Wittgenstein e l'Inesprimibile

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Introduzione La nostra è una conoscenza concettuale per cui la tradizione filosofica ci porta a riflettere su distinzioni e/o interconnessioni tra pensiero,parole e cose. Probabilmente meglio di altri fa Wittgenstein [in questo modo il verbo “fare” si usa nel linguaggio colloquiale, meglio utilizzare verbi come “si comporta” o non dire proprio “meglio di altri”, se lo dici uno ti chiede: chi sarebbero questi altri? E perché fa meglio di loro. Se hai un’idea su chi siano esplicitalo, altrimenti “meglio tacere” ;)] che, partendo da un’analisi interna al linguaggio giunge a delinearne i limiti. Pongo [in una tesi non si usa mai la prima persona singolare. Sarebbe meglio dire: se poniamo l’accento sul concettuale, si giunge o giungiamo…] l’accento su “concettuale” (cioè ciò che si dice) per giungere a quello che oltre al concetto è posto, a quell’area che Wittgenstein chiama ineffabile,inesprimibile o Mistico(sebbene con le opportune differenze, in quanto sembra che Mistico da una parte designi un’area concernente valori ed etica, mentre inesprimibile abbia una relazione, per sua stessa definizione, più stretta col linguaggio). Mi spiego forse meglio [di nuovo una prima persona. Poi mi raccomando: non si dice mai ”forse” o “probabilmente” per sottolineare un’insicurezza. Quando sostieni una tesi non devi rendere espliciti i tuoi dubbi]con la proposizione 6.54 del Tractatus nella quale il filosofo spiega come chi ha analizzato le proposizioni e le abbia poi oltrepassate si sia reso conto della loro insensatezza. “Allora è così che VEDE rettamente il mondo”. Emerge già come il “mostrare” ecceda il “dire”,un vedere che non si serve della riflessione, del concetto [questa frase è scritta male: 1. intendevi dire che “il dire” è un vedere? Quindi tra due virgole ci sarebbe un’apposizione? 2. Perché metti concetto dopo la virgola: usi concetto come sinonimo di riflessione? Se sì dovresti spiegare perché sarebbero sinonimi in Wittgenstein, non è cosa scontata]. Dunque cos’è l’inesprimibile, ciò che si può mostrare e non dire? Cosa, di preciso(se si può stabilire) comprende? [sarebbe meglio dire: cosa si intende di preciso, ammesso che si possa stabilire] Essendo stati tracciati i limiti del linguaggio si è stabilito un confine anche per l’inesprimibile senza che noi sapessimo (né sappiamo) però fino a dove la sua area si estenda. Inoltre, la dicotomia tra “dire” e “mostrare” è davvero così netta o presenta sfumature(in altre parole tutto ciò che si non può dire, automaticamente si può mostrare) [è improprio quest’uso di derivazione colloquiale dell’avverbio “automaticamente”: automaticamente significherebbe “senza pensarci”, ma allora sarebbe meglio dire “di conseguenza”, perché stai facendo un’inferenza: se c’è qualcosa che non si può dire, allora quello che non si può dire si può mostrare?]? La proposizione 7 a conclusione del Tractatus, “su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” come si inserisce all’interno dell’argomento “inesprimibile”? [Non è sintatticamente corretta l’organizzazione della frase: non puoi anteporre il complemento oggetto alla domanda. Ma devi scrivere: Come si inserisce all’interno dell’argomento “inesprimibile” la proposizione 7, etc: “su ciò…”] Forma logica ed inesprimibile non si possono dire, ma mostrare: una caratteristica comune è sufficiente per stabilirne un’identificazione o c’è (tutt’altro che) [non capisco cosa significhi quest’espressione tra parentesi nel contesto della frase] semplicemente una relazione tra essi? Nel Tractatus si dice esplicitamente che non esiste un’immagine della forma logica. Non si pretende quindi di dissipare dubbi su di un campo tanto vasto, ma perlomeno stabilire relazioni, se possibile, tra concetti come quello di forma logica, immagine ed inesprimibile. È vero che il filosofo indica, parlando di “Das Mystische”, di tutto ciò che non ha a che fare con il linguaggio come il

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IntroduzioneLa nostra è una conoscenza concettuale per cui la tradizione filosofica ci porta a riflettere su distinzioni e/o interconnessioni tra pensiero,parole e cose. Probabilmente meglio di altri fa Wittgenstein [in questo modo il verbo “fare” si usa nel linguaggio colloquiale, meglio utilizzare verbi come “si comporta” o non dire proprio “meglio di altri”, se lo dici uno ti chiede: chi sarebbero questi altri? E perché fa meglio di loro. Se hai un’idea su chi siano esplicitalo, altrimenti “meglio tacere” ;)] che, partendo da un’analisi interna al linguaggio giunge a delinearne i limiti. Pongo [in una tesi non si usa mai la prima persona singolare. Sarebbe meglio dire: se poniamo l’accento sul concettuale, si giunge o giungiamo…] l’accento su “concettuale” (cioè ciò che si dice) per giungere a quello che oltre al concetto è posto, a quell’area che Wittgenstein chiama ineffabile,inesprimibile o Mistico(sebbene con le opportune differenze, in quanto sembra che Mistico da una parte designi un’area concernente valori ed etica, mentre inesprimibile abbia una relazione, per sua stessa definizione, più stretta col linguaggio). Mi spiego forse meglio [di nuovo una prima persona. Poi mi raccomando: non si dice mai ”forse” o “probabilmente” per sottolineare un’insicurezza. Quando sostieni una tesi non devi rendere espliciti i tuoi dubbi]con la proposizione 6.54 del Tractatus nella quale il filosofo spiega come chi ha analizzato le proposizioni e le abbia poi oltrepassate si sia reso conto della loro insensatezza. “Allora è così che VEDE rettamente il mondo”. Emerge già come il “mostrare” ecceda il “dire”,un vedere che non si serve della riflessione, del concetto [questa frase è scritta male: 1. intendevi dire che “il dire” è un vedere? Quindi tra due virgole ci sarebbe un’apposizione? 2. Perché metti concetto dopo la virgola: usi concetto come sinonimo di riflessione? Se sì dovresti spiegare perché sarebbero sinonimi in Wittgenstein, non è cosa scontata]. Dunque cos’è l’inesprimibile, ciò che si può mostrare e non dire? Cosa, di preciso(se si può stabilire) comprende? [sarebbe meglio dire: cosa si intende di preciso, ammesso che si possa stabilire]Essendo stati tracciati i limiti del linguaggio si è stabilito un confine anche per l’inesprimibile senza che noi sapessimo (né sappiamo) però fino a dove la sua area si estenda. Inoltre, la dicotomia tra “dire” e “mostrare” è davvero così netta o presenta sfumature(in altre parole tutto ciò che si non può dire, automaticamente si può mostrare) [è improprio quest’uso di derivazione colloquiale dell’avverbio “automaticamente”: automaticamente significherebbe “senza pensarci”, ma allora sarebbe meglio dire “di conseguenza”, perché stai facendo un’inferenza: se c’è qualcosa che non si può dire, allora quello che non si può dire si può mostrare?]? La proposizione 7 a conclusione del Tractatus, “su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” come si inserisce all’interno dell’argomento “inesprimibile”? [Non è sintatticamente corretta l’organizzazione della frase: non puoi anteporre il complemento oggetto alla domanda. Ma devi scrivere: Come si inserisce all’interno dell’argomento “inesprimibile” la proposizione 7, etc: “su ciò…”]Forma logica ed inesprimibile non si possono dire, ma mostrare: una caratteristica comune è sufficiente per stabilirne un’identificazione o c’è (tutt’altro che) [non capisco cosa significhi quest’espressione tra parentesi nel contesto della frase] semplicemente una relazione tra essi? Nel Tractatus si dice esplicitamente che non esiste un’immagine della forma logica. Non si pretende quindi di dissipare dubbi su di un campo tanto vasto, ma perlomeno stabilire relazioni, se possibile, tra concetti come quello di forma logica, immagine ed inesprimibile. È vero che il filosofo indica, parlando di “Das Mystische”, di tutto ciò che non ha a che fare con il linguaggio come il senso etico ,estetico, il valore della vita e l’esperienza religiosa, tuttavia è sulla relazione linguaggio – mondo su cui mi vorrei concentrare. [Questo periodo è formulato male: 1. Stai dicendo che parlando del mistico, ovvero di tutto ciò che non ha a che fare con il linguaggio, il filosofo indica cosa? Non c’è complemento oggetto!]In particolare su quella che Wittgenstein chiama la “forma logica” comune sia alla proposizione che alla realtà dei fatti. [non puoi mettere dopo un punto una frase che è solo una specificazione della precedente, senza ripetere il verbo “vorrei cioè dedicarmi a discuter la forma logica, etc”]Una forma logica che stabilisce un nesso,un accordo tra linguaggio e mondo ma che comunque rimane irriducibile segnandone l’impossibilità di una convergenza assoluta. Inoltre la dicotomia tra esprimibile ed inesprimibile non sembra essere così netta. Se con esprimibile intendo ciò che sta all’interno del linguaggio e con inesprimibile intendo ciò che sta fuori, dove colloco il concetto di pensiero? Non sempre, infatti, esso arriva ad essere espresso. In una conversazione con Russell, infatti, [nell’arco di un rigo ripeti due volte “infatti”]Wittgenstein risponde negativamente alla domanda del maestro se i pensieri siano costituiti da parole, esplicando [il verbo “esplicare” non si può utilizzare in questo modo, correggi l’intero periodo: è macchinoso, rendilo più snello]come essi siano composti piuttosto di

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costituenti psichici, allo stesso tempo affermando tuttavia di non sapere nulla di questi costituenti. Affermando che oggetto del pensiero è il possibile e tenendo presente che quest’ultimo è caratteristica dell’immagine, qual è il rapporto tra pensiero e immagine? “ Il linguaggio traveste il pensiero.” : in questo senso, invece che chiederci [invece DI chiederci. Invece che chiederci è espressione colloquiale]dove si possa collocare l’intuizione all’interno di quanto detto, possiamo cercare di stabilire un confronto con l’aristotelico “pensare per immagini”: lo Stagirita concepisce per l’uomo la facoltà di un pensiero che si costituisce esclusivamente per immagini, senza ammettere altre possibilità. L’argomentazione della teoria raffigurativa delle proposizioni potrebbe quindi caratterizzare un riferimento anche se con le dovute riserve in quanto nel paragrafo 449 delle Ricerche Filosofiche si afferma come [non ci va la congiunzione subordinante “come” dopo il verbo “affermare”, modifica o il verbo o la congiunzione, o entrambi]non riusciamo a staccarci dall’idea che utilizzare una proposizione significhi immaginare qualcosa ad ogni parola: ciò sembra escludere una totale sovrapposizione, ma non una connessione. Un’ulteriore riflessione, sebbene forse un po’ azzardata, [quest’espressione è da cancellare]può essere compiuta tenendo presenti alcuni assunti come la caratterizzazione della filosofia come critica del linguaggio e come attività piuttosto che come dottrina. Considerarla su questo piano è davvero una riduzione [intendi dire che è riduttivo, altrimenti è una riduzione di cosa a cosa?], posto che il filosofo ritenga necessario passare attraverso il linguaggio per giungere alla realtà? Prendendo in prestito il pensiero soggiacente al goethiano “Faust” secondo cui l’uomo è in grado di cogliere solo l’immobile, ma non il divenire, - questo,almeno in parte,potrebbe spiegare il cambio di prospettiva che porta il filosofo da un’interrogazione sull’essenza del linguaggio all’analisi dell’uso e dell’applicazione di esso a un livello antropologico,culturale,sociale tipici del secondo Wittgenstein. [Non ho capito il senso del riferimento al Faust] Sviluppo Proviamo ad immaginare due cerchi concentrici e chiamiamo colorata la parte che sta tra il contorno esterno del cerchio più piccolo e quella del cerchio più grande. Chiameremo inesprimibile ciascuna delle due parti che NON sono colorate, che rimangono rispettivamente all’interno e all’esterno dei due cerchi concentrici. Questa sorta di disegno è utile per ipotizzare che l’inesprimibile sia costituito simultaneamente da quella che chiamiamo forma logica e da tutta quella parte che l’esprimibile esclude. In altre parole, la forma logica, cioè il nesso irriducibile tra parola e cosa, la struttura comune tra linguaggio e realtà e che è ciò che rende possibile alla proposizione essere un’immagine del fatto, non si può dire, ma solo mostrare. Qui sta il limite del linguaggio e l’eccedenza del “mostrare” rispetto al “dire”. Dall’altra parte rimarrebbe il sottoinsieme dell’inesprimibile che chiamo “non espresso”; con un esempio possiamo dire “in questa stanza A,B,C(che costituiscono la totalità delle persone nella stanza) indossano i pantaloni”. Interpretando la frase potremmo dire “Tutti nella stanza indossano pantaloni, sono nella stanza e non c’è nessun altro”: abbiamo detto tutto quello che c’era da dire. Ma cosa non abbiamo detto o, meglio, cosa la proposizione non ha detto? “D,E,F,G,H….non sono nella stanza”. Possiamo anche dire “il gatto è sul tappeto”: con questo esempio affermiamo che la proposizione dice effettivamente che il gatto è sul tappeto, tuttavia non può dire ma solo mostrare che essa stessa dice che il gatto è sul tappeto(siamo su un piano metalinguistico;cioè se io faccio parte della struttura, quindi ne sono all’interno per parlarne dovrei collocarmi fuori). Il cambio di prospettiva sottolineato rappresenta in realtà un’evoluzione del pensiero wittgensteiniano, post Tractatus, [perché tra due virgole? Non ci vogliono: tra virgole va quello che è inessenziale al senso della frase] che rivede il concetto di immagine stabilendone la fondamentale incompletezza precedentemente non assunta. Infatti la proposizione dice solo ciò che può dire e non dice ciò che non può dire: solo il fatto è davvero completo poiché nella situazione io vedo ciò che c’è e ciò che non c’è. Riprendendo l’immagine del disegno dei due cerchi concentrici è come se da una parte (all’interno) stesse la forma logica come struttura comune, l’essenza strutturale di parola e mondo e, dall’altra (all’esterno) la realtà inesprimibile di cui il linguaggio non rappresenta una porzione, bensì è ad essa solo tangente. (allora potremmo immaginare la parte esterna dell’inesprimibile come una linea tangente piuttosto che come un’area esterna indeterminata).Procedendo sulla linea di quanto detto è importante soffermarsi sulle tautologie, proposizioni sempre vere indipendenti dai valori di verità dati ai loro costituenti. Per esempio “Piove o non piove” è una tautologia che non dice nulla sulla realtà, in quanto non opera una selezione (che

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compirebbe nel caso dicesse “piove” oppure “non piove”), ma mostra la sua propria struttura (la contraddizione tra le due proposizioni). Infatti affermando “piove o non piove” non dico nulla, poiché non do alcun contenuto informativo (dire per Wittgenstein ha esattamente questa accezione), ma mostro tutto lo spazio logico delle possibilità: di conseguenza mostro qualcosa sul mondo. Il concetto di immagine è utilizzato da Wittgenstein per dimostrare come la proposizione lo sia del fatto. L’immagine è utilizzata da Wittgenstein all’interno di un’analogia impiegata al fine di comprendere come la relazione che lega gli elementi componenti dell’immagine sia la stessa che caratterizza la forma raffigurativa come la possibilità della connessione tra le cose nel mondo. L’immagine infatti è tangente alla realtà,”giunge ad essa”, cioè è solo possibile,ancora non si dà ma può darsi. Che significa proposizione immagine dei fatti? Se dico la parola “bottiglia” e la intendo come immagine del fatto “bottiglia” ad una prima lettura sarebbe intuitivo pensare che la parola dev’essere somigliante all’oggetto. La questione non è semplice e stabilisce un nesso tra forma logica ed immagine (Wittgenstein afferma chiaramente come la forma logica non sia un’immagine ed anzi si caratterizzi come la sua base); tuttavia per comprenderlo possiamo fare riferimento nuovamente all’esempio di “tutti indossano i pantaloni” sopracitato. Nell’evoluzione del suo pensiero si è sottolineato come importante sia stata la svolta che caratterizzò come “incompleta” l’immagine (e così la proposizione); ora soffermiamoci sull’idea di “giungere alla realtà”: ci viene indicato un movimento dell’immagine che potrebbe rimandarci alla metafora secondo cui i nomi sono punti, le proposizioni al contrario frecce orientate. Perché è un passo a mio parere importante? [questa frase non serve] Di nuovo, si denota la filosofia come attività, come un moto uniforme e presente che si libera dalla prigione delle definizioni. È una sopraffazione del verbo sul nome che indica un cammino del linguaggio che potrebbe spingersi anche troppo oltre, obliando il riferimento alla realtà, che nell’immagine mai si deve perdere. Il rapporto che l’immagine ha con la realtà è la sua verità o falsità rispetto allo stato di cose. Non solo, il nome ha un senso, (in questo caso potremmo dire anche semplicemente ha un’importanza) solo all’interno del complesso articolato che noi chiamiamo contesto (pensiero questo recentemente ripreso da Ricoeur ne “La Metafora Viva” all’interno di uno studio storico-linguistico sul concetto di metafora connesso a quello di immagine).

ConclusioniSpero di essere stata chiara non tanto sui concetti che espongo quanto piuttosto ciò su cui la mia analisi vorrebbe indirizzarsi. Senza pretendere di operare conclusioni in senso stretto, ma almeno di impostare le domande nella corretta direzione. [Queste non sono delle conclusioni ma delle osservazioni pleonastiche]

BibliografiaTractatus Logico- Philosophicus;Ricerche Filosofiche;Parte di Zettel e The Big Typescript; [quali parti? Quali pagine o paragrafi?]Quaderni 1914/1916;(La Metafora Viva)