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La citazione e il meccanismo della transtestualità filmica Federico Zecca 1. Questo saggio rappresenta un tentativo di fornire valore euristico al concetto di citazione filmica per mezzo di una severa delimitazione del suo campo tipologico e di una chiara de- finizione del suo statuto semiotico. La nostra proposta è di considerare la citazione filmica come il prodotto di un’operazione di montaggio sincretico di unità linguistiche (già) realizzate, posto in essere da una prassi enunciativa che trasporta in un testo di arrivo uno o più “ele- menti previncolati” (Lévi-Strauss 1964) di un testo di partenza. La citazione si pone come il prodotto di una pratica di replicabilità audiovisiva (cfr. Dusi, Spaziante, a cura, 2006) dotata di caratteristiche del tutto singolari. Il suo statuto sincretico la differenzia da altre forme del- la transtestualità cinematografica come l’allusione o il remake. Essa non si fonda sul rifaci- mento di strutture invarianti rintracciate in un testo precedente ma su un’operazione di dé- coupage e collage (cfr. Compagnon 1979), di innesto in un nuovo testo di frammenti proces- suali “importati” da un testo di partenza. La pratica della citazione filmica non è interessata a riproporre un testo di partenza nella “differenza” di un testo di arrivo (cfr. Deleuze 1968) né a tradurlo per livelli di equivalenza (cfr. Dusi 2003). Alla similarità del senso, la citazione preferisce l’identità della lettera. La citazione filmica non si basa sulla replica allografica (cfr. Genette 1994; Goodman 1968), sul riferimento ad una matrice di proprietà costitutive da rimettere in testo, ma sulla copia autografica, sulla ripresa di una nuova occorrenza di un “tipo” (un’inquadratura) precedentemente realizzato (cfr. Chambat-Houillon 2005). 2. In ambito letterario, Genette (1982) definisce la transtestualità come tutto ciò che mette un testo in relazione con altri testi. Genette ritrova cinque tipologie transtestuali: interte- stualità, ipertestualità, architestualità, paratestualità, metatestualità. La citazione, definita come “relazione di copresenza fra due o più testi” (p. 4), è considerata dal narratologo fran- cese come la forma più esplicita e letterale di intertestualità, seguita dal plagio e dall’allusione. L’effettività della presenza testuale distingue secondo Genette l’intertestualità dalla tipologia dell’ipertestualità, in cui è possibile ascrivere la pratica del remake (cfr. Dusi 2007). L’ipertestualità è sempre basata su una operazione di trasformazione del contenuto (come nel caso della parodia) e/o di imitazione dell’espressione (come nel caso del pastiche). Anche in ambito cinematografico, la citazione filmica va inquadrata sullo sfondo del più ampio fenomeno della transtestualità filmica, concepito come un meccanismo che gestisce

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La citazione e il meccanismo della transtestualità filmica Federico Zecca 1. Questo saggio rappresenta un tentativo di fornire valore euristico al concetto di citazione filmica per mezzo di una severa delimitazione del suo campo tipologico e di una chiara de-finizione del suo statuto semiotico. La nostra proposta è di considerare la citazione filmica come il prodotto di un’operazione di montaggio sincretico di unità linguistiche (già) realizzate, posto in essere da una prassi enunciativa che trasporta in un testo di arrivo uno o più “ele-menti previncolati” (Lévi-Strauss 1964) di un testo di partenza. La citazione si pone come il prodotto di una pratica di replicabilità audiovisiva (cfr. Dusi, Spaziante, a cura, 2006) dotata di caratteristiche del tutto singolari. Il suo statuto sincretico la differenzia da altre forme del-la transtestualità cinematografica come l’allusione o il remake. Essa non si fonda sul rifaci-mento di strutture invarianti rintracciate in un testo precedente ma su un’operazione di dé-coupage e collage (cfr. Compagnon 1979), di innesto in un nuovo testo di frammenti proces-suali “importati” da un testo di partenza. La pratica della citazione filmica non è interessata a riproporre un testo di partenza nella “differenza” di un testo di arrivo (cfr. Deleuze 1968) né a tradurlo per livelli di equivalenza (cfr. Dusi 2003). Alla similarità del senso, la citazione preferisce l’identità della lettera. La citazione filmica non si basa sulla replica allografica (cfr. Genette 1994; Goodman 1968), sul riferimento ad una matrice di proprietà costitutive da rimettere in testo, ma sulla copia autografica, sulla ripresa di una nuova occorrenza di un “tipo” (un’inquadratura) precedentemente realizzato (cfr. Chambat-Houillon 2005).

2. In ambito letterario, Genette (1982) definisce la transtestualità come tutto ciò che mette un testo in relazione con altri testi. Genette ritrova cinque tipologie transtestuali: interte-stualità, ipertestualità, architestualità, paratestualità, metatestualità. La citazione, definita come “relazione di copresenza fra due o più testi” (p. 4), è considerata dal narratologo fran-cese come la forma più esplicita e letterale di intertestualità, seguita dal plagio e dall’allusione. L’effettività della presenza testuale distingue secondo Genette l’intertestualità dalla tipologia dell’ipertestualità, in cui è possibile ascrivere la pratica del remake (cfr. Dusi 2007). L’ipertestualità è sempre basata su una operazione di trasformazione del contenuto (come nel caso della parodia) e/o di imitazione dell’espressione (come nel caso del pastiche). Anche in ambito cinematografico, la citazione filmica va inquadrata sullo sfondo del più ampio fenomeno della transtestualità filmica, concepito come un meccanismo che gestisce

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l’insieme delle relazioni testuali instaurate dai testi filmici all’interno della semiotica filmica (cfr. Stam 2000). Queste relazioni transtestuali sono il prodotto delle azioni poste in essere da una serie di pratiche di replicabilità (cfr. Dusi, Spaziante, a cura, 2006), il cui funziona-mento può essere indagato a nostro avviso su tre dimensioni:

i) una dimensione ripetitiva, relativa al modo di esistenza semiotica, al piano linguisti-co e all’estensione testuale dell’elemento prelevato; ii) una dimensione traduttiva, relativa alla trasformazione dell’elemento prelevato, alle modalità della sua riformulazione espressiva e della sua riconfigurazione discorsiva; iii) una dimensione manipolativa, relativa all’intenzionalità enunciativa sottesa al pre-lievo, e alle operazioni interpretative ad esso connesse.

La dimensione ripetitiva rende conto di cosa (e quanto) viene ripetuto, se unità dell’espressione o del contenuto, micro o macrotestuali, potenziali o realizzate, invarianti di sistema o varianti di parola. La dimensione traduttiva rende conto di come (e dove) viene ri-petuto, dei livelli di equivalenza (cfr. Dusi 2003) e dei gradi di espansione con cui viene at-tualizzata la ripetizione. La dimensione manipolativa (cfr. Greimas 1983) rende conto di per-ché viene ripetuto (e perché viene ripetuto in quel modo), delle finalità comunicative e seman-tiche con cui l’enunciazione ripetente si rapporta all’enunciato ripetuto (omaggio, commen-to, dissacrazione ecc.) e della sua interpretazione da parte di un soggetto-destinatario.

3. Discriminando lo statuto semiotico della ripetizione, proponiamo di suddividere le rela-zioni transtestuali in:

i) relazioni interdiscorsive, relative alla ripresa, da parte di un discorso diacronicamen-te successivo, di una o più unità che compongono il piano del contenuto di un discorso diacronicamente precedente; ii) relazioni interespressive, relative alla ripresa, da parte di un testo diacronicamente successivo, di una o più unità che compongono il piano dell’espressione di un testo diacronicamente precedente; iii) relazioni intertestuali, relative alla ripresa, da parte di un testo diacronicamente successivo, di unità semiotiche realizzate (nella citazione e nel plagio) o potenziali (nell’allusione) di un testo diacronicamente precedente; iv) relazioni intersistemiche, relative alla ripresa, da parte di un testo, di unità sistemi-che ascrivibili a due o più sottosistemi differenti (per esempio, western e commedia).

4. Il meccanismo transtestuale è parte integrante della vita della semiosfera (Lotman 1985), poiché incide profondamente sui modi di esistenza delle grandezze semiotiche e sulla presen-za degli enunciati nel campo discorsivo e testuale. Fontanille (1998) afferma che gli spazi della semiosfera sono composti da unità linguistiche dotate di differente esistenza semiotica (virtualità, attualità, realtà e potenzialità). Il movi-mento della semiosfera, secondo Fontanille, è fondato sull’oscillazione delle forme linguisti-che fra i poli dell’innovazione e della stabilizzazione, dell’usura e della scomparsa, attraverso la messa in tensione di sincronie processuali e diacronia sistemica (si veda lo schema).

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Fontanille considera due movimenti semiosferici. Il primo si riferisce all’atto semiotico vero e proprio e si declina come una tensione fra il virtuale (che l’autore definisce il “fuori cam-po” del discorso) e il realizzato, attraverso la mediazione dell’attuale: è il movimento che porta alla nascita di un testo attraverso la manipolazione enunciativa delle possibilità lingui-stiche offerte da una cultura all’istanza enunciativa. Il secondo si riferisce alla tensione che collega il reale al virtuale attraverso il potenziale: è il movimento che riporta le eventuali innovazioni semiotiche realizzate dalle specifiche enunciazioni nell’alveo del sistema, ren-dendole disponibili per altre convocazioni. Il meccanismo della transtestualità sottende entrambi i movimenti. Nel primo caso, la tran-stestualità si pone come sfondo sistemico. Le possibilità linguistiche recano le tracce di enun-ciazioni passate (cfr. Kristeva 1969) che possono o meno essere riportate in superficie, a se-conda delle modalità di riattualizzazione poste in essere dalla strategia enunciativa. Nel se-condo caso, la transtestualità si pone come una superficie testuale. Le innovazioni linguistiche e le eventuali originalità idiolettali realizzate da specifiche enunciazioni, vengono prese in carico da altre enunciazioni e riattualizzate su nuove superfici testuali, perdendo progressi-vamente il loro statuto innovativo e venendo (ri)sospinte sullo sfondo sistemico. Guardando allo schema di funzionamento della semiosfera tracciato da Fontanille e riporta-to qui sopra, possiamo delimitare il campo precipuo di intervento della transtestualità a quello rappresentato dal settore circolare dello schema, le cui periferie sono “abitate” dai modi dell’attualità e della potenzialità (che ne “controllano” anche i confini, filtrando il ma-teriale in entrata e in uscita tramite procedimenti, per l’appunto, attualizzanti e potenzializ-zanti) e il cui centro è occupato dal nucleo testuale vero è proprio.

5. La citazione filmica si fonda sulla “presenza effettiva” di uno o più frammenti testuali (cfr. Calabrese 1989) all’interno di un alto testo. In una prospettiva hjelmsleviana, questa “pre-senza effettiva” deriva dalla ripresa, da parte di un testo diacronicamente successivo, di uni-tà sintagmatiche precedentemente realizzate. Nell’universo diegetico di Bellissima (Luchino Visconti, 1951), ad esempio, ritroviamo la “presenza effettiva” di alcune inquadrature di Fiume rosso (Red River, Howard Hawks, 1948), proiettato in un cinema all’aperto di una bor-gata popolare. La citazione filmica si contrappone all’allusione filmica. Entrambe sono for-me intertestuali, capaci di fondare la presenza effettiva di un testo all’interno di un altro testo, e puntuali, limitate nell’estensione della ripresa. Ma si distinguono per il modo di esistenza semiotica delle unità linguistiche su cui si appunta il loro riferimento. La citazione riprende unità reali, compiutamente testuali poiché (già) manifestate dalle sostanze dell’espressione filmica (cfr. Metz 1972), e le trasporta in una nuova compagine testuale. L’allusione riprende unità potenziali, già “parlate”, ma non (più) compiutamente testuali, che forniscono una serie di istruzioni di rifacimento.

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Nel contesto semiosferico, la citazione lavora attorno al polo della realizzazione. Essa si dedica esclusivamente alle superfici testuali: il suo campo d’azione è limitato al processo. L’allusione lavora invece attorno al polo della potenzializzazione. Essa si pone come campo di mediazione fra superfici testuali e sistemi linguistici. Citare significa trasportare un’unità linguistica e dun-que riconoscere la sua individualità sintagmatica. Alludere significa invece rifare un’unità lin-guistica, riconoscerne lo statuto di paradigma “di rifacimento” e dunque diffonderne l’individualità nel sistema. L’allusione tende ad usurare l’unità semiotica prelevata e a tra-sformarla in una virtualità sistemica, ad uso e consumo della collettività linguistica.

5. 1. Le istruzioni allusive non si riferiscono solo all’espressione e/o al contenuto dell’unità di partenza: se così fosse, ci troveremmo davanti ad una relazione interdiscorsiva o intere-spressiva (e non intertestuale), fondata sulla ripetizione di un solo piano del linguaggio. L’allusione fonda l’effettività della propria presenza intertestuale grazie alla ripresa, oltre che di espressione e contenuto, anche della funzione segnica ad essi solidale (cfr. Hjelmslev 1943). L’allusione manifesta un contenuto equivalente a quello originario per mezzo di un’espressione equivalente a quella originaria. Ciò che ci fa parlare di allusione non è solo il grado di equivalenza con cui il nuovo testo ripete le unità del contenuto e dell’espressione prelevate, ma soprattutto la riproposizione della loro correlazione semiotica originaria. La prima sequenza di Venerdì 13 (Friday the 13th, Sean S. Cunningham, 1980), per esempio, è costituita da una chiara allusione alla prima sequenza di Halloween: la notte delle streghe (Halloween, John Carpenter, 1978). Le dimensioni pragmatica, cognitiva e passionale delle due sequenze mettono in luce evidenti affinità semantico-sintattiche. Così come affine appa-re la manipolazione comunicativa dell’enunciatario e le strutture contrattuale e modale ad essa sottese. Sia in Halloween che in Venerdì 13, il duplice omicidio di una coppia di adole-scenti compiuto da un killer è manifestato da un piano-sequenza girato in soggettiva e ca-mera a mano. Le unità del contenuto di Halloween1 ricevono in Venerdì 13 una formalizza-zione espressiva equivalente a quella originaria. Entrambi i testi attivano le stesse categorie della dimensione plastica: la mobilità a livello cinetico, la continuità orizzontale a livello to-pologico, l’ondulatorietà a livello eidetico, la sincope a livello ritmico. Attraverso il rapporto allusivo, Venerdì 13 non si limita a riprendere la struttura discorsiva di Halloween ma si rifà all’intera unità testuale.

6. L’allusione filmica lavora nell’alveo di una semiotica del rifacimento. La citazione è invece fondata più su una “pratica di bricolage” di unità previncolate (cfr. Lévi-Strauss 1964) che di replicabilità di unità “svincolate”. Le pratiche di replicabilità filmica, di cui l’allusione è un prodotto, devono rapportarsi all’unicità materiale del significante filmico, ai suoi tratti fisicamente e sostanzialmente irriproducibili (cfr. Saba 2003). Alludere significa rifarsi ad una matrice di istruzioni di rifacimento per produrre una nuova unità semiotica. L’allusione riprende la forma dell’espressione di un’unità di partenza ma non può riprenderne global-mente la sostanza poiché alcuni suoi tratti sono irriproducibili. Il caso di Psycho (Gus Van Sant, 1998) è al riguardo emblematico. Citare significa invece trasportare, da un testo ad un altro, frammenti filmici considerati nel-la loro materialità letterale. La citazione è il prodotto di un’operazione che dispone e sincre-

1 La sua configurazione discorsiva (l’omicidio all’arma bianca a sfondo sessuale), la sua strategia co-gnitiva ed aspettuale (la perfettività del processo omicida inquadrato dall’osservazione del killer, allo stesso tempo soggetto pragmatico e cognitivo), la sua struttura passionale (l’adiaforia del killer e la diaforia degli adolescenti).

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tizza unità appartenenti a catene filmiche eterogenee (cfr. Zinna 2004, p. 216). In quanto tale, essa è una forma di “eterogeneità dichiarata” (cfr. Authier-Revuz) che comunica aper-tamente la propria alterità enunciativa (inter)testuale. La semiotica filmica è una semiotica sincretica che costituisce “il suo piano dell’espressione – e precisamente la sostanza di questo – con elementi appartenenti a molte semiotiche eterogenee” (Greimas, Courtéz, 1986, pp. 319-320). La semiotica filmica è composta da cinque sostanze dell’espressione, immagine, traccia scritta, voce, rumore e musica (cfr. Metz 1971). La citazione viene prodotta attraver-so la traduzione (dal latino traducere, trasportare) di un’unità (già) sincretica in una nuova compagine testuale, (già) sincretica anch’essa. Il rapporto che si viene a creare fra unità cita-ta e unità citante è dunque un rapporto sincretico di “secondo grado”.

6.1 La traduzione dell’unità citata viene realizzata attraverso delle procedure di sincretizza-zione. Queste procedure gestiscono le modalità dell’articolazione sintattica della citazione, attraverso la messa in tensione degli assi dell’intensità e dell’estensione (cfr. Fontanille 1998). Attraverso le procedure di sincretizzazione, l’enunciazione sincretica gestisce sia l’intensità figurativa della traduzione citazionale (la sua visibilità) sia la sua estensione tematica (la sua pre-gnanza). Le procedure di sincretizzazione si distinguono anzitutto in procedure di sovrappo-sizione e procedure di successione (Zinna 2004, p. 269). Le procedure di sovrapposizione lavorano su una relazione di compresenza e producono (i) citazioni intrasintagmatiche, incasto-nate all’interno del sintagma citante. L’inserzione di queste si declina generalmente nel pro-cedimento del “quadro nel quadro”. In Halloween sono presenti delle citazioni del Pianeta proibito (Forbidden Planet, Fred MacLeod Wilcox, 1956) e della “Cosa” da un altro mondo (The Thing (From Another World), Christian Nyby, 1951). La macchina da presa ne carpisce delle inquadrature mentre passano in televisione, nella casa dove Laurie (Jamie Lee Curtis) sta facendo la baby-sitter a due ragazzini del vicinato. Le procedure di successione edificano invece una concatenazione lineare e producono (ii) citazioni sintagmatiche, inserite fra i sintagmi di nuova enunciazione. In Buongiorno, notte (Marco Belloccio, 2003) le citazioni dai Tre canti su Lenin (Tri pesni o Lenine, Dziga Vertov, 1934) e Paisà (Roberto Rossellini, 1946) manifesta-no lo stesso statuto sintagmatico delle altre inquadrature. In una scena del film, i primi pia-ni della brigatista addormentata vanno a costruire un montaggio parallelo con le citazioni dei due film di Vertov e Rossellini, inserite a tutto schermo. Le citazioni sintagmatiche si propongono come elementi costituivi la catena sintagmatica cotestuale. Le due procedure di sovrapposizione e successione si declinano sotto il segno di una con-giunta gradualità. Entrambe sono presenti nel processo di sincretizzazione citazionale, pre-minenti l’uno sull’altra a seconda della strategia testuale attuata. La citazione intrasintagma-tica sviluppa una linearità nella concomitanza, la citazione sintagmatica declina la sua linearità nella stratificazione. Vediamo di approfondirne l’analisi.

6.1.1 La citazione intrasintagmatica declina differenti gradi di integrazione cotestuale, in rapporto alla sua delimitazione spaziale e alla sua posizione nella catena sintagmatica. In Bellis-sima o Il miglio verde (The Green Mile, Frank Darabont, 1999) le citazioni, rispettivamente, di Fiume rosso e Cappello a cilindro (Top Hat, Mark Sandrich, 1935) manifestano un’allocazione statica e una evidente centralità topologica. Sono citazioni “centripete”, polarità di investi-mento percettivo e passionale, attorno a cui si costruisce lo spazio del sintagma che le acco-glie. In entrambi i casi la citazione è veicolata da uno schermo secondario (televisivo nel Mi-glio, cinematografico in Bellissima) capace di imporsi come principio di articolazione spaziale, attraverso cui il discorso viene testualizzato.

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In Tutto in una notte (Into the Night, John Landis, 1985) o Misterioso omicidio a Manhattan (Manhattan Murder Mistery, Woody Allen, 1993), invece, le citazioni, rispettivamente, del Cer-vello di Frankenstein (Abbot and Costello Meet Frankenstein, Charles T. Barton, 1948) e della Si-gnora di Shangai (The Lady from Shanghai, Orson Welles, Usa 1947), manifestano un’allocazione dinamica e una perifericità topologica. Nel primo caso, Il cervello di Franken-stein è sottoposto ad una moltiplicazione “schermica”: le molteplici televisioni presenti nella suite d’albergo in cui si introduce il protagonista sono tutte sintonizzate sul film. Nel secon-do caso, La signora di Shangai si riflette sulle decine di specchi presenti nelle quinte del teatro in cui è proiettato, e si infrange, spezza e deforma via via che gli specchi si rompono. Sono citazioni “centrifughe”, trasbordanti (spezzate, riflettute, rimpallate), i cui slittamenti spaziali creano una sorta di interferenza sintagmatica, come a voler usurpare la linearità del testo ospitante.

6.1.2 La citazione sintagmatica instaura invece una dialettica verticale (sonora) e orizzontale (visiva) con il cotesto ospitante, che tende ad ancorarla al suo corpo sussumendo la sua li-nearità in un’entità stratificata. In The Dreamers - I sognatori (Bernardo Bertolucci, 2003), per esempio, la colonna sonora delle unità intertestuali viene annichilita o interpolata e la linea-rità della loro colonna visiva viene frammentata dall’inserzione di inquadrature del film o-spitante. In The Dreamers, un’accanita discussione fra Matthew e Théo (è più grande Keaton o Chaplin?) si presenta sotto forma di critica cinematografica “multimediale”, in cui le im-magini citate, dal Cameraman (The Cameraman, Buster Keaton, 1928) e da Luci della città (City Lights, Charlie Chaplin, 1931), vengono interpretate e commentate per così dire in “diretta”, con la sovrapposizione della voci over dei personaggi alle citazioni a tutto schermo.

7. Oltre alle procedure di successione e sovrapposizione, l’enunciazione sincretica dispone di una serie di procedimenti traduttivi atti ad uniformare il piano dell’espressione del fram-mento citato al piano dell’espressione del testo citante. Definiremo questi procedimenti tra-duttivi procedure di obliterazione (dal latino obliterare, togliere la lettera), per distinguerli da quelle operazioni più interessate a rifare la lettera che a lavorare sulla lettera. Ispirandoci alla prova di commutazione (Hjelmslev 1943), possiamo ritrovate due forme di obliterazione: (i) un’obliterazione fisiologica, quando le modifiche condotte sul piano dell'e-spressione dell’unità citata non vanno a modificare il suo piano del contenuto, e (ii) un’obliterazione intrusiva, quando le modifiche condotte sul suo piano dell’espressione van-no a modificare il suo piano del contenuto. Nel primo caso, le modifiche hanno lo scopo di adattare il piano dell’espressione dell’unità citata al piano dell’espressione del testo citante, ad accordarne le testualizzazioni. La citazione viene riproposta nella sua alterità enunciativa. Nel secondo caso, le modifiche hanno lo scopo di piegare il piano del contenuto dell’unità citata alle finalità della strategia sincretica adottata. La citazione è soggetta ad un processo di ottundimento della propria alterità enunciativa. Vediamo di approfondire la questione.

7.1 L’obliterazione fisiologica tende ad uniformare la citazione alla scansione orizzontale del testo ospitante e a dotarla di uno statuto linguistico ben definito. Le modifiche ad essa corre-late rappresentano il “pegno” espressivo che la ripresa intertestuale è costretta a pagare al-l'enunciazione citante per entrare nella nuova compagine semiotica. La citazione, sottoposta ad un processo di assimilazione espressiva, rimane saldamente eterosignificante. Un caso emblematico di obliterazione fisiologica è il cambiamento di sostanza espressiva della cita-zione quando il suo inserimento è televisivamente rimediato (cfr. Bolter, Grusin, 1999).

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L'integrità dei frammenti filmici citati in Halloween, per esempio, è conservata nella sua for-ma ma modificata nella sostanza, che da pellicolare diventa elettronica. I disturbi elettroma-gnetici che rigano orizzontalmente lo schermo dell'apparecchio, marcano la “televisità” delle citazioni. Nel Miglio verde la differenza fra le sostanze dell'espressione del frammento citato di Cappello a cilindro e del cotesto citante risalta con chiarezza: in una scena iniziale del film (in cui gli anziani abitanti di una casa di riposo guardano la tv) la macchina da presa, nel-l'avvicinarsi progressivamente all'apparecchio televisivo, articola un vero e proprio processo di svelamento della “pasta elettronica” dell'immagine citata, sovrapponendosi quasi comple-tamente ad essa. In altri casi, il mutamento fisiologico della lettera citazionale non si indirizza alla sostanza espressiva, che rimane invariata, ma al suo formato testuale (cfr. Marrone 2001). Nell'Amore fugge le citazioni dai Quattrocento colpi (Les Quatre Cents Coups, Francois Truffaut, 1959) e An-toine e Colette (Francois Truffaut, 1962) sono rimesse in quadro, tagliate ai bordi e ricentrate per passare dal Cinemascope originario al formato del nuovo testo. In Agente 007 - Al servizio di sua Maestà (On Her Majesty's Secret Service, Peter Hunt, 1969), alcune inquadrature dei cin-que film precedenti, da Agente 007, Licenza d'uccidere (Dr. No, Terence Young, 1962) a Si vive solo due volte (You Only Live Twice, Lewis Gilbert, 1967), scorrono durante i titoli di testa, segmentate e parzialmente mascherate da un gioco di cangianti silhouettes femminili, fino alla loro deformazione fisica nel passaggio all'interno di una sorta di clessidra stilizzata. In altri casi ancora, è la colonna sonora che si accolla la responsabilità della modifica, trasfe-rendo una parte della sonorità del testo citante sull'inserto citato, e di conseguenza intac-cando la forma dell'espressione sonora originale. Nell'Amore fugge, le unità citate dei precedenti quattro film del ciclo Doinel2, sono sonoramente amalgamate all'ambiente testuale in cui si inseriscono. Prendiamo i frammenti di Antoine e Colette che visualizzano il romanzo autobio-grafico di Antoine letto sul treno da Colette: sebbene riprese insieme alla loro espressione sonora, le immagini di questo film (Antoine legge la risposta di Colette alla sua lettera d'a-more, telefona alla ragazza e la va a trovare, cena con i suoi genitori ecc.), sono permeate dalle voci e dai rumori “circostanti” la loro manifestazione (la voce over di Antoine scrittore proveniente “dal libro”, quelle off del dialogo fra questi e Colette, il rumore del treno in movimento) che vanno a modificare la colonna sonora originale e a legarla a quella del testo ospitante. In Buongiorno, notte la manipolazione della colonna sonora degli inserti citati si spinge più avanti: in una delle sequenze più costruite e intertestualmente raffinate del film3, un mon-taggio piuttosto frammentato articola una complicata interpolazione fra inquadrature intra e intertestuali, voci over e musica. Le citazioni da Paisà (l'annegamento dei partigiani per opera dei fascisti) e quelle dai Tre canti su Lenin (i primissimi piani di alcuni ragazzini) sono totalmente risonorizzate: alle colonne originali, in questo caso escluse dalla ripetizione, si sostituisce una citazione musicale (The Great Gig in the Sky dei Pink Floyd) e l'ideale voce over di un partigiano condannato a morte. Questo di Buongiorno, notte è un caso limite di quella che abbiamo chiamato obliterazione fisiologica, in quanto l’istanza enunciativa citante espunge totalmente le espressioni sonore originali e ad articolare un montaggio audiovisivo comples-so in cui i frammenti visivi citati sono orizzontalmente amalgamanti (gli uni agli altri e alle inquadrature “autoctone”) seguendo la verticalità ritmica della “nuova” colonna musicale,

2 Il ciclo di Antoine Doinel è composto da cinque film, tutti girati da François Truffaut: I quattrocento colpi, Antoine et Colette, Baci rubati (Baisers volés, 1968), Non drammatizziamo, è solo questioni di corna (Do-micile conjugal, 1970) e L’amore fugge (L’amour en fuite, 1978) 3 La lettera d'addio di Aldo Moro alla moglie turba profondamente la brigatista Chiara che non può fare a meno di contrapporla a quelle dei combattenti fucilati durante la Resistenza.

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secondo un meccanismo assimilabile a quello del videoclip. A ben vedere, l’intrusione enun-ciativa (compreso il ralenti con cui la caduta in acqua dei partigiani di Paisà è dilatata) non tende a mettere la sordina all’estraneità citazionale ma, al contrario, serve semmai a poten-ziarla. Azzerando la sonorità originaria degli inserti citati e sostituendola con i vocalizzi femminili che compongono The Great Gig, l’enunciazione pone in risalto, per mezzo di una visività in un certo senso onirica (fondata appunto su una condensazione e sostituzione di immagini), l’“esplosione mentale” che squassa, come un incubo culturale, le certezze politi-che della brigatista.

7.2 L’obliterazione intrusiva tende ad intaccare il piano del contenuto del frammento citato e ad indebolire la sua individualità testuale ed enunciativa. Una scena dell’Amore fugge è in questo senso emblematica. Antoine ripercorre un momento cruciale della sua adolescenza, testualizzato sulla colonna visiva da una citazione di Antoine e Colette, su cui si sovrappone in sincretismo la sua voce over. Questa voce over riscrive il contenuto della citazione, modifi-candone radicalmente il significato originario. La citazione va a raffigurare il nuovo e falso racconto dei fatti, opposto a quello che l’inquadratura originariamente manifestava. L’obliterazione intrusiva lavora sulla manipolazione (cfr. Greimas 1983) del frammento cita-to, sulle modalità della sua comunicazione e veridizione. A seconda della strategia manipola-toria adottata, l’obliterazione intrusiva può nascondere lo statuto intertestuale di una cita-zione e farla sembrare un’inquadratura “autoctona”, come nel caso delle citazioni di alcuni western nella sequenza iniziale del Pistolero (The Shootist, Don Siegel, 1976). Oppure, lo di-ciamo en passant, può mistificare lo statuto intertestuale di un’inquadratura “autoctona” e farla sembrare una citazione, come nel celebre caso della pseudo-citazioni documentarie che immortalano Forrest Gump con Kennedy o Nixon nel film omonimo (Forrest Gump, Robert Zemeckis, 1994). Nella prima sequenza del Pistolero, mentre scorrono i titoli di testa, una voice over si premura di riassumere la vita dell’anziano cowboy protagonista con l’aiuto di citazioni da tre film precedenti, Fiume rosso, Un dollaro d’onore (Rio Bravo, Howard Hawks, 1959) ed El dorado (Howard Hawks, 1967). I tre film sono autonomi dal punto di vista diegetico ma correlati da quello sociosemiotico: hanno tutti John Wayne come protagonista. Manipolate nell’espressione4 non per motivazioni meramente fisiologiche ma per modificarne il conte-nuto, le citazioni vanno a costituire delle false analessi di un “discorso fantasma” (cfr. Charles 1995). La strategia testuale adottata, tende ad dissimulare lo statuto intertestuale delle cita-zioni ed ad impiegarle come supporti biografici del personaggio principale, di cui mettono in luce ruolo tematico (il pistolero, appunto) e competenza discorsiva (la bravura nell’uso delle armi da fuoco). Nel Mistero del cadavere scomparso (Dead Men Don't Wear Plaid, Carl Reiner, 1982), l’obliterazione intrusiva delle riprese citazionali fornisce il principio di produzione testuale. La strategia adottata è interessata a sviluppare una generica con-fusione intertestuale, tale da impedire il discernimento formale delle copiose citazioni. Il mistero del cadavere scomparso è costruito sul montaggio di frammenti intertestuali eterogenei, correlati dalla stessa ascen-

4 Le colonne sonore originali sono quasi completamente scomparse, tranne che per i colpi d'arma da fuoco, sostituite appunto da una nuova voce narrante; Un dollaro d'onore ed El dorado, seppure origi-nariamente a colori, sono riproposti in bianco e nero; gli inserti sono montati insieme, interpolati da inquadrature di dettagli di pistole fumanti, e scanditi dalla progressione di cartelli indicanti l'anno dell'epica avventura. Dall'ultima citazione in bianco e nero (una sparatoria da El Dorado) si ripassa poi alla panoramica d'apertura, questa volta a colori.

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denza architestuale (il noir), a unità cotestuali originali. Le citazioni, sottoposte ad un radica-le processo di normalizzazione enunciativa che ne dissimula lo statuto intertestuale, contri-buiscono a fondare la dimensione narrativa del testo. Si prenda la scena in cui l’investigatore privato protagonista telefona alla sorella della sua cliente per reperire infor-mazioni sull’indagine che sta conducendo. La sorella non è altri che Barbara Stanwyck, che gli “risponde” direttamente dal Terrore corre sul filo (Sorry Wrong Number!, Anatole Litvak, 1948). Da moglie tradita e terrorizzata del testo originale, la Stanwick è ritematizzata in iste-rica malata immaginaria, che mette a dura prova la pazienza dell’investigatore. Il dialogo telefonico dei due è prodotto dalla giustapposizione di due sequenze irrelate, di cui una in-tertestuale. Sia in questo film, sia nel Pistolero (ma anche, in grado minore, nell'Amore fugge) la manipolazione degli inserti citati deriva da una rimessa in serie, da un'operazione di rimon-taggio che, dopo aver spezzato la continuità originaria dei testi precedenti, ne riassembla i pezzi in tutt’altro modo e crea quindi una nuova unità espressiva dotata di un significato coerente. Le inquadrature di Fiume rosso, Un dollaro d'onore ed El dorado5 citate nell'incipit del Pistolero strutturano autonomamente un piccolo film, quasi un cortometraggio biografico, che riassume le puntate precedenti di un inesistente continuità filmica; similmente le (cin-que) inquadrature del Terrore corre sul filo citate dal Mistero nella scena sopra considerata, vanno a costituire insieme a quelle originali un sintagma alternato (cfr. Metz 1968) che ri-succhia il loro statuto citazionale e ne trasforma il contenuto.

8. L’inserzione citazionale è dunque associata ad un intervento traduttivo che, attuato dall’enunciazione sincretica con lo scopo di assimilare l’inserto citato alla nuova compagine semiotica, oscilla dal rispetto all’oltraggio della lettera riportata, fino alla mistificazione della sua stessa presenza. Ora, se questo intervento traduttivo deriva dalla correlazione di due piani espressivi differenti, dobbiamo considerare anche l’opposta evenienza, che sia cioè la citazione a modificare il piano dell’espressione del testo citante. Il piano dell’espressione ci-tato può “trasbordare” sul piano dell’espressione citante, secondo una varietà di forme che oscilla dalla semplice veicolazione sintagmatica alla più complessa imitazione espressiva. Nel caso della veicolazione, la citazione si sovrappone alle colonne sonora e visiva del testo citante, in quanto da esse inglobata. Si pensi alle televisioni rappresentate in Halloween: seb-bene l'immagine citata sia schermicamente “virgolettata”, rinchiusa nel quadro televisivo, il sonoro intertestuale si amalgama naturalmente a quello intratestuale; oppure al riflesso (su uno specchio o su altra superficie) con cui la citazione esce dal suo schermo, si duplica ed entra nel mondo citante (come in Tutto in una notte o Misterioso omicidio a Manhattan). Nel caso dell’imitazione, l’istanza enunciativa citante vede nell’espressione citata una matrice da utilizzare per produrre un’espressione equivalente. Il mistero del cadavere scomparso, già a partire dall’uso del bianco e nero, è costretto a modellarsi espressivamente su quella degli inserti citati, amalgamandosi al loro piano dell’espressione, pena la dissoluzione della sua progressione sintagmatica. Così, nel campo/controcampo che struttura il dialogo al bar fra l'investigatore protagonista e Ava Gardner, citazione di Corruzione (The Bribe, Robert Z. Leo-nard, 1948), le inquadrature ripropongono la stessa composizione fotografica di quelle cita-te (frontalità della ripresa, mezza figura, profondità di campo, chiaroscuro sfumato), e rico-struiscono la simmetria degli sguardi (come se i due personaggi si vedessero) e quella delle illuminazioni (come se fossero “bagnati” dalla stessa fonte intradiegetica che li colpisce su lati diversi).

5 Più precisamente, le inquadrature da Fiume rosso sono sette, da due scene (4 + 3); da Un dollaro d'o-nore sono sei, da un'unica scena; da El dorado quattordici, da due scene (6 + 8).

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9. Abbiamo definito obliterative le procedure di sincretizzazione che traducono l’unità citata all’interno del cotesto citante. Lavorando sulla forma, il colore e la testura della citazione, l’enunciazione sincretica struttura assi di coesione espressiva in vista della produzione di specifici effetti di senso. Nel Pistolero la coesione è prodotta attraverso tre operazioni: l’utilizzo del bianco e nero (strumento di temporalizzazione discorsiva che connette la sequenza al “passato”), il ritmo del montaggio (costruito sull’alternanza dell’invariante “pistola” e di va-rianti figurative del tema “sparatoria”), la voice over (testualizzazione della presenza di un osservatore che fornisce alla sequenza una prospettiva analettica di carattere biografico). Di conseguenza, la sequenza iniziale del Pistolero, seppure realizzata dal montaggio di inqua-drature provenienti da tre testi filmici differenti, articola una perfetta identità discorsiva (at-tore, spazio e tempo, figure e temi) con il piano del contenuto del testo ospitante. Le proce-dure di sincretizzazione rappresentano particolari strategie di produzione di nuova significa-zione: la manipolazione del piano espressivo della citazione (che possiamo considerare la prima fase della sincretizzazione) è propedeutica al montaggio dei discorsi citato e citante in vista della creazione di un particolare effetto di senso, estrinseco da entrambi se considerati separatamente.

9.1 L’enunciazione sincretica impiega le procedure obliterative per intaccare o meno il di-scorso della citazione, a seconda della strategia di sincretismo adottata. L’enunciazione può adottare due strategie: (i) una strategia omodiscorsiva e (ii) una strategia eterodiscorsiva (cfr. Zinna 2004), a seconda del rapporto fra la dimensione discorsiva della citazione e la dimen-sione discorsiva del testo ospitante. Quando le unità citate presentano “una stessa identità figurativa, tematica, di spazio o di tempo sul piano del contenuto” (p. 218) delle unità citan-ti, ci troviamo in regime omodiscorsivo. Il pistolero o Il mistero del cadavere scomparso rappre-sentano casi evidenti di sincretizzazione omodiscorsiva, capace di trasformare frammenti intertestuali discorsivamente irrelati in unità discorsive omogenee al discorso citante. In altri testi, l’enunciazione articola un sincretismo eterodiscorsivo, in cui non c’è identità ma bensì alterità discorsiva fra citazioni e testo citante. Le funzioni del sincretismo omo e eterodiscor-sivo sono molto diverse: “il primo dispositivo tende ad omogeneizzare le istanze d’enunciazione, il secondo a mantenere il pluralismo delle voci” (p. 279). La strategia etero-discorsiva mantiene attiva l’alterità del discorso citato rispetto al discorso citante e permette l’instaurazione di forme di dialogismo interdiscorsivo (cfr. Bachtin 1963; 1975). L’inserto cita-zionale può svolgere funzioni omodiscorsive o eterodiscorsive, a seconda che esprima o me-no un contenuto discorsivo omogeneo a quello del contesto d’inserzione, producendo effetti di sintonia o distonia. Le citazioni della “Cosa” da un altro mondo e del Pianeta proibito, per esempio, si pongono co-me differenti esplorazioni figurative della stessa configurazione tematica su cui anche Hallo-ween sta lavorando. Esse sono nello stesso tempo figure del discorso ospitato, a cui rimanda-no metonimicamente, e figure del discorso ospitante, che contribuiscono a manifestare. Le citazioni della “Cosa” da un altro mondo e del Pianeta proibito fanno da “porte d’accesso” ad altre dimensioni discorsive con cui il discorso di Halloween si lega, istituendo un gioco di consonanze e sovrapposizioni. Queste citazioni prendono parte alla manifestazione e alla linearizzazione isotopica dei temi del discorso in cui sono inserite. Esse manifestano un tema “in abisso” (cfr. Dallenbach 1977), attraverso i loro mondi estranei. Sia la “Cosa” che Il pianeta esprimono un attore mostruoso (rispettivamente una “carota gigante” umanoide e una cto-nia bestia “infernale”) che figurativizza in modo peculiare il tema dell'alterità distruttiva, a-

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liena ed esteriore nel primo caso, umana ed intrinseca nel secondo6. Sebbene questi mostri non siano visivamente inseriti in Halloween (non siano cioè materialmente inquadrati), essi “traboccano” nell’ospite, articolano assonanze con il suo killer, e riversano sulla configura-zione omicida di cui questi è parte, nuove connotazioni di carattere sociale e psicologico, tanto da porsi come possibili chiavi di lettura se non del suo agire, del suo essere (una cosa dall'altro mondo, appunto, materializzazione delle paure inconsce di una piccola società in cui pure ha visto la luce).

10. Possiamo discriminare la citazione anche in rapporto al livello narrativo in cui è inserita. Al riguardo, riconosciamo tre forme di inserzione: (i) l’inserimento, (ii) l’unione, (iii) la giu-stapposizione. L’inserimento deriva da una procedura di sovrapposizione, mentre l’unione e la giustapposizione sono il prodotto di una procedura di successione. Nel caso dell’inserimento, la narrazione del testo citante ingloba la narrazione della citazione, che produce un secondo livello narrativo; nel caso dell’unione, le narrazioni citante e citata arti-colano un rapporto paritetico sul livello narrativo che entrambe contribuiscono a fondare; nel caso della giustapposizione, le narrazioni citante e citata producono due livelli narrativi distinti, ed enunciativamente sussunti dalla strategia testuale adottata. E’ quel che succede, rispettivamente, in Halloween, dove le narrazioni della Cosa da un altro mondo e del Pianeta proibito sono inserite in una narrazione primaria che le ingloba; nel Mistero del cadavere scom-parso in cui i numerosi inserti, montati assieme, fondano una nuova narrazione; in Bowling a Columbine - Una nazione sotto tiro (Bowling a Colombine, Michael Moore, 2002) dove le numero-se citazioni (si prenda quelle western a metà film) non vanno a fondare un’unica entità nar-rativa, né un secondo livello inglobato da un primo, ma allacciano relazioni testuali narrati-vamente “estrinseche”. Riferendoci alla categoria narratologica di diegesi (cfr. Souriau 1953; Genette 1972), diremo che nell’inserimento le citazioni inglobate acquistano uno statuto (i) metadiegetico; nell’unione le citazioni strutturano il livello (ii) intradiegetico; nella giustapposi-zione le citazioni hanno carattere (iii) extradiegetico. Definiamo intradiegetica la citazione che, come nel caso del Mistero del cadavere scomparso, va a strutturare una diegesi e si fa dunque veicolo delle logiche discorsive di primo grado; metadiegetica la citazione che, inserita all'in-terno del primo livello, veicola un universo di secondo grado, come in Halloween; extradie-getica la citazione giustapposta all’universo diegetico con cui stabilisce rapporti commentati-vi a livello enunciazionale, come nel caso di Bowling a Columbine. Vediamo di approfondire questi punti.

10.1 La citazione metadiegetica produce un secondo livello narrativo, ancorato enunciati-vamente ad un débrayage interno al primo. Nell'Assassino ti siede accanto, l’unica sopravvissu-ta alla madre di Jason nel primo capitolo della serie, sogna il “riassunto” della sequenza fi-nale di Venerdì 13. Ad una serie di Mezze figure della ragazza addormentata, sono interpola-ti vari inserti dell'episodio precedente, che lei rivive come un incubo. Le citazioni di Venerdì 13 nell'Assassino vanno a costituire una metadiegesi che si riferisce a quanto accaduto prece-dentemente nella (stessa) diegesi, testualizzata nell’episodio precedente. In Buongiorno, notte, invece, la brigatista Chiara sogna, direttamente dai Tre canti su Lenin, la panchina vuota e innevata in cui il leader sovietico soleva sedersi a riflettere. In questo caso la relazione fra diegesi ospitante e metadiegesi ospitata è di carattere tematico e non implica alcuna continui-tà spazio-temporale.

6 Il mostro della “Cosa” è un vampiro vegetale extraterrestre che si nutre del sangue umano; quello del Pianeta è invece la manifestazione delle oscure energie inconsce di un ambizioso scienziato.

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10.2 La citazione intradiegetica, tranne casi piuttosto rari come quello del Mistero del cadave-re scomparso, manifesta la sua occorrenza soprattutto nell’ambito della continuazione, in cui il meccanismo citazionale, oltre a collegare differenti testi, esplicita la coesione di un'unica ma-crodiegesi, sottesa ai testi stessi. Il Mistero fonde molteplici diegesi intertestuali in una sola diegesi intratestuale (la sua), spingendosi per così dire a ridiegetizzare gli inserti citati se-guendo una strategia omodiscorsiva; la continuazione è un secondo esemplare testuale della stessa dimensione diegetica in precedenza già testualizzata da uno o più testi. Nel Mistero molte diegesi vengono compattate in un singolo testo; nella continuazione una diegesi viene “spalmata” (almeno) su un altro testo, legato al capostipite da un’eventuale saldatura cita-zionale. Si considerino gli esempi di Week-end di terrore (Friday the 13th Part III, Steve Miner, 1982), terzo capitolo della serie di Venerdì 13 e Il signore della morte (Halloween II, Rick Rosen-thal, 1981), secondo capitolo della serie di Halloween. Questi testi inglobano le ultime inqua-drature dei capitoli precedenti e ne continuano logica discorsiva. In entrambi i film è la sce-na finale, quella dell'uccisione dell'antagonista, ad essere reintegrata, contraddetta (l'assassi-no, infatti, non era morto) e trasformata in un nuovo inizio. Week-end di terrore si apre con la “scena madre”7 dell’Assassino ti siede accanto (Friday the 13th Part II, Steve Miner, 1981), ri-proposta fino all'inquadratura precedente i titoli di testa. La riproposizione di questa scena svolge sia una funzione riassuntiva a livello narrativo, prima di riprendere il racconto della storia, che una funzione condensativa a livello discorsivo, riproponendo le matrici tematico-figurative di cui ogni capitolo è una nuova attualizzazione. Il signore della morte articola una citazionalità un po’ più complessa, in quanto gli inserti ri-presi da Halloween non hanno solo un carattere introduttivo, come nel Week-end, ma sono inserite in una nuova compagine cotestuale, strumentalmente alla ripresa in medias res dello svolgimento narrativo. Dopo i titoli di testa, Il signore della morte presenta, come già il suo predecessore, dei cartelli con l'indicazione del luogo (Haddonfield, Illinois) e della data (31 Ottobre, 1978), ovviamente gli stessi dell'originale. Un dolly costeggia le chiome di un albe-ro e discende fino a scovare attraverso il fogliame la casa dei ragazzini a cui Laurie (la pro-tagonista) ha fatto da baby-sitter nel primo episodio. Un ponte sonoro ci trasporta dentro la casa: la scena che segue proviene direttamente da Halloween8, fino alla caduta del killer dalla finestra, punto da cui la narrazione ricomincia. Entrambi i testi utilizzano la procedura di sincretizzazione per successione per ricontestua-lizzare le citazione e riconfigurarne il valore narrativo. Nei testi originari esse manifestavano la vittoriosa conclusione del programma narrativo del soggetto (con la morte dell’anti-soggetto); nelle continuazioni, lungi dal manifestare la sua vittoria, le citazioni ne mettono invece in luce lo scacco performativo e l’imperizia cognitiva. L’anti-soggetto non è morto. Ciò che sembrava non era. L’angoscia continua.

7 La giovane protagonista fugge da Jason – che ha già fatto piazza pulita degli altri campeggiatori – e finisce proprio nella sua capanna, poco lontana dal campeggio, dove scopre con massimo orrore un “altare” dedicato da Jason alla madre (decapitata nel primo episodio) la cui testa mummificata cam-peggia fra ceri votivi. Dopo alcune peripezie (la protagonista si “traveste” da madre di Jason, indos-sando il maglione della donna trovato nella capanna) la ragazza ha ragione dello psicopatico e lo tra-figge con il machete della prima puntata (anch’esso presente sul luogo). 8 Precedentemente colpito da Laurie, che lo crede esanime, Michael si rialza e assale alle spalle la ra-gazza; i due si accapigliano, Laurie si difende come può, fino al sopraggiungere del dottor Loomis, che scarica una pistola addosso a Michael, facendolo cadere dalla finestra.

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10.3 La citazione extradiegetica, al contrario di quella intradiegetica (tesa, come abbiamo det-to, al compattamento dell'universo rappresentato, di cui è parte integrante), non coopera alla costruzione della diegesi principale ma si intrufola nella scansione del testo e impone tutta la sua incongruità narrativa. Fra diegesi ospitante e metadiegesi ospitata non c’è infatti alcuna continuità spazio-temporale, ma bensì una semplice contiguità sintagmatica. La citazione extra-diegetica ha una funzione commentativa dell’azione narrativa in corso, articolando corrispon-denze o contrapposizioni semantiche con quanto narrato sulla dimensione diegetica. Si prenda una scena di Buongiorno, notte: i quattro brigatisti sono in salotto, a svolgere le fac-cende quotidiane (chi accudisce i canarini, chi pulisce la verdura, chi scrive), quando alla televisione il vicesegretario della DC Giovanni Galloni, li accusa di essere assassini e crimina-li. Gli sguardi fissi al televisore, i quattro intonano una cadenzata litania (“la classe operaia deve dirigere tutto”), fino all'inserzione di alcune citazioni documentarie di vecchi cinegiornali sovietici, con cui la scena si chiude. L’enunciazione è indifferente ad ancorare gli inserti cita-ti ad un narratore delegato interno al discorso. Tale inserzione, di grande rilevanza temati-ca, non ha alcun radicamento diegetico, ma manifesta semmai l’apporto interpretativo e commentativo dell’enunciazione. Lo slogan politico dei rapitori trova nelle citazioni il suo radicamento culturale, la sua storia, e nello stesso tempo una declinazione filmologica (cfr. Micciché 2002), che lo lega ad un bagaglio cinematografico.

10.4 Aggiuniamo per completezza che la citazione va distinta anche in omodiegetica o eterodie-getica, a seconda che testualizzi la stessa diegesi del contesto di inserzione (come nel caso del-la continuazione) o che si riferisca ad una diegesi del tutto estrinseca da quella primaria. A differenza della citazione omodiegetica (si pensi soprattutto alla continuazione), quella ete-rodiegetica manifesta uno spazio-tempo “altro”, incapace di prendere in carico la narrazio-ne del testo citante. A fronte di questa debolezza pragmatica, la citazione eterodiegetica ma-nifesta di converso la capacità di essere un catalizzatore passionale e cognitivo, ponendosi come “luogo” dell’avvenimento affettivo – si pensi alla citazione di Giovanna d’Arco (La Pas-sion de Jeanne d'Arc, Carl T. Dreyer, 1928) in Questa è la mia vita (Vivre sa vie, J.-L. Godard, 1962) – o “nodo” del percorso cognitivo – si pensi al valore informativo di Dracula (Tod Browning, 1931) all’interno di Amore all’ultimo morso (Innocent Blood, John Landis, 1992) e in generale in molto cinema horror anni 90. In Bellissima la citazione di Fiume rosso svolge sia una funzione affettiva che una funzione epi-stemico-cognitiva. Da un lato “passionalizza” l’attore (Maddalena Cecconi), costituendo il ruolo passionale della “frustrata” (fondato su valori modali del volere ma non-potere), dall’altro si pone come un informatore che dona all’osservatore un oggetto cognitivo da questi inquadrato secondo un punto di vista che con Fontanille definiremo oscillante fra l’“edonistico” e il “mitico” (cfr. Fontanille 1998, pp. 232-3) contribuendo a creare il ruolo cognitivo della “sognatrice”.

11. Per concludere, facciamo alcune annotazioni sul dispositivo enunciativo della citazione. Abbiamo detto sopra che l’enunciazione esprime un doppio processo, d’asserzione e di assun-zione, attraverso cui predica nello stesso tempo un discorso e la sua posizione in rapporto ad esso (cfr. Fontanille 1998). A seconda di quale dei due processi si ponga come preminente nella predicazione enunciativa, il discorso prodotto sarà differente: da un lato avremo un discorso a preponderanza “debraiante”, la cui referenza sarà rappresentata dal campo di-scorsivo stesso, dall’altro un discorso a preponderanza “embraiante”, la cui referenza sarà invece rappresentata da un rinvio ad un simulacro enunciativo. In rapporto alle modalità di

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traduzione e sincretizzazione adottare e all’intenzionalità enunciativa ad esse sottesa, la cita-zione può svolgere la funzione di elemento primariamente “assertivo” o “assuntivo”, a ten-sione debraiante o embraiante, capace di rafforzare la rappresentazione filmica o di metter-ne invece in luce la “discorsività”. In altri termini, la citazione può svolgere un ruolo refe-renziale o metadiscorsivo: nel primo caso contribuisce a referenzializzare una realtà rappre-sentata, nel secondo a manifestarne la “linguisticità”, fornendo il suo contributo alla produ-zione di “effetti di realtà” o di “irrealtà”9. Vediamo di approfondire la questione.

11.1 La referenzializzazione, vale a dire quel processo che ispessisce la “realtà” del discorso, si sviluppa secondo un triplice meccanismo di debrayage interno, isotopizzazione e anaforizzazio-ne (cfr. Bertrand 1985). Perché una citazione produca un effetto di realtà, deve declinarsi coerentemente a livello isotopico, costruire rinvii anaforici o cataforici con altri elementi del discorso e produrre un secondo livello discorsivo attraverso un débrayage interno. In altri termini la citazione referenziale deve manifestare una metadiegesi capace di strutturare in-trecci isotopici con il discorso ospitante e di ancorarsi estensivamente ad esso. In Bellissima, Fiume rosso svolge sia il ruolo di complessa figura sincretica, come abbiamo già visto, sia quel-lo di nodo cataforico, sia ancora quello di secondo grado discorsivo inserito in un primo. Si noti che il débrayage “interno” citazionale è problematico, poiché posto in essere non dall’espulsione enunciativa interna di categorie discorsive, ma dal sincretico inserimento nel discorso di un secondo livello discorsivo “già pronto”. La presenza di un altro livello discor-sivo sovrapposto al primo, trasforma comunque il discorso di partenza in piano di referenza del secondo discorso e produce quindi una referenzializzazione interna. Va da sé che la cita-zione intrasintagmatica eterodiegetica sia quella tipologicamente dotata di maggior potere referenziale, in forza del suo radicamento rappresentativo e della sua alterità enunciativa: l'inserimento di (altro) cinema nel cinema, infatti, “concentra la convenzionalità cinemato-grafica in scene che raffigurano uno schermo nello schermo, per cui siamo indotti a perce-pire le altre scene del film come vita reale” (Lotman 1985, p. 41). Si ripensi al riguardo a Fiume rosso in Bellissima: l’istanza enunciativa citante si “nasconde” dietro quella citata, posta in primo piano, o meglio “nasconde” il proprio débrayage dietro il discorso della citazione. Attraverso questa strategia, l’istanza enunciativa convoglia per così dire tutta l’“enunciazionalità” (potremmo dire tutta la “discorsività”) in un luogo specifico da essa a-vulso, da essa non creato ma solo ospitato, un luogo dal cui contrasto l’enunciato (e il discor-so) “circostante” acquista una sorta di trasparenza referenziale.

11.2 Gli effetti citazionali di irrealtà, invece, si declinano in una dereferenzializzazione della rappresentazione. In questo contesto, le unità citate non solo manifestano una incongruità isotopica e una mancanza di equivalenza tematico-figurativa con il campo discorsivo circo-stante, ma premono su di esso per mezzo di un processo di embrayage che potremmo defini-re peculiarmente eterocategorico (cfr. Greimas, Courtés, 1979), con cui tentano di “scaricar-si” enunciativamente sul testo ospitante. Per mezzo di questo embrayage le citazioni non ten-dono a ritornare verso il loro “focolare” enunciativo (quello che le ha “detraiate”), ma ten-dono invece a penetrare nel discorso che le ospita. Tale embrayage si fonda sì sulla negazione delle categorie del non-io, non-qui e non-ora, ma non per ritornare nei propri “io” (quello che l'ha espulsa) “qui” e “ora”, ma per abbracciare un io e uno spazio-tempo del tutto nuovi.

9 Dove per realtà, seguendo la rilettura di Micheal Foucault compiuta da Gilles Deleuze e ripresa da Paolo Fabbri (1998), si intende una formazione discorsiva in cui gli oggetti sono una sostanza, esito dell’incontro fra la materia del mondo (le cose) e la forma del linguaggio (le parole).

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Eclatante a questo riguardo l’uso della citazione dell’Altro uomo (Strangers on a Train, Alfred Hitchcock, 1951) in Amore all’ultimo morso, dove alla totale incongruità figurativa della sua inserzione risponde una sorta di interpellazione citazionale “in abisso”. Se le citazioni di Fiume rosso in Bellissima o della “Cosa” dell'altro mondo e Il pianeta proibito in Halloween svolgono una funzione referenzializzante, concentrando nel proprio secondo gra-do l'artificio discorsivo cinematografico e proiettando sul primo grado un “effetto di realtà”, all’opposto le citazioni del Cervello di Frankenstein in Tutto in una notte e quelle di Dracula e dell’Altro uomo in Amore all'ultimo morso (del resto del tutto incongrue a livello isotopico) paiono per così dire referenzializzare se stesse, spingendo per entrare nel primo grado di-scorsivo e per “disperdersi” in esso, dereferenzializzandolo di conseguenza. Tale deferenzia-lizzazione può proporsi sia come una delle cause della “dissoluzione metalinguistica” che Marcello Walter Bruno (2002, pp. 17-19) interpretata come caratteristica precipua della ci-tazione (in un certo suo uso, aggiungiamo noi) sia come chiave di lettura della crisi del die-getico che Gianni Canova (2000) considera elemento fondante il cinema postmoderno (in cui la citazione ha largo spazio). L'uso deferenzializzante della citazione porta ad un confusi-vo gioco enunciazionale che indebolisce una diegesi posta sotto l’assedio.

pubblicato in rete il 22 aprile 2009

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