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  • Capitolo primo L'IMPRENDITORE IN GENERALE

    1. Impresa ed imprenditore nel sistema del codice civile e nel rapporto con le norme costituzionali L'imprenditore chi esercita professionalmente un'attivit economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (art. 2082 c.c.). Occorre precisare, preliminarmente, che impresa ed imprenditore costituiscono i pilastri del diritto commerciale, dal momento che quella della societ la forma di esercizio d'impresa pi diffusa, oltre al fatto che l'imprenditore quasi sempre controparte di contratti tipici ed atipici, per non parlare della centralit che di fatto ha nell'ambito dei titoli di credito. L'importanza data ad imprenditore ed impresa deriva addirittura dall'articolo 41 Cost., che la definisce libera e ne impedisce lo svolgimento se in contrasto con valori social-esistenziali; tale articolo in realt inserito nel pi ampio ambito del Titolo "Rapporti economici", che negli artt. 43, 45, 46, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 42, 47 Cost. cita imprenditori ed impresa in materia di attivit economica e di rapporti di lavoro, compresa la tutela dello stesso. In definitiva, i principi pi importanti in questo ambito restano quelli dell'art. 41 Cost.: libert d'iniziativa economica e compatibilit con l'utilit sociale; da questi due derivano importanti corollari: a) la libert d'iniziativa economica implica quattro libert: (i) di intraprendere l'attivit di impresa, (ii) di svolgerla senza condizionamenti e (iii) di cessarla senza interferenze e (iv) di agire in libera concorrenza. Per garantire l'effettiva attuazione di questi principi esiste, dal 1990, un'autorit che previene fenomeni di monopolio di fatto, concentrazioni, abuso di posizione dominante etc.; b) inoltre, se da una parte l'idea di utilit sociale costituisce un limite pratico alla libert di inziativa economica, dall'altra le leggi che dal principio costituzionale promanano attraverso il legislatore dovrebbero condurre verso un maggiore benessere collettivo, oltre a sollecitare le imprese a prevenire situazioni di disagio che esse stesse contribuiscono a creare; c) il terzo comma, infine, delinea le finalit sociali del coordinamento e dell'indirizzamento dell'attivit economica da parte delle istituzioni pubbliche. 2. Nozione economica e nozione giuridica d'impresa. La "realt globale" dell'impresa: imprenditore, attivit, azienda La figura dell'imprenditore come concetto economico, prima che giuridico, consiste in uno dei soggetti che concorrono ad organizzare la produzione e dunque a distribuire ricchezza. L'art. 2082 c.c. definisce l'imprenditore, pur definendo al tempo stesso l'impresa: tale articolo si configura quindi come la definizione generale di entrambi gli istituti di impresa ed imprenditore. Pi precisamente l'impresa, in qualit di fattispecie produttiva di effetti giuridici, presuppone l'imprenditore, il quale costituisce un riferimento giuridico di tipo soggettivo in ordine ad alcuni di quegli effetti e nell'ambito di essi. Da questa norma definitoria, che pone quasi specularmente la figura dell'impresa e dell'imprenditore, si dipana una disciplina che analizza l'impresa nei suoi vari aspetti di rilevanza giuridica, senza che ne risenta la propria unitariet: infatti l'impresa colta nella

  • propria "realt globale" gode di un insieme di norme che ne regolano i momenti fondamentali: nascita e morte; rapporto con l'esterno (ditta, insegna e marchio); passaggio volontario o coattivo del complesso di poteri propri dell'imprenditore ad altre persone fisiche in reazione a circostanze fallimentari o di delega. Per realt globale si intende la considerazione di elementi soggettivi (l'imprenditore come soggetto), funzionali (l'impresa come attivit economica) ed oggettivi (l'impresa come complesso di beni per l'attuazione della funzione, cio per l'esercizio dell'impresa secondo l'art. 2555 c.c.) Inoltre, in ordine a dimensione dell'impresa e natura dell'attivit esercitata, sono diversi i rapporti dell'impresa stessa con le autorit pubbliche e private: basti pensare ai regimi contabili, allo statuto del lavoratore o alle modalit di delega.

    3. Gli elementi caratterizzanti l'impresa: A) L'attivit economica. L'impresa illecita. A partire dall'art. 2082 c.c. consideriamo separatamente: A) L'attivit economica: nella sua accezione di utilit sociale costituisce una novit assoluta. Inoltre se ne evidenzia il carattere di attivit, ovvero una serie di atti finalizzati ad un medesimo scopo ultimo, ma senza che essa venga qualificata in base all'oggetto, dal momento che possono aversi attivit non solo commerciali, ma anche agricole o civili. In ogni caso, l'insieme di attivit che l'imprenditore compia in funzione della produzione di beni o servizi connota il carattere economico dell'attivit di impresa. Parlare di attivit cosa nuova rispetto ai vecchi atti commerciali, qualificati come negozi giuridici a tutti gli effetti, ma non dal punto di vista della rilevanza della volont del soggetto: anche l'attivit economica infatti libera e determinata dalla volont del soggetto, ma essa non fatto e nemmeno atto, dal momento che in entrambi i casi si avrebbe un negozio giuridico; si tratta invece di una estrinsecazione della libert che possibile rinvenire nel comportamento positivo iniziale e nel suo carattere durevole, e non anche negli effetti finali veri e propri, cosa che propria del negozio giuridico. Altra conseguenza di questo passaggio che nell'ambito di un'attivit lecita l'imprenditore pu porre in essere singoli atti illeciti e che, nell'ambito di un'attivit illecita plausibile che l'imprenditore compia atti leciti. Nel definire l'impresa illecita occorre distinguere tra l'illiceit intrinseca dell'attivit di impresa e l'illiceit delle modalit di svolgimento di un'attivit di per s lecita: nel primo caso, non potendo sanzionare l'attivit di impresa con il carattere della nullit (non un negozio giuridico), si ricorre ad una sanzione che pu consistere nella rinuncia ai diritti tipici dell'impresa lecita sia per l'imprenditore che per chi con esso entri in contatto sapendo dell'illiceit; nel secondo caso si ha la valutazione, caso per caso dei singoli atti illeciti, i quali sono invece suscettibili di annullamento. 3.1. B) L'organizzazione. Impresa e lavoro autonomo L'attivit deve essere organizzata, e l'imprenditore ha appunto il compito di coordinare i fattori produttivi quali capitale e lavoro. Comprendere quali attivit siano organizzate significa comprendere la distinzione tra attivit a carattere di impresa (organizzate) ed attivit non a carattere di impresa (non organizzate) come il lavoro autonomo. Infatti non c' (e non richiesta) coordinazione di mezzi e personale esterni al soggetto di riferimento. Questa distinzione comunque oggetto di discussione. Inoltre l'organizzazione deve rivolgersi all'esterno, al mercato: infatti l'agricoltore che si sostenti con la propria attivit, seppur economica, non pu dirsi imprenditore.

  • Ma non essendo precisato un livello minimo di organizzazione che funga da spartiacque tra imprenditore e lavoratore autonomo, allora la distinzione in base a a tale aspetto perde di senso, dal momento che anche il lavoratore autonomo (si) organizza e si rivolge all'esterno, impiegando (seppur modesti) capitali. Dunque l'organizzazione diventa un tutt'uno con la professionalit, intesa come autorganizzazione. Confrontando inoltre la definizione di piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.) e quella di professionista intellettuale (art. 2232 c.c.) possiamo notare che, mentre il secondo sostanzialmente prestatore d'opera individuale, pur non escludendo che si possa avvalere di ausiliari o sostituti, il secondo al centro di un'attivit organizzata, purch la produttivit di cui si avvale non ecceda il lavoro individuale. Quando invece il concorso di fattori produttivi determinante e rilevante vi impresa, in ogni caso di rapporto tra fattori o tra fattori e soggetto. 3.2. C) La professionalit. L'impresa occasionale La professionalit un requisito fondamentale per sancire il passaggio da un atto di commercio ad un sistema impresa in forma di attivit, intesa come insieme di atti distinti ma finalisticamente ordinati per un certo obbiettivo: nel senso che il fine comune l'esercizio dell'impresa, e non il lucro o l'intento dell'imprenditore. Dunque attivit economica ed organizzazione non definiscono un'impresa, se non congiuntamente al carattere di professionalit con cui l'attivit svolta. Si intende, con tale attributo, l'abitualit, ma non perpetuit, esclusivit o prevalenza. L'esercizio sistematico dell'attivit, se periodico, definisce un'impresa stagionale (come uno stabilimento balneare) e viene fatta salvo il carattere di professionalit; tuttavia non ammessa occasionalit, ma solo periodicit legata alle condizioni che ne permettano l'esercizio. La durevolezza requisito dunque essenziale, che deve essere rilevabile oggettivamente, e non nelle intenzioni del soggetto. Un buon modo di misurarne l'effettivit consiste nel verificare la stabilit dell'organizzazione nel tempo: se durevole, denota un'impresa non occasionale. Seppure non sufficiente di per s, l'analisi della professionalit non pu essere mai disgiunta da quella dell'organizzazione. 4. Scopo di lucro, economicit e produttivit Dunque il complesso di atti dell'imprenditore e quindi la sua attivit l'esercizio dell'impresa e non il suo intento o il fine di lucro. Quest'ultimo rientra tuttavia nella nozione di professionalit, e ci si chiede se sia essenziale per definire l'imprenditore individuale (art. 2247 c.c., in cui lo scopo di lucro rientra anche nella causa del contratto). Il dibattito tuttavia volto ora a considerare requisito essenziale dell'impresa l'economicit e la produttivit, laddove economicit consiste nell'esercitare l'attivit con metodo economico, e cio coprendo i ricavi con i costi, remunerando cos i fattori produttivi. Non si tratta di un intento soggettivo dell'imprenditore, ma dell'idea di corretto funzionamento di un'attivit di impresa. Nell'ambito della produttivit bene precisare che, indipendentemente dai beni o servizi prodotti o erogati, sia ha attivit d'impresa quando accanto a tale attivit economica siano rinvenibili i caratteri di professionalit ed organizzazione.

  • 5. L'impresa come comunit di lavoro L'impresa non solo esercizio di un'attivit economica organizzata, ma anche una comunit di lavoratori (subordinati e parasubordinati) che hanno il compito di reificare i principi costituzionali che fanno del lavoro un elemento fondante della Costituzione stessa (artt. 1, 3, 4, 35, 36, 37, 38, 43, 46 Cost.). I principi complessivamente rinvenibili sono: 1) il lavoro un dovere non dell'imprenditore, ma di tutti i cittadini; 2) il diritto dei lavoratori a collaborare, secondo legge, alla gestione delle aziende al fine di elevare il lavoro e la produttivit sia socialmente che economicamente; 3) esercizio dell'attivit d'impresa coerentemente con i diritti umani e l'utilit sociale. Infatti l'imprenditore che assuma alle sue dipendenze delle persone ha diritto per legge a godere delle prestazioni lavorative delle stesse (artt. 2094, 2095, 2096; 2086, 2087; 2112). Da tale complesso normativo emerge la volont del Costituente di contemperare i vari interessi in gioco di comunit, lavoratori ed imprenditore. Se dunque vero che l'impresa una comunit di lavoratori, occorre stabilire di chi sia il governo della stessa: quanto dell'imprenditore (art. 2086 c.c.) e quanto dei lavoratori (art. 46 Cost.). Manca, della norma costituzionale, un riscontro in ambito di legge ordinaria: si sono cos consolidate prassi ed usi, come la consultazione tra governo delle imprese e sindacati. 6. L'imputazione dell'attivit d'impresa. Il problema dell'imprenditore occulto. Mancando anche in questo caso specifiche indicazioni normative, si ritiene applicabile il principio generale valido per gli atti giuridici, secondo il quale essi devono essere imputati alla persona fisica o giuridica nel cui nome sono compiuti. In merito alle relazioni economiche, l'attivit di impresa viene cos imputata, con le responsabilit che ne discendono, secondo il criterio della spendita del nome: rischio d'impresa che ricade sulla persona nel cui nome gli atti dell'impresa vengono posti in essere e l'attivit d'impresa viene esercitata. Se poi il vero "padrone" dell'impresa non possa (se impiegato statale) o non voglia (avversione al rischio) manifestarsi nelle vesti dell'imprenditore, pu ricorrere alle forme di gestione societaria (s.p.a. o s.r.l.) pur continuando a comportarsi come imprenditore ed apparendo come tale, dal momento che intrattiene rapporti con clienti, fornitori, banche. In questo caso non c' identit tra chi rischia il proprio denaro e chi si comporta da imprenditore, e si pone il problema su quale sia il depositario delle responsabilit proprie dell'attivit d'impresa (ovvero i rapporti patrimoniali con i terzi), se l'imprenditore occulto o l'imprenditore palese. Secondo il criterio della spendita del nome, a sopportare il rischio di impresa ed a godere della qualifica di imprenditore necessariamente l'imprenditore palese. Sul piano normativo, ai sensi del 1705 c.c., anche un eventuale accordo tra le due figure risulterebbe come un mandato senza rappresentanza, con il mandatario (imprenditore palese) che agisce in proprio nome assumendosi dunque tutte le responsabilit del caso, anche quando i terzi conoscano il mandato. Ovviamente questi ultimi non intrattengono rapporti con il mandante;

  • sul piano della giustizia sostanziale ci fa salvo il principio secondo il quale solo i terzi devono valutare, con diligenza, l'opportunit di trattare di questioni patrimoniali con un certo soggetto (in questo caso necessariamente l'imprenditore palese, per propria stessa natura). Nonostante dunque la responsabilit giuridica rifletta tendenzialmente il rischio economico, esso da solo non qualifica l'imprenditore e nemmeno sufficiente acciocch sorga responsabilit giuridica: sia perch possibile, in qualit ad esempio di socio, sopportare un rischio senza porre in essere attivit di impresa, sia perch deve esserci un certo meccanismo giuridico di imputazione di responsabilit in relazione al compimento di atti, che in questo caso deve eludere i casi di assenza di rischio economico per l'imprenditore palese, che comunque pone in essere atti giuridici. Altre correnti propongono meccanismi diversi di impuazione della responsabilit per gli atti compiuti, rivisitando anche la qualifica stessa di imprenditore e la responsabilit per l'esercizio dell'impresa. A) La spendita del nome non pu essere l'unico criterio di imputazione, con la conseguenza che la paternit dell'agire viene attribuita solo all'autore effettivo dell'atto, indipendentemente dal nome che spende nelle relazioni giuridiche intrattenute. Dunque imprenditore non chi consente l'uso del proprio nome, ma chi agisce in nome altrui: cfr. la c.d. ditta derivata. B) La qualifica di imprenditore spetta al soggetto il cui nome speso, il quale, congiuntamente al soggetto (o ai soggetti) nel cui interesse l'attivit svolta, risponde delle obbligazioni societarie: ci deriva dalla correlazione tra potere di direzione d'impresa e responsabilit patrimoniale (artt. 2257, 2267, 2291, 2318 c.c.) C) Dal momento che la procedura fallimentare espone alle medesime responsabilit patrimoniali sia soci palesi che occulti (a prescindere dal principio della spendita del nome) sembra ragionevole considerare imprenditore sia il soggetto il cui nome speso, sia il soggetto che del primo si avvalso nell'esercizio dell'impresa. E' previsto il "fallimento di socio occulto di societ palese", ma anche il "fallimento di socio occulto di societ occulta", quando fallisca una societ palese dietro la quale se ne celi una occulta. Risulterebbe responsabile quindi chiunque eserciti di fatto un'impresa di cui non formalmente titolare. Le obiezioni adducono l'assenza di attribuzione al prestanome dominus, da parte della disciplina societaria e fallimentare, di responsabilit connesse all'esercizio di attivit di impresa: in quella societaria non c' infatti connessione tra potere di gestione e responsabilit illimitata, dato che il complesso di soci finanziatori risponde delle obbligazioni, anche non possedendo i poteri di gestione (artt. 2257, 2259, 2291 c.c. e, per le societ di capitali artt. 2325, 2462 c.c.); nell'ambito delle societ di capitali, l'autonomia patrimoniale perfetta pone il socio responsabile del solo capitale sociale, senza che l'essere unico socio costituisca una deroga al principio di autonomia patrimoniale; in quella fallimentare anche, per parit di trattamento tra soci occulti e soci palesi nell'ambito del fallimento della societ, non si rinviene un'esenzione di responsabilit per il titolare che si avvale del nome altrui, dal momento che ha una partecipazione sociale. Infatti questa parit di trattamento tra soci palesi e soci occulti, apparentemente fuorviante rispetto alla scissione tra potere di gestione e responsabilit patrimoniale che

  • possibile rinvenire nella disciplina societaria, sottost alla condizione che chi venga assoggettato al fallimento abbia partecipazioni nella societ. La ricerca di criteri diversi di imputazione dell'impresa, per quanto discutibili, contribuiscono ad evitare fenomeni di abuso di interposizione. A tale proposito la giurisprudenza, salvi i requisiti dell'art. 2082 c.c., considera come autonoma impresa commerciale l'attivit con la quale un azionista c.d. "tiranno" abusi della propria posizione favorendo i propri interessi con comportamenti tipici, agendo come fosse socio unico, mediante la gestione della societ nell'ambito della quale possiede una partecipazione. Si tratta di una scissione tra societ originaria e la societ di fatto c.d. "fiancheggiatrice" che ha nella propria ragion d'essere il comportamento dell'azionista tiranno. Costui, diventando cos titolare di un'impresa autonoma e distinta dalla societ originaria, responsabile delle obbligazioni che contrae ed esposto alla possibilit di fallimento anch'esso autonomo. Se da una parte questo tutela gli altri azionisti della societ originaria, non senza ripercussioni patrimoniali negative, la tutela dei creditori limitata a coloro i quali, vantando titoli di credito nella societ fiancheggiatrice, possono insinuarsi nel suo fallimento traendone vantaggio; d'altra parte, l'idea di societ fiancheggiatrice come impresa commerciale autonoma tende a scoraggiare fenomeni di abuso o di uso distorsivo degli strumenti societari. 6.1. L'imputazione dell'attivit d'impresa, con riferimento alla "veste" esterna del soggetto che la esercita: gli statuti dell'imprenditore. L'impresa senza imprenditore Dato che sia persone fisiche, che persone giuridiche, che entit non riconosciute dalla legge possono essere imprenditori, opportuno precisare che, oltre alla disciplina che ha ad oggetto l'esercizio dell'attivit di impresa, esiste anche quella che ha ad oggetto il tipo di imprenditore e dunque la veste con la quale viene esercitata l'attivit d'impresa. Possono infatti esservi imprenditori "in generale", tra cui imprenditori agricoli, imprenditori commerciali e piccoli imprenditori; cfr. artt. 2093, 2201 c.c.. Da ricordare che la qualifica imprenditoriale associata alla professionalit prescinde dal carattere meramente prevalente o esclusivo dell'attivit. Quando in un'impresa esistono i soli profili oggettivi, l'argomento dell'imputazione dell'impresa contempla la figura dell'impresa senza imprenditore, per la quale applicabile la dusciplina dell'azienda e della concorrenza, nella quale rientrano: enti pubblici, associazioni o fondazioni che esercitano attivit d'impresa occasionale; attivit d'impresa esercitata dall'incapace o dal rappresentante non autorizzato; o da entit prive di soggettivit giuridica piena, come i minorenni. Ma tale spersonalizzazione giuridica pu essere rinvenuta anche nelle grandi imprese: sia per la quasi onnipresente separazione tra propriet e controllo, sia per il mutamento continuo dei portatori di interesse (azionisti) senza il contemporaneo mutamento dell'impresa o dell'imputazione della stessa: ci un notevole punto di arrivo, specialmente in relazione al concetto di imprenditore. Se quest'ultimo non coincidesse (anche con) il portatore del potere di gestione, la spersonalizzazione sarebbe praticamente la regola, nella grande impresa quotata. 6.2 L'imputazione dell'attivit d'impresa e la pluralit di attivit d'impresa e di

  • imprese. Gruppo di imprese e "impresa di gruppo" Alla tematica dell'imputazione dell'attivit d'impresa appartiene anche il caso dell'imprenditore che eserciti pi attivit economiche organizzate ad impresa. Non sempre agevole stabilire se, sotto lo stesso soggetto, ci siano pi imprese distinte o un'unica impresa articolata in varie attivit. Se le imprese distinte sottostanno a statuti legali differenti, il problema giuridico non si pone; quando invece sussiste, difficile individuare un criterio unico per individuare l'impresa unica o la pluralit di imprese. In generale: si hanno imprese distinte quando siano rinvenibili differenti attivit ed organizzazioni, con particolare riferimento alle tempistiche tecniche relative ai beni o ai servizi prodotti o erogati; si hanno imprese uniche in presenza di un'unica attivit organizzata con articolazioni di stampo autonomistico sul piano territoriale, amministrativo, contabile o aziendale ("rami d'azienda"). Anche quando i regimi statutari di due attivit differiscano, qualora queste siano esercitate in modo tale da sostanziare un'impresa unica, tale viene giudicata; altrimenti torna la fattispecie delle imprese distinte. Occorre precisare che una pluralit di imprese non necessariamente d luogo a fenomeni di separazione patrimoniale. Ci si chiede infine, rispondendo esaustivamente solo in seguito, se un gruppo di imprese (distinte) possa, in virt della "direzione unitaria" che ne caratterizza l'esercizio, essere considerato "impresa di gruppo". 7. Le distinzioni normative nell'ambito della categoria "imprenditori". Generalit Mentre alcune norme possono applicarsi indistintamente a tutti i tipi di imprenditori, altre, riunendosi in specifici statuti, hanno applicabilit limitata alla tipologia di imprenditore a cui si riferiscono. Occorre precisare che l'art. 2082 c.c. fa riferimento all'impresa senza ulteriori specificazioni, oltre al fatto che gli elementi che la connotano non possono essere considerati identificativi per alcuna specifica tipologia di tale istituto. Esiste dunque una disciplina generale che si applica a tutti gli imprenditori, senza distinzioni sulla natura o la dimensione dell'attivit o sulla natura del soggetto (artt. 2084, 2086, 2094, 2095 c.c.); esistono altres disposizioni dedicate al piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.) o alle imprese esercitate dagli enti pubblici (art. 2093 c.c.), come anche alcune norme dal libro delle obbligazioni ed altrove. A) In relazione all'attivit esercitata abbiamo l'impresa agricola (art. 2135 c.c.), l'impresa commerciale (art. 2195 c.c.), l'impresa civile (non esiste una normazione specifica). B) Con riferimento alle dimensioni dell'impresa avremo il piccolo imprenditore (art. 2083 c.c. e miriadi di norme specifiche), l'imprenditore medio-grande (valutato secondo i parametri della scienza aziendalistica). C) Con riguardo al soggetto esercente potremo avere le due distinzioni tra impresa pubblica & impresa privata e tra imprenditore individuale & societ. D) Possiamo inoltre distinguere tra le imprese a statuto ordinario e quelle a statuto speciale, intendendo per queste ultime quelle categorie professionali le cui normazioni pongono in risalto i loro caratteri peculiari (imprese bancarie, assicurative, editoriali,

  • radiotelevisive). Un tempo si profilava inoltre la distinzione tra imprese soggette a registrazione nel registro delle imprese ed imprese non soggette a registrazione nel registro delle imprese. Questo perch la nuova disciplina rende insensata tale distinzione, oltre ad obbligare imprenditori non piccoli, s.n.c., s.a.s., s.p.a., s.a.p.a., s.r.l., societ cooperative ed enti pubblici aventi ad oggetto esclusivo o prevalente un'attivit commerciale. Si ha inoltre un'apposita sezione che accoglie imprenditori agricoli, piccoli imprenditori, societ semplici e imprese artigiane. 7.1. ... con riguardo all'attivit esercitata. L'impresa agricola e la sua identificazione. Le attivit agricole principali Le norme che interessano l'istituto dell'impresa agricola sono quelle contenute negli artt. 2135,...,2140 c.c., mentre fino all'art. 2187 c.c. sono trattati i contratti associativi in agricoltura. Solo dal 1942 applicabile all'impresa agricola, oltre al proprio statuto, anche quello dell'imprenditore in generale. Anche rispetto a tale versione orginaria, dal maggio 2001 la disciplina dell'imprenditore agricolo stata oggetto di ulteriori modifiche. Del vecchio impianto rimasta la definizione di imprenditore agricolo e la distinzione tra attivit agricole principali e connesse (rispettivamente 1 e 3 commi dell'art. 2135 c.c.), distinzione che non esclude le seconde dall'orbita normativa dell'imprenditore agricolo: questo consente all'imprenditore agricolo di diversificare, entro certi limiti, la propria attivit pur non perdendo la qualifica giuridica di imprenditore agricolo. Le attivit principali elencate nell'art. 2135 c.c. sono accomunate dall'essere, almeno potenzialmente, esercitate in rapporto con il fondo. A) L'impresa di coltivazione del fondo non pu risolversi nella mera raccolta dei frutti naturali del suolo, ma deve assumere i caratteri di un'attivit di produzione dei beni, facendo s che il fondo costituisca un fattore produttivo, indipendentemente dalle modalit tecnico-organizzative con le quali si esplica. Dunque considerata attivit di coltivazione del fondo quella vivaistica, purch il fondo non sia solo strumento di conservazione dei vegetali, ma non quella del giardinaggio, dal momento che il fondo rimane estraneo al complesso aziendale, e nemmeno quella della coltivazione in soluzioni chimiche, avendosi la massima asportabilit. B) Analogamente per la selvicolura, nell'ambito della quale la raccolta del legname rientra solo se non si tratta di un'attivit disgiunta dalla coltivazione del bosco. C) La locuzione "allevamento di animali" sostituisce quella "allevamento di bestiame" dal 2001. Se per "bestiame" si faceva riferimento alle speci animali adibite alla produttivit del fondo, per "animali" si intende ora qualsiasi attivit zootecnica che sia caratterizzata dallo sfruttamento del fondo rustico, senza che siano esclusi animali esotici o speci pi desuete. Dal 2003 considerato imprenditore agricolo professionale (IAP) chi, avvalendosi di specifiche competenze professionali previste per legge, impieghi e ricavi almeno il 50% di tempo e lavoro nell'attivit agricola che, con le competenze adeguate, svolge: l'accertamento di ci spetta alle regioni, fatto salvo il diritto di verifica demandato da parte dell'INPS ai soli fini previdenziali. Tale disposizione contiene l'obbligo di riferimento alla stessa per ogni riferimento legislativo alla figura dell'imprenditore agricolo.

  • 7.1.1. Le attivit agricole per connessione Prima della riforma del 2001 la connessione sussisteva da un duplice punto di vista: - soggettivo: identit tra chi esercitava l'attivit principale e quella connessa (non era considerato imprenditore chi trae olio da olive altrui); - oggettivo: anche le attivit connesse dovevano avere come punto di riferimento il fondo per il loro esercizio Da sottolineare l'ulteriore distinzione tra attivit connesse atipiche, le quali, in assenza di ulteriori specificazioni, venivano giudicate caso per caso in base alla loro accessoriet rispetto all'attivit principale, e quelle tipiche, cio previste dalla normazione come rientranti nel normale esercizio dell'impresa agricola. L'idea delle attivit connesse atipiche colmava un vuoto normativo derivante dalla difficolt di ricondurre alcune attivit connesse ad alcune attivit principali, ma attualmente una variante delle attivit connesse svuotata del suo significato. Per quanto riguarda invece le ipotesi di connessione tipiche, rilevante distinguere due nuovi tipi di connessione: (i) manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti aziendali e non, purch i primi siano prevalenti sui secondi, e (ii) fornitura di beni o servizi mediante lutilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dellazienda normalmente impiegate nellattivit agricola esercitata. Il principio vigente non quello della normalit associata allo svolgimento delle attivit connesse in relazione a quella principale, ma quello della prevalenza, intendendo la preponderanza operativa dell'attivit principale rispetto a quelle connesse, aprendo all'idea di diversificazione delle fonti di ricavo nell'ambito agricolo. 7.1.2. Attivit agricole e societ Dal 2001, affich le societ possano essere considerate imprenditori agricoli a titolo principale occorre che lo statuto preveda come oggetto sociale l'esercizio esclusivo dell'attivit agricola. Salvo ci, occorrono ulteriori presupposti in funzione della veste societaria assunta dall'impresa. A) Societ di persone: almeno la met dei soci (o accomandatari) sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale. B) Analogamente per le cooperative, alle quali richiesto anche l'utilizzo prevalente di prodotti conferiti dai soci. C) Per le societ di capitali occorre che almeno la met del capitale sociale sia sottoscritto da imprenditori agricoli a titolo principale, cosa che deve essere mantenuta anche quando le azioni circolino sul mercato, anche con prelazioni e clausole a favore di tali soci. Alla cooperativa concessa la trasformazione di prodotti provenienti non necessariamente dai propri fondi, oltre al fatto che il conferimento dei prodotti da trasformare o da vendere da parte dei soci debba essere soltanto prevalente rispetto a quello proveniente dall'esterno o dal mercato. Le mutue assicuratrici non possono essere imprese agricole, mentre le altre societ, stanti requisiti soggettivi consistenti nella qualifica di imprenditore agricolo professionale di almeno una parte del nucleo umano d'impresa, possono esserlo. 7.1.3. Lo statuto dell'imprenditore agricolo

  • Se fuori dubbio che dal 2001 si ha uno statuto pi ampio, anche vero il suo carattere di disorganicit, dal momento che mette addirittura in discussione i criteri di distinzione tra impresa agricola ed impresa commerciale. cfr. libro pag 33 7.1.4. L'imprenditore ittico Tra le attivit di allevamento di animali, che costituiscono forme di impresa agricola, rientra anche l'itticoltura, ossia l'attivit di allevamento di specie animali acquatiche. L'imprenditore ittico, equiparato a quello agricolo, non dedito all'allevamento, ma all'esercizio, in forma singola, associata o societaria, dell'attivit di pesca professionale diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri e dolci, comprese attivit connesse. Le attivit connesse devono essere esercitate in maniera non preminente e mediante attrezzature normalmente impiegate nell'attivit ittica principale. Si fa riferimento a: pescaturismo, ittiturismo, distribuzione all'ingrosso. 7.1.5. L'agriturismo Sono attivit agrituristiche "le attivit di ricezione e di ospitalit esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 c.c., anche nella forma di societ di capitali o di persone, oppure associati tra loro, attraverso l'utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attivit di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali". Possono collaborare i familiari, ma anche lavoratori estranei, purch siano considerati lavoratori agricoli. Rientrano tra le attivit agrituristiche: a) dare ospitalit in alloggi o spazi aperti destinati alla sosta dei campeggiatori; b) somministrare pasti e bevande realizzati con prodotti propri o di aziende agricole della zona; c) organizzare degustazioni di prodotti propri; d) organizzare, anche all'esterno dei beni fondiari dell'impresa, attivit ricreative, culturali, didattiche, di pratica sportiva, escursionismo ed ippoturismo. 7.2. L'impresa commerciale e la sua identificazione In relazione alla natura dell'attivit esercitata individuiamo la categoria dell'imprenditore commerciale. Tale figura identificabile attraverso un particolare statuto normativo, ma non gode di una definizione univoca, esistendo invece solo l'art. 2195 c.c., che elenca gli imprenditori soggetti a registrazione. Infatti non ha pi senso effettuare questa distinzione, visti i recenti provvedimenti legislativi e regolamentari che hanno "attivato" il registro. Definiamo le imprese commerciali in negativo come tutte le attivit d'impresa riconducibili all'art. 2082 c.c., con l'esclusione degli imprenditori agricoli. Tale definizione non tiene conto dell'imprenditoriato civile, oltre ad altre lacune che lasciano aperta la questione sull'individuazione delle attivit commerciali. Per quanto riguarda la (pur non corretta) rubrica dell'art. 2195 c.c., l'obbligo di iscrizione previsto per: 1) le attivit industriali, ossia quelle dirette alla produzione di beni o di servizi mediante un processo produttivo che, mediante l'implementazione organizzata di lavoro umano e capitale (in senso lato), trasforma materie prime in nuovi prodotti. L'aspetto dell'organizzazione esclude i liberi professionisti. 2) Le attivit commerciali, ossia quelle intermediarie nella circolazione e nella

  • manipolazione dei beni, intendendo con "manipolazione" attivit che non trasformano i beni ma li catalogano, classificano, scelgono. 3) Le attivit di trasporto, cio quelle che realizzano il trasferimento di persone e/o cose da un luogo ad un altro, per terra, per acqua o per aria. Nonostante sia un'attivit essenzialmente accessoria a quella industriale, l'importanza che ricopre, soprattutto per quanto riguarda il trasporto di persone, fa s che venga considerata autonoma. 4) Le attivit bancarie; 5) le attivit assicurative; 6) le attivit ausiliarie delle precedenti, ossia attivit che ne agevolano lo svolgimento o che comunque risultano ad esse complementari. 7.2.1. Lo statuto dell'imprenditore commerciale A) Obbligo di registrazione nel registro delle imprese (artt. 2188,...,2202 c.c.) anche quando si tratta di ente pubblico che esercita un'attivit commerciale; B) Obbligo di tenere le scritture contabili (artt. 2214,...,2220 c.c.); C) Soggetto a fallimento ed altre procedure concorsuali (art. 2221 c.c.) salvo quando si tratti di ente pubblico; D) Possibilit di avvalersi di ausiliari, secondo legge (artt. 2203, 2213 c.c.) 7.2.1.1. La rilevazione della situazione patrimoniale: scritture contabili e bilancio Prima ancora che un obbligo, le scritture contabili sono, per l'imprenditore commerciale, una necessit ed un'esigenza irrinunciabili: infatti, pur non sussistendo tale obbligo per l'imprenditore agricolo ed il piccolo imprenditore, frequente che queste figure di imprenditore tengano un certo tipo di contabilit. Sono obbligate anche le societ, l'imprenditore commerciale individuale e gli enti pubblici che svolgono un'attivit commerciale in via principale. La tenuta della contabilit e la rilevazione periodica della situazione patrimoniale hanno una triplice funzione: a) quella di verificare costantamente l'andamento dell'attivit in termini di redditivit; b) quella di dare una corretta informativa ai soggetti terzi che intendono entrare in contatto con l'imprenditore; c) quella di permettere di ricostruire la posizione debitoria dell'imprenditore in caso di dissesto o fallimento. 7.2.1.2. Le scritture contabili La disciplina della tenuta della contabilit consta di regole da osservare pedissequamente (pena sanzione anche di bancarotta, in caso di fallimento, per omissione di voci) e di un principio generale secondo il quale compito del singolo imprenditore integrare le scritture contabili con le rilevazioni richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa. Fondamentali sono il libro giornale, il libro degli inventari e la tenuta della corrispondenza. La legislazione rimanda alla dottrina aziendalistica per individuare altre forme di registrazione contabile ritenute necessarie in ossequio al principio generale sopra detto: libro mastro, libro magazzino, disposizioni relative alla modalit di tenuta delle scritture contabili.

  • Le scriture contabili possono essere utilizzate come mezzo di prova sia contro che a favore dell'imprenditore, anche quando formate con mezzi informatici (art. 2215 bis c.c.). Chi voglia accusare l'imprenditore deve comunque fornire tutto il materiale contabile, e non solo ci che pu favorire l'accusa, e l'imprenditore pu controbattere con altre scritture e con ogni mezzo probatorio legittimo (art. 2709 c.c.). I mezzi processuali di acquisizione delle scritture sono: l'esibizione, che pu avere ad oggetto solo determinate registrazioni e viene ordinata dal giudice anche su istanza di parte, e la comunicazione, la quale concerne l'integrale contabilit dell'imprenditore (art. 2711 c.c.). 7.3. Il problema dell'impresa civile L'esistenza di attivit d'impresa non ascrivibili alle categorie riportate agli artt. 2135 e 2195 c.c. ha portato una frangia della dottrina a teorizzare l'esistenza della categoria delle imprese civili. Gli argomenti addotti a supporto sono sia di carattere sistematico che testuale: a) dato che ai punti 1 e 2 dell'art. 2195 c.c. vengono descritte attivit solo parzialmente conformi al dettame dell'art. 2082 c.c. b) allora l'attivit non pu essere qualificata come commerciale, ma nemmeno come agricola c) profilando dunque l'esistenza di attivit che non hanno i caratteri propri della commercialit, come quelle ausiliari. Possiamo considerare attivit civile quella del professionista intellettuale che, pur operando individualmente, presenta caratteri di organizzazione d'impresa e, a maggior ragione, societ di professionisti intellettuali, laddove si accolga l'idea secondo la quale una societ un'impresa. Pur esistendo l'impresa civile, resta da risolvere la questione sullo statuto da applicare, il quale dovrebbe accogliere norme sull'impresa in generale e norme delle categorie principali, fatto salvo il giudizio di compatibilit. 8. Le classificazioni degli imprenditori con riferimento alle dimensioni. Il piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.) Il profilo dimensionale dell'impresa costituisce un elemento discriminante ai fini dell'applicazione dello statuto dell'impresa commerciale: infatti applicabile alle imprese commerciali che non siano di piccola dimensione. I piccoli imprenditori godono infatti di una normaziono speciale che li esenta dall'iscrizione nel registro delle imprese (art. 2202 c.c.), dalla tenuta delle scritture contabili (art. 2214 c.c.) e che li esenta dalla possibilit di fallimento (art. 2221 c.c.), promuovendone sostanzialmente l'attivit e la crescita. Tale quadro normativo non ha tuttavia pieno riscontro in una realt fortemente competitiva che rende la piccola impresa sempre pi simile alla media impresa dal punto di vista dell'attivit e dell'organizzazione del lavoro, che va ben oltre la prevalenza del lavoro dell'imprenditore. Occorre a tale proposito sottolineare che il quadro normativo si complessivamente evoluto verso una maggiore nobilitazione della piccola impresa, che dal 1995 ha l'obbligo di iscriversi nel registro delle imprese, adempimento che ha funzione di

  • pubblicit notizia. Il piccolo imprenditore non riferimento delle procedure concorsuali, ed in merito alla sua individuazione sono stati adottati, nel corso del tempo, parametri fiscali e quantitativi, laddove questi ultimi, tacciati di incostituzionalit per via dell'anacronismo praticamente immediato di un qualsiasi ammontare di denaro, sono stati ben presto cancellati dalla disciplina del piccolo imprenditore, tornando al principio della prevalenza (del lavoro dell'imprenditore rispetto all'apporto degli altri fattori produttivi). La revisione dei criteri di individuazione dettata dall'ambiguit di tale principio ha comunque portato all'adozione di criteri quantitativi che, riferiti a periodi di tempo antecedenti (di un massimo di tre anni) alla presentazione dell'istanza di fallimento, risultano pi oggettivi. Dunque consideriamo irrilevante l'art. 2083 c.c. ai fini dell'individuazione (mentre concorre a definire il piccolo imprenditore elencandone delle sottocategorie ed enunciando il principio della prevalenza, che carattere essenziale) e praticamente abrogato l'art. 2221 c.c. nella parte in cui esclude la fallibilit del piccolo imprenditore. Dunque i fattori che identificano la piccola impresa rispetto alla media impresa sono quelli consistenti nella dimensione e nell'organizzazione interna: il primo fattore attiene alla limitazione nell'impiego di fattori estranei al lavoro dell'imprenditore, che deve prevalere; il secondo attiene alla centralit, sul piano organizzativo, dell'imprenditore, la cui morte o sopravvenuta incapacit mette a repentaglio la sopravvivenza della piccola impresa. Occorre precisare che il codicistico principio della prevalenza , ad ogni modo, sempre pi ignorato dalle innovazioni recenti nell'ambito della legislazione speciale, provocando una divaricazione normativa. Analogo fenomeno ha interessato il coltivatore diretto. 9. L'impresa artigiana E' la categoria di piccolo imprenditore pi discussa, dal momento che la sua disciplina non si concentra su aspetti quantitativi, come nel caso del coltivatore diretto, ma sulla nozione stessa di artigiano. Occorre precisare che l'art. 45 Cost. attribuisce alla legge il compito di tutelare e promuovere l'artigianato, mentre l'art. 117 Cost. specifica che affidata in competenza alle Regioni l'osservanza del principio generale. La legge del 1956, che all'impresa artigiana fa riferimento, non adotta criteri quantitativi nella sua individuazione, ma qualitativi, definendola come l'impresa che (a) avesse per scopo la produzione di beni o la prestazione di servizi di natura artistica o usuale, (b) che fosse organizzata ed operasse con il lavoro professionale, anche manuale, del titolare ed eventualmente dei suoi familiari, (c) che si valesse di personale dipendente purch guidato e diretto personalmente dal titolare, con generale limitazione numerica. La legge del 1985 ha innovato la disciplina dell'impresa artigiana, e pu essere riassunta nei seguenti punti: A) Si ha la definizione di impresa artigiana, compresi i caratteri dimensionali, come attivit di produzione di beni, anche semilavorati, servizi, escluse attivit agricole e altre non inerenti; B) Si ha la definizione di imprenditore artigiano, con il principio della prevalenza e l'attribuzione della responsabilit per i rischi di gestione; C) Si hanno soglie quantitative in ordine al lavoro dipendente di estrazione

  • extra-familiare, con un minimo di 8 ed un massimo di 60 persone che possono prestare la loro opera. In definitiva si ha che la divaricazione tra legislazione speciale e codicistica risulta accentuata a causa delle norme a carattere dimensionale, oltre al fatto che il principio della prevalenza non presente nella definizione di impresa artigiana. La dottrina attribuisce tuttavia maggiore rilevanza, ai fini dell'applicazione dei vari statuti, alla norma codicistica. 10. Le classificazioni degli imprenditori relative al soggetto esercente l'impresa. Imprenditore individuale ed imprenditore collettivo. Rinvio Finora stato adottato come profilo dominante quello dell'impresa in termini di oggetto dell'attivit esercitata e struttura organizzativa. Altri criteri di classificazione attengono invece pi specificatamente al profilo della titolarit dell'impresa, operando la distinzione tra imprenditore individuale ed imprenditore collettivo e tra imprenditore privato ed imprenditore pubblico. Dunque, se non sono gli aspetti oggettivi a determinare l'applicazione dei vari statuti, allora valgono allo stesso modo la nozione di impresa ed il fine dell'attivit (produzione e scambio di beni o servizi). 10.1. Imprenditore privato ed imprenditore pubblico Impresa pubblica quella esercitata dallo Stato o da altro Ente pubblico come regioni, comuni o province e retta da uno statuto specifico che ne enuncia le caratteristiche e gli scopi. Se di facile comprensione il complesso di motivazioni dell'intervento pubblico per quanto attiene alle "aziende autonome", dal momento che forniscono servizi essenziali alla comunit, pi complesso comprendere ci per quanto attiene invece ai veri e propri enti pubblici economici, i quali intervengono in vari settori strategici e si occupano di effettuare interventi di salvataggio. Istituto per eccellenza, almeno nelle intenzioni, l'IRI, che ben presto divenne, di fatto, mastodontica holding pubblica. Negli ultimi anni l'intervento pubblico, sottoforma di imprese e di partecipazioni, si sta assottigliando rispetto al passato, con il contemporaneo incalzare delle politiche di privatizzazione sul piano sia formale che sostanziale. Ci sono anche casi di societ miste, con partecipazioni sia pubbliche che private. Se da una parte l'intervento pubblico pu essere esercitato sotto varie forme, occorre d'altra parte precisare che: a) non sono considerate pubbliche le societ costituite secondo un modello privatistico ma a partecipazione pubblica, anche se di maggioranza; b) non sono considerate pubbliche le societ nell'ambito delle quali lo Stato ha il potere di nominare amministratori o sindaci (art. 2449 c.c.); c) non sono considerate pubbliche le societ di interesse nazionale (art. 2451 c.c.). L'impresa pubblica in senso stretto ha dunque le seguenti caratteristiche, ricavabili da casi reali riscontrabili: 1) Impresa organo: si configura come organo delle amministrazioni di cui fa parte (ministeri: aziende autonome). Profili di autonomia: adotta delibere in proprio; autonomia gestionale; autonomia contabile; bilanci di competenza propri. Vincoli:

  • organizzazione: manca personalit giuridica propria, vertice di azienda presieduto da Ministro; finanziamento: attraverso fondi di dotazione, non con riscorso al mercato; rapporto di lavoro regolato da norme sul pubblico impiego. 2) Impresa ente: Profili di autonomia: oltre ai caratteri gi propri dellazienda autonoma: personalit giuridica; attivit di impresa svolta in via principale; attivit interamente regolata dal codice civile (eccetto fallimento); rapporto di lavoro di tipo privatistico. Vincoli: finanziamento statale (o di altro ente pubblico); gestione degli utili passa attraverso il bilancio statale (o di altro ente pubblico). Dal punto di vista della disciplina applicabile non si hanno particolari differenze tra impresa pubblica ed impresa privata dal momento che, in termini di finalit perseguite, se fuor dubbio che l'impresa pubblica ha per propria natura il compito di fornire beni e servizi ad un costo inferiore a quello che l'impresa privata impone, la nozione di impresa in generale ammette anche il perseguimento di finalit non lucrative e non egoistiche (cfr. artt. 2093, 2201, ma anche art. 2221 c.c.). In ordine alle imprese organo di cui al punto 1) non si ha obbligo di iscrizione nel registro delle imprese (art. 2201 c.c.) e nemmeno soggezione alla disciplina delle procedure concorsuali (art. 2221 c.c.). In definitiva viene applicata agli enti pubblici, limitatamente alle imprese esercitata, la disciplina dell'impresa commerciale (salve obiezioni per via dell'art. 2201 c.c.) e lo statuto dell'imprenditore in generale. 11. L'impresa sociale Tale figura stata introdotta nel 2006, e la rubrica della legge presenta caratteri di ambiguit in ordine alle espressioni "organizzazioni private" , "principale" (pur esistendo parametri quantitativi precisi) e "finalit di interesse generale". Tali profili soggettivi sono seguiti dalla specificazione delle categorie di beni e servizi considerati di utilit sociale: - assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria - educazione, istruzione e formazione - tutela dell'ambiente e dell'ecosistema - valorizzazione del patrimonio culturale - turismo sociale - formazione universitaria e post-universitaria - ricerca ed erogazione di servizi culturali - formazione extrascolastica con finalit di recupero e promozione - servizi strumentali ai servizi sociali, erogati da organizzazioni che esercitano un'impresa sociale al settanta per cento. Altri caratteri salienti della figura giuridica in questione: a) costituzione per atto pubblico ed atto costitutivo; b) gli utili devono essere reinvestiti per le medesime finalit sociali che ha ad oggetto l'impresa; c) l'organizzazione risponde delle obbligazioni solo con il proprio patrimonio, se esso superiore a ventimila euro; d) la maggioranza degli amministratori deve essere eletta internamente; e) la scelta dei soci va condotta secondo il principio di non discriminazione; f) obblighi contabili; g) gli atti devono prevedere la nomina di uno o pi sindaci con compiti amministrativi e

  • di vigilanza; h) sottoposizione a revisione contabile per inadempienze; i) lavoratori e destinatari devono essere coinvolti nell'attivit al punto da poterlne influenzare lo svolgimento; j) liquidazione coatta in caso di insolvenza, con redistribuzione dei fondi ottenuti verso istituzioni ed imprese analoghe; k) trasformazione, fusione e scissione devono essere realizzate in modo da preservare l'assenza di scopo di lucro. 12. I patti di famiglia (art. 768 bis c.c.) Rientrano nell'ambito dell'imprenditore in generale dal momento che riguardano il trasferimento delle aziende ed il trasferimento di partecipazioni sociali. Il contratto di successione richiede la forma dell'atto pubblico, a pena di nullit.

    Capitolo secondo L'IMPRENDITORE INDIVIDUALE

    1. L'imprenditore individuale. Nozione E', per definizione, la persona fisica, ma anche la persona giuridica non corporativa come la fondazione e il patrimonio separato; non il patrimonio autonomo che caratterizzato da una pluralit di costituenti. Tale argomento viene trattato dal momento che vi una parte dello statuto dell'imprenditore che si applica al solo imprenditore individuale che eserciti un'attivit d'impresa commerciale, oltre al fatto che i momenti della vita d'impresa che richiedono una distinta analisi in base alla natura individuale o collettiva dell'imprenditore. Si fa riferimento a) all'acquisto e alla perdita della qualit di imprenditore, b) alla capacit di esercizio dell'impresa e c) alla pubblicit legale. 2. Inizio e fine dell'impresa Mentre per la persona fisica la qualit di imprenditore si acquista e si perde nel momento in cui di fatto inizia e cessa l'attivit d'impresa, per quanto riguarda l'impresa occorre preliminarmente rilevare l'idea secondo la quale l'impresa viene ad esistere assieme alla societ, indipendentemente dall'esercizio effettivo di un'attivit imprenditoriale. In questa sede si parler dell'imprenditore individuale. A) Inizio dell'impresa. Come per l'imprenditore, che tale dal momento in cui esercita di fatto un'attivit di impresa, anche per l'imprenditore individuale commerciale (che ha l'obbligodi iscrizione nel registro delle imprese) vale lo stesso, dato che la funzione dell'iscrizione solo di notizia. Se non c' allora la qualifica di imprenditore con le tempistiche cos previste, c' sanzione (art. 2195 c.c.). Il momento preciso di inizio dell'attivit e dunque della nascita d'impresa oggetto di due differenti punti di vista, uno di natura oggettiva, l'altro di natura soggettiva: (i) l'impresa nasce quando sono realizzate organizzazione e attivit produttiva, dal momento che non impresa l'attivit priva di un'organizzazione stabile come riscontro oggettivo del carattere di professionalit. Vale il viceversa. Dunque solo dopo l'espletamente degli atti sia preparatori che dell'organizzazione si ha l'impresa. (ii) anche gli atti preparatori rientrano nell'alveo dell'attivit d'impresa, cosicch non

  • sarebbe rilevante tale distinzione. L'importante che gli atti in questione siano sempre riconducibili all'attivit d'impresa, anche futura da un punto di vista pratico e globale, dal momento che, ad esempio, indubbiamente centrale la fase di procacciamento della forza lavoro. Al momento di inizio dell'impresa sono associati altri obblighi come quello contabile e di iscrizione nel registro delle imprese (per gli imprenditori commerciali), ma anche diritti di tutela dei segni distintivi e dalla concorrenza sleale, oltre alla soggezione alle procedure concorsuali e alla suscettibilit di fallimento in caso di insolvenza, cosa che riguarda solo le imprese costituite. B) Fine dell'impresa. Anche in questo caso si deve guardare alla cessazione di fatto dell'attivit. La cancellazione dal registro delle imprese non ha effetto immediato nel caso dell'imprenditore individuale. Anche qu si hanno due orientamenti, laddove uno poggia sull'idea che si ha cessazione dell'impresa solo quando alla cessazione dell'attivit si accompagni anche la disgregazione dell'organismo aziendale, mentre l'altro sull'idea che decisiva la sola cessazione o meno dell'attivit produttiva. Il merito di questi due orientamenti di concentrarsi su aspetti non formali, ma strettamente sostanziali. In sede applicativa occorre infatti la concomitanza di eventi indiscutibilmente legati alla cessazione dell'attivit sia dal punto di vista della cessazione della stessa, sia dal punto di vista della disgregazione organizzativa, in modo da rendere chiara il pi possibile la situazione senza che rilevi la volont dell'imprenditore pi della fattualit delle azioni da esso compiute. Dunque si ha disgregazione quando l'attivo sia stato liquidato, comprendendo con esso ogni attrezzatura, anche quella necessaria allo svolgimento dell'attivit. La cessazione dell'attivit pu avvenire anche per la morte dell'imprenditore, ma se gli eredi intendono farla cessare definitivamente dovranno liquidarne l'attivo, ricadendo nella fattispecie della cessazione volitiva e fattuale. Se l'eredit viene accertata come dannosa, la disgregazione elimina i diritti dei creditori, a patto che l'insolvenza si sia manifestata prima della morte o nell'anno successivo. 3. La capacit all'esercizio dell'impresa Chi ha la capacit di agire anche capace di esercitare un'impresa (artt. 320, 371, 397, 425, 2198 c.c., le quali derogano alle disposizioni inerenti al compimento degli atti giuridici). Mentre in tema di rappresentanza il rappresentante pu compiere ogni atto di straordinaria amministrazione, nel caso dell'esercizio dell'impresa ammessa la sola continuazione dell'attivit, e non l'inizio, da parte del rappresentante: ci per quanto riguarda le imprese commerciali, mentre vale il principio generale per l'imprenditore agricolo. Questo perch l'attivit agricola lascia meno spazi agli atti di straordinaria amministrazione (che devono comunque essere autorizzati giudizialmente), richiedendo un'attivit prevalentemente ordinaria e fornendo risultati pi stabili e prevedibili. Ad ogni modo, sempre richiesta l'autorizzazione del giudice e, in alcuni casi, del giudice tutelare: i provvedimenti vanno annotati nel registro delle imprese (art. 2198 c.c.). 4. La pubblicit dell'imprenditore individuale: la storia e la disciplina del registro delle imprese (art. 2188 c.c.) Il registro delle imprese nasce con l'idea di fornire una doppia tutela: quella nei confronti di tutti i soggetti che vi entrano in contatto e quella nei confronti dei terzi portatori di interessi che godono cos dell'informativa necessaria.

  • E' la Camera di Commercio l'ente-sede dell'Ufficio del registro delle imprese deputato a curarne la tenuta. Il registro presenta inoltre sezioni per le imprese solo successivamente obbligate ad iscrivervisi, laddove ci ha funzione di pubblicit notizia: parliamo di imprenditore agricolo, piccolo imprenditore, societ semplice ed impresa artigiana. Ma sono obbligati gli imprenditori agricoli di cui all'art. 2135 c.c., i piccoli imprenditori di cui all'art. 2083 c.c., le societ semplici di cui all'art. 2251 c.c.

    [...]

    Capitolo quarto Gli ausiliari dell'imprenditore

    1. Distinzione tra ausiliari autonomi ed ausiliari subordinati Lo svolgimento dell'attivit imprenditoriale richiede il concorso di mezzi materiali ed energie lavorative il cui coordinamento alla base dell'idea di organizzazione (art. 2092 c.c.). Spesso l'imprenditore si avvale di lavoratori ausiliari dei quali si limita a coordinare l'operato esplicando dunque un'attivit di direzione, pi che di lavoro. Gli ausiliari contribuiscono allo svolgimento dell'attivit, pur rimanendo estranei agli effetti giuridici ed economici (a meno che non abbiano partecipazione agli utili, senza comunque incorrere in perdite) della stessa. La collaborazione pu essere in forma autonoma o subordinata, laddove nel secondo caso l'imprenditore predetermina orario, luogo di lavoro, compiti affidati, gerarchia. La libert di svolgimento del compito assegnato non invece fattore identificativo, dal momento che pu essere vincolato un collaboratore autonomo (come il franchisor) o libero un collaboratore subordinato (come gli uffici legali delle grandi imprese). Nemmeno l'obbligo di prestare semplici energie o di raggiungere un risultato, dal momento che possono aversi rapporti di lavoro autonomo privi di traguardi specifici ed oggettivi (co-amministratori) o nell'ambito dei quali ci viene richiesto (franchisor). Quando l'ausiliare autonomo deve, per la particolare affinit del proprio compito con la struttura dipendente subordinata, essere coordinato con l'attivit imprenditoriale si parla di rapporto di parasubordinazione, con l'imprenditore che resta comunque in alto nella gerarchia: infatti la parasubordinazione considerata, ai fini del tribunale del lavoro, alla stregua del lavoro dipendente subordinato. Quando l'attivit di collaborazione autonoma assume carattere imprenditoriale ed vincolata ed indirizzata verso un particolare imprenditore si ha la figura dell'impresa ausiliaria. Mentre il rapporto di collabrazione subordinata regolato da un unico tipo di contratto, quello di lavoro subordinato, il rapporto di collaborazione autonoma pu essere disciplinata da varie tipologie di contratto a seconda della prestazione che ne forma l'oggetto. In termini di diritto strettamente commerciale, ci che rileva del rapporto di collaborazione subordiata l'assenza di responsabilit soggettiva per gli ausiliari subordinati, gli atti compiuti da tali soggetti sono imputati all'imprenditore, indipendentemente dalla sua volont in tal senso. Se dunque importante avvalersi di ausiliari subordinati, questa regola costituisce il fondamento per una forma di rischio d'impresa.

  • 2. La preposizione institoria L'institore colui che preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale (art. 2203 c.c.), intendendo una sede secondaria o un ramo di essa: dunque, nella struttura in cui preposto, non sottoposto a superiori gerarchie. Da ci deriva la "naturale" attribuzione di un potere di rappresentanza dell'imprenditore che abbraccia tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa o del suo ramo o sede cui preposto (art. 2204 c.c.), pur rimanendo un rapporto di lavoro subordinato per via dell'impossibilit di esercitare la sua funzione di sostituto dell'imprenditore senza la definizione di un preciso rapporto di rappresentanza. Infatti, chiarito ci, si capisce perch sia sottoposto agli stessi obblighi contabili dell'imprenditore e all'iscrizione nel registro delle imprese (art. 2205 c.c.), oltre alle responsabilit penali in caso di fallimento. Dunque i collaboratori autonomi non possono essere institori dal momento che non partecipano di tutto il rischio aziendale e di tutte le mansioni tipicamente imprenditoriali. Il difetto della pubblicit della procura institoria fa ritenere, nei confronti di terzi in buona fede, la rappresentanza generale: ci a conferma dei singolari caratteri della rappresentanza dell'institore. Per la procura institoria non richiesta forma scritta, tranne che per gli obblighi di pubblicit la cui omissione sanzionata con casi di inopponibilit ai terzi in buona fede, e non dunque applicabile l'art. 1392 c.c.. La cessazione della preposizione institoria, che non necessariamente coincide con la risoluzione del rapporto subordinato, va annotata nel registro delle imprese, sia se volontaria, sia se per morte, scadenza del termine. Questo istituto proprio di tutte le imprese commerciali e l'institore si affianca, in funzione subordinata ed ausiliare, agli amministratori nei confronti dei quali risponde del suo operato. 2.1. Il potere rappresentativo dell'institore Esso si estende (art. 2204 c.c.) a tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione, sia necessari che semplicemente utili. Il giudizio di pertinenza attiene alla concreta dimensione dell'impresa, e non alla tipologia astratta cui riconducibile. Il potere di rappresentanza dell'institore caratterizzato da una certa elasticit, che permette all'imprenditore di reintervenire sul contratto di rappresentanza (art. 1392 c.c. se con atto espresso) ampliandolo o limitandolo. Sul piano processuale un punto di riferimento per i terzi attori, oltre che un possibile attore nell'ambito della propria sfera di influenza nell'impresa, salva la possibilit di limitare tale facolt bilaterale (con obbligo di pubblicit, a tutela dei terzi), comunque presunta all'interno della figura dell'institore. Vale la regola generale della contemplatio domini, in tema di rappresentanza. E' obbligo e responsabilit dell'institore comunicare la propria qualifica ai terzi ed possibile anche che i terzi agiscano contro il proponente (questa seconda parte derogativa ed a tutela di chi avesse dubbi sul reale destinatario degli effetti dell'atto) (art. 2208 c.c.): si tratta di una norma che attiene ai rapporti esterni, dal momento che il giudizio di liceit su quelli interni viene stabilit in funzione del principio dell'effettiva pertinenza.

  • 3. I procuratori (art. 2209 c.c.) Ad essi estesa la norma sulla pubblicit della procura institoria, e sono definiti come coloro i quali, in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposti ad essa. Non si tratta degli ausiliari autonomi, e in generale non si tratta di chiunque instauri con l'impresa un rapporto di lavoro continuativo a cui sia connesso un rapporto di rappresentanza, dal momento che il regime della rappresentanza commerciale (artt. 2203 e ss. c.c.) presuppone, nell'ambito della struttura organizzativa d'impresa, rapporti di lavoro dipendente. Il potere del procuratore si compone sia di un profilo esterno, ma anche interno (e non meramente esecutivo) con tanto di funzioni direttive di un settore operativo dell'impresa. Resta comunque un potere limitato che non pu mai abbracciare la globalit dell'impresa e, a differenza dell'institore, il procuratore supervisionato da un superiore gerarchico intermedio. Di nuovo, mancando l'obbligo di pubblicit, la presunzione della generalit della rappresentanza per i terzi in buona fede, pur essendo una rappresentanza sempre limitata al ramo d'impresa: la rappresentanza infatti il mero riflesso esterno del ruolo sostanziale del procuratore. La rappresentanza processuale non stavolta presunta e va specificata per iscritto nell'atto. 4. I commessi Ausiliari subordinati con mansioni di carattere prevalentemente esecutivo con per grande rilevanza esterna: dunque presente un potere di rappresentanza, salve limitazioni contenute nel conferimento dell'incarico. Sono esempi i camerieri, gli addetti alla vendita, etc, tutti quelli che hanno il potere di compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati (art. 2210 c.c.). Ricevono passivamente, per conto dell'imprenditore, dichiarazioni e reclami dei terzi ed attivamente chiedono, nel suo interesse, provvedimenti cautelativi (art. 2212 c.c.). L'imprenditore pu tuttavia limitarne il potere rappresentativo, oltre a quanto la legge in questo senso fa nel seguente modo: a) art. 2211 c.c. b) art. 2213 c.c. c) divieto di esigere il prezzo di merci delle quali non facciano consegna e di concedere dilazioni e sconti non di uso. Tali limiti hanno carattere dispositivo e sono quindi rimovibili con apposita dichiarazione dell'imprenditore, sia tacita per i casi contemplati al punto b) che scritta per i casi contemplati al punto a).

    capitolo quinto L'AZIENDA

    1. Concetto giuridico e concetto economico di azienda L'art. 2555 c.c. definisce l'azienda come il complesso dei beni organizzato dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. Essa figura dunque come strumento,

  • risvolto oggettivo autonomo dell'attivit economica organizzata di cui all'art. 2082 c.c., laddove il rapporto di strumentalit pu essere anche prospettico, ovvero non ancora attuale (questo rileva quando si ha alienazione dell'azienda senza aver intrapreso l'esercizio dell'impresa). Questa conclusione poggia sulla presenza, nella disciplina in esame (che riguarda soprattutto il regime circolatorio), di interessi tutelati gi al momento della costituzione dell'azienda. Appena prima di tale istante, tali interessi non trovano concreta e completa tutela, pur dovendo distinguere il caso dell'impianto organizzativo gi delineato e quello dell'impianto organizzativo ancora aperto e dunque suscettibile di indirizzare l'impresa verso varie configurazioni concrete. La definizione di azienda pone in risalto il vincolo funzionale che unisce le parti e ne sviluppa sinergie che consentono all'azienda di acquisire una rilevanza funzionale maggiore della somma delle singole parti che la compongono (il maggior valore detto "valore di avviamento" e risente positivamente dell'incremento della domanda, oltre che della "bont" dell'imprenditore: un valore immateriale che viene iscritto in bilancio). Queste ultime sono caratterizzate da eterogeneit sia dal punto di vista della loro natura, sia dal punto di vista del diverso titolo giuridico in base al quale colui che organizza l'azienda ha diritto di utilizzarle; inoltre la sostituzione di tali elementi con altri dello stesso tipo non intacca la qualit complessiva dell'azienda, essendo invece un'attivit necessaria nell'ambito dell'esercizio dell'impresa ed in particolare della gestione dell'azienda. Questa la definizione sotto il profilo economico, ma occorre precisare che l'idea di complesso aziendale come cosa diversa dalla somma delle singole parti non presente nella nozione invece giuridica di azienda. Pi precisamente il problema definitorio non consiste pi nel definire l'azienda come bene unico dal punto di vista tipologico, ma dal punto di vista della disciplina concretamente applicabile. Ci sono argomenti a sostegno della visione unitaria dell'azienda ed argomenti a sostegno della concezione opposta: dunque la lacuna verr colmata considerando, caso per caso, se gli interessi coinvolti trovano migliore tutela sposando l'una o l'altra scuola di pensiero. Inoltre il concetto giuridico di azienda non ammette allo stesso modo, nel novero del complesso di beni in generale, beni futuri derivanti dall'adempimento, da parte del terzo contraente, di un contratto a prestazioni corrispettive e servizi, intesi come apporti collaborativi derivanti da rapporti di lavoro dipendente o autonomo. Infatti il Codice civile ritiene i servizi non separati dalla persona e non suscettibili di appropriazione da parte di altri soggetti, dunque non assimilabili al concetto di azienda; in ordine ai beni futuri c' invece l'idea dell'inclusione degli stessi nel disegno organizzativo dell'imprenditore, dal momento che esplica in tal senso una funzione tipica della sua carica. Pur non essendo assolutamente ascrivibili alla nozione di azienda secondo l'art. 2555 c.c., i rapporti patrimoniali rilevano particolarmente nell'ambito del regime circolatorio grazie alla loro funzione strumentale, dal momento che possono costituire la causa principale del trasferimento stesso. 1.1. La circolzione dell'azienda: trasferimento di azienda e trasferimento dei beni aziendali Una parte della disciplina specifica dedicata all'azienda concerne il fenomeno della sua

  • circolazione ed in particolare il fenomeno circolatorio rappresentato dal trasferimento dell'azienda inter vivos. Non si ha, malgrado se ne parli nel Codice, di trasferimento della propriet, ma della titolarit dell'azienda, posizione soggettiva che riflette le diverse posizioni soggettive che il titolare pu vantare in ordine agli elementi dell'azienda. La disciplina riguarda unicamente gli effetti del trasferimento in ordine alla futura attivit economica dell'alienante e sulla sorte dell'insieme di rapporti attivi e passivi connessi all'esercizio dell'impresa (patrimonio aziendale); rileva la tipologia di trasferimento (vendita, donazione, ...etc). Occorre precisare che il fenomeno del trasferimento dell'azienda va tenuto nettamente distinto da quello della successione dell'acquirente nell'esercizio dell'impresa, dal momento che sufficiente che l'azienda ceduta sia astrattamente idonea alla continuazione dell'attivit, e non rilevano dunque i motivi dell'acquisto. E' contemplato anche il caso della successione del complesso aziendale causa morte. La disciplina dell'art. 2556 c.c. ritenuta applicabile anche ai rami d'azienda, ossia le parti della struttura dotate di autonoma organicit operativa in grado di riprodurre, in scala ridotta, il progetto aziendale. I riferimenti al registro delle imprese ed alle scritture contabili fanno pensare al trasferimento di complessi aziendal-commerciali medio-grandi, con conseguente scarsa applicabilit a piccole aziende commerciali ed aziende agricole. Ci si chiede quale sia il confine che demarca un semplice coacervo di beni da un unitario complesso aziendale, in considerazione del fatto che i singoli elementi dell'azienda possono essere oggetto di separata alienazione: la risposta definisce i limiti di applicabilit della disciplina sul trasferimento dell'azienda. Si ritiene debba considerarsi complesso aziendale il nucleo di elementi idonei ad atturare il progetto aziendale mantenendo inalterata la natura e la qualit dell'output; escluso invece l'insieme di elementi atti ad incidere sulla sola redditivit e quindi sul valore dell'azienda. Quando la volont delle parti consista nel considerare azienda ci che oggettivamente pu dirsi tale, la disciplina si applica in toto; altrimenti, se oggetto della transazione solo un complesso di beni, viene applicata la parte di disciplina che tutela gli interessi dei terzi ma non quella che tutela gli interessi delle parti contraenti. Salvo espressa esclusione di beni non essenziali al funzionamento dell'azienda, si ritiene oggetto del trasferimento l'intero complesso aziendale; se per dell'azienda fanno parte beni immobili occorre effettuare un accertamento. Il criterio della buona fede nella interpretazione comporta l'inclusione di scritture e documenti, mentre quello di buona fede nell'esecuzione comporta la comunicazione di informazioni utili al soggetto acquirente. 1.2. Forma e pubblicit del trasferimento La forma scritta richiesta come prova dell'avvenuto trasferimento, a pena di nullit totale se l'assenza di forma scritta riguarda beni aziendali essenziali, parziale altrimenti. Ai fini dei conflitti tra acquirenti rileva chi pubblichi per primo l'atto di acquisto, non essendo sufficiente il possesso di buona fede dato che la regola del "possesso vale titolo" non interessa le universalit di mobili (art. 1153 c.c.). Per i singoli beni in ordine ai quali, ai fini del conflitto, irrilevante la buona fede occorrer affiancare alla pubblicit commerciale da art. 2256 c.c. quella speciale

  • prevista per i singoli beni. La pubblicit da parte dell'acquirente serve ad imputare allo stesso l'attivit svolta dopo il trasferimento dell'azienda: altrimenti l'alienante rester responsabile nei confronti dei terzi in buona fede (principio dell'apparenza). 1.3. Il divieto di concorrenza L'art. 2257 c.c. vieta all'alienante, nei cinque anni successivi all'alienazione, di iniziare una nuova impresa simile a quella ceduta. Questo perch si ritiene che il vecchio imprenditore, conoscendo i caratteri della "clientela ceduta" possa sapere come acattivarsela nuovamente, scoraggiando dunque il nuovo imprenditore dalla continuazione dell'attivit. Entro i limiti dei cinque anni, le parti possono convenire per una limitazione o espansione del periodo di tempo. E' possibile per l'alienante occuparsi della continuazione di un'impresa esistente ed effettuare mosse concorrenziali occasionali, mentre irrilevante, ai fini del divieto, che l'attivit intrapresa si avvalga di un complesso aziendale nuovo, acquistato tra vivi o ereditato da testamento. Il divieto riguarda anche beni succedanei e le zone di chiara ed imminente espansione. Il divieto si applica anche alle attivit agricole connesse. 1.4. La successione nei rapporti contrattuali L'art. 2558 c.c. prevede che oggetto della successione siano anche i rapporti contrattuali stipulati per l'esercizio dell'azienda, intendendo sia i contratti di azienda (mirati a migliorare la produttivit e redditivit del complesso aziendale) sia i contratti di impresa (mirati ad intrattenere rapporti con il mercato): principio dell'unit aziendale. Questa regola conferma in realt gli interessi sostanziali incrociati di entrambe le parti. In quanto alla tutela dei rapporti contrattuali con i terzi la disciplina del trasferimento esclude che essi possano porre un veto al buon esito del contratto di alienazione. Inoltre l'alienante viene liberato, conclusa l'alienazione, delle obbligazioni assunte, consistendo ci in una deroga al principio generale dell'art. 2560 c.c.. fine pagina 117, motivo della deroga Quando inoltre il cambiamento della controparte risulti per il terzo eccessivamente ed oggettivamente onerosa, come nel caso di scarsa qualit personale dell'acquirente o di consistenza del suo patrimonio extra-aziendale, egli pu recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento. L'art. 2558 c.c. fa salva la responsabilit dell'alienante, che non pu porre in essere la vicenda traslativa prima di onorare i suoi obblighi nei confronti del terzo, o comunque prima del suo consenso. La successione dei rapporti contrattuali non riguarda i contratti aventi carattere personale, ossia la cui prestazione sia infungibile e strettamente dipendente dal comportamento della persona. Restano intatti, come parziale deroga all'art. 2558 c.c., i contratti di lavoro subordinato e di consorzio. 1.5. Il trasferimento dei crediti In quanto al trasferimento di crediti, in deroga al diritto comune, rileva la registrazione del rapporto finanziario nel registro delle imprese (pubblicit legale globale) e non la

  • notifica ai singoli debitori (pubblicit analitica di fatto), laddove nel primo caso non si hanno condizioni di opponibilit, mentre nel secondo s, con pregiudizio della vicenda traslativa. Tuttavia resta la disciplina dell'art. 1264 c.c., cosicch sorge una nuova deroga all'art. 2193 c.c.. Se la cessione dei crediti sia trattata in clausole o se sia una conseguenza naturale del trasferimento sostanzialmente irrilevante, dal momento che possibile ricavare l'informazione, caso per caso, dal prezzo di acquisto. 1.6. Trasferimento di azienda e responsabilit per i debiti preesistenti I creditori ripongono una certa fiducia nella capacit di restituzione delle imprese sia per via della liquidabilit dei beni aziendali (non surrogabili dal corrispettivo incassato dall'imprenditore alienante) che per l'interesse alla facile circolabilit dell'azienda (che subirebbe un forte rallentamento con la prospettiva di accollarsi debiti di cui non si conosceva l'esistenza): dunque la legge (art. 2560 c.c.) stabilisce che l'acquirente risponde dei debili preesistenti nei limiti della loro risultanza sui libri contabili obbligatori. Dunque la norma non applicabile alle categorie di imprese che non prevedono libri contabili obbligatori; irrilevante la presenza di fatto di tali libri contabili, dal momento che manca comunque l'onere da parte dell'acquirente di consultarli. Salva la possibilit che i creditori lo consentano, invece compito dell'alienante liberarsi dei debiti dei quali l'acquirente risponda, salvo che i debiti siano sorti prima del trasferimento dell'azienda. 2. L'usufrutto dell'azienda: poteri ed obblighi dell'usufruttuario Ai fini dell'usufrutto l'azienda considerata un oggetto separato dal complesso dei beni di cui composta ed appunto suscettibile di essere oggetto di diritti di godimento: in questo modo viene permessa una gestione aziendale dinamica senza che ci comprometta le vicende relative all'usufrutto. L'obbligo dell'usufruttuario consiste nel mantenere la funzionalit del complesso aziendale e del suo potenziale di avviamento. C' l'obbligo di gestire l'azienda, ossia di continuare l'esercizio dell'impresa, dal momento che l'impresa non meramente complesso fisico ma entit dinamica ed in quanto tale presente sul mercato e suscettibile di rimanere in vita. Inoltre l'imprenditore usufruttuario ha il dovere di mantenere la ditta e la destinazione economica. Non potendo definire un concetto di diligenza in base al quale giudicare l'operato dell'imprenditore usufruttuario, richiesto ad esso il mantenimento dell'efficienza dell'organizzazione e degli impianti. Per atti di straordinaria amministrazione, sempre nei limiti della liquidit aziendale, deve interpellare il titolare dell'azienda ed ottenerne il consenso. 2.1. I rapporti con la gestione precedente Pur potendo beneficiare dei rapporti giuridici preesistenti per la durata del rapporto di godimento, l'imprenditore usufruttuario non responsabile dei debiti aziendali contabilizzati. Divieto di concorrenza a carico del titolare per il periodo del godimento e dell'imprenditore dopo il rapporto di godimento.

  • 2.2. La cessazione dell'usufrutto Al termine dell'usufrutto, in ordine alla differenza di consistenza dei beni aziendali tra l'inizio ed appunto il termine del rapporto di godimento, si ha neutralit: l'usufrutturario non beneficia di incrementi di valore ed il titolare non riceve pregiudizio da decrementi dello stesso. La differenza tra le consistenze dinventario allinizio e al termine dellusufrutto regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dellusufrutto: questo per diminuzioni di valore riconducibili a colpe dell'usufruttuario (art. 2561 c.c.). 3. L'affitto dell'azienda (art. 2562 c.c.). L'affitto distinto dalla locazione di immobile adibito ad uso industriale e commerciale. Tale figura non richiamata dall'art. 2559 c.c., dunque non si applica in tale ambito la disciplina della cessione dei crediti aziendali.

    Capitolo VIII I CONSORZI E LE ALTRE FORME DI INTEGRAZIONE TRA IMPRESE

    1. I consorzi 1.1. Il codice civile disciplina, agli artt. 2602 ss., i consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, quali forme di integrazione tra imprese a carattere non temporaneo con la finalit di favorire la cooperazione tra i partecipanti. Quello di consorzio appunto un contratto associativo plurilaterale aperto (art. 1332 c.c.) con finalit di cooperazione interaziendale (consorzio di coordinamento) o di limitazione della concorrenza nel rispetto dell'antitrust (consorzio anticoncorrenziale): dunque un'organizzazione comune con finalit di disciplina o di svolgimento di determinate fasi. L'organizzazione comune non ha necessariamente carattere materiale, ma anche decisionale in ordine alla produzione ed ai rapporti con imprenditori concorrenti. Le imprese firmatarie mantengono la propria autonomia giuridica, ma vincolano la propria attivit per determinate fasi ad una disciplina stabilita nel contratto di consorzio, la quale pu avere anche rilevanza esterna nei confronti di terzi. Sono ammessi anche enti pubblici a partecipare a contratti di consorzio. E' possibile l'ingresso di nuovi partecipanti, purch sussista il consenso di tutti i contraenti, dal momento che tale evento comporta una modificazione contrattuale dalla rilevanza tale da richiedere unanimit. Quando il consorzio ha rilevanza esterna aumentano le limitazioni all'autonomia negoziale e l'imperativit della disciplina. 1.2. Il contratto deve essere stipulato per iscritto sotto pena di nullit (art. 2603 c.c.), con ci applicabile anche al caso di modificazioni (art. 2607 c.c.). Se il consorzio intende svolgere attivit con i terzi, le sottoscrizioni dovranno essere autenticate per far s che venga iscritto nel registro delle imprese: dunque rileva l'oggetto del contratto, ovvero l'attivit che le imprese consortili si propongono di svolgere e che sar scelta tra le due alternative dette. Come detto, la rinuncia alla propria autonomia limitata alle "determinate fasi" dell'attivit dedotte in contratto. Il contratto di consorzio deve prevedere: - durata del consorzio; - obblighi assunti e contributi dovuti dai consorziati;

  • - attribuzioni e poteri degli organi preposti al consorzio, che sono responsabili verso gli altri membri con diligenza richiesta all'insegna del principio del buon padre di famiglia; - condizioni di ammissione dei nuovi consorziati; - casi di recesso ed esclusione; - sanzioni per inadempimenti; Il contratto, salvo diverso accordo, pu essere modificato soltanto con il consenso di tutti i partecipanti (art. 2607 c.c.). Salva diversa indicazione sulla durata, il contratto di consorzio ha durata di dieci anni (art. 2604 c.c.); ma i contratti di consorzio anticoncorrenziali hanno durata massima di 5 anni, secondo il principio generale (art. 2596 c.c.). Sotto questo punto di vista, anche se mancano di soggettivit giuridica, questi contratti hanno rilevanza per i terzi. A tale proposito deve essere stabilito dal contratto anche il sistema dei poteri interni in ordine alla rappresentanza in giudizio. L'organizzazione comune mira ad attuare l'oggetto del contratto all'insegna del principio maggioritario (maggioranza per teste, salva diversa indicazione). I consorziati possono impugnare le delibere assunte che ritengano violare il contratto e/o la legge (art. 2606 c.c.); inoltre deve desumersi, nel silenzio della legge, la possibilit per i consorziati di riunirsi in assemblea, mentre il controllo sugli altri consorziati affidato a ciascun consorziato, anche con ispezioni (art. 2605 c.c.). A chi receda o venga espulso non spetta liquidazione (art. 2609 c.c.). Il consorziato pu trasferire l'azienda, con l'acquirente che subentra nel contratto di cosorzio. Entro un mese dalla notizia del trasferimento i consorziati possono, per giusta causa, espellere l'acquirente dal consorzio (art. 2610 c.c.). Cause di scioglimento del consorzio all'art. 2611 c.c.. 1.3. Partecipare ad un consorzio con attivit esterna comporta il conferimento di quote a costituire il c.d. fondo consortile (artt. 2612 e 2614 c.c.), costituito da contributi e da beni con essi acquistati, o altro. Avere rapporti con soggetti terzi significa anche tutela nei confronti di costoro, sia in tema di rappresentanza in giudizio (art. 2613 c.c.) che in tema di autonomia patrimoniale: i creditori possono soddisfarsi sul patrimonio consortile (art. 2615 c.c.), il quale ha autonomia patrimoniale. I consorziati non possono richiederne la divisione per rispondere a loro creditori particolari. Non c' responsabilit illimitata e solidale delle persone che hanno agito in nome del consorzio. Ove gli organi del consorzio assumano obbligazioni per conto dei singoli consorziati, alla responsabilit del fondo consortile si aggiunge quella solidale dei consorziati per i quali le obbligazioni sono state assunte; in caso di insolvenza di un consorziato, il debito si ripartisce tra tutti i consorziati in proporzione alle quote. Questo vale solo nei rapporti interni al consorzio, ossia quando sia insolvente il consorziato nell'ambito del diritto di rivalsa degli altri consorziati precedentemente adempienti nei confronti del terzo: si utilizza il fondo secondo quote. Considerando dunque l'autonomia patrimoniale perfetta e la limitazione di responsabilit alle quote conferite, l'ordinamento prevede l'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese nel luogo dove ha sede l'ufficio destinato a svolgere l'attivit con i terzi (art. 2612 c.c.), oltre alla pubblicit del bilancio del consorzio. Occorrono dunque, di fatto le scritture contabili proprie dell'impresa commerciale ed in particolare della s.p.a.. Pur esistendo un ufficio adibito all'attivit con i terzi, gli atti d'impresa restano

  • riconducibili ai consorziati, in modo da evitare ingiusti accomunamenti dei consorziati al momento della definizione della sanzione. I consorzi possono, dal 2003, trasformarsi in societ e viceversa se presente maggioranza qualificata. 2. Le societ consortili Con l'art. 2615 ter c.c. la legge stabilisce che i consorzi possono diventare societ assumento come oggetto sociale gli scopi indicati nell'art. 2602 c.c.. Pur mancando una legislazione univoca, possibile, con l'autonomia negoziale che permessa nell'ambito di questo fenomeno di trasformazione, adottare una disciplina minuziosa: dall'adozione della s.n.c. discende un potere gestorio in capo a ciascun socio-consorziato (art. 2257 c.c.) e nel contempo un regime inderogabile di responsabilit solidale ed illimitata di tutti i soci (art. 2292 c.c.); l'applicazione delle regole della societ per azioni comporta la suddivisione in organi come assemblea etc, ma con il beneficio della responsabilit limitata, consistente nell'autonomia patrimoniale perfetta (creditori che possono rivalersi sul solo patrimonio sociale, secondo l'art. 2325 c.c.). La regolamentazione delle s.p.a. e delle s.r.l. permette inoltre ai terzi di venire a conoscenza in anticipo della compromissione della capacit di restituzione del debito. Se societ semplice, l'oggetto sociale dovr consistere in un'attivit agricola, dal momento che tale veste societaria associata, per legge, alle sole attivit non commerciali. Quella della societ formata da ex-consorziati una disciplina mista, che abbraccia norme tipiche del consorzio e norme tipiche della disciplina societaria. Ad esempio c' l'obbligo per i soci di versare contributi in denaro diversi dai conferimenti, cosa estranea alle societ lucrative ma espressamente prevista per le societ consortili ai fini del pareggio di bilancio. 3. Il gruppo europeo di interesse economico (Geie) Regolamento comunitario applicabile a tutti gli Stati membri, finalizzato a favorire lo sviluppo della collaborazione tra imprese nell'ambito dell'Unione europea. Ricalca la disciplina dei consorzi con attivit esterna, essendo l'attivit del Gruppo ausiliare a quelle proprie dei suoi componenti. In Italia si ha, in merito, la seguente normativa: - forma scritta del contratto; - iscrizione nel registro delle imprese (con efficacia costitutiva); - dichiarazione nella Gazzetta ufficiale (con efficacia dichiarativa); - obblighi contabili; - redazione del bilancio di esercizio e sua pubblicazione; - imposte dirette applicate a ciascun membro nelle proporzioni stabilite dal contratto e, in mancanza, in parti uguali; - amministratore pu essere anche una persona giuridica, purch ad essa sia ricollegabile un rappresentante persona fisica; - i partecipanti non per forza devono essere imprenditori, ma anche liberi professionisti; - almeno due devono svolgere la loro attivit economica in Stati differenti della comunit. Anche il Geie un soggetto giuridico distinto dai suoi membri, idoneo ad essere titolare di diritti e di obbligazioni di diversa natura (per effetto dell'iscrizione nel registro delle

  • imprese) e dotato di capacit processuale. Tempo indeterminato ed effetti della nullit al pari delle s.p.a.. L'organizzazione interna affidata in gran parte all'autonomia privata. Delle obbligazioni rispondono solidalmente ed illimitatamente tutti i membri del gruppo, considerando che non imposto alcun conferimento per la costituzione del patrimonio del Gruppo. I nuovi membri del Geie rispondono anche delle obbligazioni anteriori al loro ingresso, salvo patto contrario opponibile solo se pubblicato, ed i membri continuano a rispondere delle obbligazioni anche se cessano di far parte del Geie, e la responsabilit rimane, per un massimo di cinque anni, anche dopo lo scioglimento del Geie. L'assenza di legislazione espressa ha offuscato il perseguimento dell'obbiettivo consistente nella sottoposizione dell'istituto del Geie ad una disciplina uniforme. Inoltre la detta responsabilit per le obbligazioni fa convenire ampiamente il consorzio con attivit esterna. 4. L'associazione temporanea di imprese Non ha carattere stabile e duraturo, non comporta la nascita di un nuovo soggetto giuridico e nasce dall'esigenza di consentire ad una pluralit di imprese di assumere la veste di unico contraente per l'esecuzione di un'opera pubblica che difficilmente potrebbe essere eseguita con le forze di una singola impresa, sia per onerosit tecnica, che organizzativa, che finanziaria, che di rischio. Divieto di subappalto. Una delle imprese che si offrono per l'opera pubblica fa da rappresentante in nome e per conto delle altre; la responsabilit e la titolarit dell'affare sono tuttavia in capo a tutti i partecipanti all'A.T.I., ma i lavori possono essere eseguiti in