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DAL CONTROLLO ALLACCESSO MODELLI DI CORPORATE GOVERNANCE PER LE PMI FAMILIARI Paolo Gubitta Dipartimento di Scienze Economiche Università degli Studi di Padova Department of Management Manchester Metropolitan University Via del Santo, 33 35123 Padova tel. +39-049-8274235 fax. +39-049-8274211 e-mail: [email protected] Martina Gianecchini Dipartimento di Scienze Economiche Università degli Studi di Udine Via Tomadini, 30 33100 Udine tel. +39-049-8274234 fax. +39-049-8274211 e-mail: [email protected] 1. Premessa [1].....................................................33 2. Dal controllo all’accesso............................................33 3. Le imprese familiari e l’esigenza di accesso..........................33 4. Controllo e accesso nelle strutture e processi di governance..........33 5. Le teorie sulla governance.......................................33 6. I risultati della ricerca........................................33 7. Conclusioni......................................................33 Note.............................Errore. Il segnalibro non è definito. Bibliografia........................................................33 Tabelle e Figure....................................................33 Appendici...........................................................33

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DAL CONTROLLO ALL’ACCESSOMODELLI DI CORPORATE GOVERNANCE PER LE PMI FAMILIARI

Paolo GubittaDipartimento di Scienze Economiche

Università degli Studi di PadovaDepartment of Management

Manchester Metropolitan UniversityVia del Santo, 33

35123 Padovatel. +39-049-8274235fax. +39-049-8274211

e-mail: [email protected]

Martina GianecchiniDipartimento di Scienze Economiche

Università degli Studi di Udine

Via Tomadini, 3033100 Udine

tel. +39-049-8274234fax. +39-049-8274211

e-mail: [email protected]

1. Premessa [1].........................................................................................................................................332. Dal controllo all’accesso.....................................................................................................................333. Le imprese familiari e l’esigenza di accesso.......................................................................................334. Controllo e accesso nelle strutture e processi di governance..............................................................335. Le teorie sulla governance...................................................................................................................336. I risultati della ricerca..........................................................................................................................337. Conclusioni..........................................................................................................................................33Note.....................................................................................................Errore. Il segnalibro non è definito.Bibliografia..................................................................................................................................................33Tabelle e Figure...........................................................................................................................................33Appendici.....................................................................................................................................................33

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1. PREMESSA 1

Negli ultimi anni, alcuni autori hanno evidenziato il legame che esiste tra sviluppo

economico, competizione tra imprese e qualità delle regole di governo societario (Roe,

1994; La Porta et. alii., 1996), tanto che si può pensare alle strutture e processi di

governance come a vere e proprie risorse capaci di influenzare la performance

organizzativa (Gubitta, 1999).

Parallelamente, si è assistito a una evoluzione delle teorie che interpretano i processi di

governance e forniscono suggerimenti per la progettazione delle strutture (Muth e

Donaldson, 1998).

Questo paper si propone di verificare se le ipotesi formulate dalle varie teorie trovano

conferma empirica e quindi se sono in grado di interpretare la realtà organizzativa. Per

falsificare le ipotesi, si utilizzeranno i dati sull’assetto di governance raccolti su 83

imprese familiari di media e piccola dimensione del Nordest.

Il paper è organizzato in quattro parti. La prima formula gli interrogativi di ricerca. La

seconda è centrata sugli oggetti di studio: l’impresa familiare, le strutture e i processi di

governance. La terza individua le ipotesi di ricerca formulate nelle diverse teorie

considerate. La quarta, infine, falsifica tali ipotesi.

Dal lavoro emerge che nella progettazione della struttura e dei processi di governance

coesistono esigenza di controllo ed esigenza di accesso. Rilevare che controllo e

accesso non sono tra loro mutuamente incompatibili ha due conseguenze:

non esistono teorie sulla governance “obsolete”

non esiste l’one best way nelle soluzioni di governance.

Nel caso specifico delle imprese familiari, trovano solo parziale conferma le ipotesi

formulate da diverse teorie, senza che emerga chiaramente la supremazia di una di esse.

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Da qui nasce il bisogno di elaborare un framework teorico solido, costituito da alcuni

elementi capaci di interpretare le comuni esigenze di base di un modello di governance,

e flessibile, in grado di inglobare le necessità contingenti definite dai fattori di contesto

interni ed esterni.

2. DAL CONTROLLO ALL’ACCESSO

La ricerca sulla corporate governance prende avvio dal pionieristico lavoro di Berle e

Means (1932). Nella grande impresa, la progressiva separazione tra proprietà

(partecipare con un interesse economico all'andamento dell'impresa), controllo (avere

un potere sull'impresa) e direzione (agire nell'interesse dell'impresa entro di essa e verso

i terzi) pone in evidenza i potenziali rischi legati alla divergenza di interessi tra

proprietari e manager, da cui nasce l’esigenza di controllo. Per molto tempo, il dibattito

si è concentrato su questo problema, senza tuttavia pervenire a una soluzione condivisa.

Lo dimostra la simultanea pubblicazione di Eclipse of the Public Corporation di Jensen

(1989) e di The Staying Power of the Public Corporation di Rappaport (1990).

Nell’ultimo decennio, il focus della ricerca si è spostato sull’esigenza di accesso, non

tanto al capitale finanziario, quanto al capitale umano. Nella progettazione delle

strutture e dei processi di governance, l’obiettivo primario diventa la ricerca delle

soluzioni più efficaci per coinvolgere le persone che apportano il know-how critico e

per supportare nel tempo i loro investimenti in conoscenza specifica (Rajan e Zingales,

2000). Due recenti rapporti di Business Week (1999, 2000) indicano la portata di questo

cambiamento. Nelle imprese web based, le best practices di governance formulate in

vari Code sono ampiamente disattese, senza alcun impatto negativo sulle prestazioni

dell’impresa. Ciò è dovuto al fatto che queste practices, centrate sulla composizione e

sulla numerosità del consiglio di amministrazione e sul modello di leadership, sono

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funzionali allo scopo di soddisfare “l’esigenza di controllo sul management e di

garanzia per gli azionisti”, ma si dimostrano inadatte, quando l’obiettivo è avere un

processo decisionale rapido e flessibile, che coinvolge le persone in possesso delle

conoscenze critiche in relazione alla natura del problema da affrontare.

Nell’evoluzione sinteticamente descritta, si trova il problema teorico che sta alla base di

questo paper. La governance:

non è rilevante solo nell’impresa in cui la proprietà è separata dal controllo

non può adottare gli stessi principi indipendentemente dal contesto, inteso sia in

termini di business che di organizzazione

non si può limitare alla tutela degli azionisti (capitale finanziario), ma deve

estendersi alla valorizzazione delle persone, delle relazioni e delle conoscenze

(capitale umano)

Si pone pertanto la necessità di valutare se le teorie sviluppate per soddisfare l’esigenza

di controllo mantengano la loro capacità interpretativa anche a fronte dei cambiamenti

citati.

Le imprese familiari di medie e piccole dimensioni costituiscono un osservatorio

privilegiato a tale scopo, poiché in esse, da una parte non vi è la separazione tra

proprietà e controllo, dall’altra le persone, le abilità relazionali e le conoscenze tecniche

sono elementi distintivi2. Gli interrogativi di ricerca che sorgono possono essere così

formulati:

la relazione tra proprietà e management ha ancora la capacità di spiegare le

dinamiche di governance? In altri termini: esiste ancora una esigenza di controllo?

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il capitale umano è realmente in grado di sostituirsi al capitale finanziario nel ruolo

di risorsa critica da cui discendono le regole di progettazione delle strutture di

governance? In altri termini: come si configura l’esigenza di accesso?

3. LE IMPRESE FAMILIARI E L’ESIGENZA DI ACCESSO

Le imprese familiari sono state definite come aziende nelle quali due o più famiglie con

vincoli di parentela o legate da solite alleanze detengono il controllo (Corbetta, 1995).

Al fine di studiare gli assetti di governance, tale definizione risulta ambigua.

3.1. La rilevanza delle relazioni

Innanzi tutto, c’è un problema legato alla varietà. Sono “familiari” tanto le imprese di

grandi dimensioni con il pacchetto di controllo saldamente bloccato nelle “casseforti di

famiglia” e con una linea manageriale sviluppata, quanto le imprese piccole in cui

l’imprenditore-persona assume non solo il controllo, ma anche la gestione direzionale e

operativa.

Solo nel primo caso l’esigenza di controllo è rilevante, vuoi perché i soci di minoranza

(spesso membri della stessa famiglia proprietaria) mirano a tutelare interessi diversi da

quelli del socio leader, vuoi perché il progressivo ritiro della famiglia dalle posizioni

direttive di vertice trasferisce sul management professionista (e non familiare) tutto il

potere di direzione e decisione. Si ripropongono in tal modo alcuni tipici problemi della

grande corporation e i concetti elaborati dalla teoria dell’agenzia (Jensen e Meckling,

1976; Fama e Jensen, 1983) forniscono gli strumenti per progettare gli assetti di

governance in modo corretto.

Nel secondo caso, pur essendo vero che deriva generazionale e raffreddamento dei soci

possono differenziare i ruoli dei familiari (Corbetta, 1995; Preti, 1991), il fenomeno più

rilevante è la commistione tra proprietà, controllo e gestione: da una parte, negli organi

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di governo siedono tanto i familiari attivi, che i non attivi; dall’altro, l’impresa è affidata

a una squadra manageriale composta sia da membri della proprietà che da manager non

familiari.

Fino a quando la dimensione dell’impresa e la complessità gestionale lo consentono, si

verifica che il leader, che coincide con il fondatore o con la persona più rappresentativa

della proprietà, si trova a gestire una rete economica e una rete socio-familiare, viste in

termini complementari e non alternativi: la prima assicura l’apporto di competenze

critiche per la gestione; la seconda permette di integrare le persone esterne alla famiglia

in una specie di clan imprenditoriale (Rullani, 1999). Ciò implica che il rapporto tra

proprietà e management non si possa interpretare come uno scambio fondato sulla

reciproca sfiducia, come porterebbe a pensare la teoria dell’agenzia, bensì come un

rapporto che si inserisce in uno specifico contesto organizzativo ed è influenzato da

fattori di natura sociale (Costa, 1992). In tale situazione, appare più efficace la teoria

della stewardship (Donaldson e Davis, 1991; Davis, Schoorman e Donaldson, 1997),

secondo cui i manager sono motivati ad agire nell’interesse del proprietario, adottando

comportamenti cooperativi. Questo non significa che gli interessi del proprietario-

principale e del manager-agente siano allineati, ma che vi sia una stretta relazione tra il

successo del primo e la soddisfazione del secondo.

In questo lavoro si studiano le strutture di governance della seconda tipologia di

imprese, che si distingue non solo per l’elevato grado di concentrazione del capitale, ma

anche per il diretto coinvolgimento della proprietà nella conduzione dell’impresa in

posizioni direttive di vertice, tanto da dare l’imprinting alla gestione e ai meccanismi di

governance.

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3.2. Il problema dell’accesso

Il secondo motivo che rende ambigua la definizione di impresa familiare riguarda la

variabilità.

A partire dalla fine degli anni ’60, la crescente turbolenza dell’ambiente esterno manda

in crisi i sistemi di pianificazione e controllo della grande corporation: l’ambiente

diventa una variabile chiave della progettazione organizzativa (Benassi, 1997) e dei

sistemi di governance. La teoria della dipendenza dalle risorse coglie questa esigenza e

propone un framework che soddisfa i nuovi bisogni dell’organizzazione nel suo

complesso (Pfeffer e Salancik, 1978) e del sottosistema di governance (Pfeffer, 1972).

La diffusione della specializzazione flessibile (Piore e Sabel, 1984) porta in primo piano

l’importanza della piccola e media dimensione e indica in modo inequivocabile che

sull’impresa convergono istanze e interessi non ignorabili diversi da quelli dei

proprietari e dei manager. La teoria degli stakeholder (Freeman, 1984) compone in un

quadro organico le nuove esigenze e specifica i modelli di governance e i processi di

funzionamento (Donaldson e Preston, 1995).

Da questo approccio discende l’esigenza di accesso (già presente in nuce nella teoria

della dipendenza dalle risorse). Il cambiamento nelle condizioni competitive,

nell’assetto istituzionale e nel business possono alterare l’identità degli stakeholder, la

natura e il valore del loro contributo. Le strutture di governance dovrebbero evolvere in

modo da permettere all’impresa di accedere alle risorse critiche e di coinvolgerle nei

processi di governo.

Nella grande impresa, questa esigenza viene gestita attraverso gli interlocking directors

(Pfeffer, 1972) e la scelta oculata dei non executive directors (Pound, 1995). Nella

piccola e media impresa familiare con la proprietà attiva nella gestione, queste soluzioni

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possono essere impraticabili, non solo per ragioni economiche, ma anche per la

possibile mancanza di organi di governo formalizzati.

Per interpretare l’esigenza di accesso in tali contesti è efficace l’approccio della nuova

teoria dei diritti proprietari (Grossman e Hart, 1986; Hart e Moore 1990). Gli attori che

prendono parte al processo produttivo di una impresa e apportano risorse finanziarie o

know-how non sono pienamente sostituibili e il valore della loro prestazione (o delle

loro risorse) è condizionato dalla presenza di altri attori. Grossman e Hart (1990)

definiscono coalizione un insieme di individui e capitali fra loro tecnologicamente

interdipendenti, in cui il valore creato è superiore alla somma di quanto può essere

prodotto da sottoinsiemi di quegli individui e capitali separatamente. I problemi di

governance diventano la definizione delle modalità per attirare e trattenere i portatori

delle risorse critiche e supportare i loro investimenti in capitale umano finalizzati a

sviluppare le capacità necessarie alla coalizione.

In questo lavoro, le strutture di governance saranno studiate in funzione della capacità di

soddisfare esigenza di controllo ed esigenza di accesso, cioè da un lato di gestire gli

interessi di proprietari, proprietari-manager e manager non proprietari, dall’altro di

favorire l’ingresso nella coalizione degli attori (non familiari) in possesso delle

conoscenze critiche per la gestione del business.

4. CONTROLLO E ACCESSO NELLE STRUTTURE E PROCESSI DI GOVERNANCE

L’articolazione e le modalità di funzionamento delle strutture di governo collegiali o

individuali definiscono il processo di formazione delle decisioni e la loro efficacia.

Nelle imprese familiari considerate in questo studio, l’assetto di governance riceve

l’imprinting dalla famiglia ed è una sintesi (in alcuni casi un compromesso) tra i valori

della famiglia e le regole dell’impresa.

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La ricerca di un assetto efficace risente di aspetti organizzativi, personali e familiari e

può portare alla ridefinizione dei contributi che i soggetti apportano all'impresa, siano

essi l'imprenditore e i suoi familiari piuttosto che i collaboratori esterni, per garantire

l'equilibrio dinamico tra contributi e ricompense.

Nelle imprese di minori dimensioni molto spesso la figura dell'imprenditore è quella che

assicura le competenze critiche: la coalizione coincide con la sua persona. Fino a

quando la complessità gestionale è governabile con le sue "risorse" fisiche e mentali, la

struttura di governance non è un argomento rilevante: l'imprenditore svolge le funzioni

strategiche, di controllo e sintesi degli interessi che convergono sull'impresa (il network

economico e il network sociale). In questo senso, non esiste né l’esigenza di controllo

né quella di accesso.

Lo sviluppo dimensionale genera il processo di delega, a volte ostacolato dal leader e

dai suoi familiari per la difficoltà di implementare meccanismi di controllo efficaci. Con

il superamento di questa resistenza, la coalizione si allarga e sorge il primo problema di

governance: il passaggio dalla formulazione strategica all'azione non è più diretto e

privo di filtri, in quanto alla coalizione partecipano anche manager non familiari che

hanno la responsabilità di unità organizzative. Emerge l’esigenza di controllo.

Per migliorare il processo decisionale e garantire il coordinamento spesso viene creato

un comitato operativo o direttivo (d’ora in poi CD), al quale partecipano le persone che

occupano le posizioni critiche dell'impresa e le cui finalità sono: diffondere le linee

strategiche di fondo, favorire la discussione e il confronto di proposte operative,

risolvere i problemi operativi, verificare l'implementazione della strategia, avviare

azioni correttive. L'esistenza di questo organo non garantisce maggiore efficacia

decisionale. La sua introduzione dovrebbe essere accompagnata dalla ridefinizione del

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ruolo e delle prerogative del consiglio di amministrazione (d’ora in poi CdA). Inoltre, se

il CD funziona in modo “rituale”, può generare nel leader la convinzione che il

management sia impreparato e che sia preferibile un ritorno all’accentramento

decisionale, con la conseguenza di bloccare lo sviluppo di una linea manageriale non

familiare. Se le dimensioni dell'azienda rimangono limitate e le risorse finanziarie della

famiglia sono in grado di sostenere i piani di sviluppo, la presenza di un CD e il

restyling del CdA rappresentano una struttura di governance efficiente, che libera

l'imprenditore dalle questioni operative per concentrarsi sul futuro. L’esigenza di

controllo è presidiata e le risorse finanziarie e cognitive della famiglia hanno un valore

più elevato rispetto a quello delle risorse apportate dagli altri stakeholders. Pertanto,

l’esigenza di accesso rimane latente.

La situazione si complica quando si presenta un gap tra le risorse che il clan familiare

può fornire e quelle di cui necessita l’impresa. Se lo slack riguarda il capitale

finanziario, il problema si supera con l’ingresso di un socio finanziatore e l’esigenza di

controllo si soddisfa ridefinendo la composizione del CdA (inserimento di membri

espressione dei nuovi soci) ed eventualmente dei processi di funzionamento.

Ma se esiste un slack di risorse cognitive, allora si presenta l’esigenza di accesso. È

vero che il leader della famiglia e dell’impresa può coinvolgere manager non familiari

nella squadra manageriale e utilizzare le sue abilità relazionali e la fiducia per garantirsi

la loro collaborazione nel tempo e motivarle ad aggiornare il loro patrimonio cognitivo.

È altrettanto vero che alla base della capacità di fare, di innovare e di coordinare si

trovano routines tecniche e organizzative che si sono prodotte dentro l'organizzazione,

che perdono valore al di fuori di un particolare business e che derivano dall'interazione

tra cultura, norme, valori che "abitano" nell'impresa familiare. Il manager non familiare,

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quindi, può essere interessato a partecipare alla coalizione per accedere al patrimonio di

conoscenze e di routine della famiglia: da una parte è indispensabile l’individuo che

apporta un contributo critico; dall’altro è indispensabile anche la coalizione, la cui

mancanza impedisce al know-how del manager di trasformarsi in competenze e in

migliori performance (Balconi, Moisello, Mutinelli, 1998). Tuttavia, per garantirsi il

commitment del management non familiare è necessario che le strutture di governance

siano in grado di coinvolgere nei processi di governo le persone che apportano il know

how critico, cioè le persone con il livello più basso di sostituibilità nella coalizione.

All’interno di questo scenario, la definizione di CG più adatta sembra essere quella

proposta da Neubauer e Lank (1998): un sistema di strutture e processi per dirigere e

controllare le imprese e per rispondere delle stesse. Tale definizione ha il pregio di

identificare due aspetti fondamentali: le attività svolte dagli organi di CG; gli attori che

partecipano alle strutture (tabella 1). Essa, inoltre, si integra con i concetti di coalizione

e di contributi critici al processo produttivo.

Tabella 1 – La definizione di Corporate Governance accolta nel nostro studio

STRUTTURE

Componenti della famiglia proprietaria, Manager non familiari, Altri stakeholder o shareholderAssemblea, Consiglio di Amministrazione, Comitato DirettivoPresidente del CdA, Amministratore delegato, Direttore generale

ATTIVITÀ E PROCESSI

Dirigere – coinvolgimento nelle decisioni strategicheControllare - supervisione della performance del management e monitoraggio del processo verso il raggiungimento degli obiettivi strategiciRispondere - responsabilità verso gli stakeholders (accountability)

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5. LE TEORIE SULLA GOVERNANCE

Come indicato nel terzo paragrafo, le teorie che hanno affrontato il tema della

governance possono essere ricondotte alla dicotomia controllo-accesso, in relazione

all’enfasi posta su queste due esigenze nell’interpretazione della realtà organizzativa e

nell’individuazione delle proposizioni da falsificare.

5.1. Le teorie del controllo

Rientrano in questo gruppo la teoria dell’agenzia e la teoria della stewardship.

Secondo la teoria dell’agenzia, l’insanabile divergenza di interessi tra proprietari e

manager e la propensione dei manager ad adottare comportamenti opportunistici va

gestita attraverso il CdA e il sistema premiante (Eisenhardt, 1989; Hung, 1998).

Per avere un controllo efficace, è necessario che il CdA sia composto prevalentemente

da membri diversi dai manager (non executive directors). L’assenza di coinvolgimento

diretto nella gestione dell’impresa aumenta l’indipendenza del CdA e l’oggettività del

suo giudizio sull’operato del management. Date le caratteristiche delle imprese

considerate in questo lavoro, i non executive directors sono praticamente assenti e

quindi non è possibile utilizzare la variabile relativa alla composizione del CdA.

Sempre al fine di evitare che l’eccessiva concentrazione di potere “offuschi” il

controllo, le funzioni direttive di vertice dovrebbero essere separate: la persona che

dirige e coordina la gestione (amministratore delegato - AD) non deve essere la stessa

che presidia e coordina l’organo di controllo (presidente del CdA - PR). Gli studi sui

CdA delle imprese familiari hanno dimostrato che questo organo non sempre ha un

potere reale e che in alcuni casi il PR è un “notaio” che si limita agli adempimenti legali

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(Barca, 1994; Demattè, 1995; Corbetta e Tomaselli, 1996; Airoldi e Forestieri, 1998).

Quindi, la separazione tra AD e PR è inconsistente per interpretare la realtà

organizzativa delle imprese familiari. È più efficace verificare l’identità dell’AD e del

DG (Direttore Generale), figura che dirige le operazioni dell’impresa.

La riduzione dell’opportunismo manageriale, invece, si ottiene collegando la

remunerazione del management ai risultati dell’impresa.

Le ipotesi da verificare possono essere così formulate:

Agency 1 (Struttura della leadership) – L’efficacia del controllo è

positivamente correlata alla separazione delle cariche di amministratore

delegato e direttore generale

Agency 2 (Sistema premiante) – L’efficacia del controllo è positivamente

correlata alla presenza di un sistema premiante per il management che lega

la remunerazione ai risultati

La teoria della stewardship presuppone una marcata condivisione di interessi tra i

manager e la proprietà (Muth e Donaldson, 1998). Per tale motivo, non esiste il

problema dell’opportunismo del manager, la cui principale aspirazione è «to do a good

job, to be a good steward of the corporate assets» (Donaldson a Davis, 1991, p. 51).

Si potrebbe dire che il controllo si trasforma:

da gioco distributivo, improntato sulla sfiducia reciproca e focalizzato sul

comportamento del manager,

a gioco integrativo, improntato sulla fiducia reciproca e centrato sul business.

È opportuno che non vi sia separazione tra gestione e controllo: l’AD dovrebbe anche

dirigere il CdA poiché in questo modo (combined leadership structure o one-tier board)

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aumentano il suo impegno e la sua motivazione nel raggiungimento degli obiettivi

dell’impresa. Nel nostro caso, come specificato, si considerano le figure di AD e DG.

Inoltre, il coinvolgimento diretto dei manager nel CdA aumenta l’efficacia della sua

attività, in quanto la conoscenza diretta del business favorisce decisioni più adeguate e

stimola un orientamento al medio e lungo termine (dato l’interesse del management alla

performance duratura dell’impresa).

Le ipotesi da verificare possono essere così formulate:

Steward 1 (Struttura della leadership) – Se le cariche di amministratore

delegato e direttore generale sono affidate alla stessa persona, aumenta il

suo impegno e la sua motivazione nel raggiungimento dei fini dell’impresa

Steward 2 (Composizione CdA) – La presenza di manager (familiari o non

familiari) nel consiglio di amministrazione aumenta l’impegno e la

motivazione nel raggiungimento dei fini dell’impresa

5.2. Le teorie dell’accesso

Rientrano in questo gruppo la teoria della dipendenza dalle risorse e la nuova teoria dei

diritti proprietari.

In base al primo approccio, le organizzazioni cercano di esercitare un controllo

sull’ambiente esterno, al fine di garantirsi la disponibilità delle risorse per la loro

sopravvivenza o il loro sviluppo. Il CdA assume un ruolo di collegamento, in quanto

diventa l’organo attraverso il quale le imprese entrano in contatto con l’ambiente e le

altre organizzazioni. In tal modo, non è tanto la dicotomia tra non executive directors e

1 Pur essendo frutto di un lavoro comune dei due Autori, i paragrafi 2, 3 e 5 sono stati scritti da Paolo Gubitta, il paragrafo 6 e l’Appendice da Martina Gianecchini, i restanti paragrafi insieme. Gli Autori ringraziano il prof. Giovanni Costa per i suggerimenti nell’impostazione del lavoro. Questo lavoro è parte della ricerca co-finanziata dal MURST «Flessibilità & Performance» (prot. 9913191244).2 Un altro segmento di interesse è costituito dalle imprese high tech e da quelle web-based.

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executive directors il vero problema, quanto piuttosto la presenza nel CdA di

interlocking directors, attori che siedono nei CdA di più imprese e che permettono: di

stabilire rapporti con altre organizzazioni e di acquisire fonti di informazioni

sull’andamento del mercato e dei concorrenti, di procurare un accesso privilegiato alle

risorse, di contrastare eventuali minacce, di influenzare l’attività di altre imprese.

A partire da questi assunti, la teoria formula nove ipotesi relative alla dimensione e alla

composizione del CdA (Pfeffer, 1972, pp. 222-223). Solo l’ipotesi 9 («the number of

directors an organization has will be directly related to the size of the organization») è

applicabile alle imprese familiari: si può assumere infatti che anche in queste realtà

l’aumento della dimensione si accompagni a un incremento della complessità e che,

dato il crescente impatto sull’ambiente, «there is again a greater need to have more

members who can relate and legittimate the organization to its external enviroment»

(Pfeffer, 1972, p. 223).

Per le altre sono necessari alcuni adeguamenti. Nelle imprese familiari di piccola e

media dimensione, l’interdipendenza con le altre organizzazioni viene gestita

prevalentemente attraverso la rete di relazioni informali che fa capo al leader

dell’impresa e sfuma la rilevanza della presenza nel CdA degli interlocking directors. Si

può invece pensare che sia importante quella dei non executive owner: membri del clan

familiare che possiedono una quota di capitale, non partecipano alla gestione, ma

possono essere coinvolti in altre imprese (come proprietari o come manager). La loro

cooptazione, quindi, permette in generale di ridurre l’incertezza e accedere a nuovi

network di risorse.

Le ipotesi da verificare possono essere così formulate:

Resource 1 (Dimensione CdA) – All’aumentare della dimensione

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dell’impresa, aumenta il numero dei membri nel consiglio di

amministrazione

Resource 2 (Composizione CdA) – All’aumentare del numero di non

executive owners nel consiglio di amministrazione aumenta il controllo

dell’impresa sull’ambiente esterno

Per la nuova teoria dei diritti proprietari, gli attori che possiedono le competenze

critiche per la gestione dovrebbero partecipare alle decisioni strategiche e dovrebbero

controllare l’impresa, altrimenti non avrebbero alcun incentivo a “investire in

conoscenza”, con la conseguente diminuzione delle performance dell’impresa. Quindi,

negli organi di governo dovrebbero sedere tutti e soli i membri “insostituibili” e la

composizione di tali organi dovrebbe mutare in sintonia con la criticità dei contributi.

La soluzione indicata per individuare chi controlla l’impresa è radicale e non

direttamente applicabile alla realtà delle imprese familiari: resistenze psicologiche e

organizzative impediscono alla famiglia di abdicare il controllo.

Queste indicazioni, però, possono essere tradotte in due precise conseguenze operative

applicabili alle imprese del nostro campione.

La prima è relativa alla leadership. Le cariche di vertice (AD, DG, PR) dovrebbero

essere attribuite alle persone che apportano i contributi critici. In presenza di manager

non familiari in posizioni direttive (responsabili di unità organizzative, di processi, di

funzioni), la presenza totalizzante di membri della famiglia proprietaria in queste

posizioni ha l’effetto di deprimere l’incentivo dei manager a investire in capitale umano.

La seconda riguarda gli organi collegiali (CdA e CD). Vista la presenza di manager non

familiari in posizioni di vertice, la famiglia non può monopolizzare tutti gli organi di

governo, in quanto porterebbe alla rinuncia a partecipare alla coalizione o squadra

15

Page 17: Workshop di Organizzazione Aziendale - Gli studi …€¦ · Web viewUn dato interessante, tuttavia, emerge dalla correlazione negativa e significativa (-0,721**) con la percentuale

manageriale da parte dei manager esterni, ostacolando lo sviluppo dell’impresa o

addirittura mettendone in dubbio la sopravvivenza.

Le ipotesi da verificare possono essere così formulate:

Property 1 (Struttura della leadership) – Il presidio totale delle funzioni di

vertice (amministratore delegato, direttore generale, presidente del

consiglio di amministrazione) da parte dei membri della famiglia riduce

l’incentivo dei manager non familiari a investire in capitale umano

Property 2 (Composizione organi di governo) – Il presidio congiunto degli

organi collegiali (consiglio di amministrazione, comitato direttivo) da parte

della famiglia riduce l’incentivo dei manager non proprietari a partecipare

alla coalizione

6. I RISULTATI DELLA RICERCA

La discussione dei risultati della ricerca è articolata in quattro sezioni: struttura della

leadership, composizione degli organi collegiali (CdA e CD), dimensione del CdA,

sistema premiante (tabella 2).

Non per tutte le 83 imprese del campione è stato possibile recuperare i dati di bilancio.

Per tale motivo, dopo la descrizione dell’andamento della variabile nell’intero

campione, si procede alla verifica delle ipotesi solo su un sottocampione di 34 imprese.

Si assume inoltre che vi sia una relazione positiva tra3:

efficacia del controllo e performance economica (teoria dell’agenzia): l’allineamento

degli obiettivi tra principale e agente, riduce l’opportunismo e migliora le prestazioni

3 Diversi autori hanno adottato queste ipotesi: Pfeffer (1972), Jensen e Meckling (1976), Donaldson e Davis (1991). Per una rassegna, vedi Coles, McWilliams e Sen (2001, p. 31-32).

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Page 18: Workshop di Organizzazione Aziendale - Gli studi …€¦ · Web viewUn dato interessante, tuttavia, emerge dalla correlazione negativa e significativa (-0,721**) con la percentuale

commitment del management e performance economica (teoria della stewardship): i

manager coinvolti negli organi di governo aumenteranno la loro (già naturale)

dedizione e migliorano le prestazioni

incentivo a compiere investimenti in capitale umano e performance (nuova teoria dei

diritti proprietari): accumulando capitale cognitivo specifico migliora la capacità di

gestire il business e migliorano le prestazioni

controllo sull’ambiente esterno e performance (teoria della dipendenza dalla

risorse): la riduzione dell’incertezza, a parità di altre condizioni, migliora le

prestazioni.

La descrizione delle misure di performance è riportata in appendice 2.

Tabella 2 – Quadro sinottico delle ipotesi da verificare

STRUTTURA DELLA LEADERSHIP

Agency 1 Controllo del comportamento agente

La separazione delle cariche di DG e AD aumenta il controllo (separated leadership)

Steward 1 Commitment del management

La unione delle cariche di DG e AD aumenta il controllo (combined leadership)

Property 1 Investimento in capitale umano

La presenza di manager esterni in una delle posizioni di vertice (AD o DG) aumenta il suo incentivo a investire in capitale umano

COMPOSIZIONE ORGANI COLLEGIALI

Steward 2 Commitment del management

La presenza di manager (familiari e non) nel CdA e CD aumenta il commitment

Resource 2 Gestire interdipendenze esterne

La presenza di NEO nel CdA riduce l’incertezza ambientale

Property 2 Incentivo a partecipare alla coalizione

La presenza di almeno un organo collegiale (Cda o CD) “guidato” dai manager aumenta l’incentivo a partecipare alla coalizione

DIMENSIONE DEL CDAResource 1 Gestire interdipendenze

esterneLa dimensione del CdA dipende dalla dimensione dell’impresa

SISTEMA PREMIANTE

Agency 2 Controllo del comportamento agente

Sistemi retributivi del management collegati alla prestazione dell’impresa aumentano il controllo

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Page 19: Workshop di Organizzazione Aziendale - Gli studi …€¦ · Web viewUn dato interessante, tuttavia, emerge dalla correlazione negativa e significativa (-0,721**) con la percentuale

6.1. Struttura della leadership

Le imprese del campione si dividono in tre gruppi: il 40% (33 imprese) attribuisce la

carica di AD e DG alla stessa persona e, in particolare, a un membro della famiglia

(leadership combinata familiare) (tabella 3). Nel restante 60% dei casi si ha una

leadership separata, che in 34 casi (41%) coinvolge un altro membro del nucleo

familiare (leadership separata familiare) e in 16 (19%) un manager esterno (leadership

separata mista). Come era ragionevole attendersi, la separazione delle funzioni aumenta

all’aumentare della dimensioni: 48% nelle imprese fino a 10 miliardi, 67% in quelle con

oltre 30 miliardi di fatturato. Questo fenomeno, però, è frenato dalla numerosità della

compagine sociale: più aumenta il numero dei soci, più diminuisce il coinvolgimento

dei manager esterni nelle posizioni di AD o DG (la leadership separata mista passa da

25% a 13%).

Tabella 3 – I modelli di leadership emergenti

MODELLO DI LEADERSHIP

DIMENSIONE N. DI SOCI

0-10 mld 11-30 mld > 30 mld Fino a 3 Oltre 3Combinata familiare 40% 52% 37% 33% 40% 40%Separata familiare 41% 39% 44% 40% 35% 47%Separata mista 19% 9% 19% 27% 25% 13%

Se si passa alla verifica delle ipotesi, si nota che le variabili appaiono tra loro

incorrelate: il modello di leadership non impatta sulla performance economica (tabella

4). Questo risultato (e ciò vale anche per le altre variabili che saranno analizzate) può

dipendere dal numero esiguo di unità analizzate e, in parte, dal riferimento temporale

dei dati4.

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Page 20: Workshop di Organizzazione Aziendale - Gli studi …€¦ · Web viewUn dato interessante, tuttavia, emerge dalla correlazione negativa e significativa (-0,721**) con la percentuale

Emerge però un legame forte e significativo con il numero di organi formali che

costituiscono il corporate governance system (0,373*) e con il grado di flessibilità del

modello di governance stesso (0,735**). Quest’ultimo può essere definito come

l’attitudine delle strutture formali e delle prassi informali di coinvolgere nella coalizione

di controllo dell’impresa i soggetti (interni o esterni alla famiglia) la cui sostituibilità è

minima e l’attitudine dei processi di governo di ridefinire la loro articolazione, in

relazione alla composizione della coalizione, allocando le responsabilità decisionale tra

i vari organi e limitando l’area di ambiguità decisionale (Gianecchini e Gubitta, 2001a).

Nel loro complesso, i dati segnalano che:

non ci sono conferme empiriche a supporto della validità di Agency 1 (la

correlazione dovrebbe essere positiva) e di Steward 1 (la correlazione dovrebbe

essere negativa), in quanto la correlazione con la performance è quasi nulla

l’evoluzione da leadership combinata familiare a leadership separata mista attiva

relazioni significative con variabili che presuppongono l’apertura degli organi di

governo ai manager esterni. Quindi, trova parziale conferma Property 1

Tabella 4 – La verifica delle ipotesi

DESCRIZIONE MO ROE FATT RELAZIONI SIGNIFICATIVE CON Modello di leadership (Agency 1, Steward 1, Property 1)

Da combinata familiare, a separata familiare a separata mista

0,161 0,060 0,144

Numero di organi formalizzati nel sistema di governance (0,373*)Flessibilità del modello di governance (0,735**)

4 La struttura di governance è stata rilevata nel 1999-2000, mentre i dati di bilancio si fermano al 1998. Per attenuare questo problema, sono state incluse nel campione solo le imprese per le quali la persona intervistata ha affermato che la “composizione degli organi di vertice è rimasta sostanzialmente stabile negli ultimi anni”. Ma è evidente che si tratta di una impressione non verificabile empiricamente. È in fase di svolgimento l’aggiornamento dei dati al fino 2001, al fine di disporre dei dati di bilancio relativi ad almeno un biennio dopo la rilevazione “oggettiva” della struttura di governance.[5] Un primo e ancora provvisorio tentativo è stato compiuto da Gianecchini e Gubitta (2001b).

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Composizione organi collegiali (Steward 2)All’aumentare della % di manager (familiari e non) nel CdA

-0,137 -0,157 0,290 % di NEO in CdA (-0,721**)

All’aumentare della % di manager (familiari e non) nel CD

0,150 -0,172 -0,295 Numero di famiglie coinvolte nel capitale sociale (0,449*)

Composizione organi collegiali (Resource 2)All’aumentare della % di NEO nel CdA -0,034 0,252 0,051 % di manager (familiari e non)

in CdA (-0,721**)Composizione organi collegiali (Property 2)

All’aumentare della % di manager non familiari nel CD (minimo 50%)

0,141 -0,112 -0,130

Numero di organi formalizzati nel sistema di governance (0,482**)% di manager non familiari in CdA (0,341**)Numero degli incontri del CD (0,532**)Numerosità dei componenti degli organi di governo (0,523**)

Dimensione CdA (Resource 1)

L’aumento della numerosità dei componenti del CdA

0,183*

% di manager non familiari in CdA (0,350**)Numero componenti del CD (0,531*)

Sistema premiante (Agency 2)In presenza di remunerazione collegata ai risultati

0,070 -0,043 0,336 Numero di dipendenti dell’azienda (0,562**)

* La correlazione è significativa a livello 0,1 (2 code)** La correlazione è significativa a livello 0,05 (2 code)*** La correlazione è significativa a livello 0,01 (2 code)

6.2. Composizione degli organi collegiali

La composizione del CdA e del CD delle imprese del campione conferma che il primo è

un organo “strettamente familiare” (solo il 20% è esterno) in cui non si discutono solo

problemi legati al business (come dimostra la presenza non esigua, 13%, di non

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executive owner), mentre il secondo è presidiato dalle persone direttamente coinvolte

nella gestione, siano essi manager familiari (39%) o esterni (56%) (tabella 5).

Si tratta della situazione ideale per testare le ipotesi relative alla composizione degli

organi collegiali.

Tabella 5 – La composizione degli organi collegiali nel campione generale

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

COMITATODIRETTIVO

Soci, parenti o affini coinvolti nella gestione 67% 39%Soci, parenti o affini non coinvolti nella gestione 13% 5%Manager non familiari 15% 56%Commercialista, professionisti esterni 5%

Seguendo Steward 2, all’aumento della presenza di manager (familiari e non) nel CdA e

nel CD dovrebbe aumentare la performance. Questo non si verifica, o perché la

relazione è molto debole o perché il segno è contrario alle indicazioni dell’ipotesi.

Tuttavia, l’aumento della percentuale di manager nel CD attiva una relazione forte e

significativa con la numerosità dei soci (0,449*). In un altro lavoro, in presenza di CD

managerializzati, è stato verificato che il frazionamento del capitale è correlato in modo

significativo al margine operativo (0,490*) (Gianecchini e Gubitta, 2001b). Nel

complesso, questi dati falsificano la formulazione di Steward 2, ma non l’idea

sottostante: è il contesto organizzativo (struttura del capitale e dimensione del clan

familiare) che rende “performante” il presidio del CD da parte dei manager.

Resource 2 ipotizza che la presenza di NEO nel CdA si associ a migliori risultati. Essa è

verificata, ma in modo debole e non statisticamente significativo relativamente al ROE

(0,252). Negli altri casi è irrilevante. Quindi, non vi sono dati a supporto di Resource 2.

Un dato interessante, tuttavia, emerge dalla correlazione negativa e significativa (-

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0,721**) con la percentuale di manager (familiari e non) nel CdA: indica che la

coesistenza di NEO e manager nel CdA non è praticata nelle aziende studiate.

Property 2 porta l’attenzione sul “controllo” degli organi collegiali e suppone che, in

presenza di manager non familiari nella squadra manageriale, sia opportuno che in

almeno uno di questi vi sia la loro “influenza dominante” sulle decisioni. Visto lo

sbilanciamento della composizione del CdA a favore dei familiari, è opportuno

verificare questa ipotesi solo nel CD. Property 2, al pari delle altre ipotesi, non ha un

impatto diretto sulla prestazione economica: le correlazioni sono deboli e ambigue.

Tuttavia, vi sono alcuni elementi di rilevante impatto organizzativo. Emerge una

correlazione positiva e statisticamente significativa con:

il numero di organi (individuali e collegiali) che compongono il corporate

governance system (0,482**)

la percentuale di manager esterni che siedono nel CdA (0,341**)

la numerosità dei componenti degli organi di governo (0,523**)

la numerosità degli incontri del CD (0,532**)

Tali relazioni inducono a pensare che la famiglia “affidi il CD ai manager esterni” solo

dopo aver raggiunto una fase avanzata nella progettazione del corporate governance

system, che non appare solo un insieme di “organi”, ma di “organi e processi per

supportare le decisioni”. Quindi, anche Property 2 nella sua formulazione attuale non è

confermata dai dati, in quanto la performance economica è insensibile rispetto al

presidio dei manager esterni nel CD.

6.3. Dimensione del CdA

L’analisi dei dati sulla dimensione del CdA nell’intero campione rivela una relazione

positiva abbastanza prevedibile con la dimensione dell’impresa: cresce il fatturato,

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aumentano i membri del CdA (tabella 6). L’unico dato controintuitivo riguarda quel

21% di imprese con meno di 10 miliardi di fatturato e con più di cinque membri nel

CdA. Un andamento prevedibile, infine, si ha considerando la numerosità dei nuclei

familiari coinvolti nel capitale sociale: se aumentano le famiglie con quote di proprietà,

il CdA si apre ai loro rappresentanti (i casi di CdA con almeno sei componenti cresce da

11% a 23% passando da uno ad almeno due nuclei familiari).

Tabella 6 – Dimensione CdA e dimensione dell’impresa

DIMENSIONE CDA

DIMENSIONENUCLEI FAMILIARI NEL

CAPITALE SOCIALE

< 10 mld 11-30 mld > 30 mld 1 nucleo 2 nucleifino a 3 membri 51% 68% 55% 38% 61% 48%

4-5 membri 29% 11% 36% 34% 28% 29%almeno 6 membri 20% 21% 9% 28% 11% 23%

Per le imprese di cui si dispone dei dati economici, si rileva che l’ampiezza del CdA è

positivamente correlata alla dimensione e statisticamente significativa: 0,183*. Il

legame, però, non è molto forte. Ciò può dipendere dal fatto che il CdA in alcuni casi è

utilizzato come un “consiglio di famiglia”, la cui numerosità dipende dal numero di

membri della famiglia stessa o di nuclei familiari presenti nel capitale sociale e non

dalla complessità della gestione: serve per gestire le dinamiche familiari e potrebbe dare

un contributo per ridurre l’incertezza ambientale.

Il ripiegamento del CdA verso un “consiglio di famiglia” trova conferma nel fatto che

più aumenta il numero di componenti del CdA, più aumenta il numero di membri del

CD (0,531*): nelle imprese più piccole, ciò succede in quanto il potere di direzione

reale spetta a quest’ultimo, che è anche l’unico organo di direzione del business di

natura collegiale; in quelle più grandi, per una effettiva esigenza di governo delle

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operazioni aziendali. Pur se con queste precisazioni, Resource 1 appare sostanzialmente

confermata.

6.4. Sistema premiante

La diffusione di un sistema premiante che leghi la retribuzione manageriale ai risultati

dell’impresa si limita al 51% del campione considerato e riguarda prevalentemente i

risultati globali (37%) e non la prestazione individuale (14%) (tabella 7).

Tabella 7 – Il sistema premiante per il management

SOLO REMUNERAZIONE

FISSA

REMUNERAZIONE VARIABILE

in relazione ai risultati

globali dell'impresa

in relazione agli obiettivi

individuali

49% 37% 14%

I dati raccolti su questo punto non hanno un elevato grado di dettaglio: in particolare

non è nota la “percentuale” di componente variabile media. Tuttavia, emerge un

relazione non irrilevante con un indicatore di performance (FATT: 0,336), che

probabilmente rappresenta l’indicatore usato con maggiore frequenza per incentivare il

management. Si può concludere che Agency 2 risulta confermata (pur se in modo

parziale per mancanza di informazioni approfondite sui criteri di incentivazione).

7. CONCLUSIONI

Lo studio dell’articolazione e del funzionamento delle strutture e dei processi di

governance nelle piccole e medie imprese familiari ha “messo a dura prova” le ipotesi

che abbiamo formulato utilizzando le teorie organizzative.

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Questo lavoro si è proposto di testare la capacità di tali teorie di interpretare la realtà

organizzativa anche al di fuori del tradizionale ambito dell’impresa managerializzata.

Pur se con i limiti relativi alla numerosità del campione e alla possibile approssimazione

di alcune misure, si può quindi tentare di rispondere ai due interrogativi di ricerca

indicati nel secondo paragrafo.

7.1. Esiste ancora una esigenza di controllo?

Il controllo sull’operato del management finalizzato a ridurre l’opportunismo non trova

conferma nella ricerca (Agency 1 falsificata), mentre mantiene capacità interpretativa la

parte “motivante” della teoria dell’agenzia (Agency 2 parzialmente verificata). Nelle

imprese familiari, la teoria dell’agenzia stenta a causa delle ipotesi senza sentimenti su

“the nature of the man”, sulle quali gli stessi Jensen e Meckling sono recentemente

tornati (1994). Ciò, tuttavia, non significa ipotizzare, come fa la teoria della

stewardship, che vi sia una sostanziale comunanza di interessi tra proprietari e manager

(Steward 1 falsificata).

Il legame tra leadership separata mista e configurazione del corporate governance

system (Property 1 parzialmente verificata) suggerisce di spostare il focus da controllo

sui comportamenti dei manager a controllo sul processo decisionale della coalizione. E

in questo senso, la nuova teoria dei diritti proprietari sembra promettente.

7.2. Come si configura l’esigenza di accesso?

Per definizione, le imprese del nostro campione hanno il capitale sociale concentrato

nelle mani di una o più famiglie legate da vincoli familiari o solide alleanze: la presenza

di operatori finanziari nella compagine sociale è praticamente assente. Inoltre, le

dimensioni ridotte possono giustificare l’irrilevanza dei non executive owner nel CdA

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come strumenti per accedere alle risorse esterne e gestire le interdipendenze con altre

organizzazioni (Resource 2 falsificata).

Il “capitale per crescere” in questo caso è il management. Si è detto che Steward 2 e

Property 2, pur essendo smentite nella formulazione, rimangono valide nell’idea

sottostante: si accede al capitale cognitivo coinvolgendo negli organi di governo

(individuali o collegiali) i manager (usando la teoria della stewardship) o le persone in

possesso delle conoscenze critiche (secondo la nuova teoria dei diritti proprietari). In

tale apertura, la dimensione dell’impresa conta solo parzialmente, come dimostra la

relazione significativa ma debole tra numerosità del CdA e fatturato (Resource 1

confermata).

A tale scopo, nelle imprese familiari il corporate governance system dovrebbe essere

strutturato su due livelli: un organo che compone gli interessi degli stakeholder; un

organo che gestisce direttamente il business. Non necessariamente il primo è il CdA e il

secondo il CD. Inoltre, potrebbe anche trattarsi di organi individuali (AD, DG). Almeno

due fattori contingenti influenzano l’efficacia della soluzione adottata: la complessità

dei rapporti nella compagine sociale; il grado di complementarietà delle competenze

apportate dai manager rispetto a quelle della famiglia. Ad essi, si aggiunge la rilevanza

del settore di appartenenza e le sue dinamiche competitive e tecnologiche.

Pertanto, l’esigenza di accesso si gestisce progettando un corporate governance system

flessibile (Gianecchini e Gubitta, 2001a), in grado di “aprirsi e chiudersi” in relazione ai

fattori di contesto o, usando altre parole di ricombinare nel tempo, nello spazio e nelle

connessioni i suoi elementi costitutivi, ridefinendo le caratteristiche al fine di aumentare

il proprio livello di performance (Costa, 2001). Anche su questo punto la nuova teoria

dei diritti proprietari sembra promettente.

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7.3. Gli indicatori di prestazione

Tra i tanti “se” usati in questo lavoro, vi è una certezza (forse l’unica): margine

operativo, ROE, fatturato non sono in grado di catturare direttamente il valore delle

strutture e dei processi di governance. I dati sembrano suggerire la necessità di

individuare altri indicatori, dai quali eventualmente inferire sulle prestazioni

economico-finanziarie e che si potrebbero definire indicatori di prestazione

organizzativa. In prima istanza, potrebbero concretizzarsi nel grado di anticipazione,

metodicità, impersonalità e diffusione delle pratiche manageriali, cioè della

«strumentazione professionale adottata da un gruppo di dirigenti nello svolgimento del

proprio ruolo collettivo...per una razionale assunzione delle scelte strategiche e

direzionali» (Rugiadini, 1985, p. 48)5.

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Page 31: Workshop di Organizzazione Aziendale - Gli studi …€¦ · Web viewUn dato interessante, tuttavia, emerge dalla correlazione negativa e significativa (-0,721**) con la percentuale

ROE M.J., 1994, Strong Manager, Weak Owners: The Political Roots of American Corporate Governance, Princeton University Press, Princeton, New Jersey (t.i. Manager forti, Azionisti deboli, Il Sole 24 Ore Libri, Milano, 1997)

RULLANI E., 1999, "Crescita e successione: la metamorfosi del capitalismo personale", in CUOA Rivista. Temi e proposte di formazione, settembre

RUGIADINI A. (a cura di), 1985, La managerialità nelle imprese italiane, Il Mulino, Bologna

APPENDICI

Appendice 1 – Breve descrizione del campione

Il campione è costituito da 83 imprese a proprietà, controllo e direzione familiare del Nordest. I dati sono stati raccolti nel 1999-2000 con la somministrazione assistita di un questionario ad imprenditori o familiari coinvolti nella gestione. Il questionario strutturato (55 domande a scelta multipla) è composto di 4 sezioni: la prima finalizzata alla raccolta di dati quantitativi sull’azienda; la seconda dedicata a indagare i ruoli dei familiari coinvolti nella gestione dell'impresa; la terza riguardante la composizione del gruppo dirigente dell'impresa e le dinamiche riguardanti il processo decisionale operativo; l’ultima dedicata allo studio del processo decisionale strategico.Il 28% delle imprese ha un fatturato inferiore a 10 miliardi, il 32% un fatturato compreso tra 11 e 30 miliardi, il 40% supera la soglia dei 30 miliardi.Il 47% appartiene al settore metalmeccanico, l’8% al settore della plastica, l’8% al tessile abbigliamento, il 5% al mobile-arredo e agli altri settore in misura decrescente.In termini di posizionamento nella filiera produttiva, il 69% delle imprese produce beni intermedi per altre aziende (business to business), mentre il 31% si rivolge direttamente al consumatore finale (business to consumer).

Appendice 2 - Metodologia di analisi della performance economica

Per lo studio della performance economica sono stati raccolti ed elaborati alcuni indicatori contabili (tabella A1).Lo studio della dipendenza tra variabili di segmentazione, che approssimano la struttura di governance, e indicatori di performance economica è stato effettuato tramite l’analisi di correlazione bivariata.Il coefficiente di correlazione (rxy) tra due variabili x e y, misura l'intensità del loro legame di dipendenza lineare. Assume valori tra +1 e -1. Per rxy = 0, le due variabili sono incorrelate, quindi non c'è alcuna relazione lineare tra di loro. Per 0 < rxy +1, la dipendenza lineare tra i due fenomeni è diretta, e quindi i valori assunti dalle due variabili aumentano o diminuiscono concordemente. Per -1 rxy < 0, la dipendenza tra i due fenomeni è inversa, quindi all'aumentare dei valori di una variabile quelli dell'altra diminuiscono. Il valore dell’indice p di Pearson rappresenta un test di verifica di ipotesi sui coefficienti di correlazione: esprime la significatività del coefficiente in termini di possibilità di inferenza sulla popolazione di riferimento. È indicato con un asterisco (*) una stima di rxy che risulti significativa al 90% (quindi pari ad un livello di significatività

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= 0,1), con due asterischi (**) una stima che può essere inferita sul 95% della popolazione ed infine con tre asterischi (***) una stima significativa al 99%.

Tabella A1: Indicatori di performance economica

INDICATORE

DESCRIZIONE

MO Margine operativo medio nel periodo 1996-1998 in percentuale sul fatturato medio, dove il margine operativo rappresenta la differenza tra i costi dell’azienda, compresi gli ammortamenti, e il valore del venduto

ROE ROE medio nel periodo 1996-1998, dove il ROE è il rapporto percentuale tra il risultato netto ed il patrimonio netto

FATT Fatturato pro-capite medio nel periodo 1996-1998. INCLUDE ricavi delle vendite di prodotti finiti, di semilavorati e materie prime; royalties per cessione di know-how, le provvigioni attive, i canoni dei beni ceduti in leasing.

Fonte: “Top Aziende Nordest”, una pubblicazione annuale che raccoglie i principali indicatori di bilancio delle maggiori imprese del Veneto e del Friuli Venezia Giulia.

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