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In questo numero
Il contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti Uno dei contenuti che
hanno già fatto e certamen-
te faranno ancora a lungo...
Il Jobs Act e modifica dell’art. 18La novità più eclatante – se
non altro per il carico sim-bologico ad essa...
Modifica dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori Il Jobs Act interviene anche
sulla disciplina dei controlli
a distanza, che trova il...
La modifica dell'art. 2013 codice civile: disciplina delle mansioni.Se la parole chiave del Jobs Act è “flessibilità”, uno degli
interventi più significativi...
Semplificazione delle forme contrattuali Lo scorso 3 dicembre
2014, è stata approvata dal
Senato, in via definitiva, la...
Introduzione di un compenso orario minimoTra le novità del Jobs Act
annoveriamo anche la pre-
visione della prossima...
N° 38 - Dicembre 2014
E INFINE ABBIAMO IL JOBS ACT!di Luca FaillaPartner, LabLaw Studio Legale
Mi pare questa la grande novità (come cantava Lucio
Dalla) dopo l’annuncio che ne aveva fatto Matteo Ren-
zi a gennaio di quest’anno. Quasi un anno dopo ab-
biamo la legge delega a cui seguiranno nei prossimi 6 mesi i
decreti attuativi.
Detto questo non è facile dire oggi che cosa porterà questa legge e ciò data
l’ampiezza della delega oggi approvata dal Parlamento, al punto tale che già
da più parti si sottolinea e non con pochi argomenti l’incostituzionalità della
stessa legge per violazione dell’art. 76 Cost. e dei limiti e criteri di determina-
tezza che la norma prevede.
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E finalmente è arrivato: molti non ci credevano, ma il Jobs
Act è diventato legge. Cosa sia realmente, però, è dif-
ficile da dire. Sarà un bel titolo (anche un po’ esotico)
o finalmente la tanto attesa riforma del lavoro? Come in tutti i
gialli, la risposta la avremo solo nel finale. Fuor di metafora, è
noto a tutti che la risposta all’interrogativo proposta nel titolo
dipenderà dalla capacità del legislatore di tradurre i principi e le linee guida
affermati nella legge in norme precise, chiare e rispondenti alle esigenze più
volte espresse in diverse sedi, in sede di elaborazione dei decreti delegati.
Quello che vorrei aggiungere è che questa volta vogliamo esserci anche noi
a dare il nostro contributo professionale alla realizzazione di questa impor-
tante riforma: il 18 dicembre porteremo le nostre proposte alla Commissione
Lavoro della Camera. •Enrico Cazzulani, Past President - AIDP Gruppo Regionale Lombardia
JOBS ACT: UNA NUOVA ETICHETTA O UNA GRANDE RIFORMA?
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Vedremo se e quando la Corte Costituzionale, con
l’esperto e neo nominato giudice Silvana Sciarra,
esperta di area lavoristica, sarà investita della que-
stione quale ne sarà l’esito.
Per adesso non possiamo che goderci – quanto
meno dal punto di vista del dibattito e delle aspettative
- questo momento di grande eccitazione e provare a
tracciare i potenziali sviluppi futuri.
È indubbia una cosa, che per l’ennesima volta siamo
di fronte ad una grande occasione demiurgica, che
infatti almeno in teoria gli ingredienti per una ricetta
ci sarebbero tutti, a partire dalla ampiezza degli ar-
gomenti e dei temi oggetto della potenziale riforma
che coinvolgono direi la totalità dei temi del diritto del
lavoro su cui ogni giorno lamentiamo problemi e arre-
tratezze: dalla semplificazione delle forme contrattuali alla emanazione di un Codice Unico del Lavoro (su cui
già per la verità si sono cimentati con successo ormai
sia Pietro Ichino che Michele Tiraboschi ed un nutrito
gruppo di esperti del settore), dalla introduzione del
contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti con
il suo portato innovativo della modifica dell’art. 18 per le nuove assunzioni, dalla riforma dei servizi per l’im-
piego, alle politiche attive per il lavoro (con la auspi-
cabile riforma integrale degli inefficaci centri per l’Im-
piego ci si augura in raccordo dinamico e positivo con
i privati delle dinamiche Agenzie per il Lavoro), dalla
modifica anche in pejus del rigidissimo art. 2103 sulle mansioni visti gli attuali tempi di crisi, alla revisione
dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori sugli impianti e le
tecnologie dei controlli a distanza non più in linea con
il livello di innovazione tecnologica sino alla riforma
del sistema degli ammortizzatori sociali eccessivo sia
per costo che per ampiezza (mera assistenzialità ) dei
servizi erogati.
Insomma per l’ennesima volta (ma forse mai come
oggi con questa ampiezza e sistematicità) il nostro
Governo avrà la possibilità nei prossimi 6 mesi di “ri-
scrivere” dalle fondamenta il nostro diritto del lavoro.
Quale sarà l’esito di questa sfida? Difficile a dirsi adesso anche se al momento le pre-
visioni (direi meglio i vaticinii) sui nuovi testi si spreca-
no e se ne sentono di tutti i colori, il che preoccupa
talvolta.
Purtroppo noi giuslavoristi siamo ormai abituati a
queste novità, quasi ogni due anni in Italia (l’ultima
volta con la riforma Fornero) c’è qualcuno che vuole
riformare dalle fondamenta il nostro antico (qualcuno
dice e non a torto vecchio e antiquato...) sistema del
diritto del lavoro.
Sarà la volta buona? Dobbiamo per forza sperarlo.
Che ciò uscirà dal lavoro delle segrete stanze dipen-
derà non tanto dalla capacità dei giuristi oggi all’opera
bensì dalla battaglia (intrinseca e tutta interna al go-
verno e alla maggioranza parlamentare che lo sostie-
ne..) tra spinte innovative verso una moderna riforma
del diritto del lavoro e resistenza conservativa verso il
passato e la difesa dello status quo.
Da questo confronto tutto interno alla maggioranza
dipenderà l’assetto degli interessi che potrà uscire dai
decreti attuativi.
Le premesse anche per fare bene (come sempre)
ci sono, chè illustri colleghi sono impegnati in questo
sforzo titanico, un pò di prudenza è però obbligata,
chè in passato spesso le nostre speranze sono anda-
te deluse e solo l’ottimismo della ragione continua a
farci credere che questa sarà la ... volta buona.
Anche perché se falliremo anche questa volta, un’al-
tra occasione così di sicuro non ci ricapita. •
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Uno dei con-
tenuti che
hanno già
fatto e certamente
faranno ancora a
lungo discutere del
c.d. Jobs Act di recente approva-
to dal Parlamento è l’introduzione
del contratto c.d. “a tutele cre-
scenti” che – almeno stando alle
intenzioni dichiarate dal Governo
– dovrebbe divenire concreta-
mente operativo già all’inizio del
2015 con l’emanazione del primo
dei decreti attuativi della delega
parlamentare.
L’intento primario del legislato-
re è quello di rendere il contratto
unico a tutele crescenti la forma
comune del contratto di lavoro,
subordinato o “parasubordinato”
che sia: oltre ai rapporti di lavoro
a tempo indeterminato caratteriz-
zati dalla sussistenza del requisi-
to “classico” della subordinazione
(inteso come assoggettamento al
potere direttivo datoriale), al nuo-
vo contratto a tutele crescenti
dovranno infatti essere ricondotti
anche tutti quei rapporti carat-
terizzati da un concetto di di-
pendenza essenzialmente “eco-
nomica” del lavoratore rispetto
all’impresa.
Sul punto, bisognerà attendere
l’emanazione del decreto delega-
to per capire quali saranno, con
precisione, i requisiti concreti ca-
ratterizzanti la nuova nozione di
“dipendenza”, pur essendo chia-
ro fin da ora che: (i) si tratterà di un concetto più ampio di quello
attuale di subordinazione, ancor-
chè idoneo a ricomprenderlo; (ii)
in esso saranno ricondotte anche
quelle forme di lavoro autono-
mo, oggi per lo più rientranti nel
mondo delle collaborazioni coor-
dinate e continuative (a progetto
e non), caratterizzate dalla mo-
nocommittenza e dalla posizione
di sostanziale soggezione econo-
mica del collaboratore (percetto-
re di un reddito basso) rispetto al
committente.
La prima scommessa del Go-
verno è, dunque, quella di ridurre
al minimo i contratti di lavoro c.d.
“atipici” (rapporti di collabora-
zione a progetto in primis), il cui
ambito di applicazione – dopo es-
sere stato già fortemente ridimen-
sionato dalla c.d. “Riforma Forne-
ro” – a partire dal 2015 dovrebbe
essere ulteriormente ridimen-
sionato dalla “forza espansiva”
del contratto a tutele crescenti,
nell’ambito del quale i rapporti di
collaborazione caratterizzati dal
requisito della dipendenza eco-
nomica dovrebbero essere “assi-
stiti” da buona parte dell’appara-
to di norme protettive tipiche del
diritto del lavoro. In altre parole,
nel disegno del Governo, l’atteso
aumento di occupazione passerà
attraverso la conversione di una
parte rilevante degli odierni con-
tratti a progetto in veri e propri
rapporti di lavoro “dipendente”.
Vi è, però, anche una secon-
da scommessa: se l’apparato di
tutele fino a oggi proprio in via esclusiva del rapporto di lavoro
subordinato appare destinato ad
applicarsi, dopo la riforma, an-
che alla gran parte degli odier-
ni contratti a progetto e “atipici”,
dall’altra parte il lavoro dipenden-
te a tempo indeterminato sembra
destinato a uscire definitivamente dal concetto di “job for life” per di-ventare uno strumento assai più
flessibile.Verrà, infatti, introdotta la nuo-
va disciplina sui licenziamenti,
destinata a eliminare definiti-vamente la sanzione della rein-
tegrazione, almeno per i licen-
ziamenti c.d. “economici” e a
sostituire alla verifica effettuata ex post dal giudice del lavoro
(fondata su valutazioni spesso
eccessivamente discrezionali)
un severance cost certo e pre-
vedibile, di ammontare crescen-
te in funzione dell’anzianità di
servizio del lavoratore. •
IL CONTRATTO UNICO A TEMPO INDETERMINATO A TUTELE CRESCENTI di Carlo Fossati Partner, Studio Legale Ichino – Brugnatelli e Associati
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La novità più eclatante è certa-
mente quella dell’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori.
Se ne è discusso ampiamente e le
mobilitazioni sono già in atto.
Quale che sia l’esito della battaglia
sui decreti attuativi, la delega è approvata e su que-
sto dobbiamo ragionare ora, con i limiti della ampia
delega che potrebbe consentire esiti differenti sia
per ambito di applicazione che per qualità e ampiez-
za della norma.
È bene precisare che la modifica dell’art. 18 non potrà riguardare tutti i rapporti di lavoro, ma unica-
mente - stando al testo approvato - il contratto a tem-
po indeterminato a tutele crescenti, e cioè la nuova
forma contrattuale di cui si parla da tempo.
Ed è a tale contratto - sostanzialmente un contratto
con indennizzi crescenti e predeterminati in caso di
licenziamento - che la reintegrazione sarà solo nei
casi residualissimi del recesso nullo e discriminato-
rio e di quello disciplinare illegittimo, da individuarsi
quest'ultimo ad opera dei decreti attuativi.
Ma a parte la reintegrazione, il licenziamento nel
contratto a tutele crescenti vedrà solo indennizzi pre-
determinati e crescenti sulla base dell’anzianità del
lavoratore (in linea con i disegni di legge Madia, Boeri
e Ichino) con soglie e misure differenti (7 o 15 gg.
all’anno/mese, sino ad un massimo di 12 o 24 mensi-
lità per i casi di anzianità maggiori). Non è chiaro poi
se tutti i licenziamenti tout court saranno sanzionati
con indennizzo (cioè una penale predeterminata: il
prezzo del recesso) ovvero solo quelli dichiarati “il-
legittimi” dal Giudice, potendo cambiare e di molto
dall’una all’altra soluzione, l’impatto della normativa
ed il gradimento del contratto da parte delle aziende.
È auspicabile peraltro che il Governo abbia la for-
za di regolare anche il licenziamento per scarso ren-dimento, eliminando una volta per tutte la roulette
russa delle aule dei tribunali, in linea con altri paesi
europei dove il recesso per poor performance è la
normalità e non una scommessa spesso impossibile
da vincere se non a grandissima fatica.
Sicuramente sarà sempre reintegrabile – in que-
sto la delega è chiarissima - il lavoratore colpito oltre
che da licenziamento nullo e/o discriminatorio (così
come per rappresaglia) anche da licenziamento di-
sciplinare illegittimo, tema questo impossibile da af-
frontare oggi senza essere degli indovini.
Qualcuno ipotizza la reintegrazione del lavoratore
licenziato disciplinarmente quando sarà accusato di
un fatto (materiale ma non giuridico) costituente rea-to (che per definizione comprende anche l’elemento soggettivo con tutto il suo carico di problemi) che poi
dovesse risultare insussistente in giudizio.
Mi pare una costruzione così astrusa che è facile
ipotizzare già ora la scomparsa del licenziamento
per motivi disciplinari (che nessun datore rischierà la
reintegrazione potendo “monetizzare” il recesso) ed
il conseguente aumento del contenzioso volto invece
a dimostrare la sottesa “disciplinarietà” del recesso
(in aggiunta alla discriminatorieà e/o nullità già oggi
divenuta una costante nelle nostre aule dei tribunali)
in tutti i casi in cui questo sarà intimato, foss’anche
per superamento del periodo di comporto o mancato
superamento della prova (anche per un contratto a
tutele crescenti).
E la partita si sposterà - come sempre avviene per
il diritto del lavoro - dalla legge scritta a quella “ap-
plicata”, e cioè alle aule dei tribunali ed ai Giudici
del lavoro, arbitri come sempre dei fallimenti o dei
successi delle nostre riforme.
Comunque vada, ne vedremo delle belle. •
IL JOBS ACT E MODIFICA DELL’ART. 18 di Luca FaillaPartner, LabLaw Studio Legale
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MODIFICA DELL'ART. 4 DELLO STATUTO DEI LAVORATORIDisciplina dei controlli a distanza dei lavoratoridi Renato ScorcelliPartner, Scorcelli, Rosa & Partners Studio Legale
Il Jobs Act inter-
viene anche sul-
la disciplina dei
controlli a distan-
za, che trova il suo
essenziale riferi-
mento normativo nell’art. 4 S.L..
Com’è noto, la norma vieta di
installare apparecchiature fina-
lizzate al “controllo a distanza
dell’attività dei lavoratori” mentre
consente, previo accordo sin-
dacale (o, in mancanza, auto-
rizzazione amministrativa), l’in-
stallazione di apparecchiature o
impianti richiesti da esigenze or-
ganizzative, produttive o di sicu-
rezza che possano comportare
un simile controllo.
Si tratta di una disposizione che
in origine era stata pensata per
un’applicazione limitata, per im-
pedire odiose forme di controllo
a distanza sui lavoratori, princi-
palmente, mediante l’impiego di
impianti audiovisivi. A differenza
dei precedenti, gli artt. 2 e 3, pe-
raltro, il precetto dell’art. 4 S.L.
non è limitato alla sola “attività
lavorativa”, ma è esteso all’intera
“attività dei lavoratori”.
Attualmente, la norma finisce per interessare praticamente tut-
ti i contesti lavorativi per effetto
dell’evoluzione tecnologica e del-
la diffusione di strumenti di lavoro
(pc, sistemi informatici aziendali,
sistemi di localizzazione satellita-
re, etc.) che possiedono le carat-
teristiche previste dalla norma.
Anche in questa materia, la de-
lega al Governo è alquanto am-
pia, riguardando la revisione del-
la materia dei controlli a distanza
“sugli impianti e strumenti di lavo-
ro, tenendo conto dell’evoluzione
tecnologica e contemperando le
esigenze produttive e organizza-
tive dell’impresa con la tutela del-
la dignità e della riservatezza del
lavoratore”.
Se è chiaro l’intento del legi-
slatore di realizzare un adegua-
mento della disciplina vigente agli
sviluppi tecnologici (visto che per
certi strumenti di lavoro quotidia-
no l’assoggettamento alle proce-
dure di autorizzazione previste
dall’art. 4 S.L. appare estrema-
mente complesso), sono altret-
tanto chiari i limiti entro i quali
dovrà muoversi il Governo.
Tale adeguamento, infatti, po-
trà riguardare solo i controlli a
distanza “sugli impianti e stru-
menti di lavoro“. In tal senso, è
significativa la precisazione intro-
dotta dalla Camera dei Deputati
il 25 novembre 2014, finalizzata a fugare qualsiasi dubbio circa
l’oggetto del controllo a distanza,
che non può quindi riguardare la
persona del lavoratore.
Inoltre, fermo restando tale am-
bito, l’intervento legislativo dovrà
realizzare un contemperamen-
to degli interessi in gioco. Sotto
questo profilo, considerato che certi moderni strumenti di lavo-
ro sono particolarmente invasivi
della riservatezza del lavoratore
e possono altresì essere utiliz-
zati in modo abusivo con finalità di controllo della sua persona, è
lecito attendersi un rafforzamen-
to del sistema delle tutele che
tenga conto proprio delle inno-
vazioni tecnologiche in ambito
lavorativo.
Peraltro, occorre tener presen-
te che l’art. 4 S.L. disciplina solo
il versante, per così dire, civilisti-
co della materia, imponendo, a
tutela della dignità del lavoratore,
certi limiti al potere datoriale di
controllo. Com’è noto, la prote-
zione della privacy del lavoratore
è invece demandata alle dispo-
sizioni del Dlg.s 196/2003 e non
può escludersi quindi anche una
modifica a tale impianto norma-
tivo per adeguare tale tutela ai
moderni contesti lavorativi ed alle
tecnologie ivi utilizzate. •
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LA MODIFICA DELL'ART. 2013 CODICE CIVILEDISCIPLINA DELLE MANSIONIdi Claudio MorpurgoPartner, Morpurgo e Associati Studio Legale
Se la parola chiave del Jobs Act è “flessibilità”, uno degli inter-venti più significativi in tal sen-
so potrebbe essere quello che porte-
rà alla revisione della disciplina delle
mansioni. Tra le finalità dichiarate del-la Riforma vi è, infatti, quella di incidere su uno degli
aspetti, solo all’apparenza, più garantisti della nor-
mativa giuslavoristica ma, in realtà, simbolo vivente
di un sistema ideologicamente – e giuridicamente
- antiquato. Il riferimento va, in particolare, all’art.
2103 del Codice Civile che pone limitazioni formida-
bili allo jus variandi datoriale. Di fatto, sino ad oggi,
l’unica possibilità “certa” concessa ad un datore di
lavoro, nel mutare il contenuto della prestazione di
un suo dipendente, risiede nell’individuare mansioni
equivalenti o, comunque, superiori. Il tutto, peraltro,
con un’ulteriore barriera costituita dall’irriducibilità, in
questi casi, della retribuzione. L’art. 2103 del Codice
Civile, per dare ancora maggiore forza ai suddetti
principi, statuisce, altresì, la nullità di quei patti di
c.d. demansionamento, in quanto l’irriducibilità del-
la prestazione sarebbe un diritto indisponibile del
lavoratore. Nella pratica, allora, il mutamento delle
mansioni è stato considerato possibile o in residuali
casi (tutela della maternità, salvaguardia di posti di
lavoro in esubero nel contesto di accordi sindacali,
tutela di fronte ad una inabilità sopravvenuta, non-
ché per peculiari esigenze di servizio) ovvero, nella
pratica, tramite escamotage quale la risoluzione di
un rapporto di lavoro e la successiva instaurazione
di un altro con differenti contenuti. Con il rischio, poi,
di trovarsi in Tribunale, nelle situazioni controverse e
non rientranti in quelle ammesse, a dover risarcire il
lavoratore demansionato, anche in una prospettiva
di responsabilità da mobbing e di risarcimento del
danno non patrimoniale. Tramite il Jobs Act, sarà,
invece, finalmente legittimo rivedere, con atto da-
toriale anche unilaterale, le mansioni dei lavoratori
subordinati, seppur con dei parametri precisi di inter-
vento ancora non del tutto liberalizzati e con qualche
manifesto profilo di criticità gestionale. In particola-
re, sarà consentito “demansionare” un dipendente
esclusivamente in presenza di fenomeni oggettivi
quali “processi di rioganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale” che il datore di lavoro dovrà
dimostrare nella loro materialità e consequenzialità
causale rispetto al singolo provvedimento assunto,
rigorosamente provando che la modifica dell’inqua-
dramento si è realizzata contemperando “l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale con l'in-teresse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro”. La Riforma decreta, altresì, che ulteriori ipotesi pos-
sano essere previste in sede di contrattazione collet-
tiva, anche di secondo livello. Il contenuto della Ri-
forma è effettivamente interessante, ma è portatore
di alcuni dubbi relativi, ad esempio, alla tematica del-
le conseguenze economiche del mutamento dell’in-
quadramento (i limiti alla modifica del trattamento re-
tributivo che, apparentemente, non dovrebbero più
sussistere o che potrebbero essere “superati” con
modalità di decontribuzione) e, soprattutto, sul pia-
no applicativo e processuale, alla consapevolezza
che una normativa che onera la parte datoriale di
provare oggettivamente il contesto in cui si realizza
il singolo provvedimento demansionatorio, sarà lo
strumento – o, meglio, il pretesto - per una prolifera-
zione dei contenziosi di questa natura. . •
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SEMPLIFICAZIONE DELLE FORME CONTRATTUALI Riduzione/abrogazione dei contratti a progetto/iva etc.di Filippo CapurroPartner, Studio Legale Associato Beccaria e Capurro
Lo scorso 3 dicembre 2014, è sta-
ta approvata dal Senato, in via
definitiva, la legge delega sul Jobs Act, così come era stata modi-
ficata dalla Camera dei deputati il 25 novembre 2014. A breve, la legge ver-
rà pubblicata in Gazzetta Ufficiale.Tra i cinque temi oggetto di delega, la semplifica-
zione della disciplina delle tipologie contrattuali e dei
rapporti di lavoro è forse quello destinato ad avere
l’impatto operativo più dirompente.
L’art. 7 del provvedimento in esame contiene una
serie di norme programmatiche che individuano i
principi e i criteri direttivi cui dovrà conformarsi l’in-
tervento su tale tema, che avverrà mediante uno o
più decreti legislativi entro il mese di giugno 2015.
La lett. a) della richiamata norma tratteggia l’am-
bizioso scopo generale dell’intervento, che consiste
nel “riordinare i contratti di lavoro vigenti” e dovrà
essere realizzato in tre momenti:
1. individuazione e analisi di tutte le forme con-
trattuali esistenti;
2. valutazione della effettiva coerenza di tali for-
me contrattuali rispetto al tessuto occupazio-
nale e al contesto produttivo nazionale e inter-
nazionale;
3. conseguente semplificazione, modifica o su-
peramento delle tipologie contrattuali attual-
mente esistenti modulata in funzione delle esi-
genze emerse all’esito dell’analisi.
Gli interventi previsti dovranno essere orientati in
modo tale da privilegiare nelle nuove assunzioni la
scelta per il contratto a tempo indeterminato, attra-
verso: (i) un meccanismo di oneri diretti e indiretti
che lo rendano più conveniente rispetto agli altri tipi
di contratto; (ii) la previsione di tutele crescenti in re-
lazione all’anzianità di servizio; (iii) l’esclusione della
possibilità di reintegra del lavoratore nel posto di la-
voro in caso di licenziamenti economici, con previ-
sione di un indennizzo economico certo e crescente
con l’anzianità di servizio; (iv) la limitazione del diritto
alla reintegra ai casi di licenziamento nullo e discri-
minatorio e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.
Di particolare interesse la specifica previsione in materia di collaborazioni coordinate e continuative:
essa segue il percorso inaugurato dalla Riforma
Fornero (L. 92/2012), che aveva stretto le maglie del
lavoro autonomo tout court e parasubordinato e in
particolare del lavoro a progetto. Il Jobs Act intro-
duce una significativa novità: infatti, pur ribadendo la necessità del rispetto del minimo retributivo, spe-
cifica chiaramente che la sorte delle collaborazioni coordinate e continuative è quella di essere supera-
te. Contratto a tutele crescenti, contratto a termine e
apprendistato saranno, quindi, le tipologie contrat-
tuali prevalenti.
Infine, il provvedimento in esame prevede la pos-
sibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro
accessorio per tutte le attività discontinue e occa-
sionali nei diversi settori produttivi, facendo salva la
piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con
contestuale rideterminazione contributiva.
In tale complessivo contesto, appare allo stesso
funzionale, ma anche ambizioso, il proposito di pro-
cedere alla abrogazione di tutte le disposizioni che
siano incompatibili con quelle del testo organico
semplificato che verrà elaborato sulla base delle li-nee direttive sin qui illustrate.
Le previsioni del Jobs Act sono, infine, completate dalle novità introdotte dalla Legge di stabilità per il
2015 in materia di lavoro autonomo che allarga la
platea dei titolari di partita IVA beneficiari del regime fiscale agevolato. •
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INTRODUZIONE DI UN COMPENSO ORARIO MINIMOdi Emanuela NespoliPartner, Toffoletto De Luca Tamajo e Soci
TTra le novità
del Jobs Act
annoveriamo
anche la previsio-
ne della prossima
introduzione di un
compenso orario minimo. Il Dise-
gno di Legge delega il Governo
ad adottare uno o più decreti legi-
slativi nel rispetto, tra gli altri, del
seguente criterio direttivo: «intro-duzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rap-porti aventi ad oggetto una pre-stazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione co-ordinata e continuativa, nei setto-ri non regolati da contratti colletti-vi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei dato-ri di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazio-nale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano na-zionale».
Ad oggi la previsione di com-
pensi minimi è affidata unicamen-
te alla contrattazione collettiva,
mentre non esiste una retribuzio-
ne minima avente fonte legale;
l’unico limite imposto ai datori di
lavoro è rappresentato dal rispet-
to dell’art. 36 della Costituzione,
norma che sancisce il principio
secondo il quale la retribuzione
deve essere proporzionata alla
quantità ed alla qualità del lavo-
ro prestato, nonché sufficiente a garantire al lavoratore ed alla sua
famiglia un’esistenza libera e di-
gnitosa. La sufficienza e la pro-
porzionalità della retribuzione,
secondo l’interpretazione fornita
dalla giurisprudenza, sarebbero
garantite dal rispetto dei minimi
tabellari previsti dalla contratta-
zione collettiva di categoria, a
prescindere dalla diretta applica-
bilità della fonte collettiva; anche
nei rapporti di lavoro non regolati
da alcun contratto collettivo, per-
tanto, il parametro di riferimento
generalmente utilizzato è già la
retribuzione tabellare prevista dal
CCNL del relativo settore pro-
duttivo. Peraltro i minimi previsti
dai contratti collettivi nazionali di
categoria già rappresentano un
limite anche per il compenso dei
collaboratori a progetto. Infatti la
legge n. 92 del 2012 ha modifica-
to l’art. 63 della legge n. 276 del
2003 prevedendo che, in assen-
za di contrattazione specifica, il compenso del collaboratore non
può essere inferiore alle retribu-
zioni minime previste dai CCNL
applicati nel settore di riferimento
a figure professionali analoghe. Con l’introduzione del compen-
so minimo orario di legge, l’Italia
si mette al passo con la maggior
parte degli altri Paesi Europei,
nei quali da tempo è già presen-
te una disposizione legale volta
a stabilire la soglia minima del
salario, in alcuni casi fissando minimi mensili, o su base set-
timanale o orari. Secondo i dati
pubblicati da Eurostat (l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea),
aggiornati al 1° luglio 2014, sola-
mente 7 Stati tra i membri dell’U-
nione non prevedono alcun c.d.
“national minimum wage”; oltre
all’Italia, che con il Jobs Act esce
dalla lista, non hanno il compen-
so minimo di legge la Danimarca,
Cipro, l’Austria, la Finlandia, la
Svezia e – ma solo fino al 31 di-cembre 2014 – la Germania. Dal
gennaio 2015, infatti, i lavoratori
tedeschi avranno diritto ad una
retribuzione oraria non inferiore
ad euro 8,50. L’importo delle retri-
buzioni minime mensili varia no-
tevolmente da paese a paese: si
passa da Paesi dove il salario mi-
nimo mensile è sotto ai 500 euro,
come la Bulgaria e la Romania,
per citarne due, a Paesi nei quali
il minimo mensile supera (e in al-
cuni casi anche di molto) i 1.000
euro (Inghilterra, Francia, Irlanda,
Olanda, Belgio e Lussemburgo).
A breve, vedremo dove si posi-
zionerà l’Italia rispetto agli altri
Paesi europei. •
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