mesemese
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norme& tributi
Marzo 2015
Approfondimenti e dottrinaFisco, Società e Bilancio
La forza della qualità
roberto napoletano
N orme&Tributi Mese, la rivista che oggi si presenta ai lettori,è il nuovo periodico di approfondimento e dottrina del Sole24 ORE. Ci occuperemo di fisco, di bilancio e contabilità, di
diritto societario e di crisi d'impresa. E lo faremo con il metodo che da sempre rappresenta la forza del Sole 24 ORE e lo distingue nel panorama dell'informazione professionale. È il metodo della qualità, dell'autorevolezza, della chiarezza e dell'attenzione alle esigenze di chi legge.
Il tutto riaffermando lo strettissimo legame con il giornale e con lepagine di Norme&Tributi. Non a caso la nuova rivista si affida alla guida di un Comitato scientifico di primissimo livello che raccoglie l'intera squadra degli esperti di Telefisco e ogni mese offrirà i contributi e gli approfondimenti delle più prestigiose firme del Sole 24 ORE.
L'obiettivo di Norme&Tributi Mese è approfondire le modifiche ele novità (quelle normative, ma anche quelle di prassi e giurisprudenza), per valutarne gli effetti e le conseguenze, con un approccio sempre attento all'operatività e alle necessità dei professionisti impegnati nella consulenza fiscale e societaria.
La scelta degli argomenti e dei commenti consentirà non solo uninquadramento sistematico ma offrirà anche gli spunti per analisi di convenienza, riflessioni in ottica di pianificazione fiscale, senza ignorare le valutazioni sulla coerenza della politica fiscale.
Si tratta per Il Sole 24 ORE di un nuovo e importante traguardo, che sottolinea quanto l'informazione normativa in campo fiscale, l'analisi tecnica e l'approfondimento operativo continuino a rappresentare la forza che ci caratterizza. Un percorso di crescita che si inserisce in un sistema multimediale che parte dal quotidiano e dai giornali digitali per arrivare a PlusPlus24 Fisco, l'evoluzione del concetto di banca dati, capace di combinare informazione su carta e informazione digitale e destinato a rispondere sempre più alle esigenze informative e formative di professionisti e operatori.
Norme&TributiMeseApprofondimenti e dottrina Fisco, Società e BilancioAnno I - n. 1
Periodico mensile in corso di registrazione.
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Questo numero è stato chiuso in redazione il 25 febbraio 2015.www.normetributidigital.ilsole24ore.com
Proprietario ed Editore Il Sole 24 ORE SpaPresidente Benito Benedini Amministratore Delegato Donatella Treu
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Arretrati € 18,00 comprensivi di spese di spedizione. Per richieste di arretrati e numeri singoli inviare anticipatamente l'importo seguendo le stesse modalità di cui sopra. Eventuali fascicoli non pervenuti devono essere richiesti al Servizio Clienti periodici non appena ricevuto il fascicolo successivo.
Carattere del Mese Aurora, carattere tipografico
di origine tedesca, disegnato
nei primi anni del
'900. Riconoscibile per le
caratteristiche forme delle
lettere A, V, N e per la M
simmetrica. Design lineare con
reminescenze decò, era
diffusissimo nelle tipografie,
apprezzato per la sua versatilità
e leggibilità. Declinato in molte
versioni, dal disegno
condensato al tondo.
editoriale12 Legge di stabilità: anomalie e ambiguità
aumentano il rischio di adempimenti scorretti– Raffaele Rizzardi
operazioni straordinarie16 Scissione non proporzionale: profili di
elusività e valide ragioni economicheSi prende in considerazione una scissione totale non proporzionale
attraverso cui vengono costituite due nuove società, che ricevono
rispettivamente l’azienda e il compendio immobiliare appartenenti
alla società scissa. L’attenzione viene posta sui profili di elusività
dell’operazione che possono giustificare contestazioni da parte
dell’Amministrazione finanziaria.
– Primo Ceppellini e Roberto Lugano
accertamento32 Gli accertamenti in materia di transfer price
tra onere della prova, antielusivitàe violazione del principio di inerenza L’Amministrazione finanziaria sta indirizzando in modo sempre più
pressante l’attività di verifica sulle imprese al contrasto di fenomeni
di evasione ed elusione fiscale internazionale. Con riguardo agli
accertamenti in materia di transfer pricing, vi sono tre
problematiche da approfondire: onere dalla prova in presenza o in
mancanza dell’apposita documentazione per l’esimente dalle
sanzioni, rapporti con le norme antielusive e con il principio di
inerenza dei costi.
– Luca Gaiani
reddito d'impresa44 Legge delega: più garanzie a "salvaguardia"
del principio di inerenzaCon la legge delega n. 23/2014 viene prevista la “salvaguardia” del
principio di inerenza che è stato più volte fonte di incertezze. La
prassi e (taluna) giurisprudenza ritengono che la norma di
sommario
Sommario
riferimento sia l’art. 109, comma 5, Tuir, che invece disciplina un
fenomeno molto più ristretto rispetto al principio in commento, da
intendersi come collegamento tra un componente economico e
l’attività esercitata dall’imprenditore.
– Dario Deotto
iva52 IVA e servizi digitali nelle transazioni
internazionali: il difficile equilibriofra esigenze di gettito ed equità dell'imposizioneL’OCSE e l’UE, considerati i limiti dimostrati dall’imposizione
diretta, vedono nell’assoggettamento ad IVA dei servizi connessi
alla digital economy una priorità al fine di garantire una equa
competizione fra gli operatori economici e assicurare un adeguato
ritorno in termini di gettito fiscale per gli Stati.
– Matteo Mantovani e Benedetto Santacroce
fiscalità internazionale62 Il regime fiscale del "passaggio" degli
attivi e passivi della società incorporatanelle fusioni internazionaliIl regime fiscale delle fusioni internazionali è definito nel Tuir con
riferimento alle operazioni intracomunitarie in cui i beni della
società estinta confluiscano in una stabile organizzazione della
società risultante dalla fusione. Meno precisa è la disciplina degli
altri casi di fusione, nei quali si deve adattare la disciplina generale
ex art. 172.
– Giacomo D'Angelo e Marco Piazza
società76 La fusione transfrontaliera: disciplina
applicabile, procedure e adempimentiAnalisi della disciplina delle fusioni transfrontaliere tra società
di capitali. L’avvio della procedura con la redazione del
progetto di fusione e la sua pubblicazione. La relazione degli
amministratori, quella degli esperti e la deliberazione di
fusione. Gli oneri documentali sconosciuti nelle procedure di
fusione “interna”: il “certificato preliminare” e l’"attestazione
definitiva".
– Angelo Busani
società92 Con il contratto di rete
imprese agricole più competitiveIn agricoltura, accanto agli strumenti tradizionali di associazione
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delle imprese, si sta affermando il nuovo modello di aggregazione
delle reti di imprese, che prevede la cooperazione tra più soggetti
con lo scopo di perseguire interessi comuni. Dal 2009 ad oggi la
disciplina in materia è stata ampiamente ritoccata con l’obiettivo di
potenziarne l’attrattività e favorirne la diffusione.
– Gian Paolo Tosoni
contabilità e bilancio106 Lavori in corso su ordinazione: il nuovo
principio contabile stabilisce una gerarchiatra i due criteri civilisticiI lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale sono valutati
con il criterio della percentuale di completamento o,
alternativamente, con il criterio della commessa completata. Il
principio contabile nazionale Oic 23, nella versione revisionata,
stabilisce una gerarchia tra i due criteri: si applica il primo quando
le condizioni indicate nel principio siano soddisfatte, mentre il
secondo quando non lo siano.
– Franco Roscini Vitali
Giuliano BuffelliDottore commercialista e
revisore contabile, è professore
a contratto per l’insegnamento
di Tecnica Professionale
presso l’Università degli Studi
di Bergamo con particolare
riferimento alle crisi di
impresa. Pubblicista, è autore
di numerose monografie e
collabora con le principali
riviste di settore.
Primo CeppelliniDottore commercialista, si
occupa professionalmente di
consulenza fiscale alle imprese
e di operazioni straordinarie.
Svolge attività convegnistica e
pubblicistica, collaborando con
Il Sole 24 ORE come autore di
numerosi articoli e volumi in
materia fiscale e contabile.
Dario DeottoRagioniere commercialista
e pubblicista, si occupa
principalmente di
accertamento e contenzioso
tributario. Autore di numerose
monografie, collabora
assiduamente con Il Sole 24
ORE e con le principali riviste
di settore.
Luca GaianiDottore commercialista e
revisore legale, si occupa
prevalentemente di fiscalità
delle imprese e diritto
societario, ricoprendo incarichi
di sindaco in società di medie
e grandi dimensioni. Collabora
con Il Sole 24 ORE e svolge
attività di relatore in convegni
per professionisti ed imprese.
Antonio IorioAvvocato e revisore legale,
professore a contratto di
Scienza delle Finanze presso
l'Università La Tuscia. Si
occupa principalmente di
contenzioso tributario e penale
tributario. Collabora
assiduamente con Il Sole 24
ORE.
comitato scientifico
Angelo BusaniNotaio in Milano, collabora
assiduamente con Il Sole 24
ORE e con le principali riviste
di settore, pubblicando, in
particolare, articoli in materia
di diritto societario.
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Benedetto SantacroceAvvocato, membro del VAT
Expert Group della Commissione
europea. Ha sviluppato la sua
preparazione professionale
presso l'Amministrazione
finanziaria e la Commissione
Europea Direzione Generale
Fiscalità e Unione Doganale.
Professore a contratto presso
l'Università degli Studi Niccolò
Cusano.
Franco Roscini VitaliRagioniere commercialista
e revisore legale, docente a
contratto presso l’Università di
Trento. Svolge attività
convegnistica e pubblicistica,
collaborando con Il Sole 24
ORE come autore di numerosi
articoli e volumi in materia di
bilancio e contabile, nonchè di
reddito di impresa.
Gian Paolo TosoniRagioniere commercialista e
revisore legale, si occupa, in
particolare, di fiscalità in
agricoltura. Già membro di
Commissione Ministeriale.
Pubblicista, è autore di
numerose monografie e
collabora stabilmente con Il
Sole 24 ORE. Svolge l'attività di
relatore in numerosi convegni e
seminari.
Marco PiazzaDottore commercialista e
pubblicistica, si occupa
prevalentemente di fiscalità
finanziaria e internazionale. È
professore a contratto presso
l’Università Cattolica di Milano
e membro del Comitato per lo
studio della compatibilità
comunitaria della normativa
tributaria italiana presso
l’ANDC.
Roberto LuganoDottore commercialista, si
occupa professionalmente di
consulenza fiscale alle imprese
e di operazioni straordinarie.
Svolge attività convegnistica e
pubblicistica, collaborando con
Il Sole 24 ORE come autore di
numerosi articoli e volumi in
materia fiscale e contabile.
Raffaele RizzardiDottore commercialista, si
occupa prevalentemente di IVA
e fiscalità internazionale. Svolge
attività convegnistica e
pubblicistica. Fa parte del
Comitato tecnico della
Confédération Fiscale Européenne
e della Commissione per
l’esame della compatibilità
comunitaria di norme e prassi
tributarie italiane.
EDITORIALE
Legge di stabilità:anomalie e ambiguità aumentano il rischio di adempimenti scorretti
raffaele rizzardi
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13N on è il caso di rimpiangere la situazione giuridica delnostro Paese di molti anni fa, quando lo stesso volumerilegato in blu dei quattro codici poteva essere
utilizzato all’università, per l’esame di stato e per i primi anni della professione. O quando il Testo unico delle imposte dirette era rimasto in vigore dal 1960 al 1973 con quattro o cinque modifiche in tutta la sua esistenza.
Il mondo economico è cambiato e il diritto deve adeguarsial mutato contesto di riferimento. Ciò non significa che sia però tollerabile l’ingorgo giuridico al quale stiamo assistendo, che aumenta il rischio di non adempiere correttamente con il conseguente strascico di sanzioni, nell’ambito di una legge impropriamente chiamata di “stabilità” (nel resto del mondo si chiama ancora legge finanziaria), perché cambia già a pochi giorni di distanza dalla sua entrata in vigore.
La legge relativa al 2014 è stata modificata da 14 atti normativi successivi (ognuno è intervenuto su più di una
disposizione), oltre che dalla leggedi stabilità per il 2015.
Questo legiferare convulso nonconsente l’emanazione di adeguatee tempestive istruzioni di carattereufficiale.
Un esempio per tutti:l’estensione del reverse charge aduna serie di ambiti, alcuni di chiaraportata, come la pulizia degli edifici.Ma già questo punto certo va adaccrescere gli adempimenti deisoggetti di imposta esenti da Iva,
che in passato non avevano particolari formalità, ed erano anche esonerati dalla dichiarazione, mentre se pagano un’impresa di pulizia dovranno rendersi debitori di imposta, che verseranno materialmente, in quanto non hanno nulla di detraibile. E a fine anno dovranno anche compilare e trasmettere la dichiarazione Iva.
Ma dove a più di un mese dall’entrata in vigore della normanessuno ha una soluzione appagante è per le altre operazioni ora in reverse. La norma parla delle “prestazioni di servizi” di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici. Tutti sappiamo cos’è la demolizione, operazione peraltro di scarsa frequenza, mentre non c’è nessun appiglio sicuro per le altre due casistiche.
Per le installazioni di impianti qualcuno ha voluto perdersinella classificazione ATECO, ma la norma non parla delle “attività” di installazione, che nel loro ambito comprendono
NON È TOLLERABILE L’INGORGO
GIURIDICO AL QUALE STIAMO
ASSISTENDO. IL LEGIFERARE
CONVULSO NON CONSENTE
L'EMANAZIONE DI ADEGUATE
E TEMPESTIVE ISTRUZIONI
DI CARATTERE UFFICIALE
Editoriale
anche le manutenzioni, ma dei servizi di installazione, che sono certamente qualcosa di diverso dai servizi di manutenzione. E qui si apre anche l’altro abisso interpretativo sulla distinzione tra la fornitura di un’opera, che nel nostro ordinamento è una prestazione di servizi, rispetto alla vendita con posa in opera, che è una cessione di beni e che, se addebitata dal fornitore della materia, non costituisce prestazione, ma cessione per il vincolo di accessorietà.
Non parliamo dell’ambiguità del termine “completamento”di un edificio. Non ricorre nella direttiva di origine, non esiste nel Testo unico dell’edilizia. Si può dire tutto (dopo che l’impresa ha predisposto lo scheletro dell’edificio, quello che segue, sino al tamponamento delle facciate e alla fornitura dei serramenti, è un completamento) o il contrario di tutto, che il
completamento riguarda solo operefinite anche se incompiute.
Senza un dialogo preventivo trachi scrive le norme e chi le deveapplicare non arriveremo mai acapo di nulla.
L’esempio più significativo delposizionamento su un asteroide enon sulla terra di chi detta i precettifiscali riguarda l’elenco delleoperazioni intercorse con i Paesiblack list. Già ci sarebbe molto dadire sull’utilità di un simile
adempimento, che duplica con l’evidenza nella dichiarazione dei redditi dei componenti negativi originati in questi Paesi, prescritta dall’articolo 110, comma 11 del Tuir. Se vogliamo veramente semplificare che senso ha comunicare due volte informazioni sostanzialmente identiche?
Ma la vicenda della soglia di inclusione delle operazioni rasenta gli incubi kafkiani. Si era partiti senza nessun minimo di importo, con l’ormai famosa evidenza del caffè bevuto a Lugano, per il cui adempimento l’utilizzatore italiano avrebbe dovuto sottoporre ad interrogatorio l’esercente del bar per avere i dati necessari a compilare una scheda formato A4. Questo vero e proprio scandalo induce il legislatore ad introdurre una soglia minima di 500 euro per operazione, che il disegno di legge AS 958 del 23 luglio 2013 intendeva portare a 1.000 euro. Non si conosce il motivo per cui lo schema di decreto legislativo, in attuazione della legge delega per la riforma fiscale, che ha ripreso la quasi totalità delle disposizioni del disegno di legge dell’anno precedente, abbia ulteriormente elevato la soglia a 10.000 euro. Da cui la
SENZA UN DIALOGO PREVENTIVO
TRA CHI SCRIVE LE NORME E CHI
LE APPLICA NON ARRIVEREMO MAI
A CAPO DI NULLA. UN ESEMPIO
SIGNIFICATIVO RIGUARDA L'ELENCO
DELLE OPERAZIONI INTERCORSE
CON I PAESI BLACK LIST
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prevedibile reazione della Commissione parlamentare, che propone al governo di mantenere i 10.000 euro, ma di spostarne la definizione dalla singola operazione al totale annuo, per il quale occorre sommare sia le operazioni attive che quelle passive. Il tutto con la disposizione transitoria che parla ancora di operazioni e non di totale annuo.
Risultato: 10.000 euro di acquisti e/o vendite in un annosono meno di niente per le imprese che operano con l’estero, ma l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate è che sia venuta meno la soglia minima della singola operazione, con la conseguente resurrezione della comunicazione per importi risibili. E pensare che in nessun punto dell’iter
normativo era emersa la volontà di sopprimere la soglia minima dei 500 euro.
Queste sono due delle tante anomalie della normativa all’inizio del 2015. Stendiamo un velo pietoso sull’evoluzione della disciplina dei contribuenti minimi, anche questa in fase di riscrittura.
raffaele rizzardi› Comitato Scientifico
L'autoredi questo articolo
OPERAZIONI STRAORDINARIE
Scissione non proporzionale:profili di elusività
e valide ragioni economiche
primo ceppelliniroberto lugano
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Si prende in considerazione un'operazione societaria che
risponde ad una esigenza diffusa: si tratta di una scissione
totale non proporzionale attraverso la quale vengono
costituite due nuove società, le quali ricevono
rispettivamente l’azienda e il compendio immobiliare
appartenenti alla società scissa. L’attenzione viene posta
sui profili di elusività dell’operazione che possono
giustificare contestazioni da parte dell’Amministrazione
finanziaria. Viene quindi presentata una rassegna
commentata delle pronunce fornite in passato dall’Agenzia
delle Entrate e dal Comitato Consultivo per l’applicazione
della disciplina antielusiva. Infine, con riferimento al caso
specifico affrontato, vengono esaminate le caratteristiche
che possono giustificare le valide ragioni economiche
dell’operazione.
L’ operazione di scissione societaria è sempre da considerarsiparticolarmente delicata, soprattutto per quanto riguarda i suoirischi fiscali in termini di potenziale elusività.
A maggior ragione questo si verifica nel caso di scissione non proporzionale che ha per oggetto anche l’attribuzione di immobili.
Su questa tipologia di scissione esistono diverse prese di posizione da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché numerose valutazioni fornite, in passato, dal Comitato Consultivo per l’applicazione della norma antielusiva.
Una rassegna di queste interpretazioni può essere di aiuto per valutare, in fase preliminare, come l’Amministrazione fiscale si pone di fronte alle scelte del contribuente.
Il tema è anche estremamente attuale, dato che l’intera normativa sull’elusione e sull’abuso del diritto sarà oggetto di cambiamento in attuazione della delega fiscale approvata dal Parlamento.
Dopo una sintetica disamina delle principali valutazioni che sono state espresse in passato, cercheremo di illustrare quali sono i principali punti che dovranno essere concretamente valutati nell’ambito della specifica operazione che prendiamo in considerazione.
Premessa
In estrema sintesi, la situazione di partenza è raffigurabile graficamente come illustrato nello schema a pagina successiva.
La Srl svolge un’attività di impresa e possiede un immobile utilizzato atal fine. I termini PF1, PF23 e PF3 indicano soci o gruppi di soci persone fisiche.
Operazioni straordinarie — Accertamento
In questo contesto, i soci potrebbero trovarsi in disaccordo relativamente alle modalità di sviluppo futuro dell’attività esercitata.
Per non limitare le prospettive di crescita future del ramo produttivo/industriale e favorire, altresì, la creazione di nuove opportunità di business, una soluzione ipotizzabile è una riorganizzazione da attuarsi mediante una scissione totale non proporzionale della società (ai sensi dell’art. 2506 e seguenti cod. civ.) attraverso la quale:› l’unità immobiliare verrebbe trasferita in una “NewCo immobiliare”
(“NewCo 1”) partecipata integralmente dal socio “PF1”;› l’azienda verrebbe trasferita in una “NewCo industriale” (“NewCo 2”)
partecipata dai soci “PF2” e “PF3”.Al termine di questa riorganizzazione, quindi, la struttura societaria
risultante sarebbe la seguente:
NEWCO2NEWCO1
PF1
Unità
immobiliare
Core
business
PF2 PF3
Srl
PF1 PF2 PF3
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19La potenziale elusività dell’operazione di scissione
LA PRASSI UFFICIALE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’Agenzia delle Entrate è intervenuta spesso per esprimere il proprio orientamento in tema di applicabilità dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/73 ad operazioni di scissione non proporzionali. Spesso, le risoluzioni e le circolari che sono state emanate sono scaturite da originarie risposte del Comitato per l’interpello alle quali si è scelto di dare valenza più generale.
Ricordiamo che, negli anni più recenti, la prassi ufficiale ha preso in considerazione una operazione di scissione parziale non proporzionale di una società immobiliare di gestione partecipata da tre soci con assegnazione di beni immobili a tre società beneficiarie di nuova costituzione. Secondo l’Agenzia delle Entrate questa operazione non era supportata da valide ragioni economiche in quanto non vi era traccia di idonea documentazione attestante il disaccordo tra i soci in merito alla gestione del compendio immobiliare, ma la vera motivazione dell’operazione sarebbe stata quella di suddividere il patrimonio immobiliare della società scissa fra le società beneficiarie in modo tale da consentire a ciascuno dei tre soci di gestire singolarmente gli immobili e di destinarli a finalità personali. Di conseguenza, l’operazione è stata considerata strumentale all’assegnazione di beni ai soci e, quindi, non finalizzata ad una efficiente gestione dell’attività d’impresa (risoluzione 9
gennaio 2006, n. 5/E).Successivamente, con le risoluzioni n. 56/E e n. 58/E del 22 marzo 2007
(quest'ultima riferita ad una scissione proporzionale), l’Agenzia delle Entrate è intervenuta nuovamente sulla liceità, sotto il profilo della normativa antielusiva, delle operazioni di scissione societaria. In particolare, in questa sede, le operazioni sottoposte al vaglio dell’Agenzia sono state:› una prima caratterizzata dal trasferimento delle due unità immobiliari
posseduti dalla scissa (che si estingue) ad altrettante società beneficiarieneocostituite;
› una seconda caratterizzata dal trasferimento del compendio immobiliaread una beneficiaria neocostituita con il mantenimento in capo alla scissadel ramo aziendale.Il primo caso è stato ritenuto non elusivo sulla base dei seguenti
elementi: «L'operazione di scissione potrebbe assumere, invece, valenza elusiva
qualora rappresentasse solo la prima fase di un più complesso disegno unitario finalizzato alla successiva rivendita o donazione delle quote societarie delle beneficiarie da parte dei soci persone fisiche, con l'esclusivo fine di spostare la tassazione dai beni di primo grado (gli immobili) ai beni di secondo grado (quote di partecipazione) soggetti a un più mite regime di tassazione.
È inoltre necessario, affinché non siano ravvisabili profili elusivi, che ladescritta operazione non sia volta alla mera assegnazione dei beni della
Operazioni straordinarie — Accertamento
scissa ai soci mediante la creazione di società "contenitore" non connotate da alcuna operatività ma, al contrario, si caratterizzi come operazione di riorganizzazione aziendale finalizzata all'esercizio separato dell'attività di carrozzeria e di quella di verniciatura da parte delle due società beneficiarie.
Secondo quanto prospettato dalla società istante, l'operazione di scissione in oggetto non determinerebbe l'emersione di conguagli tra i soci in quanto il fabbricato artigianale, come emerge dalla relazione tecnica, fatta appositamente redigere sullo stesso dalle parti interessate e presentata in sede di invio della documentazione integrativa, verrà suddiviso in due unità immobiliari di identico valore economico.
L'operazione suddetta appare, inoltre, sostenuta da valide ragioni economiche in quanto finalizzata alla separazione di attività produttive che, a causa dei dissidi insorti tra i soci, non possono più essere esercitate congiuntamente.
Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, si ritiene, pertanto, che ladescritta operazione di scissione totale non proporzionale, qualora come prospettato nell'istanza venga realizzata a valori storici, non presenti profilidi elusività. Ciò a condizione che la stessa non sia, comunque, preordinata a costituire due soggetti giuridici strumentali alla mera assegnazione ai soci del patrimonio immobiliare della scissa ovvero a creare dei "meri contenitori" in cui immettere beni da alienare, al fine di ottenere, in caso di successiva cessione o donazione delle quote da parte dei soci persone fisiche, una trasformazione delle plusvalenze su singoli beni in plusvalenze su partecipazioni».
La risoluzione n. 58/E ha evidenziato due aspetti:1) che i plusvalori relativi agli immobili trasferiti dalle società scisse alle
società beneficiarie, «resi provvisoriamente latenti dall’operazione in questione, concorreranno a formare il reddito secondo le ordinarie regole impositive vigenti al momento in cui gli stessi immobili verranno ceduti o assegnati ai soci»;
2) che «l’operazione di scissione potrebbe assumere [...] valenza elusivaqualora fosse preordinata alla successiva cessione delle quote della società scissa o della società beneficiaria, con l’esclusivo fine di spostare la tassazione dai beni di “primo grado” (il ramo aziendale ovvero gli immobili) ai beni di “secondo grado” (le partecipazioni), soggetti ad un più mite regime di tassazione [...]. Eventuali profili elusivi, [...], potrebbero [...] rinvenirsi nella successiva cessione delle quote della società scissa. [...] l’operazione di riorganizzazione societaria rappresenterebbe, nella suddetta ipotesi, solo una fase intermedia di un più complesso disegno unitario finalizzato alla creazione di una mera società «contenitore», la società scissa, destinata ad accogliere il ramo operativo dell’azienda da far circolare, successivamente, sotto forma di partecipazioni. In tal modo i soci persone fisiche beneficerebbero del meno oneroso regime di tassazione sui capital gain rispetto a quello ordinario di tassazione sulle plusvalenze ai sensi dell’art. 86 del Tuir».
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Con riferimento a questo ultimo aspetto, nella circolare 12 aprile 2007,n. 20, l’Assonime ha evidenziato che:› il pronunciamento si pone in contrasto con precedenti pareri del
Comitato in cui erano state ritenute non elusive «operazioni di scissione che realizzano uno spin-off immobiliare, laddove si prevede lasuccessiva cessione di quote non della beneficiaria immobiliare, ma della scissa operativa (cfr. pareri n. 19 del 28 settembre 2005 e n. 40 del 3
novembre 2005)»;› è «del tutto consono alla natura ed alle finalità tipiche della scissione
societaria il suo essere un’operazione propedeutica ad una cessione di azienda, attuata ad esempio mediante la scissione di un’azienda ad unabeneficiaria nuova, le cui azioni vengono poi vendute ad un distinto gruppo» (cfr. principio contabile Oic 4, Fusione e scissione, 2007, p. 46).In altri termini, la separazione del patrimonio aziendale tramite scissione è, il più delle volte, un passaggio necessario per venire incontro, ad esempio, alle istanze del soggetto acquirente che è interessato ad acquisire alcuni settori dell’azienda e non la sua interezzao, viceversa, per tenere conto delle esigenze del soggetto alienante che intende conservareper sé la proprietà di alcuni rami d’impresa»;
› «proprio in ambito tributario, il legislatore delTuir riconosce espressamente la legittimità delle operazioni dirette al realizzo − in esenzione fiscale (oggi, parziale) − dei plusvalori insiti nei beni di “primo grado” (ed,in particolare, aziende), mediante cessione delle partecipazioni nelle società che li detengono» (art. 176, comma 3, del Tuir);
› per quanto riguarda il «fatto che il regime dicircolazione delle partecipazioni abbia un trattamento fiscale diverso da quello dei beni(specie immobili) posseduti dalle società partecipate o direttamente dai soci, non puònon osservarsi che tale situazione costituisce un tratto immanente dell’ordinamento, frutto delle scelte di politica economico-fiscale perseguite dal legislatore tributario; tale situazione e le invitabili asimmetrie impositive che ne derivano non può di per sé costituire unindice di elusività, senza il concorso di ulteriori circostanze che attestino, oltre all’"aggiramento” degli “obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario”, il carattere “indebito” del risparmio fiscale, presupposto dell’applicabilità dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973».Come si vede, le prese di posizione dell’Amministrazione, in estrema
sintesi, pongono l’accento su due elementi di pericolosità dell’operazione:› la mancanza di una vera e propria attività di impresa, soprattutto nel
comparto immobiliare, elemento che renderebbe la scissione una
SI PONE L'ACCENTO
SU DUE ELEMENTI
DI PERICOLOSITÀ
DELL'OPERAZIONE:
MANCANZA DI
UN'ATTIVITÀ D'IMPRESA
E CESSIONE
DELLA MAGGIORANZA
DELLE PARTECIPAZIONI
Operazioni straordinarie — Accertamento
operazione effettuata solo per aggirare la normativa sullo scioglimentosocietario con assegnazione di beni (plusvalenti) ai soci;
› la successiva cessione della maggioranza delle partecipazioni nella società scissa o nella beneficiarla, elemento che classificherebbe la scissione come operazione posta in essere solo per trasformare beni diprimo grado (immobili o aziende) in beni di secondo grado (quote societarie) che fruiscono di una tassazione agevolata in caso di cessione.Sotto questo duplice profilo, l’Amministrazione ha preso in passato
diverse posizioni che può essere utile ricordare:› una scissione non proporzionale con attribuzione a una società neo-
costituita del ramo immobiliare non è stata considerata elusiva in quanto i beni stessi non sono sottratti al regime d’impresa e la scissionenon è finalizzata al successivo trasferimento delle partecipazioni societarie (risoluzione 6 luglio 2001, n. 114/E,);
› una scissione parziale proporzionale, con trasferimento del ramo immobiliare ad una beneficiaria di nuova costituzione, è stata giudicatanon elusiva dato che con gli immobili (concessi poi in locazione alla scissa) sono stati trasferiti gli impianti di pertinenza e i relativi debiti obbligazionari (risoluzione 23 marzo 2001, n. 32/E);
› una scissione parziale proporzionale del ramo immobiliare in una newco
che eserciterà l’attività di locazione di beni immobili è stata consideratasostenuta da valide ragioni economiche in quanto finalizzata a snellire lastruttura patrimoniale della società scissa favorendo, con l’ingresso di nuovi soci, il ricambio generazionale, nonché lo svolgimento di un’attività imprenditoriale con l’apporto di nuove strategie industriali (risoluzione 4 ottobre 2007, n. 281/E);
LE RISPOSTE AGLI INTERPELLI
Al fine di valutare l’elusività delle ristrutturazioni aziendali effettuate attraverso le operazioni di scissione non proporzionale, può essere opportuno analizzare anche i principi espressi nei pareri forniti dal Comitato Consultivo per l’applicazione delle disposizioni antielusive che in passato si sono pronunciati sull’argomento. In linea generale, il Comitato Consultivo riconosce l’elusività delle operazioni di scissione nella misura in cui quest’ultime non sono dettate da un reale intento organizzativo e gestionale o non sono idonee a soddisfare finalità e strategie imprenditoriali, bensì sono preordinate unicamente ad ottenere un indebito risparmio d’imposta mediante l’aggiramento delle disposizioni in tema di tassazione dei redditi di capitale conseguenti allo scioglimento della società o del recesso dei soci (parere Comitato Consultivo 17 novembre 2005 n. 42).
Nello specifico il giudizio in merito alla validità dell’operazione è condotto principalmente assumendo a riferimento la società scindenda e le società beneficiarie, senza riguardo all’eventuale interesse e beneficio economico di soggetti diversi, quali i soci delle società coinvolte nell’operazione.
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Infatti, secondo un orientamento che può definirsi ormai consolidato, «la scissione, anche non proporzionale, è operazione straordinaria, di per sé non elusiva, nel caso in cui comporti il trasferimento del patrimonio immobiliare della società scissa, che continua la sua attività industriale, ad una costituenda società beneficiaria, senza sottrazione degli immobili al regime d’impresa» (parere Comitato Consultivo 17 novembre 2005 n. 45. In senso conforme si vedano i pareri del Comitato Consultivo 25 marzo 2004 n.
9 e 29 settembre 2004 n. 22).Significativamente, è stata ritenuta non elusiva un’operazione di
scissione parziale non proporzionale realizzata allo scopo di separare l’attività commerciale tipica dall’attività di gestione immobiliare, con l’ulteriore precisazione che «il giudizio di legittimità sulla scissione in esame non potrebbe essere confermato qualora la stessa costituisse solo una prima fase di un’operazione complessa finalizzata a realizzare con un minor carico fiscale la cessione dell’immobile o la liquidazione della partecipazione di uno dei soci» (parere Comitato Consultivo 18 luglio 2001
n. 5).Per questo motivo, sono state considerate elusive le operazioni di
scissione nell’ipotesi di:› costituzione di nuove società beneficiarie prive di operatività;› successiva cessione della maggioranza delle partecipazioni aventi diritti
di voto nelle assemblee ordinarie della società scissa e della società beneficiaria.A titolo esemplificativo, e limitando la nostra rassegna ai casi di
scissione non proporzionale, segnaliamo che il Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive ha riconosciuto l’elusività delle seguenti operazioni:› scissione parziale non proporzionale
finalizzata non al conseguimento di una riorganizzazione aziendale rispondente a finalità e strategie imprenditoriali, bensì al conseguimento dell’effetto di una mera distribuzione del patrimonio societario a favore di ciascun gruppo dei soci, in aggiramento del regime fiscale altrimenti applicabile alla liquidazione di società con assegnazione di beni ai soci. Secondo il Comitato l’operazione è quindi priva di valideragioni economiche in quanto manca la dimostrazione di una concreta motivazione economico - gestionale di natura produttiva o organizzativa allo scopo di creare una continuità imprenditoriale dell’attività della società scissa edelle beneficiarie (parere Comitato Consultivo 17 novembre 2005, n. 41);
› scissione totale non proporzionale, con assegnazione di cespiti immobiliari a due società beneficiarie unipersonali di nuova costituzione, non supportata da adeguata documentazione comprovante
È RICONOSCIUTA
L'ELUSIVITÀ DELLE
SCISSIONI QUANDO
SIANO PREORDINATE
UNICAMENTE AD
OTTENERE UN INDEBITO
RISPARMIO D'IMPOSTA
Operazioni straordinarie — Accertamento
i litigi tra i soci. Secondo il Comitato l’operazione di scissione prospettata non si pone l’obiettivo di una riorganizzazione aziendale nell’interesse delle società beneficiarie, ma piuttosto mira ad una assegnazione dei beni ai soci. A motivazione dell’inammissibilità dell’operazione di scissione non proporzionale il Comitato espone i seguenti punti:1. la mancata indicazione e l’omessa documentazione riguardante le
divergenze tra i soci in merito alle modalità di gestione della società;2. la mancata indicazione della volontà di non assegnare
successivamente i beni immobili trasferiti alle beneficiarie ai rispettivisoci unici;
3. la mancata indicazione dell’eventuale ingresso di nuovi soci;4. l’omissione dell’indicazione di dati economico-giuridici in relazione
alle diverse strategie imprenditoriali dei soci e alla prospettata necessità di effettuare la riorganizzazione aziendale (parere Comitato
Consultivo 14 ottobre 2005, n. 34);› fusione tra due società immobiliari e successiva scissione parziale non
proporzionale che risulti finalizzata ad una assegnazione di beni ai socie non ad una reale riorganizzazione aziendale al fine di rendere più efficace l’attività d’impresa, in mancanza di idonea documentazione attestante l’irrisolvibile situazione di conflittualità e disaccordo tra i soci, prospettata dal soggetto istante, che avrebbe causato una situazione di inattività societaria (parere Comitato Consultivo 13 luglio
2005, n. 18);› scissione parziale non proporzionale, con attribuzione di imprecisati
cespiti immobiliari ad una società beneficiaria di nuova costituzione, motivata dal soggetto istante da una situazione di ingestibilità della società a causa di irreversibili situazioni di contrasto tra i soci. Secondoil Comitato questa operazione, non avendo la finalità di perseguire nuove strategie imprenditoriali in capo alla società scissa e alla beneficiaria, non è sorretta da valide ragioni economiche, ma piuttostotende a soddisfare un’esigenza di parziale scioglimento della compagine sociale con assegnazione di parte del patrimonio a favore del socio uscente (parere Comitato Consultivo 13 luglio 2005, n. 17);
› scissioni non proporzionali di società, proprietarie di un immobile, conattribuzione ad ognuno dei soci delle quote di eguale valore delle tre società beneficiarie di nuova costituzione (in modo tale che, a seguitodella scissione, ciascuno dei tre soci detenga l’intero capitale sociale diuna delle tre società) in considerazione del fatto che, così agendo, «il fine che la società scindenda intende raggiungere appare essere quellodi dividere il fabbricato di proprietà in tre parti uguali affinché ciascuno dei tre soci accomandanti possa conseguire la piena proprietà» e che, al contrario «il medesimo fine [...] sarebbe raggiungibile, in via ordinaria, mediante la liquidazione della società eassegnazione ai soci [...] delle quote a ciascuno spettanti» (parere
Comitato Consultivo 7 dicembre 1999, n. 29).
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Viceversa, sono state considerate valide dal punto di vista economico (e,di conseguenza, non elusive) le operazioni di:› scissione parziale non proporzionale non preordinata a porre in essere
attività volte a sottrarre a tassazione plusvalenze latenti insite nei beni trasferiti (parere Comitato Consultivo 29 settembre 2004, n. 22);
› scissione parziale non proporzionale con attribuzione del patrimonio immobiliare a due nuove società beneficiarie, atteso che nel caso di specie:1. l’operazione consente ai soci della scissa di gestire gli immobili
secondo differenti strategie imprenditoriali;2. i beni della società scissa, sia quelli trasferiti alle beneficiarie sia quelli
rimasti in capo alla stessa scissa, continuano a rimanere nell’ambitodell’attività d’impresa;
3. i soci delle beneficiarie non intenderanno procedere ad una successivacessione delle partecipazioni detenute nelle stesse (parere Comitato
Consultivo 25 marzo 2004, n. 9. In senso conforme si veda anche il parere Comitato Consultivo 16 novembre 2005, n. 45).
Inoltre, sottolineiamo che per la non elusività della scissione di un comparto immobiliare conseguente ad un’operazione di realizzo di comparto industriale attuata mediante compravendita di azioni in regime PEX si è espressa anche la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Brescia 8 marzo 2012, n. 38/12/12.
Possiamo infine ricavare qualche utile esempio, sempre a conferma delleconsiderazioni che abbiamo fin qui svolto, da altre pronunce dello stesso Comitato.
Ad esempio, il Comitato ha sottolineato espressamente l’esigenza dellacontinuità nell’attività di impresa e dell’assenza di intenzione di cedere successivamente le quote delle società risultanti dalla scissione, dando parere favorevole a operazioni di:› «scissione parziale non proporzionale (…) volta alla separazione, in
regime di neutralità fiscale, di un complesso aziendale in due distinti sistemi economici effettivamente operanti, per consentire ai rispettivi soci di gestire e sviluppare separatamente ed autonomamente i patrimoni sociali di pertinenza secondo differenziate strategie gestionali,senza intenzione di vendere successivamente le partecipazioni nelle società beneficiarie» (parere Comitato Consultivo 9 maggio 2007, n. 28);
› scissione parziale non proporzionale volta a separare il ramo immobiliare da quello produttivo, sempreché gli immobili assegnati allabeneficiaria vengano realmente utilizzati per finalità imprenditoriali, enon adattati alle esigenze personali e familiari dei soci, e che dall’allargamento post scissione della compagine sociale della scissa nonconsegua che la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto al votonelle assemblee ordinarie venga trasferita, anche frazionatamene, o comunque acquisita, da nuovi soci (parere Comitato Consultivo 18
dicembre 2006, n. 40);› scissione parziale non proporzionale «che determini il trasferimento del
Operazioni straordinarie — Accertamento
patrimonio immobiliare della società scissa a due costituende società beneficiarie, ciascuna delle quali assegnatarie di uno dei due fabbricaticostituenti il predetto patrimonio immobiliare e ognuna avente una compagine societaria formata da una delle due coppie di coniugi che compongono l’assetto societario della società scissa, nel presupposto chela stessa non sia né finalizzata alla mera assegnazione ai soci di parte del patrimonio della scissa, ma sia volta alla costituzione di soggetti giuridici realmente operativi e dediti ad un’effettiva attività imprenditoriale, né preordinata alla successiva rivendita delle partecipazioni nelle società beneficiarie, né a un allargamento post scissione della compagine sociale della scissa dal quale consegua che lamaggioranza delle partecipazioni aventi diritto al voto nelle assembleeordinarie venga trasferita, anche frazionatamente, o comunque acquisita, da nuovi soci» (parere Comitato Consultivo 12 aprile 2006, n. 11).Se prendiamo in considerazione le pronunce negative (cioè miranti a
sottolineare il profilo elusivo dell’operazione) dello stesso Comitato, possiamo isolare alcune conclusioni che confermano i rischi della scissione non supportata da ragioni imprenditoriali:› «una scissione parziale non proporzionale con trasferimento di un ramo
aziendale a una società di nuova costituzione, che sia diretta a ripartire ilpatrimonio immobiliare tra i soci anziché a potenziare l’attività imprenditoriale della beneficiaria, presenta profili di elusività in quantonon supportata da valide ragioni economiche e finalizzata a conseguireun indebito vantaggio fiscale, rinvenibile nel rinvio sine die della tassazione della plusvalenza prevista in caso di assegnazione di beni aisoci, attraverso l’aggiramento di obblighi previsti dall’ordinamento» (parere Comitato Consultivo 9 maggio 2007, n. 22);
› «l’operazione di scissione parziale non proporzionale di una società immobiliare proprietaria di immobili strumentali locati a terzi e di un terreno edificabile, in cui le partecipazioni della scissa e della beneficiaria vengono ripartite tra due nuclei familiari mediante sorteggio, deve considerarsi diretta ad aggirare il regime di imponibilitàconseguente all’assegnazione dei beni ai soci e alla liquidazione della società stessa e a differire sine die la tassazione delle plusvalenze, e privadi valide ragioni economiche» (parere Comitato Consultivo 22 marzo 2007,
n. 10);› «un’operazione di scissione parziale non proporzionale finalizzata non a
realizzare un piano di riorganizzazione aziendale nell’interesse delle società coinvolte nell’operazione, ma a soddisfare l’esigenza di suddivisione del patrimonio immobiliare ad uso diretto dei soci in assenza di prospettive di ingresso di nuovi soci e/o capitali nelle societàbeneficiarie e di una rappresentazione di reali e concrete strategie imprenditoriali conseguenti alla scissione, presenta aspetti di elusività,in quanto è priva di valide ragioni economiche» (parere Comitato
Consultivo 22 marzo 2007, n. 8);› «una scissione totale non proporzionale, per la quale sia prevista
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l’assegnazione a due neocostituende società beneficiarie (S.r.l. unipersonali) dei cespiti immobiliari della società scindenda, e che sia fondata essenzialmente sulla necessità di superare contrasti fra soci attraverso la loro uscita dalla compagine societaria e l’assunzione da parte loro della titolarità dell’intero patrimonio di ciascuna delle beneficiarie, senza che siano adeguatamente documentate l’origine e lanatura di tali contrasti e le diverse strategie imprenditoriali che i soci intenderebbero seguire dopo la scissione, appare non sorretta da valideragioni economiche e rivolta all’aggiramento di norme tributarie con indebito risparmio d’imposta» (parere Comitato Consultivo 14 ottobre
2005, n. 34). Si fa presente infine che, in un recente interpello citato da Fabrizio
Cavalli sul Quotidiano del Fisco del 5 dicembre 2014, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il trasferimento di funzioni e beni mediante scissione a valore contabile dalla holding a tre società controllate operative non configura elusione.
In pratica un gruppo industriale strutturato con una holding di partecipazioni proprietaria del 100% delle quote di tre società operative impegnate in tre diversi settori vuole procedere ad una riorganizzazione interna per rafforzare l’autonomia gestionale e patrimoniale di queste società, trasferendo loro alcune funzioni aziendali della holding e la proprietà degli immobili industriali utilizzati dalle partecipate sulla base di contratti di affitto, oltre al personale e impianti strumentali alla produzione. L’operazione che si intende effettuare è una scissione parziale verso le tre controllate al 100%, che diventerebbero le beneficiarie. La scissione avverrebbe a valori contabili senza procedere ad un aumento di capitale sociale delle tre beneficiarie da assegnare ai soci della holding in quanto si considera che il controllo totalitario della holding sulle beneficiarie consente di escludere a priori qualsiasi ipotesi di pregiudizio per i soci della holding e quindi la necessità di un concambio di scissione (sul punto viene richiamata la massima n. 23 del Consiglio Notarile di
Milano).L’Agenzia delle Entrate, senza entrare nel merito della configurazione
civilistica dell’operazione, conferma un principio molto importante su cui si dibatte in questo periodo in tema di normativa antielusiva: l’operazione proposta si basa su valide ragioni economiche e non è preordinata a successivi atti realizzativi a tassazione agevolata, per cui non è classificabile come abusiva e il contribuente può effettuarla, trattandosi di una possibile alternativa fra quelle che il sistema societario mette a disposizione.
Il caso concreto
Alla luce di tutte le considerazioni espresse in passato e riassunte nei
Operazioni straordinarie — Accertamento
paragrafi precedenti, è possibile isolare alcune caratteristiche dell’operazione che stiamo analizzando, che potrebbero essere estremamente utili per la sua caratterizzazione come elusiva o non elusiva.
In via principale l’operazione di scissione non proporzionale potrebbe essere considerata supportata da valide ragioni economiche se, attraverso la stessa, venisse soddisfatta l’esigenza dei soci di suddividere il patrimonio immobiliare dall’attività a carattere industriale, in modo tale da permettere la continuazione delle due attività da parte degli stessi in via separata.
In questo senso:1) la scissione dovrebbe essere funzionale ad un’effettiva esigenza di
riassetto gestionale ed organizzativo della società, consistente nella volontà di separare l’unità immobiliare attualmente posseduta dal ramo d’azienda industriale.
In senso analogo, a titolo esemplificativo, in passato, la “validità economica” dell’operazione di scissione è stata riconosciuta:› per «… la necessità di razionalizzare il momento organizzativo e la gestione
delle risorse finanziarie di fonte esterna, per sostenere lo sviluppo e la completa realizzazione degli interventi edilizi, anche rivedendo l’assetto societario con la costituzione di società di scopo individuate in relazione alla destinazione d’uso»;1
› «… nell’ipotesi in cui la finalità … sia quella di costituire tre distinte societàattraverso le quali i soci della società originaria possano perseguire differenziati interessi economici»;2
2) la scissione dovrebbe essere in grado di determinare la separazione delpatrimonio della scissa in funzione del rischio d’impresa e, conseguentemente, di differenziare le relative strategie aziendali.
Anche in questo caso, in passato, sono state considerate valide economicamente le scissioni:› nelle quali «lo scopo unico dell’operazione è quello di dividere il
patrimonio sociale tra i soci, i quali continuerebbero a svolgere separatamente l’attività sociale, assumendo la direzione e la gestione delleattività aziendali che sarebbero improntate a strategie diverse»3 ;
› in grado di sanare la mancata «… disponibilità dei soci ad incrementare l’attività di rischio»4 e consentire «… una migliore gestione delle … attivitàcon costi e ricavi distinti e, soprattutto, una netta separazione del patrimonio in funzione del rischio d’impresa»5 ;
› in grado di consentire agli eventuali futuri differenti soci di ciascuna dellesocietà beneficiarie «… di gestire i diversi immobili secondo differenti criteri e strategie imprenditoriali»6 ;3) la scissione dovrebbe (almeno potenzialmente) favorire il
raggiungimento di una maggiore competitività sul mercato da parte della
1. Risoluzione Agenzia delle Entrate 21 febbraio
2002, n. 53/E.
2. Risoluzione 17 giugno 1999, n. 78348/98.
3. Parere Comitato Consultivo 4 luglio 2002, n. 6.
4. Parere Comitato Consultivo 5 giugno 2001, n. 4.
5. Parere Comitato Consultivo 2 dicembre 1999, n.
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6. Parere Comitato Consultivo 25 marzo 2004, n. 9.
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7. Parere Comitato Consultivo 8 marzo 1999, n. 8.
8. Risoluzione 30 gennaio 2002, n. 28/E.
9. Parere Comitato Consultivo 28 luglio 2000, n. 19.
10. Parere Comitato Consultivo 18 luglio 2001, n. 5.
11. Parere Comitato Consultivo 18 dicembre 2006, n. 40.
12. Risoluzione 9 luglio 2002, n. 224/E. In
precedenza, in senso conforme: risoluzioni 21
febbraio 2002, n. 166/E, 23 marzo 2001, n.
33/E e 3 novembre 2000, n. 166/E.
società industriale attraverso la conclusione di nuovi accordi commerciali nella relativa area di business.
In senso conforme, in passato, è stata riconosciuta la validità:› d i una scissione avente ad oggetto un complesso immobiliare prelevato dal
ramo d’azienda industriale operata allo scopo di favorire il raggiungimentodi «… una maggiore competizione sul mercato …con l’avvio di accordi con altre società operatricidel settore e … lo snellimento della propria struttura sociale»;7
› di una scissione avente ad oggetto un immobilein considerazione «… dell’attuale struttura patrimoniale della società particolarmente appesantita dalle proprietà immobiliari, che, non essendo strettamente correlate al business,costituiscono un notevole appesantimento dellastruttura patrimoniale non gradita al mercato»;8
4) la scissione dovrebbe favorire l’ingresso di nuovi soci nella società industriale attraverso il frazionamento del patrimonio sociale della società.
In senso analogo, sono state considerate valide le scissioni:› «… volte a separare la gestione immobiliare da quella commerciale, allo
scopo di favorire un ingresso meno oneroso di nuovi soci nella società scissa che continua ad esercitare la medesima attività commerciale» 9 ;
› attuate «… allo scopo di dividere il patrimonio sociale tra i soci, i quali continuano, separatamente, l’uno l’attività di gestione dell’immobile, l’altro l’attività commerciale tipica, consentendo in entrambi i casi l’ingresso di nuovi soci e, quindi, di nuove risorse umane e finanziarie necessarie per il loro sviluppo»; 10
› se «… dall’allargamento post scissione della compagine sociale […] non consegua che la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto al votonelle assemblee ordinarie venga trasferita, anche frazionatamene, o comunque acquisita, da nuovi soci» 11 .Ovviamente, nonostante dalla scissione non emerga direttamente alcun
vantaggio tributario, l’elusività di questa operazione potrebbe sempre essere contestata alla luce del risparmio d’imposta derivante a seguito degli atti compiuti dai soci anteriormente e/o successivamente alla stessa. In questo senso, infatti, come abbiamo ricordato, l’orientamento ormai consolidato dell’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto l’elusività delle operazioni di scissione nell’ipotesi di: 12
L'ELUSIVITÀ POTREBBE
SEMPRE ESSERE
CONTESTATA ALLA LUCE
DEL RISPARMIO D'IMPOSTA
DERIVANTE A SEGUITO
DEGLI ATTI COMPIUTI DAI
SOCI ANTERIORMENTE
E/O SUCCESSIVAMENTE
ALLA SCISSIONE
Operazioni straordinarie — Accertamento
› costituzione di nuove società beneficiarie prive di operatività;› successiva cessione della maggioranza delle partecipazioni nella società
scissa o nelle società beneficiarie.In particolare, come abbiamo ricordato più volte, in questi casi
l’aggiramento delle norme del Tuir è stato individuato nel minor carico fiscale derivante dalla cessione delle partecipazioni acquisite nelle beneficiarie da parte dei soci rispetto a quello che si sarebbe generato nell’ipotesi in cui i beni fossero stati ceduti dalla società in regime d’impresa.
Possibile futura evoluzione: l’attuazione della legge delega
Per completezza, va infine presa in considerazione la (possibile) futuraevoluzione della disciplina antielusiva. Sotto questo profilo, è interessante notare che una auspicata maggiore chiarezza dovrebbe venire dall’attuazione della legge delega approvata nei mesi scorsi dal Palamento. Le linee guida del decreto legislativo che dovrebbe essere dedicato a questo aspetto sono le seguenti:
«a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridiciidonei ad ottenere un risparmio d'imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;
b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, atal fine:
1) considerare lo scopo di ottenere indebitivantaggi fiscali come causa prevalentedell'operazione abusiva;
2) escludere la configurabilità di una condottaabusiva se l'operazione o la serie di operazioni ègiustificata da ragioni extrafiscali non marginali;
3) stabilire che costituiscono ragioniextrafiscali anche quelle che non producononecessariamente una redditività immediatadell'operazione, ma rispondono ad esigenze dinatura organizzativa e determinano unmiglioramento strutturale e funzionaledell'azienda del contribuente».
Proprio in termini di ragioni economiche e dimotivazioni extrafiscali le operazioni di scissione non proporzionale potrebbero trovare un valido supporto a sostegno della legittimità delle scelte operate dal contribuente.
Ricordiamo a questo proposito un passaggio della relazione sull’abusodel diritto nei lavori parlamentari della legge delega: «Una sostanziale e incisiva rivisitazione della nozione dell’abuso del diritto in materia
È NECESSARIO TROVARE
UNA LINEA GIUSTA
DI CONFINE TRA
PIANIFICAZIONE FISCALE
ECCESSIVAMENTE
AGGRESSIVA
E LIBERTÀ DI SCELTA
DELLE FORME
GIURIDICHE
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tributaria si è avuta infine con la sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 della Corte di Cassazione. In tale occasione la Corte ha affermato che l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa. Tale esigenza è particolarmente sentita nei tempi recenti, nei quali si assiste ad un uso sempre più disinvolto dei cd. tax shelters e quindi ad una ricerca, comune a tutte le esperienze giuridiche, di individuare adeguate forme di contrasto, anche all’infuori di una codificazione della clausola generale anti abuso. Pertanto il carattere abusivo deve essere escluso per la compresenza non marginale di ragioni extrafiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata ma possono essere anche di natura meramente organizzativa e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa. Infatti il sindacato dell’Amministrazione finanziaria non può spingersi ad imporre una misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili (e cioè una fusione) solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale».
Considerazioni conclusive
In sostanza, e a maggior ragione per le scissioni non proporzionali, si deve considerare che le valide ragioni economiche devono sussistere, ma non necessariamente in via immediata, bensì sicuramente anche in via prospettica; inoltre, sotto un altro profilo, il fisco non può imporre la strada che comporta il carico fiscale maggiore quando esiste una opportunità civilistica coerente con la finalità economica della riorganizzazione/ristrutturazione che si vuole attuare.
roberto lugano› Comitato Scientifico
primo ceppellini› Comitato Scientifico
Gli autoridi questo articolo
ACCERTAMENTO
Gli accertamenti in materiadi transfer price tra oneredella prova, antielusività e
violazione del principio di inerenza
luca gaiani
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L’Amministrazione finanziaria sta indirizzando in modo
sempre più pressante la propria attività di verifica sulle
imprese al contrasto di fenomeni di evasione ed elusione
fiscale internazionale, come esterovestizione, stabili
organizzazioni occulte, politiche di prezzi di trasferimento
non in linea con il valore normale. Con riguardo agli
accertamenti in materia di transfer pricing, vi sono, tra le
altre, tre problematiche che meritano di essere approfondite
anche per i riflessi sul comportamento dei contribuenti nella
predisposizione della dichiarazione e della eventuale
successiva attività di difesa: onere dalla prova in presenza,
oppure in mancanza, della apposita documentazione per
l’esimente dalle sanzioni, rapporti con le disposizioni
antielusive e con il principio di inerenza dei costi.
Disciplina dei transfer price e onere della prova
La disciplina dei transfer price di cui all’art. 110, comma 7, del Tuir 1 è sempre più frequentemente al centro delle verifiche e dei controlli dell’Amministrazione finanziaria sulle imprese, in particolare su quelle di grandi dimensioni 2 .
Nella predisposizione della dichiarazione dei redditi, i contribuenti interessati devono affrontare alcuni interrogativi riguardanti l’applicazione di questa disciplina anche in funzione delle successive attività da svolgere nei confronti del fisco in caso di verifica e di accertamento.
ONERE DELLA PROVA E DOCUMENTAZIONE “ANTI SANZIONI”
Un aspetto preliminare che le imprese si trovano ad affrontare in materia di transfer price riguarda la necessità, ovvero l’opportunità, di predisporre una apposita documentazione esplicativa dei prezzi di trasferimento praticati e della loro congruità rispetto alle regole di libera concorrenza. Ci si chiede, inoltre, se sussista l’obbligo di produrre questa documentazione già in sede di verifica, prima che l’Ufficio abbia motivato la sua eventuale rettifica, ovvero se sia consentito farla emergere nell’eventuale successivo contenzioso.
Un punto fermo da cui prendere le mosse per affrontare la
1. Che prevede, in estrema sintesi, la
quantificazione a valore normale dei componenti
reddituali derivanti da rapporti con imprese non
residenti dello stesso gruppo, laddove da questa
valorizzazione derivi un aumento del reddito.
2. L’indicazione si ricava dalle circolari annuali
dell’Agenzia delle Entrate sulle linee guida
delle attività di verifica. Si veda, da ultimo, la
circolare 6 agosto 2014, n. 25/E, in particolare
il par. 3.3.
Accertamento — Transfer price
problematica sopra evidenziata riguarda la non obbligatorietà della particolare documentazione redatta nelle forme e con le regole previste dall’art. 1, comma 2-ter, D.Lgs. n. 471/1997 (introdotto dal D.L. n. 78/2010) 3 . Si tratta infatti di documentazione che il legislatore ha previsto come un onere per ottenere l’esonero da sanzioni e non certo come un obbligo; le imprese sono dunque libere di adottare questo set documentale, come di non farlo 4 , senza che ciò abbia alcun impatto sulla conformità del loro operato rispetto alle regole di determinazione delle imposte sul reddito e di redazione della dichiarazione.
Va anzi sottolineato che, in generale, neppure si rintracciano nell’ordinamento, disposizioni che impongano all’impresa italiana di documentare preventivamente, con specifiche modalità, la propria politica di pricing nei confronti delle consociate estere e dunque di dimostrare preventivamente al fisco che le metodologie di determinazione dei prezzi di vendita o di acquisto adottate sono conformi ai principi di libera concorrenza.
Si tratta peraltro di elementi che il contribuente deve conoscere e verificare al proprio interno, oltre che per un generale obbligo di ordinata amministrazione, al fine di stabilire, in sede di redazione del modello Unico, se il risultato civilistico derivante dalle transazioni con le consociate estere è congruo in termini fiscali o se devono essere apportate delle variazioni in aumento.
L’inesistenza di specifici obblighi di documentazione preventiva in materia di prezzi di trasferimento interagisce con il tema dell’onere della prova nelle rettifiche riguardanti questa disposizione. Onere che, a giudizio della prevalente dottrina, ricade sull’Amministrazione finanziaria. È cioè il fisco che, verificata la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della normativa, e dopo aver analizzato i rapporti economici ricadenti in tale disciplina, e così gli importi fatturati e contabilizzati, dovrà, come per ogni altra rettifica al reddito dichiarato, dimostrare che detti importi sono inferiori (proventi) ovvero superiori (costi) a quelli determinati sulla base del valore normale.
Questo principio è valido in particolar modo qualora il contribuentepredisponga la documentazione per l’esonero da sanzioni; in presenza, infatti, di un onere documentale predeterminato dal legislatore, il contribuente che lo assolva non sarà evidentemente tenuto a fornire ulteriori dimostrazioni 5 .
La tesi della mancanza di specifici oneri probatori per i contribuenti inmateria di transfer price ha trovato alterni giudizi da parte della giurisprudenza di legittimità. Peraltro, nelle (contrastanti) pronunce della
3. Masterfile e documentazione nazionale redatti
secondo standard tassativamente indicati dal
Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle
Entrate del 29 settembre 2010.
4. Fermi restando aspetti di opportunità, trattati
oltre nel testo.
5. In questo senso, in dottrina, A. Martinelli,
Manuale di tecnica processuale tributaria, Torino,
2014, pag. 316, secondo cui «… se così non
fosse, la documentazione in discorso sarebbe
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Cassazione entrano spesso ulteriori aspetti (come la natura antielusiva della disciplina e l’applicazione del criterio di inerenza dei costi), il che rende estremamente arduo, allo stato attuale, individuare un principio giurisprudenziale stabile e affidabile su questo specifico aspetto.
Per restare alle decisioni più recenti, va segnalata la sentenza n. 11949 del 2012 (sentenza che si inserisce nel filone giurisprudenziale che sostiene la natura antielusiva della norma in esame), la quale, sovrapponendo questioni riguardanti il più generale principio di inerenza dei costi (vedi infra), introduce una dicotomia interpretativa che non risulta a nostro avviso coerente con la disciplina dei transfer
price in senso stretto. Secondo la Cassazione, per le rettifiche sui ricavi (ritenuti inferiori a quelli calcolati sul valore normale) l’onere della prova ricadrebbe sull’Ufficio, mentre con riferimento a quelle sui costi, sarebbe il contribuente a dover dimostrarne la congruità 6 . Il caso riguardava una rettifica da transfer price (aumento di costi) effettuata, con riferimento ad acquisti della impresa italiana presso una consociata estera, nell’ultimo giorno dell’esercizio, modalità che aveva fatto sorgere il sospetto che l’operazione servisse a spostare reddito imponibile dall’Italia all’estero con i connessi profili di elusività e di difetto di inerenza 7 . Partendo da questo presupposto, i giudici hanno ritenuto che fosse il contribuente a dover fornire giustificazioni della deducibilità del costo, finendo per attribuire a questo principio (applicabile ad ogni tipologia di onere) la valenza di regola specifica delle transazioni con consociate estere.
In una successiva sentenza (la n. 4927 del 27febbraio 2013), che pure, come quella sopra citata, afferma la natura antielusiva della norma in commento, la Cassazione afferma invece che, nelle rettifiche da transfer price, l’onere probatorio graverebbe sull’Amministrazione finanziaria anche quando, come nel caso esaminato nella sentenza citata, la vertenza riguardi il «valore normale» dei costi dedotti dal contribuente 8 .
illogicamente come tamquam non esset, nel
senso che il contribuente che l’ha predisposta
verserebbe nella medesima situazione del
contribuente che non l’ha predisposta».
6. La sentenza afferma al riguardo che «il problema
della ripartizione dei costi infragruppo involge
anche il profilo dell'inerenza, oltre che quello
dell'esistenza, dei costi dichiarati», per cui
«l’onere di fornire la dimostrazione dell'esistenza
e dell'inerenza di tali componenti negative del
reddito e, qualora si tratti - come nella specie -
di costi derivanti da servizi o beni prestati o
ceduti da una società controllante estera ad una
controllata italiana, anche di ogni elemento che
consenta all'Amministrazione di verificare il
normale valore dei relativi corrispettivi, non può
pertanto che cedere - in forza del principio di
vicinanza alla prova - a carico del contribuente».
7. Profili che in realtà poco hanno a che vedere con
la disciplina sostanziale degli scambi intercompany.
8. Sul punto si veda, diffusamente, Avolio-
D’Agostino-Santacroce, «La Cassazione
SECONDO LA CASSAZIONE,
PER LE RETTIFICHE
SUI RICAVI L'ONERE
DELLA PROVA
RICADREBBE SULL'UFFICIO,
PER QUELLE SUI COSTI
SUL CONTRIBUENTE
Accertamento — Transfer price
Nella più recente sentenza n. 10739 dell’8 maggio 2013, la Cassazione 9 , modificando nuovamente orientamento, ha al contrario sancito che il compito dell'Amministrazione è soltanto quello dimostrare l'esistenza di transazioni tra imprese collegate (italiane ed estere), mentre spetta al contribuente, secondo le regole ordinarie di vicinanza della prova di cui all’ art. 2967 cod. civ., dimostrare che le transazioni sono intervenute per valori di mercato da considerarsi normali ai sensi dell’art. 9 del Tuir.
Come è stato osservato in dottrina, quest’ultima affermazione, se è certamente condivisibile in termini di obbligo del contribuente nella redazione della dichiarazione dei redditi (e dunque nella quantificazione dell’imponibile) di effettuare un adeguato confronto tra corrispettivi pattuiti e valore normale, non pare altrettanto sostenibile se intesa come libertà dell’Ufficio di effettuare contestazioni senza adeguate ricostruzioni del (difforme) valore normale 10 .
L’OPPORTUNITÀ DI PREDISPORRE IDONEA DOCUMENTAZIONE
L’oscillante orientamento della Cassazione in merito al soggetto su cui grava l’onere della prova induce a ritenere quanto meno opportuno che l’impresa predisponga comunque una adeguata documentazione riguardante i rapporti economici con le consociate estere e che questa documentazione venga ordinatamente raccolta prima della predisposizione del mod. Unico. Andrà poi valutata l’opportunità, dopo aver svolto gli accertamenti di cui sopra, di fare, o meno, l’ulteriore passo di:› predisporre la documentazione secondo gli standard richiesti
dall’Agenzia delle Entrate per la penalty exemption ed eventualmente› comunicare il possesso della documentazione nella dichiarazione dei
redditi.Giocano a favore della formalizzazione dei documenti secondo le regole del provvedimento del 29 settembre 2010 (e della comunicazione del loro possesso) due ordini di motivazioni che si traggono dalla prassi di questi ultimi anni (oltre, evidentemente, all’esonero da sanzioni in caso di accertamento, previsto direttamente dalla legge).
Il primo motivo da considerare è che, a parità di altre condizioni (dimensione dell’impresa, volume degli scambi intercompany ecc.), i contribuenti che hanno predisposto e comunicato il possesso dei documenti risultano meno soggetti a controlli sui transfer price. Questa
corregge il tiro sull’onere della prova in materia
di prezzi di trasferimento», in Corr. Trib., 2013,
pag. 1569.
9. Oltre a modificare l’orientamento sugli aspetti di
elusione del transfer pricing, questione su cui si
tornerà nel paragrafo successivo.
10. In questo senso, E. della Valle, «Oggetto ed
onere della prova nelle rettifiche da “transfer
price”», in GT – Rivista di giurisprudenza tributaria,
10/2013.
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indicazione si evince sia dalle circolari in materia di indirizzo dei controlli fiscali, che in qualche modo invitano gli uffici a considerare a minor rischio le imprese che hanno comunicato il possesso della documentazione 11 , sia dalla prassi operativa degli uffici.
Il secondo elemento a favore della idonea documentazione è che la contestazione (una volta che il controllo sia comunque stato avviato) diventa comunque meno probabile. Questo perché, se esiste la documentazione, è certamente più arduo riscostruire ex novo il valore di mercato con metodi alternativi a quelli del contribuente o documentare la correttezza di parametri diversi, all’interno dello stesso metodo del contribuente, trattandosi di indagini complesse che richiederebbero un impegno rilevante di personale e di tempo.
VERIFICA FISCALE: IL COMPORTAMENTO DA ADOTTARE
Un ulteriore interrogativo che ci si pone spesso riguarda il comportamento da adottare a fronte di una richiesta specifica, una volta avviata la verifica, di fornire documentazione circa il pricing nei rapporti con le consociate estere: aderire alla richiesta oppure attendere che sia il verificatore a formulare delle contestazioni.
L’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973 (nel richiamo all’art. 52, comma 5, delD.P.R. n. 633/1972) stabilisce, come noto, che i documenti, di cui il contribuente abbia rifiutato l’esibizione o dichiarato il non possesso, non possono essere presi successivamente in considerazione a suo favore, ma la portata della disposizione in materia di transfer pricing non è univoca.
Ipotizziamo che l’organo ispettivo richieda di documentare la formazione dei prezzi di trasferimento in determinate vendite effettuate verso una controllata estera, fornendo metodi di calcolo del prezzo, contratti, analisi funzionali ecc. Ipotizziamo poi che il contribuente non fornisca questi documenti dichiarando – ad esempio – che i prezzi sono calcolati di volta in volta dalla direzione commerciale in base all’andamento del mercato e alle politiche di penetrazione commerciale e che non si sono svolte analisi funzionali o confronti con altre transazioni similari. Supponiamo ancora che l’Ufficio ricostruisca un valore normale nelle transazioni in verifica che risulta superiore ai prezzi praticati emettendo un avviso di accertamento: è possibile per il contribuente fornire nuova documentazione in sede contenziosa, e in caso affermativo, di che tipo?
Sicuramente la norma impedisce al contribuente, che non l’abbia
11. La circolare 25/E del 6 agosto 2014 precisa al
riguardo che, in presenza di adesione al regime
degli oneri documentali, gli uffici dovranno
procedere a selezionare le posizioni da sottoporre
a controllo «soltanto se sussistono ulteriori
motivazioni che orientano per tale scelta».
Accertamento — Transfer price
fatto in risposta alle richieste dei verificatori, di produrre, dopo l’accertamento, tutta la documentazione fiscale, contabile e societaria riguardante i suddetti rapporti, come i contratti stipulati con le consociate evidenzianti i corrispettivi e la loro formazione, la corrispondenza intrattenuta con le società del gruppo per definire il pricing o aggiustare ricavi e costi, i verbali societari ecc.
Si deve invece ritenere che non vi sia alcuna preclusione a produrrein contenzioso le analisi riguardanti la congruità dei prezzi praticati rispetto alle regole della concorrenza, le analisi funzionali e i dati relativi a comparables. Si tratta, infatti, non già di atti e documenti rientranti tra quelli indicati nell’art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, ma, come detto, di analisi (e dunque non di documenti fiscali), di spiegazioni, di illustrazioni che attengono alla difesa 12 del contribuente.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
L'alternante posizione della giurisprudenza sul tema dell’onere probatorio in materia di prezzi di trasferimento rende opportuno che le imprese (e l’Amministrazione finanziaria da parte sua), nella pratica applicazione della normativa, adottino un comportamento pragmatico che, superando i formalismi della ripartizione dell’onere della prova, sia finalizzato a documentare il pricing adottato e a dimostrare con documenti ed analisi, già in sede di verifica e di contraddittorio con l’Ufficio, la congruità rispetto al criterio di libera concorrenza.
Transfer price e norma antielusiva
Un ulteriore aspetto ancora controverso sui requisiti delle rettifiche sui transfer price riguarda la qualificazione della norma come disposizione avente, o meno, natura antielusiva, con le relative conseguenze in termini di contenuto necessario delle motivazioni dell’atto impositivo.
Secondo una tesi più volte avanzata dalla giurisprudenza, la norma avrebbe la finalità di «evitare che all'interno del gruppo vengano posti in essere trasferimenti di utili tramite applicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti onde sottrarli alla tassazione in Italia a favore di tassazioni estere inferiori» 13 . Conseguentemente, l’onere della prova dell’intento elusivo graverebbe, in ogni caso, sull’Ufficio, il quale dovrebbe dimostrare, a pena di nullità dell’atto, che con le politiche di
12. In dottrina è stata peraltro sostenuta una tesi
contraria, che qui si ritiene di non condividere.
13. Cassazione, sentenza n. 22023/2006,
confermata da Cassazione n. 11226/2007.
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prezzo praticate, il gruppo ha spostato redditi a favore di Paesi a fiscalità inferiore rispetto a quella italiana traendo un beneficio netto. Questo orientamento è stato ribadito in diverse sentenze della Suprema Corte 14 , che peraltro hanno in più di una occasione introdotto argomentazioni ulteriori rispetto a quanto stabilito dalla specifica norma, analizzando casi che, di per sé, si prestavano anche a rettifiche di tipo antielusivo (prescindendo dunque dalla applicazione dell’art. 110, comma 7, del Testo Unico).
Una ulteriore sentenza sullo specifico argomento 15 ribalta invece queste considerazioni affermando che «la disciplina italiana del transfer pricing, come negli altri Paesi, prescinde dalla dimostrazione di una più elevata fiscalità nazionale. Se si vuole, la disciplina in parola rappresenta una difesa più avanzata di quella direttamente repressiva dell'elusione. Elusione che, per tale ragione, non occorre dimostrare». L’Amministrazione, secondo questa tesi, deve solo dimostrare l’esistenza di rapporti tra consociate non residenti e il contribuente dovrà documentare che i prezzi sono allineati ai valori di mercato 16 .
La dottrina, lo ricordiamo, ha in genere sostenuto la autonomia e la indipendenza delle norme sui prezzi di trasferimento rispetto alla regola antielusiva, ritenendo che si tratti di disposizioni di carattere sostanziale che, in base alla direttive dell’Ocse, vanno applicate, in presenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi, in modo per così dire “automatico” e dunque a prescindere dalla esistenza e dalla relativa dimostrazione di risparmi fiscali ottenuti dall’impresa da politiche di prezzo non conformi
14. Nella sentenza 11949 del 13 luglio 2012, la
Cassazione afferma che «l'applicazione delle
norme sul transfer pricing non combatte
l'occultamento del corrispettivo, costituente una
forma di evasione, ma le manovre che incidono
sul corrispettivo palese, consentendo il
trasferimento surrettizio di utili da uno Stato
all'altro, sì da influire in concreto sul regime
dell'imposizione fiscale. Per tali essenziali
connotazioni, pertanto, deve ritenersi che tale
disciplina costituisca - secondo l'interpretazione
più diffusa anche nella giurisprudenza di questa
Corte - una clausola antielusiva, in linea con i
principi comunitari in tema di abuso del diritto,
finalizzata ad evitare che all'interno del gruppo
di società vengano effettuati trasferimenti di utili
mediante l'applicazione di prezzi inferiori o
superiori al valore normale dei beni ceduti, al
fine di sottrarli all'imposizione fiscale in Italia a
favore di tassazioni estere inferiori (cfr. Cass.
22023/06, 11226/07), o comunque a favore di
situazioni che rendano fiscalmente conveniente
l'imputazione di utili ad articolazioni del gruppo
diverse da quelle nazionali. (…) Tutto ciò
premesso, è evidente che la violazione di una
clausola antielusiva comporta - come ritenuto
dal giudice di seconde cure - che l’onere della
prova della ricorrenza dei presupposti di fatto
dell'elusione gravi, in via di principio,
sull'amministrazione finanziaria che intenda
operare le conseguenti rettifiche (cfr. Cass.
22023/06)».
15. Cassazione 8 maggio 2013, n. 10739.
16. In un’altra più recente pronuncia (19755 del 24
luglio 2013), resa su un caso di cosiddetto
transfer pricing interno (quindi di rettifica a valore
normale per transazioni tra società del gruppo
tutte residenti, nelle quali l’art. 110 del Tuir non
risulta applicabile), la Cassazione ha invece
nuovamente affermato (seppur incidentalmente)
la natura antielusiva delle norme sul transfer
price internazionale.
LA DOTTRINA HA
IN GENERE SOSTENUTO
L'AUTONOMIA DELLE
NORME SUI PREZZI
DI TRASFERIMENTO
RISPETTO ALLA REGOLA
ANTIELUSIVA
Accertamento — Transfer price
alle regole della libera concorrenza. Le finalità sono infatti quelle di allocare correttamente il reddito conseguito dai gruppi multinazionali nei diversi Paesi di residenza delle singole legal entity 17 .
In questo panorama interpretativo, ancora una volta contraddittorio,l’atteggiamento dei contribuenti deve esserecertamente più rigoroso nel produrre e fornirela documentazione a supporto della congruitàdei pricing adottati, in tutti i casi in cui leconsociate con cui si intrattengono gli scambi,abbiano sede in Paesi a fiscalità privilegiata ocomunque con regimi impositivi piùvantaggiosi rispetto alla impresa italiana. Inqueste situazioni, viene infatti menoall’origine, tra i possibili strumenti di difesa,quello basato sul richiamo alla naturaantielusiva della norma sostenuta dallagiurisprudenza.
Per i rapporti con società del gruppolocalizzate in Paesi a fiscalità ordinaria, fermarestando la necessità di verificare la congruità
dei prezzi praticati, la difesa in sede contenziosa potrà fare affidamento anche sulla inesistenza di benefici fiscali consolidati richiamando l’orientamento giurisprudenziale che tuttora afferma la natura antielusiva della norma.
Transfer price e principio di inerenza
Un ultimo tema rilevante riguarda i rapporti tra disciplina dei prezzi di trasferimento e il principio di inerenza: si assiste spesso alla sovrapposizione, in sede di accertamento (e nelle motivazioni di sentenze dei giudici tributari), delle due disposizioni.
Accertamenti sui costi sostenuti da consociate estere richiamano siala norma sui prezzi di trasferimento che quella sulla inerenza in modo pressoché indistinto.
Si tratta di una posizione non condivisibile in quanto le due disposizioni operano su piani del tutto distinti ed autonomi. Un conto è, infatti, rettificare il reddito ritenendo che i costi sostenuti su operazioni con consociate non residenti non siano determinati coerentemente con la disciplina del valore normale, ben altro conto è contestare la deducibilità di un costo perché non inerente.
17. Tra gli interventi più recenti sul tema, si veda
D’Avossa, «Transfer price ed onere della prova»,
in Rass. Trib. 2012, pag. 503.
L'ATTEGGIAMENTO
DEI CONTRIBUENTI
DEVE ESSERE CERTAMENTE
PIÙ RIGOROSO NEL
PRODURRE E FORNIRE
LA DOCUMENTAZIONE
A SUPPORTO
DELLA CONGRUITÀ
DEI PRICING ADOTTATI
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Questo vale sia nei rapporti internazionali sia, e a maggior ragione,nei rapporti interni.
Nei rapporti internazionali la rettifica di costi in base alla norma suitransfer price 18 da un lato non richiede la dimostrazione del difetto di inerenza (ben potendo rettificarsi – al ribasso – l’importo di un costo anche se del tutto inerente alla attività della società, come nel caso di acquisti di merci oggetto della attività propria dell’impresa, laddove si dimostri che esso eccede quanto derivante dall’utilizzo di criteri di libera concorrenza), dall’altro comporta l’onere di dimostrare analiticamente la non congruità dei prezzi praticati nel confronto con il valore normale.
La contestazione di inerenza, invece, non richiede necessariamente la comparazione tra i prezzi praticati e quelli di libera concorrenza (e dunque l’utilizzo di metodi comparativi da riportare nell’accertamento), mentre è assolutamente necessario evidenziare la mancanza di correlazione rispetto alla attività dell’impresa ovvero la assoluta non congruità rispetto ai benefici tratti dall’impresa dal sostenimento di tali oneri 19 .
Inoltre, ben diverse sono le conseguenze sanzionatorie. Come indicato dalla stessa Agenzia delle Entrate nella circolare n. 58/E/2010, la documentazione per la penalty
exemption rileva esclusivamente a copertura di sanzioni derivanti da una non corretta applicazione del principio del valore normale.
Se però la contestazione riguarda, anche nei rapporti con consociateestere, l’inerenza della spesa, questa documentazione non è efficace.
Nei rapporti interni, la distinzione tra difetto di inerenza e non congruità dei costi in base al valore normale è ancora più evidente.
La norma sui transfer price, nonostante talune sentenze della Cassazione paiano giungere a conclusioni diverse, opera infatti esclusivamente nei rapporti tra consociate non residenti.
In questo senso, le rettifiche del fisco sulle transazioni effettuate all’interno dei gruppi tra società tutte residenti non possono basarsi altro che su violazioni del criterio di inerenza ovvero sulla applicazione del principio di divieto di abuso del diritto. Non è dunque legittimo rettificare i prezzi intercompany interni, semplicemente perché sarebbero – a seconda dei casi – superiori o inferiori al valore normale,
18. Che dovrebbe peraltro essere sempre successiva
alla verifica del requisito di inerenza, che è un
presupposto generale di deduzione dei
componenti negativi di reddito, anche qualora
questi derivino da scambi con imprese estere
dello stesso gruppo.
19. Quest’ultimo profilo deriva dal concetto di
“inerenza quantitativa” introdotto dalla
giurisprudenza negli ultimi anni, concetto
fortemente osteggiato dalla dottrina.
NELLA CONTESTAZIONE
DI INERENZA
È ASSOLUTAMENTE
NECESSARIO EVIDENZIARE
LA NON CONGRUITÀ
RISPETTO AI BENEFICI
TRATTI DALL'IMPRESA
DAL SOSTENIMENTO
DEGLI ONERI
Accertamento — Transfer price
dato che questa regola nelle transazioni italiane non esiste 20 .In termini operativi, è assolutamente opportuno che le imprese,
anche nei rapporti con le consociate estere, verifichino e documentino preventivamente l’inerenza dei rapporti e degli scambi da cui derivano
costi deducibili (“test di inerenza”) 21
procedendo poi alla verifica di congruità deiprezzi. Negli scambi interni, una rispostapragmatica al rischio di contestazioni neirapporti intercompany è l’adozione dellatassazione di gruppo anche in assenza dibenefici fiscali immediati (in presenza, adesempio di imprese tutte con risultatireddituali positivi).
Queste contestazioni, essendo come dettolegittime solo in base alla applicazione diregole antielusive e di inerenza, sonofacilmente opponibili da parte di società chehanno adottato il regime di consolidato fiscale,dato che il trasferimento del reddito da unaall’altra società non può mai generare benefici
fiscali complessivi. Mancherebbe, in questi casi 22 , la motivazione di indebito risparmio fiscale alla base di ogni contestazione per l’abuso del diritto.
20.
.
È dunque assolutamente errato sostenere, come
ha fatto la Cassazione nella sentenza 8849 del
2014, che la regola del valore normale, in quanto
collocata (art. 9) tra quelle generali del Testo
unico, sarebbe applicabile a tutte le operazioni
delle imprese. Salvo poi motivare non già in base
alla norma in esame quanto sulla elusività
(divieto di abuso del diritto) di talune politiche di
fissazione dei prezzi tese a spostare reddito
verso società (in un caso una cooperativa
nell’altro verso un’impresa che godeva di
esenzioni territoriali) a tassazione per così dire
privilegiata. Questioni che nulla hanno a che
vedere con il regime dei transfer price.
21. In particolare quando il rapporto riguarda
l’acquisto di beni e servizi che non rientrano
nella attività propria dell’impresa.
22. Salvo che in presenza di perdite o altre posizioni
soggettive ante opzione, che non sono
trasferibili al gruppo; ovvero nel caso di rettifiche
aventi ad oggetto l’Irap.
luca gaiani› Comitato Scientifico
L'autoredi questo articolo
NEGLI SCAMBI INTERNI
UNA RISPOSTA AL RISCHIO
DI CONTESTAZIONI
INTERCOMPANY
È L'ADOZIONE DELLA
TASSAZIONE DI GRUPPO
ANCHE IN ASSENZA
DI BENEFICI FISCALI
IMMEDIATI
REDDITO D'IMPRESA
Legge delega:più garanzie a "salvaguardia"
del principio di inerenza
dario deotto
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Con la legge delega n. 23/2014 viene prevista la
“salvaguardia” del principio di inerenza. Questo perché il
principio è stato più volte fonte di incertezze. In particolare,
la prassi e (taluna) giurisprudenza ritengono che la norma
di riferimento sia l’art. 109, comma 5, del Tuir, norma che,
invece, disciplina un fenomeno molto più ristretto rispetto
al fondamentale principio dell’inerenza, da intendersi come
collegamento che si ha tra un componente economico e
l’attività esercitata da parte dell’imprenditore.
Anche sulla questione della prova dell’inerenza si sono
generate molte incomprensioni. Valga per dissolverle la
constatazione che l’onere della prova riguarda i fatti,
mentre l’inerenza è una questione puramente valutativa.
L a legge delega di revisione del sistema fiscale n. 23/2014 sipropone di “salvaguardare” e “specificare” il principio dell’inerenza.
Tale previsione è da accogliere positivamente, visto che da tempo siassiste ad un’involuzione interpretativa, giurisprudenziale e anche (come si vedrà) legislativa, non ammissibile per un principio così importante come quello dell’inerenza.
L’involuzione giurisprudenziale
Basti andare alla recente sentenza n. 21467 del 10 ottobre 2014 della Corte di Cassazione, in cui è stato affermato che gli interessi passivi risulterebbero sempre deducibili per i soggetti Ires (fatte salve le limitazioni poste dall’attuale art. 96 del Tuir) «senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza» (principio già stabilito nelle precedenti Cass. n. 14702/2001; n. 22034/2006; n. 9380/2009; n. 12246/2010).
Secondo la Corte di Cassazione, resterebbe «precluso, tanto all'imprenditore quanto all'Amministrazione finanziaria, dimostrare che gli interessi passivi afferiscono a finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, dovendo invece essere correlati all'intera attività dell'impresa esercitata. Gli interessi passivi, infatti, sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all'impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo».
Si tratta di affermazioni che lasciano davvero molto perplessi: è come se l’inerenza dovesse cercarsi in una sorta di collegamento con i ricavi, mentre il collegamento di una posta economica con l’attività svolta o da svolgersi da parte dell’imprenditore (che è, in realtà, il
Reddito d'impresa — Componenti di reddito
concetto di inerenza) fosse un’entità più grande e astratta che prescinderebbe da qualsiasi sindacato di inerenza. Così, per la Corte di Cassazione, gli interessi passivi sfuggirebbero a qualsiasi valutazione di inerenza (quindi, per assurdo, se una società che vende bicchieri acquista una barca per il soddisfacimento dei propri soci – barca che, ovviamente, non risulta inerente - l’eventuale finanziamento contratto permetterebbe la deduzione degli interessi passivi).
È chiaro che le cose non possono stare in questi termini, per cui occorre svolgere qualche doverosa considerazione sul tema, partendo da una breve ricostruzione storica.
Excursus storico
Il concetto di inerenza trova ingresso, nell’ordinamento tributario, con il R.D. n. 4021 del 1877, quando dalla determinazione del reddito (lordo) si potevano dedurre alcune spese “inerenti”. Vi era, in sostanza, all’epoca, ma anche ai primi del Novecento (si veda circolare 22 dicembre 1926, n. 12877), una netta distinzione tra la fase estimativa del presupposto di imposizione (generalmente determinata con dei valori figurativi) e talune spese “inerenti” che potevano essere dedotte dal risultato lordo 1 .
Questa impostazione rimase fino al Testo unico del 1958 (T.u.i.d. n.645), visto che, anche nella determinazione del reddito d’impresa, venivano ammesse in deduzione «delle spese e passività inerenti alla produzione del reddito».
Con la riforma degli anni Settanta del secolo scorso si verifica inveceun netto distacco con la tradizione precedente: scegliendo, per gli imprenditori, di misurare la ricchezza imponibile partendo da una visione economica, e non solo “fiscale” come era accaduto in passato, la scelta è stata, come è noto, quella di partire dal risultato netto (utile o perdita) del bilancio, per poi valorizzare secondo una visione fiscale solo alcune poste – almeno inizialmente, poi nel tempo le poste sono state estese – che hanno determinato quel risultato netto. Con la conseguenza che dai testi normativi – prima il D.P.R. n. 597/1973 ora il D.P.R. n. 917/1986 – scompare ogni definizione del principio di inerenza 2 . Questo non perché, ovviamente, il principio di inerenza sia
1. Tinelli, «Il principio di inerenza nella
determinazione del reddito d’impresa», in Riv.
dir. trib., 437, 4/2002.
2. L’unico riferimento, nella determinazione del
reddito d’impresa, si trova all’art. 61 del Tuir con
riferimento alla deduzione – guarda caso – degli
interessi passivi per i soggetti Irpef che
dichiarano un reddito d’impresa. È di tutta
evidenza, per gli imprenditori individuali, il
“richiamo” agli interessi passivi inerenti. Peraltro,
questo conferma indirettamente che solo gli
interessi passivi inerenti possono essere portati
in deduzione nella determinazione del reddito
d’impresa; non è pensabile, infatti, che per i
soggetti Irpef imprenditori risultino deducibili gli
interessi passivi inerenti, mentre per i soggetti
Ires la deduzione degli interessi passivi si abbia a
prescindere.
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3. Tinelli, op. cit.
stato eliminato, ma in conseguenza del fatto che, essendo il reddito d’impresa un valore netto, questo ha bisogno di un principio sovraordinato (che si potrebbe dire di diretta derivazione costituzionale)che serve ad effettuare una ricognizione di quelle poste che hanno un legame con l’attività svolta.
La fonte del principio di inerenza
La fonte del principio di inerenza non deve quindi essere più ricercata in una norma specifica, ma nella stessa struttura giuridica dell’imposizione sul reddito d’impresa. L’inerenza rappresenta, infatti, quella regola che identifica il necessario collegamento che vi deve essere tra un componente economico e l’attività esercitata, o da esercitarsi, da parte dell’imprenditore.
Secondo la migliore dottrina 3 , «la fonte della regola dell’inerenza è individuabile nello stesso sistema dell’imposizione sul reddito, che, collegando i componenti economici ad una fonte legalmente qualificata, richiede la fissazione di una clausola generale idonea a stabilire tale collegamento. E tale clausola generale è individuabile in una relazione di causa ad effetto dei singoli componenti economici all’attività che costituisce la fonte del reddito, tale da consentire di ritenere i componenti elementari teleologicamente legati all’esercizio dell’attività stessa».
Da tale principio ne deriva che è lecito affermare che la possibilità di dedurre i componenti negativi di reddito non rappresenta certamente una norma di favore, ma è legata all’esigenza di misurare la capacità economica del presupposto di imposizione, cioè il reddito d’impresa. Tant’è che non si ritiene corretto parlare di inerenza soltanto con riferimento ai componenti negativi di reddito, ma occorre considerare, a questo fine, anche quelli positivi, essendo l’inerenza quel collegamento che vi deve essere tra i vari componenti, sia positivi che negativi, con la funzione economica dell’impresa.
Se non c’è questo legame con l’attività, queste poste non possono essere considerate inerenti. E questo vale, come si è appena detto, sia per le poste positive che per quelle negative. Una volta individuate quelle che sono le poste inerenti, queste vengono poi valorizzate
L'INERENZA RAPPRESENTA
QUELLA REGOLA CHE
IDENTIFICA IL NECESSARIO
COLLEGAMENTO
CHE VI DEVE ESSERE
TRA UN COMPONENTE
ECONOMICO E L'ATTIVITÀ
ESERCITATA DA PARTE
DELL'IMPRENDITORE
Reddito d'impresa — Componenti di reddito
secondo la visione fiscale delle singole norme del Tuir. Ecco perché è concettualmente sbagliato affermare, ad esempio, come è accaduto dopo gli interventi del D.L. n. 138/2011, che se un bene non inerente (perché non avente un collegamento con l’attività esercitata: si pensi, ad esempio, all’imbarcazione inizialmente richiamata per la società che vende bicchieri) viene dato in uso ai soci a un corrispettivo “congruo”, con conseguente rilevanza di componenti positivi di reddito, quel bene diventa inerente. Nel caso di specie sia il bene che i componenti positivi che si sono generati risultano non inerenti in quanto non legati all’attività svolta.
Occorre, a questo punto, considerare la previsione di cui all’art. 109,comma 5, del D.P.R. n. 917/1986, che in moltissimi interventi giurisprudenziali e di prassi viene impropriamente individuata come fonte dell’inerenza. La norma stabilisce che le spese e i componenti negativi «diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi». Successivamente, la norma stabilisce una sorta di pro rata di
deduzione quando il componente negativo siriferisce indistintamente a beni o attività dacui derivano ricavi che concorrono a formareil reddito, in quanto imponibili od esclusi, oche non vi concorrono in quanto esenti.
Da quanto riportato, non pare si possaaffermare che la norma disciplini il principiodell’inerenza, visto che l’articolo di legge sioccupa, invece, del diverso aspetto legato allariferibilità dei componenti negativi aiproventi imponibili, esclusi ed esenti. Loscopo della disposizione risulta, inparticolare, quello di evitare che componentinegativi che si riferiscono a proventi esentipossano essere portati in deduzione. Insostanza, la previsione dell’art. 109, comma 5,
del Tuir disciplina una ipotesi molto più ristretta rispetto al principio dell’inerenza, occupandosi del diverso e specifico problema della deducibilità dei componenti negativi in presenza di ricavi e compensi non computabili nella determinazione del reddito d’impresa in quanto esenti.
Peraltro, va rilevato quanto risulti erronea, a questo fine, la successiva previsione contenuta nello stesso art. 109, comma 5, del Tuir, inserita ad opera del D.L. n. 112/2008, secondo la quale, «fermo restando quanto previsto dai periodi precedenti, le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande … sono deducibili nella misura del 75 per cento».
LO SCOPO DELL'ART. 109,
COMMA 5, TUIR
RISULTA QUELLO
DI EVITARE CHE
COMPONENTI NEGATIVI
CHE SI RIFERISCONO
A PROVENTI ESENTI
POSSANO ESSERE PORTATI
IN DEDUZIONE
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La disposizione, ritenendo erroneamente i primi due periodi dell’art. 109, comma 5, del Tuir la fonte dell’inerenza, ha fissato una nuova predeterminazione legale della stessa, stabilendola nella misura del 75 per cento, per le spese alberghiere e di somministrazioni di alimenti e bevande.
Si comprende, tuttavia, come l’“accostamento” di tale ultima previsione ai primi due periodi dell’art. 109, comma 5, del Tuir risulti del tutto inappropriato, visto che i periodi citati disciplinano la diversa fattispecie dell’indeducibilità dei componenti negativi che si riferiscono a dei proventi esenti.
Un intervento che “salvaguardi” il principio di inerenza
A questo punto, si può ben comprendere la necessità di un intervento che “salvaguardi” il principio dell’inerenza, come si propone la legge delega n. 23/2014.
A parere di chi scrive, tuttavia, sarebbe sufficiente la fissazione di una clausola generale che stabilisca semplicemente la necessità di collegamento che vi deve essere tra i vari componenti sia positivi che negativi di reddito con la funzione economica dell’impresa. Dev’essere questa – se si comprende la “latitudine” del principio dell’inerenza – l’unica “specificazione” che può essere ammessa in relazione a tale fondamentale principio.
Risvolti sull’attività di rettifica dell’Amministrazione finanziaria
Quanto si è rappresentato, al di là dell’evoluzione normativa, in base al dettato della legge delega n. 23/2014, determina comunque dei risvolti non di poco conto sulla possibilità di rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria, in particolare con riferimento alle vicende legate alla sindacabilità dell’entità di una determinata spesa (tipico esempio è dato dai compensi degli amministratori).
Sulla base dei presupposti sopra descritti, eventuali contestazioni da parte degli Uffici non possono che essere effettuate entro le regole che sovraordinano le potestà accertative dell’Amministrazione finanziaria. Sicché, se l’Ufficio effettua una rettifica di tipo analitico, non ammettendo completamente in deduzione una spesa perché ritenuta abnorme, la rettifica potrà essere eseguita sulla scorta delle disposizioni di cui all’art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, tra le quali potrebbe risultare pertinente, in relazione alla problematica oggetto di commento, quella di cui alla lettera b), che consente la rettifica quando il contribuente non ha applicato correttamente le
Reddito d'impresa — Componenti di reddito
regole del reddito d’impresa. In sostanza, l’Ufficio dovrebbe motivare il difetto di inerenza in conseguenza della mancanza di un collegamento con l’attività svolta da parte dell’imprenditore.
Deve però essere chiaro che una rettifica analitica, negando ogni relazione con l’art. 109, comma 5, del Tuir, non potrà riguardare la “congruità” della spesa o del costo, ma dovrà non ammettere alla radice il legame con la logica economica imprenditoriale. Così come nessuna prova potrà essere addebitata al contribuente circa l’inerenza del componente negativo di reddito. L’inerenza, in generale, non abbisogna di prova. L’onere della prova trova applicazione, infatti, per i fatti, quando quelli oggetto della decisione risultano incerti. Per l’inerenza non sono quasi mai i fatti che vengono posti in discussione, cioè se quella spesa, ad esempio, è stata effettivamente sostenuta (non
si sta parlando, in questa sede, di utilizzo difatture false).
Per l’inerenza quello che rileva è se ilcomponente economico, generalmente laspesa o il costo quando si parla di rettificheoperate dall’Amministrazione finanziaria,abbia un collegamento o meno con l’attivitàesercitata. Tutto ciò però non è riconducibilead un fatto, che può essere oggetto di prova,ma a una valutazione del fatto o dei fatti. Insostanza, si tratta di valutare se ilcomponente economico – la spesa o il costo –abbia un collegamento funzionale conl’attività imprenditoriale.
Quindi, per l’inerenza risulta improprioattribuire alle parti degli oneri di prova. Le
parti invece hanno, più propriamente, un onere di allegazione dei fatti posti a fondamento delle proprie tesi. L’Ufficio dell’Amministrazione finanziaria deve quindi allegare, nell’atto di accertamento, i fatti e le ragioni per le quali ritiene che determinati componenti economici non abbiano alcun collegamento con l’attività, mentre il contribuente, da parte sua, dovrà allegare i fatti e le ragioni per le quali ritiene che gli stessi componenti abbiano un legame con l’attività.
Se, invece, l’Ufficio ridetermina al ribasso l’entità di una spesa cheritiene troppo elevata, si è nell’ambito delle rettifiche analitico-induttive, disciplinate dal secondo periodo del comma 1, lettera d), dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973, le quali si basano su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. In questo caso, non vi può essere alcun dubbio che l’onere probatorio ricada, per primo, sull’Amministrazione finanziaria, la quale dovrà dimostrare in giudizio che gli elementi presuntivi fondanti la rettifica hanno i caratteri di gravità, precisione e concordanza. Solo dopo che l’Ufficio avrà assolto tale onere, quest’ultimo graverà sul contribuente.
L'INERENZA, IN GENERALE,
NON ABBISOGNA
DI PROVA. L'ONERE
DELLA PROVA TROVA
APPLICAZIONE PER I FATTI
QUANDO QUELLI
OGGETTO DELLA
DECISIONE
RISULTANO INCERTI
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dario deotto› Comitato Scientifico
L'autoredi questo articolo
Considerazioni conclusive
In definitiva, si può concludere che l’inerenza non risulta affatto disciplinata dall’art. 109, comma 5, del Tuir, ma risulta un principio molto più ampio e fondamentale nella determinazione del reddito d’impresa. Ciò determina delle conseguenze rilevantissime quando l’Amministrazione finanziaria provvede alla rettifica di poste ritenute non inerenti. Dovrà, infatti, l’Amministrazione allegare i fatti e rappresentare le ragioni per le quali ritiene che un’eventuale spesa non ha un collegamento funzionale con l’attività esercitata, o da esercitarsi, da parte dell’imprenditore.
IVA
IVA e servizi digitali nelle transazioni internazionali:
il difficile equilibrio fra esigenze di gettito ed equità dell'imposizione
matteo mantovanibenedetto santacroce
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L'OCSE e l’UE, considerati i limiti dimostrati dall’imposizione
diretta, vedono nell’assoggettamento ad IVA dei servizi
connessi alla digital economy una priorità al fine di garantire
una equa competizione fra gli operatori economici e
assicurare un adeguato ritorno in termini di gettito fiscale
per gli Stati. La modalità attraverso cui perseguire tale
risultato è stata individuata, anzitutto, nella piena
implementazione del principio della tassazione delle
prestazioni nel luogo di consumo (“destination principle”).
Tuttavia, si evidenzia come l’attuale impostazione del
sistema IVA comunitario non renda possibile l’operatività di
tale principio in presenza di strutture di business basate sul
rapporto fra casa madre e stabile organizzazione. Ciò
incentiva lo sfruttamento di schemi elusivi che
contribuiscono al fenomeno BEPS. Si sottolinea l’importanza
del mini one stop shop quale strumento tecnico per
l’implementazione della tassazione che dal 1° gennaio 2015
disciplina alcuni servizi relativi all’e-commerce e alla digital
economy.
L’ IVA è una imposta sui consumi personali che dovrebbe essereriscossa secondo principi di efficienza, efficacia e, soprattutto,neutralità. 1 Secondo questa impostazione, l’IVA non dovrebbe
rappresentare una variabile suscettibile di influenzare le scelte imprenditoriali 2 siccome, in conformità al principio di neutralità, tali scelte dovrebbero essere motivate da genuine ragioni economiche anziché da considerazioni d’ordine fiscale. 3 Tuttavia, nonostante sia ampiamente condivisa l’idea per cui la salvaguardia della neutralità sia un elemento centrale nella implementazione della legislazione IVA in materia di digital economy, 4 è altresì evidente come l’imposta, nell’attuale scenario economico, abbia perso il proprio carattere neutro per ‘mutare’ in uno degli aspetti cruciali nella guida delle strategie d’impresa, specie in taluni settori di business. È questo il caso, in particolare, dei gruppi multinazionali attivi nel traffico transfrontaliero di servizi legati alla digital economy. Tali gruppi, traendo vantaggio dalla nota disarmonizzazione delle regole IVA a livello mondiale – conseguenza di una carenza di coordinamento nella
1 . Alan Schenk and Oliver Oldman, Value Added
Tax - A comparative approach (CUP 2007) 33.
2 . OECD, «International VAT/GST Guidelines»
(2014) para 2.7 <www.oecd.org/ctp/
consumption/international-vat-gst-
guidelines.pdf> ultimo accesso 27 ottobre 2014.
3 . Ibid. para 1.16.
4 . Commissione UE, «Report of the Commission
Expert Group on Taxation of the Digital Economy»
(2014) para 4.2.1
<http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxatio
n/gen_info/good_governance_matters/digital_e
conomy/index_en.htm> ultimo accesso 28
ottobre 2014.
Iva — Servizi digitali
scrittura delle normative domestiche – sono in grado di strutturare e sfruttare “audaci” schemi commerciali finalizzati ad eludere l’IVA. Questo fenomeno ha raggiunto una dimensione tale che una delle priorità denunciate dall’OCSE nel BEPS 5 Action 1 6 è proprio la necessità di assicurare l’efficiente riscossione dell’IVA nelle forniture transfrontaliere di beni e servizi legati alla digital economy. 7 La stessa preoccupazione è condivisa anche a livello europeo. Il Gruppo di esperti della Commissione sulla tassazione della digital economy ha evidenziato come l’adeguata applicazione dell’IVA sulle transazioni in parola si pone quale una problematica assai complessa e di difficile soluzione, 8 specie in relazione alle prestazioni di servizi e intangibles. Laddove, poi, l’imposta dovesse essere correttamente applicata, rimane comunque l’ulteriore questione – avvertita specialmente nei rapporti B2C – data dalla difficoltà della materiale riscossione della medesima e della successiva attribuzione all’erario di competenza.
Pertanto, sul piano dell’IVA il tema della digital economy va gestitoavendo riguardo a (almeno) due aspetti: (i) che l’imposizione abbia luogo in capo all’effettivo fruitore della prestazione e che, (ii) una volta fissata la territorialità, la liquidazione e il versamento dell’IVA possano avvenire sulla base di strumenti tecnici affidabili e armonizzati. Tutto ciò, a sua volta, richiede speciale attenzione nel trattamento dei rapporti infragruppo e la necessità di approntare regole comuni (rectius, condivise a livello internazionale) per l’assolvimento dell’imposta e il disbrigo dei relativi adempimenti.
In generale, sia l’OCSE 9 che l’UE 10 sono dell’avviso che l’imposizione in capo al fruitore di una certa prestazione (questione sub i) sia perseguibile solo attraverso l’implementazione su scala mondiale del principio della tassazione a destinazione (ovvero nel luogo ove si compie l’atto del consumo, cd. destination principle), che costituisce il fulcro delle linee guida dell’OCSE. 11 Tuttavia, allo stato attuale si evidenzia un grado di disarmonizzazione fra Paesi ed aree economiche che non consente di porre in essere concretamente tale principio.
5 . BEPS è l’acronimo di Base Erosion and Profit
Shifting.
6 . OECD, «Action Plan on Base Erosion and Profit
Shifting» (2013) <http://dx.doi.org/10.1787/
9789264202719-en> ultimo accesso 27 ottobre
2014.
7 . Ibid. para 14.
8 . Commissione UE, «Report of the Commission
Expert Group on Taxation of the Digital Economy»,
cit., para 4.1.1.
9 . Cfr. OECD, «Addressing the Tax Challenges of the
Digital Economy» (2014) para 6.3.
10 . Cfr. Commissione UE, «Report of the Commission
Expert Group on Taxation of the Digital Economy»,
cit., para 4.1.2 e OECD, «Addressing the Tax
Challenges of the Digital Economy»(2014) para
6.3.
11 . Il destination principle è sintetizzato nella
guideline 3.1, ove si legge che «[f]or consumption
tax purposes internationally traded services and
intangibles should be taxed according to the rules of
the jurisdiction of consumption».
Norme&Tributi Mese — Marzo 2015
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55Prestazioni infragruppo: la decisione
della Corte di Giustizia UE nel caso FCE Bank
Nei rapporti infragruppo le multinazionali hanno tratto vantaggio dalla decisione della Corte di Giustizia UE nel caso FCE Bank. 12 In tale contesto la Corte ha stabilito che un “centro di attività stabile”, i.e. una stabile organizzazione ai fini IVA (di seguito SO), «che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in un altro Stato membro e al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non dev'essere considerato soggetto passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a fronte di tali prestazioni». 13 Quindi, a giudizio della Corte, casa madre e SO sono un unico soggetto passivo IVA. Di conseguenza, le reciproche prestazioni di servizi sono fuori dal campo di applicazione dell’imposta. E ciò non solo quando le prestazioni sono poste in essere a livello domestico, ossia nell’ambito della stessa giurisdizione, ma anche quando a carattere transfrontaliero, siccome l’essere stabiliti in Stati diversi non inficia il fatto che casa madre e SO sono lo stesso soggetto. La Corte ha deciso il caso dando prevalenza alla forma legale rispetto alla sostanza economica secondo un approccio conforme al principio civilistico della unitarietà soggettiva che vuole la SO priva di personalità giuridica autonoma. Allora, siccome casa madre e SO sono lo stesso soggetto giuridico e considerato che «una medesima entità giuridica non [può] che costituire un unico soggetto passivo [IVA]», 14 la Corte è giunta alla conclusione che nessuna fornitura di servizi rilevante ai fini dell’imposta potesse ravvisarsi in siffatto rapporto infragruppo. Si tratta, come dianzi segnalato, di un risultato frutto dell’applicazione del suddetto principio civilistico della unitarietà soggettiva al campo dell’IVA. Al momento, tale giurisprudenza, che nel caso al centro della FCE Bank ha consentito di preservare la neutralità – siccome ha evitato che la succursale italiana della FCE Bank rimanesse incisa dall’IVA su servizi resi dalla casa madre britannica – rappresenta uno dei maggiori ostacoli all’applicazione del destination principle. Per effetto del principio in oggetto tutte le prestazioni poste in essere nell’ambito di una struttura casa madre-SO sono fuori campo IVA in quanto effettuate nell’ambito dello stesso soggetto passivo (i.e. la casa madre). In quest’ottica, l’adozione di forme di business basate sul rapporto casa madre-SO in sostituzione di strutture basate sul rapporto madre-figlia (dove la figlia è un soggetto giuridico autonomo) è risultata una strategia premiante per i soggetti che non hanno pieno diritto alla detrazione dell’IVA, quali i gruppi bancari e assicurativi. Tali soggetti, laddove attivi sul piano internazionale, hanno sfruttato il varco
12 . Causa C-210/04, Ministero dell'Economia e
delle Finanze e Agenzia delle Entrate v FCE Bank
plc [2006] ECR I-02803.
13 . Ibid. punto 41 (enfasi aggiunta).
14 . Causa C-210/04, cit., conclusioni dell’Avvocato generale
Léger presentate il 29 settembre 2005, para 55.
Iva — Servizi digitali
giuridico aperto dalla FCE Bank al fine di utilizzare il modello casa madre-SO per implementare schemi operativi finalizzati all’elusione dell’IVA. Infatti, per gli operatori con vincoli al diritto di detrazione la possibilità di istituire una SO in un Paese dove non esiste un sistema di tassazione dei consumi paragonabile all’IVA ovvero l’imposizione a tale titolo è inferiore a quella del Paese della casa madre, o il poter contare su una SO all’estero con un prorata di detrazione maggiore della madre, può portare indubbi vantaggi in termini di risparmio fiscale e, di
riflesso, in termini di competitività sul pianocommerciale.
Ad esempio, se una banca stabilita in unoStato membro acquistasse direttamente servizigenerici da una società figlia all’estero, la casamadre, in qualità di committente, dovrebbeassolvere l’IVA domestica in reverse charge. Diconseguenza, considerata la condizione diindetraibilità che caratterizza i soggetti esercentiattività finanziare per via dell’esenzione dellemedesime, la banca rimarrebbe incisadall’imposta. Diverso (e decisamente piùfavorevole) è lo scenario laddove il medesimo
servizio sia prestato alla casa madre da una propria SO oltreconfine. L’operazione sarebbe fuori campo IVA in forza dell’operare del principio stabilito nella FCE Bank. Il medesimo risultato è ottenibile a parti invertite, ossia quando è la SO che riceve servizi prestati dalla casa madre all’estero.
Una “falla” nel sistema Iva comunitario
La descritta situazione è nota a livello internazionale. Sia l’OCSE che la Commissione sono consapevoli dei danni in termini di gettito che da essa derivano. La Commissione ha apertamente ammesso che siffatte forme di “canalizzazione” delle prestazioni attraverso modelli di business basati sul rapporto casa madre-SO aprono una “falla” nel sistema IVA comunitario che porta ad una perdita certa di risorse a danno di tutti gli Stati membri, visto che il gettito impositivo non è incamerato in nessuno di essi. 15 L’OCSE, da parte sua, ha evidenziato come le imprese con limitata detraibilità possono beneficiare di indubbi vantaggi in termini di IVA attraverso il passaggio dei servizi attraverso simili strutture. 16 Di fatto, si tratta di forme di elusione fiscale, elusione che è una delle maggiori
15 . Commissione UE, «Commission staff
working document accompanying document
to the Green Paper on the future of VAT
“Towards a simpler, more robust and efficient
VAT system”» SEC(2010)1455 final para
12.2.1.2.
16 . OECD, «Addressing the Tax Challenges of the
Digital Economy», cit., para 5.3.2.
MOLTI SOGGETTI HANNO
SFRUTTATO IL VARCO
GIURIDICO APERTO
DALLA FCE BANK PER
IMPLEMENTARE SCHEMI
OPERATIVI FINALIZZATI
ALL'ELUSIONE DELL'IVA
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cause del cd. VAT gap, ossia la differenza fra l’imposta che dovrebbe essere introitata dagli erari nazionali e quella effettivamente riscossa. La Commissione, in un recente rapporto, 17 ha sottolineato come tale differenziale non sia attribuibile solamente a casi di frode ma anche a forme prima facie legali di elusione. L’elusione, peraltro, è anche una delle cause maggiori del fenomeno BEPS. Tutto ciò, evidentemente, non collima con l’idea della Commissione secondo cui l’IVA dovrebbe svolgere un ruolo significativo nell’assicurare agli Stati un adeguato prelievo fiscale sulle imprese attive nella digital economy. 18 In tale contesto, in sostanza, l’IVA è vista quale un mezzo volto a colmare i limiti riscontrati dalla imposizione diretta nella tassazione degli operatori della digital
economy. Sicché, all’IVA è attribuito una funzione cruciale nel ristabilire l’equità fiscale fra operatori economici e nell’assicurare agli Stati l’introito delle risorse fiscali di loro spettanza. Tuttavia, il suesposto scenario turba il perseguimento di questo risultato, dato che rende impossibile l’operare del principio della tassazione a destinazione.
Il principio dell’unitarietà soggettiva
Non è chiaro se e come la questione della tassazione delle prestazioni infragruppo verrà affrontato. Certo è che il problema BEPS non potrà dirsi compiutamente risolto finché non si metterà mano alla segnalata problematica. La Commissione, 19 finora, ha manifestato l’opinione che l’attuale impostazione frutto della FCE Bank – per cui i rapporti fra casa madre e SO sono fuori campo IVA – è tollerabile in quanto in linea con il suddetto principio civilistico della unitarietà soggettiva, che è parte della tradizione giuridica degli Stati membri ed è altresì rispettosa del principio della libertà di stabilimento. 20 In particolare, con riguardo a quest’ultimo aspetto, garantire “l’indifferenza” ai fini dell’IVA delle prestazioni infragruppo anche in uno scenario intracomunitario, i.e. quando casa madre e SO sono stabiliti in due Stati membri diversi, fa sì che tale favorevole trattamento consentito a livello domestico non sia inficiato dalla natura transfrontaliera di una operazione. Diversamente, ossia laddove la non tassazione delle operazioni infragruppo fosse circoscritta ad un ambito nazionale, si potrebbe configurare un ostacolo alla libertà di stabilimento, vietato ai sensi del’art. 49 del Trattato di funzionamento
17 . Commissione UE, «2012 Update Report to the
Study to quantify and analyse the VAT Gap in the
EU-27 Member States» (2014).
18 . Commissione UE, «Report of the Commission
Expert Group on Taxation of the Digital Economy»,
cit., para 4.2.1.
19 . SEC(2010)1455 final, cit., para 12.2.1.1.
20
.
Sul tema della libertà di stabilimento nel
contesto dei rapporti infragruppo e del relativo
trattamento IVA si veda, in particolare, Ad van
Doesum, Herman van Kesteren and Gert-Jan
van Norden, «The Internal Market and VAT: intra-
group transactions of branches subsidiaries and
VAT groups» (2007) 16 ECTR 34.
Iva — Servizi digitali
dell’UE. 21 La descritta posizione della Commissione, tuttavia, è espressione di una coerenza argomentativa solo apparente. Infatti, i trasferimenti di beni infragruppo in ambito intracomunitario, sin dall’avvento del mercato unico (1993), danno bensì luogo a operazioni rilevanti ai fini IVA, 22 laddove a livello domestico sono ininfluenti. 23 Pertanto, riportare a tassazione le prestazioni infragruppo effettuate in seno al medesimo soggetto giuridico, quando poste in essere fra stabilimenti insediati in Stati UE diversi, potrebbe essere vista come una misura non solo compatibile con il sistema ma, di più, come idonea a restituire coerenza al medesimo mediante l’equiparazione del trattamento di beni e servizi. In effetti la discrepanza fra cessioni di beni e prestazioni di servizi infragruppo è difficilmente giustificabile sul piano della neutralità e della logica sistematica su cui si regge la normativa IVA UE. A ben vedere, il regime a cui sono sottoposti i beni, che ignora il principio della unitarietà soggettiva sancito nella FCE Bank, consente la tassazione a destinazione. Al contrario, il regime dei servizi infragruppo, rispettoso di detto principio giurisprudenziale, è ostativo al conseguimento di questo risultato.
Una soluzione di compromesso
Gli argomenti a difesa della differenziazione fra cessioni di beni e prestazioni di servizi e, in generale, dello status quo in materia di prestazioni transfrontaliere infragruppo, ruotano (ancora) attorno alla neutralità dell’IVA. Se, da un lato, l’attuale impostazione è contraria alla neutralità, dall’altro lato, sotto certe circostanze, ne consente la salvaguardia. Si è dianzi dimostrato che l’utilizzo elusivo di modelli di business basati sul rapporto casa madre-SO da parte di soggetti con limiti alla detrazione determina effetti indesiderati in termini di gettito
21 . A mente di tale articolo sono vietate «le
restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini
di uno Stato membro nel territorio di un altro
Stato membro» e tale divieto è altresì esteso
«alle restrizioni relative all'apertura di agenzie,
succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno
Stato membro stabiliti sul territorio di un altro
Stato membro». Essendo una SO riconducibile
alla categoria delle succursali e filiali, qualsiasi
restrizione all’insediamento della medesima in
un altro stato UE è da considerarsi illegittimo in
quanto lesivo del principio in esame.
22 . A mente dell’art. 17 della Direttiva IVA «[è]
assimilato ad una cessione di beni effettuata a
titolo oneroso il trasferimento da parte di un
soggetto passivo di un bene della sua impresa a
destinazione di un altro Stato membro». Dal lato
dello Stato UE di destinazione tale transfer
integra un acquisto intracomunitario ai sensi
dell’art. 21 della Direttiva IVA che assimila «ad
un acquisto intracomunitario di beni effettuato a
titolo oneroso la destinazione da parte di un
soggetto passivo alle esigenze della propria
impresa di un bene spedito o trasportato, dal
soggetto passivo o per suo conto, a partire da
un altro Stato membro all'interno del quale il
bene è stato prodotto, estratto, trasformato,
acquistato, acquisito ai sensi dell'articolo 2,
paragrafo 1, lettera b), o importato dal soggetto
passivo nell'ambito della sua impresa in
quest'ultimo Stato membro».
23 . Cfr. Christian Amand, «VAT grouping, FCE Bank
and force of attraction - the internal market is
leaking» (2007) 18 IVM 237.
Norme&Tributi Mese — Marzo 2015
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IVA ed equità fiscale. Quale rovescio della medaglia, in mancanza di finalità elusive, detta struttura consente ai medesimi soggetti di non rimanere incisi dall’IVA nei rapporti infragruppo posti in essere in uno scenario internazionale. Nel caso, ad esempio, dell’outsourcing di servizi IT, il fatto che quale prestatore possa essere designata una SO che acquista detti servizi a livello accentrato per tutto il gruppo bancario o assicurativo e poi rigira i medesimi ai vari stabilimenti a seconda delle rispettive esigenze senza caricare l’IVA, fa sì che i soggetti consociati che fruiscono della prestazione non debbano rimanere incisi dalla relativa imposta. Essendo l’IVA, come si é detto in apertura, una imposta sui consumi finali, evitare che la stessa gravi in uno stadio intermedio della catena del valore in forma di imposta indetraibile è un aspetto positivo. 24 In definitiva, la questione della tassazione, o meno, delle prestazioni infragruppo va risolta cercando il miglior compromesso fra esigenze di gettito ed equità della imposizione. Una soluzione tranchant non è possibile. Tuttavia, considerato che nell’attualeperiodo storico la difesa del gettito fiscale da “attacchi” elusivi, come quelli causa di fenomeni di BEPS, ha assunto i connotati di una priorità non solo fiscale ma, più in generale, politica, la strada della tassazione delle operazioni in oggetto parrebbe la più coerente. D’altra parte, la neutralità dell’IVA in capo ai soggetti esercenti attività esenti potrebbe essere perseguita per altra via, ad esempio eliminando tout court l’esenzione sui servizi finanziari e assicurativi 25 o rendendola facoltativa. 26
Modalità di assolvimento dell’imposta nel luogo di consumo
Quanto all’altro aspetto, segnalato in apertura, della modalità di
24
.
Cfr. SEC(2010)1455 final, cit., para 12.2.1.1.
25 . Cfr. Christian Amand, «VAT grouping, FCE Bank
and force of attraction - the internal market is
leaking», cit., pp. 247-248.
26 . Cfr. proposta di direttiva della Commissione
«recante modifica della direttiva 2006/112/CE
relativa al sistema comune d'imposta sul
valore aggiunto per quanto riguarda il
trattamento dei servizi assicurativi e
finanziari», COM (2007) 747 def. Ivi, al
settimo considerando della proposta di
direttiva si dice che, siccome «i prestatori di
servizi assicurativi e finanziari sono sempre
più in grado di attribuire con precisione l'IVA
da loro assolta a monte alle loro operazioni
imponibili» e «[s]e forniscono servizi sulla
base di compensi, essi possono determinare
facilmente la base imponibile di tali servizi», si
ravvisa «opportuno estendere a tali operatori
la possibilità di optare per la tassazione».
Dall’esercizio di tale opzione ne deriverebbe
un corrispondente diritto ad esercitare la
detrazione dell’imposta subita in rivalsa “a
monte”.
LA QUESTIONE
DELLA TASSAZIONE
DELLE PRESTAZIONI
INFRAGRUPPO VA RISOLTA
CERCANDO IL MIGLIOR
COMPROMESSO FRA
ESIGENZE DI GETTITO
ED EQUITÀ
DELL'IMPOSIZIONE
Iva — Servizi digitali
assolvimento/versamento dell’imposta nel luogo di consumo (cfr. supra questione sub ii), nei rapporti B2B la problematica è stata sostanzialmente risolta mediante l’utilizzo diffuso del reverse charge. Con questo strumento contabile, che, si rammenta, comporta la traslazione del debito IVA sul committente della prestazione, il fornitore è liberato da qualunque adempimento nel luogo di stabilimento del destinatario del servizio.
Diversa è la situazione nei rapporti B2C, in cui il reverse charge non trova applicazione. In tale contesto le sorti del gettito IVA sono spesso dipendenti dalla esistenza, o meno, di un mezzo tecnico che consenta la liquidazione e la riscossione dell’imposta nel luogo del committente a prescindere dalla istituzione di un identificativo IVA in loco. In sostanza, la fase tecnico/adempimentale della liquidazione e riscossione dell’imposta gravante su un servizio reso a distanza diventa cruciale tanto quanto l’aspetto della sua rilevanza territoriale, considerato che la necessità di acquisire un identificativo nel mercato di riferimento della clientela spesso rappresenta un deterrente all’assolvimento tout court dell’imposta. Gli operatori basati all’estero, fatta ovviamente eccezione per quelli più strutturati, a volte trovano più vantaggioso rendersi totalmente inadempienti sul piano dell’IVA piuttosto che sottostare agli oneri, sia economici che burocratici, imposti dall’assolvimento dell’imposta in una giurisdizione straniera.
IL MODELLO DEL MOSS
In ambito comunitario la soluzione a siffatta problematica, almeno nel settore dei servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione e dei servizi prestati tramite mezzi elettronici (cd. “TBE”), 27 è stata individuata nel modello del mini one stop shop (“MOSS”), 28 attraverso il quale è possibile versare l’IVA nello stato UE di consumo senza essere ivi identificati, ma avvalendosi di un portale telematico fruibile tramite Internet. Il MOSS è reputato uno strumento strategico ai fini dell’implementazione del destination principle per i servizi elettronici. A giudizio del Gruppo di esperti della Commissione sulla tassazione della digital economy, 29 l’operatività di tale principio può essere assicurata solo se accompagnata dallo sviluppo di un efficiente sistema MOSS, che consenta di mitigare i carichi amministrativi imposti alle imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni. Il fatto è che, ad oggi,
27 . TBE è l’acronimo dell’espressione inglese
Telecommunications, Broadcasting and Electronic
services.
28 . Fino ad oggi il MOSS è stato limitato ai servizi
resi per via elettronica prestati da operatori
extracomunitari. Dal 1° gennaio 2015, invece, è
fruibile in relazione a tutti i servizi TBE e può
essere utilizzato anche dagli operatori
comunitari.
29 . Cfr. Commissione UE, «Report of the Commission
Expert Group on Taxation of the Digital Economy»,
cit., para 4.2.1.
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tale sistema è circoscritto all’UE e il suo sviluppo su scala più ampia appare piuttosto complicato. Ciò anche perché, a differenza del reverse
charge che è un semplice meccanismo contabile, il MOSS richiede infrastrutture tecnologiche notevoli, essendo totalmente web-based, nonché una forte armonizzazione delle regole domestiche in tema di adempimenti IVA. Nell’esperienza europea il MOSS è implementato e gestito attraverso un sito web armonizzato, approntato a livello nazionale da ciascuna amministrazione fiscale, che consente di risolvere a priori il problema della identificazione nel luogo del committente del servizio, siccome permette di versare l’IVA all’erario dello Stato di stabilimento del cliente direttamente dallo Stato membro di identificazione del prestatore. Si tratta di un regime opzionale, restando quindi ferma la possibilità per gli operatori di versare l’IVA all’estero secondo l’ordinaria modalità dell’identificazione o della rappresentanza fiscale. Quanto allo Stato UE dal quale gestire il MOSS, mentre i soggetti extracomunitari possono scegliere liberamente ove identificarsi, per gli operatori comunitari tale stato è quello in cui il soggetto passivo ha fissato la sede della propria attività economica, i.e.
dove una società ha la sede sociale o un’impresa individuale ha la sede della propria attività economica. In ambito comunitario il MOSS è visto come uno strumento particolarmente promettente, tanto che se ne è auspicata l’estensione ad altre prestazioni di servizi nonché alle cessioni di beni ai consumatori finali, nell’ottica di sviluppare un metodo standardizzato di assolvimento dell’IVA basato su tale sistema. 30 L’obiettivo, insomma, è creare uno one stop shop (“OSS”) generalizzato. Infatti, l’utilizzo dell’OSS è stato individuato dalla Commissione anche quale uno dei possibili strumenti su cui basare l’assolvimento dell’IVA negli scambi intracomunitari di beni in vista della realizzazione del regime IVA definitivo del commercio intra-UE. 31
30
. .
Cfr. Commissione UE, «Report of the Commission
Expert Group on Taxation of the Digital Economy»,
cit., para 4.2.3 e 4.2.4.
31 . Cfr. Commissione UE, «Staff working document
on the implementation of the definitive VAT regime
for intra-EU trade» SWD(2014) 338 final, p. 4.
benedetto santacroce› Comitato Scientifico
matteo mantovaniDottore commercialista,
pubblicista, membro del VAT
Expert Group della Commissione
Europea, collabora
regolarmente con quotidiani e
riviste di settore. È specializzato
in materia di Iva e tassazione
indiretta internazionale.
Gli autoridi questo articolo
FISCALITÀ INTERNAZIONALE
Il regime fiscale del “passaggio” degli attivi e passivi della società
incorporata nelle fusioni internazionali
giacomo d'angelomarco piazza
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Il regime fiscale delle fusioni internazionali è definito in
dettaglio dal Testo unico delle imposte sui redditi con
specifico riferimento alle operazioni intracomunitarie in cui i
beni della società estinta per effetto della fusione confluiscano
in una stabile organizzazione della società risultante dalla
fusione, ipotesi regolata dalla direttiva n. 2009/133/CE. Meno
precisa è la disciplina degli altri casi di fusione: ad esempio di
quelli che coinvolgano società non residenti nell’Unione
europea oppure quelli in cui parte o tutti i beni della società
fusa o incorporata perdano la qualifica di “beni relativi
all’impresa” nello Stato di residenza di questa società. È
indispensabile in questi casi adattare la disciplina generale
sulle fusioni contenuta nell’art. 172 del Testo unico che – come
confermato da prassi e dottrina – non si applica solo alle
fusioni nazionali, ma anche a quelle internazionali non regolate
dalle norme sulle operazioni intracomunitarie. Occorre, inoltre,
operare nel rispetto della giurisprudenza comunitaria sul
trasferimento della residenza delle società all’interno della UE.
N el Testo unico delle imposte sui redditi, il regime delle fusioni ècontenuto negli artt. 172, 178, comma 1, lett. a), 179, 180 e 181 del Testounico. Gli artt. 178 e seguenti del Testo unico recepiscono la direttiva
comunitaria n. 2009/133/CE di rifusione della direttiva n. 90/434/CEE, modificata dalla direttiva n. 2005/19/CE, e si applicano alle cosiddette fusioni infracomunitarie, che coinvolgono una o più società residenti in Stati diversi dell’Unione europea, a condizione che siano rispettati alcuni ulteriori parametri di cui si parlerà in seguito. L’art. 172 si applica non solo alle fusioni fra società italiane, ma anche a quelle alle quali non si applicano gli artt. 178 e seguenti del Testo unico. Di seguito esaminiamo le conseguenze dell’applicazione del principio di neutralità della fusione, sancito dall’art. 172, comma 1, del Testo unico, sulle plusvalenze e minusvalenze inespresse riferibili agli attivi e passivi della società incorporata.
A seguire si tratterà il caso delle fusioni intracomunitarie disciplinate dagliartt. 178 e seguenti del Testo unico in conformità alla direttiva n. 2009/133/CE e quello delle altre fusioni internazionali.
Fusioni disciplinate dalla direttiva n. 2009/133/CECAMPO D’APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA SULLE FUSIONI INTRACOMUNITARIE
Fusioni che coinvolgono società residenti
L’art. 178, comma 1, lett. a) del Testo unico fornisce una definizione del
Fiscalità internazionale — Operazioni straordinarie
campo di applicazione della disciplina nazionale sulle fusioni intracomunitarie coerente con la direttiva n. 2009/133/CE. La disciplina si applica alle fusioni tra:› società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità
limitata, cooperative e di mutua assicurazione, enti pubblici e privatiaventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, residenti nel territorio dello Stato,
e soggetti:› residenti in altri Stati membri della Comunità economica europea,
purché non si considerino, per convenzione in materia di doppia imposizione con Stati terzi, residenti fuori della Comunità,
› che appartengano alle categorie indicate nella tabella A allegata al Testo unico, da considerare automaticamente aggiornata in conformità con eventuali modifiche dell'allegato alla direttiva del Consiglio delle Comunità europee n. 90/434 del 23 luglio 1990 1 ,
› e siano sottoposti a una delle imposte indicate nella tabella B allegataal Testo unico o ad altra che in futuro la sostituisca, senza possibilitàdi opzione 2 ,
› sempre che nel concambio l'eventuale conguaglio in danaro ai partecipanti dei soggetti fusi o incorporati non superi il 10% del valore nominale della partecipazione ricevuta.
L’art. 178 si occupa sia dell’ipotesi in cui la società residente rivesta il ruolo di società incorporata 3 sia di quella in cui la società residente rivesta il ruolo di società incorporante 4 .
La condizione che la società incorporata o incorporante sia residentenella Comunità europea senza che si consideri, per convenzione in materia di doppia imposizione con Stati terzi, residente fuori della Comunità viene a volte applicata in modo distorto 5 .
È ovvio il riferimento all’art. 4, par. 3 delle convenzioni conformi almodello OCSE. Tale articolo afferma che «quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona è residente di entrambi gli Stati contraenti, sarà considerata residente nello Stato in cui ha la sede della direzione effettiva». Si deve, pertanto, in primo luogo appurare se esista fra l’altro Stato dell’Unione e lo Stato terzo un conflitto di
1 . Si può fare riferimento all’allegato I, parte A
della direttiva n. 2009/133/CE, aggiornato per
tener conto di nuove tipologie societarie (da
ultimo con la direttiva n. 2013/13/UE di
adeguamento delle direttive comunitarie
all’adesione della Croazia) nonché delle “Società
europee” e delle “Società cooperative europee”.
2 . Si può fare riferimento all’allegato I, parte B alla
direttiva n. 2009/133/CE, aggiornato per tener
conto di nuove tipologie societarie (da ultimo
con la direttiva n. 2013/13/UE di adeguamento
delle direttive comunitarie all’adesione della
Croazia).
3 . Cfr. Assonime, Relazione sull’attività svolta nel
biennio 1991-1992 presentata all’Assemblea del 7
luglio 1993, pag. 240 e ss.
4 . Cfr. Assonime, Relazione sull’attività svolta nel
biennio 1991-1992 presentata all’Assemblea del 7
luglio 1993, pag. 243 e ss.
5 . Cfr. Commissione provinciale di Milano, sezione
18, n. 47/18/11 del 28 febbraio 2011, anche se
con riferimento all’applicazione del regime di
dividendi intracomunitari. La sentenza è stata,
peraltro, annullata dalla Commissione regionale,
Sezione 15, 76/15/12 del 4 luglio 2012, passata
in giudicato.
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residenza applicando il paragrafo 1 dell’art. 4 secondo il quale «il termine “residente di uno Stato contraente”, indica qualsiasi persona che, secondo la legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a causa del suo domicilio, residenza, cittadinanza, sede della direzione, o di ogni altro criterio di natura analoga» 6 . Se non vi è conflitto di residenza – nel senso che lo Stato comunitario considera la società incorporata o incorporante fiscalmente residente e lo Stato terzo si astiene da considerarla fiscalmente residente nel proprio territorio – non si ha motivo di ricorrere alla regola per la soluzione del conflitto prevista dal successivo paragrafo 3 dell’art. 4 7 . Pertanto se, come a volte accade, lo Stato terzo non considera residenti nel proprio territorio le società con sede legale all’estero anche se hanno stabilito la propria direzione effettiva nello Stato stesso, non vi è conflitto di residenza e quindi non vi è motivo di applicare l’art. 4, par. 3 della convenzione.
Nessuna condizione è richiesta con riferimento ai soci delle società fuse o incorporate che possono essere residenti o non residenti nella Comunità, essere società o persone fisiche, imprenditori o non imprenditori.
Fusioni fra società comunitarie con stabile organizzazione in Italia
In base all’art. 178, comma 11, lettera d) del Testo unico, il regime di neutralità fiscale riguarda anche le fusioni tra i soggetti residenti nell’Unione europea individuati dalla lettera a) dell’art. 178, comma 1 (le società di capitale e gli enti commerciali individuati negli allegati A e B alla direttiva) non residenti in Italia, con riguardo alle stabili organizzazioni esistenti nel territorio dello Stato. Siccome la lettera a), dell’art. 178, comma 1, è richiamata in toto, risulta che l’applicazione del decreto legislativo è limitata, per le fusioni, al caso in cui la società fusa risieda in uno Stato comunitario diverso da quello dell’incorporante (si veda la lettera a) dell’art. 178, comma 1). Ciò è confermato dall’Amministrazione finanziaria che – nelle risoluzioni n. 42/E del 12 febbraio 2008 e n. 470/E del 3 dicembre 2008 – ha ribadito come, ai fini dell’applicazione del regime di cui all’art. 178, le società partecipanti all’operazione devono essere non solo entrambe residenti fiscalmente nell’Unione Europea, ma devono essere anche fiscalmente residenti in
6 . Ricordiamo che, con riferimento ad una locuzione
del tutto analoga, la relazione governativa al
D.Lgs. n. 136 del 1993 che ha recepito in Italia la
direttiva “madri e figlie” ha chiarito che
«l’individuazione della residenza fiscale della
società può essere risolta in via procedimentale
sulla base di un certificato delle competenti
autorità dello Stato comunitario che attesti il
possesso del requisito in parola». Ovviamente, se
l’autorità fiscale italiana nutre, comunque, dubbi
sulla veridicità dell’attestazione, ha a sua
disposizione gli strumenti comunitari di
cooperazione e di assistenza amministrativa
offerti dalla direttiva n. 77/799.
7 . Il Commentario all’art. 4 del modello OCSE è sul
punto esplicito.
Fiscalità internazionale — Operazioni straordinarie
due diversi Stati membri dell’Unione Europea. Le risoluzioni evidenziano come la base giuridica della norma sia l’art. 1 della direttiva n. 2009/133/CE, secondo il quale «ogni stato membro applica la presente direttiva alle operazioni di fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e scambi di azioni riguardanti società di due o più Stati membri».
Pertanto rientra nella normativa in commento sia il caso in cui duesocietà residenti in uno stesso Stato siano incorporate da una società residente in uno Stato diverso, come pure il caso in cui una società residente in uno Stato membro incorpori una società residente nello stesso Stato e una residente in uno Stato membro diverso. La questione assume ora un’importanza marginale in quanto attualmente l’art. 178 richiama integralmente l’art. 172 riferito alle fusioni nazionali 8 . È evidente che la parte “nazionale” della fusione non sarà influenzata dalle norme che l’art. 179, commi 3, 4 e 6 dedicano specificamente alle operazioni internazionali.
Individuate le norme applicabili, esaminiamo i principali aspetti pratici legati alle operazioni di fusione internazionali.
Si può – per motivi sistematici – distinguere il caso in cui i beni trasferiti da un soggetto ad un altro per effetto della fusione erano originariamente relativi ad un’impresa esercitata in Italia da una società residente o da una società non residente attraverso una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, dal caso in cui tali beni non erano originariamente relativi ad una impresa, in quanto posseduti da una società non residente priva di stabile organizzazione in Italia.
Poiché come si è detto l’art. 178 del Testo unico richiama l’art. 172 epoiché le norme dell’art. 179 del Testo unico riferibili alle fusioni sono solamente i commi 3, 4 e 6, si può affermare che il regime delle fusioni internazionali come sopra definite non si discosta sensibilmente da quello delle analoghe operazioni in ambito nazionale.
BENI RELATIVI AD UN’IMPRESA ESERCITATA IN ITALIA
I casi in cui la fusione internazionale comporta il trasferimento di beni relativi ad un’impresa esercitata in Italia ad altro soggetto sono:1. la fusione di una società residente in Italia in una società non
residente;2. la fusione di una società non residente in Italia con stabile
organizzazione nel territorio dello Stato in una società residente;3. la fusione di una società non residente in Italia con stabile
organizzazione nel territorio dello Stato in una società non residente.
8 . Si veda anche la risoluzione n. 470/E del 2008.
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Beni confluiti nella stabile organizzazione in Italia o all'esterodella società incorporate, risultante dalla fusione
Il principio della neutralità della fusione e della continuità dei valori è sancito dall'art. 172, commi 1, 2 e 4. In pratica, i beni ricevuti mantengono, in capo alla beneficiaria, l'ultimo valore fiscale riconosciuto alla società fusa ed è necessario produrre un apposito prospetto di riconciliazione per giustificare le differenze rispetto ai valori iscritti in bilancio. Il prospetto di conciliazione deve quindi essere compilato dalle società residenti incorporanti per gli elementi patrimoniali provenienti dalle stabili organizzazioni in Italia o all'estero delle società comunitarie fuse o scisse.
Si utilizza il quadro RV del modello Unico - Società di capitali.Inoltre, poiché questa disposizione è richiamata, per le società
beneficiarie non residenti, dall’art. 179, comma 2, ultimo periodo, l’obbligo di produrre il prospetto di conciliazione riguarda anche le società comunitarie non residenti in Italia incorporanti, per gli elementi patrimoniali provenienti dalle società italiane o comunitarie fuse e confluiti nella stabile organizzazione in Italia della beneficiaria.
Incorporazione di società residente in Italia o con stabile
organizzazione in Italia
La predisposizione del prospetto di conciliazione non dovrebbe generare particolari difficoltà nei casi in cui sorga in Italia una stabile organizzazione in seguito all’incorporazione da parte di società comunitaria di una società italiana o comunitaria. I dati civilistici e fiscali sono facilmente desumibili dalla contabilità della società italiana coinvolta nell’operazione. Ad analoghe conclusioni si può pervenire nei casi in cui una società italiana riceva – per effetto di fusione – elementi patrimoniali già confluiti in una preesistente stabile organizzazione in Italia di società comunitaria. In questi casi, infatti, non è difficile adempiere alla prescrizione che esige che i beni ricevuti siano valutati fiscalmente in base all’ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi in capo al conferente, dato che questi valori risultano dalla contabilità e dalle dichiarazioni fiscali italiane.
Anche se le istruzioni al quadro RV menzionano solo “i beni”, la conciliazione deve riguardare tutti gli elementi dell’attivo e del passivo 9 .
Per quanto riguarda gli aspetti pratici, può essere utile fare riferimento al paragrafo 2.10.2 della circolare ministeriale n. 320/E del 19 dicembre 1997, riguardante i conferimenti in regime di “doppia sospensione d’imposta” di cui all’art. 4, D.Lgs. n. 358/1997 (ora art. 176
9 . Assonime, circolare 27 maggio 1998, n. 42, pag. 70.
Fiscalità internazionale — Operazioni straordinarie
del Testo unico), ma certamente valida anche ai fini in esame, e al paragrafo 3.2.5. della circolare Abi n. 7 del 30 marzo 1998. Si ritiene infatti che nel momento in cui le fusioni e scissioni, anche internazionali, rappresentino fenomeni di successione universale (o, più precisamente, di compenetrazione di imprese 10 ) esse siano idonee a trasferire posizioni fiscalmente rilevanti di diritti ed oneri. Pertanto, si deve ritenere che l’incorporante, o beneficiaria, subentri nella posizione della fusa in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda ricevuta, realizzando, in tal modo, la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti degli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda stessa. Ciò comporta, per quanto riguarda le rimanenze, la conservazione dell’eventuale stratificazione LIFO esistente presso la fusa. Naturalmente, qualora nelle rimanenze della fusa e in quelle dell’incorporante o beneficiaria si trovino beni omogenei, dovrà provvedersi all’unificazione delle stratificazioni LIFO esistenti 11 .
Relativamente ai beni strumentali, le residue quote di ammortamento dovranno essere computate assumendo il costo originario di tali beni, senza subire, ovviamente, la riduzione al 50% del coefficiente d’ammortamento non essendo la fusione equiparabile ad un atto d’acquisto. Si continua l’ammortamento secondo le regole dell’art. 102 12 .
Relativamente alla deduzione delle spese di manutenzione e delle altre spese di cui all’art. 102, comma 6 del Testo unico, il limite percentuale di deducibilità ivi stabilito è calcolato sulla parte del relativo costo proporzionale alla durata del possesso.
Relativamente alle svalutazioni dei crediti occorre distinguere il casoin cui la scissa o fusa sia una banca o società finanziaria, che applica il comma 3 dell’art. 106, dal caso in cui sia un altro soggetto, che applica i commi 1 e 2. Nel primo caso, l’incorporante o beneficiaria acquisisce i crediti al loro valore di bilancio; nel secondo caso li acquisisce al loro valore nominale o di acquisto per la società fusa 13 . Nel secondo caso, il plafond dello 0,5% è ragguagliato alla durata del periodo d’imposta del soggetto 14 .
Si ribadisce che le interpretazioni sopra descritte sono state date conriferimento ai conferimenti neutrali di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 358/1997 (si veda ora l’art. 176 del Testo unico) e adattate, in questa
10 . Cfr. risoluzione della Direzione Regionale dell’Emilia
Romagna 21 febbraio 2000, n. 8996 e circolare
Assonime 22 dicembre 2000, n. 70, pag. 8.
11 . In tal senso, si veda anche la sentenza della
Cassazione 25 maggio 1989, n. 2511, per le
fusioni e l’art. 173, comma 8, del Testo unico,
per le scissioni.
12 . Sulla ripartizione pro rata temporis delle quote
d’ammortamento, fra incorporata e incorporante,
si veda anche la circolare 7 novembre 1988, n.
5/3401, punto n. 8, lettera f).
13 . La regola, secondo l’ABI, vale anche se la
beneficiaria è una banca o finanziaria e anche
se essa ha recepito i crediti in contabilità al
netto delle svalutazioni già operate dalla
conferente.
14 . Nonostante quello che si ritiene sia solo un
difetto di coordinamento dell’art. 110, comma 5,
del Testo unico che richiama solo i commi 1 e 2
e non anche il comma 3 dell’art. 106.
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sede, ai casi di fusione internazionale, data dall’affinità esistente fra il regime fiscale di cui all’art. 4 citato e quello di cui all’art. 173, comma 8.
Incorporazione di società non residente
Il caso è quello in cui una società residente incorpori una società non residente con stabile organizzazione in Italia.
La società residente riceve in apporto (per aver incorporato una società comunitaria) elementi patrimoniali situati all’estero e quindi deve impiantare la contabilità separata della nuova stabile organizzazione all’estero.
Non è stato, in proposito, chiarito come vada determinato «l’ultimovalore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi al conferente (società incorporata)» di cui parla l’ art. 172 del Testo unico. In particolare non è chiaro se sia necessario redigere una sorta di “prospetto delle attività e passività” del tipo di quello previsto dal D.P.R. n. 689/1974 o se basti fare riferimento ai criteri di determinazione della base imponibile vigenti nel paese di residenza della società incorporata o scissa. Si propende – anche sulla base del tenore letterale della norma – per questa seconda soluzione, la quale ha – fra l’altro – il pregio di ridurre al minimo il divario fra valori di bilancio e valori fiscali 15 .
Ha osservato l’Assonime 16 , con riferimento alla previgente disciplinadi cui al D.Lgs. n. 544 del 1992, che «in questa ipotesi, è del tutto ovvio che è compito non del nostro Stato, ma di quello estero in cui risiede la società trasferente riconoscere la neutralità dell’operazione e non tassare le plusvalenze presso tale società». Appare quindi evidente che - in primo luogo - è necessario verificare se in questi casi nello Stato estero vige il principio secondo cui la fusione non costituisce atto di realizzo ai fini fiscali.
Per quanto riguarda l’Italia, l’Assonime 17 affermò che «anche di questa ipotesi si occupa il D.Lgs. n. 544/1992 per disciplinare il regime della società beneficiaria italiana. Anche tale società, secondo l’art. 2, comma 1 [corrispondente all’attuale art. 172, comma 2, del Testo unico, nda], deve (....) mantenere i valori fiscali dell’azienda ricevuta quali risultavano presso la società trasferente il che significa mantenere i valori riconosciuti nel sistema fiscale dello Stato estero in cui si trova tale azienda». L’operazione è, quindi, neutrale per il soggetto incorporato, mentre la società italiana deve recepire i beni ricevuti in
15 . .
Questo pare l’approccio desumibile anche dal
documento 19 dicembre 2006 COM(2006) 825
definitivo, pag. 9, e dal progetto di risoluzione del
Consiglio europeo del 26 novembre 2008
(16412/08 - FISC 176) che peraltro non risulta
avere avuto seguito. V. anche risoluzione n. 67/E
del 2007 e n. 345/E del 2008 nonché la
circolare Assonime 67 del 2007, nota (72).
16 . Assonime, Relazione sull’attività svolta nel biennio
1991-1992, presentata all’Assemblea del 7 luglio
1993, pag. 244.
17 . Relazione citata nella nota precedente.
Fiscalità internazionale — Operazioni straordinarie
base all’ultimo valore fiscalmente riconosciuto in capo al dante causa.Se è corretta questa conclusione, si pone l’ulteriore problema di
sapere se – nel caso in cui la beneficiaria residente riceva una stabile organizzazione situata in uno Stato estero diverso da quello in cui ha sede l’incorporata o scissa – i valori rilevanti siano quelli determinati secondo la legge dello Stato in cui si trova la stabile organizzazione oppure secondo la legge in cui si trova la sede della società incorporata. La prima soluzione appare più praticabile e più coerente con l’intero sistema normativo previsto dalla direttiva.
Beni non confluiti nella stabile organizzazione in Italia
Il comma 6 dell’art. 179 del Testo unico stabilisce che i componenti dell’azienda o complesso aziendale non confluiti nella stabile organizzazione del beneficiario non residente si considerano realizzati; si ha tassazione anche se i componenti conferiti nella stabile organizzazione ne vengano, successivamente, distolti. Si tratta di disposizione conforme alla direttiva n. 2009/133/CE di rifusione della direttiva n. 2005/19/CEE. Infatti l’art. 4, par. 1, della direttiva dispone che «la fusione, la scissione o la scissione parziale non comporta alcuna imposizione delle plusvalenze risultanti dalla differenza tra il valore reale degli elementi d’attivo e di passivo conferiti e il loro valore fiscale» e il successivo par. 2, lettera b) definisce gli «elementi d’attivo e di passivo conferiti», come «gli elementi d’attivo e di passivo della società conferente che, a seguito della fusione, della scissione o della scissione parziale, sono effettivamente connessi a una stabile organizzazione della società beneficiaria nello Stato membro della società conferente e che concorrono alla formazione dei risultati presi in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile delle imposte».
La formulazione della trasposizione italiana appare alquanto infelice.Essa fa sorgere una serie di dubbi applicativi.
a) La regola espressa sulla tassabilità delle plusvalenze relative a beni non confluiti nella stabile organizzazione del beneficiario.
Si pone, prima di tutto, un problema di coordinamento dell’art. 179,comma 6, con l’art. 166, comma 2-quater, del Testo unico. Questa norma dispone che i soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all'Unione europea ovvero in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella lista degli Stati che concedono un adeguato scambio d’informazioni (D.M. 4 settembre 1996) con i quali l'Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari comparabile a quella assicurata dalla direttiva n. 2010/24/UE possono richiedere la sospensione degli effetti del realizzo ivi previsto in conformità ai principi sanciti dalla sentenza 29 novembre 2011, causa C-
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371/10, National Grid IndusBV 18 . L’emendamento è stato introdotto allo scopo di chiudere il procedimento d’infrazione 2010/4141, con il quale si contestava all’Italia l’applicazione dell’exit tax al momento del trasferimento della sede all’estero da parte di imprese residenti (art. 166, comma 1, del Testo unico), in conflitto con i principi sanciti dalle sentenze della Corte di Giustizia C-371/10 e C-38/10, in materia di “libertà di stabilimento” e riguarda solo il trasferimento della sede o quello di una stabile organizzazione all’estero.
Ciò non significa che nei casi in cui, a seguito dell’incorporazione diuna società italiana in una società estera, non venga istituita una stabile organizzazione in Italia in cui confluiscano i beni della società italiana oppure, istituita la stabile organizzazione, in essa non confluiscano tutti i beni della stabile organizzazione stessa, non operi il meccanismo di sospensione della riscossione delle imposte relative a tali beni con gli stessi criteri di cui all’art. 166, comma 2-quater. Come infatti si desume dalla comunicazione COM(2006)825 def. del 19 dicembre 2006 «i principi enunciati nella sentenza de Lasteyrie si applicano agli attivi non confluiti nella stabile organizzazione. La sentenza C-09/02, de Lasteyrie è stata la prima che ha sancito il divieto di applicare una exit tax al momento del trasferimento della residenza in altro Stato UE.
b) La norma espressa sulla tassabilità delle plusvalenze relative ai beni distolti dalla stabile organizzazione. Effetti sugli analoghi comportamenti non conseguenti a fusioni e comunitarie.
La precisazione che «si ha tassazione anche se i componenti conferitinella stabile organizzazione ne vengano, successivamente, distolti» potrebbe indurre a ritenere che in tutti gli altri casi in cui beni relativi ad una stabile organizzazione vengano distolti dalla stabile organizzazione stessa non si verifichi alcun presupposto d’imposta. In senso contrario, peraltro, si è espressa l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 175/E del 6 luglio 2009.
Per quanto riguarda il problema del coordinamento con l’art. 166, comma 2-quater del Testo unico si veda la precedente lettera a).
c) Procedura attraverso cui “far confluire” i beni nella stabile organizzazione.
La legge non precisa la procedura da seguire per “far confluire” gli elementi patrimoniali nella stabile organizzazione. Soccorre la relazione governativa all’art. 30 del D.L. n. 41/1995 che ha introdotto, nel Testo unico, l’art. 20-bis poi trasfuso nell’art. 166 del Testo unico, destinato a regolare le ipotesi di trasferimento della residenza all’estero da parte di imprenditori commerciali. La relazione governativa precisa che occorre
18 . .
L’art. 1 del D.M. 2 luglio 2014 stabilisce che i
soggetti esercenti imprese commerciali, che
trasferiscono la residenza negli Stati citati
possono optare per la sospensione o per la
rateizzazione della riscossione delle imposte sui
redditi dovuti sulla plusvalenza determinata
unitariamente, in base al valore normale dei
componenti dell’azienda o del complesso
aziendale, che non siano confluiti in una stabile
organizzazione situata in Italia.
Fiscalità internazionale — Operazioni straordinarie
che i beni vengano iscritti nel “patrimonio contabile” della stabile organizzazione.
Per i beni situati all’estero viene ritenuto che non sia sufficiente chevengano inclusi nella contabilità della stabile organizzazione in Italia, ma anche che esista un collegamento con il funzionamento della stabile organizzazione.
Beni esistenti in Italia non relativi ad un’impresa esercitata in Italia
Il caso può riguardare:› l’incorporazione in una società italiana di attività di una società non
residente priva di stabile organizzazione in Italia;› l’incorporazione effettuata fra società non residenti senza stabile
organizzazione in Italia.Poiché l’art. 179, comma 1, del Testo unico dichiara applicabile l’art. 172 (in particolare, il comma 2), i maggiori valori iscritti in bilancio sugli elementi patrimoniali provenienti dalla incorporata non sono imponibili nei confronti della incorporante o beneficiaria, ma i beni ricevuti sono fiscalmente valutati in base all’ultimo valore riconosciuto in capo alla dante causa.
Ovviamente, ove non possa applicarsi il principio di neutralità dellafusione con conseguente emersione di una plusvalenza imponibile in Italia, si dovrebbe verificare se sussistano i requisiti oggettivi (art. 67 del Testo unico) e territoriali (artt. 23, 151 e 152 del Testo unico) di imponibilità e se vi sia un convenzione contro le doppie imposizioni che – in conformità all’art. 13, par. 4 del modello OCSE – preveda la tassabilità esclusiva nello stato di residenza del contribuente. In questi casi può anche accadere che nello Stato estero sia applicata una exit tax, nel qual caso si pone il problema di accertare se la società italiana incorporante possa procedere all’aggiornamento del valore fiscale del bene ricevuto per effetto dell’operazione. Il problema è stato affrontato dall’Agenzia delle Entrate con riferimento al caso di trasferimento in Italia della sede di società estera (risoluzione n. 345/E del 5 agosto 2008), in cui è stato consentito lo step up dei valori fiscali allo scopo di impedire fenomeni di doppia imposizione. Si tratta di un principio certamente applicabile anche nelle operazioni straordinarie.
Stabile organizzazione all’estero della società fusa
Le plusvalenze della stabile organizzazione in altro Stato comunitario della società fusa residente in Italia sono imponibili in Italia a titolo di realizzo al valore normale, con deduzione – imposta da imposta – del prelievo che lo Stato della stabile organizzazione avrebbe operato in assenza della direttiva (credito d’imposta fittizio). Il beneficiario non residente subentra nei diritti ed obblighi tributari della società scissa o
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fusa (art. 179, comma 6 del Testo unico).Il credito d’imposta spetta anche se la stabile organizzazione è
situata fuori dalla Comunità, ma riguarderà le sole imposte effettivamente pagate all’estero e spetta nei limiti della corrispondente imposta italiana 19 .
Quando la veste di trasferente verso una società beneficiaria estera (con sede nella Comunità) sia assunta da altra società comunitaria non italiana, lo Stato italiano deve limitarsi a riconoscere la neutralità fiscale all’operazione per quanto riguarda le stabili organizzazioni site in Italia, senza poter pretendere nulla con riguardo ad eventuali altre stabili organizzazioni situate al di fuori del territorio italiano.
Per quanto riguarda le fusioni e scissioni internazionali non regolatedall’art. 178 del Testo unico, l’Assonime ricorda che esse si differenziano da quelle intracomunitarie solo per il fatto che non spetta il credito d’imposta fittizio di cui al comma 6 dell’art. 179 20 .
Fusioni non regolate dalla direttiva n. 2009/133/CE
Come si è visto, l’art. 178 del Testo unico si occupa delle fusioni fatte fra:› società comunitarie e società italiane› o fra società comunitarie con stabili organizzazioni in Italia.Sono poste ulteriori condizioni. In sintesi:
a) che le società coinvolte rientrino fra i soggetti indicati nella tabellaA allegata alla direttiva;
b) che le società coinvolte siano sottoposte ad una delle imposte indicate nella tabella B allegata alla direttiva o alle imposte che le sostituissero;
c) che eventuali conguagli in denaro non superino il 10% del valore nominale delle partecipazioni ricevute;
d) che in caso di operazioni fra soggetti residenti in Stati comunitaridiversi dall’Italia con stabili organizzazioni in Italia, i soggetti stessi siano residenti in Stati diversi della Comunità.
Visto il campo di applicazione limitato dell’art. 178 ci si è chiesti qualidisposizioni siano applicabili nel caso di fusioni internazionali che non abbiano i requisiti di cui all’articolo stesso.
In un caso di operazione straordinaria (in particolare una fusione) priva dei requisiti di cui all’art. 178 (si trattava della fusione fra due società residenti nello stesso Stato una delle quali aveva una stabile organizzazione in Italia), l’Amministrazione finanziaria 21 ha opportunamente chiarito che il regime di neutralità fiscale previsto per
19 . Assonime, Relazione sull’attività svolta nel biennio
1991 -1992, presentata all’Assemblea del 7 luglio
1993, pag. 243.
20
.
Assonime, circolare 51 del 12 settembre 2008,
pag. 32.
21 . Risoluzione n. 470/E del 3 dicembre 2008 confermata
Fiscalità internazionale — Operazioni straordinarie
le fusioni nazionali può ritenersi applicabile anche nel caso in cui l’operazione non sia disciplinata dalla direttiva n. 2009/133/CE (nel qual caso troverebbero applicazione le disposizioni contenute negli artt. da 178 a 181 del Tuir) e siano contemporaneamente rispettate le seguenti condizioni:› l’operazione si qualifichi come fusione così come definita dalla
legislazione civilistica italiana;› i soggetti coinvolti abbiano una forma giuridica omologa a quella
prevista per le società di diritto italiano;› l’operazione produca effetti in Italia sulla posizione fiscale di almeno
un soggetto coinvolto. In questi casi puòtrovare applicazione il disposto dell’art. 172del Tuir 22 con riferimento alla posizionefiscale della stabile organizzazione in Italiadelle società estere partecipantiall’operazione, a condizione che per effettodell’operazione, ogni attività, passività erapporto giuridico riferibile alla stabileorganizzazione italiana della società fusaconfluisca nella stabile organizzazione inItalia della società incorporante 23 . È quindiammesso, anche nelle operazioniinternazionali non regolate dall’art. 178 delTesto unico, il subentro della beneficiaria oincorporante nella medesima posizionefiscale della scissa o incorporata in ordineagli elementi dell’attivo e del passivo relativialla stabile organizzazione 24 .
Se la società scissa o incorporata nonpossedeva una stabile organizzazione in Italia o i beni della stabile organizzazione non sono stati trasferiti nella stabile organizzazione dell’avente causa, viene meno la neutralità dell’operazione e quindi le plusvalenze latenti saranno imponibili in Italia.
Quanto sopra affermato riguardo alla “neutralità” delle fusioni non solo nazionali e comunitarie, ma anche internazionali in generale, è comunque subordinato alla condizione che sul piano civilistico l’operazione posta in essere comporti l’estinzione senza liquidazione della società dante causa, sulla base della legislazione civilistica locale in coordinamento con l’art. 25, comma 3, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (diritto privato internazionale italiano).
dalla risoluzione n. 175/E del 6 luglio 2009.
22 . Quindi anche dell’art. 173, nel caso di
scissioni.
23 . Quindi anche alla condizione che ogni attività,
passività e rapporto giuridico riferibile alla
stabile organizzazione italiana della società
scissa confluisca nella stabile organizzazione in
Italia della società beneficiaria.
24
.
Assonime, circolare n. 51 del 12 settembre
2008, pag. 32.
LA NEUTRALITÀ
È SUBORDINATA
ALLA CONDIZIONE CHE
SUL PIANO CIVILISTICO
L'OPERAZIONE COMPORTI
L'ESTINZIONE SENZA
LIQUIDAZIONE DELLA
SOCIETÀ DANTE CAUSA
SULLA BASE DELLA
LEGISLAZIONE
CIVILISTICA LOCALE
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Sotto questo aspetto, si veda, indirettamente, la risoluzione della Direzione Regionale dell’Emilia Romagna 21 febbraio 2000, n. 8996, sull’applicazione dell’holding period ai fini della direttiva “madri e figlie” per la partecipazione in società italiana pervenuta ad una società francese a seguito dell’incorporazione di altra società connazionale. Il parere positivo è stato subordinato alla condizione che nella legislazione civilistica dello Stato estero coinvolto nell’operazione, la fusione sia disciplinata, come in quella italiana, come fenomeno assimilabile ad una successione a titolo universale.
Ancora più esplicita la risoluzione n. 42/E del 2008 che ha negato l’applicazione della neutralità fiscale ad una operazione mediante la quale il patrimonio di una società inglese con stabile organizzazione in Italia confluiva nel patrimonio di altra società inglese attraverso una procedura non assimilabile alla fusione in quanto non caratterizzata dall’estinzione senza liquidazione della società dante causa 25 .
Pertanto, nel caso in cui, ad esempio, in seguito alla fusione, la societàincorporante si trovi nella condizione di possedere in Italia solamente un immobile già detenuto dalla società incorporata, senza esercitare, nel territorio dello Stato, alcuna attività d’impresa mediante stabile organizzazione 26 (ma ad analoghe conclusioni si può giungere nel caso in cui la società incorporante si trovi nella condizione di possedere in Italia solamente partecipazioni già detenute dalla società incorporata, senza esercitare, nel territorio dello Stato, alcuna attività d’impresa mediante stabile organizzazione), si deve ritenere che la fusione comporti la tassabilità, in capo alla società incorporata, della differenza fra il valore normale dell’immobile e il suo costo non ammortizzato.
25 . La locuzione “estinzione senza liquidazione”
usata sia nella risoluzione n. 42/E del 2008
sia nella direttiva n. 2009/133/CE si può
prestare ad equivoci. A volte, infatti, anche in
Italia (anche se solo nel caso di società di
persone) si procede allo scioglimento della
società senza porla in liquidazione. Ma anche
in questi casi l’estinzione non è un fenomeno
assimilabile ad una successione a titolo
universale. Ciò che conta, in altri termini, non
è che l’estinzione sia stata attuata o meno
passando attraverso una fase liquidatoria, ma
che abbia i connotati o meno di uno
“scioglimento” dell’ente.
26 . Il semplice possesso di immobili in Italia da
parte di società estere non è infatti considerato
"stabile organizzazione" (risoluzione Isp. Comp.
di Milano 15 novembre 1982 e risoluzione Dir.
Reg. Lombardia 31 luglio 1995, n. 128315).
marco piazza› Comitato Scientifico
Gli autoridi questo articolo
giacomo d'angeloDottore commercialista ed
esperto contabile, si occupa
prevalentemente di consulenza
fiscale e societaria, fiscalità
internazionale e contenzioso
tributario.
SOCIETÀ
La fusione transfrontaliera:disciplina applicabile,
procedure e adempimenti
angelo busani
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La regola di base delle operazioni da svolgere in Italia è che,
oltre alla disciplina specifica ex D.Lgs. n. 108/2008, si
applicano le norme del Codice civile che disciplinano la
fusione “interna”, ma con la precisazione che, ove tale
applicazione provochi un conflitto con le norme applicabili
alle società di altro Stato membro partecipanti alla fusione
transfrontaliera, deve essere data prevalenza alla legge
applicabile alla società risultante dalla fusione. Si esaminano
l’avvio della procedura con la redazione del progetto di
fusione da parte degli organi societari e la sua
pubblicazione, la relazione degli amministratori, quella degli
esperti e la deliberazione di fusione. Gli oneri documentali
sconosciuti nelle procedure di fusione “interna”: il
“certificato preliminare” e l’“attestazione definitiva”.
L a materia delle fusioni transfrontaliere è disciplinata, in via generale, dall’art. 25, comma 3, legge 31 maggio 1995, n. 218, per ilquale «[…] le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno
efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati». A questa norma di carattere generale si è poi affiancata la normativa di cui al D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 108, recante, in attuazione della direttiva n. 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005 (cosiddetta “decima direttiva”), una disciplina organica delle fusioni transfrontaliere tra società di capitali.
Il D.Lgs. n. 108/2008, che definisce (art. 1, comma 1, lett. d) la «fusione transfrontaliera» come «l'operazione di cui all'articolo 2501, primo comma, del codice civile, realizzata tra una o più società italiane ed una o più società di altro Stato membro dalla quale risulti una società italiana o di altro Stato membro», «si applica» (art. 2, comma 1), di regola, «alle fusioni transfrontaliere tra una o più società di capitali italiane ed una o più società di capitali di altro Stato membro, la cui sede sociale o amministrazione centrale o centro di attività principale sia stabilito nella Comunità europea».
La disciplina applicabile alle operazioni da svolgere in Italia
La regola di base delle operazioni da svolgere in Italia è che (oltre alla disciplina specifica recata dal D.Lgs. n. 108/2008) si applica (art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008) «alla società italiana partecipante alla fusione transfrontaliera il titolo V, capo X, sezione II del libro V del codice civile», vale a dire che si applicano alla fusione transfrontaliera le norme di cui agli artt. 2501 e seguenti del Codice civile e, quindi, tutte le norme che disciplinano la fusione “interna” ove compatibili con la
Società — Operazioni straordinarie
natura transfrontaliera della fusione, ma con la precisazione che, ove l’applicazione di tali norme provochi un «conflitto con le norme applicabili alle società di altro Stato membro partecipanti alla fusione transfrontaliera» deve essere «data prevalenza alla legge applicabile alla società risultante dalla fusione medesima» (art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008).
Il progetto di fusione
L’avvio della procedura di fusione transfrontaliera si ha con la redazione di un «progetto comune di fusione transfrontaliera» (art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008) da parte degli organi societari che, in ciascun ordinamento, hanno la competenza per assumere questa decisione.
Tale progetto deve innanzitutto contenere «le informazioni di cui all'art.2501-ter, primo comma, del codice civile» integrate con quelle richieste dal predetto art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008, vale a dire:
a) il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle società partecipanti alla fusione (art. 2501-ter, comma 1, n. 1, cod. civ.); queste informazioni sono da integrare con l’indicazione della legge regolatrice di ciascuna delle società partecipanti alla fusione (art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 108/2008);
b) l'atto costitutivo (e/o lo statuto) della nuova società risultante dallafusione o di quella incorporante, con le eventuali modificazioni derivanti dalla fusione (art. 2501-ter, comma 1, n. 2, cod. civ.) dando evidenza alla forma, alla denominazione e alla sede di tale società (art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 108/2008); queste informazioni sono inoltre da integrare con l’indicazione della legge regolatrice della società risultante dalla fusione transfrontaliera (art. 6, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 108/2008);
c) le informazioni sulla valutazione degli elementi patrimoniali attivie passivi che sono trasferiti alla società risultante dalla fusione transfrontaliera (art. 6, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 108/2008), al riguardo rammentandosi che, ai sensi dell’art. 2501-quater, cod. civ., l'organo amministrativo della società italiana partecipante alla fusione deve redigere, con l'osservanza delle norme sul bilancio d'esercizio, la situazione patrimoniale della società stessa, riferita ad una data non anteriore di oltre centoventi giorni al giorno in cui il progetto di fusione è depositato nella sede (o pubblicato sul sito Internet) della società (comma 1); e che detta situazione patrimoniale può essere sostituita (oltre che, nel caso di società quotata in mercati regolamentati, dalla relazione finanziaria semestrale di cui all’art. 154-ter, comma 2, Tuf) dal bilancio dell'ultimo esercizio, se questo è stato chiuso non oltre sei mesi prima del giorno del deposito del progetto di fusione presso la sede
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della società stessa (o della pubblicazione sul suo sito internet) (comma 2); e con la precisazione che nel progetto di fusione occorre pure indicare «la data cui si riferisce la situazione patrimoniale o il bilancio di ciascuna delle società partecipanti alla fusione transfrontaliera utilizzati per definire le condizioni della fusione transfrontaliera» (art. 6, comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 108/2008); e che è fatto obbligo all’organo amministrativo della società che si appresta ad approvare il progetto di fusione di segnalare «ai soci in assemblea e all'organo amministrativo delle altre società partecipanti alla fusione le modifiche rilevanti degli elementi dell'attivo e del passivo eventualmente intervenute tra la data in cui il progetto di fusione è depositato presso la sede della società ovvero pubblicato nel sito Internet di questa e la data della decisione sulla fusione» (art. 2501-quinquies, comma 3, cod. civ.);
d) il rapporto di cambio delle azioni o quote, nonché l'eventuale conguaglio in danaro (art. 2501-ter, comma 1, n. 3, cod. civ.), con la precisazione che detto conguaglio non può essere superiore al dieci per cento del valore nominale delle azioni o delle quote assegnate (o, in mancanza di valore nominale, della loro parità contabile), salvo che la legge applicabile ad almeno una delle società partecipanti alla fusione transfrontaliera, ovvero la legge applicabile alla società risultante dalla fusione transfrontaliera, consenta il conguaglio in danaro in misura superiore (art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008);
e) la data di efficacia della fusione transfrontaliera o i criteri per la sua determinazione (art. 6, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 108/2008);
f) le modalità di assegnazione delle azioni o delle quote della societàche risulta dalla fusione o di quella incorporante (art. 2501-ter, comma 1, n. 4, cod. civ.);
g) la data dalla quale partecipano agli utili le azioni o quote attribuiteper concambio (art. 2501-ter, comma 1, n. 5, cod. civ.) nonché, più in generale, «ogni modalità particolare relativa al diritto di partecipazione agli utili» (art. 6, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 108/2008);
h) la data a decorrere dalla quale le operazioni delle società partecipanti alla fusione sono imputate al bilancio della società che risulta dalla fusione o di quella incorporante (art. 2501-ter, comma 1, n. 5, cod. civ.);
i) il trattamento eventualmente riservato a particolari categorie di soci e ai possessori di titoli diversi dalle azioni (art. 2501-ter, comma 1, n. 6, cod. civ.);
j) i vantaggi particolari eventualmente proposti a favore dei soggetticui compete l'amministrazione delle società partecipanti alla fusione (art. 2501-ter, comma 1, n. 6, cod. civ.) nonché i vantaggi eventualmente proposti a favore degli esperti che esaminano il progetto di fusione transfrontaliera e dei membri degli organi di controllo delle società partecipanti alla fusione transfrontaliera (art. 6, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 108/2008);
k) in generale, e «se del caso, le ulteriori informazioni la cui
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inclusione nel progetto comune è prevista dalla legge applicabile alle società partecipanti alla fusione transfrontaliera» (art. 6, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 108/2008).
Il progetto di fusione transfrontaliera deve inoltre prestare una particolare attenzione ai profili occupazionali (ovviamente, solo se le
società che partecipano all’operazione hannodipendenti), in quanto in esso vanno indicate:
a) le probabili ripercussioni della fusionetransfrontaliera sull'occupazione (art. 6,comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 108/2008);
b) (solo se esistano i presupposti, di cuiall’art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008, perl’applicazione delle procedure dipartecipazione dei lavoratori nella societàitaliana risultante dalla fusione
transfrontaliera) le informazioni sulle procedure di coinvolgimento dei lavoratori nella definizione dei loro diritti di partecipazione nella società risultante dalla fusione transfrontaliera (art. 6, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 108/2008).
In caso di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, al progetto deve essere allegata una relazione del soggetto incaricato della revisione legale dei conti della società obiettivo o della società acquirente (art. 2501-bis, comma 5, cod. civ.).
La pubblicazione del progetto di fusione
Il progetto di fusione transfrontaliera è soggetto a un regime di pubblicità più gravoso rispetto a quello della fusione “interna”. Per quest’ultima è disposto infatti che il progetto di fusione deve essere depositato per l'iscrizione nel Registro delle Imprese del luogo ove hanno sede le società partecipanti alla fusione; e che, in «alternativa» al deposito presso il Registro delle Imprese, «il progetto di fusione è pubblicato nel sito Internet della società, con modalità atte a garantire la sicurezza del sito medesimo, l'autenticità dei documenti e la certezza della data di pubblicazione» (art. 2501-ter, comma 3, cod. civ.).
Invece, in caso di fusione transfrontaliera bisogna inoltre procedere(per rendere conoscibili le informazioni riferite alle società estere partecipanti a una fusione transfrontaliera con una società italiana) alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana «per ciascuna società partecipante alla fusione transfrontaliera» (e quindi occorre pubblicare un avviso sia per la società italiana che per la società straniera) delle seguenti informazioni (art. 7, D.Lgs. n. 108/2008), le quali solo in parte si rilevano dal progetto di fusione:
a) tipo, denominazione, sede statutaria e legge regolatrice;
IL PROGETTO DI FUSIONE
DEVE PRESTARE
UNA PARTICOLARE
ATTENZIONE ANCHE AI
PROFILI OCCUPAZIONALI
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b) il Registro delle Imprese (o, per le società straniere, l’analogo locale Pubblico Registro, comunque denominato) nel quale è iscritta la società e il relativo numero di iscrizione;
c) in relazione all'operazione di fusione transfrontaliera, le modalitàd'esercizio dei propri diritti da parte dei creditori e dei soci di minoranza, nonché le modalità con le quali si possono ottenere gratuitamente dalla società medesima tali informazioni.
Trattandosi della pubblicazione di «informazioni» e non del progettodi fusione, pare ammissibile che la pubblicazione avvenga anche prima che sia redatto il progetto di fusione e anche prima che l’organo amministrativo della società italiana abbia deliberato l’approvazione della propria relazione sulla fusione.
Devono intercorrere almeno trenta giorni tra la data in cui la societàitaliana assume la decisione di fusione e la data di iscrizione del progetto di fusione nel Registro delle Imprese (o la pubblicazione nel sito Internet del progetto di fusione) (art. 2501-ter, comma 4, cod. civ.); pure la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale deve precedere di almeno trenta giorni la data di assunzione di detta decisione di fusione da parte della società italiana (art. 7, D.Lgs. n. 108/2008). Si tratta evidentemente di termini riferiti all’assemblea della società italiana, in quanto la decisione sulla fusione della società straniera è normata dalle regole dell’ ordinamento da cui la società straniera è disciplinata.
Quanto al tema se i predetti termini di trenta giorni siano rinunciabili, la questione è risolta espressamente dal legislatore per il termine di cui all’art. 2501-ter, comma 4, cod. civ. (tra la data di iscrizione del progetto o di pubblicazione sul sito Internet e la data in cui è assunta la decisione di fusione), che viene definito come rinunciabile ove ricorra il volere in tal senso di tutti i soci della società italiana. La stessa espressione legislativa non è riprodotta per il termine di cui all’ art. 7, D.Lgs. n. 108/2008 (tra la data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e la data in cui viene assunta la decisione di fusione), il quale, inoltre, è inteso come un termine disposto non solo a favore dei soci, ma anche come un termine a favore dei creditori, di modo che la rinuncia a detto termine si dovrebbe rendere possibile solo al ricorrere del volere in tal senso di tutti i soci e di tutti i creditori anteriori all’ iscrizione del progetto di fusione.
La relazione degli amministratori
Ai sensi dell’art. 2501-quinquies, cod. civ., l'organo amministrativo della società italiana partecipante alla fusione deve predisporre una relazione che illustri e giustifichi, sotto il profilo giuridico ed economico, il progetto di fusione; se poi si tratta di una operazione di fusione nella quale è prevista la determinazione di un rapporto per il cambio delle
Società — Operazioni straordinarie
partecipazioni nel capitale della società incorporata con le partecipazioni nel capitale della società incorporante, la relazione degli amministratori deve:
a) illustrare il rapporto di cambio;b) indicare i criteri di determinazione del rapporto di cambio; c) segnalare eventuali difficoltà di valutazione.La relazione degli amministratori, inoltre, deve essere integrata (art.
8, D.Lgs. n. 108/2008) con l’ illustrazione delle conseguenze della fusione transfrontaliera per i soci, i creditori e i lavoratori. Al riguardo, fermo restando il disposto dell’art. 47, legge 29 dicembre 1990, n. 428, la relazione degli amministratori deve essere inviata ai rappresentanti dei lavoratori o, in assenza di questi, messa a disposizione dei lavoratori stessi almeno trenta giorni prima della data dell'assemblea convocata per deliberare la fusione. Se ricevuto in tempo utile, alla relazione è allegato il parere espresso dai rappresentanti dei lavoratori.
Nel diritto italiano, l’art. 2505, comma 1, cod. civ., dispone che non sifaccia luogo alla elaborazione della relazione degli amministratori qualora si tratti della fusione per incorporazione di una società in un'altra che possiede l’intero capitale della prima; mentre l’art. 2501-
quinquies, ultimo comma, cod. civ., stabilisceche la relazione in questione «non è richiestase vi rinunciano all'unanimità i soci e ipossessori di altri strumenti finanziari cheattribuiscono il diritto di voto di ciascuna dellesocietà partecipanti alla fusione». Questaomissione della relazione degli amministratorinon pare praticabile nella fusionetransfrontaliera in quanto la relazione inquestione è preordinata non solo all’interessedei soci, ma anche all’interesse dei lavoratori edei creditori sociali e quindi a un interessegenerale, che pare non disponibile; a maggior
ragione, la relazione degli amministratori non può essere omessa nel caso di incorporazione di società non interamente partecipata dalla incorporante.
La relazione degli esperti
Se si tratta di una operazione di fusione nella quale è prevista la determinazione di un rapporto per il cambio delle partecipazioni al capitale sociale della società incorporata con le partecipazioni al capitale sociale della società incorporante, l’art. 2501-sexies, cod. civ. (reso applicabile alla fusione transfrontaliera dall’art. 9, D.Lgs. n. 108/2008), dispone che (fatta eccezione per il caso in cui vi rinuncino
LA RELAZIONE DEGLI
AMMINISTRATORI
È PREORDINATA NON SOLO
ALL'INTERESSE DEI SOCI
MA ANCHE DEI
LAVORATORI E DEI
CREDITORI SOCIALI
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unanimi i soci e i possessori di altri strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto in ciascuna società partecipante alla fusione: art. 2501-sexies, ultimo comma, cod. civ.) uno o più esperti per ciascuna società redigano una relazione sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni o delle quote, la quale indichi il metodo o i metodi seguiti per la determinazione del rapporto di cambio proposto e i valori risultanti dall'applicazione di ciascuno di essi nonché le eventuali difficoltà di valutazione. La relazione deve contenere, inoltre, un parere sull' adeguatezza del metodo o dei metodi seguiti per la determinazione del rapporto di cambio e sull'importanza relativa attribuita a ciascuno di essi nella determinazione del valore adottato.
La relazione per la società italiana partecipante all’operazione di fusione transfrontaliera è redatta:
a) di regola, da uno o più esperti scelti fra i soggetti di cui all'art. 2409-bis, primo comma, cod. civ. (art. 9, comma 1, primo periodo, D.Lgs. n. 108/2008), e cioè tra i revisori legali dei conti o tra le società di revisione legale dei conti;
b) se la società risultante dalla fusione transfrontaliera è una societàper azioni o in accomandita per azioni, o società di altro Stato membro di tipo equivalente, da un esperto o da esperti designati dal Tribunale del luogo in cui ha sede la società italiana partecipante alla fusione transfrontaliera (art. 9, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008);
c) se la società italiana partecipante alla fusione transfrontaliera è ammessa alla negoziazione in mercati regolamentati, da un esperto scelto fra le società di revisione iscritte nell'apposito albo (art. 9, comma 1, secondo periodo, D.Lgs. n. 108/2008).
La relazione può però essere redatta anche nella forma della “relazione unica” e cioè congiuntamente per tutte le società partecipanti alla fusione transfrontaliera, dovendo in tal caso recare i contenuti richiesti da tutte le leggi applicabili alle società partecipanti alla fusione transfrontaliera (art. 9, comma 3, D.Lgs. n. 108/2008). In tal caso la relazione è redatta:
a) se la società risultante dalla fusione transfrontaliera è una societàper azioni o in accomandita per azioni, o società di altro Stato membro di tipo equivalente, da un esperto o da esperti designati dal tribunale del luogo in cui ha sede la società italiana partecipante alla fusione transfrontaliera;
b) in ogni altro caso, da uno o più esperti scelti fra i soggetti di cui all'art. 2409-bis, primo comma, cod. civ., e cioè tra i revisori legali dei conti o tra le società di revisione legale dei conti.
La relazione di cui all’art. 2501-sexies cod. civ. va omessa, per assenzadi concambio, quando la società incorporante possiede l’intero capitale sociale della società incorporata (art. 18, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008; e art. 2505, comma 1, cod. civ.). La relazione di cui all’art. 2501-sexies cod. civ., inoltre, non è richiesta nel caso di fusione transfrontaliera per incorporazione realizzata da una società che detiene almeno il novanta
Società — Operazioni straordinarie
per cento dei diritti di voto nell'assemblea della società italiana incorporata, qualora venga concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far acquistare le loro azioni, quote o titoli ai sensi dell'art. 2505-bis, comma 1, cod. civ. (art. 18, comma 3, D.Lgs. n. 108/2008), e cioè per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.
Deposito di atti
Ai sensi dell’art. 2501-septies cod. civ., non espressamente richiamato dal D.Lgs. n. 108/2008, ma comunque applicabile alla fusione transfrontaliera intra-UE in forza del generico richiamo contenuto allenorme della fusione “interna” operato dall’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008, devono restare depositati in copia, a disposizione dei soci, nella sede della società italiana partecipante alla fusione (ovvero rimanere pubblicati sul suo sito Internet), durante i trenta giorni che precedono la decisione in ordine alla fusione, salvo che i soci rinuncino al termine con consenso unanime, e finché la fusione sia decisa:
a) il progetto di fusione con le relazioni indicate negli artt. 2501-quinquies cod. civ. (e cioè la relazione dell’organo amministrativo) e 2501-sexies cod. civ. (e cioè la relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio, ove tale relazione sussista);
b) i bilanci degli ultimi tre esercizi delle società (italiane) partecipantialla fusione, con le relazioni dei soggetti cui compete l'amministrazione e la revisione legale;
c) la situazione patrimoniale della società italiana partecipante alla fusione redatta a norma dell'art. 2501-quater cod. civ. (ove non sostituitadal bilancio dell’ultimo esercizio).
La deliberazione di fusione
La società italiana che partecipa alla operazione di fusione transfrontaliera decide la fusione «mediante approvazione del relativo progetto» secondo le norme previste per la modificazione del suo atto costitutivo o del suo statuto (art. 2502, comma 1, cod. civ., applicabile alla fusione transfrontaliera intra-UE ai sensi dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008).
Tuttavia, quando una fusione transfrontaliera per incorporazione intra-UE è realizzata da una società che detiene tutti i diritti di voto nell'assemblea della società italiana incorporata, non è richiesta l'approvazione del progetto di fusione da parte dell'assemblea della
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società italiana incorporata (art. 18, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008) e quindi la fusione (lungi dal non dover essere decisa e, quindi, lungi dall’essere sufficiente la mera pubblicazione del progetto di fusione, come l’art. 18, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008, parrebbe sancire a una prima superficiale lettura) può essere alternativamente decisa, dalla società italiana incorporata, o con una deliberazione dei soci o con una deliberazione dell’ organo amministrativo.
Inoltre, la società incorporante che incorpori altra società di cui possieda l’intero capitale sociale può decidere la fusione con deliberazione assunta dal suo organo amministrativo ove il suo statuto disponga in tal senso e ricorrano gli altri presupposti prescritti dalla legge (art. 18, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008, e art. 2505, comma 2, cod. civ.), fermo restando che i soci della società incorporante i quali rappresentino almeno il cinque per cento del capitale sociale possono, in ogni caso, chiedere che la decisione di approvazione della fusione da parte della incorporante medesima sia adottata in assemblea (art. 18, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008, e art. 2505, comma 3, cod. civ.).
Infine, nella fusione transfrontaliera per incorporazione tra società,delle quali una possieda una partecipazione almeno pari al novanta per cento del capitale dell'altra o delle altre, la deliberazione di fusione della società incorporante italiana può essere adottata dal proprio organo amministrativo alle condizioni previste, con gli opportuni adattamenti, dall'art. 2505-bis, commi 2 e 3, cod. civ.
In sede di deliberazione di fusione possono essere apportate modifiche al progetto di fusione, a patto che si tratti di modifiche che non incidano «sui diritti dei soci o dei terzi» (art. 2502, comma 2, cod. civ.) e che tutte le società partecipanti alla fusione transfrontaliera deliberino le medesime modifiche (art. 10, comma 3, D.Lgs. n. 108/2008).
Quando l'operazione di fusione coinvolge società straniere:a) in cui siano attivate modalità di partecipazione dei lavoratori,
l'efficacia della delibera della società italiana di approvazione del progetto comune di fusione transfrontaliera può essere subordinata all'approvazione, con successiva delibera da parte dell'assemblea, delle modalità di partecipazione dei lavoratori nella società risultante dalla fusione transfrontaliera (art. 10, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008);
b) la cui applicabile legislazione prevede una procedura di controllo emodifica del rapporto di cambio o di compensazione dei soci di minoranza senza che ciò impedisca l'iscrizione della fusione transfrontaliera nel Registro delle Imprese, l'assemblea della società italiana deve deliberare sulla possibilità che i soci della società di tale altro Stato membro vi facciano ricorso (art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008) e questa deliberazione diviene vincolante per la società italiana se sia identicamente assunta da tutte le società partecipanti all’operazione di fusione (art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 108/2008).
Società — Operazioni straordinarie
Il certificato di regolare adempimento delle formalità preliminarialla fusione (cosiddetto "certificato preliminare")
Il D.Lgs. n. 108/2008 ha introdotto un onere documentale sconosciuto nelle procedure di fusione alle quali partecipino solo società domestiche, e quindi specifico per la fusione transfrontaliera intra-UE, da espletare, di regola, nel periodo intercorrente tra la deliberazione di fusione e la stipula dell’atto di fusione: si tratta della redazione del «certificato attestante il regolare adempimento, in conformità alla legge,degli atti e delle formalità preliminari alla realizzazione della fusione» (art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008).
Il “certificato preliminare” è dunque preordinato ad attestare nei confronti dell’Autorità che dovrà esprimere il proprio giudizio sulla legittimità della fusione, che è stata legittimamente compiuta la procedura prescritta nei vari Paesi di appartenenza delle società partecipanti all’operazione di fusione e che pertanto nulla osta al compimento della fusione.
Detto certificato in particolare attesta (art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008):
a) l'iscrizione presso il Registro delle Imprese della delibera di fusione transfrontaliera;
b) l'inutile decorso del termine per l'opposizione dei creditori di cuiall'art. 2503 cod. civ., ovvero la ricorrenza dei presupposti che «a norma del medesimo articolo, consentono l'attuazione della fusione prima del decorso del suddetto termine, ovvero, in caso di opposizione dei creditori, che il tribunale abbia provveduto ai sensi dell'art. 2445, quarto comma, del codice civile»;
c) qualora l'assemblea abbia subordinato (ai sensi dell’art. 10, comma2, D.Lgs. n. 08/2008) l'efficacia della delibera di approvazione del progetto comune di fusione transfrontaliera all'approvazione delle modalità di partecipazione dei lavoratori, che queste siano state da essa approvate;
d) se del caso, che l'assemblea ha deliberato ai sensi del predetto art.10, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008;
e) l'inesistenza di circostanze ostative all'attuazione della fusione transfrontaliera relative alla società cui il “certificato preliminare” è riferito.
Per le società italiane, il “certificato preliminare” è rilasciato dal notaio italiano (art. 11, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008); per le società straniere, il certificato è rilasciato dall’Autorità competente a rilasciarlo secondo la legislazione applicabile.
Quanto alla tempistica del rilascio del “certificato preliminare” da parte del notaio italiano, che lo deve redigere «senza indugio»:
a) il rilascio si effettua prima della stipula dell’atto di fusione se la società risultante dalla fusione è una società italiana o è una società straniera la cui legislazione richiede la stipula dell’atto di fusione per atto pubblico;
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b) in ogni altro caso (e cioè nel caso di legislazione straniera che nonrichiede l’atto di fusione o che richiede bensì l’atto di fusione ma non nella forma dell’atto pubblico), e quindi nei casi in cui l’atto di fusione viene stipulato dal notaio italiano anche se la società risultante dalla fusione è una società straniera, il notaio italiano rilascia il “certificato preliminare” dopo la stipula dell’atto di fusione.
La ratio di quest’ultima considerazione dipende dal principio secondoil quale per l’ordinamento italiano occorre necessariamente l’atto pubblico per dare efficacia alla fusione; cosicchè il rilascio del “certificato preliminare” dopo la stipula dell’atto di fusione da parte del notaio italiano (che agisce in funzione di “supplenza” o di “integrazione” della mancanza di un atto pubblico straniero, se la società straniera risultante dalla fusione sia disciplinata da una legge che non prevede l’atto pubblico di fusione) serve ad evitare che l’Autorità di quest’ultimo Stato preposta al rilascio della “attestazione definitiva” (che è il presupposto di efficacia della fusione) dia corso a detta attestazione solamente ricevendo il “certificato provvisorio”, e cioè prima che in Italia sia stipulato l’atto di fusione. Invece, subordinando il rilascio del “certificato provvisorio” alla stipula dell’atto di fusione, si ottiene il risultato che la fusione non sarà efficace prima che in Italia sia stipulato l’atto pubblico di fusione, in funzione di “supplenza” o di “integrazione”, come appena oltre si vedrà, in quelle situazioni in cui la legislazione straniera applicabile alla fusione non preveda la stipula dell’atto di fusione o non ne preveda la stipula nella forma di atto pubblico.
Ai sensi dell’art. 10, comma 3, D.Lgs. n. 108/2008, entro sei mesi dalsuo rilascio, il certificato, unitamente al progetto comune di fusione transfrontaliera approvato dall'assemblea, è trasmesso dalla società all'Autorità competente per il controllo di legittimità della fusione transfrontaliera a norma dell’art. 13, D.Lgs. n. 108/2008.
L’atto di fusione
Per l’ordinamento italiano «la fusione transfrontaliera [deve] risulta[re] da atto pubblico» (art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008). Questa affermazione non è solo una mera ripetizione dell’identico disposto dell’art. 2504, comma 1, cod. civ., ma vale anche a significare che:
a) se la società risultante dalla fusione transfrontaliera è una societàitaliana, il notaio deve redigere l'atto pubblico di fusione una volta espletato il controllo di legittimità di cui all’art. 13, comma 1, D.Lgs. 108/2008, e, quindi, in particolare, una volta ricevuti, da parte di
PER L'ORDINAMENTO
ITALIANO OCCORRE
NECESSARIAMENTE
L'ATTO PUBBLICO PER DARE
EFFICACIA ALLA FUSIONE
Società — Operazioni straordinarie
ciascuna delle società partecipanti alla fusione transfrontaliera, il certificato preliminare e la delibera di approvazione del progetto comune di fusione transfrontaliera (art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008);
b) se la società risultante dalla fusione transfrontaliera è una societàdi altro Stato comunitario, l'atto pubblico di fusione dovrebbe essere redatto dall'Autorità competente dello Stato la cui legge è applicabile alla società risultante dalla fusione (art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008). Peraltro:
b.1 - se la legge applicabile non prevede la stipula di un atto di fusione, l’atto di fusione deve essere stipulato dal notaio italiano, che, in tal caso, svolge una funzione di “supplenza” (come già sopra detto, in questo caso il “certificato preliminare” – destinato all’Autorità straniera preposta all’emissione della “attestazione definitiva” – deve essere rilasciato dal notaio italiano non prima della stipula dell’atto di fusione);
b.2 - se la legge applicabile prevede la stipula di un atto di fusione, ma non nella forma dell’atto pubblico, il notaio italiano deve ripetere in forma pubblica la stipula dell’atto di fusione, svolgendo, in tal caso, una funzione di “integrazione” (anche in questa ipotesi il “certificato preliminare” – destinato all’ Autorità straniera preposta all’emissione della “attestazione definitiva” – deve essere rilasciato non prima della stipula dell’atto di fusione);
b.3 - se la legge applicabile prevede la stipula di un atto di fusione nella forma dell’atto pubblico, esso deve essere stipulato in presenza dei “certificati preliminari” relativi alle società che hanno deciso la fusione e deve poi essere depositato agli atti di un notaio italiano al fine della sua pubblicazione nel Registro delle Imprese italiano (art. 106, legge 16 febbraio 1913, n. 89).
Il controllo di legittimità della fusione (l’"attestazione definitiva")
L’art. 13, D.Lgs. n. 108/2008, introduce nel procedimento di fusione transfrontaliera intra-UE un altro onere documentale sconosciuto al procedimento di fusione “interno”: si tratta del rilascio di una attestazione circa l’avvenuto espletamento del «controllo di legittimità sulla attuazione della fusione transfrontaliera».
Più precisamente, questa attestazione certifica che:a) le società partecipanti alla fusione transfrontaliera hanno
approvato un identico progetto comune;b) sono pervenuti i certificati preliminari alla fusione transfrontaliera
relativi a ciascuna delle società partecipanti alla stessa, attestanti il regolare adempimento, in conformità alla legge applicabile, degli atti e delle formalità preliminari alla fusione transfrontaliera;
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c) se del caso, sono state stabilite le modalità di partecipazione dei lavoratori ai sensi dell’art. 19, D.Lgs. n. 108/2008.
La “attestazione definitiva” è rilasciata:a) se la società risultante dalla fusione è una società italiana, dal
notaio italiano che ha stipulato l’atto di fusione (al quale, per la redazione dell’attestazione, sono concessi trenta giorni dal ricevimento, da parte di ciascuna delle società partecipanti alla fusione transfrontaliera, dei “certificati preliminari” e della decisione di approvazione del progetto comune di fusione transfrontaliera);
b) se la società risultante dalla fusione transfrontaliera è una societàdi altro Stato membro, dall'Autorità all'uopo designata da tale Stato. Come già detto, se il diritto applicabile a questa società straniera prevede la stipula di un atto pubblico di fusione, nulla quaestio; se l’atto pubblico non è previsto, esso viene stipulato in Italia; solo dopo che l’atto di fusione sia stato stipulato, il notaio italiano rilascia il “certificato preliminare” il cui ricevimento da parte della competente Autorità straniera è il presupposto per il rilascio, da parte di quest’ultima, della “attestazione definitiva”, che poi va veicolata verso il Registro delle Imprese italiano per la cancellazione della società italiana incorporata.
Pubblicità ed efficacia dell’atto di fusione
Occorre distinguere tra il caso della società risultante dalla fusione di diritto italiano e il caso della società risultante dalla fusione di diritto straniero.
Se la società risultante dalla fusione è una società italiana, entro trenta giorni, l'atto di fusione stipulato in Italia, unitamente alla “attestazione definitiva” redatta dal notaio italiano e ai “certificati preliminari” (elaborati dal notaio italiano per la società italiana e dall’Autorità straniera per la società straniera), è depositato per l'iscrizione nel Registro delle Imprese del luogo dove hanno sede ciascuna delle società italiane partecipanti alla fusione transfrontaliera e la società risultante dalla fusione medesima (con la precisazione che il deposito relativo alla società risultante dalla fusione transfrontaliera non può precedere quelli relativi alle altre società italiane partecipanti alla fusione) (art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008). In questo caso, la fusione transfrontaliera ha effetto con l'iscrizione dell'atto di fusione nel Registro delle Imprese del luogo ove ha sede la società risultante dalla fusione; potendosi peraltro stabilire, nella fusione per incorporazione, una data successiva (art. 15, comma 1, D.Lgs. n. 108/2008); avvenuta l’ iscrizione, il Registro delle Imprese italiano comunica immediatamente al corrispondente Pubblico Registro delle imprese in cui è iscritta ciascuna società straniera partecipante alla
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fusione transfrontaliera che l'operazione ha acquistato efficacia, perché provveda alla relativa cancellazione (art. 15, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008).
Se invece la società risultante dalla fusione transfrontaliera è una società di altro Stato comunitario, entro trenta giorni dall' espletamento del controllo che deve essere certificato nella “attestazione definitiva”
dell’Autorità straniera di cui all’art. 13, D.Lgs.n. 108/2008, l'atto pubblico di fusione(ovunque sia stipulato), unitamente a detta“attestazione definitiva” (redatta dallacompetente Autorità straniera), è depositatoper l'iscrizione nel Registro delle Imprese doveha sede la società italiana partecipante allafusione (art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 108/2008).In questo caso, la data dalla quale la fusione haeffetto è determinata dalla legge applicabilealla società straniera risultante dalla fusionetransfrontaliera (art. 15, comma 3, D.Lgs. n.108/2008) e la società italiana partecipante alla
fusione transfrontaliera è cancellata dal Registro delle Imprese a seguito della comunicazione, da parte del Pubblico Registro in cui è iscritta la società straniera risultante dalla fusione transfrontaliera, che questa ha acquistato efficacia, purché si sia provveduto, nel Registro delle Imprese italiano, alla predetta iscrizione dell'atto pubblico di fusione e della “attestazione definitiva” rilasciata dall’Autorità straniera (art. 15, comma 4, D.Lgs. n. 108/2008).
IL REGIME PUBBLICITARIO
È DIVERSO A SECONDA
CHE SI TRATTI
DI SOCIETÀ RISULTANTE
DALLA FUSIONE
DI DIRITTO ITALIANO
O DI DIRITTO STRANIERO
angelo busani› Comitato Scientifico
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SOCIETÀ
Con il contratto di reteimprese agricole più competitive
gian paolo tosoni
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In agricoltura, accanto agli strumenti tradizionali di
associazione delle imprese, come i consorzi, le cooperative
e le organizzazioni di produttori, si sta affermando il nuovo
modello di aggregazione delle reti di imprese. Si tratta di un
modello che prevede la cooperazione tra più soggetti con lo
scopo di perseguire interessi comuni. Dal 2009, anno
dell’introduzione di questo istituto, sino ad oggi la disciplina
in materia è stata ampiamente ritoccata e sono intervenute
diverse modifiche ed integrazioni con l’obiettivo di
potenziarne l’attrattività e favorirne la diffusione.
I DATI DI UN FENOMENO IN CRESCITA
MESE/ANNO CONTRATTI STIPULATI IMPRESE COINVOLTE
Luglio 2013 995 5000 1
Aprile 2014 1380 +385 6594 +1594
Ottobre 2014 1772 +392 8954 +2360
[1] Dato arrotondato
D all’analisi dei numeri dei contratti di rete stipulati negli ultimi anniemerge un fenomeno in crescita. I dati Infocamera, aggiornati al 1°ottobre 2014, indicano che sono 1772 i contratti stipulati con un
numero di imprese coinvolte pari a 8954 in tutte le regioni. Nel mese di aprile 2014 i contratti stipulati erano 1380 e le imprese coinvolte 6594; mentre nel mese di luglio 2013, i contratti erano pari a 995 con circa 5000 imprese coinvolte.
Gli scopi del contratto di rete
Il contratto di rete è un accordo con il quale più imprenditori si impegnano a collaborare al fine di accrescere, sia individualmente (cioè la propria impresa) che collettivamente (cioè le imprese che fanno parte della rete), la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Le imprese appartenenti alla rete, sulla base di un programma comune, collaborano, si scambiano informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ed esercitano in comune una o più attività rientranti nello specifico ambito della propria impresa.
Questa forma contrattuale è stata introdotta nel nostro ordinamentogiuridico dall’art. 3, commi 4-ter, 4-quater, 4-quinquies, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in legge 9 aprile 2009, n. 33, così come modificata dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio
Società — Reti d'impresa
2010, n. 122. Sotto il profilo fiscale i contratti di rete sono stati esaminati dalla Agenzia delle Entrate con la circolare n. 20 del 18 giugno 2013.
Dal 2014 questi contratti sono utilizzabili anche in agricoltura con loscopo di aumentare la produzione anche sui terreni di proprietà di altre aziende agricole.
Il comma 3 dell’art. 1-bis del D.L. n. 91/2014 (decreto competitività) stabilisce infatti che la produzione agricola derivante dall’esercizio in comune secondo un contratto di rete si considera ottenuta a titolo originario e può essere divisa tra i contraenti. Pertanto due o più imprese agricole possono associarsi e stipulare un contratto di rete con cui possono conseguire obiettivi comuni. Per comprendere meglio la portata della disposizione si consideri il seguente esempio:
Evoluzione normativa
Prima di soffermarsi sulle caratteristiche di questa forma contrattuale e analizzarne l’utilità nell’ambito dell’agricoltura, si rende necessario ripercorrere l’evoluzione normativa al fine di comprendere meglio la natura dell’istituto:› D.L. n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008: l’art. 6-bis
prevedeva che, con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico diconcerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, avrebbero dovuto essere definite le caratteristiche e le modalità di individuazione delle reti di impresa. Tale disposizione estendeva allereti così individuate i benefici previsti a favore dei distretti industrialidalla legge finanziaria 2006 (agevolazioni amministrative, finanziariee per la ricerca).
PRODUZIONE AGRICOLA COMUNE DIVISA TRA I CONTRAENTIUN ESEMPIO
Ipotizziamo ci siano due aziende:
X: è un’azienda di allevamento che non detiene terreni potenzialmente sufficienti
a produrre almeno un quarto dei mangimi che l’art. 32 del Tuir definisce come
necessari per poter accedere alla tassazione con reddito agrario;
Y: è un’azienda che ha a disposizione ampi terreni ma non alleva animali.
Convenienza della rete: se le due imprese stipulano un contratto di rete,
coltivando i terreni di entrambe, a fine raccolto i due soggetti ritirano la quota
del prodotto spettante, che sarà poi impiegato in azienda o venduto sul
mercato.
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1. La circolare 14 aprile 2011, n. 15/E fornisce chiarimenti in merito a questa agevolazione.
› D.L. n. 5/2009, convertito in legge n. 33/2009: il provvedimento disciplina il contratto di rete di imprese. Da un punto di vista economico le reti continuano a essere una libera aggregazione di imprese, ma sul piano giuridico è formalmente disciplinato il contratto attraverso cui è possibile costituire tali aggregazioni e gli obiettivi che si possono realizzare.
› Legge n. 99/2009: il provvedimento ha abrogato l’art. 6-bis del D.L.n. 112/2008 e ha introdotto significative correzioni alla disciplina delcontratto di rete contenuta nel D.L. n. 5/2009. È stato esteso l’ambitodi applicazione a tutte le forme di organizzazione dell’attività imprenditoriale (imprenditori persone fisiche, società di persone e dicapitali ecc.), mentre prima dell’intervento la norma riguardava solole S.p.a. Inoltre, è stata disciplinata la responsabilità verso i terzi delle reti. Infatti, la versione originaria della norma rendeva le imprese aderenti al contratto responsabili solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni assunte dalla rete, mentre i correttivi introdotti dalla legge in esame, con il richiamo alla disciplina dei consorzi, attribuiscono alla rete autonomia patrimoniale perfetta.
› D.L. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010: l’art. 42 ha apportato significative novità alla disciplina civilistica dell’istituto sostituendo i commi 4-ter e 4-quater dell’art. 3 del D.L. n. 5/2009 e ha contemporaneamente istituito un’agevolazione fiscale in favore delle imprese aderenti al contratto di rete, prevedendo che «una quota degli utili dell’esercizio destinati […] al fondo patrimoniale comune […]» potrà non concorrere alla formazione del reddito d’impresa e, sostanzialmente, costituire un beneficio fiscale per le imprese partecipanti. È quindi introdotto un regime di sospensionedi imposta sugli utili di esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati al fondo patrimoniale per la realizzazione degli investimenti previsti dal programma di rete 1 .
› D.L. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012: l’art. 45 contiene alcune novità, finalizzate in primis alla semplificazione del contrattodi rete: infatti è prevista l’introduzione di un contratto in virtù di unmodello standard che dovrà essere approvato con decreto del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro dello Sviluppo economico. Le nuove disposizioni consentono una semplificazione delle modalità di iscrizione al Registro delle Imprese dei contratti di rete, prevedendola possibilità di redigerli, ai fini pubblicitari, oltreché per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, anche per atto firmato digitalmente a norma degli artt. 24 e 25 del Codice di cui al D.Lgs. n.7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni e trasmessi
Società — Reti d'impresa
attraverso il modello standard istituito con decreto interministeriale. Ulteriori semplificazioni sono previste per la pubblicità delle modifiche al contratto: queste devono essere redattee depositate a cura dell'impresa indicata nello stesso atto modificativo presso il Registro delle Imprese ove la stessa è iscritta;lo stesso Ufficio provvede poi alla comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete a tutti gli altri uffici del Registro delle Imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d'ufficio della modifica.
› D.L. n. 179/2012, convertito con modifiche in legge n. 221/2012: all'art. 36, contiene interventi importanti che contribuiscono a delineare, con maggior precisione, il quadro complessivo della normativa sul contratto di rete. In particolare sono stati chiariti alcuni passaggi tecnici della legge n. 134/2012 (di conversione del D.L. n. 83/2012), contribuendo a definire un quadro di riferimentogiuridico più preciso e fornendo maggiore operatività alla disciplina.Il legislatore interviene, anche, sul Codice degli Appalti prevedendola partecipazione dei “contratti di rete” a gare e appalti pubblici.
› Legge n. 228/2012: introduce un credito d’imposta per le imprese ele reti d’impresa che investono direttamente in ricerca e sviluppo oaffidano attività di tale ambito a università, enti pubblici di ricerca,organismi di ricerca attività.
› D.L. n. 91/2014, convertito in legge n. 116/2014: viene introdotta unadisciplina del contratto di rete più mirata per le imprese agricole alfine di agevolarle. Lo scopo è promuovere e sostenere i processi diriorganizzazione e modernizzazione del settore agricolo, migliorarela qualificazione del settore, promuovere la capacità innovativa e lacompetitività dell’imprenditorialità agricola. La tipologia di contratto su cui si è intervenuti in maniera più incisiva è quella cheprevede l’esercizio in comune di una o più attività, cui è stata dedicata una specifica regolamentazione. All’art. 1-bis, comma 3, deldecreto “competitività” il legislatore dispone: «Per le imprese agricole, definite come piccole e medie ai sensi del regolamento (CE)n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, nei contratti direte, di cui all’art. 3, comma 4-ter, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, in legge 9 aprile 2009, n. 33, e successive modificazioni, formati da imprese agricole singole e associate, la produzione agricola derivante dall’esercizio in comunedelle attività, secondo il programma comune di rete, può essere divisa fra i contraenti in natura con l’attribuzione a ciascuno, a titolo originario, della quota di prodotto convenuta nel contratto direte». La nuova disciplina consentirà quindi alle imprese unite in rete di mettere in comune i fattori produttivi (terreni, macchinari, strutture produttive) per accrescere e migliorare la produzione agricola, divisa in natura, cioè ripartita fra le imprese stesse
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secondo quote determinate stabilite dal contratto di rete con conseguente attribuzione diretta e immediata del bene prodotto in capo a ciascun componente la rete.
Definizione del programma di rete
Nello schema normativo è previsto che le imprese contraenti predispongano prima un “programma di rete”, ovvero un piano di azione volto ad accrescere la capacità innovativa e la competitività, e poidiano esecuzione concreta alle attività previste nel piano. Il programma di rete è pertanto l’elemento essenziale del contratto da cui deve emergere:› l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun
partecipante;› le modalità di realizzazione dello scopo comune;› la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali delle
imprese aderenti alla rete e degli eventuali contributi successivi checiascun partecipante si obbliga a versare al fondo, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune;
› le regole di gestione del fondo medesimo (se previsto).
Oggetto del contratto: le tre forme di rete
L’art. 3, comma 4-ter, D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, prevede espressamente, con riferimento all’oggetto del contratto, che «più imprenditori, allo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato» si obblighino «a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa».
Le modifiche apportare alla norma dal D.L. n. 78/2010 sembrano voler dare un maggior rilievo al concetto di collaborazione tra le imprese, fermo restando la possibilità di stipulare il contratto di rete per svolgere altre due attività alternative, quella di scambio di informazioni e di esercizio in comune di attività. L’uso infatti della preposizione disgiuntiva “ovvero” fa sì che non sia necessario che le tre ipotesi descritte dalla norma vengano svolte contemporaneamente e che possono costituire, anche singolarmente, l’oggetto del contratto di rete.
Società — Reti d'impresa
Dunque, alla luce di questa possibilità, si possono individuare tre forme di rete. La prima, più intensa, è quella collaborativa. Nella pratica la collaborazione potrà assumere svariate forme, quali ad esempio:› attività di coordinamento per ottenere migliori condizioni nei
rapporti esterni (ad esempio in merito al controllo della qualità dei beni lungo la filiera, oppure alla definizione di una politica dei prezzi) o per raggiungere un risultato finale unitario (quale, ad esempio, la produzione di un bene finale);
› attività strumentali per raggiungere migliori risultati di gestione (ad esempio per acquistare o vendere beni o servizi di interesse comune);
› attività complementari per fare quello che le imprese, in autonomia, nonsarebbero in grado di fare (ad esempio partecipazione ad appalti o gare).
La seconda, più “leggera”, consiste nello scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica.
La terza, che rappresenta la forma più accentuata di integrazione, consiste nell’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Con l’espressione “esercizio in comune di attività” può intendersi:› una integrazione tra le imprese costituenti la “rete” delle attività
rientranti nell’oggetto della propria impresa, pur mantenendo le stessela propria autonomia giuridica, cioè senza procedere alla creazione di unnuovo soggetto giuridico;
› una cooperazione tra le imprese stesse, con cui si dà vita, attraverso la condivisione di fattori produttivi, ad uno schema organizzativo di tipo imprenditoriale per il tramite del quale si attua il programma di rete.
RETI DI IMPRESA: L'OGGETTO DEL CONTRATTO(Art. 3, comma 4-ter, primo periodo, D.L. n. 5/2009, conv. in legge n. 33/2009)
PRE-MODIFICA POST-MODIFICA
Con il contratto di rete due o più
imprese si obbligano ad esercitare
in comune una o più attività
economiche rientranti nei rispettivi
oggetti sociali allo scopo di
accrescere la reciproca capacità
innovativa e la competitività sul
mercato.
Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo
di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria
capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a
tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di
rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati
attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a
scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale,
commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad
esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto
della propria impresa.
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99Contenuto del contratto di rete
L’art. 3, comma 4-ter, D.L. n. 5/2009, così come modificato dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ha disciplinato i contenuti del contratto di rete prevedendone per alcuni l’obbligatorietà e per altri l’inserimento eventuale a discrezione delle parti contraenti.
I contenuti obbligatori sono quelli la cui mancanza potrebbe comportare la nullità del contratto; è quindi opportuna una particolare attenzione sulla loro previsione nel testo contrattuale. Questi sono:› il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni
partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva: l’esigenza di una precisa individuazione delle parti contraenti è richiesta in relazione al regime di pubblicità del contratto che la legge prevede mediante la sua iscrizione al Registrodelle Imprese. Poiché la legge prevede tale obbligo anche per i contraenti che abbiano aderito successivamente, è da ritenere che l’adesione debba essere formulata nel contratto redatto ex novo
oppure con una sorta di appendice del contratto originario, contenente l’indicazione di tutte le parti contraenti (originarie e successive) e la loro sottoscrizione;
› l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva deipartecipanti e le modalità concordate tra glistessi per misurare l’avanzamento verso taliobiettivi: la necessaria specificazione degli obiettivi strategici individuati nel contrattodi rete, deve essere accompagnata dalla indicazione delle modalità con cui le parti misureranno il proprio avanzamento versotali obiettivi durante l’esecuzione del contratto. Tali meccanismi hanno lo scopo diconsentire una verifica sull’attitudine del contratto di rete a dare soddisfazione a tutte le parti contraenti;
› la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazionedei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo comune;
› la durata del contratto: è previsto l’obbligo di individuare una duratadel contratto che quindi non può essere stipulato a tempo indeterminato. Ciò non impedisce che le parti possano procedere al rinnovo del contratto o a prevedere il rinnovo tacito in assenza di comunicazione di disdetta da parte di chi non intenda mantenere il vincolo del contratto di rete. Il tal caso, qualora la disdetta sia comunicata da una o più parti, senza che venga meno il requisito della pluralità delle parti contraenti, il contratto rinnovato continueràa produrre i suoi effetti per le parti che abbiano aderito al rinnovo tacito;
I CONTENUTI OBBLIGATORI
SONO QUELLI
LA CUI MANCANZA
PUÒ COMPORTARE LA
NULLITÀ DEL CONTRATTO
Società — Reti d'impresa
› le modalità di adesione di altri imprenditori: la possibilità di adesione successiva di altri imprenditori deve essere disciplinata dagli originari contraenti, cui spetterà la facoltà di definire in via preventiva i requisiti di accesso alla rete da parte di nuovi imprenditori e le modalità attraverso le quali gli originari contraentiesprimeranno il loro consenso all’adesione del nuovo soggetto;
› le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune: i contraenti debbono definire preventivamente il meccanismo con cui verranno assuntele decisioni inerenti materie o aspetti di interesse comune.
Accanto a questi il legislatore prevede alcuni contenuti che hanno, invece, natura facoltativa e che in quanto tali possono essere inseriti o meno nel contratto a seconda delle esigenze di chi stipula il contratto stesso. Sono:› l’istituzione di un fondo patrimoniale comune: il comma 4-ter
dell’art. 3, D.L. n. 5/2009 dispone che «il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole partio fasi dello stesso». Il fondo 2 ha un preciso vincolo di destinazione,poiché è finalizzato all’attuazione del programma di rete e dunqueal perseguimento degli obiettivi strategici. Quando si procede alla istituzione del fondo patrimoniale, il contratto deve obbligatoriamente prevedere la misura ed i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi, chei contraenti si obbligano a versare. Il programma può prevedere cheil conferimento possa essere effettuato anche mediante la costituzione di un patrimonio destinato all’affare ex art. 2447-bis, comma 1, lett. a), cod. civ.;
› la nomina di un organo comune incaricato di gestire l’esecuzione del contratto: il comma 4-ter dell’art. 3 del D.L. n. 5/2009 prevedela possibilità di nominare un organo che abbia il compito di «gestire in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso». Se i contraenti procedono alla nomina dell’organo comune, devono necessariamente indicare nel contratto di rete:– il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del
soggetto prescelto a svolgere l’incarico;– i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti;– le regole relative alla sua eventuale sostituzione;
› la previsione di cause facoltative di recesso anticipato dal contratto:le parti possono prevedere nel contratto specifiche cause di recessoanticipato da parte del singolo contraente.
2. In caso di costituzione del fondo si rendono applicabili gli artt. 2614 e 2615 cod.civ.
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CONTENUTO DEL CONTRATTO DI RETE
OBBLIGATORIO FACOLTATIVO
› il nome, la ditta, la ragione o la denominazione
sociale di ogni partecipante per originaria
sottoscrizione del contratto o per adesione
successiva;
› l’indicazione degli obiettivi strategici di
innovazione e di innalzamento della capacità
competitiva dei partecipanti e le modalità
concordate tra gli stessi per misurare
l’avanzamento verso tali obiettivi;
› la definizione di un programma di rete che
contenga l’enunciazione dei diritti e degli
obblighi assunti da ciascun partecipante, le
modalità di realizzazione dello scopo comune;
› la durata del contratto;
› le modalità di adesione di altri imprenditori;
› le regole per l’assunzione delle decisioni dei
partecipanti su ogni materia o aspetto di
interesse comune.
› l’istituzione di un fondo patrimoniale
comune;
› la nomina di organo comune incaricato di
gestire l’esecuzione del contratto;
› la previsione di cause facoltative di recesso
anticipato dal contratto.
Forma e adempimenti del contratto di rete
Con le modifiche introdotte dal D.L. n. 83/2012, le forme con cui il contratto di rete può essere stipulato sono tre:› atto pubblico;› scrittura privata autenticata;› atto firmato digitalmente, ai sensi degli artt. 24 o 25 del Codice di cui
al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni.Il requisito della forma è richiesto «ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater». La pubblicità del contratto è assicurata mediante la sua iscrizione al Registro delle Imprese, nella sezione in cui è iscritta ciascuna impresa contraente. La norma prevede, inoltre, che l’efficacia del contratto inizia a decorrere dal momento in cui è stata eseguita l’ultima iscrizione.
La pubblicità ha dunque natura costitutiva, poiché senza di essa il contratto non ha alcuna efficacia, non solo nei confronti dei terzi, ma anche nell’ambito dei rapporti interni tra gli stessi contraenti. Le modifiche al contratto di rete sono redatte e depositate per l'iscrizione, a cura dell'impresa indicata nell'atto modificativo, nella sezione del Registro delle Imprese presso cui è iscritta la stessa impresa.
L'ufficio del Registro delle Imprese provvede alla comunicazione della avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete a tutti gli altri uffici del Registro delle Imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d'ufficio della modifica.
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La forma giuridica del contratto: rete soggetto e rete contratto
Il comma 4-ter dell’art. 3 del D.L. n. 5/2009 dispone che «il contratto di rete che prevede l'organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater, ultima parte». L’ultima parte del comma 4-quater prevede che, se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; tale iscrizione determina l’acquisto, da parte della rete, della soggettività giuridica 3 .
L’attuale contesto normativo, quindi, offre agli imprenditori che intendono costituire una rete di imprese la possibilità di adottare due diverse forme giuridiche: l’adozione di un modello contrattuale puro di rete di impresa, detto “rete contratto” oppure la creazione di un nuovo soggetto giuridico detto “rete soggetto”. La circolare n. 20/E del 18 giugno 2013 fornisce chiarimenti in merito.
La rete soggetto è un contratto di rete dotato di fondo patrimoniale.Per effetto dell’iscrizione nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese, la rete diventa un autonomo soggetto passivo di imposta, distinto dalle imprese che hanno sottoscritto il contratto con la conseguenza che la rete soggetto è in grado di realizzare autonomamente il presupposto d’imposta. In sostanza, fermo restando la sussistenza della soggettività giuridica delle imprese partecipanti, nel caso in cui la rete si doti di un fondo comune, allora la rete sarà soggetta all’imposta sul reddito delle società ai sensi dell’art. 73, comma 2, Tuir (rientra tra gli enti diversi dalle società). Inoltre, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997, è soggetta anche al pagamento dell’Irap. Sussiste infine la soggettività passiva ai fini IVA con la conseguente attribuzione alla rete di un numero di partita IVA e dei conseguenti adempimenti contabili e dichiarativi. In questo tipo di contratto i rapporti tra le imprese partecipanti e la rete sono di natura partecipativa analoghi a quelli esistenti tra soci e società. Con il conferimento al fondo patrimoniale della rete-soggetto, quindi, l’impresa aderente assume lo status di partecipante. Il conferimento sarà rilevato dalla rete soggetto sia contabilmente sia fiscalmente. La partecipazione alla rete da parte del nodo non si ha più quindi nell’impegno a realizzare direttamente gli investimenti previsti dal programma comune, bensì nell’effettuare conferimenti al contratto che provvederà poi, in quanto soggetto autonomo, a realizzare i suddetti investimenti.
Nelle reti contratto, invece, non essendo stata esercitata l’opzione per l’ottenimento della soggettività giuridica, la titolarità di beni,
3. Per acquistare la soggettività giuridica il
contratto deve essere stipulato secondo le
modalità previste dall'art. 25 del D.Lgs. 7 marzo
2005, n. 82.
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diritti, obblighi ed atti è riferibile, quota parte, alle singole imprese. In capo alle imprese la soggettività tributaria non si estingue né si modifica e né si attribuisce soggettività tributaria alla rete.
Ai fini fiscali, l’imputazione delle singole operazioni direttamente alle imprese partecipanti si traduce nell’obbligo di fatturare da parte di queste ultime ed a queste ultime, rispettivamente, le operazioni attive e passive poste in essere dall’organo comune.
Viceversa, gli eventuali atti posti in esseredalle singole imprese o dall’ “impresa capofila”, che operano senza rappresentanza, non comportano alcun effetto sulla sfera giuridica delle altre imprese partecipanti al contratto. Ciascuna impresa aderente alla rete farà pertanto concorrere alla formazione del proprio risultato di periodo i costi che ha sostenuto e i risultati che ha realizzato per l’attuazione del programma di rete.
La forma più conveniente da utilizzare in ambito agricolo è senza dubbio la rete contratto. Esiste infatti già un istituto, che è quello delle cooperative, che può usufruire di una serie di agevolazioni.
LA FORMA PIÙ
CONVENIENTE
DA UTILIZZARE IN AMBITO
AGRICOLO È LA RETE
CONTRATTO
LE DUE DIVERSE FORME GIURIDICHE: DISTINZIONI
RETE CONTRATTO RETE SOGGETTO
Natura del contratto
I soggetti contraenti stipulano un
contratto che ha effetti obbligatori
tra le parti.
I soggetti contraenti stipulano un
contratto che ha effetto costitutivo
di un nuovo soggetto giuridico.
Organo comune Facoltativo.
Se esiste, agisce quale mandatario
dei soggetti contraenti.
Obbligatorio.
Agisce quale organo della rete.
Fondo patrimoniale Facoltativo.
Se esiste, rappresenta un complesso
di beni su cui insistono una serie di
diritti dei soggetti contraenti.
Obbligatorio.
Rappresenta il patrimonio proprio
della rete.
Soggettività giuridica
La rete non costituisce in alcun
modo una soggettività giuridica
capace di essere titolare di posizioni
giuridiche soggettive proprie né
civilistiche né tributarie (anche se
può esserle attribuito il codice
fiscale).
La rete acquisisce soggettività
giuridica attraverso l’iscrizione nella
sezione ordinaria del Registro delle
Imprese nella circoscrizione in cui
ha sede.
Partiva Iva Si No
Codice Fiscale Si Si
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Agevolazioni fiscali
Al fine di incentivare il compimento di un programma comune di rete, il legislatore ha introdotto delle agevolazioni fiscali.
La prima, prevista dall’art. 42, D.L. n. 78/2010 (convertito in leggedel 30 luglio 2010, n. 122), di fatto non è stata rinnovata per gli anni successivi al 31/12/13. Nel Documento di economia e finanza (Def)
2014 si prevede dal 2015 una disponibilità dispesa di 200 milioni per rifinanziare il fondoper il regime agevolato delle reti d'impresa.
L’agevolazione consiste in un regime disospensione di imposta per gli utili diesercizio che le parti abbiano accantonato inapposita riserva e destinato al fondopatrimoniale per la realizzazione degliinvestimenti previsti in un programma direte, che sia stato asseverato dagli organismiabilitati.
Possono accedervi sia le imprese cheabbiano sottoscritto il contratto di rete, siaquelle che vi hanno aderito successivamente;inoltre, l’agevolazione prescinde dalla formagiuridica e dalle dimensioni dell’impresa
contraente (che può quindi essere anche agricola).I presupposti per poter accedere all’agevolazione, come individuati
dal comma 2-quater dell’art. 42, sono i seguenti:› gli importi destinati dall’impresa partecipante al contratto di rete
devono costituire una quota degli utili di esercizio accantonati a riserva. Deve quindi essere creata un’apposita riserva (distinta dallealtre presenti nel patrimonio netto) a cui vanno accantonati gli utilidestinati al fondo patrimoniale e di questa deve essere fornita indicazione in nota integrativa. Si evince che l’agevolazione, quindi, spetta solo ai soggetti contraenti che hanno istituito un fondo patrimoniale e che hanno effettuato conferimenti al fondo con gli utili di impresa;
› le somme accantonate devono essere destinate alla realizzazione degli investimenti del programma di rete;
› il programma di rete deve essere stato preventivamente asseverato.Se sono verificati tutti i requisiti, la quota di utili accantonati a riserva gode di un regime di sospensione di imposta, che opera ai soli fini delle imposte sui redditi (IRPEF ed IRES).
La sospensione si realizza attraverso una variazione in diminuzione della base imponibile che si protrae in tutti gli esercizi successivi sino al verificarsi degli eventi che pongono termine all’agevolazione.
L'importo che non concorre alla formazione del reddito d'impresa
POSSONO ACCEDERE
ALL'AGEVOLAZIONE
FISCALE SIA LE IMPRESE
CHE ABBIANO
SOTTOSCRITTO
IL CONTRATTO DI RETE
SIA QUELLE CHE VI
HANNO ADERITO
SUCCESSIVAMENTE
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non può, comunque, superare il limite di un milione di euro, ma il Documento di economia e finanza ha previsto la possibilità di alzare questo plafond fino a due milioni di euro.
L’attuale agevolazione prevista dal D.L. n. 91/2014 ha stabilito invece un credito di imposta per gli investimenti realizzati dalle imprese aggregate con contratto di rete.
L’incentivo consiste in un credito d’imposta pari al 40% delle spesesostenute per tali investimenti.
In pratica, il 40% dell’investimento viene "ripagato" alle imprese dallo Stato sotto forma di credito d’imposta, da utilizzare in compensazione contro altre imposte dovute (tra cui l’IVA).
Vi sono però due limiti: il credito d’imposta concesso non può superare € 400.000 (il che significa che l’investimento agevolato non può essere superiore ad € 1.000.000) e i crediti d’imposta che saranno concessi complessivamente in tutta Italia non potranno superare € 4.500.000 nel 2014, € 9.000.000 nel 2015 ed € 9.000.000 nel 2016.
Il che significa che probabilmente si assisterà ad un "click-day" entro il quale sarà necessario farsi trovare pronti, dal momento che la velocità sarà la chiave per evitare di rimanere esclusi dall’incentivo.
gian paolo tosoni› Comitato Scientifico
L'autoredi questo articolo
L'ATTUALE
AGEVOLAZIONE HA
STABILITO UN CREDITO
D'IMPOSTA PARI AL 40%
DELLE SPESE SOSTENUTE
PER GLI INVESTIMENTI
REALIZZATI DALLE
IMPRESE AGGREGATE
CON CONTRATTO DI RETE
CONTABILITÀ E BILANCIO
Lavori in corso su ordinazione:il nuovo principio contabile
stabilisce una gerarchiatra i due criteri civilistici
franco roscini vitali
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I lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale sono
valutati con il criterio della percentuale di completamento,
che rileva il risultato della commessa in base
all’avanzamento dei lavori, al fine di soddisfare il principio
di competenza economica. L’alternativa alla valutazione
citata è il criterio della commessa completata che, seppure
previsto dal Codice civile, genera andamenti irregolari dei
risultati di esercizio perché ricavi e utile di commessa sono
rilevati solo all’ultimazione delle opere. Il principio contabile
nazionale Oic 23, nella versione revisionata dall’Organismo
italiano di contabilità, stabilisce una gerarchia tra i due
criteri: si applica il criterio della percentuale di
completamento quando sono soddisfatte le condizioni
indicate nel principio, mentre il criterio della commessa
completata si applica quando tali condizioni non sono
soddisfatte.
La prescrizione del Codice civile e i due criteri di valutazione
L’art. 2426, n. 11, cod. civ. prevede per i lavori ultrannuali la valutazioneal costo (metodo della commessa completata) o sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza (denominato anche metodo della percentuale di completamento).
In sostanza, la norma di legge “consente” alle imprese di applicare lavalutazione in base al, così detto, “avanzamento lavori”: infatti, precisa letteralmente che «i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza». Pertanto, come si può notare, si tratta di possibilità e non di obbligo.
Tuttavia, la norma di legge, introdotta nel Codice civile dal D.Lgs. n.127/91, appare in parte tecnicamente superata dall’evoluzione raggiunta in materia di bilancio, ma anche dal miglioramento dell’organizzazione contabile e amministrativa delle imprese che effettuano lavori in corso su ordinazione.
La relazione al D.Lgs n. 127/91 precisa che è stato formulato il principio, sino ad allora già seguito pur nel silenzio del Codice civile ed accolto dai principi contabili internazionali, della valutazione dei lavori in corso su ordinazione sulla base del corrispettivo contrattuale maturato, ancorché superiore al costo: la maturazione della frazione di corrispettivo in proporzione alla frazione di lavoro eseguito e l’esistenza di un diritto al corrispettivo medesimo, consentono di considerare realizzato il corrispondente ricavo e di superare perciò il costo senza violare il principio di realizzazione.
Come si può notare, già nel 1991, il legislatore nazionale ha fatto diretto riferimento ai principi contabili internazionali.
Contabilità e bilancio — Principi contabili nazionali
La relazione prosegue precisando che l’accenno alla “ragionevole certezza” impone di tenere conto degli eventuali dubbi sulla percentuale di maturazione del corrispettivo e delle prevedibili contestazioni del committente, al fine di rispettare il principio di prudenza.
Si deve tenere conto che, rispetto al 1991, da tempo esiste il principiocontabile nazionale Oic 23 “Lavori in corso su ordinazione” che illustra, in dettaglio, le regole tecniche.
Già l’ipotesi di articolato di recepimento delle direttive n. 65/2001 e51/2003, predisposta dall’Oic, proponeva la riformulazione del n. 11 dell’art. 2426 cod. civ., relativa ai lavori in corso su ordinazione, prevedendo l’obbligo, anziché soltanto la facoltà, della valutazione dei lavori in corso su ordinazione sulla base dei corrispettivi: come è noto, il legislatore, non ha dato seguito al citato recepimento.
Questa modifica aveva l’obiettivo di avvicinare le norme del Codice alla prassi contabile più moderna, nonché ai principi contabili internazionali richiamati, come già accennato, dal legislatore del 1991.
È opportuno segnalare che, successivamente alla predisposizione dell’articolato da parte dell’Oic, nelle disposizioni fiscali è stata eliminata la possibilità di valutare al costo opere, forniture e servizi ultrannuali.
Infatti, l’art. 1, comma 70, della legge n. 296/06 (finanziaria 2007) haabrogato, con decorrenza dal 2007, il comma 5 dell’art. 93 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir): pertanto, ai fini fiscali, la valutazione prevista è soltanto quella della percentuale di completamento denominata “corrispettivi pattuiti” con effetto dalle operazioni, forniture e servizi di durata ultrannuale la cui esecuzione ha inizio a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006.
La norma precedente consentiva, fiscalmente, la valutazione al costoalle imprese che, anche in bilancio, contabilizzavano opere, forniture e servizi con valutazione al costo e imputazione dei corrispettivi all’esercizio nel quale erano consegnate le opere o ultimati i servizi.
Invece, come già illustrato, il Codice civile prevede la valutazione alcosto (metodo della commessa completata) o sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza (percentuale di completamento).
La differenza tra i due criteri di valutazione, durante il periodo di costruzione/lavori, può essere rilevante: ovviamente, si tratta di un problema di competenza di bilancio e, pertanto, tutte le differenze si annullano alla fine del lavoro.
Per fare un esempio banale, ipotizziamo il caso di un lavoro, della durata di due anni, il cui utile complessivo (ricavi meno costi) è pari a 1.000:› con il metodo della percentuale di completamento, l’utile viene
attribuito, in base all’avanzamento dei lavori, per esempio, come segue:
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esercizio X 400 esercizio X+1 600› con il metodo della commessa completata, invece, l’utile di 1.000 è
attribuito totalmente all’esercizio X+1.Come si può notare l’utile, ovviamente, è sempre 1.000, ma differente è l’attribuzione dello stesso nei due esercizi.
Con il secondo criterio, i lavori sono valutati in base al minor valore tra quello di costo e quello di mercato e i ricavi ed il margine delle commesse sono riconosciuti soltanto quando il contratto è completato, ovvero quando le opere sono ultimate e consegnate. Tale criterio, per il principio contabile Oic 23, si utilizza soltanto se il metodo della percentuale di completamento non è applicabile: in caso contrario, l’utilizzo determina una distorsione dei risultati dei vari esercizi.
Il principio contabile Oic 23 “Lavori in corso su ordinazione”
Il principio contabile nazionale Oic 23, come già illustrato, riguarda i lavori in corso su ordinazione, i cui criteri di valutazione sono contenuti nell’art. 2426, n. 11, cod. civ.
CRITERIO DELLA PERCENTUALE DI COMPLETAMENTO
Il criterio della percentuale di completamento si applica (paragrafo 42) ai contratti di durata ultrannuale, pertanto superiore a dodici mesi, quando:› esiste un contratto vincolante tra le parti che definisca chiaramente le
obbligazioni e, in particolare, il diritto al corrispettivo per l’appaltatore;› il diritto al corrispettivo per la società che esegue i lavori matura con
ragionevole certezza via via che i lavori sono eseguiti;› non sono presenti situazioni di incertezza relative a condizioni
contrattuali o fattori esterni di tale entità da rendere dubbia la capacitàdei contraenti a far fronte alle proprie obbligazioni (per esempio, l’obbligo dell’appaltatore nel completare i lavori);
› il risultato della commessa può essere misurato attendibilmente.Il corrispettivo si considera maturato, per esempio, quando il contratto garantisce alla società che effettua i lavori, in caso di recesso del committente, il diritto al risarcimento dei costi sostenuti e un congruo margine ( si veda l’esempio alla pagina successiva).
RICAVI E COSTI DI COMMESSA
Nel conto economico i ricavi di commessa acquisiti a titolo definitivo sono
Contabilità e bilancio — Principi contabili nazionali
VALUTAZIONE IN BASE AL CRITERIODELLA PERCENTUALE DI COMPLETAMENTOUN ESEMPIO
Il criterio della percentuale di completamento richiede la tenuta di una
contabilità "di cantiere" ben impostata e aggiornata. Nell’esempio, la
percentuale di completamento è rilevata utilizzando il criterio del costo
sostenuto, denominato cost-to-cost:
— Corrispettivo globale: 10.000
— Durata dell'opera: 2 anni
— Costo globale: 8.000
— Utile globale: 2.000
— Costo sostenuto nell'esercizio x: 5.000
— Costo sostenuto nell'esercizio x+1: 3.000
Esercizio xValore della rimanenza: 6.250, che deriva dal rapporto tra i costi sostenuti,
pari a 5000 ed il costo globale, pari a 8000.
Infatti 5000/8000 = 0,625, ovvero 62,5 per cento, che applicato a
10.000 (corrispettivo globale) dà 6.250: detratti i costi pari a 5000 risulta
1.250 1 .
Nel conto economico: variazione lavori in corso (voce A 3), 6.250; costi
della produzione (B), 5.000; differenza, 1.250. Nello stato patrimoniale:
Rimanenze lavori in corso (C I 3), 6.250; debiti (D 5), 5.000.
La formula, in sostanza, è la seguente:
— costi sostenuti/costi totali x ricavi totali-costi sostenuti.
Esercizio x+1Seguendo il medesimo procedimento: valore delle rimanenze: 3.750 e utile
750.
Nel conto economico: Ricavi (A 1) 10.000; variazione lavori in corso (A
3), meno 6.250; costi della produzione (B), 3000; differenza 750.
Nei due esercizi l'utile globale è pari a 2000 (1.250 + 750).
1. L’importo al numeratore aumenta ad ogni esercizio (da zero a cento), mentre l’importo al
denominatore non varia, salvo il caso delle variazioni di stima dei costi totali.
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RICAVI E COSTI DELLA COMMESSA
RICAVI COSTI
› prezzo stabilito contrattualmente;
› maggiorazioni per revisione prezzi;
› corrispettivi per beni o prestazioni
aggiuntive (per esempio, varianti);
› corrispettivi aggiuntivi per eventi a
carico del committente;
› incentivi dovuti all’appaltatore per il
raggiungimento di determinati
obiettivi;
› rettifiche di prezzo stabilite con
patti aggiuntivi;
› altri proventi accessori.
Costi diretti di:
› materiali;
› manodopera (nelle opere realizzate in uno specifico
cantiere, inclusi personale direttivo e quello addetto ai
servizi generali);
› subappaltatori;
› trasferimento di impianti e attrezzature di cantiere;
› impianto e smobilizzo del cantiere;
› ammortamenti dei macchinari impiegati;
› locazione di impianti e macchinari;
› royalty per brevetti utilizzati;
› fidejussioni e assicurazioni specifiche;
› progettazione (se riferibili alla commessa).
Costi indiretti di:
› progettazione attribuibili a più commesse o all’intera
attività produttiva;
› generali di produzione o industriali (per l’imputazione si
veda l’Oic 13 relativo alle giacenze di magazzino);
› assicurazione.
Non costituiscono, invece, costi di commessa:
› le spese generali, amministrative e di vendita;
› le spese generali di ricerca e sviluppo.
rilevati nella voce A1 Ricavi delle vendite e delle prestazioni, mentre il valore della produzione eseguita nell’esercizio, al netto di quella iscritta a ricavi, è rilevato nella voce A3 Variazione dei lavori in corso su
ordinazione.In molti casi le fatturazioni effettuate dall’appaltatore non riflettono
lo stato avanzamento dei lavori: pertanto, anticipi e acconti sono iscritti tra i debiti (Voce D.6) e stornati al momento della fatturazione definitiva con contropartita la rilevazione del ricavo, quando vi è la certezza che lo stesso è riconosciuto all’appaltatore in via definitiva.
Nella versione aggiornata, dopo la revisione operata dall’Organismoitaliano di contabilità, a prescindere dal criterio di valutazione adottato, le perdite probabili sono portate a riduzione del valore delle rimanenze: è stata eliminata l’opzione che, nella versione precedente del documento, ne consentiva l’iscrizione tra i fondi rischi, che sono iscritti soltanto se la perdita eccede il valore dei lavori in corso.
In via generale i lavori in corso su ordinazione comprendono ricavi ecosti indicati nella tabella sottostante.
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METODOLOGIE PER LA DETERMINAZIONE DELLO STATO DI AVANZAMENTO
L’applicazione pratica del criterio della percentuale di completamento può avvenire adottando diversi metodi.
Metodo del costo sostenuto (cost to cost). I costi effettivamente sostenuti ad una certa data sono rapportati ai costi totali stimati: la percentuale è successivamente applicata al totale dei ricavi stimati di commessa, ottenendo il valore da attribuire ai lavori eseguiti e, pertanto, i ricavi maturati a tale data. L’utilizzo di tale metodo necessita della possibilità di effettuare le stime e di poterle, eventualmente, aggiornare.
Si devono escludere i costi sostenuti per i materiali acquisiti per lacommessa, ma non ancora utilizzati, ed i costi fatturati dai subappaltatori in eccedenza ai lavori da essi eseguiti: questi costi sono, a tali effetti, “sospesi”. Invece, sono inclusi i costi relativi a componenti e parti, non ancora installati, prodotti ad hoc dall’azienda o da terzi. In sostanza, è necessario considerare tutti i costi accumulati che rappresentano l’avanzamento del lavoro svolto (valore aggiunto).
Metodo delle ore lavorate. Con tale metodo, si fa riferimento alle orelavorate, rispetto al totale delle ore previste: si comprendono anche le ore dei lavori affidati a terzi. Questo metodo comporta la suddivisione dei ricavi previsti tra costi per materiali ed altri costi diretti, esclusa la mano d’opera, e valore aggiunto complessivo per il residuo.
La valutazione delle opere eseguite è data dalla somma dei costi deimateriali e degli altri costi diretti e del valore aggiunto maturato, che si ottiene moltiplicando le ore effettivamente lavorate per il valore aggiunto orario.
Il metodo in questione si può utilizzare quando la componente dellavoro è preminente, solo se è possibile effettuare una stima delle ore di lavorazione necessarie per completare l’opera.
Metodo delle unità consegnate. Il metodo può essere applicato nel caso di lavorazioni, spesso effettuate dalla società presso i propri stabilimenti, per commesse pluriennali che prevedono la fornitura di una serie di prodotti uguali o omogenei, ove il flusso della produzione sia allineato al flusso delle consegne (o accettazioni) e ove i ricavi ed i costi delle singole unità o, comunque, la percentuale di margine siano gli stessi o sostanzialmente gli stessi per tutte le unità.
Metodo delle misurazioni fisiche. Utilizzando tale metodo, si procedealla rilevazione delle quantità prodotte ed alla valutazione delle stesse ai prezzi contrattuali. Si tratta del criterio tipico delle imprese di costruzione dove l’avanzamento dei lavori viene rilevato
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1. Questo accade se superano, per due esercizi
consecutivi, ambedue i limiti previsti nell’art. 1,
D.P.R. n. 695/96: ricavi 5.164.568,99 euro (ex
10 miliardi di lire) e rimanenze 1.032.913,80
euro (ex 2 miliari di lire). In tale ipotesi l’obbligo
scatta dal secondo periodo di imposta
successivo (il primo esercizio è considerato
“preparatorio” della contabilità di magazzino).
periodicamente in contraddittorio con il committente come base per la fatturazione degli stati di avanzamento.
COMMESSE DI DURATA INFERIORE A DODICI MESI
Per le commesse di durata inferiore all’anno possono essere utilizzati entrambi i criteri di valutazione citati: criterio della percentuale di completamento e criterio della commessa completata. In via generale, il criterio della commessa completata non genera andamenti irregolari sui risultati di esercizio.
Imprese edili e contratti preliminari
Le imprese edili, se ne ricorrono i presupposti1 , sono obbligate alla tenuta della contabilità di magazzino, in base a quanto prevede l’art. 14 del D.P.R. n. 600/73. Le regole relative alla tenuta della contabilità di magazzino sono contenute, per tutte le imprese, nella circolare n. 40 del 26 novembre 1981 (protocollo 9/4056), tutt’ora valide, fatti salvi i necessari adattamenti alle disposizioni di legge che nel frattempo sono variate (esempio: articoli del Tuir). Alle regole citate si aggiungono quelle, più specifiche, riferite alle opere e servizi ultrannuali in corso di esecuzione, dettate dalla circolare n. 36 del 22 settembre 1982 (protocollo 9/1918): le istruzioni sono tutt’ora valide, anche se formalmente “datate”.
In via generale, le imprese edili realizzano “lavori su appalto” che, se ultrannuali, dovrebbero essere valutate in base a quanto prevedono l’art. 2426, n. 11, cod. civ. e il principio contabile nazionale Oic 23. Non vi è alcun dubbio sul fatto che tali imprese, per i lavori ultrannuali, possano scegliere la valutazione al costo oppure quella in base allo stato avanzamento lavori (percentuale di completamento): tuttavia, ai fini di una migliore
OIC 23 LAVORI IN CORSO SU ORDINAZIONECRITERI DI VALUTAZIONE
Lavori ultrannuali > percentuale di completamento
Lavori infrannuali> percentuale di completamento o commessa completato
Contabilità e bilancio — Principi contabili nazionali
rappresentazione contabile e bilancistica, quest’ultima è quella che deve essere applicata, come ribadisce il principio contabile.
Ai fini fiscali, invece, come già illustrato, se i lavori sono su commessa eultrannuali, la sola valutazione prevista dall’art. 93 del Tuir è quella sulla base dei corrispettivi pattuiti. Pertanto, se l’impresa adotta in bilancio la valutazione al costo, deve poi effettuare, in sede di dichiarazioni fiscali, le opportune variazioni al fine di pervenire alla valutazione in base ai corrispettivi pattuiti che, generalmente, è superiore. Questo, tuttavia, comporta la tenuta di una specifica contabilità ai fini fiscali, anche per redigere il prospetto richiesto dal comma 6 dell’art. 93 del Tuir, le cui modalità operative sono illustrate nella circolare n. 36/82, già citata. Ne consegue che, per evitare doppie contabilizzazioni e valutazioni, è necessario adottare, anche nel bilancio, la valutazione in base ai corrispettivi pattuiti.
In genere, con riferimento ai lavori edili, sono soddisfatte le condizionirichieste dal principio contabile Oic 23 per l’applicazione della valutazione in base ai corrispettivi pattuiti: infatti, a fronte dei lavori, generalmente (ma non sempre), esistono contratti vincolanti per le parti, che ne definiscono chiaramente le obbligazioni, incluso il diritto al corrispettivo e le altre condizioni richieste dal citato principio contabile.
In molti casi, esistono contratti preliminari. In base alla definizione delladottrina giuridica, si dice preliminare il contratto con cui le parti si obbligano a stipulare un successivo contratto definitivo, di cui, peraltro, devono avere già determinato nel preliminare il contenuto essenziale 2 . In sostanza, le parti intendono vincolarsi reciprocamente e, pertanto, stipulano il contratto preliminare, che ancora non produce gli effetti programmati o tipici del contratto prefigurato dalle parti, ma già obbliga le parti a stipulare il contratto definitivo, che produrrà tutti gli effetti che fin da ora sono stati fissati. Il preliminare deve già precisare in modo sufficiente il contenuto del contratto definitivo che le parti si obbligano fin d’ora a stipulare successivamente, altrimenti sarebbe invalido per indeterminatezza: vale a dire che – salva la possibilità di modifiche o aggiunte consensuali – la conclusione del definitivo non deve richiedere nessuna ulteriore discussione per decidere in ordine agli elementi dell’accordo da sottoscrivere 3 .
Infatti, i preliminari contengono la descrizione dell’immobile e delle finiture dello stesso, prevedendo maggiorazioni di prezzo se il committente richiede ulteriori finiture o altro non previsto nel capitolato. Per esempio, si pensi all’arredamento dei bagni (doccia, vasca, ecc., ma anche di tutte le
2. Andrea Torrente-Piero Schlesinger, Manuale di
Diritto Privato, Milano.
3. Non si deve confondere il contratto preliminare
con il contratto definitivo preceduto da una
scrittura privata per la compravendita di un
immobile, che impegna le parti a stipulare il
rogito, necessario ai fini della trascrizione. A
volte è difficile la distinzione: si deve verificare la
volontà delle parti a seconda che sia volta a
rinviare nel tempo la realizzazione degli effetti
programmati, ovvero a realizzarli subito; si tratta
di un problema di interpretazione del contratto.
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finiture), riportata con una precisa descrizione, con la previsione che se il committente richiede ulteriori finiture queste saranno conteggiate a parte, con maggiorazione del corrispettivo: infatti, il committente ha la facoltà di richiedere alcuni cambiamenti o aggiunte, ovvero di personalizzare sempre più l’abitazione durante la costruzione (questo conferma che, di fatto, i beni sono sostanzialmente già ceduti).
Si tenga conto che, generalmente, il costruttore finanzia la costruzionetramite gli acconti versati dal committente in base allo stato di avanzamento dei lavori, oppure, più semplicemente, a date prefissate: in molti casi il committente, prima della stipulazione del contratto definitivo, ha già pagato gran parte del corrispettivo pattuito (sovente l’ottanta per cento o anche più).
La prestazione che le parti di un contratto preliminare si obbligano ad eseguire consiste nel perfezionare il contratto definitivo: ossia nel compiere una dichiarazione negoziale. Il preliminare ha dunque effetti obbligatori, non reali, consistenti nell’esecuzione di un facere per sua natura infungibile, ossia nell’emissione di una dichiarazione negoziale. Sarà poi il contratto definitivo a produrre gli effetti sostanziali programmati dalle parti. Per esempio, nel caso in cui le parti raggiungano un accordo per la vendita di un certo bene per un dato prezzo, e stipulino un contratto preliminare, quest’ultimo contratto non produce alcun effetto traslativo della proprietà del bene e non obbliga la parte interessata all’acquisto a pagare il prezzo, ma impegna le parti a stipulare il contratto di compravendita: soltanto per effetto del contratto definitivo si verificherà il trasferimento della proprietà e sorgerà, in capo al compratore, l’obbligo di pagare il prezzo.
Il contratto preliminare, poi, può obbligare le parti oppure una sola (promessa o preliminare unilaterale). Pertanto, adempiere un contratto preliminare significa stipulare il contratto definitivo 4 .
L’art. 1351 cod. civ., tra l’altro, prevede che la forma del contratto preliminare sia quella prescritta per il contratto definitivo.
Si deve tenere conto che il contratto preliminare è, generalmente, trascritto (legge n. 30 del 28 febbraio 1997). Infatti, l’art. 2645-bis, comma 4 (Trascrizione di contratti preliminari), del Codice civile prevede la trascrizione del preliminare anche per gli edifici da costruire o in corso di costruzione a condizione che siano indicati la superficie utile della porzione di edificio e la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all’intero costruendo edificio espressa in millesimi.
Infine, il D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122, ha ampliato la norma citata, tra
4. Cfr. nota 2.
LA CONCLUSIONE
DEL DEFINITIVO
NON RICHIEDE NESSUNA
ULTERIORE DISCUSSIONE
PER DECIDERE IN ORDINE
AGLI ELEMENTI
DELL'ACCORDO
Contabilità e bilancio — Principi contabili nazionali
l’altro estendendo la stessa anche ai contratti di leasing: inoltre, l’art. 2 prevede l’obbligo, per il costruttore, di fornire «a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall’acquirente» una fideiussione rilasciata da una banca o da una compagnia di assicurazione, a garanzia della restituzione degli importi pagati dagli acquirenti. Pertanto, nell’ipotesi di crisi o fallimento del costruttore, l’acquirente è tutelato ed ha il diritto di prelazione nell’acquisto dell’appartamento, qualora lo stesso venga posto all’incanto per soddisfare i creditori del costruttore.
Tutto quanto illustrato, consente di ritenere soddisfatte le condizionirichieste dal principio contabile Oic 23 per l’applicazione della valutazione in base ai corrispettivi pattuiti, precedentemente illustrata. In ogni caso, il comportamento corretto e la soluzione contabile delle singole ipotesi contrattuali devono far riferimento alla sostanza del contratto.
Il tutto, in via generale, dovrebbe essere valido anche se il contrattopreliminare è stipulato dopo l’inizio del lavori. Si pensi, per esempio, alla costruzione di una palazzina di 10 appartamenti, dei quali soltanto due o tre non sono ancora coperti da contratto preliminare: se, a lavori iniziati, anche i restanti tre appartamenti sono, di fatto, ceduti la valutazione seguirà le regole illustrate. Questo, invece, non può riguardare gli appartamenti per i quali non è stato stipulato alcun preliminare e che, pertanto, non hanno un acquirente predeterminato: la valutazione, in tali casi, è quella al “costo” (o della commessa completata). Ovviamente, problemi contabili possono esistere nel caso di edifici soltanto in parte coperti da preliminare, perché, in tale ipotesi, parte dei lavori seguono la valutazione al costo e parte la valutazione in base ai corrispettivi maturati: il tutto dovrebbe essere supportato da adeguate contabilizzazioni, anche ai fini della ripartizione dei costi. Infatti, come già illustrato, la valutazione in base alla percentuale di completamento (corrispettivi pattuiti) non può essere effettuata in mancanza di un contratto, ovvero di corrispettivi contrattualmente stabiliti, in quanto, in tale ipotesi, mancano le condizioni per applicare tale valutazione, come prevede il principio contabile Oic 23.
Tutto quanto illustrato, pertanto, ha effetti anche di carattere fiscale,in base a quanto prescrive l’art. 93 del Tuir.
Considerazioni conclusive
I lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale si valutano in base ai corrispettivi pattuiti - ossia secondo il criterio di valutazione di riferimento - se sono soddisfatte le condizioni illustrate nel principio contabile Oic 23: soltanto se tali condizioni non sono soddisfatte si applica il criterio della commessa completata.
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Nel caso in cui, in base al principio contabile è applicabile il criteriodi riferimento, anche il fisco ha ragione di chiederne l’utilizzo, diversamente dovrebbe accettare la valutazione in base al criterio della commessa completata. In tale situazione (nella quale si può applicare il criterio di riferimento), se l’impresa adotta in bilancio la valutazione alternativa, deve poi effettuare, in sede di dichiarazioni fiscali, le opportune variazioni, al fine di pervenire alla valutazione in base ai corrispettivi pattuiti che, generalmente, è superiore. Questo, comporta la tenuta di una specifica contabilità ai fini fiscali, anche per redigere il prospetto richiesto dal comma 6 dell’art. 93 del Tuir.
Tale comportamento, tuttavia, dal punto divista del bilancio potrebbe non essere corretto e comportare censure da parte di sindaci e revisori perché l’impresa, pur avendone la possibilità, utilizza in bilancio il metodo alternativo.
Potrebbe anche verificarsi il caso dell’impresa che non è in grado di applicare il metodo di riferimento, perché non è contabilmente strutturata per applicarlo, ma anche in questo caso gli organi di controllo possono non condividere la scelta di applicare il metodo alternativo. Per quanto riguarda il collegio sindacale, si veda quanto prevede l’art. 2403 cod. civ., relativo ai doveri del collegio sindacale, con riferimento alla vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.
Invece, per i lavori di durata infrannuale l’Oic 23 prevede si possa (facoltà) applicare il metodo della percentuale di completamento, comportamento incerto dal punto di vista fiscale: tuttavia, in definitiva, si tratta soltanto di problemi di competenza, ovvero di anticipare parte dell’utile, ma non certo di evasione delle imposte.
In conclusione l’Oic 23 prevede che, per i lavori di durata infrannuale, sono applicabili ambedue i criteri di valutazione.
SE L'IMPRESA NON È
IN GRADO DI APPLICARE
IL METODO
DI RIFERIMENTO,
GLI ORGANI
DI CONTROLLO POSSONO
NON CONDIVIDERE
LA SCELTA DI APPLICARE
IL METODO ALTERNATIVO
franco roscini vitali› Comitato Scientifico
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