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Capitolo terzo La controversia fiscale: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento I. Le questioni giuridiche di fondo Prima di esaminare la consistenza materiale delle argomentazioni avanzate dalle parti con il quadro giuridico di riferimento delineato nel precedente capitolo, è opportuno rendere espliciti alcuni aspetti essenziali da un punto di vista metodologico-giuridico che non sempre sono emersi con la necessaria chiarezza nel corso del dibattito. 1. Profili di indagine seguiti dalla dottrina svizzera Nel primo capitolo ho già accennato alle principali posizioni espresse dalla dottrina svizzera in riferimento alla controversia fiscale. A tal proposito è interessante rilevare le differenze di approccio che contraddistinguono i contributi dei maggiori commentatori: COTTIER e MATTEOTTI impostano un’analisi della controversia dal punto di vista del diritto della concorrenza, esaminando inoltre la rilevanza che assumono in questo contesto gli accordi WTO, concludendo che entrambe le parti avanzano punti di vista sostenibili 1 . I contributi di HIRSBRUNNER e SEIDL propongono invece una disamina – per così dire – più tradizionale, fondata sui canoni interpretativi forniti dal diritto internazionale pubblico che li porta a ritenere l’UE si stia muovendo su di un terreno giuridicamente assai incerto 2 . L’analisi di Christa TOBLER si concentra in particolar modo sul significato attribuibile, dal punto di vista del diritto comunitario, al concetto di aiuti di stato al tempo della sottoscrizione dell’ALS e sulle conseguenze per il diritto bilaterale, sostenendo come la rilevanza del diritto europeo sugli aiuti di stato doveva essere già chiara fin dagli anni sessanta 3 . Il recente contributo fornito da Astrid EPINEY riprende le argomentazioni sviluppate dalla Commissione UE per concludere che, da un punto di vista giuridico, un’analisi più approfondita mostra come queste parlino a favore – anziché contro – la compatibilità dei contestati regimi fiscali cantonali con l’ALS 4 . 1 COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 4. 2 HIRSBRUNNER 2007, pag. 48; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 557. 3 TOBLER 2008, pag. 31. 4 EPINEY 2008, pag. 75.

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Capitolo terzo

La controversia fiscale: consistenza degli argomenti addotti dalle

parti con il quadro giuridico di riferimento

I. Le questioni giuridiche di fondo

Prima di esaminare la consistenza materiale delle argomentazioni avanzate dalle parti con il

quadro giuridico di riferimento delineato nel precedente capitolo, è opportuno rendere espliciti

alcuni aspetti essenziali da un punto di vista metodologico-giuridico che non sempre sono

emersi con la necessaria chiarezza nel corso del dibattito.

1. Profili di indagine seguiti dalla dottrina svizzera

Nel primo capitolo ho già accennato alle principali posizioni espresse dalla dottrina svizzera in

riferimento alla controversia fiscale. A tal proposito è interessante rilevare le differenze di

approccio che contraddistinguono i contributi dei maggiori commentatori: COTTIER e MATTEOTTI

impostano un’analisi della controversia dal punto di vista del diritto della concorrenza,

esaminando inoltre la rilevanza che assumono in questo contesto gli accordi WTO,

concludendo che entrambe le parti avanzano punti di vista sostenibili1. I contributi di

HIRSBRUNNER e SEIDL propongono invece una disamina – per così dire – più tradizionale, fondata

sui canoni interpretativi forniti dal diritto internazionale pubblico che li porta a ritenere l’UE si

stia muovendo su di un terreno giuridicamente assai incerto2. L’analisi di Christa TOBLER si

concentra in particolar modo sul significato attribuibile, dal punto di vista del diritto

comunitario, al concetto di aiuti di stato al tempo della sottoscrizione dell’ALS e sulle

conseguenze per il diritto bilaterale, sostenendo come la rilevanza del diritto europeo sugli aiuti

di stato doveva essere già chiara fin dagli anni sessanta3. Il recente contributo fornito da Astrid

EPINEY riprende le argomentazioni sviluppate dalla Commissione UE per concludere che, da un

punto di vista giuridico, un’analisi più approfondita mostra come queste parlino a favore –

anziché contro – la compatibilità dei contestati regimi fiscali cantonali con l’ALS4.

1 COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 4.2 HIRSBRUNNER 2007, pag. 48; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 557.3 TOBLER 2008, pag. 31.4 EPINEY 2008, pag. 75.

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2. Controversia fiscale o aiuti di stato? Assestamenti terminologico-concettuali

Quanto siano distanti le posizioni delle parti è prima facie dimostrato dalla differente

terminologia impiegata. In Svizzera si è subito parlato di “contenzioso” o “controversia fiscale”,

ponendo quindi l’accento sull’aspetto tributario5. Sul versante UE, si è per contro sempre

parlato di “aiuti di stato”. Nel caso concreto non si tratta affatto di una trascurabile sofisticheria

linguistica. Piuttosto, questa differenza di espressione riflette fedelmente il fatto che le parti non

parlano la stessa lingua: non può quindi stupire che le stesse facciano fatica a capirsi6.

È innegabile che l’UE, nelle sue prese di posizione ufficiali – ma pure in altre occasioni – si sia

sempre rifiutata di parlare di questione fiscale, insistendo invece sull’aspetto relativo agli aiuti di

stato. Questo perché l’ALS non è un accordo fiscale strictu sensu, quanto invece un trattato di

libero scambio di merci contenente disposizioni sul regime di concorrenza, tra le quali figura

una norma sugli aiuti di stato: non si tratta quindi di una questione di armonizzazione legale.

Questa posizione si fonda sulla sostanziale differenza che esiste tra la cd. integrazione positiva

(i.e. armonizzazione dei regimi fiscali attraverso norme positive e comuni intese a disciplinare i

singoli regimi fiscali nazionali) e la cd. integrazione negativa (i.e. divieto di aiuti di stato quale

norma negativa che concreta un comportamento vietato)7. In questo senso abbiamo già visto

come nel diritto europeo il concetto di aiuto di stato garantito sotto forma di alleviamento di

oneri ordinari sia noto sin dal 19618.

Per altro verso, la Svizzera, sostiene invece si tratti di una questione esclusivamente fiscale,

dimensione non contemplata dalla normativa sugli aiuti di stato contenuta nell’ALS9; si

tratterebbe quindi di un indebita ed inaccettabile ingerenza europea nella sovranità fiscale

nazionale, giacché l’ALS è un accordo commerciale che non prevede alcun avvicinamento o

allineamento delle legislazioni tributarie.

5 Lo stesso titolo di questo lavoro, formulato per necessità di cose prima di avere un quadro analitico completo

della problematica, tradisce l’influenza determinante esercitata dall’opinione pubblica elvetica. Un titolo piùappropriato avrebbe forse potuto essere: “Aiuti fiscali in ambito ALS? La controversia tra Svizzera e UE:situazione, conseguenze ed opzioni esaminati da un punto di vista giuridico”.

6 Cfr. ITTEN 2008, pag. 8 seg.; TOBLER 2008 pag. 33.7 TOBLER 2008 pag. 33 seg. e nota 22.8 Cfr. Capitolo due, ad C.2. et 2.2; segnatamente dalla pronuncia della Corte 23.02.191, causa 30/59 [De Geza

Steenkolnmijnenin Linburg]; cfr. anche TOBLER 2008 pag. 34 e pag. 43, n. 65.9 In questa linea di analisi si veda BLANKART 2007. L’autore argomenta (anche) in base alla cifra 4 del Memorandum

of Understanding AFisR (per cui i firmatari hanno dichiarato di ritenere che l’AFisR costituisca una soluzioneaccettabile ed equilibrata per i rispettivi interessi, con la conseguenza che queste non avvieranno senza giustacausa azioni unilaterali che abbiano per conseguenza di recare pregiudizio all’attuazione di tale accordo) comel’UE avrebbe implicitamente riconosciuto che altre misure fiscali comunitarie non sarebbero rilevanti per laSvizzera. Una tesi certamente interessante, ma irrilevante nel nostro orizzonte di analisi giacché, come detto,non stiamo interpretando un accordo fiscale bensì una normativa sugli aiuti di stato!

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In altri termini: le controargomentazioni elvetiche procedono all’inverso: prima si costata la

mancanza di una norma che sancisca un’integrazione positiva per poi trarre conclusioni sul

significato e sulla portata del disposizione sugli aiuti di stato contenuta nell’ALS10.

3. Le due domande fondamentali

Per cercare di dare un quadro di sintesi quanto più completo possibile è necessario ricollocare

gli argomenti proposti da osservatori e commentatori all’interno di un quadro metodologico-

giuridico adeguato, neutrale rispetto ai diversi approcci che sono stati scelti ma al contempo

idoneo a darne conto integralmente. Analiticamente, occorre allora ricercare quali siano i

quesiti fondamentali ai quali dare risposta.

La prima domanda da porsi è quindi quella a sapere se la controversia sui regimi cantonali di

imposizione rientra nel dominio applicativo dell’ALS. Per fare ciò occorre in particolare chiedersi

se la normativa sugli aiuti di stato (l’art. 23 cpv. 1 lett. iii ALS) debba essere interpretata come la

parallela previsione normativa di cui all’art. 87 TCE (infra ad III. )11.

Se la risposta dovesse essere affermativa, la seconda domanda da porsi è allora quella a sapere

se il regime impositivo delle società holding, d’amministrazione e di sede si qualifica

effettivamente come un aiuto di stato incompatibile con l’Accordo (infra ad IV.)12.

Dal profilo della correttezza materiale dell’interpretazione dell’Accordo, appare infatti

abbastanza evidente come l’argomentazione della Commissione si confronti in maniera

insoddisfacente con queste questioni; in particolare con la prima, che ha peso determinante ed

è invece liquidata in modo metodologicamente sommario e lacunoso, senza che siano

esaminate le necessarie differenziazioni. Per di più, anche l’esame (determinante) del criterio

della selettività dei regimi cantonali incriminati, così come l’idoneità di questi a pregiudicare gli

scambi tra le parti non è oggetto di adeguato approfondimento13.

10 TOBLER 2008 pag. 34 seg. Bisogna pur ammettere (cfr. Capitolo uno, ad III.) che se si esclude il foglio informativo

AFC 2006, la linea di difesa tenuta dalla parte svizzera non si è certo contraddistinta per coerenza e chiarezza,manifestando piuttosto le caratteristiche di un “fuoco di sbarramento”: i piani argomentativi sono stati spessomischiati e rimescolati a dipendenza di esigenze tattiche, invece che inquadrati in un preciso disegnostrategico.

11 In altri termini si tratta di esaminare, se e in che modo, l’art. 23 ALS possa legittimamente veicolareun’applicazione extraterritoriale del diritto comunitario della concorrenza. In effetti, difettando questa baselegale, i principi generali del diritto internazionale pubblico sembra non autorizzerebbero una simileestensione: COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 20 e 22.

12 Cfr. HIRSBRUNNER 2007, pag. 46; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 542; EPINEY 2007, n. 3, 2008, pag. 77.13 Cfr. C (2007) 41, in particolare n. 26-29. Della stessa opinione: COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 14 e 24; EPINEY 2008,

pag. 77; TOBLER 2008, pag. 47 seg.

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4. Rimozione delle eccezioni di primo acchito irrilevanti

Una volta posti i quesiti fondamentali – e a prescindere dalle questioni preliminari di cui infra ad

II. – dall’altra parte, si devono subito accantonare, siccome prive di pertinenza, alcune

“eccezioni” o argomentazioni che hanno natura fondamentalmente retorica, situandosi

chiaramente fuori del quadro giuridico che delimita la controversia.

Di questa la più sentita è quella secondo cui la Svizzera non è parte dell’UE; nei suoi confronti

non possono pertanto essere applicate le regole giuridiche di concorrenza previste dal TCE – tra

cui la normativa sugli aiuti di stato – né, tantomeno, le regole previste nel codice di condotta

sulla fiscalità diretta delle imprese. È un fatto che sul piano giuridico (quello che qui interessa),

la decisione della Commissione si fonda unicamente sull’art. 23 cpv. 1 lett. iii ALS: richiami diretti

al codice di condotta non ve ne sono14.

Inoltre, è stato sostenuto che la posizione espressa dall’UE violerebbe la sovranità fiscale

elvetica, in particolare in una materia in cui questa è attribuita ai cantoni, ritenuto che a livello di

IFD la legge non riconosce alcun privilegio particolare (se non la riduzione per partecipazioni).

Le ragioni giuridiche dell’inconsistenza di questa obiezione sono state già sufficientemente

enucleate supra ad 2.15.

Per quanto riguarda l’asserita competenza cantonale in materia di privilegi fiscali alle imprese, è

sufficiente ricordare che oggi questi statuti speciali sono garantiti da una LF, la LAID16; e che

comunque, ex art. 184 cpv. 1 Cost., la responsabilità per la totalità delle relazioni con l’estero

resta della Confederazione, e ciò anche quando una materia è attribuita alla competenza dei

cantoni o dei comuni17.

Miglior sorte non trova l’argomento che fa capo all’eterogeneità di pressione fiscale esistente

nei paesi UE, dove pure sono presenti stati con prelievi fiscali moderati, quando ancora

spudoratamente più attrattivi18. In realtà, il rimprovero di un carico fiscale insufficiente o di

aliquote fiscali eccessivamente ridotte non è mai stato espresso dalla Commissione19.

14 Cfr. TOBLER 2008, pag. 38 seg. Ciò non toglie che un piano più generale sarebbe non solo ingenuo, ma anche in

contraddizione con la realtà dei fatti, credere che l’agire della Commissione non abbia alcuna correlazione conl’intenzione di espandere la portata di misure interne contro la concorrenza fiscale dannosa al di là dei confiniUE: cfr. C (2007) 411, n. 28; SCHEDA A, intervento ALMUNIA.

15 Non si può comunque sottacere il fatto che l’impressione di una indebita ingerenza UE nella sovranità nazionalesvizzera sia anche comprensibile conseguenza di alcune considerazioni certamente inopportune – se nonaddirittura avventate – sviluppate nella decisione 13 febbraio 2007 a proposito della struttura del sistemafiscale svizzero e della sua asserita inidoneità a garantire un’adeguata giustizia fiscale (n. 48 seg.); laddove laCommissione si spinge addirittura in improprie considerazioni costituzionali affermando che i privilegi fiscalisarebbero in contraddizione con le competenze territoriali conferite ai cantoni (n. 50). Una simile presa diposizione non può giustificarsi nemmeno nell’ambito della tradizione di interpretazione autonoma dell’ALS:così COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 20.

16 Cfr. supra Capitolo due ad I.2.2. Aspetto correttamente messo in evidenza anche dalla Commissione; cfr.C(2007)411, n. 48.

17 Cfr. BLANKART 2007; COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 14; C(2007)411, n. 39.18 Cfr. BROWNING, The Netherlands, the New Tax Shelter Hot Spot – in: The New York Times 04.02.2007.19 AFC 2006, pag. 3 n. 3; COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 10. Al contrario questa motivazione è stata espressamente

esclusa nel comunicato stampa che accompagna la decisione: cfr. IP/07/176, pag. 1.

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Circa la presunta violazione del principio dell’affidamento è stato dimostrato che l’UE non ha

mai suscitato, a mezzo del proprio comportamento o mediante affermazioni dei suoi organi,

aspettative degne di protezione a favore della Svizzera in merito a tematiche di concorrenza

fiscale: non sono ravvisabili gli estremi di un venire contra factum proprium e nemmeno sono

adempiuti le condizioni di applicazione del cd. “principio di Estoppel”20. Al contrario, come già

dimostrato nel capitolo precedente, il nostro paese non si è esplicitamente opposto alla

dichiarazione UE sull’art. 23 dell’ALS. Inoltre la “problematicità” dei regimi fiscali cantonali era

nota da tempo anche all’interno del paese21. Nemmeno può giocare un ruolo la circostanza –

pure sollevata da parte svizzera – che in oltre 30 anni dall’entrata in vigore dell’accordo

nessuno, all’interno del Comitato misto, abbia mai obiettato che i regimi di tassazione cantonali

influissero negativamente sul buon funzionamento dell’ALS22: dal punto di vista del controllo

sugli aiuti di stato, infatti, non può essere messo in discussione il potere della Commissione di

rivedere aiuti esistenti, ritenuto che un aiuto resta legale fino al momento in cui la Commissione

termina il suo esame e ne dichiara l’incompatibilità con il mercato comune23.

Sull’altro versante, è pure priva di rilevanza giuridica – e si situa quindi fuori del nostro campo di

esame – la costatazione della Commissione per cui l’applicazione nei confronti della Svizzera

della normativa sugli aiuti di stato si giustifica altresì in virtù dei tradizionalmente stretti legami

economici e geografici del nostro paese con l’UE, oltre che dal fatto che le imprese svizzere

godono già di un accesso privilegiato al mercato comunitario24.

20 Detto anche “principio di preclusione”: esso si sostanzia nel fatto che qualora una parte abbia prospettato

all’altra un certo stato di fatto od un proprio comportamento possibile futuro, non potrà poi far valere il fattoche nel testo contrattuale era contenuta una previsione diversa da quanto così prospettato: cfr. KÜNG/ECKERT

1993, pag. 42 n. 36.21 Cfr. sul tema: COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 14. 22 Cfr. AFC 2006, pag. 2.23 ROSSI-MACCANICO 2008b, pag. 426. La Commissione aggiunge inoltre che il diritto internazionale pubblico non

conosce termini di prescrizione; cfr. C (2007) 411, n. 64.24 Cfr. C (2007) 41, n. 28. In questo senso anche AFC 2006, n. 3 pag. 3 (sebbene con motivazioni diverse). Resta

comunque chiaro a tutti che questo è il problema fondamentale (EPINEY 2008, pag. 98). Per completezza dianalisi occorre segnalare come vi sia anche chi si è chiesto se la sussistenza di questi rapporti bilaterali moltointensi non potesse essere elemento da considerare nel quadro interpretativo di cui all’art. 31 cpv. 3 lett. c dellaConvenzione di Vienna 1969; ipotesi comunque scartata proprio sulla scorta della giurisprudenza sviluppatadalla CGCE (cfr. N. DIEPOLD, Europarecht in der Schweiz, slides di presentazione scaricate dal sito:www.iew.unibe.ch).

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II. Rispetto delle esigenze formali di una decisione che dichiara

incompatibile un aiuto di stato di carattere fiscale

1. Elementi costitutivi di una decisione ex art. 249 TCE

Per quanto a mia conoscenza, solo Astrid EPINEY si è posta il problema di verificare la legittimità

formale-procedurale della veste giuridica utilizzata dalla Commissione nell’avanzare le sue

richieste verso la Svizzera25.

Ai sensi dell’art. 249 cpv. 4 TCE, una decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i

destinatari da essa designati. L’art. 5 cpv. 1 TCE dispone, tra l’altro, che per emettere una

decisione la Commissione necessita di una base legale nel Trattato, una delega essendo

sufficiente.

A tal proposito occorre osservare come i contorni della base legale su cui la Commissione si è

appoggiata per giustificare la facoltà di emanare la decisione 13 febbraio 2007 restano

nell’ombra. Il richiamo commissionale all’ALS medesimo così come alla dichiarazione unilaterale

formulata e all’ordinanza 2841/72 relativa alle misure di salvaguardia – che a sua volta prescrive

unicamente che la Commissione si esprima sulla corretta esecuzione dell’accordo da parte

Svizzera, formulando proposte al Consiglio – non fornisce i necessari punti di appoggio. Inoltre,

né i precetti generali del diritto pubblico internazionale, né le norme di competenza interne

all’UE26 né, tantomeno, l’ALS – che parla sempre di “parti contraenti” – conferiscono la facoltà

alla Commissione di accertare in maniera vincolante la conformità dei contestati regimi

cantonali con l’Accordo; per non parlare poi della possibilità di adottare misure di salvaguardia.

In questo senso, quindi, contenuto e conclusioni tratte dalla Commissione non possono essere

ritenute vincolanti ai sensi dell’art. 249 TCE.

In seconda approssimazione vi è da chiedersi chi debba essere considerato destinatario della

decisione: non certamente la Svizzera, giacché non è paese membro dell’UE e l’ALS non

conferisce (come già detto) alcuna competenza alla Commissione a statuire per lei in modo

vincolante. Anche altri organi comunitari, così come imprese o privati cittadini non entrano in

linea di considerazione.

Da ciò si deve concludere che la decisione è priva di un destinatario, venendo così meno una

caratteristica costitutiva ex art. 294 TCE per rendere efficace questa forma di espressione

25 EPINEY 2008, pag. 77-79, sulle cui considerazioni mi baso per sviluppare questo paragrafo.26 Il compito di determinare in maniera vincolante la posizione dell’UE compete non alla Commissione, bensì al

Consiglio che consulterà – se del caso – il Parlamento.

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istituzionale27. La decisione 13 febbraio 2007 avrebbe così solo carattere di una

“comunicazione”, provvista di una veste giuridica inadeguata: se adita, la CGCE potrebbe quindi

sancirne la nullità per carenza di base legale.

2. Il caso degli aiuti esistenti: effetto di una decisione della Commissione per il

futuro

L’atipicità – se non addirittura la fragilità formale – della decisione in esame è osservabile anche

da un altro punto di vista. È noto che in ambito UE un aiuto esistente resta legale sino al

momento in cui la Commissione termina il suo esame e ne dichiara l’incompatibilità con il

mercato comune. Nell’ambito del suo controllo permanente degli aiuti “esistenti” –

virtualmente il caso della Svizzera, giacché i regimi fiscali cantonali per le imprese esistono dalla

prima metà degli anni venti del secolo scorso28 – a norma della giurisprudenza della CGCE, la

Commissione ha esclusivamente il potere di imporre allo Stato destinatario la soppressione o la

modifica dell’aiuto in un termine che essa deve stabilire. La Corte ha infatti più volte confermato

che la fissazione di un periodo transitorio prima della soppressione di un aiuto fiscale

incompatibile si fonda sulle legittime aspettative dei beneficiari di un aiuto, avente carattere

pluriennale e indefinito nel tempo, a vedersi concedere dalla Commissione un margine

sufficiente per adattarsi alla mutata situazione giuridica, caratterizzata dalla soppressione

dell’aiuto. La giustificazione di tali periodi transitori trova il suo fondamento nei principi di

tutela dell’affidamento e della certezza del diritto. Il rispetto di questi principi deve infine

guidare il (motivato) potere di apprezzamento della Commissione nello stabilire la durata del

periodo transitorio29.

Ora, né la motivazione, né il dispositivo della decisione 13 febbraio 2007 fissano (o solo

accennano) un tale periodo transitorio prima di adottare eventuali misure di salvaguardia.

Un’opzione che nel caso concreto sarebbe stata certamente più che opportuna, vista la

particolarità del caso, la delicatezza del tema e, non da ultimo, la complessità del sistema

giuridico elvetico (nota alla Commissione) che richiederebbe comunque tempi tecnici di

27 Si deve infatti a tal proposito notare che le decisioni della Commissione in materia di aiuti ex art. 87 TCE, hanno

effetto diretto (sono opponibili nei confronti delle imprese) e sono obbligatorie per i destinatari (gli Statimembri): i diritti e gli obblighi che ne scaturiscono possono essere fatti valere dagli operatori economici difronte alle corti nazionali. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale decisione, la Commissione od altroStato interessato possono adire direttamente la CGCE, senza esperire l’ordinario iter di preconsultazione perinadempimento ex art. 226 seg. TCE: cfr. ROSSI-MACCANICO 2008b, pag. 422.

28 AFC 2006, pag. 2.29 ROSSI-MACCANICO 2008b, pag. 426 seg. e giurisprudenza citata.

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attuazione molto lunghi30. In questo senso, non si può certo considerare un adeguato periodo

transitorio il termine di tre mesi da quando la misura è stata riferita al Comitato misto (previsto

dall’art. 27 cpv. 3 lett. a ALS) trascorso il quale la parte che si ritiene lesa può adottare le misure

di salvaguardia.

III. Dell’interpretazione dell’art. 23 cpv. 1 lett iii ALS in relazione con l’art.

87 TCE

1. I termini utilizzati: elementi di comparazione letterale

Ho già accennato alla forte similitudine – o quasi identità – tra la lettera dell’art. 23 ALS e dell’art.

87 TCE31. Preso atto che entrambe le previsioni normative si caratterizzano per la loro

formulazione ampia ed indeterminata32, é ora necessario procedere ad un esame più

dettagliato.

1.1 Le fattispecie legali: elementi comuni versus elementi distintivi

Le due norme condividono i seguenti elementi di fattispecie33:

(a) Aiuto pubblico: la misura in discussione deve rappresentare un aiuto pubblico. Il TCE parla

segnatamente di “aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi

forma”.

(b) Selettività (o specificità): la misura in esame deve favorire talune imprese o talune

produzioni.

(c) La misura deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza.

(d) Pregiudizio negli scambi. La misura esaminata deve essere “suscettibile di pregiudicare gli

scambi tra la Comunità e la Svizzera” (art. 23 cpv. 1 ALS), rispettivamente incidere sugli scambi

30 Leggi: democrazia diretta (COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 37) . Qualcuno potrebbe eccepire che imporre un

siffatto termine avrebbe sortito risultati controproducenti, quantomeno dal profilo dell’opportunità politica. Dalpunto di vista giuridico un simile argomento non ha però concludenza. Inoltre, senza la fissazione di un terminedi adeguamento, resta il fatto che l’UE sarebbe in diritto di far capo alle misure appropriate previstedall’Accordo non appena ossequiati gli obblighi di cui all’art. 27 ALS. Sembrerebbe comunque che l’UE abbiacomunicato la sua disponibilità a dimostrare comprensione e pazienza qualora da parte Svizzera si intendaportare avanti autonomamente una soluzione nel senso prospettato; cfr. “Hat di EU Geduld mit der Schweiz”,NZZ 05.07.2007.

31 Cfr. SCHEDA E.32 HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 545.33 TOBLER 2008, pag. 37 seg.

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tra gli Stati membri (art. 87 cpv. 1 TCE). Si osserva qui una prima differenza: per l’ALS è

sufficiente un pregiudizio potenziale, mentre per il TCE il pregiudizio deve essere attuale34.

(e) Carattere fiancheggiatore (funzionale) della normativa. L’art. 87 TCE è funzionale al mercato

comune e parla quindi di aiuti “incompatibili con il mercato comune” (cfr. anche art. 3 cpv. 1

lett. g TCE). Per l’ALS si tratta invece del funzionamento di un accordo che concerne il

commercio di determinati prodotti (art. 2 ALS), per cui ci si riferisce ad aiuti “incompatibili con il

buon funzionamento dell’Accordo”.

Una differenza importante risiede per contro fatto che l’art. 23 cpv. 1 ALS non prevede la

possibilità di deroghe, come invece è il caso per l’art. 87 cpv. 1 TCE la cui formulazione apre con

la locuzione “salvo deroghe contemplate dal presente trattato”. A livello di esame letterale,

quindi, si osserva come la normativa bilaterale configura un regime più restrittivo rispetto a

quello sancito dalla normativa comunitaria35.

Un’ulteriore significativa differenza è visibile allargando appena il quadro: l’art. 88 TCE

determina le modalità di applicazione del divieto di aiuti di stato, fornendo opportune

indicazioni procedurali36. Si tratta di un apparato “di applicazione pratica” che difetta invece del

tutto nell’ALS. Alcuni autori ravvisano in questa circostanza un criterio decisivo per eslcudere la

possibilità di estendere la portata semantica dell’art. 87 TCE all’art. 23 ALS. In particolare

difetterebbe nel sistema ALS la possibilità di incardinare una procedura che dia garanzie di un

applicazione equa ed indipendente del diritto materiale attraverso un potere istituzionale

sovraordinato37, giacché l’Accordo prevede unicamente l’utilizzo di strumenti diplomatici e di

politica estera nell’ambito del Comitato misto. Altri affermano invece che tali circostanze

pratiche, sebbene reali, non hanno carattere determinante: nel 1972, anno di sottoscrizione

dell’ALS, anche l’allora art. 92 TCE (oggi art. 87) non era ancora stato corredato da diritto

derivato; ciò non di meno la normativa era senz’altro applicabile.

La mancanza di eccezioni in ambito ALS, poi, non autorizza di per sé alcuna conclusione,

potendo semplicemente darsi che con l’ALS non si volessero introdurre fattispecie di eccezione

34 Così anche la Commissione: C (2007) 411, n. 65. Secondo TOBLER 2008, pag. 37, la differenza si spiega con la

diversità di obiettivi che caratterizza i due sistemi.35 Della medesima opinione GROSS 2003, pag. 33.36 ROSSI-MACCANICO 2008b, pag. 421 segg.37 Cfr. EPINEY 2008, pag. 87; BLANKART 2007, e soprattutto (e diffusamente) GROSS 2003, pag. 33 seg., il quale sostiene

che anche la possibilità di chiamare in causa direttamente il divieto di aiuti di stato davanti al giudice nazionaleè essenzialmente inibita dal carattere non self executing della norma in questione.

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Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

58

come quelle previste dal TCE38.

1.2 Il carattere delle norme: “principi di concorrenza” versus “regole di concorrenza”

È stato sostenuto che la normativa sulla concorrenza non denoterebbe, nei due accordi, pari

costrittività: l’ALS non vieta le pratiche contrarie alla concorrenza, dichiarandole solo

incompatibili con il buon funzionamento dell’Accordo; divieto che sarebbe invece proprio al

TCE. In applicazione delle norme sulla concorrenza, l’ALS non parla nemmeno di

comportamenti “vietati” o “nulli” 39. Avremmo quindi a che fare solo con dei principi, e non con

delle vere e proprie regole di concorrenza, di modo che una loro violazione non è possibile40.

Si tratta di una linea interpretativa a cui va dato opportuno peso, se non altro perché ricalca le

considerazioni espresse dal TF in merito proprio all’art. 23 ALS41.

Ciò non di meno si deve osservare che anche l’art. 87 TCE parla solo di aiuti incompatibili (con il

mercato comune) e non di aiuti vietati42. D’altro canto, è altresì vero che nella prassi della

Commissione e della CGCE questa norma è interpretata (ed applicata) come un vero e proprio

divieto: ciò è del resto in sintonia con il carattere funzionale assunto dalla normativa sugli aiuti

di stato in ambito UE43. D’altro canto è pure stato fatto notare che una simile giurisprudenza

esista anche in Svizzera: si tratta di una decisione dell’allora Commissione federale di ricorso in

materia d'infrastrutture ed ambiente (ora sostituita dal Tribunale amministrativo federale) del

20 ottobre 2005, per la quale la giurisprudenza CGCE può essere considerata

38 Così TOBLER 2008, pag. 41 seg. Questa visione delle cose, sebbene logicamente ineccepibile, appare

empiricamente poco verosimile: il diritto tutto ci mostra come i principi legislativi che non prevedono eccezionisono estremamente rari, per non dire inesistenti. Anche i diritti più fondamentali del cittadino prevedonoeccezioni; ciò permette di tenere adeguatamente conto della complessità della vita reale. Asserire che l’ALS sifondi su di un principio contrario necessiterebbe di qualche ben fondata argomentazione o prova a supporto.

39 Cfr. AFC 2005, pag. 4, dove si richiamano fra l’altro, affermazioni del precedente commissario UE K. VAN MIERT. 40 Cfr. BLANKART 2007, il quale così conclude il suo (elegante) ragionamento: “Im Unterschied zwischen den

Wettbewerbsgrundsätze und den Wettbewerbsregeln liegt die Essenz des Unterschiedes zwischen einemLiberalisierungs- und einem Integrationsvertrag. Mit der EU steht die Schweiz in einem Liberalisierungs- undnicht in einem Integrationsverhältnis. Supranationale Zwangsmassnahmen zur Herstellung einesBinnenmarktes sind somit ausgeschlossen.“

41 Cfr. supra Capitolo due, ad III.2.3.42 Sono invece incompatibili con il mercato comune e vietate, nella misura in cui possano essere pregiudizievoli al

commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante da parte di una o più imprese(art. 82 TCE), così come tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte lepratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e pereffetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza (art. 81 TCE).

43 Cfr. TOBLER 2008, pag. 41 e giurisprudenza citata. Secondo l’autrice non può quindi stupire che la Commissionedia parallela interpretazione dell’art. 23 cpv. 1 lett. iii ALS.

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Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

59

nell’interpretazione dell’ALS fintanto che non siano ravvisabili motivi per scostarsene44.

Da ultimo, è stato osservato che la formulazione estremamente larga (vaga) dell’art. 23 ALS osta

ad una sua operatività immediata: non a caso essa manca di efficacia diretta nei confronti dei

privati, dal che si dovrebbe concludere come l’ALS intenda individuare unicamente dei principi

e non delle vere e proprie regole di concorrenza con carattere costrittivo45. La mancata efficacia

diretta nei confronti dei privati è però propria anche all’art. 87 TCE; ciò non significa comunque

che la conformità degli aiuti di stato con questa norma non possa essere esaminata in altri

contesti, ad es. nel contesto dell’esame degli aiuti di stato da parte della Commissione (art. 88

TCE), ovvero nell’ambito del ricorso per nullità contro corrispondenti decisioni adottate dalla

Commissione (art. 230 TCE), o ancora nei procedimenti per violazioni del Trattato (art. 226 segg.

TCE). La decisione 13 febbraio 2007 rappresenterebbe quindi un’introduzione parallela di

possibilità (per altro non espressamente codificate nell’ALS)46.

2. Testo e contesto dell’ALS: elementi di indagine sistematica

Come abbiamo già visto, l’art. 31 della Convenzione di Vienna 1969 include nel contesto – in

senso stretto – di un trattato, oltre al testo, il preambolo e gli allegati inclusi gli accordi relativi al

trattato che siano intervenuti tra le parti al momento della conclusione, oltre ad ogni strumento

disposto da una o più parti ed accettato dalle altre in quanto strumento del trattato.

Inoltre, secondo l’art. 31 cpv. 3 occorre pure tener conto di alcuni elementi che in certo qual

modo allargano il contesto e che potremmo quindi chiamare metacontestuali.

44 N. dossier: H-2004-174; Postwesen. Vorzugstarife für die Beförderung von Presserzeugnissen, consultabile al

sito: www.reko-inum.ch/it.; n.13.6: „Gemäss Art. 23 Ziff. (1) iii FHA ist schliesslich jede staatliche Beihilfe, die denWettbewerb durch Begünstigung bestimmter Unternehmen oder Produktionszweige verfälscht, mit demguten Funktionieren des FHA unvereinbar. Ein gleichlautendes Verbot staatlicher Beihilfen kennt auch Art. 87Ziff. (1) des EG-Vertrages. [...] Von dieser Umschreibung staatlicher Beihilfen kann auch im Bereich des FHAausgegangen werden. Die nach Art. 15 Abs. 1 PG gewährten Vorzugspreise sind damit als staatliche Beihilfen zubetrachten. Der erhobene Zuschlag ist geeignet, den Wettbewerb zwischen in- und ausländischen Druckereienbzw. zwischen Verlagen, welche ihre Produkte im In- und Ausland drucken lassen, zu verfälschen und so denWarenverkehr zwischen der Gemeinschaft und der Schweiz zu beeinträchtigen. Er ist demnach gemäss Art. 23Ziff. (1) iii FHA nicht mit dem Abkommen vereinbar”. Resta sicuramente da chiedersi se questa interpretazionesia in grado di reggere l’esame del TF. Ad ogni buon conto una ripresa generale ed indifferenziata della prassiUE sembrerebbe comunque eccessiva (HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 547 seg.).

45 BLANKART 2007; EPINEY 2008, pag. 86. Di altra opinione COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 19: secondo questi autori icriteri rilevanti sarebbero determinati nell‘ALS in maniera di principio sufficiente.

46 TOBLER 2008, pag. 40 seg. L’autrice aggiunge pure che la possibilità di emanare una decisione similecompeterebbe teoricamente anche alla Svizzera.

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Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

60

2.1 Elementi d’interpretazione contestuale

Il preambolo è parte dell’accordo47. Inoltre l’art. 33 ALS chiarisce (positivamente) che gli

“Allegati ed i Protocolli”48 annessi all’Accordo fanno parte integrante di quest’ultimo. Negli

“Allegati all’Atto finale” è pure menzionata, tra gli altri, la Dichiarazione CEE relativa all’art. 23

dell’Accordo49.

2.1.1 Il preambolo all’ALS

Abbiamo già appurato nel capitolo precedente come il preambolo non presenti elementi di

originalità rispetto a quello inserito negli altri, paralleli accordi di libero scambio sottoscritti

dalla Comunità. Ricordiamo altresì che a mente del CF il preambolo non contiene obblighi

giuridici ma definisce il quadro generale delle disposizioni contenute nell’Accordo: la sua

importanza nel processo interpretativo – ricordiamo anche questo – è comunque stata messa in

risalto dal TF. Il preambolo all’ALS dichiara:

- come l’Accordo sia strettamente legato al processo d’allargamento della Comunità ed è

volto a consolidare ed estendere le relazioni economiche tra le parti;

- la conformità dell’Accordo alle disposizione dell’allora GATT concernenti la creazione di

zone di libero scambio;

- la disponibilità delle parti a sviluppare ed approfondire le loro relazioni anche nei campi

non coperti dall’ALS.

Di particolare rilievo, per l’interprete dell’ALS, è il richiamo proemiale al quadro definito

dall’Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio50. Per motivi di coerenza

metodologica affronteremo questo tema più oltre (ad 2.2.1).

2.1.2 La Dichiarazione CEE relativa all’art. 23 cpv. 1 ALS

Le ragioni e le modalità che accompagnarono la Dichiarazione CEE sono già state

sufficientemente enucleate nel precedente capitolo. Quello che resta da chiarire è la portata

giuridica che deve essere attribuita a questa dichiarazione unilaterale nell’interpretazione

dell’art. 23 ALS.

47 FF 1972 II 454.48 RS 0.632.401.1/5. Per il Protocollo n. 6 vedi l’art. 4 della RS 0.632.401.01. Questi riferimenti non contengono la

Dichiarazione CEE sull’art. 23 cpv. 1 ALS.49 Così espressamente: FF 1972 II 456. Il testo della Dichiarazione CEE è stato riprodotto nel capitolo precedente

ad II.4.2.50 Una circostanza questa, definita soggettivamente dal CF “particolarmente importante” (FF 1972 II 457).

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61

A parere di alcuni la Dichiarazione evidenzia come già al momento della sottoscrizione dell’ALS

fosse chiaro – o meglio, dovesse esser chiaro alla Svizzera – che l’applicazione della normativa

sulla concorrenza avrebbe tenuto conto, dinamicamente, degli sviluppi che il diritto

comunitario della concorrenza avrebbe conosciuto con l’evolversi della prassi commissionale e

della giurisprudenza51.

Altri sostengono che con questa dichiarazione l’UE volesse unicamente chiarire che nel valutare

la violazione della norma entro il suo territorio, essa avrebbe fatto capo ai criteri scaturenti

dall’art. 87 TCE, senza che ciò implicasse un pari obbligo da parte svizzera. Una simile lettura, a

prima vista essenzialmente storico-soggettiva52, potrebbe però trovare un punto di appoggio

oggettivo nella formulazione dell’art. 35 ALS.

Altri ancora sono dell’opinione che una dichiarazione unilaterale, proprio perché priva del

necessario consenso, non possa in alcun modo assurgere a criterio interpretativo idoneo a

conferire un senso proprio ad una disposizione pattizia, ritenuto che altrimenti sarebbe sin

troppo facile per una parte determinare unilateralmente la portata giuridica di una norma,

attribuendole quel significato che scaturirà dallo sviluppo del proprio sistema giuridico53.

A mio giudizio è chiaro che non è possibile modificare la portata di un accordo a colpi di

dichiarazioni unilaterali proprio perché un accordo è tale in quanto momento di convergenza

delle dichiarazioni di volontà di chi lo conclude (non a caso si parla di “consenso”). D’altro canto

non si può negare che anche una dichiarazione unilaterale rappresenta un elemento rientrante

nel contesto interpretativo ai sensi dell’art. 31 cpv. 2 lett. b della Convenzione di Vienna, almeno

nella misura in cui sia stato “accettato dalle altre parti in quanto strumento relativo al trattato”.

Nel nostro caso la questione è quindi sapere se la circostanza che la Dichiarazione CEE non sia

stata opposta dalla Svizzera è motivo sufficiente a conferirgli la qualifica di “accettazione”: a tal

proposito è utile ricordare che negli altri accordi di libero scambio sottoscritti dalla CEE con

paesi terzi, questi ultimi specificarono di non accettare la dichiarazione relativa all’art. 2354. Ma

anche se ciò fosse il caso, bisogna convenire che una simile dichiarazione unilaterale potrebbe

avere solo – ma pur sempre – carattere ausiliario nell’interpretazione di una norma pattizia, con

51 Cfr. ARIOLI 2007, n. 13, che richiama l’art. 31 cpv. 2 lett. b Convenzione di Vienna ed aggiunge, a fortiori, che la

corrispettiva norma del TCE non è mai cambiata dall’istituzione dell’UE, per cui non riconoscerne oggi la portatarappresenterebbe da parte Svizzera una violazione del principio della buona fede. TOBLER 2008, pag. 43 riferiscedella dichiarazione limitandosi a prendere atto delle conclusioni di ARIOLI, senza formulare un proprio giudizio.A tal proposito è interessante notare come la Svizzera, nelle sue prese di posizione ufficiali, mai ha commentatoo anche solo accennato all’esistenza di questa dichiarazione.

52 HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 548. Si noti che questo argomento riprende tel quel la lettura data dal CF, avendoquindi un fondamento storico-soggettivo (cfr. supra capitolo due, ad II.4.2).

53 EPINEY 2008, pag. 86.54 Cfr. Capitolo due, ad II.4.2. Notoriamente, in ambito giuridico il silenzio-assenso (qui tacet consentire

videtur) vale solo in via eccezionale, applicandosi di solito il silenzio-rifiuto. Una particolarità si ha proprio neldiritto pubblico internazionale, laddove “a passive course of conduct involving failure to protest may be takeninto account in determining acquiescence in a territorial dispute. If the circumstances are such that somereaction within a reasonable period is called for on the part of a State, the latter, if it fails to react, must be saidto have acquiesced. Qui tacet consentire videtur si loqui debuisset ac potuisset.” – cfr. International Court ofJustice, Case Concerning the Land and Maritime Boundary between Cameroon and Nigeria (Cameroon v.Nigeria: Equatorial Guinea Intervening); Judgment of 10 October 2002 (sottolineatura mia).

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una forza non sufficiente ad eclissare eventuali divergenti risultanze che scaturissero

dall’interpretazione di elementi testuali o contestuali che godono invece del completo accordo

delle parti55.

2.2 Elementi d’interpretazione metacontestuale

Dall’analisi sin qui condotta risulta come anche l’esame del contesto in senso stretto non sia in

grado di fornire risultati univoci sull’estensibilità materiale delle norme di concorrenza previste

dall TCE nell’ALS. Occorre quindi ampliare il campo di esame ad elementi pertinenti che vanno

oltre il contesto.

2.2.1 Contesto internazionale di controllo sulle sovvenzioni: gli Accordi WTO

Ai sensi dell’art. 31 par. 3 lett. c) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati occorre tener

conto di ogni norma pertinente di diritto internazionale applicabile alle relazioni fra le parti. In

quest’ottica assume di primo acchito rilevanza il contesto internazionale di controllo sulle

sovvenzioni che si sostanzia nell’Agreement on Subsidies and Countervaling Measures (SCM);

Allegato 1A n. 13 dell’Accordo del 15 aprile 1994 che istituisce il WTO. Entrambe le parti

sarebbero quindi autorizzate a farvi riferimento56. Questo accordo opera anche tra la Svizzera e

la CE così come nei rapporti tra la CE e i suoi stati membri57. L’Allegato 2 dispone inoltre un

Dispute Settlement Understanding (DSU)58.

L’Accordo SCM regola, da una parte, le condizioni che autorizzano la messa in opera di misure

compensatorie a fronte di sovvenzioni illecite concesse da uno stato59 e, dall’altra, le condizioni

55 La mancanza di normative di concretizzazione a livello europeo potrebbe essere indice della limitata portata

attribuibile alla Dichiarazione (cfr. a proposito: GROSS 2003, pag. 33 n. 41). In assenza di adeguate specifiche, laformulazione letterale della dichiarazione non permette di definirne i contorni semantici: si potrebbe alloraargomentare senza cadere nell’arbitrio che con la Dichiarazione, l’UE voleva unicamente rendere esplicito ilregime di eccezioni, previste dal TCE ma non dall’ALS, così da non vedersi confrontata con una normativa“esterna” più rigorosa di quella “interna”, con il rischio (certo teorico ma pur sempre esistente) per cui un paeseterzo avrebbe potuto invocare, per la simmetria del principio di attuazione autonoma, il regime più severo ecensurare delle pratiche dichiarate legittime nell’UE ex art. 87 cpv. 2 e 3, come incompatibili con l’Accordo,autorizzando così l’adozione di misure di salvaguardia! (la possibilità per la Svizzera di censurare pratiche fiscalicomunitarie incompatibili con l’art. 23 cpv. 1 ALS è stata esplicitamente evocata da TOBLER 2008, pag. 41). Delresto abbiamo già visto come la CEE, al momento della negoziazione dei vari ALS, fosse cosciente dei rischi diun libero scambio di merci non suffragato da un’armonizzazione delle condizioni concorrenziali e della politicaeconomica.

56 Cfr. COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 19, pag. 27 seg.; HIRSBRUNNER 2007, pag. 48; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 547;EPINEY 2008, pag. 91, e non da ultimo il preambolo dell’ALS. Per un’introduzione al funzionamento di questoaccordo cfr. GROSS 2003, pag. 28 segg.

57 COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 26; GROSS 2003, pag. 28: tutti gli stati UE sono pure membri del WTO, così come laCE medesima.

58 Una tematica questa che affronterò nel prossimo capitolo.59 L’Accordo concreta l’art. VI cpv. 3 del GATT 1994; si parla qui di Track I (art. 10-23 SCM).

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63

materiali che definiscono il carattere vietato di una sovvenzione così come i rimedi esperibili

per accertarle e per farne oggetto di azione legale60. Entrambe le procedure possono essere

azionate contemporaneamente.

Dal profilo materiale, la definizione di sovvenzione ex art. 1.1 SCM non si distanzia in maniera

apprezzabile da quella del TCE, a prescindere dal campo applicativo nettamente più ristretto

che compete all’Accordo SCM61. Anche il requisito della specificità (o selettività) presenta

caratteristiche sostanzialmente corrispondenti a quelle sviluppate dalla CGCE62. D’altra parte

l’Accordo SCM concentra la valutazione delle misure vietate non tanto sull’effettivo o presunto

intralcio alla concorrenza, quanto più sull’eventualità che una sovvenzione favorisca

l’esportazione (o diminuisca l’importazione), rispettivamente che danneggi un altro stato

membro63.

In ambito WTO è acclarato che determinati vantaggi fiscali (rinuncia o non riscossione di entrate

fiscali altrimenti dovute) configurino giuridicamente una sovvenzione (art. 1.1. lett. a1 ii SCM). Il

benchmark è infatti rappresentato dall’imposizione ordinaria cui normalmente soggiacciono i

redditi. Ne segue che i privilegi fiscali cantonali accordati alle società holding, amministrative e

di sede ricadono, in principio, nel campo di applicazione dell’Accordo SCM64. Dal profilo del

commercio mondiale occorre determinare se si tratta in casu di esenzioni fiscali, oppure di aiuti

tesi ad incentivare gli investimenti nei rispettivi cantoni. Il problema si pone in modo diverso

per ciascuno dei Tracks dell’Accordo SCM e deve pertanto essere affrontato in modo

differenziato. La questione è particolarmente complessa e, come hanno dimostrato COTTIER e

MATTEOTTI nella loro analisi specifica, una risposta univoca e conclusiva non può essere data,

giacché la valutazione dipende da una molteplicità di variabili che non è adeguatamente

possibile definire in astratto65. Ciò premesso, é non di meno possibile trarre alcune

considerazioni significative66:

- l’Accordo SCM costituisce una base essenziale nell’esame della controversia fiscale: esso

completa ed incanala le norme dell’ALS;

- nella messa in opera di eventuali misure compensatorie, la CE è tenuta ad ossequiare le

disposizioni e le procedure previste dagli Accordi WTO (caso contrario la Svizzera

sarebbe autorizzata ad impugnare la misura);

- l’Accordo dimostra come la questione giuridicamente decisiva sia quella relativa

all’esistenza di una sovvenzione all’esportazione da parte svizzera;

60 Questa procedura prende il nome di Track II (art. 1-9 SCM).61 Mentre il TCE è applicabile ad ogni attività economica, l’Accordo SCM vale solo nell’ambito applicativo del

GATT, ossia nel commercio di merci. Restano pertanto esclusi i servizi e le commesse pubbliche, così come ilsettore agricolo (cfr. GROSS 2003, pag. 29).

62 GROSS 2003, pag. 29.63 GROSS 2003, pag. 30. L’autore giudica quindi l’Accordo SCM materialmente meno restrittivo del diritto

comunitario sugli aiuti di stato.64 COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 29.65 COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 29 segg.66 COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 34 seg.

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- in favore di questa ipotesi sussistono validi motivi; si deve quindi ritenere che privilegi

fiscali cantonali prestino il fianco ad un attacco (senza che si debba far capo alla

complessa e dispendiosa dimostrazione del danno e del nesso di causalità prevista dal

Track I);

- parimenti, sussistono pure buone ragioni a sfavore di questa eventualità, e in maggior

misura nell’ambito della procedura di impugnazione delle sovvenzioni (Track II).

Stupisce allora che sebbene la rilevanza degli Accordi SCM sia stata opportunamente segnalata

nella decisione del 13 febbraio 200767, la Commissione non conduca poi un conseguente esame

da questo profilo, limitandosi sostanzialmente ad una valutazione dei regimi cantonali nel

quadro dei parametri posti dall’art. 87 TCE.

2.2.2 Possibilità di un’evoluzione normativa: “interpretazione statica” versus “interpretazione

dinamica”

Il già richiamato art. 31 par. 3 lett. c) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati è una

norma a carattere storico-evolutivo che consente di adattare la convenzione ai mutamenti delle

regole proprie dell'ordinamento internazionale, conferendo importanza al diritto internazionale

generale, oltre che al diritto pattizio vincolante gli stati contraenti. Ciò non deve tuttavia trarre

in inganno; il principio del diritto internazionale rimane infatti sempre quello di attribuire ai

termini il significato che essi avevano nel momento in cui la convenzione fu conclusa (cd.

principle of contemporaneity), sicché l'attribuzione di un significato diverso ha pur sempre

carattere di eccezionalità68.

a) Argomenti che denunciano un’interpretazione dinamica da parte della Commissione

In questo orizzonte di analisi, da parte Svizzera è stato obiettato che a tenore del diritto

internazionale, le disposizioni dell’ALS devono essere interpretate in maniera statica, vale a dire

conferendole quel significato che esse avevano al momento della loro stipula, nel 1972. Non

corrisponde quindi al vero che la Commissione, nella sua decisione del 13 febbraio 2007, si sia

appoggiata su definizioni riconosciute e criteri comuni che già sussistevano al momento della

sottoscrizione dell’Accordo69. In altri termini, la Commissione si appoggierebbe su di

67 Cfr. C (2007) 411, n. 29 nota. 6.68 Cfr. Supra capitolo due ad IV.2.1; inoltre: KÜNG/ECKERT 1993, pag. 95 n. 124; EPINEY 2007, n. 5, 2008, pag. 86;

HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 549. Si confrontino anche gli “Accordi bilaterali I e II”, ad es. l'art. 16 cpv. 2 ALC percui: "Nella misura in cui l'applicazione del presente Accordo implica nozioni di diritto comunitario, si terrà contodella giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia delle Comunità europee precedente alla data della suafirma. La giurisprudenza della Corte successiva alla firma del presente Accordo verrà comunicata alla Svizzera.Per garantire il corretto funzionamento dell'Accordo, il Comitato misto determina, su richiesta di una delle particontraenti, le implicazioni di tale giurisprudenza" (sul tema ALC, cfr. ROSSI 2007, n. II.2.). Un’eccezione a questoprincipio è comunque stabilita (come già visto nell’Introduzione) dall’Accordo sul trasporto aereo.

69 C (2007) 411, n. 29.

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un’interpretazione dinamica della normativa sugli aiuti di stato, conferendole il significato che

essa ha oggi alla luce della (ampia) giurisprudenza nel frattempo sviluppata dalla CGCE70. L’ALS

fu infatti concluso in un tempo in cui l’idea di considerare determinate pratiche fiscali quali aiuti

di stato era si diffusa a livello di Commissione, ma una prassi giurisprudenziale coerente era

ancora di là da venire. Solo 25 anni più tardi, sotto lo la spinta del Consiglio, la Commissione

cominciò a confrontarsi in maniera intensa e sistematica con questa problematica. Più

precisamente, tutto ciò prese forma nel 1997, dopo che il Consiglio ebbe ad emanare un codice

di comportamento sulla fiscalità diretta delle imprese a cui fece seguito, nel 1998, la già citata

comunicazione della Commissione C 384/98. Fu poi solo nel mese di giugno 2001 che la

Commissione cominciò un ampio ed acribico esame dei sistemi fiscali nazionali, aprendo

formali procedure di verifica nei confronti di molti stati membri71.

b) Argomenti che affermano un’interpretazione statica da parte della Commissione

È stato sostenuto in dottrina che la posizione espressa dalla Commissione può essere spiegata

(e giustificata) senza nemmeno affrontare il problema della legittimità di una interpretazione

dinamica dell’ALS, giacché la rilevanza della normativa sugli aiuti di stato a carattere fiscale non

poteva dirsi sconosciuta già al tempo della sottoscrizione dell’Accordo: l’esistenza di una

decisione della Corte del 1961 e una dichiarazione della Commissione del 1963

dimostrerebbero come la Commissione si sia limitata ad interpretare staticamente l’art. 23

ALS72.

Dell’importanza della decisione del 1961 presa in vigenza del Trattato CECA nell’ambito degli

aiuti di stato di carattere fiscale abbiamo già riferito in precedenza73. In effetti di tratta di un cd.

leading case – ancora oggi sovente richiamato e citato – che dimostra, senza ombra di dubbio,

come la rilevanza di tale principio non potesse in buona fede essere dirsi ignoto già al tempo

della sottoscrizione dell’ALS74. Vi sono però alcune particolarità che necessitano di ulteriore

approfondimento.

70 Cfr. TOBLER 2008, pag. 42 seg. Detto ancora altrimenti: la Commissione non avrebbe proceduto ad un’analisi

dell’incidenza fiscale sugli aiuti di stato fondata sui criteri di interpretazione autonoma legittimamentesviluppati dalla Svizzera in materia. D’altro canto, questi criteri comuni possono però essere individuati nelquadro giuridico degli accordi WTO, discussi più sopra (COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 21).

71 HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 550 seg.72 Riprendo di seguito le tesi avanzate da:TOBLER 2008, pag. 43 segg. Interessante notare come l’autrice formuli la

sua conclusione proprio termini negativi:“die Relevanz des Beihilferechts für steuerliche Massnahmen schondamals nicht unbekannt war“; invece che impiegare una frase positiva: una differenza sottile ma non irrilevante.

73 Sentenza del 23.02.1961, causa 30/59 [De Gezamenlijke Steenkolenmijnen in Limburg], ad B.I.1.A; cfr. Capitolodue, ad III.2.2.

74 Cfr. TOBLER 2008, pag. 44.

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Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

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La pronuncia della Corte si fonda su norme del (previgente) Trattato CECA75, il cui art. 4 c)

stabiliva che “nell’ambito della Comunità, sono riconosciuti incompatibili con il Mercato

comune del carbone e dell’acciaio e, di conseguenza, sono aboliti e vietati secondo le modalità

fissate dal presente Trattato: […] le sovvenzioni o gli aiuti concessi dagli Stati e gli oneri speciali

da questi imposti, qualunque ne sia la forma”76. Considerato che il Trattato CECA realizzava solo

un’integrazione parziale tra gli stati membri, si deve esaminare se ed in che misura i due trattati

perfezionino una continuità nell’ordinamento giuridico comunitario tale da saldare in un

unicum le norme e i concetti che presiedono i rispettivi regimi di concorrenza. Per quanto a mia

conoscenza, la questione è stata chiarita in una decisone resa nel 2007 dal Tribunale di primo

grado77, il quale ha affermato che in forza del suo art. 97 il Trattato CECA è scaduto il 23 luglio

2002. Di conseguenza, il 24 luglio 2002 il campo di applicazione del regime generale istituito dal

TCE si è esteso ai settori che erano inizialmente disciplinati dal Trattato CECA. Se è vero che la

successione del quadro giuridico del Trattato CE a quello del Trattato CECA ha comportato, a

partire dal 24 luglio 2002, una modifica dei fondamenti normativi, delle procedure e delle

norme di merito applicabili, essa si inserisce tuttavia nel contesto dell’unità e della continuità

dell’ordinamento giuridico comunitario e dei suoi obiettivi. A questo proposito il Tribunale

rileva che l’istituzione e il mantenimento di un regime di libera concorrenza, nel cui ambito

siano garantite le normali condizioni di concorrenza e che é in particolare all’origine delle

norme in materia di aiuti di Stato, costituisce uno degli obiettivi essenziali sia del Trattato CE

che del Trattato CECA. In questo contesto, per quanto le norme dei Trattati CECA e CE che

disciplinano la materia degli aiuti di Stato divergano in una certa misura, gli aiuti concessi sotto

la vigenza del Trattato CECA rispondono alla nozione di aiuto ai sensi degli art. 87 segg. TCE.

Pertanto, il perseguimento dell’obiettivo di una concorrenza non falsata nei settori inizialmente

rientranti nel mercato comune del carbone e dell’acciaio non ha subito interruzione a seguito

della scadenza del Trattato CECA, poiché questo obiettivo è parimenti perseguito nell’ambito

del Trattato CE.

75 Secondo TOBLER 2008, pag. 44, questa circostanza non ha alcuna rilevanza. Di opposto avviso HIRSBRUNNER/SEIDL

2006, pag. 550 n. 34: secondo loro determinante è il fatto che la pronuncia concernesse la CECA mentre ilpartner contrattuale originario in ambito ALS per la Svizzera fu la CEE. Gli autori sostengono inoltre che nellamotivazione giuridica di quella sentenza l’aspetto tributario non giocasse alcun ruolo e la prima volta che laCommissione prese effettivamente in esame la tensione tra diritto tributario nazionale ed aiuti di stato restaquella che concerne il caso di un aiuto di stato italiano del 1970, mentre la prima pronuncia della Cortesull’allora art. 92 TCE risale al 1974 (cfr. op. cit., pag. 550 n. 33). Sui “motivi” di questa divergenza di opinione cfr.TOBLER 2008 n. 69.

76 Si nota immediatamente come il trattato CECA, prevedesse, rispetto al TCE, un divieto più radicale di aiuti esovvenzioni, divieto che era stato poi attenuato nel momento della crisi siderurgica (cfr. MAMELI 2008, pag. 57).

77 Cfr. Sentenza del Tribunale di primo grado del 12.09.2007, Causa T 25/04 [González y Díez, SA], n. 54 segg. (congiurisprudenza della Corte citata).

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Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

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Il secondo elemento che confermerebbe la staticità dell’interpretazione della Commissione è da

individuare nella risposta fornita dalla Commissione il 27 giugno 1963 ad una richiesta scritta

formulata dal parlamentare europeo BURGBACHER. Questi chiedeva in particolare se la

concessione di sovvenzioni ad imprese pubbliche ed altri alleggerimenti fiscali ad imprese non

pubbliche costituissero una misura incompatibile con gli (allora) art. 7 e 85-94 TCE. La

Commissione risposte precisando che gli aiuti concessi da uno stato, ovvero con mezzi statali di

qualsiasi genere – tra cui l’esenzione da tasse ed imposte – a qualsiasi impresa o ramo

produttivo rientravano, di principio, nel campo di applicazione degli (allora) art. 92-94 TCE78.

Questi dati di fatto sono certo rilevanti ma, a mio avviso, non autorizzano ancora a concludere

per un’interpretazione senz’altro statica dell’ALS da parte della Commissione79. Se è innegabile

che i negoziatori svizzeri dell’ALS non potevano dirsi ignari che già prima del 1972 un aiuto di

stato poteva, nell’UE, realizzarsi anche a mezzo di agevolazioni fiscali, è altrettanto vero che non

era a quel tempo in buona fede ragionevolmente possibile comprendere appieno il significato

di questa circostanza80. Affermare il contrario significa assumere una posizione rigidamente

assiomatica81. Le differenze tra il concetto di aiuto di stato di carattere fiscale esistente nel 1972

e quello reso dall’accezione odierna sono paragonabili a quelle che intercorrono tra un neonato

ed un giovane adulto. La nozione di aiuto fiscale così come è intesa oggi è innegabilmente la

risultante di molteplici influenze politico-economiche, non da ultimo quella che fa seguito

all’impegno assunto dalla Commissione in occasione dell’adozione, da parte del Consiglio, di un

codice di condotta in materia di tassazione delle imprese il 1° dicembre 1997 e che è sfociato

nell’emanazione della Comunicazione C 384/9882. Quest’ultima, a sua volta, si inserisce in un

obiettivo più ampio, vale a dire il chiarimento ed il rafforzamento dell’applicazione delle norme

in materia di aiuti di stato al fine di ridurre le distorsioni della concorrenza che incidono in

particolare sul completamento del mercato unico e sulla realizzazione dell’unione economica e

monetaria83. Vi è quindi una significativa maturazione contestuale attorno all’art. 87 TCE

78 TOBLER 2008, pag. 44 seg. A fronte di questi due argomenti, l’autrice conclude quindi che nonostante il

trentennale silenzio da parte UE la Svizzera non possa in alcun modo invocare una violazione del principio dibuona fede: un’analisi diligente in sede di negoziazione avrebbe rivelato ai funzionari incaricati come lanozione di aiuto di stato contemplasse già fattispecie di carattere tributario che l’UE avrebbe potuto far valerein ambito ALS a mezzo della Dichiarazione unilaterale relativa all’art. 23 cpv. 1.

79 Riprendo qui la sottile ma non insignificante differenza rilevata supra alla nota 72.80 Della medesima opinione: EPINEY 2008, pag. 90; HIRSBRUNNER 2007, pag. 48. Di diverso avviso la Commissione: C

(2007) 411, n. 65.81 In un sistema assiomatico tutta l‘informazione è contenuta implicitamente negli assiomi. Lo sviluppo del

sistema consiste dunque nel rendere esplicita questa informazione, ottenendo dagli assiomi teoremi medianteinferenze deduttive. I teoremi non contengono allora nulla di essenzialmente nuovo rispetto agli assiomi, silimitano ad esplicitare ciò che è già contenuto implicitamente in essi. Si tratta di una concezione cd.fondazionalista, che presuppone l’assunzione di un “mondo chiuso” (cfr. CELLUCCI, Filosofia e matematica, Bari2002, pag. 54).

82 Da questo punto di vista si deve rilevare, da un lato, come “Il fatto che una misura fiscale sia da considerarsidannosa in base al codice di condotta non pregiudica l’eventuale classificazione della misura come aiuto diStato”. D’altro canto, però, “l’esame della compatibilità degli aiuti fiscali con il mercato comune dovrà avveniretenendo conto, tra l’altro, degli effetti di questi aiuti evidenziati dall’applicazione del codice di condotta”: C384/98, n. 30.

83 Cfr. C (2004)434, n. 1.

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Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

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alimentata dal cd. codice di condotta. Si tratta di sviluppi che non possone essere estesi alla

Svizzera84; le conseguenti obiezioni che censurano un’interpretazione evolutiva non posso

quindi essere dichiarate, a questo riguardo, del tutto prive di fondamento85.

c) Interesse ad una interpretazione evolutiva da parte Svizzera?

Se la tesi di un’interpretazione evolutiva da parte della Commissione dovesse essere accertata e

legittimata, questo allargato contesto interpretativo darebbe alla Svizzera la possibilità di

inserire qualche nuovo argomento a suo favore. In particolare, è pensabile avanzare la tesi per

cui la portata dell’art. 23 ALS deve essere esaminata nel quadro più generale del diritto

bilaterale tra Svizzera ed UE. Si tratta di un corpus normativo che certamente configura diritto

pattizio vincolate per le parti. Per essere più precisi, si potrebbe richiamare a paradigma il

meccanismo che presiede l’integrazione negli accordi della giurisprudenza CGCE sull'esempio

del già citato art. 16 cpv. 2 ALC, per il quale si deve distinguere tra “vecchia” e “nuova”

giurisprudenza – i.e. emessa prima, rispettivamente dopo l’entrata in vigore dell’Accordo86. Si

potrebbe allora sostenere che l’elaborazione di nuovi principi, precedentemente non ancora

definiti, così come la trattazione di una questione giuridica non ancora decisa al momento

dell’entrata in vigore dell’Accordo costituiscano di per sé una nuova giurisprudenza non

opponibile alla parte Svizzera. Lo stesso potrebbe sostenersi per l’applicazione di principi noti

ad una fattispecie diversa, mai presentatasi in precedenza. Anche sentenze che precisano o

sviluppano principi già formulati prima dell’entrata in vigore dell’Accordo possono ben formare

una nuova giurisprudenza. Non si sarebbe invece in presenza di una nuova giurisprudenza se

una sentenza posteriore si limita a riprendere ed applicare, senza elementi di novità, principi

noti ad un caso simile87. Si tratta di un filone di analisi che – a mia conoscenza – non è stato

direttamente esplorato né dai “politici” né dalla dottrina, ma che forse meriterebbe un più

approfondito studio specifico.

3. Oggetto e scopo del divieto di aiuti di stato nell’ALS e nel TCE: elementi di

indagine teleologica

Nel capitolo precedente ho già evidenziato come alla luce della giurisprudenza della CGCE, la

possibilità di estendere l’interpretazione di una norma comunitaria ad una disposizione dalla

formulazione simile o addirittura identica di diritto internazionale dipenda in grande parte dalla

84 Così espressamente: MAMELI 2008, pag. 56. L’autore sviluppa poi una interessante chiave di lettura (politica)

della Decisione UE, inserendola in un contesto più ampio, di faticosi e “delicati equilibri”, poi sfociato nell’AFisRe negli accordi sullo scambio di informazioni fiscali.

85 Cfr. AFC 2006 n. 1 pag. 2; supra, Capitolo uno ad III.2.86 Cfr. sul tema: ROSSI 2007.87 Cfr. DTF I 667/05, n. 9.3.

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comparazione, da un lato, tra il fine ed il contesto generale dell’accordo di diritto internazionale

e, dall’altro, tra il fine ed il contesto del TCE88. Stupisce quindi non poco il fatto che nella sua

decisione del 13 febbraio 2007 la Commissione si confronti in maniera oggettivamente

superficiale con questa tematica, limitandosi per lo più ad insistere sulla similarità testuale delle

disposizioni esaminate89. Un approfondimento di questo filone interpretativo risulta quindi

imprescindibile.

3.1 ALS e TCE: oggetto, finalità e scopi perseguiti

La diversità di intenti tra l’ALS e il TCE è di immediata evidenza: l’ALS mira a costituire una zona

di libero scambio tra la Comunità e la Svizzera, mediante l’eliminazione graduale degli ostacoli

agli scambi, così da promuovere lo sviluppo armonioso delle reciproche relazioni economiche

nel quadro di condizioni eque di concorrenza (art. 1 ALS). Di contro, gli obiettivi

dell’ordinamento comunitario trascendono di gran lunga questo scopo: la liberalizzazione degli

scambi è uno dei mezzi per realizzare fini più ambiziosi, quali sono la creazione di un mercato

interno, l’introduzione di un’unione economica e monetaria e la costituzione concreta

dell’Unione europea. Inoltre, un trattato internazionale quale è l’ALS crea solo diritti ed obblighi

tra le parti contraenti senza prevedere alcun trasferimento di poteri sovrani in favore di organi

intergovernativi appositamente istituiti. Di contro, il TCE – benché concluso in forma di accordo

internazionale – costituisce una carta costituzionale di una comunità di diritto: esso ha creato

un ordinamento giuridico nuovo, con la rinuncia degli stati contraenti ai loro poteri sovrani in

ambiti sempre più ampi della loro attività90.

3.1.1 Scopo dell’ALS: l’art. 1

L’art. 1 ALS richiama gli scopi dell’accordo, tra i quali figura, alla lett. b, quello di “assicurare

condizioni eque di concorrenza negli scambi tra le Parti contraenti”. Questa dichiarazione è

espressamente evidenziata dalla Commissione, e quindi concettualmente “saldata” con la

previsione normativa formulata all’art. 23 cpv. 1., a garanzia dell’identità di portata delle norme

di concorrenza contenute nei due trattati.

88 Cfr. Capitolo due, ad IV.3.2. seg.89 C (2007) 411, n. 26 segg., 63 segg. Della medesima opinione: HIRSBRUNNER 2007, pag. 47; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006,

pag. 546; EPINEY 2008, pag. 79 segg. Stupisce in particolare la mancanza di qualsiasi riferimento alleconsiderazioni contenute nel già citato parere 1/91 della CGCE.

90 Questa caratteristica „costituzionale“ ha importanti conseguenze anche sulle modalità interpretative del dirittocomunitario: cfr. TOBLER 2008, pag. 81.

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Sebbene l’art. 1 ALS, siccome insufficientemente preciso, non possa imporre obblighi giuridici

alle parti, è evidente che rendendo esplicite le finalità dell’accordo, esso gioca, alla pari del

preambolo, un ruolo nell’iter interpretativo in combinazione con l’oggetto e il contesto del

trattato. Questi ultimi rimangono solo, ma pure sempre, quelli dell’istituzione di una zona di

libero scambio industriale e non, come nel caso del TCE, quelli dell’istituzione di un mercato

interno che abbia le caratteristiche di un mercato comune91. Nella già richiamata sentenza

“Metalsa”92, la CGCE ha avuto modo di ribadire che l’interprete “deve tener conto degli scopi del

TCE enunciati negli art. 2 e 3, fra i quali figura, in primo luogo, l’instaurazione di un mercato

comune nel quale sia eliminato ogni intralcio per gli scambi al fine di fondere i mercati in un

mercato unico il più possibile simile ad un vero e proprio mercato interno”, ravvisando che “tali

scopi sono estranei all’accordo tra la CEE e l’Austria. Infatti, secondo il preambolo, scopo dell'

accordo, che è stato concluso sulla base dell' art. 113 del Trattato, è quello di consolidare e di

estendere le relazioni economiche esistenti tra la Comunità e l' Austria e di assicurare, nel

rispetto di condizioni eque di concorrenza, lo sviluppo armonioso del loro commercio. A tal fine

le parti contraenti hanno deciso di eliminare gradualmente gli ostacoli per la parte essenziale

dei loro scambi, conformemente alle disposizioni dell' accordo generale sulle tariffe doganali e

sul commercio (GATT) concernenti la creazione di zone di libero scambio”93.

La Corte concludeva quindi confermando la sua precedente giurisprudenza94, secondo la quale

il TCE e l’accordo di libero scambio perseguono scopi diversi. Le interpretazioni che erano state

date all’art. 95 del Trattato non potevano quindi essere trasposte, per semplice analogia,

nell’ambito dell’ALS: questo andava interpretato in funzione della sua lettera e tenuto conto

dello scopo che esso perseguiva nell’ambito del regime di libero scambio.

Sarebbe quindi ingiustificato trarre una qualsiasi conclusione sull’identità materiale delle

rispettive norme di concorrenza sulla scorta del solo art. 1 ALS senza prendere in esame gli

scopi ultimi perseguiti dai singoli trattati95.

3.1.2 Campo di applicazione dell’ALS: l’art. 2 e il pregiudizio indiretto agli scambi

Agli albori della controversia è stato immediatamente segnalato come la norma sugli aiuti di

stato in ambito ALS dovesse venire inquadrata – quindi limitata – a quello che è il campo di

applicazione materiale dell’Accordo, vale a dire agli scambi commerciali dei prodotti designati

91 TOBLER 2008, pag. 84 n. 22. 92 Sentenza del 01.07.1993, causa C-312/91, n. 15 segg. La pronuncia statuiva circa l’identità di portata tra l’art. 18

dell’ALS tra la CEE e l’Austria (con identico tenore letterale di quello tra la CEE e la Svizzera) e la corrispondentenorma del TCE.

93 Si noti la perfetta identità letterale con il preambolo dell’ALS CEE-Svizzera.94 Segnatamente la sentenza 26.10.1982, causa 104/81 [Kupferberg], n. 30 seg.95 Di opinione più sfumata ARIOLI 2007, n. 14.

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all’art. 2 ALS (e rispettivi allegati); prodotti che devono oltretutto essere originari della Comunità

o della Svizzera. Il TCE, di contro, ha efficacia generale e si applica in tutti i casi in cui

non sono previste discipline speciali. Si costata quindi una evidente e sostanziale differenza nei

campi di applicazione materiali definiti dall’ALS e dal TCE96.

Considerato che le società holding e d’amministrazione non possono per definizione essere

attive nel commercio di merci, la loro attività esula sic et simpliciter dal campo di applicazione

dell’ALS97. Per quanto invece concerne le società miste, autorizzate ad esercitare una limitata

attività commerciale, bisogna considerare che i loro introiti di origine svizzera sono già oggetto

di imposizione ordinaria.

Di contro la Commissione argomenta che non ci si può limitare a considerare la singola società,

ma tener conto del gruppo in cui questa è inserita: ne segue che quando una di queste società è

parte di un gruppo che commercia merci tra la Svizzera e l’UE, si realizza comunque un

pregiudizio agli scambi nel senso previsto dall’ALS98. E ciò anche qualora le strutture svizzere

appoggino trading companies non UE che però a loro volta esportano i loro prodotti nella

Comunità99. A quest’ultima eventualità è stato ribattuto che anche qualora tali società non UE

siano poi effettivamente collegate con società UE, gli scambi commerciali tra la Svizzera e l’UE

non sarebbero toccati, almeno fin tanto che le merci scambiate non abbiano origine in

Svizzera100.

96 AFC 2006 pag. 1 n. 1; EPINEY 2008, pag. 84. In dottrina questa differenza era già stata evidenziata in tempi “non

sospetti“ da GROSS 2003, pag. 33, oltre che dal TF (cfr. la giurisprudenza segnalata supra, Capitolo due, ad IV.2.3).Sull’ambito applicativo materiale del TCE cfr. MAMELI 2008, pag. 57 seg.

97 BLANKART. 2007; HIRSBRUNNER 2007, pag. 47; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 555. Che anche le norme di concorrenzafossero applicabili – come tutte le altre – solamente ai prodotti menzionati all’art. 2 era pure l’opinione del CF:cfr. supra capitolo due, ad II.3.

98 Cfr. C (2007) 411, n. 56. Si intravede qui un parallelismo – non so fino a che punto giustificato – con la decisioneresa dalla Commissione relativamente all’aiuto a favore delle attività finanziarie accordato dai Paesi Bassi[C(2003)568, n. 85] dove fu costatato che l’aiuto in questione rafforzava la posizione finanziaria delle societàappartenenti a gruppi internazionali, la maggior parte dei quali, se non tutti, erano presenti sul mercatointracomunitario. Poiché inoltre il regime era aperto a tutti i settori di attività, esso riguardava necessariamenteimprese operanti in settori caratterizzati da scambi intracomunitari intensi.

99 È probabile che questo orientamento tradisca quella che è stata definita, “la tendenza ‘latente’ dellaCommissione a considerare le misure che regolano i gruppi come misure di per se indicative di un “vantaggioselettivo” (MAMELI 2008, pag. 213). Secondo questo autore, tale posizione della Commissione deve esserestigmatizzata, in quanto si pone al di là di quanto le sia consentito alla luce delle competenze attribuiteledall’art. 87 TCE, ritenuto che l’indagine degli aiuti fiscali trova il suo limite nella coerenza dei sistemi fiscalimedesimi.

100 HIRSBRUNNER 2007, pag. 47.

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È importante notare come la linea argomentativa portata avanti dalla Commissione si appoggia

sulla tesi – sostenuta pure in ambito UE101 – che anche un pregiudizio indiretto agli scambi sia

idoneo ad incidere sulla concorrenza. In realtà, si tratta di un’interpretazione larga ed assai

controversa del requisito del pregiudizio agli scambi sancito all’art. 87 TCE. Dalla giurisprudenza

della CGCE si evince unicamente che un aiuto è incompatibile con il mercato comune

allorquando l’impresa beneficiaria svolge un’attività economica che incide sugli scambi tra stati

membri102. Diversi commentatori ravvisano in questa estensione uno dei punti di minor

resistenza dell’intero apparato argomentativo proposto con la decisione 13 febbraio 2007103.

A tal proposito, il meno che si possa dire è che traslando “in automatico” una prassi già molto

discussa in ambito TCE all’apprezzamento di un accordo associativo, limitato al libero scambio

di merci con uno stato terzo, la Commissione è andata certamente oltre di quei “criteri comuni e

definizioni riconosciute che già esistevano al tempo della sottoscrizione dell’Accordo” che sono

invece invocati a sostegno della sua decisione104.

101 Cfr. C 384/1998, n. 11: „[...]la condizione dell’incidenza sugli scambi é soddisfatta se l’impresa beneficiaria svolge

un’attività economica che dà luogo a scambi tra gli Stati membri. Il semplice fatto che l’aiuto rafforzi laposizione dell’impresa rispetto ad altre imprese concorrenti negli scambi intracomunitari permette diconcludere che l’aiuto incide sugli scambi.[…] Il fatto che l’impresa beneficiaria non svolga attività diesportazione o che esporti quasi tutta la sua produzione al di fuori della Comunità [non] modificano in alcunmodo tale conclusione”. Si veda a proposito la Decisione della Commissione 17.02.2003, 2003/601/CE: “… interzo luogo la misura deve incidere sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri. Come è spiegato al punto11 della Comunicazione, questo criterio è soddisfatto se la società beneficiaria svolge un'attività economica chedà luogo a scambi fra Stati membri. Le società beneficiarie dell'esenzione fiscale prevista dal regime ForeignIncome fanno necessariamente parte di gruppi internazionali con controllate o filiali all'estero. Sulla base delleinformazioni fornite dalle autorità irlandesi, è chiaro che almeno alcune delle società interessate o alcuni deiloro gruppi di appartenenza erano attivi in settori soggetti a scambi intracomunitari”.

102 Cfr. TOBLER 2008, pag. 47 e giurisprudenza citata; MAMELI 2008, pag. 68 segg. (con un interessante caso diinterpretazione restrittiva da parte della Commissione medesima). Si tratta inoltre di una giurisprudenza chenon esisteva ancora al momento della conclusione dell’ALS nel 1972.

103 E ciò sebbene l’ALS si accontenti, contrariamente al diritto comunitario, di esigere di un pregiudizio potenzialeagli scambi: Cfr. EPINEY 2008, pag. 96; TOBLER 2008, pag. 47; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 555. Secondo questiultimi, anche se si applicasse il controverso criterio commissionale – ma prescindendo dall’artificio della“valutazione complessiva a livello di gruppo di imprese” utilizzato nel più sopra citato caso irlandese – iprivilegi fiscali cantonali concessi alle società holding, d’amministrazione e miste non potrebbero comunqueadempiere il presupposto del pregiudizio agli scambi. Pure per COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 24, è dubbio che laCommissione abbia sufficientemente dimostrato l’esistenza di un pregiudizio di fonte svizzera; ritenuto peròche l’art. 23 cpv. 1 ALS richiede solo un pregiudizio virtuale, gli argomenti commissionali (seppuregeneralizzanti) potrebbero forse bastare. Meno diplomatico il giudizio della deputata inglese al parlamentoeuropeo Diana WALLIS: “ Invece diciamo agli svizzeri che il loro sistema fiscale cantonale è ‘predatorio’, untermine spiacevole e pesante. Se così fosse veramente, mi aspetterei di vedere una serie di palesi casi didanneggiamento del commercio comunitario, esempi pratici che potrebbero essere citati e in cui l’effettopredatorio potrebbe essere dimostrato. Non ne ho visto neppure uno. Al contrario, la Commissione sostieneche essa non deve dimostrare, ma semplicemente indicare che tali strutture potrebbero avere un simile effetto.Tuttavia non vi sono esempi concreti e mi chiedo se questo sia dovuto al fatto che, a una più attenta analisi, essinon reggerebbero l’argomentazione un po’ debole che viene proposta, un’argomentazione che accusa unpaese terzo sulla base di un vecchio accordo di libero scambio, pensato anzitutto per il commercio di beni.” (cfr.SCHEDA A).

104 C (2007) 411, n. 29.

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Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

73

3.2 Il Trattato SEE quale tertium comparationis

Abbiamo visto nel capitolo precedente come la CGCE abbia già avuto modo di confrontarsi in

modo approfondito sulla questione dell’esistenza di una “omogeneità costituzionale” tra

Accordo SEE e TCE, concludendo che la diversità di scopi propria dei due trattati non

permetteva di legittimare aprioristicamente una interpretazione “parallela” di disposizioni simili

o identiche in essi contenute105. Tutto ciò sebbene l’Accordo SEE contenga disposizioni che

impongono agli stati AELS determinati obblighi di osservanza delle norme di origine

comunitaria integrate in questo accordo106.

A tal proposito si deve rilevare come l’accordo SEE implichi un’integrazione avanzata, i cui

obiettivi vanno oltre a quelli di un semplice accordo di libero scambio, il quale ha una portata

molto più ridotta.

In particolare, l'art. 61 dell'accordo SEE relativo agli aiuti di Stato, è più specifico ed ha una

portata altrettanto ampia di quella dell'art. 23, n. 1, lett. iii) dell'ALS; esso è pressoché identico

all'art. 87 del Trattato CE. Inoltre le disposizioni particolari applicabili agli aiuti di Stato all'interno

della Comunità sono riprese all'allegato XV dell'accordo SEE. Circa le procedure previste all'art.

27, cpv. 2 e 3, lett. a) dell'ALS, va ricordato che, in conformità dell'art. 108 dell'accordo SEE, gli

Stati dell'AELS istituiscono l'autorità di vigilanza AELS e la Corte AELS. Queste due istituzioni

sono dotate, segnatamente nei settori della concorrenza e degli aiuti di Stato, di competenze e

procedure analoghe a quelle esistenti nella Comunità nei medesimi settori107.

Sulla scorta di queste robuste risultanze giurisprudenziali è allora certamente legittimo

chiedersi su che basi interpretative la Commissione abbia potuto estendere la portata materiale

dell’art. 87 TCE all’art. 23 ALS, quando invece la conclusione contraria sarebbe parsa

indubbiamente più plausibile e, soprattutto, più consona con la giurisprudenza sviluppata dalla

CGCE108.

105 EPINEY 2008, pag. 87.106 Cfr. art. 6 dell’Accordo SEE: «Fatti salvi futuri sviluppi legislativi, le disposizioni del presente accordo, nella

misura in cui sono identiche nella sostanza alle corrispondenti norme del trattato che istituisce la Comunitàeconomica europea e del trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e degli attiadottati in applicazione di questi due trattati, devono essere interpretate, nella loro attuazione ed applicazione,in conformità delle pertinenti sentenze pronunciate dalla Corte di giustizia delle Comunità europee prima delladata della firma del presente accordo». Per reperite i tutti testi dell’accordo SEE: www.efta.int/content/legal-texts/eea.

107 Sentenza del Tribunale di primo grado del 22.01.1997, causa T-115/94 [Opel Austria GmbH], n. 97 segg., 107 e118. In questa pronuncia il Tribunale ha stabilito come le disposizioni dell’Accordo SEE relative agli aiuti di Statoprevalessero sulle corrispondenti disposizioni dell’ALS, notando al riguardo come l’Accordo SEE contengaregole e procedure sue proprie che permettono alle parti contraenti di escludere aiuti di stato incompatibili conl’accordo (a norma dell’art. 120 Accordo SEE le disposizioni di quest’ultimo prevalgono sulle disposizionidell’ALS – o altro accordo bilaterale – nella misura in cui l’aspetto in questione è disciplinato dall’Accordo SEE).

108 EPINEY 2008, pag. 89 seg. Si rileggano a proposito gli argomenti addotti dal TF: cfr. supra, Capitolo due, ad IV.2.3.

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Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

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4. Excursus: necessità di una interpretazione storica?

Nessuno degli autori che hanno studiato la controversia ha intrapreso direttamente

un’interpretazione complementare di carattere storico. Vi sono stati semmai indirettamente

richiami al messaggio governativo che accompagnò l’ALS che però, come ho già avuto modo di

segnalare, rappresenta solo l’opinione di una delle parti contraenti. Per fondare

un’interpretazione storica ai sensi dell’art. 32 della Convenzione di Vienna occorrerebbe far

capo ai protocolli comuni di negoziazione. A tal proposito vi è una evidente difficoltà pratica nel

reperire tali documenti, i quali potrebbero comunque fornire qualche ausilio, in specie sulla

portata soggettiva da attribuire alla Dichiarazione CEE relativa all’art. 23 cpv. 1 ALS. Ritengo

comunque i risultati che scaturiscono dall’interpretazione primaria siano idonei a fornire

elementi sufficienti per elaborare un giudizio giuridico, nell’ipotetico caso che questo possa

venire fornito da una autorità super partes.

In effetti, l’indagine conoscitiva sin qui condotta ha fatto emergere risultati magari contrastanti

(per cui un il ricorso a mezzi complementari di interpretazione potrebbe avere carattere

rafforzativo ex art. 32 primo periodo) ma non certamente risultati contraddittori (per cui

un’indagine storica sarebbe stata imprescindibile ex art. 32 lett. a et b).

IV. Valutazione ipotetica dei regimi fiscali cantonali alla luce del diritto

comunitario odierno sugli aiuti di stato di carattere fiscale

Dobbiamo ora affrontare la seconda domanda posta all’inizio di questo capitolo ed esaminare,

nell’ipotesi di identità materiale della normativa sulla concorrenza tra TCE e ALS, se il regime

impositivo delle società holding, d’amministrazione e miste possa effettivamente configurare

un aiuto di stato di carattere fiscale incompatibile con l’Accordo a norma dei criteri illustrati nel

precedente capitolo109. Per fare ciò concentreremo la nostra attenzione su quei criteri il cui

adempimento non appare già prima facie scontato sulla base dei risultati sin qui acquisiti.

In questa prospettiva appare problematico contestare che i regimi cantonali conferiscano un

effettivo “vantaggio fiscale” (i.e. riduzione del tributo che sarebbe ordinariamente dovuto) in

capo alle società beneficiarie110. Lo stesso dicasi per il criterio di “utilizzo delle risorse statali” (i.e.

109 Cfr. Capitolo due, ad III.110 Cfr. Capitolo due, ad I. Per dovere di acribia devo segnalare che il criterio del vantaggio e quello della selettività

(e sua giustificazione) sono – a torto o a ragione – spesso intimamente intrecciati, per cui la mia affermazionenon è del tutto corretta: in prospettiva analitica, alcuni aspetti che saranno richiamati infra nell’esame dellaselettività possono (devono) essere invece ricondotti al criterio del “vantaggio”. Per un inquadramento piùrigoroso di questa problematica cfr. MAMELI 2008, pag. 142 segg.

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alleviamento dei normali oneri che gravano sull’impresa)111 e di quello della “attribuzione della

misura allo stato”112. Per altro verso ho già invece poc’anzi discusso il criterio del pregiudizio o

“effetto sugli scambi” – e conseguente “distorsione della concorrenza” – la cui sussistenza nel

caso concreto è fortemente opinabile.

1. Il criterio della selettività della misura fiscale

In ambito di aiuti di stato comunitari, abbiamo già visto come una volta identificata una deroga

rispetto al sistema generale di riferimento (il cd. “vantaggio”), occorre esaminare se questa è

materialmente selettiva (i.e. favorisce determinate imprese o produzioni)113, senza che tale

specificità trovi una sua giustificazione nel sistema fiscale di riferimento.

Abbiamo pure già accennato, come l’esperienza giurisprudenziale comunitaria dimostri che

quello della selettività costituisca uno dei profili di più complesso accertamento, siccome la

linea di confine fra discipline speciali e discipline generali risulta spesso assai sfumata se

valutata in rapporto alle concrete ipotesi di applicazione. E ciò sia perché anche le misure a

carattere generale possono, in alcuni casi, produrre effetti simili a quelli di un aiuto, sia perché,

viceversa, il carattere settoriale di un aiuto può risultare solo apparente. La natura

necessariamente puntiforme delle pronunce CGCE attorno a questo concetto non ha permesso

di creare un adeguato impianto sistematico. Secondo la prassi propria della Commissione, il

carattere di generalità sussiste allorquando le misure di aiuto favoriscano tutti gli operatori

economici, siano effettivamente destinate a tutte le imprese su una base di parità di accesso e

possano essere utilizzate senza i condizionamenti esercitati dal potere discrezionale dello Stato

nella concessione o da altri elementi che ne limitino gli effetti pratici114.

111 Come rilevato da HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 551 esistono correnti minoritarie in dottrina che mettono in

dubbio la rilevanza di questo criterio, giacché non è detto che un incentivo fiscale debba necessariamenterivelarsi penalizzante per l’erario. Per il resto cfr. supra Capitolo due, ad I.

112 Cfr. Capitolo due, ad III.2.2.113 Per quanto riguarda l’esame del criterio di selettività materiale, procedo qui in modo sincronico (utilizzando

cioè i criteri giurisprudenziali odierni). In una prospettiva diacronica (che tenga cioè conto dei criterigiurisprudenziali vigenti nel 1972 comparandoli con quelli odierni) è giustificato affermare che la Commissione,nell’esaminare la selettività dei regimi cantonali di imposizione delle imprese, abbia adottatoun’interpretazione evolutiva: cfr. COTTIER/MATTEOTTI 2007, pag. 21; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 549 segg. e supraad 2.2.2.

114 Cfr. MAMELI 2008, pag. 127 segg. Gli unici esempi inoppugnabili sembra si possano rinvenire nelle ipotesi didiscriminazione dimensionale (delle imprese) e temporale (pag. 128). L’assenza di un quadro di sufficientecertezza giuridica in questo ambito pone serie difficoltà ai governi nazionali che intendono programmare unapolitica tributaria promozionale (pag. 157 segg.).

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1.1 Sussistenza del requisito nell’ambito dei regimi d’imposizione cantonali delle imprese

Nelle sue argomentazioni, sebbene a titolo sussidiario e cautelativo, la Svizzera ha comunque

contestato che i regimi impositivi cantonali presentino carattere di selettività, giacché questi

sono aperti a tutti gli attori economici, a prescindere dalla loro nazionalità o attività economica

e produttiva115. La Commissione obietta per contro che in relazione al criterio di selettività, l’art.

23 ALS non si limita a menzionare aiuti che favoriscano “talune produzioni” bensì anche “talune

imprese”. L’ambito di applicazione soggettivo della norma sarebbe quindi pienamente

soddisfatto116. La selettività si realizzerebbe nel fatto che solo le società esercitanti un’attività

rivolta all’estero possono godere delle previste agevolazioni fiscali cantonali, mentre altre

imprese che si trovano in una situazione paragonabile secondo la logica del sistema fiscale

svizzero ne sarebbero escluse117.

A parere di alcuni autori, questa conclusione non si giustificherebbe alla luce della

giurisprudenza della CGCE, giacché una regolamentazione che si fonda non già sulle

caratteristiche di un’impresa in quanto tale ma bensì sulla differenziazione del luogo di origine

del reddito, ovvero dell’esercizio di una attività imprenditoriale, non sembra idoneo a costituire

un “gruppo chiaramente determinato di beneficiari” nel senso in cui questa condizione è stata

sin’ora definita nella casistica sviluppata dalla Corte118.

Anche l’argomentazione per cui i regimi cantonali si rivelerebbero selettivi nella misura in cui

possono andare a vantaggio unicamente di quelle imprese che sono in grado di organizzare

convenientemente la loro attività di impresa, segnatamente rinunciando ad una attività

economica in Svizzera119, non gode di particolare credito. Infatti, una delimitazione di questo

genere si fonderebbe non sulle caratteristiche delle imprese, bensì sulle modalità di

realizzazione dei proventi. Si tratta di una possibilità che è però in principio accordata

indiscriminatamente a tutte le imprese, e quindi per definizione non selettiva120.

115 Cfr. AFC 2006, pag. 2 n. 2.116 A tal proposito si potrebbe aprire una interessante discussione sulla sussistenza di unicità o pluralità di nozioni

di “impresa” nel diritto comunitario. Qualora si propendesse per una nozione unitaria, applicabile nel dirittocomunitario della concorrenza e in quello fiscale (leggi IVA), occorrerebbe escludere dalla categoria delle“imprese” anche ai fini dell’art. 87 TCE tutte quelle attività già considerate non imprenditoriali dalla CGCE ai finiIVA. Ora, tra queste figura anche l’attività di holding pura; ossia la mera detenzione di partecipazioni. Un’attivitàcerto produttiva di reddito (passivo) ma che non si traduce nella gestione diretta dell’attività imprenditoriale(cfr. MAMELI 2008, pag. 49 seg.).

117 Cfr. C (2007) 411, n. 40 segg., rispettivamente C 384/98, n. 20: “alcune agevolazioni sono talvolta limitate atalune forme di imprese, a certe loro funzioni (servizi all’interno del gruppo, intermediazione o coordinamento)o a certi tipi di produzione. Dal momento che favoriscono talune imprese o talune produzioni, possonocostituire aiuti di Stato ai sensi dell’art. 92 paragrafo 1”. Un’argomentazione utilizzata anche in una proceduracontro l’Ungheria (TOBLER 2008, pag. 46). Vedi inoltre C(2004)434, riquadro 5: “Le misure aperte a tutti i settoripossono quindi essere comunque considerate selettive qualora le condizioni di ammissibilità a tali misurelimitino, di fatto, il numero dei beneficiari potenziali. È quanto avviene in particolare con le misure applicabiliunicamente alle imprese multinazionali o alle imprese di dimensioni sufficientemente grandi”.

118 EPINEY 2008, pag. 93, contrapponendosi a C(2007)411, n. 45.119 In questo senso: ARIOLI 2007, n. 5.120 Cfr. EPINEY 2008, pag. 93; BLANKART 2007; HIRSBRUNNER 2007, pag. 48.

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Degno di menzione è infine l’argomento sollevato di recente da EPINEY, secondo la quale una

discriminazione come quella imputata alla Svizzera dalla Commissione sarebbe eo ipso

impossibile giacché si sta parlando dell’azione di distinti enti detentori di autorità sovrana.

Quando soggetti diversi, tutti egualmente detentori di autorità sovrana, agendo nell’ambito

delle loro competenze adottano regolamentazione differenti non si può (per definizione)

censurare una discriminazione in senso giuridico. In questo senso non vi può essere

discriminazione per il fatto che imprese residenti in Svizzera possano godere di un trattamento

fiscale “diverso” – leggi migliore – di altre che risiedono invece in stati comunitari121.

1.2 Excursus: Selettività regionale (o geografica)

Ho già segnalato nel capitolo precedente come, a livello comunitario, il criterio di selettività può

essere individuato anche nel carattere regionale di una norma o di un regime. Di recente, la

Corte ha avuto modo di illustrare l’applicazione del criterio di selettività (e sua giustificazione)

nell’ambito di misure fiscali che sono espressione dell’autonomia fiscale locale122. Sebbene

taluni commentatori abbiano intravisto in questa decisione una tendenza a limitare il concetto

di selettività123, per quanto ci riguarda è bene ricordare che nella sua decisione la Commissione

non ha mai criticato la Svizzera per il carattere regionale dei suoi regimi fiscali, quanto invece

per la selettività materiale di questi entro le regolamentazioni fiscali cantonali124.

2. Giustificazione della misura per la natura del sistema fiscale di riferimento

In ultima analisi, anche se i regimi cantonali dovessero essere definiti selettivi, la Svizzera ha

sostenuto che il trattamento fiscale cantonale delle società holding, d’amministrazione e miste

sarebbe comunque adeguato e giustificato dalla logica interna del sistema fiscale elvetico. In

effetti, come abbiamo già avuto modo di vedere, un vantaggio fiscale selettivo potrebbe

trovare una giustificazione nella natura intrinseca del sistema fiscale di riferimento, rivelandosi

quindi neutrale dal punto di vista del divieto di aiuti di stato. Significato e portata di queste

121 EPINEY 2008, pag. 95, contrapponendosi a C(2007)411, n. 46. Vi sono poi nella decisione altri argomenti che

lasciano qualche dubbio già a livello di logica argomentativa, come quello secondo cui la regolamentazione perle società holding sarebbe selettiva siccome favorisce solo le società holding (sic!, n.42): cfr. HIRSBRUNNER 2007,pag. 48.

122 Sentenza del 06.09.2006, causa C-88/03 [Portogallo/Commissione]: a tal proposito si rinvia all’esauriente analisidi SEITZ 2007.

123 EPINEY 2008, pag. 94; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 553 seg.124 TOBLER 2008, pag. 47.

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fattispecie esimenti, che comportano problemi giuridici estremamente complessi, non sono

però ancora state chiarite in modo sufficientemente esplicito125.

2.1 Impiego modesto dell’infrastruttura pubblica

Da un lato, l’alleviamento fiscale in capo alle società d’amministrazione e miste si

giustificherebbe con il fatto che queste usufruiscono (e di conseguenza gravano) in modo

molto modesto sull’infrastruttura pubblica del paese.

La Commissione ha replicato che tale circostanza, comunque non sufficientemente provata,

non possa costituire una giustificazione, giacché una simile regola, se generale, dovrebbe allora

valere anche per le altre imprese che operano sulla piazza svizzera, ciò che invece non è il

caso126. L’argomento della Commissione è certamente solido. Non (mi) risulta infatti che

l’intensità di utilizzo delle strutture statali sia una caratteristica intrinseca al sistema fiscale

svizzero. Al contrario, é assai agevole pensare ad altre strutture produttive assolutamente low-

impact che, in difetto dei requisiti specifici, non potrebbero mai godere del trattamento fiscale

previsto per le società a tassazione speciale. Dal punto di vista del diritto comunitario, quindi,

anche la giustificazione che riconduce il motivo del privilegio delle società di amministrazione e

miste al carattere estremamente mobile della loro attività, per cui è sufficiente raccogliere nella

base imponibile unicamente il valore del servizio reso e non la totalità delle risorse raccolte, non

offre adeguati punti di leva siccome non trova un fondamento nei principi generali che

governano il sistema tributario nazionale.

2.2 Attenuazione della plurimposizione internazionale: esenzione unilaterale quale

caratteristica generale del sistema fiscale svizzero?

Per quanto riguarda le società holding, la Svizzera ha pure affermato che l’agevolazione si

giustifica per la sua natura di misura unilaterale nazionale tendente a limitare la

multimposizione internazionale. Secondo la Commissione, invece, il contenimento della doppia

imposizione non rappresenta una valida giustificazione, poiché i necessari meccanismi che

servono tale scopo sono già contenuti nelle applicabili CDI e, in ogni caso, è un fatto che il

sistema svizzero non richiede la prova dell’avvenuta imposizione del flusso reddituale nello

stato in cui questo è generato.

125 EPINEY 2008, pag. 96; HIRSBRUNNER/SEIDL 2006, pag. 554 (entrambi i contributi accennano al problema ma nessuno

vi si addentra); ROSSI-MACCANICO 2008a, pag. 346 segg.; SUTTER 2004, pag. 6.126 C(2007)411, n. 47 segg.

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A mio giudizio, l’argomento della coerenza della misura con il sistema tributario non è stato

adeguatamente valorizzato nelle tesi difensive sollevate dalla Svizzera e, per converso, non è

poi stato sufficientemente enucleato dalla Commissione nelle sue considerazioni.

Sfortunatamente, per la sua complessità ed estensione questo tema non può essere risolto nel

ristretto ambito di questo lavoro.

Resta il fatto che almeno per le società holding pure (per le società d’amministrazione e miste il

discorso è più sfumato) la specifica normativa elvetica si pone in un assetto di fondamentale

coerenza con i principi che presiedono al proprio sistema fiscale, tanto da poter sostenere che

si tratta in casu di un regime che offre elementi di agevolazione ma non di incondizionato

privilegio.

Abbiamo già avuto modo di vedere come nel trattamento dei redditi di fonte estera, il sistema

fiscale svizzero si fonda essenzialmente sul metodo detto dell’esenzione; e ciò sia con riguardo

alle misure adottate unilateralmente (legislazione interna) che a quelle concluse bilateralmente

(CDI)127. Il fatto che su questa scelta possano poi innescarsi costellazioni di doppia non

imposizione internazionale128 sarà pure una circostanza discutibile, ma certamente non idonea

a dimostrare (o anche solo indicare) un’incoerenza con il sistema di riferimento. Semmai,

esistono indicazioni di segno opposto: ricordiamo il già citato caso dell’art. 23 cpv. 2 della CDI

tra Svizzera ed Italia o il fatto che il regime holding elvetico non si differenzia sostanzialmente

da quelli di partecipation exemption previsti negli stati comunitari. Del resto, che il metodo di

esenzione non possa dirsi escluso dal campo delle circostanze che giustificano un vantaggio si

potrebbe inferire – con un argomento a contrario – dal famoso caso “irlandese” dove il regime

esaminato dalla Commissione esentava dall’imposta nazionale talune categorie di profitti

realizzati all’estero, qualora tali profitti fossero poi “rimpatriati” al fine di realizzare investimenti

destinati alla creazione o al mantenimento di posti di lavoro in Irlanda. In quel caso, si trattava

però di un regime di deroga alle norme ordinarie irlandesi in materia di prevenzione della

doppia imposizione, giacché la misura di basava sul metodo dell’esenzione mentre il metodo

comune utilizzato era quello del credito di imposta129.

Per tornare al criterio di selettività, resta ancora da segnalare come il Tribunale di prima istanza

abbia recentemente chiarito che questa può trovare giustificazione anche negli obiettivi

particolari della misura, a patto che questa sia conforme alla natura e struttura generale del

127 Cfr. supra Capitolo due ad I.4.1128 Cfr. supra Capitolo due ad I.4.2129 Cfr. C(2004)434, n. 16.

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sistema130. Pare quindi che quantomeno per quanto riguarda le società holding, esistano

concreti spazi idonei a giustificare la sua disciplina impositiva nell’ambito dei regimi cantonali

svizzeri.

A conclusiva dimostrazione della complessa geometria “frattale” che contraddistingue il criterio

di selettività, bisogna comunque ancora dire che anche qualora si potesse dimostrare che lo

statuto impositivo delle holding svizzere si concili con il sistema generale dell’esenzione, ciò

non significherebbe ancora che la misura si situi necessariamente fuori dal campo di

applicazione dell’art. 87 TCE. Uno studioso austriaco si è recentemente occupato di esaminare

la compatibilità generale del sistema del metodo di esenzione con la normativa UE sugli aiuti di

stato. Sebbene una simile discussione sia ancora agli inizi, lo studio dimostra come l’ampiezza

del concetto di aiuto di stato potrebbe attrarre nella sua sfera di influenza anche il metodo di

esenzione dei redditi esteri in quanto tale. E ciò nonostante questo sistema di prevenzione della

doppia imposizione sia in linea di principio riconosciuto quale elemento giustificativo

nell’ambito di un sistema fiscale. In particolare, il problema può presentarsi quando un sistema

tributario applichi un metodo di esenzione incondizionato ed il reddito così immunizzato

provenga da un paese a bassa o nulla fiscalità. Nella prospettiva della concorrenza fiscale

dannosa, poi, il problema si accentuerebbe qualora nello stato del precettore vigesse

(comunemente) un alto livello impositivo e le agevolazioni non siano offerte alle imprese

residenti (cd. ringfencing)131. In questo contesto è interessante rilevare come pure in ambito

GATT, già all’inizio degli anni settanta il comitato di esperti abbia qualificato l’esenzione di

redditi esteri – sebbene giustificati quali misura di prevenzione della doppia imposizione –

come una sovvenzione vietata. Sono poi seguite diverse correzioni di rotta e negli anni 1999 e

2000 il WTO ha infine attribuito all’esenzione unilaterale di attività svolte all’estero il carattere di

sovvenzione all’esportazione, per poi però dare esplicita e incondizionata “carta bianca” al

metodo bilaterale dell’esenzione, riconoscendo che “The avoidance of double taxation is not an

exact science”132.

130 Sentenza del 10.04.2008, causa T-233/04 [Olanda/Commissione]. La sentenza chiarisce la nozione di

giustificazione già tracciata dalla sentenza C-143/99 [Adria Wien] del 2001, ma la cui concreta portata eralimitata dalle incertezze applicative. La Corte sostenne allora che la selettività era soddisfatta solo se,nell'ambito di un dato regime giuridico, un provvedimento favoriva talune imprese rispetto ad altre “che sitrovino in una situazione fattuale e giuridica analoga tenuto conto dell'obiettivo perseguito dalprovvedimento”. Era lasciata irrisolta la questione del se la giustificazione dovesse essere trovata conriferimento agli obiettivi del provvedimento ovvero da quelli generali del sistema. “Il chiarimento restituisceragionevolezza al controllo delle misure fiscali nazionali e legittima le misure di vantaggio generali” (commentoda: Il sole 24 ore, 21.04.2008).

131 SUTTER 2004, pag. 4 e 13.132 Cfr. SUTTER 2004, pag. 7 segg. Sembra invece che il metodo del credito di imposta sia visto, con riferimento agli

aiuti di stato, come non problematico anche nel caso di assenza di CDI (cfr. SUTTER op.cit., pag. 9).

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V. Sintesi delle risultanze

L’analisi giuridico-sistematica condotta in questo capitolo ci ha permesso di giungere a risultati

significativi; sia in termini di comprensione che di facoltà di giudizio sul tema della controversia

fiscale. Questi risultati possono essere sintetizzati come segue.

1. Prima di tutto è emerso come la cd. controversia fiscale sia in realtà una controversia sugli aiuti di

stato, più in particolare sull’esistenza di aiuti di stato di carattere fiscale riconducibili ai regimi di

imposizione cantonali delle società holding, d’amministrazione e miste. Con la sua decisione, la

Commissione non chiede alla Svizzera un allineamento del suo sistema impositivo ai parametri

europei (cd. integrazione positiva), bensì solo – ma pur sempre – l’eliminazione di regimi che violano

i principi di concorrenza (cd. integrazione negativa).

2. Chiarito questo punto, abbiamo quindi individuato le due domande fondamentali a cui è necessario

rispondere per giungere ad un giudizio materiale sulla controversia. La prima domanda da porsi è

quella a sapere se i regimi cantonali di imposizione rientrano nel dominio di applicazione dell’art. 23

cpv. 1 lett. iii ALS, ossia se la portata materiale di questa norma sia identica a quella parallela dell’art.

87 TCE. In secondo luogo, per il caso in cui la risposta al primo quesito dovesse essere positiva,

bisogna chiedersi se questi regimi cantonali di imposizione costituiscano un aiuto di stato di

carattere fiscale incompatibile con l’Accordo. Per fare ciò abbiamo preliminarmente rimosso alcune

obiezioni delle parti che paiono già ad un primo esame irrilevanti.

3. Abbiamo quindi proceduto ad esaminare la consistenza formale della decisione della Commissione,

rilevando come emergono seri dubbi in ordine alla sussistenza delle esigenze poste dall’art. 249 TCE.

Inoltre appare singolare il fatto che il dispositivo della decisione non fissi alla Svizzera un periodo

transitorio preciso per adeguarsi – come succede nell’ambito del controllo comunitario sugli aiuti di

stato – prima che si faccia capo alle misure di salvaguardia previste dall’ALS.

4. In risposta al primo quesito, abbiamo quindi proceduto ad interpretare l’art. 23 ALS alla luce dei

canoni ermeneutici prescritti dall’art. 31 segg. della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati

internazionali al fine di verificare se sussistono le premesse per estendere la portata materiale dell’art.

87 TCE alla parallela norma prevista dall’Accordo.

5. La comparazione letterale ha evidenziato la quasi identità delle due norme, che presentano elementi

di fattispecie molto simili per non dire identici. Considerato che l’ALS non prevede però i regimi di

eccezione alla regola e nemmeno prescrive una chiara procedura di applicazione (così come invece

avviene nel TCE), si dovrebbe concludere che la sua normativa bilaterale sulla concorrenza é più

restrittiva di quella comunitaria; un’eventualità che lascia qualche perplessità. Secondo

l’interpretazione autonoma del TF, poi, l’ALS non prevede regole di concorrenza, ma solo dei principi

che non possono per loro natura essere violati.

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6. L’indagine sistematica ci ha poi portato ad esaminare il contesto dell’Accordo, cominciando con il

preambolo che richiama in particolare il quadro definito dall’Accordo GATT (ora WTO), e continuando

con la Dichiarazione unilaterale formulata dalla CEE relativamente all’art. 23 cpv. 1 ALS. A proposito

del significato oggettivo da attribuire a quest’ultima abbiamo visto come le interpretazioni

divergano in maniera significativa. Abbiamo concluso che, in ogni caso, la valenza di una

dichiarazione unilaterale può avere carattere ausiliario ma non conclusivo.

7. Allargando il contesto, abbiamo messo in luce la valenza da attribuire alla normativa di controllo

internazionale sulle sovvenzioni previsto dagli accordi WTO, che vincolano sia la Svizzera che l’UE e

che possono essere invocati da entrambe le parti nel caso di specie. Questi accordi completano e

incanalano le norme sulla concorrenza previste dall’ALS. Un giudizio materiale sulla ragione delle

parti nel quadro di questa normativa non può essere formulato con precisione. Stupisce però che la

Commissione abbia solo segnalato l’esistenza di questa base legale, senza però approfondirla. La

nostra indagine si è poi spostata all’esame della natura, statica o dinamica, del processo

interpretativo intrapreso dalla Commissione. Anche qui abbiamo avuto modo di appurare come le

posizioni della dottrina divergono sensibilmente. Ciò non di meno è un fatto accertato come la

nozione di aiuto di stato a carattere fiscale esisteva già, sebbene in nuce, prima della sottoscrizione

dell’ALS. Per questo motivo la Svizzera non poteva, nel 1972, dirsi ignara di questa circostanza. D’altro

canto, l’analisi ha evidenziato come da allora vi sia stato uno sviluppo significativo, sia a livello

giurisprudenziale sia a livello di prassi commissionale, attorno a questo concetto; sviluppo non da

ultimo sensibilmente influenzato dal cd. “codice di condotta in materia di tassazione delle imprese”

che rappresenta uno statuto giuridicamente estraneo alla parte Svizzera. Ci siamo poi accorti che in

un contesto storico-evolutivo, allargato cioè alla globalità delle norme internazionali che vincolano le

parti, potrebbero esistere ulteriori spazi interpretativi che suggeriscono una limitazione della portata

espansiva del diritto comunitario con riferimento alle fattispecie regolate dall’ALS.

8. L’indagine teleologica ha messo subito in luce l’evidente e sostanziale diversità di fini che esiste tra

l’ALS ed il TCE. Quest’ultimo, benché concluso in forma di accordo internazionale, costituisce una

carta costituzionale di una comunità di diritto che ha creato un ordinamento giuridico del tutto

nuovo: i suoi scopi (istituzione di un’unione economica e monetaria che abbia le caratteristiche di un

mercato comune) e i mezzi istituiti per raggiungerli vanno molto oltre i limitati fini attribuibili ad un

accordo di libero scambio di prodotti industriali. Spostando l’angolo di analisi, poi, abbiamo

individuato uno dei punti più deboli di tutta l’argomentazione avanzata dalla Commissione che si

sostanzia nell’ipotesi, del tutto priva di riscontri giurisprudenziali, per cui un anche pregiudizio

indiretto agli scambi (come potrebbe essere quello portato dalle società svizzere al beneficio dei

regimi di imposizione cantonali), è sufficiente ad incidere sulla concorrenza. Infine, ma non da ultimo,

abbiamo cercato di “misurare” indirettamente la portata teleologica dell’ALS per rapporto al TCE

mettendola in relazione con quella rivestita dall’Accordo SEE, con particolare riferimento alla valenza

da attribuire a norme di trattati internazionali che abbiano tenore letterale simile o identico a quelli

del trattato istitutivo CE. Sebbene l’Accordo SEE implica un’integrazione avanzata, i cui obiettivi

vanno altre a quelli di un semplice accordo di libero scambio, risulta dalla giurisprudenza della CGCE

Page 35: Capitolo terzo La controversia fiscale: consistenza degli ... · singoli regimi fiscali nazionali) e la cd. integrazione negativa (i.e. divieto di aiuti di stato quale norma negativa

Capitolo terzo: consistenza degli argomenti addotti dalle parti con il quadro giuridico di riferimento

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che tra l’Accordo SEE e TCE non esiste un’omogeneità costituzionale tale da far coincidere a priori la

portata materiale di norme simili o anche identiche che sono contemplate nei due trattati. Si tratta di

un argomento molto importante, se non addirittura decisivo per dare una risposta al nostro primo

quesito, con il quale la Commissione non si è sufficientemente confrontata nella sua decisione.

9. Affrontando il secondo quesito ci siamo soffermati sull’esame del criterio di selettività, il cui

accertamento si rivela determinante per sapere se i regimi cantonali di imposizione delle imprese

possono eventualmente configurarsi quali di aiuti di stato di carattere fiscale. Dopo aver passato in

rassegna diverse obiezioni sollevate dalla dottrina circa la sussistenza di questo elemento nel caso

svizzero, abbiamo visto come ambo le parti non abbiano dato sufficiente profondità all’esame della

compatibilità del metodo cd. dell’esenzione dei redditi esteri – adottato dalla Svizzera

(principalmente) per l’imposizione delle società holding – con i principi generali che presiedono il

sistema fiscale svizzero. In realtà questa è una scelta operata dal legislatore elvetico che si inserisce in

una linea di coerenza con il sistema fiscale di riferimento. Se poi il metodo dell’esenzione, quale

motivo di giustificazione, sfugga necessariamente al campo di applicazione dell’art. 87 TCE è

questione complessa e ancora tutta da dibattere.