Lezione del 17 maggio 2018
Materiale ricavato e rielaborato da: Luca Serianni, L’ora di italiano, Laterza 2010 Claudio Giunta, Come non scrivere, Utet 2018 Silverio Novelli, Si dice? Non si dice? Dipende, Laterza 2014
AccenB Gli accenB possono essere acuB e quelli gravi: Sulle vocali a, i, o, u accentate in fine di parola si meGe di solito l’accento grave: ‘vivrà’, ‘così’, ‘però’, ‘tribù’ (e infaP nella tasBera italiana del computer á, í, ó, ú, non si trovano neppure: bisogna andare a cercarle nella sezione Inserisci → Simbolo di Word). I problemi riguardano la e, che può pronunciarsi chiusa o aperta e avere dunque l’accento acuto o quello grave. In fine di parola ha quasi sempre l’accento acuto: ‘perché’, ‘poiché’, ‘affinché’, ‘benché’, ‘poté’, ‘né’, ‘venBtré’. Vogliono invece l’accento grave parole come ‘è’, ‘cioè’, ‘tè’, ‘ahimè’, ‘caffè’, e tuP i francesismi: ‘bebè’, ‘gilè’, ‘bignè’, ‘bidè’. Quando ‘sé’ è seguito da ‘stesso’ o ‘medesimo’ in genere non si accenta: ‘se stesso’, ‘se medesimo’. Ma è una consuetudine: non c’è niente di sbagliato nello scrivere ‘sé stesso’ e ‘sé medesimo’.
In corpo di parola, l’accento si usa talvolta per disambiguare, cioè per far capire subito al leGore come va pronunciata la parola in quesBone. Quindi si può meGere l’accento (grave) su ‘princìpi’, per disBnguerlo da ‘prìncipi’; su ‘càpita’, per disBnguerlo da ‘capìta’; su ‘subìto’, per disBnguerlo da ‘sùbito’, su ‘compìto’ per disBnguerlo da ‘cómpito’, su ‘seguìto’ per disBnguerlo da ‘séguito’, su ‘vìola’ (voce del verbo ‘violare’) per disBnguerlo da ‘viòla’ (‘il delinquente vìola la legge’, non ‘viòla’, come si sente spesso!) eccetera. Perché mePamo gli accenB sui monosillabi? Non perché aiutano a capire come si pronuncia una parola (‘da’ e ‘dà’ si pronunciano allo stesso modo) ma perché ci aiutano a capire qual è la parola che sBamo leggendo, cioè a disambiguare: • da (preposizione) si disBngue da dà (voce del verbo dare) • si (pronome personale) si disBngue da sì (avverbio) • di (preposizione) si disBngue da dì (sinonimo di giorno) e da di’ (voce del
verbo dire) • se (congiunzione) si disBngue da sé (pronome personale) • ne (parBcella pronominale) si disBngue da né (congiunzione) • la (arBcolo) si disBngue da là (avverbio)
E perché allora monosillabi come “fu”, “do”, “sto”, “fa” non sono accentaB? Ma perché non è possibile confonderli con altre parole della nostra lingua (‘do’ e ‘fa’ possono confondersi con le note musicali, a rigore: ma le parole che designano le note ricorrono molto di rado nella l ingua scr iGa: meGere l ’accento per disambiguare non è dunque necessario, perché non c’è ambiguità).
Elisione e troncamento L’elisione è la caduta della vocale finale atona di una parola davanB a un’altra parola che inizia per vocale; si segnala con l’apostrofo “un’altra”, “l’amor”’. Il troncamento è la caduta della vocale o della sillaba finale atona di una parola davanB a un’altra parola che comincia per vocale o consonante. Le forme tronche non vogliono l’apostrofo: ‘un leone’, ‘buon cane’, ‘fra Cristoforo’, ‘gran signore’. “Gli aggePvi tale e quale si troncano, non si elidono (infaP si scrive ‘qual buon vento’, ‘di tal genere’), perciò non vogliono l’apostrofo, neppure se la parola che segue inizia per vocale o è di genere femminile: ‘nutrire un tal asBo’, ‘qual è stato’, ‘qual era la risposta’, ‘in qual altra occasione’.
Forme tronche che vogliono l’apostrofo sono solo quelle degli imperaBvi fa’, sta’, va’, da’ (ma è normale trovare ormai le forme piene: fai, stai, vai, dai); inoltre po’ (non ‘pò’, perché è la forma tronca di ‘poco’) e be’ (non ‘bè’, perché è la forma tronca di ‘bene’). I composB di ‘un’ e ‘una’ si comportano come gli arBcoli: al maschile non vogliono l’apostrofo, al femminile sì: ‘nessun albergo’, ‘nessun’isola’, ‘qualcun altro’, ‘qualcun’altra’. Possiamo ricavare la regola direGamente dal libro Si dice o non si dice? di Aldo Gabrielli:
Se una parola privata della vocale finale può stare così accorciata davanB ad altra parola cominciante con consonante, si traGa di una parola troncata; se invece non può stare, si traGa di una parola elisa. Pertanto, scriveremo un asino perché si può dire un cavallo; scriveremo mar AdriaBco perché si può dire mar Tirreno; analogamente: fin allora, e non fin’allora, perché si può dire fin da domani; qual esempio, e non qual’esempio, perché si può dire qual fortuna; tal amico, e non tal’amico, perché si può dire tal fortuna. Si traGa insomma di troncamenB, e non richiedono l’apostrofo. Bisognerà scrivere invece un’asina, e non un asina, perché non si può dire un cavalla; buon’amica, e non buon amica, perché non si può dire buon nemica. Qui si traGa infaP di parole elise, che richiedono sempre l’apostrofo.
Plurali in –cia e -‐gia
I nomi femminili in -‐cia e -‐gia possono dare qualche perplessità: ‘province’ o ‘provincie’? ‘Ciliegie’ o ‘ciliegie’? Senza complicarci troppo la vita, manteniamo la i quando c e g sono precedute da vocale (camicia → camicie; valigia → valigie), togliamola quando c e g sono precedute da consonante (arancia → arance; spiaggia → spiagge).
Suo, proprio Dalla pagina culturale di un grande quoBdiano: … Come non pensare a Horace Walpole, (Londra 1717-‐1797) e al suo Castello di Otranto, 1764-‐65, testo fondatore del cosiddeGo ‘romanzo goBco’ che insidierà il primato dei Lumi, con le proprie tenebrose storie, con i presenBmenB di soprannaturale e irrazionale, con i propri comploP e fantasmi… Si dice ‘con le sue tenebrose storie’, ‘con i suoi comploP’. Come regolarsi, con suo/proprio? In generale, proprio si usa:
1) quando la persona a cui si riferisce potrebbe essere confusa con un’altra persona citata nella frase. Se scrivo che ‘Paolo disse a Pietro che doveva rinunciare alla sua eredità’, l’aggePvo sua può riferirsi sia a Paolo sia a Pietro. In casi come questo si usa proprio per riferirsi al soggeGo della frase, suo per riferirsi a una persona diversa dal soggeGo: ‘Paolo disse a Pietro che doveva rinunciare alla propria eredità’ (l’eredità è di Paolo); “Paolo disse a Pietro che doveva rinunciare alla sua eredità’ (l’eredità è di Pietro);
2) quando il verbo della frase reggente è impersonale: ‘non è giusto fare sempre i propri comodi’; ‘è bello senBrsi al proprio posto in ogni occasione’; ‘bisogna sempre fare il proprio dovere’; 3) quando il soggeGo del verbo è un pronome indefinito: ‘ciascuno deve fare il proprio dovere’.
Numeri romani
I numeri romani non vogliono la o in apice: siamo nel secolo XXI, non nel XXI° secolo.
Da sempre, da subito
‘Da sempre’ e ‘da subito’ si sentono sempre più spesso, ma se ci pensate sono espressioni che non hanno molto senso. ‘Sempre’ non indica un momento del passato dal quale far cominciare il computo del tempo bensì una durata (sempre = ‘per tuGo il tempo’); e ‘subito’ non è sinonimo di ‘ora’ (‘d’ora in poi’) ma di ‘immediatamente’, ovvero esprime l’istantaneità di un faGo, di un’azione. Scriveremmo ‘Mi è piaciuto da immediatamente’? Invece di ‘Sono stato da sempre’ sarebbe meglio dire e scrivere ‘Sono sempre stato’; e invece di ‘Mi ha convinto da subito’, ‘Mi ha convinto subito’.
Ci/vi La parBcella pronominale ci si presta a qualche equivoco. Su un quoBdiano: Fellini e VisconB: Marina non vi ha mai lavorato Strano errore, ma lo si può spiegare. Il giornalista voleva scrivere ‘Marina non ci (= con loro) ha mai lavorato’, ma ha sosBtuito (a torto) il troppo colloquiale (in realtà non colloquiale affaGo) ci con il più elegante vi (è lo snobismo che ci fa scrivere ‘Vi sono ancora dei problemi’, anche se parlando diremmo ‘Ci sono’), che però a differenza di ci non può avere la funzione di complemento indireGo. Qui comunque era meglio scrivere ‘Marina non ha mai lavorato con loro’.
Ne
Da un compito in classe: Degli scriGori crepuscolari ne parleremo più avanB. Ovviamente non va bene, è ridondante, pleonasBco, perché la parBcella pronominale ne ha la funzione di complemento indireGo, e corrisponde a ‘di loro’. Direste «Degli scriGori crepuscolari di loro parleremo più avanB»?
Concordanza del verbo con i nomi collePvi
I nomi collePvi vogliono il verbo al singolare: ‘La classe ha reagito bene’; ‘La gente è caPva’; ‘La squadra ha vinto’. Facile fin qui. Qualche dubbio viene quando il nome collePvo indica una parte del totale, e questo totale è espresso da un sostanBvo al plurale; ma anche in questo caso è meglio concordare il verbo al singolare: Gran parte degli studenB ha saltato la lezione. Una decina di atleB è stata squalificata per doping. Il 10% dei candidaB non aveva i Btoli necessari. La maggior parte dei turisB è interessata alle bellezze arBsBche. Ma il plurale si usa con ‘un po’ di’: Un po’ di dubbi li ho avuB anch’io.
CongiunBvo Va usato quando serve. I modi dei verbi si imparano a usare quando si impara a parlare e a scrivere decentemente, e una lista di regole non serve a molto. Poche sono le raccomandazioni da fare: Parlando adoperiamo spesso l’imperfeGo indicaBvo anche quando dovremmo usare il congiunBvo: Se venivi anche tu, ero contento. Se arrivavo fin lì, te lo dicevo. In una conversazione tra amici, va bene. Ma in una conversazione più formale o per iscriGo useremo il congiunBvo e il condizionale: Se fossi venuto anche tu, sarei stato contento. Se fossi arrivato fin lì, te lo avrei deGo.
Nel libro Proge;o Elvira, che racconta e analizza il film di Dino Risi “Il vedovo”, Tommaso Labranca scrive: «A Milano si trovano spesso personaggi che vantano le bellezze e l’esclusività di ‘casa mia’ benché di quella casa non posseggono nulla». È un errore: ci voleva il congiunBvo, ‘posseggano’, non l ’ indicaBvo ‘posseggono’, perché la congiunzione concessiva ‘benché’ vuole il congiunBvo: Il calciatore segnò, benché si trovasse di fronte un grande porBere [altrimenB possiamo scrivere, con l’indicaBvo: ‘Il calciatore segnò, anche se si trovava di fronte un grande porBere’]
Labranca sapeva scrivere: se sbaglia lui (per distrazione), dunque, possiamo sbagliare tuP. Il congiunBvo va usato quando la frase lo richiede. Una delle poche regole sicure è questa: se una frase compleBva (frasi subordinate che svolgono la funzione di soggeGo, oggeGo indireGo o complemento indireGo del verbo della frase reggente) può essere introdoGa sia da ‘che’ sia da ‘come’, dopo ‘che’ ci vuole l’indicaBvo, dopo ‘come’ il congiunBvo: Ho già ricordato che i Romani avevano occupato gran parte dell’Europa. Ho già ricordato come i Romani avessero occupato gran parte dell’Europa.
MolB scrivenB inesperB, nella scelta tra l’indicaBvo e il congiunBvo, optano per il congiunBvo perché suona più elegante, ma spesso sbagliano. Dal sito di un quoBdiano: Dolore e sgomento intanto affiorano tra gli abitanB di Tenno, increduli per quanto sia accaduto, sopraGuGo perché traGandosi di una coppia di giovani benvoluB e molto conosciuB in paese. Sta malissimo ‘sopraGuGo perché traGandosi’, ma non è questo il punto: bisognava scrivere ‘increduli per quanto è accaduto’.
Andiamo a
Da qualche tempo, forse per l’influenza della costruzione inglese to be going to, si sentono e si leggono formule come ‘Andiamo a lavorare sull’arBcolazione’ (questa l’ho senBta a lezione di yoga), ‘L’opera andava a scardinare gli equilibri’, ‘Nel prossimo capitolo vado a considerare i problemi’. È meglio dire e scrivere: ‘Ora lavoriamo sull’arBcolazione’, ‘L’opera scardinava gli equilibri’, ‘Nel prossimo capitolo considererò i problemi’.
A riguardo di
‘A riguardo di’, che ricorre nelle tesine e nelle relazioni di tanB studenB, non è italiano. Semmai ‘riguardo a’. Ma non usatelo in conBnuazione, variatelo con ‘a proposito di’, ‘circa’, ‘in relazione a’, ‘quanto a’, ‘in merito a’, ‘relaBvamente a’.
In dei
‘In dei’, che si sente e si legge spesso, è orribile. Se vogliamo meGere al plurale la frase ‘L’uomo si trasforma in un mostro’ diciamo e scriviamo semplicemente ‘Gli uomini si trasformano in mostri’, senza arBcolo e senza preposizione, non ‘... in dei mostri’.
Paratassi ma non troppo Limitare il numero delle frasi subordinate, non fare periodi troppo lunghi va bene, ma senza esagerare. Se mePamo in fila soltanto fraseGe tuGe uguali formate da soggeGo verbo e complemento, il leGore penserà che siamo scolari di terza elementare. Per esempio: Nel Processo, Franz Ka�a racconta di un uomo che è stato accusato ingiustamente. Quest’uomo non sa di che cosa è stato accusato, e nessuno glielo spiega. Allora si procura un avvocato, ma neanche l’avvocato gli è davvero d’aiuto. Dopo molte vicissitudini l’uomo viene condannato a morte e viene ucciso.
Non va bene. A parte il faGo che, raccontata così, la trama di quel capolavoro che è Il processo sembra quella di un giallo di serie B, lo sBle dell’esposizione è puerile. Scriviamo meglio: Il Processo di Ka�a racconta di un uomo che è stato accusato ingiustamente. I suoi tentaBvi di capire per lo meno qual è l’imputazione a suo carico falliscono: i giudici del tribunale non lo ricevono, l’avvocato che ha assunto per difenderlo non gli è di nessun aiuto. Alla fine del romanzo, Joseph K. (questo il nome del protagonista) viene condannato a morte da un tribunale che non lo ha mai convocato, e viene ucciso – scrive Ka�a – «come un cane» da due misteriosi emissari di quello stesso tribunale.
Questo era un esempio inventato. Ma ecco come la vita di Gustave Flaubert viene raccontata in un saggio divulgaBvo: A Croisset passa il resto della sua vita. Qui amministra le rendite del patrimonio familiare. Trascorre gli inverni a Parigi. Fa un lungo viaggio in Medio Oriente e in Italia negli anni 1849-‐1851. Non c’è niente di sbagliato, ma sembra l’elenco del telefono. Si può riscrivere in maniera un po’ più elegante, senza rinunciare alla semplicità: A Croisset passerà il resto della sua vita amministrando le rendite del patrimonio familiare: le uniche distrazioni saranno i soggiorni a Parigi, durante l’inverno, e un lungo viaggio in Medio Oriente e in Italia negli anni 1849-‐1851.
Ritocchi minimi, come si vede; ma il periodo adesso ha un suono un po’ meno monotono. Questo genere di prosa singhiozzante, a pensierini affiancaB, si trova abbastanza di frequente sui giornali, e si capisce perché: i giornalisB devono scrivere in freGa, e snocciolare le frasi una a una è più facile che organizzarle in un periodo un po’ elaborato. Ma questo sBle sincopato diventa spesso maniera.
FRASI NOMINALI
Il verbo è l’elemento fondamentale della frase. Si possono anche scrivere frasi senza verbo, o col verbo soPnteso (frasi nominali), ma solo in casi parBcolari – per esempio nei proverbi (‘Tale padre, tale figlio’) o negli slogan pubblicitari (‘Malizia, profumo d’intesa’) – e per precise ragioni espressive: Un colpo alla porta. Poi silenzio. Nessuno. Un altro colpo alla porta. E in quel preciso istante, una risaBna stridula.
Si può fare, in un romanzo giallo, per rendere l’angoscia di chi ascolta i colpi baGuB sulla porta e la risata dell’assassino (anche se bisogna dire che come effeGo è piuGosto grossolano). Ma quando scriviamo un testo argomentaBvo i verbi ci vogliono. Perciò non prendete esempio da passi come questo (autenBco, da un quoBdiano nazionale), in cui sembra che l’autore sBa facendo i segnali coll’alfabeto Morse:
Venezia dopo Genova. CiGà di mare. Con una storia lunga. E importante. Di autonomia. Potere. Oggi divise. Non solo perché alla testa di due diversi mari. Ma perché diverso è il loro desBno. Trentatré parole, nove frasi, un verbo solo: non ci vuole molto per capire che non va bene. Ma anche senza arrivare a quesB estremi groGeschi, a me capita spesso di correggere temi pieni di periodi che cominciano così:
“Testo con argomenB profondi, leggibile anche da parte di un pubblico adolescente”. “Essenziale per Eliot la collaborazione con Pound, che lo supportò nella revisione di La terra desolata”. “Interessante e coinvolgente il video che accompagna la canzone”. Riscriviamo queste bruGe frasi, che ricordano il peggiore gergo giornalisBco:
È un testo che affronta argomenB profondi, ma può essere leGo anche da un pubblico di adolescenB [Certo, ‘argomenB profondi’ è atroce, semmai ‘complessi, delicaB’, ma vabbè…]. Fu essenziale, per Eliot, la collaborazione con Pound, che lo aiutò nella revisione della Terra desolata [‘supportare’ è orribile; e l’arBcolo dei Btoli è meglio eliminarlo in corpo di frase, quindi non ‘nella revisione di La terra desolata’ ma ‘nella revisione della Terra desolata’, così come diremo e scriveremo ‘nei Promessi sposi’ e non ‘ne I promessi sposi’]. Anche il video che accompagna la canzone è interessante e coinvolgente [come dico qui soGo, l’ordine naturale della frase in italiano è soggeGo-‐verbo-‐complemento, non cominciamola col nome del predicato].
• “Perché molB – molB studenB sopraGuGo – scrivono spesso frasi del primo Bpo, senza verbo? Perché, oltre ad avere un orecchio ancora rozzo, dal momento che hanno leGo poco, sono insicuri, e pensano che meno parole adoperano meglio è. È vero, la sintesi è quasi sempre una buona cosa, ma non la si può oGenere a costo di sopprimere gli unici cosBtuenB fondamentali della frase: i verbi.
L’ORDINE DELLE PAROLE L’ordine naturale della frase, in italiano, è soggeGo-‐verbo-‐complemento (‘Il deejay meGe la musica’) o soggeGo-‐verbo-‐proposizione subordinata (‘Il deejay ha smesso di suonare la nostra canzone’). In linea di massima, cerchiamo di non stravolgerlo se non è necessario. Non scriviamo: … e a questa sua simpaBa penso che si debba il successo che riscuote tra i coetanei; ma scriviamo: … e penso che il successo che riscuote presso i coetanei si debba a questa sua simpaBa.
Ci si domanderà: ma quando si può non conservare l’ordine soggeGo-‐verbo-‐complemento? Lo si capisce a orecchio, ma per esempio quando si vuole isolare nella frase un termine per richiamare su di esso l’aGenzione del leGore, come nei casi seguenB: Il denaro venne dato al venditore. Ma era all’intermediario che occorreva darlo. La guerra è vinta, ed è questo alla fine ciò di cui dovremmo essere orgogliosi. Ciò deGo, è chiaro che manomeGere l’ordine naturale della frase italiana si può se si ha un oPmo controllo della sintassi, un oPmo orecchio. Prendiamo questo passo da Il mio mesBere di Natalia Ginzburg:
Io e la mia vita eravamo diventaB qualcosa d’irriconoscibile rispeGo a prima. D’immutato restava il mio mesBere, ma anche lui è profondamente falso dire ch’era immutato, gli strumenB erano sempre gli stessi ma il modo come io li usavo era un altro. Qui, a voler essere ortodossi, è tuGo sbagliato, perché la sequenza ‘naturale’ soggeGo-‐verbo-‐complemento è turbata da una serie d’inversioni e topicalizzazioni. Invece non è sbagliato affaGo, e anzi il periodo acquista – grazie a queste inversioni, a questa sintassi svelta, colloquiale – una speciale vivacità. Ma bisogna essere bravi.”
Mai (quasi mai) separare il soggeGo dal verbo
È un errore che si commeGe facilmente. Dobbiamo parlare, poniamo, di Cavour? Come prima cosa allora scriviamo ‘Cavour’, senza pensarci. Poi però ci ricordiamo che cosa vogliamo dire, esaGamente, di Cavour. Vogliamo dire, poniamo, che morì pochi mesi dopo l’unificazione italiana. E allora aggiungiamo quella che si chiama una subordinata circostanziale, cioè una frase che aggiunge qualcosa alla frase principale (che ne precisa, appunto, le circostanze): ‘Cavour, poco dopo la proclamazione del Regno d’Italia, morì a Torino’. Ma è meglio non separare il verbo dal soggeGo a cui si riferisce, cominciando il periodo non col soggeGo ma con la subordinata circostanziale: ‘Poco dopo la proclamazione del Regno d’Italia, Cavour morì a Torino’. Un paio d’esempi:
Alessandro Manzoni, dopo essere rientrato dal suo soggiorno fiorenBno, si rimise a lavorare ai Promessi sposi → Dopo essere rientrato dal suo soggiorno fiorenBno, Alessandro Manzoni si rimise a lavorare ai Promessi sposi. La leGeratura, dal momento che parla della vita degli esseri umani, interessa tuP → Dal momento che parla della vita degli esseri umani, la leGeratura interessa tuP. AGeniamoci quindi a questa successione: non soggeGo-‐subordinata-‐verbo bensì subordinata-‐soggeGo-‐verbo; e dopo la subordinata mePamo una virgola.
Gli arBcoli Esistono, usiamoli: I tedeschi dichiararono guerra a Polonia e Francia → I tedeschi dichiararono guerra alla Polonia e alla Francia. Foscolo scrive le sue più grandi opere poeBche tra Rivoluzione francese e Restaurazione → Foscolo scrive le sue più grandi opere poeBche tra la Rivoluzione francese e la Restaurazione. Esistono arBcoli determinaBvi e indeterminaBvi. Usiamo entrambi quando ci vogliono. Lo dico perché noto che spesso si trova l’indeterminaBvo là dove dovrebbe starci il determinaBvo, sempre per la smania assurda di scrivere bene, cioè di allontanarsi dall’uso normale della lingua:
“La confusione che segue alla diffusione del contagio fa sì che inizi una ricerca di un capro espiatorio”. Perché ‘una’ ricerca? E perché ‘una’ al posto di ‘la’ dovrebbe suonare più elegante? Non si capisce, ma lo trovo di conBnuo nei compiB scriP. Forse è sempre perché il vago rassicura e il determinato spaventa… ArBcolo davanB ai nomi propri (il Paolo, la Giovanna): mai. ArBcolo davanB ai cognomi: dipende. Si scrive ‘il Leopardi’, ‘il Bernini’? Si scriveva spesso così in passato. Oggi per lo più l’arBcolo si omeGe: ‘Leopardi ha scriGo’ e ‘Bernini ha scolpito’ vanno benissimo. Fino a qualche anno fa, poi, i cognomi delle donne non erano un problema. Natalia Ginzburg era la Ginzburg, Virginia Woolf era la Woolf. Da qualche anno a questa parte si è cominciato a senBre e a leggere ‘In Lessico famigliare Ginzburg scrive che…’, ‘In Orlando Woolf osserva che…’. Non è ancora prassi, ma potrebbe diventarlo. Voi scegliete l’uno o l’altro modo e mantenetelo in tuGo il vostro testo.
AGenzione alle perifrasi Da un manuale scolasBco: Tiepolo sceglie insomma un personaggio legato alla dimensione infanBle. Non c’è nulla di sbagliato, in questa frase; ma che vuol dire ‘legato alla dimensione infanBle’? Vuol dire che Tiepolo sceglie di raffigurare un bambino. Ma allora perché non dirlo chiaro? Tiepolo sceglie insomma di raffigurare un bambino. Semplice, chiaro, direGo. Ma ‘dimensione infanBle’ si spiega sempre alla luce della famosa tendenza a evitare le parole concrete (‘bambino’) a vantaggio delle parole o costruzioni astraGe (‘dimensione infanBle’). Da un sito internet di compiB svolB per gli scolari:
Ossi di seppia è la prima raccolta di Eugenio Montale. L’opera vede una prima pubblicazione nel 1925 per mano dell’amico editore GobeP. A parte che ‘pubblicare per mano’ non si può dire, il problema è il verbo ‘vede’, che si trova spesso usato in questo modo impreciso, accompagnato da un soggeGo astraGo: I primi anni del secolo vedono una profonda sintonia con le altre leGerature europee. La Restaurazione vede una ripresa del potere da parte degli aristocraBci. Non è un uso molto elegante. Meglio girare la frase: Ossi di seppia è la prima raccolta di Eugenio Montale. Il libro venne pubblicato nel 1925 per iniziaBva dell’amico editore GobeP. Nei primi anni del secolo c’è [o ‘si avverte’, ‘si nota’] una profonda sintonia… Nell’età della Restaurazione gli aristocraBci riprendono il loro potere…
Il pericolo dei verbi al passivo
Dalla tesina di uno studente di LeGere: La differenza più vistosa, rispeGo ai precedenB album, consiste nella collaborazione con produGori musicali diversi da quelli abituaB a lavorare con la star, ma che sono staB voluB per partecipare nella stesura di questo album dall’arBsta in quesBone.
La prima frase va benissimo, poi, dopo “star”, qualcosa scricchiola. Possiamo provare a correggerla ripetendo la parola ‘produGori’: ‘produGori musicali diversi da quelli abituaB a lavorare con la “star”, produGori che sono staB voluB per partecipare…’. Va meglio, ma non va bene. Il problema è il verbo al passivo, ‘sono staB voluB’, che è pesanBssimo e dà alla frase una struGura inuBlmente complicata. Questa complicazione fa anche sì che chi scrive non faccia aGenzione alle preposizioni, e scriva ‘partecipare nella stesura’ anziché, com’è correGo, ‘partecipare alla stesura’. Riscriviamo semplificando, e cioè prima di tuGo spezzando il periodo con un segno di interpunzione forte:
La differenza più vistosa, rispeGo ai precedenB album, consiste nella collaborazione con produGori musicali diversi da quelli abituaB a lavorare con la star: l’arBsta in quesBone li ha voluB far partecipare alla stesura di questo album. Ecco, ora la sintassi va bene. Il senso non tanto, perché la seconda frase ripete in sostanza quello che dice la prima – non c’è da stupirsi: quando si scrive male in genere si perde anche il controllo di ciò che si dice, e si dicono cose sbagliate o superflue. Al di là di questo, però, che cosa ci insegna questo esempio? Che è meglio adoperare i verbi nella diatesi aPva piuGosto che nella diatesi passiva.
Altri esempi
Ai giornalisB, l’invito a procedere nell’inchiesta è venuto dal direGore del giornale → Il direGore del giornale ha invitato i suoi giornalisB a procedere nell’inchiesta. Le mie lezioni vengono viste dagli studenB come un’occasione per avvicinarsi alla civiltà del Medioevo → Gli studenB considerano le mie lezioni come un’occasione per avvicinarsi alla civiltà del Medioevo.”
Proviamo allora con quesB esempi scriP nel linguaggio della burocrazia, dove il proposito di mantenere le distanze, di suonare impersonali, porta spesso a largheggiare nell’uso della diatesi passiva e del cosiddeGo si passivante: Si rende noto che per l’espletamento delle praBche amministraBve viene richiesta un’ulteriore marca da bollo del valore di € 12.90 accompagnata dal versamento di 10 euro sul conto corrente postale intestato all’ufficio X. Da parte dei deputaB si sono votate norme tese alla regolarizzazione della situazione degli immigraB. MePamo i verbi all’aPvo:
Gli interessaB devono allegare una marca da bollo da € 12.90 e versare € 10 sul conto corrente postale intestato all’ufficio X. I deputaB hanno votato delle norme che mirano a regolarizzare la situazione degli immigraB [coll’occasione diamo una puliBna in giro: fuori i parBcipi e i sostanBvi astraP (‘tese’, ‘regolarizzazione’), dentro i verbi di modo finito (‘che mirano’)]. Così va meglio. Questo non vuol dire che i verbi al passivo non vadano usaB, naturalmente. Ma usiamoli sopraGuGo quando il soggeGo logico dell’azione non viene espresso: “Gli affreschi sono staB restauraB di recente”.
Le pietanze vengono cucinate ogni giorno con ingredienB freschi. I pazienB verranno chiamaB secondo l’ordine di prenotazione.
Evitare rime e bisBcci Può capitare che le parole che adoperiamo in una frase rimino tra loro. Non è una catastrofe, ma non suona bene. Se succede (e se ve ne accorgete), cambiate una delle due parole o, meglio ancora, riformulate la frase: L’aGenzione per la buona informazione disBngue il nostro giornale → Il nostro giornale si disBngue per la cura nell’informazione oppure Il nostro giornale ha sempre avuto a cuore la buona informazione. Hanno avuto l’opportunità di crearsi una nuova idenBtà → Hanno potuto crearsi una nuova idenBtà. Ma, come sempre, mai troppo zelo, perché ci sono casi in cui la rima non dà alcun fasBdio, per esempio quando le parole che rimano sono conBgue: ‘Non è l’amore ma il dolore la Musa che ispira il poeta’. È quesBone d’orecchio.
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