ALLE RADICI DELL'EUROPA: UN'INDAGINE
FENOMENOLOGICA SULLA CULTURA GRECA ARCAICA
Università Vita Salute San Raffaele - Laboratorio di Filosofia Pratica – 13 novembre 2014
Relatore: Arch. Roberto Malvezzi, PhD; Discussant: Prof. Roberta de Monticelli
Descrizione del Laboratorio
Con Arcaismo greco si intende un periodo storico che è stato il ponte tra il Medioevo ellenico e la
Grecia classica, durante il quale si sono gettate le fondamenta dei più importanti percorsi culturali
dei periodi successivi.
Elemento centrale di questa genesi del mondo Greco è una specifica concezione del Divino, e di
conseguenza, della vita umana, che ha profondamente influenzato le espressioni letterarie,
artistiche e filosofiche dei secoli a venire.
Il Seminario cercherà di mostrare le profonde connessioni esistenti tra i diversi campi della cultura
greca arcaica, indagandoli come altrettanti momenti di fissazione e concettualizzazione del
pensiero greco del Divino.
A tal fine si adotterà una prospettiva di analisi innovativa, consistente nel mettere in relazione
l'apertura del Divino presso i Greci con una epochè, una sospensione dell'atteggiamento ingenuo
del pensiero umano, dalla quale veniva fatta dipendere la possibilità stessa di un percorso umano
di civiltà.
L'esplorazione di questa affinità implicita tra l'arcaismo greco e la fenomenologia trascendentale
non costituisce solo una opportunità ermeneutica; in essa si rilevano le tracce di una prospettiva
strutturale del mondo occidentale, capace di rimandi fertili e inesauribili tra il tempo
contemporaneo e la sua genesi storica.
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Relatore: Arch. Roberto Malvezzi, PhD; Discussant: Prof. Roberta de Monticelli
Le ragioni di un approccio fenomenologico
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Relatore: Arch. Roberto Malvezzi, PhD; Discussant: Prof. Roberta de Monticelli
E. Husserl, Storia critica delle idee
“Solo con una rigorosa filosofia prima può apparire una filosofia rigorosa in generale, una
philosophia perennis che, pur trovandosi certamente in un costante divenire, nella misura in cui
l’infinità appartiene all’essenza di ogni scienza, si trova anche nella forma essenziale della
definitività.”
“Questo sapere autentico, prodotto originariamente dalla piena evidenza, è l’unico, insegna
Socrate, che renda l’uomo veramente virtuoso; oppure, che è lo stesso, l’unico che possa procurare
all’uomo una felicità effettiva, la massima soddisfazione possibile. Un sapere autentico è la
condizione necessaria (e secondo Socrate, anche sufficiente) di una vita razionale o etica.
Ciò che rende l’uomo infelice, che lo induce a perseguire fini assurdi, è la non ragione, il vivere
ciecamente nell’oscurità, la passività inerte che cessa di affaticarsi nell’opera di chiarimento
intorno al vero sapere del bello e del buono.”
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Le ragioni di un approccio fenomenologico
E. Husserl, Idee II
Sez II, cap 1, par 22: L’io puro come polo egologico
“L’io puro non vive soltanto in singoli atti, in quanto li compie, in quanto è attivo, in quanto patisce;
libero e tuttavia obiettivamente attratto, esso procede di atto in atto, subisce stimoli provenienti
degli oggetti che sono costituiti sullo <sfondo>; senza ubbidir loro immediatamente, li lascia
intensificarsi, lascia che essi battano alle porte della coscienza, cede loro ed eventualmente cede
<senz’altro>, passando da un oggetto all’altro.”
Par 23: Afferrabilità del’io puro
L’essenza stessa della memoria di sé implica evidentemente che l’io puro che ricorda se stesso è
presente alla propria coscienza come un io passato, e che d’altra parte è possibile una
conversione dello sguardo in virtù del quale l’io puro si coglie come un io puro della
rimemorazione, e quindi come un presente attuale autopercepito; allo stesso tempo , implica che
esso si coglie come un io che dura nel tempo, a partire da un adesso passato fino ad un adesso
presente, che fluisce attualmente.”
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Le ragioni di un approccio fenomenologico
E. Husserl, Idee I
Sez I, cap 1, par 30: La tesi generale dell’atteggiamento naturale
“Qualunque nostro dubbio o ripudio di dati del mondo naturale non modifica affatto la tesi
generale dell’atteggiamento naturale. Il mondo è sempre presente come realtà; può rivelarsi qua e
là <diverso> da come lo intendevo, questo o quell’elemento va per così dire cancellato da esso a
titolo di <parvenza>, <allucinazione> e simili; ma, nel senso della tesi generale, esso è sempre
mondo esistente.”
Par 31: Mutamento radicale della tesi naturale. <Messa fuori circuito>, <messa fra parentesi>
Par 32: L’<epoché> fenomenologica
“Noi mettiamo fuori gioco la tesi generale inerente all’essenza dell’atteggiamento naturale,
mettiamo tra parentesi quanto essa abbraccia sotto l’aspetto ontico: dunque l’intero mondo
naturale, che è costantemente <qui per noi>, <alla mano>, e che continuerà a permanere <come
realtà> per la coscienza, anche se noi decidiamo di metterlo fra parentesi. Facendo questo, come è
in mia piena libertà di farlo, io non nego questo <mondo>, quasi fossi un sofista; ma esercito
l’epoché <fenomenologica> che mi vieta assolutamente ogni giudizio sull’esistenza spazio-
temporale.
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Le ragioni di un approccio fenomenologico
E. Husserl, Idee I
Sez II, cap 3, par 50: L’atteggiamento fenomenologico e la coscienza pura come campo della
fenomenologia
“Ora, nell’atteggiamento fenomenologico, noi impediamo in universalità di principio il
compimento di tutte queste tesi cogitative, ossia <mettiamo tra parentesi> quelle già compiute e
<non ce ne serviamo> nelle nuove ricerche; invece di vivere in esse e di compierle, compiamo
piuttosto gli atti della riflessione diretti sopra di esse e afferriamo queste tesi come quell’essere
assoluto che esclusivamente sono. Ora noi viviamo completamente in questi atti di secondo
grado, il cui dato è l’infinito campo degli assoluti vissuti –il campo fondamentale della
fenomenologia”
A. Gurwitsch, Studies in Phenomenology and Psychology
“As a consequence of his non-egological conception of consciuosness, not only does the present
writer not speak of a transcendental Ego but would also avoid the phrase transcendental
consciousness. Rather, he would prefer to speak of a transcendental function of both
consciousness at large and specific classes of acts of consciousness (such as perception,
imagination, abstract thinking, and the like) and even of particular acts.”
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Le ragioni di un approccio fenomenologico
G. Piana, L’idea di uno strutturalismo fenomenologico
“La tesi generale e, al contempo, la condizione di possibilità della ricerca fenomenologica suona
dunque così: l’esperienza possiede, in ogni sua forma di manifestazione, una struttura e la
ricerca fenomenologica deve rendere evidente questa struttura, mostrando con chiarezza i
suoi nodi e le sue articolazioni. Dunque, non ogni situazione di per sé descrivibile è meritevole
di essere descritta. Con le parole «esperienza» e «struttura» viene circoscritto per intero lo spazio
dell’indagine fenomenologica. La fenomenologia è dottrina dell’esperienza in senso eminente.
Ma l’esperienza non ha nulla a che fare con la conoscenza pura. La conoscenza è un titolo
per un diverso orientamento della ricerca — l’orientamento di una dottrina della scienza.
Dottrina dell’esperienza e dottrina della scienza sono aree di ricerca assai ampie, cui spesso
capita si essere erroneamente sovrapposte, ma che in realtà debbono essere
distinte con la massima cura. Ma noi non diciamo soltanto che la fenomenologia è in senso
eminente dottrina dell’esperienza: affermiamo anche che una dottrina dell’esperienza, che sia
sviluppata con quella radicalità che la filosofia chiede, può assumere soltanto la forma di una
teoria fenomenologica.”
Gli elementi della ricerca
Analizzare il percorso culturale del periodo Arcaico
sotto la forma di un vissuto storico, focalizzando
l’analisi sul tema dell’Esperienza / Erlebnis.
Riferimenti principali:
- J. J. Pollitt: Art and Experience in Classical Greece
- G. Colli: La Sapienza Greca
- W. Burkert: Ancient Mystery Cults
- J. P. Vernant: Mito e pensiero presso i Greci: studi
di psicologia storica
- R. Buxton, Imaginary Greece. The context of
mythology
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Setting the stage
Medioevo Ellenico - .ca XII – VIII sec. a.C.
• Comparsa dei primi témenoi, nuovi tipi di santuario espressione di una nuova religiosità
• Arte geometrica nella decorazione dei vasi, testimoni di una nuova sensibilità artistica
• Migrazione ionica
• Progressivo incremento della popolazione e formazione della pòlis
• Introduzione della scrittura
Periodo Arcaico - .ca VII – VI sec. a.C.
• Colonizzazione del Mediterraneo
• Nascita dell’architettura e della scultura
• Sviluppo della letteratura
• Nascita del pensiero astratto
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Il senso greco del Divino
Il témenos (dal X sec. a.C.)
• Recinto all’aria aperta il cui cuore era l’altare per il sacrificio, thysìa, e contenente uno o più
elementi sacri, come un albero, una grotta, una sorgente, un boschetto.
• Posizionamento in luoghi sovente remoti, al confini tra le chòrai, o ai margini dei monti, dei
boschi, o del mare. Grande il rilievo assegnato agli elementi naturali.
• Dentro a questo contesto, il rapporto tra uomini e divinità è sempre mediato dal culto, che si
dispiega con l’esecuzione di processioni, inni, danze, rappresentazioni, sacrifici, rituali.
• “The cult is not a response to the experience of the landscape: if even a breath of divinity
betrays some spot as the sphere of higher beings, this is evoked by the institutionalized
cult” (W. Burkert).
• “Cults and sanctuaries are usually established in places where the divinities have chosen
to reveal themselves, and thus foundation myths give great prominence to such
appearances” (C. Marconi)
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Il senso greco del Divino
Il paesaggio della mitologia
• “Every polis inhabited the same landscape as its divinities. The land was full of Gods,
and any special feature of the landscape could be associated with a divinity: mountain
tops with Zeus, springs with Nymphs, caves with Pan, the wilderness with Artemis, the sea
with Poseidon.” (S. G. Cole)
• “In recent discussions of the ancient Greek landscape the subject of this contribution [n.a.,
here I take “landscape” for non-humanized, wild nature] has, as far as I know, received very little
systematic attention […]; the reason or this silence is not far to seek: our ancient sources are
laregely silent on this subject” (H. Forbes). Ciò ha portato a sviluppare diversi approcci:
comparativo, psicologico, ecologico, archeologico, “garbologico”, e “gendrologico”
• In generale, si può effettuare una separazione forte tra il mondo dell’uomo, chòra, che è il
mondo dentro il quale è possibile una forma di controllo sulla physis, sulla realtà che lo
circonda, e il mondo della natura selvaggia, àgrion, sia esso formato dai monti, dai boschi, o dal
mare. In tutti questi casi, l’àgrion svolge un ruolo ambiguo, essendo da un lato luogo pieno di
risorse, e al tempo stesso, di pericoli. Il confine della chòra costituisce dunque il limite oltre il
quale l’uomo può incontrare una alterità sconosciuta, incomprensibile, e ingovernabile, spesso
caratterizzata dai tratti della meraviglia, thaumastòn, e di una violenza non istituzionalizzata
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Il senso greco del Divino
I nuovi caratteri della religiosità greca
• Il panteon reca i segni delle inquietudini storiche dell’epoca: compaiono nuove divinità come
la Morte, la Guerra, la Povertà, il Dolore, la Fame, la Paura, il Timore, oppure creature
mitologiche dall’aspetto mostruoso, come le Furie, le Graie, o come Scilla e Cariddi.
• Emersione della categoria autonoma del Divino (tò théion), che Aristotele fa risalire ai tempi
più remoti: perièchei tò thèion tèn hòlen phýsin. (J. P. Vernant mette in relazione periéchein ai
significati di “avvolgere, nutrire, governare”, mentre W. Burkert lo traduce come “possedere”).
• Assenza di una teologia e di una liturgia, di una classe sacerdotale autonoma, di una
letteratura sacra: la religiosità di quest’epoca chiama in prima persona ciascun individuo in un
rapporto di diretta esposizione, sempre attuale e fattuale con il Divino.
• “Ogni evento che non sia interamente atteso, o che non possa essere manipolato, può essere
un segno: uno starnuto improvviso, un inciampo, un fremito; un incontro casuale, o il suono di un
nome colto di passaggio; fenomeni celesti come lampi, comete, stelle cadenti, eclissi di sole e di
luna, persino una goccia di pioggia.” (W. Burkert)
• Ultimo responso della Pizia (362 d.C.): “Di’ questo al re: il tempio glorioso è caduto in rovina;
Apollo non ha più un tetto sul capo; le foglie degli allori sono silenziose, le sorgenti e i ruscelli
profetici sono morti.”
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Il senso greco del Divino
Una nuova visione del mondo
• Il dominio dell’Uomo si caratterizza per la mortalità, per l’essere costituito sul limite, il péras,
mentre il dominio del Divino attinge al concetto dell’immortale, dell’àpeiron, l’infinito, ciò che è
avulso da ogni determinatezza, e quindi, da ogni prevedibilità.
• Il Divino si caratterizza infatti come il deinòs, l’eccezionale che eccedendo ogni normalità,
può scatenare gli eventi più meravigliosi e più terrificanti.
• Di fronte al potere divino, l’uomo non ha nessuna possibilità di influenza “Vicende terrene!
Prospere, e basta un'ombra a travolgerle: se la sorte è ostile, una passata di spugna stillante, e il
disegno è perduto.” (Cassandra, in Eschilo, Agamennone, 1327-1329)
• L’uomo si muove inconsapevole in un universo estremamente più complesso e più profondo
di come gli appare, del quale egli è completamente cieco, e che non è in grado di comprendere,
né di conoscere. La sua ragione, infatti, procede per costrutti che per loro stessa definizione
essendo limitati, non sono in grado di afferrare il senso di ciò che gli si dispiega intorno
• Emerge la categoria della verità, a-létheia, come opposta alla velatezza dello sguardo
umano. Rispetto al mondo ingenuo, il mondo delle abitudini e delle certezze vane, l’apparire del
Divino, e della verità che esso dis-vela, assume sempre le caratteristiche di una esperienza
eccezionale, o stra-ordinaria, come la definisce Burkert
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Il senso greco del Divino
La nuova posizione dell’uomo
• L’età buia della Grecia lascia intravvedere ancora oggi una concezione dell’universo, nel
quale la posizione dell’uomo è oltremodo instabile e precaria. Privo di strumenti per capire e
operare, l’uomo è in totale balia del Divino.
• La facilità con la quale il Divino esercita il suo potere di trasformazione del mondo è
disarmante. Il suo potere è senza sforzo, àponon, e immediato, àipsa. A titolo di esempio, negli
Inni omerici, si racconta l’azione di Hera, la quale “sferzò il terreno con la mano robusta. Tremò
la terra datrice di vita,ed Era godette nel cuore a quella vista, certa che la preghiera si compisse.
[…] Quando si compirono i mesi e i giorni, e il ciclo dell'anno fece ritornare le stagioni, essa
partorì una creatura difforme dagli dei e dai mortali, il terribile e funesto Tifone, flagello per gli
uomini.”
• Ogni avventurarsi fuori dalle precarie certezze della propria chòra espone l’uomo a rischi
immensi; “là fuori” lo attendono prove inimmaginabili, forze incontrollabili, minacce angosciose.
Eppure, proprio il senso di questa precarietà esistenziale spinge gli uomini ad osare. Si racconta
così della prima navigazione degli Argonauti: “Rushing now into deep danger, they implored the
Lord of Ships to escape the irresistible movement of the Clashing Rocks; for both were alive, and
rolled more rapidly than battle ranks of deep-roaring winds; but that voyage of demigods finally
brought their end” (Pindaro)
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Il senso greco del Divino
Una rappresentazione letteraria
• Nei poemi Omerici il mondo umano e quello divino sono appaiono strettamente intrecciati,
ed è interessante osservare come l’autore conduce la narrazione di fatti che trascendono la
portata delle parole umane.
• “Come contro la riva echeggiante il flutto del mare si scaglia senza sosta sotto l’impeto di
Zefiro; prima si gonfia il mare, ma ecco frangendosi contro la terra urla roco, e intorno alle punte
s’alza in volute, sputa la schiuma del mare”
• “Così due torrenti, talvolta, dai monti precipitando, urtano al confluente l’acqua rabbiosa
delle fonti abbondanti dentro cavo dirupo; ode il rombo lontano, fra le montagne, il pastore.”
• “Come le stelle in cielo, intorno alla luna lucente brillano ardendo, se l’aria è priva di venti; si
scoprono tutte le cime e gli alti promontori e le valli; nel cielo s’è rotto l’etere immenso, si
vedono tutte le stelle; gioisce in cuore il pastore.”
• Queste metafore stabiliscono una connessione diretta con una natura osservata come pura
alterità; più in generale, appare costante il ritorno al dominio dell’esperienza sensoriale, ogni
qualvolta viene affrontato un orizzonte più ampio di quello umano. Auerbach ha affermato: “La
gioia dei sensi è tutto, e in questi poemi viene fatto un grande sforzo per rendercela presente.”
Vernant ha parlato di “esperienza im-mediata” in relazione a questa visione poetica dei fatti.
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La nascita della Sapienza
Una nuova ontologia
• Il secondo atto del rapporto tra umano e divino è l’emergere di una particolare
consapevolezza: se il mondo ammette un punto di contatto tra questi due domini, allora il
mondo del limite non è solamente un aspetto visibile del mondo divino, ma una sua
componente essenziale.
• L'idea di Anànke, la necessità dell'essere, è attestata sia in Omero che in Esiodo, e
acquisisce un ruolo di primo piano nell'organizzazione greca del Cosmo: “Contro Ananke
neppure gli dèi combattono”, afferma Simonide di Ceo.
• Ananke non è solo una divinità: essa è infatti un principio cosmico, che rivela l'irruzione nel
mondo Greco dell'idea che la vera “assurdità” sarebbe proprio il dover procedere dell'àpeiron
dentro le trame di un mondo determinato. Nella legge di Ananke, il Divino si fa tempo, si fa
storia, si fa universo, si fa eterno mutare delle cose che deve però sottostare a una forma di
limite, a un destino definito dall'esigenza di un equilibrio tra le forze in atto.
• Questo rende possibile a Esiodo descrivere addirittura una Teogonia, una storia del divenire
Divino, nel quale si concretizza un esito fausto per l’uomo: il regno di Zeus, che piega le forze
ctonie, selvagge e ingovernabili, e impone all’universo il proprio ordine, la Giustizia.
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La nascita della Sapienza
Una nuova ontologia
• Esiodo spinge la propria audacia poetica ben oltre questo primo, importantissimo risultato.
Nelle “Opere e i giorni” viene infatti descritta una complessa narrazione mitica, quella di
Prometeo, il Titano così vicino all’uomo, da ordire un complotto ai danni di Zeus, in seguito al
quale l’uomo ottenne il dono del fuoco, e Prometeo venne incatenato in un eterno supplizio.
• La “scoperta del fuoco” non rappresenta solo la possibilità di sconfiggere le tenebre; la
scintilla del fulmine di Zeus è infatti innanzitutto una scintilla della sua Sapienza, che permette
all’uomo di acquisire le arti, ovvero la capacità di interagire positivamente con il mondo.
• “Anche prima di me guardavano, ma guardavano invano; udivano suoni, e non era sentire; li
vedevi, erano forme di sogni, la vita un esistere lento, un impasto opaco e senza disegno” dice
Prometeo, nel dramma di Eschilo (vv. 447-450).
• Un altro passo di Eschilo lascia intendere bene il significato per l’uomo di impadronirsi di
una scintilla della Sapienza divina di Zeus: “Intrico di tracce boscose è la Mente, di varchi protesi.
Fruga, il tuo occhio e il mistero rimane.” (Supplici, 87-90).
• Questo passo descrive l’universo come una trama inestricabile, un labirinto di segni nel quale
l’occhio umano inevitabilmente si perde, e non sa trovare il varco verso la verità.
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La nascita della Sapienza
Una rappresentazione grafica
• Dal X sec. A.C., in pieno Medio Evo, si afferma una nuova arte, detta Geometrica.
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La nascita della Sapienza
Una rappresentazione grafica
• Si afferma l’uso di strumenti (compassi, pennelli multipli) che consentono una precisione
sconosciuta ai tempi della vasaria Micenea
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La nascita della Sapienza
Una rappresentazione grafica
• Boardman rileva che questi vasi contengono qualcosa di “more profound than just new pots
and patterns”, mentre S. Langdon fa notare come ”surrounded by virtually nothing but the
natural world, painters of pots turn to what is anything but natural”,
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La nascita della Sapienza
Una rappresentazione grafica
• Queste pitture sembrano evocare il concetto di poikilìa, il principio “cangiante” che spesso
viene associato a particolari situazioni; in Omero, poikìloi sono le armi dei guerrieri, o le pelli
delle fiere, i tessuti dalle trame più fini, e persino un nodo, inestricabile per l'uomo.
• Una delle parole greche per indicare “il tessuto” era pòikila; come ricorda Jenkins
descrivendo l’ambiguità della figura dei tessuti nella cultura greca, “the more poikìlos
(elaborate) the fabric, the more poikìlos (cunning) it became.”
• Il termine sembra dunque descrivere un apparire, nel quale l'occhio umano si perde, e come
tale, esso richiama direttamente l’idea del Divino. L'interferenza visiva che nasce dalla
osservazione prolungata delle campiture geometriche può dunque costituire, nel suo piccolo,
una “esperienza eccezionale”.
• Proprio le trame dei tessuti vengono richiamate come possibile genesi della decorazione
geometrica; una ipotesi alternativa vede in essa invece la astrazione di trame vegetali.
• La questione può essere impostata in una maniera ancora più radicale: il tentativo di
raggiungere la vertigine divina tramite la più rigorosa tecnica compositiva costituirebbe la
applicazione stessa del principio di Ananke, e quindi, dimostrerebbe l’ambizione di
rappresentare l’universo nella sua “verità”, nella sua “svelatezza.”
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La nascita della Sapienza
Una nuova consapevolezza
• La relazione tra “verità” e il disvelamento di una “trama intricata” è del resto ben attestato,
come si è visto in Eschilo; sulla stessa linea semantica si colloca il termine harmonìa introdotto
da Eraclito, che appunto originariamente significa “trama”, e che non indica l’apparente
struttura delle cose: infatti, “la trama nascosta è più forte di quella manifesta.”
Cosa è dunque questa trama nascosta?
• Secondo Eraclito, nessun disvelamento è possibile rimanendo nell’ambito del limite, ovvero
di una metodica e di una ricerca predeterminate: “Chi non spera l’insperabile non lo scoprirà,
poiché è chiuso alla ricerca, anexeréuneton, e a esso non porta nessuna strada, àporon.”
Nel mondo del Divino, ogni determinazione umana, in quanto limitata e conchiusa, porta con sé
necessariamente il proprio superamento, il proprio fallimento.
• “Una sola cosa, la sapienza, vuole e non vuole essere chiamata con il nome di Zeus”.
La verità nasce dal superamento di un approccio assertivo e categorizzante, nel quale gli uomini,
proprio come i cercatori d’oro, “cercano molto, e trovano poco.”
• Occorre dunque un vero e proprio cambio di paradigma. “Uno sperimentare l’immediatezza,
phronéin, è la massima eccellenza; e la sapienza è dire e fare cose vere, apprendendo secondo
il nascimento (physis).”
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La nascita della Sapienza
Una nuova consapevolezza
• G. Colli traduce liberamente phronéin, “comprendere”, con uno “sperimentare
l’immediatezza”, rimarcando la volontà di Eraclito di spingere verso quel nascimento, quella
physis il cui ascolto, come si è visto, impone una fuoriuscita dall’atteggiamento ingenuo proprio
della normalità, delle consuetudini e delle false conoscenze.
• Fuori da questo atteggiamento e da questa struttura di pensiero finita e ottusa non si apre un
brancolare nel vuoto; Eraclito scommette forte sulla scintilla divina che è nell’uomo, scommette
che col sospendersi dell’ottusità naturale si apra un campo di percezione dove sia possibile
cogliere con immediatezza il procedere nascosto del sostrato divino del mondo.
• Questa “filosofia dell’intuizione” non è più legata all’ek-statis poetica ispirata dagli dèi, essa
diviene una qualità umana: “a tutti gli uomini è dato di conoscere se stessi, e di sentire
l’immediatezza.” Per chi riesce in questo intento, si apre un campo che lega direttamente
l’uomo all’àpeiron: “i confini dell’anima, pèirata, nel tuo andare, non potrai scoprirli, neppure se
percorrerai tutte le strade: così profonda è l’espressione che le appartiene.”
• Eraclito esprime la propria via, affermando: “io scindo ciascuna cosa secondo il suo
nascimento, e la manifesto così com’è.” Obiettivo della Sapienza è osservare le cose per quello
che sono, cioè per come si presentano ad una coscienza finalmente aperta ad accogliere la
verità.
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La nascita della Sapienza
Il sogno dei Greci
• Negli ultimi due secoli dell’età Arcaica, noti anche come l’età dei Sapienti, tanti Greci
dedicarono la propria esistenza a cercare la via d’accesso alla Sapienza, e a descrivere la verità
del mondo in modo che essa costituisse una conoscenza stabile, che avrebbe consentito agli
uomini un dominio sul mondo che finora era stata soltanto sognato. Scrive Euripide, nelle
Baccanti: “ed una il tirso battè alla roccia, e ne sgorgò una polla copiosa d'acqua rugiadosa e
chiara. Spinse un'altra la canna entro la terra, e ivi stesso il dio fa zampillare una fonte di vino.
E chi sentiva desiderio di bianco umore, solo a graffiare con l'unghie il suolo aveva latte in gran
copia, e dai tirsi di edera dolci rivi stillavano di miele.”
• Al culmine dell'epoca classica Sofocle, guardandosi intorno, poté finalmente esultare:
“Sono molte le cose eccezionali, ma nessuna è più eccezionale dell'uomo. Egli attraverso il
canuto mare, pure nel tempestoso Noto avanza, fra le onde movendo che ingolfano intorno; e
l'eccelsa fra gli dèi, la Terra eterna, infaticabile egli travaglia, volgendo gli aratri di anno in anno,
rivoltandola con i figli dei cavalli. E la razza spensierata degli uccelli, e delle fiere selvatiche le
stirpi, e le marine creature dei flutti nei lacci delle sue reti avviluppa e fa preda l'uomo
ingegnoso; e vince con le sue trappole l'agreste animale vagante per i monti, e il cavallo dalla
folta criniera sottoporrà al gioco ricurvo, e il montano instancabile toro. […] Possedendo, di là da
ogni speranza, l'inventiva dell'arte, che è sapienza, talora muove verso il male, talora verso il
bene. Se le leggi della terra vi inserisce e la giustizia giurata sugli dèi, eleva la sua patria; ma
senza patria è colui che per temerità si congiunge al male.”
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Relatore: Arch. Roberto Malvezzi, PhD; Discussant: Prof. Roberta de Monticelli
Paidéia
Mìmesis
• La divina intuizione è dunque possibile anche per l'uomo, ma all'uomo non è concesso il
pieno governo di questa facoltà, la cui chiave è indisponibile ad un pensiero che resta limitato.
Per questa ragione, all'arte greca nelle sue differenti forme venne assegnata una funzione molto
elevata, quella di cercare di mantenere vivo e aperto nel mondo dell'uomo questo canale di
accesso al divino. Tale caratteristica dell'arte greca verrà definita “mimetica”, termine con il
quale non si suggerisce una semplice imitazione di qualcosa: Mimesi è disvelamento dei tratti
costitutivi della realtà, emersione del suo substrato divino, della sua “verità”.
• “Radice di mimesis e imitazione è la stessa di immagine e immaginazione, *mei, riferita a
<tutto ciò che di mutevole e intermittente seduce l'attenzione>: al cangiante, vibrante,
ipnotizzante, magico, astuto, ingannevole, alludono al sanscrito mâyâ, l'antico alto tedesco
mein, con richiami al brillio della luce (lat. micare), al pulsare del suono.” (N. Salomon)
• Pare che ogni ambito della cultura greca, dalla pittura alla scultura, dal teatro alla
letteratura, dalla filosofia alla religione, sia stato influenzato da questo approccio disvelatore;
l'insieme di queste pratiche costituiva la paidèia, un sistema educativo che aveva la funzione di
mantenere la consapevolezza delle segrete regole che governano l'equilibrio del cosmo.
Università Vita Salute San Raffaele - Laboratorio di Filosofia Pratica – 13 novembre 2014
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Paidéia
La scultura arcaica
• Nel VII sec. a.C. si assiste alla introduzione di un nuovo tipo di statua, il kòuros, raffigurante
un individuo in età giovanile, e del suo equivalente femminile, kòra. Questi <giovani> non sono
rappresentati nell'atto di compiere qualcosa; la postura esprime un senso complessivo di
stabilità, e quasi l'intenzione di fare un passo. Lo sguardo fisso in avanti, le membra tese, quasi
in attesa che un'azione venga compiuta, essi giovani sanno dove posare il piede; conoscono
l'equilibrio del cosmo, e come evitare il tremendo inganno che attende l'uomo ignaro.
• “La dismisura genera i tiranni: la dismisura, se di molte cose si è riempita follemente, non
opportune e non convenienti, salita su eccelsi dirupi, subito precipita nell'abisso di necessità,
dove non ha saldo il piede.” (Sofocle, Edipo re, vv 873-79)
• Questi giovani non temono di compiere passi falsi; sul loro viso si irradia un leggero sorriso, il
sorriso di Sophia, la Sapienza, il sorriso di chi conoscendo le nascoste trame del cosmo, sa come
percorrerlo, e non ha più paura di avanzare.
• Quella del kòuros non è una rappresentazione realistica: la sua giovinezza non descrive
un'età della vita, ma una condizione interiore.
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Paidéia
La scultura arcaica
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Paidéia
La scultura arcaica
• Racconta Platone che una volta Solone, il sapiente ateniese, si recò in visita in Egitto, e si
fermò a colloquio coi saggi del posto. “Ma uno dei sacerdoti, un uomo prodigiosamente anziano,
gli disse: - O Solone, Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco che sia vecchio non c'è.
E sentendo ciò: - Come mai dici questo? - disse egli; e il sacerdote replicò: - Siete giovani
nell'anima, tutti. Poiché non avete in essa alcuna antica opinione derivata da antica tradizione,
né scienza che per il lungo tempo sia diventata canuta, poliòn”
• Questa eterna giovinezza è la condizione di accesso alla Sapienza; Già Esiodo profetizzava
che Zeus avrebbe posto fine alla stirpe degli uomini, “quando nascendo avranno già bianche le
tempie, poliokròtafoi.” Quando nessuno stupore, nessun entusiasmo più saprà illuminare la via
della conoscenza autentica, non ci sarà nessuna speranza per l'uomo.
• “Allora né il padre sarà simile ai figli né i figli al padre; né l'ospite all'ospite, né l'amico
all'amico e nemmeno il fratello caro sarà come prima. […] il diritto starà nella forza e l'uno
all'altro saccheggerà la città. Né il giuramento sarà rispettato, né lo sarà chi è giusto o dabbene;
piuttosto l'autore di tali mali e l'uomo violento rispetteranno; la giustizia sarà nella forza e
coscienza non vi sarà; il cattivo porterà offese al buono, dicendo parole d'inganno e sarà
spergiuro; l'invidia agli uomini tutti, miseri, amara di lingua, felice del male, s'accompagnerà con
volto impudente.”
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Paidéia
La scultura classica
• “Forse la sua peculiarità più apparente è l'olimpico distacco emotivo che emerge dalle
metope. Un senso di giovinezza distaccata e divina corre attraverso tutte le figure, anche in
quelle che si dovrebbero riconoscere come anziane. Questo olimpianesimo è enfatizzato dal
contrasto deliberato con l'energia selvaggia delle figure animali – la corsa impetuosa dei cavalli,
e la resistenza nervosa di tori sacrificali.” (J. J. Pollitt)
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Paidéia
I riti misterici
• I Misteri, tra i quali i più importanti erano quelli Eleusini, dedicati a Demetra, erano riti segreti
che prevedevano una particolare successione di eventi, al termine della quale gli iniziati
accedevano ad un sapere più profondo, capace di dischiudere la speranza per una vita lieta
nell'aldilà.
• “Felice chi entra nella terra avendo visto quelle cose: conosce la fine della vita, conosce il
principio dato da Zeus.” (Pindaro)
• “Come sostiene Aristotele, che gli iniziati non devono imparare qualcosa bensì subire
un’emozione ed essere in un certo stato, evidentemente dopo di essere divenuti capaci di ciò”
• “Anzitutto i vagabondaggi, i riti logoranti, e certi cammini senza fine e inquietanti attraverso le
tenebre. In seguito, proprio prima della fine, tutte quelle cose terribili, i brividi e i tremiti e i
sudori e gli sbigottimenti. Ma dopo di ciò, ecco viene incontro una luce mirabile, ad accogliere
sono lì i luoghi puri e le praterie, con le voci e le danze e la solennità di suoni sacri e si sante
apparizioni.” (Plutarco)
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Paidéia
La nascita del tempio
• I nàoi, letteralmente “celle”, o “case” degli dei, erano edifici destinati ad accogliere la statua
del culto, ed apparvero all’interno dei témenoi nell’VIII sec. a.C., divenendo presto gli elementi di
maggiore importanza dei santuari.
• I primi templi monumentali (nelle immagini, l’Heraion di Samo, metà del VII sec. a.C., e
tempio di Apollo a Thermon, .ca 630 a.C. - da A. W: Lawrence, Greek Architecture) mostrano già
una caratteristica fondamentale dell’architettura arcaica: una cella stretta e allungata, dotata di
aperture solamente lungo il lato frontale
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Paidéia
La nascita del tempio
• Meno di un secolo dopo venne affermandosi l’architettura in pietra dell’ordine Dorico,
sviluppa soprattutto in ambito corinzio, e caratterizzata da un peristilio con due frontoni
(nell’immagine, il tempio di Apollo a Siracusa, ca 570 a. C., e tempio C di Selinunte, .ca 540 a. C.
- da S. K. Thalmann).
• L’architettura siciliana porta agli estremi i concetti spaziali dell’arcaismo, conservando una
cella stretta e lunga, ora suddivisa in più spazi sopraelevati l’uno rispetto all’altro, di cui la stanza
interiore, inaccessibile, destinata alla statua cultuale, e addossando al fronte principale una
duplice fila di colonne, creando la suggestione di un vero e proprio “bosco di pietra”.
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Paidéia
La nascita del tempio
• “Ciò che in realtà fanno le colonne è fornire margini permeabili; si è
invitati, persino attratti a passare tra gli interstizi, ma permane una
distinzione inequivocabile tra il dentro e il fuori, specialmente quando
le colonne prendono vita sotto il sole della Grecia.” (Burkert)
• L’ architettura del tempio è percorsa da un raffinato sistema di
scanalature, sia sulle colonne che sugli elementi orizzontali, che sotto
la luce del sole percorrono la massa di pietra di una inquietudine,
rafforzata dalle sculture poste nelle metope e nei frontoni.
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• L’effetto complessivo del tempio è quello di costituirsi come una “macchina di variazioni” che
produce un intreccio inestricabile di luci ed ombre. Un tempio non è mai uguale a se stesso:
cambia con le ore del giorno, con il valore della luce, con le stagioni, e in questo metamorfismo,
l’ordine rigoroso evapora in una miriade di effetti chiaroscurali, che inverano il senso della
vertigine del perdersi in un bosco sconosciuto, vanificando e “mettendo tra parentesi” qualsiasi
realtà abituale e consolidata.
• Con lo sviluppo dell’architettura, l’alterità del Divino diviene un possesso stabile della téchne
umana. Il tempio è il più grande dono che gli uomini possano fare ai loro dei.
Paidéia
La nascita del tempio
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Relatore: Arch. Roberto Malvezzi, PhD; Discussant: Prof. Roberta de Monticelli
Secondo S. K. Thalmann, la cella dei templi siciliani prevede una successione di “aree e spazi
accuratamente progettati e articolati”, il cui obiettivo era quello di portare una maggiore enfasi
possibile sulla stanza interiore, che veniva a costituire così “il culmine della progressione
orizzontale e verticale delle forme e degli spazi della composizione architettonica.” Scopo di
questo climax era predisporre il fedele al contatto diretto con l'immagine divina che risiedeva
nell'adyton; come infatti affermava Pitagora, “chi entra in un tempio e vede le immagini degli dèi
da vicino, ottiene una mente diversa”
La “svolta” di Parmenide
Una radicalizzazione dell’ontologia di Anànke
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• “INFATTI LO STESSO E’ PENSARE ED ESSERE” (fr. 3)
•. “Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero, né l’abitudine, nata da numerose
esperienze, su questa via ti forzi a muovere l’occhio che non vede, l’orecchio che rimbomba, e
la lingua” (fr. 7)
•. Da ora il mondo si fa “finito”; sparisce l’idea di àpeiron, ma contemporaneamente, il
pensiero dell’uomo si fa “divino”, tutte le volte che riesce ad uscire dalle nebbie della dòxa,
dell’opinione, e a percorrere le strade della logica (principio di non-contraddizione).
NON ESSERE
PENSABILE ESSERE
IO PENSO ESSERE
NON PENSABILE
La “svolta” di Parmenide
La struttura dell’essere
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• L’essere è:
ingenerato (agèneton) intero (oulomelés)
immobile (atremés) senza fine (atéleston)
connesso (oudé diairetòn) chiuso e limitato (tetelesmènon
pantòhen)
inseparabile (xunechés) omogeneo (homòion)
• “Infatti, Necessità inflessibile lo tiene nei legami del limite, che lo rinserra tutt’intorno”
(fr. 8, vv. 30-31). Parmenide chiama la sua Dea in più modi: oltre ad Ananke, suo nome è anche
Dike, la giustizia. Giustizia e Necessità accomunano uomini e dei, natura e pensiero. Si compie
la teologia di Esiodo. L’uomo può smettere di avere paura.
Conclusioni e suggestioni
Per una struttura storica della cultura occidentale
• Permane la domanda radicale: “come si conosce ciò che è sconosciuto?”
• Eraclito sembra riassumere l’intero percorso dell’arcaismo. Il suo pensiero propone un
superamento dell’atteggiamento ingenuo e del linguaggio assertivo, per “mettersi in ascolto”
delle nascoste trame del mondo, e solo dentro questo ascolto, che è innanzitutto una apertura
della coscienza a se stessa, ritiene di poter raggiungere l’intuizione della verità.
• Parmenide difende l’ipotesi che non esista un substrato divino qualitativamente diverso dalla
ragione assertiva, e che l’unica possibilità per una autentica conoscenza sia l’uso sistematico
del principio di non contraddizione; tuttavia nulla ci dice su come il pensiero debba muoversi,
alla scoperta del suo essere; la sua, dopotutto, è innanzitutto una grandissima “intuizione!”.
• A che punto siamo oggi con la consapevolezza circa il significato della conoscenza umana?
Qual è lo scopo della scienza, decifrare e dominare il mondo, oppure educare l’uomo nella
direzione di costruire una civiltà orientata alla felicità, alla bellezza, e al bene di tutti?
• Si possono stabilire dei paralleli storici tra il dibattito contemporaneo tra Positivismo e
Fenomenologia, e quello tardo arcaico tra Eraclito e Parmenide? Può essere lo Strutturalismo
fenomenologico di Piana considerato come una “sintesi“ di Eraclito e Parmenide?
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Relatore: Arch. Roberto Malvezzi, PhD; Discussant: Prof. Roberta de Monticelli
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Il portale Lulu dal quale scaricare gratuitamente lo studio in pdf (in inglese): http://www.lulu.com/shop/roberto-malvezzi/the-archetype-of-wisdom-a-phenomenological-research-on-the-greek-
temple/ebook/product-21327381.html
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Il blog dell’autore: Trame Silenziose http://tramesilenziose.wordpress.com/
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I contatti dell’autore
Roberto Malvezzi
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