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Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato da mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, in occasione del XXXVI convegno sulla vita consacrata, promosso dal 14 al 17 dicembre a Roma, nell’aula magna dell’Università Urbaniana, dall’Istituto “Claretianum” sul tema Cultura della comunicazione mediatica e vita consacrata”. * * * Mi è stato chiesto, e ho accettato con piacere, di fare un commento al Messaggio del Papa per la 44a. Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il cui titolo è "Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola." Voglio ricordare qui che la Chiesa non fa altro che andare avanti, lasciandosi ispirare dallo Spirito Santo in ogni epoca, in continuità con il suo percorso di secoli. Già Paolo VI sottolineava nel 1975: «Questo problema del ‘come evangelizzare resta sempre attuale perché i modi variano secondo le circostanze di tempo, di luogo, di cultura, e lanciano pertanto una certa sfida alla nostra capacità di scoperta e di adattamento. A noi specialmente, Pastori nella Chiesa, incombe la cura di ricreare con audacia e saggezza, in piena fedeltà al suo contenuto, i modi più adatti e più efficaci per comunicare il messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo.» (Evangelii nuntiandi, 40) Poteva comunque meravigliare alcuni che il Papa Benedetto XVI incoraggiasse i sacerdoti ad assumere questa nova sfida, soprattutto per la complessità della situazione odierna. Quando si parla di "nuovi media", si fa riferimento ad una realtà poliedrica, diversificata nelle varie parti del mondo e anche in continua evoluzione sia dal punto di vista dell’hardware che del software, ma soprattutto delle valutazioni, delle forme di pensiero, di apprendimento, di creazione dei vincoli umani che risultano da queste tecnologie. In altre parole, stiamo parlando di cultura. O meglio ancora: di culture. Perché il telefonino o il computer non si usano allo stesso modo nei villaggi della Nigeria o nei quartieri benestanti di Parigi; perché disporre di una banda larga a São Paulo non è lo stesso che averne una nell’Amazzonia o ad Haiti. Ogni società usufruisce, assume ed esprime a modo suo i vantaggi della comunicazione digitale. Nei diversi contesti di tutte queste società il Papa Benedetto XVI ci invita a realizzare una «diakonia della cultura nell’odierno "continente digitale", percorrendone le strade per annunciare il Vangelo, la sola Parola che può salvare l’uomo.» (Discorso alla Plenaria del PCCS, 29 ottobre 2009).

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Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato da mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, in occasione del XXXVI convegno sulla vita consacrata, promosso dal 14 al 17 dicembre a Roma, nell’aula magna dell’Università Urbaniana, dall’Istituto “Claretianum” sul tema “Cultura della comunicazione mediatica e vita consacrata”.

* * *

Mi è stato chiesto, e ho accettato con piacere, di fare un commento al Messaggio del Papa per la 44a. Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il cui titolo è "Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola."

Voglio ricordare qui che la Chiesa non fa altro che andare avanti, lasciandosi ispirare dallo Spirito Santo in ogni epoca, in continuità con il suo percorso di secoli. Già Paolo VI sottolineava nel 1975: «Questo problema del ‘come evangelizzare resta sempre attuale perché i modi variano secondo le circostanze di tempo, di luogo, di cultura, e lanciano pertanto una certa sfida alla nostra capacità di scoperta e di adattamento. A noi specialmente, Pastori nella Chiesa, incombe la cura di ricreare con audacia e saggezza, in piena fedeltà al suo contenuto, i modi più adatti e più efficaci per comunicare il messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo.» (Evangelii nuntiandi, 40)

Poteva comunque meravigliare alcuni che il Papa Benedetto XVI incoraggiasse i sacerdoti ad assumere questa nova sfida, soprattutto per la complessità della situazione odierna. Quando si parla di "nuovi media", si fa riferimento ad una realtà poliedrica, diversificata nelle varie parti del mondo e anche in continua evoluzione sia dal punto di vista dell’hardware che del software, ma soprattutto delle valutazioni, delle forme di pensiero, di apprendimento, di creazione dei vincoli umani che risultano da queste tecnologie. In altre parole, stiamo parlando di cultura. O meglio ancora: di culture. Perché il telefonino o il computer non si usano allo stesso modo nei villaggi della Nigeria o nei quartieri benestanti di Parigi; perché disporre di una banda larga a São Paulo non è lo stesso che averne una nell’Amazzonia o ad Haiti. Ogni società usufruisce, assume ed esprime a modo suo i vantaggi della comunicazione digitale. Nei diversi contesti di tutte queste società il Papa Benedetto XVI ci invita a realizzare una «diakonia della cultura nell’odierno "continente digitale", percorrendone le strade per annunciare il Vangelo, la sola Parola che può salvare l’uomo.» (Discorso alla Plenaria del PCCS, 29 ottobre 2009).

La Chiesa verifica ogni giorno che il rapporto persona/tecnologia comunicativa/cultura diventa strettissimo ed è quasi inestricabile nei suoi componenti, come ha anticipato Giovanni Paolo II: «La Chiesa, infatti, non è chiamata soltanto ad usare i media per diffondere il Vangelo ma, oggi più che mai, ad integrare il messaggio salvifico nella 'nuova cultura' che i potenti strumenti della comunicazione creano ed amplificano. (...) Tale cultura, prima ancora che dai contenuti, nasce dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con tecniche e linguaggi inediti.» (Il rapido sviluppo, 3). I messaggi scambiati tra le persone creano dei flussi di conoscenza, dei

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valori/antivalori, dei simboli condivisi, degli accordi sociali che aprono diversi ‘territori’ di missione. Questi flussi culturali-comunicativi pongono la Chiesa davanti a delle scelte forti e decise.

Ecco Paolo VI nel 1975: «Il Vangelo, e quindi l'evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il Regno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l'evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna.» (E.n., 20)

Stando così le cose, non è da stupirsi che il Santo Padre Benedetto XVI abbia ora invitato i sacerdoti alla missione, dopo averlo fatto con i giovani nel Messaggio dell’anno scorso. Loro sono i pastori più vicini ai fedeli, ed inviati ad annunciare Gesù Cristo sia nella pastorale di presenza -che mai potrà essere sostituita- che in quella mediata, sulle "strade digitali". La missione che il Signore affidò ai discepoli è sempre viva ed operante perché non si venga meno al rispetto della dignità umana, alla solidarietà, al bene comune e alla comunione tra le persone. Vediamo le parole del Santo Padre:

«Per dare risposte adeguate a queste domande all'interno dei grandi cambiamenti culturali, particolarmente avvertiti nel mondo giovanile, le vie di comunicazione aperte dalle conquiste tecnologiche sono ormai uno strumento indispensabile.»

In tutta la storia della Chiesa, i discepoli non hanno dubitato a viaggiare verso luoghi lontani per far conoscere il Signore, anche se consapevoli dei rischi che correvano. Sapevano che lo Spirito Santo li precedeva ed accompagnava in quei territori ignoti. Perché allora, dovremmo avere paura dei pericoli -evidenti- di questo nuovo spazio di missione? Il Papa risponde alla tacita domanda su questo aspetto consigliando «l'uso opportuno e competente di tali strumenti, acquisito anche nel periodo di formazione, con una solida preparazione teologica e una spiccata spiritualità sacerdotale, alimentata dal continuo colloquio con il Signore.» La formazione alla comunicazione, pertanto, nel senso più profondo del termine, diventa una chiave essenziale di questa missione nelle diverse espressioni della cultura digitale. La comunicazione per suscitare comunione, è l’elemento costante di qualunque attività pastorale nei mondi digitali, più o meno sviluppati che siano.

Non c’è opposizione tra reale e virtuale

Non sono pochi coloro che si chiedono: ma allora dobbiamo abbandonare le parrocchie, le visite presenziali ai malati o ai carcerati o ai poveri per rimanere incollati ai computer? Assolutamente no! Nel Messaggio si supera una falsa opposizione tra "reale" e "virtuale" in riferimento alle comunità che si trovano fisicamente e quelle che esistono nel cyberspazio. La presenza è insostituibile per la celebrazione dei sacramenti, per la condivisione fraterna, per la solidarietà concreta. Ma le coordinate culturali (mentali) e di comprensione dei parrocchiani, soprattutto dei giovani, non sono più uniformi e fisse, non sono quelle di una volta. Oggi risultano e si nutrono di TV, di cinema, di musica, di videoclip, di elementi condivisi nelle reti sociali e in Internet. Se il sacerdote, pure quando li trova fisicamente, non conosce al meno le categorie di pensiero e di espressione dei suoi fedeli...

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come può comunicare veramente con loro? Noi dobbiamo prenderci cura dei pesci, ma anche dell’acqua in cui loro -e noi- siamo immersi.

Ecco le parole del Papa: «Grazie ai nuovi media, chi predica e fa conoscere il Verbo della vita può raggiungere con parole suoni e immagini - vera e specifica grammatica espressiva della cultura digitale - persone singole e intere comunità in ogni continente, per creare nuovi spazi di conoscenza e di dialogo giungendo a proporre e realizzare itinerari di comunione».

Dietro gli schermi collegati attraverso Internet ci sono delle persone in carne e ossa, uomini e donne di ogni età e condizione che cercano, che hanno bisogno di Dio, che vogliono essere amate ed accettate per quello che sono, anche se a volte si nascondono dietro i nickname.

Là dove ci sono le persone, deve esserci la Chiesa, in particolare i pastori, per annunciare, comunicare l’amore di Cristo. Il Papa afferma che la comunicazione nel mondo digitale offre al sacerdote «nuove possibilità di esercitare il proprio servizio alla Parola e della Parola. I moderni mezzi di comunicazione sono entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono."

Allora non c’è opposizione tra il lavoro pastorale di presenza diretta, e quello che si fa attraverso i mezzi. Sono, semmai, complementari. Nelle società odierne c’è bisogno di ambedue, ed è compito della Chiesa che non manchi Gesù Cristo in nessuno dei due. Certo, la presenza sacerdotale ha una particolarità in mezzo a tutte le altre presenze:

Il ‘come’ e il ‘che’ della presenza sacerdotale

Il "modello di sacerdote" che traspare in questo Messaggio, non è uno preso dal fascino dell’ultimo gadget tecnologico. Non è nemmeno un individuo la cui attenzione è presa dai contenuti futili offerti dal mercato mediatico, uno che guarda solo ai diversi schermi a disposizione.

«Più che la mano dell'operatore dei media, il Presbitero nell'impatto con il mondo digitale deve far trasparire il suo cuore di consacrato, per dare un'anima non solo al proprio impegno pastorale, ma anche all'ininterrotto flusso comunicativo della rete».

Allora il sacerdote, e con lui i genitori, gli educatori, gli agenti di pastorale, devono equilibrare gli elementi della vita odierna per compiere la loro missione ecclesiale.

«Se usati saggiamente, con l’aiuto di esperti in tecnologia e cultura delle comunicazioni, i nuovi media possono così diventare per i sacerdoti e per tutti gli operatori pastorali un valido ed efficace strumento di vera e profonda evangelizzazione e comunione. Saranno una nuova forma di evangelizzazione perché Cristo avanzi lungo le vie delle nostre città e davanti alle soglie delle nostre case dica nuovamente: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3, 20). »

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Il compito del sacerdote nel mondo digitale è lo stesso che nel mondo della presenza diretta: Far capire che «l'attenzione amorevole di Dio in Cristo per noi non è una cosa del passato e neppure una teoria erudita, ma una realtà del tutto concreta e attuale. La pastorale nel mondo digitale, infatti, deve poter mostrare agli uomini del nostro tempo, e all'umanità smarrita di oggi, che "Dio è vicino; che in Cristo tutti ci apparteniamo a vicenda».

Avvicinando i lontani

Un vantaggio dei media odierni, messo in evidenza dal Messaggio del Papa, è che essi facilitano proprio la missione ad gentes, non rimanendo nell’ovile di coloro che già hanno accolto la Parola. Ci fanno tener presenti anche quanti -sempre più numerosi- non credono, sono sfiduciati e delusi. Ma in tanti hanno nel cuore un profondo desiderio di assoluto e di verità. Benedetto XVI ha usato un’espressione molto suggestiva, chiamata ad ispirare numerose iniziative missionarie: «Come il profeta Isaia arrivò a immaginare una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr Is 56,7), è forse possibile ipotizzare che il web possa fare spazio - come il "cortile dei gentili" del Tempio di Gerusalemme - anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto? »

Questo avvicinarsi ai lontani per ascoltarli, per capirli, per servirli esprimendosi nelle loro categorie di pensiero, si evidenzia come un vero e proprio servizio, quella diakonia della cultura digitale citata all’inizio. Diakonia che risponde alla vocazione missionaria che soggiace alla vocazione sacerdotale e alla vocazione religiosa. È nostra responsabilità, quindi, fornire la necessaria formazione per questa doppia sfida: quella presenziale e quella digitale. I giovani seminaristi, religiosi e religiose, in molte nazioni, hanno una grande dimestichezza con i nuovi media tecnologici, ma questo non basta per la missione. Anzi: è necessaria una comprensione dell’umano come creato per l’amore, ed una larga visione teologica del fatto comunicativo come nucleo della Rivelazione, della storia della salvezza, della Persona del Verbo che ci ha redenti, e dello Spirito che in Pentecoste ha dato inizio alla storia (comunicativa) della Chiesa. E non dimentichiamo che una spiritualità del servizio nasce e cresce nella preghiera, che è anche ascolto e comunicazione.

Come vedete, c’è tanto da fare! Ma voi in questo incontro state trovando delle strade da aprire e da percorrere in questo senso. Vi auguro molti frutti nel vostro percorso e spero che possiate condividerli anche con gli altri membri della Chiesa, per il bene di tutti noi.