

conseguenti correzioni.. I sistemi POS automatizzano l’attività di data entry ed

eliminando gli errori alla radice evitano le attività di re-entry, aumentando il

volume delle informazioni scambiate nell’unità di tempo (aumento della

produttività).

165

Per quel che riguarda la qualità, notevoli benefici si ottengono grazie alla

riduzione degli errori nell’immissione dei dati ed all’incremento della velocità

nell’immissione degli stessi e nel loro trasferimento agli attori della filiera.

L’interscambio elettronico dei dati, acquisiti automaticamente via scanner,

semplifica ed automatizza le procedure aziendali per lo scambio di quelle

informazioni che in precedenza erano trasmesse su supporti cartacei. Tramite

queste tecnologie, i rapporti tra gli attori della catena diventano più veloci e diretti

con conseguente aumento della qualità del lavoro svolto.

In conclusione, codici a barre, POS e sistemi EDI sono i primi elementi

dell’infrastruttura informatica aziendale e della supply chain. Il loro utilizzo è

riscontrabile un po’ ovunque, non solo presso le casse dei punti vendita o nei

magazzini del distributore. Infatti, come sarà visto nel seguito, i codici a barre e i

POS sono utilizzati in genere per il censimento e il controllo, in punti significativi

del flusso, degli oggetti fisici che attraversano la supply chain così da conoscere,

ad esempio, in tempo reale l’entità degli stock e alimentare con dati aggiornati i

sistemi per la programmazione della produzione e la verifica della disponibilità di

risorse. I sistemi EDI sono costituiti, invece, dagli elementi hardware e software,

nonché dall’insieme di standard e protocolli che rendono possibile il collegamento

in rete delle stazioni di lavoro.

Ciò detto andiamo a veder adesso quali strumenti informatici vengono

utilizzati dal manufacturer per elaborare le informazioni raccolte via POS e

trasmesse a mezzo EDI dalla distribuzione al fine di coordinare ed ottimizzare il

166

processo produttivo, e il flusso fisico che l’attraversa, e produrre solo ciò che è

realmente richiesto.

4.4 Pianificazione dei materiali e della capacità produttiva

Abbiamo detto in apertura del presente capitolo che l’obbiettivo di fondo

di una supply chain che si prefigga di ridurre i costi di inventario senza incrinare i

livelli di servizio è quello di produrre e distribuire i propri prodotti solo quando se

ne presenti una richiesta reale, implementando un approccio operativo che

abbiamo definito “on demand”.

Abbiamo anche già detto più volte che un simile approccio pone il cliente

al centro dei processi strategici ed operativi della supply chain e nel paragrafo

precedente abbiamo iniziato a vedere in che modo ciò si traduca da un punto di

vista prettamente operativo. In particolare le informazioni relative all’effettivo

andamento delle vendite al cliente finale, il cosiddetto sell – out, assumono a

questo fine un’importanza strategica. Sempre nel paragrafo precedente si è visto

come queste informazioni vengano di fatto raccolte e come vengano

successivamente messe a disposizione dei partner a monte tramite il ricorso a

sistemi EDI. È ora giunto il momento di vedere in che modo queste informazioni

vengono utilizzate una volta immesse nel sistema informativo del manufacturer e

di quali applicazioni lo stesso manufacturer si serva per elaborarle e produrre solo

quello che, in un dato periodo, il mercato richiede ed è pertanto in grado di

167

assorbire, il tutto contenendo al minimo i livelli di inventario propri e degli

operatori a valle e a monte.

Al fine di rispondere più o meno efficacemente alle richieste del mercato il

manufacturer deve dar vita a tre attività distinte ma indissolubilmente interrelate.

Tali attività, elencate in ordine di successione temporale, sono:

• Previsione della domanda

• Pianificazione dell’uso delle risorse aziendali e programmazione delle

attività operative

• Esecuzione delle attività programmate e relativo controllo

Ovviamente l’ordine temporale delle suddette attività deve essere considerato

elasticamente essendo ciascuna di esse soggetta a continue verifiche e controlli i

quali potrebbero dar vita a modifiche ed aggiustamenti che , a prescindere

dall’attività oggetto di specifica revisione, coinvolgerebbero inevitabilmente

anche le altre in un processo iterativo di tipo circolare.

Iniziando dall’attività previsionale, appare evidente come previsioni accurate e

aggiornate periodicamente, tradotte in un piano della domanda, siano essenziali

per la preparazione e la gestione delle scorte e del livello di servizio [Giordano,

1994]. A tal fine risulta determinante la tempestività delle informazioni inviate

dalla distribuzione (sell – out). I dati vengono processati attraverso apposite

applicazioni autonome o moduli dedicati dei sistemi integrati ERP, SCM e PDM.

Qual’ora si ricorra ad una soluzione integrata, in oltre, è possibile confrontare

continuamente le previsioni con i risultati dei moduli addetti alla programmazione

168

della produzione (Closed loop MRP, MRP II, ERP, SCM, PDM) avviando così un

processo continuo di feedback. Infatti, e come già detto, tali soluzioni sono le sole

che supportano l’automazione dell’interpretazione delle informazioni e

consentono ai vari moduli per la pianificazione e la schedulazione della

produzione, per le previsioni, per la gestione degli approvvigionamenti, delle

scorte e degli acquisti di comunicare direttamente.

Inoltre, sempre nell’ambito delle soluzioni integrate, nel momento in cui il

distributore emette l’ordine di fornitura, i volumi e gli articoli richiesti vengono

confrontati con il profilo tracciato in fase di pianificazione. Con i successivi ordini

di riassortimento si scalano i versamenti effettuati dal fabbisogno complessivo

previsto e si valuta l’andamento delle vendite effettive con quelle previste,

Verifica scostamenti

Ritaratura dei fabbisogni e dei profili

Definizione scorte di sicurezza

Profilo iniziale

Ordini effettivi

Scorte iniziali

Fig 4.4 – Verifica degli scostamenti e definizione dei livelli di sicurezza; Fonte:Vinelli, Forza, !996

169

evidenziando eventuali scostamenti e proiettando i fabbisogni dei periodi

successivi. In base all’analisi degli scostamenti tra previsioni ed ordini effettivi,

Piano della Domanda

Piano Aggregato (PP)

Piano Principale (MPS)

Pianificazione Fabbisogno di materiale (MRP)

Richiesta di

acquisto

Proposta di Ordine

Verifica disponibilità risorse (RRP)

Verifica grezza capacità produttiva (RCCP)

Pianificazione Fabbisogno capacità produttiva (CRP)

Pianificazione della capacità

Fig. 4.5 – Il processo di pianificazione; Fonte: Secchi, 2000)

170

vanno ritarate le scorte di sicurezza a magazzino prodotti finiti nonché i piani di

produzione (si veda in proposito fig. 4.4).

Venendo adesso all’attività di pianificazione occorre innanzitutto ricordare

come essa sia funzionale all’adozione del metodo flow control per la gestione dei

flussi fisici interni alla supply chain. Come già detto in precedenza, il metodo

flow control per la gestione dei materiali da impiegare nei processi di

approvvigionamento, produzione e distribuzione all’interno della supply chain,

pone l’accento sul concetto di flusso, intendendo per esso “il movimento

ininterrotto dei materiali che vanno ad alimentare i vari stadi della catena

logistica al fine di soddisfare una determinata tempificazione dei fabbisogni,

calcolati in base alla richiesta finale effettiva o in funzione di previsioni

attendibili della richiesta stessa” [Secchi, 2000]. Tale modalità di operare

presuppone, tuttavia, che vi sia un processo formalizzato di pianificazione che

trasformi le previsioni sui potenziali consumi in coerenti piani di produzione volti

ad assicurare la disponibilità dei materiali nei nodi della supply chain [Bonel,

1989; Zanoni, 1989].

Il processo di pianificazione (fig. 4.5) si articola in una serie sequenziale di

fasi distinte, sebbene fortemente interrelate, caratterizzate da un crescente livello

di dettaglio circa l’oggetto e l’orizzonte temporale di riferimento [Da Villa, 1991].

Con riferimento al modello gerarchico5 [Vollmann et al., 1992], caratterizzato da

5 È bene ricordare che l’organizzazione del processo produttivo è fortemente firm-specific in quanto dipende in misura sostanziale dalle caratteristiche del prodotto da realizzare, dal grado di flessibilità/elasticità che caratterizza il sistema produttivo, dalle modalità con cui si intende rispondere alle richieste del mercato, dalla natura della domanda ecc. Per tali ragioni si è ritenuto

171

un sufficiente livello di generalità, le fasi di tale processo possono essere così

suddivise:

• Piano della domanda (analizzato in precedenza) che, come già detto

costituisce la fase di input del processo di pianificazione, in quanto riporta

le informazioni relative alle richieste provenienti dal mercato. Tali

richieste possono essere la sintesi tra la domanda futura, che la funzione

commerciale cerca di anticipare, e la domanda effettiva espressa dal

mercato, già tradotta in specifici ordini. L’attività previsionale è

funzionale alla formulazione sia del piano aggregato (con riferimento ad

un orizzonte di lungo termine), sia del piano principale di produzione (con

riferimento ad un orizzonte di medio termine).

• Piano aggregato di produzione che definisce il programma delle attività

produttive nel lungo termine6. Il piano aggregato determina con dettaglio

solitamente mensile o trimestrale le quantità da produrre e, di

conseguenza, gli impegni di capacità produttiva necessari per soddisfare i

fabbisogni previsti nel piano della domanda.

• Verifica della disponibilità di risorse produttive, volta a valutare se vi

sono in azienda sufficienti disponibilità di risorse per far fronte al piano

opportuno fare riferimento a un modello che ha il pregio di mantenere una buona capacità interpretativa delle problematiche di pianificazione anche quando si prendono in considerazione tipologie produttive diverse. È naturale che quanto più si approfondisce l’analisi di uno specifico contesto produttivo, tanto più il modello perde efficacia nello spiegare le singole peculiarità. In questi casi occorre tenere in considerazione le varianti al modello che sono state sviluppate nel corso degli anni [Scott, 1994].

172

così definito. La verifica riguarda generalmente le risorse aziendali

maggiormente critiche (di natura produttiva o finanziaria, quelle

dipendenti dai fornitori, le disponibilità di spazio, ecc.). Volendo

focalizzare l’attenzione solamente sulle risorse produttive, la verifica

richiede la trasformazione del piano aggregato in fabbisogni di Capacità

Produttiva Necessaria (CPN), espressi nella più appropriata unità di

riferimento, il successivo confronto, periodo per periodo, tra fabbisogno

(CPN) e disponibilità di risorse produttive (CPD – Capacità Produttiva

Disponibile) e la decisione di eventuali riconciliazioni a fronte di

incoerenze tra fabbisogno e disponibilità.

• Piano principale di produzione, che è il risultato della disaggregazione

del piano di lungo termine in un piano più dettagliato, sotto il profilo sia

dell’orizzonte temporale, sia degli oggetti considerati.

• Verifica grezza di capacità produttiva, finalizzata alla valutazione della

congruenza tra capacità e disponibilità di risorse produttive in relazione

all’orizzonte di programmazione e ai centri di produzione interessati dal

piano principale di produzione. Si tratta comunque di una verifica “grezza”

in quanto non tiene in considerazione il carico generato sui singoli centri

in funzione del ciclo di lavoro [Vollmann et al., 1992]. Un riscontro

positivo permette di passare dal piano principale “pianificato” al piano

6 Solitamente ciò significa riferirsi ad un arco temporale pari a 6-12 mesi, anche se occorre sottolineare l’impossibilità di una definizione di lungo termine che abbia validità generale per qualsiasi impresa.

173

principale “autorizzato”, che diventa l’input ufficiale per dar corso alla

successiva fase del processo di programmazione [Da Villa, 1991].

• Pianificazione del fabbisogno dei materiali, con cui si definiscono le

proposte relative agli ordini di lavoro per i codici realizzati internamente,

oppure gli ordini di acquisto per i codici approvvigionati. Il calcolo dei

fabbisogni avviene generalmente mediante il sistema MRP (Material

Requirements Planning) che, con riferimento al piano principale, esplode

la distinta base e determina il fabbisogno di tutti i materiali necessari alla

realizzazione del prodotto finito. Tali fabbisogni vengono poi anticipati nel

tempo per tenere opportunamente in considerazione i lead time necessari

per l’esecuzione delle attività di trasformazione e di approvvigionamento

[Orlicky, 1975].

• Pianificazione del fabbisogno di capacità, che si pone l’obbiettivo di

verificare, con un elevato grado di dettaglio, se la capacità disponibile

presso i centri di produzione è sufficiente per realizzare gli ordini di lavoro

proposti dal sistema MRP. In termini analitici, il calcolo dell’impegno di

capacità per ogni centro viene effettuato, per ciascuno degli ordini che

cadono all’interno dell’orizzonte di riferimento, attraverso una

schedulazione di tutte le operazioni previste dal ciclo di produzione

[Vollmann et al., 1992].

In altre parole, il processo ha avvio con l’elaborazione del piano della

domanda da parte della funzione commerciale. Da tale piano scaturisce poi la

174

formulazione del piano aggregato di produzione (Production Plan – PP), che è

finalizzato alla traduzione delle previsioni di vendita in impegni di produzione su

di un orizzonte di lungo termine. Successivamente si provvede ad una prima

verifica di fattibilità, confrontando il fabbisogno di capacità produttiva, così come

emerso dalle fasi precedenti, e la capacità produttiva disponibile. Se l’esito della

verifica è positivo, o dopo gli opportuni aggiustamenti nel caso opposto, si

procede con la fase di sviluppo del piano principale di produzione (Master

Production Schedule) con il quale vengono dettagliati i piani di produzione con

riferimento al medio termine. Si tratta cioè di esplicitare con un maggior livello di

dettaglio quanto contenuto del piano aggregato di produzione e con riferimento ad

un orizzonte temporale più limitato, stabilendo non solo le quantità da produrre

ma specificando l’entità dei lotti e le alternanze di produzione in modo da saturare

la capacità produttiva e ottenere un efficace livellamento dei carichi. L’MPS così

ottenuto viene quindi sottoposto nuovamente a verifica di fattibilità. Tale verifica,

effettuata con ricorso a specifici moduli software chiamati RCCP (Rough Cut

Capacity Planning), come già detto, è detta “grezza” in quanto non tiene in

considerazione il carico generato sui singoli centri in funzione del ciclo di lavoro.

In fine, superata la verifica, l’MPS diventa autorizzato ed è quindi possibile

procedere all’esplosione dei fabbisogni di materiali e componenti attraverso il

sistema MRP, esplosione da sottoporre anch’essa a verifica di fattibilità,

utilizzando questa volta i sistemi CRP (Capacity Requirements Planning).

175

Quella appena descritta è la descrizione del processo attraverso il quale si giunge a

fissare temporalmente gli impegni delle risorse produttive in modo che le

scadenze previste per le varie fasi del ciclo di acquisto, trasformazione e

distribuzione siano correttamente rispettate. Solo attraverso un’attenta

pianificazione e il rispetto di quanto in essa fissato è, infatti, possibile assicurare

la fluidità del flusso di atomi all’interno della supply chain ed evitare la

formazione di stock non previsti ex-ante lungo i nodi della stessa.

In fine, poiché l’orizzonte temporale più breve considerato nel processo di

pianificazione è il medio termine, prima di procedere all’attuazione dei piani di

produzione si rende necessaria un’ulteriore fase di disaggregazione con

riferimento al breve o brevissimo periodo. A tal proposito, gli ordini di lavoro,

relativi a tutti i materiali che devono subire, secondo quanto pianificato dal

sistema MRP, una fase di fabbricazione o di assemblaggio, sono oggetto di un

successivo stadio di programmazione che ha il compito di definire in dettaglio il

loro avanzamento all’interno del sistema produttivo. Si tratta della

programmazione operativa, detta anche programmazione di dettaglio o scheduling

[Brandolese et al., 1991], che abbraccia, per l’appunto, un orizzonte temporale di

breve o brevissimo periodo ed è caratterizzata da un elevato grado di dettaglio, sia

con riferimento alle risorse considerate (specifiche unità produttive, siano esse

reparti, linee o singoli impianti), sia con riferimento all’oggetto (i singoli ordini di

lavoro).

176

Nella prassi si è soliti distinguere il piano delle operazioni terminali (FAS

– Final Assemble Schedule), che ha per oggetto le fasi di coda (assemblaggio e

fabbricazione terminali di codici di prodotto finito), dalle attività di scheduling in

senso stretto, che interessano le operazioni di testa (lavorazioni su componenti

collocati ai livelli inferiori della distinta base e quindi relativi a fasi di monte del

processo produttivo) [Grando, 1995]. Tale distinzione si rende opportuna per via

del dissalineamento temporale che si verifica tra la programmazione delle fasi di

testa, che devono essere lanciate in anticipo per effetto della precessione dei lead

time, e delle fasi di coda, in cui il pianificatore deve assicurare il rispetto degli

“appuntamenti” tra tutti i codici di distinta base che servono per realizzare il

prodotto finito.

4.5 Il controllo della produzione

Quello descritto nel paragrafo precedente è, sostanzialmente, il processo

che dà come output un “progetto” del flusso fisico che attraversa la supply chain.

In seguito questo progetto sarà realizzato attraverso quelle attività, come la

produzione, l’approvvigionamento, le attività di magazzino, che concretamente

danno vita a questo flusso e che realmente spostano gli atomi da monte a valle.

Quel progetto, lo si è visto, è stato costruito principalmente sulla base dei dati sul

sell – out, ma essi da soli non bastano ad assicurare la realizzabilità e la

realizzazione del progetto stesso. Occorre continuamente alimentare i moduli che

177

sovrintendono al processo di pianificazione e di emissione automatica degli ordini

di approvvigionamento anche con le informazioni relative alle reali consistenze

del magazzino, allo stato del wip, allo stato di avanzamento delle lavorazioni.

Cosi come visto in precedenza per la rilevazione dei dati sul venduto, è necessario

anche in questo caso il ricorso ad un’apposita infrastruttura hardware e software,

istallata prevalentemente nei magazzini in entrata e lungo le linee di produzione,

per rilevare e controllare il reale flusso di atomi, si tratti di materiali in arrivo dai

fornitori o wip in attesa tra due macchine.

Per rendere più agevole l’esposizione di questo passaggio analizziamo

separatamente la parte di flusso che si snoda lungo le linee produttive rispetto a

quella che prende vita nei magazzini. Di seguito verrà analizzato il primo punto,

mentre per il secondo si rimanda al paragrafo successivo.

Per controllo della produzione si intende “l’insieme delle attività volte a

verificare che le diverse fasi del processo produttivo siano svolte nei tempi e nelle

modalità previste dal programma di produzione” [Bonel, 1989]. L’attenzione è

rivolta non solo al controllo delle operazioni di produzione, ma anche alle

condizioni in cui esse si svolgono. Ciò significa procedere ad una serie di

rilevazioni che riguardano nel complesso [Balbiano, 1980]:

• L’avanzamento delle lavorazioni

• Le attività svolte dal personale

• Lo stato delle macchine e degli impianti

178

Fra le tre serie di rilevazioni quelle che più interessano ai nostri fini sono

sicuramente le prime. Infatti, l’avanzamento delle lavorazioni riveste un ruolo

fondamentale all’interno del processo di pianificazione e programmazione della

produzione poiché permette di monitorare costantemente i flussi produttivi e di

mettere in atto le azioni correttive più opportune per fronteggiare eventuali

problemi. La verifica dell’avanzamento presuppone la segnalazione dell’avvenuto

passaggio del materiale in corso di lavorazione attraverso step significativi del

processo produttivo. Il numero e il tipo di tali step può variare significativamente

in relazione all’ambiente operativo, alle modalità di lavorazione e

all’organizzazione esistente, tuttavia è necessario almeno provvedere alla

segnalazione dei momenti di inizio e di fine delle singole lavorazioni. Un sistema

più complesso ed esaustivo può riguardare, oltre alle lavorazioni, le seguenti

segnalazioni [Balbiano, 1980].

• Inizio e fine dell’attrezzaggio

• Interruzione e ripresa della lavorazione

• Denuncia di produzione parziale

• Inizio del trasporto

• Arrivo del materiale al centro di lavorazione

• Inizio e termine delle attività di manutenzione

• Denuncia dei risultati del collaudo

Il sistema di controllo dell’avanzamento può interfacciarsi inoltre con il

sistema di pianificazione al fine di [Scott, 1994]:

179

• Confermare tutti gli eventi previsti. Ciò riguarda, in prima istanza, il

completamento degli ordini di produzione interni, in modo da aggiornare il

database su cui si appoggia il sistema MRP e rendere di conseguenza più

realistici i piani elaborati a ogni esplosione dei fabbisogni

• Notificare tutti gli eventi imprevisti. Questi potrebbero includere, ad

esempio, differenze tra quantità ordinate/programmate e quantità

ricevute/prodotte o quantità dichiarate difettose a seguito di un controllo

qualità

Questi dati, opportunamente elaborati, risultano necessari sia per la

consuntivazione del ciclo di pianificazione, attraverso l’accertamento degli

scostamenti tra valori rilevati e valori attesi, sia per l’elaborazione di un nuovo

ciclo, allorché si siano manifestate specifiche situazioni che richiedono interventi

ad hoc (ad esempio, la sopraggiunta indisponibilità di un centro di lavoro che ha

impedito di evadere completamente un ordine in scadenza nel precedente periodo

dell’orizzonte di pianificazione).

Accanto alle finalità direttamente connesse con il controllo

dell’avanzamento della produzione, i dati rilevati possono fornire una serie di

input che consentono di alimentare altri sistemi all’interno della sfera gestionale.

In primo luogo, la rilevazione dei dati lungo il processo di trasformazione

può essere strutturata in modo da alimentare un articolato sistema di reporting

industriale volto alla misurazione dei principali indicatori di prestazione relativi

alla sfera produttivo-logistica. Senza entrare nel merito delle logiche sottostanti

180

alla creazione di un tale sistema di reporting, in questa sede ci preme solamente

sottolineare che i dati a disposizione consentono di porre sotto osservazione i

principali fattori che incidono sulla competitività aziendale:

• Costo, in termini della produttività della manodopera, degli impianti e dei

materiali impiegati nel processo di trasformazione

• Qualità, in relazione alla capacità di garantire un’elevata conformità dei

prodotti realizzati

• Servizio, legato essenzialmente alla determinazione dei tempi di

attraversamento del processo produttivo che concorrono a determinare,

insieme ai lead time degli altri stadi della catena logistica, la velocità di

risposta al mercato

In secondo luogo, alcuni dei dati rilevati possono opportunamente alimentare

il sistema di controllo di gestione. Nell’ottica di verificare non solo il dato

economico di sintesi, ma anche i parametri quantitativi che determinano i costi

aziendali (cost driver), si pone la necessità di trasferire al sistema gestionale di

controllo i dati relativi, ad esempio, all’utilizzo e all’efficienza degli impianti e

della manodopera, al consumo effettivo dei materiali, agli scarti. Questi dati

vengono generalmente consuntivati per centro di lavoro oppure, dove la

produzione lo consente, per prodotto o per linea di prodotto. In questo caso, si ha

la possibilità di monitorare anche gli scostamenti che si verificano sul costo stesso

del prodotto, attraverso l’analisi dei delta di costo rispetto al costo standard

[Falchero, 1992].

181

Per quel che riguarda l’infrastruttura informatica che presidia la porzione del

flusso fisico in questione, quella cioè che si snoda fra le linee produttive, i sistemi

all’uopo utilizzati vengono generalmente identificati con l’acronimo SFDC7 (Shop

Floor Data Collection).

All’interno di tali sistemi occorre distinguere la componente legata alla

raccolta dei dati da quella attinente all’elaborazione degli stessi. Per quel che

riguarda il primo aspetto non c’è niente di nuovo da dire. La soluzione più

informatizzata prevede il ricorso al sistema POS, gia analizzato precedentemente ,

attraverso cui è possibile effettuare le attività di rilevazione e di data entry

all’interno del sistema informativo senza alcun presidio degli addetti disponendo

gli scanner nei punti corrispondenti agli step significativi.. I dati possono essere

raccolti con elevata velocità, con un ottimo livello di accuratezza e in un formato

già adatto per una successiva elaborazione elettronica. Altre modalità meno

informatizzate di rilevazione dei dati prevedono tutte l’immissione manuale dei

dati stessi nel sistema informativo, dati riportati su apposite schede associate alle

unità in lavorazione o agli addetti alla linea produttiva.Ovviamente tali soluzioni

sono meno efficienti.

Per quel che riguarda, invece, le funzionalità di elaborazione esse non

presentano un contenuto specifico, consistendo prevalentemente in operazioni

matematiche e statistiche su database e sintesi in forma tabellare e/o grafica, e il

7 In alcuni testi, tali soluzioni informatiche vengono anche definite con l’acronimo FDC, ovvero Factory Data Collection. Le applicazioni SFDC o FDC non devono tuttavia essere confuse con un altro insieme di soluzioni, denominate SCADA – Supervisory Control And Data Acquisition – che

182

loro impiego assume connotati differenti in relazione alle finalità del

monitoraggio che ciascuna azienda intende perseguire. Non va comunque

dimenticato l’importanza, sottolineata precedentemente, che le informazioni in

questione assumo quando utilizzate per alimentare i moduli ERP, piuttosto che

PDM o SCM, per la pianificazione e la programmazione della produzione e degli

approvvigionamenti.

4.6 La Gestione dei magazzini

Passiamo adesso alla descrizione dell’ultima parte del flusso fisico e cioè di

quella che avviene nei magazzini Essa è composta da una serie di attività che

hanno lo scopo di gestire tutte le operazioni connesse con i flussi di materiali

[Rumi, 1996b]:

• Arrivati dai fornitori esterni e stoccati in attesa di essere impiegati in

produzione

• Movimentati tra le diverse aree operative all’interno di un sito produttivo

• Movimentati tra i diversi nodi della catena logistica

• Spediti ai clienti

Inoltre tali attività possono essere distinte in [Secchi, 2000]:

• Attività volte al presidio dei flussi di materiali all’interno delle aree di

stoccaggio (magazzini interoperazionali, magazzini centrali annessi agli

trovano ampia diffusione tipicamente nelle aziende di processo per il monitoraggio dei parametri di funzionamento degli impianti (temperatura, pressione, peso della miscela, ecc.)

183

stabilimenti di produzione, centri distributivi, transit point e magazzini

periferici) poste lungo la catena logistica.

• Attività che consentono di avere una precisa, aggiornata e completa

informazione sulle giacenze all’interno della supply chain.

Nel proseguio, coerentemente alla dimensione di analisi prescelta, ci si

soffermerà esclusivamente sull’infrastruttura informatica a supporto della seconda

classe di attività. Infatti, sebbene gli strumenti informatici a supporto della prima

serie di attività siano piuttosto ricchi e di sicuro interesse, il loro utilizzo nei

magazzini è rivolto a scopi diversi rispetto all’oggetto del nostro studio e

essenzialmente legati all’ottimizzazione degli spazi, all’emissione automatica di

documenti come bolle di accompagnamento e buoni di reso, alla razionalizzazione

delle attività di picking e più in generale al supporto delle attività fisiche che

presidiano il flusso stesso. A noi, invece, interessano quegli strumenti informatici

funzionali alla rilevazione, elaborazione e trasmissione di informazioni utilizzabili

nel processo di pianificazione o di previsione e che, per l’appunto, supportano la

seconda classe di attività. Si noti, infatti, come la precisa, aggiornata e completa

informazione sulle giacenze all’interno della supply chain presupponga la

registrazione contabile di tutte le operazioni che modificano la consistenza degli

stock, la loro eventuale valorizzazione ai fini di una valutazione più analitica del

capitale investito e un periodico accertamento quantitativo e qualitativo dei beni

in giacenza (inventario) per verificare eventuali differenze tra magazzino

contabile, che risulta dal sistema informativo, e fisico. La registrazione dei

184

movimenti di magazzino e il conseguente aggiornamento degli inventari

costituiscono, in realtà, il presupposto per garantire efficacia a tutto il processo di

pianificazione della produzione. L’elaborazione dei piani di produzione e la

determinazione dei fabbisogni dei materiali non possono infatti prescindere dalla

conoscenza dei livelli di disponibilità lungo la catena logistica, a meno di non

accettare un’approssimazione che tuttavia conduce inesorabilmente ad accrescere

gli investimenti in capitale circolante oppure ad offrire un livello di servizio

inadeguato alle richieste del mercato.

Ancora una volta codici a barre, scanner e sistemi EDI fanno la parte del

leone. L’utilizzo del POS permette, infatti, di rilevare gli spostamenti dei beni

fisici così come essi accadono all’interno dei magazzini. È importante però

individuare le operazioni che avvengono nei magazzini stessi al fine di

individuare, come è stato fatto per il controllo della produzione, gli step

fondamentali nei quali si rende necessaria una rilevazione delle informazioni circa

le esistenze di stock.

Tali operazioni possono essere così individuate [Secchi, 2000]:

• Il ricevimento, che ha lo scopo di espletare tutti i controlli formali e

sostanziali al fine di deliberare l’accettazione del materiale da

immagazzinare. Esso costituisce praticamente il momento in cui viene

riconosciuta la presenza del materiale all’interno dei punti di stoccaggio,

sia esso proveniente dall’esterno (fornitori o conto lavoro), sia esso versato

dai reparti di produzione

185

• Lo stoccaggio, che costituisce l’insieme delle operazioni necessarie alla

corretta allocazione dei materiali presso i singoli vani delle strutture

all’uopo predisposte

• Il picking, che si occupa del prelievo di un numero limitato di beni dal

sistema di stoccaggio al fine di soddisfare le richieste di materiale

provenienti dai vari nodi della catena logistica (unità produttive interne,

unità produttive esterne, altri magazzini intermedi, centri di distribuzione,

ecc.). L’attività di prelievo richiede una serie di operazioni preliminari,

quali l’identificazione, la selezione e la ricerca del materiale, che devono

essere svolte in modo molto accurato per garantire la corretta spedizione

dei materiali richiesti

• La movimentazione, che presidia tutte le attività di trasferimento dei

materiali tra il magazzino e i vari luoghi di utilizzo e tra le singole aree

operative all’interno di un sito produttivo

• La spedizione, che rappresenta la fase di “estinzione” del materiale

all’interno del centro di stoccaggio. Questo termine deve essere inteso in

senso lato in quanto riguarda la spedizione del materiale sia all’interno dei

reparti produttivi, sia ai magazzini a valle, sia al cliente finale.

Il ricevimento costituisce una operazione critica e senza dubbio uno di quegli step

nel quale è opportuno effettuare un’attenta rilevazione del flusso fisico che

l’attraversa. Esso è costituito da un insieme di attività finalizzate a gestire

l’ingresso di un materiale all’interno del magazzino. È una fase importante in

186

quanto rappresenta un filtro primario volto a verificare la rispondenza quantitativa

e qualitativa tra quanto richiesto e quanto consegnato. Una scarsa attenzione alle

attività di ricevimento può comportare tra l’altro una serie di disfunzioni a cascata

che riguardano ad esempio:

• La mancanza dei materiali necessari a soddisfare le richieste della

produzione, con il rischio di fermare le linee di produzione in attesa che

venga ripristinato lo stock, o dei clienti finali

• La presenza di materiali non conformi alle specifiche di progettazione, con

il rischio di realizzare e distribuire prodotti difettosi

Appare pertanto necessario predisporre un adeguato supporto per gli addetti,

affinché siano poste in essere tutte le verifiche necessarie ad assicurare che il

flusso dei materiali in ingresso sia coerente con quello programmato.

Qui l’utilizzo dei sistemi POS è senza dubbio utile. Inoltre gli appositi

moduli dei sistemi ERP per la gestione dei magazzini consentono di verificare,

richiamando tutte le posizioni aperte (di acquisto, di produzione, in conto lavoro),

l’esistenza di un ordine che giustifichi l’accettazione del materiale nonché di

evidenziare prontamente eventuali differenze tra le quantità riportate nella bolla

di accompagnamento e le quantità effettivamente riscontrate. Se il materiale

richiede uno specifico controllo qualitativo, esso può essere caricato in un

prefissato magazzino logico al fine di renderlo temporaneamente indisponibile.

Molte applicazioni supportano anche le procedure per effettuare le operazioni di

controllo, soprattutto nel caso in cui si adottino tecniche di campionamento. Al

187

termine delle verifiche necessarie, l’addetto completa l’immissione dei dati nel

sistema informativo, segnalando le quantità scartate non recuperabili e quelle

ripristinabili. Sulla base di queste informazioni, l’applicazione può generare

eventuali richieste di reintegro della fornitura oppure trasferire al sistema

contabile i dati necessari per l’addebito al fornitore.

Al termine di questo gruppo di attività, il materiale è in carico al

magazzino, è disponibile per le operazioni successive e la sua presenza è nota a

tutti i moduli del sistema informativo integrato.

Per quel che riguarda il secondo gruppo di operazioni, quelle relative allo

stoccaggio, esse prevedono il posizionamento dei materiali all’interno di

specifiche strutture, poste in una data area del magazzino, affinché siano

conservati fino al momento del loro impiego.

Le soluzioni informatiche che supportano queste attività esulano, per

quanto detto all’inizio di questo paragrafo, dal nostro oggetto di studio essendo

rivolte essenzialmente a fornire agli addetti le informazioni necessarie per

individuare la migliore allocazione disponibile per un dato materiale.

Discorso analogo vale anche per le applicazioni informatiche a supporto delle

attività di picking (o prelievo frazionato) , di quelle attività cioè attraverso le quali

“un numero limitato di beni è prelevato dall’impianto di stoccaggio al fine di

soddisfare le richieste provenienti dai sistemi esterni al magazzino, ovvero dai

clienti finali, dalle unità produttive o da altre unità che operano per conto

dell’azienda committente” [Rushton e Oxley, 1993; Quintili e Roveta, 1994; Rumi,

188

1996c]. In questo caso, infatti, le soluzioni informatiche partono da applicazioni

per il supporto delle attività dell’operatore attraverso la redazione di picking list

che ne minimizzino gli spostamenti e ne agevolino l’attività di identificazione dei

codici in carico fino a sfociare, nei casi più complessi, in sofisticati strumenti di

automazione industriale [Groover e Zimmers, 1984; Rembold et al., 1993;

Rushton e Oxley, 1993; Rumi, 1996b; Caron et al., 1997].

Per le operazioni di movimentazione è chiaro che ci troviamo ancora al di

fuori della nostra area di interesse. I supporti informatici sconfinano

nell’automazione industriale, come nel caso precedente, mentre per quel che

riguarda il presidio del flusso fisico nelle linee produttive si rimanda a quanto già

detto nel paragrafo dedicato al controllo della produzione senza dimenticare

comunque che anche in tale contesto è possibile rinvenire altri strumenti

informatici i quali però, oltre a sfociare spesso nell’automazione industriale ( si

pensi a titolo di esempio ai sistemi UPS – Unit Production System), sono utilizzati

per finalità differenti rispetto a quelle in esame e pertanto esulano dall’oggetto del

presente testo.

In fine con le operazioni di spedizione torniamo ad occuparci , come è facile

immaginare, di uno step significativo al fine della rilevazione delle informazioni

relative alla consistenza degli stock.

La spedizione rappresenta l’ultima attività operativa nella gestione del flusso dei

materiali che attraversa il magazzino. Nell’accezione più restrittiva si considera la

spedizione come la fase di “estinzione” dei materiali all’interno del sistema

189

logistico, poiché essi vengono trasferiti ai clienti che ne hanno fatto richiesta. Alla

luce di ciò è facile immaginare l’utilità di un sistema POS che consenta la

rilevazione automatica dei codici in uscita. Infatti grazie ad esso i codici relativi a

ciascuna unità di carico sono trasmessi al sistema informativo che aggiorna

immediatamente le esistenze di inventario ed effettua le verifiche di congruità

rispetto all’ordine corrispondente.

Esistono, inoltre, apposite applicazioni volte al presidio di queste specifiche

operazioni ma ancora una volta si esula dall’oggetto di studio. Tali applicazioni

informatiche, infatti, supportano prevalentemente l’elaborazione delle spedizioni

da effettuarsi in relazione alle scadenze previste.

4.7 Chiusura della supply chain: l’integrazione manufacturer fornitore

A questo punto il quadro è quasi completo. Sappiamo quali informazioni

sono necessarie per contenere l’entità delle giacenze della supply chain, sappiamo

dove si originano e quali strumenti utilizzare per rilevarle prontamente, sappiamo,

inoltre, come saranno elaborate per raggiungere l’obbiettivo prefissato e attraverso

quali applicazioni informatiche. Affinché l’analisi copra effettivamente tutti i

membri della supply chain manca ancora un passaggio, e cioè l’analisi del

rapporto tra il manufacturer e il fornitore con l’identificazione, anche con

riferimento a tale rapporto, delle informazioni strumentali all’obbiettivo del

contenimento delle giacenze e delle modalità di elaborazione delle stesse. In realtà

nel discorso condotto precedentemente si è già più volte fatto implicito

190

riferimento a tale rapporto ad esempio a proposito della possibilità di emissione

automatica di ordini di approvvigionamento da parte del sistema informativo del

manufacturer. In oltre tale rapporto presenta notevoli affinità con quanto visto a

proposito del rapporto distributore – manufacturer . Infatti il fornitore deve

mettere in atto le stesse attività di previsione, pianificazione, programmazione e

controllo tipiche del manufacturer e anche per esso i dati sul sell – out acquistano

notevole importanza. Vi è in più per il fornitore l’esigenza di essere costantemente

informato circa lo status delle attività eseguite dal manufacturer così da mantenere

sempre la necessaria sincronia tra i rispettivi processi produttivi ed effettuare i

rifornimenti in base alle effettive esigenze di quest’ultimo senza che questi corra il

rischio di dover fermare le macchine, ma dove reperire tali informazioni, come

trasmetterle e come elaborarle è stato gia materia di ampia discussione nei

paragrafi precedenti. Pertanto in quest’ultimo paragrafo non viene ripetuto il

discorso già fatto ma si sottolinea solo la necessità di estendere il coordinamento

fra partner e la necessaria infrastruttura informatica di supporto fino agli operatori

più a monte della supply chain al fine di presidiare effettivamente il flusso fisco in

transito per la stessa e conseguire effettivamente gli obbiettivi di contenimento

degli stock che sono alla base di un tale modo di operare [La Londe, Grabner,

Robenson, 1993].

191

Capitolo 5

IL CASO “FERRI”

1.1

1.2 5.1 Introduzione

Dopo aver analizzato, nel corso dei capitoli precedenti, gli aspetti teorici

che legano indissolubilmente i flussi fisici ed informativi ed aver descritto tramite

un modello generale l’infrastruttura informatica necessaria al coordinamento dei

due flussi, si procederà di seguito a contestualizzare, ed a verificare sul campo,

quegli stessi legami, quegli stessi principi e quel modello generale attraverso lo

studio sistematico di un caso aziendale reale. In altre parole si vuole qui di seguito

verificare, attraverso la descrizione e l’analisi delle procedure operative di una

specifica azienda, se e in che misura quella sensibilità alle esigenze del cliente,

quella propensione al servizio, quel ruolo dominante attribuito alla funzione

logistica, e quell’attenzione prestata al controllo degli stock, delle quali si è più

volte fatta menzione nelle pagine precedenti, sono in realtà presenti nelle azioni

aziendali quotidiane oltre che nelle parole e nei testi degli eminenti studiosi citati

nel corso dell’esposizione precedente.

Appare ovvio che una risposta non equivoca a questo interrogativo

richiederebbe una laboriosa verifica condotta su di un campione significativo di

192

aziende di varie dimensioni, appartenenti a settori industriali diversi, operanti in

diversi paesi e collocate a diversi livelli della filiera. Appare altresì ovvio che una

Regioni Esercizi alimentari per 1000

ab.

Esercizi non

alimentari per 1000

ab.

Ipermercati per 1000 ab.

Supermercati per 1000 ab.

Grandi magazzini per 1000

ab.

Piemonte 65,5 61,1 162,9 93,8 92,0

Valle d’Aosta

168,3 173,1 209,5 27,8 53,4

Lombardia 76,6 96,9 175,7 113,2 110,9

Liguria 162,7 142,6 60,5 94,3 119,6

Trentino A.A.

100,3 115,3 54,4 182,6 117,9

Friuli V.G. 57,5 67,6 126,4 157,2 134,3

Veneto 51,1 65,6 72,9 173,0 78,7

Emilia R. 64,5 59,7 88,8 137,9 84,1

Toscana 95,2 112,5 191,4 107,1 104,8

Umbria 67,5 73,5 90,3 82,4 122,8

Marche 86,2 82,5 51,8 163,1 145,2

Lazio 106,9 133,8 153,2 79,7 133,1

Abruzzo 132,9 137,1 98,1 186,3 165,1

Molise 88,8 49,3 - 83,4 77,1

Campania 153,7 134,6 21,6 49,2 54,0

Puglia 112,0 97,6 42,8 46,4 59,2

Basilicata 150,8 117,1 - 58,1 73,4

Calabria 149,0 115,3 24,1 69,2 168,9

Sicilia 112,9 100,9 34,3 74,2 96,2

Sardegna 151,2 106,5 120,2 65,0 91,9

193

siffatta indagine esula dai compiti e dalle possibilità pratiche di chi scrive ragion

per cui ci si limiterà nel seguito ad esporre i riscontri avuti nello studio di un unico

caso, fatto questo che permette da un lato di verificare in qualche modo quanto

esposto nei capitoli precedenti ma, dall’altro, non permette di giungere comunque

a quelle conclusioni non equivoche cui precedentemente si è fatto riferimento.

Ciò premesso si è ora pronti ad esporre il caso studiato, caso che, lo si

vedrà meglio in seguito, conferma alcune delle teorie esposte fino ad ora ma

mostra anche come su alcuni punti, vedi in particolare il rovesciamento dei

tradizionali rapporti di tipo avversario tra soggetti appartenenti alla stessa supply

chain, vi sia ancora un grave scollamento tra teoria e prassi aziendali.

1.3 5.2 Contestualizzazione: il settore commerciale e della distribuzione. Stato

dell’arte ed evoluzione prevedibile

Lo studio di un caso aziendale, qualunque ne sia la prospettiva di analisi,

non può prescindere da una descrizione del settore di appartenenza. Pertanto,

operando FERRI nel settore della distribuzione, e in particolare della distribuzione

organizzata, si procederà di seguito a fornire alcuni dati ed informazioni di

carattere generale riguardanti il settore stesso, dati che permetteranno meglio di

interpretare le azioni del gruppo e aiuteranno in seguito in fase di estrapolazione

di conclusioni relative al caso in oggetto.

Iniziando, quindi, una descrizione del sistema distributivo italiano bisogna

innanzitutto dire che esso presenta un forte livello di frammentazione. Secondo il

194

Ministero dell’Industria (tab. 5.1), a fine 1996 erano attivi in Italia 509000

esercizi al dettaglio, un numero particolarmente elevato rispetto a quello dei

principali paesi europei, Francia, Inghilterra e Germania in testa. Sempre nel 1996

le grandi unità di vendita detenevano una quota superiore al 30% dei consumi

commercializzati di prodotti alimentari e inferiore al 10% nell’ambito del non

food. Per il dettaglio tradizionale è possibile stimare una quota di mercato ancora

prossima all’80%.

Il numero di supermercati, che nel 1975 era ancora inferiore a 1000 unità, si è

avvicinato alle 1400 nel 1980 e ha superato le 5000 nel 1996.

Quote % degli associati sul totale degli esercizi

Ripartizioni Numero di dettaglianti

Associati Alimentare Non alimentareNord Ovest 9,876 20,3 2,4

Nord Est 9,082 39,8 2,6

Centro 7,840 20,4 1,3

Sud 3,208 3,6 0,0

Anche gli ipermercati hanno sperimentato, a partire dalla fine degli anni ottanta,

una crescita relativamente ampia: nel 1987 se ne contavano solo 50, nel 1990 già

114 e nel 1996 240, un numero pur tuttavia significativamente inferiore a quello

della Francia o della Germania.

Tabella 5.2 – Le caratteristiche del commercio associato in Italia (1996); Fonte: Ministero dell’Industria

195

I grandi magazzini, al contrario, non hanno presentato un particolare dinamismo

delle nuove aperture, fatta eccezione per alcuni punti vendita collocati all’interno

di centri commerciali.

All’espansione della grande distribuzione si è accompagnata anche la diffusione

della distribuzione organizzata, inizialmente a partire dal comparto alimentare ed

estesasi solo successivamente anche al comparto non food (tab. 5.2).

Un altro fenomeno interessante apparso negli ultimi anni è stato la nascita

di mega centrali di acquisto, che operano per conto di più imprese e che

rispondono all’esigenza di sviluppare una massa critica più elevata. In alcuni casi

Fig. 5.1 - Evoluzione attesa delle quote di mercato delle principali tipologie distributive in Italia (Fonte: Elaborazioni Prometeia su

dati di varie fonti)

92,0

80,0

68,0

1,0

3,8

9,0

4,011,6

14,5

3,0 4,6 8,5

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1980 1995 2006

Altri (G. magazzini, Gspecializzati, vendite per corr.)supermercati

Ipermercati

Piccole superfici

196

il ruolo della centrale si è spostato dalla semplice gestione degli acquisti

all’accorpamento di altre funzioni per le quali è possibile sfruttare economie di

scala e di scopo arrivando, in alcuni casi, allo sviluppo di marchi commerciali

comuni.

I fenomeni evidenziati a livello di grandi imprese si sono, ovviamente,

ripercossi negativamente sulle aziende medio-piccole tradizionali. In generale, gli

operatori tradizionali hanno dovuto scontrarsi con tensioni competitive

particolarmente intense e con un grado di incertezza particolarmente elevato.

Molti di essi si sono rivelati impreparati ad affrontare una situazione competitiva

Fig 5.2 - Evoluzione attesa delle quote di mercato delle principali tipologie distributive in Francia (fonte: Elaborazioni Prometeia)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

1980 1995 2006

Ipermercati

Superm, mag. pop, e DO alim.

Grande distribuzione nonalimentare (specializzata e non)Piccole e medie superfici

197

che richiedeva, e richiede tuttora, innovazione, flessibilità e razionalità gestionale,

fenomeno questo che ha visto la chiusura di oltre 25000 esercizi tradizionali al

dettagli nel periodo tra il 1991 e il 1996.

In prospettiva è possibile identificare alcune tendenze storiche di lungo

periodo [Centro studi sui sistemi di trasporto, 2000] :

• L’internazionalizzazione dei grandi gruppi distributivi e la concentrazione

del commercio al dettaglio e all’ingrosso

Fig 5.3 - Evoluzione attesa delle quote di mercato delle principali tipologie distributive in Germania (fonte: Elaborazioni Prometeia)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

1980 1995 2006

Grandi superfici despecializzatecon alimentariGrandi superfici specializzate

Catene di piccoli e medi negozispecializzatiPiccole e medie superficispecializzati trad.

198

• La quota di mercato del commercio organizzato indipendente (catene in

franchising, gruppi di acquisto, etc.) aumenterà ancora notevolmente,

sviluppandosi o come strategia di aggregazione di negozianti tradizionali

(spesso sotto l’impulso di un grossista o di un produttore) oppure come

strategia di diversificazione della distribuzione organizzata

• Le quote di mercato del commercio tradizionale di vicinato (piccole

superfici e mercati rionali) continueranno a diminuire

Alla luce di ciò è, pertanto, possibile prefigurare per quanto riguarda la

distribuzione al dettaglio una configurazione non caratterizzata dalla presenza

esclusiva di ipermercati, supermercati, grandi magazzini, grandi superfici

specializzate e centri commerciali, ma altresì una struttura nella quale

giocheranno un ruolo determinate anche il dettaglio medio-piccolo (tradizionale

ma anche riposizionato su particolari segmenti e/o fasce di mercato, oppure

strutturato in gruppi e altre realtà organizzative come il franchising) e le nuove

modalità distributive (come le vendite a distanza e il commercio elettronico) (fig.

5.1; 5.2; 5.3).

Da ultimo, e con specifico riferimento al caso FERRI, il Centro studi sui

sistemi di trasporto ipotizza un’espansione del settore non food sia attraverso

grandi superfici specializzate sia attraverso catene di negozi medio-piccoli.

1.4 5.3 Il gruppo “FERRI”: presentazione

199

La storia di FERRI, forse oggi la prima catena distributiva rigorosamente

non food operante in Italia per giro di affari (il fatturato del gruppo per il 2001 è

stato di circa 500 milioni di euro) e numero dei punti vendita, inizia negli anni

venti allorché l’omonima famiglia aprì a Corato (BA), paese di origine della

famiglia stessa, il primo punto vendita gestito direttamente e specializzato nei

prodotti per la detergenza e la cura della persona. Negli anni a venire

l’assortimento si allarga a tutto quello che occorre per gestire la casa e, negli anni

ottanta, i punti vendita, sempre gestiti direttamente e dislocati in varie località

della Puglia, diventano dieci.

Alla fine degli anni ottanta avviene la svolta con il passaggio dai punti

vendita diretti, comunque ancora presenti anche se in minima parte, al franchising.

750

1.400 1.350

3.900

2.050

6.100

0

1.000

2.000

3.000

4.000

5.000

6.000

7.000

2002 2004 2006

Fig 5.4 - Previsioni andamento punti vendita e giro d'affari 2002/2006 (fonte: ufficio Marketing FERRI)

Punti vendita

Giro d'affari(in €)

200

Il numero dei punti vendita inizia così a crescere rapidamente con una netta

impennata alla fine degli anni novanta. Infatti, sparsi ormai in tutta Italia, sono

100 alla fine del 1999, 240 alla fine del 2000, 500 alla fine del 2001 e l’obbiettivo

è quello di arrivare a 2000 per il 2006, con un assortimento merceologico sempre

più ampio e che va dai detersivi alle stoviglie, dai piccoli e grandi elettrodomestici

all’arredamento vero e proprio, “per offrire tutto ciò che fa più bella e pratica la

casa” (fig 5.4) [Brochure istituzionale “FERRI”].

Oggi FERRI ha una lista di attesa di 500 franchisee e 30000 richieste di

franchising, con una prospettiva di apertura di oltre 300 nuovi punti vendita8

all’anno per il solo territorio italiano. In oltre, i piani di sviluppo futuri prevedono

l’uscita dai confini nazionali con l’apertura di nuovi punti vendita in Grecia (dove

è già attivo un punto vendita a Patrasso), Spagna, Austria, Germania e Francia.

Più in dettaglio i punti vendita FERRI, che trattano mediamente dalle

25000 alle 30000 referenze all’anno, sono di tre tipi (si confronti tab.A1 in

appendice):

• “FERRI SHOP”, con una superficie di vendita sino a 250mq, 3-4 addetti,

un assortimento medio di circa 8000 referenze e un giro d’affari intorno al

milione di euro.

8 Per il rilascio della licenza di franchising è importante, tra gli altri, l’ubicazione presso centri con più di 10000 abitanti in zone commerciali comodamente raggiungibili dai clienti, la cui selezione è supportata dal staff FERRI.

201

• “FERRI TUTTO PER TUTTI”, con una superficie di vendita superiore ai

400mq, da 6 a 10 addetti, un’offerta media di oltre 10000 referenze e un

giro d’affari medio di oltre 3 milioni di euro.

• “FERRI WORLD” (nuovissimi e le cui prime aperture, tuttora in

allestimento sono previste nei prossimi mesi a Reggio Emilia e Padova),

megastore da 5000mq con una ventina di addetti, un fatturato stimato di

oltre 6 milioni di euro e oltre 20000 referenze a stock.

In oltre, i punti vendita sono divisi in 5 categorie, relative tra l’altro ai metri

quadri espositivi, cui sono associate altrettante griglie assortimentali di ampiezza

via via crescente.

Ma FERRI non è solo questo. Essa non si limita, infatti, a distribuire

prodotti a marchio di terzi ma firma in prima persona una gamma, in espansione,

di oltre mille prodotti a marca propria (Private label). Tali prodotti sono presenti

con diverse denominazioni in tutte le fasce di prezzo. In particolare le etichette in

questione sono ( si confronti tab. A1 e A3 in appendice):

• “PLUS DI FERRI”, che rappresenta il premium price

• “FERRI”, che contrassegna la fascia di prezzo medio/alta

• “by FERRI”, che identifica i primi prezzi

In conclusione a questa breve presentazione del mondo FERRI, e prima di

approfondire il discorso legato alla logistica e alla gestione degli stock, non può

mancare un accenno alla struttura societaria del gruppo.

202

Infatti oggi dietro al marchio FERRI “Tutto per Tutti” c’è l’organizzazione

globale del gruppo GE.NE.SI. (GEstione NEgozi e Supermercati Italiani): una

struttura formata da diverse aziende operanti in sinergia.

GE.NE.SI. s.p.a. coordina la gestione dei due centri di distribuzione

(Corato (BA) e San Benedetto del Tronto): mega strutture strategicamente

dislocate sul territorio dove avvengono lo stoccaggio e il rifornimento di merce

per tutta la rete commerciale.

EFFE-PI Import-Export s.r.l. si occupa degli acquisti, dai propri uffici di

Milano per l’area Europa e di Hong Kong per il Sud Est Asiatico (prodotti a

marchio proprio).

FERRI s.r.l. coordina la rete in franchising.

FIN FERRI s.r.l. è la finanziaria del gruppo.

FERRI Group, con sede a Londra, cura l’espansione in Europa del gruppo.

E ancora EUROCHECK s.r.l. per il controllo logistico e di gestione e

ORIGINE s.r.l. per la gestione e lo sviluppo dell’infrastruttura informatica.

1.5 5.4 “Logistica e tecnologia: il motore che fa girare il mondo FERRI”9

Siamo ora pronti, concluso il breve preambolo introduttivo di cui al

paragrafo precedente, ad affrontare ed analizzare il punto fondamentale del

discorso sviluppato a partire dalle prime pagine del presente lavoro e nei confronti

del quale il caso aziendale in esame ha evidentemente carattere strumentale: la

9 Brochure istituzionale “FERRI”.

203

gestione reale di un processo logistico teso alla riduzione degli stock e della

relativa infrastruttura informatica di supporto.

Al fine di mettere subito in luce la visione che FERRI ha di tale processo

si è scelto di utilizzare come titolo del paragrafo quello di una omonima sezione

della brochure istituzionale del gruppo stesso, come già sottolineato in nota.

Questo espediente ci permette di dare così una prima risposta ad uno dei quesiti

sollevati nell’introduzione al presente capitolo. In quella sede, lo si ricorderà

certamente, ci si era chiesti, non senza malizia, se una reale sensibilità al controllo

degli stock, nonché il riconoscimento di una posizione privilegiata alla “funzione”

logistica, fossero realmente esistenti nelle prassi aziendali oltre che nei dibattiti

degli studiosi. Ebbene, alla luce di ciò si deve ammettere che, almeno

teoricamente e limitatamente al caso in esame, tale sensibilità esiste.

Certo è che, se ci si volesse fermare alle enunciazioni di principio, miseria

e povertà apparirebbero debellate da un pezzo in tutto il globo. Si pone quindi la

necessità di fare un ulteriore passo in avanti e, messa da parte la brochure, entrare

nel dettaglio delle prassi operative.

Prima di procedere oltre nell’analisi, e al fine di avere ben chiari innanzi

agli occhi tutti i termini del problema e gli elementi di complessità in esso insiti, è

necessario puntualizzare due altri elementi la cui rilevanza per il corretto proseguo

dell’analisi appare banale. Tali elementi sono:

• la merce è consegnata ai negozi in conto vendita

204

• i punti vendita sono tendenzialmente privi di depositi dove stoccare la

merce in eccesso rispetto alle capacità degli spazi espositivi

I due punti precedenti sono gravidi di conseguenze per l’oggetto dell’analisi

come è facile intuire.

Infatti, non essendovi depositi, rifornimenti sovradimensionati comportano

quantomeno gravi conseguenze sul layout espositivo del punto vendita con

prevedibili ripercussioni negative sulle politiche di merchandising perseguite. In

oltre, pagando il franchisee solo la merce effettivamente venduta, FERRI finanzia

di fatto il capitale circolante della rete commerciale assumendosene rischi ed oneri

(solo in parte bilanciati dagli ampi termini di dilazione dei pagamenti dei quali

FERRI beneficia nei rapporti con i propri fornitori), cosa che assimila la merce

presente nei punti vendita a quella stoccata nei centri di distribuzione.

Se quindi nella brochure è affermata una certa sensibilità al controllo degli stock,

quanto appena esposto ne rafforza il contenuto.

P.V. FERRI SERVER

CE.DI. CORATO

CE.DI. S. BENEDETTO

P.V. FERRI

ORDINI

MERCE

24 ORE

Fig. 5.5 – Il ciclo dell’ordine in FERRI

205

E veniamo ora alle procedure operative.

Ai nostri fini importanza cruciale assume, come ampiamente affermato e

giustificato in via teorica nel capitolo terzo, il ciclo dell’ordine e le relative

procedure operative.

Con riferimento al caso FERRI esso si presenta così strutturato (fig. 5.5):

1. il punto vendita effettua l’ordine10 per via telematica utilizzando l’apposito

software fornito direttamente da FERRI

2. l’ordine viene successivamente trasmesso elettronicamente ai server

centrali dove viene scomposto automaticamente e, a seconda delle

referenze oggetto dell’ordine, smistato ai Centri di Distribuzione dove

sono stoccate univocamente le referenze stesse

3. gli addetti, verificata la disponibilità della merce, predispongono i pallet e

il sistema di gestione provvede all’ottimizzazione degli spazi di carico

(predeterminato) e delle rotte per il giorno successivo

10 Gli ordini possono essere di due tipi:

1. AUTOMATICI; vengono emessi direttamente dal sistema istallato nel punto vendita che, verificato il raggiungimento del punto di riordino, provvede in automatico senza alcun intervento dell’operatore

2. MANUALI; vengono inseriti manualmente dall’addetto per particolari esigenze e verificate via EDI le esistenze presso i Centri di Distribuzione

In realtà esiste anche un terzo tipo di “ordine”, gestito autonomamente dalla sede centrale di Casamassima (BA) e relativo a particolari esigenze (si veda ad esempio il caso di iniziative promozionali per le quali la distribuzione dei relativi prodotti viene, per l’appunto, gestita centralmente). Da notare in oltre che, al fine del corretto espletamento della procedura di riassorbimento, l’ordine stesso deve essere inviato entro un’ora prestabilita di ciascun giorno. In caso contrario l’ordine si considera emesso il giorno seguente.

206

4. all’atto del carico sul camion11 il sistema invia ai punti vendita degli

appositi file informatici per la verifica della congruenza

ordinato/consegnato e l’aggiornamento in automatico delle giacenze

5. la merce viene consegnata12 ai punti vendita entro 24 ore dall’emissione

dell’ordine (fig. 5.6)

Ovviamente quanto esposto rappresenta solo metà dell’intero ciclo logistico.

Per la sua ricostruzione integrale è necessario descrivere anche il ciclo di

approvvigionamento dei Centri di Distribuzione. Da un punto di vista operativo

11 I trasporti vengono assicurati in via preponderante da piccole aziende locali (i così detti “padroncini”), la cui offerta in termini di volumi di carico è rigida, e in minima parte da mezzi di trasporto propri, altrettanto rigidi in termini di volumi disponibili.

Fig 5.6 - Analisi andamento ordini/consegne 2001(fonte: ufficio elaborazione dati FERRI)

84%

3%13%

Totale ordini consegnatiregolarmenteTotale ordini cons. in ritardo(oltre 24 h)Totale ordini cons. parzialmente(entro 24 h)

207

tale ciclo è caratterizzato dall’emissione manuale degli ordini (a causa di

incompatibilità dei sistemi informatici dei soggetti coinvolti) al raggiungimento

del punto di riordino, da minor frequenza delle consegne rispetto al ciclo visto

precedentemente e da maggiori lead time13. In oltre, importanza critica ai fini

della corretta inquadratura del ciclo di fornitura assumono i modelli contrattuali e

l’impostazione delle relazioni FERRI/fornitori. Ebbene, tali relazioni risultano

improntate secondo il tradizionale modello avversario nel cui contesto il prezzo è

il principale parametro di selezione dei fornitori stessi e lo scambio informativo e

lo ridotto al minimo se non addirittura inesistente. Generalmente i contratti sono

impostati su base annua e prevedono una scala sconti parametrizzata alle future

quantità acquistate per quali non sempre è previsto un minimo (si confronti tab.

A2 in appendice).

Da ultimo, a conclusione dell’esposizione delle procedure operative che

sovrintendono al processo logistico e coerentemente con l’oggetto dell’analisi

teorica sviluppata nei capitoli precedenti, si procede di seguito ad una sintetica

descrizione dell’infrastruttura informatica della quale FERRI si avvale per il

coordinamento dei flussi fisici descritti precedentemente.

12 In alcuni casi circostanziati, relativi ad alcune referenze, si adotta una procedura differente. L’ordine inviato dal punto vendita viene infatti smistato direttamente al fornitore che provvede alla consegna della merce direttamente al punto vendita e senza passare per il Centro di Distribuzione. 13 I lead time variano, ovviamente in relazione alle caratteristiche del fornitore, che deve assicurare comunque una certa elasticità e tempestività dei propri processi produttivi, nonché in relazione alle distanze da i mercati di approvvigionamento. Con riferimento a quest’ultimo aspetto il lead time varia dalle 24 ore ai 7 giorni per i fornitori dell’area Europa e si aggira intorno ai 20 giorni / un mese per i fornitori del Sud Est Asiatico, con conseguente incremento della dimensione degli ordini e diminuzione della frequenza delle consegne di questi ultimi rispetto ai fornitori Europei. Si ricorderà, inoltre, dal capitolo terzo la relazione inversa che lega lead time e dimensione delle

208

Tale infrastruttura, la cui gestione, sviluppo e manutenzione è affidata alla società

ORIGINE s.r.l. interna al gruppo, è costituita, per la parte hardware, da una rete

Intranet a 100 Mb p/sec., con i server accentrati negli uffici di Corato, che

permette il trasferimento e la condivisione delle informazioni fra tutte le stazioni

di lavoro collegate, ivi comprese le casse dei punti vendita14, e realizza così

l’automazione della trasmissione dei dati, elemento fondamentale di ogni rete

informatica. La parte software, invece, si avvale di diversi elementi eterogenei,

alcuni giranti su architettura UNIX altri su architettura Windows NT/2000/Xp,

che in parte si sovrappongono nella gestione di medesime porzioni del processo

logistico in particolare e, più in generale, dei principali processi aziendali. In oltre

i vari software non si appoggiano su di un unico database fatto questo che mina

seriamente l’integrità, la trasparenza e la coerenza dei dati archiviati. I software15

possono così condividere dati solo a seguito di lunghi processi di importazione e

adattamento, quando possibili, non realizzando quella fondamentale automazione

nell’interpretazione dei dati della quale si è ampiamente discusso nel capitolo

quarto e che dovrebbe essere un altro requisito indispensabile di una rete

aziendale.

giacenze a sottolineare ancora l’importanza che gli elementi appena accennati assumono nel processo di minimizzazione degli stock e nel processo logistico in generale. 14 Queste ultime non sono, in realtà, permanentemente collegate. La trasmissione dei dati da esse rilevati, per altro i fondamentali dati sul sell-out (che qui assumono ancor più importanza date le particolari caratteristiche del contratto di franchising e in particolare alla consegna in conto vendita della merce), avviene infatti con cadenza settimanale allorché, appunto, le casse vengono connesse ala rete. 15 A tal proposito va comunque segnalato lo sforzo, tuttora in atto, della società teso ad eliminare le aree di sovrapposizione con la progressiva dismissione dei software più obsoleti (in particolare quelli giranti su piattaforma UNIX). E’ in oltre allo studio la possibilità di una ristrutturazione

209

1.6 5.5 Conclusioni

Dopo aver fornito nei paragrafi precedenti una presentazione del gruppo

FERRI e averne tratteggiato le procedure operative rilevanti ai fini dell’oggetto di

studio si è ora in grado di procedere ad alcune conclusioni tenendo a mente, bene

inteso, quanto detto a tal proposito nell’introduzione al presente capitolo circa la

possibilità di pervenire a conclusioni non equivoche e generalmente valide.

Ciò detto possiamo iniziare il discorso conclusivo notando come FERRI,

nel gestire la propria rete commerciale, stia iniziando ad applicare alcuni dei

principi teorici che costituiscono parte integrante della Supply Chain

Management. Infatti, come detto precedentemente, FERRI sta progressivamente

accentrando l’attività di controllo delle giacenze dei punti vendita attraverso

l’utilizzo di una infrastruttura informatica che permette di vedere lo stato delle

giacenze stesse in ciascun punto vendita quasi in tempo reale. È evidente, quindi,

lo sforzo che l’azienda sta compiendo per minimizzare l’insieme complessivo

delle giacenze (a punto vendita e a Centro di Distribuzione) le quali, per quanto

detto precedentemente circa l’assenza di depositi presso i negozi e le modalità di

pagamento della merce da parte dei componenti la rete commerciale, giocano un

evidente ruolo cardine nel perseguimento di vantaggi competitivi sia nella forma

di riduzione dei costi, sia sotto forma di servizio per il cliente. In oltre, l’azienda,

oltre a disporre di strumenti che le consentono di gestire in modo trasparente gli

complessiva della componente software con la migrazione dall’attuale sistema proprietario

210

stock dispersi nella rete commerciale, ha anche a disposizione, con cadenza

settimanale, i dati sul venduto e cioè quei dati sul sell-out la cui importanza

cruciale nel guidare i flussi fisici lungo la catena logistica è stata già ampiamente

discussa e sottolineata nei capitoli precedenti. In fine, FERRI ha da poco

introdotto, come strumento di Marketing volto alla fidelizzazione del cliente, una

card con microchip che viene consegnata ai clienti stessi e sulla quale, in base alla

spesa effettuata di volta in volta, vengono accreditati dei punti premio che

consentono di partecipare a particolari iniziative promozionali. In realtà tali card

possono essere impiegate anche per tracciare dei profili sui consumi dei clienti

con lo scopo non solo di calibrare meglio le tradizionali iniziative di marketing di

tipo push ma anche le dimensioni dell’assortimento (ampiezza e profondità delle

gamme offerte) implementando, in tal modo, anche strategie di marketing di tipo

pull al fine di incrementare la rotazione delle giacenze e rendere così più fluido lo

stesso flusso fisico.

Se così, rivolgendo lo sguardo a valle lungo la supply chain, le cose

sembrano andare bene e i principi della SCM quantomeno considerati come mete

da raggiungere, rivolgendo l’attenzione a monte la situazione appare alquanto

diversa. Si ricorderà infatti che l’impostazione dei rapporti con i fornitori è di tipo

tradizionale con i prezzi che giocano un ruolo primario e assenza di scambi

informativi tra le parti. Detto diversamente, il controllo delle giacenze si ferma

alla fase distributiva non estendendosi anche alla fase produttiva. La gestione

prodotto internamente ad un sistema modulare di tipo ERP ed in particolare al Sap S/3.

211

della filiera risulta così frammentata con le conseguenze che è facile immaginare

sulla supply chain intesa come sistema integrato ed unitario. In tutto ciò, oltre a

problemi di tipo culturale, gioca d’altra parte da ostacolo alla realizzazione

compiuta di una gestione integrata la stessa infrastruttura informatica di cui

FERRI si avvale la quale essendo realizzata internamente risulta difficilmente

integrabile con quelle utilizzate dai fornitori. Ci si intende qui riferirsi in modo

particolare alla componente software che si avvale di propri standard per la

formattazione dei dati standard che, anche se risultano spesso (ma non sempre)

convertibili nei diffusissimi formati “.txt” e “..xls”, pongono sicuramente dei seri

ostacoli nella comunicazione diretta con altri software gestionali, compresi i più

diffusi sistemi ERP.

Prima di concludere, in fine, ci sia consentita una breve riflessione, anche

se non strettamente pertinente l’oggetto specifico di analisi, circa le modalità di

gestione del flusso propriamente fisico. Abbiamo detto in precedenza che FERRI

si avvale dei servizi di trasporto di vari corrieri locali di piccole dimensioni e, in

minima parte, di mezzi propri, conservando comunque il controllo sull’andamento

del flusso fisico e sulla gestione dei magazzini. A questo si aggiunga la tendenza

in atto all’interno del gruppo FERRI a muoversi verso una costante riduzione

dell’entità media delle consegne e verso un conseguente incremento della

frequenza delle stesse, in linea con i più recenti sviluppi, relativamente

all’arretrato contesto italiano, in materia di gestione della funzione logistica. È

quindi lecito affermare che FERRI attui una forma di esternalizzazione parziale

212

della funzione logistica. Questa modalità di gestione, seppur rappresenti già un

netto passo in avanti rispetto alla classica modalità di gestione diretta, è comunque

diversa dall’outsourcing (ultima frontiera della gestione aziendale) che invece

prevede l’affidamento a terzi della gestione di interi processi aziendali non ritenuti

attinenti alle core competence dell’azienda esternalizzante, anche se strategici. In

questo FERRI si ritrova perfettamente nella descrizione dello scenario logistico

italiano descritto da Ottimo e Vona [Ottimo, Vona, 2001] i quali, concordemente a

quanto evidenziato anche da diversi altri studiosi nonché Istituti di ricerca,

sottolineano il grave ritardo tanto dell’offerta quanto della domanda di servizi

logistici avanzati16 per il contesto italiano se paragonati agli scenari degli altri

paesi europei, nonché del contesto statunitense, ovviamente.

Concludendo, si può affermare che lo studio condotto sull’azienda FERRI,

e gli altri riscontri empirici cui precedentemente si è fatto riferimento,

evidenziano una certa frattura tra teoria e prassi operativa, fra parole scritte in

costosi libri patinati e altre pronunciate nei consigli di amministrazione, fra essere

e dover essere, alla cui ricomposizione sembrano opporsi soprattutto una forte

resistenza al cambiamento e ostacoli di tipo culturale, in modo particolare se si

pensa al rovesciamento della tradizionale impostazione conflittuale dei rapporti tra

i partner della filiera. Forse una teoria, per quanto nuova e affascinante, non è

necessariamente valida ed applicabile in tutti i contesti, forse lo scenario

16 A tal proposito si deve comunque sottolineare come gli stessi studi dai quali emerge questo grave ritardo del contesto logistico italiano, che sta tra l’altro lasciando campo aperto alla conquista del mercato dei servizi logistici ai grandi operatori stranieri, evidenzino una netta

213

statunitense, patria d’origine della SCM, è ancora troppo diverso da quello

europeo ed italiano o forse le pressioni concorrenziali non sono ancora così forti

da sovvertire principi ritenuti immutabili. Forse!

tendenza per gli anni a venire all’aumento della terziarizzazione della logistica e dei trasporti

214

Appendice al capitolo 5

I FATTORI PROPULSIVI DELL’EVOLUZIONE DEL COMMERCIO AL

DETTAGLIO

Le tabelle seguenti, tratte da un volume intitolato “Previsioni a lungo

termine della distribuzione urbana delle merci in Europa” e contenete i principali

risultati di uno studio realizzato dal Centro Studi sui Sistemi di Trasporto (CSST)

per conto di FIAT Capogruppo, FIAT Auto e Iveco nel 1998 e pubblicato nel

2000, propongono alcuni dei fattori di evoluzione che accomunano i Paesi

(Germania, Francia, Italia e Regno Unito) nei quali è stata condotta l’indagine e

che, anche se con modalità in parte differenti, hanno influenzato ed

influenzeranno in futuro l’evoluzione dei rispettivi sistemi distributivi.

Si tratta di fenomeni di notevole complessità, di cui qualsiasi schema

costituisce un’inevitabile semplificazione poiché l’obbiettivo dei mutamenti in

atto è costituito dalla sempre maggiore rispondenza del sistema commerciale ad

una molteplicità di esigenze che si manifestano lungo tutta la supply chain

(dall’approvvigionamento di materie prime alla consegna dei prodotti ai clienti

finali), la cui soddisfazione può essere raggiunta solo attraverso un sistema

articolato e flessibile di offerta di servizi.

[Ottimo, Vona, 2001; CSST, 2000]

215

L’inserimento di tali tabelle in appendice al capitolo dedicato al caso

aziendale si giustifica banalmente data l’appartenenza dell’azienda FERRI al

settore della distribuzione, cui le tabelle si riferiscono. La loro consultazione

permette quindi di comprendere meglio alcune scelte operate dal gruppo, quale

quella di puntare tanto su negozi di piccole dimensioni (FERRI SHOP) quanto su

grosse superfici specializzate (FERRI WORLD), la predisposizione di una gamma

ampia e differenziata di private label, il ricorso al franchising o l’impostazione

Esigenze del cliente finale Evoluzione del quadro di riferimento

Risposte della distribuzione

Risparmio di tempo/efficienza negli acquisti

Ampiezza e profondità negli assortimenti (quindi delle superfici); garanzie di preselezione dei prodotti; localizzazione dei punti vendita (centri commerciali, zone periferiche, aree con parcheggio); category management

Semplificazione degli spostamenti e dei trasporti

Localizzazione dei punti vendita (rientra qui il ruolo dei negozi di vicinato); vendite per corrispondenza e a distanza; consegne a domicilio

Conoscenza e confronto delle caratteristiche dei prodotti

Assistenza preventiva; visual merchandising (disposizione dei prodotti e dei cartelli informativi)

Individuazione di marchi ed insegne in cui riporre fiducia per ridurre l’impegno nella ricerca di informazioni che precede l’acquisto

Sostegno dell’immagine d’insegna; sviluppo di catene di negozi con forte connotazione delle politiche commerciali; franchising; sviluppo di marchi del distributore

Ottimizzazione del rapporto qualità/prezzo

Acquisizione di potere di mercato verso i fornitori; riduzione degli ambiti di inefficienza; controllo delle fasi produttive nell’ambito dello sviluppo di prodotti con marchio commerciale;

216

assistenza post-vendita

avversaria dei rapporti con i fornitori. Se ne consiglia pertanto la

consultazione sistematica in sede di lettura del caso aziendale e vanno considerate

parte integrante del capitolo quinto.

Esigenze del produttore (competizione col distributore sul cliente finale/collaborazione)

Evoluzione del quadro di riferimento

Risposte della distribuzione

Conflitto Collaborazione Maggiori informazioni sul mercato finale per una corretta segmentazione del mercato stesso e la definizione di politiche di prodotto (comprese le politiche di innovazione)) e di prezzo mirate e flessibili

Utilizzo delle informazioni detenute per aumentare il potere negoziale nei confronti del fornitore

Utilizzo delle informazioni ottenute dal contatto col cliente per perseguire obbiettivi comuni

Controllo del posizionamento di prezzo

Utilizzo dei prodotti di marca come civetta

Impegno per una valorizzazione congiunta dei prodotti

Mantenimento del contatto con il cliente finale con l’obbiettivo di una sua fidelizzazione

Ricerca di fidelizzazione del cliente all’insegna piuttosto che alla marca

Franchising; negozi monomarca; assistenza post-vendita qualificata

Ampliamento/ritaratura dei mercati di presenza e delle modalità di raggiungimento degli stessi

Distribuzione al dettaglio (es. di altri paesi) come strumento di penetrazione di nuovi mercati

Ampliamento dei mercati di approvvigionamento e delle modalità di acquisizione degli input

Alleggerimento della gestione delle scorte

Uso di strumenti informatici per la

Tabella A1 – I fattori propulsivi dell’evoluzione del commercio al dettaglio; Fonte: Centro Studi sui Sistemi di Trasporto

217

gestione degli ordini e la trasmissione di informazioni sulla domanda

Riduzione degli ambiti di inefficienza

ECR; BPR; QR; JiT

Obbiettivi del distributore Evoluzione del quadro di riferimento

Risposte della distribuzione

Sviluppo di una propria individualità strategica, con aumento del potere di mercato nei confronti dei fornitori

Politiche di fidelizzazione dei clienti all’insegna; autonomia di fissazione dei prezzi; sviluppo marche commerciali; concentrazione degli acquisti attraverso cooperative, gruppi e centrali d’acquisto

Aumento delle quote di mercato/ aumento traffico nei punti di vendita

Prezzo; promozioni; prodotti civetta; acquisizioni e fusioni

Individuazione del posizionamento migliore rispetto al mix di assortimento/prezzi/servizio, con l’obbiettivo di fidelizzare il cliente e migliorare i margini operativi attraverso la creazione di maggiore valore aggiunto commerciale

Ampliamento e/o approfondimento degli assortimenti; offerta di servizi accessori; valorizzazione della funzione di preselezione dei prodotti; diversificazione dell’attività

Ricerca della massima efficienza, in un contesto di modeste possibilità di espansione dei ricarichi

Aumento del libero servizio; selezione dei servizi offerti; delega all’esterno di funzioni/processi (es. logistica, sistemi informativi)

Tabella A2 – I fattori propulsivi dell’evoluzione del commercio al dettaglio; Fonte: Centro Studi sui Sistemi di Trasporto

Tabella A3– I fattori propulsivi dell’evoluzione del commercio al dettaglio; Fonte: Centro Studi sui Sistemi di Trasporto

218

Conclusioni

Il mondo cambia velocemente e chi rimane indietro può avere grossa

difficoltà a rientrare sul gruppo. Lo scenario descritto precedentemente mostra

questa realtà, una realtà in rapida evoluzione e dove le pressioni concorrenziali si

fanno ogni giorno più forti.

Questo premesso, si è analizzata una particolare risposta strategica, la

Supply Chain Management, e se ne sono studiate le ricadute operative sulle

modalità di gestione del processo operativo e nel controllo delle scorte. L’analisi

di un caso aziendale originale ha permesso, infine, di sottoporre a verifica,

seppure parziale, la teoria esaminata in precedenza e di pervenire, già in chiusura

del precedente capitolo, ad alcune importanti conclusioni. Generalizzando le

conclusioni esposte nel Capitolo 5, e a chiusura del presente lavoro, è in oltre

possibile evidenziare quanto segue:

• L’attuale contesto competitivo, caratterizzato dal crescere delle

pressioni competitive, sembra, paradossalmente, proporre, come

modello vincente, quello della cooperazione. Si intende qui fare

riferimento alla cooperazione tra membri della stessa catena

logistica, catena che dovrebbe diventare sempre più, nei prossimi

anni, il vero soggetto nella lotta per l’acquisizione di quote di

mercato.

219

• All’implementazione della tanto auspicata cooperazione è, in realtà

da ostacolo una serie di fattori il cui superamento, seppure

condizione necessaria (secondo l’opinione di diversi ed illustri

studiosi) al conseguimento del successo di mercato, se non

addirittura per la sopravvivenza, appare problematico e di incerta

soluzione.

• Gli ostacoli di cui al punto precedente sono alquanto eterogenei per

natura. Ve ne sono di legati ad aspetti tecnologici, si pensi ai

problemi legati alla trasmissione e alla corretta interpretazione di dati

ed informazioni, la cui rimozione può richiedere investimenti

notevoli e la riprogettazione completa dei processi e delle procedure

aziendali. Altri, invece, sono legati ad aspetti contingenti e

macroambientali, un esempio può essere la scarsa disponibilità, tanto

dal lato dell’offerta quanto della domanda, di servizi logistici

integrati. Altri ancora, e sono forse i più ostici da superare, appaiono

legati ad aspetti culturali e da innata resistenza al cambiamento (si

pensi a quanto possa essere difficile per molte aziende pensare ai

fornitori come a partner).

• Un altro grande problema, all’attuazione della SCM, è costituito dal

fatto che la SCM non è un insieme di disposizioni precettive. In altre

parole è impossibile pervenire, attraverso l’analisi dei casi aziendali,

alla formulazione di un nucleo di precetti operativi e/o strategici

220

universalmente validi. La one best way non esiste ed ogni azienda

che si incammini verso l’integrazione con i partner della filiera

dovrà trovare la propria strada.

• Il futuro può riservare ancora diverse sorprese e rendere obsoleto

rapidamente ciò che ieri era all’avanguardia. In questo senso, molto

interessanti sembrano le prospettive legate allo sviluppo di reti di

comunicazione a banda larga, il cui sviluppo potrebbe aprire le porte

dei sistemi ERP anche alle piccole PMI attraverso la nascita di

particolari soggetti (ASP). Le ricadute anche sulla gestione dei

processi logistici sono in tal senso enormi e in buona parte

inesplorate.

• I prossimi anni saranno dominati sempre più dal diffondersi delle

tecnologie di rete e dell’informatica distribuita, in particolare, e

dell’ICT in generale

• Il possibile sviluppo dell’outsourcing e il crescente ricorso ai

contratti di partnership rappresentano alcune delle principali fonti di

cambiamento del prossimo scenario competitivo

Il precedente elenco, in realtà, non costituisce che una minima parte dei

possibili temi di ricerca che la discussione condotta in precedenza può sollevare,

temi peraltro vicendevolmente legati e dagli sviluppi interdipendenti. Certo è che

la teoria appare spesso slegata dal mondo reale, specie se la patria di nascita della

221

teoria stessa (Stati Uniti, in questo caso) è molto lontana e per certi versi diversa

dal contesto nazionale.

Non resta quindi da aspettare, lasciando che sia il tempo a dare un giudizio

definitivo, non dimenticando che forse una risposta univoca a tutti i problemi

aziendali non esiste e non esisterà mai, e riflettendo che se anche la cooperazione

non dovesse risultare vincente in ambito aziendale potrebbe comunque aiutare a

vivere meglio.

222

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