Western Blogroll 2
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Transcript of Western Blogroll 2
In copertina: disegno di Rafael Gallur N. 2
Rivista amatoriale, aperiodica e gratuita
di contenuti di genere western raccolti in vari blog italiani
Tutti i loghi appartengono ai rispettivi proprietari. le immagini contenute in questa rivista sono immagini già pubblicate in internet,se dovessero essere protette da copyright, previa segnalazione, provvederemo immediatamente a rimuoverle
Sharon Stone in Pronti a morire (The Quick and the Dead, 1995) Concessione Columbia
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SPECIALE FUMETTI
- Il prezzo dell’onoreKentucky Mon Amour
- Senza perdonoFumetti Etruschi
SPECIALE CINEMA
- Yellow RockIl Zinefilo
- No Country for Old MenKentucky Mon Amour
- E Dio disse a Caino...Obsidian Mirror
SPECIALE LIBRI
- Attento TrinitàStorie da birreria
- Un uomo a cavalloGli Archivi di Uruk
MYNIATURE
- Tex Willer
CITA-SCACCHI
- Mezzogiorno e mezzo di fuoco- 4 per Cordoba Locandina di Open Range (2003)
Concessione Medusa Film
San Juan De Coronado, Alta California, 1871.
Una calca vociante comprime verso il centro della
cittadina, l’euforia dei grandi eventi elettrizza l’a-
ria e le anime. Un’impiccagione ogni tanto ci
vuole per risvegliare la gioia di vivere.
La portata principale di questo banchetto popo-
lare è Pher Melvin Tucker. Questo bestione alto e
grosso come un armadio, una splendida rappre-
sentazione del Bambino abbandonato dalla
Trinità, è stato arrestato per furto e abigerato. Il
menù come contorno prevede due giacche blù di
cui in paese nessuno sa nulla, ma l’ignoranza nonha mai guastato lo spettacolo forcale.
Ormai è l’ora della corda tesa. Sono tutti presen-ti. Lo sceriffo Baily fuma tanquillo la sua meritatacicca. La moglie di Mel attende l’imminente libera-zione e il ritorno al nubilato. Il giudice SamuelCourson si schiarisce la gola per l’intro. Il boia... eraoccupato e ha mandato il suo garzone di bottega, unragazzino imbranato che meriterebbe di pendolarepure lui. Perché come dice la Legge di Murphy...
La botola del patibolo, che di solito è lo scolofinale degli scarti sociali, diviene il punto di par-tenza per un’avventura picaresca in cui, tra cita-zioni di film impensabili, vedremo assalti, spara-torie, fughe, sangue dirompente, figli di cani ecetrioli saltanti.
La sceneggiatura è di Fabrizio Accatino, autoredi “La vita rubata”, apparso su Maxi Dylan Dog n.3, e “La strada per Babenco”, su l’Almanacco dellaPaura 2005. I disegni sono di Paolo Bacilieri, nellascuderia Bonelli dal 1999, e rendono la frontieraancora più vicina con il loro tratto posado.
Le Storie - “Il Prezzo dell’Onore” di Fabrizio Accatino e Paolo Bacilieriil tutto targato Sergio Bonelli Editore
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Una volta di più, semmai ce ne fosse stato biso-
gno, il bande dessinée si dimostra capace di stupi-
re, anche con generi abusati (come il western) di
cui troppe volte è stata decretata la fine.
Con grande tempestività, il settimanale a
fumetti Skorpio (Editoriale Aurea) nei numeri 10-
13 (marzo-aprile) porta in Italia una storia uscita
in patria per Le Lombard nel gennaio 2015 e fir-
mata da due colonne portanti del fumetto france-
se: Hermann (Hermann Huppen) e Yves H. (Yves
Huppen), padre e figlio tra i migliori del settore.
In quattro puntate arriva da noi una splendida
storia autoconclusiva: “Senza perdono” (Sanspardon).
Non siamo in un western americano o italiano:
siamo nello sporco West dove tutto è lercio, dove
tutto è crudele e dove non esiste cuore. Qui cono-
sciamo Buck e Jeb, padre e figlio come i due
Huppen che curano il fumetto. Buck è un crimina-
le di vecchia data che torna a casa, dalla sua fami-
glia per niente dispiaciuta della sua assenza, pron-
to a continuare la sua vita come se niente fosse; Jeb
è il figlio che sta crescendo con le storie paesane di
un padre criminale. Quando arriva lo sceriffo
Masterson, mille volte più infame dei criminali che
dovrebbe assicurare alla giustizia, seguito dai
deviati bifolchi con cui ama viaggiare e comincia
ad aprire il fuoco su vecchi, donne e bambini, la
situazione arriva ad un bivio. E le direzioni che
prendono padre Buck e figlio Jeb sono divergenti.
Passa il tempo e l’odio di Jeb per suo padre,
che l’ha lasciato a marcire tra le volgari mani lerce
dei bifolchi, raggiunge alti vertici: ora sono due
criminali che infestano la zona. Serve ancora l’in-
tervento dello sceriffo, più criminale di loro, per
porre fine alla storia.
Senza perdono è un cuore palpitante di odio
sporco in un corpo malato, è sangue e melma che
sporcano l’anima nera di un paese infame. È una
storia durissima che sotto la cenere della violenza
nasconde un odio palpitante.
Bella in ogni vignetta e bruciante in ogni dia-
logo: una storia da applauso!
“Senza perdono” (2015), una storia durissima e nerissimafirmata da padre e figlio Huppen
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Se rivedete Il padrino ed aguzzate la vista nelle
scene del matrimonio, potrete notare il dodicenne
Nick Vallelonga, originario del Bronx e amico
della famiglia Coppola.
Caratterista in una secchiata di film, ogni tanto
gli piace dirigere un piccolo film con magari
qualche buon nome nel cast: l’ultimo, in ordine di
tempo, è il western Yellow Rock. Uscito negli
USA il 1° novembre 2011, risulta ancora inedito
in Italia.
Lo sguardo vacuo di James Russo, assorto a
pensare alla sua trentennale carriera d’attore in
attesa di successo, ci introduce nella cittadina di
Yellow Rock. Qui il suo personaggio, Max
Dietrich, arriva con la sua banda alla ricerca di un
altro attore di lunga data mai realmente affermato-
si: Michael Biehn. Lo trovano ubriaco sulla panca
di una chiesa, piegato dal peso di tanti anni di
lavoro passati a scrollarsi di dosso l’Hicks di
Aliens, ma in realtà grato del fatto che esiste alme-
no un personaggio con cui lo si possa ricordare.
Max Dietrich ha bisogno d’aiuto, suo fratello e
suo nipote sono scomparsi a Falcon’s Peak e
sospetta ci sia lo zampino degli indiani Black
Paw: ha bisogno di Tom Hanner (Biehn) perché
lui conosce come nessun altro quel territorio. Tom
non ha nulla da fare se non ubriacarsi e piangere la
morte del figlioletto, così accetta l’incarico.
Appena entrati in territorio Black Paw, Tom
consiglia di chiedere il permesso degli indiani
locali tramite una donna bianca di cui si fidano: la
dottoressa Sarah Taylor (Lenore Andriel, co-sce-
neggiatrice del film), che si prende cura dei mala-
ti delle tribù circostanti. Lei procura ai viaggiatori
il benestare dei vecchi della tribù e li accompagna
nel viaggio con la supervisione di Broken Wing
(Michael Spears).
Sarà proprio quest’ultimo ad avvertire i viag-
giatori di non inoltrarsi nel territorio sacro, la zona
di Yellock Rock in cui nessuno deve mettere piede
se non vuole essere maledetto: è dannatamente
ovvio che Max e i suoi uomini ci si infilano di
“Yellow Rock” (2011), western con un ottimo castpremiato ma ancora inedito in Italia
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corsa. Il saggio Tom, la buona dottoressa e l’in-
diano timoroso si fermeranno e non calpesteranno
il sacro suolo… e invece procedono pure loro, alla
faccia dei cattivi spiriti.
In realtà l’unico spirito cattivo è l’oro, il gran-
de protagonista di ogni storia western che si
rispetti. La storia della sparizione del fratello,
infatti, è solo una menzogna orchestrata da Max
per assicurarsi l’aiuto di Tom e la protezione degli
indiani: Yellow Rock è una miniera d’oro a cielo
aperto, per chi abbia abbastanza coraggio da
approfittarsene.
L’arrivo ad una miniera abbandonata, grondan-
te oro, è il momento in cui comincia la parte deva-
stante del film: ogni banalità è messa in campo e
ogni noioso stereotipo da “buoni contro cattivi”
viene tirato in ballo. Il film muore proprio quando
dovrebbe raggiungere l’apice, e il pippone sugli
indiani buoni che hanno poteri sovrumani non
aiuta affatto.
Yellow Rock ha vinto diversi premi della comu-
nità dei nativi americani, perché gli sceneggiatori
– la citata Lenore Andriel e Steve Doucette,
entrambi esordienti alla sceneggiatura – hanno
voluto ricreare a pieno la cultura dei Black Paw
rinunciando ad una recitazione decente e chia-
mando i loro eredi ad interpretare il fiero popolo.
Come dite? In realtà Michael Spears e suo fratello
Eddie sono attori e per lo più di origine Sioux? Va
bÈ, ora non stiamo a sottilizzare: in Balla coi lupiMichael Spears faceva l’indiano Pawnee, siamo
sempre lì, no?
Come dite? I Black Paw (“Zampe Nere”) non
esistono, al massimo c’erano i Black Foot (“Piedi
Neri”)? Ma allora che cacchio di premi ha vinto,
‘sto film?
«Durante le ricerche abbiamo scoperto che in
California c’erano molte tribù di Nativi
Americani» racconta la Andriel al Red Nation
Film Festival Awards del novembre 2011. «La
febbre dell’oro ha spazzato via tutte quelle tribù e
non è rimasta traccia di loro: non conosceremo
mai quei Nativi e non sapremo mai chi furono. E
più compivamo ricerche, più ci rendevamo conto
che la loro storia non era ancora stata raccontata
per bene. Così ci inventammo la tribù dei Black
Paw, che non è mai esistita: volevamo che simbo-
leggiasse tutte quelle tribù che sono scomparse.»
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Moss quasi aspira l’essenza del deserto, mentrei suoi occhi raggiungono le montagne del Messicoe le sue mani stringono un fucile .270 con mirino12x. Un gruppo di antilopi. Uno sparo sfortunatoe inizia la ricerca dell’animale ferito. Fino ad unospettacolo surreale ed orrendo.
Alcuni fuoristrada e dei corpi riversi a terra. Unmassacro. Non tutti quei corpi sono privi di vita.Due occhi lo osservano e le loro labbra chiedonodell’acqua. Ripetutamente. Come un mantra. Unmantra che risuona nelle orecchie di Moss mentreindifferente perquisisce quei resti, sapendo cosapuò essere all’origine di quel massacro. Alla finela trova. Una borsa di cuoio piena di soldi.
Dopo un ritrovamento del genere nulla puòesser come prima, soprattutto se commetti l’erroredi ritornare nel luogo del massacro. La fitta allacoscienza che quasi ti alza dal letto e ti trascina aquegli occhi che ti implorano.
Ad attenderlo non saranno degli occhi spenti elanguidi. Essi saranno più luminosi di una torcia.Ad attenderlo saranno i fari di un fuoristrada cheara quei terreni selvaggi alla ricerca di quei soldiscomparsi come l’alito di quei corpi straziati.
Moss può scappare da quegli uomini. Può fug-gire da quella caccia stremante, ma in realtà puòsolo rimandare l’incontro fatidico con le conse-guenze di quella scelta. Nessuno dimentica una unaborsa piena di dollari, specialmente se chi è sparitoinsieme ai soldi ha lasciato un indizio grande quan-to un pick up. Sarebbe bastato non tornare in quelposto. Sarebbe bastato continuare a dormire.
Moss ormai non può più farlo. Moss non puòneanche più dormire. Ormai la caccia è iniziata edietro le sue tracce vi è un uomo che pare quasi laraffigurazione che i menestrelli medievali faceva-no della morte. Come quelle leggende in cui gli deiscendono sulla terra con le fattezze umane,Chigurh contempla la futura morte del suo interlo-cutore ignaro. Una morte che sboccia come unfiore. Un fiore perfetto al centro dell’osso frontale.
Chigurh ricorda un po’ il Sentenza di “IlBuono, Il Brutto e il Cattivo”, ma in lui vi è qual-cosa di talmente freddo da renderlo quasi alieno.Un Dio sceso tra gli uomini e rispettoso di unapersonalissima Torah. Perché vi è un misticismocontorto in lui. Una fede in se stesso che trasfor-ma ai suoi occhi Moss in un Giobbe. Un Giobbenarcisista incapace di accoglierlo nella sua
“Non è un paese per vecchi” (2007)da Cormac McCarthy ai fratelli Coen
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anima, innescando in tal modo la sua vendetta.Chigurh è la pestilenza che si diffonde alle spal-le di Moss.
Se Chigurh è la pestilenza, lo sceriffo Bell nonpuò che limitarsi ad esser il necroforo di tal male.Bell vorrebbe essere lasciato in pace. Bell vorreb-be che l’oscurità calasse rendendolo invisibile.Vorrebbe che qualcuno lo mettesse al sicuro daquel mondo che ormai non riesce più a capire.Quando sulla statale 90 vede il corpo senza vita diun falco codarossa, lo prende e lo posa sui filid’erba accanto alla strada. Non accetta che le mac-chine lo possano deturpare in quella quiete chetraspare dai suoi occhi. Vorrebbe che qualcunoallontanasse anche lui da quell’irrazionale moto dieventi assurdi che lentamente, con la pazienza del-l’erosione, lo stanno distruggendo.
Lo stanno distruggendo nell’anima. È proprioquella che Bell vuole proteggere. Celare.Nascondere. Accecare da quel Male che si diffon-de come una nube alienante. È la sua anima che glipreme non la sua vita. La sua vita è per la genteche lo ha votato sceriffo.
La consapevolezza del Male. Un’entita defini-ta per Moss, senza un volto, senza una fisionomiacerta ma con una sagoma stabilita. Sicura. Umana.Per Bell è tutto diverso. Il male è quasi un qualco-sa di impalpabile. Qualcosa non racchiuso in un
bozzo statico. È come un virus in grado di supera-re le difese di un corpo e di diffondersi in manieraincontrollabile. Se fosse un elemento soprannatu-rale penseremmo a La Cosa di Campbell/Car -penter, ma per Bell è qualcosa di naturale, anche seinspiegabile. Inspiegabile come neanche la pazziapuò essere. Come tutti quegli avvenimenti di cro-naca che rimbombano nella sua testa. Per quelmale non puoi acquistare un fucile a pompa emodificarne il calcio e la canna. Non puoi.
I ricordi dello sceriffo Bell affiorano durante ilromanzo. Sono come il respiro della terra. Il respi-ro del Texas e del suo popolo. Il respirodell’America ormai mutata. Una pax romanaattuata attorno al fuoco, un clemente occhio diuragano in cui le parole sussurrate imprimo i sensipiù della disperazione e della distruzione che glo-rifica all’esterno di quel guscio di quiete.
L’esaltazione degli uomini del passato, coloroche riuscivano a riempire il vuoto della legge conla loro persona. Con il loro mito. Oggi è diverso.Il vuoto è esistenziale. Il vuoto è sociale. Non èsolo pazzia. È qualcosa che cresce ormai a livelloesponenziale insieme ad un’altra forma di male.L’assuefazione. I due elementi si nutrono a vicen-da. L’uno è la forza dell’altro. Distruggendo ildiritto al libero arbitrio e sostituendolo con unimprinting di egoismo e di empatia suicida.
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Perché proprio il libero arbitrio è il protagoni-sta dell’opera. Il libero arbitrio che resta comun-que il fautore dell’umano destino nonostante l’uo-mo cerchi di abdicare le sue responsabilità sottol’attenuante di Dio, dell’ideologia, della coerenza,del dovere, della psicoanalisi da quattro soldi...
Quella di McCarthy è una cronaca distaccata.Può essere paragonata a quella del verismo e delnaturalismo. Una cronaca distaccata ma straziante.Essa viene sussurrata, come i pensieri di Bell, rag-gelando con quel senso di perdita e insicurezza.Una cronaca che ti rende impotente nella contem-plazione di quel male sapientemente descritto nelsuo muoversi tra il Texas e il Messico, tra gli occhie le pieghe dell’anima.
L’opera di Cormac McCarthy è stata portatasul grande schermo dai fratelli Coen nel 2007. Laparte di Bell è stata assegnata a Tommy Lee Jones,il segugio di Hollywood per antonomasia, quelladi Moss a Josh Brolin mentre Javier Bardem inter-preta Chigurh.
Javier Bardem riesce ad imprimere il calco del-l’estasi sul suo volto, quella del distacco dalle sen-sazioni, dall’emotivita. Chigurh è privo di qualsia-si forma di sadismo e in lui l’omicidio diviene unpercorso iniziatico.
I fratelli Coen scelgono di non distaccarsidall’opera originale, sarebbe stato facile accen-tuare gli elementi gore e ridurre quel senso di“inadeguatezza” agli eventi. Oltre ai naturalitagli e ai piccoli adattamenti, loro inserisconodelle piccolissime battutte che rendono alcunesituazioni e dialoghi assurdi. Così come assur-di appaiono alcuni personaggi. L’impacciatovice di Bell sembra l’Andy Brennan di TwinPeaks mentre la guardia di frontiera fa venire inmente il classico esaltato dell’esercito, daWilliam “Bill” Kilgore al sergente maggioreHartman.
Il film rappresenta una vera prova di coraggio.No Country for Old Men è un opera difficile peruna trasposizione cinematografica. Il rischio dieccedere in una delle sue componenti, soprattuttola violenza o la disillusione, è molto alto, ma lororiescono a creare un film fruibile in cui risuona ilmessaggio dell’opera originale. Questo avvieneanche grazie all’ottima performance di TommyLee Jones e alla sua capacità di somatizzare lalotta interiore tra istinto di sopravvivenza e desi-derio di giustizia. La sua ombra, incorniciata daquella porta, racchiude tutta la sacralità del liberoarbitrio.
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Un po’ di tempo fa rivedevo per l’ennesima
volta uno dei due Trinità, non ricordo quale, e mi
sono ritrovato a pensare che mi piacerebbe vedere
altri, nuovi film con Bud Spencer e Terence Hill.
Ovvio che è impossibile, vista l’età ormai rag-
giunta dai due mostri sacri del cinema italiano, ma
la mia testa da scrittore o sedicente tale ha comin-
ciato ad andare per conto suo, e mi sono ritrovato
a immaginare i nostri in scenari nuovi e inusitati,
come il fantasy o la fantascienza.
Bud e Terence che pestano una banda di raz-
ziatori orchi? O che trasportano immigrati clande-
stini venusiani su un cargo spaziale?
Tra l’altro, una coppia di alieni eccezional-
mente somiglianti ai due compare nello speciale
bonelliano di Gregory Hunter di qualche anno
fa, quindi la mia non è nemmeno un’idea così
originale.
Dopo aver dato al mio personaggio in SaintsRow IV l’aspetto di Bud Spencer (e rendendo così
il gioco il doppio più divertente) ho deciso di sali-
re di livello.
Ho iniziato a pensare a una serie di racconti
con personaggi simili a quelli che Bud e Terence
interpretavano nei loro film come protagonisti.
Pensavo di riciclare i nomi Paul e Michael, da
Paul Smith e Michael Coby, i due “sosia” che
interpretarono cinque film scopiazzandoli da quel-
li della coppia più famosa.
Però al momento ho per la testa un’altra serie
di racconti, anche già a buon punto, e non me la
sento di lanciarmi in questa cosa. Ma si sa che
quando hai un’idea che ti batte in testa devi met-
terla giù per riuscire a liberartene, e così ho deci-
so, almeno per il momento, di scrivere un unico
racconto e di metterlo online in modo gratuito.
Non possiedo i diritti per i personaggi, ovvia-
mente. Si tratta di fanfiction, niente di più, nien-
te di meno.
Essendo fanfiction, vista la piega che sta pren-
dendo al giorno d’oggi questo tipo di opere mi
tocca specificare che non c’è niente di erotico,
giusto per evitare fraintendimenti. Si tratta sempli-
Attento Trinità... arrivano i vampiri!un fanfiction novel incredibile
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cemente di una nuova avventura dei due fratellidel west, invincibili pistoleri, wannabe criminalied eroi, uno più e uno meno riluttante.
La mia passione per il fantastico non è riusci-
ta a stare zitta nemmeno stavolta, perciò ho
dovuto mettere il duo in una situazione che non
fosse proprio quella classica dello spaghetti-
western. Ed ecco quindi i vampiri, che qui non
sono né sperluccicosi né affascinanti... ma nem-
meno così pericolosi. Per l’esattezza si tratta di
vampiri cinesi, ma noterete che più che a quelli
della tradizione somigliano a quelli del famoso
film del 1985 Mr. Vampire. Recuperatelo e fatevi
quattro risate.
Ho cercato di mantenere l’atmosfera da
commedia dei film, quindi non-
ostante i vampiri non si tratta di un
horror. Mettiamolo nel filone del
weird western, se vogliamo dargli
un’etichetta.
La copertina, purtroppo, è mia
anch’essa. Se mai pubblicherò
ebook a pagamento vedrò se sia il
caso di farmi fare le copertine da
qualcuno che le sappia fare, pagando
il giusto. Visto che questo ebook è
gratuito, vi tocca accontentarvi.
Nel mio racconto metto i vampiri cinesi inun’ambientazione western, il che francamentenon mi risulta sia successo molte altre volte.L’unico esempio che mi sovviene è il numero 107di “Magico Vento”, intitolato appunto Vampiricinesi.
Il western, e in particolar modo lo spaghetti-western, ha avuto sporadici contatti con l’oriente.Il sottogenere venne soprannominato Soja westerne consta di una manciata di titoli. Se volete appro-fondire vi consiglio il breve saggio gratuitoSpaghetti Marziali di Lucius Etruscus.
In tutti questi film comunque i nostri rudiuomini del west hanno a che fare con giapponesi enon con cinesi. Unica eccezione credo che sia ilpiù recente dittico di Pallottole cinesi, con JackieChun e Owen Wilson.
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Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fra-tello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungida quel suolo che per opera della tua mano habevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavoreraiil suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti:ramingo e fuggiasco sarai sulla terra. Cos’hanno
in comune un passo della Genesi, un film western
e il presente blog che, almeno così si direbbe, rap-
presenta una piccola antologia del gotico? Ebbene
sì, ci voleva una calda notte di luglio perchè
Obsidian Mirror, dopo un attento esame di
coscienza, decidesse di tornare a solcare il suo
percorso originale. Sto parlando del gotico, ovvia-
mente, che ormai da un anno abbondante viene
citato là in cima, nel sottotitolo del blog, ma che
per un motivo o per l’altro non ha vantato che
poche sporadiche apparizioni da queste parti. È
ora quindi di porre rimedio a questa lacuna e ini-
ziare a parlare un po’ di gotico. Da che parte ini-
ziare, però? La risposta è semplice: dal cinema ita-
liano di genere, quello che ormai da anni rappre-
senta un buon 80% della mia ormai vasta colle-
zione di DVD. Ma parafrasando la domanda ini-
ziale: qual è il comun denominatore tra Genesi,
western e gotico? In una sola parola: Antonio
Margheriti, in arte Anthony M. Dawson. Tra i più
grandi maestri del cinema di genere non si può
non citare Margheriti, tra i suoi contemporanei
secondo forse solo a Mario Bava, ma senz’altro di
tutti il più eclettico, in grado di spaziare dal
western all’horror, dalla fantascienza al poliziotte-
sco, senza batter ciglio. “E Dio disse a Caino”
(Satan Der Rache) è un esempio pressoché unico
di “western-gotico”, per alcuni una sorta di conta-
minazione di generi, ma più probabilmente una
perfetta miscela tra due atmosfere diametralmente
(in questo caso, solo apparentemente) opposte.
Come nel più classico dei romanzi gotici
abbiamo il castello come ambientazione princi-
pale, qui rappresentato dalla magione del latifon-
dista Acombar, e abbiamo il fantasma che tor-
menta l’apparente serenità del castello. Il fanta-
sma è qui rappresentato da Gary Hamilton, un
Klaus Kinski nel ruolo inedito del buono (che
solo Margheriti poteva convincerlo ad interpreta-
re), che viene graziato dai lavori forzati e riappa-
E Dio disse a Caino...
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re ad un incredulo Acombar, l’uomo che lo fecefinire ingiustamente in galera e gli rubò la donna.Il film si svolge praticamente tutto in una notte,durante una tempesta che accompagna l’arrivodel vendicatore, il quale sazierà la propria sete digiustizia mietendo vittime, una dopo l’altra,senza essere visto, come un fantasma avvoltodalle tenebre, implacabile ed invincibile come lamorte stessa.
I tirapiedi di Acombar, in preda ad un timorequasi religioso, sussurrano a mezza voce cheHamilton non è un uomo, ma un mostro dell’in-ferno… e del resto la tempesta “apocalittica” cheoscura il cielo anzitempo, la campana che conti-nua a suonare come posseduta, il prete che diven-ta agnello sacrificale, il fuoco purificatore e laluce del mattino che riporta con sé la calma sonotutti elementi di sapore biblico. Se mai ce ne fossebisogno, è lo stesso Hamilton che ci offre un’ulte-riore spiegazione per il titolo del film: egli è deci-so a portare a termine la sua vendetta a qualunquecosto, anche se Dio poi gliene facesse pagare ilpegno, rendendolo un reietto come Caino. E difat-ti, dopo il più classico dei finali western che vedeil buono e il cattivo a confronto, come Caino (ecome una creatura della notte al sopraggiungere
dell’alba) Hamilton si lascia dietro le spalle la suacasa, la “terra promessa” appena ritrovata, per ilvasto mondo. E, forse, ricominciare.
Probabilmente nessuno, se non Klaus Kinski,avrebbe potuto incarnare meglio il personaggio diGary Hamilton. Un Klaus Kinski particolarmenteispirato, che ha dato un volto che mai si era vistoprima (e mai sarà visto dopo) al desiderio di ven-detta. Quello di un uomo dall’animo pieno di lucied ombre, eppure nonostante il risentimento one-sto abbastanza da riconoscere che le colpe deipadri non devono ricadere sui figli. Lasciate per-dere Kill Bill, Lady Snowblood o la famosa trilo-gia del coreano Park Chan-Wook: la vendetta stadi casa negli occhi schizofrenici e psicopatici diKlaus Kinski!
Non c’è da stupirsi, considerata la bizzarra (perusare un eufemismo) vita dell’attore. Dopo un’in-fanzia triste e caratterizzata da precoci esperienzesessuali, sembra anche con la sorella, Klaus vienesegnato, nel corso della seconda guerra mondiale,dalla terribile esperienza della prigionia. A venti-sei anni viene ricoverato in manicomio, dove imedici lo definiscono un “pericolo pubblico”.Nella prima pagina della sua cartella clinica si
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legge: «Diagnosi temporanea: schizofrenia.
Definitivo: psicopatia».
Il giovane attore durante l’internamento tentò il
suicidio assumendo tre fiale di morfina.
Sopravvisse, ma tre giorni dopo assunse nuova-
mente una dozzina di compresse di sonnifero. In
seguito, affetto da una grave infezione alla gola,
leggenda narra che se la estirpò da solo con il col-
tello per non pagare il medico. Anni dopo Klaus
Kinski ebbe due figlie e con una di loro, l’attrice
Nastassja, avrà si dice una relazione incestuosa.
Ma Kinski era davvero un pazzo oppure sola-
mente un personaggio un po’ originale? I concetti
di schizofrenia e di psicopatia sono tuttora molto
vaghi. Spesso si ricorre a certi appellativi quando
non si riesce a definire altrimenti alcuni compor-
tamenti del paziente. Distacco emotivo, assenza di
emozioni, incapacità di concentrazione, mancanza
di motivazione sono alcuni sintomi che caratteriz-
zano schizofrenia e psicopatia. Ho diversi colleghi
che manifestano questi sintomi, ma da qui a defi-
nirli psicopatici ce ne passa. C’è inoltre da consi-
derare il momento storico nel quale queste malat-
tie furono riscontrate in Kinski. La seconda guer-
ra mondiale è stata dura per tutti, molto di più evi-
dentemente per chi ha sperimentato la prigionia.
Inoltre quanto più spesso venivano liquidati come
pazzi persone normalissime che l’inesperienza dei
medici non riusciva a classificare diversamente?
Non dimentichiamoci che pratiche criminali come
la lobotomia sono state abbandonate quasi com-
pletamente solo all’inizio degli anni settanta, e
alcuni paesi (Francia, Belgio, Regno Unito) hanno
continuato ad applicarle, sebbene su scala ridotta,
anche negli anni ottanta. Kinski era quindi proba-
bilmente solo un solitario, una persona timida e
riservata e, di conseguenza, spesso violenta ed ira-
scibile. Spesso e volentieri i registi che si trovava-
no a lavorare con lui dovevano sottostare ai suoi
capricci ed erano molti coloro che lo odiavano.
Per sua sfortuna Antonio Margheriti non gli era
da meno. A proposito di questo film, Edoardo
Margheriti, il figlio del regista, ci racconta: «Lacorda si spezzò dopo pochissimi giorni di riprese:stavano girando dentro delle caverne, quandoKinski ebbe una delle sue crisi da primadonna estava per lasciare il set. Antonio non ci vide piùdalla rabbia e cominciò ad insultarlo, arrivandoanche a tirargli dietro uno dei fucili di scena.Curiosamente, questo gesto accrebbe smisurata-mente il rispetto di Kinski per Antonio e tornò sulset docile come un cagnolino, completando il filmsenza dargli ulteriori fastidi. Klaus era un “ani-male” da cinema, e probabilmente voleva sentirsi“dominato” dalla persona preposta a dirigerlo.Infatti in seguito ebbe un rapporto straordinariocon Antonio, lavorando in molti altri suoi film.Credo che Antonio Margheriti e Werner Herzogfurono i soli due registi a creare un rapporto disuperiorità, e conseguentemente di collaborazio-ne e stima, con Klaus Kinski.»
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Trovata un’altra chicca dalla collana “I
Grandi Western” (La Frontiera), anche se questo
risulta essere un supplemento: al numero 24 de I
Grandi Western (dice la quarta di copertina), al
numero 23 c’è scritto all’interno…
Ricordo che Ernest Haycox è noto per aver
scritto nel 1937 il racconto Stage to Lordsburg, da
cui è stato tratto il cult movie Ombre rosse (1939)
Ecco la scheda di Uruk:3. Un uomo a cavallo (Man in the Saddle,
1938) di Ernest Haycox [30 aprile 1980]
Traduzione di Jimmy Boraschi
* [da questo romanzo il film Il cavaliere del
deserto (Man in the Saddle, 1951) di Andre De
Toth, con Randolph Scott]
Ecco la quarta di copertina:Ernest Haycox è senz’altro riconosciuto da let-
tori e critici di tutto il mondo come uno dei più
grandi Autori western, addirittura uno fra i fonda-
tori, se così si può dire, di questo genere di narra-
tiva, assieme a Zane Grey, Whistles e Max Brand.
Il suo nome si erge solitario nella letteratura della
Frontiera, poiché più di ogni altro scrittore egli
rivoluzionò la storia del “Rangemen”, portando
una profondità di caratterizzazione, una narrazio-
ne intensa e una drammatica convinzione mai
incontrata prima nel genere.
Era un uomo che si dedicava totalmente alla
sua attività e la sua carriera è stata contraddistin-
ta da una lunga lista di romanzi di successo e
soprattutto da centinaia di racconti. Infatti,
seguendo gli usi della narrativa popolare ameri-
cana, scriveva particolarmente per le riviste, e le
sue opere passarono solo successivamente in
volumi, e non tutte.
E, per finire, l’incipit:Bourke Prine entrò nel Palace, girò lo sguardo
sugli avventori e notò che la porta della stanza
posteriore era socchiusa. Andò sulla soglia e si
fermò, appoggiandosi con la spalla allo stipite
della porta. Dal saloon veniva il brusio delle voci,
il trapestio degli stivali, il tintinnio degli speroni e
dei gettoni da poker.
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Numero 3 della “Fumetti 3D Collection” concui Hobby&Work nel 2012 presenta in edicola ilmeglio del fumetto italiano: è ora la volta di TexWiller, il re del fumetto italiano nato dalla pennadi Gianluigi Bonelli.
Noto anche con il suo nome indiano di Aquiladella Notte, con cui guida in modo illuminato inobili Navajos, con i suoi 66 anni di incontrastatosuccesso il personaggio regna incontrastato nelmondo del fumetto nostrano: peccato che in ver-sione 3D renda veramente male!
Tex Willer, il re del fumetto western italianonella collana “Fumetti 3D Collection” (Fabbri)
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MYNIATUREfigurini & action figures
Immagini scacchistiche tratto dal fornitissimo
database “CitaScacchi”, a cui attinge regolarmen-
te il blog omonimo.
Qui sopra, Mezzogiorno e mezzo di fuoco
(Blazing Saddles, 1974), di Mel Brooks, con il
mitico sceriffo Bart interpretato da Cleavon Little.
Qui a destra, 4 per Cordoba (Cannon forCordoba, 1970), di Paul Wendkos con il celebre e
compianto George Peppard.
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Anche nel selvaggio West si giocava a scacchi…o comunque lo facevano alcuni grandi interpreti dei film western
Chuck Connors, interprete western di cinema e TV